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Stefano Jossa*

L’insegnamento della letteratura italiana


come scuola di educazione civica

Un progetto «civile»

In un momento in cui la letteratura, nella scuola, nell’università, nella comunicazione


pubblica, sembra attraversare una crisi pericolosa, che può dar luogo ad esiti assai gravi
nella coscienza «civile» delle nuove generazioni, quest’opera vuole essere un invito ad
amare la nostra letteratura e il nostro Paese, a sentire il valore irrinunciabile di una
tradizione che vorremmo sempre più aperta in un orizzonte europeo e mondiale.

Così scriveva Giulio Ferroni nella Presentazione dell’ultimo volume, l’un-


dicesimo, del suo Storia e testi della letteratura italiana (2005), poi distribuito
in edicola in abbinamento al periodico «Panorama» dalla fine dell’estate del
20061. Colpiscono, in questo paragrafo, due nessi, che sono collegati a due
precise scelte grafiche. I nessi sono, da un lato, quello tra istituzioni culturali e
coscienza civile e, dall’altro lato, quello tra letteratura e Paese; nessi sottolineati,
come dicevo, da precise scelte grafiche, perché «civile» è tra virgolette e «Paese»
è scritto con la maiuscola. Due parole in rilievo, insomma, a sottolineare il le-
game imprescindibile, di natura pedagogica, fra letteratura italiana, educazione
civica e identità nazionale.
Ferroni è l’ultimo (cronologicamente) rappresentante di una lunga linea di
studiosi che hanno individuato nell’insegnamento della letteratura italiana sui
banchi di scuola e dell’università una funzione educativa di tipo civile, cioè una
pedagogia del buon cittadino. Quali sono però le origini di questa idea? A cosa
si deve la lettura della tradizione letteraria in chiave pedagogica e civile anziché
estetica, retorica o stilistica? L’obiettivo che mi propongo qui è dunque di na-
tura archeologica, intendendo in tal senso, come ha spiegato Michel Foucault
nell’imprescindibile L’archeologia del sapere, la ricerca tanto delle serie quanto
delle discontinuità, con l’obiettivo di determinare «quegli insiemi che sono al

* ??????????.
1. g. ferroni, Storia e testi della letteratura italiana: Verso una civiltà planetaria (1968-2005), in
id., Storia e testi della letteratura italiana, Einaudi, Torino 2005, vol. xi, p. v.

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tempo stesso familiari ed enigmatici e che si presentano attraverso il tempo»2.
Si tratta quindi di ricostruire una formazione discorsiva, cioè le pratiche, con le
loro regole, che hanno condotto al paragrafo di Ferroni appena riportato: non di
recuperare «nella sua purezza, la luce lontana, precaria, quasi spenta, dell’origi-
ne», ma di operare «una riscrittura: cioè, nella forma conservata dell’esteriorità,
una trasformazione regolata di ciò che è stato già scritto».
Le origini risalgono alla lezione di Francesco De Sanctis, che per primo
scrisse una storia della letteratura italiana esplicitamente rivolta «ad uso de’
Licei», com’egli stesso dichiarava da Firenze a Beniamino Marciano, redattore
capo del suo giornale «L’Italia», nell’estate del 18683. La destinazione scolastica
della Storia ne fa di per sé uno strumento pedagogico, a differenza delle storie
letterarie precedenti, dalla classica storia della letteratura italiana di Tiraboschi
fino alle recentissime, per De Sanctis, Storia della letteratura italiana di Paolo
Emiliani-Giudici, 1855 (ma rifacimento della sua Storia delle Belle Lettere in
Italia del 1844), Storia della letteratura italiana di Cesare Cantù, 1865, e Lezioni
di letteratura italiana di Luigi Settembrini, pubblicate tra il 1866 e il 18724.
Tra il 1855 e il 1871 si gioca infatti la partita della funzione educativa della
letteratura. Si fronteggiano tre ipotesi: educazione all’arte; educazione alla vita;
ed educazione alla cittadinanza. Ovvero educazione dell’uomo di gusto, edu-
cazione dell’uomo tout court ed educazione dell’uomo come ζῷον πολιτικόν.
La prima ipotesi discende dalla tradizione classicista e s’incarna nel progetto
dell’Emiliani-Giudici, la cui prima storia è dedicata infatti non alla «lettera-
tura», ma alle «belle lettere». La seconda ipotesi è affidata invece alle Lezioni
di Settembrini, che puntavano sì già alla formazione del cittadino, ma in un
orizzonte epistemologico che privilegia prima di tutto un’idea di letteratura
come disciplina conoscitiva, finalizzata alla formazione dell’uomo di fronte
alla vita, intesa come «sostanza» e parallela alla religione, alla scienza e alla
filosofia. Si tratta quindi di un’educazione ai valori, metafisica. La terza strada
verrà infine indicata da De Sanctis, tanto in polemica quanto in continuità con

2. m. foucault, L’archeologia del sapere. Una metodologia per la storia della cultura (1969); trad. it. di
G. Bogliolo, Rizzoli, Milano 1999 (1971). I passi citati sono alle pp. 185 e???. Avverto preliminarmente
che le informazioni bibliografiche successive si limiteranno a fornire gli strumenti di ricostruzione
del quadro complessivo, senza proporre indagini al microscopio, perché lo strumento che si applica
qui è il telescopio, col suo sguardo a distanza. Della relazione orale presentata al convegno questo
scritto conserverà l’andamento rabdomantico e gli scopi problematici, rimandando ad altre sedi più
puntuali ricognizioni testuali.
3. f. de sanctis, Epistolario (1863-1869), a cura di A. Marinari, G. Paoloni, G. Talamo, in id., Opere,
a cura di C. Muscetta, Einaudi, Torino 1993, vol. xxii, p. 667.
4. Il contesto storico e culturale della Storia desanctisiana è stato più volte ricostruito e ampiamente
dibattuto: cfr., per un’introduzione, soltanto r. mordenti, La “Storia della letteratura italiana” di
Francesco De Sanctis, in a. asor rosa (dir.), Letteratura italiana, Einaudi, Torino 1995, Le Opere, iii,
Dall’Ottocento al Novecento, pp. 573-665.

