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ISBN 978-88-268-9009-8
Il progetto didattico generale dell’opera è stato studiato ed elaborato da tutti gli Autori, con il
coordinamento di Giorgio Bárberi Squarotti.
In particolare, Valter Boggione ha curato i seguenti capitoli: L’età del Realismo: quadro storico, socia-
le e culturale, La letteratura dell’Italia postunitaria, La Scapigliatura, Giosue Carducci, Il Verismo e il
Realismo in Italia. Roberto Mercuri ha elaborato i capitoli di Giacomo Leopardi e Giovanni Verga.
Giangiacomo Amoretti e Giannino Balbis hanno curato i seguenti capitoli: Tra Ottocento e Novecen-
to: quadro storico, sociale e culturale, La narrativa italiana dal Verismo al Decadentismo, Giovanni Pa-
scoli e Gabriele d’Annunzio. I seguenti capitoli: Il Realismo europeo, Il Naturalismo, Charles Baude-
laire e La poesia simbolista e l’estetismo sono a cura di Gabrio Pieranti, con la revisione editoriale di
Valter Boggione, Giangiacomo Amoretti e Giannino Balbis.
Anna Besozzi ha curato le schede di Letteratura e cinema e la scheda di Letteratura e arte sulla pittu-
ra simbolista.
L’elaborazione del Lavoro sul testo dei brani antologici e degli esercizi di sintesi è a cura di Paola
Salmoiraghi.
Il presente volume è conforme alle disposizioni ministeriali in merito alle caratteristiche tecniche
e tecnologiche dei libri di testo.
Si ringraziano le Fondazioni letterarie e artistiche, i Musei e gli archivi delle riviste storiche e i foto-
grafi che hanno gentilmente fornito il materiale iconografico.
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L’Editore
© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS
Indice generale
Simboli rubriche: Materiali on line F Focus P Parole chiave
La decisione di Emma
Giovanni Faldella 259
da Tristi amori
Gli scapigliati minori 260
di Giuseppe Giacosa
L’identità scapigliata
da La scapigliatura e il 6 febbraio
F Il cinema 233 di Cletto Arrighi 260
■ Nuove forme Dualismo
di espressione artistica 234 di Arrigo Boito 262
Concetti chiave 236 Concetti chiave 266
Esercizio di sintesi 237 Esercizio di sintesi 267
Ballata dolorosa
da Rime nuove, LV 281 Capitolo 7
San Martino
Il Naturalismo
da Rime nuove, LVIII 282
1. Che cos’è il Naturalismo 314
Idillio maremmano Origine e significato del termine 314
da Rime nuove, LXXVIII L’estetica del Naturalismo 315
Naturalismo e Positivismo 315
I temi 316
Il Comune rustico
I manifesti del Naturalismo 316
da Rime nuove, LXXVII 284
Il diritto del romanzo
Congedo da Germinie Lacerteux,
da Rime nuove, CV prefazione
di Edmond e Jules de Goncourt
Odi barbare 286
Capitolo 8 Capitolo 9
Il Verismo e il Realismo in Italia Giovanni Verga
1. La diffusione del Positivismo 1. La vita 352
e del Naturalismo in Italia 327 2. Le opere anteriori
Il Positivismo 327 alla svolta veristica 353
Le tendenze e gli ambiti I romanzi del periodo catanese 353
di applicazione 328 I romanzi del periodo fiorentino 354
F Cesare Lombroso I primi romanzi milanesi 354
e l’antropologia criminale 328 3. L’elaborazione della poetica
Il Naturalismo 329 veristica, da Nedda al ciclo
2. Il Verismo 329 dei Vinti 355
Che cos’è il Verismo 329 Nedda 355
Verismo e Naturalismo 329
Verismo e narrativa regionale 330 Nedda
Jean-Auguste-Dominique Ingres,
Odissea, 1827.
Lione, Musée des Beaux-Arts.
Leopardi
Giacomo Leopardi.
Recanati, Casa Leopardi.
1. LA VITA
1821
1798 1819 NAPOLEONE
Giacomo 1809-1816 1815 Tentativo MUORE 1822-1823 1824-28
Leopardi nasce a Studio da CONGRESSO di fuga SULL’ISOLA Soggiorno Silenzio
Recanati autodidatta DI VIENNA da Recanati DI SANT’ELENA a Roma poetico
1817 1818-1822
Inizia la Composizione
composizione di canzoni
dello e idilli
Zibaldone,
che prosegue
fino al 1832
L’abbandono di Recanati
L’insofferenza Nelle lettere a Giordani, che costituiscono il primo contatto vero e stimolante con il
per Recanati mondo esterno, scopriamo un giovane desideroso di affetto e di riconoscimenti al di
fuori dell’ambito familiare, insofferente dell’ambiente recanatese, che sente come
una insopportabile prigionia, capace di esprimere il proprio disagio esistenziale e il
grandissimo, forse smoderato e insolente desiderio di gloria.
Un’orgogliosa consapevolezza delle proprie potenzialità Leopardi dimostra nella lette-
ra con la quale spiega al padre le motivazioni del tentativo di fuga da Recanati del lu-
glio 1819 (sventato prima che si concretizzasse) e nella quale contesta rispettosamente
ma in modo deciso l’incomprensione di Monaldo e la mentalità retriva che ispira le sue
scelte sul destino dei figli. Il 1819 è anche l’anno di una grave malattia agli occhi, che
spinge il poeta addirittura a pensare al suicidio.
Il soggiorno Leopardi può finalmente lasciare Recanati nel novembre 1822: sarà ospite a Roma dello zio
a Roma materno Carlo fino all’ottobre dell’anno seguente. La scoperta del mondo esterno determi-
na in lui una profonda delusione: Roma è ormai una città attardata e marginale, poco viva
sul piano culturale, non troppo diversa, ai suoi occhi, da Recanati. Neppure le bellezze arti-
stiche e i ricordi storici della città (ad eccezione della tomba di Tasso) lo entusiasmano. Oltre
tutto, per la sua fama di pensatore materialista, non riesce a trovare un’occupazione.
La ricerca L’occasione di mantenersi almeno in parte da sé, senza dover dipendere dal padre, gli
dell’indipendenza viene offerta nel 1825 dall’editore Stella di Milano, che gli commissiona un’edizione
economica
completa delle opere di Cicerone, che rimarrà non realizzata. In compenso, riceverà da
1825
Soggiorno 1830-1833 1833
a Milano e inizio 1828-1830 Soggiorni Si reca a Napoli 1837
della collaborazione Ritorno a Firenze con Antonio Muore
con l’editore Stella a Recanati e Roma Ranieri a Napoli
Se scamperò dal cholera e dubito che la mia salute lo permetterà, io farò ogni pos-
sibile per rivederla in qualunque stagione, perché ancor io mi do fretta, persuaso
oramai dai fatti di quello che ho sempre preveduto che il termine prescritto da Dio
alla mia vita non sia molto lontano. I miei patimenti fisici giornalieri e incurabili so-
no arrivati con l’età ad un grado tale che non possono più crescere: spero che su-
perata finalmente la piccola resistenza che oppone loro il moribondo mio corpo, mi
condurranno all’eterno riposo che invoco caldamente ogni giorno non per eroismo,
ma per il rigore delle pene che provo. Ringrazio teneramente lei e la mamma del
dono dei dieci scudi, bacio le mani ad ambedue loro, abbraccio i fratelli, e prego lo-
ro tutti a raccomandarmi a Dio acciocché dopo ch’io gli avrò riveduti una buona e
pronta morte ponga fine ai miei mali fisici che non possono guarire altrimenti.
da Epistolario, Bollati Boringhieri, Torino, 1998
Quindici giorni dopo, il 14 giugno, Leopardi moriva: il decesso non fu causato dal co-
lera, ma dall’aggravarsi delle malattie (in particolare l’asma), sulle quali, negli ultimi
giorni, il poeta – ormai rassegnato alla morte – ironizzava con gli amici.
La lapide L’iscrizione sulla tomba è dettata da Pietro Giordani, che pone su uno stesso piano la
di Giordani produzione poetica di Leopardi e quella filologica e filosofica, secondo un indirizzo
solo di recente riaffermatosi negli studi leopardiani:
2. LA PERSONALITÀ
I tratti La coerenza etica, il coraggio nel sostenere fino in fondo una posizione “controcor-
fondamentali rente” rispetto al proprio tempo, l’ironia che spesso si intravede fra le righe di una
scrittura prevalentemente impegnata e “seria”, l’inesauribile bisogno di affetto appa-
iono come i connotati maggiormente distintivi del percorso esistenziale di Leopardi. Val
la pena però di soffermarsi su alcuni snodi biografici che sono stati decisivi per il formar-
si della personalità del poeta.
Io ho conosciuto intimamente una madre di famiglia che non era punto superstiziosa,
ma saldissima ed esattissima nella credenza cristiana e negli esercizi della religione. […]
Considerava la bellezza come una vera disgrazia, e vedendo i suoi figli brutti o defor-
© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI 17
mi, ne ringraziava Dio, non per eroismo ma di tutta voglia. […] Scemava quanto pote-
va colle parole e coll’opinion sua i loro successi (tanto de’ brutti quanto de’ belli, per-
ché n’ebbe molti), e non lasciava passare anzi cercava studiosamente l’occasione di rin-
facciar loro, e far loro ben conoscere i loro difetti, e le conseguenze che ne dovevano
aspettare, e persuaderli della loro inevitabile miseria, con una veracità spietata e feroce.
[…] Le malattie, le morti le più compassionevoli […] non la toccavano in verun modo.
da Zibaldone, 25 novembre 1820
È difficile dire quanto una madre così fredda e indifferente possa aver significato nella
crescita emotiva dei figli e quale ruolo abbia ricoperto nell’inconscio del poeta: certamen-
te l’efficacissima espressione con cui Leopardi nella poesia La ginestra condensa la sua
condanna alla natura per la crudele indifferenza nei confronti dell’uomo (madre è di parto
e di voler matrigna) sembra ricordare molto da vicino il ritratto della madre Adelaide.
3. LA FORMAZIONE CULTURALE
I primi studi Lo stesso Leopardi, in una sintetica scheda biografica preparata nel 1826 per il conte
Carlo Pepoli, ci informa che
Precettori non ebbe se non per li primi rudimenti che apprese da pedagoghi, man-
tenuti espressamente in casa da suo padre. Bensì ebbe l’uso di una ricca biblioteca
raccolta dal padre, uomo molto amante delle lettere.
Notizie più dettagliate sui maestri di Giacomo troviamo nel Memoriale di Monaldo,
che ci informa sulla conclusione degli studi “scolastici” del figlio, databile al 1812, per-
ché il precettore non aveva più altro da insegnargli, e sui progressi di Giacomo come
autodidatta, soprattutto nell’apprendimento delle lingue, antiche e moderne. Utiliz-
zando i libri già esistenti nella biblioteca di casa o procurati su sua richiesta dal padre,
Leopardi impara da solo il greco, l’ebraico, il francese, l’inglese, lo spagnolo. Sappiamo
inoltre che l’educazione religiosa dei giovani Leopardi è affidata al cappellano di fami-
glia e che particolarmente stimolante per gli studi classici e le ricerche erudite è l’in-
fluenza di don J. Anton Vogel, esule alsaziano, professore di storia ecclesiastica al Semi-
nario di Recanati.
Gli studi Nella breve notizia a Pepoli, Leopardi accenna ai sette anni della propria esistenza de-
filologici dicati esclusivamente ad uno studio matto e disperatissimo che ha come oggetto so-
prattutto la filologia e che gli permette di accumulare un bagaglio di cognizioni che ap-
pare prodigioso per l’età del giovane autodidatta e per la varietà degli interessi, docu-
mentati ad esempio dalla realizzazione di progetti di notevole impegno, come la Storia
dell’astronomia (1813) e il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi (1815). Sono
queste due opere di carattere prevalentemente compilativo, che manifestano tuttavia
la presenza di un interesse intellettuale già delineato: il contrasto tra la ragione, che
4. L’IDEOLOGIA
Il pessimismo storico
Gli inizi dellaL’avvio di un percorso autonomo di Leopardi rispetto al retrivo clima recanatese e alla
riflessione
ideologia paterna va collocato negli anni 1818-1820, quando l’amicizia con Giordani, il
filosofica
sentimento di rivolta esistenziale, la conoscenza delle più recenti esperienze letterarie e
del nuovo pensiero civile e filosofico in Italia, e soprattutto della filosofia dei lumi, gli of-
frono occasione e strumenti per una prima valutazione della storia umana, in genera-
le, e della realtà contemporanea, in particolare, segnata dalla Restaurazione.
