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Gli storici discutono tra loro per determinare la fine di un periodo e l’inizio del periodo successivo. Vi è:
Storico che pone l’accento sull’aspetto religioso la fine dell’età antica coincide con l’EDITTO DI
MILANO 313 a.C, quindi con la proclamazione del Cristianesimo come religione di Stato;
Storico che pone l’accento sull’elemento politico la fine dell’età antica coincide con a CADUTA
DELL’IMEPERO ROMANO D’OCCIDENTE nel 476 d.C. vi è il crollo dell’istituzione politica che
partorì la più grande esperienza giuridica della storia, ossia il DIRITTO ROMANO.
1. MEDIOEVO
Il medioevo non è un blocco unitario, gli storici (politici) dividono il medioevo in due segmenti:
Alto medioevo va dalla caduta dell’impero romano d’Occidente (476 d.C) sino a, più o meno,
all’anno 1000, tempo oscuro, in quanto c’è l’ignoto. E’ un’epoca di enorme analfabetismo e vi sono
pochi documenti relativi a questo periodo.
Basso medioevo dopo il 1000 si apre il periodo storico del basso medioevo, è un periodo che
riguarda tutto l’Occidente, il quale vive una fase di rinascita. Infatti gli storici del diritto hanno
denominato tale periodo post-mille RINASCIMENTO GIURIDICO: gli storici del diritto identificano il
post-mille come rinascimento giuridico perché da una società più complessa deve necessariamente
seguire un ordinamento giuridico più sofisticato. E’ per questo motivo che coloro che vissero dopo il
1000, dovettero inventarsi un ordinamento giuridico, e quindi un processo più sofisticato.
Fu un passo molto importante per la stessa storia giuridica e anche per la storia del processo in quanto vi fu
una vera e propria AUTENTICA FASE DI LABORATORIO: vi fu una grande novità, in quanto i giuristi
s’inventarono una soluzione del tutto anomala, immaginando che il diritto più complesso, più sofisticato, e
che quindi più rispecchia la civiltà che si sta articolando sia il diritto vecchio di secoli, ovvero il VECCHIO
DIRITTO ROMANO.
L’età tardo-medievale (basso medioevo) è quindi denominato rinascimento giuridico perché rispolvera il
vecchio diritto romano, il quale era stato accantonato da mezzo millennio.
Di tale scoperta ne risentì anche l’ordinamento giuridico, ma non nell’immediato: infatti non cambiò molto,
non fu una novità sconvolgente, quindi per quanto riguarda la storia del processo, non è qui che ritroviamo
il passaggio tra medioevo ed età moderna. L’America infatti, prese come diritto quello europeo, ed è per
questo che, ancora in pieno 900, l’America era considerata una realtà arretrata dal punto di vista giuridico.
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Lo Stato quindi, tenta di abbattere queste mura per detenere il potere sovrano. Inoltre, tale
sovrano, pretende di dover fare lui le leggi (nel medioevo non era così) e quindi
PRIMA NOVITA’ è che il sovrano si pone come LEGISLATORE, e non come GIUDICE.
SECONDA NOVITA’ risiede nel fatto che il sovrano pretende che vi siano organismi suoi
che applichino le sue leggi. Nascono così i TRIBUNALI REGI luogo in cui si applica il
diritto fatto da un altro soggetto (sovrano). Nell’età medievale tutto ciò era una grande
novità.
2. ETA’ MODERNA
Età moderna si caratterizza per la nascita di uno stato moderno che detta le regole per tutta la comunità, e
pretende che, sulla base di quelle regole, gli organismi propri facciano GIUSTIZIA.
TRIBUNALI ESECUTORI Montesquieu passò nella storia per la teoria della SEPARAZIONE DEI
POTERI. Fu considerato come il padre del costituzionalismo moderno, per un motivo legato ad un
accadimento posteriore alla sua morte: quando i giacobini francesi si diedero la loro PRIMA COSTITUZIONE
ovvero la ‘’ DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DEL POPOLO CITTADINO’’ (1789) scrissero che non vi è
costituzione se non vi è la separazione dei poteri.
Quando Montesquieu parla di potere giudiziario, lo definisce come il potere di eseguire le leggi che
dipendono dal diritto civile, e quindi afferma che devono essere separati
POTERE GIUDIZIARIO IL POTERE DI ESEFUIRE I POTERI CHE DIPENDONO DAL DIRITTO CIVILE
Lo stato moderno nasce con l’idea che il tribunale sia il potere/organo che esegue una volontà creata
altrove, cioè dal sovrano tipico della modernità.
L’età moderna termina nel 1789 con lo scoppio della rivoluzione francese con la rivoluzione abbiamo il
collasso dell’età moderna.
I rivoluzionari, quando parlavano di ‘’ ancien régime’’ (antico regime) facevano riferimento a tutto quel
mondo di ingiustizie, privilegi, disuguaglianze ma anche, e soprattutto della CATTIVA AMMINISTRAZIONE
GIUDIZIARIA che caratterizzò i secoli moderni. ‘’Ancien regime’’ coincide con la fine del Medioevo e
l’inizio dell’età moderna.
Perché la rivoluzione è il momento conclusivo dell’età moderna? Perché si entra in un’epoca storica
conosciuta come età contemporanea?
Per rispondere a questi quesiti occorre anzitutto dare una definizione al termine ATOMISMO: atomismo è
un termine sociologico che ha ricadute istituzionali. L’età medievale e poi, con tenaci ricadute nell’età
moderna (come forma di resistenza) erano caratterizzate da un rapporto tra gruppi che costituivano la
geografia di una società.
La società, infatti, era composta da società questa è una citazione di Portalis il quale
affermò: ‘’ Abbiamo abbattuto la società di società’’.
La società dell’antico regime si può meglio immaginare come cerchi concentrici.
Tali cerchi concentrici erano:
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Nobiltà
Feudatari
Clero
Mercanti
Giuristi
Ebrei
Tali cerchi concentrici i quali risiedevano nel grande cerchio della società, avevano una rilevanza anche
giuridica, e quindi giudiziaria. Infatti lo status incideva anche nell’amministrazione della giustizia.
L’atomismo era un tratto tipico dello stato moderno; lo stato tenta di istaurare con il singolo un rapporto di
uno a uno. Non è più tollerabile il privilegio per ceto.
3. COSTITUZIONALISMO
Le due grandi rivoluzioni della fine del 700’ Rivoluzione americana, 1775
Sfociarono in costituzioni
Costituzioni francesi ne sono più di una, di cui la prima è quella più formosa: DICHIARAZIONE DEI
DIRITTI DELL’UOMO E DEI CITTADINI, 1789.
Condanne a morte, arresti arbitrari (non suffragato da nessuna norma, regola o legge), presunzione di
colpevolezza (colpevolezza a prescindere) sono tutti pilastri del processo dell’antico regime che vengono
sovvertiti nell’età contemporanea.
Codificazione i codici non esistevano fino a prima della fine del 700’. Primo codice in senso
stretto fu il codice penale di GIUSEPPE II (1787), la così detta Giuseppina.
L’esistenza di un codice penale cambia il processo penale poiché adesso il giudice non può misurare la pena
‘’ guardando in faccia l’imputato’’ e decidendo per sé la pena da irrogare, bensì deve motivare sulla base di
leggi esistenti.
Nell’antico regime, poiché la società era strutturata in società di società, i meccanismi della rappresentanza
erano meccanismi cetuali, ovvero ciascun ceto contava e pesava negli organi rappresentativi, in quanto
CETO e non somma dei singoli.
La rivoluzione francese infatti scoppiò per via delle assemblee, con la convocazione degli stati generali
era un’assemblea rappresentativa, dove gli stati erano intesi in senso di ceto; tali ceti però non venivano
più convocati dal re nonostante, almeno formalmente, avevano diritto di essere ascoltati. I ceti erano TRE
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ALTO CLERO
NOBILTA’
TERZO STATO detto popolo, ma ovviamente erano soggetti ricchi, perlopiù mercanti, conosciuto
anche come popolo grasso
In questa assemblea si votava, non per singoli, ma per ceto, quindi l’alleanza tra alto clero e nobiltà
facevano maggioranza, estromettendo così il popolo che, già a sua volta, era poco rappresentativo. Si
trattava quindi di una rappresentanza prettamente elitaria.
Poco dopo lo scoppio della rivoluzione francese, in una famosa assemblea solenne, tenuta in una palestra
nella quale si praticava lo sport più popolare nella Francia dell’epoca, la PALLACORDA, i giacobini si
accordarono nel famoso GIURAMENTO DELLA PALLACORDA(1789), affinché da allora in avanti tutte le
votazioni avvenissero per teste e non per ceto.
Questo fu un altro elemento che stravolse la fisionomia dell’età contemporanea rispetto all’antico regime,
dove s’instradò il principio per cui la decisione pubblica deve essere frutto di un consenso maggioritario,
QUANTITATIVO.
Pochi anni dopo la crocifissione, l’apostolo Paolo (colui che fondò la chiesta romana) viene interpellato da
alcuni fedeli, in particolare i fedeli della città greca di CORINTO. In una di queste lettere ai corinzi, Paolo
getta il seme delle episcopalis audentia in quanto consiglia di ‘’invece di dare scandalo davanti ai tribunali
imperiali, di rivolgersi ad un notabile, un personaggio di spicco tra voi, affinché colui risolva pacificamente la
controversia ‘’. Paolo quindi consiglia di utilizzare questo binario alternativo, riservato ai suoi fedeli. Questo
notabile, poco alla volta, viene individuato nella figura del vescovo. Le chiese medievali non sono papa-
centriche, bensì la ‘’figura leader è il vescovo’’, il quale viene investito di questo compito.
Nel momento in cui sale al potere Costantino, esso si converte al cristianesimo, e pensa che questa
soluzione, ovvero di far giudicare le cause anche ai vescovi, sia una soluzione utile, in quanto era a
conoscenza che i tribunali dell’impero erano ormai ‘’ sfasciati ‘’ e perciò era utile l’aiuto dei vescovi per
gestire la giustizia imperiale all’estremo.
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Di fatto, nel 318 d.C. Costantino emanò una costituzione in epoca romana ‘’ constituto ‘’ è la legge
dell’Imperatore.
In questa costituzione Costantino afferma che se un soggetto, durante un processo, chiede di essere
giudicato dal vescovo, il processo verrà sospeso e il giudice ‘’ordinario’’ dovrà considerare sacro il giudizio
del vescovo.
Prima questione che viene a galla a seguito della costituzione del 318 riguarda il pronome si
cuis= se uno : si può presentare la situazione nella quale la controparte non sia cristiana e quindi,
che non sia d’accordo sul rinviare la questione al vescovo.
A questo punto, Costantino è costretto a ritornare con una seconda costituzione del 333 d.C. che viene
denominata dagli storici interpretazione autentica= quando l’interpretazione proviene dalla stessa fonte
che ha emanato la norma da interpretare
Costantino, con la costituzione del 333 conferma che, anche unilateralmente abbia adito il vescovo, è
giustificato il trasferimento della causa da un tribunale ordinario a quello vescovile.
La sua normativa in materia è completamente sbilanciata a favore delle espiscopalis audentia, e cominciò
così il medioevo del processo.
Lezione: 18/09/19
Le episcopalis audentia sono la forma di giustizia più medievale che la nostra storia abbia conosciuto.
Giustizia del vescovo la giustizia del vescovo, non come persona singola, bensì intesa come giustizia del
suo ufficio. Tale giustizia avverrà nel momento in cui tale tribunale verrà istituzionalizzato e, dopo la caduta
dell’ Impero romano d’Occidente, resterà l’unica forma di giustizia a cui tutti possono accedere; è tipico
della giustizia medievale occorrere all’autorità spirituale.
Ad oggi infatti, siamo attenti a distinguere la sfera spirituale da quella temporale; nel mondo medievale
invece non vigeva tale distinzione, era un mondo più semplice dove i valori erano coesi:
Non vi era separazione tra GIUSTIZIA TERRENA E GIUSTIZIA ULTRATERRENA, bensì la giustizia era UNICA.
COSTANTINO fu il primo imperatore convertito, il quale decise di dare spazio alla giustizia del
vescovo per due volte con ben due costituzioni:
333 d.C. stabilì anzitutto che bastasse l’istanza di una sola parte affinché potesse trasferirsi la causa dalla
sede imperiale alla sede vescovile, e inoltre che il giudice imperiale avrebbe dovuto accettare come
inderogabile la decisione del vescovoGiudizio vincolante anche per le autorità imperiali.
A seguito di Costantino nel V secolo altri imperatori decisero che non bastava la richiesta di una
sola parte per adire il giudice vescovile: occorreva il consenso di ambedue le parti. Infatti, gli
imperatori si resero conto che questa era un’eccessiva apertura di fiducia alle autorità
ecclesiastiche, e per questo gli imperatori decisero, con successive costituzioni, che sarebbe stato
necessario il consenso delle parti per questo trasferimento. Il problema principale era che le cause non
erano sempre instaurate tra cristiani.
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5. VI secolo d.C.
fu un secolo chiave nella storia del diritto, perché è il secolo della compilazione giustinianea.
In questo secolo l’IMPERATORE GIUSTINIANO riassume in un unico corpus tutta l’esperienza giuridica
romana: ricerca anche le costituzioni dei suoi predecessori che si erano occupate della giurisdizione
vescovile.
Giustiniano trova da una parte le costituzioni di Costantino, e dall’altra parte le costituzioni del V secolo che
trattavano del muto consenso= accordo tra le parti.
Di fronte a questo personaggio ci aspettiamo che scegliesse come definitive le costituzioni di Costantino,
invece Giustiniano inserisce nel CODEX (raccolta delle costituzioni dei suoi predecessori) le costituzioni che
imponevano di adire il giudice vescovile solo in presenza del consenso tra le parti.
Tuttavia, Giustiniano, una volta terminata la compilazione ha dei ripensamenti, e decide di apportare degli
aggiustamenti al codice: lo fa attraverso dei provvedimenti che prenderanno il nome di novellae
constitutiones in queste novelle vi è una parte in particolare che riguarda la giurisdizione del vescovo.
ASSENTE in una situazione particolarmente ‘’sfasciata’’ è possibile che non vi sia nessuno a
giudicare la causa. In questo caso il vescovo interviene con funzione di supplenza
INERTE il giudice che non decide le cause in tempi ragionevoli
SOSPETTO ad esempio, di parte.
Quindi il vescovo, figura apparentemente esterna alla sfera imperiale, viene promosso da Giustiniano come
ispettore della giustizia imperiale.
Giustiniano quindi, apparentemente, opta per la soluzione meno favorevole per i vescovi, cioè impone il
requisito del consenso tra le parti. Tuttavia, attraverso le novellae attribuisce ai vescovi un penetrante e
incisivo potere di controllo sulla GIURISDIZIONE CIVILE ( civile in senso di civitas= pubblica imperiale)
6. COMPILAZIONE GIUSTINIANEA
Dante, nella Divina Commedia ci fa un ritratto di un rigo di Giustiniano, dicendo che fu colui che tolse dalle
leggi il troppo e il vano. Ciò significa che Giustiniano rielaborò tutta l’esperienza del diritto romano
aggiornandola ed eliminando le parti che non riteneva utili, operando con quella tecnica del ‘’ taglia e
incolla ‘’.
Giustiniano fu il più grande protagonista legislatore della storia del diritto. L’ operato di Giustiniano è stato
oggetto di culto religioso e di disprezzo acceso, tuttavia compì un capolavoro. Giustiniano era un
imperatore d’Oriente nel 476 d.C. Romolo Augustolo, ultimo imperatore d’Occidente venne deposto,
susseguendo il crollo dell’Impero.
L’ Impero romano d’Oriente invece continuò a sopravvivere sino al 1453 d.C. quando i turchi espugnarono
Costantinopoli , capitale dell’impero romano d’Oriente (attuale Istanbul).
Mentre nell’impero romano d’Occidente arrivarono a valanga i barbari, in Oriente continuava a detenere il
potere l’imperatore nel VI secolo, anni 20’ del 500’ d.C. diviene imperatore Giustiniano.
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Obiettivo di Giustiniano, grande mitomane, era quello di riunificare i due grandi imperi, riconquistando
l’impero romano d’Occidente. Tale operazione gli riesce, ma solo per pochi anni, in quanto conquistò l’Italia
nel 552 d.C. per poi morire nel 565 d.C.
Prima di riconquistare l’Impero, Giustiniano fece uno dei più grandi capolavori giuridici: decide di salvare
dal diritto romano ciò che è ancora utile, ciò che poteva ancora essere vigente DIRITTO POSITIVO.
A tal fine nomina una commissione, il cui presidente è il suo ministro della giustizia il cui nome è
Triboniano, il quale, con i suoi colleghi giuristi, agisce su due principali ambiti del diritto romano. Dal
momento che anche chi è vissuto nel passato, aveva un passato, ciò su cui fa operare Triboniano e i suoi
colleghi sono i due grandi fiumi che rappresentarono gli affluenti del diritto romano:
IURA con il termina iura ci si riferisce ai frammenti dei giuristi (giure consulti). Tali frammenti
sono molto importanti in quanto nel diritto romano, nell’età classica, era tutto impregnato sulla
giurisprudenza, ed era un tipo di diritto casistico risolveva caso per caso. I giuristi Gaio, Ulpiano
ecc… scrissero perlopiù responsi su casi pratici, non si trattava quindi di trattati, bensì di opere
come risposte a casi concreti.
Triboniano e i suoi colleghi travisano il senso di questi scritti poiché, invece di considerarli come soluzioni
concrete a singoli casi, raccolgono tali scritti come se fossero opere, mettendo insieme pezzi che a volte
risultano sconnessi, ma unificati dalla unicità della trattazione dell’oggetto.
Giustiniano fa compiere quindi dalla commissione quello che hanno fatto tutti i grandi legislatori, cioè
selezionare e conservare in vigore le costituzioni dei suoi predecessori ancora vigenti, e scartare quelle che
non ritenevano utili.
Questo tipo di lavoro sfocia in alcuni testi fondamentali nella storia del diritto:
CODEX, 529 d.C. è la raccolta di leges imperiali. Prende il nome di codex in quanto tale parola,
all’epoca di Giustiniano, significa ‘’cucire’’ .
Il codex era un libro cucito sul dorso, perché, in quanto si tratta di manoscritti, Triboniano prendeva
direttamente questi fogli, pergamene su cui erano trascritte le costituzioni e le rilegava insieme cucendole
appunto sul dorso.
Qualche anno dopo, Triboniano e i suoi collaboratori partoriscono il secondo pezzo della compilazione:
DIGESTO, promulgato il 16 dicembre del 533 d.C. con la costituzione imperiale bilingue TANTA, ed entrò in
vigore il 30 dicembre del medesimo anno si tratta della compilazione giustinianea più pregiata, in quanto
contiene gli iura, che come già detto, si tratta dei frammenti dei giuristi i quali sono stati selezionati e scelti
sulla base di un procedimento simile al nostro metabolismo. Non a caso, il termine DIGESTUM ha la stessa
radice del verbo digerire il nostro stomaco, nella digestione, seleziona l’utile per il funzionamento del
nostro organismo e scarta gli eccessi; allo stesso modo Triboniano e collaboratori operano sul materiale
romanistico a lui precedente. Si tratta di un’opera di scarto sulle cose da respingere, e di conservazione
sugli elementi da tramandare. Compie quest’operazione perché la sua intenzione è quella di rendere i
frammenti salvati DIRITTO VIGENTE: sotto le insegne di Giustiniano vuole rendere il diritto dei giuristi
precedenti diritto positivo, e quindi vigente.
Dopo la morte di Giustiniano, quando in Occidente arrivarono altre popolazioni barbariche, il Digesto non
venne più utilizzato, né come diritto positivo, né dagli studiosi. Dopo il 1000 d.C. , misteriosamente, il
Digesto ricompare all’orizzonte e diventerà, nella fase del rinascimento giuridico medievale, perno dell’
ordinamento giuridico, non solo in Italia, ma in tutto l’Occidente, diventando diritto vigente. Resterà
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diritto vigente sino all’età napoleonica (700 anni) tanta fortuna deriva dalla qualità del digesto,
sicuramente pieno di contraddizioni, ma un’opera assolutamente geniale. Il nostro codice civile, non a caso,
deriva da una rielaborazione dei principi del Digesto.
STRUTTURA DEL DIGESTO è un’opera suddivisa in 50 libri. Questi 50 libri, nel medioevo,
vennero riscoperti in tre momenti diversi, da un grande studioso di nome Irnerio( vissuto nel
1100):
3.LIBRI 24-38 pezzo intermedio, DIGESTUM INFORTIATUM= INFORZIATO : venne così chiamato perché
per i falegnami medievali (artigiani) infortium è il pezzo mancante delle porte che non si chiudevano bene,
in poche parole era il tassello mancante.
LIBRO I conteneva i principi generali a cui deve ispirarsi la giustizia, l’ordinamento. Ciascun libro del
Digesto era diviso in titoli, e ciascun titolo era diviso in paragrafi.
Nel I LIBRO ci sono le espressioni più altisonanti: il primo titolo del I libro s’intitola DE IUSTITIAE ET IURE
= SULLA GIUSTIZIA E SUL DIRITTO dicotomia, intuizione geniale di Giustiniano e Triboniano, la
separazione della GIUSTIZIA DAL DIRITTO.
I.I.I. Brano di Ulpiano il diritto è l’arte del buono e del giusto ARS BONI ET EQUI ( ARS= artigiano,
creatore) perciò mai giustamente verremo chiamati sacerdoti, infatti coltiviamo la giustizia, come un
sacerdote coltiva la giustizia in modo assoluto, così noi coltiviamo la giustizia terrena e professiamo la
conoscenza del buono e dell’equo; separiamo l’equo dall’iniquo e il lecito dall’illecito. Insomma la nostra è la
vera filosofia, non quella simulata.
Ulpiano, inoltre ci dice che la giurisprudenza è la conoscenza delle cose umane e divine. Il diritto è la
capacità di governare e controllare il divino e l’umano ecco perché ai medievali piace molto tale
concezione del diritto, in quanto permette di tenere insieme i due poli che saranno tipici nell’esperienza
medievale, rispetto al mondo romano, che era un mondo unidimensionale, i medievali inseriranno una
nuova dimensione, ovvero quella religiosa. Per loro fortuna, i giuristi romani avevano già affermato che la
giurisprudenza è la scienza del divino e dell’umano.
Lezione: 24/09/19
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Giustiniano e Triboniano decidono di raccogliere in tre grandi volumi tutti i pareri e responsi dei giuristi
dell’epoca romano prendevano il testo che loro ritenevano opportuno riportare, e lo ‘’ spostavano’’. Tale
‘’spostamente’’ ovviamente, ne alterava il significato
Il Digesto era diviso in 50 libri, che poi i giuristi medievali frazionarono in tre blocchi
8. CODEX
Primo tassello della compilazione giustinianea, esso conteneva le costituzioni e leges, del 529 d.C.
Questo codex sparisce, probabilmente perché allo stesso Giustiniano il risultato non piacque, ritirandolo.
Nel 534 d.C. Giustiniano fece predisporre una nuova edizione che prende il nome di CODEX REPETITAE
PRAEVECTIONIS.
Tali costituzioni nel codice sono disposte in ordine cronologico e Giustiniano, dall’inizio, inserisce la
costituzione che, secondo il suo punto di vista, è quella più simbolica rispetto alle altre.
Tale costituzione è la famosissima norma denominata EDITTO DI TESSALONICA, 380 d.C si tratta
dell’editto con il quale gli imperatori TEODOSIO E VALENTINIANO avevano dichiarato il cristianesimo
religione di Stato (seguendo la scia di Costantino).
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Giustiniano tale editto lo inserisce nella prima pagina del Codex, proprio per lasciar intendere il suo punto
di vista, per far capire ‘’questo è un impero cristiano’’. Questa fu la sua più importante marca che ha
impresso sulla storia del diritto, la cristianizzazione del diritto romano, un diritto che nacque pagano.
Gli ultimi tre libri (10-11-12) erano a parte perché trattavano del diritto costituzionale, di un
ordinamento giuridico che nel medioevo non era più esistente. Dal momento che era un ordinamento
giuridico superato, non vi era alcun motivo di collocarli insieme alle alte, ed è oer questo che assumono una
collocazione autonoma.
Il codex ha una forte impronta cristiana, in quanto nel primo libro Giustiniano inserisce tutte le costituzioni
che si occupano di fede cattolica.
10. ISTITUTIONAES
Sempre nel 534 d.C. Giustiniano fa promulgare il quarto pezzo della sua raccolta, le istituzioni, composte in
quattro libri.
La parola istituzione significa fondamento (institue gettare le basi). Tale raccolta erano i libri che
Giustiniano aveva studiato e predisposto per gli studenti di giurisprudenza. Gli studenti avrebbero dovuto
avere il primo approccio con il diritto nelle grandi scuole imperiali (COSTANTINOPOLI E DI BENTO) con le
Istituzioni.
Questo fu, almeno a suo dire, l’ultimo tassello della composizione giustinianea Giustiniano pronunciò la
celebre frase: ‘’ basta, questa è l’ultima parola in fatto di diritto’’. Tuttavia Giustiniano, nel giro di pochi
anni, dovette rimangiarsi tali parole in quanto gli anni passano e, ancora lui vivente, fu costretto ad
apportare degli aggiustamenti, tali aggiustamenti prendono il nome di novellae.
11. NOVELLAE
Le novellae sono appunto dei ritocchi, in quanto l’espressione novella sottintende la parola constituto.
Molto importanti per i medievali (i quali avevano una mania da collezionista della raccolta) li organizzavano
in raccolte.
Raccolta molto importante da ricordare, che fu ritrovata da Irnerio ( giurista molto importante),
s’intitola AUTHENTICUM, ed è simbolo di quest’intervento tardivo di Giustiniano. S’ intitola così perché
Irnerio, giurista medievale del 1100 d.C. vissuto secoli dopo Giustiniano, aveva imparato a studiare su
una certa raccolta, ma ad un certo punto i suoi colleghi, li portarono un altro testo, un’altra raccolta di
novellae, e lui, accorgendosi di trovarsi di fronte a quella originale, pare che abbia esclamato, secondo
la legenda : ‘’ Alt, questo è AUTENTICO’’.
Riassumendo
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Quindi, ricapitolando, questa compilazione giustinianea si articola in blocchi. Poiché una parte di questi
blocchi sparisce nel corso del tempo, ed è proprio il Digesto (che verrà ritrovato dopo secoli) si determina
una diversa composizione della compilazione Giustinianea.
Giustiniano aveva dato ordine di fare il Codex, Digesto e Istituzioni. I giuristi medievali ritroveranno a pezzi
tale compilazione, e da allora in poi questa compilazione verrà articolata, così come l’articolarono i giuristi
medievali. Quest’articolazione non è quella originaria di quella di Giustiniano, bensì era medievale. Questo
testo è famoso in tutto il mondo con la denominazione CORPUS IURIS CIVILIS quindi questo non è il
nome datole da Giustiniano, bensì è stata attribuita da un grande giurista del 1500 d.C.
LIBRI FEUDORUM testi scritti che spiegavano come funzionava il feudo. Lo fecero rientrare lì
perché il mondo romano non conosceva il feudo;
LE COSTITUZIONI DEGLI IMPERATORI GERMANICI in particolare, quelle di Federico Barbarossa.
