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ISBN 978-88-268-9009-8

Edizioni Certi Car Graf


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Direzione Editoriale: Progetti di Editoria S.r.l.


Redazione: Lucia Mapelli
Progetto grafico: Massimiliano Micheletti
Impaginazione: BaMa – Vaprio d’Adda (MI) e Massimiliano Micheletti
Copertina: Vavassori & Vavassori
Stampa: L.E.G.O. SpA – Vicenza

In copertina: Ritratto di Giovanni Pascoli.

Il progetto didattico generale dell’opera è stato studiato ed elaborato da tutti gli Autori, con il
coordinamento di Giorgio Bárberi Squarotti.
In particolare, Valter Boggione ha curato i seguenti capitoli: L’età del Realismo: quadro storico, socia-
le e culturale, La letteratura dell’Italia postunitaria, La Scapigliatura, Giosue Carducci, Il Verismo e il
Realismo in Italia. Roberto Mercuri ha elaborato i capitoli di Giacomo Leopardi e Giovanni Verga.
Giangiacomo Amoretti e Giannino Balbis hanno curato i seguenti capitoli: Tra Ottocento e Novecen-
to: quadro storico, sociale e culturale, La narrativa italiana dal Verismo al Decadentismo, Giovanni Pa-
scoli e Gabriele d’Annunzio. I seguenti capitoli: Il Realismo europeo, Il Naturalismo, Charles Baude-
laire e La poesia simbolista e l’estetismo sono a cura di Gabrio Pieranti, con la revisione editoriale di
Valter Boggione, Giangiacomo Amoretti e Giannino Balbis.
Anna Besozzi ha curato le schede di Letteratura e cinema e la scheda di Letteratura e arte sulla pittu-
ra simbolista.
L’elaborazione del Lavoro sul testo dei brani antologici e degli esercizi di sintesi è a cura di Paola
Salmoiraghi.

Con la collaborazione della Redazione e dei Consulenti dell’I.I.E.A.


Si ringraziano per la preziosa collaborazione Giuseppe Palazzolo e Giancarlo Russo.

Il presente volume è conforme alle disposizioni ministeriali in merito alle caratteristiche tecniche
e tecnologiche dei libri di testo.

Si ringraziano le Fondazioni letterarie e artistiche, i Musei e gli archivi delle riviste storiche e i foto-
grafi che hanno gentilmente fornito il materiale iconografico.
L’editore dichiara la propria disponibilità a regolarizzare errori di attribuzione o eventuali omissioni sui
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UN’OPERA
Presentazione
MISTA, DIGITALE E MULTIMEDIALE PER COMPUTER, TABLET E LIM
Contesti letterari è un'opera mista formata dal libro cartaceo; l’e-Book per computer, tablet e LIM con
espansioni multimediali; i materiali integrativi on line.
L'E-book per computer, tablet e LIM contiene le seguenti espansioni multimediali:
– filmati sugli autori e sui contesti storici – esercizi interattivi
– biografie interattive – gallerie di immagini
– file audio di 200 testi poetici e di
molti brani narrativi dell'intero corso
Materiali integrativi on line
Per ogni volume, sono disponibili sul sito della Casa Editrice: altri testi antologici, in particolare per i gran-
di autori; percorsi tematici monografici di carattere letterario e di carattere interdisciplinare (letteratura e
arte, letteratura e filosofia, ecc.).

LETTERATURA ITALIANA: PER UNA DIDATTICA DELLE COMPETENZE


Nel quadro generale di un percorso quinquennale di approccio al mondo della letteratura, il Secondo
Biennio e il Quinto Anno della Scuola Secondaria di Secondo Grado rappresentano il momento deter-
minante per l’acquisizione delle specifiche competenze disciplinari progressivamente esercitate
sugli innumerevoli testi della letteratura italiana dalle origini ai nostri giorni e su quelli degli autori e
dei movimenti più significativi delle letterature straniere. In questa prospettiva Contesti letterari, nella
strutturazione didattica di materiali che propone, agevola l’assimilazione di un metodo specifico di
lavoro da parte dello studente, “che si impadronisce via via – come suggeriscono le Linee generali
delle nuove Indicazioni – degli strumenti indispensabili per l’interpretazione dei testi: l’analisi lingui-
stica, stilistica, retorica; l’intertestualità e la relazione fra temi e generi letterari; l’incidenza della strati-
ficazione di letture diverse nel tempo; l’abilità di riconoscere l’interdipendenza fra le esperienze che
vengono rappresentate (i temi, i sensi espliciti e impliciti, gli archetipi e le forme simboliche) nei testi
e i modi della rappresentazione (l’uso estetico e retorico delle forme letterarie e la loro capacità di con-
tribuire al senso)”.
STRUTTURA DELL’OPERA
Contesti letterari presenta la storia della letteratura secondo uno sviluppo cronologico in sette volumi,
così articolati:
1. Dalle Origini al Trecento 5. Leopardi, il Realismo e il Decadentismo
2. Dall’Umanesimo alla Controriforma 6. La prima metà del Novecento
3. Dal Barocco all’Illuminismo 7. Dal Secondo Dopoguerra a oggi
4. L’Età napoleonica e il Romanticismo
Al primo volume è allegato il tomo Strumenti di analisi e di scrittura, un prezioso vademecum didat-
tico per lo studente. È dedicato alle abilità di base (il riassunto e la sintesi, la parafrasi e la trascrizione,
la relazione) e a tutte le tipologie della Prima prova dell’Esame di Stato (l’analisi testuale, il saggio breve,
l’articolo di giornale, il tema).
I volumi sono composti di capitoli introduttivi di contesto storico-sociale, di capitoli monografici dedi-
cati ai grandi autori e di capitoli dedicati a correnti letterarie, movimenti e generi. Schede interdisci-
plinari, Focus, Parole chiave e mappe riepilogative arricchiscono la trattazione.
Molto vasta è la trattazione antologica con grande ricchezza di annotazioni per ogni brano, sempre
corredato di Linee di analisi testuale e Lavoro sul testo, con esercizi modulati sulle prove dell’Esame
di Stato.
MATERIALI DIDATTICI PER L’INSEGNANTE
Per i Docenti sono disponibili tre guide didattiche, una per ciascuno dei tre anni di corso. Propongono
schede di programmazione didattica organizzate secondo un criterio storico-letterario ed altre che indi-
viduano percorsi tematici. La parte centrale dei tre volumi è costituita dalle Schede di verifica, che testa-
no le conoscenze e le competenze degli studenti, corredate di soluzioni. In ogni volume sono presenti
inoltre alcune Schede modello, che suggeriscono una traccia per l’analisi delle principali tipologie di
testi letterari (un sonetto, un canto della Commedia dantesca, una novella, un testo teatrale, ecc.).

L’Editore
© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS
Indice generale
Simboli rubriche: Materiali on line F Focus P Parole chiave

Testi antologici Testo critico ■ Letteratura e...


■ Interpretazione
critica

La natura della raccolta 31


GIACOMO LEOPARDI F La struttura dei Canti 32
Le fonti 34
Capitolo 1 Le canzoni 34
Ad Angelo Mai 36
Giacomo Leopardi
Ultimo canto di Saffo 44
1. La vita 14 F Saffo 47
Gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza 14 La teoria del piacere
L’abbandono di Recanati 15 da Zibaldone 49
Gli ultimi anni 16 Immaginazione e filosofia,
2. La personalità 17 antico e moderno
La malattia e la deformità fisica 17 da Zibaldone 52
Il rapporto con i genitori 17 Gli idilli 54
Recanati, l’Italia e il mondo 18 F Il sogno e La vita solitaria 54
3. La formazione culturale 19 Il passero solitario 54
F La biblioteca di Monaldo Leopardi 19 L’infinito 59
4. L’ideologia 21 La sera del dì di festa 62
Uno scrittore controcorrente 21 Alla luna 66
Il pessimismo storico 21 La poetica dell’indefinito
F Leopardi filosofo? 21 da Zibaldone 69
Il pessimismo cosmico 23 Verso il pessimismo cosmico:
F Leopardi e la politica 23 piacere, noia, natura
Per una moralità laica: da Zibaldone 74
il pessimismo agonistico 24 I canti pisano-recanatesi 78
5. La poetica 24 A Silvia 79
La scoperta del “bello” Le ricordanze 84
e l’incontro-scontro Canto notturno
con il Romanticismo 24 di un pastore errante dell’Asia 93
La teoria del piacere e la poetica La quiete dopo la tempesta 99
dell’indefinito: gli idilli 25 Il sabato del villaggio 103
Il silenzio poetico e la prosa La rimembranza e la teoria
delle Operette morali 25 della “doppia vista”
La rinascita della poesia: i canti da Zibaldone 106
pisano-recanatesi 26 L’ultimo Leopardi 108
L’ultimo Leopardi 26
■ Leopardi “filosofo”: Il pensiero dominante
gli studi di Emanuele Severino 28 Palinodia al Marchese
6. Lo Zibaldone di pensieri 30 Gino Capponi
7. I Canti 31 Il tramonto della luna
La storia del testo 31

4 INDICE GENERALE © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS


A se stesso 110 Lo sviluppo economico 176
F La lettura di Angelo Monteverdi 112 I mutamenti sociali 176
La ginestra 112 3. Il quadro culturale 177
8. Le Operette morali 126 Il Positivismo 177
La genesi e le edizioni 126 Il Positivismo e la politica 178
Il genere, lo stile e i modelli 127 Il ruolo della letteratura 179
La struttura 128 Tipologie e generi letterari 180
Il proemio: la Storia del genere umano 129 Tavola sinottica 182
Felicità e infelicità 129
Infelicità ed esistenza 129
F Schopenhauer e Leopardi 129 Capitolo 3
La noia 130 Il Realismo europeo
La critica all’antropocentrismo 1. Il Realismo: introduzione 184
e al progresso 131 P Realismi e Realismo 185
La morte 131 2. Il romanzo realista francese 185
La riflessione metaletteraria 133 Stendhal 185
Le ultime Operette 134
Dialogo di Torquato Tasso L’eroe del conflitto
e del suo Genio familiare 135 da La certosa di Parma
F Ermanno Olmi e Giacomo Leopardi 140 di Stendhal
Dialogo della Natura
e di un Islandese 141 Il mito del successo
Dialogo di Federico Ruysch da Il rosso e il nero – di Stendhal 186
e delle sue mummie 146 Honoré de Balzac 190
Dialogo di Tristano e di un amico 151 ■ La pittura realista francese 191
La pensione della signora Vauquer
Cantico del gallo silvestre da Papà Goriot
Dialogo di un venditore di Honoré de Balzac 192
di almanacchi Gustave Flaubert 196
e di un passeggere
Frédéric, Madame Arnoux
Concetti chiave 159 e il tempo perduto
Esercizio di sintesi 161 da L’educazione sentimentale
Prove d’esame 162 di Gustave Flaubert
■ L’interpretazione critica 163
Il contrasto fra intelletto e cuore Il ritratto di Emma
di Francesco De Sanctis 167 da Madame Bovary
Leopardi: la delusione storica di Gustave Flaubert 198
e il progressismo
di Cesare Luporini 168 PERCORSO MONOGRAFICO
La poesia del nulla Gustave Flaubert
come ultima illusione
di Emanuele Severino 170
3. Il Realismo inglese 203
Charles Dickens 203
Coketown, la città-fabbrica
da Tempi difficili
L’ETÀ DEL REALISMO di Charles Dickens 204
4. Il Realismo russo 207
Capitolo 2 Le peculiarità del Realismo russo 207
F Gončarov e Turgenev 208
L’età del Realismo: quadro storico, Lev Tolstoj 208
sociale e culturale
La valanga della storia
1. Il quadro storico 174 travolge tutto
Il contesto internazionale 174 da Guerra e pace
La situazione italiana 175 di Lev Tolstoj 209
2. Il quadro sociale 176 Fëdor Dostoevskij 212

© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS INDICE GENERALE 5


L’uomo del sottosuolo Capitolo 5
da Memorie del sottosuolo La Scapigliatura
di Fëdor Dostoevskij 213
1. Che cos’è la Scapigliatura 238
Origine del termine 238
LETTERATURA E ARTE
Definizione di Scapigliatura 239
Storia sociale dell’arte
I miti polemici degli scapigliati 239
nell’Ottocento
F La Scapigliatura e la politica 240
I precedenti europei e italiani 241
Concetti chiave 216
Il ruolo dei giornali 241
Esercizio di sintesi 217 P Bohème, bohémien 241
2. I temi della letteratura scapigliata 242
Il dualismo 242
Capitolo 4
Realismo e irrazionalismo 242
La letteratura dell’Italia postunitaria F Scapigliatura o scapigliature? 242
1. Caratteri generali 218 Amore e morte 243
Una letteratura di opposizione 218 La moltiplicazione dei soggetti 244
Le tre principali linee di sviluppo 219 3. Lo sperimentalismo
Editoria, giornalismo degli scapigliati 244
e letteratura di consumo 219 La mescolanza dei generi letterari 244
La disarticolazione
PERCORSO TEMATICO delle strutture narrative 246
L’editoria nell’Italia unita Le scelte linguistiche 246
Il rinnovamento metrico 246
2. La poesia: Giacomo Zanella 220 4. Emilio Praga 247
3. La narrativa 221 La vita 247
Il romanzo d’avventura: Emilio Salgari 221 Le poesie 247
F Praga romanziere 247
Tigre contro tigre Preludio – da Penombre 248
da Le tigri di Mompracem 5. Igino Ugo Tarchetti 250
di Emilio Salgari La vita e le opere 250
Fosca 250
Il romanzo sentimentale: La bruttezza iperbolica
Carolina Invernizio 222 di Fosca – da Fosca 251
La narrativa per ragazzi 222 6. Carlo Dossi 254
F La situazione scolastica in Italia 222 La vita e le opere 254
Edmondo De Amicis 223 Le scelte espressive 254
Il piccolo scrivano fiorentino F Le Note azzurre 255
da Cuore I mièi dolci ricordi
di Edmondo De Amicis 227 da L’altrieri 255
Carlo Collodi 227 7. Gli altri autori scapigliati 258
Il ventre del pescecane Cletto Arrighi 258
da Pinocchio – di Carlo Collodi 228 Arrigo Boito 258
4. La saggistica 232 Giovanni Camerana 259
5. Il teatro 232
Il teatro dialettale 232 Cerco la strofa
Il teatro sociale nazionale 233 di Giovanni Camerana

La decisione di Emma
Giovanni Faldella 259
da Tristi amori
Gli scapigliati minori 260
di Giuseppe Giacosa
L’identità scapigliata
da La scapigliatura e il 6 febbraio
F Il cinema 233 di Cletto Arrighi 260
■ Nuove forme Dualismo
di espressione artistica 234 di Arrigo Boito 262
Concetti chiave 236 Concetti chiave 266
Esercizio di sintesi 237 Esercizio di sintesi 267

6 INDICE GENERALE © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS


Capitolo 6 P Parnassiani 287
Giosue Carducci F La metrica barbara 288
Dinanzi alle Terme di Caracalla
1. La vita 268
da Odi barbare, IV 289
L’infanzia e la fanciullezza 268
Nella piazza di San Petronio
Gli anni della formazione 269
da Odi barbare, X 292
Gli anni del successo e della maturità 270
Il poeta ufficiale della “terza Italia” 270
Fuori alla Certosa di Bologna
2. La formazione culturale
da Odi barbare, XII
e l’ideologia 270
La formazione culturale 270
Fantasia – da Odi barbare, XXVII 294
Le scelte politiche 271
Alla stazione in una mattina
L’atteggiamento verso la religione 271
d’autunno
3. La poetica e i caratteri
da Odi barbare, XXIX 296
della poesia carducciana 272
Nevicata – da Odi barbare, L 299
Le critiche alla poesia di Carducci 272
Quarto tempo: Rime e ritmi 301
Il bipolarismo 272
Alla signorina Maria A.
F La rappresentazione del paesaggio 272
da Rime e ritmi, I 302
L’avversione per Manzoni 273
F Carducci e la storia 273
Piemonte – da Rime e ritmi, V
Il classicismo 274
4. Le raccolte poetiche
Presso una certosa
e lo sviluppo
da Rime e ritmi, XXVIII 303
della poesia carducciana 275
5. Carducci prosatore e critico 306
Primo tempo: Juvenilia 275
Le prose polemiche e autobiografiche 306
Secondo tempo: Levia gravia 275
I saggi critici 306
Concetti chiave 307
A Satana Esercizio di sintesi 308
Prove d’esame 309
■ L’interpretazione critica 311
Terzo tempo: dai Giambi ed epodi
Il contrasto fra sentimento
alle Odi barbare 276
della vita e sentimento della morte
Giambi ed epodi 276
di Walter Binni 312
Rime nuove 276
Traversando la Maremma toscana La storia, sola degna materia
da Rime nuove, XXXIV 277 del poeta
Pianto antico di Benedetto Croce
da Rime nuove, XLII 279 La poesia di un nostalgico
e di un sognatore
Tedio invernale di Giorgio Bárberi Squarotti
da Rime nuove, XLIV

Ballata dolorosa
da Rime nuove, LV 281 Capitolo 7
San Martino
Il Naturalismo
da Rime nuove, LVIII 282
1. Che cos’è il Naturalismo 314
Idillio maremmano Origine e significato del termine 314
da Rime nuove, LXXVIII L’estetica del Naturalismo 315
Naturalismo e Positivismo 315
I temi 316
Il Comune rustico
I manifesti del Naturalismo 316
da Rime nuove, LXXVII 284
Il diritto del romanzo
Congedo da Germinie Lacerteux,
da Rime nuove, CV prefazione
di Edmond e Jules de Goncourt
Odi barbare 286

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2. Émile Zola 317
Vinti dal destino
La vita e la formazione 317
da Il marchese di Roccaverdina
F L’affaire Dreyfus 317
di Luigi Capuana
Le opere 318
La storia nazionale interessa
Lo scrittore analista la vita quotidiana
da Teresa Raquin da I Malavoglia
Il vero volto della metropoli di Giovanni Verga
da Il ventre di Parigi Una tranche de vie
da L’Ammazzatoio
di Émile Zola
F L’influenza di Zola in Italia 319
Osservare e sperimentare
da Il romanzo sperimentale 319 5. Il Realismo in Italia:
L’attesa Emilio De Marchi 344
da L’Ammazzatoio 321 La vita e le opere 344
3. Gli altri autori naturalisti 323 Il Demetrio Pianelli 345
Guy de Maupassant 323 La partenza di Demetrio
Joris-Karl Huysmans 324 da Demetrio Pianelli 346
Concetti chiave 325 Concetti chiave 350
Esercizio di sintesi 326 Esercizio di sintesi 351

Capitolo 8 Capitolo 9
Il Verismo e il Realismo in Italia Giovanni Verga
1. La diffusione del Positivismo 1. La vita 352
e del Naturalismo in Italia 327 2. Le opere anteriori
Il Positivismo 327 alla svolta veristica 353
Le tendenze e gli ambiti I romanzi del periodo catanese 353
di applicazione 328 I romanzi del periodo fiorentino 354
F Cesare Lombroso I primi romanzi milanesi 354
e l’antropologia criminale 328 3. L’elaborazione della poetica
Il Naturalismo 329 veristica, da Nedda al ciclo
2. Il Verismo 329 dei Vinti 355
Che cos’è il Verismo 329 Nedda 355
Verismo e Naturalismo 329
Verismo e narrativa regionale 330 Nedda