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Settembrini, nel momento in cui proporrà una precisa destinazione scolastica
per la sua storia. C’è però, in verità, una quarta Storia della letteratura italiana
da prendere in considerazione, quella di Cesare Cantù, che la stroncatura di De
Sanctis fa fuori dal panorama culturale italiano: se De Sanctis ha dei precedenti
sulla strada dell’educazione letteraria del cittadino, questi sono proprio Cantù
e Settembrini, ma entrambi vengono da lui recensiti ai fini o di una rimozione,
Cantù, o di un superamento, Settembrini, in quanto ritenuti sostanzialmen-
te dogmatici5. L’eliminazione della storia di Cantù dall’orizzonte della partita
impone quindi una direzione laica alla concezione pedagogica e civile della
letteratura in Italia6.
Settembrini affermava l’obiettivo didattico e patriottico delle sue Lezioni
proprio in apertura, nel primo capitolo, Idea generale della letteratura, modo di
studiarla, e se gl’Italiani hanno una letteratura nazionale, dove, fin dal titolo, si
propone il nesso tra studio della letteratura e letteratura della Nazione, cioè la
prospettiva pedagogica nazionale della letteratura. L’obiettivo è perciò la for-
mazione dell’essere umano in quanto membro di una comunità nazionale7:

Non però si creda che tutta la vita umana noi vogliamo considerare, che sarebbe ar-
gomento sterminato, e maggiore delle nostre forze, e forse non possibile a trattare
compiutamente. Noi ci proponiamo di ragionare della letteratura nazionale italiana:
vogliamo considerare che ha pensato, che ha sentito, che ha operato questo popolo, e
come ha espresso tutta la sua vita nell’arte della parola.

Settembrini propone sì un orizzonte pedagogico e nazionale, ma la sua


prospettiva insiste più sul valore conoscitivo che su quello civile del discorso
letterario. Che la letteratura possa essere civile solo se è nazionale è argomento
che De Sanctis deriverà da Settembrini, ma senza puntare con altrettanto vigore
sull’«arte della parola», che è al centro della definizione di letteratura proposta
da Settembrini poco prima («lo studio della letteratura è lo studio della vita rap-
presentata da forme fantastiche nella parola», p. 5). e ancora dentro l’orizzonte
delle «belle lettere». De Sanctis punterà invece decisamente sul primato della
lezione etica rispetto alla formazione estetica. L’orizzonte didattico si precisa,
secondo la ricostruzione di Benedetto Croce, fin dal 1847, quando un giovane
allievo di De Sanctis, Luigi La Vista, scriveva al suo professore: «Se potessi in-

5. Cfr. f. de sanctis, Una “Storia della letteratura italiana” di Cesare Cantù, in «Rendiconti della
R. Accademia delle Scienze morali e politiche di Napoli», 1865, pp. 139-55; ID. Settembrini e i suoi
critici, in «Nuova Antologia», x, 1869, pp. 439-59.
6. Resta classico, sull’argomento, c. dionisotti, Chierici e laici, in id., Geografia e storia della
letteratura italiana, Einaudi, Torino 1967, pp. 55-88.
7. l. settembrini, Lezioni di Letteratura Italiana, Sansoni, Firenze 1964, p. 6.

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segnare, professare un corso, farei una storia della letteratura italiana»8. Opera
scolastica, dunque, con chiaro intento patriottico e civile, come specificava
più puntualmente lo stesso La Vista quando proclamava: «Una storia della
letteratura italiana sarebbe una storia d’Italia». Orizzonte didattico e orizzonte
patriottico si congiungevano così all’insegna della storia della letteratura ita-
liana nella voce di un giovane studente risorgimentale. La prospettiva sarebbe
risultata cara a De Sanctis, che invitava, nella famosa recensione alle Lezioni
del Settembrini, a dedicarsi a studi analitici e monografici, ma nel contempo
scriveva lui stesso una Storia complessiva dal grande disegno e respiro narra-
tivo. Di dichiarazioni d’intenti nella Storia non se ne trovano molte, ma nella
seconda pagina del primo capitolo, dedicato a I Siciliani, si legge9:

Proprio della coltura è suscitare nuove idee e bisogni meno materiali, formare una
classe di cittadini più educata e civile, metterla in comunicazione con la coltura stra-
niera, avvicinare e accomunare le lingue, sviluppando in esse non quello che è locale,
ma quello che è comune.

Inserito com’è nel corpo di un capitolo, in un’opera che non ha proemio,


né prologo, né introduzione, questo paragrafo funge forse da vera prefazione
nascosta. Vi si dispiega infatti tutta l’ideologia desanctisiana, in modo apparen-
temente incidentale, ma in realtà fondante: la cultura allontana dalla materia
e avvicina allo spirito; educa i cittadini alla civiltà; crea comunicazione con lo
straniero; sviluppa la comunità. Un principio universalistico anziché identitario
presiede a questa riflessione, che contiene tutto il programma etico e civile di De
Sanctis: la storia della letteratura sarà uno strumento didattico a fini comunitari
e nazionali all’interno di una concezione idealistica del discorso letterario come
promotore di cultura e civiltà. Un’espressione va isolata, dunque, per mettere
in risalto il nesso, decisivo, tra scuola e politica: «una classe di cittadini». De
Sanctis non ha dubbi nell’affidare alla letteratura un orizzonte di classe, perché
la classe non è solo la comunità, come la «flotta» su cui essa si modella, ma è la
comunità degli eletti, di coloro che hanno «classe»: comunità aristocratica, che
si costituisce sulla base di un principio di elezione, seguire il «classico», che è
il garante, insieme, dell’eccellenza e della comunità10.

8. b. croce, Come fu scritta la «Storia della letteratura italiana», in id., Una famiglia di patrioti ed
altri saggi storici e critici (1919), Laterza, Bari 19493, p. 267.
9. f. de sanctis, Storia della letteratura italiana, a cura di N. Gallo, con introduzione di G. Ficara,
Einaudi-Gallimard, Torino 1996, p.
10. La riflessione su «classe», «classico» e «classicismo» è una linea che guida da anni riflessione gli
studi di Amedeo Quondam, cui senz’altro rimando per un approfondimento storico e critico: cfr.
almeno a. quondam, Morfologia e metamorfosi del Classicismo: la tipologia culturale di Antico regime,
in ID. (a cura di), Classicismo e culture di antico regime, Bulzoni, Roma 2010, pp.

