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MODULO: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO DEL LINGUAGGIO, DELLA

COMUNICAZIONE E DELL’APPRENDIMENTO (20 ore )

Docente: dott.ssa Santina Marino

La psicologia dello sviluppo studia l'evoluzione e lo sviluppo del comportamento


umano, nel periodo che va: dal concepimento alla morte. Si differenzia della
psicologia dell'età evolutiva, la quale prende in considerazione solo lo sviluppo del
bambino.

Le principali fasi evolutive:

1. Fase della prima infanzia: va dalla nascita sino al secondo anno di vita.
Riguarda tutti gli aspetti dello sviluppo infantile dall'acquisizione delle prime
competenze al raggiungimento di una prima autonomia rispetto al contesto di
crescita: in particolare l'acquisizione del controllo sfinterico, la scoperta di sé,
l'apprendimento della capacità di deambulazione in stazione eretta (il
camminare), lo sviluppo del linguaggio e la costruzione di una relazione di
attaccamento. La prima infanzia può essere suddivisa in periodi distinti: il
periodo neo-natale che viene, per convenzione, fissato entro il termine del
primo mese di vita; il periodo dell’allattamento e dello svezzamento e il periodo
corrispondente alla conquista della prima autonomia (periodo senso-motorio),
durante il quale il bambino conosce e scopre il mondo circostante (altro da sé)
attraverso l'utilizzo dei sensi e della motricità. Sviluppa le sue capacità percettive
e motorie, stabilisce i suoi primi rapporti oggettuali e inizia una prima attività
rappresentativa.

2. Fase della seconda infanzia: va dalla fine del secondo anno sino a circa il
compimento del sesto anno di età. Riguarda importanti acquisizioni soprattutto
da un punto di vista verbale e rappresentativo. Caratterizzato da rapidità di
apprendimento, pensiero intuitivo, scoperta dell'immaginario e della fantasia,
raggiungimento di maggiore autonomia delle figure di accudimento.

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3. Fase della fanciullezza: coincide con l'inizio della scolarizzazione. Vede il
bambino consolidare le abilità psicomotorie, sviluppare le prime capacità di
ragionamento logico, l'adattamento emotivo alla scuola e conquistare una buona
socializzazione. Si sviluppano i comportamenti pro-sociali, la cooperazione e la
capacità di accettare l'imposizione delle regole sociali. In questo periodo
chiamato anche di “latenza” secondo la definizione psicoanalitica, il bambino
vive una condizione di relativa quiescenza della pulsioni, pertanto le sue energie
possono essere incanalate al servizio dell'apprendimento scolastico, nel gioco
socia- le e nelle attività di gruppo.

4. Fase della pre-adolescenza: periodo compreso tra gli l1 e i 13 - 14 anni


caratterizzato da rapido accrescimento corporeo e dal pensiero che da operatorio-
concreto si trasforma in astratto-formale. Gli aspetti concreti del pensiero sono
però ancora molto presenti e rendono difficile la riflessone sul pensiero stesso,
cioè la meta-rappresentazione, cosa che diventerà invece dominante nel periodo
adolescenziale. L'approccio psicoanalitico vede nella pubertà il periodo in cui le
cariche pulsionali sopite durante l'infanzia, si riaccendono. Il pensiero ancora
ancorato a dati percettivi incide anche sulla rappresentazione di se stessi. Una
rappresentazione negativa dell'aspetto fisico, se estremizzata, può determinare
disturbi di adattamento o di personalità, mentre la piacevolezza fisica determina
un maggior grado di accettazione da parte del gruppo dei pari e di conseguenza
facilita le relazioni interpersonali. L'attenzione rivolta agli accessori (un
particolare tipo di jeans, cellulari, i-pad, ecc..) comincia ad essere rilevante
proprio perché il conformismo rispetto al gruppo dei pari costituisce per il
ragazzo un importante meccanismo di difesa.

5. Fase dell'adolescenza: va da i 14 ai 18 anni circa. Lo sviluppo cognitivo è quasi


completo, riprendendo le osservazioni di Piaget in questa fase il ragazzo diviene
capace di riflettere sul pensiero proprio e altrui, formula ipotesi, fa deduzioni,
costruisce teorie e sviluppa un pensiero critico, logico e analitico. Al
decentramento cognitivo corrisponde però una forte auto-centrazione affettiva
che lo porta talvolta al narcisismo e ad un'instabilità affettiva che lo rende ancora
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molto vulnerabile. Questo spiega una sorta di delusione e a volte di angoscia che
caratterizza la cosiddetta crisi adolescenziale. Crisi che determina, in senso
positivo, la spinta verso una maggiore autonomia con l'indispensabile
ridefinizione dei rapporti con le figure genitoriali.

6. Fase della vita adulta: a grandi linee possiamo dividere l'età adulta in
giovinezza (dai 20 ai 30 anni circa), età matura (dai 30 ai 45 circa); mezz'età (dai
45 ai 65 anni circa). L'adulto è un individuo che continua a crescere e a cambiare
(seppur in modo diverso rispetto al bambino o all'adolescente), ha una
personalità sufficientemente strutturata ed equilibrata nelle sue varie dimensioni:
fisica, intellettiva, affettiva, culturale.

7. Fase della vecchiaia e della terza età: le funzioni psichiche (ad esempio la
memoria, la velocità di elaborazione della risposta, ecc), le abilità motorie
accusano un decremento delle loro effettive potenzialità. Inoltre, connessi a
cambiamenti di ordine sociale come la sospensione dell'attività lavorativa, la
morte di coetanei o il sopraggiungere di malattie, si inseriscono problemi di
isolamento socio-affettivo.

Linguaggio e Comunicazione

Il linguaggio è un ottimo strumento di comunicazione, ed è lo strumento di


comunicazione per eccellenza della specie umana. E’ legittimo quindi chiedersi se
linguaggio e comunicazione non siano in fondo la stessa cosa, ovvero se il linguaggio
non sia un sistema emerso, o evoluto, nella specie umana proprio per la sua funzione
comunicativa.

Su questa cruciale questione, i linguisti hanno visioni diversificate, e si possono


individuare due posizioni fondamentali:

- Il linguaggio è un sistema cognitivo, strettamente legato al pensiero. Il linguaggio


ha sue specifiche caratteristiche e regole, che non sono le stesse su cui si basa la
comunicazione (posizione mentalista).

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- Il linguaggio è fondamentalmente uno strumento di comunicazione, si è sviluppato
nella specie per rispondere alle esigenze di comunicazione, il modo in cui funziona
dipende fondamentalmente dalla sua funzione comunicativa (posizione
funzionalista).

LA COMUNICAZIONE

Comunicare prima di Parlare…

La comunicazione nasce grazie alla relazione con l’altro e con l’ambiente. La parola
(linguaggio) è solo uno tra i tanti strumenti della comunicazione.

CV comunicazione verbale

CNV comunicazione non verbale

Comunicazione paraverbale

La comunicazione umana si sviluppa perché ben presto tra bambino e adulto di costruisce
un sistema interattivo aperto che si autoregola e auto-corregge in funzione dello scopo,
capace di costruire e condividere significati, secondo sequenze comunicative in cui i due
interlocutori si influenzano a vicenda tramite i feedback che caratterizzano sempre gli
scambi comunicativi. I primi scambi relazionali sono importantissimi perché permettono al
bambino di condividere la propria soggettività con altri (intersoggettività).