Natura I mali del secolo, le mortificanti condizioni di un’Italia asservita e torpida, l’individuali-
contro ragione smo imperante anche nel resto d’Europa, vengono spiegati con l’adozione dello schema
natura contro ragione, largamente diffuso in ambito illuminista e condensato da Rousseau
nella felice immagine del “buon selvaggio”. Secondo questa contrapposizione, la natu-
ra, che opera sempre per il bene, è stata progressivamente abbandonata e tradita dal-
l’azione corruttrice della ragione, che ha spento le forze vitali dell’uomo rendendolo
sempre più arido ed egoista, fino all’estrema decadenza del presente. Al negativo giu-
dizio sulla contemporaneità si accompagna dunque un’idealizzazione della “felice”
5. LA POETICA
L’ultimo Leopardi
Sperimentalismo Dopo il 1830, lontano da Recanati, Leopardi attua, non senza incertezze, una fase di
e fusione sperimentazione che sembra raccogliere e rilanciare tutta la complessità dell’intreccio
dei registri
pensiero-poesia. I diversi registri espressivi e le soluzioni stilistiche confluiscono in una
scrittura animata da una tensione che Binni ha definito eroica, testimonianza di una rin-
novata volontà del poeta di partecipare alla riflessione sul proprio tempo e di docu-
mentare i fallimenti della propria vicenda personale.
La contrapposizione con l’età presente ed in particolare il rifiuto delle facili e mistifi-
canti consolazioni dello spiritualismo producono un incremento della passione polemi-
ca di Leopardi, che trova nella satira un’efficace valvola di sfogo. Nello stesso tempo,
l’ultima delusione sentimentale, l’amore non corrisposto per Fanny Targioni Tozzetti, gli
fa sperimentare, in alcune poesie del “ciclo di Aspasia”, uno stile concentrato e disa-
dorno, un lessico dissonante e aspro. La poesia A se stesso ne costituisce l’esempio
più pregnante (cfr. testo a pag. 110).
Il testamento Testamento poetico, oltre che ideologico, La ginestra si presenta come un testo di
poetico grande suggestione perché raccoglie tutte le soluzioni espressive che Leopardi ha ela-
borato nel suo percorso poetico e rappresenta inoltre l’estrema sintesi della riflessione
sul ruolo del poeta e sulla funzione della poesia.
IL PENSIERO DI LEOPARDI
MORTE DELLA
POESIA Prosa (Operette morali).
1824-28 circa
POETICA
Emanuele Severino.
6. LO ZIBALDONE DI PENSIERI
Composizione Lo Zibaldone di pensieri è una raccolta di diverse e varie riflessioni, stese da Leopardi
tra il luglio-agosto 1817 e il 4 dicembre 1832. È lo stesso Leopardi a usare questo nome,
quando nel 1827 scrive un indice analitico degli appunti fino ad allora raccolti, dimo-
strando da un lato il bisogno di sistemare il proprio pensiero, dall’altro la consapevolez-
za dell’esaurimento di questa esperienza. Difatti lo Zibaldone si chiude praticamente il 5
settembre del 1829, in quanto nei tre anni successivi il poeta aggiunge soltanto due pa-
gine. Ma trova una continuazione ideale nei centoundici Pensieri, composti a partire
dal 1832, in parte nuovi e in parte rielaborazione di riflessioni già consegnate allo Zibal-
done, destinati da Leopardi stesso alla pubblicazione, ma rimasti incompiuti.
La natura Lo Zibaldone è una sorta di autobiografia intellettuale che documenta lo svolgimen-
dell’opera to del pensiero nella sua successione cronologica. Il poeta ne registra puntualmente
le continue evoluzioni, i movimenti e i passaggi: non per un ripiegamento intimistico,
ma, partendo dal vissuto e dal pensato individuali, per pervenire alla comprensione del-
l’universale condizione umana.
Gli strumenti Questa incessante indagine non è solo frutto di speculazioni, ma anche di sentimenti
dell’indagine e di sensazioni fisiche. È, a questo proposito, illuminante il fatto che Leopardi colleghi,
conoscitiva
in un passo dello Zibaldone (144), la cosiddetta conversione filosofica alla malattia de-
gli occhi occorsagli nel 1819: in questa occasione, favorita da un languore corporale, la
rivelazione dell’infelicità del mondo scaturisce da un sentire prima che da un conosce-
re, in un’interazione di razionalità, fisicità e sentimento. Leopardi sviluppa questo
sentire non nelle forme della sentimentalità romantica, ma nelle lucide strutture dell’in-
vestigazione etico-filosofica, di matrice sensistica.
Il nesso Storicizzare il proprio pensiero e la propria vita comporta la possibilità di guardarsi
tra pensiero
e poesia
da lontano e dall’alto, ricostruendo nel presente del testo, simultaneamente, tutta
l’esperienza trascorsa: ma guardare da lontano e dall’alto sono anche i due modi di ve-
dere caratteristici del poeta (si pensi solo a Il passero solitario e a L’infinito), che danno,
in questo modo, una forte impronta poetica alla speculazione etico-filosofica.
I temi Lo Zibaldone rappresenta una miniera ricchissima di temi e motivi, molti dei quali in-
trecciati con la storia della poesia leopardiana. Una delle costanti è la strenua difesa
dell’individuo contro il prevalere del concetto di massa nel pensiero moderno, il quale,
anche in questo, registra una profonda differenza rispetto al pensiero antico:
Col perfezionamento della società, col progresso dell’incivilimento, le masse guada-
gnano, ma l’individualità perde: perde di forza, di valore, di perfezione, e quindi di
felicità: e questo è il caso de’ moderni considerati rispetto agli antichi.
da Zibaldone, 4368, 5 settembre 1828
7. I CANTI
La storia del testo
Le Canzoni La pubblicazione dei Canti è preceduta da quella di due raccolte che ne costituiscono
e i Versi in qualche modo il presupposto, in quanto comprendono poesie lì poi confluite, ma
soprattutto segnano l’inizio di quel processo di selezione e riorganizzazione, che ha nei
Canti la sua naturale conclusione. La prima, del 1824, è intitolata Canzoni e compren-
de le dieci canzoni che confluiranno nei Canti. La seconda, del 1826, è intitolata Versi
e comprende tutta la produzione poetica a partire dal 1817, escluse le canzoni. Fra i
componimenti figurano anche gli idilli (le sei liriche comunemente definite piccoli idilli,
già pubblicate qualche mese prima in due numeri del “Nuovo Ricoglitore” di Milano).
Il progetto Al progetto dei Canti Leopardi comincia a pensare dopo la composizione del Canto not-
dei Canti turno di un pastore errante dell’Asia, allorché concepisce l’idea di una raccolta che attesti
tutto il suo percorso poetico riflettendone i principali momenti e il significato complessi-
vo. Si tratta dunque di un’opera che, per volontà dello stesso autore, è segnata da un pre-
ciso disegno strutturale, apparentemente lineare, in realtà complesso, frutto di attenta se-
lezione e, in alcuni casi, anche di spostamenti rispetto all’ordine cronologico di compo-
sizione, oltre che di ripetuti interventi sui testi (anche quando questi sono già a stampa).
Le tre edizioni I Canti hanno tre importanti edizioni. La prima è del 1831 e comprende, per la prima
volta insieme, le canzoni e gli idilli, nonché una scelta degli altri componimenti editi nel
1826. La seconda è del 1835: riprende l’edizione precedente, con qualche spostamen-
to e l’aggiunta dei componimenti più recenti. Questa edizione napoletana – l’ultima dei
Canti vivente Leopardi – fa parte di un progetto di pubblicazione in sei o sette volumi di
tutta l’opera leopardiana. Dopo la morte del poeta, Antonio Ranieri cura una terza e de-
finitiva edizione dei Canti nel 1845, che riproduce sostanzialmente l’edizione del
1835, emendandola tuttavia con le correzioni appuntatevi dall’autore e completandola
con l’aggiunta de Il tramonto della luna e La ginestra.
La raccolta si apre con nove canzoni petrarchesche, scritte tra il 1818 e il 1823 (cfr. pagg. 34-49).
In coda alle canzoni, a far da cerniera fra queste e gli idilli, nei quali diviene protagonista l’io del poeta, è col-
locato Il primo amore, scritto a Recanati nel 1817 in occasione di un soggiorno a casa Leopardi di Gertrude
Cassi, cugina del poeta. Rispetto ai successivi idilli Il primo amore si differenzia per tono, stile e metro (la ter-
zina dantesca), ma, dal punto di vista dei contenuti, ne costituisce un embrionale punto di partenza.
Il gruppo degli idilli è introdotto dal Passero solitario, che svolge la funzione di proemio. Anche in questo ca-
so è forzato l’ordine cronologico di composizione, dal momento che esso è quasi sicuramente da datare fra il
1832 e il 1835, ed è assai probabile che sia l’ultima poesia composta prima della Palinodia e della Ginestra. Il
motivo del passero solitario appartiene a una consolidata tradizione lirica, oltre che biblica. Facendone un te-
ma introduttivo, Leopardi vuole sottolineare il taglio lirico degli idilli.
Seguono poi gli idilli, cinque testi in endecasillabi sciolti, scritti fra il 1819 e il 1821 (cfr. pagg. 54-68). La po-
sposizione degli idilli alle canzoni, quasi tutte composte dopo, indica che Leopardi considera la forma idillio e
il genere lirico come vero sbocco di tutta la sperimentazione poetica degli anni giovanili, l’espressione più au-
tentica della propria ispirazione.
Scritto nel 1832, Consalvo è anch’esso in endecasillabi sciolti, ma di notevole ampiezza e caratterizzato da un
taglio narrativo che lo distingue dagli altri idilli. Il protagonista è un innamorato che può dichiarare il proprio
amore solo in punto di morte; la definitiva assolutezza della morte preserverà l’amore dalle miserie della vita e
conserverà la purezza del sogno e dell’ideale. È un modo diverso, ma in qualche modo parallelo, rispetto a Il
primo amore, di esprimere l’ineffabile assolutezza dell’amore, che infatti nei due componimenti risulta ine-
spresso, ovvero dichiarato nel momento in cui non può essere realizzato.
Al Consalvo segue Alla sua donna, scritta nel 1823 e pubblicata come ultima delle Canzoni nel 1824. La sua col-
locazione dopo gli idilli, dunque, è frutto di un ulteriore spostamento rispetto all’ordine di composizione, motiva-
to forse dal fatto che Leopardi vuole celare la vicinanza cronologica fra Alla sua donna e l’Ultimo canto di Saffo e
dunque scongiurare una troppo meccanica identificazione Saffo-Leopardi. Legando invece Alla sua donna a Con-
salvo, può valorizzare il rapporto fra amore, poesia, giovinezza e morte (che sarà al centro dei canti pisano-reca-
natesi). Alla sua donna è incentrata sulla sostanziale illusorietà del femminino: donna e amore consistono solo nel-
la rappresentazione che ne fa il poeta, sono fantasmi che vivono nella sua mente e nella creazione poetica. L’im-
possibilità dell’amore coincide con l’impossibilità della poesia nel mondo moderno: come la poesia, anche la bel-
lezza femminile appartiene al passato, alla mitica età dell’oro (secol […] che dall’oro ha nome: si noti come il gio-
co di parole in stile petrarchesco dall’oro = d’alloro identifichi l’età dell’oro con l’età della poesia).
Dopo Alla sua donna Leopardi colloca l’epistola in versi Al conte Carlo Pepoli, scritta nel 1826 e posta a chiu-
sura dei Versi pubblicati in quello stesso anno. Ha una funzione di cerniera fra il passato e il futuro della poe-
sia leopardiana perché, da un lato, riflette la svolta filosofica del poeta, che negli anni delle Operette morali si
dà agli studi men dolci, cioè all’indagine filosofica dell’acerbo vero e, dall’altro, preannuncia la poesia futura,
basata sulla dialettica fra illusione e disincanto, fra immaginazione e filosofia. L’augurio a Pepoli di rimanere
giovane simboleggia l’impegno dello stesso Leopardi di ritornare alle illusioni e all’immaginazione della giovi-
nezza attraverso la rimembranza, che è il programma poetico dei canti pisano-recanatesi.