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Che la letteratura avesse un valore civile non è certo un’invenzione desan-
ctisiana: nella prima metà del xix secolo si erano succeduti gli interventi di
riflessione e propaganda sul valore civile della letteratura, di cui qui non posso
che ricordare solo i titoli, dal saggio di Defendente Sacchi, Intorno all’indole della
letteratura italiana nel secolo 19., ossia della letteratura civile, con un’appendice
intorno alla poesia eroica, sacra ed alle belle arti, pubblicato a Pavia da Luigi
Landoni nel 1830, all’intervento programmatico di Luigi Settembrini, Dello
scopo civile della letteratura: discorso, pubblicato in opuscolo intorno al 1848,
per arrivare ai due quadri teorici che circoscrivono cronologicamente la Storia
desanctisiana, prima quello di Domenico Rembadi, del 1863, Della letteratura
in Italia considerata per alcuni rapporti col progresso civile e politico: monografia
(A. Timon, Cagliari 1863), poi quello di Pietro Bonini, del 1873, Dei rapporti
fra le condizioni della letteratura e la vita civile e politica delle nazioni (G. Seitz,
Udine 1873). Alle spalle c’è, per tutti, naturalmente, il Foscolo Dell’origine e
dell’ufficio della letteratura11.
Nel 1872, infine, proprio in concomitanza con l’uscita del secondo volume
della Storia della letteratura italiana del De Sanctis, Niccolò Tommaseo dava
alle stampe presso Ermanno Loescher, a Torino, la sua Storia civile nella lette-
ratura, con sottotitolo Studii. Nel Proemio Tommaseo attaccava il Tiraboschi,
«benemerito erudito, ma gretto», con la motivazione che «pare che ponga per
massima, doversi la storia letteraria tenere scompagnata dalla storia sociale»;
ancora peggio ciò che fanno «altri più molti, parteggianti sotto insegne diverse»,
che «fanno del civile e dell’intellettuale due mondi»: la separazione tra lettera-
tura e civiltà, ovvero, per dirla in termini a noi più vicini, tra vita intellettuale
e impegno sociale è il bersaglio polemico di Tommaseo fin dall’inizio. Egli si
propone di procedere perciò per esempi, anziché «per le generali», cioè con un
approccio analitico, anziché teoretico, con l’intento di dimostrare, fra l’altro,
«come la storia letteraria, bene considerata, sia tutta civile», al punto che persino
«gli studii più astratti e le apparentemente più frivole opere dell’ingegno possano
offrire al politico più avveduto e a ogni cittadino pensante preziosa dovizia di
storici documenti»: la base della formazione del «politico» e del «cittadino» è
dunque la storia, ricostruita dal letterato moralmente e civilmente impegnato.
Il libro, infatti, secondo l’autore, attraverso l’analisi delle figure di Giambattista
Vico, Gasparo Gozzi, l’abate Chiari, il gesuita Roberti e Anton Maria Lorgna,
«riesce a delineare la storia intellettuale e morale d’Italia, e d’altre nazioni d’Eu-
ropa per indiretto nel secolo precedente, che nel bene e nel male è del nostro
non piccola parte». Alla fine, il lettore imparerà a «discernere il male dal bene

11. A sua volta, alle spalle di Foscolo c’è tutta la recente tradizione di impegno civile e politico della
cultura illuministica tra Sette e Ottocento, col suo campione letterario fondante nel Discorso sulle
vicende di ogni letteratura di c. denina (nella Stamperia Reale, Torino 1760).

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che dico; nel quale discernimento la vera moralità della storia è riposta e dal
quale soltanto possono attendersi i veri progressi dell’umana famiglia»12.

La letteratura italiana sui banchi di scuola

Dopo la pubblicazione della letteratura italiana del De Sanctis e l’istituzione


dell’insegnamento della letteratura nazionale nei licei, la riflessione sul carattere
civile della letteratura s’intensifica, come attestano (anche qui non posso che for-
nire, per ora, un elenco di titoli) la «prolusione a un corso di lettere italiane ad uso
de’ licei» di Giuseppe Crescimanno, intitolata La letteratura civile (Galati, Catania
1884); il Saggio di metodo per l’insegnamento liceale di Lettere italiane di Pier Gia-
cinto Giozza, pubblicato prima a Novara dalla Tipolitografia dei Fratelli Miglio
nel 1888 e poi a Lecce dalla Tipografia Editrice Salentina dei Fratelli Spacciante
nel 1891 (con una diffusione che attraversa tutta la penisola, da nord-ovest a sud-
est); e, infine, le Note sul programma per l’insegnamento della letteratura italiana di
Antonino Giordano, pubblicate a Napoli dalla Tipografia Rinaldi e Sellitto, 1890.
Nello stesso 1890, del resto, in un articolo sulla «Rivista Critica della Lettera-
tura Italiana» si paventava che «l’insegnamento della letteratura […] perderebbe
ogni efficacia educativa ove fosse allontanato dal suo ufficio civile»13. L’articolo
è una recensione a un’edizione scolastica, «ad uso delle scuole classiche», delle
Poesie del Monti: merita di essere riletto come testimonianza del dibattito che
caratterizzava la cultura italiana tra destinazione civile e studio erudito della
letteratura. Dopo aver ricordato che nelle scuole classiche «è nobilmente con-
servata la tradizione letteraria nazionale», l’autore, il grande storico e filologo
Tommaso Casini, carducciano, contrapponeva la qualità politica dell’insegna-
mento scolastico alla sterilità degli studi accademici:

è in quelle che alla nostra gioventù parlano pur sempre le grandi voci dei padri, che
promossero e accompagnarono il risorgimento della patria; è in quelle che non prevale
ancora, e, speriamo, non prevarrà, per il bene dell’Italia nostra, quella mortificazione
degli ingegni e degli animi, a cui i giovani sono costretti nelle aule universitarie, divenute
palestre d’infeconde ed inutili disputazioni e indagini filologiche ed erudite.