L'adulto si offre al bambino come “cornice di riferimento” per le attività del


bambino. All'interno di questa “cornice” si situano le azioni quotidiane (mangiare la
pappa, andare a passeggio, fare la nanna, ecc..) sotto forma di ripetizione di sequenze
interattive per le quali si vengono a costituire delle routine. Mediante la realizzazione
ricorrente e standardizzata di sequenze di azioni, non solo il bambino viene
rassicurato dal punto di vista emotivo, ma si appropria delle convenzioni e delle
pratiche che caratterizzano la sua cultura di riferimento.

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Le capacità del bambino non si sviluppano, quindi, né mediante una condotta casuale
per prove ed errori, né grazie a processi maturativi, bensì all'interno di sequenze
interattive di routine. All’intersoggettività primaria, segue tra i 9 e i 12 mesi quella
secondaria caratterizzata dalla capacità del bambino di partecipare attivamente e
intenzionalmente ad una situazione comunicativa. Gli scambi comunicativi durante le
interazioni porteranno allo sviluppo di una vera e propria comunicazione
intenzionale, sostenuta in primo luogo dalla capacità di condividere e sostenete
l'attenzione.

Come nasce la capacità di comunicare?

Parliamo del periodo PRE-LINGUISTICO: dove il bambino comunica


attraverso il pianto, i gesti e le vocalizzazioni.

• Alla nascita il bambino imita, in maniera precisa e selettiva (non imitano a caso e
colgono differenze tra azioni come aprire le labbra o spingere in fuori le labbra)

• Nei primi mesi, grazie all’interazione faccia a faccia (dove ci si guarda, si


vocalizza insieme, si sorride...), si creano degli pseudo-dialoghi o proto-
conversazioni, dove adulto e bambino alternano suoni/movimenti, come se fosse un
dialogo. Pseudo-dialoghi (o proto-conversazioni): fin dalla nascita la madre
utilizza le pause spontanee del bambino durante la suzione per parlargli o
coccolarlo; inoltre al di fuori dell’alimentazione, le madri utilizzano i momenti di
attenzione per parlare all’infante oppure per imitarlo. E’ il periodo in cui compare
anche il “sorriso sociale”: cioè il bambino sorride riconoscendo la persona
famigliare.

• Tra 3 e 9 mesi l’interazione faccia a faccia diventa una vera e propria routine
condivisa dall’adulto e dal bambino, dove ci sono “ruoli” e le azioni sono
coordinate. Più l’interazione diventa famigliare, più il bambino è attivo. GIOCO
DEL CUCÙ

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• A 9-12 mesi compare l’abilità di condividere l’attenzione con un’altra persona su
un oggetto esterno: questo permette il passaggio dall’interazione diadica (adulto-
bambino) a quella triadica (adulto- bambino-oggetto della loro comunicazione).
Verso la fine del primo anno i bambini sembrano aver acquisito la regola dei turni
Inoltre si sviluppa l’USO DEI GESTI COMUNICATIVI. I primi gesti (che
compaiono tra gli 8 e i 12 mesi ) sono prodotti isolatamente o associati a
vocalizzazioni e vengono chiamati: Gesti deittici o performativi, esprimono
un’intenzione comunicativa, si riferiscono ad un oggetto/evento, ma sono privi di
significato se non osservati nel contesto in cui vengono fatti. Essi servono per
ottenere qualcosa. Quindi, il bambino utilizzandolo intende solo dirigere le azioni
dell’altro. Attraverso i gesti esprime due tipi di intenzione comunicativa:
richiestiva (il bambino si rivolge all'adulto con lo scopo di ottenere l'oggetto che
sta indicando); dichiarativa (il bambino indica un oggetto non perché lo desidera,
ma perché intende attirare l'attenzione dell'adulto). L’intenzione dichiarativa
sottende capacità socio-cognitive più evolute rispetto all’intenzione richiestiva. La
mancanza o il ritardo di questo tipo di gesto è considerato un indice di rischio per:
Lo sviluppo comunicativo e linguistico, Per l’autismo

• Dopo i 12 mesi, invece, si verifica un cambiamento qualitativo, per cui il bambino


riesce ad estrapolare la traiettoria dello sguardo della mamma per individuare
l'oggetto a cui ci si riferisce. La comprensione dell'intenzionalità del gesto precede
di poco la capacità di indicare da parte del bambino.

Quindi RICORDIAMO 4 fasi:

1- COMUNICAZIONE PRE-INTENZIONALE (sorriso, pianto, movimenti)

2- COMUNICAZIONE INTENZIONALE (gesti, posture)

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Grammatica

SVILUPPO SVILUPPO
PRELINGUISTICO LINGUISTICO Lessico Pragmatica

Fonologia

3- PRIMO LINGUAGGIO (lallazione, vocalizzi)

4- SVILUPPO MORFO-SINTATTICO (le parole)

Lo Sviluppo del Linguaggio

Imparare a parlare significa acquisire una capacità estremamente complessa in un


tempo breve: di norma, i primi tre anni di vita. In seguito il linguaggio si specializza e
si consolida fino all’inizio dell’età scolare, che vede un altro progresso importante: la
conquista della lingua scritta. I bambini imparano lingue diverse a seconda della
cultura in cui crescono: con il termine linguaggio ci si riferisce agli aspetti comuni
alle diverse lingue.

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Dunque l’acquisizione del linguaggio è una funzione acquisita gradualmente dal
bambino: si passa dal pianto comunicativo, alla lallazione, ai gesti, alle prime parole
e infine ad un linguaggio completo e complesso. Lo sviluppo del linguaggio è solo
un aspetto della capacità comunicativa, ma speciale, perché caratterizzato da due
proprietà uniche: la creatività (= la possibilità di produrre innumerevoli messaggi
combinando tra loro un numero limitato di unità-base, cioè fonemi e parole) e
l’arbitrarietà (= la relazione tra suoni e significati è arbitraria: non potendo ricavare
il significato dal suono è necessario apprendere e trasmettere i significati da una
generazione all’altra).

Distinguiamo le seguenti fasi di sviluppo del Linguaggio:

1) La lallazione: Canonica (6-7mesi) il bambino produce e ripete la sequenza


consonante-vocale come delle sillabe: ba, ba. In questa fase compaiono alcune
caratteristiche della lingua materna come la prosodia, Variata (10-12mesi): le
strutture sillabiche divengono più complesse, alternando combinazioni CVCV più
varie (es. DA-PA). La stretta somiglianza di queste combinazioni con alcune
parole (mamma, papà, pappa) induce l'adulto a sovra-interpretare la produzione
del bambino. Il bambino apprende così che esistono regolarità nella
corrispondenza di una sequenza di suoni e un oggetto/evento (inizia a legare le
parole ai loro referenti).