Quest’inserimento è dovuto al fatto che i medievali avevano della storia del passato una
concezione ciclica, ovvero il passato è destinato di continuo a ripetersi, in quanto fa parte di una
visione provvidenziale della vita. Sono i successori dei grandi imperatori romani, come Augusto,
Nerone, Costantino, Tiberio hanno fatto costituzioni, così le hanno stipulate anche gli imperatori
medievali ed è giusto che, per quello che hanno disciplinato gli imperatori medievali, ci sia un
piccolo spazio almeno nel volumen.
Tuttavia, in tutto questo non c’è spazio per il diritto della chiesa grande polmone del diritto medievale,
infatti la chiesa è la grande protagonista della vita politica medievale. Non si trova all’interno del Corpus
Iuris Civilis perché questo è ciò che i medievali chiamavano ius civile diritto civile, diritto che riguarda la
civitas (sfera laica), in alternativa allo ius canonicum, altra grande faccia della medaglia del diritto
medievale.
13. Giustiniano
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Giustiniano vive nel VI secolo d.C., e vive come una meteora perché, per pochi anni (16 anni) sogna di
restaurare l’Impero Unito (oriente ed occidente), e sogna di dare all’impero ricostituito,
quest’ordinamento giuridico. Sono per l’esattezza sedici anni in quanto Giustiniano conquistò l’Italia (
piatto forte dell’ex Impero d’Occidente) nel 552 d.C. per poi morire nel 565 d.C. . Nel 568 d.C. in Italia
arrivarono i longobardi, popolazione barbarica più grezza e feroce, e scacciarono i bizantini, popolazione di
Giustiniano. L’ impero romano d’Oriente continuò a vivere sino al 1463 d.C., quando i turchi conquistarono
il Santo Sepolcro; tuttavia, l’impero d’Oriente nonostante questa sua lunga vita, non adottò mai il diritto
giustinianeo, bensì venne adottato solo in Occidente mezzo millennio dopo la morte di Giustiniano.
Diritto giustinianeo è un diritto bizantino, in quanto nacque a Costantinopoli. Questo tipo di ordinamento,
almeno in base alle nostre odierne conoscenze, non venne mai adottato in nessuna fase storica nell’Impero
romano d’Oriente. Non venne adottato nemmeno in Occidente, in quanto l’occupazione bizantina durò ben
poco. Quest’ordinamento venne ripreso quando nacquero le grandi scuole medievali, intorno al 1100 d.C.
Quando i longobardi arrivarono in Italia, non cambiarono metodologia, bensì rispecchiarono perfettamente
la descrizione di Tacito, e adottarono un diritto prevalentemente consuetudinario, non scritto, un diritto
estremamente semplice basato sull’oggettività.
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Tizio aveva un cavallo e quest’ultimo rompeva la staccionata di Caio, in un processo germanico non
contava la dinamica, bensì il fatto oggettivo. Non a caso ad oggi si parla di responsabilità oggettiva.
Quest’oggettivismo portava alla mancata distinzione di illecito civile e illecito penale. Per i longobardi tale
distinzione non aveva motivo di sussistere in quanto l’illecito era tale, e l’unico modo per venirne fuori era
ripararlo, e tale riparazione in genere avveniva in denaro tale metodo porta al carattere transattivo del
processo longobardo.
Nonostante questa enorme differenza di grado di civiltà, un po’ alla volta i longobardi cominciarono a
mettere per iscritto le loro leggi.
EDITTO DI ROTARI 643 d.C. Rotari, all’inizio dell’editto, con una specie di introduzione
dice:’’ non preoccupatevi, non voglio introdurre nuove leggi, ma mi limito a mettere per
iscritto le nostre vecchie consuetudini’’.
Questo è in realtà la consacrazione di una consuetudine, tant’è che un grande filosofo successivo
a tale periodo, dirà che la consuetudine è una legge in potenza= consuetudo lex in potentia.
All’interno dell’editto, Rotari inserisce anche delle regole che riguardano, per l’appunto, il
processo:
Rotari stabilisce che nel caso in cui qualcuno attenti il re, vi è la condanna a morte
Rotari prevede che, nel caso di omicidio, la pena possa consistere in una somma di denaro
(carattere transattivo della pena) e che tale somma vada suddivisa in parte all’offeso/famiglia
dell’offeso, e in parte all’erario;
LIUTPRANDO Siamo agli inizi dell’ VIII secolo, tra Rotari e Liutprando tuttavia, vi è una
differenza fondamentale: Liutprando infatti, pare che si fosse convertito al cristianesimo,
probabilmente per opportunismo al fine di entrare nelle grazie del papa, nemico giurato
dei longobardi in quanto quest’ultimi erano di religione ariana, perciò non vi era alcun filo
conduttore tra di loro.
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Tale conversione portò Liutprando su posizioni più ragionevoli, anche dal punto di vista processuale
infatti, Liutprando si scardina maggiormente dalla forma tipica del processo germanico, con il così detto
GIUDIZIO DI DIO.
IL GIUDIZIO DI DIO è un tipo di processo che si basa su una tipica mentalità altomedievale, denominato
dagli studiosi ONTOLOGISMO= dalla radice ont verbo essere, ontico/ontologico: ciò che attiene all’essere.
Dire che una popolazione, nell’ambito del diritto, ha una visione ontologica significa che questi popoli
credevano che ciò che esiste deve esistere, non vi è la differenza tra essere e dover essere, bensì vi è un
appiattamento tra questi due livelli, poiché tutto ciò che accade è voluto da Dio; i filosofi lo denominano
DIO IMMANENTE che esiste in natura, è natura ed è ovunque.
Tale mentalità, tradotta nel processo, sfocia nel pensiero che se si celebra un processo, tale processo non
piò che dare il risultato voluto da Dio. Il processo quindi, deve essere organizzato in modo tale da
verificare qual è la volontà, e quindi il GIUDIZIO DI DIO. Tutto ciò risale anche da raffigurazioni
artistiche del processo barbaro, come ad esempio la rappresentazione di un pentolone con dell’acqua
bollente al suo interno, il soggetto accusato deve inserire una mano in questo pentolone, se costui riesce a
prelevare l’anello dal fondo di quest’ultimo salvandosi, allora ciò significa che Dio è dalla sua parte, se
soccombe, allora è nel torto.
I longobardi quindi, si affidavano all’intervento diretto e costante di Dio nella giustizia, in quanto Dio è
giusto e non potrà che desiderare un’affermazione della giustizia. Tutto ciò avveniva anche quando la
contesa era tra due parti in tal caso i due litiganti si sfidavano in un duello, e Dio farà in modo che vinca
colui che è dalla parte del giusto. Tutto ciò, come già detto, è il frutto della mentalità ontologica dei
longobardi.
Negli editti di Liutprando e Rotari, vi è un capitolo che si occupa proprio del duello Liutprando,
all’interno di una legge afferma che lui sarebbe contrario al duello giudiziario, ma dato che questa è la
consuetudine della sua gente, tollererà che si continui ad applicare.
Quest’affermazione rappresenta la prima mitigazione più dichiarata del giudizio di Dio, una prima presa di
distanze ufficiale.
Inoltre, Liutprando incentiva nei suoi editti, il ricorso alla commutazione della pena in denaro tale
commutazione in denaro, in caso di omicidio, prendeva il nome di GUIDRIGILDO, ed è appunto la somma di
denaro che l’offensore doveva all’offeso per il torto commesso.
Tali regole erano soggette al principio della personalità del diritto tali regole infatti, valevano solo tra i
longobardi. Tuttavia vi sono delle norma che prescindono da tale principio, come ad esempio l’attentato al
re.
Ed è qui che s’innesca l’ultimo punto che riguarda questi editti, ed è il punto relativo ad una famosa norma
che è all’interno degli editti di Liutprando
CAPITOLO 91, DE SCRIBIS (RIVOLTA AGLI SCRIVANI NOTAI) Tale norma autorizzava le parti,
nel momento in cui stipulassero un contratto, ad abbandonare il proprio diritto personale e ad
accordarsi con l’altra parte la quale era portatrice di altre regole.
Negli editti di Liutprando quindi vi è questa norma che autorizza ai notai ad accettare l’accordo in base al
quale una parte rinuncia alla sua legge personale, per abbracciare le regole della controparte.
Anche in questo caso, gli editti di Liutprando superano il diritto personale, delineando una civilizzazione
giuridica del popolo longobardo.
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18. PROCESSO LONGOBARDO
Posto che vi sono poche e rare fonti, tra l’altro anche confuse, da ciò che risale il processo longobardo è un
processo BIFASICO:
PRIMA FASE Colui che accusava doveva indicare quali regole presumeva fossero state violate, e la
controparte doveva accollarsi l’onere della prova, non sui fatti, ma sulle regole. La controparte doveva
dimostrare quali regole erano vigenti, in quanto le regole si basavano su consuetudini orali. A tal punto, la
parte si rivolge alla persona più anziana del paese, chiedergli di presentarsi in tribunale e affermare che da
quando egli è in vita e dai racconti, nel paese vige quella consuetudine quindi, era la parte che portava
al giudice la regola Fissata la regola, si apre la seconda fase.
E’ invertito l’onere della prova nel diritto romano vige la regola per cui ONUS PROBANDI
INCUMBIT EI CUIT DICIT NON EI QUI NEGAT= ONERE DELLA PROVA INCOMBE SU CHI AGISCE, NON
SU CHI NEGA
Inversione tra accertamento della norma vigente e l’accertamento dei fatti nel diritto romano
veniva prima l’accertamento della norma e poi quella del fatto.
Lezione: 01/10/19
DOPO IL 1000 La società orientale cambia fisionomia: diventa meno precaria, meno in bilico rispetto ai
suoi restidui. Ciò avviene grazie ad una ripresa economica la quale consente di produrre di più, produrre
ciò che Marx chiamava il SURPLUS, ciò che sopravanza rispetto agli estremi bisogni. Vendere un prodotto
infatti, significa creare il mercato, creare il mercato significa ricreare le città organizzazione di vita
associata dell’epoca romana.
Molte città però sono anche di tipo medievale, e quando diciamo medievale non ci riferiamo all’Alto
medioevo, bensì al tardo-medioevo (post-mille), soprattutto in Europa centrale, particolarmente in
Germania.
Nascono così i borghi città tedesche, tipicamente commerciali, e sono dei contesti nei quali si fa scambio
di merci con denaro. Entra così in gioco il denaro, mentre nell’ alto medioevo la contrattazione tipica era il
baratto.
A tal punto, una società più complessa ritorna al vecchio istituto romanistico, quale è la compravendita.
L’immissione in circolazione del denaro comporta il problema del prestito su questo tema, vi è una grave
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ipoteca religiosa, perché, secondo la Chiesa, non si poteva prestare denaro chiedendo gli interessi, che i
giuristi medievali chiamavano usura.
Ad una società più complessa, deve necessariamente corrispondere un diritto più complesso; mentre
l’alto-medioevo si era basato su un diritto elementare e primitivo, nel tardo-medioevo giuridico si assiste
ad un ritorno della IURIS PRUDENTIA dottrina che verte sul diritto, la quale consiste in un sapere teorico
finalizzato alla prassi.
Il giurista medievale quindi, provenendo da un tunnel oscuro in cui il diritto era un affare estremamente
semplice, rozzo e orale poiché era una società prettamente analfabeta, si trova a dover compiere un ‘salto
di qualità’ culturale, creando una iuris prudentia che sia soprattutto prevalentemente scritta. I giuristi
medievali a tal punto, furono nel medesimo tempo geniali e folli perché pensarono che in fondo la
soluzione al problema ce l’avevano già: rimediarono a questo problema con il ripescaggio dell’antico
diritto romano, ritenendo di avere già in casa la soluzione della quale avevano bisogno.
Tutto ciò viene costruito sui pilastri dell’antico diritto romano. Infatti, che sia stato un colpo di fortuna o
volutamente ricercato, ciò accadde perché in tale periodo vi fu il ritrovamento tipico del pezzo forte della
compilazione giustinianea, quella che nell’alto medioevo sparì perché un diritto troppo dotto, troppo colto.
Tale pezzo forte è il DIGESTO. Il Digesto era la parte del Corpus Iuris Civilis promossa da Giustiniano e il suo
ministro Triboniano, contenente gli iura frammenti degli antichi giure consulti.
COME FU RISCOPERTO probabilmente tornò a galla perché alcuni giuristi abbiano pensato che
quel diritto così raffinato cascasse a pennello rispetto a questa società più sofisticata che si era
formata. Questo gruppo di giuristi colti si ritrovarono all’interno di uno STUDIO (termine medievale
che equivale a università= studium; medievali e moderni conoscevano anche la parola universitas,
ma con tale parola si riferivano al complesso di beni finalizzati ad un’unica funzione. Per l’uomo
medievale e moderno università tipica era il comune) per avviare/riavviare un’elaborazione teorica
sul diritto.
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Ma perché Bologna? Perché Bologna era, ed è tutt’ora, sulla direttrice che collegava i due cuori politici
dell’Europa: Germania (sede dell’impero) e Roma (sede del papato)
Nel medioevo vi sono questi due poteri universali perché il medioevo conosce una fisionomia politica
completamente diversa dalla nostra; è un periodo storico senza stato.
Nel medioevo esistono due poteri universali l’uomo medievale infatti, si sente spezzato a metà tra il
cielo e la terra, egli pensa di essere solo di passaggio nella vita terrena perché la vita vera è la vita
ultraterrena: la vita materiale è una fase di preparazione per la vita metafisica. I medievali, infatti, in tutto
ciò che facevano, tendevano a riprodurre tale dicotomia, questa doppia faccia della realtà, e con ciò anche
il diritto era in parte vertente sulle cose temporali e in parte vertente sulle cose spirituali. Questa doppia
faccia della vita giuridica i giuristi le definivano:
21. BOLOGNA
A bologna, questo gruppo di giuristi quindi, si accorsero dell’esistenza del Digesto e della sua adeguatezza
al nuovo contesto storico.
La prima volta in cui venne riutilizzato il Digesto si riconduce al caso di Placito di Marturi, 1076
Nel marzo del 1076, a Marturi (attuale Poggibonsi), il monastero di San Michele rivendica la proprietà di
alcuni beni che gli erano stati donati ottant’anni prima da Ugo Marchese di Toscana, ma che si trovavano
in mani di terzi per colpa del marchese Bonifacio, il quale tra il 1002 e il 1012 aveva spogliato dei propri
beni varie chiese e monasteri. Il monastero di San Michele aveva sollecitato la restituzione dei beni, ma i
giudici, di volta in volta incaricati e probabilmente corrotti dalla controparte, non avevano mai dato corso a
queste istanze. Nel frattempo, essendo trascorsi più di quarant’anni dal torto subito, secondo i tempi
stabiliti, era scattata la prescrizione dell’azione e il possessore si riteneva sicuro di ogni rivendicazione. La
controversia fra il monastero di San Michele in Castello e il marchese viene risolta a favore del monastero
grazie all’applicazione di una norma del Digestum Vetus per la quale il pretore concedeva l’intera
restituzione a coloro che non avevano potuto adire al giudice, ovvero in caso di denegata giustizia.
Questo è un vero e proprio documento processuale, e quindi il ritorno al diritto romano fu una questione
pratica e i giuristi post-mille ritenevano che il diritto giustinianeo fosse il diritto vigente.
GLOSSATORI, 1088-1250
COMMENTATORI, XIV SECOLO- PRIMA ETA’ MODERNA
Sono state le scuole che hanno valorizzato il diritto come sapere autonomo. Precedentemente in Italia,
dopo i longobardi, arrivarono i franchi, chiamati dal Papa affinché liberassero l’Italia appunto dai
longobardi; il più famoso re dei franchi fu CARLO MAGNO, perché quest’ultimo, nell’800 d.C., nella
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notte di Natale si fece incoronare dal Papa imperatore del Sacro romano impero. Così rinasce l’Impero
d’Occidente in forma diversa, ma dato che i medievali erano estremamente nostalgici, vivevano nel
passato, credendo che il passato bisognasse riprodurlo all’infinto, si convinsero che quest’impero
facesse rivivere l’impero romano, ma solo con due differenze:
Era SACRO perché l’imperatore governava in nome di Dio, avendo ricevuto la corona dal Papa;
Impero a trazione germanica Carlo Magno era re dei carolingi, i quali a loro volta erano
franchi, popolo germanico. I franchi venivano dalla Germania. Questo popolo franco, che regnava
anche sull’Italia, creò una certa rinascita culturale: Carlo Magno è stato uno degli inventori
dell’educazione scolastica (per ricchi e privilegiati) perché volle che i figli delle famiglie importanti,
andassero a scuola nel palazzo reale queste scuole erano le scuole palatine. In queste scuole si
studiava, poiché Carlo Magno era un nostalgico, le vecchie arti, precisamente le arti liberali.
Vecchie arti liberali erano le arti che insegnavano all’uomo ad essere libero. Queste arti liberali
erano sette ed erano divise:
A. Prime tre sono le arti che riguardano le scienze umane, materie umanistiche;
B. Quattro sono le arti che riguardano le materie naturalistiche, musica astrologia ecc..
LE TRE ARTI UMANISTICHE Le chiamavano arti del discorso, artes sermocinales, arti che insegnavano
come si organizza il serrone= discorso. Esse sono:
GRAMMATICA
DIALETTICA ragionamento, logica;
RETORICA arte del persuadere;
MA IL DIRITTO? Il diritto si trovava nel mezzo di queste tre arti, chi le studiava infatti doveva studiare anche
un po’ di diritto, perché il diritto insegna la costruzione corretta del discorso grammaticale, l’arte della
logica e della persuasione. Quindi il diritto non esisteva come vera e propria materia, bensì per fare i
giuristi bisognava conoscere queste tre arti, non vi era una vera e propria scuola che formava i giuristi.
23. GLOSSATORI
Nel 1088 d.C. nasce la prima università per diventare giuristi, ed è la prima università in assoluto in
occidente. L’università è nata come facoltà di giurisprudenza; lo studium di Bologna nasce intorno a
questo nucleo, che è il nucleo della ‘’laurea in utroque’’, nel medioevo infatti per laurearsi, bisognava
laurearsi sia in diritto civile sia in diritto canonico. = In utroque iure nell’uno e nell’altro diritto.
I primi a fondare una facoltà di diritto furono i glossatori, nell’anno 1088, secondo la tradizione, poichè il
1088-1089 fu il primo anno accademico della storia; possiamo dire ciò in quanto vi sono documenti che
raccontano di questi corsi di giurisprudenza tenuti dai glossatori.
Le lezioni delle università medievali ci rinvengono attraverso gli appunti degli studenti. La lezione era
basata sulla lettura: sulla scrivania vi era il Digesto e il professore lo leggeva con gli studenti spiegandolo
parola per parola, facendo dei chiarimenti. Tali spiegazioni, chiarimenti si chiamavano GLOSSE. Erano dei
chiarimenti puntuali e spiegazioni sulle singole parole.
Ad esempio: vi è una famosa norma giustinianea che annuncia il poter andare a giudizio ad accusare
qualcuno di aver commesso un reato soltanto se si dispone di prove più chiare della luce. I glossatori,
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accanto alla parola luce aggiunsero l’aggettivo meridiana (mezzogiorno) e cioè la prova deve essere più
chiara della luce del mezzogiorno.
Questa è una tipica glossa. Tutta la produzione di qualsiasi branca, è una produzione manoscritta. Il
Digesto, posizionato sulla cattedra, poco alla volta cominciò ad essere copiato faticosamente dagli
studenti, in quanto comunque dovevano studiare il materiale; gli studenti, dopo aver creato la griglia con le
parole, cominciarono anche ad inserire sul foglio le spiegazioni dei professori. Quando queste parole non
entravano più tra un rigo e l’altro, venivano scritte sul fianco. Infatti vi sono due tipi di glossa:
Glossatori pensavano che il diritto romano fosse un diritto che non avesse un suo tempo, il diritto era e non
si fa. Compito del giurista era quello di dargli vita, l’interpretazione era una ricreazione della norma. Il
Digesto, per i glossatori, era un diritto sacro, e in questo si facevano soprattutto suggestionare
dall’antichità di questo diritto, ed era segno della sua sarcerdat, di un diritto voluto da Dio.
Carattere tipico dei glossatori era l’esclusività il diritto romano è il diritto, non ci sono altri diritti degni di
essere presi in considerazione nelle aule universitarie. Ciò non esclude il fatto che esistessero altri diritti,
ma il diritto che meritava la lectura era solo il diritto romano.
Il medioevo si basava moltissimo sulle consuetudini. Nonostante il diritto che realmente si applicava in
Europa occidentale, nel 1100-1200, era ancora un diritto larghissimamente consuetudinario, i professori
agivano da professori senza considerare le consuetudini, in quanto non le ritenevano degne di una lezione
universitaria. Tale ragionamento sussisteva anche rispetto agli STATUTI Gli statuti sono una fonte
fondamentale del diritto medievale. I comuni medievali erano vivi e vegeti già quando i glossatori
fondarono la loro scuola. I comuni medievali si davano delle proprie regole, le quali si chiamavano statuti,
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ed è il tipico strumento normativo dell’età comunale. Prendevano il nome di statuto anche le regole delle
corporazioni: il mondo medievale è un mondo estremamente diviso, infatti la società non è un unico
blocco, ma sono società di società. Queste società sono spesso legate da nessi professionali chiamate
corporazioni.
Il medioevo è l’epoca delle corporazioni. I grandi mercanti della Firenze De’ Medici erano riuniti in
potentissime corporazioni. Anche queste corporazioni si davano dei propri statuti, e quindi vi sono:
STATUTI CITTADINI
STATUTI CORPORATIVI
Tuttavia di tutto ciò i glossatori si disinteressavano, facevano i professori convinti che la scienza giuridica
dovesse vivere secondo quello statuto autonomo, quella scienza non contaminata, che consiste nello
studio del diritto giustinianeo, in particolare del Digesto di conseguenza, per la maggior parte si tratta di
una formazione civilistica.
Infatti, a proposito dei glossatori, non si parla di processo, non è un argomento affrontato, ancor di più il
processo penale, sono argomenti che vennero studiati pochissimo.
ESAURITOSI LA SCUOLA DEI GLOSSATORI, per saturazione, per inflazione di glosse, in quanto i glossatori
avevano glossato ogni parola, all’inizio del 200’, nasce la seconda scuola di giuristi: COMMENTATORI.
24. COMMENTATORI
La scuola dei commentatori si differenzia da quella dei glossatori perché essi non si limitarono alla
spiegazione, bensì erano coloro che, appunto, commentavano.
Il commentatore si pone criticamente di fronte a questi brani, cercando si dargli un sistema.
Tuttavia, la grande novità è che il commentatore, rispetto al glossatore, è meno passivo rispetto
al textus, sono meno disposti a seguire fino in fondo il Digesto, è una scuola più libera.
Il commentatore prende in considerazione anche altre fonti che non siano esclusivamente il
diritto romano giustinianeo. Queste altre fonti le chiamavano iura propria si tratta di diritti
particolari, di particolarità locale. I commentatori iniziano ad inserirle nel loro sistema,
cominciando ad essere così più complesso; inoltre i commentatori si permettono questo passo in
avanti verso gli iura propria perché in questo periodo, a partire dal 300’, sono spesso loro che
radicano gli statuti e li redigono facendosi retribuire.
Il commentatore non sono più tanto professori universitari (il glossatore tipico è un
professore), bensì un commentatore tipico è un avvocato, un grande avvocato che pratica
per lo più consulenza (abbiamo l’ascesa della figura del consulente).
Inoltre, tra queste due scuole, vi è una grande nuova idea (che in realtà tanto nuova non è),
che è la riscoperta, nella metà del 200’, del PENSIERO ARISTOTELICO.
ARISTOTELE fu un grandissimo filosofo dell’età greca. Venne riscoperto nel medioevo in
combutta sia dagli arabi, sia dal più grande teologo di tutti i tempi che viveva in questo
periodo: TOMMASO D’AQUINO, anni 60’ del 200’.
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TOMMASO D’AQUINO rilesse Aristotele in chiave cristiana riproponendo così l’aristotelismo in una
versione totalmente cristiana. I giuristi ne risentirono molto di questo cambiamento di prospettiva e
utilizzarono la filosofia, che prese il nome di ARISTOTELICA-SCOLASTICA, chiamata così perché s’insegnava
nelle scuole FILOSOFIA DI S.TOMMASO.
I giuristi iniziarono ad utilizzare il modello aristotelico-scolastico per svolgere il loro quotidiano lavoro, per
interpretare.
Secondo Aristotele la conoscenza è cogliere le essenze andare al nocciolo delle cose in cui ci
imbattiamo. Ad esempio in base a ciò che io conosco sulla sostanza di una determinata cosa, applico tale
idea che ho elaborato su tutte le altre cose dello stesso genere, affiancandone ciò che cambia.
Il giurista compie la medesima operazione logica. I commentatori sostengono infatti che il compito del
giurista è cogliere la RATIO LEGIS ecco perché il commentatore è più libero rispetto al glossatore,
perché il commentatore deve cogliere il senso profondo della norma, per applicarle al caso concreto. Una
volta che il giurista avrà colto il senso profondo, dovrà adattarlo alla norma.
Se il caso chiede che la norma venga estesa opererà una EXTENSIO termine aristotelico di cui i giuristi si
sono impadroniti operazione espansiva;
Se il caso richiede che la norma venga ridotta, il giurista opererà un’interpretazione restrittiva
RESTRICTIO
Se il caso è vagamente paragonabile alla norma, il giurista opererà per analogia la quale non è una vera
e propria interpretazione.
Lezione: 02/10/19
Abbiamo appena parlato quindi della due grandi scuole medievali, i glossatori e i commentatori. In
particolare, della scuola dei commentatori, abbiamo dedotto che era una scuola più libera, per via
dell’influenza dell’aristotelismo scolastico volta alla ricerca della RATIO LEGIS, alla ricerca dell’essenza di
quel contenuto estremamente ristretto che si presta all’operazione dell’interprete.
I grandi maestri della scuola dei commentatori sono perlopiù due, vissuti entrambi nel 1300:
Ciò che contraddistingue questi due giuristi è che entrambi, seppur per motivi diversi, ritengono che anche
le comunità più piccole, le corporazioni, possono darsi delle regole proprie, e quindi possono produrre
diritto per loro il diritto non è solo ius (diritto giustinianeo) bensì il diritto comprende anche i così detti
iura propria statuti corporativi.
In particolare Bartolo, per dimostrare la sua tesi, fa leva su un concetto, ovvero quello di IURIS DICTIO.
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Nel periodo che intercorre le due grandi scuole dei commentatori e glossatori (1088-1250; 1300) vi è nel
mezzo un momento particolare quale è la nascita della scienza del processo. Questo cinquantennio è il
momento nel quale nasce la processualistica disciplina che studia specificatamente il processo.
Questa epoca è chiamata dagli storici del diritto età post-accursiana ACCURSIO è l’ultimo glossatore.
Questo glossatore scrisse un’opera intitolata MAGNA GLOSSA, all’interno della quale mise insieme tutto il
lavoro dei suoi predecessori, aggiungendo le sue glosse. I giuristi che succedettero a quest’ultimo (visse
negli anni 30’ del 200’) vengono denominati post-accursiani. Quindi nel periodo a lui successivo nasce
questa fase intermediaria tra giuristi e commentatori, chiamata post-accursiana.