La conclusione è di straordinaria attualità. Una vera e propria invettiva dal


sapore dantesco contro i professori universitari, «assunti per volere dei numi agli

12. n. tommaseo, Storia civile nella letteratura. Studii, Loescher, Torino 1872, p.
13. t. casini, recensione a Poesie di Vincenzo Monti scelte e commentate ad uso delle scuole classiche
da Giuseppe Piergili, Barbera, Firenze 1889, in «Rivista critica della letteratura italiana», vi, 1, 1890,
col. 5-10.

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ozi della cattedra universitaria», e in difesa dei professori di scuola, sottopagati
ma sempre impegnati nella loro missione educativa e civile:

Cessino, dunque, non dirò con dantesca superbia i sectatores ignorantiae, ma i predi-
catori di decadenza dal gridare contro le scuole classiche, come se ad insegnare vi si
fossero rifuggiti tutti i peggiori; e badino alle loro quisquilie erudite, né si attentino di
censurare i maestri, cui già dà da fare abbastanza il governo, lusingandoli con promesse
mai mantenute e caricandoli di lavoro indegnamente retribuito. Cessino dal gridare, e,
se vogliono che gli studi letterari rifioriscano davvero, si adoperino, ciascuno secondo
l’ufficio suo, a dare un più civile carattere al loro insegnamento e a imprimere un av-
viamento più razionale al lavoro dei loro discepoli: ed invece di gingillarsi eternamente
con Jacopone da Todi e con Giovanni Sercambi, si provino un po’ a spiegare, se gli è
possibile, l’Alfieri e il Foscolo.

Lo sfondo è quello delle resistenze al Positivismo della cultura romantica


negli anni successivi all’unità. La retorica su cui si fonda il discorso letterario è
ancora interamente intrisa di patriottismo, all’insegna della missione pedagogica
e civile della letteratura sui banchi di scuola. Negli anni successivi all’unità s’in-
tensifica, insomma, una riflessione didattica, dall’impronta decisamente civile,
sull’insegnamento della letteratura. De Sanctis aveva aperto una strada che segna
la storia della scuola e della cultura in Italia fino a tutto il secolo successivo.
La lezione civile della letteratura, innanzitutto la letteratura nazionale, ma
anche le letterature classiche, impronta in primo luogo la formazione delle
classi dirigenti. L’«impegno» di trasmettere il suo patrimonio letterario da parte
della comunità nazionale è, infatti, «per eccellenza civile», come hanno scritto
Brioschi e Di Girolamo14. Di qui la centralità dell’educazione letteraria nel liceo
classico, che, come spiega Gaetano Bonetta nella sua Storia della scuola e delle
istituzioni educative, mira a formare una «leadership fondata sui valori e sulla
forza morale del costume e della tradizione della Nazione esplicitatasi nell’era
classica e nella produzione letteraria»15. Basta leggere, del resto, una relazione
degli ispettori ministeriali sul liceo Bernardino Telesio di Reggio Calabria per
cogliere lo spirito civile dell’educazione classica e letteraria16:

Che nello insegnamento della letteratura classica i professori alla lettera del program-
ma infondano quello spirito, che vien solo dal nobile entusiasmo, che si eccita nella

14. f. brioschi, c. di girolamo, Elementi di teoria letteraria, Principato, Milano 1984, p. 53.
15. g. bonetta, Storia della scuola e delle istituzioni educative. Scuola e processi formativi in Italia
dal xviii al xx secolo, Giunti, Firenze 1997, p. 88.
16. Citato in t. cornacchioli, g. spadafora (a cura di), Pasquale Rossi e il problema della folla:
socialismo, Mezzogiorno, educazione, Armando, Roma 2000, p. 514.

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loro mente e nel loro cuore messi in accordo alla mente ed il cuore de’ loro discenti, e
che ne traggano quella educazione civile alla quale soprammodo mirano le classiche
discipline. (relazione sul Bernardino Telesio di Reggio).

Che la «classe», intesa come comunità scolastica di studenti, diventasse un


principio di «classe», inteso come elemento distintivo di tipo aristocratico, è il
paradosso di questa operazione, che è finalizzata alla formazione delle classi di-
rigenti, anziché della società nel suo insieme. All’«italiano», che è – dopo «re-
ligione» – la prima materia sulla pagella di tutti i cittadini italiani, in tutte le
scuole, di ogni ordine e grado, verrà affidata proprio questa duplice funzione:
educazione alla cittadinanza, da un lato; ed educazione all’eccellenza, dall’altro.
Chi possiederà il bel parlare, che è un ben sentire, morale e civile, avrà il diritto
di guidare la comunità. Attraverso il «gusto della retorica e delle belle parole», ha
osservato Adolfo Scotto di Luzio, «il classicismo si costituisce, tra il 1875 e il 1890,
in lingua culturale comune degli italiani colti e fa della sua specifica e dominante
realizzazione carducciana una vera e propria ideologia dell’identità italiana a base
retorico-letteraria, nel nome di una tradizione fortemente sentita nei suoi valori
normativi, nei suoi uomini e nelle sue opere, nelle sue rivendicate radici greche
e latine»17. Davvero De Sanctis e Carducci non possono andare insieme?

Maestri di vita morale

L’aspetto educativo della Storia desanctisiana era colto in maniera decisiva da


Benedetto Croce quando parlava di De Sanctis come «maestro di vita morale»18:

Il De Sanctis non prese verso la letteratura italiana il semplice atteggiamento del filo-
sofo che mira a conoscere il vero, e in questa conoscenza esclusivamente si travaglia
e in essa a pieno si soddisfa; e neppure quello soltanto del filosofo-artista che gode e
vuol intendere il suo godimento ed esprime la sua gioia e le meditazioni che vi ha fatte
sopra: né è dominante in lui (salvo che nella prima serie dei Saggi critici, che sono
quasi propedeutici ai lavori posteriori) il motivo teorico e metodico, con le congiunte
polemiche contro gl’indirizzi che si stimano fallaci o insufficienti. Egli, simile in ciò ad
altri scrittori di quel nobile periodo nel quale l’Italia si venne rigenerando ed educando
moralmente, simile al Manzoni e al Mazzini, al Gioberti e al Tommaseo, si sentì sempre
maestro di vita morale.

