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DIRITTO PENALE E DIRITTO PROCESSUALE PENALE

1. L’ELEMENTO OGGETTIVO E SOGGETTIVO DEL REATO: Affinché


un comportamento possa essere ritenuto illecito e integrare fattispecie di reato
occorre che sia contrario alle norme dell’Ordinamento Giuridico. Ma non basta. Per
aversi reato occorre il verificarsi delle seguenti circostanze: comportamento
volontario del soggetto attivo (autore del reato), sussistenza dell’elemento
psicologico (dolo o colpa), nesso di causalità (lega il comportamento attivo del
soggetto che agisce al verificarsi dell’evento lesivo) e insussistenza di determinate
condizioni che potrebbero determinare la modifica del comportamento da
illecito a lecito (le cd. cause scriminanti in presenza delle quali viene meno il
contrasto tra un fatto conforme ad una fattispecie incriminatrice e l’intero
ordinamento giuridico). Analizzando ,dunque, la struttura del reato è possibile
individuare una serie di elementi essenziali, senza i quali il reato non si realizza, ed
una serie di elementi accidentali (circostanze), la cui presenza non è necessaria ai fini
dell’esistenza del reato. Gli elementi essenziali si dividono elemento oggettivo ed
elemento soggettivo. L’elemento oggettivo e composto: a) dalla condotta, che
consiste ne comportamento del reo; b) dall’evento, che è il risultato della condotta; c)
dal nesso di causalità, che rappresenta il legame che unisce la condotta all’evento.
(condizione essenziale perché si abbia una fattispecie criminale è l’assenza di cause di
giustificazione) . Appartengono all’elemento soggettivo del reato il dolo e la colpa e la
preterintenzione. a) il dolo è la forma tipica della volontà colpevole e si ha quando
l’evento dannoso o pericoloso, prodotto dall’azione o dall’omissione, è dall’agente
voluto e preveduto come conseguenza della propia condotta; b) la colpa, che una
forma meno grave della volontà colpevole, si ha quando l’evento, anche se preveduto
dall’agente, non è da esso voluto o avviene a causa di negligenza, imperizia e
inosservanza delle leggi; c) la preterintenzione, si ha quando l’agente con la sua
azione od omissione, commette un evento più grave di quello voluto. Nel delitto
preterintenzionale vi è la volontà di un evento minore e non quello effettivamente
realizzato. Nel nostro codice le uniche ipotesi previste per il delitto preterintenzionale
sono l’omicidio e l’aborto.

2. IL CONCORSO DI PERSONE NEL REATO Il reato, come fatto umano,


può essere commesso tanto da un solo soggetto, quanto da una pluralità di soggetti. In
questa seconda ipotesi si realizza quella ipotesi che il legislatore ha definito come
“concorso di persone nel reato”, secondo cui ciascuno dei connocorrenti soggiace alla
pena prevista per il reato commesso. Per chiarezza va subito detto che la figura del
concorso di persone nel reato si differenzia da quella dell’associazione per
delinquere, in quanto il concorso di persone nel reato prevede che gli accordi tra i
concorrenti siano occasionali e diretti alla commissione di uno o più reati; mentre nei
reati associativi il presupposto è un accordo stabile diretto all’attuazione di un
programma delittuoso. Il concorso di persone nel reato può essere psichico (morale)
o fisico (materiale). Si ha concorso psichico quando una persona suscita in un altro
soggetto l’idea, che prima non aveva, di commettere un reato, ovvero rafforza l’idea
di commettere un reato; si ha invece concorso materiale o fisico allorchè ognuno con
una propria azione od omissione partecipa materialmente alla realizzazione del reato
mettendosi d’accordo con gli altri concorrenti per raggiungere l’obiettivo comune
ovvero la realizzazione del reato. L’accordo criminoso non è necessario che
intervenga prima del delitto, potendo sorgere persino nella fase di esecuzione del
reato. Il concorso può essere di due tipi: concorso necessario, quando la pluralità
dei soggetti costituisce un elemento essenziale dello stesso reato, come accade ad
esempio nel duello e nella rissa; concorso eventuale, invece, quando il concorso di
più soggetti non è indispensabile, ma è una semplice eventualità.

3. LA CUSTODIA CAUTELARE IN CARCERE E I SUOI PRESUPPOSTI


le misure cautelari si dividono in misure cautelari reali e misure cautelari personali.
Sono reali quelle che incidono su una cosa , mobile o immobile, la quale è sottoposta
a sequestro preventivo o conservativo; sono personali quelle che incidono sulla
persona e limitano in varia misura la libertà personale o altri diritti o facoltà inerenti
alla persona. Caratteristiche fondamentali delle misure cautelari sono:

- La tassatività, l’applicazione delle misure può avvenire solo nei casi e nei
modi previsti dalla legge

- La discrezionalità, il giudice non ha l’obbligo giuridico di disporre


l’applicazione della misura, ma se procede all’emanazione dell’ordinanza
cautelare, può discrezionalmente stabilire sia il tipo, sia la durata della
misura da applicare, in modo di adattarla alle concrete esigenze cautelari

- La cautelarità, indica la necessita che le misure applicate siano idonee a


prevenire le lesioni di beni giuridicamente protetti ed a difendere la
collettività

- La giurisdizionalità, ciò significa che è solo il giudice che può disporre


l’applicazione

I presupposti sono:
- Gravi indizi di colpevolezza, art. 273 c.p.p. che risultano sia dalle indagini
preliminari che in sede dibattimentale; essi possono assurgere a prove
solamente indiziarie. I gravi iondizi di colpevolezza consistono in elementi
indiziari gravi, univoci e concordanti che sono idonei a provocare il
convincimento nel giudice di probabile colpevolezza dell’indagato in ordine
alla commissione del fatto

- Le esigenze cautelari, art. 274 c.p.p. sono alternative tra loro, potendo
essere sufficiente solo la ricorrenza di una di esse per l’applicazione di una
misura cautelare e si distinguono in: pericolo di inquinamento probatorio;
pericolo di fuga; pericolo di reiterazione di reati.

- La gravità del delitto, (ricordiamo che le misure cautelari non sono


ammissibili per le contravvenzioni)

4. IL TENTATIVO NEL REATO Il reato è ogni fatto illecito al quale


l’ordinamento giuridico ricollega, come conseguenza, una pena criminale; è quel
comportamento umano che, al giudizio del legislatore, è in contrasto con i fini
perseguiti dallo Stato ed esige, quindi, come sanzione, l’applicazione di una pena
criminale. Ogni reato può manifestarsi sotto diverse forme:
- in relazione al grado di realizzazione dell’illecito, in quanto l’offesa al bene può
essere portata a conclusione oppure solo iniziata (delitto consumato o tentato);
- alla gravità del fatto, qualora sussistano circostanze in grado di rendere l’illecito più
o meno pericoloso per la collettività;
- al numero di persone che partecipano alla commissione del reato (concorso di
persone nel reato).
Si ha reato consumato quando l’autore realizza gli elementi essenziali previsti dalla
norma. Solitamente la commissione di un reato segue un determinato percosso che si
articola nella fase dell’ideazione (nei reati dolosi), cioè quando nella mente del
colpevole sorge il proposito criminoso; la preparazione che consiste nella
predisposizione dei mezzi e nella ricerca delle occasioni necessari e l’esecuzione che
si ha con la materiale realizzazione del reato. L’atto finale è costituito dalla
consumazione.
Il delitto tentato è quello che non realizza il fatto tipico previsto dalla norma
incriminatrice e che, per cause indipendenti dalla volontà dell’agente si interrompe in
una fase precedente alla sua realizzazione.
Il tentativo si colloca tra la preparazione e l’esecuzione, e consiste nel compimento di
atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, quando l’azione non
si compie o l’evento non si verifica per cause indipendenti del reo.
Il delitto tentato, anche se in realtà costituisce un’autonoma ipotesi di delitto, non
prevede una lesione effettiva ad un interesse protetto, ma solo una messa in pericolo
di tale bene e, pertanto, il legislatore ha fissato per esso una pena attenuata rispetto
alla corrispondente fattispecie consumata.
Il delitto tentato è punibile esclusivamente a titolo di dolo, nel senso che, perché
sussista, è necessario che il colpevole abbia voluto integrare l’illecito penale in tutti i
suoi elementi costitutivi.
Sono elementi essenziali del tentativo quindi:
- l’idoneità dell’azione, ossia la condotta realizzata deve essere potenzialmente in
grado di produrre l’evento;
- il mancato compimento dell’azione o il mancato verificarsi dell’evento, per cause
necessariamente estranee alla volontà dell’agente e l’univocità degli atti, ossia
l’obiettivo di commettere delitto deve desumersi con certezza dal fine cui ogni atto è
preordinato. Quindi, per la realizzazione di un delitto tentato, è necessario che
l’azione non si compia o l’evento non si verifichi per cause indipendenti dalla volontà
del colpevole. Qualora è proprio l’agente che con la sua condotta positiva impedisce
la consumazione del reato si ha: desistenza o recesso attivo.
Si ha desistenza quando la porzione di condotta posta in essere non è ancora idonea a
produrre l’evento; ossia quando il reo, dopo aver intrapreso la fase di esecuzione del
delitto, volontariamente interrompe l’attività criminosa. Ovviamente gli atti conclusi
fino a questo punto sono esenti da pena, salvo il caso in cui costituiscono per se un
reato diverso.
Nel recesso attivo (o ravvedimento operoso), viceversa, l’autore del fatto interrompe
volontariamente l’esecuzione del delitto, ma solo dopo che la condotta realizzata sia
idonea a produrre l’evento e quindi potenzialmente in grado di cagionare il danno. In
questo caso la pena è quella prevista per il tentativo, diminuita da un terzo alla metà.
Quando invece gli atti compiuti sono originariamente inidonei a produrre l’evento per
cause prescindenti dalla volontà del colpevole, si ha il cosiddetto reato impossibile.
L’autore del fatto non è punibile ma può essere a misure di sicurezza.

5. LA LEGITTIMA DIFESA ai sensi dell’art. 52 c.p., non è punibile chi ha


commesso il fatto-reato perché costretto dalla necessità di proteggere un diritto
proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta. Condizione essenziale
è che vi sia proporzionalità tra l’offesa iniqua e la difesa legittima.
L’aggressione può definirsi ingiusta quando:
- l’oggetto su cui ricade l’offesa è un diritto di natura personale o patrimoniale
- il pericolo che si intende evitare è attuale, ossia ne passato, ne futuro
- l’offesa è contraria al diritto e alla determinazione del pericolo non ha
concorso la stessa vittima.
Esempio: non può invocare la causa della giustificazione della legittima difesa il soggetto che,
dopo aver subito un tentativo di furto, rincorre il reo e roaggiuntolo gli procura lesioni. In una
simile evenienza, infatti, il pericolo non è più attuale.

La reazione dell’aggredito si considera legittima se:


- È indispensabile, ovverosia costituisce l’unico strumento per evitare l’offesa
- vi è proporzionalità tra offesa e difesa;
- la reazione ha ad oggetto l’aggressore ed è finalizzata all’interruzione della
situazione di pericolo.
Nella valutazione della proporzionalità, sarà opportuno valutare sempre le condizioni
personali dell’aggredito e i reali mezzi di cui poteva disporre al momento del fatto. In
linea di principio si afferma che un’aggressione ad un bene esclusivamente
patrimoniale non giustifica mai che attenti alla vita altrui.

6. SOMMARIE INFORMAZIONI DALLE PERSONE CHE POSSONO


RIFERIRE CIRCOSTANZE UTILI AI FINI DELL’INDAGINE Le sommarie
informazioni dal possibile testimone, definite nella pratica di polizia come sommarie
informazioni testimoniali, sono contemplate dall’art. 351 c.p.p.
Si tratta di un atto tipico di indagine preliminare soggettiva o indiretta, di iniziativa
della Polizia giudiziaria, per mezzo del quale la Polizia giudiziaria stessa riceve da un
soggetto (persona offesa dal reato, denunciante, querelante o altra persona informata
dei fatti per cui si procede) dichiarazioni su ciò di cui egli è a conoscenza sui fatti per
i quali si indaga e sulle circostanze ad essi relative sulle quali viene interrogato. Il
presupposto per l’esecuzione dell’atto in esame è che sia necessario ad assicurare le
fonti di prova o, comunque, per la ricostruzione del fatto e la individuazione del
colpevole. Può essere eseguito sia dagli ufficiali che dagli agenti di Polizia
giudiziaria. Non sono previste garanzie difensive, per cui non deve essere nominato o
dato alcun avviso al difensore e l’intervento del difensore stesso non è consentito.
Inoltre non viene rilasciata copia. Il possibile testimone ha l’obbligo di rispondere
secondo verità, innanzitutto circa le proprie generalità. Infatti, ai sensi dell’art. 651 c.p.
viene punito con una contravvenzione penale «chiunque richiesto da un pubblico ufficiale
nell’esercizio delle sue funzioni, rifiuta di dare indicazioni sulla propria identità personale, sul
proprio stato o su altre qualità personali». Sebbene l’obbligo di raccontare la verità non
ha una autonoma sanzione penale se il potenziale testimone agisce, fuori dai casi di
concorso, con la consapevolezza di aiutare un’altra persona ad «eludere le
investigazioni dell’autorità o a sottrarsi alle ricerche di questa» è punibile per il
reato di favoreggiamento personale ai sensi dell’art. 378 c.p. (ad esempio, se il
soggetto indica una falsa traccia e tale condotta devia in modo apprezzabile le
ricerche della Polizia giudiziaria). oppure può integrare altri estremi di reato quali la
calunnia (art. 368 c.p.) o l’autocalunnia (art. 369 c.p.).

SOMMARIE INFORMAZIONI DELL’INDAGATO (art. 350 cpp): Le sommarie


informazioni dell’indagato possono essere acquisite dalla P.G. sia di propria
iniziativa che su delega del P.M. Quest’ultima ipotesi è legittima solo nel caso in cui
l’indagato no si trovi in stato di arresto o fermo e solo con l’assistenza necessaria del
difensore che deve essere preavvisato. Le sommarie informazioni assunte in fase
investigativa non possono formare oggetto di prova, ma solo per valutare la
credibilità del teste in fase processuale. Nei confronti dell’indagato sentito non
possono essere utilizzati metodi e tecniche idonei ad influire sulla libertà di
determinazione. Inoltre, a pena di nullità dell’atto, la persona deve essere informata
che: a) le sue dichiarazioni potranno essere usate nei suoi confronti; b) ha facoltà di
non rispondere. Sempre a pena di nullità dell’atto, il soggetto dovrà essere informato
che se renderà dichiarazioni riguardanti responsabilità di altri, automaticamente
assume la qualità di testimone. Queste dichiarazioni possono essere assunte in tre
modi. 1) La polizia giudiziaria invita la persona sottoposta ad indagini a nominare un
difensore di fiducia 2) sono ammissibili le informazioni assunte dalla p.g. sul luogo e
nell’immediatezza del fatto; 3) è possibile assumere dichiarazioni rese spontanee e
queste sono considerate prove e inserite nel fascicolo dibattimentale. Di tali
sommarie informazioni viene redatto verbale che può essere utilizzato per i
provvedimenti del pubblico ministero in fase processuale.