L’epistola è seguita a sua volta da Il risorgimento (1828), che segna, già nel titolo, la rinascita dell’ispirazione
poetica e l’inizio di una rinnovata poesia. Questa rinascita è suggerita anche dal metro (il settenario) e dalla for-
ma dell’ode settecentesca, il cui ritmo cantabile esprime la gioia per il ritorno dell’entusiasmo poetico che sem-
brava per sempre perduto. L’ode è divisa in due parti: la prima si riferisce retrospettivamente alla poesia prece-
dente, la seconda progressivamente a quella presente e futura. Ciò istituisce, nei Canti, un prima e un poi, e ri-
produce nell’interiorità del poeta il conflitto antico/moderno. Il senso dell’ode è riassunto nel finale, in cui il
poeta si rivolge al proprio cuore, che, malgrado l’ostilità della natura, del mondo, del destino e dell’infelicità fi-
sica, può continuare a vivere: la sua vita è la stessa vita della poesia.
Subito dopo Leopardi colloca cinque canzoni libere, scritte tra Pisa e Recanati tra il 1828 e il 1830 (cfr. pagg.
78-106) e quattro testi, scritti tra il 1830 e il 1834 o 1835 (cfr. pagg. 108-112), che costituiscono il “Ciclo di
Aspasia”.
Seguono poi due canzoni sepolcrali, Palinodia al marchese Gino Capponi, Il tramonto della luna, La ginestra:
tutti testi scritti a Napoli tra il 1834 e il 1836, molto diversi tra loro per genere, metro e stile, ma accomunati
da una forte tensione sperimentale (cfr. pagg. 112-126).
Ci sono inoltre due componimenti che affrontano, in tono leggero, argomenti di grande spessore filosofico, Imi-
tazione e Scherzo.
Chiude i Canti la sezione dei Frammenti, costituita da abbozzi giovanili, che valgono come estrema riafferma-
zione dell’identità poesia-gioventù e vogliono suggerire il carattere sperimentale e aperto della raccolta.
Le canzoni
Il genere I primi nove componimenti dei Canti sono canzoni. Il genere della canzone, dopo aver
della canzone conosciuto un lungo declino ed essere stato soppiantato nel Settecento dall’ode, è ri-
lanciato da Monti. Leopardi stesso afferma che il soggetto delle sue canzoni non è im-
mediatamente deducibile dal titolo: ciò vuol dire che esse si aprono a diverse temati-
che, al di là dalle occasioni che le producono, dando così modo all’autore di dispiega-
re la propria ispirazione lirica e la propria riflessione filosofica.
Lo stile Le canzoni si distinguono, inoltre, per la ricercatezza del lessico, caratterizzato da ar-
caismi, latinismi e stilemi inconsueti, e per la struttura fortemente ipotattica dei pe-
riodi e la frequenza delle metafore. Leopardi stesso, consapevole della loro complessi-
tà, vi appose delle annotazioni di carattere erudito e una premessa in cui motivava le
proprie scelte, divergenti dalle norme del purismo cruscante.
Le canzoni Aprono i Canti due canzoni civili, All’Italia e Sopra il monumento di Dante, volutamen-
civili te collocate in posizione iniziale da Leopardi, che, allo scopo, esclude le precedenti
prove di carattere elegiaco o le pospone (come nel caso de Il primo amore) alterando
l’ordine cronologico di composizione. Le due canzoni, composte a Recanati nel 1818,
sono frutto di un originario progetto di canzone unica sul tema della decadenza del-
l’Italia contemporanea.
All’Italia In All’Italia, Leopardi contrappone l’Italia dei padri antichi, famosa per la gloria militare
e per quella poetica, all’Italia attuale, asservita alle potenze straniere e priva di proprie
ragioni di gloria. Le età antiche sono caratterizzate da imprese eroiche, come la valoro-
sa difesa della patria da parte dei Greci contro l’invasore persiano, celebrata da Simoni-
de, il quale, nell’ultima strofe, esprime il desiderio di essere sepolto con gli eroi delle
Termopili e di condividerne la gloria, proponendosi perciò come sacerdote e custode
AD ANGELO MAI,
QUAND’EBBE TROVATO I LIBRI
DI CICERONE DELLA REPUBBLICA
Italo ardito,1 a che giammai non posi2
di svegliar dalle tombe
i nostri padri?3 ed a parlar gli meni4
a questo secol morto, al quale incombe
1 5 tanta nebbia di tedio?5 E come or vieni
sì forte a’ nostri orecchi e sì frequente,
voce antica de’ nostri,
muta sì lunga etade?6 e perché tanti
risorgimenti7? In un balen8 feconde
10 venner le carte;9 alla stagion presente
i polverosi chiostri
serbâro occulti i generosi e santi
detti degli avi. E che valor t’infonde,10
Italo egregio, il fato? O con l’umano
15 valor forse contrasta il fato invano?
1. Italo ardito: Angelo Mai, nato in provincia di Bergamo dei nostri antenati (nostri), sconosciuti (muta) per tanti se-
nel 1782, cardinale dal 1838, bibliotecario all’Ambrosiana coli (lunga etade), ora ritornano a parlarci con tanta forza
di Milano e poi alla Biblioteca Apostolica della Città del (sì forte) e così spesso (sì frequente)?
Vaticano, erudito, filologo e editore di testi classici; la più 7. risorgimenti: scoperte.
prestigiosa delle sue scoperte fu quella dei primi due libri 8. balen: attimo.
del De republica di Cicerone, di cui era noto in preceden- 9. feconde… carte: i manoscritti (carte) divennero (venner)
za solo il cosiddetto Somnium Scipionis. produttivi e fertili (feconde). Le opere classiche ritrovate so-
2. a che… posi: perché non smetti. no in grado di trasmettere il loro fruttifero messaggio; infatti,
3. svegliar… padri?: di resuscitare gli antichi autori e le loro subito dopo, si afferma che le biblioteche e i monasteri
opere. (chiostri) conservarono (serbâro) intatti i testi antichi e quindi
4. a parlar… meni: e li conduci, li metti in condizione di le loro parole (detti) giuste e portatrici di valori (generosi).
parlare a questo secolo spiritualmente morto. 10. t’infonde: ti mette nell’animo. Il verbo infondere fa
5. al quale… tedio?: sul quale incalza la grande foschia pensare a un’ispirazione divina e provvidenziale che guida
della noia e dell’indifferenza che avvolge l’anima e la men- Angelo Mai alle scoperte; subito dopo, Leopardi avanza
te dei contemporanei. un’ipotesi diversa, laico-umanistica, quella della superiori-
6. E come… etade?: come mai gli antichi libri (voce antica) tà del valore umano nei confronti del fato.
11. senza… consiglio: senza il supremo (alto) volere (consi- ricercar) se, o patria, in questa età così avanzata, ti piaccia
glio) degli dèi. (giovi) essere vile e indolente.
12. più… grave: più torpido e profondo. 18. serbate: conservate; si rivolge ai gloriosi, della cui re-
13. nostro… obblio: la dimenticanza degli antichi valori, surrezione ha parlato prima, chiedendo loro se sperano an-
definita “disperata” perché genera disperazione nell’uomo cora nell’Italia.
moderno (nostro). 19. Io... speranza: il poeta è disperato (distrutto), senza
14. a percoter: a stimolare. rimedio al dolore, dal momento che (che) il futuro (l’av-
15. ne rieda: ci ritorni. venire) appare al poeta (m’è) fosco (scuro) e tutto ciò
16. novo grido… padri: richiama voce del verso 7; la voce che egli vede (scerno) è talmente negativo (tal) che fa
diviene ammonimento: nuovo (novo) perché voce finora sembrare (parer) la speranza un sogno o una chimera
non conosciuta. La scoperta dei testi antichi è inquadrata (fola).
in un clima di rinnovamento spirituale e culturale, dato 20. Anime… etade: segue la contrapposizione fra le ani-
l’uso di parole come novo e risorgimenti; de’ padri: degli me degli eroi (prodi, sono sia gli uomini d’arme, sia i
antenati, della nostra tradizione culturale. poeti, i filosofi, gli artisti) e la massa senza onore e corrot-
17. Ancora… codarda: ancora, cioè malgrado l’ignavia de- ta che in Italia è succeduta a loro; per questi posteri qual-
gli italiani, il destino (cielo) si mostra benevolo (pio) verso siasi forma di valore (ogni valor) bellico (d’opra) o lettera-
l’Italia, ancora (anco) una qualche divinità (qualche im- rio (di parola) è oggetto di derisione (scherno); l’incuria e
mortale) si prende cura (si cura) di noi italiani. In quanto il disprezzo investono le reliquie della virtù così che gli
ora è il momento o mai più (ch’essendo questa o nessun’al- italiani sono un esempio di viltà per le generazioni future
tra poi l’ora) di ripristinare (ripor mano) la virtù arrugginita (futura etade).
(rugginosa, in quanto non usata) propria della stirpe (natu- 21. Bennato ingegno: nobile ingegno; si rivolge ad Angelo
ra) italiana, vediamo quale e quanto grande sia la voce in- Mai.
citante (clamor) dei morti, vediamo che la terra aprendosi 22. altrui non cale: a nessuno importa.
restituisce (dischiude) gli eroi dimenticati per verificare (a 23. alti parenti: valorosi antenati.
37. quand’oltre… fondo: quando oltre lo stretto di Gibil- 43. in… carta: in una piccola carta geografica.
terra (colonne) e oltre le coste occidentali della Spagna (li- 44. ecco… simile: ecco, tutto è monotono; l’anafora di ec-
ti), ai quali (riferito a colonne e liti) sembrò di sentire lo sfri- co evidenzia l’immediato simultaneo svanire dei sogni di
golio (strider) dell’acqua (onde) all’inabissarsi (attuffar) del fronte alle verità scientifiche.
sole nel mare, tu (Colombo), che ti sei avventurato (com- 45. discoprendo: mediante le scoperte.
messo; letteralmente “affidato”) fra le onde dell’immenso 46. solo… affanni: solo il senso della nullità aumenta. O
oceano (infiniti flutti) ritrovasti la luce del sole (raggio) tra- diletta immaginazione (caro immaginar), la conoscenza
montato e il sorgere del sole (il giorno che nasce) quando è del vero non appena sopraggiunge (il vero appena è giun-
tramontato (è giunto al fondo) nel nostro emisfero (ai nostri; to) ti sottrae (ti vieta) agli uomini (A noi); per sempre la no-
sottinteso liti). stra mente si separa (s’apparta) da te; il passare degli anni,
38. e rotto… rischi: e superate tutte le difficoltà e impedi- la maturità (gli anni) ci strappano (ne sottraggon) al tuo pri-
menti della natura (di natura ogni contrasto), la scoperta di mitivo fascino meraviglioso (allo stupendo poter tuo pri-
una terra sconosciuta (ignota) fu gloriosa ricompensa (gloria) mo); così (e) scomparve l’unico conforto dei dolori umani
al tuo viaggio di esplorazione e ai pericoli (rischi) del ritorno. (nostri affanni).
39. si scema: diviene più piccolo. 47. Nascevi… Italia: al tempo di Colombo tu Ariosto na-
40. l’etra sonante: l’aria che risuona (in quanto trasmette i scevi con la vocazione alle piacevoli illusioni (ai dolci so-
suoni). gni) ed eri giovane (il primo sol splendeati in vista) quando
41. Nostri… pianeta?: dove sono andati (ove son giti) i no- cantasti (cantor) in modo leggiadro (vago) le imprese ca-
stri bei sogni di una terra sconosciuta (ignoto ricetto) abita- valleresche (arme) e gli amori (Leopardi riproduce il se-
ta da gente sconosciuta (d’ignoti abitatori) o della diurna condo emistichio del primo verso dell’Orlando furioso),
casa (albergo) degli astri e del lontano (rimoto) giaciglio che riempirono (empiêr) la vita di belle illusioni (felici er-
(letto) della giovane Aurora e del sonno notturno e nasco- rori): nuova speranza (speme) degli italiani (la cui immagi-
sto (occulto) del Sole (maggior pianeta)? nazione viene di nuovo sollecitata dalla lettura del poema
42. a un punto: in un istante, improvvisamente. ariostesco).
