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Per una sociologia della narrazione

1 La facoltà di narrare
1.1 Le funzioni della comunicazione
Il racconto è una forma di discorso, Poiché essa appartiene all’ambito della comunicazione, può essere sottoposta
alle griglie analitiche proposte dagli studiosi di questo campo. Lo schema più semplice per lo studio della
comunicazione rileva tre funzioni fondamentali: ogni atto comunicativo ha una funzione “espressiva”, una
“rappresentativa” e una “conativa”:
 La funzione espressiva riguarda l’emittente, consiste della visione di sé stesso che egli emette nel
comunicare;
 La funzione rappresentativa è il contenuto, ciò che la comunicazione vuole dire sul mondo;
 La funzione conativa è quella che riguarda il destinatario, è l’invito o l’appello che gli si rivolge.

L’analisi del messaggio può essere articolata secondo altre quattro ulteriori funzioni:

 La funzione fatìca che riguarda il contatto tra l’emittente e il destinatario;


 La funzione poetica che riguarda il modo in cui è composto discorso;
 La unzione metalinguistica che consiste nel patto interpretativo che si stabiliste tra emittente e
destinatario;
 La funzione referenziale secondo cui il messaggio comunica qualcosa a proposito di un referente.

Nella misura in cui il discorso sia orale vengono in campo altre funzioni:

 La funzione illocutiva per cui il discorso corrisponde ad una domanda o ad una risposta, ad un
avvertimento, minaccia, insegnamento;
 La funzione perlocutiva per convincere tramite il discorso l’interlocutore, indirizzando i suoi pensieri o l
sue azioni.

Tutti questi concetti sono applicabili a tutte le narrazioni. La storia che viene comunicata all’interno di una narrazione
non è possibile senza una relazione, perché transita tra gli interlocutori, mettendo una storia in comune (cap. 2). Sul
piano sociale possono essere individuate diverse aree di funzioni che la narrazione può svolgere, non si tratta di
funzioni a priori, variando da contesto a contesto.

1.1 Le funzioni sociali della narrazione quotidiana


A partire da queste funzioni, Jedlowsky rielabora le funzioni secondo una declinazione sociologica:
 La funzione comunitaria è la prima area funzionale della narrazione quotidiana che stabilisce un legame
tra destinatario e narratore. È propriamente connessa alla dimensione relazionale della narrazione, più
elementarmente consiste nel senso della condivisione;
 La funzione referenziale connessa ai contenuti, narrare è condividere la conoscenza di certe vicende. Ciò
che viene narrato può essere percepito con visione diversa, tra interlocutori, per quest’aspetto la
narrazione può creare un’empatia, quindi il sentire comune;
 La funzione dell’ammaestramento/ normativa la troviamo quando vengono narrati precetti morali,
aneddoti e istruzioni pratiche, è l’ambito in cui la narrazione diventa uno strumento di controllo.
 La funzione ludica che rappresenta proprio la visione affabulativa, quella che non dà importanza ai
contenuti narrati ma al gioco creativo;
 La funzione cognitiva o funzione modellizzante, strettamente connessa al concetto di trama che ogni
racconto possiede, uno schema di relazioni, meno esplicita agli occhi del lettore;
 La funzione identitaria che ha a che fare con l’identità delle persone dentro la narrazione con il
riconoscimento reciproco dell’identità del narratore e del destinatario;
 La funzione mnestica è quella che ci ricorda il legame con le narrazioni che hanno a che fare con le
diverse generazioni; infatti, il nesso tra narrazione e memoria è fondamentale. Nella narrazione la
memoria del narratore si fa memoria comune, collettiva.
1.1 Vita quotidiana e quotidianità
La vita quotidiana è un insieme di attività che svolgiamo ogni giorno, in gran parte si tratta di azioni di routine, di
banalità che facciamo senza neanche pensarci. Ma nonostante questa apparente banalità, essa è dotata di
un’enorme ricchezza. L’atteggiamento con la quale affrontiamo la nostra quotidianità corrisponde però ad una
sistematica disattenzione per la sua ricchezza e per la sua complessità: è a quest’atteggiamento a cui viene dato il
nome di quotidianità. La quotidianità è la forma di pensiero e sensibilità secondo cui le cosse vengono date per
scontato, il tutto ci appare così familiare da essere ovvio. Dare per scontato le situazioni più ricorrenti corrisponde
ad interpretarle facendo ricorso al senso comune deli stereotipi. All’interno del senso comune le cose ci appaiono
familiari e naturali, sempre uguali a sé stesse e senza tempo. Alla nozione di vita quotidiana appare ad un senso
più ampio di quello di senso comune: ci sono anche i momenti imprevisti di cui non si può fare a meno di vedere
come un problema, i momenti di stupore, di dubbio, di malattia, si ha una realtà che non viene più data per
scontata.