17. a. scotto di luzio, Il liceo classico. La scuola della classe dirigente italiana, il Mulino, Bologna
1999, p. 65.
18. b. croce, La letteratura italiana, a cura di M. Sansone, Laterza, Bari 1963, pp. 314-315. Il saggio
è del 1911.

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Qui vi è ancora, come ha scritto Valentino Gerratana nel famoso articolo
De Sanctis-Croce o De Sanctis-Gramsci?, «il Croce desanctisiano», prima che
esista «il De Sanctis «modificato», il De Sanctis crociano»19. Croce riconosceva
il valore pedagogico a fini civili della lezione desanctisiana, in quanto rappre-
sentante di «tutta la vita italiana, religiosa politica morale», ma ne rigettava
proprio il valore estetico e letterario nel momento in cui alla poesia impegnata
contrapponeva la poesia pura20:

Il primo e più grosso di tali problemi, che ora travagliano le menti degli studiosi, si
riferisce alla costruzione della storia letteraria, la quale, accettato il principio dell’arte
come liricità, non è più dato intendere, come già nel periodo romantico, quale «storia
sociale» («la letteratura espressione della società») o «storia civile nella letteraria»,
perché il poeta esprime nient’altro che sé stesso nell’universo e l’universo in sé stesso,
cioè la poesia stessa.

O poesia come impegno civile o poesia come arte pura: non c’è spazio per
mediazioni di sorta. Croce ribadiva il concetto a oltre vent’anni di distanza21:

La struttura stessa della storia della poesia è stata cangiata, rigettandosi quella alla quale
il De Sanctis ancora si atteneva e che egli aveva derivata dall’idealismo filosofico e dal
romanticismo, della storia civile nella letteraria, che è schema estrinseco alla poesia e
atto a premere e deformare l’opera d’arte e a sviarne il sentimento e il giudizio, e sugge-
rendo in sua vece l’altro metodo di costruzione, che è esteticamente individualizzante
e passa liberamente, come la poesia passa, da opera a opera, da personalità poetica a
personalità poetica, nessuna a pieno riconducibile all’altra.

Alcuni anni dopo, infine, Croce dichiarava di non essere persuaso che «la
storia letteraria potesse accompagnare e seguire la storia politica e morale»22.
Mentre elaborava una separazione tra l’arte e la morale, con continui slittamenti,
ma al fondo un sostanziale rifiuto dell’uso pubblico dell’arte23, Croce sanciva

19. v. gerratana, De Sanctis-Croce o De Sanctis-Gramsci? (Appunti per una polemica), in «Società»,


VIII, n. 3, settembre 1952, pp. 497-512, a p. 500.
20. b. croce, Storia della storiografia italiana nel secolo decimo nono, Laterza, Bari 19643, vol. II, p.
185. Il saggio è del 1929.
21. id., Il concetto moderno della storia. Discorso per l’inaugurazione dell’Istituto Italiano per gli Studi
Storici, seguito da altri scritti attinenti all’argomento, Laterza, Bari 1947, p. 21.
22. id., «De Sanctis-Gramsci», in «Lo Spettatore Italiano», v, n. 7, 1952, pp. 294-296, a p. 294, cui
l’articolo di Gerratana citato più su costituisce una risposta. Sull’argomento si può vedere g. aco-
cella, Per una filosofia politica dell’Italia civile, Rubbettino, Soveria Mannelli 2004, cap. 1.3 Intorno
al pensiero etico-politico di Francesco De Sanctis, pp. 55 e ss.
23. Sulla questione rimando solo a c. segre, Etica e letteratura, in id., Tempo di bilanci. La fine del
Novecento, Einaudi, Torino 2005, pp. 209-217.

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anche il primato civile e morale della storia nella formazione scolastica, al punto
che la storia della letteratura sarà sempre più importante, fino ai giorni nostri,
della lettura diretta dei testi: il binomio «storia letteraria e civile» attraverserà
quindi tutto il ventesimo secolo, dalle Varietà di storia letteraria e civile dello
stesso Croce (1935) ai Fatti diversi di storia letteraria e civile di Leonardo Sciascia
(1989)24. Piuttosto che negare il valore civile della pedagogia letteraria, insomma,
Croce distingueva tra operazione critica e operazione didattica, tra estetica e
storia, la prima rivolta alla purezza dell’arte, mentre la seconda guardava sem-
pre all’educazione della Nazione25: De Sanctis, assorbito nel sistema filosofico
e ideologico crociano, resterà sempre l’autore di una storia di «tutta la vita
italiana, religiosa politica morale», con esiti nell’immaginario collettivo e nella
didattica scolastica che si possono riassumere con le parole di uno dei crociani
più brillanti e fedeli, prima della clamorosa rottura, Giuseppe Borgese, il quale
ribadiva che «il De Sanctis diede un esemplare mirabile [...] di una storia della
civiltà mostrata per via della letteratura»26. Inadeguata sul piano storiografico,
ma utilissima come «espediente didattico», la Storia del De Sanctis diventava
sempre più un libro «ad uso de’ Licei». Negli stessi anni, del resto, il «ritorno a
De Sanctis» s’imponeva grazie alla ricerca, su fronti opposti, di Antonio Gramsci
e Giovanni Gentile, accomunati dalla stessa formula27.
È famosa la definizione che Gramsci diede della critica desanctisiana, «mi-
litante, non frigidamente estetica», perché «è la critica di un periodo di lotte
culturali, di contrasti tra concezioni della vita antagonistiche»: «la profonda
umanità e l’umanesimo del De Sanctis che lo rende simpatico ancor oggi»,
scrive Gramsci, si rivelano nel «fervore appassionato dell’uomo di parte che
ha saldi convincimenti morali e politici e non li nasconde»28. La letteratura è
del resto per Gramsci il terreno di formazione della Nazione, il luogo in cui