48. a voi… vita: pensando a voi, cioè ai personaggi e alle sma (Ombra) reale e certo (salda) e il mondo una terra de-
scene dell’Orlando furioso, la mente del poeta si perde die- serta, cioè priva di felicità e di valori.
tro infinite (mille) piacevoli immaginazioni (vane amenità). 58. ora estrema: la morte.
La vita umana era fatta (si componea) di illusioni (vanità), 59. Morte… ghirlanda: chi ha conosciuto la nostra miseria
di belle fantasie (fole) e di pensieri originali, fuori del co- (nostro mal) invoca (domanda) la morte e non la gloria
mune (strani pensieri). poetica, la corona d’alloro (ghirlanda).
49. li cacciammo: li bandimmo in esilio. 60. muto… avello: tomba (avello) disperata e muta; con la
50. verde: speranza e illusioni. morte tace anche la voce poetica.
51. alle cose: alla realtà. 61. miserando: miserevole, da compiangere.
52. Il certo… duolo: l’unica (solo) certezza (certo) è la con- 62. Assai… nostro: la nostra vita (il viver nostro) è molto (As-
statazione (veder) che tutto è illusorio (vano) tranne che il sai) peggiorata rispetto a (da) quella che ti sembrò (parve).
dolore (duolo). 63. compiangeria: compiangerebbe.
53. Torquato: Tasso. 64. se… cura?: se gli uomini di nulla si curano (altri non
54. a noi… cielo: il destino (cielo) all’epoca dell’Umanesi- cura) tranne che di se stessi (fuor che di se stesso)?
mo e del Rinascimento (allor) preparava per noi la tua alta 65. chi… sommi?: chi ancor oggi (anche oggidì) non consi-
poesia e a te non altro che il dolore (pianto). dererebbe (non direbbe) insensato (stolto) il dolore che ti
55. sciôrre… tiranni: sciogliere il ghiaccio (gelo) con cui portò alla morte (mortale affanno), dal momento che (se) la
(onde) l’odio degli uomini (livor privato) e dei tiranni aveva grandezza e la genialità (il grande e il raro) sono considera-
assediato (avean… cinta) l’anima (alma) che invece era co- ti pazzia: e se nemmeno l’invidia (livor) ma solo l’indiffe-
sì piena d’amore (sì calda). renza (noncuranza), ancora più dura a sopportare (dura)
56. ultimo inganno: estrema illusione. dell’invidia, tocca in sorte (avviene) ai più grandi ingegni
57. Ombra… piaggia: il nulla ti sembrò (ti parve) un fanta- (sommi)?
66. o quale… volta?: o chi (quale) ancora (un’altra volta) 73. nullo: nessuno.
potrebbe pensare di offrirti (appresterebbe) la corona d’al- 74. il: lo.
loro (lauro), dal momento che (se) ci si interessa (s’ascolta) 75. che: perché.
più delle scienze esatte (computar, letteralmente “calco- 76. l’ozio: la vile ignavia.
lo”) che della poesia (carmi)? 77. brutto silenzio: turpe silenzio, vile acquiescenza.
67. Da te… petto: da te (Tasso), o genio sfortunato (sventu- 78. Disdegnando e fremendo: sprezzante e irato per la vil-
rato ingegno), fino ad oggi (quest’ora) non è nato (sorto) al- tà degli italiani.
tro che un solo uomo degno (pari) dell’antica grandezza 79. trasse… intera: visse per tutta la vita, a indicare la sua
italiana (italo nome), il solo indegno della viltà della sua coerenza.
epoca (codarda etate), fiero (feroce) piemontese (Allobro- 80. questa… suolo: questa nazione e questa epoca non ti si
go, nome dell’antico popolo della Savoia; perifrasi per in- confacevano.
dicare Vittorio Alfieri), a cui il coraggio virile fu infuso nel 81. Altri… seggio: altro periodo storico, altra nazione, altro
petto dal cielo (polo), non da questa mia Italia (questa suolo.
mia… terra) spossata, priva di energia (stanca) e sterile (ari- 82. Or… mediocrità: ora viviamo contenti, appagati dalla
da, perché non produce il frutto della virtù). nostra ignavia e guidati (scorti) da un ideale di mediocrità.
68. privato: cittadino privato. 83. turba: massa.
69. memorando ardimento: coraggio memorabile, degno 84. sol… agguaglia: unico livello di mediocrità.
di essere ricordato. 85. O scopritor famoso: illustre scopritore; si rivolge ad
70. in… scena: nelle sue opere teatrali. Angelo Mai.
71. almen… mondo: sia almeno concessa (si dia) questa 86. arma… eroi: arma con le tue scoperte i perduti (spente, che
dolorosa guerra (misera guerra) all’impotente rabbia (ire in- non parlano) testi (lingue) degli antichi scrittori (prischi eroi).
ferme) degli uomini (mondo) oppressi dai tiranni. 87. questo… fango: questa epoca vile.
72. arena: anfiteatro, e quindi palcoscenico. 88. e… illustri: e si risolva a compiere azioni gloriose.
Procedimenti stilistici
Fra i caratteri stilistici e metrici di questa canzone sono da rilevare in particolare:
a. l’impiego di parole ed espressioni che evocano idea di infinito e di indeterminato (e perciò,
per Leopardi, di per sé poetiche): antica, lunga etade, obblio, ignota, infiniti, ecc.;
b. il ripetersi dei suoni nasali (in particolare in unione con la vocale a) che produce lo stesso ef-
fetto di infinito e indeterminatezza;
c. l’uso di rime baciate in chiusura di stanza, che danno un tono di sentenziosità e apoditticità:
ad esempio, la rima culla:nulla, che rappresenta tragicamente il destino di morte e insignificanza
dell’uomo;
d. la mescolanza di parole classiche, auliche e arcaiche (virtude, duolo, averno, ecc.) e di paro-
le vaghe e indefinite, per sottolineare il dissidio fra antico e moderno;
e. l’uso di figure retoriche, come l’ossimoro, indicative della drammatica negatività del presen-
te: ad esempio nell’espressione ombra reale e salda.
1a
Prova
L avoro sul testo
Comprensione del testo
A
1. Rileggi con attenzione la canzone e riassumila in non più di 20 righe.
1. Placida… giorno: notte serena e luce discreta (verecon- colo a chi è disperato. Spettacol molle è una sinestesia, co-
do raggio, letteralmente “pudico”) della luna che tramonta; me si evince da un appunto manoscritto di Leopardi, il
e tu (stella di Venere, detta anche Lucifero) che fra gli albe- quale nota che l’espressione rivela una trasposizione dalla
ri del bosco silenzioso sorgi sullo scoglio (allude alla rupe sfera del gusto a quella della vista.
di Leucade) ad annunciare il giorno. 8. Noi… ravviva: nella nuova condizione sentimentale (al-
2. dilettose e care: endiadi a significare “care” in quanto lor) di dolore un insolito piacere fa rivivere me (noi).
fonte di diletto. 9. quando… Noti: quando lo spirare (flutto, che fa pensare
3. mentre: finché. all’onda marina) dei venti (Noto è il vento del sud) che sol-
4. ignote… fato: non conobbi la furia delle passioni (del- leva la polvere (polveroso) soffia turbinando (si volve) inve-
l’amore) e la crudeltà del destino. Le Erinni rappresentava- stendo il cielo (l’etra) limpido e trasparente (liquido) e i
no, nella mitologia classica, le passioni umane. campi sconvolti dalla tempesta (trepidanti).
5. sembianze: fattezze (riferito a dilettose e care). La parola 10. quando… divide: quando il tuono (carro di Giove;
antropomorfizza gli elementi, dato che sembianze significa nel mito classico si riteneva prodotto dal fragore del car-
propriamente lineamenti del volto. ro di Giove) rimbombando (tonando) sulla nostra testa
6. già: ormai, contrapposto a mentre. (capo) squarcia (divide) il cielo scuro e tenebroso (tene-
7. non arride… affetti: non si confà un dilettevole spetta- broso aere).
11. Noi… nembi: a me (“noi” è un accusativo alla latina, 19. eterea porta: porta celeste, del cielo.
me iuvat, con esempi in Petrarca e Tasso) piace (giova) im- 20. il… albor: la luce del mattino, l’alba.
mergermi (natar) nella tempesta (nembi) attraverso (per) le 21. me… saluta: il canto dei variopinti (colorati) uccelli e
montagne (balze) e le valli scoscese (profonde). nemmeno (e non) il fruscio (murmure, parola onomatopei-
12. e noi… onda: e a me (noi) piace (sottinteso “giova”; ca) dei faggi mi saluta.
l’ellissi del verbo drammatizza ulteriormente la scena), il 22. e dove… spiagge: e dove, all’ombra dei salici dai rami
movimento delle greggi che fuggono per la vastità dei cam- piegati (inchinati) un limpido (candido) fiume scorre (di-
pi (vasta fuga) terrorizzate (sbigottiti) o il suono dell’onda spiega) con le sue nitide acque (puro seno), disdegnoso al-
di un fiume in piena (alto fiume) che violentemente per- lontana (sottragge) dal mio piede malfermo (lubrico, a cau-
cuote (vittrice ira) le sponde mal sicure (dubbia sponda) sa del terreno umido e scivoloso) le sue acque sinuose
che rischiano di non impedire lo straripamento. (flessuose) e fuggendo da me (in fuga) tocca (preme) le rive
13. divo: divino. (spiagge) odorose (odorate).
14. rorida: rugiadosa. 23. nefando eccesso: indicibile grave delitto.
15. Ahi… fenno: ahi il cielo (numi) e lo spietato destino 24. macchiommi: mi segnò.
(empia sorte) non elargirono (fenno) nemmeno la minima 25. anzi il natale: prima della nascita.
parte (parte nessuna) di questa bellezza sconfinata e im- 26. onde…stame?: per cui in seguito il filo scuro (ferrigno,
mensa (infinita beltà) all’infelice (misera) Saffo. quindi triste) della mia vita, privo (scemo) di giovinezza e
16. A’ tuoi… intendo: invano, o natura, io, quale (addetta) appassito si dovette svolgere al fuso della invincibile (indo-
ospite di poco valore (vile), e sopportata (grave) e innamo- mita) Parca (Lachesi, che avvolgeva il filo della vita intorno
rata disprezzata (dispregiata amante) rivolgo (intendo) pre- al fuso che veniva reciso nel momento della morte).
gando (supplichevole) il cuore e gli occhi ai tuoi magnifici 27. Incaute voci: parole avventate.
(superbi) regni. 28. i destinati… consiglio: una volontà imperscrutabile deter-
17. A… ride: a me non sorride. mina e gestisce il corso fatale degli eventi (destinati eventi).
18. l’aprico margo: la soleggiata campagna. 29. Arcano: misterioso.
30. Negletta prole: figlia trascurata. bia mai provato la felicità (se felice visse) sulla terra (in terra).
31. nascemmo: nacqui. 39. Me… fanciullezza: Giove non mi cosparse (me non
32. al pianto: a un destino doloroso. asperse) del dolce liquore (soave licor) del vaso (per Ome-
33. in… celesti: nella mente degli dèi. ro Giove custodiva il vaso della felicità) avaro di felicità per
34. Alle… diè: il Padre Giove ha concesso perenne potere gli uomini, da quando morirono (perîr) le illusioni (inganni)
(eterno regno) sugli uomini all’aspetto fisico (sembianze) e e il sogno di felicità della mia giovinezza.
alle leggiadre fattezze (amene sembianze). 40. Ogni… s’invola: tutti i giorni più felici (ogni più lieto
35. e per… ammanto: il valore (virtù) bellico (virili imprese) giorno) della nostra vita (di nostra età) per primi (primo) si
e poetico (dotta lira o canto) non risalta (luce) in un corpo dileguano (s’invola).
brutto (disadorno ammanto). 41. il morbo: la malattia, la cattiva salute.
36. Morremo: morirò. 42. e l’ombra… morte: e l’incubo, il fantasma della fredda
37. Il velo… casi: dopo aver gettato a terra (a terra sparto) il morte.
brutto corpo (velo indegno, nella doppia accezione di brut- 43. di… palme: di tante speranze di gloria.
to e di non degno delle qualità interiori di Saffo), l’anima 44. e… errori: e di piacevoli illusioni.
priva del corpo (ignudo) si rifugerà (rifuggirà) da Plutone 45. il Tartaro: la morte.
