1. Fase della prima infanzia: va dalla nascita sino al secondo anno di vita.
Riguarda tutti gli aspetti dello sviluppo infantile dall'acquisizione delle prime
competenze al raggiungimento di una prima autonomia rispetto al contesto di
crescita: in particolare l'acquisizione del controllo sfinterico, la scoperta di sé,
l'apprendimento della capacità di deambulazione in stazione eretta (il
camminare), lo sviluppo del linguaggio e la costruzione di una relazione di
attaccamento. La prima infanzia può essere suddivisa in periodi distinti: il
periodo neo-natale che viene, per convenzione, fissato entro il termine del
primo mese di vita; il periodo dell’allattamento e dello svezzamento e il periodo
corrispondente alla conquista della prima autonomia (periodo senso-motorio),
durante il quale il bambino conosce e scopre il mondo circostante (altro da sé)
attraverso l'utilizzo dei sensi e della motricità. Sviluppa le sue capacità percettive
e motorie, stabilisce i suoi primi rapporti oggettuali e inizia una prima attività
rappresentativa.
2. Fase della seconda infanzia: va dalla fine del secondo anno sino a circa il
compimento del sesto anno di età. Riguarda importanti acquisizioni soprattutto
da un punto di vista verbale e rappresentativo. Caratterizzato da rapidità di
apprendimento, pensiero intuitivo, scoperta dell'immaginario e della fantasia,
raggiungimento di maggiore autonomia delle figure di accudimento.
1
3. Fase della fanciullezza: coincide con l'inizio della scolarizzazione. Vede il
bambino consolidare le abilità psicomotorie, sviluppare le prime capacità di
ragionamento logico, l'adattamento emotivo alla scuola e conquistare una buona
socializzazione. Si sviluppano i comportamenti pro-sociali, la cooperazione e la
capacità di accettare l'imposizione delle regole sociali. In questo periodo
chiamato anche di “latenza” secondo la definizione psicoanalitica, il bambino
vive una condizione di relativa quiescenza della pulsioni, pertanto le sue energie
possono essere incanalate al servizio dell'apprendimento scolastico, nel gioco
socia- le e nelle attività di gruppo.
6. Fase della vita adulta: a grandi linee possiamo dividere l'età adulta in
giovinezza (dai 20 ai 30 anni circa), età matura (dai 30 ai 45 circa); mezz'età (dai
45 ai 65 anni circa). L'adulto è un individuo che continua a crescere e a cambiare
(seppur in modo diverso rispetto al bambino o all'adolescente), ha una
personalità sufficientemente strutturata ed equilibrata nelle sue varie dimensioni:
fisica, intellettiva, affettiva, culturale.
7. Fase della vecchiaia e della terza età: le funzioni psichiche (ad esempio la
memoria, la velocità di elaborazione della risposta, ecc), le abilità motorie
accusano un decremento delle loro effettive potenzialità. Inoltre, connessi a
cambiamenti di ordine sociale come la sospensione dell'attività lavorativa, la
morte di coetanei o il sopraggiungere di malattie, si inseriscono problemi di
isolamento socio-affettivo.
Linguaggio e Comunicazione
3
- Il linguaggio è fondamentalmente uno strumento di comunicazione, si è sviluppato
nella specie per rispondere alle esigenze di comunicazione, il modo in cui funziona
dipende fondamentalmente dalla sua funzione comunicativa (posizione
funzionalista).
LA COMUNICAZIONE
La comunicazione nasce grazie alla relazione con l’altro e con l’ambiente. La parola
(linguaggio) è solo uno tra i tanti strumenti della comunicazione.
CV comunicazione verbale
Comunicazione paraverbale
La comunicazione umana si sviluppa perché ben presto tra bambino e adulto di costruisce
un sistema interattivo aperto che si autoregola e auto-corregge in funzione dello scopo,
capace di costruire e condividere significati, secondo sequenze comunicative in cui i due
interlocutori si influenzano a vicenda tramite i feedback che caratterizzano sempre gli
scambi comunicativi. I primi scambi relazionali sono importantissimi perché permettono al
bambino di condividere la propria soggettività con altri (intersoggettività).
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Le capacità del bambino non si sviluppano, quindi, né mediante una condotta casuale
per prove ed errori, né grazie a processi maturativi, bensì all'interno di sequenze
interattive di routine. All’intersoggettività primaria, segue tra i 9 e i 12 mesi quella
secondaria caratterizzata dalla capacità del bambino di partecipare attivamente e
intenzionalmente ad una situazione comunicativa. Gli scambi comunicativi durante le
interazioni porteranno allo sviluppo di una vera e propria comunicazione
intenzionale, sostenuta in primo luogo dalla capacità di condividere e sostenete
l'attenzione.