24. Le radici storiche della formula andranno approfondite altrove. Qui mi limito a ricordare che
Memorie per servire alla storia letteraria e civile era già il titolo di una rivista pubblicata a Venezia
prima da Antonio Fortunato Stella e poi da Giovan Battista Pasquali tra il 1793 e il 1800.
25. Sul pensiero civile di Croce, con particolare riferimento all’uso pedagogico della letteratura, si
vedano almeno e. giammattei, Retorica e idealismo. Croce nel primo Novecento, il Mulino, Bologna
1987; s. cingari, Alle origini del pensiero “civile” di Benedetto Croce. Modernismo e conservazione nei
primi vent’anni dell’opera (1882-1902), Editoriale Scientifica, Napoli 2002; g. cacciatore, Filosofia
pratica e filosofia civile nel pensiero di Benedetto Croce, Rubbettino, Soveria Mannelli 2005.
26. g.a. borgese, Storia della critica romantica in Italia, in de sanctis, Storia della letteratura
italiana, cit., p. 820.
27. Cfr. g. gentile, Torniamo a De Sanctis!, in «Quadrivio», i, n. 1, 6 agosto 1933, p. 3, e a. gramsci,
Quaderni del carcere, a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino 1975, q 23, p. 2185. La comunanza non
andrà certo presa come sintonia ideologica, vista la puntuale presa di distanza di Gramsci da Gentile
in q 17, p. 1941. Per un’introduzione, cfr. solo il contributo più recente: v. santoro, Francesco De
Sanctis: letterato e «uomo di Stato», in a. d’orsi (a cura di), Il nostro Gramsci. Antonio Gramsci a
colloquio con i protagonisti della storia d’Italia, Viella, Roma 2011, pp. 137-146.
28. q 4, 5, p. 426.

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la pedagogia del cittadino prende forma e vita. L’approccio gramsciano a De
Sanctis si muove proprio in questa direzione, con un’accentuazione progressiva
del nesso tra Nazione, cultura e pedagogia civile nella definizione dell’egemonia
politica, che è un’egemonia di «classe»29:

Un giudizio del De Sanctis: «Manca la fibra perché manca la fede. E manca la fede perché
manca la cultura». Ma cosa significa «cultura» in questo caso? Significa indubbiamente
una coerente, unitaria e di diffusione nazionale «concezione della vita e dell’uomo», una
«religione laica», una filosofia che sia diventata appunto «cultura», cioè abbia generato
un’etica, un modo di vivere, una condotta civile e individuale. Ciò domandava innanzi
tutto l’unificazione della «classe colta».

La centralità della letteratura nel progetto scolastico gentiliano è stata messa


in rilievo da Scotto di Luzio, che ha scritto che «studio della lingua significa
per il filosofo studio della letteratura»30. Gentile si era proposto fin dal 1905, in
sintonia con il gruppo della «Voce», la «liberazione dalla retorica, peste della
letteratura e dell’anima italiana»: la prospettiva è chiarissima, con la contrap-
posizione tra retorica e letteratura, da un lato, e l’identificazione tra letteratura
e anima italiana, dall’altro. L’identificazione fra letteratura e italianità fa sì che
Gentile favorisca una formazione linguistica come formazione filosofica, perché
il bello scrivere è, in realtà, un ben pensare. L’esito civile di questa prospettiva
sta nel nesso tra discorso letterario e discorso morale, che Giuseppe Papini rico-
nosceva come costitutivo della cultura italiana: «Che l’ufficio dello scrittore sia,
oltre che d’esser buono scrittore, anche buono maestro, è, se Dio vuole, vecchia
tradizione italiana, benché non soltanto italiana»31. Nel pieno del confronto tra
i fautori dell’autonomia della letteratura e quelli della sua funzione educativa,
la scuola e l’università restavano saldamente ancorate ai valori morali e civili
della storiografia letteraria italiana più recente32.
Ancora nel dopoguerra, quindi, all’insegnamento della letteratura si chiede-
rà, come ha scritto Raul Mordenti, «di fungere da strumento privilegiato della
formazione «morale e civile» […] dello studente, sia pure in forme aggiornate
e moderne, che non escludevano di affidare all’insegnante di Letteratura que-
stioni che nessuno si sarebbe sognato di affidare all’insegnante di Matematica
o di Scienze (e neppure a quello di Diritto o di Filosofia), come l’educazione

29. q 17, p. 1941.


30. a. scotto di luzio, La scuola degli italiani, il Mulino, Bologna 2009, p. 167.
31. g. papini, Lo scrittore come maestro, in id., La Pietra Infernale, Morcelliana, Brescia 1934, pp.
157-84, a p.
32. Il quadro di fondo in a. nozzoli, La cultura e il fascismo, in g. luti (a cura di), Storia letteraria
d’Italia. Il Novecento, Piccin, Milano 1993, vol. 2, pp. 881-1008.

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politica e perfino quella sentimentale della studiosa gioventù»33. La missione
morale dell’intellettuale, in opposizione all’azione contingente del politico, era
del resto rivendicata con forza nell’ambito dell’egemonia culturale laica, come
dimostra la seguente citazione di uno scritto del 1954 di Norberto Bobbio,
divenuta traccia d’esame per la maturità del 199734:

Contro il politico che obbedisce alla ragion di stato, l’uomo di cultura è il devoto in-
terprete della coscienza morale. Queste antitesi appaiono continuamente, or l’una or
l’altra, nel dissidio tra i diritti della cultura e quelli della politica e colorano in varia
misura il dissenso tra intellettuali e politici.

Fin qui nulla di strano. Che la letteratura venisse assoldata, quasi una reclu-
ta, sia durante il Risorgimento sia all’inizio della Repubblica, nei due percorsi
fondativi dello Stato italiano, a garantire una comunità linguistica e civile, è
fatto scontato, oltre che notissimo. Meno scontato è che il discorso pubblico sia
ancora oggi affidato alla letteratura, con la sua stessa centralità morale e civile.

Oltre De Sanctis?