1.2 Quotidianità e narrazione


Raccontare ciò che è successo permette alla routine di continuare a svolgersi. Le cose che raccontiamo su di noi
confermano in gran parte le identità quotidiane e le regole che condividiamo con gli altri; Il senso comune nel
quale si forma la quotidianità è una costruzione sociale, e gran parte dei racconti spiegano come questa
costruzione viene realizzata. Ma in gran parte i racconti che facciamo quotidianamente sono il modo con cui ogni
novità è ricondotta alla familiarità. Tuttavia, vi è qualcosa che entra in tensione con l’atteggiamento della
quotidianità: il fatto che il racconto per sua essenza ha che fare, per sua essenza, con il tempo e con la singolarità:
 Per quanto riguarda il tempo, un filosofo disse che “nella quotidianità non nasciamo né moriamo”,
facendo riferimento alla nascita e alla forte si fa riferimento al temo; nella misura in cui questo è
sostanza di ogni racconto;
 Per quanto riguarda la singolarità in discorso è analogo, il pensiero comune ragiona per stereotipi, per
idee che si possono applicare “ogni volta. I racconti, in quanto tali parlano ogni volta di una singolarità
(Rainer Maria Rilke “Ogni cosa una volta, una volta soltanto…”) Viviamo una volta e questa volta è per
sempre. Nella misura in cui implica il riferimento ad “una volta” ogni racconto ha in sé qualcosa del
richiamo a questa unicità e a questa irrevocabilità della vita.

1.1 Certe storie


Certe narrazioni hanno come oggetto qualcosa di simile alle “storie dentro le storie”. Sono le storie che si
raccontano in macchina all’alba, quelle che si raccontano all’amante rima di addormentarsi, quelle che si
vorrebbero raccontare a chi è morto. Sono storie che sono difficili da raccontare, ma ancor più da ascoltare. Sono
storie il cui destinatario in fondo siamo noi stessi. Mettere queste storie in comune con qualcun altro è farsi
compagni di viaggio, quel viaggio che è la vita l’esistenza. L’essere compagni in tal modo trascende i confini della
quotidianità.

1.2 Esperienza e racconto


I racconti che si piegano alla logica della quotidianità riducono la strada ad un solo punto di vista, nascondendo o
razionalizzando ciò che è imbarazzante; gli altri lo accettano. Parlando della differenza tra testimonianza e
fabulazione, parrebbe che i racconti legati alla elaborazione dell’esperienza siano quelli che tendono alla
testimonianza. Ma non è esattamente così: la centralità della figura del testimone non può essere naturalmente
negata. La logica della testimonianza è affine a quella che presiede al processo di costituzione dell’esperienza. Ma
anche quando si spinge verso il polo della fabulazione, il racconto può servire allo stesso processo, La nostra
esperienza non è fatta soltanto di ciò che abbiamo sperimentato, ma dell’alone di risonanze che lo circonda, dai
sedimenti delle nostre emozioni. Quando è vicina al polo della testimonianza, la narrazione ci rende edotti del
nostro destino, quando si avvicina alla fabulazione, amplia l’orizzonte in cui o collochiamo (il destino). La
narrazione ha infatti due facce: da un lato quella di vita concreta, l’esistenza di ognuno di ni è contingente;
dall’altro è l’insieme di tutto in cui si esprime il senso di cui il mondo è dotato.
2 L’interpretazione narrativa della realtà