DIRITTO PROCESSUALE
DIRITTO PENALE
IURA PROPRIA STATUTI
DIRITTO NOTARILE
DIRITTO NOTARILE i notai del medioevo erano considerati artigiani. Quando si parlava
dell’attività notarile, i medievali la denominavano ars, in quanto essi dovevano ‘’inventarsi’’ una
formula per redigere gli atti. Nel corso di questo cinquantennio, il notaio assurge a interesse del
professore universitario. Vennero prodotti dei manuali, di cui in particolare uno famosissimo
intitolato RONALDINA. Esso prende il titolo dal nome del suo autore, Ronaldino de Passeggeri, e si
tratta di un’opera che spiega scientificamente ai notai come si redigono gli atti è una sorta di
formulario notarile.
IURA PROPRIA sono perlopiù statuti. Nella seconda metà del 200’ i giuristi si degnarono di
osservare come sono strutturati gli statuti, dedicando anche delle lezioni universitarie. Vi fu un
giurista in particolare, che scrisse sul tema degli statuti, un’opera molto famosa: tale giurista è
Alberto da Gandino Gandino è il paese di provenienza, in quanto sino al 400’ i cognomi non
venivano utilizzati. Alberto da Gandino scrisse due opere fondamentali:
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DIRITTO PROCESSUALE nell’ambito del processo penale, l’opera che segna questo
cinquantennio, e che inaugura la processualistica è l’opera di un giurista francese (che a lungo
venne ritenuto italiano). Il suo nome è Guglielmo Durante, e scrisse un’opera fondamentale, la
quale è considerata la progenitrice di tutte le opere di procedura e s’intitola Speculum Iudicale.
Speculum Iudicale specchio giudiziario. La giustizia non è di questo mondo, l’unico tentativo
che può fare l’uomo è quello di rispecchiare la giustizia divina. La giustizia umana è giusta se
tende a rispecchiare quella metafisica.
Guglielmo Durante non è un giurista particolarmente originale, in quanto copiò gli scritti da un
grande glossatore, il cui nome è Paucapalea.
PAUCAPALEA spiegava l’origine della giustizia in modo estremamente colto. Nella metà del
1100 scrisse quest’opera, intitolata SUMMA= dispense, ed è un tipico prodotto della crisi
medievale.
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Nel nuovo testamento, l’apostolo Paolo, sembra aver stabilito lui le regole della sequenza degli
atti processuali.
LETTERA AI CORINZI :’’ Se avrete (cristiani) giudizi secolari, se vi imbatterete in processi laici che
sono disprezzati dalla chiesa, costituite voi quelli da giudicare organizzate voi, domesticamente, i
vostri processi.
Ciò dimostra il cuore della giustizia medievale moderna che è il pluralismo di giurisdizioni vi è
la macro distinzione tra giustizia laica e giustizia canonica.
Paucapalea conclude dicendo:’’ così la serie dell’uno e dell’altro testamento chiarisce che tanto le
leggi (diritto civile) quanto i decreti (diritto canonico) hanno preso la forma del fare processo dalle
sacre scritture.
Quest’intuizione di Paucapalea, viene copiata dal proemio che Guglielmo Durante, più di
cent’anni dopo, premette allo speculum iudicale. Questo giurista molto vicino al diritto canonico
dice:’’ la scienza del processo è necessaria, occorre una scienza del processo. Infatti la cupidigia
sfrenata proveniente dalla corruzione della condizione umana, sfidante della pace, madre delle liti
e materie di conflitti genera tanti litigi, che sono più gli affari che i vocaboli.
abbiamo inventato, essendo peccatori, tante di quelle ragioni per litigare che oramai sono più i
contrasti tra di noi, che le parole per descriverli.
Durante continua:’’ da qui deriva che l’ordo dei giudizi e l’uso di fare i processi sembra aver avuto
l’esordio in paradiso’’.
Dato che siamo peccatori, è dal paradiso che è nato il processo, in quanto noi, con il
peccato originale, siamo diventati avidi, tant’è vero che il primo processo si è avuto
quando è stato commesso il peccato originale. Durante, per la sua opera ha preso spunto
da Paucapalea. Infatti, Adamo , richiamato da Dio per disobbedienza, quasi come
respingendo un eccezione all’altare, convertì l’azione di Dio verso la coniuge.
E ancora Durante continua:’’ sembra tuttavia che allora, gli uomini, si reggevano secondo un
diritto naturale in base al quale tutto era comune intreccio tra cultura religiosa e cultura
classica (Seneca).
Ai tempi del paradiso terrestre, gli uomini vivevano secondo un diritto naturale, in questo
diritto naturale, tutto era comune, non vi era l’uso del processo in quanto gli uomini, secondo
Seneca, avrebbero vissuto quella massima quiete se le parole ‘’mio e tuo’’ fossero state tolte di
mezzo. In un'altra opera Seneca afferma saremmo nostri se non vi fossero cose nostre: se
non c’è nella di mio, io sono mio. Questo è l’ideale del nullatenente storico.
Tuttavia anche allora c’era qualcosa di proprio. Il paradiso terrestre si rompe a seguito del
peccato originale, ed è così che inizia la tendenza all’appropriazione. Per cui, ad Adamo fu
pronunciata la famosa frase:’’ nel sudore del volto tuo, ci sarà il tuo male nelle tue viscere.
ed è da qui che inizia la tendenza all’appropriazione.
Anche nell’antico testamento, sembra essere stato approvato l’ordo iudiciarius la
successione degli atti.
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Poiché le sacre scritture parlano tanto di processo, i successori degli apostoli si sentono
legittimati ad emanare vari canoni in materia di processo.
Lezione: 08/10/19
I manoscritti della glossa avevano un capolettera ovvero la lettera iniziale era vignata
solitamente vignate con immagini delle sacre scritture.
Inoltre vi era il dosaggio della parte esterna parte normativa
parte interna è il cuore della lettera giustinianea.
Ciò mostra come, per il giurista medievale, il textus avesse in realtà una dignità pari a tutto il contorno. Il
contorno è dato essenzialmente dalle glosse e soprattutto dalla più importante delle glosse, quale è la
glossa accursiana come già detto, Accursio è un autore degli anni 30’-40’ del 200, la sua opera, Magna
Glossa, rappresentò una sorta di compendio di tutte le glosse precedenti. E’ per questo motivo che si
sostiene che la scuola dei glossatori, con Accursio, arriva al termine ormai non vi era più nulla da
spiegare. Tutte le parole erano state chiarite per gli studenti (primi destinatari del lavoro dei glossatori), e
successivamente, per i giuristi pratici.
I glossatori concentrarono tutta la loro attenzione sul testo giustinianeo, il Digesto, infatti furono studiosi
esclusivisti del diritto romano; nelle loro lezioni non vi era possibilità che venissero spiegato diritti altri. I
diritti altri sono perlopiù gli statuti e le consuetudini. Statuti e consuetudini insieme formarono quelli
parte del diritto medievale che prende il nome di iura propria diritti propri di singole parti della società,
parti che erano individuate o su base territoriale (STATUTO) o su base personale (CATEGORIA DI
SOGGETTI), infatti la società è divisa in ceti dove, ciascuno di questi ceti, ha un proprio ordinamento.
Entrambe queste forme di particolarismo, locale o personale, hanno delle ricadute nell’organizzazione del
processo. I glossatori studiarono il diritto romano per applicarlo, ma il cuore della lezione universitaria era
ti tipo teorico, di tipo dogmatico. Nella seconda metà del 200’, quando entrarono in gioco i diritti
particolari vennero tratte le regole di competenza, regole dell’organizzazione della giustizia anche nella loro
componente consuetudinaria.
La chiesa organizzò un apparato giudiziario per realizzare i suoi valori, i quali sono:
RETRIBUZIONE come Dio punisce il malvagio, così anche la giustizia umana, con tutte le sue
imperfezioni, deve cercare di adeguarsi agli stessi valori;
VERITA’ la parola verità è una parola che non è accettata da molti giuristi, bensì è una parola
utilizzata più dai filosofi. La ricerca del verum è una ricerca che impegna i filosofi Giambattista
Vico afferma che la differenza tra filosofia (greci) e diritto (romani) è la differenza che passa tra il
verum (la filosofia cerca la verità) e il certum (il giurista cercala certezza);
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La chiesa medievale, però, mette in campo come oggetto del processo la ricerca della verità poiché la
chiesa non ha interesse verso la pace sociale, bensì il fine da perseguire con il processo è molto più alto,
quale è appunto la realizzazione sulla terra della verità.
Strumento costruito dalla chiesa per perseguire a tale fine è il tribunale dell’inquisizione, congegnato
proprio per estorcere la verità. Infatti, la tortura, è uno strumento legittimo se orientato a questo fine, e
tutto il processo medievale è ispirato alla chiesa proprio perché orientato alla ricerca della verità.
Un’espressione tipica latina utilizzata dalla chiesa è ad eruendam veritatem eruenam= scavare(nella
coscienza).
La chiesa elabora queste regole processuali in un lasso di tempo decisamente lungo. Il diritto
medievale post-mille è lo specchio delle due facce della vita umana CIELO E TERRA
ANIMA E CORPO
SPIRITO E MATERIA
Riversando questa mentalità nell’aspetto processuale parleremo di:
FORO INTERIORE Foro della coscienza, tribunale ipotetico, ideale nel quale io rispondo per i miei
sentimenti, per i miei comportamenti interiori;
E’ un concetto che al giorno d’oggi è completamente inesistente, ma all’epoca costui sarebbe a tutti gli
effetti un imputato.
La chiesa comincia dunque, ad occuparsi delle questioni di giustizia sotto questi due aspetti (foro
interiore/esteriore) intorno alla metà del 1100, XII secolo. In quel periodo, la chiesa, si cominciò a creare un
proprio diritto, quale è il diritto canonico.
DECRETI dopo il 1000, la chiesa si organizzò in modo centralistico. La chiesa si accentra in modo
particolare ad opera di un pontefice famoso per la riforma gregoriana, Gregorio VII. Gregorio VII, tra le
varie disposizioni che dettò, stabilì anche che il Papa avesse l’ultima parola sulle cause di maggiore
rilevanza, e lo fece mediante un decretum. Il decreto papale è una decisione della causa specifica, che
assume valore per tutte le cause analoghe.
Decreti e Canoni sono le fonti che gettano le basi per il processo canonico. Grazie a questa disposizione di
norme, il diritto canonico è un diritto molto più legislativo rispetto al diritto civile. Mentre i civilisti (
glossatori) erano concentrati sul diritto giustinianeo, Papi e concili producevano diritto nuovo adeguandolo
maggiormente alla società, alla realtà.
Su queste basi, il diritto canonico medievale, cresce e si sviluppa, sia sulla base dell’attività dei papi
legislatori, sia sulla base della dottrina, poiché, man mano che i papi emanavano decreti, e i concili canoni,
comincia a svilupparsi una cospicua elaborazione dottrinale dei giuristi (canonisti studiosi del diritto
canonico).
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Primo grande teorico del diritto canonico è un monaco, vissuto a metà del XII secolo, il cui
nome è Graziano. Opera molto famosa di Graziano s’intitola Decretum (1140) tale monaco
decide di provare ad armonizzare tutte le regole vigenti della chiesa, prendendo in
considerazione anche quelle delle sacre scritture e le leggi romano-barbariche.
Poiché il Liber Extra è diviso in volumi, nel 1306, un altro papa, Bonifacio VIII, pubblica il VI LIBRO,
intitolato Liber Sextus.
Pochi anni dopo, anni 10 del 300 (XIV secolo), un altro papa, Clemente V, aggiunge un ultimo pezzetto a
questa raccolta di decretali, e dato che il suo nome era Clemente, le sue norme presero il nome di
Clementine.
Questa è la parte normativa del processo romano-canonico. Le fonti su cui si poggia il processo romano
canonico sono Liber Extra, Liber Sextus, le Clementine.
29. I CANONISTI
La chiesa ha dei canonisti, i quali sono specializzati nella costruzione del processo. L’opera Seculum
Iudiciale (Guglielmo Durante) della seconda metà del 200’, è un’opera che tenta di sistemare l’ordo del
processo medievale (canonico).
Tuttavia, prima ancora di Guglielmo durante, ci fu un altro personaggio, un grande giurista della scuola dei
glossatori, che si dedicò al diritto processuale, e costui era un canonista. Questo giurista si chiamava
Tancredi da Bologna.
TANCREDI Fu il primo che cercò di organizzare e dare un senso a queste norme. Tancredi, glossatori
degli inizi del 200’, è un professore dell’università di Bologna, un rettore, e scrisse un’opera intitolata Ordo
Iudiciarius sulla base del solito presupposto: la giustizia terrena è il precipitato della giustizia ultraterrena,
deve rispettare delle regole che sono già scolpite nei passaggi dell’antico e del nuovo testamento. Tancredi
però, ragiona da canonista, e problema del tipico uomo di cultura medievale è il contrasto tra foro interiore
e foro esteriore Tancredi a questo quesito risponde affermando che il diritto civile (giustinianeo)
prevale soltanto laddove non ripugnante, laddove non sia respinto dai canoni; in sostanza, prevale nel
contrasto, il diritto canonico. Tuttavia, vi è un retropensiero Tancredi infatti, è convinto che le regole
canonistiche del processo siano più giuste ed attrezzate.
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i copertoni delle gip dei soldati americani. Il generale italiano, lesse la sentenza, e, una volta letta, la
cestinò.
La sentenza è nulla se emanata in forma non scritta considerata forma di garanzia, un elemento
ab substantia per la validità della sentenza;
La sentenza è nulla se non rispetta l’ordo ormai si sta creando man mano la forma processuale, e
oramai non si può più chiedere giustizia al giudice perché considerato giusto. La giustizia si realizza
attraverso una procedura, una scansione di atti predeterminati.
*Ordo termine utilizzato dai giuristi medievali, in quanto la giustizia terrena deve rappresentare, nel suo
piccolo, il grande ordine della sfera celeste.
Questo ordo è così ingabbiante che, se lo si viola, il contenuto della sentenza passa in secondo piano, ed è
così che si è sviluppata l’importanza della forma. I canonisti davano così tanta importanza al rispetto
dell’ordo perché, evidentemente, la chiesa era preoccupata dallo svolgimento dei tipici processi medievali,
(di cui si sa ben poco in quanto erano svolti oralmente, perciò non si hanno documenti inerenti a questo
tema) i quali erano l’esatto opposto di questo formalismo che si sta pian piano istaurando nel processo
romano canonico.
Perché s’intende dire che una certa prova sia ammessa dalla legge (ma non è questo ciò che a noi
interessa);
Quando il suo valore persuasivo è predeterminato dalla legge, non ammettendo la controprova. Per il
diritto canonico è questa la prova legale.
Questo grado di presunzione è figlio della propria epoca, in quanto si parla di anni nei quali i processi non
erano formalizzati SPECCHIO DEL TEMPO.
Prova piena all’origine del processo romano-canonico i giuristi sono rigorosissimi: la prova piena, quella
contro la quale non vi è nulla da obiettare è: confessione, testimonianza (con particolari requisiti),
documento. Tutto ciò che non rientra in queste tipologie, è prova semi-piena.
Prova semi-piena sono delle frazioni di prova. I giudici facevano i calcoli di queste frazioni di prova
(stimandone un valore per ognuna) per poi decidere se si poteva arrivare ad una condanna o meno. Ad es.
due prove semi-piene facevano probatio plena giustificando la condanna.
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Un tipo di prova legale era la fama e notorio ‘’ si dice che ‘’ , quando una persona è conosciuta per
essere un malvivente. Tuttavia, anche questo tipo di prova doveva avere dei requisiti per poter
rappresentare l’elemento probatorio.
Prova per eccellenza era la CONFESSIONE sembrerebbe che nel diritto romano, la confessione pesasse
meno che nel diritto probatorio. Ma perché questa differenza? Ovviamente, sempre per motivi religiosi in
quanto, nel medioevo, vi è una forte influenza canonistica che porta ad un rafforzamento del valore
probatorio della confessione, poiché è un sacramento. Infatti la confessione non è una semplice probatio
plena, bensì era denominata regina probationem (regina della prova).
Un altro condizionamento del tempo sulla prova legale è il calcolo per peso, e non per quantità. I giuristi
medievali processualisti di formazione canonistica, usavano il meccanismo della frazione (prova piena,
prova semi-piena, un quarto di prova), ma questo meccanismo agiva su un presupposto ciascuna prova
portava con se una carica di convincimento che andava pesata, non solo calcolata algebricamente (o
almeno all’origine). Quando il processo romano-canonico dimostrerà tutti i suoi eccessi, l’asse si sposterà
verso il calcolo del giudice di tipo algebrico. Contro questa faccia formalistica e fredda del meccanismo
probatorio, scoppierà la polemica degli illuministi nel 700’. Durante l’illuminismo gli studiosi critici
contesteranno la prova legale, che diventerà simbolo della cattiveria dell’inquisizione, e, in particolare,
questo aspetto della prova legale, ovvero il fatto che i giudici avessero accettato di contare freddamente e
non di pesare la forza persuasiva della prova legale.
TESTIMONIANZA La testimonianza è status, infatti quest’ultima assume valore diverso in base allo
status, al ceto. La testimonianza è prova legale se affiancata da determinati requisiti:
Doppia testimonianza conforme due soggetti devono sostenere il medesimo racconto, tranne
un’eccezione: se è il Papa a testimoniare, anche la sua sola voce vale come testimonianza;
De viso et audito bisogna aver visto e sentito, e non per sentito dire.
Lezione: 09/10/19
Tutte le soluzioni escogitate dai giuristi medievali senza mai riuscire nel loro intento, sono finalizzate
all’unico scopo di non rendere il processo immortale. I giuristi medievali, e anche moderni, paragonavano il
processo ad un organismo vivente; utilizzavano spesso questa metafora del processo come essere animato.
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Quando un qualsiasi atto processuale serviva ad allungare i tempi, i giuristi utilizzavano la formula latina
insufflare spiritum= soffiare, dare animo al processo.
Quando, viceversa, il processo decade, il processo è considerato morto perché in esso non agisce più lo
spirito della causa. Si tratta del tipico lessico metafisico del processo come corpo vivente, vi è questo
spirito che vive o muore, a seconda dell’attività delle parti. Il tentativo di rendere il processo vivo, di solito,
lo rende anche lungo.
I giuristi canonisti sono convinti che il processo serva a raggiungere la verità,ma questo concetto di verità è
un concetto un po’ ‘’ ingenuo’’. Dal punto di vista religioso, l’ideale è raggiungere la giustizia sulla terra con
tutte le imperfezioni: ecco che il processo può vedersi insufflare questa vita, anche quando sembrerebbe
che non ci sono più i perni per sostenerlo. L’idea secondo cui il processo debba perseguire la verità, rende il
processo ancora più lungo di quanto esso non sia.
Queste caratteristiche, le cinque caratteristiche originarie che fin ora le abbiamo collocate nel processo
romano-canonico in realtà non vengono utilizzate solo nei tribunali ecclesiastici. Il processo romano-
canonico fu modellato da giuristi canonisti sulla base di determinate norme, ma fu adottato anche dai
tribunali laici, sia in età medievale, sia in età moderna; questa macchina processuale viene distrutta solo
dopo i codici napoleonici
Ricapitolando si delinearono una serie di caratteri del processo romano-canonico alla luce del blocco di
norme che si creò man mano nei primi secoli del II millennio. I papi infatti, diventarono grandi legislatori,
con particolare riferimento ai papi che succedettero Graziano alla fine del XII secolo, come Gregorio IX e
Clementino, dando vita al processo romano-canonico. E’ un processo che presenta delle caratteristiche
originarie (che sono all’apice della nascita di questo processo) e altre caratteristiche acquisite, sopraggiunte
con il passare del tempo. I caratteri originali sono scrittura, mediatezza, prova legale, frammentazione,
lunghezza.
La costituzione detta Sappiano tutti gli accusatori che essi debbono portare una vicenda in pubblica
conoscenza. Detta quindi i suoi caratteri che sia munita (radice mun-munus radice della munizione,
fortificazione) di testimonianza idonee, istruita su documenti apertissimi (chiari e non equivocabili) su indizi
indubitati per la prova e più chiari della luce.
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Testimoni idonei bisogna definire quali siano i testimoni idonei. Ad esempio, nella logica medievale, una
donna non poteva testimoniare, in quanto ritenuta portata a mentire;
Indizio indubitato Vi è una discordanza poiché: l’indizio= non è prova; indubitato= senza alcun dubbio.
Giustiniano utilizza volutamente un’espressione ambigua, perché lascia spazio all’interprete, il quale potrà
sempre affermare che essa non è prova piena, ma indizio indubitato. Accanto alla frase più chiaro della
luce i glossatori aggiungeranno la radice meridiana più chiaro della luce del mezzogiorno. tentativo
più garantista.
Il discorso fatto da Giustiniano nella sua costituzione è relativo alle condizioni per accusare, e non per
condannare. Tali condizioni, per condannare e accusare, dovrebbero essere su due livelli diversi:
Però, per quello che è la formazione tipica del giurista medievale, che non è sempre attento, tali parole
vennero interpretate in un senso completamente diverso: ciò che è sufficiente ad accusare sarà sufficiente
per condannare. Ciò posto, non rimane altro da dire che il processo medievale non è particolarmente
garantista.
Deduzione è uno schema chiuso, da una premessa certa io non posso che dedurre (ricavare un altro
fatto) che sarà anch’esso certo.
Nell’opera di Guglielmo Durante, Speculum Iudiciale si parla della differenza tra indizi e presunzioni.
Secondo Guglielmo Durante infatti:
La prova legale presuppone alcune prove di ‘’serie A’’, le quali presentano un massimo grado di
vincolatività. Queste sono:
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32. IL PROBLEMA DELL’INDIZIO E LE
SOLUZIONI
Tutto questo sistema si irrigidisce, creando una gabbia probatoria all’apice del processo romano canonico.
Venne creato un sistema per cui, se Tizio viene catturato e confessa che con Caio hanno commesso una
rapina, per Caio non ci sarà nulla da fare in quanto la confessione è presunzione e diventa probatio plena.
Ma perché nasce così? In realtà questo modello all’inizio rispondeva al tentativo della chiesa, contagiando
poi anche i tribunali laici, di razionalizzare il processo. In un processo come quello feudale, in cui tutto era
orale, senza basi solide dove veniva affidato tutto al giudice che ci si trovava davanti, questo meccanismo è
un passo avanti.
Rimane tuttavia il problema principale dell’indizio, poiché i medievali si accorsero che le regole della
costituzione giustinianea, con tutti i ricami fatti dalla dottrina, lasciava aperto il problema dell’indizio,
ovvero lasciavano aperta la maggioranza dei processi giornalieri, che erano indiziari.
La domanda che si ponevano i giuristi medievali era la seguente: si possono sommare gli indizi? Una
pluralità di indizi può formare una prova piena?
Su questo punto, si esprimono due giuristi medievali della scuola dei commentatori, che ebbe come
massimi esponenti Bartolo da Sassoferrato (prima metà del 300’) e Baldo degli Ubaldi (suo allievo,
seconda metà del 300’) : dietro questi due autori, vi è tutta quella logica complicata della filosofia
aristotelica: le essenze, la possibilità di mettere insieme entità che hanno una natura diversa, la
sommabilità di sostanze differenti. I due giuristi si esprimono dicendo:
BARTOLO :’’ Due cose diverse non ne fanno una sola perfetta, quando tendono a due obiettivi diversi’’.
Quindi se gli indizi hanno una natura, una ratio che tende a fini diversi non si possono sommare, perché
resteranno sempre due nature diverse. RIMARCA LA NON CUMULABILITA’ DEGLI INDIZI.
BALDO DEGLI UBALDI con una metafora agreste, legato alla pastorizia e all’agricoltura afferma:’’ se si
unisce un cavallo con un asino, ne nasce un mulo, che è un animale imperfetto’’.
Baldo degli Ubaldi riprende la stessa concezione del maestro per cui la somma di imperfezioni non genera
una perfezione.
Il messaggio che lanciano questi due giuristi contemporanei (la loro opinione aveva valenza pressoché
normativa presso altri giuristi) è che l’indizio deve restare sostanzialmente scorporato: è un elemento
persuasivo ma NON PROBATORIO, rimanendo all’indizio una dignità probatori inferiore rispetto a quella di
una probatio plena. Tutto ciò, ovviamente, non era altro che solo teoria. Bartolo e Baldo infatti danno a
questo tema un’impostazione teorica. Ma come si comporta il giurista sul campo?
ALBERTO DA GANDINO è post-accursiano della seconda metà del 200’, quindi precedente a Bartolo e
Baldo. Egli non era un giurista raffinato, bensì era più un praticone. Fu colui che inaugurò la pista degli studi
degli statuti e dello studio del penale. Nel medioevo, penale e processuale erano fuse in un’unica materia,
ed erano fuse non nel penale sostanziale, ma nel penale processuale.
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Alberto da Gandino, nella sua opera Tractatus de Maleficiis afferma:’’ l’indizio non dovrebbe avere uno
specifico, autonomo valore probatorio, però questi indizi che presi singolarmente non giovano, messi
insieme, aiutano = QUAE SINGULA NON PROSUNT, COLLECTA IUVANT.
Quindi la pluralità di indizi rende gli indizi credibili, aiutando la decisione del giudice.
Riprendendo il bilancio di Bartolo, il quale afferma in materia di prove, non esistendo una certa
dottrina, non resta che affidarsi all’arbitrio del giudice.
E’ una vera e propria dismissione di responsabilità, in quanto non riesce a trarre una regola generale
affidando tutto all’arbitrio del giudice. in latino s’intende come una valutazione, una ponderazione.
Prima soluzione gli indizi insufficienti a condannare, posso essere sufficienti a torturare.
Questa prima soluzione è sostenuta da Prospero Farinacci, a cavallo tra il 500’ e 600’, giurista e grande
criminalista italiano di origine romana dello stato pontificio.
Condannare
Torturare
In pratica, guardandosi indietro e leggendo libri scritti dove viene dimostrato che gli indizi non possono
essere sommati, riconosce che gli indizi non possono portare ad una condanna. La sua soluzione dunque, è
che non si può condannare sulla base degli indizi, ma si può torturare: gli indizi sono sufficienti ad
torquendam dalla quale si ottiene una confessione, e quindi una probatio plena;
Seconda soluzione è sostenuta da Giulio Claro, giurista milanese della seconda metà del 500’. Siamo in
una fase in cui la giustizia viene esercitata dal giudice singolo, ma soprattutto a livelli più alti, da giudici colti
che, per conto del re, esercitano la giustizia sulla base di regole fortemente ereditarie della tradizione
medievale.
Giulio Claro suggerisce ai giudici dei Grandi Tribunali affermando:’’ non si può erogare la pena ordinaria
sulla base di indizi, tuttavia si può infliggere la pena extrardinem (di solito più lieve rispetto a quella
ordinaria’’.
Ad esempio invece di rimanere a vita a remare sulla nave, il condannato ci rimane tre anni.
Con questi due grandi giuristi, criminalisti dell’età moderna si può notare il peso crescente che assumono
gli indizi come elemento probatorio ai fini della condanna.
Lezione: 15/10/19
34. INQUISITORIO
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INQUISITORIO Le fonti del diritto giustinianeo, alle quali i giuristi medievali si rifacevano
ritenendolo diritto vigente, non avevano alcuna indicazione di senso inquisitorio. Infatti il processo
non nasce come processo inquisitorio, bensì come accusatorio( basti pensare alla costituzione
giustinianea Sciant cunct ). I medievali, rispettosissimi della lettera del codex, questa volta
cambiano strada, istaurando un processo inquisitorio. Questo cambiamento è molto importante
perché:
Tutto il nostro processo medievale e moderno è inquisitorio. Ci siamo tendenzialmente slegati dal peso di
questo modello soltanto in anni recenti, precisamente con il codice che studiamo tutt’ora: il codice Vassalli.