7. USO LEGITTIMO DELLE ARMI in base all’art 53 c.p. non è punibile il


pubblico ufficiale che, al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso
ovvero ordina di far uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica, quando vi è
costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza
all’autorità e comunque di impedire la consumazione dei delitti di strage, di
naufragio, sommersione, disastro aviatorio, omicidio volontario, rapina a mano
armata e sequestro di persona. Perché operi la scriminante deve sussistere la necessità
di: respingere una violenza, esercitata nei confronti del pubblico ufficiale al fine di
costringerlo a compiere un atto contrario ai doveri d’ufficio o ad omettere il
compimento di un atto; vincere una resistenza, esercitata da parte di terzi, che si
concreta in un atteggiamento diretto ad impedire od ostacolare il pubblico ufficiale,
mentre sta compiendo un atto del suo ufficio. La stessa disposizione si applica a
qualsiasi persona che, legalmente richiesta dal pubblico ufficiale anteriormente
all’uso dell’arma, gli presti assistenza. Ricorrerà l’uso legittimo delle armi o di altro
mezzo di coazione fisica solo quando i reati previsti nell’art.53 c.p. avranno raggiunto
lo stadio del tentativo e non si sarà ancora prodotta la lesione definitiva degli
interessi.
Questa causa di giustificazione viene detta propria poiché la possono invocare solo i
soggetti espressamente previsti dalla legge. Sono autorizzati all’uso delle armi e di
tutti i mezzi di coazione fisica unicamente i pubblici ufficiali appartenenti alla forza
pubblica (anche militari in servizio di pubblica sicurezza) che, per adempiere un
dovere d’ufficio, possono portare le armi senza licenza ( art. 73, r. d. 635/1940).

Condizioni essenziali della scriminante in oggetto sono la proporzionalità del mezzo


di coazione adoperato, laddove il pubblico ufficiale o il soggetto da lui incaricato, sia
nella possibilità di scegliere, e l’inevitabilità del ricorso a questa soluzione. L’utilizzo
di armi o di altro mezzo di coazione è consentito solo quando è indispensabile e
rappresenta l’unico rimedio per rimuovere un ostacolo frapposto tra il pubblico
ufficiale ed il dovere che deve adempiere. Nell’ultimo comma dell’art 53 c.p. sono
previsti tutti gli altri casi in cui la legge ammette l’uso delle armi.
8. IL FURTO E LA RAPINA (art. 624 e art . 628 c.p.) entrambi sono detti " delitti
contro il patrimonio". La rapina è disciplinata dall'art. 628 del Codice Penale ed è
commessa da chiunque, si impossessa della cosa altrui, attraverso violenza "alla
persona", per procurarsi o per procurare ad altri un "ingiusto profitto". Il furto
(chiunque si impossessa della cosa mobile altrui sottraendola a chi la detiene al fine di trarne un ingiusto
profitto per se o per altri è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni o con la multa da 156 a 516 euro)
viene commesso da chiunque si impossessa della cosa mobile altrui sottraendola
quindi al proprietario al fine di trarne un proprio profitto o per altri. (art. 624 C.P.)
L'interesse giuridico è di tutelare il patrimonio, per la rapina deve essere tutelata
anche l'incolumità personale. Le condotte della rapina e del furto sono simili per
certi aspetti: entrambe richiedono che qualcuno di impossessi della cosa mobile
altrui. Se ne differenziano, tuttavia perchè nella rapina c'è una condotta di
violenza "alla persona", ciò che non accade nel furto. Per il furto poi, è sufficiente il
fine del profitto, mentre nella rapina si parla di "ingiusto profitto".
Nel reato di furto la pena è aggravata se il colpevole utilizza violenza sulle cose o se
utilizza qualunque strumento fraudolento, oppure porta indosso armi o narcotici
senza farne uso (altrimenti si realizzerebbe una rapina), se sia travisato o simuli la qualità
di pubblico ufficiale, se il fatto è commesso da due o più persone ecc. il delitto si
perfeziona nel momento in cui il colpevole realizza una situazione di possesso, ossia
un’autonoma disponibilità della cosa, al di fuori della sfera di vigilanza dell’avente
diritto.
Nel reato di rapina art. 628 c.p. chiunque per procurare a se o ad altri un ingiusto
profitto, mediante violenza alla persona o minaccia (rapina propria), s’impossessa
della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, è punito con la reclusione da
tre a dieci anni e con la multa da 516 a 2.065 euro. Alla stessa pena soggiace chi
adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a
se o ad altri il possesso della cosa sottratta o l’impunità (rapina impropria). La cosa
quindi che differenzi le due ipotesi è unicamente il momento in cui viene perpetrata
la violenza o la minaccia. Per vilenza deve intendersi qualunque forma di energia
fisica idonea a vincere l’altrui resistenza, mentre la minaccia e la promessa di un
male futuro e ingiusto, potenzialmente in grado di turbare un soggetto ed incidere
sulla sua libertà di determinazione. Ai fini della configurabilità del reato, la violenza
o la minaccia può essere esercitata anche nei confronti di una persona diversa dal
soggetto cui la cosa è sottratta.
Si tratta di un reato composto poiché racchiude le condotte dei delitti di furto e di
violenza privata. Questa fattispecie si differenzia da quella di furto con destrezza
(c.d. scippo) per il fatto che in questa ipotesi la violenza è esercitata sulla cosa e non
sulla persona.
9. ACCERTAMENTI RIPETIBILI E IRRIPETIBILI l’attività di polizia giudiziaria si
estrinseca fondamentalmente attraverso un’attività c.d. d’iniziativa (fin quando il
pubblico ministero non assume la direzione delle indagini) oppure su delega diretta
della stessa Autorità Giudiziaria, il tutto per le determinazioni inerenti l’esercizio
dell’azione penale. In particolare tra i compiti principali della polizia giudiziaria, oltre
che impedire che il reato venga portato a conseguenze ulteriori, vi è l’obbligo di
riferire, senza ritardo, la notizia di reato all’Autorità Giudiziaria, ex art. 347 c.p.p.,
nonché di assicurare quelle che sono definite le fonti di prova. Orbene, questa
attività viene cristallizzata in atti che possono essere di natura irripetibile oppure
ripetibile. La distinzione assume un’importante valenza nella misura in cui gli atti
“irripetibili”, per loro stessa definizione, non sono più replicabili dalla polizia
giudiziaria. ( La loro forma può assumere il carattere della redazione in forma integrale o in
forma riassuntiva, a seconda del grado di utilizzabilità che l’atto deve produrre, della capacità di
incidere sulla libertà personale del soggetto sottoposto ad indagine o dalla piena utilizzabilità da
parte del giudice nella fase dibattimentale. E’ opportuno richiamare il principio della separazione
della fase in cui le prove vengono solo ricercate, quale quella delle indagini preliminari, dalla fase
in cui le prove si formano. Ciò trova attuazione nel principio del doppio fascicolo in base al quele
gli atti redatti nella fase delle indagini preliminari, inseriti nel fascicolo del P.M., non confluiscono
nel fascicolo del dibattimento con la sola eccezione di quelli che non possono essere ripetuti per la
ricorrenza di talune circostanze che potrebbero far venir meno la prova o pregiudicarne la
genuinità). Essi riguardano essenzialmente il sequestro di qualsiasi cosa o traccia
pertinente al reato, attraverso la forma documentale tipica del Verbale, nonché
accertamenti tecnico-scientifici tesi sempre alla conservazione di tutto ciò che può
essere utile alla comprensione della fattispecie criminosa e all’individuazione del
colpevole. Pertanto (anche se non espressamente elencati dal legislatore art.) le
forme di documentazione dell’atto irripetibile potranno essere: rilievi fotografici; la
rilevazione di tracce ematiche disperse sul luogo dell’evento; le impronte digitali sui
luoghi o sulla eventuale arma del delitto e quant’altro la polizia giudiziaria riterrà
necessario ed indispensabile cristallizzare come fonte di prova. Viceversa gli atti
“ripetibili” sono quelli replicabili dalla polizia giudiziaria, per cui, ad esempio, un
testimone potrà essere ascoltato più volte. E’ da sottolineare che gli “atti irripetibili”
della polizia giudiziaria sono raccolti nel fascicolo per il dibattimento, per cui il
giudice ne ha contezza in aula indipendentemente dal contraddittorio delle parti.
Infatti, l’art. 431 c.p.p. recita: <<… nel fascicolo del dibattimento sono raccolti… i verbali degli
atti non ripetibili della polizia giudiziaria>>. Occorre altresì evidenziare che, per situazioni
contingenti (ad esempio la sopravvenuta morte del testimone dopo che lo stesso
abbia dato sommarie informazioni) gli atti ripetibili possono assurgere alla
medesima valenza degli atti irripetibili, nel senso che il giudice del dibattimento può
venire a conoscenza dell’atto in argomento, così come redatto dalla polizia
giudiziaria, atteso la non ripetibilità dell’atto in aula dibattimentale (è chiare che il
deceduto non può testimoniare sulle dichiarazioni rese.
10. LE VARIE FORME DELL’OMICIDIO, IN BASE ALL’ELEMENTO
SOGGETTIVO (art. 575 c.p.) L’omicidio è l’uccisione di un uomo cagionata da un
altro uomo con un comportamento doloso o colposo o senza una causa di
giustificazione. La norma, dunque, tutela il diritto alla vita. La vittima ovviamente
deve essere viva: infatti se la persona fosse già morta il delitto sarebbe impossibile
per l’inesistenza dell’oggetto. I mezzi usati possono essere fisici (arma, veleno,
fuoco); psichici (spavento o dolore in un cardiopatico); diretti o indiretti (es. aizzare
un animale feroce contro la vittima o esporre al freddo un neonato). Questo delitto si
consuma nel momento in cui il soggetto passivo cessa di vivere. Con riferimento
all’elemento soggettivo, l’omicidio può essere doloso, colposo e preterintenzionale.
Relativamente all’omicidio doloso (quando l’evento è preveduto e voluto come
conseguenza della propria azione od omissione, realizzata con coscienza e volontà)
la pena è aggravata quando: si commette il reato per occultarne un altro; quando è
commesso contro l’ascendente o il discendente; per motivi abietti e futili; aver
adoperato sevizie; aver adoperato sostanze venefiche o altro mezzo insidioso; l’aver
agito con premeditazione; dal latitante per sottrarsi all’arresto, alla cattura e alla
carcerazione; per associazione a delinquere; nell’atto di commettere violenza carnale
o atti di libidine. Ipotesi particolari di omicidio doloso sono:
• infanticidio in condizioni di abbandono morale o sociale (art. 578 c.p.). E’ il
caso della madre che cagiona la morte del neonato immediatamente dopo il parto o
del feto durante il parto, quando il fatto è determinato dalle condizioni di abbandono
morale e sociale. In questo caso la pena prevista è da 4 a 12 anni.
• omicidio del consenziente è il fatto di colui che cagiona la morte di un altro
uomo con il consenso dell’avente diritto. In questo caso il consenso della vittima non
esclude la punibilità perché la vita è un bene irrinunciabile, ma in questi casi la pena è
ridotta.
• omicidio colposo si ha omicidio colposo quando l’evento, se pur non
voluto dall’agente, si è verificato per imprudenza, negligenza, imperizia e
inosservanza di leggi e dei regolamenti, ordini e discipline. si cagiona la morte di
un uomo.
• omicidio preterintenzionale ricorre quando l’agente, con la sua azione
od omissione, commette un evento più grave di quello voluto. Nel delitto
preterintenzionale vi è la volontà di un evento minore, ma non di quello
effettivamente realizzato. quando con atti diretti a cagionare percosse o lesioni ne
derivi una conseguenza non voluta: in sostanza si realizza un evento più grave di
quello desiderato.

11. I REATI ASSOCIATIVI sono molte le fattispecie associative previste nel nostro
ordinamento: da quelle collocate nel Titolo I, Libro II del codice penale (dedicato ai delitti
contro la personalità dello Stato) , come la cospirazione e la banda armata, a quella del T.U.
309/1990 sugli stupefacenti (art. 74), fino alle più studiate associazione a
delinquere (art. 416 c.p.) e associazione a delinquere di stampo mafioso (art. 416
bis). Si vogliono qui analizzare i rapporti tra i reati associativi (che trovano il loro
paradigma nell’art. 416 c.p.) e i singoli reati-scopo (quelli che non prevedono un
oggetto giuridico) commessi dall’associazione. In particolare, si rileveranno le
differenze tra il reato associativo e il concorso formale di reati, il concorso di
persone e il reato continuato. Sotto il primo aspetto (reato associativo), è necessario
ricordare che elemento fondamentale dell’associazione (termine che ha lo stesso
significato in tutti i reati associativi) è l’organizzazione di mezzi, anche rudimentale,
al fine di commettere delitti. Questo è infatti ciò che giustifica la maggior severità
sanzionatoria che caratterizza i reati associativi rispetto ai reati-scopo in concorso
formale tra loro. D’altro canto, anche se nella pratica l’esistenza di un’associazione
viene desunta dalla commissione di reati da parte degli associati, è costantemente
affermato che, per la sussistenza del reato di associazione, non è richiesta
l’esecuzione dei reati-scopo. La Corte di Cassazione ha puntualizzato inoltre che la
prova del reato associativo non può desumersi dalla circostanza che tre o più
persone abbiano commesso, insieme, una serie di fatti criminosi, in quanto l’accordo
va provato in sé. Per quanto riguarda le differenze con il semplice concorso di
persone, a parte il fatto che viene richiesto un numero minimo di almeno tre
persone per dar vita all’associazione, nel concorso l’accordo è occasionale e
accidentale, cioè limitato alla realizzazione di uno o più reati, e si esaurisce con la
consumazione di questi. Nel reato associativo, invece, l’accordo criminoso rimane
per l’ulteriore attuazione del programma delinquenziale (si parla di carattere di
permanenza dell’associazione). Persiste quindi il pericolo per la collettività, che
giustifica la grave sanzione penale. Analogamente a quanto vale a proposito del
concorso di reati, la responsabilità del singolo associato può essere affermata anche
qualora egli non abbia preso parte ad alcuna delle imprese criminose
dell’associazione. Allo stesso tempo, gli associati non possono ritenersi, solo per
questo, concorrenti nel singolo reato-scopo: la loro specifica responsabilità va
provata, per non incorrere nella violazione dell’art. 27, comma 1, Cost. (personalità
della responsabilità penale).

Rispetto al concorso di persone nel reato continuato, è poi nell’associazione


configurabile, secondo la giurisprudenza, la consapevolezza dei soggetti di essere
associati per l’attuazione del programma criminoso. E’ la cosiddetta affectio
societatis scelerum, che rappresenta il dolo generico del reato associativo.

12. LE INTERCETTAZIONI TELEFONICHE: PRESUPPOSTI E LORO


UTILIZZO

L'intercettazione nel diritto processuale penale italiano è un mezzo di ricerca della


prova tipico, in quanto previsto e disciplinato dall'art. 266 e segg. c.p.p. e seguenti del
codice di procedura penale. Gli organi competenti sono il PM e la polizia giudiziaria.
Tra le motivazioni che possono portare ad una intercettazione vi sono i gravi indizi di
reato e l'assoluta indispensabilità dell'intercettazione per il proseguimento delle
indagini, per i delitti delineati dall'art. 266 e alle condizioni dell'art. 103 comma 5°.
Tra i requisiti vi è il decreto motivato del PM dopo l'autorizzazione del GIP.