Il ventre di Napoli Fantasticheria e l’ideale dell’ostrica 355


di Matilde Serao Fantasticheria
da Vita dei campi 356
3. Luigi Capuana 331 La lettera a Verdura 360
La vita 331 La prefazione a L’amante di Gramigna 361
L’elaborazione della poetica veristica 332 La prefazione
I romanzi 332 a L’amante di Gramigna
Riflessioni di poetica da Vita dei campi 361
da Per l’arte 333 La lettera a Capuana 363
4. Federico De Roberto 337 La prefazione ai Malavoglia
La vita 337 e il ciclo dei Vinti 364
La formazione culturale e la poetica 337 La fiumana del progresso
I romanzi 338 da I Malavoglia, prefazione 365
■ I Viceré 339 4. Le novelle 367
Il ritratto di una famiglia
da I Viceré 340 Primavera
da Primavera e altri racconti
PERCORSO TEMATICO
F La declinazione del tema amoroso
Verismo e Naturalismo:
in Vita dei campi 368

8 INDICE GENERALE © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS


Il bastione di Monforte Verga e la presa di possesso
da Per le vie di una realtà negativa
Il maestro dei ragazzi di Romano Luperini 457
da Vagabondaggio Una diversa impostazione
Né mai né sempre narrativa dai Malavoglia
da I ricordi del Capitano d’Arce a Mastro-don Gesualdo
di Giancarlo Mazzacurati 459
F Don Candeloro e la sconfitta
La “conversione letteraria”
dell’artista 369
di Verga e il Verismo
Jeli il pastore
di Natalino Sapegno
da Vita dei campi 370
Rosso Malpelo
Immagini simbolo 461
da Vita dei campi 376
Cavalleria rusticana
da Vita dei campi 388
La Lupa – da Vita dei campi 392
La roba – da Novelle rusticane 396
Libertà – da Novelle rusticane 400 IL DECADENTISMO
5. I Malavoglia 406
I personaggi 406
Capitolo 10
F I Malavoglia: la trama 407
Il tempo e lo spazio 408 Tra Ottocento e Novecento:
La lingua e lo stile 409 quadro storico, sociale e culturale
L’inizio del romanzo 1. L’Europa tra fine Ottocento
da I Malavoglia, I 411 e primo Novecento 466
L’interiorità di Mena Il contesto economico 466
e Padron ‘Ntoni La situazione politica 467
da I Malavoglia, II 414 La Belle Époque 467
Il paese contro i Malavoglia 2. L’Italia dall’età giolittiana
da I Malvoglia, IV 416 alla Grande Guerra 467
■ La terra trema: episodio del mare 421 P Gradualismo 468
L’abbandono della casa 3. L’irrazionalismo antipositivista 468
del nespolo Gli elementi di crisi 468
da I Malavoglia, IX 422 Le nuove tendenze 469
Il ritorno di Alfio La crisi del gradualismo politico
da I Malavoglia, XV 424 in Italia 470
Il ritorno di ’Ntoni 4. La nuova letteratura:
da I Malavoglia, XV 427 il Decadentismo 471
6. Mastro-don Gesualdo 430 Il Decadentismo storico 471
La genesi 430 Il Decadentismo in senso estensivo 472
I personaggi e i temi 430
F Mastro-don Gesualdo: la trama 431 PERCORSO TEMATICO
La lingua e lo stile 432 Le origini del Decadentismo:
L’incipit del romanzo La maschera della
da Mastro don Gesualdo, I, 1 433 Morte Rossa – da Racconti
Il profilo di Gesualdo di Edgar Allan Poe
da Mastro don Gesualdo, I, 3 438 Perdita d’aureola
La morte di Gesualdo da Poemetti in prosa
da Mastro don Gesualdo, IV, 5 441 di Charles Baudelaire
Concetti chiave 447
Esercizio di sintesi 448 5. Il Simbolismo 473
Prove d’esame 449 6. Il Decadentismo in Italia 474
■ L’interpretazione critica 452 La fabbrica del vuoto
Lo stile di Verga di Benedetto Croce 475
e il “discorso rivissuto” Un nuovo “stato d’animo”
di Leo Spitzer 455 di Francesco Flora 476

© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS INDICE GENERALE 9


4. L’estetismo di Huysmans e Wilde 520
La nuova poetica e il Decadentismo
Joris-Karl Huysmans 520
italiano – di Walter Binni 478
Nella stanza di Des Esseintes
LETTERATURA E CINEMA da Controcorrente
Visconti e il Decadentismo di Joris-Karl Huysmans 521
Oscar Wilde 523
P Dandy 524
Tipologie e generi letterari 480
L’artista è il creatore di cose belle
Tavola sinottica 482
da Il ritratto di Dorian Gray
di Oscar Wilde 525
Concetti chiave 528
Capitolo 11
Esercizio di sintesi 529
Charles Baudelaire
1. La vita 484
2. I fiori del male 486
3. Le tematiche 487 Capitolo 13
4. Le scelte linguistiche e stilistiche 488 La narrativa italiana
L’albatro – da I fiori del male, dal Verismo al Decadentismo
“Spleen e ideale”, II 490 1. Grazia Deledda 530
Corrispondenze La vita e le caratteristiche dell’opera 530
da I fiori del male, I romanzi principali 531
“Spleen e ideale”, IV 492 L’usuraia Pottoi, il servo Efix
Spleen – da I fiori del male, e il giovane Giacinto
“Spleen e ideale”, LXXVIII 493 da Canne al vento 532
A una passante 2. Antonio Fogazzaro 534
da I fiori del male, La vita 534
“Quadri parigini”, XCIII 495 Le opere minori 535
L’emisfero dei tuoi capelli F Il rapporto fra Chiesa
da Lo spleen di Parigi. e mondo moderno 535
Poemetti in prosa 496 Gita all’orrido di Osteno
Concetti chiave 498 da Malombra 536
Esercizio di sintesi 499 Piccolo mondo antico 539
■ L’interpretazione critica 500 Le caratteristiche della narrativa
Baudelaire di Fogazzaro 539
e il pessimismo cristiano La morte di Maria
di Mario Bonfantini 500 da Piccolo mondo antico 540
Concetti chiave 544
Esercizio di sintesi 545
Capitolo 12
La poesia simbolista e l’estetismo
1. Paul Verlaine 501 Capitolo 14
La vita e la personalità 501 Giovanni Pascoli
Le opere 502 1. La vita 546
Arte poetica – da Allora e ora 502 2. L’uomo e la personalità 548
2. Arthur Rimbaud 505 La ricostituzione del nido 548
La vita e le opere 505 La rinuncia all’amore 549
La poetica 505 La crisi dell’intellettuale 550
P L’artista veggente 505 3. La formazione culturale
Lettera a Paul Demeny 506 e l’ideologia 550
Il battello ebbro 508 La formazione letteraria 550
Vocali – da Poesie 513 La formazione politico-sociale 550
I ponti – da Illuminazioni 514 La consolazione della poesia 552
■ La pittura simbolista 516 La grande Proletaria si è mossa 553
3. Stéphane Mallarmé 517 4. Il fanciullino 556
F La poesia pura 517 F Le fonti culturali del fanciullino 557
Brezza marina – da Poesie 518 F Gli scritti critici 558

10 INDICE GENERALE © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS


Il fanciullino e la poetica Digitale purpurea
pascoliana – da Il fanciullino 559 da Primi poemetti
5. Il mondo dei simboli 563
Il rapporto del poeta
Italy, la palingenesi degli emigranti
con la realtà esterna 563
da Primi poemetti 601
I simboli principali 563
■ L’emigrazione italiana
6. Le scelte stilistiche e formali 565
fra Ottocento e Novecento 605
Il fonosimbolismo 565
La vertigine – da Nuovi poemetti 606
L’analogia e la sinestesia 566
I Poemi conviviali 609
La sintassi e il lessico 566
I Carmina 610
La metrica 566
F Le ultime raccolte 610
7. I tre percorsi
Alexandros – da Poemi conviviali 611
della poesia pascoliana 567
L’etèra – da Poemi conviviali 615
8. Myricae e Canti di Castelvecchio 568
Concetti chiave 618
Il legame tra le due raccolte 568
Esercizio di sintesi 619
Struttura e temi di Myricae 569
Prove d’esame 620
Struttura e temi
■ L’interpretazione critica 622
dei Canti di Catelvecchio 570
Pascoli, poeta piccolo borghese
Le novità formali 571
di Edoardo Sanguineti 624
Il giorno dei morti Il linguaggio pascoliano
da Myricae di Gianfranco Contini 626
La presenza dei morti
e la regressione al nido
Scalpitìo – da Myricae 573
di Giorgio Bárberi Squarotti 627
Autunno: scene da un’aratura
da Myricae 575
Il modello dantesco
Arano 575
nella poesia pascoliana
Lavandare 576
di Vittore Branca
■ L’Impressionismo 578
X Agosto
da Myricae 579
Il temporale dell’anima – da Myricae 581
Temporale 581
Il lampo 581 Capitolo 15
Il tuono 582 Gabriele d’Annunzio
L’assiuolo – da Myricae 583
1. La vita 630
Novembre – da Myricae 586
I primi anni e la produzione giovanile 630
Ultimo sogno
LETTERATURA E ARTE
da Myricae
Il Voto di Francesco Paolo Michetti
L’uccellino del freddo
da Canti di Castelvecchio, 3 588 Gli anni romani fra mondanità
Nebbia ed estetismo 631
da Canti di Castelvecchio, 6 591 A Napoli e in Abruzzo 631
Il gelsomino notturno La produzione teatrale e le Laudi 632
da Canti di Castelvecchio, 36 593 Il periodo francese 632
La mia sera F D’Annunzio e il cinema 632
da Canti di Castelvecchio, 46 595 Il ritorno in Italia e gli anni della guerra 633
La “prigione dorata”del Vittoriale 633
La cavalla storna F La personalità 634
da Canti di Castelvecchio, 58 2. La formazione culturale 634
3. L’ideologia e la poetica 635
La tessitrice P Superuomo 636
da Canti di Castelvecchio, 62 598 4. L’evoluzione letteraria
9. Le opere poetiche minori 600 di d’Annunzio 637
I Poemetti 600 La fase pànica e verista 637

© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS INDICE GENERALE 11


Notturno dannunziano La sera fiesolana – da Alcyone 681
da Canto novo 638
D’Annunzio esteta 639 La tenzone – da Alcyone
L’educazione di un esteta
da Il piacere, I, 2 640 La pioggia nel pineto
Il culto dell’arte e la poetica da Alcyone 685
dannunziana Le stirpi canore
da Il piacere, II, 1-2 643 da Alcyone 691
Una fase di ripiegamento 646 Meriggio
Consolazione da Alcyone 693
da Poema paradisiaco 647 La sabbia del Tempo
La fase del superomismo 651 da Alcyone 698
Il programma del superuomo
da Le vergini delle rocce 652 Nella belletta – da Alcyone
Stelio Èffrena, esteta e superuomo Undulna – da Alcyone
da Il fuoco 656
I pastori – da Alcyone 699
La produzione teatrale 659
Concetti chiave 702
Aligi uccide il padre Lazaro
Esercizio di sintesi 703
da La figlia di Iorio 659
Prove d’esame 704
Il Notturno: l’ultimo d’Annunzio 663
■ L’interpretazione critica 706
F Il Vittoriale degli italiani 663
D’Annunzio primitivo
Le Offerte del d’Annunzio
e decadente – di Mario Praz 708
“notturno” – da Notturno 665
D’Annunzio e il mercato
5. La lingua e lo stile 668
della letteratura
6. Le Laudi 669
di Ezio Raimondi 709
Maia 669
L’eredità di Pascoli
Nel tempio del dio Pan
e d’Annunzio nella poesia
da Maia, Laus vitae 670
del Novecento
Elettra 674
di Pier Vincenzo Mengaldo 711
Ferrara – da Elettra
Il vivere inimitabile
di d’Annunzio
Merope e Asterope 674 di Annamaria Andreoli
6A. Alcyone 675 Femmine, donne e alcune
Le tematiche 675 muse di d’Annunzio
F Le cinque sezioni di Alcyone 676 di Ivanos Ciani
Il linguaggio 677
F D’Annunzio Immagini simbolo 714
e la poesia novecentesca 677 ■ Glossario 718
Lungo l’Affrico – da Alcyone 678 ■ Indice dei nomi 734

12 INDICE GENERALE © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS


Giacomo
Leopardi

Jean-Auguste-Dominique Ingres,
Odissea, 1827.
Lione, Musée des Beaux-Arts.

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1 Giacomo
CAPITOLO

Leopardi
Giacomo Leopardi.
Recanati, Casa Leopardi.

1. LA VITA

Gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza


La famiglia Giacomo Leopardi nasce nel 1798 a Recanati e vive gli anni dell’infanzia in una sorta
di simbiosi esclusiva con i fratelli Carlo e Paolina, più vicini a lui d’età, mentre lontani dal
suo mondo di affetti e di fantasie infantili sono i genitori, soprattutto la madre, la mar-
chesa Adelaide Antici, donna severa e incapace di slanci affettivi, completamente as-
sorbita dalla gestione della amministrazione domestica e dal risanamento economico
della famiglia. Il padre, il conte Monaldo, è espressione del clima ideologico-culturale
della Restaurazione: la presa di distanza dall’Illuminismo si accompagna in lui all’ade-
sione ad un rigido Cattolicesimo conservatore.

LA LINEA DEL TEMPO: LA VITA E LE OPERE

1821
1798 1819 NAPOLEONE
Giacomo 1809-1816 1815 Tentativo MUORE 1822-1823 1824-28
Leopardi nasce a Studio da CONGRESSO di fuga SULL’ISOLA Soggiorno Silenzio
Recanati autodidatta DI VIENNA da Recanati DI SANT’ELENA a Roma poetico

1817 1818-1822
Inizia la Composizione
composizione di canzoni
dello e idilli
Zibaldone,
che prosegue
fino al 1832

14 CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS


La fanciullezza Dall’Autobiografia del padre, dalle memorie del fratello Carlo e dall’epistolario della
sorella Paolina, emerge il ritratto di un bambino di capacità fuori dal comune, di inge-
gno precocissimo, capace già a dieci anni di discutere di complicate questioni retoriche
e filosofiche ma anche di intrattenere per intere giornate i fratelli più piccoli con fanta-
siosi racconti di sua invenzione. La mancanza di misura nel comportamento del figlio è
avvertita da Monaldo, che vede con preoccupazione l’alternarsi nelle sue giornate di
momenti di vivacità febbrile a momenti di remissività e di mitezza quasi apatica, tanto
che teme possa trascendere di mente.
L’adolescenza È però lo stesso Leopardi a fornirci le chiavi di lettura più interessanti per ricostruire la
difficile e sofferta età della sua adolescenza, quando la crescita fisica stentata e la debo-
lezza della vista, accentuate dalla dedizione allo studio, gli rendono tangibile la difficol-
tà del confronto con gli altri e gli fanno percepire che la sua diversità, l’inferiorità fisi-
ca e la superiorità intellettuale, lo sta inesorabilmente condannando a un destino di
sofferenza. Dal 1817 infatti Giacomo comincia ad aprirsi al mondo e alla conoscenza di
se stesso attraverso la scrittura, come documentano l’inizio dello scambio epistolare
con Pietro Giordani e gli appunti dello Zibaldone.

L’abbandono di Recanati
L’insofferenza Nelle lettere a Giordani, che costituiscono il primo contatto vero e stimolante con il
per Recanati mondo esterno, scopriamo un giovane desideroso di affetto e di riconoscimenti al di
fuori dell’ambito familiare, insofferente dell’ambiente recanatese, che sente come
una insopportabile prigionia, capace di esprimere il proprio disagio esistenziale e il
grandissimo, forse smoderato e insolente desiderio di gloria.
Un’orgogliosa consapevolezza delle proprie potenzialità Leopardi dimostra nella lette-
ra con la quale spiega al padre le motivazioni del tentativo di fuga da Recanati del lu-
glio 1819 (sventato prima che si concretizzasse) e nella quale contesta rispettosamente
ma in modo deciso l’incomprensione di Monaldo e la mentalità retriva che ispira le sue
scelte sul destino dei figli. Il 1819 è anche l’anno di una grave malattia agli occhi, che
spinge il poeta addirittura a pensare al suicidio.
Il soggiorno Leopardi può finalmente lasciare Recanati nel novembre 1822: sarà ospite a Roma dello zio
a Roma materno Carlo fino all’ottobre dell’anno seguente. La scoperta del mondo esterno determi-
na in lui una profonda delusione: Roma è ormai una città attardata e marginale, poco viva
sul piano culturale, non troppo diversa, ai suoi occhi, da Recanati. Neppure le bellezze arti-
stiche e i ricordi storici della città (ad eccezione della tomba di Tasso) lo entusiasmano. Oltre
tutto, per la sua fama di pensatore materialista, non riesce a trovare un’occupazione.
La ricerca L’occasione di mantenersi almeno in parte da sé, senza dover dipendere dal padre, gli
dell’indipendenza viene offerta nel 1825 dall’editore Stella di Milano, che gli commissiona un’edizione
economica
completa delle opere di Cicerone, che rimarrà non realizzata. In compenso, riceverà da

1825
Soggiorno 1830-1833 1833
a Milano e inizio 1828-1830 Soggiorni Si reca a Napoli 1837
della collaborazione Ritorno a Firenze con Antonio Muore
con l’editore Stella a Recanati e Roma Ranieri a Napoli

1827 1828-1830 1830-1835 1831 1835 1836 1845


Prima edizione Composizione Composizione Prima edizione Seconda La ginestra Edizione
delle Operette dei canti del “ciclo dei Canti edizione definitiva
morali pisano- di Aspasia” dei Canti dei Canti
recanatesi e delle
Operette
morali

© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI 15


lui numerosi altri incarichi per lavori filologici ed editoriali: traduce così il Manuale di
Epitteto, cura un commento alle Rime di Petrarca, compone una Crestomazia italiana
(cioè un’antologia, prima della prosa e poi anche della poesia).
Frequentazioni Sono anni di frequenti spostamenti nell’Italia settentrionale: prima Milano, poi Bologna, di
culturali nuovo Milano e Bologna, infine Firenze. I viaggi offrono a Leopardi l’occasione di superare
definitivamente l’isolamento culturale: a Milano incontra Monti, a Bologna il conte Pepo-
li, a Firenze Manzoni, Stendhal e soprattutto gli intellettuali dell’”Antologia” (cfr. vol. IV,
pag. 273). Vieusseux gli propone di collaborare alla rivista: Leopardi, estraneo all’ottimismo
cattolico e progressista, rifiuta. Numerose sono le incomprensioni, in considerazione della
distanza ideologica: ma c’è anche collaborazione e molti sono gli stimoli, pur se prevalen-
temente polemici.
Il ritorno Dopo un breve soggiorno a Pisa, nel novembre 1828 Leopardi ritorna a Recanati in
a Recanati compagnia di Vincenzo Gioberti, per la morte del fratello Luigi. Sono sedici mesi di
notte orribili, trascorsi in una solitudine malinconica che confina con la pazzia. Ma dal-
le emozioni e dai ricordi suscitati in lui dalla vista dei luoghi dell’infanzia e della giovi-
nezza nascono i canti pisano-recanatesi.
Il risorgere A Firenze, Leopardi conosce Fanny Targioni Tozzetti, per la quale concepisce una
dell’amore
passione accesa e divorante; ma il sentimento non è ricambiato. Dalla delusione, più
per essere caduto di nuovo nell’inganno dell’amore che per essere stato respinto, na-
scono le poesie del “ciclo di Aspasia”. Altrettanta amarezza gli provocano le voci che
gli attribuiscono i Dialoghetti sulle materie correnti nell’anno 1831, scritti in realtà dal
padre Monaldo e animati da spiriti violentemente reazionari.