(Dite, cioè nell’aldilà, nell’Averno) e in questo modo rime- 46. e… riva: e Proserpina (tenaria Diva; uno degli ingressi
dierà (emenderà) al crudele errore, all’ingiustizia del Desti- degli inferi era presso il capo Tenaro), e la buia e nera not-
no (cieco dispensator de’ casi). te (atra notte) e la muta spiaggia infernale (silente riva) pos-
38. E tu… mortal: e tu (Saffo si rivolge all’innamorato Faone) siedono il nobile e alto ingegno (prode ingegno). Notevole
a cui fui legata (mi strinse) invano (indarno) da un costante la trama ritmica che, dalla drammatica immediatezza di
amore (lungo amore), da una continua fedeltà (lunga fede) e Ecco che apre gli ultimi cinque versi, passa al ritmo rallen-
dall’inutile ardore di un desiderio inappagato (implacato de- tato della dolente iterazione del polisindeto (e dilettosi er-
sio), vivi felice se può accadere che l’uomo (nato mortal) ab- rori […] e l’atra notte, e la silente riva).
Saffo e la natura
La perdita Saffo è rappresentata nei momenti precedenti il suicidio, che ha luogo in sintonia con il passag-
della sintonia gio dalla notte al giorno: si rivolge infatti alla luna che tramonta (cadente, v. 2) e alla stella Lucife-
ro che preannuncia il sorgere del sole. La bipolarità del sistema spazio-temporale è in perfetto pa-
rallelismo con la duplice identificazione di Saffo con la natura: Saffo, nei momenti felici della gio-
vinezza e dell’illusione, è in sintonia con la natura serena, mentre, dopo la caduta delle illusioni,
si rispecchia nella natura in tempesta.
Nella seconda e nella terza stanza è in primo piano il contrasto fra la bellezza della natura nel-
le sue diverse forme e la bruttezza di Saffo. Dopo aver constatato l’indifferenza e l’ostilità della na-
tura, la poetessa si chiede il perché di tutto questo: di quali colpe può essersi macchiata? La rispo-
sta non sta nell’individuo, ma nel comune e universale destino dell’umanità, nella colpa tragica di
Piacere e illusione
Una tendenza La tendenza al piacere, cioè alla felicità, è connaturata nell’uomo ed è, di fatto, un sentimento
innata illimitato in quanto non consiste tanto nel raggiungimento di un piacere determinato, quanto nel-
la ricerca del piacere in quanto tale: la riprova sta nel fatto che l’uomo, una volta soddisfatto un
desiderio, subito prende a desiderare un’altra cosa; l’uomo, dunque, desidera il desiderio, e il ve-
ro piacere consiste nell’immaginarlo più che nel realizzarlo.
Il desiderio del piacere è fondamentale nell’uomo affinché egli accetti l’esistenza, tanto più se
l’immaginazione è vissuta come facoltà conoscitrice e non come facoltà ingannatrice. La storia
dell’umanità è storia del disinganno come tragitto dalla felicità degli antichi all’infelicità dei mo-
derni; dall’illusione, che fa coincidere immaginazione e “vero”, alla cognizione del “vero” che
svela l’illusorietà dell’immaginazione. Come, a livello storico, gli antichi vivevano nello stato di fe-
licità, mentre i moderni vivono nell’infelicità, così, a livello di esistenza individuale, i fanciulli e gli
ignoranti vivono di illusioni, mentre gli uomini adulti e i dotti vivono nella consapevolezza dell’in-
felicità.
1a
Prova
L avoro sul testo
Comprensione del testo
A
1. Rileggi con attenzione il brano e riassumilo in non più di 7 righe.
2. La produzione leopardiana è
q a. interamente dedicata alla lirica. q b. interamente dedicata alla prosa filosofica.
q c. limitata alla lirica e alla prosa filosofica. q d. distribuita in varie fasi e vari generi.
9. Le Operette morali
q a. danno vita a un nuovo genere letterario, mescolando tragedia e commedia.
q b. sono la più importante opera poetica di Leopardi.
q c. hanno un immediato successo di pubblico e di critica.
q d. trattano esclusivamente temi morali e filosofici.
Sviluppa uno dei seguenti argomenti in forma di saggio breve o di articolo di giornale, utilizzando come mate-
riali di consultazione tutte le pagine dedicate a Leopardi in questo libro di testo (compresi i brani antologici
e le pagine critiche). Dai all’elaborato un titolo coerente con la trattazione e indicane una destinazione edi-
toriale a tua scelta. Per entrambe le forme di scrittura non superare le tre colonne di metà foglio protocollo.
1. Gli idilli e i canti pisano-recanatesi, passaggio centrale della produzione lirica leopardiana.
2. Le idee di infinito e rimembranza nella poetica e nella poesia di Leopardi.
L’epoca di Leopardi ovvero i primi decenni dell’Ottocento in Italia: dall’età napoleonica alla
Restaurazione e da questa ai moti insurrezionali degli anni Venti e Trenta.
La Weltanschauung è la concezione del mondo e delle cose, ovvero il sistema ideologico, l’insieme delle
idee che consentono un’interpretazione organica della realtà nei suoi molteplici aspetti. Senza un sistema
ideologico “operativo” non è possibile alcuna interpretazione critica delle cose. Qual è la Weltanschauung
di Leopardi? La condividi? Qual è il tuo sistema ideologico e quali ne sono gli elementi costitutivi?
© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI – L’INTERPRETAZIONE CRITICA 163
I critici de “La Ronda” no e dimostra, con ricchezza di documenta-
zione, il rapporto tra Leopardi e il classicismo
Una rivalutazione delle Operette, così co-
italiano settecentesco, ascrivendo l’esperien-
me dello Zibaldone e della prosa in genere,
za del recanatese a quell’ambito neoclassico-
si ha agli inizi degli anni Venti del Novecen-
progressista in cui operano gli intellettuali del
to con gli scrittori de “La Ronda”, che, nel-
primo Ottocento, come Giordani, fautori del-
l’ambito del loro programma di restaurazio-
la tradizione non per miope conservatorismo,
ne classicistica, sono impegnati nella ricerca
ma per opposizione consapevole a un certo
di un Leopardi non tanto pensatore quanto
clima romantico di restaurazione religiosa.
modello di moderno prosatore. Nell’analisi
A Leopardi Walter Binni dedica oltre un
dei valori formali e stilistici della prosa leo-
ventennio di studi e ricerche, nel quadro di
pardiana si distinguono soprattutto gli studi
una critica storicistica più aperta e meno
di Giuseppe De Robertis (Introduzione a
condizionata da presupposti ideologici. Il
Giacomo Leopardi, Zibaldone, 1922) che
critico, dopo aver individuato nella poesia
sottolinea il carattere immaginativo e inven-
leopardiana, accanto all’atteggiamento
tivo delle Operette morali, e a proposito
“idillico”, anche un atteggiamento di natura
dello Zibaldone afferma: […] si può dire che
“eroica”, si sofferma su quest’ultimo pun-
il segreto del Leopardi è tutto qui: nella tra-
tando sulle ultime composizioni poetiche
duzione fantastica dei suoi pensieri e senti-
(La ginestra e gli altri Canti del periodo
menti più profondi o, ch’è lo stesso, in quel-
1834-1837), che né De Sanctis né tantome-
la sua facoltà di trattare la materia autobio-
no Croce avevano adeguatamente valutato.
grafica con uno stretto rigore lirico.
Per Binni, Leopardi non è solamente lucido
filosofo e intransigente moralista, ma è pure
La critica storicistica poeta capace di dare alle sue liriche una
Negli anni del secondo dopoguerra, col struttura sinfonica di ampio respiro, in cui
mutare del clima culturale muta anche l’ap- pensiero e capacità di trasfigurazione poeti-
proccio critico all’opera leopardiana, grazie ca attingono il punto più alto di equilibrio e
soprattutto a due fondamentali saggi del contemplazione artistica.
1947: Leopardi progressivo di Cesare Lupori-
ni e La nuova poetica leopardiana di Walter
Scala della casa natale di Giacomo Leopardi a Recanati.
Binni. Luporini si colloca nella scia della critica
storicistico-marxista, capace di un’analisi ap-
profondita sulle radici e la natura del pensiero
leopardiano e sul rapporto pensiero-poesia,
mettendo in luce l’originalità, la base umani-
stica e la funzione rivoluzionaria e progressista
dell’ideologia leopardiana. Merito precipuo
di questi studi è quello di rifiutare la distinzio-
ne fra Leopardi pensatore e Leopardi poeta, e
di individuare anzi nella radice materialistico-
sensistica del primo il sostrato su cui si regge
la trasfigurazione artistica del secondo.
Col suo Leopardi progressivo Luporini co-
glie un saldo nesso tra il pensiero di Leopardi
e la cultura del suo tempo, individuando nella
grave “delusione storica” (dalla Rivoluzione
all’età napoleonica e da questa alla Restaura-
zione) la causa preminente del suo pessimi-
smo e nella dialettica natura/ragione una del-
le principali novità della sua ideologia. Nella
stessa linea interpretativa, Sebastiano Tim-
panaro (Alcune osservazioni sul pensiero del
Leopardi e Il Leopardi e i filosofi antichi. Na-
tura, dei e fato nel Leopardi, 1965; Antileo-
pardiani e neomoderati nella sinistra italiana,
1982) riconsidera con lucidità di analisi l’intui-
zione di Luporini sul progressismo leopardia-
164 CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI – L’INTERPRETAZIONE CRITICA © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS
La critica stilistica cità universale; Mario Sansone (Leopardi e
la filosofia del Settecento, 1964); Giovanni
Numerosi sono gli studi che privilegiano
Getto (Saggi leopardiani, 1966), che ripro-
l’analisi degli aspetti stilistici e delle struttu-
pone un Leopardi in chiave religiosa, in con-
re linguistiche di una o più parti della produ-
trasto con la consueta interpretazione laico-
zione leopardiana, e che cercano di rico-
materialistica, e rilegge i testi leopardiani al-
struire dall’interno, mediante la storicizza-
la luce delle fondamentali coordinate dello
zione dei dati filologici, il cammino della
spazio e del tempo; Domenico Consoli
poetica in essi espressa. Queste ricerche si
(Cultura, coscienza letteraria e poesia in G.
possono raccogliere sotto la denominazione
Leopardi, 1967); ancora Luigi Blasucci (La
di critica stilistica e filologica e hanno come
posizione ideologica delle “Operette mora-
oggetto precipuo di indagine le Operette
li”, in AA.VV., Critica e storia letteraria, 1970;
morali, rispetto alle quali tentano di supera-
I tempi dei “Canti”. Nuovi studi leopardiani,
re i limiti della preclusione crociana. Per
1996), che analizza il percorso del pessimi-
compiutezza e sistematicità di discorso è da
smo leopardiano, dapprima a carattere sen-
segnalare la tesi di Mario Fubini (introduzio-
sistico-psicologico e poi radicalmente mate-
ne ai Canti, 1930 e alle Operette morali,
rialistico.