L’intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche e di altre forme di


telecomunicazione è consentita (226 coord.) nei procedimenti relativi ai seguenti
reati:

a) delitti non colposi per i quali è prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione
superiore nel massimo a cinque anni determinata a norma dell'art. 4;

b) delitti contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della


reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni determinata a norma dell’art. 4;

c) delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope;

d) delitti concernenti le armi e le sostanze esplosive;

e) delitti di contrabbando;

f) reati di ingiuria (594 c.p.), minaccia (612 c.p.), molestia o disturbo alle persone
(660 c.p.) col mezzo del telefono.

f-bis) delitti previsti dall’articolo 600-ter (pornografia minorile), terzo comma, del
codice penale.

2. Negli stessi casi è consentita l'intercettazione di comunicazioni tra presenti.


Tuttavia, qualora queste avvengano nei luoghi indicati dall’art. 614 c.p. violazione
di domicilio), l’intercettazione è consentita solo se vi è fondato motivo di ritenere
che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa. »
(art.266 c.p.p. )

Essa consiste nell'attività diretta a captare comunicazioni e conversazioni, nonché


flussi di comunicazioni informatiche o telematiche mediante strumenti della tecnica.
L'intercettazione tende a limitare gravemente alcune importanti libertà costituzionali,
fra cui la libertà di comunicazione del pensiero (art. 15 Cost) e la libertà domiciliare
(art. 14 Cost), per cui sono dettate particolari norme procedurali volte a garantire la
legittimità formale e sostanziale dell'attività. Nella materia delle intercettazioni vige
la riserva di legge e la riserva di giurisdizione, in quanto previste espressamente dalla
Costituzione. Il codice di procedura penale prevede dei limiti e dei presupposti e una
disciplina procedimentale molto rigorosa.
Limiti e presupposti L'intercettazione è mezzo di ricerca della prova che può essere
adoperato solamente in procedimenti relativi a determinati reati previsti dall'art.
266 (fra cui quelli di ingiuria, minaccia, usura, abuso di informazioni privilegiate...).
Oltre ai presupposti oggettivi del reato per cui si procede, è necessario che
sussistano gli ulteriori presupposti oggettivi dei gravi indizi di reato e della assoluta
indispensabilità dell'intercettazione ai fini della prosecuzione delle indagini.
Procedimento per l’utilizzazione Di regola l'intercettazione è autorizzata dal
giudice per le indagini preliminari con decreto motivato, su richiesta del pubblico
ministero. Nei casi di urgenza, quando vi è fondato motivo di ritenere che dal ritardo
possa derivare grave pregiudizio ai fini della prosecuzione delle indagini, è lo stesso
pubblico ministero a disporre l'intercettazione con decreto motivato, salvo la
necessità della convalida dell'atto entro 48 ore dal giudice per le indagini preliminari
(la convalida è necessaria perché così statuisce la Costituzione prevedendo una
riserva di giurisdizione). In caso di mancata convalida l'intercettazione non può
essere proseguita ed i risultati acquisiti non possono essere utilizzati.

La intercettazioni possono durare per un periodo di quindici giorni, prorogabili per


periodi successivi di quindici dal giudice per le indagini preliminari.[2] Le
intercettazioni per i reati in materia di criminalità organizzata possono durare per un
periodo di 40 giorni prorogabili di venti sempre dal giudice delle indagini preliminari.

13. LE CIRCOSTANZE NEL DIRITTO PENALE nel diritto penale le circostanze, dal
latino circumstantia (circum-stare, stare attorno), sono elementi non costitutivi del
reato che, accedendo a una fattispecie già perfetta, comportano un inasprimento o
una mitigazione della pena edittale. All'interno della categoria delle circostanze
vengono individuate diverse distinzioni: (alcune delle quali sono state accolte nel
codice penale italiano):

 Circostanze attenuanti (art. 62 c.p.) e circostanze aggravanti (art. 61 c.p.): le


prime comportano una mitigazione della pena, le seconde comportano un
aggravamento della pena edittale.
 Circostanze comuni e circostanze speciali: sono comuni le circostanze
previste per tutti reati, speciali quelle prescritte solo per determinati reati.
 Circostanze ad effetto comune, circostanze ad effetto speciale e circostanze
ad efficacia speciale: le prime comportano un aumento o una diminuzione
della pena fino ad un terzo; le seconde comportano un aumento o una
diminuzione della pena superiore ad un terzo; le circostanze ad efficacia
speciale comportano invece una pena di specie diversa rispetto a quella
prevista per il cosiddetto "reato base".
 Circostanze soggettive e circostanze oggettive: sono oggettive le circostanze
che riguardano la natura, la specie, i mezzi, l'oggetto, il tempo, il luogo e ogni
altra modalità dell'azione,; la gravità del danno e del pericolo; le condizioni o
le qualità personali dell'offeso. Sono soggettive quelle concernenti le
condizioni o le qualità personali del colpevole; l'intensità del dolo o il grado
della colpa i rapporti tra il colpevole e l'offeso; le circostanze inerenti alla
persona del colpevole.
 Circostanze tipiche e circostanze generiche: le prime sono previste dal
legislatore, le seconda sono stabilite dal giudice (art.62bis). Sotto questo
profilo si noti come per le seconda, a seguito di legge 251/2005, sia stata
prevista la limitazione della discrezionalità del giudice ex art. 133 c.p. per
soggetti con recidiva reiterata.

14. REATO PUTATIVO E REATO IMPOSSIBILE L’articolo 49 c.p. “reato supposto


erroneamente e reato impossibile” stabilisce che “non è punibile chi commette un
fatto non costituente reato, nella supposizione erronea che esso costituisca reato”.

La norma definisce quindi putativo il reato commesso dall’agente nella convinzione


(determinata da errore di fatto o di diritto) che si tratti di reato. Il soggetto quindi
commette un fatto lecito (ovvero non punito dall’Ordinamento) ma per errore, si
trova nella convinzione che abbia violato una norma penale a cui la legge fa
discendere l’applicazione di una sanzione.

Il reato putativo non è quindi punibile e ciò nel rispetto dei principi della legalità e
della materialità che vigono all’interno dell’Ordinamento giuridico.

Il secondo comma dell’art. 49 c.p. (reato impossibile) stabilisce che “la punibilità è
altresì esclusa quando, per la inidoneità dell’azione o per l’inesistenza dell’oggetto di
essa, è impossibile l’evento dannoso o pericoloso”. Esempio classico è quello
dell’utilizzo di una pistola giocattolo, o della sostanza non velenosa utilizzata per
provocare il decesso di una persona: in questi casi non si può ipotizzare un tentativo
inidoneo ma molto più semplicemente si è in presenza di un reato impossibile per
inidoneità dell’azione (che comprende anche i mezzi di esecuzione della stessa).

15. FUNZIONI DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA. NOZIONE DI UFFICIALE E AGENTE DI


P.G. Nel diritto italiano, per Polizia giudiziaria s'intende quella funzione dello Stato
volta ad assicurare le condizioni per l'esercizio dell'azione penale. Essa ha carattere
di ausiliarità e collateralità con l'attività giudiziaria ed in particolare con quella
attività - e con i relativi organi che la esercitano - che attiene all'esercizio dell'azione
penale, cioè alla realizzazione della pretesa punitiva dello Stato.

La Polizia giudiziaria ha natura e finalità repressive anziché preventive, dal momento


che interviene quando si è già verificata una violazione della legge penale che
l'attività di pubblica sicurezza non ha potuto evitare. L'attività di Polizia giudiziaria
deve essere esercitata fin dalla ricezione di una notizia relativa alla commissione di
un reato (notitia criminis) e deve attivarsi anche prima di ricevere ordini dall'ufficio
del Pubblico Ministero.
In Italia la polizia giudiziaria è una funzione, non un corpo, ed i soggetti che vi sono
chiamati provengono da corpi di polizia e da altre amministrazioni.
Le funzioni della polizia giudiziaria sono sancite dall'articolo 55 del codice di
procedura penale, secondo cui la P. G. deve:
 prendere notizia dei reati (la Polizia giudiziaria ha il dovere di informarsi sui
reati già commessi o in atto. Deve, dunque, adoperarsi nella ricerca di
informazioni, non solo attingendole da fonte esterna ma anche di propria
iniziativa ed in via del tutto autonoma ed indipendentemente dalla volontà
delle eventuali parti lese o soggetti in qualche modo interessati in via diretta o
mediata. Fino a quando il Pubblico Ministero non assume la direzione delle
indagini, la Polizia giudiziaria deve continuare la propria attività col solo
obbligo di mantenere informato il magistrato)
 impedire che i reati vengano portati a conseguenze ulteriori (la Polizia
giudiziaria deve evitare la consumazione dell'evento lesivo; se il reato è in via
di consumazione deve interromperne la consumazione; se esso è già stato
consumato deve tentare di ripristinare lo status quo ante a favore della parte
lesa)
 ricercare gli autori dei reati (di propria iniziativa o su ordine del Pubblico
Ministero)
 assicurare le fonti di prova (la Polizia giudiziaria deve individuare ed
assicurare le fonti di prova mediante la raccolta di sommarie informazioni,
perquisizioni, accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle persone,
sequestri, rilievi fotografici, ...).

Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria costituiscono una particolare categoria
di pubblici ufficiali e hanno il potere-dovere di denunciare fatti costituenti reato ed
espletare attivita investigative all’interno del procedimento penale. L’art. 57 del
c.p.p. distingue la figura dell’agente di p.g. da quella di ufficiale di p.g. La
distinzione tra queste due figure è importante sia per quanto riguarda
l'organizzazione interna delle varie unità di polizia giudiziaria sia per quanto riguarda
la competenza a compiere determinati atti.

Sono ufficiali di polizia giudiziaria:


- a) i dirigenti, i commissari, gli ispettori, i sovrintendenti e gli altri appartenenti alla
polizia di Stato ai quali l'ordinamento dell'amministrazione della pubblica sicurezza
riconosce tale qualità
- b) gli ufficiali superiori e inferiori e i sottufficiali dei carabinieri, della guardia di
finanza, degli agenti di custodia e del corpo forestale dello Stato nonché gli altri
appartenenti alle predette forze di polizia ai quali l'ordinamento delle rispettive
amministrazioni riconosce tale qualità
- c) il sindaco dei comuni ove non abbia sede un ufficio della polizia di Stato ovvero un
comando dell'arma dei carabinieri o della guardia di finanza.
Sono ufficiali di polizia giudiziaria anche i responsabili del servizio del corpo di
polizia municipale nonché gli addetti al coordinamento e al controllo, quando sono in
servizio e nel comune di appartenenza.
Sono agenti di polizia giudiziaria:
- a) il personale della polizia di Stato al quale l'ordinamento dell'amministrazione della
pubblica sicurezza riconosce tale qualità
- b) i carabinieri, le guardie di finanza, gli agenti di custodia, le guardie forestali e,
nell'ambito territoriale dell'ente di appartenenza, le guardie delle province e dei comuni
quando sono in servizio
- c) Sono altresì ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, nei limiti del servizio cui sono
destinate e secondo le rispettive attribuzioni, le persone alle quali le leggi e i regolamenti
attribuiscono le funzioni previste dall'articolo 55 (funzioni della polizia giudiziaria)

16. IL REATO CONTINUATO costituisce una rilevante eccezione alla disciplina


sul concorso di reati, cui peraltro si ricorre sovente per ridurre i presunti eccessi
derivanti da una ferrea applicazione del cumulo materiale delle pene. Se un soggetto
commette più illeciti penali con molteplici azioni allo scopo di attuare un unico
disegno criminoso, realizza un concorso materiale di reati cui corrisponde un
computo della pena effettuato con il cumulo materiale (ossia la somma) delle pene.
Tuttavia, proprio in virtù dell’identico disegno criminoso che unisce i singoli reati, si
tiene conto del fatto che il reo ha maturato un’unica volontà criminale (che era quella
di realizzare il delitto finale) e si finge che le molteplici azioni siano un’unica azione
continuata, applicando, così, il cumulo giuridico.
Esempio: il furto d’auto e il sequestro di persona di uno stesso reo finalizzati alla
commissione di una rapina, benché siano prodotti con più azioni e costituiscano un
concorso materiale, sono puniti non con la somma delle pene prevista da ciascun
reato (cumulo materiale) come da disciplina, ma, eccezionalmente, con la sanzione
prevista per il reato più grave aumentata fino al triplo (cumulo giuridico).
In sintesi, il reato continuato è un’ipotesi di concorso materiale di reati cui non si
applica il cumulo materiale, ma il cumulo giuridico, in virtù dell’unicità del disegno
criminoso che accomuna i molteplici delitti.

17. PECULATO E CONCUSSIONE A seconda della figura soggettiva di chi lo


commette, il reato può essere distinto in reato proprio o reato comune:

 il reato comune può essere commesso da chiunque.


 il reato proprio può invece essere commesso soltanto da colui che rivesta una
determinata qualifica o abbia uno status precisato dalla norma, o possieda un
requisito necessario per la commissione dell'illecito; il peculato e la
concussione, ad esempio, possono essere commessi solo da un pubblico
ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio poiché la ratio specifica della
norma consiste evidentemente proprio nell'evitare che il pubblico ufficiale o
l'incaricato di pubblico servizio commettano azioni illecite profittando della
loro posizione, mentre la ratio generale intende preservare il buon andamento e
l'imparzialità della pubblica amministrazione.
Commette peculato (art. 314 c.p.) il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico
servizio che si appropria di denaro o altra cosa mobile altrui di cui ha il possesso o la
disponibilità per ragione del suo ufficio;
commette concussione (art. 317 c.p.) il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico
servizio che costringe o semplicemente induce taluno a dare o promettere denaro o
altra utilità abusando della qualità o dei poteri conferitigli dalla legge. La condotta si
articola in tre fasi:
- abuso della qualità o dei poteri finalizzato a far sorgere nella vittima il
timore di eventuali rappresaglie
- il costringi mento o l’induzione per l’effetto dell’abuso
- l’ottenimento della dazione o della promessa da parte della vittima

18. LE NOTIZIE DI REATO, LE LORO FONTI E DISTINZIONI l’art. 330


c.p.p. prevede che il pubblico ministero e la polizia giudiziaria prendano notizia di
reato di propria iniziativa e ricevano le notizie di reato loro presentate o trasmesse.
Compito imprescindibile per la p.g. è, quindi, la segnalazione al pubblico ministero
della notizia di reato, senza ritardo, per mezzo della informativa di reato.
L’informativa deve contenere:

- la descrizione dei fatti


- le fonti di prova raccolte (sequestri, perquisizioni, verbali di accertamenti sullo stato dei
luoghi, ecc.)
- le attività compiute
- gli elementi essenziali del fatto e gli altri elementi raccolti
- i soggetti potenzialmente interessati al procedimento
- il giorno e l’ora dell’acquisizione della notizia di reato
L’obbligo di dare comunicazione della notitia criminis al P.M. vale anche quando
non sia individuata la persona cui attribuire il fatto. In tale caso, il P.M. iscrive la
notizia in un apposito registro, ponendo il reato stesso a carico di ignoti ed iniziando
da quel momento le indagini preliminari. L’art 347 c.p.p. prevede che la trasmissione
debba avvenire senza ritardo. Tuttavia tale termine è di 48 ore dal compimento
dell’atto quando la p.g. abbia svolto attività d’indagine garantite, ossia attività alle
quali aveva diritto ad assistere il difensore di fiducia della persona nei cui confronti
sono svolte le indagini. La mancata osservanza dei termini previsti non comporta
comunque la decadenza della validità dell’atto di indagine, ma solo responsabilità
penale e disciplinare a carico dell’agente o dell’ufficiale di polizia giudiziaria.
La notizia di reato può essere acquisita da fonti qualificate e da fonti no qualificate.
Sono fonti qualificate:
- la denuncia da parte dei pubblici ufficiali o dagli incaricati di pubblici
servizi
- il referto
- la denuncia da parte di privati
La denuncia è facoltativa per i privato, ma può essere obbligatoria in taluni casi
specifici previsti dalla legge. E’ invece sempre obbligatoria per i pubblici ufficiali e
gli incaricati di un pubblico servizio. Anch’essa deve essere presentata o trasmessa
senza ritardo, indifferentemente al P.M. oppure ad un ufficiale di polizia giudiziaria. I
privati possono presentare la denuncia oralmente e il P.M. o la polizia giudiziaria
redigono il verbale. Gli esercenti una professione sanitaria hanno l’obbligo di
presentare denuncia, ossia il referto, quando abbiano prestato assistenza in casi che
possono configurare un delitto perseguibile d’ufficio. Il referto non è obbligatorio per
le contravvenzioni e quando esporrebbe la persona assistita a procedimento penale; in
quest’ultimo caso vige l’obbligo del segreto professionale.
Sono fonti non qualificate:
- le comunicazioni o delazioni che provengono da persone non identificate o
in identificabili (ignoti). Lo scritto anonimo è inutilizzabile in sede
processuale, tranne nel caso provenga dall’imputato oppure costituisca il
corpo del reato
- notizie provenienti da confidenti di polizia
- le notizie di stampa o di mass-media in genere ed anche informazioni
occasionali

19. L’ABUSO D’UFFICIO Nell'ordinamento italiano, l'abuso d'ufficio è il reato


previsto dall'art. 323 del codice penale ai sensi del quale:
Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato il pubblico ufficiale o l'incaricato
di un pubblico servizio che nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in
violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in
presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi
prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio
patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da
sei mesi a tre anni. Si ha il reato di abuso d'ufficio quando un pubblico ufficiale o
l'incaricato di un pubblico servizio, nell'esercizio delle sue funzioni produce un
danno o un vantaggio patrimoniale che è in contrasto con le norme di legge o di
regolamento. Il bene giuridico tutelato è il buon andamento e l'imparzialità della
Pubblica amministrazione, oltre alla trasparenza dell'azione amministrativa.
Esempio di reato di abuso d'ufficio: commette tale reato il dirigente comunale
affari generali e personale che adotta un atto amministrativo diretto all'assunzione
temporanea della figlia per chiamata diretta presso il corpo dei vigili urbani,quindi
non astenendosi in una situazione di conflitto di interessi e per di più favorendo la
figlia a discapito di terzi che possedevano più requisiti per l'assunzione. sentenza n.
6705/2012 Corte di Cassazione.

20. IL SEQUESTRO DI PERSONA dettato dall’art. 605 c.p., recita che chiunque priva
taluno della libertà personale è ounito con la reclusione da sei mesi a otto anni. La
pena è aggravata se in danno di un ascendente, di un discendente o del coniuge,
oppure quando l’autore del reato sia un pubblico ufficiale e abusi delle sue funzioni.
Ai fini della configurabilità del reato, è sufficiente anche che il soggetto passivo sia
posto nella condizione di non potersi muovere liberamente se non ricorrendo a
mezzi straordinari e non facilmente reperibili. E’ un reato in forma libera in quanto
la condotta può assumere le diverse forme dell’omissione, dell’inganno, della
violenza o della minaccia. Trattasi di un reato permanente, poichè l’offesa al bene
della libertà si protrae per tutta la durata del sequestro.

21. L’AZIONE PENALE, NOZIONE E CARATTERISTICHE affinchè la giurisdizione


possa essere esercitata, occorre che il pubblico ministero eserciti a sua volta l’azione
penale e cioè formuli al giudice la richiesta di decidere su una accusa elevata a carico
di un soggetto. Il processo inzia quando l’azione penale viene esercitata. Prima di
quel momento vi è solo attività di indagine svolta congiuntamente dalla polizia
giudiziaria e dal pubblico ministero. Queste possono esaurirsi con:

- la richiesta di archiviazione, quando la notizia di reato è infondata


- esercitare l’azione penale (rinvio a giudizio), quando ritiene invece di aver
acquisito elementi idonei a sostenere l’accusa in giudizio

l’azione penale presenta le seguenti caratteristiche:

- la pubblicità, l’azione penale non compete ai privati, ma esclusivamente


allo Stato che la esercita attraverso l’ufficio del pubblico ministero
- l’ufficialità, l’azione penale è esercitata di ufficio (senza sollecitazioni
esterne) dal pubblico ministero, salvo che la legge preveda la necessità
della querela, della richiesta, dell’istanza o dell’autorizzazione a procedere
- irretrattabilità, l’esercizio dell’azione penale può essere sospeso o
interrotto soltanto nei casi previsti dalla legge (palese incapacità di
intendere e volere)

- obbligatorietà, il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione


penale tutte le volte in cui si trova difronte a una notizia di reato che
ritiene fondata

22. I REATI A SFONDO SESSUALE questo argomento rientra nella materia


della violenza sessuale, oggetto di una recente e radicale modifica ad opera della L.
15 febbraio 1996, n. 66 (“Norme contro la violenza sessuale”). La Legge in questione
ha traslato questi reati dal Titolo IX , contenente i delitti contro la moralità pubblica
ed il buon costume, al Titolo XII, che reprime invece i delitti compiuti contro la
persona. Il reato a sfondo sessuale (che rientra nei c.d. "abusi sessuali") è un istituto
nel quale sono ricompresi la violenza sessuale, la pedofilia, la pedopornografia e lo
sfruttamento della prostituzione minorile.

- violenza sessuale ( art. 609 bis), di cui si rende autore “chiunque con
violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a
compiere o subire atti sessuali”; ovvero, anche senza costrizione vera e
propria, “induce taluno a compiere o subire atti sessuali abusando delle
condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa”. L’atto
sessuale è da intendere, peraltro, non esclusivamente come congiungimento
carnale, ma come qualunque atto avente una qualsiasi valenza sessuale
(idoneo, cioè, a ledere la sfera di libera autodeterminazione del singolo in
campo sessuale). E’ assolutamente ovvio come la violenza sessuale
compiuta su un minore comporti un aggravamento della pena (art. 609 ter).
- Pedofilia, Nell'accezione comune, al di fuori dall'ambito psichiatrico,
talvolta il termine pedofilia si discosta dal significato letterale e viene
utilizzato per indicare quegli individui che commettono violenza attraverso
la sessualità su di un bambino, o che commettono reati legati alla
pedopornografia.
- Pedopornografia, La pedopornografia è la pornografia (ossia la
rappresentazione di atti sessuali) in cui sono raffigurati soggetti in età pre-
puberale. La pedopornografia viene spesso erroneamente confusa con la
pornografia minorile, ossia il materiale pornografico in cui sono coinvolti
individui che, pur non avendo ancora raggiunto la maggiore età, hanno già
subito le trasformazioni fisiche e mentali proprie della pubertà
- Sfruttamento della prostituzione minorile, l’art. 600 c.p. recita:
“Chiunque induce alla prostituzione una persona di età inferiore agli
anni diciotto ovvero ne favorisce o sfrutta la prostituzione è punito con
la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da €15.493 a €154.937.
Salvo il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti sessuali
con un minore di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni, in
cambio di denaro o di altra utilità economica, è punito con la reclusione
da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a euro 5.164

23. IL PUBBLICO MINISTERO il pubblico ministero è soggetto necessario e


parte essenziale nel processo, cui spetta essenzialmente il potere dovere di
promuovere l’azione penale. L’espletamento della funzione del P.M. si manifesta in
una dialettica paritaria con la difesa in dibattimento. Egli ha altresì il dovere di
svolgere accertamenti su fatti e circostanze a favore del reo. Il P.M. è un organo
pubblico che agisce per la tutela della collettività e la repressione dei reati. Egli
conduce le indagini preliminari avvalendosi della polizia giudiziaria; può anche
intervenire direttamente per l’acquisizione delle prove che lo porteranno alla
formulazione dell’accusa e, in tale fase processuale, ha anche il potere di disporre il
fermo di persone gravemente indiziate di delitto. Il promuovimento dell’azione
penale segna l’inizio del processo vero e proprio ed è alternativo alla richiesta di
archiviazione. Il ruolo del pubblico ministero lo obbliga ad agire con obiettività e
imparzialità, essendo organo di giustizia e promotore di legalità del procedimento;
egli è soggetto soltanto alla legge e non ha funzioni giudicanti. Avendo dunque
soltanto funzioni requirenti, non può direttamente incidere sulla libertà del soggetto
né sul suo patrimonio ed ha l’obbligo di evitare qualsiasi ingiustizia ed illegittimità
all’interno del procedimento.

24. IL REATO DI STALKING Il decreto legge n. 11/09 introduce nel nostro


ordinamento, peraltro con notevole ritardo rispetto agli altri ordinamenti europei,
una “nuova” fattispecie di reato finalizzata a far venire meno la pericolosa condotta
“persecutoria” nei confronti soprattutto delle donne. La figura ai sensi dell'art 612
bis c.p. prevede che, “salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque
reiteratamente, con qualunque mezzo, minaccia o molesta taluno in modo tale da
infliggergli un grave disagio psichico ovvero da determinare un giustificato timore
per la sicurezza personale propria o di una persona vicina o comunque da
pregiudicare in maniera rilevante il suo modo di vivere, è punito, a querela della
persona offesa, con la reclusione da sei mesi a quattro anni”.

L'interesse giuridico tutelato Il bene giuridico tutelato dal Legislatore si ravvisa, in


primo luogo, nella libertà morale, ovvero nella libertà di autodeterminazione
dell'individuo. Inoltre, tale condotta delittuosa potrebbe ledere, una volta realizzatasi
in capo alla vittima quel grave disagio psichico, il bene costituzionalmente garantito
della salute. In tale ipotesi, il bene protetto potrebbe essere individuato nella tutela
della incolumità individuale. Pertanto, l'illecito de quo deve essere considerato un
reato essenzialmente plurioffensivo.

L'elemento oggettivo L'illecito in esame è connotato dalla sussistenza di tre


elementi costitutivi:

- 1) la condotta “tipica del reo;


- 2) la reiterazione di tale condotta;
- 3) l'insorgere di un particolare stato d'animo nella vittima.

1) La condotta illecita in esame è ascrivibile in genere nelle classiche ipotesi


delittuose di minacce e molestie, peraltro già previste e sanzionate autonomamente
dal Legislatore. Sussiste la minaccia nel caso in cui il reo prospetti alla vittima un
male futuro, in modo tale da turbare in modo grave la tranquillità della vittima
stessa. La molestia, invece, si ravvisa nel caso in cui venga alterata in modo
fastidioso o importuno l'equilibrio psichico di una persona media.

2) Detta condotta deve essere reiterata, seriale nel senso che i sopra descritti atti
devono succedersi nel tempo. La continuazione e reiterazione in un certo lasso di
tempo è elemento costitutivo. Pertanto i suddetti singoli atti, se posti in essere in un
unica occasione, non integrano la fattispecie delittuosa ex art 612 bis c.p. ma quelle
più “tradizionali” del tipo “minaccia” o “molestia”, magari continuate se dette
condotte vengano posti in essere più di una singola volta.

3) Infine, tali azioni illecite devono cagionare alla vittima “un grave disagio
psichico ovvero da determinare un giustificato timore per la sicurezza personale
propria o di una persona vicina o comunque da pregiudicare in maniera rilevante il
suo modo di vivere”. Con l'evento del grave disagio psichico, vista la
indeterminatezza della figura, si deve intendere solo ed esclusivamente a forme
patologiche contraddistinte dallo stress, di tipo clinicamente definito grave e
perdurante. Quanto al secondo degli eventi conseguenti alla condotta illecita, ovvero
il timore per la sicurezza personale o propria, tale ipotesi ricorre ogniqualvolta la
vittima, a causa dei comportamenti del reo, abbia “timore” per la propria sicurezza.
Tale stato d'animo deve essere valutato in concreto, in base a tutti gli elementi che
caratterizzano la vicenda, e deve essere tale se riferito ex ante con riguardo alla
valutazione di una persona media. Infine, l'ultimo degli eventi sopra riportati riguarda
il caso in cui, a seguito delle condotte persecutorie, il soggetto leso sia costretto,
contro la sua volontà e non potendo fare altrimenti, a modificare rilevanti e
gratificanti abitudini di vita.

Sulla base di quanto detto, l'illecito in esame sussiste solo quando siano integrati tutti
i succitati elementi obbiettivi.
25. L’ART 109 DELLA COSTITUZIONE E DIPENDENZA FUNZIONALE L’ART 109 DELLA
POLIZIA GIUDIZIARIA l’art 109 della Costituzione italiana recita testualmente:
L'Autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria. La materia è
disciplinata dagli artt. 55, 56, 57, 58, 59 c.p.p.

ART. 56 c.p.p. Le funzioni di polizia giudiziaria sono svolte alla dipendenza e


sotto
la direzione dell’autorità giudiziaria:
a) dai servizi di polizia giudiziaria previsti dalla legge;
b) dalle sezioni di polizia giudiziaria istituite presso ogni procura della Repubblica e
composte con personale dei servizi di polizia giudiziaria;
c) dagli Ufficiali e dagli Agenti di polizia giudiziaria appartenenti agli organi cui la
legge fa obbligo di compiere indagini a seguito di una notizia di reato.

art 58 c.p.p.
1. Ogni procura della Repubblica dispone della rispettiva sezione; la procura
generale presso la corte di appello dispone di tutte le sezioni istituite nel distretto.
2. Le attività di polizia giudiziaria per i giudici del distretto sono svolte dalla sezione
istituita presso la corrispondente procura della Repubblica.
3. L'autorità giudiziaria si avvale direttamente del personale delle sezioni a norma
dei commi 1 e 2 e può altresì avvalersi di ogni servizio o altro organo di polizia
giudiziaria.

Note
(1) L'art. 58 specifica il rapporto di dipendenza della p.g. dalla A.G. (art. 56). La regola per cui
ogni Procura della Repubblica dispone della relativa sezione evidenzia il rapporto privilegiato tra
chi dirige le indagini e le sezioni di p.g.; così pure gli uffici della Procura Generale dispongono, in
caso di avocazione, di tutte le sezioni istituite nel distretto di Corte d'Appello.