Gli ultimi anni


Gli ultimi anni, a partire dall’ottobre 1833, trascorrono a Napoli, in compagnia del-
l’amico Antonio Ranieri. Molto poco aggiungono alla ricostruzione del ritratto del poe-
ta le memorie da lui pubblicate con il titolo Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopar-
di: sono ricordi soprattutto incentrati sulle stravaganze nelle abitudini di vita dello
scrittore (rispetto al quale Ranieri si presenta come una guida materna e sollecita nel ri-
solvere gli aspetti pratici della quotidianità), raccontate con vivacità e una certa propen-
sione al pettegolezzo. L’ambiente culturale della città, improntato a istanze spiritualisti-
che, gli riesce del tutto estraneo; soddisfazione gli procurano invece le visite di grandi
personalità straniere. Nel 1836, in occasione di un’epidemia di colera, Leopardi si tra-
sferisce presso Torre del Greco: lì nascono Il tramonto della luna e La ginestra.
La morte Al padre è indirizzata l’ultima drammatica lettera, datata 27 maggio 1837 da Napoli,
con il presentimento della morte imminente:

Se scamperò dal cholera e dubito che la mia salute lo permetterà, io farò ogni pos-
sibile per rivederla in qualunque stagione, perché ancor io mi do fretta, persuaso
oramai dai fatti di quello che ho sempre preveduto che il termine prescritto da Dio
alla mia vita non sia molto lontano. I miei patimenti fisici giornalieri e incurabili so-
no arrivati con l’età ad un grado tale che non possono più crescere: spero che su-
perata finalmente la piccola resistenza che oppone loro il moribondo mio corpo, mi
condurranno all’eterno riposo che invoco caldamente ogni giorno non per eroismo,
ma per il rigore delle pene che provo. Ringrazio teneramente lei e la mamma del
dono dei dieci scudi, bacio le mani ad ambedue loro, abbraccio i fratelli, e prego lo-
ro tutti a raccomandarmi a Dio acciocché dopo ch’io gli avrò riveduti una buona e
pronta morte ponga fine ai miei mali fisici che non possono guarire altrimenti.
da Epistolario, Bollati Boringhieri, Torino, 1998

Quindici giorni dopo, il 14 giugno, Leopardi moriva: il decesso non fu causato dal co-
lera, ma dall’aggravarsi delle malattie (in particolare l’asma), sulle quali, negli ultimi
giorni, il poeta – ormai rassegnato alla morte – ironizzava con gli amici.
La lapide L’iscrizione sulla tomba è dettata da Pietro Giordani, che pone su uno stesso piano la
di Giordani produzione poetica di Leopardi e quella filologica e filosofica, secondo un indirizzo
solo di recente riaffermatosi negli studi leopardiani:

16 CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS


Al conte Giacomo Leopardi recanatese / filologo ammirato fuori d’Italia / scrittore di filo-
sofia e di poesia altissimo / da paragonare solo coi greci / che finì di XXXIX anni la vita
per continue malattie miserrima / fece Antonio Ranieri / per sette anni fino alla estrema
ora congiunto / all’amico adorato.

2. LA PERSONALITÀ
I tratti La coerenza etica, il coraggio nel sostenere fino in fondo una posizione “controcor-
fondamentali rente” rispetto al proprio tempo, l’ironia che spesso si intravede fra le righe di una
scrittura prevalentemente impegnata e “seria”, l’inesauribile bisogno di affetto appa-
iono come i connotati maggiormente distintivi del percorso esistenziale di Leopardi. Val
la pena però di soffermarsi su alcuni snodi biografici che sono stati decisivi per il formar-
si della personalità del poeta.

La malattia e la deformità fisica


Il rifiuto È il caso della malattia e della deformità fisica, da alcuni critici ritenute determinanti
del nesso
malattia-
nello sviluppo radicalmente pessimista del suo pensiero. Ma è lo stesso Leopardi ad in-
pessimismo dicare con chiarezza i termini del problema, quando, in una lettera all’amico filologo
Luigi De Sinner, afferma la oggettiva razionalità delle sue opinioni filosofiche contro chi
le attribuisce solamente alla sua malattia:
Prima di morire, protesterò contro questa invenzione della debolezza e della volga-
rità, e pregherò i miei lettori di impegnarsi a confutare le mie osservazioni e i miei
ragionamenti piuttosto che a mettere in risalto le mie malattie.
da A Luigi De Sinner, Firenze, 24 maggio 1832
L’interpre- Questa posizione, che Leopardi ripropone anche nel Dialogo di Tristano e di un amico
tazione dello stesso anno, è chiarissima e lascia poco spazio ad interpretazioni che, da un pun-
di Timpanaro
to di vista cattolico o positivista o idealista, tentano di stabilire tra malattia e pessimi-
smo un nesso causa-effetto. Appare invece più rispettosa del pensiero dell’autore la
posizione di Sebastiano Timpanaro, che riconosce in Leopardi l’importanza della soffe-
renza fisica per una più acuta percezione della condizione umana e del condizionamen-
to che la natura esercita su tutti gli esseri viventi, tanto da risultare non motivo di lamen-
to individuale ma formidabile strumento conoscitivo.

Il rapporto con i genitori


Il rapporto Le 135 lettere che gli sono indirizzate fanno di Monaldo il più importante interlocuto-
con il padre… re dell’epistolario leopardiano (931 lettere ad almeno cento destinatari) e testimoniano
un complesso rapporto padre-figlio: sono troppe per essere esclusivamente dettate
dal rispetto delle convenzioni sociali o da più pratiche richieste di sostegno economico
durante i soggiorni fuori da Recanati. La distanza ideologica e culturale non esclude in-
fatti la vicinanza affettiva e la sincera esigenza del figlio di compiacere le aspettative
del padre: le “pietose” bugie di Giacomo sulla propria devozione religiosa, il tatto con
cui si sottrae alla proposta paterna di accettare il beneficio ecclesiastico lasciato vacan-
te dalla morte dello zio, lo scambio intenso e affettuoso con Monaldo nell’occasione
della morte del fratello Luigi, documentano un legame forte e coinvolgente. Anche le
ferme attestazioni dei propri convincimenti ideologici, incompatibili con le idee del pa-
dre, sono proposte in modo da non risultare offensive.
…e quello Contrasta con l’intensità di questo dialogo, il silenzio del rapporto madre-figlio: solo
con la madre quattro lettere inviate dal poeta, tutte molto brevi, e due sole risposte da parte di Ade-
laide. A proposito della madre, Leopardi ci consegna il ritratto di una donna nella qua-
le la rigidità dei princìpi dell’etica cristiana confina con il sadismo e una sorta di lucida
alienazione:

Io ho conosciuto intimamente una madre di famiglia che non era punto superstiziosa,
ma saldissima ed esattissima nella credenza cristiana e negli esercizi della religione. […]
Considerava la bellezza come una vera disgrazia, e vedendo i suoi figli brutti o defor-
© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI 17
mi, ne ringraziava Dio, non per eroismo ma di tutta voglia. […] Scemava quanto pote-
va colle parole e coll’opinion sua i loro successi (tanto de’ brutti quanto de’ belli, per-
ché n’ebbe molti), e non lasciava passare anzi cercava studiosamente l’occasione di rin-
facciar loro, e far loro ben conoscere i loro difetti, e le conseguenze che ne dovevano
aspettare, e persuaderli della loro inevitabile miseria, con una veracità spietata e feroce.
[…] Le malattie, le morti le più compassionevoli […] non la toccavano in verun modo.
da Zibaldone, 25 novembre 1820

È difficile dire quanto una madre così fredda e indifferente possa aver significato nella
crescita emotiva dei figli e quale ruolo abbia ricoperto nell’inconscio del poeta: certamen-
te l’efficacissima espressione con cui Leopardi nella poesia La ginestra condensa la sua
condanna alla natura per la crudele indifferenza nei confronti dell’uomo (madre è di parto
e di voler matrigna) sembra ricordare molto da vicino il ritratto della madre Adelaide.

Recanati, l’Italia e il mondo


Il natio borgo Nonostante il percorso di emancipazione che Leopardi, arrivato alla soglia dei diciotto
selvaggio
anni, intraprende rispetto alle posizioni paterne e alla ideologia che le sostiene, Reca-
nati, piccola cittadina dello Stato pontificio, culturalmente arretrata e marginale,
esercita comunque su di lui un forte condizionamento, di cui egli è peraltro pienamen-
te consapevole, tanto da coltivare un disperato desiderio di uscirne, come documen-
tano il maldestro tentativo di fuga del 1819 e le tante lettere a Giordani su questo tema:
Qui, amabilissimo Signore mio, tutto è morte, tutto è insensataggine e stupidità […]
la terra è piena di meraviglie, ed io di dieciott’anni potrò dire, in questa caverna vi-
vrò e morrò dove sono nato? Le pare che questi desideri si possano frenare? che sia-
no ingiusti soverchi sterminati? che sia pazzia il non contentarsi di non veder nulla,
il non contentarsi di Recanati?
da A Pietro Giordani, 30 aprile 1817

I condizio- La “reclusione” a Recanati, nella biblioteca che Monaldo ha generosamente allestito,


namenti gli permette di conoscere e amare la civiltà antica, ma gli impedisce di avere un’espe-
dell’ambiente
recanatese rienza delle cose moderne, per dirla con Machiavelli. Leopardi conosce il suo tempo at-
traverso Recanati, e il giudizio fortemente negativo che esprime sulla città natale fini-
sce per riverberarsi su tutta l’epoca moderna e sulle sue espressioni storiche e cultura-
li. Lo scetticismo con cui, a differenza di tanti intellettuali contemporanei, guarda al de-
linearsi del processo storico del Risorgimento e dell’indipendenza nazionale sicuramen-
te si può attribuire anche a questo imprinting iniziale.
La delusione D’altro canto, quando si trasferisce a Roma prima e a Napoli poi, Leopardi si rende
per l’esterno
conto con profonda delusione che quella apertura e ricchezza culturale tanto agogna-
te e sognate mancano nelle grandi città non meno che nei piccoli paesi. Ne deriva la
convinzione che la natura umana non è dissimile dal modo in cui se l’era figurata nel-
l’adolescenza, dal chiuso della biblioteca paterna.
Il giudizio Nel Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani, del 1824, traccia un ri-
sull’Italia tratto severo e amaro degli italiani. Egoismo e individualismo, mali comuni alla civiltà
moderna, in Italia risultano accentuati dal culto della forma e dalla mancanza di valori
condivisi dalla collettività:
Le classi superiori d’Italia sono le più ciniche di tutte le loro pari nelle altre nazioni.
Il popolaccio italiano è il più cinico de’ popolacci. […] L’Italia è, in ordine alla mo-
rale, più sprovveduta di fondamenti che forse alcun’altra nazione europea e civile,
perocché manca di quelli che ha fatti nascere ed ora conferma ogni dì più co’ suoi
progressi la civiltà medesima, ed ha perduti quelli che il progresso della civiltà e dei
lumi ha distrutti. […] Gli usi e i costumi in Italia si riducono generalmente a questo,
che ciascuno segua l’uso e il costume proprio, qual che egli si sia.
Recanati come Così, da un certo punto in poi, ed esemplarmente nei canti pisano-recanatesi, Recana-
immagine ti si presenta come un punto di osservazione privilegiato, non della storia, che sembra
del mondo
non sfiorare neppure la cittadina marchigiana, ma dell’uomo e della sua condizione psi-
cologica, esistenziale e morale:

18 CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS


Essendo vissuto lunghissimo tempo in città piccola, e fra gente lontanissima da quel
che si chiama buon tuono, e spirito di mondo, quantunque io non abbia più che
tanta pratica della così detta buona società, mi par nondimeno di avere in mano ba-
stanti comparazioni per poter affermare che ne’ paesi piccoli, e fra gli uomini e le
società di piccolo spirito si apprende assai più della natura umana, e sì del caratte-
re generale, sì de’ caratteri accidentali degli uomini, di quello che si possa fare nel-
le grandi città, e nella perfetta conversazione.
da Zibaldone, 30 aprile 1822

3. LA FORMAZIONE CULTURALE
I primi studi Lo stesso Leopardi, in una sintetica scheda biografica preparata nel 1826 per il conte
Carlo Pepoli, ci informa che
Precettori non ebbe se non per li primi rudimenti che apprese da pedagoghi, man-
tenuti espressamente in casa da suo padre. Bensì ebbe l’uso di una ricca biblioteca
raccolta dal padre, uomo molto amante delle lettere.
Notizie più dettagliate sui maestri di Giacomo troviamo nel Memoriale di Monaldo,
che ci informa sulla conclusione degli studi “scolastici” del figlio, databile al 1812, per-
ché il precettore non aveva più altro da insegnargli, e sui progressi di Giacomo come
autodidatta, soprattutto nell’apprendimento delle lingue, antiche e moderne. Utiliz-
zando i libri già esistenti nella biblioteca di casa o procurati su sua richiesta dal padre,
Leopardi impara da solo il greco, l’ebraico, il francese, l’inglese, lo spagnolo. Sappiamo
inoltre che l’educazione religiosa dei giovani Leopardi è affidata al cappellano di fami-
glia e che particolarmente stimolante per gli studi classici e le ricerche erudite è l’in-
fluenza di don J. Anton Vogel, esule alsaziano, professore di storia ecclesiastica al Semi-
nario di Recanati.
Gli studi Nella breve notizia a Pepoli, Leopardi accenna ai sette anni della propria esistenza de-
filologici dicati esclusivamente ad uno studio matto e disperatissimo che ha come oggetto so-
prattutto la filologia e che gli permette di accumulare un bagaglio di cognizioni che ap-
pare prodigioso per l’età del giovane autodidatta e per la varietà degli interessi, docu-
mentati ad esempio dalla realizzazione di progetti di notevole impegno, come la Storia
dell’astronomia (1813) e il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi (1815). Sono
queste due opere di carattere prevalentemente compilativo, che manifestano tuttavia
la presenza di un interesse intellettuale già delineato: il contrasto tra la ragione, che

Focus LA BIBLIOTECA DI MONALDO LEOPARDI


Alla fine del Settecento il conte Monaldo Leopardi decise di ampliare la biblioteca di famiglia, composta fino a
quel momento da poche centinaia di volumi. Incominciò ad acquistare i libri nelle fiere locali, poi a Roma e a
Bologna, quindi approfittò, tra il 1798 e il 1810, dello scioglimento delle biblioteche conventuali in seguito alla
soppressione degli ordini religiosi per incrementare il numero dei volumi, arrivando ad accumularne circa
14.000. Cultore di discipline umanistiche e scientifiche, oltre che bibliofilo Monaldo fu anche un appassionato
collezionista e diede vita a un museo di oggetti antichi e rari.
La biblioteca in cui il giovane Giacomo avviò la sua formazione era aperta alla consultazione anche di amici e
concittadini, come testimonia la lapide posta nel 1812: filiis amicis civibus. Ancora oggi visitabile, essa conser-
va l’originaria disposizione: i volumi sono ordinati per tema, secondo la divisione in voga presso i librai parigi-
ni del Settecento, e ogni scaffale è identificato da un cartiglio. La prima sala è occupata dalle discipline storico-
umanistiche, compresa la giurisprudenza, mentre la seconda è dedicata alle discipline religiose, ma anche a
quei volumi proibiti per i quali Monaldo ottenne fin dal 1813 il permesso di lettura per i figli. La terza sala com-
prende le opere in versi e i testi di medicina, mentre in due settori attigui sono ospitati il museo e la raccolta del-
le opere di maggior pregio, codici, manoscritti, incunaboli, testi rari. Tra questi ricordiamo soltanto la famosa
Bibbia Polyglotta in sei volumi, stampata a Londra tra il 1655 e il 1657, sulla quale probabilmente Giacomo ap-
prese l’ebraico.

© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI 19


con serietà illuministica sconfessa le false credenze degli antichi, e la capacità fanta-
stica, attratta suo malgrado dal fascino dell’errore dell’immaginario collettivo che si tra-
duce nei grandi miti dell’antichità. Grazie alla perfetta conoscenza del greco e del lati-
no, Leopardi si impegna inoltre in traduzioni e commenti: Mosco, Omero, Orazio, Vir-
gilio, Ovidio nonché retori e Padri della Chiesa dei primi secoli dell’età cristiana.
Gli studi Scrivendo a Giordani nel 1817, Leopardi mostra di avvertire i limiti di tale impostazio-
filosofici ne erudita e il provincialismo che la incoraggia e, ricostruendo a qualche anno di di-
e letterari
stanza il suo percorso culturale, ne segnala anche la conclusione con l’allargarsi dei
suoi interessi nella direzione della poesia e della filosofia, con cui le “circostanze” lo
mettono in contatto svelandogli il fascino del “bello” e la suggestione del “vero”.
La svolta esistenziale e letteraria che si attua a partire dal 1816 con il passaggio dalla
erudizione al bello e successivamente dalle lettere alla filosofia è accompagnata da al-
cune “scoperte” che si rivelano fondamentali per l’evoluzione del suo pensiero e del
suo apprendistato poetico: innanzi tutto il Sensismo e la filosofia dei lumi, attraverso le
opere di Montesquieu, d’Holbach, Volney, Pierre Bayle, Rousseau e degli idéologues
(“ideologi”) di fine Settecento; in secondo luogo la nuova poesia italiana del rinnova-
mento “civile” e del classicismo illuminato: Parini, Alfieri, Monti, Foscolo; e contem-
poraneamente le prime espressioni poetiche e formulazioni teoriche del Romantici-
smo: J. W. Goethe, G. G. Byron, Madame de Staël, Ludovico di Breme.
L’incontro L’apertura ad una prospettiva culturale più ampia dell’umanesimo retorico di impronta
con Giordani paterna coltivato fino a quel momento è incoraggiata dal sincero apprezzamento di Pie-
tro Giordani, conosciuto inizialmente per via epistolare (il carteggio inizia nel 1817 e
prosegue fino al 1832 con ben 76 lettere) e personalmente nel 1818 in occasione di una
visita di Giordani a Recanati. Promotore del rinnovamento nel campo dell’educazione e
della sprovincializzazione della cultura italiana, fautore di un classicismo “militante” e
aperto al confronto con il nuovo, l’intellettuale piacentino assume un ruolo di grande ri-

LEOPARDI UOMO E AUTORE

Non causa del pessimismo, ma strumento conoscitivo, attraverso


MALATTIA l’esperienza della sofferenza, della condizione umana.

• Assenza di un rapporto con la madre, fredda e distaccata.


GENITORI • Rapporto complesso con il padre: distanza ideologica
e vicinanza affettiva.

• Luogo chiuso e gretto: desiderio giovanile di fuga.


• Scoperta del mondo esterno: giudizio negativo sull’Italia
PERSONALITÀ

RECANATI (dominata da egoismo e individualismo) e sul mondo


contemporaneo.
• Simbolo del mondo e della condizione umana, vista nel suo
aspetto elementare.

• Conoscenza approfondita della cultura greca e latina; studi


eruditi e filologici.
• Studio delle lingue antiche e moderne (in particolare l’ebraico).
• Lettura dei classici della letteratura italiana e degli autori
contemporanei (tra cui i romantici).
FORMAZIONE
• Studio della filosofia illuminista francese (soprattutto il
CULTURALE
Sensismo).
• Incontro con Giordani: classicismo, fondato sulla ricerca della
vera identità culturale italiana e sulla coscienza della distanza
tra antichi e moderni.

