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TAGLIONI ALESSIA MATRICOLA: 151039

STORIA CONTEMPORANEA
E DELLE COMUNICAZIONI DI MASSA

DISTURBO POST TRAUMATICO DA


STRESS
DALLA PRIMA GUERRA MONDIALE AD OGGI

La Prima Guerra Mondiale fu un tragico esperimento naturale; la psichiatria moderna


acquisì per la prima volta l’idea che lo stress prolungato associato al combattimento
potessero far letteralmente impazzire i soldati.
Gli psichiatri introdussero il concetto di “febbre da trincea”, gli inglesi iniziarono a
parlare di “shellshock”, gli italiani di “vento degli obici”, con chiaro riferimento alla
deflagrazione degli ordini bellici.
La strana sindrome era diffusa su tutti i fronti.
I soldati venivano colpiti da una misteriosa sindrome caratterizzata da palpitazioni,
paralisi o tremori su tutto il corpo, incubi, insonnia; a volte smettevano di parlare.
Alcuni sembravano “perdere la testa” per sempre, altri si riprendevano dopo un perio-
do di riposo.
Si ipotizzarono varie cause. La prima idea fu che si trattasse di un disturbo organico,
causato da traumi cerebrali conseguenti all’esposizione alle esplosioni.
Tuttavia, divenne presto chiaro che non era così. I medici cominciarono a interrogarsi
su altre possibilità, prima di tutto quelle psicologiche.
Prevalse l’idea che nei soldati affetti dalla sindrome ci fosse una vulnerabilità fonda-
mentale, che la durezza della guerra e le condizioni al fronte erano le cause di tale
condizione.
Tuttavia, gli esperti furono presto costretti ad ammettere che l’esperienza della strate-
gia di logoramento e della tattica “delle spallate” avevano un effetto dannoso anche in
chi che non aveva registrato alcuna particolare predisposizione o difetto ereditario.
La guerra stessa sembrava essere una causa di malattia. Furono istituiti ospedali nei
pressi del fronte per accogliere non solo coloro che riportavano lesioni fisiche, ma an-
che coloro che mostravano segni di disagio mentale (40 mila in Italia, secondo le sti-
me) che a volte venivano curati e rimandati al fronte, a volte venivano internati in un
ospedale psichiatrico, se i sintomi sembravano troppo strani o gravi per essere gestiti
negli ospedali da campo.
La preoccupazione principale di Generali e capi di Stato era che la “follia dei soldati”
assottigliava sempre più le fila dei combattenti.
Tra gli psichiatri prevaleva l’idea che in molti casi si trattasse di una simulazione,
prioritario divenne smascherare i simulatori.

DAL II° CONFLITTO MONDIALE ALLA GUERRA DEL VIETNAM

Durante la Seconda Guerra Mondiale si iniziò a adottare il termine “Nevrosi traumati-


ca di guerra“.
Nel corso della guerra del Vietnam si passò da “reazione da forte stress” a “disturbi
adattivi della vita adulta“.
Arrivarono gli anni delle grandi marce per la pace, alle quali parteciparono un nume-
ro crescente migliaia di veterani.
Molti erano rientrati in patria con gravi disagi psicologici, molti erano davvero im-
pazziti.
Nel linguaggio comune divenne la “sindrome del Vietnam“.

Solo nel 1980 si è coniato il termine di “Disturbo post-traumatico da stress” per defi-
nire il disturbo d’ansia che insorge in soggetti che abbiano vissuto eventi drammatici
o disastri naturali che abbia messo a rischio la propria vita.
Più recentemente, è stata contemplata la definizione di “Sindrome del rientro dai Tea-
tri operativi”, volta ad incorporare tutti i disturbi connessi con lo stress traumatico in
missioni operative fuori area.
Mentre le statistiche europee nel 2011 attestavano nei contingenti impiegati all’estero
un’incidenza del disturbo post-traumatico da stress tra il 4-5%, con picchi del 20-30%
per le Forze Armate americane, le statistiche italiane dell’epoca riportavano solo due
o tre diagnosi all’anno, considerando circa 150 mila soldati impiegati all’estero tra Li-
bano, Iraq e Afghanistan.