1933), che analizza il linguaggio e lo stile
leopardiani, sottolineando, tra l’altro, il di-
retto rapporto e la compenetrazione tra la Gli studi sul pensiero
prosa delle Operette e i Canti. Sorretti da di Leopardi
particolare sensibilità e da un severo magi- La critica dell’ultimo trentennio si è inte-
stero stilistico sono gli studi di Francesco ressata prevalentemente al pensiero leopar-
Flora (Introduzione a G. Leopardi, Opere, diano, con spunti di originale interpretazio-
1940; Poetica e poesia di G. Leopardi, ne e rivalutazione. Bruno Biral (La posizione
1949-50; La poesia leopardiana, 1962), che storica di G. Leopardi, 1974) ricostruisce le
cerca di fondere le intuizioni di De Sanctis fasi del pensiero di Leopardi riallacciandosi
con il metodo crociano. Di particolare inte- alla linea Luporini-Timpanaro, di cui attenua
resse sono le pagine dedicate all’analisi del- in qualche modo il tema del “progressismo”
la lingua poetica adottata da Leopardi, il per sottolineare quello del rivoluzionarismo
quale toglie alla parola ogni sapore e colore etico di Leopardi. Nell’ambito della discus-
di comunicazione pratica, e la pronunzia co- sione sui concetti di “reazione” e di “pro-
me una metafora interamente trascritta. Sul gressismo” applicati all’ideologia leopardia-
valore poetico e sullo stile delle Operette in- na, non mancano spunti anche di accesa po-
siste ancora, sviluppando ed approfonden- lemica, come testimoniano gli interventi di
do le conclusioni di Fubini, Emilio Bigi (To- critici di formazione e orientamenti diversi
no e tecnica delle “Operette morali” e Lin- raccolti in Jonard, Biral, Cellerino, Pirodda, Il
gua e stile dei “grandi idilli”, 1954). caso Leopardi (1974). Tra questi, il critico
Luigi Blasucci (Leopardi e i segnali dell’infi- francese Norbert Jonard, in netta antitesi
nito, 1985) analizza con grande suggestione con la tesi di un Leopardi “progressivo”,
gli strumenti stilistici, retorici e metrici attra- mette in luce il carattere conservatore e ari-
verso i quali Leopardi evoca l’idea di infinito, stocratico della formazione leopardiana,
sottolineando come essa si sviluppi essenzial- sottolineando, con argomentazione discuti-
mente per via negativa, come superamento e bile ma suggestiva, la funzione “restauratri-
impossibilità di definizione del limite. ce” della poesia e il ruolo “positivamente”
reazionario del pensiero del recanatese.
Alcuni importanti studi Conferma ulteriore dell’interesse per il pen-
siero leopardiano si ha negli atti del VI Con-
Tra i critici ai quali si deve una revisione più
vegno internazionale di studi leopardiani
generale della personalità, della cultura,
(Recanati 9-11 settembre 1984).
della poesia di Leopardi o la ricostruzione di
aspetti e momenti singoli, una menzione
particolare meritano: Luigi Russo (La carrie- La tesi di Severino
ra poetica di G. Leopardi, 1945); Umberto Di un Leopardi non solo filosofo sistemati-
Bosco (Titanismo e pietà di G. Leopardi, co e originale, ma anticipatore del pensiero
1957), che studia il titanismo leopardiano contemporaneo ci parla, in tempi recenti,
nelle sue varie fasi, da quella giovanile a Emanuele Severino, in due saggi di grande
quella matura e più consapevole dell’infeli- originalità e suggestione (Il nulla e la poesia.
© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI – L’INTERPRETAZIONE CRITICA 165
Alla fine dell’età della tecnica: Leopardi, nuovi all’analisi e all’interpretazione del-
1990; Cosa arcana e stupenda. L’Occidente l’opera leopardiana. Talvolta si tratta di in-
e Leopardi, 1997). La tesi centrale di Severi- terventi limitati a singoli testi, come nel caso
no è quella di un Leopardi che per primo ha di Angelo Marchese (L’analisi strutturale
saputo comprendere e definire l’inevitabile dell’“Infinito”, 1972), che, fondandosi sul-
fallimento di quel “paradiso della tecnica” l’ipotesi critica dell’Infinito come perfetto
in cui sembra consistere tutto il senso della modello letterario, nel quale ogni elemento
moderna civiltà occidentale. obbedisce a una determinata funzione se-
mantico-espressiva, giunge alla dimostra-
Gli studi recenti zione di una segreta dialettica (sensi-imma-
Tra gli altri contributi più notevoli – dove ginazione, finito-infinito, cuore-pensiero, io
spesso all’analisi del pensiero si unisce an- empirico-io puro) come dominante costrut-
che quella delle strutture formali – segnalia- tiva del celebre idillio. Nell’interpretazione
mo: Anna Dolfi (Leopardi tra negazione e semiotica dell’Infinito di Jurij Lotman (J.
utopia. Indagini e ricerche sui “Canti”, Lotman – B. A. Uspenskij, Tipologia della
1973); Franco Brioschi (La poesia senza no- cultura, 1975) si insiste sull’antitesi tra spazio
me, 1975); Mario Andrea Rigoni (Saggi sul esterno e spazio interno; in quella di Gio-
pensiero leopardiano, 1985; Il pensiero di vanni Bottiroli (Retorica della creatività. Per
Leopardi, 1997); Angiola Ferraris (L’ultimo l’interpretazione e la produzione dei testi,
Leopardi, 1987); Franco Ferrucci (Leopardi 1987) l’accento è posto invece sull’opposi-
filosofo e le ragioni della poesia, 1987; Il for- zione infinito spaziale-infinito temporale, ri-
midabile deserto. Lettura di G. Leopardi, flessa anche nelle strutture linguistiche. Inte-
1998); Maria de Las Nieves Muñiz Muñiz ressante è il saggio di Giovanni G. Amoretti
(Poetiche della temporalità. Manzoni, Leo- (“L’ultimo orizzonte”. Lettura psicanalitica
pardi, Verga, Pavese, 1990); Anna Clara Bo- dell’Infinito di G. Leopardi, in Poesia e psi-
va (Illaudabil meraviglia. Le contraddizioni canalisi: Foscolo e Leopardi, 1979), che,
della natura in G. Leopardi, 1992); Alberto senza rinunziare al confronto con altre inter-
Folin (Leopardi e la notte chiara, 1993; Pen- pretazioni critiche, muove all’esplorazione
sare per affetti. Leopardi, la natura, l’imma- del linguaggio gestuale e del simbolismo
gine, 1996); Alberto Caracciolo (Leopardi e materno per scoprire il messaggio umano
il nichilismo, 1994); Liana Cellerino (L’io del profondo dell’idillio. Si affianca a questi il
topo. Pensieri e letture dell’ultimo Leopardi, saggio di Giorgio Manacorda (Materialismo
1997); Antonio Prete (Finitudine e infinito. e masochismo. Il “Werther”, Foscolo e Leo-
Su Leopardi, 1998); Salvatore Natoli, Anto- pardi, 1973), che passa in rassegna alcuni
nio Prete (Dialogo su Leopardi. Natura, poe- motivi simbolici presenti nella poesia di Leo-
sia, filosofia, 1998). Importanti gli interventi pardi, mettendoli a raffronto con I dolori del
di Claudio Colaiacomo sullo Zibaldone giovane Werther di Goethe e con le Ultime
(1995), in cui si ricostruiscono le linee por- lettere di Jacopo Ortis di Foscolo e colle-
tanti dell’opera nella sua dialettica fra siste- gandoli con gli orientamenti ideologici e
ma e anti-sistema, e sui Canti (1995), di cui si culturali del tempo. Frutto di un’indagine
individuano le strategie compositive e le accurata e prolungata negli anni sono i sag-
nervature strutturali mediante un penetrante gi di Elio Gioanola, raccolti nel volume Leo-
scavo testuale. pardi, la malinconia (1995). Il critico muove
da un’analisi minuziosa della biografia del
poeta, a partire dal suo complesso rapporto
Strutturalismo, semiotica
col padre, per giungere alle varie fasi del-
e psicanalisi
l’ideologia e della produzione, viste costan-
Significativi e originali, fra i contributi criti- temente nel quadro della fenomenologia
ci degli ultimi decenni, quelli ispirati ai me- malinconica, di una “malinconia” che è in-
todi dello strutturalismo, della semiotica, sieme elemento patologico e stimolo ecce-
della psicanalisi, capaci di offrire elementi zionale per la creazione poetica.
166 CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI – L’INTERPRETAZIONE CRITICA © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS
Il contrasto fra intelletto e cuore
Francesco De Sanctis
L’affermazione del carattere attivo e positivo del pessimismo leopardiano, fondato sul contrasto tra cuore e intel-
letto, tra la razionale negazione della vita e la riaffermazione delle illusioni di felicità e di bellezza che incessante-
mente risorgono: è questa la tesi centrale di De Sanctis, destinata a condizionare gran parte della critica successiva.
Leopardi
riesce a rendere poetico questo stato di riflessione e questa distruzione del sentimento, che sono cose som-
mamente prosaiche […]. Vi riesce perché dura in lui il contrasto tra il cuore e l’intelletto, e anche quando l’in-
telletto, dissipatore delle illusioni, vince sull’altro, egli prova sì forte angoscia che produce ancora poesia.
Questa feconda contraddizione è illustrata nella pagina qui riportata, giustamente celebre perché non solo defini-
sce in profondità il pensiero e la poesia di Leopardi, ma è anche il primo deciso riconoscimento dell’alta coscienza
morale di Leopardi, cui si rifanno apertamente, dall’Ottocento al Novecento, tutti gli studiosi che pongono l’accen-
to sul carattere etico dell’opera leopardiana.
Il carattere
Leopardi produce l’effetto contrario a quello che si propone. Non crede al progresso, e te
attivo e positivolo fa desiderare; non crede alla libertà, e te la fa amare. Chiama illusioni l’amore, la gloria,
del pensiero
di Leopardi la virtù, e te ne accende in petto un desiderio inesausto. E non puoi lasciarlo, che non ti
senta migliore; e non puoi accostartegli, che non cerchi innanzi di raccoglierti e purificarti,
perché non abbi ad arrossire al suo cospetto. È scettico, e ti fa credente; e mentre non cre-
de possibile un avvenire men tristo per la patria comune, ti desta in seno un vivo amore
per quella e t’infiamma a nobili fatti. Ha così basso concetto dell’umanità, e la sua anima al-
ta, gentile e pura l’onora e la nobilita. E se il destino gli avesse prolungata la vita infino al
quarantotto, senti che te l’avresti trovato accanto, confortatore e combattitore. Pessimista od
Le differenze anticosmico, come Schopenhauer1, non predica l’assurda negazione del “Wille”2, l’innatu-
rispetto rale astensione e mortificazione del cenobita: filosofia dell’ozio che avrebbe ridotta l’Euro-
a Schopenhauer
pa all’evirata immobilità orientale, se la libertà e l’attività del pensiero non avesse vinto la
ferocia domenicana e la scaltrezza gesuitica.3 Ben contrasta Leopardi alle passioni, ma solo
alle cattive; e mentre chiama larva ed errore tutta la vita, non sai come, ti senti stringere più
saldamente a tutto ciò che nella vita è nobile e grande. L’ozio per Leopardi è un’abdicazio-
ne dell’umana dignità, una vigliaccheria; Schopenhauer richiede l’occupazione come un
mezzo di conservarsi in buona salute. E se vuoi con un solo esempio misurare l’abisso che
divide queste due anime, pensa che per Schopenhauer tra lo schiavo e l’uomo libero corre
una differenza piuttosto di nome che di fatto; perché se l’uomo libero può andare da un
luogo in un altro, lo schiavo ha il vantaggio di dormire tranquillo e vivere senza pensiero,
avendo il padrone che provvede a’ suoi bisogni; la qual sentenza se avesse letta Leopardi,
avrebbe arrossito di essere come “Wille” della stessa natura di Schopenhauer.
[…] Aggiungi che la profonda tristezza con la quale Leopardi spiega la vita, non ti ci fa ac-
quietare, e desideri e cerchi il conforto di un’altra spiegazione. Sicché se caso, o fortuna, o
destino volesse che Schopenhauer facesse capolino in Italia, troverebbe Leopardi che gli si
attaccherebbe a’ piedi come una palla di piombo, e gl’impedirebbe di andare innanzi.
da Schopenhauer e Leopardi, in Saggi critici, a cura di L. Russo, II, Laterza, Bari, 1957
1. Schopenhauer: il saggio Schopenhauer e Leopardi nasce in forma di dialogo tra A (un antico discepolo di De Sanctis) e
D (l’autore stesso) e propone un raffronto tra i due pensatori, dei quali il critico dice: Leopardi e Schopenhauer sono una
cosa. Quasi nello stesso tempo l’uno creava la metafisica e l’altro la poesia del dolore. I termini del raffronto sono stati ap-
profonditi successivamente da critici e filosofi nel tentativo di superare anche i criteri dell’impostazione desanctisiana.
2. “Wille”: significa “volontà”, che nel pensiero di Schopenhauer rappresenta il principio infinito di tutto il reale e si realizza
come volontà cieca di vivere, irrazionale, che si dispiega senza finalità e causa il dolore perché il volere implica un bisogno;
l’uomo può liberarsi dal dolore e sottrarsi al dominio tirannico della volontà attraverso la soppressione della volontà di vivere.