2) Lo sviluppo del lessico: Dai 12 mesi, il bambino entra nella fase del lessico
emergente:

• Proto-parole 10-12 mesi, (non corrispondono a parole dell’adulto, per es. «am am»
per cibo) delle combinazioni di sillabe simili alle parole che assumono un
significato specifico quando utilizzati in certi momenti, e.g. nanà per chiedere il
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biberon. Da questo momento in poi lo sviluppo fonologico interagisce con lo
sviluppo lessicale e grammaticale e ne è influenzato

• Molti gesti comunicativi (“più” allargando le braccia, indicare, ciao) e parole per
interagire (ciao, no, su) e di vita quotidiana (pappa, nonna)

• Prime parole: soprattutto sostantivi, articoli, preposizioni e pronomi sono assenti,


parole legate a specifici contesti o integrante delle azioni in corso

• Inizialmente sono molte più le parole capite di quelle prodotte

• Compare la DENOMINAZIONE, Il bambino comincia ad utilizzare sequenze di


suoni per nominare gli oggetti. Il bambino ad esempio dice “bau” solo in risposta
alla domanda “come fa il cane?”

• Nella prima fase, dai 12 ai 16 mesi, compaiono le prime parole e il bambino giunge
a produrre una media di 50 termini; la seconda fase va dai 17 ai 24 mesi, periodo in
cui si ha un rapido aumento del numero di parole conosciute e pronunciate dal
bambino, al punto che tale fase viene definita esplosione del vocabolario. In questo
periodo si registra un ritmo di espansione che va da 5 a 40 parole nuove alla
settimana.

2) Sviluppo semantico

Parallelamente alla comparsa delle prime parole, ha inizio il complesso sviluppo del
linguaggio da un punto di vista semantico, relativo all’attribuire di significato alle
parole apprese. Per quanto riguarda i criteri utilizzati dai bambini per costruire
categorie di significato delle parole che li conducano poi a operare classificazioni,
Clack sostiene che il bambino opererebbe sulla base di somiglianze percettive,
categorizzando gli oggetti ed estendendo ad essi i nomi in base, per esempio, alla loro
forma, colore, materiale.

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3) Sviluppo morfologico e sintattico

La morfologia riguarda l’acquisizione dei suffissi e prefissi necessari a coniugare i


verbi e ad articolare nomi ed aggettivi in funzione del genere e del numero. La
sintassi consiste, invece, nell’insieme delle regole che il bambino deve acquisire e
padroneggiare per la combinazione delle parole in frasi. Il bambino inizia a
sviluppare l'attenzione per gli aspetti morfosintattici a partire dal secondo anno di età
e poi li sviluppa e arricchisce via via nel corso dell'età scolare. L’apprendimento della
grammatica implica l’acquisizione di regole, la comprensione delle eccezioni alle
regole e degli errori. Ciò fa sì che durante lo sviluppo grammaticale i bambini
mostrino un andamento irregolare, per cui passano da una fase in cui, basandosi
prevalentemente sull’imitazione, riescono a coniugare in modo corretto i verbi (es.
aperto); quando imparano la regola la applicano ad ogni verbo, sovra-generalizzando
la regola e commettendo errori di coniugazione, per esempio, nei verbi irregolari (es.
aprito), fino a quando imparano l’eccezione della regola (es. aperto). Altri esempi di
errori che permangono fino a tre-quattro anni sono: “vieno”, “dicio”, e l'accordo tra
soggetto e verbo (“aggiusta io”; “rido Matteo”). Le prime forme verbali acquisite
riguardano il presente indicativo e il participio passato usato in forma aggettivale
(porta chiusa, cancello rotto, ecc.). Prima compaiono il passato prossimo e
l'imperfetto e solo dopo il futuro

4) Sviluppo pragmatico

La pragmatica riguarda l'uso del linguaggio nelle situazioni sociali. La


comunicazione, intesa come capacità di conversare con un interlocutore, presuppone
la capacità di tenere conto del punto di vista dell'altro, attenersi a regole di cortesia,
rispettare le regole della conversazione e di alternanza dei turni. Dai 3 ai 6 anni il
bambino impara molte cose circa il comportamento da tenere durante una
conversazione, sviluppando anche la consapevolezza e l’attenzione verso i sentimenti
delle altre persone.

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5) Sviluppo della narrazione

La narrazione può essere definita come la modalità di percepire, organizzare e


comunicare la realtà attraverso un processo di interpretazione e attribuzione di
significati. Si tratta di una tappa evolutiva importante nello sviluppo della
competenza comunicativa che chiama in causa la capacità di elaborare una sequenza
di frasi dotata di coerenza e di organizzazione tematica con lo scopo di creare una
storia fantastica, raccontare un evento passato o una qualsiasi storia.

RICORDIAMO: Le età indicate sono quelle riferite alle tappe di acquisizione


linguistica, sono puramente indicative. Dobbiamo sempre tener presente quanto
precisato nel corso del primo capitolo riguardo l'alta variabilità presente nello
sviluppo e le rilevanti differenze che possono esserci tra bambini riguardo lo stile di
apprendimento.

In psicologia ci si riferisce alla comunicazione tra esseri umani. Comunicare


significa intraprendere un’attività sociale organizzata secondo determinate regole, che
variano da cultura a cultura. Quando c’è vita, c’è comunicazione. Efficace o no,
volontaria o involontaria. Anche decidere di non comunicare in realtà è un atto di
comunicazione (es. il silenzio). La comunicazione ha diverse funzioni:

1.Una funzione di tipo descrittivo, simile alla raffigurazione che un bambino fornisce
della realtà che lo circonda. È la comunicazione tipicamente informativa, in cui lo
scopo primario è fornire dei dati utili.

2.Una seconda funzione è l’espressione delle emozioni, particolarmente presente


durante una discussione animata, ma non solo. Questa funzione ci permette di dar
colore alle nostre informazioni, aggiungendo valutazioni e considerazioni personali,
oltre che informare l’interlocutore sui nostri desideri, bisogni ed aspettative.

Nella COMUNICAZIONE distinguiamo quattro elementi di base:

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1) L’Emittente: è il soggetto che ha l’obiettivo di comunicare, di informare, di
influenzare, direttamente o indirettamente, le persone presenti nell’ambiente

2) Il Canale: è il mezzo o la via per il quale decidiamo di comunicare ( es.


comunichiamo via telefono, in forma diretta, via radio, tv ecc.

3) Il Ricevente: è colui che ascolta il messaggio dell’emittente, cioè chi riceve il


messaggio.

4) Il Messaggio: è il contenuto cioè ciò che viene trasmesso nel processo


comunicativo. Può essere di tipo linguistico o simbolico (testo, parole ma anche
immagini). Una singola unità di comunicazione si chiama messaggio. Una serie
di messaggi scambiati tra persone producono un’interazione.

Altri elementi

5) Il codice, anche detto linguaggio, (verbale , non verbale, paraverbale) riguarda il


modo in cui si comunica dando un significato convenzionale al messaggio.

6) Il contesto riguarda il luogo, il momento e le circostanze in cui si comunica.

7) I filtri, riguardano tutto ciò che disturba la comunicazione. Possono essere fisici
(rumore, brusio, tono di voce, silenzio) che psicologici (aspettative, bisogni,
pregiudizi, vissuti emotivi). Mentre i filtri fisici sono più facilmente gestibili,
quelli psicologici sono più complessi da evitare proprio perché sono quasi sempre
inconsapevoli.

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Un’altra differenza è tra UDIRE e ASCOLTARE sempre concetti alla base
della comunicazione.

1)Per udire: si intende la percezione di ogni rumore o suono, senza prestare


particolare attenzione alla fonte e al motivo che lo ha generato.