20 CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS


lievo per il giovane Leopardi, di cui è il primo a riconoscere le doti letterarie. L’amicizia
con Giordani permette a Leopardi di stabilire contatti con il mondo della cultura, del-
la ricerca e dell’editoria fuori da Recanati ma anche di mettere a fuoco i motivi della sua
sofferenza esistenziale e di perfezionare, nella scrittura, lo strumento essenziale della
conoscenza di se stesso.

4. L’IDEOLOGIA

Uno scrittore controcorrente


L’isolamento L’isolamento appare subito la condizione in cui Leopardi elabora il proprio sistema
di Leopardi di pensiero. È un isolamento materiale e ideologico. Materiale, perché le riflessioni
di Leopardi prendono per lo più forma nell’ambiente chiuso di Recanati, in una co-
stante difficoltà di confronto culturale diretto con gli intellettuali del suo tempo. Ideo-
logico, perché il pessimismo e il materialismo che alimentano la sua visione del mon-
do lo pongono in contrasto con la dominante ideologia cattolico-liberale, al punto
che anche i suoi ammiratori, come Vincenzo Gioberti e Francesco De Sanctis, sento-
no la necessità di separare il pensiero dalla poesia, sembrando inaccettabile, sia dal
punto di vista cattolico sia dal punto di vista liberal-democratico, una posizione come
quella leopardiana che nega programmaticamente qualunque idea o speranza di pro-
gresso per l’uomo.
Un pensiero Di qui la singolare compresenza in Leopardi di una componente di arretratezza ri-
estraneo spetto al suo tempo, poiché i suoi interessi e le sue argomentazioni risultano struttu-
al proprio
tempo ralmente più legati al dibattito filosofico del Settecento, e insieme di una straordi-
naria capacità di preveggenza a lungo termine che lo avvicina alle problematiche del-
l’epoca attuale.

Il pessimismo storico
Gli inizi dellaL’avvio di un percorso autonomo di Leopardi rispetto al retrivo clima recanatese e alla
riflessione
ideologia paterna va collocato negli anni 1818-1820, quando l’amicizia con Giordani, il
filosofica
sentimento di rivolta esistenziale, la conoscenza delle più recenti esperienze letterarie e
del nuovo pensiero civile e filosofico in Italia, e soprattutto della filosofia dei lumi, gli of-
frono occasione e strumenti per una prima valutazione della storia umana, in genera-
le, e della realtà contemporanea, in particolare, segnata dalla Restaurazione.
Natura I mali del secolo, le mortificanti condizioni di un’Italia asservita e torpida, l’individuali-
contro ragione smo imperante anche nel resto d’Europa, vengono spiegati con l’adozione dello schema
natura contro ragione, largamente diffuso in ambito illuminista e condensato da Rousseau
nella felice immagine del “buon selvaggio”. Secondo questa contrapposizione, la natu-
ra, che opera sempre per il bene, è stata progressivamente abbandonata e tradita dal-
l’azione corruttrice della ragione, che ha spento le forze vitali dell’uomo rendendolo
sempre più arido ed egoista, fino all’estrema decadenza del presente. Al negativo giu-
dizio sulla contemporaneità si accompagna dunque un’idealizzazione della “felice”

Focus LEOPARDI FILOSOFO?


La tardiva riscoperta, nella seconda metà del Novecento, del pensiero leopardiano e del suo intrinseco legame
con la produzione poetica, ha aperto il problema dell’effettivo peso della sua speculazione filosofica e se essa
sia configurabile come un vero e proprio sistema. Le risposte sono venute da una lettura sistematica dei testi in
prosa che più esplicitamente propongono un contenuto filosofico, come lo Zibaldone e le Operette morali, e
dalla attenta e a volte controversa interpretazione dei Canti, in molti dei quali l’aspetto argomentativo appare in-
scindibile dall’intenzione poetica.
Ne risulta un percorso sofferto e lucido al tempo stesso, per l’oggetto dell’indagine, l’uomo e il senso della sua
esistenza nell’universo, e per lo strumento utilizzato, la ragione.

© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI 21


condizione degli antichi e della loro irripetibile sintonia con la natura, favorita dal pro-
fondo legame affettivo del poeta con la cultura e la poesia dei grandi poeti antichi.
La teoria La definizione più interessante di questa fase del percorso filosofico leopardiano è
del piacere contenuta nella teoria del piacere, esposta diffusamente nello Zibaldone nelle annota-
zioni del 12-23 luglio 1820, alla quale Leopardi rimanda spesso in osservazioni succes-
sive e che egli stesso, dunque, riconosce come momento fondante della propria rifles-
sione filosofica e poetica. Secondo questa teoria, l’anima umana ha una innata propen-
sione alla felicità, cioè al piacere (le due parole, nella prospettiva materialistica di Leo-
pardi, sono sinonimi), illimitata per durata e per estensione e, perciò, incapace di tro-
vare appagamento nel concreto soddisfacimento di un desiderio: l’uomo non deside-
ra “un” piacere, ma “il” piacere. Anche il tempo gioca un ruolo negativo, perché l’as-
suefazione logora e spegne il piacere. L’antidoto naturale a questa “malattia” dell’esi-
stenza è l’immaginazione, capace di correggere l’angustia della realtà e di supportare
la naturale tendenza dell’uomo all’infinito: l’immaginazione del piacere è infatti una
delle sue “principali occupazioni”. Dunque la natura, nella sua gran misericordia, ha
provveduto a sanare la contraddizione insita nella condizione umana concedendo agli
uomini la facoltà immaginativa con tutto il suo immenso potenziale illusorio. La superio-
rità degli antichi rispetto all’uomo moderno si fonda proprio sulla risorsa della imma-
ginazione e delle illusioni. Quanto più prevale una conoscenza razionale, oggettiva,
scientifica del mondo tanto più l’uomo si condanna all’infelicità: e questa è appunto la
condizione del presente. Sono dunque escluse dalla noia e dall’infelicità, in questo mo-
mento, alcune categorie: gli sciocchi e i bambini, e – naturalmente – gli animali.
La polemica Parallelamente Leopardi sviluppa la sua polemica contro la società contemporanea, in
contro la società cui l’egoismo individuale è l’unica risposta alla mortificante condizione di oppressione
contemporanea
che prima il dispotismo ed ora la Restaurazione hanno imposto ai popoli europei, tra-
sformati da cittadini in sudditi. Il guasto maggiore prodotto da questa condizione è lo
spegnersi dell’entusiasmo delle giovani generazioni, un tempo risorsa essenziale,
con la loro carica di illusioni e di aspettative, per la vita delle società. La valutazione
pessimistica del presente è tanto forte in Leopardi da indurlo a demolire una delle più
radicate certezze nella storia dell’umanità: l’uomo non è fatto per vivere in società;
uomo e società sono due termini incompatibili.
La riflessione Nel biennio 1820-1821 si approfondisce anche la riflessione sulla religione, stimo-
sulla religione lata dalla lettura delle opere di François-René de Chateaubriand e di Félicité-Robert
de Lamennais, apologisti del Cristianesimo e della Restaurazione, destinati a diveni-
re ben presto bersagli della polemica antispiritualista di Leopardi. Secondo Leo-
pardi il Cristianesimo agì inizialmente come una grande illusione vivificatrice in un
mondo in declino. Esso non riuscì tuttavia, nell’antichità, a restituire all’uomo la feli-
cità ed anzi, col tempo, ne logorò e mortificò le energie vitali, a causa di un’etica in-
centrata sull’umiltà e la rassegnazione e della mancata attenzione ai bisogni e alle
aspirazioni materiali dell’uomo, fondamentali per Leopardi (come risulta evidente
dalla teoria del piacere).
Tale critica si accompagna sul piano più strettamente filosofico con l’abbandono defi-
nitivo della metafisica e di ogni idea che si presenti come assoluta, e l’adesione sempre
più convinta al Sensismo e al relativismo illuministico. Per qualche tempo Leopardi
sembra provare a far convivere, attraverso una sorta di “doppia verità”, il proprio siste-
ma filosofico con la religione (Dio viene identificato con il concetto di potenzialità infini-
ta), ma il compromesso si rivela subito fragile e sfocia in un rifiuto definitivo del caratte-
re dogmatico della verità religiosa.
Il pessimismo Questa prima e complessa fase dell’ideologia leopardiana viene comunemente indi-
storico cata come pessimismo storico: la definizione coglie efficacemente la prospettiva con
cui Leopardi affronta il problema dell’infelicità dell’uomo moderno, ma non è esausti-
va della varietà dei temi trattati e troppo fondata su un tema, quello della evoluzione
storica, marginale in Leopardi. Altrettanto si può dire per la definizione con cui si pre-
senta la fase successiva di elaborazione del suo pensiero, quella del cosiddetto pessi-
mismo cosmico, che entro il 1824, anno della composizione di gran parte delle Operet-
te morali, appare definitivamente acquisita come radicalizzazione e, in parte, supera-
mento delle convinzioni precedenti.

22 CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS


Il pessimismo cosmico
Natura contro L’approfondimento della filosofia illuministica, con le ineludibili conseguenze antimetafisi-
uomo che che già ne hanno logorato le convinzioni religiose, pone Leopardi, in un periodo di do-
lorose esperienze personali, di fronte ad un’altra, ben più amara, evidenza: la natura, in
quanto manifestazione di un sistema regolato da leggi fisiche, oggettive, scientificamente
quantificabili, è priva di valori, di finalità, di eticità. Attribuirle connotati di bontà, di prov-
videnzialità, di bellezza è insostenibile e contraddittorio. Questa verità produce in Leopar-
di sofferenza e ribellione: così, al giovanile schema “natura vs ragione” sostituisce l’oppo-
sizione “natura vs uomo”, dove la natura rappresenta la polarità negativa e l’uomo l’in-
nocente vittima di un crudele inganno. Con diverse sfumature Leopardi sviluppa questa
essenziale conclusione nelle Operette e ne fa il nucleo concettuale portante dei canti com-
posti successivamente. Con essa si decreta la crisi definitiva della visione antropocentrica
propria della cultura umanistica sotto i colpi della cultura scientifica e della ragione.
L’ambivalenza Nei confronti della ragione per molto tempo convive in Leopardi un atteggiamento
della ragione ambivalente. Essa è fondamento del materialismo, ormai da tempo accettato, e unico
strumento dell’indagine speculativa, ma al tempo stesso bersaglio polemico, per la
sua azione corrosiva e corruttrice delle condizioni dell’esistenza umana. Leopardi, per
esempio, a differenza di molti suoi contemporanei, non crede che il dominio razionale
dell’uomo sulla natura possa agevolare il progresso della società, e all’ottimismo pro-
gressista oppone la faccia negativa della ragione, di cui è pronto comunque a riafferma-
re il potere liberatorio rispetto ai dogmi e alle false certezze quando vuole combattere
il rinascente spiritualismo del suo tempo.
Meccanicismo Anche in questa fase, dunque, il percorso ideologico leopardiano è complesso e con-
e sofferenza trastato, perché l’accettazione del meccanicismo, di un “sistema natura” impassibile e
implacabile nel suo eterno ciclo di produzione e distruzione, non sana la sofferenza che
l’uomo è costretto a vivere sul piano dell’esistenza individuale, né fornisce risposte ac-
cettabili ai grandi interrogativi della vita: l’umanità vive abbandonata in un mondo sen-
za cause e senza finalità, in una insanabile dissonanza tra il proprio “sistema”, mosso da
affetti, ragione ed eticità, e quello della natura, necessariamente indifferente. La soffe-
renza, tuttavia, è condizione ontologica dell’intero universo: coinvolge non soltanto
gli sciocchi e i bambini, ma gli animali e le stesse piante.

Focus LEOPARDI E LA POLITICA


I contemporanei, in particolare gli amici toscani impegnati sul fronte del progressismo moderato e spesso redu-
ci da esperienze di coinvolgimento personale nei moti costituzionali del 1820-1821, come lo storico Pietro Col-
letta, rimproverano a Leopardi l’atteggiamento di freddezza tenuto nei confronti del nascente movimento risor-
gimentale. Leopardi non ha fiducia nel Risorgimento, come in tutte le proposte che si fondano sull’idea di “per-
fettibilità” della condizione umana: poiché è convinto che l’ordine naturale dell’universo neghi la felicità del-
l’individuo, non può pensare che sia in potere dell’uomo realizzare la felicità dei popoli.
I moti insurrezionali trovano una trasfigurazione dissacrante nel poemetto satirico Paralipomeni alla Batraco-
miomachia, scritto a partire dal 1831. Esso ripropone nella chiave grottesca della favola zoomorfa le vicende eu-
ropee e italiane e i loro protagonisti. Accomunando vincitori e perdenti, conservatori e progressisti, l’ironia di
Leopardi investe soprattutto il velleitarismo e la meschinità della politica contemporanea, divisa tra le nostalgie
assolutiste dei dominatori e l’inconcludente riformismo costituzionalista dei patrioti.
Una stessa carica provocatoria e polemica, indirizzata contro la fiducia progressista della società borghese ot-
tocentesca, percorre la Palinodia al marchese Gino Capponi, composta nel 1835, nella quale Leopardi finge di
ritrattare il suo pessimismo antiprogressista e di condividere le posizioni di moderato ottimismo degli amici to-
scani: in realtà denuncia, con pariniana, amara ironia, l’ipocrisia che sostiene la fiducia nel progresso umano e
il canto si rivela una illuminante prefigurazione dei falsi miti della attuale società di massa, indotti dai progressi
della comunicazione, della tecnologia e della scienza. Leopardi, con raro intuito profetico, avverte i rischi di
una delega acritica alla tecnologia e alla statistica delle sorti dell’umanità, l’inganno di un benessere fatto di co-
modità materiali, il potere dei mezzi di comunicazione capaci di condizionare l’opinione pubblica, il pericolo
della supremazia del potere economico e delle sue leggi implacabili in un mondo in cui continuano a regnare
ingiustizia, arroganza e mediocrità.

© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI 23


Per una moralità laica: il pessimismo agonistico
Negli ultimi anni della sua esistenza, ed in particolare dopo il definitivo abbandono di Re-
canati nel 1830, Leopardi si impegna in un ulteriore processo di approfondimento ideologi-
co. Precisa e rafforza il proprio materialismo quando deve rispondere agli attacchi di chi
attribuisce il suo pessimismo a motivazioni personali, dettate da un egocentrismo che solle-
verebbe una problematica soggettiva a condizione universale dell’uomo. In ciò si scontra
anche con i suoi stessi amici, in particolare con il gruppo fiorentino dell’“Antologia”.
La fondazione Soprattutto, però, si impegna a fondare su tali basi una nuova etica laica, caratterizza-
di una nuova ta da una rinnovata attenzione nei confronti della società e dei suoi valori. Ne La gi-
etica
nestra, il testamento poetico di Leopardi, egli riafferma definitivamente l’assoluta su-
premazia della natura nei confronti dell’uomo e l’assurdità di qualsiasi visione antropo-
centrica (religiosa o laica che sia), ma pone il vincolo sociale come unica scelta positi-
va, in un certo senso obbligatoria, per l’umanità. Non si tratta certo della soluzione dei
problemi dell’uomo, ma di un’estrema opzione difensiva: la natura vince comunque,
ma gli uomini devono collaborare per ridurne l’influenza negativa sulla propria vita. Per-
ciò non si può attribuirle un carattere pienamente progressista, o “progressivo” (secon-
do la definizione del critico marxista Cesare Luporini).
Leopardi Essa è connotata, tuttavia, da uno straordinario spessore etico e da una potenzialità (al-
profeta meno teorica) di rivoluzionario rinnovamento dei rapporti umani. L’unica dignità possibi-
del vero
le per l’uomo è quella che si esprime nella consapevolezza e nella predicazione del “ve-
ro” – cioè della nullità, dell’insignificanza umana agli occhi della natura – e, di conseguen-
za, nel vincolo di solidarietà con i propri simili contro la natura stessa, “nemico comu-
ne”. Tale vincolo non si identifica esattamente in nessuno dei sistemi sociali storicamente
realizzati, ma li trascende tutti in una sorta di utopia etica universale: gli uomini devono
amarsi l’un l’altro solo in ragione delle loro negatività, della verità del loro nulla (mentre
tutte le istituzioni sociali della storia umana, con le relative ideologie di sostegno, si sono
fondate su presunte qualità “positive” e distintive dei loro membri, innescando dunque,
inevitabilmente, processi di selezione, diversificazione, aggressione, violenza).

5. LA POETICA

La scoperta del “bello” e l’incontro-scontro con il Romanticismo


Dall’“erudizio- Il percorso letterario di Leopardi prende avvio dal superamento della impostazione
ne” al “bello” “erudita” dei primi anni e passa attraverso la scoperta del “bello”, cioè della poesia.
Lo Zibaldone testimonia l’indissolubile intreccio tra sviluppo del pensiero e riflessione
sulla poesia e in generale sull’attività artistica, che produce l’avvicendarsi senza soluzio-
ne di continuità delle osservazioni letterarie e di quelle a carattere filosofico. Leopardi
comincia ad apprezzare le qualità proprie della poesia (il “bello”) attraverso la lettura
dei classici, a cui negli anni della formazione si è accostato soprattutto per un interesse
linguistico e filologico, e grazie alla mediazione di Giordani, che lo indirizza verso le
posizioni del classicismo “illuminato”.
Il rifiuto del Il primo incontro-scontro con le idee del Romanticismo, documentato dal Discorso di
Romanticismo un italiano intorno alla poesia romantica (1818) e dalla Lettera ai Sigg. compilatori
della “Biblioteca italiana” (1816), risente di questa mediazione. I classicisti più attenti al-
le esigenze di rinnovamento della letteratura, come Giordani, avvertono infatti un forte
elemento di estraneità nella proposta romantica di tagliare i ponti con la tradizione,
perché proprio nelle radici classiche riconoscono la vera identità della cultura italia-
na. A questa convinzione se ne affianca un’altra, più importante: solo gli antichi, per la
loro immediata consonanza con la natura, sono stati capaci di esprimere in poesia la
forza della loro facoltà immaginativa. Ai moderni, privati dalla ragione di questa irri-
petibile capacità di illusione, costretti dall’avanzare dell’arido vero a confrontarsi solo
con la nullità delle cose, non resta che il freddo ragionamento, l’analisi oggettiva delle
sensazioni e degli affetti, insomma la filosofia. Inoltre, la condanna morale della mo-
dernità condiziona negativamente la valutazione leopardiana del Romanticismo, in
quanto espressione letteraria dell’età contemporanea.

24 CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS


Elementi Il Discorso, rimasto inedito, rivela tuttavia notevoli elementi di ambiguità, e il classici-
romantici smo, che Leopardi vi professa, appare soprattutto dettato dal rimpianto per un mondo
eticamente superiore più che da ragioni specificamente letterarie. In realtà, nel 1818 la
posizione di Leopardi non è molto lontana da quella del gruppo del “Conciliatore”: sia
sul piano ideale (Leopardi aspira ad una rinascita morale della società italiana), sia per gli
esiti del percorso più propriamente letterario. Il giudizio limitativo su Monti (precedente-
mente considerato un maestro), la critica al tradizionale concetto di imitazione, la per-
plessità sull’uso della mitologia antica, il giudizio sulla mediocrità dei moderni carenti di
ispirazione e di passioni, avvicinano nella sostanza Leopardi alla poetica romantica.
La morte Mentre il Romanticismo, che si è esplicitamente liberato, come nel caso di Manzoni,
della poesia dal peso della tradizione classica respingendone convenzioni e immagini, può reimpo-
nella modernità
stare in piena autonomia i modi e le forme del linguaggio poetico, Leopardi deve risol-
vere il nodo problematico, che egli stesso ha postulato quasi come un assioma, per cui
l’età moderna è negata alla poesia perché votata alla filosofia e, perciò, lontanissima
dall’immaginazione, che è la vera fonte dell’ispirazione poetica.