Abbiamo letto all’inizio le parole d’ispirazione civile e patriottica con cui


Giulio Ferroni apriva la sua storia della letteratura italiana nell’edizione del 2006.
Da vent’anni circa era in atto, tuttavia, un processo di superamento, ovvero di
liquidazione, dell’idea etica e civile della letteratura italiana che era emersa
con la Storia di De Sanctis. Nel capitolo introduttivo del grande progetto della
Letteratura italiana da lui curata per la casa editrice Einaudi tra il 1982 e il
2000, Alberto Asor Rosa enunciava i «due presupposti» su cui egli intendeva
fondare l’intera opera35:

1) «La letteratura italiana non può essere associata alla storia etica e civile della nazione
italiana (anche se ovviamente ha con essa rapporti)»;
2) «Non necessariamente la grande letteratura nasce da una grande vita morale».

Da qui Asor Rosa identificava la «autentica gloria» della letteratura italiana


nel suo «gigantesco sistema delle forme», «affascinante proposta di vita per

33. r. mordenti, L’altra critica. La nuova critica della letteratura fra studi culturali, didattica e in-
formatica, Meltemi, Roma 2007, p. 108.
34. n. bobbio, Intellettuali e vita politica in Italia (1954), in id., Politica e cultura, Einaudi, Torino
1955, pp. 121-138, a p. 131.
35. a. asor rosa, Letteratura, testo, società, in id. (dir.), Letteratura italiana, Einaudi, Torino 1982,
vol. I Il letterato e le istituzioni, pp. 3-29, a p. 23.

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mezzo di segni»: in tal modo, Asor Rosa rischiava di limitarsi a capovolgere
il «diagramma De Sanctis», com’egli lo chiama, all’insegna del primato delle
forme sulle cose, dell’arte sulla realtà, invece di considerare il loro intreccio
di matrice prima di tutto estetica e poetica, fino al punto di affermare (p. 24)
che i «valori» della «grande letteratura italiana dei primi quattro secoli» «sono
profondamente calati, fino a far corpo con essi, in codici di comportamento
formale, che a loro volta si propongono come valori, anzi, come il Valore». La
rivendicazione dell’autonomia dell’arte rischia, insomma, di ribadire quella
separazione tra arte e vita che era al centro del «diagramma De Sanctis», con la
conseguenza che Asor Rosa continua a parlare, esattamente come De Sanctis,
di «scetticismo», «assenza di ideali etico-religiosi», «atteggiamento di compro-
messo nei confronti di qualsiasi tipo di potere» da parte della «cultura italiana
dell’Umanesimo e del Rinascimento», anziché considerare la possibilità di un
intreccio diverso, e più profondo, tra vita, arte, etica e scelte, all’insegna di una
prassi collettiva e comunitaria che è di tipo tanto poetico quanto ideologico. Se
sul piano della filosofia della letteratura, Asor Rosa sembra stare tra Croce e De
Sanctis, valorizzare l’arte senza perdere di vista la vita; sul piano del giudizio
storico, De Sanctis ritorna l’unica autorità di riferimento grazie allo schema
Riforma contro Rinascimento che già Gramsci aveva individuato come linea
portante della concezione storiografica desanctisiana36. La conclusione di Asor
Rosa era radicale: «L’idea di nazione ha reso infelice, quando non è uggiosa, la
nostra letteratura» (p. 26). Rifiuto totale, insomma, dell’impostazione nazionale
del racconto letterario, all’insegna della valorizzazione della forma rispetto ai
contenuti morali, salvo recuperarli, quei contenuti morali, quando si tratta di
rivendicare il primato, etico anziché estetico, dei moderni sugli antichi.
Asor Rosa sembra tuttavia aver cambiato idea a distanza di circa vent’anni:
la sua Storia europea della letteratura italiana non parla in effetti mai del valore
civile e pedagogico della storia letteraria, ma fin dall’inizio rivendica il «tenta-
tivo di ridefinire, attraverso le vicende letterarie del nostro popolo, una certa
nozione dell’identità italiana, messa a confronto con le altre identità europee,
che le stanno intorno e hanno, direttamente o indirettamente, o per simpatia o
per contrasto, contribuito a crearla»37. Si tratta cioè di spiegare ai lettori, quasi
convincerli, che le cose stanno proprio come dice lui: nessun primato della
morale sulla storia; insomma, se Asor Rosa sente continuamente il bisogno di
rivendicare che «questo non ce lo inventiamo noi oggi: lo hanno praticato per
secoli i nostri scrittori» (p. xi), fino all’affermazione che «non c’è motivo, mi
sembra, per non continuare a pensarla come loro» (p. xii). La Storia di Asor Rosa

36. Un’utile discussione è stata proposta da r. antonelli, De Sanctis e la storiografia letteraria


italiana, in «Quaderns d’Italià», n. 16, 2011, pp. 31-51.
37. a. asor rosa, Storia europea della letteratura italiana, Einaudi, Torino 2009, p. xi.

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è tuttavia proprio una lezione morale, che ha in più la pretesa dell’oggettività,
perché le cose stanno come dice lui e non si possono discutere. L’orizzonte civile,
insomma, non è esplicitato, ma praticato, con il risultato della predica dall’alto:

Se si nega questo, o anche una sola parte di questo sistema [cioè «l’importanza enorme
che la «letteratura italiana» ha rivestito sul nostro «essere italiani», e sul nostro «modo
di esserlo»], destinato poi a trascinare tutti gli altri, si nega tutto il resto: non c’è più
letteratura italiana, non ci sono gli italiani e dunque non c’è l’Italia. Speriamo di non
dover assistere a questo retrogrado crepuscolo, anche se qualche pericolo si è già vi-
stosamente manifestato». (p. xiii)