2) Ascoltare: significa raccogliere informazioni dagli altri o dal mondo che ci


circonda senza giudicare. Significa dimostrare la nostra attenzione a chi ci parla,
perché ascoltare può essere un modo per esprimere considerazione per qualcuno,
e spesso ne può aumentare l’autostima

Si riscontrano nell’ascolto tre tipi di livelli:

• Ascolto a tratti: Disinteressato

• Ascolto selettivo: Più attivo ma non concentrato a livello emotivo

• Ascolto Attivo: Ascoltare con l’intento di capire e non giudicare.

Ascolto “a tratti”, lasciandosi catturare da distrazioni,


dall’immaginazione e comunque fidandosi dell’intuito che
Ascolto finto precocemente cattura le cose “importanti” tralasciando
quelle meno importanti. Ascolto quindi passivo, senza
reazioni, vissuto solo come opportunità per poter parlare.

Ci si sente già soddisfatti quando ci si scopre ad


ascoltare applicando un efficace controllo del significato
logico di quello che ci viene detto. L’attenzione sarà
Ascolto logico
concentrata sul contenuto di ciò che viene espresso ed
anche l’interlocutore potrebbe avere l’errata convinzione
di essere stato capito

Ci si mette in condizione di “ascolto efficace” provando


a mettersi “nei panni dell’ altro”, cercando di entrare nel
punto di vista del nostro interlocutore e comunque
condividendo, per quello che è umanamente possibile, le
Ascolto attivo sensazioni che manifesta.
empatico

Attenzione: da questa modalità è escluso il giudizio, ma


anche il consiglio e la tensione del “dover darsi da fare”
per risolvere il problema.

Quanto si è disposti a credere che quest’ultima modalità possa


allargare
Distinguiamo le conoscenze,
3 canali facilitare i rapporti, evitare errori, risparmiare
della Comunicazione:
tempo, aumentare la fiducia nella relazione? Può valer la pena di fare
1) dei tentativi?
Verbale = ciò che dico, le parole, i contenuti; indica ciò che si dice (o che si
Lo sforzo
scrive, necessario
nel caso di unasaràcomunicazione
di spostare il l’interesse
scritta):dalla“perché”
scelta l’altro
delle parole, la
costruzione logica delle frasi e l'uso di alcuni termini piuttosto che edi altri.
dice, interpreta o vive una situazione al “come” la dice: avendo,
quindi mostrando, interesse e comprensione (“sei importante, ho
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stima di te e riconosco, rispetto e condivido il tuo sentimento”).
Potrebbe succedere che chi parla, sentendosi ascoltato, tenterà di
migliorare la comunicazione sia nella quantità che nella qualità a tutto
2) Paraverbale = come lo dico, cioè il modo in cui qualcosa viene detto. Ci si
riferisce al tono, alla velocità, al timbro, al volume, ecc. della voce. Nella
scrittura possiamo pensare all'uso della punteggiatura, capace di dare un certo
ritmo a quello che si legge.

3) Non verbale = comportamento, postura, silenzio, respiro, gesti.

LA COMUNICAZIONE
1) Le componenti della Comunicazione Verbale sono:

• Volume: è l’intensità con cui è emesso il suono della voce (basso, alto, ecc.)

• Tono: è la parte emozionale del parlato, quella che rivela gli stati emotivi di chi
parla, attraverso le inflessioni della voce.

• Dizione: è il modo di leggere o parlare conforme alla giusta accentazione ed


all’apertura o chiusura delle vocali, proprio di una certa lingua (edile/edìle, ecc.)

Il linguaggio verbale, articolato nelle diverse lingue diffuse nel mondo, è il più
completo inventato dagli esseri umani; i segni, cioè le parole che lo costituiscono,
scritte o prodotte con la voce e disposte secondo una successione logica, consentono
di articolare il pensiero, di stabilire delle relazioni sociali, di esporre concetti
complessi, di esprimere sentimenti e stati d’animo. Infatti il linguaggio verbale è:

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Qual’è l’età entro cui la mancata acquisizione di competenze linguistiche
potrebbe essere considerata problematica?

Orsolini (2000) osserva che se un bambino a 2 anni non cammina possiamo pensare
con relativa certezza che è presente qualche patologia; se a 2 anni un bambino ancora
non parla, benché sia sensato preoccuparsi, non è detto che vi sia un problema
specifico. In questo caso è utile distinguere l'aspetto della produzione linguistica da
quello della comprensione. A due anni anche se il bambino non parla, si può
verificare attraverso semplici indicazioni verbali (“vai in cameretta e prendi la palla”)
la comprensione linguistica. Se esegue le indicazioni, dimostrando di avere compreso
l'interlocutore nella stragrande maggioranza dei casi gradualmente il bambino inizierà
anche a parlare.

Viene usata l’espressione bambini che parlano tardi, per indicare quei bambini che
presentano un ritardo nell’acquisizione del linguaggio, ma per i quali non è ancora
possibile dire se si tratti di un disturbo specifico. Si tratta di bambini che hanno un
normale sviluppo intellettivo, sociale ed affettivo e che pur non evidenziando alcun
danno neurologico, presentano un forte ritardo fonologico a cui segue un ritardo nella
produzione lessicale.

Vengono, in particolare, considerati bambini che parlano tardi coloro che tra i 18 e
i 23 mesi producono meno di 50 parole o che a 24/34 mesi non sono in grado di
produrre nessuna combinazione di due parole. In particolare, i bambini che dopo i 30
mesi non producono alcuna combinazione di 2 parole hanno scarse probabilità di
recuperare il ritardo sintattico a 3 anni (Orsolini, 2000). Per molti bambini il ritardo
nell’apprendimento del linguaggio si risolve entro i 5 anni, ma per alcuni si prolunga.
Si parla di disturbo specifico del linguaggio, quando il linguaggio del bambino non
funziona secondo il livello appropriato all’età, pur non presentando alcun deficit da
un punto di vista cognitivo, motorio e in assenza deficit uditivi, impedimenti fisici
all’articolazione e disturbi di origine emotiva.

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Il disturbo del linguaggio viene, inoltre, distinto in fonologico (quando riguarda l’area
espressiva) o recettivo (se è compromessa la comprensione ma non la produzione
linguistica).

Il bambino e la scuola: la competenza sociale nel gruppo dei pari

La scuola diventa il luogo privilegiato per una più ampia socializzazione in cui il
bambino scopre la presenza di adulti che rappresentano una "autorità" diversa e
relativamente indipendente da quella dei genitori. L'istituzione scolastica, in quanto
tale, con la definizione di tempi e di spazi precisi in cui si avanzano richieste
specifiche relativamente a diritti e doveri (a cui anche i genitori si devono adeguare),
permette al bambino di intuire la presenza di un’autorità astratta che si pone oltre i
singoli e che presiede alla convivenza comune. Entra così in rapporto con un sistema
normativo di cui deve tener conto per regolare il proprio comportamento.

In questo contesto il bambino scopre gli altri bambini non più o non solamente come
compagni di gioco, ma come modelli con i quali confrontare le proprie prestazioni e
le proprie capacità di stare insieme e condividere i molti momenti della giornata.

Le motivazioni, gli interessi e i bisogni del singolo entrano in contatto con quelli di
altri individui imponendo delle regolamentazioni che possono sfociare in
comportamenti cooperativi o competitivi o conflittuali.