La teoria del piacere e la poetica dell’indefinito: gli idilli


Le soluzioni Le risposte che lo scrittore elabora intorno al problema cruciale della sopravvivenza
della poesia in età moderna sono molteplici: tutte però trovano un centro propulsore
nella teoria del piacere. Se infatti l’immaginazione, unico conforto alla infelicità dell’esi-
stenza, non è più naturalmente appannaggio degli uomini dell’età presente, si può ten-
tare di ricrearne artificialmente le condizioni e gli effetti, sia fingendo le situazioni che
favoriscono il dispiegarsi della facoltà immaginativa, sia dilatando attraverso la pa-
rola gli angusti spazi della realtà. Si delineano così gli elementi fondanti della poetica
leopardiana, destinati a percorrere la sua scrittura fino agli ultimi canti: la rimembranza
e l’indefinito.
La La rimembranza produce piacere perché consente di rievocare una situazione, anche
rimembranza dolorosa, in una prospettiva sfumata e addolcita dalla lontananza temporale; consente
soprattutto di rivivere le età della vita più vicine alla condizione immaginosa degli
antichi, cioè l’infanzia e la prima giovinezza; consente inoltre di amplificare il valore
dei luoghi e degli oggetti sovrapponendo alla loro percezione oggettiva e materiale
l’immagine che di essi è custodita dal ricordo.
L’indefinito… Il piacere dell’immaginazione può inoltre essere recuperato attraverso l’uso di parole
che producono sensazioni e idee indefinite, vaghe, indistinte. Infatti se l’uomo – se-
condo la teoria del piacere – aspira per natura a un piacere infinito, impossibile però da
raggiungere per la finitezza del reale, l’indefinito finisce per essere l’unico possibile sur-
rogato, pur se parziale, dell’infinito.
…e gli L’ampia casistica proposta da Leopardi sulle possibilità della parola di suscitare l’in-
strumenti definito a livello visivo, uditivo, spazio-temporale è frutto di una ricerca sulla lingua e
retorici
per evocarlo sullo stile che probabilmente non ha precedenti nella nostra tradizione letteraria, anche
per la matrice sensistica e materialistica che la sostiene. Le parole non hanno, per Leo-
pardi, il carattere di significazione astratta, di convenzione formalizzata dall’uso lettera-
rio, ma una loro “fisicità” nella esatta corrispondenza con la cosa significata fino a tra-
sformarsi in essa. Le parole non significano, sono. È illuminante a questo proposito la
distinzione (Zibaldone, 28 giugno 1821) tra termini e parole (cfr. testo a pag. 70): i pri-
mi, definendo in modo analitico le cose, circoscrivono con precisione l’oggetto e sono
adatti al discorso scientifico mentre le seconde, capaci di suggerire idee complesse
perché non delimitate e separate dalle altre, sono portatrici di quella ricchezza seman-
tica che la poesia richiede. Sono dunque naturalmente poetiche tutte le parole che
hanno in sé l’idea di lontananza, antichità, vastità, indeterminatezza.

Il silenzio poetico e la prosa delle Operette morali


La nuova Ma il dubbio solo in parte risolto sulla legittimità della scrittura poetica in un presente
sfiducia
nella poesia
incapace di ispirare il grande e il bello, e adatto invece a produrre solo riflessione senti-
mentale e filosofica riaffiora ben presto in modo drammatico e trova voce nelle canzoni
“del suicidio”, in particolare nell’Ultimo canto di Saffo (cfr. testo a pag. 44 e segg.),
preludio al lungo silenzio poetico degli anni 1824-1828. È proprio la forma composi-

© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI 25


tiva più tradizionale, quella della canzone, ad accogliere per prima la disarmonia della
modernità e il suo effetto corrosivo sulla poesia, fino all’esaurirsi delle sue capacità co-
municative. Saffo è anche “figura” della poesia, ospite ormai indesiderata in un mon-
do arido e ostile, isolata nella sua bruttezza (il disadorno ammanto) e infine costretta al
silenzio-suicidio.
Dal “bello” La nuova scelta espressiva, la prosa delle Operette morali, sembra corrispondere per-
al “vero”: ciò ad un’esigenza di estrema coerenza tra il percorso del pensiero e la forma del-
la scelta
della prosa
l’espressione: la prosa, con la sua esplicita caratterizzazione filosofico-morale, corri-
sponde alla impoeticità della moderna condizione umana. Nelle Operette lo spazio
dell’immaginazione è tuttavia salvaguardato, ma in una forma nuova: quella dell’inven-
zione fantastica, per cui la fantasia non opera in opposizione alla ragione, ma anzi
collabora con essa per una più piena e completa comprensione del mondo e delle co-
se, attraverso il rovesciamento ironico o surreale dei naturali protagonisti della rifles-
sione sul mondo (gli uomini) e l’introduzione di nuovi punti di vista (il gallo silvestre, il
coro dei morti, la natura).

La rinascita della poesia: i canti pisano-recanatesi


Il superamento Il ritorno alla poesia con i canti pisano-recanatesi, composti nel periodo 1828-1830,
della distinzioneattesta, anche nella definitiva adozione di forme metriche aperte (strofa libera, ende-
tra idillio
e canzone casillabi sciolti), il superamento della distinzione idillio/canzone. Tale separazione aveva
inizialmente rappresentato il tentativo di riservare all’idillio lo spazio proprio della poe-
sia (con la poetica dell’infinito e della rimembranza) e alla canzone quello della tradu-
zione in versi del pensiero, con tutto il suo vigore polemico e argomentativo. Nella fa-
se del pessimismo radicale, Leopardi si impegna a far coesistere l’inevitabile doppia na-
tura della poesia (antica e moderna, immaginosa e sentimentale).
La poetica della I canti pisano-recanatesi propongono un doppio registro espressivo, in cui lo sfondo
“doppia vista” idillico, l’armonia ingannevole della natura, si accompagna all’impietosa riflessione
sul presente che svela il vero volto della condizione umana. La poetica della rimem-
branza esprime qui pienamente la sua funzione di far rivivere ancora intatta la spe-
ranza nel passato attraverso il ricordo e di decretarne la morte nell’impatto con il
presente, di evocare, attraverso luoghi ed oggetti circoscritti ed insignificanti, l’ansia di
infinito e i momenti in cui nella giovinezza essa è sembrata sul punto di trovare appaga-
mento e realizzazione. La chiave che immette dall’una all’altra prospettiva è sempre più
spesso rappresentata dall’ironia, ora esplicita ora sfumata: è una forma del pensiero
che Leopardi ha messo a punto nella scrittura delle Operette e che in questi canti si as-
sume il compito di rendere dicibile la sconfinata distanza che la natura ha frapposto
tra le aspettative dell’uomo e il nulla a cui è destinato.

L’ultimo Leopardi
Sperimentalismo Dopo il 1830, lontano da Recanati, Leopardi attua, non senza incertezze, una fase di
e fusione sperimentazione che sembra raccogliere e rilanciare tutta la complessità dell’intreccio
dei registri
pensiero-poesia. I diversi registri espressivi e le soluzioni stilistiche confluiscono in una
scrittura animata da una tensione che Binni ha definito eroica, testimonianza di una rin-
novata volontà del poeta di partecipare alla riflessione sul proprio tempo e di docu-
mentare i fallimenti della propria vicenda personale.
La contrapposizione con l’età presente ed in particolare il rifiuto delle facili e mistifi-
canti consolazioni dello spiritualismo producono un incremento della passione polemi-
ca di Leopardi, che trova nella satira un’efficace valvola di sfogo. Nello stesso tempo,
l’ultima delusione sentimentale, l’amore non corrisposto per Fanny Targioni Tozzetti, gli
fa sperimentare, in alcune poesie del “ciclo di Aspasia”, uno stile concentrato e disa-
dorno, un lessico dissonante e aspro. La poesia A se stesso ne costituisce l’esempio
più pregnante (cfr. testo a pag. 110).
Il testamento Testamento poetico, oltre che ideologico, La ginestra si presenta come un testo di
poetico grande suggestione perché raccoglie tutte le soluzioni espressive che Leopardi ha ela-
borato nel suo percorso poetico e rappresenta inoltre l’estrema sintesi della riflessione
sul ruolo del poeta e sulla funzione della poesia.

26 CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS


Il ruolo Il testo dichiara innanzi tutto il ruolo esplicito che il poeta, in quanto uomo dotato di
del poeta… eticità, deve rivendicare anche a prezzo dell’incomprensione e dell’oblio: quello della
predicazione coraggiosa e instancabile del “vero” con gli strumenti propri dell’argo-
mentazione razionale, della critica, della demistificazione.
…e la In più Leopardi suggerisce l’idea che la grande poesia abbia un’ulteriore, fondamenta-
funzione le funzione. Essa si rivolge alla sensibilità, alle emozioni, al cuore con un linguaggio che
della poesia
sa suscitare la speranza, il sogno, la memoria, l’illusione: è la “consolazione”, che le
opere di genio producono anche quando rappresentano il vuoto e “l’inevitabile infelici-
tà” della vita (Zibaldone, 4 ottobre 1820) e che metaforicamente il profumo della gine-
stra porta al deserto dell’esistenza.

IL PENSIERO DI LEOPARDI

• Felicità degli antichi e dei fanciulli, dovuta a immaginazione e il-


lusione, e degli animali, dovuta a inconsapevolezza. La natura
PESSIMISMO buona compensa l’impossibilità di raggiungere il piacere con la
STORICO varietà e l’indefinito.
1819-22 circa • Infelicità dei moderni, che hanno una conoscenza oggettiva del
mondo. La ragione negativa svela la limitatezza della condizione
umana.
IDEOLOGIA

• Infelicità di tutte le creature: la sofferenza è condizione ontologi-


ca e necessaria.
PESSIMISMO • Natura matrigna: mette al mondo l’uomo con il desiderio di feli-
COSMICO cità, ma gli impedisce di appagarlo.
1823-30 circa • Ragione ambivalente: svela l’inganno della natura, ma illude
l’uomo di poterla dominare con la scienza e la tecnica.

PESSIMISMO • Necessità di un’alleanza difensiva contro la natura.


AGONISTICO • Valutazione positiva della società.
dopo il 1830

• Antichi: dominio dell’immaginazione e poesia ingenua.


ANTICHI / • Moderni: dominio della ragione e crisi della poesia; si può avere
MODERNI quindi una poesia negativa, basata sulla consapevolezza della
1819-23 circa crisi (canzoni) o una poesia che cerca di recuperare la condizione
degli antichi mediante rimembranza e indefinito (idilli).

MORTE DELLA
POESIA Prosa (Operette morali).
1824-28 circa
POETICA

POETICA DELLA Poesia che fa coesistere immaginazione e riflessione (canti pisano-


“DOPPIA VISTA” recanatesi).
1828-1830

Accettazione dell’”arido vero”; poesia basata sulla ragione; demisti-


ficazione degli inganni:
FASE EROICA • del cuore (“ciclo di Aspasia”);
dopo il 1830 • della cultura e della società (testi satirici e polemici);
• della natura e della cultura (La ginestra).

© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI 27


Letteratura e filosofia
LEOPARDI “FILOSOFO”: GLI STUDI DI EMANUELE SEVERINO

Verso il pensiero contemporaneo


Il pensiero di Leopardi è stato oggetto, negli ultimi decenni, di un particolare interesse e di una pro-
fonda rivalutazione: spesso considerato in passato (in particolare dalla critica crociana) come elemen-
to strutturale che ostacolerebbe la poesia, è considerato ora come fattore costitutivo e fondante del-
la poesia stessa. Analogamente, non è più visto come un insieme frammentario ed estemporaneo di
riflessioni (in vario modo legate ai suoi problemi esistenziali e alla sua produzione letteraria), ma come
un vero e proprio “sistema filosofico”, coerente ed organico. Leopardi non è un poeta che filosofeg-
gia, ma un filosofo che si esprime attraverso la poesia.
Ma il merito maggiore della filosofia di Leopardi è che apre la strada al pensiero contemporaneo, in
quanto, per prima, sa comprendere e definire l’inevitabile fallimento di quel “paradiso della tecnica”
nella realizzazione del quale sembra consistere il senso di tutta la civiltà occidentale odierna. È questa
la tesi centrale dei notevolissimi saggi dedicati a Leopardi da Emanuele Severino: Il nulla e la poesia.
Alla fine dell’età della tecnica: Leopardi, Rizzoli, Milano, 1990; Cosa arcana e stupenda. L’Occidente e
Leopardi, Rizzoli, Milano, 1997. Attraverso un’analisi di tutto il corpus della prosa filosofica leopardia-
na (in particolare dello Zibaldone e dei Pensieri, oltre che delle Operette morali e dell’Epistolario) non-
ché della produzione poetica, Severino giunge ad affermare che Leopardi non solo è un filosofo a pie-
no titolo, ma anche uno dei grandi pensatori dell’Occidente. Il suo pensiero ha un’importanza epo-
cale per la filosofia attuale: è infatti capace di comprendere il presente e il futuro della civiltà contem-
poranea in quanto civiltà della tecnica destinata ad un inevitabile fallimento.

La tradizione filosofica occidentale


Il pensiero greco (a partire da Eschilo) e l’intera tradizione filosofica occidentale che precede
Leopardi si possono riassumere nella ricerca di una verità (epistéme) capace di porsi come rimedio
contro l’angoscia prodotta dalla coscienza dell’annientamento della vita e delle cose; una verità
capace di fissare l’esistenza di un Eterno, di un Assoluto, in cui sia custodito tutto ciò che nel mon-
do “diviene” provenendo dal nulla e tornando al nulla. Leopardi apre e fonda una nuova stagione
filosofica – quella appunto del pensiero contemporaneo – perché, dichiarando l’inevitabilità della
“distruzione” di ogni Eterno e di ogni Assoluto, dà inizio a quel rifiuto della tradizione occiden-
tale che, a partire da Nietzsche (attraverso cui il pensiero di Leopardi si diffonde in modo anoni-
mo), è uno dei temi dominanti del pensiero contemporaneo. Questo rifiuto dell’Eterno e dell’As-
soluto, prima che un’“invenzione” di Leopardi, è una scelta implicita ed inconsapevole che ha
compiuto la stessa civiltà occidentale optando originariamente per una concezione della realtà co-
me divenire e quindi per il primato
della tecnica, votandosi alla sua
dominazione ed anzi alla ricerca di
un “paradiso della tecnica”, desti-
nata, per Leopardi, ad un rovinoso
e ineluttabile fallimento. Questo
fallimento è il fallimento stesso di
tutta la cultura e di tutta la tradi-
zione occidentale.

Emanuele Severino.

28 CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS


L’interpretazione di Leopardi
Ma, se il pensiero occidentale, andando alla ricerca della “verità”, ha prodotto una civiltà destinata
all’annientamento, il contenuto profondo di quella verità non era l’Eterno, non era l’Assoluto, ma l’an-
nientamento stesso. Questo scopre, denuncia e codifica per primo Leopardi: il pensiero e la civiltà oc-
cidentali in quanto tali sono profondamente nichilistici.
Fatta questa “scoperta”, Leopardi ne deduce che la ricerca della “verità” non può essere un ri-
medio all’angoscia, ma, all’opposto, è la radice stessa dell’angoscia (data l’essenza “negativa”
della verità). II rimedio, semmai, è nella dimenticanza della verità. Ma come si può negare o dimen-
ticare la verità oggigiorno, nel tempo della piena ragione, nell’età della scienza e della tecnica?
Non si può. L’unico possibile rimedio, l’unica strada percorribile (come palliativo, non come solu-
zione) è quella del “genio”: la strada, cioè, di chi è capace di unire la verità (ossia il nulla annien-
tante) alla poesia. È la poesia – la poesia del nulla – l’ultima illusione, l’estremo sguardo in grado
di reggere lo spettacolo terribile della verità. Solo il genio, solo il poeta (il poeta-filosofo che è
Leopardi) è in grado di vedere in piena luce tutta la negativa portata della verità. Se non esiste al-
cun eterno e alcuna verità assoluta e incontrovertibile al di fuori di quella che afferma l’esistenza
del divenire, l’essere è la sporgenza casuale e precaria delle cose dal nulla, in una successione
dove tale sporgenza è via via occupata e costituita da cose sempre diverse, tra le quali non può esi-
stere alcun nesso e alcun legame necessario e che quindi sono puri “fatti” senza perché. Ciò che
esce dal nulla non può unirsi al già esistente in forza di un legame necessario. Uscendo dal nulla
non ha alcun diritto da accampare, nessuna vocazione originaria da esprimere e da far rispettare,
nessuno scopo da raggiungere. E nessun legame di tale natura può unire ciò che va nel nulla alle
cose che continuano ad esistere. E poiché la totalità dell’esistente è costituita da cose che sporgo-
no provvisoriamente dal nulla, nessun legame necessario può unire le cose che costituiscono la to-
talità di fatto esistente. La totalità dell’essere è pertanto una giustapposizione accidentale di cose;
esiste come casualmente frantumata in una molteplicità di cose separate. Dunque ogni cosa è un
frammento; e quindi costitutivamente predisposta ad essere considerata all’interno di un sape-
re “specialistico-matematico”. La frammentarietà, la specializzazione, la matematizzazione sono
dunque – secondo Leopardi – i tratti distintivi (inevitabilmente distintivi, anche se non consapevol-
mente avvertiti come tali) della cultura occidentale, del destino della civiltà occidentale. L’essere è,
nel pensiero occidentale, “costretto” ad una radicale frammentarietà. Il pensiero occidentale è –
senza averne coscienza – fondato sul nichilismo, cioè sulla fede esclusiva nell’esistenza del diveni-
re e nella nullità dell’essere. È un pensiero – e una civiltà – follemente contraddittorio: ha creduto
di “fondare” una verità dell’eterno e dell’assoluto ed ha realizzato (soprattutto sta realizzando nel-
l’età contemporanea) la verità del nulla.

Giovanni Dupré, Abele morente, 1842. Firenze, Palazzo Pitti.

© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI 29


L’ORGANIZZAZIONE DEL NOSTRO DISCORSO
Come si è visto, la poetica e la produzione letteraria di Leopardi sono strettamente intrecciate con lo sviluppo
del suo pensiero, che non è costante nel corso degli anni, ma presenta una significativa evoluzione. Per tale
motivo, è opportuno procedere, nell’analisi dei testi e nella lettura delle opere, in ordine almeno approssima-
tamente cronologico. Presenteremo dunque inizialmente la storia compositiva, la struttura e i caratteri dello Zi-
baldone e dei Canti, le opere a cui Leopardi lavorò per gran parte della vita. Quindi analizzeremo in partico-
lare, con l’ausilio dei testi antologici, i diversi momenti della sua esperienza letteraria, affiancando ai testi poe-
tici le riflessioni dello Zibaldone ad essi connesse. Dopo le canzoni e gli idilli, nonostante gli anni di silenzio
poetico che li separano, si affronteranno i canti pisano-recanatesi e l’ultima parte della produzione leopardia-
na. Si tratterà infine delle Operette morali, che costituiscono un segmento nel complesso cronologicamente e
concettualmente organico.