(2) Qualsiasi A.G. ha una disponibilità, anche se meno intensa, nei confronti delle sezioni, dei
servizi e dei restanti organi di p.g. La formula utilizzata, per cui l'A.G. si avvale direttamente del
personale delle sezioni, mentre può avvalersi di ogni servizio o altro organo di p.g., non comporta
che l'A.G. debba ricorrere in via prioritaria alle sezioni, ma sottolinea il particolare legame che
unisce queste alla magistratura.

Art. 59 c.p.p.
1. Le sezioni di polizia giudiziaria dipendono dai magistrati che dirigono gli uffici
presso i quali sono istituite.
2. L'ufficiale preposto ai servizi di polizia giudiziaria è responsabile verso il
procuratore della Repubblica presso il tribunale dove ha sede il servizio dell'attività
di polizia giudiziaria svolta da lui stesso e dal personale dipendente.
3. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria sono tenuti a eseguire i compiti a essi
affidati. Gli appartenenti alle sezioni non possono essere distolti dall'attività di
polizia giudiziaria se non per disposizione del magistrato dal quale dipendono a
norma del comma 1.

Note: (1) La dipendenza organizzativa della p.g. varia in considerazione della diversa dipendenza
funzionale (art. 56). Le sezioni, considerate quali unità organiche, si pongono in un rapporto di
subordinazione nei confronti dei rispettivi Procuratori della Repubblica. Al fine di evitare
interferenze con l'amministrazione di appartenenza è previsto il divieto di distogliere i componenti
delle sezioni dall'attività di p.g., se non previa autorizzazione del rispettivo Procuratore. L'esclusiva
destinazione a compiti di p.g. può essere derogata solo in casi eccezionali o per necessità di
istruzione o di addestramento (art. 103 disp. att.). I servizi hanno un rapporto di subordinazione
più attenuato. Essi dipendono sia dal P.M., sia dalle istituzioni di appartenenza e la responsabilità
personale investe unicamente l'ufficiale preposto al servizio, solo nei confronti del Procuratore della
Repubblica presso il Tribunale.

27. QUERELA, SUA ESTINZIONE E REMISSIONE La querela consiste in un atto di


volontà della persona offesa del reato (e non della persona danneggiata) finalizzato
ad ottenere la punizione del colpevole, nei casi e nei modi previsti dalla legge. Può
essere presentata anche da persona minore, purchè abbia compiuto gli anni 14, e
dagli inabilitati. In loro vece possono esercitare il diritto di querela il genitore, il
curatore e il tutore, anche contro la volontà del minore. Il termine stabilito dal
codice per la presentazione della querela e di tre mesi dall’effettiva conoscenza del
fatto reato. La querela può essere rimessa e le spese sono a carico del querelato
salvo diversamente previsto; oppure può essere oggetto di rinuncia, espressa o
tacita, e l’esercizio di tale diritto comporta l’impossibilità di produrla in tempi
successivi. Nei casi di violenza sessuale con minorenne il termine per proporre
querela è esteso a sei mesi e la stessa una volta proposta non può essere ritirata. La
differenza tra remissione e rinuncia attiene non soltanto ai “tempi” in cui si esprime
la relativa volontà, ma anche alle conseguenze giuridiche da esse derivanti. Invero,
la rinuncia è un atto unilaterale e non necessita di accettazione. Essa, inoltre,
determina l’estinzione del diritto di querela, mentre la remissione è causa di
estinzione del reato. In particolare, l’estinzione del reato per remissione di querela
non consente, a fronte del silenzio delle parti, di condannare l’imputato al
pagamento delle spese sostenute dalla parte civile.

28. IL REATO DI CORRUZIONE art 318 c.p. il dettato del presente articolo punisce il
pubblico ufficiale che, per compiere un atto conforme ai doveri d’ufficio, riceve per
se o per un terzo una retribuzione in denaro o altra utilità non dovuta o
semplicemente ne accetta la promessa. Questa tipologia di corruzione è denominata
corruzione impropria (per distinguerla da quella propria in cui viene compiuto un
atto contrario ai doveri d’ufficio o vi è un ritardo od un’omissione di un atto dovuto)
e si divide in due categorie:

- antecedente, se si riferisce ad un atto ancora da compiersi


- susseguente, se si riferisce ad un atto già compiuto
Nel reato in esame si crea dunque un accordo tra le parti (tra il pubblico ufficiale
corrotto e il privato corruttore) in posizione di piena parità; cosa invece che non
accade nella concussione dove sussiste, invece, una sorta di coartazione della
volontà del privato, soggiogato dal pubblico ufficiale.

Nella fattispecie disciplinata dall’art. 319 c.p. (c.d. corruzione propria), si punisce Il
pubblico ufficiale, che riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità, o ne
accetta la promessa per omettere o ritardare un atto dovuto (corruzione propria
antecedente). Realizza altresì la fattispecie il pubblico ufficiale che pone in essere la
stessa azione per compiere un atto contrario ai doveri d’ufficio (corruzione propria
susseguente). Anche in questa ipotesi, come nel caso precedente, non una
posizione di preminenza tra corrotto e corruttore. L’elemento di distinzione rispetto
al precedente reato, che puniva la corruzione impropria, consiste nella tipologia
dell’atto che il pubblico ufficiale si è impegnato a fare come corrispettivo del denaro
o altra utilità ricevuti o promessi.

29. LE ANNOTAZIONI DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA le annotazioni sono atti


informali normalmente utilizzati dalla p.g. in fase di indagini preliminari; tale attività
di polizia giudiziaria non è suscettibile di utilizzazione probatoria. Secondo l’art. 115
disp. Att. C.p.p., le annotazioni contengono le indicazioni dell’ufficiale o dell’agente
di polizia giudiziaria che ha compiuto le attività di indagine, il giorno, l’ora e il luogo
in cui sono state eseguite e l’enunciazione succinta del loro risultato. Quando la p.g.,
assumendo dichiarazioni, oppure per il compimento dell’atto, si avvale di altre
persone, annota altresì le relative generalità e le altre indicazioni personali utili per
l’identificazione.
Le annotazioni, quindi, sono indicazioni sommarie, riassuntive di attività
investigativa di minor importanza e costituiscono appunti non utilizzabili in
dibattimento, al contrario dei Verbali che, in alcuni casi, hanno valenza probatoria.
30. OMISSIONE DI ATTI D’UFFICIO E FAVOREGGIAMENTO PERSONALE
Nell'Ordinamento giuridico Italiano i reati di rifiuto d'atti d'ufficio e di omissione
d'atti d'ufficio sono disciplinati dall'articolo 328 del codice penale, inserito nel libro
secondo (rubricato "Dei delitti in particolare"), titolo II (rubricato "Dei delitti contro
la pubblica amministrazione"), capo I (rubricato "Dei delitti dei Pubblici ufficiali
contro la pubblica amministrazione").
« Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del
suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e
sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni.

Fuori dei casi previsti dal primo comma, il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio,
che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l'atto del suo ufficio e
non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la
multa fino a euro 1.032. Tale richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di trenta
giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa. »

La fattispecie incriminatrice in esame include al suo interno due autonome fattispecie


di reato(infatti la riforma del 1990 pone fine all'unica fattispecie di reato prevista nel
Codice Rocco), al primo comma viene in risalto l'indebito rifiuto del Pubblico
ufficiale o Incaricato di pubblico servizio a compiere un atto del suo ufficio che per le
ragioni previste dall'art. 328 c.p.(Giustizia,sanità,sicurezza e ordine pubblico) deve
essere tempestivamente adottato, ciò implica una previa richiesta di adempimento
rivolta al pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio.

 Bene giuridico tutelato: ciò che si vuole tutelare con tale reato è il buon
andamento della Pubblica Amministrazione che viene assicurato con la
tempestività dell'assolvimento delle pubbliche funzioni.

 Elemento oggettivo: 1) la doverosità e l'indifferibilità dell'atto d'ufficio,2) le


ragioni di giustizia, sicurezza pubblica o di ordine pubblico oppure quelle di
igiene e di sanità.

Sanità: le ragioni di sanità riguardano sia la salute fisica che psichica del soggetto.

Ordine pubblico: fa riferimento al mantenimento della quiete e tranquillità pubblica.

Sicurezza pubblica: riguarda l' attività della polizia di sicurezza ossia alla sicurezza
dei cittadini, alla loro incolumità ed alla tutela della proprietà, all' osservanza delle
leggi e dei regolamenti generali e speciali dello Stato, delle Province e dei Comuni,
nonché delle ordinanze delle Autorità.
 Elemento soggettivo: dolo generico l’elemento psicologico viene rappresentato
dalla coscienza e dalla volontà di rifiutare l’atto che il pubblico ufficiale sapeva
di dover compiere.

 Soggetto attivo: Pubblico ufficiale o Incaricato di pubblico servizio.

 Tipo di Reato: Reato proprio di pericolo che si perfeziona ogni qual volta
venga denegato un atto non ritardabile, incidente su beni di valore primario
tutelati dall’ordinamento, indipendentemente dal nocumento che in concreto
possa derivarne.

il tentativo infine non è configurabile in quanto il reato è istantaneo infatti il


momento consumativo si verifica nel tempo e nel luogo in cui è stato opposto il
rifiuto.

Esempio di reato di rifiuto d'atti d'ufficio: Commette il reato di rifiuto di atti d’ufficio
il medico in servizio notturno di guardia all’interno dell’ospedale che dà disposizioni
verbali agli infermieri senza recarsi al letto del paziente che ha bisogno delle sue
cure.

Omissione in atti d’ufficio


È la seconda fattispecie incriminatrice dell'art. 328 c.p. prevista dal secondo comma,
con tale reato si punisce il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che
omettono di compiere l'atto dell'ufficio ovvero non espongono le ragioni del ritardo
entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi ha interesse. È necessaria ai fini della
punibilità una formale richiesta scritta, da parte di chi vi abbia interesse, all’organo
competente a provvedere e l’obbligo corrispondente del funzionario responsabile di
pronunciarsi sulla relativa istanza.
 Bene giuridico tutelato: Buon andamento della Pubblica Amministrazione e
l'interesse del privato al compimento dell'atto,il reato è finalizzato in primis
alla tutela del cittadino dalla inerzia della pubblica amministrazione.

 Elemento oggettivo: inoltro di una formale richiesta scritta, da parte di chi vi


abbia interesse, all’organo competente a provvedere e l'obbligo per il
funzionario di pronunciarsi ,inoltre inadempimento di tale obbligo senza che al
richiedente siano state neppure spiegate le ragioni della mancata adozione del
provvedimento richiesto ed il decorso del termine di legge.

 Elemento soggettivo: Dolo Generico, l’elemento psicologico viene


rappresentato dalla coscienza e dalla volontà di omettere, di ritardare l’atto che
il pubblico ufficiale sapeva di dover compiere e volizione dell’inadempimento
e della mancata risposta entro il termine utile di 30 giorni.

 Soggetto attivo: Pubblico ufficiale o Incaricato di pubblico servizio.


 tipo di reato: reato proprio di danno.

Non è previsto il tentativo di reato poiché il delitto si consuma nel tempo e nel luogo
in cui si è verificata l'omissione.

Per tale reato è necessario stabilire da quando cominciano a decorrere i trenta giorni
per valutare se la condotta del soggetto attivo integri o meno il delitto di cui al
2°comma art. 328 c.p., a tal fine si è pronunciata la giurisprudenza di legittimità che
ha stabilito di dover tenere conto dei termini procedimentali previsti dalla legge
n.241/90 art. 2(procedimento amministrativo)[2], solo una volta trascorsi i termini per
la conclusione del procedimento amministrativo cominceranno a decorrere i trenta
giorni previsti dalla norma penale previa diffida (con richiesta scritta)del pubblico
ufficiale o incaricato di pubblico servizio da parte del soggetto che vi abbia interesse.

Esempio del reato di omissione d'atti d'ufficio: Integra il reato di cui all’art. 328,
comma secondo, c.p., la condotta di un sindaco che omette di rispondere o,
comunque, di fornire congrue giustificazioni nel termine di trenta giorni, a seguito
della richiesta, avanzata da un dipendente comunale, di rimborso delle spese legali
sostenute in un procedimento penale per reati connessi alla sua funzione e dai quali è
stato assolto.

31. L’ESERCIZIO DI UN DIRITTO

Nel diritto penale, l'esercizio di un diritto è una causa di giustificazione prevista


nell'art. 51 del codice penale italiano: " L'esercizio di un diritto o l'adempimento di
un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica
autorità, esclude la punibilità". Non può quindi essere punito chi nell'esercizio di
un diritto, compia atti o fatti che integrino una fattispecie preveduta dalla legge
come reato. Infatti la ratio della non punibilità va ricercata nel principio di non
contraddizione dell'ordinamento giuridico che non può concedere la facoltà di agire
e al tempo stesso vietare l'esercizio di quella stessa facoltà. Questa causa di
giustificazione ha valore solo se sussistono i seguenti presupposti:

- effettiva esistenza di un diritto


- titolarità del diritto del soggetto che intende esercitarlo

- esercizio del diritto nei limiti consentiti e nel rispetto dei diritti altrui
il fondamento di questa causa di giustificazione va rinvenuto nella considerazione
che l’ordinamento non può cadere in contraddizione con se stesso, riconoscendo
legittimo l’esercizio di un diritto, per considerarlo poi un illecito.

Esempio: non commette reato il giornalista che, esercitando il diritto di cronaca


nell’interesse pubblico a divulgare notizie, riferisce fatti che offendono l’onore di
una persona, a patto che la notizia sia esposta in maniera obiettiva e con linguaggio
non offensivo.

32. LE INDAGINI PRELIMINARI E L’INCIDENTE PROBATORIO

Le indagini preliminari, introdotte nel codice di procedura penale dall'art. 326, sono
una fase del procedimento penale precedente all'eventuale processo. Nelle indagini
preliminari il pubblico ministero e la polizia giudiziaria svolgono le indagini
necessarie per le determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale: ne
consegue che il p.m. e la polizia giudiziaria devono acquisire anche gli elementi a
favore dell'indagato (art. 358) dato che le indagini preliminari servono
esclusivamente a stabilire se ci sono i presupposti per l'esercizio dell'azione penale.
È previsto il segreto per gli atti compiuti durante le indagini.