• Alla nascita il bambino imita, in maniera precisa e selettiva (non imitano a caso e
colgono differenze tra azioni come aprire le labbra o spingere in fuori le labbra)
• Tra 3 e 9 mesi l’interazione faccia a faccia diventa una vera e propria routine
condivisa dall’adulto e dal bambino, dove ci sono “ruoli” e le azioni sono
coordinate. Più l’interazione diventa famigliare, più il bambino è attivo. GIOCO
DEL CUCÙ
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• A 9-12 mesi compare l’abilità di condividere l’attenzione con un’altra persona su
un oggetto esterno: questo permette il passaggio dall’interazione diadica (adulto-
bambino) a quella triadica (adulto- bambino-oggetto della loro comunicazione).
Verso la fine del primo anno i bambini sembrano aver acquisito la regola dei turni
Inoltre si sviluppa l’USO DEI GESTI COMUNICATIVI. I primi gesti (che
compaiono tra gli 8 e i 12 mesi ) sono prodotti isolatamente o associati a
vocalizzazioni e vengono chiamati: Gesti deittici o performativi, esprimono
un’intenzione comunicativa, si riferiscono ad un oggetto/evento, ma sono privi di
significato se non osservati nel contesto in cui vengono fatti. Essi servono per
ottenere qualcosa. Quindi, il bambino utilizzandolo intende solo dirigere le azioni
dell’altro. Attraverso i gesti esprime due tipi di intenzione comunicativa:
richiestiva (il bambino si rivolge all'adulto con lo scopo di ottenere l'oggetto che
sta indicando); dichiarativa (il bambino indica un oggetto non perché lo desidera,
ma perché intende attirare l'attenzione dell'adulto). L’intenzione dichiarativa
sottende capacità socio-cognitive più evolute rispetto all’intenzione richiestiva. La
mancanza o il ritardo di questo tipo di gesto è considerato un indice di rischio per:
Lo sviluppo comunicativo e linguistico, Per l’autismo
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Grammatica
SVILUPPO SVILUPPO
PRELINGUISTICO LINGUISTICO Lessico Pragmatica
Fonologia
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Dunque l’acquisizione del linguaggio è una funzione acquisita gradualmente dal
bambino: si passa dal pianto comunicativo, alla lallazione, ai gesti, alle prime parole
e infine ad un linguaggio completo e complesso. Lo sviluppo del linguaggio è solo
un aspetto della capacità comunicativa, ma speciale, perché caratterizzato da due
proprietà uniche: la creatività (= la possibilità di produrre innumerevoli messaggi
combinando tra loro un numero limitato di unità-base, cioè fonemi e parole) e
l’arbitrarietà (= la relazione tra suoni e significati è arbitraria: non potendo ricavare
il significato dal suono è necessario apprendere e trasmettere i significati da una
generazione all’altra).
2) Lo sviluppo del lessico: Dai 12 mesi, il bambino entra nella fase del lessico
emergente:
• Proto-parole 10-12 mesi, (non corrispondono a parole dell’adulto, per es. «am am»
per cibo) delle combinazioni di sillabe simili alle parole che assumono un
significato specifico quando utilizzati in certi momenti, e.g. nanà per chiedere il
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biberon. Da questo momento in poi lo sviluppo fonologico interagisce con lo
sviluppo lessicale e grammaticale e ne è influenzato
• Molti gesti comunicativi (“più” allargando le braccia, indicare, ciao) e parole per
interagire (ciao, no, su) e di vita quotidiana (pappa, nonna)
• Nella prima fase, dai 12 ai 16 mesi, compaiono le prime parole e il bambino giunge
a produrre una media di 50 termini; la seconda fase va dai 17 ai 24 mesi, periodo in
cui si ha un rapido aumento del numero di parole conosciute e pronunciate dal
bambino, al punto che tale fase viene definita esplosione del vocabolario. In questo
periodo si registra un ritmo di espansione che va da 5 a 40 parole nuove alla
settimana.
2) Sviluppo semantico
Parallelamente alla comparsa delle prime parole, ha inizio il complesso sviluppo del
linguaggio da un punto di vista semantico, relativo all’attribuire di significato alle
parole apprese. Per quanto riguarda i criteri utilizzati dai bambini per costruire
categorie di significato delle parole che li conducano poi a operare classificazioni,
Clack sostiene che il bambino opererebbe sulla base di somiglianze percettive,
categorizzando gli oggetti ed estendendo ad essi i nomi in base, per esempio, alla loro
forma, colore, materiale.