6. LO ZIBALDONE DI PENSIERI
Composizione Lo Zibaldone di pensieri è una raccolta di diverse e varie riflessioni, stese da Leopardi
tra il luglio-agosto 1817 e il 4 dicembre 1832. È lo stesso Leopardi a usare questo nome,
quando nel 1827 scrive un indice analitico degli appunti fino ad allora raccolti, dimo-
strando da un lato il bisogno di sistemare il proprio pensiero, dall’altro la consapevolez-
za dell’esaurimento di questa esperienza. Difatti lo Zibaldone si chiude praticamente il 5
settembre del 1829, in quanto nei tre anni successivi il poeta aggiunge soltanto due pa-
gine. Ma trova una continuazione ideale nei centoundici Pensieri, composti a partire
dal 1832, in parte nuovi e in parte rielaborazione di riflessioni già consegnate allo Zibal-
done, destinati da Leopardi stesso alla pubblicazione, ma rimasti incompiuti.
La natura Lo Zibaldone è una sorta di autobiografia intellettuale che documenta lo svolgimen-
dell’opera to del pensiero nella sua successione cronologica. Il poeta ne registra puntualmente
le continue evoluzioni, i movimenti e i passaggi: non per un ripiegamento intimistico,
ma, partendo dal vissuto e dal pensato individuali, per pervenire alla comprensione del-
l’universale condizione umana.
Gli strumenti Questa incessante indagine non è solo frutto di speculazioni, ma anche di sentimenti
dell’indagine e di sensazioni fisiche. È, a questo proposito, illuminante il fatto che Leopardi colleghi,
conoscitiva
in un passo dello Zibaldone (144), la cosiddetta conversione filosofica alla malattia de-
gli occhi occorsagli nel 1819: in questa occasione, favorita da un languore corporale, la
rivelazione dell’infelicità del mondo scaturisce da un sentire prima che da un conosce-
re, in un’interazione di razionalità, fisicità e sentimento. Leopardi sviluppa questo
sentire non nelle forme della sentimentalità romantica, ma nelle lucide strutture dell’in-
vestigazione etico-filosofica, di matrice sensistica.
Il nesso Storicizzare il proprio pensiero e la propria vita comporta la possibilità di guardarsi
tra pensiero
e poesia
da lontano e dall’alto, ricostruendo nel presente del testo, simultaneamente, tutta
l’esperienza trascorsa: ma guardare da lontano e dall’alto sono anche i due modi di ve-
dere caratteristici del poeta (si pensi solo a Il passero solitario e a L’infinito), che danno,
in questo modo, una forte impronta poetica alla speculazione etico-filosofica.
I temi Lo Zibaldone rappresenta una miniera ricchissima di temi e motivi, molti dei quali in-
trecciati con la storia della poesia leopardiana. Una delle costanti è la strenua difesa
dell’individuo contro il prevalere del concetto di massa nel pensiero moderno, il quale,
anche in questo, registra una profonda differenza rispetto al pensiero antico:
Col perfezionamento della società, col progresso dell’incivilimento, le masse guada-
gnano, ma l’individualità perde: perde di forza, di valore, di perfezione, e quindi di
felicità: e questo è il caso de’ moderni considerati rispetto agli antichi.
da Zibaldone, 4368, 5 settembre 1828

Partire dall’individuo significa porre in modo concreto e profondo il problema dell’in-


felicità dell’uomo, che non può essere risolto e neppure affrontato dalle scienze politi-
che, economiche e sociali, che guardano alla massa. La letteratura, invece, conosce i
meccanismi profondi dell’esistenza e può rappresentare un valido conforto:

30 CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS


In fine mi comincia a stomacare il superbo disprezzo che qui si professa di ogni bel-
lo e di ogni letteratura: massimamente che non mi entra poi nel cervello che la som-
mità del sapere umano stia nel saper la politica e la statistica. Anzi, considerando fi-
losoficamente l’inutilità quasi perfetta degli studi fatti dall’età di Solone in poi per
ottenere la perfezione degli stati civili e la felicità dei popoli, mi viene un poco da
ridere di questo furore di calcoli e di arzigogoli politici e legislativi; e umilmente do-
mando se la felicità de’ popoli si può dare senza la felicità degl’individui. I quali so-
no condannati alla infelicità dalla natura, e non dagli uomini né dal caso: e per con-
forto di questa infelicità inevitabile mi pare che vagliano sopra ogni cosa gli studi
del bello, gli affetti, le immaginazioni, le illusioni. Così avviene che il dilettevole mi
pare utile sopra tutti gli utili, e la letteratura utile più veramente e certamente di tut-
te queste discipline secchissime; le quali anche ottenendo i loro fini, gioverebbero
pochissimo alla felicità vera degli uomini, che sono individui e non popoli.
dalla lettera a Pietro Giordani, Firenze, 24 luglio 1828
Lo stile La struttura volutamente frammentaria e apparentemente disorganica è caratterizzata
da uno stile meno accademico e aulico e più agile e sciolto rispetto agli altri scritti in
prosa di Leopardi.

7. I CANTI
La storia del testo
Le Canzoni La pubblicazione dei Canti è preceduta da quella di due raccolte che ne costituiscono
e i Versi in qualche modo il presupposto, in quanto comprendono poesie lì poi confluite, ma
soprattutto segnano l’inizio di quel processo di selezione e riorganizzazione, che ha nei
Canti la sua naturale conclusione. La prima, del 1824, è intitolata Canzoni e compren-
de le dieci canzoni che confluiranno nei Canti. La seconda, del 1826, è intitolata Versi
e comprende tutta la produzione poetica a partire dal 1817, escluse le canzoni. Fra i
componimenti figurano anche gli idilli (le sei liriche comunemente definite piccoli idilli,
già pubblicate qualche mese prima in due numeri del “Nuovo Ricoglitore” di Milano).
Il progetto Al progetto dei Canti Leopardi comincia a pensare dopo la composizione del Canto not-
dei Canti turno di un pastore errante dell’Asia, allorché concepisce l’idea di una raccolta che attesti
tutto il suo percorso poetico riflettendone i principali momenti e il significato complessi-
vo. Si tratta dunque di un’opera che, per volontà dello stesso autore, è segnata da un pre-
ciso disegno strutturale, apparentemente lineare, in realtà complesso, frutto di attenta se-
lezione e, in alcuni casi, anche di spostamenti rispetto all’ordine cronologico di compo-
sizione, oltre che di ripetuti interventi sui testi (anche quando questi sono già a stampa).
Le tre edizioni I Canti hanno tre importanti edizioni. La prima è del 1831 e comprende, per la prima
volta insieme, le canzoni e gli idilli, nonché una scelta degli altri componimenti editi nel
1826. La seconda è del 1835: riprende l’edizione precedente, con qualche spostamen-
to e l’aggiunta dei componimenti più recenti. Questa edizione napoletana – l’ultima dei
Canti vivente Leopardi – fa parte di un progetto di pubblicazione in sei o sette volumi di
tutta l’opera leopardiana. Dopo la morte del poeta, Antonio Ranieri cura una terza e de-
finitiva edizione dei Canti nel 1845, che riproduce sostanzialmente l’edizione del
1835, emendandola tuttavia con le correzioni appuntatevi dall’autore e completandola
con l’aggiunta de Il tramonto della luna e La ginestra.

La natura della raccolta


Il titoloIl titolo Canti, del tutto originale nella tradizione letteraria italiana, vuole suggerire la
natura modernamente lirica della poesia leopardiana. Il genere lirico è, per Leopardi,
il più alto dei generi poetici e, come recita lo Zibaldone, il solo che resti ai moderni, ai
quali non si addice altra poesia che la malinconia, ovvero una poesia sentimentale che
è respiro dell’anima, canto dell’anima.
Le forme È da notare come le parole canti e canzoni rimandino alla percezione uditiva, alla di-
poetiche mensione dell’ascolto, mentre la parola idillio (dal greco eidýllion, “piccola veduta”) ri-
manda etimologicamente alla vista. Proprio il vedere e l’udire sono, secondo Leopardi,
le due facoltà principali del poeta. Canzoni e idilli sono le forme poetiche che carat-

© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI 31


terizzano i componimenti della raccolta e che Leopardi innova profondamente, sia
nello stile sia nei contenuti, rispetto alla tradizione.
La canzone La canzone tradizionale, detta anche canzone petrarchesca, è caratterizzata da una
petrarchesca struttura fissa, per cui ogni stanza è costituita da due parti, la fronte e la sirima (o sir-
ma), ambedue ulteriormente divise in due segmenti di ugual numero di versi (la fronte
è divisa in due piedi, la sirima è divisa in due volte); a fare da collegamento tra fronte e
sirima ci può essere un verso centrale, chiamato chiave, che rima con il verso che prece-
de; la canzone, inoltre, ha di solito fino al Seicento una parte conclusiva, detta conge-
do. È la forma che Leopardi adotta ancora nelle Canzoni del 1824.
La canzone In seguito propone un nuovo tipo di canzone – che sarà appunto detta canzone libe-
libera ra leopardiana – in cui le stanze non hanno uguale e simmetrico numero di versi né un
sistema di rime obbligato: la canzone leopardiana consiste, in sostanza, in un libero al-
ternarsi di endecasillabi e settenari, in strofe libere, con rime occasionali; rappresen-
ta una svolta fondamentale nella storia della metrica italiana, in quanto rompe la tradi-
zione e apre la strada al verso libero novecentesco.
L’idillio Anche per quanto riguarda l’idillio, Leopardi supera nettamente i confini del genere
tradizionale, che nella letteratura antica (da Teocrito a Virgilio) e moderna (dal poeta
svizzero Gessner a Pindemonte) tratta argomenti bucolico-campestri con taglio descrit-
tivo ed elegiaco (il termine eidýllion, come abbiamo già detto, significa letteralmente
“piccola veduta, bozzetto, quadretto”). L’idillio leopardiano prende avvio dalla rappre-
sentazione di elementi esterni (ad esempio, il colle e la siepe ne L’infinito; la luce lunare
e il canto notturno ne La sera del dì di festa), ma solo per farne spunto di un percorso
introspettivo che ha per traguardo problematiche di natura propriamente filosofica;
non è dunque a carattere descrittivo, ma lirico-meditativo.

Focus LA STRUTTURA DEI CANTI


Presentiamo di seguito l’indice dei Canti secondo l’edizione definitiva del 1845 e ne riassumiamo poi l’organiz-
zazione.
TITOLO DATA DI COMPOSIZIONE TITOLO DATA DI COMPOSIZIONE
1 All’Italia 1818 18 Alla sua donna 1823
2 Sopra il monumento di Dante 19 Al conte Carlo Pepoli 1826
che si preparava in Firenze 1818 20 Il risorgimento 1828
3 Ad Angelo Mai, quand’ebbe 21 A Silvia 1828
trovato i libri di Cicerone 22 Le ricordanze 1829
della Repubblica 1820
23 Canto notturno di un pastore
4 Nelle nozze della sorella errante dell’Asia 1829-1830
Paolina 1821-1822
24 La quiete dopo la tempesta 1829
5 A un vincitore nel pallone 1821-1822
25 Il sabato del villaggio 1829
6 Bruto minore 1821
26 Il pensiero dominante 1831
7 Alla Primavera, o delle favole
27 Amore e morte 1832
antiche 1822
28 A se stesso 1833
8 Inno ai Patriarchi, o de’
principii del genere umano 1822 29 Aspasia 1834
9 Ultimo canto di Saffo 1822 30 Sopra un bassorilievo antico
sepolcrale, dove una giovane morta
10 Il primo amore 1817
è rappresentata in atto di partire,
11 Il passero solitario 1832-1835 accomiatandosi dai suoi 1834-1835
12 L’infinito 1819 31 Sopra il ritratto di una bella
13 La sera del dì di festa 1820 donna scolpito nel monumento
14 Alla luna 1819 sepolcrale della medesima 1834-1835
15 Il sogno 1820 32 Palinodia al marchese
16 La vita solitaria 1821 Gino Capponi 1835
17 Consalvo 1832 33 Il tramonto della luna 1836

32 CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS


TITOLO DATA DI COMPOSIZIONE TITOLO DATA DI COMPOSIZIONE
34 La ginestra, o il fiore del 38 Frammento (Io qui vagando) 1818
deserto 1836 39 Frammento (Spento il diurno
35 Imitazione 1828-1829 raggio) 1816
36 Scherzo 1828 40 Dal greco di Simonide 1823-1824
37 Frammento (Odi, Melisso) 1819? 41 Dello stesso 1823-1824

La raccolta si apre con nove canzoni petrarchesche, scritte tra il 1818 e il 1823 (cfr. pagg. 34-49).
In coda alle canzoni, a far da cerniera fra queste e gli idilli, nei quali diviene protagonista l’io del poeta, è col-
locato Il primo amore, scritto a Recanati nel 1817 in occasione di un soggiorno a casa Leopardi di Gertrude
Cassi, cugina del poeta. Rispetto ai successivi idilli Il primo amore si differenzia per tono, stile e metro (la ter-
zina dantesca), ma, dal punto di vista dei contenuti, ne costituisce un embrionale punto di partenza.
Il gruppo degli idilli è introdotto dal Passero solitario, che svolge la funzione di proemio. Anche in questo ca-
so è forzato l’ordine cronologico di composizione, dal momento che esso è quasi sicuramente da datare fra il
1832 e il 1835, ed è assai probabile che sia l’ultima poesia composta prima della Palinodia e della Ginestra. Il
motivo del passero solitario appartiene a una consolidata tradizione lirica, oltre che biblica. Facendone un te-
ma introduttivo, Leopardi vuole sottolineare il taglio lirico degli idilli.
Seguono poi gli idilli, cinque testi in endecasillabi sciolti, scritti fra il 1819 e il 1821 (cfr. pagg. 54-68). La po-
sposizione degli idilli alle canzoni, quasi tutte composte dopo, indica che Leopardi considera la forma idillio e
il genere lirico come vero sbocco di tutta la sperimentazione poetica degli anni giovanili, l’espressione più au-
tentica della propria ispirazione.
Scritto nel 1832, Consalvo è anch’esso in endecasillabi sciolti, ma di notevole ampiezza e caratterizzato da un
taglio narrativo che lo distingue dagli altri idilli. Il protagonista è un innamorato che può dichiarare il proprio
amore solo in punto di morte; la definitiva assolutezza della morte preserverà l’amore dalle miserie della vita e
conserverà la purezza del sogno e dell’ideale. È un modo diverso, ma in qualche modo parallelo, rispetto a Il
primo amore, di esprimere l’ineffabile assolutezza dell’amore, che infatti nei due componimenti risulta ine-
spresso, ovvero dichiarato nel momento in cui non può essere realizzato.
Al Consalvo segue Alla sua donna, scritta nel 1823 e pubblicata come ultima delle Canzoni nel 1824. La sua col-
locazione dopo gli idilli, dunque, è frutto di un ulteriore spostamento rispetto all’ordine di composizione, motiva-
to forse dal fatto che Leopardi vuole celare la vicinanza cronologica fra Alla sua donna e l’Ultimo canto di Saffo e
dunque scongiurare una troppo meccanica identificazione Saffo-Leopardi. Legando invece Alla sua donna a Con-
salvo, può valorizzare il rapporto fra amore, poesia, giovinezza e morte (che sarà al centro dei canti pisano-reca-
natesi). Alla sua donna è incentrata sulla sostanziale illusorietà del femminino: donna e amore consistono solo nel-
la rappresentazione che ne fa il poeta, sono fantasmi che vivono nella sua mente e nella creazione poetica. L’im-
possibilità dell’amore coincide con l’impossibilità della poesia nel mondo moderno: come la poesia, anche la bel-
lezza femminile appartiene al passato, alla mitica età dell’oro (secol […] che dall’oro ha nome: si noti come il gio-
co di parole in stile petrarchesco dall’oro = d’alloro identifichi l’età dell’oro con l’età della poesia).
Dopo Alla sua donna Leopardi colloca l’epistola in versi Al conte Carlo Pepoli, scritta nel 1826 e posta a chiu-
sura dei Versi pubblicati in quello stesso anno. Ha una funzione di cerniera fra il passato e il futuro della poe-
sia leopardiana perché, da un lato, riflette la svolta filosofica del poeta, che negli anni delle Operette morali si
dà agli studi men dolci, cioè all’indagine filosofica dell’acerbo vero e, dall’altro, preannuncia la poesia futura,
basata sulla dialettica fra illusione e disincanto, fra immaginazione e filosofia. L’augurio a Pepoli di rimanere
giovane simboleggia l’impegno dello stesso Leopardi di ritornare alle illusioni e all’immaginazione della giovi-
nezza attraverso la rimembranza, che è il programma poetico dei canti pisano-recanatesi.
L’epistola è seguita a sua volta da Il risorgimento (1828), che segna, già nel titolo, la rinascita dell’ispirazione
poetica e l’inizio di una rinnovata poesia. Questa rinascita è suggerita anche dal metro (il settenario) e dalla for-
ma dell’ode settecentesca, il cui ritmo cantabile esprime la gioia per il ritorno dell’entusiasmo poetico che sem-
brava per sempre perduto. L’ode è divisa in due parti: la prima si riferisce retrospettivamente alla poesia prece-
dente, la seconda progressivamente a quella presente e futura. Ciò istituisce, nei Canti, un prima e un poi, e ri-
produce nell’interiorità del poeta il conflitto antico/moderno. Il senso dell’ode è riassunto nel finale, in cui il
poeta si rivolge al proprio cuore, che, malgrado l’ostilità della natura, del mondo, del destino e dell’infelicità fi-
sica, può continuare a vivere: la sua vita è la stessa vita della poesia.
Subito dopo Leopardi colloca cinque canzoni libere, scritte tra Pisa e Recanati tra il 1828 e il 1830 (cfr. pagg.
78-106) e quattro testi, scritti tra il 1830 e il 1834 o 1835 (cfr. pagg. 108-112), che costituiscono il “Ciclo di
Aspasia”.
Seguono poi due canzoni sepolcrali, Palinodia al marchese Gino Capponi, Il tramonto della luna, La ginestra:
tutti testi scritti a Napoli tra il 1834 e il 1836, molto diversi tra loro per genere, metro e stile, ma accomunati
da una forte tensione sperimentale (cfr. pagg. 112-126).
Ci sono inoltre due componimenti che affrontano, in tono leggero, argomenti di grande spessore filosofico, Imi-
tazione e Scherzo.
Chiude i Canti la sezione dei Frammenti, costituita da abbozzi giovanili, che valgono come estrema riafferma-
zione dell’identità poesia-gioventù e vogliono suggerire il carattere sperimentale e aperto della raccolta.

© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI 33


Le fonti
Tra le innumerevoli fonti della poesia leopardiana, segnaliamo in questa sede soltanto
gli autori e i testi che sono di fondamentale importanza per i Canti. In tal senso, hanno
un particolare rilievo soprattutto quattro poeti: Dante, Petrarca, Tasso e Foscolo.
Dante Dante rappresenta il modello del poeta magnanimo, disprezzatore della corruzione
del mondo. La Commedia ha inoltre in comune con i Canti alcuni motivi e princìpi cen-
trali: la memoria (per Leopardi la rimembranza) come base dell’attività letteraria; il pun-
to di vista della morte; la stretta connessione fra filosofia e poesia, e in particolare fra
verità e poesia (affermata da Dante in Paradiso, I, e riproposta da Leopardi nella La gi-
nestra, 115: nulla al ver detraendo, pur se in un diverso contesto ideologico).
Petrarca Leopardi talora richiama Petrarca come auctoritas indiscussa del genere lirico (i Can-
ti iniziano con una serie di nove canzoni petrarchesche; la prima, All’Italia, ha anche lo
stesso titolo di una del Canzoniere), talora lo cita per prenderne le distanze. Significati-
ve sono le prese di distanza a livello strutturale e a livello metrico-formale: dopo gli
esordi, Leopardi ripudia il sonetto e la canzone nelle loro forme tradizionali, e chiude il
libro con la sezione Frammenti, rifiutando la struttura progressiva e ascensionale dei Re-
rum vulgarium fragmenta.
Tasso Tasso è una figura di riferimento fondamentale per Leopardi, sul piano umano non me-
no che sul piano poetico. Tasso è citato accanto ad Ariosto nella galleria dei grandi ita-
liani (canzone Ad Angelo Mai): Ariosto simboleggia la poesia dell’immaginazione pro-
pria degli antichi, Tasso la poesia del dolore propria dei moderni. Nella sua vicenda
esistenziale come nelle sue opere, Tasso incarna i temi della prigionia, dell’esclusione,
della noia, del sogno, dell’incomprensione da parte dei contemporanei, del destino di
dolore, che sono altrettanti fili conduttori anche del pensiero e della poesia di Leopardi.
Foscolo I sepolcri sono un modello profondo dei Canti, serbatoio di stilemi, immagini e strutture,
ma anche temi, per quanto talora modificati o ribaltati da Leopardi. Ad esempio nella gal-
leria dei grandi italiani della canzone Ad Angelo Mai sono espunte le figure degli scienzia-
ti che invece compaiono nei Sepolcri, per la negatività che Leopardi attribuisce alla scien-
za in quanto feticcio del progressismo ottimistico del suo secolo. Il sepolcro non è un
punto di arrivo, un consolante emblema dell’eternità della poesia, come in Foscolo, ma
un punto di partenza, un luogo prospettico da cui guardare il mondo e la vita.

Le canzoni
Il genere I primi nove componimenti dei Canti sono canzoni. Il genere della canzone, dopo aver
della canzone conosciuto un lungo declino ed essere stato soppiantato nel Settecento dall’ode, è ri-
lanciato da Monti. Leopardi stesso afferma che il soggetto delle sue canzoni non è im-
mediatamente deducibile dal titolo: ciò vuol dire che esse si aprono a diverse temati-
che, al di là dalle occasioni che le producono, dando così modo all’autore di dispiega-
re la propria ispirazione lirica e la propria riflessione filosofica.
Lo stile Le canzoni si distinguono, inoltre, per la ricercatezza del lessico, caratterizzato da ar-
caismi, latinismi e stilemi inconsueti, e per la struttura fortemente ipotattica dei pe-
riodi e la frequenza delle metafore. Leopardi stesso, consapevole della loro complessi-
tà, vi appose delle annotazioni di carattere erudito e una premessa in cui motivava le
proprie scelte, divergenti dalle norme del purismo cruscante.
Le canzoni Aprono i Canti due canzoni civili, All’Italia e Sopra il monumento di Dante, volutamen-
civili te collocate in posizione iniziale da Leopardi, che, allo scopo, esclude le precedenti
prove di carattere elegiaco o le pospone (come nel caso de Il primo amore) alterando
l’ordine cronologico di composizione. Le due canzoni, composte a Recanati nel 1818,
sono frutto di un originario progetto di canzone unica sul tema della decadenza del-
l’Italia contemporanea.
All’Italia In All’Italia, Leopardi contrappone l’Italia dei padri antichi, famosa per la gloria militare
e per quella poetica, all’Italia attuale, asservita alle potenze straniere e priva di proprie
ragioni di gloria. Le età antiche sono caratterizzate da imprese eroiche, come la valoro-
sa difesa della patria da parte dei Greci contro l’invasore persiano, celebrata da Simoni-
de, il quale, nell’ultima strofe, esprime il desiderio di essere sepolto con gli eroi delle
Termopili e di condividerne la gloria, proponendosi perciò come sacerdote e custode

34 CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS


della memoria. La canzone, che si era aperta con l’immagine delle rovine, segno del
tempo che tutto divora, si chiude con quella della poesia che sconfigge l’oblio. In ciò è
evidente il richiamo ai Sepolcri di Foscolo: anche Leopardi si rifà al mito greco, ma sosti-
tuisce Omero, poeta epico, con Simonide, a segnalare la scelta del genere lirico.
Sopra Anche la seconda canzone – Sopra il monumento di Dante – presenta una galleria di
il monumento personaggi magnanimi sul modello dei Sepolcri, traendo spunto dal progetto della cit-
di Dante
tà di Firenze di erigere un monumento a Dante. Leopardi riprende da Foscolo il concet-
to del monumento funebre come luogo di culto e di memoria. All’evocazione della
battaglia delle Termopili nella prima canzone corrisponde, in questa, il ricordo della
campagna di Russia. Tale specularità sottolinea la differenza fra i caduti antichi, che si
sono immolati per la libertà della patria, e i moderni italiani, privati della libertà e della
patria e morti inutilmente al servizio di una nazione straniera. L’Italia contemporanea ha
dimenticato i suoi eroi e i suoi poeti, tanto che si può ritenere fortunato Dante per esse-
re morto prima di dover assistere allo scempio della patria.
Ad Angelo Fra le prime due canzoni (1818) e la canzone Ad Angelo Mai (1820) si colloca la crisi
Mai
del 1819. L’approfondimento del rapporto con il passato determina un atteggiamento
meno oratorio e più problematico, in virtù del quale Leopardi acquista consapevolezza
della irrimediabile frattura fra antico e moderno. Proprio questa maggiore complessi-
tà di pensiero fa sì che, rispetto alle due prime canzoni, nella canzone a Mai la galleria
degli spiriti magni del passato sia improntata ad uno sdegno alfieriano per la viltà de-
gli italiani, ma accolga anche i sentimenti del dolore esistenziale e della noia (rappre-
sentati nella figura emblematica di Tasso) e la coscienza che qualsiasi viaggio della co-
noscenza comporti necessariamente la progressiva scomparsa delle illusioni. La scoper-
ta dell’America, compiuta grazie alla fantasia e all’immaginazione di Colombo, com-
porta anche la distruzione dell’illusione e del sogno ad opera del vero.
Le canzoni Le due canzoni successive, Per le nozze della sorella Paolina e A un vincitore nel pallo-
educative ne, scritte fra l’ottobre del 1821 e il luglio del 1822, possono essere definite educative. La
prima è un’esortazione a educare i giovani ai valori antichi, che la società moderna volu-
tamente ignora, rivendicando la funzione positiva dell’amore, della bellezza, della poesia,
cioè di tutte le beate larve (le illusioni) che contrastano con la realtà moderna, prosaica,
confusa e rumorosa. La seconda rivendica il nesso indissolubile tra felicità e illusione e,
quindi, il valore del gioco come luogo dei lieti inganni e delle felici ombre, contro l’insano
costume della società moderna che cancella i forti errori, cioè le illusioni e la magnanimità,
privando il gioco e la competizione sportiva di ogni funzione di educazione civile.
Le canzoni Dopo le canzoni educative è la volta delle canzoni filosofiche, Bruto minore e L’ultimo
filosofiche
canto di Saffo, incentrate sul tema del suicidio come protesta e rifiuto del mondo con-
temporaneo. I loro protagonisti – Bruto e Saffo – rappresentano le due attività più alte del-
l’uomo, la politica e la poesia, che il mondo moderno, e l’Italia in particolare, ha smarrito.
Alla Primavera Tra la prima e la seconda canzone filosofica sono collocate Alla Primavera o delle favo-
e Inno ai le antiche e l’Inno ai Patriarchi, un dittico che celebra i tempi primitivi, la mitica età del-
Patriarchi
l’oro, nelle due prospettive del mito classico e del mito cristiano. I personaggi di Bru-
to e Saffo rappresentano l’impossibilità della felicità e l’inutilità della virtù e della poesia
nel mondo moderno; la felicità appar-
tiene solo all’infanzia dell’individuo e
al mondo primitivo, cioè all’infanzia del-
l’umanità. Bruto e Saffo raffigurano il
passaggio dall’età dell’immaginazione a
quella del vero. Che queste quattro can-
zoni formino in qualche modo una sezio-
ne a sé è dimostrato anche dal fatto che
la loro disposizione nei Canti non rispet-
ta l’ordine cronologico di composizione.

La piazza di Recanati con la chiesa


e il Palazzo Leopardi.

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Ad Angelo Mai
da Canti, III

L’occasione: la scoperta del De republica di Cicerone


Composta a Recanati nel gennaio del 1820, la canzone prende spunto dalla scoperta di parte del De republica di
Cicerone ad opera di Angelo Mai, filologo e bibliotecario della Biblioteca Apostolica Vaticana. È dedicata al conte
Leonardo Trissino, amico di Pietro Giordani.

Una canzone civile, con novità tematiche


Accanto alla ripresa dei contenuti eroico-civili delle prime due canzoni, Ad Angelo Mai introduce un nuovo mo-
tivo soggettivo-lirico, incentrato sui temi della noia, della disperazione, della nullità della vita. All’ozio turpe dei mo-
derni e alla decadenza dell’Italia contemporanea si oppongono gli esempi gloriosi dell’antichità, lo spirito eroico, le
sofferenze, le imprese pratiche e teoriche dei magnanimi italiani del lontano e del recente passato: Dante, Petrarca,
Colombo, Ariosto, Tasso, Alfieri. Nella vita e nelle opere di questi alti parenti, tuttavia, Leopardi coglie anche spunti
di profonda riflessione sul binomio dolore-tedio come regola dell’esistenza e sulla negatività della civiltà moderna,
che ha rinunciato all’immaginazione degli antichi per inseguire il mito del progresso scientifico.
Schema metrico: la canzone si compone di dodici strofe di 15 versi, dei quali 12 endecasillabi e 3 settenari (il 2°, il
7°, l’11°), con il seguente schema di rime: AbCBCDeFGDeFGHH.

AD ANGELO MAI,
QUAND’EBBE TROVATO I LIBRI
DI CICERONE DELLA REPUBBLICA
Italo ardito,1 a che giammai non posi2
di svegliar dalle tombe
i nostri padri?3 ed a parlar gli meni4
a questo secol morto, al quale incombe
1 5 tanta nebbia di tedio?5 E come or vieni
sì forte a’ nostri orecchi e sì frequente,
voce antica de’ nostri,
muta sì lunga etade?6 e perché tanti
risorgimenti7? In un balen8 feconde
10 venner le carte;9 alla stagion presente
i polverosi chiostri
serbâro occulti i generosi e santi
detti degli avi. E che valor t’infonde,10
Italo egregio, il fato? O con l’umano
15 valor forse contrasta il fato invano?

1. Italo ardito: Angelo Mai, nato in provincia di Bergamo dei nostri antenati (nostri), sconosciuti (muta) per tanti se-
nel 1782, cardinale dal 1838, bibliotecario all’Ambrosiana coli (lunga etade), ora ritornano a parlarci con tanta forza
di Milano e poi alla Biblioteca Apostolica della Città del (sì forte) e così spesso (sì frequente)?
Vaticano, erudito, filologo e editore di testi classici; la più 7. risorgimenti: scoperte.
prestigiosa delle sue scoperte fu quella dei primi due libri 8. balen: attimo.
del De republica di Cicerone, di cui era noto in preceden- 9. feconde… carte: i manoscritti (carte) divennero (venner)
za solo il cosiddetto Somnium Scipionis. produttivi e fertili (feconde). Le opere classiche ritrovate so-
2. a che… posi: perché non smetti. no in grado di trasmettere il loro fruttifero messaggio; infatti,
3. svegliar… padri?: di resuscitare gli antichi autori e le loro subito dopo, si afferma che le biblioteche e i monasteri
opere. (chiostri) conservarono (serbâro) intatti i testi antichi e quindi
4. a parlar… meni: e li conduci, li metti in condizione di le loro parole (detti) giuste e portatrici di valori (generosi).
parlare a questo secolo spiritualmente morto. 10. t’infonde: ti mette nell’animo. Il verbo infondere fa
5. al quale… tedio?: sul quale incalza la grande foschia pensare a un’ispirazione divina e provvidenziale che guida
della noia e dell’indifferenza che avvolge l’anima e la men- Angelo Mai alle scoperte; subito dopo, Leopardi avanza
te dei contemporanei. un’ipotesi diversa, laico-umanistica, quella della superiori-
6. E come… etade?: come mai gli antichi libri (voce antica) tà del valore umano nei confronti del fato.

36 CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS


Certo senza de’ numi alto consiglio11
non è ch’ove più lento
e grave12 è il nostro disperato obblio,13
a percoter14 ne rieda15 ogni momento
20 novo grido de’ padri.16 Ancora è pio
dunque all’Italia il cielo; anco si cura
di noi qualche immortale:
ch’essendo questa o nessun’altra poi
l’ora da ripor mano alla virtude
25 rugginosa dell’itala natura,
veggiam che tanto e tale
è il clamor de’ sepolti, e che gli eroi
dimenticati il suol quasi dischiude,
a ricercar s’a questa età sì tarda
30 anco ti giovi, o patria, esser codarda.17

Di noi serbate18, o gloriosi, ancora


qualche speranza? in tutto
non siam periti? A voi forse il futuro
conoscer non si toglie. Io son distrutto
35 né schermo alcuno ho dal dolor, che scuro
m’è l’avvenire, e tutto quanto io scerno
è tal che sogno e fola
fa parer la speranza.19 Anime prodi,
ai tetti vostri inonorata, immonda
40 plebe successe; al vostro sangue è scherno
e d’opra e di parola
ogni valor; di vostre eterne lodi
né rossor più né invidia; ozio circonda
i monumenti vostri; e di viltade
45 siam fatti esempio alla futura etade.20

Bennato ingegno,21 or quando altrui non cale22


de’ nostri alti parenti,23
a te ne caglia, a te cui fato aspira

11. senza… consiglio: senza il supremo (alto) volere (consi- ricercar) se, o patria, in questa età così avanzata, ti piaccia
glio) degli dèi. (giovi) essere vile e indolente.
12. più… grave: più torpido e profondo. 18. serbate: conservate; si rivolge ai gloriosi, della cui re-
13. nostro… obblio: la dimenticanza degli antichi valori, surrezione ha parlato prima, chiedendo loro se sperano an-
definita “disperata” perché genera disperazione nell’uomo cora nell’Italia.
moderno (nostro). 19. Io... speranza: il poeta è disperato (distrutto), senza
14. a percoter: a stimolare. rimedio al dolore, dal momento che (che) il futuro (l’av-
15. ne rieda: ci ritorni. venire) appare al poeta (m’è) fosco (scuro) e tutto ciò
16. novo grido… padri: richiama voce del verso 7; la voce che egli vede (scerno) è talmente negativo (tal) che fa
diviene ammonimento: nuovo (novo) perché voce finora sembrare (parer) la speranza un sogno o una chimera
non conosciuta. La scoperta dei testi antichi è inquadrata (fola).
in un clima di rinnovamento spirituale e culturale, dato 20. Anime… etade: segue la contrapposizione fra le ani-
l’uso di parole come novo e risorgimenti; de’ padri: degli me degli eroi (prodi, sono sia gli uomini d’arme, sia i
antenati, della nostra tradizione culturale. poeti, i filosofi, gli artisti) e la massa senza onore e corrot-
17. Ancora… codarda: ancora, cioè malgrado l’ignavia de- ta che in Italia è succeduta a loro; per questi posteri qual-
gli italiani, il destino (cielo) si mostra benevolo (pio) verso siasi forma di valore (ogni valor) bellico (d’opra) o lettera-
l’Italia, ancora (anco) una qualche divinità (qualche im- rio (di parola) è oggetto di derisione (scherno); l’incuria e
mortale) si prende cura (si cura) di noi italiani. In quanto il disprezzo investono le reliquie della virtù così che gli
ora è il momento o mai più (ch’essendo questa o nessun’al- italiani sono un esempio di viltà per le generazioni future
tra poi l’ora) di ripristinare (ripor mano) la virtù arrugginita (futura etade).
(rugginosa, in quanto non usata) propria della stirpe (natu- 21. Bennato ingegno: nobile ingegno; si rivolge ad Angelo
ra) italiana, vediamo quale e quanto grande sia la voce in- Mai.
citante (clamor) dei morti, vediamo che la terra aprendosi 22. altrui non cale: a nessuno importa.
restituisce (dischiude) gli eroi dimenticati per verificare (a 23. alti parenti: valorosi antenati.

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benigno24 sì che per tua man presenti
50 paion que’ giorni allor che dalla dira
obblivione antica ergean la chioma,
con gli studi sepolti,
i vetusti divini, a cui natura
parlò senza svelarsi, onde i riposi
55 magnanimi allegrâr d’Atene e Roma.25
Oh tempi, oh tempi avvolti
in sonno eterno!26 Allora anco immatura
la ruina d’Italia, anco sdegnosi
eravam d’ozio turpe, e l’aura a volo
60 più faville rapia da questo suolo.27
Eran calde le tue ceneri sante,28
non domito nemico
della fortuna,29 al cui sdegno e dolore
fu più l’averno che la terra amico.30
65 L’averno: e qual non è parte migliore
di questa nostra?31 E le tue dolci corde
susurravano ancora
dal tocco di tua destra, o sfortunato
amante.32 Ahi dal dolor comincia e nasce
70 l’italo canto.33 E pur men grava e morde
il mal che n’addolora
del tedio che n’affoga.34 Oh te beato,
a cui fu vita il pianto! A noi le fasce
cinse il fastidio; a noi presso la culla
75 immoto siede, e su la tomba, il nulla.35
Ma tua vita era allor con gli astri e il mare,
ligure ardita prole,36
quand’oltre alle colonne, ed oltre ai liti
cui strider l’onde all’attuffar del sole
80 parve udir su la sera, agl’infiniti
flutti commesso, ritrovasti il raggio

24. a te… benigno: a te importi (caglia), a te che il destino ziò l’Umanesimo.


ispira (aspira) benevolmente (benigno); notare l’anafora di 29. non… fortuna: indomito nemico del destino, cioè
a te che sottolinea il tono laudativo e insieme esortativo Dante Alighieri; l’espressione richiama volutamente la de-
dell’apostrofe. finizione di Dante da parte di Beatrice come l’amico mio e
25. sì che… Roma: l’opera di Mai ha fatto sì che sembrano non della ventura (Inferno, II, 61).
tornati attuali (presenti) i tempi (giorni) dell’Umanesimo, 30. al cui… amico: alla cui indignazione e al cui dolore per
quando (allor) risorgevano (ergean la chioma, letteralmente le sorti della patria fu più amico l’aldilà che non la Terra.
“sollevavano la testa”) dall’oblio funesto (dira obblivione), 31. e qual… nostra?: con questo interrogativo retorico Leo-
insieme con le opere dimenticate (studi sepolti) i magnani- pardi afferma che la Terra è la parte peggiore dell’intero
mi antichi scrittori (vetusti divini), che la natura ispirò (par- universo.
lò) senza rivelare il vero (svelarsi) per cui essi poterono 32. E le… amante: Petrarca, definito sfortunato amante in
comporre opere che allietarono (allegrar) i magnanimi ozi quanto cantore di un amore doloroso.
di Atene e Roma. 33. italo canto: la poesia italiana.
26. avvolti… eterno!: irrimediabilmente passati; l’espres- 34. E pur… affoga: eppure meno ci pesa (grava) e strazia
sione connota l’oblio come morte e quindi il ritrovamento (morde) il male che produce dolore (addolora: quel dolore
degli antichi testi come resurrezione dalla morte-oblio. da cui nasce, come ha detto prima, la poesia italiana) della
27. Allora… suolo: in quei tempi ancora (anco) era prema- noia (tedio) che ci sommerge (n’affoga).
tura (immatura) la rovina dell’Italia e ancora gli italiani di- 35. Oh… nulla: felice te, cui il dolore fu vitale, mentre la
sprezzavano l’ozio vergognoso (ozio turpe, sintomo di noia ci assediò dalla nascita (fasce) per cui la nostra vita (di
ignavia) e l’aria trasportava in volo parecchie scintille d’in- noi moderni) dalla nascita (culla) alla morte (tomba) si svol-
gegno (favilla). L’antitesi riposi magnanimi-ozio turpe mar- ge all’insegna del nulla.
ca la differenza fra la magnanimità degli antichi e la mi- 36. Ma… prole: ma tu vivevi allora (all’epoca dell’Umane-
cropsychia dei moderni. simo), Colombo, eroico figlio della Liguria (ligure ardita
28. Eran… sante: eri morto da poco (letteralmente le tue prole), una vita a contatto con la natura (con gli astri e il
sante spoglie erano ancora calde); sottinteso: quando ini- mare).