A parità d’età e di competenze non tutti i bambini presentano, infatti, la medesima


capacità d’interazione con i compagni. Alcuni sono meno disponibili nei confronti
degli altri e attivano frequentemente episodi di competizione e di conflittualità, il cui
esito può talvolta portare ad una rottura dell’interazione tra i partner. In genere, questi
bambini, all’interno del gruppo, tendono ad isolarsi o ad essere rifiutati e non
accettati nelle varie attività comuni. Spesso alla base di manifestazioni di questo tipo
si colloca una storia personale in cui i rapporti con le figure di riferimento
significative sono risultati poco gratificanti e poco rassicuranti. Un bambino che non
ha fatto propria l’esperienza di una relazione fondata sulla fiducia e sulla bontà delle
interazioni tenderà a rappresentarsi l’altro come una minaccia per la propria persona e
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a considerarlo come possibile fonte di pericolo da cui guardarsi. La conflittualità e
l’aggressività che vengono manifestate nei rapporti con i pari, in alcuni casi limite,
possono costituirsi come modalità di difesa che celano il bisogno di affermarsi e
rassicurarsi sulla propria capacità di agire sulla realtà. La sicurezza costituisce un
fattore interno in grado di condizionare in senso positivo l’interazione e
l'apprendimento.

Come insegnanti, operatori, educatori, psicologi non dobbiamo però dimenticare che
l'apprendimento a vivere in gruppo passa anche attraverso l'esperienza del conflitto,
della difficoltà di trovare il giusto accordo tra le proprie azioni e quelle degli altri e in
tal senso comportamenti oppositivi o aggressivi tra coetanei non segnano
necessariamente una rottura delle relazioni sociali, ma costituiscono nella maggior
parte dei casi un'occasione di apprendimento alla regolazione e al controllo dei propri
e altrui comportamenti.

“Mio figlio non parla bene. Che cosa può avere?”. La risposta a questa domanda non
è sempre semplice. Un problema di linguaggio può avere diverse cause più o
meno gravi: una sindrome, un ritardo mentale, un problema anatomico alla lingua o
alla bocca, una sordità non diagnosticata, un disturbo dello spettro autistico, e molto
altro.Tuttavia, capita molto spesso che il bambino non abbia nulla se non questa
difficoltà nel parlare (parla poco o nulla, usa poche parole, “confonde” le lettere). In
questo caso parliamo di disturbo specifico del linguaggio. Si tratta, cioè, di bambini
che pur non avendo problemi neurologici, sensoriali o relazionali hanno difficoltà a
comprendere e/o produrre parole o frasi rispetto ai loro coetanei.

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I disturbi della comunicazione sono:

- Disturbo specifico di linguaggio (DSL): indica una limitazione della competenza


linguistica in assenza di fattori che in genere accompagnano e giustificano la
riduzione e l’alterazione delle difficoltà linguistiche. “ Indica una condizione in cui
l'acquisizione delle normali abilità linguistiche è disturbata sin dai primi stadi dello
sviluppo. Il disturbo linguistico non è direttamente attribuibile ad alterazioni
neurologiche o ad anomalie di meccanismi fisiologici dell'eloquio, a
compromissioni del sensorio, a ritardo mentale o a fattori ambientali. È spesso
seguito da problemi associati quali le difficoltà nella lettura e nella scrittura,
anomalie nelle relazioni interpersonali e disturbi emotivi e comportamentali. Tale
disturbi è caratterizzato da uno sviluppo inferiore del linguaggio rispetto alla
norma e precisamente da difficoltà ad imparare parole nuove, nell’uso di
determinati vocaboli, nelle congiunzioni dei verbi, nella produzione di frasi
complesse, linguaggio limitato sul piano quantitativo, errori nell'utilizzare
determinate parole, frasi molto corte e poco variegate, utilizzo limitato o
grossolano di strutture grammaticali semplici, omissioni di parti importanti della
frase, uso di parole in ordine insolito Anche in questo caso, il disturbo, che appare
più frequente nei maschi in età prescolare, può favorire degli effetti negativi sulle
situazioni sociali, sulle prestazioni scolastiche e, dunque, sull’autostima e
l’autoefficacia del bambino/ragazzo, fino alla depressione nei casi più gravi. Il
disturbo dell’espressione del linguaggio può essere acquisito, per cui la
compromissione è legata a fattori neurologici seguenti un periodo di sviluppo
normale, oppure il bambino può iniziare a parlare in ritardo e sviluppa competenze
linguistiche in maniera lenta rispetto alla media. Tra le cause principali alcuni
fattori genetici predisponenti, la presenza di lievi danni celebrali o ritardi di
maturazione. Distinguiamo: 1) il Disturbo dell’espressione linguistica interessa
la produzione del linguaggio, si evidenzia dai 18 mesi dove il bambino continua a
comunicazione con strumenti verbali quindi gesti, mimica, sguardo, il repertorio
verbale è molto limitato o assente, spesso impreciso o confuso. In fasi successive il
ragazzo presenta un linguaggio immaturo all’età cronologica, una semantica

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ridotta, ed espressioni prettamente descrittive. 2) il Disturbo misto
dell’espressione e della ricezione del linguaggio la compromissione riguarda la
discriminazione la codifica linguistica dei suoni, qui l’acquisizione del linguaggio
è molto lenta e la comprensione è compromessa, si evidenzia dai 18 mesi in sù.

- La Balbuzie è un disturbo dell’età evolutiva e più precisamente della


comunicazione, della parola. Presenta vari gradi possibili di gravità e si manifesta
attraverso interruzioni, ripetizioni, prolungamenti dei suoni, delle sillabe, delle
parole, pause e blocchi all’interno di un discorso. presenta le seguenti
caratteristiche: ripetizione di suoni e sillabe, prolungamento di suoni, interiezioni
esempio: ah!, eh!, oh!, ahi! Cioè esclamazioni continue, interruzione di parole,
blocchi udibili o silenti, circonlocuzioni (sostituzione di parole per evitare parole
problematiche), parole emesse con eccessiva tensione fisica. Può nascere a seguito
di: situazioni traumatiche o di cambiamento come la nascita di un fratello, il
passaggio da un ciclo scolastico all’altro, separazioni, lutti, malattie ecc. La
ripetizione di parole, di sillabe, di frasi intere, esitazioni, prolungamenti e la
frequente riformulazione della frase, sono fenomeni frequenti nelle prime fasi del
linguaggio, sono segni discontinui presenti anche in bambini non balbuzienti, ma è
importante tenere sotto controllo. Esistono inoltre delle conseguenze indirette del
disturbo legate all’imbarazzo, all’ansia, alla paura di venire giudicati e derisi,
problemi scolastici legati alla paura di balbettare davanti a tutti, fino all’ansia
sociale. Le cause sono generalmente diverse: genetiche, ambientali, psicologiche.
In genere il disturbo insorge intorno ai 30 mesi di età: ovviamente più la diagnosi è
precoce, maggiori sono le probabilità di una remissione o un miglioramento.

