Dissenting Opinion

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Francesco Zito

Tecla Tatti

3 Novembre 2021

Refah Partisi (The Welfare Party) and Others v. Turkey, nos. 41340/98, 41342/98, 41343/98 and
41344/98, 31 July 2001, Third Section

DISSENTING OPINION

Non è la prima volta che la Corte di Strasburgo si trova di fronte a un caso di scioglimento di un partito
politico turco. Richiamando al caso “United Communist Party of Turkey and Others v. Turkey”, la Corte
aveva accertato la violazione dell’Art. 11 CEDU alla luce dell’Art. 10 della convenzione stessa, poiché non
c’era né un c.d. pressing social need, né una proporzione rispetto all’obiettivo legittimo perseguito, in
quanto il solo fatto di contenere - all’interno della denominazione del partito - la parola “comunista” non
risultava sufficiente a configurare un tentativo di stabilire il dominio di una classe sulle altre. La decisione di
scioglimento andava troppo oltre, non essendoci una reale condotta considerabile pericolosa o in grado di
danneggiare l’integrità dello Stato. 

In questo caso invece, la Corte sembra andare contro la sua stessa giurisprudenza. 

La ricerca di un pressing social need e di una proporzionalità della decisione rispetto all’obiettivo legittimo
perseguito viene svalutata. Questo perché la Corte conferma come non ci sia stata una violazione dell’Art.
11 CEDU, senza avere però prove inconfutabili che affermino che il partito in questione volesse costituire
una minaccia a tutti gli effetti per la Repubblica turca, nel tentativo di instaurare un regime teocratico.
Queste ragioni particolarmente convincenti che giustifichino lo scioglimento del partito politico sembrano
essere di dubbia fondatezza. Questo ci porta a non considerarle sufficienti a giustificare la decisione della
Corte costituzionale turca e, di conseguenza, la decisione della Corte di Strasburgo.

Ulteriore Problematica essenziale del caso e critica da muovere alla Corte di Strasburgo sarebbe quella
dell’identificazione della modalità con cui è stata effettuata la valutazione della pericolosità sociale del
partito.

A nostro avviso la Corte ha agito con scopo meramente preventivo in quanto il partito mai aveva esercitato
il potere, né tantomeno aveva ancora avuto possibilità di realizzare il progetto di imposizione di uno stato
teocratico. La lesione del principio democratico, dunque, non si era concretizzata. La corte ha quindi il
diritto di sciogliere il partito sebbene non vi siano atti concreti che siano contrari al principio democratico?

Secondo la Grand Chambre di fatto bastava che fosse il medesimo stato membro ad aver accertato la
realizzazione di un progetto politico che, sebbene non ancora attuato, lasciasse il ragionevole dubbio di
poter essere incompatibile con le norme della convenzione.

Come sappiamo però il controllo europeo deve risultare sussidiario rispetto a quello interno dello Stato, per
cui si dovrebbe rimettere anzitutto all’ordinamento nazionale la valutazione del pericolo concreto. Inoltre,
come descritto, lo scioglimento del partito deve essere atto ad eliminare possibili condotte che possano
distruggere o minare la società laica, ad intraprendere o incoraggiare atti di violenza o di odio religioso, o
altrimenti costituire una minaccia per l’ordine giuridico e democratico in Turchia.

È anche vero che un ordinamento teocratico, per definizione, sarebbe in contrapposizione con il principio di
democraticità, soprattutto perché oltre a minare il principio di laicità dello stato determinerebbe anche una
discriminazione interna tra cittadini basata sulle rispettive appartenenze religiose per cui sarebbe legittimo
lo scioglimento della Corte Europea proprio per l’attività del partito definita come “contraria al principio di
laicità”, per cui perché non affermare la violazione dell’art. 11 quando i precedenti giudiziari erano opposti?
Francesco Zito
Tecla Tatti

La possibile risposta alla domanda è che la corte volesse esonerarsi da responsabilità eventuali dovute
all’inserimento del fattore “Religioso” per cui, affermando la violazione del suddetto articolo si sarebbe
determinata altresì una violazione dell’art. 9 CEDU sul diritto alla libertà di religione per cui il caso si
sarebbe ampliato su ulteriori temi specifici che non erano nucleo fondamentale della questione.

È però vero che la tutela del pluralismo è fondamentale, nucleo centrale per far sì che si possa parlare di
democrazia ad oggi. Tra le diverse tipologie di pluralismo, rientra senza dubbio anche quello religioso, per
cui esso deve essere garantito dagli Stati e fatto rispettare dalla Corte EDU, fin quando l’interpretazione di
una “tradizione religiosa” non costituisca violazione dei diritti umani. Nel caso in questione, non sono state
prese misure - e nemmeno tentativi - in nome di un credo religioso, attentando ai diritti fondamentali. Qui
risiede il problema principale: un mancato rispetto del principio del pluralismo religioso da parte della Corte
di Strasburgo.

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