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3) Sviluppo morfologico e sintattico
4) Sviluppo pragmatico
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5) Sviluppo della narrazione
1.Una funzione di tipo descrittivo, simile alla raffigurazione che un bambino fornisce
della realtà che lo circonda. È la comunicazione tipicamente informativa, in cui lo
scopo primario è fornire dei dati utili.
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1) L’Emittente: è il soggetto che ha l’obiettivo di comunicare, di informare, di
influenzare, direttamente o indirettamente, le persone presenti nell’ambiente
Altri elementi
7) I filtri, riguardano tutto ciò che disturba la comunicazione. Possono essere fisici
(rumore, brusio, tono di voce, silenzio) che psicologici (aspettative, bisogni,
pregiudizi, vissuti emotivi). Mentre i filtri fisici sono più facilmente gestibili,
quelli psicologici sono più complessi da evitare proprio perché sono quasi sempre
inconsapevoli.
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Un’altra differenza è tra UDIRE e ASCOLTARE sempre concetti alla base
della comunicazione.
LA COMUNICAZIONE
1) Le componenti della Comunicazione Verbale sono:
• Volume: è l’intensità con cui è emesso il suono della voce (basso, alto, ecc.)
• Tono: è la parte emozionale del parlato, quella che rivela gli stati emotivi di chi
parla, attraverso le inflessioni della voce.
Il linguaggio verbale, articolato nelle diverse lingue diffuse nel mondo, è il più
completo inventato dagli esseri umani; i segni, cioè le parole che lo costituiscono,
scritte o prodotte con la voce e disposte secondo una successione logica, consentono
di articolare il pensiero, di stabilire delle relazioni sociali, di esporre concetti
complessi, di esprimere sentimenti e stati d’animo. Infatti il linguaggio verbale è:
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Qual’è l’età entro cui la mancata acquisizione di competenze linguistiche
potrebbe essere considerata problematica?
Orsolini (2000) osserva che se un bambino a 2 anni non cammina possiamo pensare
con relativa certezza che è presente qualche patologia; se a 2 anni un bambino ancora
non parla, benché sia sensato preoccuparsi, non è detto che vi sia un problema
specifico. In questo caso è utile distinguere l'aspetto della produzione linguistica da
quello della comprensione. A due anni anche se il bambino non parla, si può
verificare attraverso semplici indicazioni verbali (“vai in cameretta e prendi la palla”)
la comprensione linguistica. Se esegue le indicazioni, dimostrando di avere compreso
l'interlocutore nella stragrande maggioranza dei casi gradualmente il bambino inizierà
anche a parlare.
Viene usata l’espressione bambini che parlano tardi, per indicare quei bambini che
presentano un ritardo nell’acquisizione del linguaggio, ma per i quali non è ancora
possibile dire se si tratti di un disturbo specifico. Si tratta di bambini che hanno un
normale sviluppo intellettivo, sociale ed affettivo e che pur non evidenziando alcun
danno neurologico, presentano un forte ritardo fonologico a cui segue un ritardo nella
produzione lessicale.
Vengono, in particolare, considerati bambini che parlano tardi coloro che tra i 18 e
i 23 mesi producono meno di 50 parole o che a 24/34 mesi non sono in grado di
produrre nessuna combinazione di due parole. In particolare, i bambini che dopo i 30
mesi non producono alcuna combinazione di 2 parole hanno scarse probabilità di
recuperare il ritardo sintattico a 3 anni (Orsolini, 2000). Per molti bambini il ritardo
nell’apprendimento del linguaggio si risolve entro i 5 anni, ma per alcuni si prolunga.
Si parla di disturbo specifico del linguaggio, quando il linguaggio del bambino non
funziona secondo il livello appropriato all’età, pur non presentando alcun deficit da
un punto di vista cognitivo, motorio e in assenza deficit uditivi, impedimenti fisici
all’articolazione e disturbi di origine emotiva.
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Il disturbo del linguaggio viene, inoltre, distinto in fonologico (quando riguarda l’area
espressiva) o recettivo (se è compromessa la comprensione ma non la produzione
linguistica).
La scuola diventa il luogo privilegiato per una più ampia socializzazione in cui il
bambino scopre la presenza di adulti che rappresentano una "autorità" diversa e
relativamente indipendente da quella dei genitori. L'istituzione scolastica, in quanto
tale, con la definizione di tempi e di spazi precisi in cui si avanzano richieste
specifiche relativamente a diritti e doveri (a cui anche i genitori si devono adeguare),
permette al bambino di intuire la presenza di un’autorità astratta che si pone oltre i
singoli e che presiede alla convivenza comune. Entra così in rapporto con un sistema
normativo di cui deve tener conto per regolare il proprio comportamento.