Solitamente il primo passo è compiuto dalla polizia giudiziaria. Innanzitutto la polizia


giudiziaria può avviare proprie indagini autonomamente ed assicurare la cessazione
del reato oltre che acquisire gli elementi necessari, ma deve darne avviso senza
ritardo al PM . Una volta infermato il pubblico ministero assume la direzione delle
indagini preliminari. Al compimento delle indagini preliminari il pubblico ministero
provvede personalmente oppure delegando alla polizia giudiziaria specifici atti o
impartendo le direttive di indagine. Di norma tutti gli “accertamenti investigativi”
compiuti dalla p.g. e dal P.M. durante la fase delle indagini preliminari, possono
essere usati solo all’interno della fase stessa e non anche dopo la chiusura. Il
principio detto della separazione delle fasi, per distinguere la fase in cui le prove
vengono solo cercate (fase delle indagini preliminari) da quella in cui le prove
vengono formate (fase dibattimentale), subisce alcune importanti deroghe nei casi
in cui la rigida applicazione porterebbe alla dispersione di importanti atti di prova. In
tali casi infatti al principio della separazione delle fasi si affianca quello della non
dispersione dei mezzi di prova, secondo cui gli atti compiuti durante la fase delle
indagini preliminare possono essere usati anche in dibattimento tutte le volte in cui
detti atti non possono essere ripetuti a causa del verificarsi di circostanze e
situazioni oggettive idonee a far venir meno la prova o comprometterne la sua
genuinità.
Esempio: sono pienamente utilizzabili gli atti c.d. non ripetibili (si pensi alle
perquisizioni e ai sequestri) agli atti dei quali è imprevedibilmente sopravvenuta la
irreperibilità (es. morte del testimone)

L’INCIDENTE PROBATORIO è uno di quegli atti non ripetibili che trasmigra nel
fascicolo dibattimentale. Per diversi motivi, il Pubblico Ministero (ma anche la
difesa) può chiedere al GIP di poter "congelare" una particolare prova raccolta nella
fase preliminare (anche un interrogatorio) per poterla presentare con carattere
probatorio nel dibattimento in aula. Di qui il nome di "incidente (perché si tratta di
una eccezione "una tantum" alla norma) probatorio (perché avente valore di
prova)". Il presupposto fondamentale per richiedere l’incidente probatorio davanti
al GIP o al GUP è la necessità o anche l’opportunità di assumere prove non rinviabili
al dibattimento e le esigenze poste alla base di tale mezzo sono:

- pericolo che le fonti di prova o mezzi di prova, quali la testimonianza, la


perizia, l’esperimento giudiziale e la ricognizione personale possano non
essere più disponibili al momento della celebrazione del processo (teste
moribondo)
- il pericolo che una testimonianza possa essere alterata e quindi non più
genuina (teste sottoposto a minaccia o offerta di denaro)

- rischio di paralisi processuale in caso di perizia articolata e complessa

- ragioni di opportunità quando si debba procedere all’assunzione di una


testimonianza di un minore e si tratti di reati sessuali.

L’incidente probatorio avviene solitamente nella fase delle indagini preliminari.


L’assunzione della prova è disposta davanti al giudice per le indagini preliminari, nel
contraddittorio delle parti e presenta tutte le garanzie procedurali previste per il
dibattimento.

33. L’ADEMPIMENTO DI UN DOVERE l’adempimento di un dovere è una delle


cause di esclusione del reato disciplinate dall’art. 51 c.p. i presupposti sono che:

- il dovere deve essere imposto da una norma giuridica o da un ordine


legittimo della pubblica autorità

- l’ordine deve essere emanato dall’autorità competente ad emetterlo

- deve esistere un rapporto di subordinazione al diritto pubblico


- l’ordine deve essere attinente al servizio del subordinato, rientrare nei
compiti d’istituto e rispettare le formalità di legge previste per la sua emissione

L’art 51 sancisce che qualora l’ordine sia illegittimo, del reato rispondono sempre il
pubblico ufficiale che lo ha emanato, ma anche colui che lo ha eseguito. Il
subordinato andrà esente da pena solo se avrà esercitato il potere-dovere di
verificare la legittimità dell’ordine impartitogli. In ogni caso, la causa di
giustificazione dell’adempimento di un dovere non trova mai applicazione quando
l’ordine riguarda il compimento di un atto manifestatamente criminoso.

34. VIOLENZA, MINACCIA E RESISTENZA AD UN PUBBLICO UFFICIALE ART. 336 C.P.

Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale, Chiunque usa violenza o minaccia a


un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio per costringerlo a
fare un atto contrario ai propri doveri, o ad omettere un atto dell’ufficio o del
servizio, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. La pena è della
reclusione fino a tre anni, se il fatto è commesso per costringere alcuna delle persone
anzidette a compiere un atto del proprio ufficio o servizio, o per influire, comunque,
su di essa. Ipotesi, questa, difficilmente configurabile, ma comunque la pena è ridotta.
Quanto alla nozione di violenza, essa consiste in qualunque forma di energia fisica
idonea a vincere l’altrui resistenza; minaccia è, invece, una promessa di un male
futuro e ingiusto. In ogni caso questa norma non si applica quando il pubblico
ufficiale, l’incaricato di un pubblico servizio o il pubblico impiegato abbia dato causa
al fatto, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni. Si precisa che
l’attività dell’agente deve mirare ad ottonere una condotta futura del pubblico
dipendente; qualora quest’ultima fosse già iniziata, ed il reo vi si opponesse, si
avrebbe il reato di cui all’art. 337 c.p. (resistenza ad un pubblico ufficiale)
RESISTENZA AD UN PUBBLICO UFFICIALE, Chiunque usa violenza o
minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico
servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli
prestano assistenza, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
Note
(1) Non è necessario che la violenza o minaccia sia esercitata direttamente sulla
persona del pubblico ufficiale o sull'incaricato del pubblico servizio, ma è sufficiente
che essa si estrinsechi su cose o anche su privati, purché sia idonea ad impedire, a
turbare e ad ostacolare l'esercizio della pubblica funzione. Si pensi alla fattispecie in
cui l'autore del reato aveva minacciato di ferirsi con i vetri di una bottiglia per
ottenere che gli agenti di custodia del carcere ove egli era detenuto non compissero
l'atto di consegna della sua persona ai carabinieri incaricati della traduzione presso
altro istituto penitenziario.
(2) Non integra né violenza né minaccia la cd. resistenza meramente passiva (ad
esempio, buttarsi a terra, rifiutarsi di obbedire etc.) e quindi essa non integra il
delitto in esame neppure nel caso in cui il funzionario sia costretto ad usare la forza
per vincerla. Dunque è necessario che la resistenza abbia il carattere di
comportamento attivo, ed in particolare, aggressivo e non difensivo.

35. I PROCEDIMENTI SPECIALI

I procedimenti speciali disciplinati dal codice di procedura penale sono: il rito


abbreviato, l'applicazione della pena su richiesta delle parti, il giudizio direttissimo
ed il giudizio immediato.

In particolare sia con il rito abbreviato che con l'applicazione della pena a richiesta di
parte o patteggiamento le parti intendono evitare lo svolgimento del processo con il
rito ordinario; mentre con il giudizio direttissimo ed il giudizio immediato si fa in
modo che si giunga al dibattimento, e quindi al processo, prima che con il rito
ordinario.

Il rito abbreviato può essere definito un giudizio allo stato degli atti in quanto si
identifica con la possibilità per l'imputato di chiedere che il giudice investito del
processo decida sulla base delle allegazioni probatorie già acquisite, vale a dire sulla
base di quanto è acquisito nel fascicolo del pubblico ministero, senza procedere ad
un ulteriore istruttoria e soprattutto senza procedere allo svolgimento del
dibattimento.
La scelta di tale rito comporta una riduzione della pena da applicare, quantificata
nella misura di un terzo della pena complessiva.
La richiesta può essere proposta per iscritto, oralmente oppure a mezzo di difensore
munito di procura speciale, nel corso della udienza preliminare o della udienza
dibattimentale e, in ogni caso, fino a quando non siano formulate le conclusioni.
La richiesta può essere condizionata dal richiedente ad una integrazione probatoria
necessaria ai fini della decisione, come ad esempio l'esame di un teste o
l'acquisizione di un documento, e in tal caso il pubblico ministero ha diritto alla
prova contraria.
E' importante sottolineare che, in caso di condanna con le forme del rito abbreviato,
è possibile proporre appello.
Il patteggiamento è un accordo sulla pena che si realizza quando l'imputato ed il
pubblico ministero concordemente chiedono al giudice di applicare una pena
determinata nella specie e nella misura con il vantaggio per l'imputato di ottenere
una riduzione della pena finale quantificata fino ad un terzo della pena complessiva.
Nella determinazione della pena da applicare, la pena finale, tenuto conto di tutte le
circostanze e della diminuzione per la scelta del rito, non può superare il limite di
due anni, soli o congiunti a pena pecuniaria.
La richiesta di patteggiamento può essere avanzata, nel corso delle indagini
preliminari, o dinanzi il Giudice della Udienza Preliminare, oppure dinanzi il Giudice
del dibattimento, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento.
Oltre ad una riduzione sulla pena finale, con la sentenza di patteggiamento non
viene pronunciata condanna alle spese processuali, né condanna a sanzioni
accessorie ed il reato è estinto nel termine di 5 anni se si tratta di un delitto e di 2
anni se si tratta di una contravvenzione.
La sentenza di patteggiamento non ha efficacia nei giudizi civili ed amministrativi e
pertanto nell'ipotesi di condanna in sede penale con l'applicazione di tale rito, ove
fossero sottese delle questioni civili o amministrative, queste ultime devono essere
decise indipendentemente dalla pronuncia penale. Per esempio nell'ipotesi di
responsabilità derivante da circolazione stradale, ove l'imputato decidesse di
accedere al patteggiamento, tale scelta non potrà influire sull'eventuale giudizio
civile instaurato per la richiesta di risarcimento del danno.
In ogni caso la sentenza di patteggiamento è equiparata ad una sentenza di
condanna per la quale non può essere proposto appello ma, nei casi previsti, ricorso
per cassazione.
Il giudizio direttissimo viene richiesto dal pubblico ministero nei confronti di chi sia
stato arrestato in flagranza di reato o di chi abbia reso confessione. In tal caso il
pubblico ministero, entro 48 ore, può presentare l'imputato in stato di arresto
dinanzi al giudice competente per la convalida dell'arresto ed il contestuale giudizio,
oppure se l'arresto è stato già convalidato, può presentare l'imputato in udienza
entro 15 giorni dall'arresto.
All'udienza l'imputato può chiedere il rito abbreviato o il patteggiamento.
Il giudizio immediato può essere richiesto dal pubblico ministero quando la prova
dei fatti a carico dell'imputato appare evidente e lo stesso sia stato sottoposto ad
interrogatorio per i fatti per cui si procede. Ove ricorrano tali condizioni, il pubblico
ministero, entro 90 giorni dall'iscrizione della notizia nel registro delle notizie di
reato, può formulare al Giudice delle Indagini Preliminari la richiesta di procedersi
con il giudizio immediato.
Nell'ipotesi di accoglimento della richiesta e di fissazione dell'udienza, la stessa si
svolge con il rito ordinario e l'imputato può chiedere il rito abbreviato o il
patteggiamento.

36. I REATI DI PERICOLO

I reati di pericolo riguardano le offese che possono essere recate al bene disciplinato
dalla norma. I reati di pericolo si dividono in:
nel reato di pericolo presunto in cui il pericolo viene presunto su elemti stabiliti
dalla legge, a prescindere da un’analisi obiettiva sulla concreta sussistenza del
pericolo

il reato di pericolo concreto in cui è necessario che il bene sia stato effettivamente
minacciato.

37. LA PERQUISIZIONE LOCALE E PERSONALE l’art. 247 c.p.p. disciplina le


perquisizioni che consistono nella ricerca di cose o persone, al fine di assicurarle al
processo. La polizia giudiziaria può procedervi di propria iniziativa qualora sussista la
flagranza di reato o il delitto di evasione, oppure su delega del P.M., in esecuzione di
un decreto.

Le perquisizioni possono essere:

- personali, atte a rinvenire cose occultate sulla persona, che normalmente


sono il corpo del reato o le cose ad esso pertinenti, ricercate al fine di
poterle sequestrare
- perquisizioni locali o domiciliari, che hanno lo scopo di ricercare una
persona da sottoporre a misura cautelare coercitiva, ad arresto o fermo
dell’indagato, alla cattura dell’evaso, oppure sono finalizzate alla ricerca di
cose o documenti da sequestrare. Questo tipo di perquisizione non può
essere effettuata nelle ore notturne.

Quando si parla di perquisizioni personali devono essere salvaguardati sia il pudore


che la dignità della persona che vi viene sottoposta; in ogni caso, l’interessato ha il
diritto di farsi assistere da persona di propria fiducia. Il decreto di perquisizione
dell’autorità giudiziaria è presupposto necessario per svolgere l’attività; deve essere
consegnato all’interessato, e se questo è assente, ad un suo congiunto o al portiere.
È un atto a sorpresa e il difensore non ha diritto al preavviso, ma il diritto di assistere
all’atto, il quale viene inserito nel fascicolo dibattimentale in quanto irripetibile.

38. DOLO, COLPA E PRETERINTENZIONE

L’elemento soggettivo. Perché un soggetto sia chiamato a rispondere di un reato,


non è sufficiente che l’illecito sia diretta conseguenza della sua condotta, ma è
necessario che l’azione sia accompagnata da una volontà colpevole, indicata con
l’espressione <<elemento soggettivo>> o <<psicologico>> del reato. Essa consiste
nella consapevolezza del disvalore sociale di un fatto reato e nella sua realizzazione
che poteva e doveva evitarsi.
Le principali forme che la colpevolezza può assumere sono: il dolo e la colpa.
Il dolo, è la forma tipica della volontà colpevole e si ha quando l’evento dannoso o
pericoloso prodotto dall’azione od omissione, è dall’agente preveduto e voluto come
conseguenza della propria condotta. Il dolo è composto da: un momento
rappresentativo, poiché è necessario che l’agente si prefiguri tutti gli elementi
essenziali del fatto che costituisce reato; un momento volitivo, in cui l’agente matura
l’effettiva volontà di realizzare la condotta e l’evento conseguente. Perché sussista
responsabilità, la presenza del dolo va sempre accertata caso per caso e provata
dall’accusa, analizzando tutte le circostanze materiali ed a sfondo psicologico in cui il
soggetto ha sviluppato l’ideazione del reato. In sostanza, il dolo consiste nella volontà
di porre in essere una determinata condotta, al fine di produrre un dato evento. Esso
non va confuso però con il movente, che è la motivazione personale ed intima per cui
nella mente del reo è sorto il desiderio di commettere il reato. Questo è irrilevante ai
fini dell’integrazione dell’illecito, mentre può essere utilizzato per la valutazione
delle circostanze e della pena.