La storia del diritto è molto importante in quanto i medievali, per la prima volta, si discostano su questo
punto, mettendo in campo il processo inquisitorio. Ma perché questo? Cos’è che cambia?
Vi è in campo una nuova società, la quale necessita di strumenti giuridici nuovi, strumenti utili a far fronte
alle esigenze di questa società. Qual era la nuova esigenza?
Era un’esigenza cristiana, quindi un’esigenza religiosa per scovare chi è eretico.
Se dovessimo dare una definizione del processo inquisitorio dovremmo dire che:
UN PROCESSO SI DEFINISCE INQUISITORIO QUANDO COLUI CHE DOVRA’ GIUDICARE A FINE PROCESSO E’
LO STESSO SOGGETTO CHE DEVE ISTRUIRE IL PROCESSO (RACCOGLIERE PROVE).
Infatti nel processo inquisitorio, vi è una fusione tra attività istruttoria e attività decisoria, non vi è un
distacco tra questi due soggetti: giudice e accusatore siedono accanto.
L’INQUISITIO non è un carattere originario, bensì acquisito; nell’epoca romana, in età repubblicana, si
utilizzava il processo per formulas l’accusatore doveva trovare l’ipotesi precisa all’interno dei formulari
per accusare la controparte, mentre in età imperiale, prevale il processo extra ordinem.
Quando sulle rive del Mediterraneo sbarcarono i barbari, queste popolazioni molto arretrate cambiarono le
regole del processo: il processo si celebrava perché Tizio aveva accusato Caio. Vi era una visione
tipicamente accusatoria, poiché la collettività interviene come partecipe di quello che, in realtà, è un
illecito guardando solo al damnum oggettivo.
Quando arrivarono al potere i franchi, essedo più civili, e soprattutto cristiani convertiti, e il Papa consegnò
le chiavi dell’Impero nell’800 nella notte di Natale a Carlo Magno e quindi essendo un popolo più in sintonia
con la tradizione occidentale (in particolare quella romana), cominciarono a reintrodurre delle piccole e
limitate forme di inquisizione pur essendo un popolo germanico. Tuttavia, capiscono che nei processi, nei
quali fosse in gioco la tenuta dell’impero , bisognava che l’impero intervenisse.
Le differenze tra:
PROCESSO ACCUSATORIO Tizio fa un torto a Caio, Caio con i suoi famigliari chiama in giudizio Tizio=
affare accusatorio tra due
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PROCESSO INQUISITORIO Interviene il soggetto direttamente leso. L’idea di giustizia che sfiori gli aspetti
pubblici cambia le carte in tavola, facendo sviluppare un modello inquisitorio piuttosto che un modello
accusatorio. Ciò è già visibile nel tardo alto-medioevo, nell’800’ e 900’.
VESCOVILE La chiesa aveva già una sua struttura di tribunali, in genere impiantati intorno al
vescovo sono le episcopalis audentia. Il vescovo ha bisogno di sapere, all’interno della sua
diocesi o come inviato da fuori, come si comportano i fedeli all’interno dei territori. Dopo un certo
periodo di tempo, da quando si è instaurata la prassi delle missioni dei vescovi questi ultimi furono
autorizzati a procedere anche ex officio= non più sulla base di una denuncia, bensì di sua iniziativa,
molto probabilmente a seguito di qualche ‘’voce’’, ma formalmente dal vescovo stesso. Il vescovo
poteva agire ex officio quando il fatto fosse notorio o di pubblica fama. La chiesa comincia ad
organizzare i processi discostandosi da quello giustinianeo, il quale modello era accusatorio.
Inquisitorio è un carattere acquisito. La fonte per affermare questo sta in un trattato analizzato da
uno studioso. Il trattato è Trattato sui crimini, di cui l’autore è anonimo, (anni 60’ del 1100) ,
quarant’anni prima di Innocenzo III, e spiega in maniera molto semplice, come si fa il processo e
organizza il processo come un processo accusatorio, rimanendo fedele all’indicazione giustinianea.
Precisamente nel I CAPITOLO spiega che il processo inizia con l’accusatio e specifica come si fa
un’accusatio, in quanti giorni bisogna presentarlo, in quanti giorni deve rispondere la controparte e
così via. Questo trattato considerato dagli studiosi del diritto la prova del fatto che il processo,
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prima dell’influenza canonistica, fosse un processo di tipo accusatorio, e quindi il processo romano
canonico da accusatorio diventa inquisitorio
Innocenzo III quindi è il padre della procedura ex-officio, e la prima volta che afferma ciò è in un testo
normativo, precisamente una bolla (forma normativa dei pontefici) intitolata Licet Heli, la quale ci
perviene nel Liber Extra (la raccolta normativa dei papi che incide molto sul processo, compilata da
Gregorio IX nel 1234), e altra decretale, intitolata Qualiter et Quando del 1206, inserita sempre nel
Liber Extra.
Licet Heli afferma che chi agisce oltre gli eccessi (oltre la misura giusta) dei chierici (sudditi del
papa) può farlo (indica così i modi):
a. A seguito di una denuncia ( vi è già un concetto legato all’inquisitio) al fine di verificare, ossia
inquiere , se il clamore si accompagni alla veritas ( verità ontologica, profonda e reale)= il
processo è sempre stato influenzato dalla cultura.
Qualiter et Quando entra a far parte di un canone (la decisione di un concilio). Prende lo stesso
nome della decisione nove anni dopo, nel 1215. Il concilio è il Concilio Lateranense il concilio
decise di pronunciarsi sulla questione dell’inquisitio ed elabora un canone, appunto Qualiter et
Quando (1206, decretale singola; 1215 il canone).
Questo canone detta le coordinate del processo romano-canonico l’azione può cominciare
mediante denuncia, inquisitio e l’exceptio, si potrà agire ex-officio sulla base della pubblica fama
possiamo dire che così si ha la personificazione della pubblica fama, ovvero è colei che accusa.
I tribunali laici mutuarono le regole del processo canonico Vi fu un testo pubblicato nella capitale
dell’editoria, Venezia, ma vi erano anche Lione e Francoforte nelle quali si pubblicavano tutti i libri di
diritto. Venezia, in età moderna, non era soggetta alla censura, infatti per motivi politici era più lassista e
perciò, tutti gli editori vi costruivano li le fabbriche. L’edizione è del 1560, mentre le opere che contiene il
testo sono tardo medievali vi è questa sfasatura cronologica perché nel medioevo ancora non esisteva la
stampa. Questo fenomeno esplose nel fine 400, ma soprattutto nel 500.
Vi era l’abitudine di inserire insieme più autori che si erano occupati dello stesso argomento, nel
frontespizio. In questo testo vennero messi insieme Alberto da Gandino (post-accursiano, seconda metà
del 200’) Bonifacio de Vistarini, Baldo Perigli, Paolo Grimaldi e Jacopo d’Arena. Il più antico di tutti è
Alberto da Gandino.
Alberto da Gandino Trattato sui reati è significativo il fatto che i medievali chiamassero i reati con il
termine maleficium (malum facere). Nel proemio Gandino racconta un qualcosa di autobiografico:
quando sedevo a Perugia, ormai tanto tempo fa, io Alberto da Gandino, composi questo piccolo testo che
parlasse dell’ordine (ordo).’’ Dice poi a chi si rivolge. Afferma che questa materia non è da disprezzare, che
è pratica, e che questo libro lui lo mette in diffusione per l’utilità sua e degli studenti scolari di diritto civile
(diritto giustinianeo) e dei nuovi avvocati e giudici che vogliono perfezionare la loro conoscenza.
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Da Gandino, nella rubrica ‘’in che modo si conosca dei reati per inquisitionem’’ scrive resta da
vedere in che modo si conosca dei reati per inquisitionem sulla quale bisogna vedere il luogo, casi e
il modo in cui si proceda. Bisogna sapere che l’inquisitio deve essere fatta per arbitrio del giudice. Il
giudice né deve, né può inquiere su qualsiasi fatto (bensì vi sono delle regole) poiché si legge che,
senza accusatio non procede la cognitio criminis e l’imposizione della pena.
Tuttavia la cosa funziona diversamente in alcuni casi di diritto canonico rispetto al diritto civile, il
quale anch’esso si aprì all’ipotesi inquisitoria. Quali sono i casi in cui si può usare l’inquisitio per
diritto civile (romano giustinianeo):
Quando il dominus sia ucciso dalla famiglia: la famiglia è intesa come servitori, i domestici. In
questo caso sembrerebbe più opportuno agire per inquisitionem. Perché? Perché l’accusatore è
chiaramente tendenzioso. All’interno della famiglia si crea un contesto omertoso, quindi è
preferibile che agisca una persona dall’esterno.
Quando l’accusatore pecunia corructus: l’accusatore, pagato o comunque corrotto, chieda
l’abolizione dell’accusatio. In questo caso Gandino afferma che sarebbe preferibile l’inqisitio.
Quando si richiede generalmente conto uomini malvagi nel crimine di lenocinio(casa chiusa): è un
luogo in cui si interpretavano vari reati (gioco d’azzardo, prostituzione, criminalità) ed era un luogo
tipico nel quale, i giuristi medievali, si ponevano il problema secondo il quale sarebbe meglio agire
ex-officio. Lenone, ovvero chi detiene la casa, tende a proteggere le sue ‘’protette’’, è un gruppo
molto compatto e l’unico modo per agire in modo efficace, è l’inquisitio.
Crimine di apostasia: quando uno rinnega la religione di appartenenza.
Crimine di eresia: dottrina che si oppone direttamente a una verità rivelata e proposta come tale
dalla chiesa.
Dunque, sulla base delle cose predette, per far partire un processo penale (de maleficis) sulla base
delle regole del diritto giustinianeo, occorre un’accusatio. Per quanto riguarda il diritto canonico, si
procede per inquisitio se tuttavia, intervengono le condizioni necessarie.
PUBBLICA VOX
FAMA
INFAMIA (MULTIPLA)
Ormai per diritto civile i giudici conoscono per qualsiasi maleficio il sistema dell’inquisitio, il che sembra che
si possa fare sulla base dei seguenti diritti. E così ormai si comportano i giudici, sulla base di ciò detto, per
consuetudine (la prassi ormai va nel senso dell’inquisitorio):
Servant iudices de consuetudine, et ut vidi communiter observari: e così io, giudice da molti anni, vedo che
comunemente si pratica, benchè sia contro ius civile.
Questo perché?
Le guerre fra fazioni portarono, a volte, i comuni a chiamare il così detto potestà esterno. Nella realtà
comunale, spesso veniva chiamato un potestà straniero, il quale veniva chiamato ad una parte neutra, per
cercar di mettere pace tra le fazioni che si combattevano. Tutto ciò aveva una condizione: cercare di
pacificare la città ed evitare la violenza urbana.
ENNIO CORTESE (LA SAPIENZA) La prima tesi storiografica che cerca si spiegarsi l’adozione
dell’inquisitorio. Il passaggio all’inquisitorio sarebbe stato il frutto del tentativo di affermazione all’interno
del comune di uno più potente degli altri che, con il pretesto della pace utilizzasse la giustizia per regolare i
conti con gli avversarsi. Quindi vediamo l’inquisitorio come espressione della ascesa dall’assolutismo
signorile. Questa svolta autoritaria/assolutistica è stata inquadrata da altri autori, come Mario Sbriccoli
storico che ha scritto vidi communiter observari.
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TESI DI MARIO SBRICCOLI Sosteneva che non era tanto una questione di assolutismo che spinge verso
l’inquisitorio, è il fatto che ci fu una serie di concause che indussero il principe (signore) a scegliere
l’inquisitorio al posto dell’accusatorio.
L’accusatorio si basa sul volto scoperto, in quanto andando ad accusare, l’accusato prima o poi ne
prenderà notizia dovendosi confrontare. Ciò, in un clima di terrore come lo era in quello delle signorie
italiane del 300’ e 400’, non poteva farsi, rischiando la vendetta dopo aver accusato. Inoltre, per accusare,
bisognava star bene economicamente così da potersi permettere un avvocato, e questi sono secoli di
profonda crisi economica, soprattutto nelle città signorili italiane e quindi si preferiva evitare queste spese
da parte dei più poveri.
Il principe poteva aver interesse a mostrarsi come colui che voleva imporre la pax pubblica e impedire,
contemporaneamente, il ludibrium ( dileggio= presa in giro delle leggi, radice lud gioco). Questo quindi,
era il suo DOPPIO OBIETTIVO. Le leggi non sono più arcano, austero dei testi giustinianei, ma son anche
quelle che il principe traduce STATUTI.
PUBBLICAZIONE Come mai oggi per noi è scontato che un processo sia pubblico?
Il processo all’epoca poteva essere anche segreto, privato, ovvero riguardava solo i soggetti interessati.
Secondo Sbriccoli il passaggio all’inquisitio fu causato dalla pubblicizzazione del processo, diventando
affare dell’intera comunità. Egli fa distinzione tra:
Giustizia egemonea egemonea: categoria inventata in Italia, dal padre fondatore del Partito Comunista
italiano, Antonio Gramsci. Gramsci sosteneva che, perché le masse prendessero il potere, non bastava fare
una guerra violenta contro il potere, bensì bisognava conquistare l’egemonia (fatto culturale). Quando
Sbriccoli scrive saggi in cui utilizza questa categoria, ha in mente l’idea di Gramsci, e cioè che la giustizia è
uno dei modi in cui si realizza l’egemonia.
Sbriccoli afferma che l’egemonia si può disporre all’interno di una società secondo due modelli:
MODELLO DI AFFARE PRIVATO affare privato, che riguarda i soggetti direttamente interessati;
MODELLO EGEMONICO è la res-publica che fa giustizia, quindi la giustizia non è più affare di trattativa,
ma è affare di egemonia.
Quindi, quando la giustizia del 300’-400’ passa all’inquisitorio, lo fa perché si pubblicizza, e perché la
pubblicizzazione comporta il passaggio da una giustizia negoziata, ad una giustizia egemonica.
Pro-attività Sbriccoli afferma : la giustizia negoziale è una giustizia reattiva, cioè i poteri pubblici,
ammesso che se ne vogliano occupare, REAGISCONO ad un atto che viene ritenuto illecito; di solito
questo atto viene segnalato attraverso l’accusatio. Quando la giustizia si pubblicizza, diventando interesse
del potere prendere le redini del processo, la giustizia è pro-attiva e cioè, si muove per prima, di propria
iniziativa (ex-officio).
La pro-attività è un fenomeno che cambia le regole probatorie, perché mentre il processo negoziale si
muove nei binari indicati da chi lo attiva (la parte), il processo egemonico e pro-attivo si muove in campo
libero.
Procedura negoziale è un procedura sempre fedele a ciò che producono le parti , iusta aligata et
probata= secondo ciò che allego al processo, a ciò che provo;
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Procedura pro-attiva egemonica è una procedura che può attingere le prove laddove
l’inquirente lo ritiene, avendo campo libero.
Il modello inquisitorio quindi si radica, avendo nel corso dei secoli successivi, almeno sino al primo 800, il
predominio assoluto del modello inquisitorio. Nel 500’-600’ vennero impiantati i Grandi Tribunali i quali
continuarono a giudicare secondo modello inquisitorio.
Vi è un giurista in particolare, Anthon Martès giurista olandese, nel 1644 scrisse un famosissimo Trattato
intitolato De criminibus (sui crimini) e in questo trattato Marthes sosteneva che il vero processo romano
era accusatorio, che questo modello offriva un processo più garantista e che vi era bisogno di ripristinarlo.
Nel 1808, tempo d i Napoleone, venne istituito il Codice di istruzione Criminale questo codice stabilisce il
modello bifasico, il processo quindi si svolge in due fasi:
Lezione: 16/10/19
37. LA TORTURA
Come abbiamo spiegato in precedenza, il carattere inquisitorio è il carattere più rappresentativo nella
storia del processo. Il secondo carattere acquisito è quello della TORTUTRA.
LA TORTURA La tortura è una caratteristica acquisita, perché dal principio, non sembra che il
processo romano canonico sia a favore della tortura.
La tortura non è una pena, bensì è uno strumento processuale cui serviva a precostituirsi un mezzo
di prova, e quindi è uno STRUMENTO FUNZIONALE ALLA PROBATIO.
OBIETTIVO DELLA TORTURA era ottenere una confessione, ritenuto regina delle prove. Sulla
tortura ci sono biblioteche intere che se ne occupano, e i punti di vista sono anche molto diversi,
poiché ci sono autori che, un po’ provocatoriamente, traggono un pregio della tortura, ovvero che
essa sia normativizzata, e quindi aveva delle regole. Questi autori provocatori continuano
affermando che, quando la tortura venne abolita nel 1700, rimase applicata di fatto, cioè in molti
processi penali la tortura ha continuato ad operare in forme più sottili, più subdole.
Il pregio dunque era che la tortura fosse legittimata dall’ordinamento giuridico. Altra
provocazione, fase più antropologica, sosteneva che vi sono delle società che sono predisposte per
raggiungere la giustizia come obiettivo, anche al prezzo del dolore fisico= pretium dolores, prezzo
che era accettabile.
La tortura è quindi carattere acquisito del processo romano-canonico, la quale era una
conseguenza inevitabile della struttura della prova legale: Ma perché nel processo romano-
canonico si persegue la confessione? Perché il giudice è a conoscenza del fatto che, una volta
ottenuta la confessione, quest’ultima è irretrattabile il valore della prova è precostituita dalla
legge.
La tortura entra in scena nella seconda metà del 1200, (dove già si impartì nel 1199 la inquisitio), a
seguito di un'altra norma pontificia, una bolla (tipico procedimento papale) che s’intitola Ad
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extirpanda, 1252 l’autore di questa bolla è un grande papa giurista, Innocenzo IV, il quale fu un
grande giurista prima di diventare papa.
La chiesa, quando trattava l’argomento dell’eresia, la paragonava sempre alla zizania della parabola
evangelica, cioè la cattiva erba che va estirpata per far crescere bene quella buona. L’eresia quindi
era definito all’epoca la malapianta. Quando il papa utilizza la forma per estirpare, sta spiegando ai
giuristi quali sono i mezzi (ai limiti) per estirpare la malapianta dell’eresia, e tra questi mezzi
Innocenzo IV inserisce la tortura. Secondo Innocenzo IV, questa pratica può essere utilizzata
indifferentemente da magistrati ecclesiastici e dai magistrati laici, in quanto ormai, nel corso del
200’, si sta determinando questa mutuazione di uno e l’altro foro (FORO DELLA COSCIENZA
CHIESA; FORO DELLA VITA TERRENA TRIBUNALI LAICI), in quanto ormai hanno la stessa
procedura. Inoltre, la chiesa ritiene di non doversi direttamente sporcarsi le mani quando il
processo sfocia in attività truci, e ciò si nota sia nel caso della tortura, e sia nel caso della pena di
morte, infatti nel processo dell’inquisizione la chiesa termina questo processo affidando il sospetto
eretico al braccio secolare insieme degli strumenti apprestati dalle leggi dello Stato per rendere
esecutivi i provvedimenti dei tribunali ecclesiastici, ed in particolare per rendere concretamente
applicabili le pene da essi inflitte.
A Roma vi è una piazza in pieno centro, Piazza della Minerva, dove si celebravano i processi contro
gli eretici: qui arrivava l’inquisitore, era presente anche la folla in quanto i processi erano pubblici, il
quale chiedeva l’abiura (l'atto di abiura è un documento utilizzato in varie epoche con il quale, per
diverse ragioni, un soggetto formalizza con una dichiarazione il rinnegamento di una precedente
appartenenza ad una ideologia o, più frequentemente, ad una religione), e alla fine, se la chiesa
riteneva che il soggetto dovesse essere condannato a morte, rilasciava l’inquisitio al bratium
secularis , poiché la chiesa non interviene direttamente nell’erogazione della pena capitale,
medesimo discorso valeva per la tortura.
Inquisitore deve quindi capire che cosa è successo e chi è stato. Quindi l’inquisitio generalis
presenta questi due caratteri di generalità: -CHI
-CHE COSA
Per risolvere entrambi i quesiti, il giudice deve avviare una procedura di specificazione, passando da
un’inquisitio generalis ad un’inquisitio specialis. La tortura segna questo passaggio, e presuppone che da
un’indagine generale si passi ad un’indagine mirata.
A condizione che vi siano degli elementi probatori i quali consistano in indizi (ad torquendum)
sufficienti a torturare. indicia ad torquendum.
Vi è una selva di ipotesi che i giuristi medievali avevano avanzato, tra loro in disaccordo, su quali indizi
bastassero per torturare. A tal proposito s’inventarono gli aggettivi più vari, tra l’altro vacui come indizi
urgenti, indizi gravi, indizi gravissimi, urgentissimi, ma alla fine sono tutte parole che uno riempie
come vuole. La verità è che l’inquisitore aveva un arbitrio pressoché assoluto nella valutazione del peso
dell’indizio sufficiente alla tortura. Il processo medievale era interamente arbitrario.
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Tuttavia vi erano dei limiti relativi allo STATUS del soggetto imputato;
ETA’;
SESSO
STATUS SOCIALE. il nobile, il chierico potevano essere torturati, ma non come gli altri, con altre
modalità.
Il diritto medievale non perseguiva l’uguaglianza, ciascuno veniva trattato in maniera conforme al rango di
appartenenza.
LE GARANZIE
Tra le garanzie formali, vi era quella secondo cui il giudice doveva essere sempre presente durante la
tortura, e inoltre, doveva sincerarsi che fosse presente anche un medico, in quanto pratiche clinicamente
imprevedibili. La presenza del giudice e del medico presuppone che vi fosse un controllo da parte
dell’autorità giudiziaria, e non una delega a personale minore. (ovviamente tutto ciò era solo scritto su
carta).
MECCANISMO DELLA RATIFICA i medievali erano a conoscenza del fatto che la tortura portava con sé un
carico emotivo che poteva spingere l’inquisito a dire cose non corrispondenti alla realtà. Cesare Beccaria,
nei De delitti e delle pene (1764) afferma che la tortura è ingiusta, perché determina effetti schizofrenici a
seconda della resistenza dell’imputato. Questo meccanismo era utilizzato per rimediare al rischio secondo
cui il debole non può resistere alla tortura, mentre il forte può farlo. Quasi tutti i giuristi medievali e
moderni e molte leggi prevedevano che, dopo alcune ore dalla tortura, all’imputato venisse consegnato un
foglio di carta con il verbale di ciò che aveva dichiarato sotto tortura, e con l’invito a ratificare quanto
detto.
Uno dei più grandi critici francesi della modernità, Michel Fucò segnalò l’ipocrisia della modernità. Lui
era omosessuale dichiarato, fu uno dei primissimi uomini a fare l’outing, vivendo anche sulla sua pelle
questo senso di emarginazione e discriminazione, e infatti uno dei suoi chiodi fissi era appunto il concetto
di emarginazione, di separazione. Fucò esaminava la varie forme tipiche della modernità disaggregante,
emarginante. Le prime due forme di discriminazione la pazzia, la malattia. Lui affermava:’’ in una
società cristiana solidaristica come quella medievale, il pazzo e il malato stavano in mezzo agli altri. Nell’età
moderna si creano i manicomi e i lazzaretti’’ . I malati venivano mandati fuori città, isolati, per evitare il
contagio.
La terza forma di discriminazione, che tocca il campo giuridico, è il delinquente, il carcere in particolare. Il
carcere non esisteva nel medioevo e in età moderna come noi ad oggi lo conosciamo, l’unica forma di
carcere conosciuta dai medievali e in età moderna era il carcere preventivo, ovvero loro mettevano le
persone in carcere solo quando erano in attesa di giudizio. Oltre al carcere, vi era la pena del trireni, già
presente nel diritto romano, dove i condannati remavano i galeotti (galea= galera), o li mandavano nelle
isole. Nell’età moderna quindi Fucò afferma che si è delineata l’idea di carcere; nel 700’ o 800’ si creano dei
luoghi di detenzione, dove i soggetti venivano separati dal resto della società, e, tra queste forme di
separatezza, il carcere si caratterizza per essere un luogo dove la pena assume una connotazione fisica, in
quanto il potere si scatena sui corpi. Fucò infatti, è uno dei padri di una linea di pensiero, che ancora oggi è
molto viva, la biopolitica (bios= vita), teoria che sostiene che il vero potere è quello che si esercita sul fisico
delle persone. quindi la tortura è il tipico bando di prova della biopolitica. Secondo Fucò la tortura,
inizialmente, aveva questo pregio: era un duello a volto scoperto tra il giudice e inquisito e aveva le sue
regole il giudice era a conoscenza che non poteva superare un certo livello, sapeva che la sofferenza
doveva essere dosata sulla base di regolette funzionali al raggiungimento dell’obiettivo principale (la
verità), mentre nei secoli seguenti la tortura è diventata anomica (senza regole) e quindi, totalmente
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arbitraria, incontrollata. I francesi erano molto turbati da due fatti che sono accaduti nella loro storia del
900’:
Occupazione nazista a Parigi, durante la Seconda Guerra Mondiale;
La guerra d’Algeria la Francia combatte fino a quando l’Algeria divenne indipendente, e aveva
visto i grandi paladini illuministici francesi torturare gli algerini per sottometterli come colonia. Gli
intellettuali francesi erano turbati in quanto, loro che sono i nipoti della rivoluzione francese,
applicano la tortura agli africani perché considerati razza inferiore.
In poche parole, Fucò sosteneva che la tortura avesse il pregio della lealtà, della chiarezza di regole.
Dal testo di Fucò, Sorvegliare e punire, la nascita della prigione:’’ la tortura è un rigoroso gioco
giudiziario, non diverso dalle antiche ordalie. Fra il giudice che ordina la tortura e il sospettato che la
subisce, c’è una specie di combattimento. Il paziente (torturando) è sottoposto a una serie di prove,
graduate per severità, che egli supera resistendo o alle quali soccombe confessando’’.
Le teorie di Fucò non sono state accolte in maniera entusiasmante da altri storici del diritto, perché Fucò
dice che le regole della tortura erano rigorose, in quanto nella realtà non lo erano.
Quindi la prima risposta che da il 700’ in senso critico verso la tortura, è che la tortura è disumana.
argomento umanistico.
Cesare Beccaria solleva l’argomento utilitaristico sostiene che la tortura sia inutile, perché il suo
successo dipende, singolarmente, dalla resistenza fisica dell’interessato. L’argomento di Beccaria si
accompagna ad un altro argomento, che è quello della ingiustizia. Beccaria, infatti, fu il primo ad affermare
che la tortura è una pena anticipata perché colpisce un soggetto che non è stato ancora accusato.
Il processo romano-canonico, nato nel 200’, caratterizzatosi via via nel corso di quello stesso secolo,
comincia ad essere costruito dalla dottrina: i tribunali laici mutuano da quelli ecclesiastici questo tipo di
procedura, però il processo romano-canonico è una macchina estremamente sofisticata all’interno del
quale gli stessi giudici e giuristi ci capiscono poco (vi sono regole canonistiche, giustinianee, regole
spezzettate per territorio che valgono di territorio in territorio) ed è troppo complicato per risultare
gestibile. I giuristi medievali allora, si inventano il meccanismo del processo sommario: esasperati dalla
lunghezza, complessità e formalismi gli stessi legislatori, in particolare i papi, stabiliranno che in via
eccezionale, per alcuni casi, si debba praticare un processo abbreviato, sommario. Ciò vale sia per il
processo civile, sia per il processo penale. ciò che valeva come eccezione, varrà come regola, in quanto
il vero processo che veniva praticato, era proprio quello sommario.