- Il Disturbo di fonazione consiste nell’incapacità di utilizzare i suoni del


linguaggio rispetto all’età, è molto più frequente nei maschi che non nelle femmine
e generalmente non è accompagnato da anomalie fisiche. Si manifestano errori,
omissioni, sostituzioni di suoni che risultano dunque inadeguati: anche in questo
caso esistono gradi di gravità, da lieve a grave, in base all’impatto sul linguaggio.
Le cause possono essere più di una, genetiche, perinatali, uditive, etc. Le

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conseguenze immediate del disturbo di fonazione sono il cattivo andamento
scolastico e la scarsa interazione sociale, fino anche al disturbo da deficit di
attenzione e iperattività, disturbo d’ansia di separazione e disturbo depressivo.

- Il Mutismo Selettivo, si manifesta attraverso incapacità di parlare in determinati


luoghi o determinate situazioni sociali, linguaggio corretto solo in luoghi e
situazioni in cui si sente a proprio agio. Perché venga diagnosticato i sintomi
devono durare da almeno 1 mese; essi non dipendono da un ritardo mentale o
handicap. Compare tra 1 e 3 anni d’età ed è riconosciuto chiaramente solo quando
il bambino inizia la scuola materna o elementare: in questa fase il problema
diventa maggiormente evidente, poiché egli si trova in contesti nuovi e diversi. Il
comportamento riservato, il rifiuto di parlare e la timidezza sono i primi segni che
mostrerà un bambino affetto da mutismo selettivo: è importante notarli per evitare
che si cronicizzino. Quando accade, il bambino parla solo con i suoi familiari e i
suoi coetanei ma non con gli estranei e non a scuola, utilizzando spesso dei segni.
Si tratta generalmente di bambini timidi, inibiti, ansiosi che vorrebbero parlare in
tutte le situazioni ma non lo fanno per paura della reazione degli altri o di bloccarsi
improvvisamente.

Disturbo della comunicazione sociale (pragmatica): persistenti difficoltà nell'uso


sociale della comunicazione verbale e non verbale che si manifestano attraverso:

- Deficit nell'uso della comunicazione per scopi sociali;

- Compromissione della capacità di modificare la comunicazione per renderla


adeguata al contesto o alle esigenze di chi ascolta;

- Difficoltà nel seguire le regole della conversazione, come il rispetto dei turni o il
saper utilizzare i segnali verbali e non verbali per regolare l’interazione;

- Difficoltà nel capire quello che non viene esplicitato chiaramente (fare inferenze) e
i significati ambigui.

Tutte le alterazioni causano limitazioni funzionali nell'ambito della comunicazione,


della partecipazione sociale e dei risultati scolastici o professionali. L'esordio avviene
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nel periodo precoce dello sviluppo e le difficoltà non sono attribuibili a una
compromissione dell'udito o ad altri deficit sensoriali, a disfunzioni motorie o altre
condizioni mediche o neurologiche. Ricordiamo che la pragmatica studia come e per
quali scopi la lingua venga utilizzata e in che misura soddisfi esigenze e finalità
comunicative.

Ecolalia: è un disturbo del linguaggio che consiste nel ripetere involontariamente,


come un’ eco, parole o frasi pronunciate da altre persone. Il disturbo è presente fino al
75% nelle diagnosi di autismo, ma è anche presente nella Sindrome di Tourette, nella
schizofrenia e occasionalmente, in altre forme di psicopatologia. Quando il fenomeno
si presenta involontariamente è considerato un tic vocale. L'ecolalia è comune nei
bambini che stanno imparando a parlare (apprendimento per imitazione ), ma questa
manifestazione può essere enfatizzata in presenza di cecità ed altri disturbi dello
sviluppo. L'ecolalia può essere riscontrata anche in caso di demenza, catatonia,
epilessia, trauma cranico chiuso ed infarto cerebrale (ictus). Altri disturbi associati
all'ecolalia sono malattie neurodegenerative, come la malattia di Pick, la
degenerazione cortico-basale e la paralisi sopranucleare progressiva e l’afasia.

L’afasia è un disturbo del linguaggio causato da un danno al cervello (solitamente


la metà di sinistra). Il danno può essere dovuto a: ictus, trauma cranico e tumore.
L’AFASIA è un deficit delle capacità di comprendere, elaborare e produrre
messaggi linguistici in persone che avevano in precedenza già acquisito un uso
normale del linguaggio. Ma è un disturbo generico della comunicazione? Usualmente
l’afasico comunica meglio di come parla, è in grado di mantenere l’interscambiabilità
di ruoli , é in grado di esprimersi attraverso strumenti comunicativi non linguistici,
quali il disegno o il gesto , mantiene la capacità di formulare uno scopo comunicativo
e di interpretare le informazioni contestuali e di intuire le motivazioni e le aspettative
dell’interlocutore. Nel caso dell’ictus e del trauma cranico il problema di linguaggio
si presenta subito. Il tipo e la severità del problema, però, dipendono dalla zona
colpita. Possono essere colpite, infatti, alcune o tutte le seguenti aree: Comprensione
del linguaggio (capacità di capire quello che viene detto), Produzione del linguaggio
(difficoltà a dire le parole o a strutturare le frasi), Ripetizione delle parole, Lettura e
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Scrittura. La conseguenza è che esistono diverse manifestazioni dell’afasia. Alcune
persone riescono a dire solo alcune parole; altre parlano molto, ma spesso
commettono degli errori o inventano addirittura delle parole, altri ancora parlano in
modo tutto sommato fluente ma si bloccano per cercare le parole, come se le avessero
sulla punta della lingua ma non riuscissero a trovarle.

- La Sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) alla base c’è da


inattenzione, impulsività e iperattività motoria. Non si conosce ancora una causa
specifica di questo disturbo, ma sono stati individuati dei fattori predisponenti
quali condizioni sociali e fisiche del soggetto, eredità genetica, esposizione a
fattori ambientali negativi, problemi neurologici. Colpisce prevalentemente i
bambini ed è stato stimato che il 50% di questi soggetti mantiene i disturbi fino
all’età adulta. Per diagnosticare il disturbo è necessario che i sintomi siano presenti
per almeno sei mesi consecutivi in situazioni diverse. I bambini sono distratti,
dimenticano le cose, hanno difficoltà di concentrazione, si annoiano facilmente,
hanno difficoltà a svolgere i compiti, non ascoltano, hanno difficoltà di
elaborazione delle informazioni. Possono parlare senza sosta, hanno difficoltà a
stare seduti, sono costantemente in movimento, toccano e giocano con qualsiasi
cosa, si contorcono da seduti. Spesso i bambini sono impazienti, fanno commenti e
hanno comportamenti inappropiati. I bambini che soffrono di questo disturbo
hanno problemi relazionali con i genitori, con gli insegnanti e con i coetanei dai
quali sono spesso rifiutati. Inoltre questi bambini presentano un comportamento
aggressivo e difficoltà a rispettare le regole.

- Il RITARDO MENTALE (RM): vi è una prevalenza nell’1% della popolazione,


ma è più comune dei maschi. Ad oggi non parliamo più di RITARDO MENTALE
ma vengono definite DISABILITÀ INTELLETTIVE. Per essere diagnosticato il
QI deve essere uguale o inferiore a 70, vi deve essere un carente funzionamento
adattivo e l’esordio si deve presentare prima dei 18 anni. Distinguiamo:

1) RITARDO MENTALE GRADO LIEVE: vi è un incidenza del 85%, il Q.I. è


tra 50/55 - 70, presentano un età mentale tra 8 e 11 anni. Supporto per imparare a
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leggere e scrivere e fare operazioni aritmetiche, immaturità nei rapporti sociali e
supporto per adulto nelle spese e nella gestione della casa.