La colpa, prevista nell’art. 43 del codice penale, è una forma meno grave di volontà
colpevole e si ha quando l’evento, anche se preveduto dall’agente, non e da lui voluto
e si verifica a causa di negligenza, imprudenza, imperizia o inosservanza delle leggi,
regolamenti, ordini o discipline. Essa sussiste tutte le volte in cui un soggetto, pur
essendo conscio dei pericoli, agisce con superficialità, o avventatezza, senza adottare
quelle precauzioni che avrebbero agevolmente evitato l’evento. Perché un delitto sia
punibile a titolo di colpa, è sempre necessario che sia espressamente previsto dalla
legge. Analizzando la colpa sotto diversi aspetti si ha: la colpa generica, la colpa
specifica, la colpa cosciente e la colpa professionale. Nella tipologia della colpa
generica rientra la realizzazione di un delitto per: negligenza, ossia quando l’agente
commette un reato a causa del suo operare in maniera superficiale e senza
l’attenzione necessaria; imprudenza, quando un reato viene commesso per la
mancanza del buon senso comune e per l’aver agito in maniera avventata; imperizia,
quando il delitto è causato dall’incapacità, dalla scarsa abilita o insufficiente
preparazione a svolgere determinate professioni od attività. La Colpa specifica è,
invece, quella forma di volonta colpevole che ricorre quando l’agente commette un
reato a causa dell’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline e di
qualunque provvedimento amministrativo o disposizione contrattuale. La colpa
cosciente (o colpa con previsione) si ha, per esempio, quando un soggetto pur non
volendo l’evento riesce a prevedere la possibilità del verificarsi del delitto come
conseguenza della sua azione e, ciò nonostante, persiste nella condotta; la colpa
professionale, data la sua particolarità, la dottrina e la giurisprudenza recente,
ritengono che la colpa professionale debba essere valutata alla stregua dei normali
criteri, quando è causata da negligenza o imprudenza. Al fine di stabilire una
gradualità nella colta è conseguentemente provvedere ad una adeguata
commisurazione della pena, il giudice deve valutare i motivi che hanno spinto il
soggetto ad agire, la consapevolezza che dal proprio agire poteva scaturire la
commissione di un illecito penale, la rilevanza delle regole cautelari violate, le
condizioni di vita individuale e sociale del reo, le modalità dell’azione, la gravità del
danno o del pericolo cagionato, la condotta del reo antecedente, contemporanea e
susseguente il fatto.
Preterintenzione. L’art. 43 disciplina un’altra forma che può assumere l’elemento
soggettivo del reato: la preterintenzione. Essa ricorre quando l’agente, con la sua
azione od omissione, commette un evento più grave di quello voluto. Nel delitto
preterintenzionale vi è la volontà di un evento minore ma non di quello
effettivamente realizzato. Nel codice penale l’unico caso di preterintenzione è
costituito dall’omicidio preterintenzionale, art 584 codice penale. Un’altra ipotesi
prevista dal nostro ordinamento è quella dell’aborto preterintenzionale, contemplato
dall’art 18, secondo comma, legge 194/1978, che si ha quando le lesioni ad una
donna finiscono per procurare una interruzione di gravidanza.

39. IL SEQUESTRO DA PARTE DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA


1. ESTORSIONI: (art. 629 c.p.) realizza questo delitto chiunque porocura a se o
ad altri un ingiusto profitto con danno altrui, mediante violenza o minaccia,
costringendo taluno a fare o omettere qualcosa. La violenza è qualunque forma
di forza fisica per vincere l’altrui resistenza, mentre la minaccia e la promessa
di un male futuro. La minaccia può essere esercitata anche nei confronti di
persona diversa dal soggetto il cui patrimonio è aggredito. Per questo reato la
pena è aggravata se il fatto consiste nel porre taluno in stato d’incapacità di
volere o agire, oppure quando la violenza o la minaccia sia compiuta con armi,
da più persone riunite, da soggetto travisato o da persona appartenente ad
associazioni criminali che si avvele della forza intimidatrice in virtù del
vincolo associativo. L’elemento soggettivo - l’orientamento prevalente ritiene
che sia sufficiente il dolo generico della coscienza e volontà di realizzare il
fatto materiale e la consapevolezza dell’ingiusto profitto con danno altrui.
Soggetto attivo: chiunque, in quanto è un reato comune. Nel caso in cui questo
reato venga commesso da un pubblico si applicherà la fattispecie di cui all’art
317 c.p. (concussione). Il soggetto passivo è la vittima del reato. Questo
delitto si consuma nel momento in cui ilo reo consegue l’ingiusto profitto. Il
reato di estorsione si differenzia dalla rapina (art. 628 c.p.) poiché in
quest’ultimo c’è un costringimento assoluto sulla vittima al fine di farsi
consegnare la cosa; mentre nell’estorsione esiste una sorta di “cooperazione”
del soggetto passivo in quanto questi è posto nella condizione di assecondare la
richiesta del reo o subire la violenza o il male minacciato. In sostanza: nel reato
di rapina la vittima subisce passivamente la condotta del reo, mentre
nell’estorsione la vittima compie un atto di disposizione del proprio
patrimonio. A differenza della rapina, l’estorsione può riguardare anche beni
immobili.

SEQUESTRO DI PERSONA A SCOPO DI ESTORSIONE (ART. 630


C.P.): In questo reato la condotta incriminata consiste nella privazione della
libertà personale al fine di conseguire un ingiusto profitto come prezzo della
liberazione. Ai fini della configurabilità del reato, è sufficiente anche che il
soggetto passivo sia posto nella condizione di non potersi muovere liberamente
se non ricorrendo a mezzi straordinari e non facilmente reperibili. La pena è
aggravata se dal sequestro deriva comunque la morte della vittima anche se
non voluta dal reo; è previsto, invece, un ulteriore aggravio di pena se il
colpevole cagiona direttamente la morte del reo. Viene applicata, invece, la
pena ridotta al concorrente che dissociandosi dagli altri si adopera affinchè il
soggetto riacquisti la libertà, si adoperi affinchè l’attività delittuosa sia portata
a conseguenze ulteriori o aiuti l’Autorità affinchè vengano rintracciati e
catturati i colpevoli. Elemento soggettivo: dolo specifico costituito dallo
scopo di conseguire un ingiusto profitto come prezzo di liberazione. Soggetto
attivo: reato comune. Soggetto passivo: la vittima del reato e i titolari del
valore richiesto come prezzo della liberazione. Oggetto giuridico: tutela della
libertà personale e dell’inviolabilità del patrimonio; trattasi di reato
plurioffensivo. La particolarità e che si tratta di un reato permanente, poiché
l’offesa al bene della libertà si protrae per tutta la durata del sequestro.

2. FIGLICIDIO E INFANTICIDIO: Il figlicidio come reato non è contemplato


dal Codice Penale, che riconosce unicamente l'infanticidio e l'omicidio. Nel
primo caso avremo la punizione da art. 578 c.p.. "La madre che cagiona la
morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto, o del feto durante il
parto, quando il fatto è determinato da condizioni di abbandono materiale e
morale connesse al parto, è punita con la reclusione da quattro a dodici anni.
Nel concetto di infanticidio, quindi, la parte attiva che procura la morte è la
madre. Nel secondo caso, i padri e le madri che uccidono il figlio al di fuori
della precisa condizione dell’infanticidio saranno imputati, secondo il C.P.
italiano, di omicidio (art. 575 c.p.). Oggetto giuridico: tutela della vita
umana. La vittima, ovviamente, deve essere persona viva e quindi la norma
non si applica nei casi in cui si infierisce su un cadavere. In quest’ultimo caso
si applica l’art. 410 c.p. (vilipendio di cadavere). Ai fini della legge non è
considerato persona viva neppure il feto prima del parto. Se la condotta
costituente reato si realizza nei confronti del feto prima del parto si possono
configurare gli illeciti in tema di interruzione di gravidanza.

3. INTERCETTAZIONI TELEFONICHE: L’intercettazione è quel mezzo di


ricerca della prova e consiste nell’acquisizione di informazioni scambiate tra
persone distanti, attraverso ogni forma di telecomunicazione (telefono, fax, e-
mail) o anche tra persone presenti (intercettazioni ambientali). L’atto di per se
è lesivo della liberta di comunicazione sancita dall’art. 15 della Costituzione e
quindi necessita di decreto motivato da parte dell’Autorità Giudiziaria. Infatti
vi deve essere: a) l’autorizzazione del giudice per le indagini preliminari
(GIP), che ne assicura la legalità attraverso atto motivato; b) l’autorizzazione
del Pubblico Ministero (PM), in casi di assoluta urgenza. Il G.I.P. deve, in
questo caso, convalidare il decreto motivato del P.M. nelle successive 48 ore,
pena la caducazione (Perdita di efficacia degli atti giuridici per la scadenza di termini
prefissati dalla legge) della legittimità delle operazioni effettuate e la
inutilizzabilità delle registrazioni eventualmente già acquisite. Preposto
all’intercettazione è soloil P.M., anche se l’attività può essere delegata alla p.g.
Esistono inoltre dei requisiti indefettibili (che non devono avere difetto) che
presuppongono la legittimità dell’atto stesso: a) l’intercettazione delle
comunicazioni deve risultare indispensabile per il prosieguo delle indagini; b)
si deve procedere per una delle categorie di reati specificatamente indicati dalla
legge per la gravità e la natura del bene giuridico protetto; c) la presenza di
gravi indizi di reato, poiché gli indizi generici sono sufficienti solo per reati di
criminalità organizzata. L’intercettazione non è finalizzata all’acquisizione
della notizia di reato, ma alla formazione di ulteriori prove.

L’INTERCETTAZIONE AMBIENTALE Per l’intercettazione ambientale


valgono le stesse regole per quelle già dette. Se avviene in domicili privati,
requisito ulteriore per la legittimità è che l’iter criminoso si svolga all’interno
del luogo stesso, l’eccezione è ammessa per i reati di criminalità organizzata,
che per la loro gravità consentono una deroga a tale condizione. L’atto è a
sorpresa ed è esperito nella fase delle indagini preliminari, in quanto solo in
questa ipotesi l’attività può restare ignota alla persona interessata. Quale atto a
sorpresa, come quelli già elencati, confluisce nel fascicolo dibattimentale e non
comporta il diritto per il difensore di essere preavvisato. Lo stralcio o
l’eliminazione delle comunicazioni si ha quando: 1) siano irrilevanti ai fini
della dimostrazione dei fatti costituenti reato; 2) siano coperte da segreto di
Stato o da segreto professionale; 3) siano state registrate in modo illegittimo,
senza rispettare i presupposti di legge; 4) non siano state registrate, ma siano
stati trascritti verbali od altra documentazione. Le comunicazioni possono
essere stralciate in ogni momento su richiesta di qualsiasi persona che ne abbia
interesse, anche se estranea al procedimento.
La durata delle intercettazioni è di quindici giorni, ma può essere prorogata
per uguali periodi ed è documentata attraverso: a) nastri magnetici o dischetti;
b) verbali dell’attività espletata dagli ufficiali di p.g.; c) i verbali di
trascrizione integrale delle comunicazioni registrate, a differenza di quelle
anzidette, rifluiscono nel fascicolo dibattimentale e sono idonei a costituire
prova.

4. ACCERTAMENTI RIPETIBILI E IRRIPETIBILI:

5. LA QUERELA: DIFFERENZA TRA RINUNCIA E REMISSIONE DI


QUERELA : La querela consiste in un atto di volontà della persona offesa del
reato (e non della persona danneggiata) finalizzato ad ottenere la punizione del
colpevole, nei casi e nei modi previsti dalla legge. Può essere presentata anche
da persona minore, purchè abbia compiuto gli anni 14, e dagli inabilitati. In
loro vece possono esercitare il diritto di querela il genitore, il curatore e il
tutore, anche contro la volontà del minore. Il termine stabilito dal codice per la
presentazione della querela e di tre mesi dall’effettiva conoscenza del fatto
reato. La querela può essere rimessa e le spese sono a carico del querelato
salvo diversamente previsto; oppure può essere oggetto di rinuncia, espressa o
tacita, e l’esercizio di tale diritto comporta l’impossibilità di produrla in tempi
successivi. Nei casi di violenza sessuale con minorenne il termine per
proporre querela è esteso a sei mesi e la stessa una volta proposta non può
essere ritirata. La differenza tra remissione e rinuncia attiene non soltanto ai
“tempi” in cui si esprime la relativa volontà, ma anche alle conseguenze
giuridiche da esse derivanti. Invero, la rinuncia è un atto unilaterale e non
necessita di accettazione. Essa, inoltre, determina l’estinzione del diritto di
querela, mentre la remissione è causa di estinzione del reato. In particolare,
l’estinzione del reato per remissione di querela non consente, a fronte del
silenzio delle parti, di condannare l’imputato al pagamento delle spese
sostenute dalla parte civile.

6. L’ELEMENTO OGGETTIVO E SOGGETTIVO DEL REATO: Affinché


un comportamento possa essere ritenuto illecito e integrare fattispecie di reato
occorre che sia contrario alle norme dell’Ordinamento Giuridico. Ma non
basta. Per aversi reato occorre il verificarsi delle seguenti circostanze:
comportamento volontario del soggetto attivo (autore del reato), sussistenza
dell’elemento psicologico (dolo o colpa), nesso di causalità (lega il
comportamento attivo del soggetto che agisce al verificarsi dell’evento lesivo)
e insussistenza di determinate condizioni che potrebbero determinare la
modifica del comportamento da illecito a lecito (le cd. cause scriminanti in
presenza delle quali viene meno il contrasto tra un fatto conforme ad una
fattispecie incriminatrice e l’intero ordinamento giuridico).
Analizzando ,dunque, la struttura del reato è possibile individuare una serie di
elementi essenziali, senza i quali il reato non si realizza, ed una serie di
elementi accidentali (circostanze), la cui presenza non è necessaria ai fini
dell’esistenza del reato. Gli elementi essenziali si dividono elemento
oggettivo ed elemento soggettivo. L’elemento oggettivo e composto: a) dalla
condotta, che consiste ne comportamento del reo; b) dall’evento, che è il
risultato della condotta; c) dal nesso di causalità, che rappresenta il legame che
unisce la condotta all’evento. (condizione essenziale perché si abbia una fattispecie
criminale è l’assenza di cause di giustificazione) . Appartengono all’elemento
soggettivo del reato il dolo e la colpa e la preterintenzione. a) il dolo è la
forma tipica della volontà colpevole e si ha quando l’evento dannoso o
pericoloso, prodotto dall’azione o dall’omissione, è dall’agente voluto e
preveduto come conseguenza della propia condotta; b) la colpa, che una
forma meno grave della volontà colpevole, si ha quando l’evento, anche se
preveduto dall’agente, non è da esso voluto o avviene a causa di negligenza,
imperizia e inosservanza delle leggi; c) la preterintenzione, si ha quando
l’agente con la sua azione od omissione, commette un evento più grave di
quello voluto. Nel delitto preterintenzionale vi è la volontà di un evento minore
e non quello effettivamente realizzato. Nel nostro codice le uniche ipotesi
previste per il delitto preterintenzionale sono l’omicidio e l’aborto.

7. IL CONCORSO DI PERSONE NEL REATO Il reato, come fatto umano,


può essere commesso tanto da un solo soggetto, quanto da una pluralità di
soggetti. In questa seconda ipotesi si realizza quella ipotesi che il legislatore ha
definito come “concorso di persone nel reato”, secondo cui ciascuno dei
connocorrenti soggiace alla pena prevista per il reato commesso. Per chiarezza
va subito detto che la figura del concorso di persone nel reato si differenzia da
quella dell’associazione per delinquere, in quanto il concorso di persone nel
reato prevede che gli accordi tra i concorrenti siano occasionali e diretti alla
commissione di uno o più reati; mentre nei reati associativi il presupposto è un
accordo stabile diretto all’attuazione di un programma delittuoso. Il concorso
di persone nel reato può essere psichico (morale) o fisico (materiale). Si ha
concorso psichico quando una persona suscita in un altro soggetto l’idea, che
prima non aveva, di commettere un reato, ovvero rafforza l’idea di commettere
un reato; si ha invece concorso materiale o fisico allorchè ognuno con una
propria azione od omissione partecipa materialmente alla realizzazione del
reato mettendosi d’accordo con gli altri concorrenti per raggiungere l’obiettivo
comune ovvero la realizzazione del reato. L’accordo criminoso non è
necessario che intervenga prima del delitto, potendo sorgere persino nella fase
di esecuzione del reato. Il concorso può essere di due tipi: concorso
necessario, quando la pluralità dei soggetti costituisce un elemento essenziale
dello stesso reato, come accade ad esempio nel duello e nella rissa; concorso
eventuale, invece, quando il concorso di più soggetti non è indispensabile, ma
è una semplice eventualità.