2.1 Introduzione
La facoltà di narrare è una facoltà che sviluppiamo abbastanza presto nella nostra vita e che ci accompagna da
tempi assai antichi. È intrecciata con la storia delle culture e del modo di comunicare. Una cultura può incentivare
o disincentivare la facoltà di narrare delle persone. Per quanto riguarda la cultura occidentale moderna è
probabile che tenda a disincentivarla, ciò non esclude delle eccezioni, tipicamente il posto più importante è
attribuito soprattutto a discorsi scientifici o a discorsi di informazione. Proprio il discorso di informazione è
considerato da Benjamin il più pericoloso, in antitesi con la narrazione. L’informazione non è sol “plausibile”, essa
ha un carattere puntuale, utopistico, slegato da antecedenti e conseguenti. In questo essere priva di
consequenzialità con il resto del discorso in cui viene inserita, essa mostra tutta la sua distanza della narrazione.
Del resto, l’essenza dell’informazione è la novità. Come Benjamin annotava in un saggio, la vita moderna
domanda una coscienza all’erta, un’intellettualizzazione della vita psichica che è l’opposto di tale distinzione.
Quanto al discorso scientifico, la questione ha radici molto profonde: il processo di razionalizzazione che Marx
Weber poneva al centro della sua analisi di modernità consiste in un allargamento della logica della razionalità
della scienza in ogni ambito della vita. Di fronte ad una volontà della generalizzazione scientifica in racconto
conserva qualcosa di inquietante, come il sospetto di un’anarchia, su una realtà parallela alla realtà
empiricamente osservabile. La situazione però sta mutando, in parte è responsabile anche la diagnosi stessa di
post-modernità: la situazione post-moderna nello stesso momento in cui denunciava come la realtà si sia retta su
grandi narrazioni che fondavano la legittimità dei suoi saperi e come queste grandi narrazioni siano oggi in crisi In
ogni caso, in quella che potrebbe essere chiamata alla ricerca di un nuovo paradigma delle scienze sociali, il
riconoscimento del fatto che l’indeterminatezza non possa essere espulsa nel discorso scientifica, appare centrale.

2.2 La narrazione e l’agire sociale


Oggetto essenziale della sociologia è l’agire sociale: l’aire è il comportamento umano in quanto dotato di
significato, cioè non corrisponde ad una mera determinazione biologica, ma a qualcosa che è o che può essere
reso intellegibile agli occhi dell’attore stesso e di altri riferendolo ad interazioni o a motivi culturalmente
riconoscibili. L’agire può essere reso intellegibile, cioè essere interpretato o compreso in molti modi. Anche la
narrazione è un’azione, e questa azione è sociale nella misura in cui è rivolta a un altro; l’altro può essere
presente anche solo nell’immaginazione, anche se di norma, l’altro è fisicamente presente e agisce a sua volta sul
narratore mediate domande o risposte. Narrare è un’azione speciale: ciò che viene narrato è una storia, e le storie
parlano a loro volta di azioni; quindi, narrare è l’azione di chi racconta un’azione e di chi ne ascolta la stoia.
Non parlano solo di azioni, ma anche di eventi naturali, accidenti, la sorte. Narrare è dunque un’attività riflessiva,
ciò che l’azione di raccontare rappresenta mediante una storia è qualcosa in cui gli attori sono già implicati, non
necessariamente perché rappresenta qualcosa di loro in quanto personaggi della storia narrata, ma perché
rappresenta qualcosa rispetto a cui hanno già maturato una competenza vivendo, in quanto persone che
agiscono. Questa situazione richiama ala circolarità di ogni situazione ermeneutica, per cui comprendere qualcosa
è sempre mettere in gioco una precomprensione. Comprendiamo le azioni perché pre- comprendiamo il mondo
dell’azione a cui esse si riferiscono in un modo che potremmo chiamare “pre-narrativo”. Questa precomprensione
si esplica a diversi livelli: le storie per essere tali collocano azioni, eventi nel tempo: l’esperienza ce le cose mutano
è un’esperienza che è alla base della nostra percezione di essere storici. Come ha scritto Ricoeur: “ogni racconto
presuppone da parte del narratore e del suo uditorio una familiarità con nozioni quali agente, fine, mezzo,
circostanza, aiuto, ostilità, cooperazione, conflitto, successo, scacco etc.…”. Esso presuppone dunque una
competenza semantica riguardante il mondo dell’agire.
La nostra comprensione e la nostra capacità di condividere ogni singola storia dipendono dalla tradizione in cui
siamo immersi. La tipologia delle storie possibili, i modelli, i canovacci, gli schemi secondo cui interpretiamo i fatti
e le concessioni tra loro, sedimenta all’interno di ogni cultura: questo sedimento è condiviso tra gli attori sociali, si
trasmette narrando e ogni nuova narrazione o presuppone.
Se comprendiamo le storie è dunque perché comprendiamo in modo prenarrativo le azioni.
Ma le storie arricchiscono questa competenza e comprensione iniziale, se lo possono fare è perché i significati di
ogni azione, in verità sono infiniti, e il nostro accesso a essi è dunque sempre passibile di essere incrementato.