2) RITARDO MENTALE GRADO MEDIO: vi è un incidenza del 10%, il Q.I. è


tra 35/40 – 50/55, presentano un età mentale tra i 5-7 anni. Ritardo marcato nello
sviluppo concettuale e linguistico fin dai primi sei anni di vita, difficoltà nella
comunicazione a causa di un linguaggio povero e supporto per la cura dei bisogni
personali (mangiare, bere, igiene personale

3) RITARDO MENTALE GRADO GRAVE: vi è un incidenza del 3-4%, il Q.I. è


tra 20/25 – 35/40, presentano un età mentale tra i 4 -6 anni. Può non essere in
grado di imparare a leggere a livello delle prime classe della scuola primaria,
difficoltà nella comunicazione a causa di un linguaggio molto povero e supporto
per tutte le attività di vota quotidiana

4) RITARDO MENTALE GRADO PROFONDO O GRAVISSIMO: vi è un


incidenza del 1-2%, il Q.I. è al di sotto del 20/25 e presentano un età
mentale meno di 4 anni. Le capacità si limitano alla fase pre-simbolica, le
difficoltà nella comunicazione possono essere così significative da richiedere
l’utilizzo della comunicazione alternativa e necessita di un massiccio supporto
per tutte le attività di vita quotidiana.

DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO (DSA)

I disturbi dell’apprendimento sono vari e differenti tra di loro. Esistono però tratti
comuni e ricorrenti tra gli studenti che hanno un DSA ed altrettanto comuni sono
alcuni segnali, che possiamo meglio definire come veri e propri “campanelli
d’allarme”. Analizziamo dunque alcuni elementi che sia un genitore, sia un
insegnante, possono osservare a partire dalla prima elementare. Sebbene fino al
termine della seconda elementare non si possa diagnosticare un DSA, si può
comunque procedere ad una prima valutazione (valutazione di primo livello) nelle
sedi opportune.
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Lettura e scrittura: il bambino, dalla fine della prima elementare in poi, mostra di
non riuscire a leggere in maniera fluente, di fare fatica a mettere insieme le sillabe
delle parole; può anche leggere abbastanza bene ma molto lentamente, oppure non
comprende ciò che legge. Il suo rapporto con la lettura non si è consolidato, non è
“naturale”, ma sempre forzato e difficoltoso .

Per quanto riguarda la scrittura, il bambino non raggiunge un livello di


naturalezza nello scrivere in stampatello, in corsivo (se già insegnato) o con entrambi
i caratteri. Può accadere che il bambino scriva lentamente, oppure non riesca a
scrivere in corsivo, nemmeno lentamente, oppure che scriva ma non riesca ad
ottenere un buon risultato estetico o addirittura che la scrittura in corsivo sia poco
leggibile. Ancora, può accadere che il bambino scriva in modo chiaro e leggibile ma
con molta fatica, segnalando dolore alle mani ed ai polsi e procedendo molto
lentamente. Anche in questo caso, il bambino vi sembra che non abbia raggiunto un
livello di naturalezza nello scrivere.

Calcolo e geometria: Il bambino, dalla fine della prima elementare, non “vede”
senza contare le quantità fino a 5 (le dita o gli insiemi di figure) ed entro il 10; non
impara, entro la classe terza elementare, i numeri “amici del 10”; non automatizza le
tabelline entro la quarta elementare (ciò significa, in alcuni casi, non ricordarle affatto
ed in altri ricordarle ma con lentezza) e fatica a leggere e scrivere i numeri oltre il
centinaio. Il bambino, entro la quinta elementare, esegue con fatica le divisioni e le
moltiplicazioni , non riesce ad eseguire il calcolo mentale oppure lo esegue molto
lentamente. Riguardo la geometria, il bambino fatica a ricordare i tipi di angolo, i
tipi di triangolo, le caratteristiche delle figure e le formule delle aree e dei perimetri.
Le difficoltà descritte possono presentarsi in maniera isolata o associate le une alle
altre e possono essere spie di una discalculia ma anche di dislessia , oltre che di

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disturbo visuo-spaziale presentano una caduta (discrepanza, disabilità, difficoltà)
nelle abilità legate agli apprendimenti:

DISTINGUIAMO:

1. lettura = DISLESSIA,

2. scrittura = DISORTOGRAFIA e DISGRAFIA,

3. numero e calcolo = DISCALCULIA

METODI PER AIUTARE I DSA:

Quello che qui proponiamo è un metodo con cui far apprendere il contenuto di un
testo ad un bambino dislessico in modo alternativo ma altrettanto efficace seguendo i
5 passi qui indicati.

1- Leggere il contenuto del testo al bambino per una o due volte Obiettivo:
comprensione del contenuto del testo. Strumento: lettura dell’adulto o uso sintesi
vocale. In questa prima fase, ciò che è necessario, è la comprensione dei contenuti.
La lettura d’altronde è solo uno dei tanti canali che noi abbiamo a disposizione per
acquisire un tipo di contenuto. Possiamo anche comprendere un testo ascoltandolo,
vendendo delle immagini, attraverso un video o con spiegazioni guidate. In questa
fase sarà necessario sostituirsi al bambino dislessico nella lettura del testo affinché lui
possa impiegare tutte le sue energie nell’ascolto, e dunque nella comprensione.

2- Chiedere un breve riassunto orale di ciò che si è ascoltato Obiettivi: a)


assicurarsi che abbia un’idea anche generale di ciò che ha ascoltato; b) richiamare le
conoscenze che il bambino già possiede in merito a questo argomento. c) segnare nel
testo o su un foglio le parole/frasi con cui il bambino ha riassunto il testo. Potremmo
usare domande come “Proviamo a riassumere in breve: Di cosa parla questo testo?
Che cosa hai capito di ciò che ho letto?”, alle quali potremmo anche aggiungere la
consegna: “Ricorda, dell’argomento letto mi basta anche piccole brevi frasi”. Nei
bambini più piccoli o con maggiori difficoltà bastano anche poche parole. Infatti, è
sufficiente che in un primo momento le risposte siano di 2-3 frasi in riferimento al
testo appena letto. Appare essere molto utile domandare al bambino se possiede
conoscenze pregresse relative all’argomento trattato, chiedendo ad esempio: “quello
che abbiamo appena letto, ti ricorda qualcosa che già conosci?”. La tecnica di
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ancorare qualcosa di nuovo con una conoscenza già acquisita risulta molto utile sia
alla comprensione che alla memorizzazione. E’ molto importante segnare sul testo o
su un foglio le parole o le frasi che il soggetto ha utilizzato per fare il suo riassunto.
Infatti sono proprio le parole che di fatto il bambino ha utilizzato per comprendere
quel brano che saranno da noi utilizzate per costruire in modo personalizzato la
mappa concettuale.