8. LA DENUNCIA: FORMA E CONTENUTO La denuncia, unitamente al


referto e alla querela (anche richiesta istanza e autorizzazione a procedere) , appartiene
a quelle che vengono definite notizie di reato qualificate, in quanto
espressamente previste e disciplinate dalla legge processuale. Il codice conosce
due tipi di denuncia: quella da parte dei privati e quella da parte di pubblici
ufficiali o incaricati di un pubblico servizio. Per quest’ultimi l’autore può
essere solo un pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio e non
deve appartenere alla polizia giudiziaria. Per la polizia giudiziaria, infatti,
l’obbligo di riferire la notizia di reato è disciplinata dall’art. 347 c.p.p. La
denuncia è obbligatoria per i reati perseguibili d’ufficio. Se appresa fuori
dall’esercizio e non a causa delle sue funzioni si applicano le norme sulla
denuncia da parte di privati. La denuncia è obbligatoria anche quando non sia
stato individuato l’autore del reato. L’obbligo sorge anche quando vi sia
incertezza sul titolo del reato o che il fatto stesso possa essere effettivamente
un illecito. La presentazione o la trasmissione della denuncia deve essere fatta
dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di un pubblico servizio al P.M. o ad un
ufficiale di polizia giudiziaria (e non agente). Non esiste un termine perentorio
per la denuncia al P.M. o all’ufficiale di polizia giudiziaria, essa deve essere
trasmessa “senza ritardo” . La denuncia deve avere la forma scritta. Il suo
contenuto consiste nell’esposizione degli elementi essenziali del fatto,
nell’indicazione del giorno di acquisizione della notizia di reato e delle fonti di
prova già note, ove possibile, le generalità, il domicilio e quanto altro valga ad
identificare la persona alla quale il fatto è attribuito, la persona offesa e coloro
che sono in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione del
fatto. La denuncia da parte di privati, è l’atto mediante il quale ogni persona
porta a conoscenza l’autorità – Pubblico Ministero o ufficiale di polizia
giudiziaria - di un reato perseguibile d’ufficio del quale ha notizia. La
denuncia da parte di privati presenta le seguenti caratteristiche: a) autore può
essere chiunque abbia avuto una notizia di reato perseguibile d’ufficio; b)
nella generalità dei casi la denuncia è facoltativa; c) la presentazione della
denuncia da parte del privato deve essere fatta personalmente, o a mezzo di
procuratore speciale, al pubblico ministero o all’ufficiale di polizia giudiziaria;
d) il privato che presenta la denuncia ha diritto a ottenere l’attestazione di
ricezione; e) la denuncia può essere presentata in forma orale o scritta. Nel
primo caso il P.M. o la p.g. redigerà il verbale, mentre nel secondo caso dovrà
essere sottoscritta del denunciante o dal procuratore speciale; f) per la
denuncia da parte di privati non è previsto un contenuto formale tipico e il
denunciante può limitarsi alla semplice esposizione del fatto.

9. IL REATO Il reato è ogni fatto illecito al quale l’ordinamento giuridico


ricollega, come conseguenza, l’applicazione di una sanzione penale. L’art. 27
della Costituzione stabilisce che “la responsabilità penale è personale”.
L’Ordinamento quindi tutela il principio della personalità della responsabilità
penale per cui, la natura strettamente personale del reato, implica che nessuno
può essere considerato responsabile per un fatto compiuto da altre persone. Da
tale principio consegue che tutte le persone fisiche possono essere considerate
soggetti attivi del reato (l’età, le situazioni di anormalità psico-fisica e le
immunità non escludono la sussistenza del reato ma incidono solo ed
esclusivamente sull’applicabilità o meno della sanzione penale) e quindi
assoggettabili alla sanzione penale mentre restano escluse da responsabile
penale le persone giuridiche. Il secondo e il terzo comma dell’art. 27
prevedono rispettivamente che “l’imputato non è considerato colpevole sino
alla condanna definitiva” e che “le pene non possono consistere in trattamenti
contrari al senso dell’umanità e devono tendere alla rieducazione del
condannato”. Affinché un comportamento possa essere ritenuto illecito e
integrare fattispecie di reato occorre che sia contrario alle norme
dell’Ordinamento Giuridico. Ma non basta. Per aversi reato occorre il
verificarsi delle seguenti circostanze: comportamento volontario del soggetto
attivo (autore del reato), sussistenza dell’elemento psicologico (dolo o colpa), nesso
di causalità (lega il comportamento attivo del soggetto che agisce al verificarsi dell’evento
lesivo) e insussistenza di determinate condizioni che potrebbero determinare
la modifica del comportamento da illecito a lecito (le cd. cause scriminanti
in presenza delle quali viene meno il contrasto tra un fatto conforme ad una
fattispecie incriminatrice e l’intero ordinamento giuridico). A seconda del
comportamento del soggetto agente, si possono distinguere i reati commissivi
(l’evento si verifica per un comportamento attivo e volontario del soggetto
agente che provoca una lesione a un bene tutelato giuridicamente) e i reati
omissivi (il danno si concretizza a seguito di una condotta omissiva del
soggetto agente). Per quest’ultima ipotesi, va detto che l’Ordinamento, tra le
sue regole generali, impone a chi si trova in determinate situazioni, di agire in
un determinato modo. Ai sensi di quanto dispone il secondo comma dell’art. 40
c.p. “non impedire un evento, che si aveva l’obbligo giuridico di impedire,
equivale a cagionarlo”. Il soggetto attivo del reato quindi commette reato per
omissione quando si trova in una di quelle situazioni (stabilite
dall’Ordinamento) e, con il suo comportamento, contravviene a tali
disposizioni e, dalla sua condotta, subisce una lesione un bene giuridicamente
tutelato. La sua omissione integra quindi reato e determina l’applicazione di
una sanzione penale. I reati di omissione a loro volta si distinguono in propri
(o di pura condotta e consistono nel mancato compimento dell’azione
comandata, per la cui sussistenza non occorre il verificarsi di alcun evento
materiale) e impropri (o commissivo mediante omissione e consistono nel
mancato impedimento di un evento materiale che si aveva l’obbligo di
impedire.
I reati possono poi essere distinti in comuni o propri. I primi possono essere
commessi indifferentemente da qualunque soggetto mentre i secondi sono
riferiti a specifiche persone che rivestono una determinata qualifica (es.
pubblico ufficiale nei reati contro la PA). In quest’ultimo tipo di reati vi è
dunque una stretta connessione tra il fatto compiuto e la qualità rivestita dal
soggetto che lo pone in essere. A seconda che il bene tutelato giuridicamente
sia leso o semplicemente offeso, l’offesa del soggetto attivo può assumere due
forme: lesione o messa in pericolo. Sulla base di tale distinzione è poi
possibile distingue ulteriormente due tipi di reati: di danno (è necessario che il
bene sia stato distrutto e/o danneggiato) e di pericolo (per la sussistenza del
reato basta solo che il bene sia stato solo minacciato). Infine, a seconda della
pena prevista dall’Ordinamento, i reati si distinguono in delitti (reati puniti con
le pene dell’ergastolo, della reclusione e della multa) e contravvenzioni (reati
puniti con le pene dell’arresto o dell’ammenda).

10. ASSOCIAZIONE DI TIPO MAFIOSO (art. 416 bis) Commette questo


delitto chiunque faccia parte di un’associazione di tipo mafioso formata da tre
o più persone. La pena è aggravata per i promotori (chi auspica la
realizzazione e assume le iniziative), i costitutori (coloro che reclutano
associati e partecipano agli atti costitutivi), organizzatori (coloro che
definiscono i compiti e programmano le attività). E’ considerata associazione
di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza
intimidatrice del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di
omertà che ne deriva, per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o
indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di
concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti
o vantaggi ingiusti per se o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il
libero esercizio del voto o di procurare voti in occasione di consultazioni
elettorali. Elemento soggettivo, coscienza e volontà di fare parte di
un’associazione che si avvale della forza intimidatrice del vincolo associativo e
della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva, al fine di
contribuire alla realizzazione di una serie indeterminata di illeciti: dolo
specifico.

Soggetto attivo, trattasi di reato comune, ma è necessario che sia realizzato da


tre o più persone (è un reato plurisoggettivo, ossia a concorso necessario).
Soggetto passivo, la collettività e lo Stato italiano. E’ un reato di pericolo che
si consuma che si consuma nel momento in cui sorge il vincolo associativo,
non essendo necessario l’inizio dell’attività criminosa. Trattasi di reato
permanente, poiché l’offesa all’oggetto giuridico si protrae per tutto il tempo
in cui permane il vincolo associativo. Può essere chiamato in correo nel delitto
di associazione mafiosa anche colui che, pur non apportando un contributo
quotidiano all’attività criminale e non fa in alcun modo parte del gruppo, si
pone come punto di riferimento cui l’organizzazione si rivolge nei momenti di
emergenza della vita associativa, per risolvere problematiche contingenti.
Inoltre per questo reato, quando vi sono gravi indizi di colpevolezza, è
applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai
quali risulti che non esistono esigenze cautelari.

11. OMICIDIO (art. 575 c.p.) L’omicidio è l’uccisione di un uomo cagionata da


un altro uomo con un comportamento doloso o colposo o senza una causa di
giustificazione. La norma, dunque, tutela il diritto alla vita. La vittima deve
essere viva: infatti se la persona fosse già morta il delitto sarebbe impossibile
per l’inesistenza dell’oggetto. I mezzi usati possono essere fisici (arma, veleno,
fuoco); psichici (spavento o dolore in un cardiopatico); diretti o indiretti (es.
aizzare un animale feroce contro la vittima o esporre al freddo un neonato).
Quando si parla di omicidio mediante omissione non basta il comportamento
passivo, ma occorre che: • abbia un dovere giuridico di agire ed omette di farlo
(es. la levatrice che non leghi il cordone ombelicale al neonato); • non
impedisca un evento che egli ha l’obbligo di impedire (es. risponderà di
omicidio il casellante che dimentica alzate le sbarre di un passaggio a livello).
Questo delitto si consuma nel momento in cui il soggetto passivo cessa di
vivere. Con riferimento all’elemento soggettivo, l’omicidio può essere doloso,
colposo e preterintenzionale. Relativamente all’omicidio doloso la pena è
aggravata quando: si commette il reato per occultarne un altro; quando è
commesso contro l’ascendente o il discendente; per motivi abietti e futili; aver
adoperato sevizie; aver adoperato sostanze venefiche o altro mezzo insidioso;
l’aver agito con premeditazione; dal latitante per sottrarsi all’arresto, alla
cattura e alla carcerazione; per associazione a delinquere; nell’atto di
commettere violenza carnale o atti di libidine. Ipotesi particolari di omicidio
doloso sono: • infanticidio in condizioni di abbandono morale o sociale (art.
578 c.p.). E’ il caso della madre che cagiona la morte del neonato
immediatamente dopo il parto o del feto durante il parto, quando il fatto è
determinato dalle condizioni di abbandono morale e sociale. In questo caso la
pena prevista è da 4 a 12 anni. • omicidio del consenziente è il fatto di colui
che cagiona la morte di un altro uomo con il consenso dell’avente diritto. In
questo caso il consenso della vittima non esclude la punibilità perché la vita è
un bene irrinunciabile, ma in questi casi la pena è ridotta. • omicidio colposo si
omicidio colposo quando per colpa (imprudenza, negligenza, imperizia,
inosservanza di leggi e regolamenti) si cagiona la morte di un uomo.
• omicidio preterintenzionale quando con atti diretti a cagionare percosse o
lesioni ne derivi una conseguenza non voluta: in sostanza si realizza un evento
più grave di quello desiderato.

12. LE FUNZIONI DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA (art. 55 c.p.p.) La


polizia giudiziaria deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati,
impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori,
compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere
quant'altro possa servire per l'applicazione della legge penale. Note: (1) Il primo
comma occupandosi delle attività che la Polizia svolge anche di propria iniziativa prevede:
a) l'attività informativa che consiste nell'acquisire la notizia di reato, in forma di apprensione
diretta o con ricezione di essa e nel riferirla al P.M. (art. 347); b) l'attività investigativa che
consiste nel ricercare l'autore del reato mediante il compimento di atti tipici ed atipici (art.
348 2); c) attività assicurativa relativa alle fonti di prova, in conformità ad un sistema ove la
prova si forma, almeno di regola, in sede dibattimentale. Quest'ultima si sostanzia
nell'assicurazione personale (arresto in flagranza, fermo di indiziato di delitto, fermo di
identificazione) e nell'assicurazione reale (sequestro del corpo del reato e delle cose a questo
pertinenti, accertamenti o rilievi sullo stato dei luoghi e delle cose). Inoltre la p.g. ha
l'obbligo di raccogliere quant'altro possa servire per l'applicazione della legge penale e
l'obbligo di impedire che i reati siano portati a conseguenze ulteriori (attività repressiva).
La p.g. come soggetto del procedimento penale ha la titolarità di poteri investigativi che
sono autonomi fino a quando il P.M., al quale deve riferire la notizia di reato, non abbia
assunto la direzione delle indagini e impartito le direttive necessarie (art. 348). Tuttavia,
anche dopo l'assunzione della direzione delle indagini da parte del P.M., la p.g. può svolgere
indagini di propria iniziativa. Conseguentemente gli atti compiuti da quest'ultima possono
suddividersi in atti esecutivi di richieste del P.M. e atti liberi di propria iniziativa. (2) La
generale formulazione dell'articolo non consente l'adozione da parte della p.g. di
qualsivoglia provvedimento, ma si riferisce unicamente a quelle attività, specifiche e
predeterminate, autorizzate o imposte dalle norme penali o sostanziali, dirette ad impedire la
protrazione di reati in corso di esecuzione. (3) È il caso di sottolineare che anche nel
compimento di atti specificamente delegati dal P.M. la p.g. opera utilizzando poteri suoi
propri, e agisce nelle forme ad essa peculiari. La delega, infatti, non si traduce nel
conferimento ad essa di poteri riservati dalla legge esclusivamente al giudice o al P.M.

13. SFRUTTAMENTO DELLA PROSTITUZIONE L’attività della


prostituzione non è disciplinata dalla legge. Per prostituzione si intende
l’esercizio abituale di reiterate prestazioni sessuali, dietro compenso, realizzato
da un uomo o da una donna. Per tale attività non è richiesta nessuna
autorizzazione, concessione o comunicazione all’Autorità di pubblica
sicurezza. La legge n. 75 del 20 febbraio 1958, denominata legge Merlin ha
previsto una dettagliata regolamentazione della materia, stabilendo:
l’abolizione delle case di prostituzione; il divieto di qualsivoglia attività che
consenta, agevola o favorisca la prostituzione; il divieto di apertura delle case
di prostituzione; la non punibilità del mercimonio di chi si prostituisce. La
legge non prevede il reato di prostituzione, ma sanziona tutti qu

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