Con questo proclama apocalittico, Asor Rosa non esce, infine, dall’orizzon-
te nazionalistico e civile della storiografia letteraria italiana: il suo obiettivo è
insegnare un «essere italiani» che è innanzitutto letterario, di una letteratura
fatta d’impegno civile e di tensione conoscitiva.
Dal canto loro, Romano Luperini e Pietro Cataldi scrivevano, nell’intro-
duzione alla prima edizione del loro manuale scolastico La scrittura e l’inter-
pretazione (1999), che la storiografia letteraria è giustificata «non da ragioni
contingenti d’ordine didattico e pratico, ma da motivi più profondi d’ordine
pragmatico, antropologico e storico»: «Bisogna probabilmente arrivare alla
conclusione che la storiografia letteraria trova il suo fondamento nel bisogno
che ogni comunità avverte di definire la propria memoria storica»38. Si tratta
quindi di riconoscere che comunità civile e storiografia letteraria procedono
di pari passo. Luperini e Cataldi, però, si propongono di fuoriuscire dalla pro-
spettiva desanctisiana, «in cui il valore dell’identità nazionale veniva trasmesso
soprattutto dalla esperienza letteraria e artistica perché in essa il nostro paese
poteva vantare qualche «primato»», e riconoscono «la riduzione della funzione
e dell’importanza civile della letteratura». Comunità non nazionale, quindi, sarà
quella che Luperini e Cataldi si propongono di edificare, ma politica, fondata
sulla pratica costante dell’interpretazione, dell’esercizio critico, della lettura e
rilettura dei classici.
Più recentemente, lo stesso Luperini, in un intervento su Insegnamento
della letteratura e democrazia, disponibile online sul suo blog presso l’editore
Palumbo39, ha sottolineato che «il docente di materie umanistiche è oggi inve-
stito di una profonda crisi di identità e di funzione sociale, perché le discipline
che insegna hanno perduto l’autorità e la legittimazione che avevano un tempo
quando costituivano il fondamento della vita civile del paese». Le origini del

38. r. luperini, p. cataldi, La scrittura e l’interpretazione: storia della letteratura italiana nel quadro
della civiltà e della letteratura dell’Occidente, Palumbo, Palermo 1999, p.
39. http://luperini.palumbomultimedia.com/download/DemocraziaInsegnamentoLetteratura.pdf.

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prestigio sono note e Luperini le rintraccia nella lunga durata del «mito identi-
tario della nazione italiana in cui la letteratura dapprima, da Dante e Petrarca
a Foscolo e Manzoni, aveva preannunciato l’unità d’Italia e poi, con Carducci
Pascoli e D’Annunzio, aveva esaltato le sorti civili del nostro paese». Secondo
Luperini, la risposta alla crisi sta nell’abbandono di uno dei due poli della peda-
gogia civile della letteratura, il carattere nazionale, a favore dell’altro, il carattere
morale: esiste infatti, secondo Luperini, «una deontologia della lettura che ha
un suo spessore civile su cui sinora non si è posto sufficientemente l’accento».
In questo modo la letteratura italiana conserverà il posto privilegiato che ha
storicamente occupato nell’educazione pubblica degli italiani:

La letteratura stessa sempre di meno interessa per il suo contenuto identitario in senso
patriottico e nazionale e sempre di più invece come repertorio di situazioni civili ed
etiche, mitiche antropologiche che riguardano l’intero genere umano.

Da un lato, quindi, c’è un universalismo etico della letteratura, che va preser-


vato; dall’altro un suo radicamento nazionale, che va rifiutato. Resta il dubbio,
tuttavia, che proprio la pretesa di universalismo civile e morale di cui parla
Luperini sia il risultato di un percorso «italiano», anziché della letteratura in
quanto tale – come ha sostenuto di recente su un versante diverso anche Ro-
berto Esposito nel suo libro sul Pensiero vivente, sottotitolato Origini e attualità
della filosofia italiana – con la conseguenza che carattere nazionale e funzione
civile resterebbero, come vuole Ferroni, inseparabili. La regolarità del discorso
sulla funzione civile e morale della letteratura, per tornare alla terminologia
foucaultiana da cui siamo partiti, sta nella continuità delle sue pratiche, che
garantiscono la formazione di una tradizione di lunga durata, dagli stereotipi
saldi e inossidabili, e dalla retorica appassionata e idealistica.
Se l’invenzione del mito civile della letteratura era coincisa con la fonda-
zione laica e borghese di uno Stato che ambiva a una morale non disgiunta dal
patrimonio di valori che la lingua e la letteratura portano con sé, alle stesse
ideologie borghesi si dovrà far risalire l’attacco alle loro origini, ai miti ideali
(e un po’ ipocriti) della comunità nazionale (letteraria, civile, etica). Si tratta,
cioè, sempre e solo di rivendicare il primato morale dell’intellettuale, che è la
voce cui la parte egemone della società affida la sua espressione e la sua sintesi.
Si tratta, infine, di rivendicare, come ha spiegato Bobbio, la separatezza e la
superiorità dell’élite intellettuale rispetto alla politica40.
La vera alternativa, l’unico strumento antagonista, resta affidata all’estetica,
nell’orbita della separazione tra bello e morale (come, in fondo, aveva in parte
suggerito lo stesso Croce, con ripensamenti e spostamenti, ma una chiara con-

40. Cfr. n. bobbio, Intellettuali e vita politica in Italia, cit.

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sapevolezza dell’autonomia dell’arte). Il rischio di una deviazione del discorso
letterario sul versante estetico è, tuttavia, proprio quello della perdita del suo
valore civile, della sua funzione pedagogica, nonché del suo primato disciplinare
nella scuola italiana. Riporto per tutte solo le parole di Raffaele Perrelli in un
recentissimo saggio su Letteratura e democrazia contenuto nel volume collet-
tivo A che serve la storia?, pubblicato pochi mesi fa da Donzelli a cura di Piero
Bevilacqua: «La messa a punto di una nuova strumentazione per l’esplorazione
del testo letterario tende a ridurre lo studio della letteratura a una dimensione
meramente tecnica», con la conseguenza che «non ci sono più valori su cui
si discute e che si propongono all’intera comunità»41. Da un lato, la nostalgia
della funzione civile e del primato perduto; dall’altro, il trionfo della tecnica e
dell’arte: stiamo forse tornando all’educazione alle belle lettere?

41. r. perrelli, Letteratura e democrazia, in p. bevilacqua (a cura di), A che serve la storia? I saperi
umanistici, Donzelli, Roma 2011, p. 84.

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