3. la ferocia domenicana… gesuitica: l’accenno polemico è all’ordine religioso dei domenicani, frati predicatori, che soprat-
tutto nel Medioevo si sono macchiati di crudeltà e ferocia nel difendere l’ortodossia e nel combattere gli eretici, come è acca-
duto nella crociata contro gli Albigesi; quanto alla congregazione dei gesuiti, l’accusa di scaltrezza richiama l’atteggiamento
piuttosto diplomatico e ipocrita che spesso è stato loro attribuito nello svolgimento della loro opera dottrinale ed educativa.
© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI – L’INTERPRETAZIONE CRITICA 167
Leopardi: la delusione storica e il progressismo
Cesare Luporini
La prospettiva da cui muove Luporini è quella di considerare il sistema filosofico e tutto l’atteggiamento leopardia-
no come frutto di una delusione storica, della particolare situazione emotiva della generazione maturata sulle dram-
matiche esperienze della Rivoluzione francese e della Restaurazione. Leopardi, di orientamento democratico e re-
pubblicano, reagisce alla delusione storica additando una visione energica della vita. Il pessimismo e il materialismo
leopardiano, anziché risolversi in rifiuto e rinuncia all’azione, si mostrano “progressivi” nel senso che il poeta tenta,
comunque, di giustificare la sua epoca, di vedere in essa non un fallimento ma il principio di una vita nuova […], il
filo della speranza.
La “filosofia” del Leopardi si risolve tutta, o pressoché tutta, su questo terreno: egli fu un
grande “moralista”, apparizione molto rara nella tradizione italiana e proprio per questo
Le radici non facilmente comprensibile presso di noi. Il suo pensiero nasce da un’esperienza tragi-
del pensiero ca, acutamente rappresentata e analizzata, e sia pure, com’è stato detto, esperienza di
di Leopardi
una “vita strozzata”: ma una vita strozzata è tuttavia una vita e può divenire, anche stori-
camente, altamente indicativa. L’importanza di questa esperienza e della sua espressione
non è quindi nella pretesa alla universalità scientifica, ma nell’intensità e precisione che
essa acquista e riesce a mantenere dentro il limite che le è proprio, per cui diventa in
qualche modo esemplare e tipica. L’esperienza leopardiana ha le sue radici essenzial-
mente nell’epoca romantica, ma tuttavia la oltrepassa per la direzione in cui si svolge, per
la schiettezza e virile compostezza con cui è vissuta e fatta oggetto di riflessione, priva
com’è di estetizzante compiacimento e, quasi sempre, del gusto della sofferenza e dilace-
razione da cui è materiata: “coscienza infelice” che non si culla in se medesima. I termi-
ni in cui si precisa questa esperienza sono, nel loro scomporsi e ricomporsi, legati stret-
tamente, e in certo modo fisiologicamente, alla vicenda individuale di Leopardi; tuttavia,
proprio per quella particolare esemplarità e intensità, hanno un ben delineato valore sto-
rico, rappresentano in una sua sfumatura la crisi di una società e di un’epoca (onde la ri-
sonanza europea del Leopardi), talché si può dire che nell’anima moderna vi è una nota
inconfondibile che è il “momento leopardiano”. È il momento, drammaticamente soffer-
to, dell’isolamento del mondo interiore, della sua incongruenza con la realtà storica e con
la quotidianità della vita. Un momento che già lo Hegel1 aveva sentito e acutamente in-
dicato in un frammento giovanile: “la nostalgia verso la vita di coloro che hanno elabora-
to in sé la natura in idea... Costoro non possono vivere soli, e l’uomo è sempre solo an-
che se egli si è posto dinanzi la propria natura e di questa rappresentazione ha fatto il
SUO compagno e in essa gode se stesso: egli deve trovare anche il rappresentato come
un vivente”. Questo fu appunto il problema iniziale e fondamentale del Leopardi; quello
in cui egli andò deluso: trovare il rappresentato, l’immagine, come un vivente. Aggiunge-
va lo Hegel: “Lo stato dell’uomo che il tempo ha cacciato in un mondo interiore, può es-
sere o soltanto una morte perpetua, se egli in esso si vuol mantenere, o, se la natura lo
spinge alla vita, non può essere che un anelito a superare il negativo del mondo sussi-
Noia e illusione stente, per potersi trovare e godere in esso, per poter vivere”. Leopardi visse in un siffat-
secondo to anelito e in esso fallì. Spinto alla vita non poté superare “il negativo del mondo sussi-
Leopardi
stente”: non si trattava soltanto del mondo delle sue misere vicende personali, ma del-
l’epoca che egli fu costretto a rifiutare. Egli non si poté “trovare e godere” in essa, non
poté, in tal senso, “vivere”. Cercò, e non poté trovare, il “rappresentato come un viven-
te”. Questo “rappresentato” si chiamò così per lui illusione. Cacciato e isolato dal tempo
e dalle circostanze nel “mondo interiore”, lo stato, mal sofferto, che egli analizzò e cercò
di teorizzare fu lo stato della “morte perpetua”, il tedio, la noia.
Il tedio, gran tema dei romantici, è principio e fine del “sistema” di Leopardi, ma non
ne rappresenta, da solo, l’intero dinamismo. Il rapporto che Leopardi ha con esso, co-
1. Hegel: G. W. Friedrich Hegel (1770-1831), celebre filosofo tedesco, massimo rappresentante dell’Idealismo.
168 CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI – L’INTERPRETAZIONE CRITICA © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS
me con tutti i termini del suo mondo filosofico (natura, ragione, illusione ecc.), è un
rapporto personale e drammatico, di consentimento o risentimento, di accettazione o
deprecazione.
Questi termini divengono essi stessi personaggi di un dramma. La noia rivela il vuoto, il
nulla delle cose, conclude Leopardi. Ma il vuoto, il nulla, sono personaggi tragici solo in
quanto corrispondono a un’aspirazione inappagata, che trova tutto meschino ciò che è
dato e può venir dato. Quest’apparizione inappagata ha un volto scoperto, che il Leopar-
di analizza e conduce al paradosso, ma ha anche una sostanza nascosta che spetta a noi
trarre alla luce. Questa sostanza è, vedremo, l’aspra delusione storica che sta all’origine
Romanticismo del dissidio leopardiano. Essa è rivelata proprio dalla pervicace volontà che ebbe il Leo-
e razionalismo pardi di tenersi stretto al gioco rigoroso dei termini che la esprimevano, che è come dire
alle proprie convinzioni razionali, e di non evadere nel vago e nell’indefinito dell’ethos
romantico, egli che del vago e dell’indefinito sentì (e la teorizzò) tutta la suggestione poe-
tica. Non bisogna dimenticare che questo romantico fu un ateo e un materialista, il qua-
le non solo si tenne fedele, ma sempre più si confermò, da ultimo quasi con accanimen-
to, nei principi del ’700; e già aveva combattuto al suo sorgere, in Italia, il Romanticismo
letterario, di cui non accolse mai le forme e le convenzionali figurazioni, anche quando
la sua poesia da poesia di immagini, si fece, per una crisi di vita, come egli ci dice, “poe-
sia di sentimento”, ossia poesia romantica: “non divenni sentimentale se non quando,
perduta la fantasia, divenni insensibile alla natura e tutto dedito alla ragione e al vero,
cioè filosofo.” […] Per il Leopardi il Romanticismo è una conseguenza del razionalismo,
non per antitesi dialettica, ma perché la ragione, distruggendo le immagini, nel cui gioco
oggettivo il mondo classico si era chiuso e difeso, dà luogo a un “traboccare” del senti-
mento. Si stabilisce così una peculiarissima continuità fra ragione e sentimento che diver-
rà una caratteristica intrinseca della “impura” poesia leopardiana. Ma questa continuità,
nei medesimi termini, viene proiettata dal Leopardi anche sul piano storico e costituirà
per lui il drammatico e fondamentale problema, variamente tentato, del rapporto della
propria età col secolo che l’ha preceduta. L’antitesi non è dunque, in Leopardi, parrebbe,
fra ragione e sentimento, ma fra altri termini: inizialmente fra sentimento ed immagini;
antitesi, sembrerebbe, tutta letteraria. Ma dietro di essa operava già un contrasto vitale; a
cui Metastasio o Monti e i contrapposti romantici, eran di ben scarso paravento: il contra-
sto vitale fra natura e ragione, prima scena del dramma leopardiano. [...] Tuttavia tra Leo-
La delusione pardi e Rousseau2 la divergenza è sostanziale, e questa divergenza è resa più importante
storica da quanto era accaduto nei tempi trascorsi fra loro. Rousseau vive ante rem e Leopardi
vive post rem,3 e questa cosa, decisiva per la posizione storica di ambedue, è stata la
grande Rivoluzione. Rousseau aveva aperto la strada alla Rivoluzione e aveva aperto la
strada anche al Romanticismo. Ora, Leopardi, che vive nel Romanticismo, lo rifiuta e non
si abbandona alle sollecitazioni etiche e politiche che venivano da esso. E qui sta il pun-
to più delicato per intendere tutta la posizione di Leopardi, il suo dramma, il suo intimo
dissidio che non è tanto e soltanto un dissidio personale e soggettivo, ma un dissidio sto-
rico. Quella ragione, la ragione settecentesca, che egli condanna è anche la ragione che
egli ama, l’unica che egli riconosce e sempre riconoscerà per tale, quella appunto che
aveva prodotto la filosofia razionalistica e materialistica del ’700, quella che aveva acceso
tante speranze in tutto il campo della civiltà umana, e soprattutto della vita sociale e po-
litica, speranze a cui ancora il Leopardi partecipa e che tuttavia egli riscontra deluse nei
propri tempi. Alla radice di tutto l’atteggiamento del Leopardi verso la “ragione” e verso
la “filosofia” sta questa delusione storica, in cui il momento politico è, naturalmente, de-
cisivo. La ragione che doveva per sempre distruggere le barbarie, le superstizioni, instau-
rare l’uguaglianza e la democrazia, riportare l’uomo civile al giusto e sano equilibrio con
2. Rousseau: Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), filosofo francese, illuminista, si distinse anche come pre-romantico nel-
la rivendicazione della spontaneità del sentimento rispetto alla ragione.
3. ante rem… post rem: letteralmente “prima della cosa” (cioè l’avvenimento) e “dopo la cosa”, cioè prima e dopo la Ri-
voluzione francese.
© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI – L’INTERPRETAZIONE CRITICA 169
la natura, [...] ebbene, questa ragione è fallita, la Rivoluzione da essa prodotta si è invo-
luta e ne è nato il dispotismo napoleonico, e poi soprattutto l’epoca presente, la Restau-
razione, in cui la cosa migliore, più progressiva, è il compromesso liberale e monarchico-
costituzionalistico, a cui il Leopardi, pur riconoscendone il relativo valore, ripugna come
dinanzi a tutti i compromessi.
Questa delusione storica, e con essa l’entusiasmo disincantato e quindi smorzato, o can-
giato in asprezza e quindi in risentimento, e tuttavia insieme un’inconcussa e nascosta fe-
de, riguardo alla ragione e filosofia settecentesca, fremono nelle pagine dello Zibaldone,
specie in tutta la sua prima metà. [...]
Il giudizio Dunque vi è almeno un punto, nella storia moderna, in cui si è stati “sollevati dalla bar-
di Leopardi barie” e questo punto è stato la Rivoluzione. In rapporto ad essa nasce il giudizio di Leo-
sulla propria
epoca pardi sulla propria epoca e sui due secoli che l’hanno preceduta. Ora, non è da credere
che il giudizio negativo di Leopardi sulla propria epoca nasca tutto d’un colpo, sia tutto
e soltanto un giudizio di risentimento e di avversione, di avversione moralistica. Esso è
un giudizio che si è formato travagliatamente proprio attraverso il tentativo di giustificare
questa epoca, di vedere in essa non un fallimento ma il principio di una vita nuova, lo
svolgimento storico della Rivoluzione, di trovare in essa il filo della speranza. Di qui an-
che l’attenta discussione che il Leopardi continuamente fa degli autori contemporanei, e
i loro nomi sono significativi, la Staël, il Lamennais, il Constant, lo Chateaubriand ecc.4
Questa discussione andrebbe ricostruita scrupolosamente e merita uno studio a parte.