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Lezione: 22/10/19
Il diritto canonico produce anche la procedura sommaria, in quanto in questi tempi, non era nemmeno
netta la distinzione tra processo civile e processo penale.
Il processo sommario nasce nell’ambito del processo civile, ma venne adottato nel processo penale sino ad
arrivare ai tribunali laici. Tuttavia, la differenza che caratterizza l’uno e l’altro polo, è che i giuristi civilisti si
occupavano di DIRITTO GIUSTINIANEO, mentre i giuristi canonisti si occupavano di un diritto che era
prodotto sia dai Papi, nelle forme delle decretali, sia dai vescovi nelle forme dei canoni. Alla fine del 1110
vi furono grandi papi legislatori, che scrissero tante decretali concernenti il processo. Molte di queste
decretali confluirono nelle raccolte pontificie, Liber Extra di Gregorio IX del 1234, Liber Sextus di Bonifacio
VIII del 1298 e il corpo delle Clementine, norme pontificie degli anni 10’ del 300’.
Il papa Clemente V in particolare promulgò nel 1312 e 1314 due costituzioni che s’intitolavano,
rispettivamente, Dispendiosam e Sepe Contigi sono i nomi delle due costituzioni di papa Clemente V che
riguardano il processo sommario.
A queste due costituzioni, ne venne fuori una costituzione vera e propria (legge dell’imperatore), di Arrigo
VII (imperatore citato anche da Dante), intitolata Ad reprimendam, 1313.
Dispendiosam, 1312 le norme medievali e moderne prendevano il nome dalla prima parola del
testo normativo, e infatti la norma papale comincia con l’aggettivo dispendiosam.
‘’Io voglio restringere la dispendiosa progressione delle liti, la quale proroga, come talvolta insegna
l’esperienza, deriva dal rispetto del sottile ordine giudiziario’’.
Obiettivo del papa è evitare la lunghezza delle liti, in quanto questa lunghezza delle liti rende la giustizia
troppo costosa. Clemente V, sulla base di questa costatazione, ci confessa una debolezza del potere
politico, in quanto afferma che dall’esperienza (questo squarcio, aperto da un papa sulla realtà fattuale, è
uno squarcio raro perché è raro che lo faccia un papa) ha capito che rispettare l’ordo giudiziario, rende la
giustizia troppo lunga. Il papa si occupava processi canonistici, interni alla chiesa, ai tempi tuttavia la
giustizia ecclesiastica era in gran diffusione, e divenne il modello a cui si conformò la giustizia laica.
In questa norma pontificia, Clemente V si occupa delle tipiche cause canonistiche che egli desidera che si
svolgano sommariamente. Le cause elencate sono:
Elezioni quando si eleggeva un vescovo, all’interno della chiesa, si discuteva. Colui che perdeva l’elezione
si rivolgeva al giudice ecclesiastico per contestare quanto deciso;
Provviste denaro che la chiesa dava alle singole realtà territoriali, redistribuendo il reddito che essa
accumulava; nel medioevo, tutti coloro che si approssimavano al momento fatale, facendo il testamento
lasciavano ¼ dei propri beni alla chiesa. Quando si trattava poi, di provvedere i monasteri, chiese,
parrocchie ecc.. iniziavano i contrasti; anche per questo tipo di cause Clemente V voleva che si procedesse
sommariamente;
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Benefici i benefici erano i lasciti che venivano erogati direttamente alle singole componenti della
chiesa, ad esempio per le messe.
Come dovevano svolgersi, secondo Clemente V, queste tipologie di cause? Quali erano le regole
che rendevano una causa sommaria?
Per la chiesa una causa era sommaria quando rispettava queste ‘’regole’’.
Queste misure, secondo Clemente V, avrebbero potuto evitare il prolungarsi dei processi.
Da questa costituzione, possiamo notare che è come se ci fossero in ballo due alternative, come se si
fronteggiassero due poli:
Dopo qualche anno, all’interno della chiesa, alcuni grandi giuristi canonisti, chiedono al Papa dei
chiarimenti sulla Dispendiosa, o per meglio dire, richiedono una interpretazione autentica (una nuova
norma nata nell’intento di chiarificare ciò che quella stessa autorità aveva affermato in una norma
precedente), in particolare il consigliere di Clemente V, Giovanni d’Andrea.
Clemente V risponde all’appello di Giovanni d’Andrea e spiega nella clementina Sepe Contigit che cosa
intendeva dire con quelle espressioni sempliciter, de plano e sine strepitu et figura iudicii. Nel mezzo delle
due costituzioni, come già detto, piomba anche una costituzione imperiale. All’epoca, l’imperatore e il
papa non erano in buoni rapporti: l’imperatore era Arrigo VII, il quale interviene con la costituzione
Ad reprimendam con questa costituzione Arrigo VII adotta il sistema della procedura sommaria.
L’imperatore fa quest’intervento con riferimento alle cause criminali e, precisamente, dovranno
essere puniti sommariamente coloro i quali saranno sospettati di lesa maestà delitto che mirava
alla tenuta della comunità politica. Era il delitto più grave che si possa commettere in età
medievale e, ancor di più, in età moderna, ovvero l’attentato alla stabilità della res-publica, o
attentato alla maestà del potere religioso. Si tratta di un delitto a due facce: ma perché questo?
Perché il diritto romano già conosceva il delitto di lesa maestà, e siccome era disciplinato da una
certa lex , questa lex era divisa in due capi:
Primum caput in primo capite riguardava la lesa maestà divina , mettere in dubbio le verità
dogmatiche (come, ad esempio mettere in dubbio la trinità).
Secundum caput in secondo capite riguardava la lesa maestà umana la lesa maestà umana è la
faccia laica dello stesso reato, come ad esempio sostenere che Arrigo VII sia stato eletto da principi elettori
illegittimi, o che non sia munito di delega imperiale.
I due poteri, il potere laico e il potere religioso, erano insieme, ma erano due capi distinti.
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40. SISTEMA DELLA PROCEDURA SOMMARIA
Questa costituzione introduce anche nell’ambito civile, laico, la procedura sommaria, e lo fa rispetto al
reato di lesa maestà, reato più grave che si potesse commettere nella comunità. Ma proprio nel fatto più
grave per la comunità si adottano regole sbrigative, informali? Paradossalmente sì, tutta la storia del
processo, medievale e moderno, si caratterizza per questa stranezza: quanto più grave è il capo
d’imputazione, tanto più la procedura può essere snella, ed è un punto trattato anche da Cesare Beccaria
ne Dei delitti e delle pene.
Quali sono le regole che rendono la procedura sine strepitu et figura iudicii, de plano e simplex? Non è
tanto ciò che detta la legge a costituire la norma nel diritto medievale: ciò che è norma è sia la legge, sia,
ancor di più, tutto il castello di dottrine che si costruisce sulla legge. La dottrina medievale ha una valenza
para-normativa.
Il processo in Italia, Francia, Germania ecc.. ha sempre avuto una dinamica più o meno fissa, ovvero vi è un
tizio, actor (radice agere che va), e c’è un altro tizio che risponde alla chiamata dell’actor, il convenuto
che, però, nel linguaggio romano, medievale e moderno con grande orrore degli illuministi, veniva
chiamato anche reus. Come fa l’actor a chiamare il reus? L’actor si rivolge al giudice, e gli porta un
fascicoletto che somiglia ad piccolo libro, infatti questo atto di citazione si chiama libello= libellus piccolo
libro). Quest’azione viene seguita da un atto di risposta del convenuto, e dopo diversi passaggi s’installa
quella fase che ancora oggi esiste nel processuale civile, la litis contestatio il momento in cui si
confrontano le parti.
Secondo le regole dell’ordo iudiciarius, non dovrebbero mai mancare nel processo ordinario il
libello e la litis contestatio, ai quali invece si può rinunciare nel processo sommario vengono
meno i due pilastri del processo ordinario.
Cosa poteva fare la parte che si vedeva citata in giudizio nel processo ordinario?
Poteva opporre dilazioni e eccezioni ( Dilazioni= sono malato, posso portare un certificato medico e
venire a rispondere tra due mesi? / Le eccezioni= sono delle contro-domande, che dovrebbero
servire a far limitare la domanda dell’attore). Nel processo sommario, dilazioni ed eccezioni
dovrebbero essere ridotte al minimo.
Può essere imposto, nel processo sommario un termine unico per positiones e articuli
Positio argomento singolo, l’affermazione che pone un soggetto fino a prova contraria
(affermazione fino a querela di falso)
Articulum singolo punto in cui si scompone l’oggetto della lite.
Di solito, nei processi medievali, ogni volta che il giudice convocava le parti, una parte, ad esempio,
affermava:’’ la prossima volta porterò cinque positiones’’, la volta dopo :’’ la prossima volta ti
porterò otto articuli’’ e così le cause diventavano immortali. Nel processo sommario il giudice era
autorizzato ad agire fissando un termine unico per presentare positiones e articuli.
Nel processo ordinario vi doveva essere una fase dove le parti erano invitate a concludere, ma
anche la conclusio poteva essere omessa;
LE FASI INDEROGABILI
I giuristi concordavano sul restringere i tempi, ma tuttavia esso doveva prevedere alcuni passaggi
inderogabili. Cos’era che non doveva mai mancare?
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La citazione un soggetto ha il diritto di essere a conoscenza che è stato chiamato in giudizio, sia
nel processo civile, sia nel processo penale, posto che nel medioevo non vi era ancora una netta
distinzione;
Nel processo ordinario la citazione avveniva attraverso il libello, ma come accennato prima, il
libello poteva essere omesso. Alla luce di ciò, i giuristi s’inventarono una serie di soluzioni
alternative affinché l’atto di citazione, seppur non formale, raggiungesse sostanzialmente il
destinatario. Entrò in gioco un'altra parte delle sacre scritture nel tema della citazione, il triplice
rinnegamento di Pietro quando Pietro, per tre volte, nega di conoscere Cristo. I giuristi canonisti,
allora si chiesero:’’ Quante volte Pietro fu chiamato dai soldati romani per dire se conosceva
Cristo? Tre volte’’ quindi, poiché una citatio valga, deve essere triplex, nel processo ordinario. Per
quanto riguarda il processo sommario, la citazione poteva anche non essere triplice, ne bastava
solo una.
Minimo apparato probatorio un minimo di prove;
Un minimo diritto di difesa precisamente Giovanni d’Andrea fa un osservazione, affermando
che doveva esserci una difesa non sugli atti del giudizio, ma sugli atti della lite Questa differenza,
in sostanza, riguarda il vizio procedurale e vizio di merito. Secondo Giovanni d’Andrea, il diritto di
difesa concerne il vizio di merito, mentre i vizi di procedura potevano essere sorvolati.
Citazione ad sententiam come non può mancare la citazione iniziale, non può mancare
nemmeno la citazione per andare a sentire (sententia), la decisione finale, in quanto è un momento
solenne.
La sentenza doveva essere scritta anche il processo sommario doveva concludersi con un testo
scritto. E’ un pregio del processo romano canonico, in quanto la chiesa costruì questo processo
come reazione al processo romano barbarico, e come reazione al processo feudale (due tipi di
processo che erano visti di malocchio dalla chiesa perché campati in aria, dove tutto era orale).
La sentenza deve essere pronunciata personalmente dal giudice la sentenza, oltre che scritta,
doveva essere pronunciata personalmente dal giudice (regola di garanzia). Perché questo? Perché,
purtroppo, molti processi venivano di fatto gestiti dai mastrigatti ( magistri gatti)= cancellieri
Iuxta allegata et probata il giudice, prima che il processo diventasse inquisitorio, non poteva
condurre lui l’istruzione, doveva attenersi a ciò che le parti gli proponevano. Le parti, nel processo
civile, proponevano queste ‘’prove’’ o allegando ai documenti o attraverso vere e proprie prove, e
il giudice doveva limitarsi a quel terreno specifico. Nelle cause criminali, quando il processo
assumerà un contorno inquisitorio, questo limite dell’allegato et probato svanirà, in quanto il
giudice potrà decidere anche sulla base di ciò che lui personalmente allega e prova. Questo
attivismo del giudice si pone, in particolare, nei confronti di un fenomeno molto grave se si pensi al
fatto che le civitas medievali erano piccolissime, il così detto problema della privata scienzia se il
giudice pratica il suo mestiere in un luogo X , è possibile che conosca le parti viste le piccole
comunità presenti, ed è altrettanto possibile che il giudice si sia trovato nel luogo dove si è
consumato un delitto. Tuttavia, quest’ultimo non ha prove che Tizio abbia commesso una rapina, lo
sa per privata scienzia. Il giudice poteva condannarlo senza prove, ma per conoscenza privata?
Stando alle regole strette anche del processo sommario, il giudice non avrebbe potuto procedere a
condanna sulla semplice base della scienza privata.
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alcuni elementi di sostanza che non potevano mai mancare in un processo, in quanto discendevano dal
diritto di natura.
Bartolo parla di i substantialia, inderogabilità dei substantialia che discendono dal diritto naturale, e
non dal diritto civile. Bartolo parte dalla premessa secondo cui gli aspetti sostanziali, anche nel processo
canonico, vadano salvaguardati. Per aspetti sostanziali non intende quelli che discendono dallo ius civile,
bensì discendono dal diritto naturale. (età moderna, 500-600)
Tali sacre scritture sono la Genesi la Genesi afferma che Dio chiamò Abramo, quindi persino
l’essere più potente che sia mai stato concepito, Dio, nel processo più importante nella storia
dell’umanità, in quanto da lì cambiò il corso della storia, persino in quel momento, Dio che
tutto può, ha voluto rispettare la citazione l’atto di citazione esiste per natura. I giuristi
utilizzano il termine tollere.
Altra fonte la norma del diritto canonico, precisamente il canone Pastoralis cura (prime
parole del canone) il canone in cui il Papa dice che è illegittima la citazione di Arrigo VII che ha
sporto contro un suo acerrimo rivale politico, re Roberto d’Angiò. Ma perché? Nel medioevo, la
vita politica scorreva su questo binario, ovvero sullo scontro perenne, con alti e bassi, tra
potere temporaneo e potere spirituale. All’inizio del 300’, quando il Papa voleva contrastare le
pretese di egemonia sull’Italia di Arrigo VII, il Papa si appoggiò sul potente dell’Italia
meridionale: il re di Napoli Roberto d’Angiò.*
Piccola parentesi sugli Angiò*quando Federico II morì, nello sterminio dei suoi figli, il Papa chiamò in odio
verso la dinastia sveva, la famiglia degli Angiò dalla Francia. Furono grandi protagonisti anche di opere
artistiche come chiese e cattedrali, in quanto famiglia molto religiosa, filopapali.
Per difendere Roberto d’Angiò, suo amico, il Papa intervenne in un processo che aveva tentato di
imbastirgli contro Arrigo VII, l’imperatore. In che modo il Papa interviene nel processo? Interviene
pesantemente, dicendo che la citazione fatta dall’imperatore nei confronti di Roberto d’Angiò è illegittima,
perché l’imperatore l’aveva citato a comparire a Pisa, ma Pisa era una città ghibellina, mentre Roberto
d’Angiò era guelfo: posto ciò, Roberto d’Angiò non si sarebbe mai presentato, in quanto per ragione di
ideologie diverse, avrebbe perso la causa in partenza.
Bartolo afferma che la Pastoralis cura dimostra che la citazione non può mai mancare, in quanto
dimostra che se la citazione è nulla, tutto il processo decade.
Bartolo inoltre, afferma che un elemento sul quale non si può transigere, un elemento cioè che costituisce
un substanziale, mai eliminabile neppure nei processi sommari, è il fatto che non si possa celebrare il
processo nei giorni di festa. Perché?
La riteneva una forma di tutela, in quanto anzitutto nella Bibbia vi è la frase:’’ nel settimo si riposò’’.
Per tutelare i ceti deboli quindi, la Chiesa chiedeva ai potenti di risparmiare le fatiche dei deboli almeno nel
settimo giorno. In questo silenzio doveva rientrare anche l’attività dei tribunali, con una sola eccezione:
TRIBUNALI MERCANTILI in molte città, l’uscita della messa domenicale era uno dei pochissimi momenti
dove le persone socializzavano, dove uomini e donne s’incontravano, cosa che durante la settimana era
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inammissibile, e per questo vi era il mercato. Al mercato, vi erano continue risse tra acquirenti e
rivenditori, ed è per questo motivo che solo i tribunali mercantili potevano ‘’strepitare’’ nel giorno festivo.
Secondo Bartolo questa regola del riposo festivo era così inderogabile che anche nei processi sommari non
poteva violarsi.
Diritto naturale pre-moderno nella convinzione diffusa, il giusnaturalismo è un fenomeno della prima
età moderna, questo fenomeno è legato alla religione protestante. Questo perché? Perché dentro la
coscienza, nella natura di ciascuno di noi esistono dei diritti fondamentali, dei diritti naturali, che
prescindano dall’ordinamento a cui apparteniamo. Tuttavia, per affermare ciò, bisogna immaginare che
ciascuno di noi possa conoscere questa natura, attingendo direttamente alle fonti dell’ordinamento
giuridico protestantesimo, contro il cattolicesimo, afferma che la conoscenza delle sacre scritture non è
una conoscenza mediata, bensì il cristiano protestante può accostarsi alle sacre scritture personalmente, e
ancor di più deve interpretarla personalmente. Tutti gli studiosi di istruzione affermano che l’analfabetismo
crollò nei paesi protestanti perché il pastore luterano, durante la messa, diceva ai suoi seguaci che se non
avessero letto la Bibbia, sarebbero andati all’inferno, inducendoli a leggere direttamente il Testo Sacro. Lo
stesso fenomeno, avviene nel diritto: secondo il giusnaturalismo moderno, è giuridicamente naturale ciò
che in prima persona si percepisce come naturale. Nel diritto medievale, per Bartolo, naturale è quel diritto
che si evince dalle Sacre Scritture: Bartolo, per far capire che la citazione è un diritto naturale, sceglie la via
della fonte biblica, e della fonte canonistica. Quindi il diritto naturale è costituito contro le invasioni del
potere, in quanto il diritto naturale è proprio questo: è impensabile di dover mettere in carcere un soggetto
solo perché esprime un dissenso, o perché professa una religione diversa. Tutte queste espressioni,
retrodatate al medioevo, hanno una radice processualistica, si radicano in sede processuale: infatti, già i
giuristi tardo-medievali come Bartolo, elaborarono una griglia di defensiones naturales, ovvero alcune
difese naturali che il potere non può sottrarre, nemmeno il potere più dispotico. A tal proposito quindi,
potemmo dire che il processo medievale, e soprattutto la riflessione dei giuristi sul processo sommario
costituisce il laboratorio di quello spazio di difesa ‘’naturale’’ dei diritti inviolabili del suddito.Il suddito,
grazie all’elaborazione dottrinale, aveva uno spazio di tutele che neanche il potere più tirannico avrebbe
potuto sottrarre all’imputato o alla parte del processo civile. Queste tutele erano defensiones naturale,
difese date dal diritto naturale, e consistevano in quei punti di cui abbiamo parlato precedentemente
questo è il laboratorio in cui fiorirono le regole del giusnaturalismo moderno, anche se non con una radice
laica.
Lezione: 29/10/19
42. RIEPILOGO
Nel paragrafo precedente, abbiamo introdotto il tema della giustizia sommaria: nel tardo-medioevo, inizio
300’, su impulso dei canonisti, in particolare dei papi legislatori, la giustizia inizialmente ecclesiastica,
successivamente anche civile, cominciò a svolgersi il più delle volte secondo un rito extra-ordinem, in modo
tale da permettere al processo, soprattutto quello civile, di svolgersi in tempi più accelerati e con minori
formalismi. In questa riduzione delle procedure si aggregarono anche i tribunali laici, e soprattutto grazie a
Bartolo da Sassoferrato, commentatore del 300’, queste formule furono riempite di contenuti un po’ più
precisi: si disse che vi erano degli aspetti del processo, soprattutto civile, che non potevano mai essere
derogati. Questi aspetti erano identificati con il concetto di difese naturali vi sono dei diritti essenziali
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che al convenuto del processo non possono mai essere sottratto, neppure se si procede con processo
sommario citazione, presenza alla lettura della sentenza, la sentenza deve essere letta dal giudice in
persona e non da un suo sub-alterno, la sentenza deve essere scritta, deve essere presente, seppur
minimo, un apparato probatorio. In questa sede, vedremo queste stesse caratteristiche (celerità, la pra-
ordinarietà, accelerazione, informalità) nel campo del processo criminale, e tipica manifestazione di una
procedura snella in criminalibus, si aveva con il processo condotto ad modum belli.
Questo processo aveva delle radici tardo-medievali, però mentre nella procedura civile abbiamo visto che la
matrice era prettamente canonistica, questo processo criminale aveva una radice laica, che tra l’altro ci
riguarda particolarmente, in quanto nasce e si rafforza soprattutto nel nostro mezzogiorno. Nel 1268 con la
decapitazione di Corradino di Svevia, a Napoli, in Piazza Mercato, termina nel mezzogiorno la dinastia
sveva, la quale ebbe una breve durata. Gli Svevi furono sostituiti, per volontà del Papa ,dagli Angioini, la
famiglia d’Angiò proveniente dalla Francia, e che impiantò nel mezzogiorno una struttura amministrativa
molto più favorevole ai feudatari: mentre Federico II fu noto per essere stato despota, combatteva contro i
feudatari, i suoi successori, gli angioini furono molto più ben disposti nei confronti dei feudatari, avevano
un rapporto di collaborazione ciò ci interessa direttamente in quanto aveva delle ripercussioni
giudiziarie.
L’età medievale e moderna si caratterizzava per avere una pluralità di giurisdizioni, ma questa pluralità era
al suo interno conflittuale, uno scontro di potere, e questi poteri che si combattevano tra loro erano
soprattutto:
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-Moltiplicazione oggettiva
- Moltiplicazione soggettiva
Oltre a questa differenza sostanziale tra soggetti, vi era anche una differenziazione di tipo processuale, in
quanto ciascun ceto aveva diritto ad una propria giurisdizione, soprattutto i ceti più potenti:
Moltiplicazione oggettiva riguarda la materia o i luoghi. Tutte le cause riguardanti un determinato tema,
avevano una giurisdizione speciale. Tutte le cause contenenti determinati posti dovevano pendere dinanzi
al tribunale del luogo (ad oggi s’intende come competenza per territorio). Ciò dava luogo a conflitti perché,
commettendo un reato all’interno del feudo, il feudatario locale pretendeva di perseguire anche fuori
confine ciò che aveva delinquito all’interno del territorio.
Nel medioevo, la parola iuris dictio conserva molta di questa sacralità, ed è una parola che sottintende il
potere per eccellenza, il potere per antonomasia. Perché? Per il giurista medievale, il diritto non si fa, ma il
diritto è, esiste già, a parte i canonisti, i civilisti, coloro che operano dal punto di vista laico, ritengono che
quel diritto sia talmente qualificato da evitare soltanto di essere contemplato, e applicato, senza produrre
nuovo diritto. Il sovrano medievale, è un giudice. Pensando al ritratto di Giustiniano, egli ha in una mano la
spada (per difendere il popolo dalle aggressioni esterne) e nell’altra mano la bilancia (quello che lui fa è
appunto tener conto dei valori in campo e farli rispettare). Il sovrano medievale non è un legis-lator, cioè
non produce legge, (iuris- dictio; legis-lator = da una parte vi è lo ius che non cambia mai; dall’altra parte
lex). Il giudice medievale, il sovrano-giudice, si pone lungo una catena di valori, che è la tipica
rappresentazione del potere medievale.
Grossi afferma che:’’ Il potere medievale è un potere sempre relativo, l’unico vero sovrano assoluto, nel
medioevo, è Dio. Persino il Papa porta il nome di Vicarius, perché nel medioevo tutti i poteri erano tra
loro concatenati’’ e sono raccolti relativi’’ io comando su Tizio, Tizio comanda su Caio, Caio comanda su
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Sempronio, con una catena di obbligazioni, di vincoli reciproci, tipici nel mondo feudale. Cosa c’entra in
tutto questo la iuris-dictio? La iuris-dictio è la quintessenza del potere relativo.
Bartolo da Sassoferrato ci racconta che due comuni umbri si contestavano la titolarità di una zona al
confine, presumibilmente una collinetta. Bartolo, grande giurista, venne chiamato per dirimere questo
contrasto, e a proposito di ciò affermò:’’ io decisi quella lite chiedendo:’’ A quale comune appartengono
quelle forche (per impiccare) su quella collina?’’ In base alla risposta capì che il comune A esercitava la
iuris-dictio e quindi la iuris-dictio assorbiva anche la sovranità territoriale ragionò in modo opposto a
come ragioneremmo noi oggi. Per un giurista medievale, viene prima la iuris-dictio perché quella è il
sintomo della sovranità.
Questa teoria di Bartolo è particolarmente importante perché s’inserisce in un dibattito che riguarda il
grande problema teorico dei giuristi medievali: chi può fare le leggi, dato che le leggi non si fanno? Eppure
i comuni del 300’ cominciano a produrre gli iura propria. In nome di quale autorità i comuni si fanno le
leggi?
Le basi Bartolo le tira fuori dalla tesi della iuris-dictio tutti coloro che ius dicono, che fanno giustizia in un
luogo su soggetti particolari, hanno anche quel minimo di potere strumentale per poter disciplinare
l’ambito su cui esercitano la loro sovranità. Prima viene la iuris-dictio, e poi viene quel potere pari alla iuris-
dictio necessario ad esercitare la iuris-dictio stesso. Il legiferare è funzionale allo iuris-dicere.
Cosa succede in età moderna? In età moderna si verifica un’inversione logica rispetto alla tesi di Bartolo.
L’inversione logica la analizziamo alla luce della teoria di un grande filosofo del 400’, Niccolò da Cusa
(Niccolò cusano).
Niccolò da Cusa nel libro Sulla teologia cattolica del 1433 affermava, con un gioco di parole:’’ Non tutti
quelli che hanno la iuris-dictio possono fare leggi, ma tutti quelli che possono fare leggi hanno la iuris-
dictio’’. Il concetto di iuris-dictio era nel medioevo più grande del concetto di fare leggi, mentre nell’età
moderna, con la nascita dello Stato nel 1400, questo rapporto s’inverte venendo prima fare le leggi, e poi
fare giustizia è una concezione più simile a quella odierna. L’età moderna quindi, presuppone che la
giurisdizione diventi funzione del potere legislativo, ed è qui che nascono i problemi in quanto chi detiene
il potere legislativo, il sovrano, vuole fare tutto da sé, mentre i tribunali sono in disaccordo.
Baldo dice:’’ che differenza c’è tra sentenza è legge? E’ solo una differenza quantitativa, perché la sentenza
ha forza di legge tra le parti, mentre la legge ha la stessa natura della sentenza, con l’unica particolarità che
vale erga omnes.
Arrivati gli angioini, si resero conto che si trovavano di fronte ad un Regno che non era messo in buone
condizioni dal punto di vista dell’ordine pubblico. In particolare, Roberto d’Angiò, Re di Napoli, decise di
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affrontare la criminalità nelle provincie conferendo dei poteri speciali ai suoi ufficiali (la parola officiale
nell’antico regime significa colui che esercita un pubblico officium).