Eppure, l’Italia avrebbe dovuto aspettarsi un’incidenza simile a quella di altri Paesi: il
dato suggerisce che il fenomeno non veniva semplicemente rilevato.
Le ragioni di questa sottovalutazione potrebbero essere state molteplici. Era nell’inte-
resse delle Istituzioni non ammettere che le attività che i soldati italiani svolgevano
all’estero potessero avere effetti iatrogeni.
Era nell’interesse delle gerarchie militari minimizzare il fenomeno per evitare allar-
mismi.
Era nell’interesse dei soldati nascondere il malessere per non perdere il proprio impie-
go.
Tuttavia, già alcune testimonianze rilasciate dai veterani della strage del complesso
italiano di Nassiriya nel 2003 sembravano suggerire una realtà diversa
Dall’Iraq all’Afghanistan, negli ultimi anni le missioni militari internazionali hanno
visto aumentare l’incidenza del disturbo post-traumatico da stress.
Gli scenari operativi nei quali le Forze Armate italiane sono oggi chiamate a operare
si caratterizzano per la notevole criticità, e, sovente, per le sfavorevoli condizioni am-
bientali e l’elevata instabilità sociopolitica.
I conflitti moderni, tipicamente asimmetrici, in cui il potenziale “nemico” si presenta
con modalità fluide ed imprevedibili, con strategie e tattiche di guerra non convenzio-
nale, sottopongono i nostri militari ad azioni (e reazioni) improvvise, premeditata-
mente devastanti, in grado di mettere a dura prova anche le più sane capacità di adat-
tamento.
A questi fattori di rischio, si sommano gli effetti psicologici del distacco e della man-
canza degli abituali riferimenti familiari ed affettivi.
Sono presenti tutte le condizioni perché si manifestino reazioni emotive intense che,
se non adeguatamente monitorate e gestite, comportano seri rischi per la salute menta-
le.
Secondo alcuni osservatori, nel decennio 2003-2013 ci sarebbero stati 241 suicidi tra
i membri delle Forze Armate italiane, di cui 149 Carabinieri. 258 dal 2014 al 2019.
Dall’Iraq all’Afghanistan, negli ultimi anni le missioni militari internazionali hanno
visto aumentare l’incidenza del disturbo post-traumatico da stress.
Gli scenari operativi nei quali le Forze Armate italiane sono oggi chiamate a operare
si caratterizzano per la notevole criticità, e, sovente, per le sfavorevoli condizioni am-
bientali e l’elevata instabilità sociopolitica.

IL DISTURBO POST-TRAUMATICO DA STRESS: SPECIFICITA’


IN AMBITO MILITARE

Una corretta stima dell’incidenza del disturbo in ambito militare si lega alla chiara
esplicitazione dei i criteri diagnostici condivisi dalla comunità scientifica internazio-
nale, così come esplicitati dal Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali –
V edizione.
Il disturbo post-traumatico da stress può manifestarsi in modalità diverse ma la carat-
teristica principale è lo sviluppo di una serie di sintomi ansioso-depressivi a seguito
di un evento traumatico.
I sintomi del disturbo da stress post-traumatico possono essere suddivisi in categorie:
intrusioni, evitamento, alterazioni negative nella cognizione e nell’umore e alterazio-
ni nell’eccitazione e reattività.
Generalmente, chi ne soffre ha frequenti ricordi indesiderati che rievocano l’evento
scatenante. Sono frequenti gli incubi relativi all’evento.
Meno comuni sono gli stati dissociativi transitori in cui gli eventi vengono rivissuti
come se stessero accadendo (allucinazioni), causando talvolta la stessa reazione avuta
nella situazione originaria (ad esempio rumori forti come fuochi d’artificio possono
scatenare una rievocazione di un combattimento, che può spingere i soggetti a cercare
di ripararsi o a gettarsi a terra per proteggersi).

Una solida leadership è essenziale per garantire la tenuta psicofisica dei militari, con-
trastare l’insorgenza del disturbo e favorire la guarigione.
Per essere solida la leadership deve essere quanto più possibile:
Emotivamente carismatica. Deve possedere intelligenza emotiva, per comprendere
e dare un senso agli eventi critici, trasformandoli in un’opportunità di crescita col-
lettiva, e per capire che le barriere, reali o immaginarie, esistono quando si tratta di
cercare aiuto; deve sviluppare empatia per “mettersi nei panni di” e saper supporta-
re nel migliore dei modi i propri sottoposti.
Presente e di esempio. Deve monitorare e sostenere il benessere psicofisico dei sot-
toposti; deve essere resiliente ed in grado di promuovere resilienza.
Responsabile. Deve acquisire competenze psicologiche e concettualizzare soluzio-
ni percorribili all’evenienza; deve conoscere le linee guida per la gestione del di-
sturbo post traumatico da stress;

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