In questo contesto il bambino scopre gli altri bambini non più o non solamente come
compagni di gioco, ma come modelli con i quali confrontare le proprie prestazioni e
le proprie capacità di stare insieme e condividere i molti momenti della giornata.
Le motivazioni, gli interessi e i bisogni del singolo entrano in contatto con quelli di
altri individui imponendo delle regolamentazioni che possono sfociare in
comportamenti cooperativi o competitivi o conflittuali.
Come insegnanti, operatori, educatori, psicologi non dobbiamo però dimenticare che
l'apprendimento a vivere in gruppo passa anche attraverso l'esperienza del conflitto,
della difficoltà di trovare il giusto accordo tra le proprie azioni e quelle degli altri e in
tal senso comportamenti oppositivi o aggressivi tra coetanei non segnano
necessariamente una rottura delle relazioni sociali, ma costituiscono nella maggior
parte dei casi un'occasione di apprendimento alla regolazione e al controllo dei propri
e altrui comportamenti.
“Mio figlio non parla bene. Che cosa può avere?”. La risposta a questa domanda non
è sempre semplice. Un problema di linguaggio può avere diverse cause più o
meno gravi: una sindrome, un ritardo mentale, un problema anatomico alla lingua o
alla bocca, una sordità non diagnosticata, un disturbo dello spettro autistico, e molto
altro.Tuttavia, capita molto spesso che il bambino non abbia nulla se non questa
difficoltà nel parlare (parla poco o nulla, usa poche parole, “confonde” le lettere). In
questo caso parliamo di disturbo specifico del linguaggio. Si tratta, cioè, di bambini
che pur non avendo problemi neurologici, sensoriali o relazionali hanno difficoltà a
comprendere e/o produrre parole o frasi rispetto ai loro coetanei.
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I disturbi della comunicazione sono:
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ridotta, ed espressioni prettamente descrittive. 2) il Disturbo misto
dell’espressione e della ricezione del linguaggio la compromissione riguarda la
discriminazione la codifica linguistica dei suoni, qui l’acquisizione del linguaggio
è molto lenta e la comprensione è compromessa, si evidenzia dai 18 mesi in sù.
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conseguenze immediate del disturbo di fonazione sono il cattivo andamento
scolastico e la scarsa interazione sociale, fino anche al disturbo da deficit di
attenzione e iperattività, disturbo d’ansia di separazione e disturbo depressivo.
- Difficoltà nel seguire le regole della conversazione, come il rispetto dei turni o il
saper utilizzare i segnali verbali e non verbali per regolare l’interazione;
- Difficoltà nel capire quello che non viene esplicitato chiaramente (fare inferenze) e
i significati ambigui.
I disturbi dell’apprendimento sono vari e differenti tra di loro. Esistono però tratti
comuni e ricorrenti tra gli studenti che hanno un DSA ed altrettanto comuni sono
alcuni segnali, che possiamo meglio definire come veri e propri “campanelli
d’allarme”. Analizziamo dunque alcuni elementi che sia un genitore, sia un
insegnante, possono osservare a partire dalla prima elementare. Sebbene fino al
termine della seconda elementare non si possa diagnosticare un DSA, si può
comunque procedere ad una prima valutazione (valutazione di primo livello) nelle
sedi opportune.
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Lettura e scrittura: il bambino, dalla fine della prima elementare in poi, mostra di
non riuscire a leggere in maniera fluente, di fare fatica a mettere insieme le sillabe
delle parole; può anche leggere abbastanza bene ma molto lentamente, oppure non
comprende ciò che legge. Il suo rapporto con la lettura non si è consolidato, non è
“naturale”, ma sempre forzato e difficoltoso .
Calcolo e geometria: Il bambino, dalla fine della prima elementare, non “vede”
senza contare le quantità fino a 5 (le dita o gli insiemi di figure) ed entro il 10; non
impara, entro la classe terza elementare, i numeri “amici del 10”; non automatizza le
tabelline entro la quarta elementare (ciò significa, in alcuni casi, non ricordarle affatto
ed in altri ricordarle ma con lentezza) e fatica a leggere e scrivere i numeri oltre il
centinaio. Il bambino, entro la quinta elementare, esegue con fatica le divisioni e le
moltiplicazioni , non riesce ad eseguire il calcolo mentale oppure lo esegue molto
lentamente. Riguardo la geometria, il bambino fatica a ricordare i tipi di angolo, i
tipi di triangolo, le caratteristiche delle figure e le formule delle aree e dei perimetri.