Come trasmette Roberto d’Angiò questi poteri speciali ai suoi funzionali? Lo fa scrivendo loro delle
lettere, le famose quattro lettere arbitrali/arbitrarie, sono delle lettere molto importanti perché
attribuiscono a questi ufficiali, poteri extra-ordinem per perseguire reati di particolare gravità.
GLI ARAGONESI
Il mezzogiorno è stato sempre territorio di conquista, e a metà del 400’, arriva da queste parti un’altra
dinastia molto potente, già stata in Sicilia, che è quella degli aragonesi, di origine spagnola. Gli aragonesi,
per fronteggiare le numerose spese fecero una scelta strategica che si rivelò un disastro nei secoli
successivi: inglobarono la giurisdizione feudale nella giurisdizione regia.
IN CHE MODO, TECNICAMENTE, GLI ARAGONESI OPERARONO IN QUESTO MODO? Lo fecero attraverso gli
atti di investitura atto con cui un re concedeva un determinato territorio, e i rispettivi poteri compreso
anche quello di giurisdizione. Letteralmente si diceva:’’ ti cedo le prime e le seconde cause’’. Cosa significa?
Nell’antico regime non è determinato, come ad oggi, il numero di gradi processuali, e in questo sistema di
giurisdizioni poteva capitare che una causa si trascinasse, per un tempo lungo, da una giurisdizione all’altra.
Concedere prime e seconde cause significava permettere che il feudatario giudicasse almeno per due gradi
le cause che si fossero sviluppate all’interno del proprio terreno. Dall’eventuale terzo grado in poi, la causa
sarebbe passata ai tribunali regi conseguenza, i poveri che non potevano nemmeno permettersi le prime
e le seconde cause non arrivavano nemmeno la seconda, non vedendo il tribunale regi e non solo, gli stessi
abitanti dei feudi, per non sottoporsi a trasferte complicatissime, preferivano, in fondo, essere torchiati dal
giudice locale feudale. All’interno dei feudi esisteva un’attivissima giurisdizione feudale, che agiva in
sostituzione della giustizia regia. Quando i giuristi meridionali si espressero su questa scelta di Alfonso il
Magnanimo, Alfonso I d’Aragona, è meglio che io taccia, altrimenti potrei dire cose poco riverenti nei
confronti del sovrano. era definita la svendita della giustizia.
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Dal 400’ in poi, tutte le concessioni feudali avevano in allegato le quattro lettere arbitrarie, quindi adesso
era il barone che poteva agire ex-officio anche nella giustizia criminale.
GLI ASBURGO
Dopo gli aragonesi, all’inizio del 500’, arrivano nel Regno di Napoli e rimarranno per due secoli e mezzo
un’altra dinastia spagnola, gli Asburgo, in particolare Carlo V è il più importante nella fase iniziale.
Carlo V in particolare, s’impegnò per cercare di ridurre il fenomeno della delinquenza comune nel
mezzogiorno d’Italia, e ancora una volta, in particolare lungo le strade di comunicazione. Vi è una grande
novità negativa dopo la scoperta delle Americhe, il Mediterraneo, l’Italia, il Regno di Napoli i
possedimenti spagnoli nella penisola italiana cominciarono a contare molto di meno: ormai, i grandi traffici,
le grandi ricchezze si erano spostate verso l’Atlantico, e ciò si nota anche nella gestione dell’ordine pubblico
e quindi della giustizia.
In questo periodo, fu consolidato il meccanismo della procedura ad modum belli quando nel 500’ gli
spagnoli s’insediarono in Italia, la conquistarono in tre blocchi principali:
In tutte tre queste aree, gli spagnoli esercitarono una politica di controllo attraverso l’arma giudiziaria
gli spagnoli erano allarmati per le vie di comunicazione interne al mezzogiorno, e del denaro che non
avevano a disposizione per costruire ex-novo (Napoli-Bari).
Gli spagnoli, però, avevano in mente che su questa situazione avrebbero lucrato i due poteri anti-statali
per eccellenza:
CHIESA
FEUDATARI
Ma perché?
LA CHIESA aveva interesse a fare incetta di grani, perché godeva del privilegio dell’immunità locale. Il luogo
Sacro, anche dal punto di vista giudiziario, era immune (im privativo; munus funzione. Ciò che è
immune e fuori funzione, non deve rispondere ai caratteri generali della comunità). La chiesa, quindi, faceva
incetta (raccolta condotta con metodica continuità a fini speculativi o politici) di grano e li tirava fuori nei
momenti di carestia. La chiesa raccoglieva questi grani e li nascondeva nei territori circostanti ai monasteri,
che non potevano essere perquisiti, e avevano interesse per questo motivo, di mantenere il disordine
pubblico.
Stesso discorso valeva per il baronaggio: soprattutto all’interno del Mezzogiorno, questi feudatari
esercitavano anch’essi un qualche ricatto sullo status spagnolo, attraverso il rubinetto della giurisdizione
contro i banditi, contro il banditismo.
Per combattere questa piaga dalla duplice faccia, Carlo V si inventò delle regole speciali: in particolare
istituì un tribunale dentro un altro tribunale nominò come funzionari ad hoc, alcuni magistrati che
vennero distaccati, e vennero distaccati per svolgere quest’altra funzione. Questo distacco riguardava la
figura dei commissari di campagna. (commissario committere= affidare)
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scorribande, questi soggetti potevano forzare le regole della competenza territoriale: avrebbero potuto
avvalersi della delegazione del sovrano, derogando a due criteri di competenza.
DELEGAZIONE Tutta la giustizia all’epoca, era una giustizia delegata il concetto di giustizia delegata è
un concetto che fotografa l’età moderna, perché giustizia delegata significa che il potere di fare giustizia
spetta ad un soggetto che lo delega ad un altro soggetto, affinché quest’altro soggetto delegato, agisca in
nome del delegante. Perché questo schema è tipico dell’età moderna? Perché il soggetto che delega, il
monarca (princex), delega ad altri soggetti il compito di attuare le sue leges. Ancora non nacque
Montesquieu, quindi non vi era la separazione dei poteri il sovrano si tratteneva verso di sé una piccola
quota giurisdizione per risolvere i casi più delicati (gli storici dell’età moderna distinguono tra giustizia
delegata e giustizia ritenuta).
Perché nel Medioevo non era così? Perché nel Medioevo chi esercitava la iuris-dictio la esercitava in nome
proprio la giustizia è lo specchio della vita ultraterrena.
La giustizia contemporanea non è una funzione delicata perché nell’età del costituzionalismo, dopo la
Rivoluzione Francese, la magistratura diventa ordine autonomo e agisce per conto proprio, e non in nome
del princex.
La giustizia delegata, data dal princex ai commissari di campagna, apportava una doppia deroga allae
regole della competenza (due eccezioni rispetto alle regole generali sulla competenza):
Criterio territoriale i banditi, essendo di strada, circolavano continuamente e allora una
prammatica (legge tipica spagnola) dell’età 500’, stabilì che il commissario di campagna potesse
inseguire i banditi, per 20 miglia al di fuori del territorio di competenza, nel tribunale da cui
dipendeva. Questo tribunale era, quasi sempre, il tipico tribunale decentrato del mezzogiorno
moderno. Si chiamava: Udienza provinciale.
Criterio della prevenzione (praeventio) nel corso dell’età moderna, per prassi (si procedeva per
consuetudini poiché non vi erano codici di procedura), gli spagnoli vollero che un tribunale
napoletano, molto famoso per la sua temibilità (era un tribunale il cui solo nome, ci raccontano le
fonti, significava terrore), si occupasse dei reati contro i banditi di strada. Questo tribunale si
chiamava Gran Corte della Vigaria, la sua sede era dentro Castel Capuano, nel cuore di Napoli
aveva competenza su questo genere di delitti di strada. Gli spagnoli, dopo alcuni anni, decisero di
cambiare le regole: la ragione principale era perché il Gran Corte della Vigaria si trovava proprio nel
cuore della città, quindi lontano dalle periferie del Regno si decise che il potere di inseguire i
banditi fosse affidato ai commissari di campagna.
Nel 1536, Carlo V, decise di far valere il criterio della praeventio: chi fosse riuscito a prendere per
primo il bandito di strada avrà diritto di giudicarlo.
Quando però la rete dei commissari di campagna cominciò a funzionare, ecco la deroga contraria: il
governo spagnolo stabilì che fossero i commissari di campagna ad avere sempre il diritto di ricevere
il bandito, anche se ci fosse stata la praeventio di un altro tribunale primo esempio di
giurisdizione speciale.
Nei confronti dei banditi di strada, oltre a questa iniziativa della giurisdizione speciale dei commissari di
campagna, vigeva un’altra regola speciale proveniente dal Medioevo:
Forgiudica (For= fuori iudicare= giudicare: giudicare stando fuori) era il tipo di procedura che si
applicava ai contumaci, al bandito che non si fosse presentato in tribunale, ipotesi tra l’altro molto
frequente: la gran parte dei processi moderni si svolgeva senza l’imputato, poiché molti nemmeno erano a
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conoscenza del fatto di essere inquisiti. Inoltre, per quanto riguarda i banditi, erano persone senza fissa
dimora, analfabete, quindi era difficile, se non impossibile, trovarli per poi portarli in tribunale.
Questa regola della forgiudica venne introdotta nel Mezzogiorno, da Federico II di Svevia il quale, nel Libro
di Melfi, o Liber Augustalis, una raccolta di tutte le costituzioni Federiciane promulgata il 1° settembre del
1231 appunto nella città di Melfi, inserisce una costituzione Poenam Eorum = pena di quelli che
disciplinava per la prima volta la Forgiudica. Federico II, sovrano molto autoritario, fa passare per
miserabili coloro che non si presentavano davanti ai suoi tribunali, e li punisce severamente per il solo fatto
di non essersi presentati. Attraverso la costituzione paena eorum, Federico II puniva questi soggetti
stabilendo che, se dopo due chiamate il contumace non si fosse presentato, incorreva nella catturabilità
legittima di chiunque o, addirittura, di essere ucciso se qualcuno avesse incontrato un contumace per
strada, aveva il diritto di ucciderlo.
Nel 500’ gli spagnoli non disprezzano affatto questi ‘’metodi sbrigativi’’ federiciane, e anzi inaspriscono
queste pene le prammatiche che si occupano della procedura ad modum belli stabiliscono che, il
forgiudicato possa essere catturato o ucciso se non si presenta, addirittura, entro 10 giorni dalla citazione.
Lezione: 30/10/19
45. RIEPILOGO
La procedura ad modum belli era una procedura che si occupava di determinati tipi di reato: reati che
venivano considerati dai governi, e per gli angioini che sostenevano quei governi, di particolare allarme
sociale. In cima a questi reati c’erano reati così detti di strada, compiuti dai latrones. Questi reati
richiedevano una procedura di eccezione, anzitutto dal punto di vista della competenza.
Gli spagnoli, quando arrivarono nel Mezzogiorno all’inizio del 500’, istituirono una magistratura speciale,
una magistratura delegata che agiva con poteri militari anche inseguendo, eventualmente, il bandito al di
fuori dei confini territoriali. deroga alla competenza territoriale.
Primo passaggio anni 30’ del 500’ Il principio della praeventio, gli spagnoli stabilirono che, per
semplificare il tutto, il primo ufficiale che avesse acciuffato (lo prae-veniva prendeva per primo) il
bandito, avrebbe avuto anche il diritto di processarlo.
Secondo passaggio una ventina/trentina di anni dopo con le prammatiche si stabilì, derogando al
principio della praeventio, di affidare il delinquente in esclusiva ai commissari di campagna, anche se il
commissario di campagna non avesse prae-venuto, acciuffato per primo deroga al principio della
praeventio.
Quindi, all’interno di una magistratura già esistente, ne viene stralciata una parte specializzata per
perseguire una determinata tipologia di reati.
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Per poter approfondire questo aspetto, partiamo da una testimonianza di uno dei più grandi giuristi della
primissima età moderna. Questo giurista che visse nel 400’.
Paride del Pozzo era un giurista che ai suoi tempi fu sia magistrato che avvocato. Nel periodo che
andremo a trattare, lui era un avvocato. Paride racconta in una sua opera che, alcuni delinquenti si erano
asserragliati in una cascina di campagna; il magistrato che li aveva scovati, fece confessare il reato
(probabilmente attraverso la tortura) e li giustiziò seduta stante. il processo era stato questa piccola
procedura descritta.
Da giurista, Paride del Pozzo si pone un quesito: fu legittimo il comportamento di quell’ufficiale regi? La
risposta era affermativa, afferma Paride. Ma perché? Perché valeva, in questi casi, una ratio publicae
utilitatis ragione di pubblica utilità, che vige soprattutto rispetto ad alcuni tipi di reato. Quindi la
pubblica utilità diventa l’elemento legittimante rispetto alla difesa dei beni.
Quali erano le garanzie? Vi erano delle garanzie che riguardavano ambiti intoccabili della persona
umana?
No, non si può parlare prima dell’illuminismo di diritti fondamentali, diritti della persona. Non si può parlare
neanche di diritti naturale, nel senso che sarebbe stato inteso dal 600’, nel giusnaturalismo moderno.
I giuristi pre-giusnaturalismo moderno ritenevano che esistessero delle consuetudini consolidate, e che
spettasse sempre al pensiero giuridico, ai giuristi, individuare quali fossero questi ambiti intangibili.
Mentre il giusnaturalismo moderno afferma il non essere torturati è un diritto in quanto è un
essere umano diritto naturale obiettivo
I giuristi del 300-400-500 pre-giusnaturalismo moderno, affermano che vi sono alcune regole su cui
conviene la giurisprudenza (intesa come sapere giuridico, non come decisione dei tribunali). Su
queste regole c’è un consenso dei dotti, e quindi il giudice non si può spingere oltre, sino a violarle.
diritto naturale soggettivo
Seconda differenza di mentalità: LA FUNZIONE DEL PROCESSO Per noi il processo, penale in
particolare, è il luogo nel quale si confrontano una tesi accusatoria ed una tesi difensiva. Uno dei più grandi
penalisti italiani di tutti i tempi, Enrico Ferri (Leader del partito socialista dei tempi, ultimi anni dell’800 e
inizi 900) durante la discussione in Parlamento sul codice penale Zanardelli (il quale precede il Codice
Vassalli), disse una frase rimasta celebre ovvero: mentre il codice penale (sostanziale) è il codice dei
birbanti, il codice di procedura penale era il codice per i galantuomini. Quindi la procedura è il momento
dell’accertamento che dovrebbe innanzitutto garantire visione contemporanea del processo.
Nell’antico regime invece, il processo non doveva affatto garantire, bensì spaventare, mettere paura, e
mettendo paura, tiene tranquilla la società, realizzando un’atmosfera depressiva che era il succo del
processo inquisitorio. Processo come arma politica.
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Processo come arma politica, di controllo sociale.
Michel Fucò, grande intellettuale francese del 900’, denominava queste forme di controllo
disciplinamento, ovvero la società viene disciplinata anche attraverso la giustizia. Un’altra forma, secondo
Fucò era la sanità: se si afferma che il dissenziente politico è pazzo lo disciplino mettendolo in manicomio,
e la comunità di conseguenza crede che quel soggetto è pazzo e che le sue teorie non devono essere
ascoltate. sono tutte forme di controllo sociale.
La Spagna governava il Mezzogiorno e non solo, con i vice Re, e in età moderna, era un’Impero; Carlo V
diceva che sul suo regno non tramontava il sole, e per esempio, la Sagna governava in Messico, e anche
nella Città del Messico, vi era un vice re.
Il vice re Ossuna, nel 1584 emette una prammatica che riguarda proprio il banditismo di strada, e ancora
più interessante è la rubrica sotto cui viene inserita e archiviata dai documenti ufficiali.
Il titolo della prammatica è ‘’Sulla guerra degli esuli’’= de bello exulum. Perché esuli? Perché i banditi di
strada erano considerati gente senza patria, persona irregolare, non inquadrabile. Tuttavia la parola più
interessante è bellum= guerra il vice Re, per conto del Re di Spagna, vuole far credere ai suoi sudditi che
il governo spagnolo, contro i banditi di strada, sta combattendo una guerra. La prammatica di Ossuna
giustifica l’adozione di misure fortemente repressive
Cosa dice la prammatica di Ossuna contro i ladroni e i crassatori (coloro che commettono la crassatio=
rapina) bisogna agire non rispettando l’ordo = iuris ordine non serbato (ordo= sostantivo medievale, nato
già durante la tarda età dei glossatori ed indicava la sequenza del process. Specchio dell’ordine celeste, la
giustizia terrena era una piccola manifestazione della grande giustizia divina), usando altri criteri. In
particolare, deve essere compiuta l’inquisitio generale e speciale avendo davanti agli occhi solo Dio e la
giustizia.
Avendo davanti agli occhi solo Dio e la giustizia è la stessa formula che si trovava nel 300’ nelle lettere
arbitrali. La polarizzazione (unire due concetti volutamente agli opposti) tra il rispetto della forma, e la
ricerca della giustizia, mettendo in campo Dio e quindi nello scegliere tra l’ordo e Dio, in un epoca dove,
soprattutto gli spagnoli, erano fortemente religiosi cristiani e combatterono contro il protestantesimo, era
scontato che vincesse Dio.
Oggi diremmo che il vice Re invitava, con queste parole, a ricercare la verità storica, e non la verità
processuale.
La regola dell’avere davanti solo giustizia e Dio, e non l’ordo dovrà valere per l’inquisitio generalis e
l’inquisitio specialis è una procedura logica che viene sempre seguita, ma che i giuristi dell’antico regime
misero per iscritto nelle loro opere.
Prima faseL’indagine, l’inquisitio parte prima a 360° dal punto di vista soggettivo e obiettivo, non vi sono
indagati, ma contro ignoti si procede erga omnes.
Questa genericità riguarda anche l’aspetto oggettivo, cioè per cosa si agisce, in quale modo, solo perché
sono giunte notizie di comportamenti scorretti.
Seconda fase da generalis l’inquisitio, tende a diventare specialis, cioè a focalizzarsi su un soggetto, o più
soggetti, e su una questione specifica per il contenuto e per il luogo.
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Tuttavia, ancora non siamo arrivati al succo di questa prammatica.
‘’i banditi sono nemici della patria, posto che i banditi di strada sono i nemici della patria e quindi si può
combattere come in guerra, il procedere per la via iuridica può causare impedimento alla presta (veloce)
esecuzione della giustizia. Da questo, nasce poco timore di detti delinquenti (il fatto che viene applicata la
regola processuale, i malviventi non sono intimoriti), i quali conviene che , non solo per l’imposizione delle
pene, ma per la forma del procedere, si atterriscano e si astengano da commettere simili eccessi. Autorizzo i
commissari di campagna a procedere ad modum belli, contro i fuoriusciti (esuli) che vanno arrobando per la
campagna’’.
Frase chiave è conviene che i delinquenti non si spaventino solo per la pena, bensì anche per il
solo procedere, per la forma del processo: il processo deve far paura, deve assumere quella
valenza intimidatoria che normalmente si attribuisce solo alla pena. Il processo non è ancora il
luogo di rispetto delle garanzie, ma è il momento che deve spaventare: la forma di procedere deve
essere di per sé intimidatorio. Con questa rappresentazione è ben chiaro che la tortura sia
legittimata, e anzi appositamente, durante la tortura, i carnefici lasciavano la porta aperta affinché
si sentissero le sofferenze di chi ne era sottoposto. Era legittima anche la carcere preventiva il
carcere, era usato esclusivamente a fini di prevenzione: nel 400-500-600 detenevano i rei solo
prima della condanna.
Altra notazione della prammatica vi è una prima allusione ad un concetto, una tesi rilanciata da
uno studioso degli anni 90’, Jakobs, ed è la tesi del Diritto Penale del Nemico è l’idea secondo
cui il sistema penalistico contemporaneo, sarebbe costituito come una guerra ideologica nei
confronti di un presunto nemico. Questa teoria è nata nella fase di contrasto al terrorismo, a cui i
penalisti facevano notare criticamente che tutto il nostro sistema di repressione del terrorismo,
nasce da un’idea raramente confessabile, secondo cui il terrorista sarebbe un diverso, cioè un
soggetto proveniente da un’altra cultura, che va tenuto ai margini e quindi questo giustificherebbe
la austerità e gravità delle sanzioni. Ciò agisce soprattutto nel penale sostanziale, e porta ad un
fenomeno che è il diritto penale dell’emozione (se ad esempio, vi è un femminicidio a seguito di
questo vi è l’aumento della gravità della pena al fine di reprimere questo tipo di reato).
E’ interessante che in questa prammatica cinquecentesca si affermi esplicitamente che il
delinquente di strada debba essere trattato come un nemico, e questo giustifica la severità della
pena a fine processo, ma anche dello stesso processo quella forma del processo che deve
appunto atterrire. Qual è il processo che atterrisce? Non vi sono fonti di giuristi che racconta di
fatto come avvenivano questi processi, in quanto erano processi che si svolgevano spesso sul posto,
un processo orale non esistono fascicoli dei processi ad modum belli.
Tuttavia, vi sono alcune testimonianze di giuristi che ci dicono come dovrebbe essere imbastito
questo tipo di processo:
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La gran parte dei processi ad modum belli si concludeva con la condanna a morte (come in guerra), di
solito veniva effettuata mediante impiccagione, una delle tipiche modalità di esecuzione militare. Tutto
l’apparato però, doveva puntare ad atterrire l’intera collettività meccanismo a ricaduta ampia, ad oggi
chiamata meccanismo della general prevenzione, la pena deve servire a prevenire non solo il bis in idem
dello stesso soggetto che ha commesso il delitto, ma anche a prevenire il reato di altri. Il modo in cui viene
eseguita la condanna a morte deve servire ad horrendum exemplum= a inorridire.
Molti di questi processi di campagna che si concludevano con l’impiccagione, al soggetto giustiziato veniva
tagliata la testa, veniva portata a Napoli, nella capitale, per essere esibita all’esterno del tribunale della
Vigaria. terribile ossessione per la esibizione del giustiziato, il quale veniva lasciato lì per giorni.
Tutto ciò ci perviene anche da cronache non giuridiche: ad esempio, l’Italia nel 600, ma soprattutto nel
700, è stata una meta preferita dei così detti gran tours, grandi viaggiatori ricchi e colti che giravano per
l’Europa. Questi viaggiatori che venivano a visitare le città italiane raccontano come fosse assolutamente
normale questa esibizione delle teste tagliate degli impiccati. Ciò ci rammenta il concetto di sanzione che
deve fungere ad horrendum exemplum.
Questa idea entrò in crisi con l’illuminismo: l’illuminismo contestò il valore esemplare del processo della
pena, sostenendo che nessuna vita umana può essere strumento per l’educazione della collettività.
Vi è un libro di un processual-civilista che ripercorre un po’ di storia del processo, e racconta come venivano
vissuti dalla società gli atti chiave del processo. In una rappresentazione artistica vi è lo sgomento del
soggetto che riceve la citazione, e tutta la solennità dell’officiale che consegna l’atto di citazione, con la
società che rimane in disparte. L’autore della raffigurazione si rende conto della portata mortificante di
essere appresi dalla giustizia.
L’autore del libro mette giustamente insieme, l’aspetto formale della citazione in giudizio, con l’aspetto
sacrale, e questo lo fa mettendo accanto le forme del giudizio tecnico, con l’exemplum, con la matrice
biblica. La citazione ha un suo nobile parallelo con l’annunciazione, e infatti vengono riportati vari quadri
molto famosi che rappresentano l’annunciazione. La sequenza d’immagini vuole far notare lo stesso
impatto emotivo tra Maria e il citato, perché i giuristi sono attenti a mantenere l’equilibrio tra la giustizia
ultraterrena e le forme in cui giustizia si incarna sulla terra.
‘’L’angelo che annuncia a Maria la futura natività, suscita in Maria lo stesso sgomento che provano i citati
in giudizio’’.
Nel libro di Pantagruel e Gargantuà, vi è una feroce critica sarcastica all’amministrazione della giustizia e, in
particolare, si parla di questo giudice che decideva le cause tirando i dadi, e quindi a sorte. Ironia feroce di
François Rabelais sta nel fatto che a fine libro, racconta che l’unica volta in cui il giudice si mise a pensare a
quale fosse la soluzione, era in un dipartimento di giurisprudenza.
Lezione: 05/11/19
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Nella formazione del diritto abbiamo due grandi modelli:
Diritto che nasce dalla regola la regola diventa caso; la regola in quanto esiste, destinata a
diventare soluzione del caso concreto.
Diritto che nasce dal caso il caso diventa regola; vi sono dei sistemi giuridici che preferiscono
puntare al caso come momento chiave dell’esperienza giuridica, il caso è il momento in cui diritto è,
in cui il diritto esiste realmente. Il caso ripetuto nel tempo, inteso come fattispecie concreta, può
diventare guida, orientamento per i casi successivi.
Qui si apre un altro fronte, l’incertezza Qual è il caso veramente uguale?
Il problema è presente nella regola astratta La regola astratta può essere applicata anche in un
caso che non vi rientri perfettamente?
Il problema è presente al nel case, nel caso già deciso Quel caso che è stato deciso, è congruo
con il nuovo caso che deve essere risolto?
Solitamente si dice che questa preferenza per il caso, questo pilastro di ordinamento giuridico, l’avrebbero
avuta prima di tutti, i romani.
Il diritto romano è un diritto casistico, anche se i successori, gli eredi della tradizione romanistica è
come se si fossero dimenticati di questo particolare Triboniano inserisce nel Digesto, nel 50
LIBRO il titolo ‘’Sulle diverse regole del diritto antico’’ , tuttavia non erano affatto regole, bensì
erano casi. Quando il giurista romano dice che il diritto è l’arte del buono e del giusto, ars boni et
equi, non la intendeva come regola, magari era stata scritta in una causa, in un responso;
Triboniano prese questa frase e la cristallizzò come regola.
Diritto medievale tende di più alla regola le Grandi Scuole italiane medievali, Glossatori e
Commentatori, prediligono, grazie alla riesumazione del diritto giustinianeo, la regola, la regula
iurs, una regola però suscettibile di continui aggiustamenti. L’attrezzo che permette di aggiustare
continuamente la regola è aequitas equità= i giuristi medievali davano a questo termine una
serie di significati, che rimane difficile darne una definizione precisa. Tuttavia l’equità porta con sé
una sfumatura valoriale: è un valore religioso, è quella che vuole Dio in quanto Dio è equo. Il
giudice, che nel suo piccolo fa le veci di Dio, deve cercare di rendere equa l’applicazione del diritto.
Il diritto medievale gioca su due punti fondamentali: la regola stretta (diritto giustinianeo) e
l’equitas. Dialettica tra ius civile strictum (giustinianeo) e l’equitas.
Diritto moderno entra in gioco un nuovo attore politico protagonista: LO STATO.
La giustizia moderna non può essere compresa se non è compresa l’ingresso in scena dello Stato. Lo
Stato è una realtà politica moderna, e proprio da Grossi abbiamo imparato che lo Stato, nel
Medioevo non c’è, bensì vi sono rapporti gerarchici tra gruppi che si comandano l’uno sull’altro,
come accade nel meccanismo feudale.
In età moderna arriva il Monarca, che pretende di farsi largo tra i poteri che ancora erano presenti
come feudatari, Chiesa e comuni, per prendere il comando e imponendosi potere centrale.