Ora, il tentativo di giustificare la propria epoca è importante e probativo, proprio perché
in esso opera già la delusione storica e quindi operano già le caratteristiche categorie leo-
pardiane, natura, ragione, filosofia, illusione ecc., ed esso, sul piano teorico, diventa un
tentativo di superarne la rigida contrapposizione e di trovare ulteriori termini di raccordo
e di mediazione fra loro.
da Leopardi progressivo, in Filosofi vecchi e nuovi, Sansoni, Firenze, 1947
4. la Staël… Chateaubriand: Madame de Staël, scrittrice francese, riunì intorno a sé un importante salotto letterario e divul-
gò le idee romantiche, esercitando un notevole influsso sulla letteratura europea. Félicité-Robert de Lamennais (1782-
1854), pubblicista e filosofo francese, fu uno dei più noti e influenti pensatori cattolici, esponente del liberalismo cattoli-
co. Henri Benjamin Constant (1767-1830), fu uno dei maggiori esponenti del Romanticismo, autore del romanzo autobio-
grafico e introspettivo Adolphe. François-René de Chateaubriand (1768-1848), scrittore francese, pose il suo talento al ser-
vizio della fede cristiana (cfr. vol. IV, pag. 231 e segg.).
Severino, filosofo prima che critico, vede in Leopardi non il poeta che corteggia col canto della poesia la verità fi-
losofica, l’arido vero, ma il poeta che consola il deserto del nichilismo occidentale, avvertendo nel contempo il let-
tore che la consolazione, che può provenire solo dalla poesia, appartiene anch’essa al deserto e, in quanto consola-
zione, è pure la più tragica testimonianza del deserto stesso. Fatta la scoperta del nichilismo del pensiero e della ci-
viltà occidentali, Leopardi ne deduce che la ricerca della “verità” non può essere un rimedio all’angoscia, ma all’op-
posto, è la radice stessa dell’angoscia. Il rimedio, semmai, sarebbe nella dimenticanza della verità. Non è possibile,
tuttavia, dimenticare la verità nel tempo odierno, nell’età della piena ragione, nell’età della scienza e della tecnica.
L’unica strada percorribile, dunque, è quella del “genio”, cioè di chi è in grado di saldare la verità filosofica con la
poesia e, attraverso la poesia, vedere in piena luce tutta la negativa portata della verità. Nella produzione leopardia-
na, testimone del nulla è soprattutto il canto de La ginestra, il fiore del deserto che solo può consolare il deserto per-
ché ne partecipa della sorte. Se la filosofia ci parla del nulla desertificante, solo la poesia, come fiore del deserto,
può testimoniare il deserto non dall’esterno, ma dall’interno.
170 CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI – L’INTERPRETAZIONE CRITICA © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS
Le illusioni Il fuoco annientante circonda ogni uomo e sta dinanzi ai suoi occhi. Ma non ogni uomo
degli uomini lo scorge o vuol scorgerlo. “E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce”1 quel-
le che stanno dinanzi all’uomo quando egli distoglie lo sguardo dal fuoco e si illude, o
sognando la luce di un Dio che discende tra gli uomini per salvarli dalla morte, oppure
sognando, il capo “eretto / con forsennato orgoglio inver le stelle” (vv. 309-10), le sorti
magnifiche e il progresso della civiltà della tecnica. Non si illude invece, e regge la vi-
sione del fuoco, la “nobil natura che a sollevar s’ardisce / gli occhi mortali incontra / al
comun fato, e che con franca lingua, / nulla al ver detraendo, / confessa il mal che ci fu
dato in sorte, / e il basso stato e frale; / quella che grande e forte / mostra a sé nel sof-
frir [...]” (vv. 111-19).
La coincidenza Non detraendo nulla al vero, la “nobil natura” è il vero filosofo. Ma al filosofo vero non
tra poeta s’addice lo sguardo spento di chi resta accecato dal fuoco, bensì la potenza e grandezza
e filosofo
dello sguardo che regge con ardimento la vista del fuoco – “a sollevar s’ardisce / gli oc-
chi mortali incontra / al comun fato” –; e si addice la “franca lingua” che riconosce la nul-
lità umana e la nullità insensata e contraddittoria dell’essere. L’ardimento dello sguardo,
la franchezza ardita della lingua, la grandezza e fortezza nella sofferenza sono i tratti del
poeta. L’ardimento dello sguardo è l’ardimento stesso della lingua; e l’«ardire» del linguag-
gio è l’essenza stessa della bellezza della poesia. Solo il vero poeta è vero filosofo. Solo
il vero filosofo è vero poeta. È, questo, il nodo centrale del pensiero di Leopardi. Alla
poesia non è più concesso di illudere, evocando il sogno dell’infinito e dell’eterno: la ve-
ra poesia non detrae nulla alla verità, ossia è vera filosofia.
La natura Il “genio” – la nobile natura che unisce in sé la vera poesia e la vera filosofia – sta “su
della ginestra l’arida schiena” del vulcano sterminatore (vv. 1-3). Guarda il fuoco della lava e il fiam-
meggiar delle stelle. La nobile natura del genio è la ginestra, il “fiore del deserto”. E in-
nanzitutto in se stesso è inevitabile che Leopardi veda la nobile natura del genio, cioè ve-
da la ginestra nel proprio pensiero poetante – che per la prima volta nella storia dell’Oc-
cidente, «nulla al ver detraendo», scorge l’impossibilità di ogni eterno e di ogni infinito,
aprendo la strada a tutta la filosofia contemporanea e conducendo l’Occidente alla forma
più rigorosa e inevitabile della coscienza che la nostra civiltà può avere di sé –; il pensie-
ro poetante che per la prima volta canta nella poesia, con ardimento supremo, quella
nullità dell’essere che nelle pagine dei Pensieri è indicata con una potenza speculativa
che fa del pensiero di Leopardi una delle forme più alte della filosofia dell’Occidente (e
dunque del nichilismo dell’Occidente) – e anzi la più alta, se si riesce a scorgere la forza
invincibile con cui esso, sul fondamento della fede nell’annientamento di ogni essere, di-
strugge l’essenza stessa dell’intera tradizione filosofica e culturale dell’Occidente, che pu-
re era stata costruita per salvare l’uomo dall’angoscia prodotta da quella fede. Che poi
questa forza invincibile si riveli essa stessa contraddittoria [...] non è una debolezza del
pensiero di Leopardi, ma è il destino a cui il nichilismo va incontro quando si spinge fi-
no a toccare la volta del proprio cielo.
La “nobil natura”, il genio che unisce filosofia e poesia, il pensiero poetante di Leopardi,
la ginestra sono la stessa cosa. L’immedesimazione è indicata sin dalla prima parola del
Canto, che rivolgendosi all’“odorata ginestra” dice: “Qui”. (“Qui su l’arida schiena / del
formidabil monte / sterminator Vesevo”.) “Qui”, dove sono io, dice il genio; qui dove so-
vente “seggo la notte; e su la mesta landa in purissimo azzurro / veggo dall’alto fiammeg-
giar le stelle”; qui dove, peregrino, vedo il bagliore della lava “dal deserto foro / diritto
infra le file / dei mozzi colonnati”.
Alla fine del Canto il cantore torna a rivolgersi, come all’inizio, alla ginestra, e la chiama
“più saggia” e “tanto / meno inferma” dell’uomo (vv. 314-15). Diversa dall’uomo, perché
essa è l’uomo nella forma della nobile natura del genio. Non un super-uomo, ma “Uom
di povero stato e membra inferme / che sia dell’alma generoso ed alto” (vv. 87-88); sì che
la nobile natura della ginestra – che sta per soccombere anch’essa “alla crudel possanza
1. “E gli uomini... luce”: è il versetto biblico del Vangelo di Giovanni (3, 19) che Leopardi mette come epigrafe a La ginestra.
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/ [...] del sotterraneo foco” e come ogni altra cosa non riesce a rimaner ferma di contro al
nulla che la invade – è “tanto / meno inferma” dell’uomo perché è ben più ferma dell’uo-
mo nella sua saggezza, che non le farà piegare il capo supplicando il fuoco annientante
di risparmiarla, e non glielo farà nemmeno tenere “eretto / con forsennato orgoglio inver
le stelle, / né sul deserto” in una vana illusione di immortalità. “Non io / con tal vergogna
scenderò sotterra” (vv. 63-64). Alla ginestra compete la saggezza della filosofia autentica
dell’Occidente, che scorge la nullità del tutto.
La potenza Ma le compete anche la potenza consolatrice della poesia, soprattutto una volta che an-
consolatrice che la natura e l’essere in quanto essere si mostrano come contraddizione e insensatezza
della poesia
estreme.
“[...] Or tutto intorno / una ruina involve, / dove tu siedi, o fior gentile, e quasi / i danni
altrui commiserando, al cielo / di dolcissimo odor mandi un profumo, / che il deserto
consola [...]”.
Guardando il fuoco annientante del vulcano e del cielo, la ginestra, unica, rimasta sola
dopo la morte dei fiori e degli alberi, cioè dei rimedi che l’uomo prepara per difendersi
dal nulla, unica “allegra” (v. 4) i deserti della terra e del cielo, ne è “contenta” e sparge un
profumo dolcissimo che li consola. Commiserando e consolando il deserto, il profumo
della ginestra non lo guarisce e non lo rende fertile; non dà un senso ad esso, che è l’as-
soluta mancanza di senso, la ginestra conduce il deserto all’interno del suo profumo, lo
mostra nel profumo. Il profumo è il modo in cui la ginestra indica e rappresenta il deser-
to, di cui essa è la sentinella, il modo in cui gli si rivolge e lo accoglie in sé. Per conso-
larlo, deve averlo dinanzi – e ogni uomo ha dinanzi il deserto, anche se non solleva su di
esso lo sguardo –, ma la ginestra lo ha dinanzi profumandolo, e il profumo è la consola-
zione. In questo profumo che consola il deserto consiste la poesia.
Lo dice Leopardi stesso, in modo esplicito, in quelle pagine 259-62 dei Pensieri, alle qua-
li abbiamo continuato a riferirci e che parlano appunto delle “opere di genio”: pur mo-
strando il deserto della nullità e infelicità della vita, esse consolano col loro profumo,
aprono il cuore e ravvivano, sollevano l’anima come il profumo solleva verso il cielo gli
abitatori del deserto.
Dopo i “pensieri” del 1824, che mostrano l’esistenza della contraddizione – l’esistenza di
ciò che è impossibile che esista – anche la tematica dell’opera del genio acquista un’in-
tensità estrema, perché la nullità delle cose, ora, è insieme la loro insensatezza e contrad-
dizione. Il deserto diventa infinitamente più aspro e angosciato, perché infinitamente più
temibile è il “vero” a cui la nobile natura del genio non detrae nulla; infinitamente più pe-
sante il dolore e l’angoscia che il fiore del deserto consola. Cresce il deserto – cresce la
poesia. Il genio di Leopardi – la ginestra – vede qualcosa che nessun altro ha veduto: il
deserto totalmente invaso dal “male”, dove “le cose non sono cose”, e che è “cosa arca-
na e stupenda” appunto perché “la cosa non è cosa”.
L’arca dell’arcano – l’essere – è vuota, non custodisce che il nulla, ed è essa stessa essere
e nulla, identità di essere e nulla. Per questo è “stupenda”, cioè angosciante. Cresce
l’estensione e l’intensità del deserto: la cosa – l’essere – è deserto perché si trova “in mez-
zo” al nulla e attraversata dal nulla e perché il suo sporgerne è l’impossibile che esiste, lo
sporgere dal nulla che è insieme identico al nulla. L’arca è questa sporgenza, insensata e
senza perché. Le illusioni, ora, non mascherano soltanto il nulla, ma anche l’esistenza
dell’insensatezza, della impossibilità, della contraddizione del divenire delle cose. Anche
l’opera del genio, ora, è illusione in questo senso più radicale. E sa di esserlo. Come sa
di essere essa stessa, in quanto “esistente”, esistenza dell’impossibile: essa stessa volta ad
un fine – il sollevarsi al di sopra del nulla e della contraddizione – che non è fine
dell’“esistenza” stessa dell’“esistente” in cui essa consiste.
da Cosa arcana e stupenda. L’Occidente e Leopardi, Rizzoli, Milano, 1997
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