2.3 L’infinità dei significati dell’agire sociale


È opportuno precisare in che senso i significati di ogni nostra azione siano infiniti. L’infinito in questione è colto in
tre visuali:
 Infinità delle implicazioni: la prima accezione dipende da un lato dai rapporti tra le intenzioni coscienti e
l’azione, e dall’altra dai rapporti di ogni azione che le azioni degli altri e con il caso. Se ogni azione fosse
esattamente prevedibile nel suo corso non ci sarebbe bisogno di raccontarne alcunché; basterebbe
elaborare algoritmi. Se invece la realtà fosse un insieme di eventi totalmente fortuiti non si potrebbe
raccontare ugualmente, la realtà umana sta in mezzo a queste due opzioni,
 Infinità degli antecedenti: in secondo luogo, l’infinità dei significati dell’agire corrisponde all’infinità degli
antecedenti che possono essere ritenuti rilevanti per comprendere appieno un’azione o per spiegarne
l’insorgente,
 Infinità delle coincidenze: infine, i significati di un’azione sono infiniti anche perché ogni azione è
contemporanea di infinite altre azioni, e metterla in rapporto con l’una o l’altra di queste modifica il
modo in cui la si può interpretare.

Con ciò, l’interpretazione narrativa della realtà è parte dell’insieme di processi mediante i quali la realtà diviene
propriamente una realtà umana.

1.1 Storiografia e narrazione


Le vicende umane non sono storia in sé stesse, poiché la storia è un ordine artificiale costruito da colui che la
narra. In “Retorica e Storia” Hayden White disse che nessun racconto è naturale e che presiedono sempre alla
formazione di un racconto, una scelta e una costruzione. A questa affermazione si collegano due risposte:
 La prima riguarda la specificità del discorso della storia vista come scienza sociale. Diversamente dalla
fiction, il racconto di uno storico è costruito attorno a documenti, tracce e reperti e si espone alla
falsificabilità.
 La seconda riguarda il fatto che ogni storia è narrata da qualcuno a qualcuno e non può prescindere da
un punto di vista e da una relazione. Il narratore storico ha inoltre una responsabilità nei confronti di ciò
che sceglie di dire.

La sociologia è nata nel mondo moderno come disciplina che provava a comprendere il mutamento sociale. Sono
evidenti due questioni distinte:

 La prima è che avvicinare la sociologia alla narrazione rende evidente che la sociologia è oltre che una
strategia di ricerca, una forma di discorso. E‘ un discorso che ha le proprie regole e che rimanda alle pratiche di
ricerca che lo sostengono. Si tratta di riconoscere che la sociologia è, come tutte le scienze sociali, qualcosa di
diverso sia dalla letteratura che dalla narrazione, sia dalle scienze fisiche, sia dalle loro modalità discorsive.
 Nella seconda questione alcuni sociologi temono di compromettersi attraverso il rapporto con la
narrazione mediante il “contagio dell’idiografia”, cioè di una rappresentazione che non può essere generalizzata.
Ogni singolo caso riflette elementi del mondo in cui è immerso. La tecnica delle interviste narrative, in
particolare, permette di avere accesso al mondo in cui le persone raccontano di sé e del proprio mondo.
La voce di qualcuno è la voce singolare, ma esprime sempre qualcosa che va oltre sé stessa. Avvicinare la
sociologia alla narrazione significa evidenziare il suo aspetto dialogico: essa non è solo un parlare di qualcosa, ma
anche un parlare di sé a qualcuno.

1.1 La borsa perduta


Il narratore interpreta il mondo, si china sul particolare, lo conserva, lo connette con gli altri. Egli crea una
comunità con le sue azioni. Il lavoro di chi fa sociologia non è tanto diverso; curiosi del mondo e delle forme della
vita umana, osservatori che mettono in comune con altri quello che osservano, gli uomini e le donne che fanno
questo lavoro testimoniano la vita sociale e la rendono autoriflessiva, non disdegnando di confrontarla con il
possibile. Qualcosa in comune con in narratore ce l’hanno, anch’essi partecipano responsabilmente alla
trasformazione della realtà in una realtà umana, una realtà a cui è possibile attribuire significato individuandone
le trame.

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