Esempio tipico di quest’affermazione del potere centrale è offerto dal Regno di Francia. La Francia,
è il tipico stato accentrato, nato secondo gli storici all’inizio del 300’. Filippo IV il Bello, Re francese
famoso vissuto a cavallo tra il 200-300, famoso per aver preso a schiaffi il Papa, realizza il Francia il
modello tipico dell’accentramento statualistico, e lo fa anche dal punto di vista della giustizia, della
iuris dictio
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Nel medioevo il potere era soprattutto iuris dictio: il principe medievale era un principe giudice il cui
compito specifico era quello di fare giustizia, di ius dicere nel caso concreto.
Perché era questo il suo compito? Perché il giudice medievale, veniva dopo il diritto Prima vi è il diritto,
poi viene il capo formalmente il Re si pone come emanazione dell’ordinamento, si pone come prodotto
di quest’ultimo.
I medievali, molto bravi a giocare con le parole, s’inventarono la formula per cui:’’ lex facit regem’’ = è la
legge, l’ordinamento giuridico che fa il Re e non il contrario.
Nel diritto moderno questo rapporto s’inverte: il Sovrano, grazie alla battaglia di potere, riesce a
assoggettare tendenzialmente a sé la iuris- dictio= il Sovrano fa la legge Rex facit legem, e di
conseguenza, avendo lui fatto la legge, pretende che anche i suoi giudici gliela applichino il Re
funzionalizza i suoi magistrati.
Questo fenomeno si pone alla radice della nostra modernità: si pone alla radice perché presuppone una
nuova dinamica socio-istituzionale
Ora che il Sovrano pretende di sbaragliare la chiesa, i comuni, il potere non è più l’abazia, la parrocchia, la
collegiata, il monastero, il feudo, bensì nasce la macchina dello Stato.
La complessità dello Stato moderno, obbliga ad inserire funzionari, giudici tecnici, esperti, competenti. Fino
all’800 la magistratura era di nomina regia, però dato che il Re era impegnato in altre attività, militari,
andava a caccia e così via, chi è che faceva realmente queste nomine? Vi erano dei colleghi, già magistrati,
che segnalavano al Re possibili soggetti da reclutare al loro fianco di solito venivano spediti a corte delle
terne di nomi che poi il Sovrano si attingeva a scegliere: questo meccanismo prende il nome di cooptazione
mediata. La corporazione dei magistrati sceglie i propri colleghi, non formalmente, bensì servendosi della
mediazione del Sovrano.
Il sovrano quindi, nei luoghi più delicati della macchina, deve inserire dei soggetti competenti, laureati in
giurisprudenza. Lo stesso fenomeno si verifica anche nel campo militare.
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Nel 400, arriva in Occidente la polvere da sparo che, unita alla stampa, fu la più grande svolta
quattrocentesca. Nell’esercito si verifica il medesimo fenomeno perché il Sovrano, invece di formare le
truppe da soggetti a lui fedeli sulla base feudale, deve chiamare a farne parte coloro che sanno maneggiare
le armi da fuoco. Lo sviluppo tecnologico incide anche sulle dinamiche delle istituzioni: se per giudicare
scelgo un giudice per favoritismi, l’esito della soluzione delle controversie sarà ben diverso rispetto al caso
in cui dovessi scegliere un esperto di diritto, il quale agisce senza influenze esterne, giudicando queste
controversie sulla base di regole giuridiche. Questo è il grande passo che si verifica all’alba dell’età
moderna, con la nascita dello Stato.
Una giustizia che poggia su competenti, e non più concessa come beneficio feudale, una giustizia che incide
sulla conformazione della società, perché tende a porsi come giustizia intercettuale cioè la giustizia
dell’età moderna tende a scardinare le cerchie delle giurisdizioni privilegianti, cerca di affermare il principio
per cui la giustizia è una, che vale per tutti.
Quindi, in poche parole, si passa da una nobiltà nativa ad una nobiltà dativa questo gioco di parole
deriva da uno dei più grandi giuristi, che è stato già citato più volte, Bartolo.
Bartolo, il quale visse nella prima metà del 300, trovandosi proprio all’inizio di questo movimento che
porta ad allargare la classe dirigente, afferma che si può essere nobili per due motivi:
Iure sanguinis diritto di sangue, per parentela, tipico meccanismo di trasmissione della nobiltà
feudale, medievale; NOBILTA’ NATIVA
Si può essere nobili perché qualcuno, e questo qualcuno non può che essere il princex, ci da il titolo
di nobiltà. Tuttavia questa nobiltà è una nobiltà fondata non sul sangue, ma sulla virtù.
I medievali tuttavia, sostenevano che anche la nobiltà nativa, fosse nata da una virtù in quanto,
scavando nell’albero genealogico, si scopre che qualche lontano parente ha combattuto contro i
turchi, e da questo gli è stato concesso il titolo di nobiltà.
Uno dei modi tipici in cui si consegue alla nobiltà dativa, era la concessione della laurea in
utroque, quindi, quando il Sovrano piazza nella sua amministrazione della giustizia laureati in
utroque (giuristi tecnici), determina anche uno spostamento degli equilibri sociali, rafforzando la
componente dativa della nobiltà, una modalità molto più funzionale all’interesse del Sovrano.
L’aspetto più interessante è l’altro profilo della funzionalizzazione, quello più pratico. In che senso
possiamo dire che il sovrano rende i Grandi Tribunali funzionali ai suoi interessi?
Il Sovrano rende i Grandi Tribunali funzionali ai suoi interessi dal punto di vista dell’amministrazione
quotidiana della giustizia. Il sovrano fa la legge, una volta fatta la legge, quest’ultimo vuole che questa
legge sia applicata da soggetti suoi a questo scopo, quasi tutti i Sovrani dell’età moderna in Europa,
fondano, o per meglio dire rifondano, tribunali centrali, le grandi corti, i Grandi Tribunali sono
espressioni equivalenti che stanno ad indicare tutti quei tribunali che i Sovrani misero al vertice della
rispettiva organizzazione giudiziaria all’interno dello Stato.
All’interno dello Stato i Sovrani scelgono di mettere una cupola, e che esercita, per conto del sovrano, la
giurisdizione suprema all’interno dei confini dello Stato vi è una differenza fondamentale tra i Grandi
Tribunali (con giudici supremi) e la Cassazione attuale: la Corte di Cassazione, non solo in Italia, è un
tribunale di legittimità, ha il compito di giudicare sulla corretta applicazione delle leggi da parte dei giudici
di merito; i Grandi Tribunali non sono giudici di legittimità. Perché? E’ un motivo storico-giuridico, e questo
motivo sta proprio nella legge: ci può essere un giudizio di legittimità laddove ci sia una legge certa,
stabile e che ha un campo chiuso come fonte. La giurisdizione di legittimità, come quella della
Cassazione, intanto può esistere in quanto esista un numero chiuso di fonti giuridiche, e in quanto io
possa dimostrare che una certa decisione ha pescato la regola al di fuori di questo numero chiuso, ma
sino al momento in cui questa condizione non sussiste, non vi può essere un giudice di legittimità Questa
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condizione avrà luogo solo a fine 700’, solo con i primi passi verso la codificazione, ed ecco perché sarà
solo allora che nascerà il tribunale di legittimità per eccellenza: la Cort de Cassation.
I Grandi Tribunali furono fondati o riverniciati, dai Sovrani moderni. In alcuni casi i Sovrani ripresero vecchie
magistrature e le adattarono alle nuove esigenze. Quest’operazione di assoggettamento della magistratura
da parte del potere politico non riuscì, perché i Grandi Tribunali si avvalsero della grande tradizione
medievale che esisteva alle loro spalle, e contrastarono la voluntas principis , creando con i principi un
rapporto dialettico, uno scontro.
Questi Grandi Tribunali vengono suddivisi, dagli storici del diritto in due tipologie:
Tribunali senati A Palazzo Madama, Roma, c’è il senato della Repubblica: poiché al senato
potevano votare potessero votare i cittadini che avessero raggiunto un’età minima più alta, e si
poteva essere eletti al senato solo se più grandi, il senato richiama, con la radice latina senex=
vecchio, anziano. Il modello per eccellenza del senato è il modello senatus populusque romanus, il
modello romano, dove vi erano persone anziane in quanto, essendo più anziane le ritenevano più
sagge. Alla nascita dei Grandi Tribunali, nell’epoca rinascimentale dal punto di vista culturale e
artistico, il Rinascimento è tutto proiettato sulla riscoperta della classicità romana, nella
letteratura, arte, architettura, questa riscoperta della classicità contagiò anche i giuristi, portandoli
a ricreare i senati e chiamano senati uno di questi Grandi Tribunali, ma non in senso romano dove
vi erano quelli che prendevano le decisioni politiche, non tanto meno nel senso odierno dove il
senato è un ramo dell’assemblea rappresentativa. Nella prima età moderna i senati erano quei
luoghi dove vi erano giudici, i senati erano organi giudiziari.
Modello senato si caratterizza perché i senatori, i componenti di queste magistrature, erano
giuristi di professione impiegati in quel ruolo a vita, salvo commissioni di irregolarità, e vi sono tanti
processi, anche molto feroci contro il giudice malpensatore.
Tribunali rode Modello rota si chiamava rota perché era modellato, esemplato, sul tipo della
rota romana, il più famoso tra i Grandi Tribunali dell’età moderna. La Rota Romana (che ad oggi
esiste, la Sacra Rota la quale si occupa di cause matrimoniali) è stato un tribunale fondamentale
nella storia moderna perché aveva due ambiti di operatività:
Nel 300-400-500-600-700-800-1869- 1870 fino al 1870 lo Stato Pontificio è stato uno Stato a tutti
gli effetti, quindi la Rota Romana era il tribunale supremo di uno dei tanti Stati europei, lo Stato
Pontificio, e svolgeva dei compiti analoghi a quelli di tutti gli altri tribunali. A questa competenza,
già notevole poiché abbastanza esteso, la Rota raggiungeva un’altra competenza ancora più
importante: competenza sovranazionale (Corte Internazionale) sulle questioni religiose. Prima
della riforma di Lutero, anni 20’-30’ del 500’, la Rota Romana s’interessava di tutte le cause civili
che avevano quasi sempre uno sfondo anche religioso (successione, eredità, filiazione). Perché è un
tipo a parte? Qual è la caratteristica della Rota? Perché i giudici non erano permanenti, e a volte
non erano neanche giudici di professione ad esempio a Genova, c’era la famosa Rota della
Mercatura (mercanti) dove i giudici erano in gran parte mercanti. Questa temporaneità della carica
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rendeva la Rota un tribunale molto più mobile nei suoi orientamenti. Un proverbio molto in voga
tra i giuristi dell’età moderna diceva: Rota rotat la Rota ruota, e questa frase stava a significare
due cose connesse tra loro:
Sia i volumi di concilia sia i volumi di decisiones tappezzarono letteralmente le pareti delle librerie dei
giuristi. L’avvocato dei tempi, per risolvere una questione, studiava i casi e non elaborazioni dottrinali.
Di queste due tipologia, figlie dei Grandi Tribunali erano le decisiones: i Grandi Tribunali dovettero il loro
potere al fatto che uno dei loro componenti decideva spesso di pubblicare le decisiones
Che differenza c’è tra le raccolte di decisiones e i repertori che si studiano oggi per preparare un seminario
o per fare una tesi di laurea? La differenza è che la decisio dell’età moderna non era un documento
ufficiale, erano raccolte private e quindi non avevano il crisma dell’ufficialità.
Le decisiones a stampa rispecchiavano la doppia tipologia dei tribunali supremi di età moderna: SENATI E
ROTA davano vita a due tipologie di decisiones al quanto diversi.
TIPOLOGIE DI DECISIONES
Come detto, abbiamo due tipologie di decisiones:
Tipologia report Report è una parola inventata dagli storici, presa in prestito dall’equivalente
inglese, presa in prestito con intelligenza perché è proprio indicativa del contenuto di questa
tipologia di decisiones, e proviene dai tribunali del modello senato.
Riportare nel senso di reportare riferire ciò che è successo dopo, in camera di consiglio si
analizza anche il fatto, ma non perché il giudice ne fosse testimone.
La tipologia di decisio report proviene dal tribunale di tipo senato, e si caratterizza perché
compensa, riporta ciò che si è dibattuto e poi deciso, in camera di consiglio, quindi un po’ il fatto e
un po’ il diritto, privilegiando il profilo dottrinale. Il report dunque, si occupa dell’uno e dell’altro
versante, però mentre il report inglese è quasi tutto incentrato sul fatto, la decisio report è, nella
stragrande maggioranza dei casi, incentrata sul diritto.
Il report riportava tutto il dibattito che vi fu in camera di consiglio, le varie tesi sollevate e
sostenute citando i vari giuristi, citando anche la communis opinion sul campo (ciò che pensava la
maggioranza dei giuristi) e infine la decisio del giudice, quindi la sentenza, dove di solito vi era
anche riportata la data.
Come si costruisce la communis opinion nell’età dell’epoca di cui stiamo parlando? L’unico modo
per accertarsi della tesi di Bartolo era leggersi quello che Bartolo scrisse, e soprattutto leggere i
concilia= i pareri, i quali erano il veicolo tipico di trasmissione dell’opinione attraverso i secoli.
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Tipologia rotale è la tipologia proveniente dai tribunali di tipo Rota. Decisio di tipo rotale era
strutturata come una bozza di sentenze, uno schema provvisorio stilata dal pones= relatore della
Rota romana, colui che espone, racconta ai colleghi il fatto e da qualche suggerimento di diritto.
La bozza indicava i motiva=motivi della decisione che la Rota si accingeva ad assumere, i singoli
punti che venivano presentati alle parti, le quali su quella base potevano dedurre e controdedurre.
Quindi, ricapitolando, la decisio rotale era uno schema, bozza di sentenza che serviva a accelerare i
tempi della giustizia perché consentiva alle parti di presentare controdeduzioni rispetto alle
anticipazioni.
Motiva= significa punti che motivano la Corte a orientarsi in un certo modo, perché in realtà, nonostante
tutti i testi che raccoglievano decisiones, la giurisprudenza dell’età moderna non conosceva la
motivazione ASSENZA DI MOTIVAZIONE La motivazione è una parola che entrerà prepotentemente
in gioco nel 700’, quando si parlerà di istanze, cioè di richieste dell’illuminismo giuridico: l’illuminismo
giuridico si batté affinché i giudici fossero obbligati a motivare le sentenze. L’espressione più corretta è
obbligo di motivazione delle sentenze.
Nell’età moderna, che precede l’illuminismo, quest’obbligo non esisteva, le sentenze, di norma, non erano
mai motivate. Le pagine di decisiones rotali e di tipo report erano zeppe di argomentazioni, ma erano
argomentazioni logiche, giuridiche, non di motivazioni, perché tutta la giurisprudenza moderna, sulla scia di
quella medievale, era basata sul concetto di arcanum= mistero: l’esercizio della giurisdizione, per i giudici
dell’età moderna, deve restare avvolto dal mistero, la giustizia è un affare troppo serio per poterla provare,
pubblicizzare.
Si racconta un episodio celebre che dimostra come motivare la sentenza fosse considerato un azzardo: in
un tribunale francese, a Tolosa, nel 500’, venne emessa una certa sentenza. La parte che si era vista
condannare, si avvicinò ai giudici permettendosi di chiedere conto delle ragioni della condanna, e per tutta
risposta questa parte fu condannata ad una pena accessoria: si ritenne che il suo comportamento fosse
gravemente lesivo della sacralità del tribunale.
Questo episodio, che venne riportato in tutte le fonti francesi dell’età moderna, con un senso anche di
fastidio, dimostra per quale motivo la motivazione delle sentenze sarebbe stata impensabile prima
dell’illuminismo.
Le decisiones avevano tutt’altra funzione, erano un circuito interno ai sapienti, era un’opera di dottrina,
non ufficiale, che si proponeva di elaborare una riflessione casistica, che partiva dai singoli casi, al fine di
condizionare i casi successivi.
Questo diritto casistico che si sviluppa in età moderna quindi, ha come scopo di affermare una tendenziale
vincolatività del precedente, cioè vuole dimostrare che ciò che è stato deciso oggi, dovrebbe condizionare il
giudice di domani, ma con una contraddizione: vi è un auto impedimento la possibilità di modificare
orientamento.
Lezione: 06/11/19
Da una parte, furono istituiti dal Sovrano (Re di Napoli, il Papa, il Re di Spagna, Repubblica Di
Genova, Regno di Francia, Sacro Romano Impero Germanico, Inghilterra, la cui tradizione giuridica
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era isolazionista) affinché queste grandi corti esaudissero il loro volere. Il sovrano fa la legge e i
giudici debbono applicare, innanzitutto, la legge del sovrano dovrebbero essere esecutori.
Ci troviamo in un’epoca che precede Montesquieu e quindi la teoria della separazione dei poteri.
Montesquieu ci ha insegnato che, affinché ci sia un equilibrio tra i poteri, questi poteri devono
essere affidati ad organi diversi: uno fa le leggi, un altro le esegue ed un altro ancora le applica.
Dall’altra parte, questi Grandi Tribunali erano composti da laureati in giurisprudenza, le quali erano
pochissime. Quest’ultime erano eredi della tradizione medievale la quale era impregnata sulla iuris
dictio, sul primato della iuris dictio, quindi erano a conoscenza di come arginare il potere. Il potere
medievale era stato essenzialmente iuris dictio, quindi questi giuristi che comandarono per secoli,
non si fecero sottomettere dalla corona, dal nuovo sovrano.
Sovrano fa una legge che per sua natura ha valenza erga omnes, di conseguenza la sentenza,
prodotto tipico del Grande Tribunale, ha una valenza applicativa limitata: risolve quel caso = dicit ius
afferma la regola, ma per quel caso, tant’è vero che nei nostri codici vigenti ancora leggiamo che la
sentenza ha valenza di legge tra le parti, non rispetto all’intera comunità. Di fatto però, sia il sovrano
sia il giudice sono entrambi legislatori e non solo: i Grandi Tribunali ritengono di rappresentare la
persona regis , riteneva di incarnare la figura politica del principe, sulla base dell’argomento per cui il
principe fosse un ignorante di diritto= la parola utilizzata nei tribunali era idiota iuris (sempre nel
rispetto della figura)= idiota=parola greca che indicava l’incompetente in diritto.
Tutto ciò aveva delle ricadute concrete proprio nel momento in cui i Grandi Tribunali elaborarono una
propria giurisprudenza. I Grandi Tribunali pronunciavano sentenze, ma quale valenza avevano queste
sentenze nei confronti dei giudici futuri?
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afferma che le cose giudicate in modo simile, perpetuo, quando i casi nel corso del tempo
vengono giudicati sempre allo stesso modo, queste decisioni hanno forza di legge.
I LIVELLO Precedente come stylus stylus è una parola molto utilizzata dai giuristi medievale e
moderni. Che cos’è lo stile per un giurista?
La prima accezione della parola stylus è il tipo estetico, e precisamente i giuristi medievali utilizzavano
questo termine per indicare la grafia dei documenti di cancelleria. I giuristi dell’età moderna dicono che
anche i precedenti giudiziari, in qualche modo formano uno stylus così come la cancelleria, nel corso del
tempo, elabora dei propri modelli, così anche noi, ripetendo lo stesso tipo di decisioni, pronunciandoci allo
stesso modo nel tempo su fattispecie simili, si forma uno stylus. Precisamente, i giudici dei grandi tribunali,
coloro che scrivevano le raccolte di decisiones, distinguevano tra:
a. Uno stylus in procedendo E’ un’epoca dove non esiste la codificazione, non esistono tanto meno
codici di procedura, non esistono regole rigide di procedura, ma sono tutto il frutto di elaborazioni
di fonti romanistiche, canonistiche e consuetudini.
b. Uno stylus in iudicando E’ uno stylus più rilevante e attiene nel merito di tutte le cause, nel
merito della pronuncia. Con la formazione di questi stili i Grandi Tribunali erodevano il potere del
Principe legislatore.
Lo stylus è interessante per gli storici perché poggiava su un concetto tipico dell’età moderna: concetto del
conformismo questo concetto aveva un radicamento nella società moderna molto forte. Baldassarre
Castiglione, autore di un’opera cinquecentesca di moda al quel secolo, intitolata Il Cortegiano, cioè come
deve comportarsi l’uomo che vive negli ambienti mondani della corte, regole di etichetta; ancora più
famoso è il Galateo, di Monsignor de la Casa. Queste opere danno un’impronta dell’epoca in cui bisogna
comportarsi come si comportano gli altri, un’assuefazione a ciò che fanno di più. C’è un sottofondo
filosofico che è quello soprattutto aristotelico scolastico, della grande filosofia medievale, il quale venne
riscoperto in chiave cristiana da Tommaso d’Aquino veniva inteso come colui che aveva predicato il
principio dell’autorità, quello che fanno i grandi deve essere imitato.
Machiavelli uomo colto della storia italiana, affermava che bisognava studiare la storia perché
quest’ultima era una galleria di esempi.
II LIVELLO Caso dubbio o omesso Un giurista molto colto del 600’ di Venosa, Giambattista de Luca, il
quale fu anche un cardinale, raccontò di aver visto degli avvocati del suo paese vincere cause perché
dimostrarono che il contadino che loro difendevano, aveva si delle bacche, come diceva un passo del
Digesto su cui si era poggiato la controparte, ma il Digesto non parlava di bacche rosse, bensì parlava solo di
bacche, e per questo quella norma al loro assistito non si applicava.
Questo per dimostrare che l’omissione si può rinvenire in qualsiasi norma. I Grandi Tribunali, i quali erano il
vertice della cultura giuridica dell’epoca, della capacità manipolativa del giurista, giocavano su questo
concetto e affermavano che qualora l’ordinamento presentasse su quel punto da decidere una lacuna, lì il
precedente poteva diventare norma. Siamo in una fase di totale probabilismo una possibilità di
approbare, di dare approvazione a qualsiasi tipo di fonte purché argomentativamente sostenibile. I Grandi
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Tribunali riuscirono ad affermare che il loro precedente avesse valenza di legge, allorché disciplinasse il
caso dubbio o omesso.
III LIVELLO Vis legis vera e propria vis legis piena del precedente se il principe è un idiota iuris, e ha
inserito questi soggetti perché lo rappresentano nell’ambito del diritto, se colui vede in loro le sue braccia e
il suo corpo, per quale motivo questi non dovrebbero ritenersi liberi di rappresentarlo anche nel produrre
diritto?
Il ritenersi rappresentanti del principe, attribuiva ai Grandi Tribunali il potere di decidere secondo equità
Il sovrano è il giusto per eccellenza, come hanno insegnato i giuristi medievali la giustizia per eccellenza è
una giustizia equitativa, perciò i giudici che decidono in vece del principe possono pronunciarsi ‘’secundum
equitas’’ sulla base dell’equità. L’equità è un concetto che i giudici dei Grandi Tribunali utilizzano come
alternativa al concetto di strictum ius, mettendo quindi sulla bilancia da una parte l’equitas giustizia
proveniente dall’alto che ci fa intravedere la soluzione in termini di valori, dall’altra parte, con disprezzo, lo
strictum ius la regola che avvince, che non fa capire dove sia il giusto e il male. Siccome loro si
consideravano grandi giuristi, in quanto erano nei Grandi Tribunali, e il principe li vuole come sue braccia
nell’ambito dell’amministrazione giudiziaria, loro si sentivano in dovere e potere di decidere secondo verità
slacciandosi dai vincoli dello strictum ius
sola facti veritate in specta I Grandi Tribunali sono paragonabili alla Cassazione solo da un punto di vista
di gerarchia, cioè per il solo fatto che occupavano la cima della piramide, ma non perché nei Grandi
Tribunali vi fossero giudici di legittimità. I Grandi Tribunali, ritenendosi sciolti dalla legge perché legittimati
a giudicare secondo equità, accampavano il pretesto per cui essi giudicavano guardando soltanto la verità
dei fatti, in quanto la giustizia, secondo questi soggetti, è guardare la verità del fatto, non farsi schermare
dal diritto. Diritto come diaframma che impedisce di scoprire la verità, quanto più un tribunale è
potente e grande, tanto più si sente svincolato dal limite del diritto.
In apicibus Iuris Il Grande Tribunale decide solo sulla base delle apicibus (principi generali
dell’ordinamento) Decidere per principi, espressioni molto generiche e che i Grandi Tribunali utilizzavano
come spesso vengono oggi utilizzati dalla giurisprudenza sovranazionale.
Tanquam Deus I Grandi Tribunali ritenevano che, in quanto rappresentanti del principe, in quanto come
il principe potessero giudicare secondo equità e non secondo strictum ius= diritto stretto , il loro giudizio
era simile a quello di Dio.
Dio è giustizia, e quindi anche il Grande Tribunale, come Dio, può puntare diritto verso la verità e agire
libero dalle pastorie della regola scritta del diritto stretto.
I Grandi tribunali svolsero una funzione fondamentale nella storia del diritto, e non solo nella storia del
processo. Questa funzione fu descritta da un grande studioso di diritto privato, Gino Gorla, il quale fu il
padre del diritto comparato, vissuto negli anni 30’ del 900. A quest’ultimo gli si aprì un mondo basato sulla
casistica, capì che in fondo chi fa il diritto, più del legislatore, è il tribunale.
Quest’ultimo scrisse opere relative al contratto, successivamente si appassionò alla storia dei Grandi
Tribunali moderni poiché si accorse che i Grandi Tribunali dell’età moderna realizzarono un
avvicinamento tra il civil law e common law.
GINO GORLA I Grandi Tribunali, secondo Gorla, ebbero come motore dello sviluppo la
giurisprudenza (attività delle corti giudicanti). Gorla espose tali idee negli anni 70’ del 900’. In questi anni
sorse il problema della Brexit, tra i tanti motivi per cui la Gran Bretagna non aveva intenzione di entrare
della CEE vi era quello per cui non comprendevano il nostro diritto legislativo.
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54. I GRANDI TRIBUNALI COME
AVVICINAMENTO TRA LA TRADIZIONE DI
CIVIL LAW E COMMON LAW
TESI DI GORIA A PROPOSITO DELL’ETA’ DEI GRANDI TRIBUNALI Dal punto di vista
storico, il momento in cui operarono i Grandi Tribunali si segnalarono per l’Unificazione Interna ed Esterna
del diritto rispetto al nuovo attore della vita politica contemporanea: lo Stato.
I Grandi Tribunali operarono un’unificazione interna: le fonti del diritto moderno, erano fonti molteplici,
erano fonti a numero aperto in quanto qualsiasi norma poteva fungere, astrattamente da fonte.
La legge del principe per cui il sovrano, se una vecchia consuetudine avesse stabilito un determinato
elemento, doveva prevalere la fonte del sovrano, poiché prevaleva su tutto. Nel ripetersi delle pronunce,
nella costanza della giurisprudenza si crearono delle linee di interpretazione, dei criteri di orientamento che
tendono a ripetersi vis legis del precedente.
La legge dello Stato, tende a formarsi su quasi tutti i casi di origine possibile, la uniformis interpretatio.
Il diritto all’interno dello Stato tende ad uniformarsi intorno a dei grumi, i quali sono le decisioni costanti.
Non vi è problema linguistico, in quanto erano tutti giuristi parte di un'unica comunità;
Lato positivo apertura mentale
Lato negativo ulteriore frammentazione, nell’inserimento di ulteriori elementi di incertezza.
La circolazione delle decisiones , come quelle che Gorla etichettava come unificazione esterna del
diritto tra Stati, diventa un ulteriore elemento di proliferazione di norma.