3- Realizzare una mappa concettuale insieme al bambino Obiettivo:


rappresentazione schematica delle conoscenze studiate Strumento: mappa concettuale
(su carta o su computer) con immagini e/o specifiche parole-chiave. Nella dislessia
appare necessario trasformare graficamente, tramite mappa concettuale, il
riassunto del testo da studiare. Per fare ciò useremo proprio le parole/frasi con cui
il bambino ha riassunto il brano ascoltato. Queste potranno essere inserite come
parole o come immagini. Ricordiamo infatti, che lo studio tramite l’uso delle
immagini è il canale preferenziale dei soggetti con dislessia. Chi realizza la mappa
concettuale? Dipende dall’età e dall’autonomia. È normale che bambini di scuola
primaria necessitino di un evidente guida giornaliera nella realizzazione degli schemi.
Appare evidente che più pratica di faccia nel corso degli anni con la realizzazione
delle mappe e più probabile potrà essere uno studio autonomo dello studente.

4- Leggere ancora una volta il testo mentre il bambino segue la lettura sulla
mappa concettuale Obiettivo: prendere confidenza con la mappa concettuale ed
ampliare le conoscenze rispetto al tema trattato. Strumento: lettura dell’adulto o uso
sintesi vocale. Mentre il genitore legge, il bambino ha la possibilità di seguire il
discorso sulla mappa concettuale da lui realizzata. Questa attività permette al
bambino non solo di ampliare ancora di più l’argomento da studiare ma anche di
prendere ancor più dimestichezza con la mappa concettuale. E’ molto importante che
il soggetto possa avere anche in questa fase la possibilità di modificare in corso
d’opera il proprio lavoro.

5- Ripetizione da parte del bambino del testo studiato tramite mappa


concettuale Obiettivo: esposizione di quanto studiato. Strumento: mappa concettuale
in versione finale L’ultima fase è quella relativa all’esposizione. La mappa
concettuale, stampata in cartaceo oppure disponibile in digitale su computer portatile
o tablet, viene portata a scuola ed utilizzata durante le interrogazioni. Come tutti gli
strumenti compensativi, la mappa concettuale durante l’interrogazione non è un aiuto,
ma questa rappresenta semplicemente uno strumento che mette alla pari gli studenti

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con dislessia con i propri compagni di classe. D’altronde, anche se si ha di fronte una
mappa concettuale, quanto un determinato argomento non lo si conosce, non è di
certo uno schema con parole e disegni a fare la differenza. Ma se un bambino con
dislessia ha l’opportunità (oltre che essere un suo diritto) di essere interrogato
tramite mappa concettuale, allora ha la possibilità di esporre al meglio tutto il
suo potenziale. Un esempio di liste di sillabe:

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Potenziare l’ortografia:
Nelle prime fasi dello sviluppo ortografico è essenziale saper far corrispondere il
suono ascoltato alla letterina scritta. Dunque, non corriamo nel dettato, diamogli tutto
il tempo di cui il bambino necessita, anche a costo di dettare fonema per fonema.
Essenziali diventano gli esercizi in cui ascolta con calma e poi scrive ciò che ha
sentito. Cerchiamo di lavorare molto sulla qualità dell'esercizio.

ESERCIZIO DI ORTOGRAFIA SULLE 5 VOCALI


Inserite la giusta vocale sui puntini tra le 5 : a, e, i, o, u per completare la parola e
renderla di senso compiuto.

giraff.
p.rta
c.ntante
c.gno
r.gno
canocch.ale
ran.cchio
.ova

Tra le 2 scelte per rigo, indicate quella corretta. Per capire se avete fatto
bene, fate correggere gli esercizi dalla vostra maestra o dai vostri
genitori.

cara - carra
gatto - gatto
mangiare - manggiare
scivollo - scivolo
mare - marre
bicicleta - bicicletta
arcobaleno - arccobaleno
panino - paninno
ciambela - ciambella
maglione - magglione

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Potenziare il calcolo numerico
Nel calcolo è necessario aiutare aiutare a sviluppare nel bambino i seguenti concetti:

- il sistema del numero: attività per lavorare con gli alunni in modo chiaro ed
efficace sui processi di base (quantificazione, conteggio, lettura e scrittura del
numero, etc.);
- il calcolo a mente: le strategie per facilitare il calcolo a mente delle quattro
operazioni; Il calcolo a mente è l’abilità per eccellenza poiché non servono penne,
fogli o strumenti vari, ma solo una mente flessibile e strategica.
- il calcolo scritto: come presentare in modo nuovo le procedure per il calcolo
scritto di operazioni, frazioni ed espressioni. Tra l’altro i calcoli scritti richiedono a
loro volta il calcolo a mente, oltre alla conoscenza e all’applicazione di procedure
che si avvalgono dell’uso di un supporto visivo.

COMUNICAZIONE

Il linguaggio è la capacità di distinguere maggiormente l’uomo da tutti gli


esseri viventi e in questo senso è stato ampiamente studiato da diverse
discipline come sistema di comunicazione tra individui.
La capacità di utilizzare il linguaggio prevede due funzioni fondamentali:
Comunicazione relazione cioè tra due o più persone e comunicazione
interpersonale, ovvero la capacità di entrare in contatto con i propri
pensieri.
Il settore che si è occupato direttamente del linguaggio è la
Psicolinguistica di Chomsky, che si propose di studiare le regole che
governano il linguaggio.
Secondo tale approccio gli individui hanno una predisposizione innata
all’acquisizione di una lingua che permette loro di apprendere le regole
grammaticali e applicarle.
Chomsky inoltre ipotizzava l’esistenza di regole strutturali universali ed
innate che maturano secondo un ordine predeterminato e che il bambino
progressivamente scopre ed elabora per comprendere ed usare il
linguaggio correttamente.
Tappe di sviluppo del linguaggio
L’acquisizione: il bambino possiede sin dalla nascita una sensibilità innata
per le frequenze della voce della mamma ed è in grado di produrre suoni.
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La Prossemica

La prossemica è quella branca della psicologia che studia i comportamenti


spaziali, ovvero il modo in cui ci collochiamo nello spazio e regoliamo le
nostre distanze rispetto agli altri e all'ambiente.
Il concetto di distanza si suddivide in quattro sotto categorie:
La distanza intima.
La distanza personale.
La distanza sociale.
La distanza pubblica.
La zona intima indica, generalmente, quello spazio deputato ai rapporti
propriamente intimi, e va da 0 a 40 cm. Stare cosi vicini all’altro produce
comportamenti piuttosto stereotipati: il volume della voce si abbassa, si
discute di argomenti spesso delicati e personali, si gesticola molto poco, ci
si guarda fissi negli occhi.
La zona personale varia da 40 cm fino a sfiorare il metro e mezzo: in
questo spazio, in genere, avvengono gli scambi comunicativi con i propri
amici (mediamente intorno ai settanta centimetri); questa distanza ci
permette di gesticolare maggiormente e di lanciare sguardi carichi di
significati al nostro interlocutore.
La distanza sociale è quella che va da 1.20 cm fino a 2 metri; è la distanza
che normalmente teniamo quando abbiamo a che fare con persone che non
appartengono alla nostra cerchia di amici, che non conosciamo, con cui
non abbiamo ancora stabilito un rapporto; si tratta, in genere, di relazioni
molto formali, o professionali.
La distanza pubblica, infine, supera i 2 metri: si tratta di una distanza
eccessiva dall’interlocutore, che in genere sta a dimostrare proprio la
mancanza di relazione con l’altro.

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