Le difficoltà descritte possono presentarsi in maniera isolata o associate le une alle
altre e possono essere spie di una discalculia ma anche di dislessia , oltre che di
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disturbo visuo-spaziale presentano una caduta (discrepanza, disabilità, difficoltà)
nelle abilità legate agli apprendimenti:
DISTINGUIAMO:
1. lettura = DISLESSIA,
Quello che qui proponiamo è un metodo con cui far apprendere il contenuto di un
testo ad un bambino dislessico in modo alternativo ma altrettanto efficace seguendo i
5 passi qui indicati.
1- Leggere il contenuto del testo al bambino per una o due volte Obiettivo:
comprensione del contenuto del testo. Strumento: lettura dell’adulto o uso sintesi
vocale. In questa prima fase, ciò che è necessario, è la comprensione dei contenuti.
La lettura d’altronde è solo uno dei tanti canali che noi abbiamo a disposizione per
acquisire un tipo di contenuto. Possiamo anche comprendere un testo ascoltandolo,
vendendo delle immagini, attraverso un video o con spiegazioni guidate. In questa
fase sarà necessario sostituirsi al bambino dislessico nella lettura del testo affinché lui
possa impiegare tutte le sue energie nell’ascolto, e dunque nella comprensione.
4- Leggere ancora una volta il testo mentre il bambino segue la lettura sulla
mappa concettuale Obiettivo: prendere confidenza con la mappa concettuale ed
ampliare le conoscenze rispetto al tema trattato. Strumento: lettura dell’adulto o uso
sintesi vocale. Mentre il genitore legge, il bambino ha la possibilità di seguire il
discorso sulla mappa concettuale da lui realizzata. Questa attività permette al
bambino non solo di ampliare ancora di più l’argomento da studiare ma anche di
prendere ancor più dimestichezza con la mappa concettuale. E’ molto importante che
il soggetto possa avere anche in questa fase la possibilità di modificare in corso
d’opera il proprio lavoro.
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con dislessia con i propri compagni di classe. D’altronde, anche se si ha di fronte una
mappa concettuale, quanto un determinato argomento non lo si conosce, non è di
certo uno schema con parole e disegni a fare la differenza. Ma se un bambino con
dislessia ha l’opportunità (oltre che essere un suo diritto) di essere interrogato
tramite mappa concettuale, allora ha la possibilità di esporre al meglio tutto il
suo potenziale. Un esempio di liste di sillabe:
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Potenziare l’ortografia:
Nelle prime fasi dello sviluppo ortografico è essenziale saper far corrispondere il
suono ascoltato alla letterina scritta. Dunque, non corriamo nel dettato, diamogli tutto
il tempo di cui il bambino necessita, anche a costo di dettare fonema per fonema.
Essenziali diventano gli esercizi in cui ascolta con calma e poi scrive ciò che ha
sentito. Cerchiamo di lavorare molto sulla qualità dell'esercizio.
giraff.
p.rta
c.ntante
c.gno
r.gno
canocch.ale
ran.cchio
.ova
Tra le 2 scelte per rigo, indicate quella corretta. Per capire se avete fatto
bene, fate correggere gli esercizi dalla vostra maestra o dai vostri
genitori.
cara - carra
gatto - gatto
mangiare - manggiare
scivollo - scivolo
mare - marre
bicicleta - bicicletta
arcobaleno - arccobaleno
panino - paninno
ciambela - ciambella
maglione - magglione
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Potenziare il calcolo numerico
Nel calcolo è necessario aiutare aiutare a sviluppare nel bambino i seguenti concetti:
- il sistema del numero: attività per lavorare con gli alunni in modo chiaro ed
efficace sui processi di base (quantificazione, conteggio, lettura e scrittura del
numero, etc.);
- il calcolo a mente: le strategie per facilitare il calcolo a mente delle quattro
operazioni; Il calcolo a mente è l’abilità per eccellenza poiché non servono penne,
fogli o strumenti vari, ma solo una mente flessibile e strategica.
- il calcolo scritto: come presentare in modo nuovo le procedure per il calcolo
scritto di operazioni, frazioni ed espressioni. Tra l’altro i calcoli scritti richiedono a
loro volta il calcolo a mente, oltre alla conoscenza e all’applicazione di procedure
che si avvalgono dell’uso di un supporto visivo.
COMUNICAZIONE
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