Un altro aspetto di concorrenza dialettica riguarda due strumenti che i Grandi Tribunali utilizzavano
per fronteggiare le pretese egemoniche dei sovrani erano:
Intennatio Il potere di intennazione. Il significato è ‘’nel frattempo’’ , ‘’tra un tempo e l’altro’’, ‘’ ciò che
è provvisorio’’. Per molto tempo si è ritenuto che da questa radice etimologica provenisse il significato di
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una parola che indicava i poteri di cui alcuni Grandi Tribunali erano dotati. I Grandi Tribunali dotati di tali
poteri erano due:
Senato di Milano
Queste erano due tipiche Corti Centrali dotate del diritto di intennazione, potere che consisteva nel
frapporre un atto di rifiuto al sovrano che intendesse legiferare su determinate materie.
Il potere di intennazione era il potere di cui alcuni Grandi Tribunali erano esplicitamente dotati ( di fatto lo
detenevano tutti) di negare la licenza all’atto del principe. Bloccare l’atto del principe, significava che l’atto
restava inutilizzato, spesso il tribunale lo respingeva (mandava indietro) al principe, il quale avrebbe potuto
riproporlo o ripensarci. Il caso tipico di conflitto derivato dal potere di intennazione fu quello dei Grandi
Tribunali Francesi, chiamati PARLAMENTI. Questi Grandi Tribunali francesi, avevano il potere di
registrazione, uguale al potere di intennazione. Il Sovrano avrebbe potuto desistere o instaurare un
procedimento chiamato LITE DI GIUSTIZIA (momento di tensione tra il sovrano e apparato, tra Re e
Parlamento). Tale conflitto dimostra che in età moderna, il rapporto tra il sovrano e magistratura era
fisiologicamente dialettico, teso, una tensione che a volte arrivavano a far scoppiare vere e proprie
rivoluzioni.
Nel 1648, in Francia ai tempi del Regno di Luigi XIV, le Roi Soleil, in Francia scoppiò una rivoluzione
chiamata fronda parlamentare parlamentare perché nacque nel Parlamento, in particolare nel
Parlamento di Parigi il quale non volle applicare alcune leggi del Sovrano. Fronda una contrapposizione.
La parola intennazione significava sospendere, ma essendo nata in un’area piemontese, probabilmente
potrebbe essere stata impiantata dal francese giacché entier integro, intero. Da questo punto di vista,
l’intennazione sarebbe un’integrazione della volontà del sovrano, come se i Grandi Tribunali avessero dato
per scontato che la volontà del sovrano, da sola, non bastasse per fare una legge, servirebbe un qualcosa in
più, che sarebbe un visto del tribunale.
Interpretatiol’ interpretatio medievale e moderna presenta una sfumatura al quanto diversa rispetto
all’interpretazione come intesa da noi oggi. Ad oggi siamo a conoscenza che l’interpretazione e testo sono
due cose completamente diverse. Nell’età medievale e moderna il concetto di interpretatio comportava
sempre una quota di creatività GRANDE DIFFERENZA. La norma era solo il punto di partenza per una
riflessione, che sulla base della sapienza, sapientia, capacità teorica, filosofica, morale del giurista doveva
essere affidata alla mediazione di questo super dotto. Quando il sovrano istituisce i Grandi Tribunali per
esaudire il suo volere, i Grandi Tribunali, eredi della tradizione medievale pretendono di praticare ancora
l’interpretatio, cioè di svolgere quel ruolo creativo, produttivo che nella loro ottica è imprescindibile dal
ruolo del giurista. Oltretutto a facilitarli in questo senso, soccorre la morfologia dell’ordinamento giuridico
Lezione: 19/11/19
Nel 500 e nei primi decenni del 600’, il diritto risentì notevolmente dello sconvolgimento che si verificò
nelle scienze, non nell’immediato, ma con ritardo rispetto al periodo in cui la rivoluzione scientifica esplose
nell’Europa moderna. Gli effetti nell’ambito del diritto furono numerosi, ma non immediati.
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Come può un processo cambiare per effetto di un cambiamento dei metodi conoscitivi delle scienze?
L’interferenza tra diritto, processo e scienza Prima ancora della scoperta di novità scientifiche, sul
processo influisce un cambio di mentalità.
Accanto questa sostanza poi, ci sono degli elementi caduti, infatti Aristotele, con una parola che il latino
adotta dal greco, li chiama accidenti= perché cadono, l’essenza, la sostanza resta immutabile, l’accidente
cambia.
La prima osservazione da fare è che la rivoluzione scientifica mette in discussione la oggettività della
conoscenza, perché non crede a questa impostazione, ovvero non crede che si conoscono le essenze e che
il nostro cervello si adegui così perfettamente alle cose.
La filosofia scolastica, cioè la filosofia di Aristotele, ripristinata nel Medioevo soprattutto ad opera di
Tommaso d’Aquino con una rilettura di questa filosofia in chiave cristiana, sosteneva che l’uomo, la
mente, fluisse di due livelli di conoscenza:
Livello della scienza La scienza è quella che ci conduce alla verità. La verità la attingiamo, la tocchiamo
grazie al fatto che essa è apolittica (viene sopra).
Livello della opinione Al livello dell’opinione, noi non conosciamo le cose vere, ma conosciamo le cose
probabili, il probabile. Cosa significa nel linguaggio aristotelico medievale e proto-moderno la parola
‘’probabile’’? Probabile ha una radice un po’ diversa da quella che viene utilizzata dopo la rivoluzione
scientifica: è probabile, secondo gli aristotelici, ciò che è oggetto della probatio, cioè della approvazione,
grande caratteristica e grande limite della filosofia aristotelica.
-Chi è legittimato ad esprimere questa approvazione? Nella logica aristotelica costui è il sapiente, quindi il
livello dell’opinione e quindi l’approbatio è quella che viene espressa dai sapienti. In un’opera politica
famosa di Aristotele, intitolata Etica Nicomachea, Aristotele afferma che il livello dell’opinione lo
raggiungiamo o attraverso quello che pensano tutti, o attraverso quello che pensano il più, la
maggioranza, o attraverso quello che pensano i più dotti. Per arrivare alla conoscenza probabile, secondo
Aristotele, è decisiva la mediazione dei dotti, dei saggi, i sapienti, che poi nella società medievale e
moderna, come anche nella società greca avanti cristo, i sapienti sono i filosofi, dotti per eccellenza. Il
diritto, in questa classifica, tra scienza e probabilità, fa parte di quei saperi che sono fondati su ciò che
pensano o tutti, o la maggior parte, o i più dotti, quindi il diritto risente della mediazione del giurista
sapiente. Ecco perché si forma, e viene accettata, la communis opinion l’avvocato spera di vincere la
causa mostrando che la soluzione che viene adottata, davanti al giudice, è quella che si è consolidata nel
corso dei secoli, communis opinion, ancor meglio se questa opinione proviene da grandi maestri del diritto.
i dotti che ci fanno raggiungere il livello della probabilità conoscitiva.
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Questa è la prima interferenza tra filosofia aristotelica e realtà pratica e concreta del processo. Nel
processo agisce la mentalità aristotelica legata all’opinione dei dotti, alla mediazione patriarcale, la
mediazione tra la società e le istituzioni patriarcale perché i giuristi, i grandi avvocati, i giudici si
comportano come patres.
Svolta scientifica
Dopo secoli di stagnazione di queste idee, la svolta è data dalla rivoluzione scientifica, in particolare da
alcuni grandi autori i quali s’inventano un nuovo modo di conoscere, in particolare i patriarchi (i fondatori)
della rivoluzione scientifica, i quali sono:
Sono considerati i quattro pionieri della rivoluzione scientifica. Vi sono due filosofi e due scienziati poiché,
in questo periodo, ancora esiste questa compattezza delle scienze, ma questa compattezza sta perdendo il
suo senso in quanto sta nascendo una scienza fisica autonoma LA SCIENZA.
La parola scienza è intesa nel senso che viene ad oggi utilizzata, un sapere preciso, scienze fisiche:
matematica, scienze naturali, fisica. Tuttavia le parole hanno una storia, e non è sempre stata intesa in
questo senso, tant’è vero che nelle Università medievali, la scientia per eccellenza era quella iuris, scienza
giuridica, e d’altronde il sistema universitario è nato come facoltà di diritto la scientificità cambia
binario all’inizio del 600’ prendendo un’altra strada.
Quindi il cartesianesimo/cartesianismo è l’idea secondo cui la realtà, il mondo lo si capisce non solo con
l’esprit de finesse= i sentimenti, ma anche con l’esprit de geometrie= calcolabilità, con la misurazione.
(Parole di Cartesio e Pascal).
Questa la è grande novità del moderno, rispetto al medievale e all’antico: il moderno poggia sul pilastro, e
Cartesio è il grande artefice di questa svolta, della calcolabilità. Cartesio è convinto che l’uomo debba
conoscere le cose nella loro estensione, ed è un rapporto non pacifico, bensì tormentato, in quanto la frase
più famosa attribuita a Cartesio è cogito ergo sum= l’unica cosa di cui noi siamo certi, in Cartesio, è il
pensiero, paradossalmente, ma il pensiero si deve rapportare, poiché la vita ce lo impone, ad una realtà
esterna che deve essere misurata, calcolata è quella che Cartesio con un’altra espressione le indica,
ovvero la rex exstensa= la cosa che è al di fuori di noi.
Cartesio presenta anche delle ambiguità, perché alcuni suoi studiosi sostengono che la res extensa è
anch’essa una qualità, persona rivoluzionaria ma cauta negli esiti.
BACONE Bacone è un colpo al pensiero aristotelico-scolastico ancora più radicale. Fu più o meno
contemporaneo di Cartesio, primi decenni del 600’, era inglese e deteneva uno dei ruoli pubblici più
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importanti: lord cancelliere di Inghilterra. In particolare, proprio ai primi decenni del 600’ risale una delle
opere chiave di Bacone; quest’opera, alla quale diede un titolo polemico, s’intitolava il Novum Organum= ,
la logica= Il nuovo cervello, la nuova logica. Era polemico perché l’organum, in greco organon= cervello, la
logica ed era la grande scoperta di Aristotele: Aristotele insegnò all’umanità per due millenni che cosa fosse
la logica, come funzionasse il nostro cervello, nonostante quest’ultimo fosse un filosofo. Bacone sostiene
che la posizione di Cartesio sia troppo fiacca. Cartesio disse:’’ Non dobbiamo distruggere ciò che già
abbiamo (aristotelismo), prima di aver verificato le fondamenta di un nuovo sapere’’, e questa posizione
moderata di Cartesio passa alla storia della filosofia come la teoria della morale provvisoria.
Bacone invece, fu più radicale, perché nel Novum Organum attacca violentemente i capisaldi della filosofia
aristotelica. In particolare:
Bacone non crede che la conoscenza sia conoscenza di essenze, di qualità. Bacone ritiene che la
conoscenza debba essere sempre a posteriori= deve partire dal fatto, e il fatto, nella logica di
Bacone, lo si conosce non attraverso un meccanismo celebrale, intracranico, bensì il fatto lo si
conosce attraverso l’esperimento, l’empiria. Il fatto che Bacone sia inglese non è indifferente in
quanto il tipico approccio alla filosofia degli inglesi è l’empirismo= la conoscenza la si raggiunge, la
si perfezione attraverso l’esperimento. Il fatto che la conoscenza, secondo Bacone, nasca a
posteriori, empiricamente, sui fatti, sulla materia e non sulle essenze, fa sì che Bacone ritenga che
tutto il sapere previo (precedente rispetto al suo) debba essere abbattuto; qualche studioso della
storia delle scienze, precisamente di epistemologia (sapere che studia i saperi, il modo in cui si
conosce) afferma che Bacone ha anticipato una teoria di un grande epistemologo del 900’, la quale
è famosa con la denominazione di INCOMPARABILITA’ DEI PARADIGMI EPISTEMOLOGICI vi sono
due modi di rapportarsi alla tradizione della nostra conoscenza:
a. Modo dei nani sulle spalle dei giganti es. io non sono migliore di Beethoven, però se in casa
mia voglio sentirmi come lui posso farlo, in quanto ho gli strumenti che mi permettono di
diffondere la migliore orchestra del 900’ senza averla, senza saper suonare il pianoforte, quindi
rispetto a Beethoven sono un nano sulle spalle di un gigante. Questa teoria è la teoria del
sapere che procede per accumulo, ed è stata quella assolutamente prevalente nell’epoca
aristotelica scolastica: noi, ultimi anelli della catena lunghissima, ci aggiungiamo a quello che
già tutti i nostri predecessori sanno. Nell’aristotelismo agiva il conformismo, per cui tanto più io
sarò convinto di aggiungere quella cosa di mio, quanto più mi inserirò nella lunga onda della
tradizione.
b. Altro modo di concepire il rapporto tra passato e futuro della conoscenza, che è la logica
molto contemporanea, novecentesca, già anticipata da Bacon, ed è la logica della
incomparabilità tra paradigmi in competizione se si ritiene che il telefono lo conosco
perché vi è un’essenza di telefoninità che si riesce a cogliere, non si potrà mai andare d’accordo
con una persona che afferma che il telefono non lo si conoscerà mai come idea, conoscerai solo
QUESTO TELEFONO LUNGO X CM E LARGO Y. non sono due modelli che posso coesistere.
Bacone, con il Novum Organum si propone di non essere compatibile con il pensiero
aristotelico. Perché incide anche sulla logica del diritto e sulla logica del processo? Perché il
diritto moderno pre-rivoluzione scientifica si basava su concetti che presupponevano il
probabile, l’opinione consolidata, il conformismo basato sulla approvatio dei sapienti.
Il ragionamento di Bacone è incomparabile, incompatibile con questa ideologia: tutto deve
nascere sulla base dell’esperimento.
Prima vittima della critica di Bacone è il consensus Nel Novum Organum Bacone sostiene che la
conoscenza parte a posteriori, parte dal fatto materiale, empirica perché basata sull’esperimento. Il
principale obiettivo polemico di Bacone è il consensus il consensus è la modalità mediante la quale, per
secoli, i giuristi avevano realizzato l’avvicinamento alla conoscenza probabile. Il consensus era quello dei
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dotti, dei saggi, i quali acconsentivano (consensus cum-sentire= provare una sensazione, percepire,
cum=insieme) questo sentire comune, era riservato all’élite della sapienza, dei saggi, dei dotti, per i motivi
elencati nella Etica Nicomachea. Bacone sostiene che i suoi predecessori hanno invertito il rapporto
fisiologico nell’uso del consenso, perché hanno utilizzato in politica un meccanismo che è opposto alla
ricerca del consenso, quando, al contrario, in politica sarebbe importante accertarsi di ciò che vuole la
società, mentre nella scienza dove il consenso non avrebbe ragione d’essere, gli aristotelici hanno esaltato
questo strumento conoscitivo.
Il consensus era il potere autoritativo su uno specifico tema giuridico il consenso verteva sui grandi
temi. Vi erano due gruppi di dilemmi i dilemmi più grandi, che toccavano i temi significativi come: che
cos’è la filosofia? Che cos’è la religione? Che cos’è la pena? Affianco a queste macrodomande ci sono quelli
che costituiscono i quesiti della vita quotidiana del giurista di sempre come: se commetto un danno senza
colpa, ne sono responsabile? Per l’uno e l’altro di questi gruppi di dilemmi, di concetti da sciogliere il
pensiero aristotelico scolastico se la cavava affidandosi al consensus dei dotti, dei saggi.
Consenso autoritativo Aristotele è passato alla storia anche per essere il fautore del motto ipse dixit che
è il principio di autorità. Il fatto che Aristotele abbia sostenuto una certa tesi su un determinato problema,
da a quel parere una veste di autorevolezza che lo rende pressoché inscalfibile dai filosofi successori.
Questo meccanismo, nei secoli, si sposta sul diritto, venne mutuato dalla scienza giuridica. Bacone è critico
verso questo meccanismo, perché ritiene che sia il frutto di una inversione: il consenso che in politica
dovrebbe essere un valore di riferimento prevalente, veniva invece completamente trascurato; il consenso,
che nella scienza è insignificante, o addirittura fallace (ci fa sbagliare), viene elevato a parametro
conoscitivo. Fallace perché egli, ricordando un famoso retore dell’antica Grecia, Focione il quale fece un
comizio, un’orazione di piazza, sentì che gli ascoltatori lo applaudivano, si voltò verso il Tizio che era al suo
fianco e disse: in che cosa io ho sbagliato perché tutti mi applaudono? Bacone, come commento a questo
aneddoto il consenso come sinonimo di errore, esattamente il contrario di ciò che sostenevano gli
aristotelici.
Nel processo, una posizione come quella di Bacone, a critica al consenso, porta a ritenere da evitare, da
respingere tutte quelle soluzioni probatorie, tutte quelle prove, che si basano su presunzioni. I giuristi
dell’età del diritto comune le chiamavano proprio praesuntiones, e la presunzione è proprio il frutto di
quella logica astratta, a priori, non sperimentale che Bacone vuole combattere. Sul piano della logica
probatoria la rivoluzione scientifica vorrebbe inaugurare un metodo totalmente sperimentale,
materialistico, fattuale. Tra l’altro tutte le volte che l’accento della conoscenza, anche giuridica, anche
processuale si sposta dal piano del a priori, al piano del fatto materiale, viene privilegiata una logica
meccanica: se il proiettile fa quella determinata traiettoria, l’avrà fatta anche quell’altra volta non c’è
prova piena, c’è un indizio, una praesuntio che però si basa su una logica sperimentale e meccanica
prima e dopo legati da un rapporto meccanicistico della causa-effetto.
NUOVO CONCETTO DI PROBABILISMO Questo passaggio alla logica sperimentale, questo nuovo modo di
concepire le prove modifica anche il concetto di probabilismo Il probabilismo aristotelico scolastico era
l’affidamento su ciò che avevano sostenuto i sapienti, esprimendo la loro approbatio.
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IL NUOVO PROBABILISMO è inteso come lo intendiamo oggi, dove è considerato probabile solo ciò che
ottiene esclusivamente il suffragio del dato statistico, è il perlopiù. Anche nella logica del processo incide
questa nuova idea del probabile.
GALILEO GALILEI Passò alla storia per aver pronunciato la frase ‘’provando e riprovando’’ , la
sperimentazione come collaudo della conoscenza.
Tuttavia, affinché questi tre effetti mettessero davvero le radici nella storia del processo, bisognerà
attendere altri minimo 150 anni, alla fine del 700’; il Giusnaturalismo ha già una stori seicentesca, ma frutti
delle sue ideologie fioriranno nel 700’ maturo.
Lezione: 20/11/19
Giusnaturalismo è il diritto secondo natura. Secondo alcuni popoli la poligamia è consentita, è voluta da
Dio, per altri popoli costituisce peccato mortale.
Nel determinare il diritto di natura, entrarono in gioco posizioni positiviste estremamente variabili.
GIUSNATURALISMO OGGETTIVO è quel giusnaturalismo che consiste nel fatto che vi è un’autorità che
ritiene di poter spiegare alla collettività che cosa sia giusto secondo natura. E’ una sorta di giusnaturalismo
medievale, religioso la Chiesa spiega cosa sia giusto secondo natura;
Il processo è anch’esso suscettibile di una visione giusnaturalistica, e nella prima età moderna vi fu una
ventata favorevole ad un processo naturalistico.
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difesa naturale il processo non può mai concludersi senza aver concesso la citazione al soggetto citato in
giudizio, la citatio è una difesa naturale.
Il giusnaturalismo moderno parte dal presupposto per cui un legislatore illuminato, razionale, non può che
fissare delle coordinate previe che valgono a prescindere dalla realtà su cui essi si calano. Tra i
giusnaturalisti, il più famoso fu Christian Wolff.
CHRISTIAN WOLFF visse nel 700’ , e sostenne che il diritto, l’ordinamento giuridico, dovesse riscriversi su
basi razionali. Secondo quest’ultimo il soggetto, di diritto, deve essere il protagonista di questo
ordinamento nuovo.
Un allievo di Wolff, di nome Daniel Nettelbladt, scrisse un’opera intitolata ‘’Systema elementare universae
iurisprudentiae naturalis’’ sistema elementare della giurisprudenza universale naturale, del 1749.
In quest’opera l’autore sostiene che le regole che lui descrive valgono sempre, perché il processo giusto si
fa come lui lo descrive questo sistema universale sarà un sistema naturale, secondo natura.
In un brano, Nettelbladt mette in rapporto un processo civile (figlio delle regole specifiche) e un processo
giudiziario naturale.
PROCESSO CIVILE e’ l’ordo secondo il quale i singoli atti che si susseguono nella trattazione della causa
debbono essere collocati in una sequenza vicendevole. Il processo canonistico come lo nominarono i
canonisti, un succedersi di atti, la giustizia come ordine. Così come il mondo celeste è esemplato secondo
un ordine divino, allo stesso modo il processo, che è la realizzazione imperfetta della giustizia superiore,
deve essere strutturato secondo il medesimo ordo. L’ordo è fatto da atti che si susseguono
vicendevolmente.
A questo tipo di processo, Nettelbladt ne affianca un altro: un processo giudiziale naturale, cioè quell’ordo
che è depennato da leggi naturali, non più da leggi positive.
Questo spunto dato da Nettelbladt, cioè l’idea che esista un processo ideale, ebbe spesso una sua valenza
operativa.
Il processo ideale era un processo orale poiché egli ritiene che il processo scritto sia prova per ricchi,
poiché solo il ricco può permettersi un bravo avvocato
ILLUMINISMO è un movimento che esplose nel XVIII secolo, denominato il secolo dei lumi. Questo non
fu un movimento unitario, bensì ce ne furono molti, e non fu unitario anche dal punto di vista del rapporto
con la tradizione.
L’illuminismo nasce alla fine del 600, periodo storico che venne definito come << crisi della coscienza
europea>> , la scomparsa di Dio.
Persino Pascal, a fine 600, pensava che Dio fosse una scommessa. Tutto questo portò ad uno smarrimento
dell’uomo, appunto ad una crisi della coscienza europea. Il processo di secolarizzazione, cioè il passaggio
alla vita secolare (vita terrena) è un passaggio drammatico. In questo periodo di trapasso fiorisce il primo
illuminismo, un illuminismo prudente, moderato, calcolatore, dove l’uomo può conoscere solo ciò che
può calcolare. Il primo illuminismo è un illuminismo riformistico, non rivoluzionario: l’uomo politico deve
limitarsi a ritoccare, con interventi circoscritti, l’ordinamento e il processo.
ESEMPIO DI UN ILLUMINISMO RIFORMISTICO E’ LA NASCITA DEI TRIBUNALI DI COMMERCIO
ILLUMINISMO PROCESSUALISTICO
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PRIMA FASE Vi è un riformismo prudente, ad esempio: le magistrature di commercio. Nel sistema
giudiziario dell’antico regime, vigeva il pluralismo di giurisdizioni il quale comportava ad una coesistenza di
più giurisdizioni sugli stessi soggetti. Una delle connotazioni di questa pluralità di giurisdizioni coesistenti
derivava dall’appartenenza cetuale. Gli illuministi vollero creare magistrature di commercio che non siano
più tribunali privilegiati, e che giudicano soggetti favoriti dalla loro appartenenza di ceto, bensì che siano
tribunali in cui il giudice sia tecnicamente specializzato su quel tema, e che quindi il giudice non sia più un
magistrato di commercio, che non sia più un esperto di diritto o solo in diritto, ma che sia competente in
economia.
MONTESQUIEU E’ un intellettuale francese dell’età moderna, vissuto intorno ai decenni centrali del
700’. L’opera più importante di Montesquieu è ‘’L’esprit des lois’’ = lo spirito delle leggi, del 1748.
Montesquieu, in quest’opera, esprime le sue principali teorie sulla politica, sulle istituzioni. Anzitutto, in
quest’opera, esprime la sua teoria antropologica per Montesquieu, il 700 è il secolo di confronto tra
popoli, nascendo così una prima comparazione. Montesquieu, con questa comparazione, dimostra che non
esiste, come sostenevano i medievali, un’ordo perfetto, in quanto tutti gli ordinamenti giuridici dipendono
da circostanze ambientali.
Montesquieu teorizza che il tipo di governo dipenda dal clima: i popoli che vivono in paesi caldi sono più
propensi alla tirannia, i popoli che vivono in paesi più freddi sono più propensi alla democrazia.
Montesquieu è un teorico delle forme di governo, e della monarchia iura delle tre forme classiche, e
studia le degenerazioni di queste tre forme di governo:
MONARCHIA TIRANNIDE
ARISTOCRAZIA OLIGARCHIA
DEMOCRAZIA DEMAGOGIA
Montesquieu però, si sofferma soprattutto sul ruolo che assume il potere giudiziario in queste tre forme di
governo. Nello stato moderno la giustizia era la funzione del sovrano, Montesquieu ritenne che la giustizia
sia un attore della forma di governo.
Lezione: 26/11/19
L’illuminismo fu un momento chiave, non solo nella storia in generale, ma anche nella storia del diritto e
soprattutto nella storia del processo.
Il processo è sempre stato il momento nel quale il diritto si è aperto alla società: i grandi traumi della storia
sono sempre passati nelle aule giudiziarie, se il mondo conosce i giuristi è perché esistono i processi.
Nell’illuminismo questa politicità del processo è emersa in maniera particolarmente forte. I motivi sono
tanti, ma tuttavia quello che prevale è il fatto che l’illuminismo, nel suo intento di rendere trasparente il
palazzo del potere, si autoconvinse che uno dei palazzi che doveva rendersi trasparente era il tribunale. La
giustizia doveva diventare pubblicamente controllata, in quanto la giustizia è il potere.
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Il secolo in cui l’illuminismo si afferma fu il 700’, XVIII secolo. Il settecento ebbe un articolazione interna,
tant’è che questo secolo si può suddividere in più parti:
FASE INIZIALE Vi è stata una fase iniziale, detta pre-illuminismo, una fase caratterizzata da prudenza,
moderazione e cautela. Questa fase provenne ai primi illuminati dalla rivoluzione scientifica il pensiero
sperimentale. Secondo i primi illuministi, tale sperimentazione doveva avvenire anche nella politica.
Uno dei problemi della fase pre-illuminista era la sua cetualità, il suo carattere cetuale, che si accompagna
alla lentezza. I primi illuministi, per porre rimedio a questa giustizia lenta, cetuale ed ingiusta proposero
delle magistrature specializzate, non più basate sul privilegio di ceto, ma sulla peculiarità della funzione.
Questi primi illuministi erano più sensibili, perché dalla rivoluzione scientifica ripresero l’idea secondo cui la
ricchezza nasce dal libero scambio.
FASE CENTRALE detto illuminismo maturo. Il capo dell’illuminismo maturo fu uno dei più grandi
intellettuali politici dell’età moderna: Montesquieu.
Montesquieu era un nobile, in particolare era un magistrato. La sua figura passò nella storia per diversi
motivi ispiratori, contenuti soprattutto in due dei suoi capolavori: ‘’Le lettere persiane’’ e ‘’Lo spirito delle
leggi’’, 1748. E’ un avvenimento storico importante, perché Montesquieu, in quest’opera, teorizza
soprattutto due regimi istituzionali fondamentali: la relatività delle funzioni e la separazione dei poteri.
Montesquieu è convinto che non esista una forma di governo e un ordinamento giuridico
astrattamente ideali, tuttavia riconosce che leggi e forme di governo sono relativi alle condizioni
politiche, sociali, ambientali e cli