38 CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS


del Sol caduto, e il giorno
che nasce allor ch’ai nostri è giunto al fondo;37
e rotto di natura ogni contrasto,
85 ignota immensa terra al tuo viaggio
fu gloria, e del ritorno
ai rischi.38 Ahi ahi, ma conosciuto il mondo
non cresce, anzi si scema39, e assai più vasto
l’etra sonante40 e l’alma terra e il mare
90 al fanciullin, che non al saggio, appare.
Nostri sogni leggiadri ove son giti
dell’ignoto ricetto
d’ignoti abitatori, o del diurno
degli astri albergo, e del rimoto letto
95 della giovane Aurora, e del notturno
occulto sonno del maggior pianeta?41
Ecco svanîro a un punto,42
e figurato è il mondo in breve carta;43
ecco tutto è simile,44 e discoprendo,45
100 solo il nulla s’accresce. A noi ti vieta
il vero appena è giunto,
o caro immaginar; da te s’apparta
nostra mente in eterno; allo stupendo
poter tuo primo ne sottraggon gli anni;
105 e il conforto perì de’ nostri affanni.46
Nascevi ai dolci sogni intanto, e il primo
sole splendeati in vista,
cantor vago dell’arme e degli amori,
che in età della nostra assai men trista
110 empiêr la vita di felici errori:
nova speme d’Italia.47 O torri, o celle,
o donne, o cavalieri,
o giardini, o palagi! a voi pensando,
in mille vane amenità si perde

37. quand’oltre… fondo: quando oltre lo stretto di Gibil- 43. in… carta: in una piccola carta geografica.
terra (colonne) e oltre le coste occidentali della Spagna (li- 44. ecco… simile: ecco, tutto è monotono; l’anafora di ec-
ti), ai quali (riferito a colonne e liti) sembrò di sentire lo sfri- co evidenzia l’immediato simultaneo svanire dei sogni di
golio (strider) dell’acqua (onde) all’inabissarsi (attuffar) del fronte alle verità scientifiche.
sole nel mare, tu (Colombo), che ti sei avventurato (com- 45. discoprendo: mediante le scoperte.
messo; letteralmente “affidato”) fra le onde dell’immenso 46. solo… affanni: solo il senso della nullità aumenta. O
oceano (infiniti flutti) ritrovasti la luce del sole (raggio) tra- diletta immaginazione (caro immaginar), la conoscenza
montato e il sorgere del sole (il giorno che nasce) quando è del vero non appena sopraggiunge (il vero appena è giun-
tramontato (è giunto al fondo) nel nostro emisfero (ai nostri; to) ti sottrae (ti vieta) agli uomini (A noi); per sempre la no-
sottinteso liti). stra mente si separa (s’apparta) da te; il passare degli anni,
38. e rotto… rischi: e superate tutte le difficoltà e impedi- la maturità (gli anni) ci strappano (ne sottraggon) al tuo pri-
menti della natura (di natura ogni contrasto), la scoperta di mitivo fascino meraviglioso (allo stupendo poter tuo pri-
una terra sconosciuta (ignota) fu gloriosa ricompensa (gloria) mo); così (e) scomparve l’unico conforto dei dolori umani
al tuo viaggio di esplorazione e ai pericoli (rischi) del ritorno. (nostri affanni).
39. si scema: diviene più piccolo. 47. Nascevi… Italia: al tempo di Colombo tu Ariosto na-
40. l’etra sonante: l’aria che risuona (in quanto trasmette i scevi con la vocazione alle piacevoli illusioni (ai dolci so-
suoni). gni) ed eri giovane (il primo sol splendeati in vista) quando
41. Nostri… pianeta?: dove sono andati (ove son giti) i no- cantasti (cantor) in modo leggiadro (vago) le imprese ca-
stri bei sogni di una terra sconosciuta (ignoto ricetto) abita- valleresche (arme) e gli amori (Leopardi riproduce il se-
ta da gente sconosciuta (d’ignoti abitatori) o della diurna condo emistichio del primo verso dell’Orlando furioso),
casa (albergo) degli astri e del lontano (rimoto) giaciglio che riempirono (empiêr) la vita di belle illusioni (felici er-
(letto) della giovane Aurora e del sonno notturno e nasco- rori): nuova speranza (speme) degli italiani (la cui immagi-
sto (occulto) del Sole (maggior pianeta)? nazione viene di nuovo sollecitata dalla lettura del poema
42. a un punto: in un istante, improvvisamente. ariostesco).

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115 la mente mia. Di vanità, di belle
fole e strani pensieri
si componea l’umana vita:48 in bando
li cacciammo49: or che resta? or poi che il verde50
è spogliato alle cose51? Il certo e solo
120 veder che tutto è vano altro che il duolo.52
O Torquato53, o Torquato, a noi l’eccelsa
tua mente allora, il pianto
a te, non altro, preparava il cielo.54
Oh misero Torquato! il dolce canto
125 non valse a consolarti o a sciôrre il gelo
onde l’alma t’avean, ch’era sì calda,
cinta l’odio e l’immondo
livor privato e de’ tiranni.55 Amore,
amor, di nostra vita ultimo inganno,56
130 t’abbandonava. Ombra reale e salda
ti parve il nulla, e il mondo
inabitata piaggia.57 Al tardo onore
non sorser gli occhi tuoi; mercé, non danno,
l’ora estrema58 ti fu. Morte domanda
135 chi nostro mal conobbe, e non ghirlanda.59
Torna torna fra noi, sorgi dal muto
e sconsolato avello,60
se d’angoscia sei vago, o miserando61
esemplo di sciagura. Assai da quello
140 che ti parve sì mesto e sì nefando,
è peggiorato il viver nostro.62 O caro,
chi ti compiangeria,63
se, fuor che di se stesso, altri non cura?64
chi stolto non direbbe il tuo mortale
145 affanno anche oggidì, se il grande e il raro
ha nome di follia;
né livor più, ma ben di lui più dura
la noncuranza avviene ai sommi?65 o quale,

48. a voi… vita: pensando a voi, cioè ai personaggi e alle sma (Ombra) reale e certo (salda) e il mondo una terra de-
scene dell’Orlando furioso, la mente del poeta si perde die- serta, cioè priva di felicità e di valori.
tro infinite (mille) piacevoli immaginazioni (vane amenità). 58. ora estrema: la morte.
La vita umana era fatta (si componea) di illusioni (vanità), 59. Morte… ghirlanda: chi ha conosciuto la nostra miseria
di belle fantasie (fole) e di pensieri originali, fuori del co- (nostro mal) invoca (domanda) la morte e non la gloria
mune (strani pensieri). poetica, la corona d’alloro (ghirlanda).
49. li cacciammo: li bandimmo in esilio. 60. muto… avello: tomba (avello) disperata e muta; con la
50. verde: speranza e illusioni. morte tace anche la voce poetica.
51. alle cose: alla realtà. 61. miserando: miserevole, da compiangere.
52. Il certo… duolo: l’unica (solo) certezza (certo) è la con- 62. Assai… nostro: la nostra vita (il viver nostro) è molto (As-
statazione (veder) che tutto è illusorio (vano) tranne che il sai) peggiorata rispetto a (da) quella che ti sembrò (parve).
dolore (duolo). 63. compiangeria: compiangerebbe.
53. Torquato: Tasso. 64. se… cura?: se gli uomini di nulla si curano (altri non
54. a noi… cielo: il destino (cielo) all’epoca dell’Umanesi- cura) tranne che di se stessi (fuor che di se stesso)?
mo e del Rinascimento (allor) preparava per noi la tua alta 65. chi… sommi?: chi ancor oggi (anche oggidì) non consi-
poesia e a te non altro che il dolore (pianto). dererebbe (non direbbe) insensato (stolto) il dolore che ti
55. sciôrre… tiranni: sciogliere il ghiaccio (gelo) con cui portò alla morte (mortale affanno), dal momento che (se) la
(onde) l’odio degli uomini (livor privato) e dei tiranni aveva grandezza e la genialità (il grande e il raro) sono considera-
assediato (avean… cinta) l’anima (alma) che invece era co- ti pazzia: e se nemmeno l’invidia (livor) ma solo l’indiffe-
sì piena d’amore (sì calda). renza (noncuranza), ancora più dura a sopportare (dura)
56. ultimo inganno: estrema illusione. dell’invidia, tocca in sorte (avviene) ai più grandi ingegni
57. Ombra… piaggia: il nulla ti sembrò (ti parve) un fanta- (sommi)?

40 CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS


se più de carmi, il computar s’ascolta,
150 ti appresterebbe il lauro un’altra volta?66
Da te fino a quest’ora uom non è sorto,
o sventurato ingegno,
pari all’italo nome, altro ch’un solo,
solo di sua codarda etate indegno
155 Allobrogo feroce, a cui dal polo
maschia virtù, non già da questa mia
stanca ed arida terra,
venne nel petto;67 onde privato68, inerme,
(memorando ardimento69) in su la scena70
160 mosse guerra a’ tiranni: almen si dia
questa misera guerra
e questo vano campo all’ire inferme
del mondo.71 Ei primo e sol dentro all’arena72
scese, e nullo73 il74 seguì, che75 l’ozio76 e il brutto
165 silenzio77 or preme ai nostri innanzi a tutto.
Disdegnando e fremendo,78 immacolata
trasse la vita intera,79
e morte lo scampò dal veder peggio.
Vittorio mio, questa per te non era
170 età né suolo.80 Altri anni ed altro seggio81
conviene agli alti ingegni. Or di riposo
paghi viviamo, e scorti
da mediocrità:82 sceso il sapiente
e salita è la turba83 a un sol confine,
175 che il mondo agguaglia.84 O scopritor famoso,85
segui; risveglia i morti,
poi che dormono i vivi: arma le spente
lingue de’ prischi eroi;86 tanto che in fine
questo secol di fango87 o vita agogni
180 e sorga ad atti illustri,88 o si vergogni.
da Canti, a cura di F. Bandini, Garzanti, Milano, 1996

66. o quale… volta?: o chi (quale) ancora (un’altra volta) 73. nullo: nessuno.
potrebbe pensare di offrirti (appresterebbe) la corona d’al- 74. il: lo.
loro (lauro), dal momento che (se) ci si interessa (s’ascolta) 75. che: perché.
più delle scienze esatte (computar, letteralmente “calco- 76. l’ozio: la vile ignavia.
lo”) che della poesia (carmi)? 77. brutto silenzio: turpe silenzio, vile acquiescenza.
67. Da te… petto: da te (Tasso), o genio sfortunato (sventu- 78. Disdegnando e fremendo: sprezzante e irato per la vil-
rato ingegno), fino ad oggi (quest’ora) non è nato (sorto) al- tà degli italiani.
tro che un solo uomo degno (pari) dell’antica grandezza 79. trasse… intera: visse per tutta la vita, a indicare la sua
italiana (italo nome), il solo indegno della viltà della sua coerenza.
epoca (codarda etate), fiero (feroce) piemontese (Allobro- 80. questa… suolo: questa nazione e questa epoca non ti si
go, nome dell’antico popolo della Savoia; perifrasi per in- confacevano.
dicare Vittorio Alfieri), a cui il coraggio virile fu infuso nel 81. Altri… seggio: altro periodo storico, altra nazione, altro
petto dal cielo (polo), non da questa mia Italia (questa suolo.
mia… terra) spossata, priva di energia (stanca) e sterile (ari- 82. Or… mediocrità: ora viviamo contenti, appagati dalla
da, perché non produce il frutto della virtù). nostra ignavia e guidati (scorti) da un ideale di mediocrità.
68. privato: cittadino privato. 83. turba: massa.
69. memorando ardimento: coraggio memorabile, degno 84. sol… agguaglia: unico livello di mediocrità.
di essere ricordato. 85. O scopritor famoso: illustre scopritore; si rivolge ad
70. in… scena: nelle sue opere teatrali. Angelo Mai.
71. almen… mondo: sia almeno concessa (si dia) questa 86. arma… eroi: arma con le tue scoperte i perduti (spente, che
dolorosa guerra (misera guerra) all’impotente rabbia (ire in- non parlano) testi (lingue) degli antichi scrittori (prischi eroi).
ferme) degli uomini (mondo) oppressi dai tiranni. 87. questo… fango: questa epoca vile.
72. arena: anfiteatro, e quindi palcoscenico. 88. e… illustri: e si risolva a compiere azioni gloriose.

© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI 41


L inee di analisi testuale

Il tema eroico-civile e il tema lirico-soggettivo


Vv. 1-30 Leopardi colloca fra le azioni che si possono compiere per la patria, accanto alle imprese belli-
che, anche quelle culturali: la filologia e l’erudizione sono imprese eroiche in quanto efficaci for-
me di lotta contro l’oblio degli uomini e il fatale scorrere del tempo. La magnanimità dell’uomo di
lettere si contrappone eroicamente alla viltà dei tempi moderni (questo secol morto, v. 4), contrad-
distinti da dimenticanza e oblio.

Le scoperte filologiche come risorgimento dell’antica virtù


Vv. 31-60 Nelle strofe 2 e 3 entra in scena l’autore, che alla negatività della situazione oggettiva e sto-
rica fa corrispondere la propria condizione soggettiva e interiore, caratterizzata dal dolore e
dall’assenza di qualsiasi speranza. In generale, il moderno è inferiore all’antico; l’Italia con-
temporanea, poi, offre un particolare esempio di viltade (v. 44): gli italiani denotano indifferen-
za (ozio, v. 43) verso i monumenti, cioè verso i segni dell’antica gloria, e disprezzo per i valo-
ri. La magnanimità degli antichi (vetusti divini, alti parenti) è cara a Mai ma non ai moderni
(non cale, v. 46).

Dante e Petrarca: dolore epico e dolore lirico


Vv. 61-75 La rassegna dei grandi italiani del passato inizia con Dante, caratterizzato da sdegno e dolore ci-
vile, e con Petrarca, connotato invece dal dolore d’amore e dall’angoscia esistenziale. I due poeti
sono qualificati come fondatori della poesia italiana, che nasce dal dolore (dal dolor comincia e
nasce l’italo canto, vv. 69-70). Leopardi intende unire la tradizione epica dantesca e quella lirica
petrarchesca, mescolando al tema civile del dolore per la decadenza dell’Italia quello del dolore
esistenziale del poeta, che deriva dalla cognizione della noia (tedio, v. 72) e del nulla che impron-
tano l’esistenza dell’uomo dalla nascita (culla, v. 74) alla morte (tomba, v. 75).

Immaginazione e conoscenza del vero


Vv. 76-105 Altro tipo di magnanimo è Cristoforo Colombo, ligure ardita prole (v. 77). L’avversativa ma,
con cui inizia la strofa, sottolinea che la vita e l’esperienza di Colombo si svolgono a stretto
contatto con la natura (Ma tua vita era allor con gli astri e il mare, v. 76), a differenza di ciò che
avviene nella civiltà moderna, la quale, abbagliata dal mito del progresso scientifico, sacrifica
l’immaginazione e la fantasia, poiché la conoscenza sempre più precisa del mondo comporta
il venir meno dell’immaginazione. Illusione e immaginazione sono proprie dell’uomo primiti-
vo e del fanciullo. Il progredire del tempo provoca l’inaridimento della fantasia sia a livello in-
dividuale, in quanto la maturità cancella la fanciullezza, sia a livello storico, in quanto l’incre-
mento delle conoscenze scientifiche fa cadere l’aura di mistero e quindi i miti, le illusioni, le
speranze.

Ariosto e Tasso: antichità e modernità dell’épos


Vv. 106-150 Ariosto e Tasso rappresentano, rispettivamente, gli inizi e gli esiti del genere epico, ovvero l’in-
fanzia e la maturità dell’epica italiana. Ariosto è il poeta dei dolci sogni, il cantor vago dei felici er-
rori, grazie ai quali la mente di Leopardi in mille vane amenità si perde (v. 114): sa stimolare nei
lettori la preziosa facoltà dell’immaginazione. Tasso, invece, è misero, in quanto poeta del dolore,
ormai definitivamente consapevole del vero e del nulla. Ariosto rappresenta l’antichità della poe-
sia, Tasso la modernità. Tasso è dunque la proiezione autobiografica di Leopardi: essi hanno in co-
mune il senso della nullità della vita (Ombra reale e salda / ti parve il nulla, vv. 130-131), la solitu-
dine (il mondo inabitata piaggia, vv. 131-132) e l’ostilità dei contemporanei. Tasso è un miserando
esemplo di sciagura, vittima di quei mali che affliggono il mondo moderno:
• l’egoismo, per cui ognuno pensa solo a se stesso (se, fuor che di se stesso, altri non cura?, v. 143);
• il perbenismo, che emargina e demonizza il genio (il grande e il raro / ha nome di follia, vv.
145-146);
• l’indifferenza verso i magnanimi (la noncuranza avviene ai sommi, v. 148);
• il materialismo, che ha soppiantato la cultura dei valori: al desiderio di gloria (lauro) è suben-
trato l’interesse economico (computar). Il pensiero è ripreso in un passo dello Zibaldone del 23 lu-
glio 1821: È vergognoso che il calcolo ci renda meno magnanimi… Da ciò si può vedere quanto la
grand’arte del computare, sì propria dei nostri tempi, giovi e promuova la grandezza delle cose,
delle azioni… degli animi dell’uomo.

42 CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS


L’identificazione di Leopardi in Tasso e in Alfieri
Vv. 151-190 Dopo Tasso, Leopardi offre un tributo di affetto anche ad Alfieri, simbolo di un’altra condizione
interiore che Leopardi sente come propria: il titanismo eroico. Il poeta astigiano è definito Allobro-
go feroce (v. 155), dotato di maschia virtù, fiero oppositore della viltà del mondo moderno (codar-
da etate, v. 154).

Procedimenti stilistici
Fra i caratteri stilistici e metrici di questa canzone sono da rilevare in particolare:
a. l’impiego di parole ed espressioni che evocano idea di infinito e di indeterminato (e perciò,
per Leopardi, di per sé poetiche): antica, lunga etade, obblio, ignota, infiniti, ecc.;
b. il ripetersi dei suoni nasali (in particolare in unione con la vocale a) che produce lo stesso ef-
fetto di infinito e indeterminatezza;
c. l’uso di rime baciate in chiusura di stanza, che danno un tono di sentenziosità e apoditticità:
ad esempio, la rima culla:nulla, che rappresenta tragicamente il destino di morte e insignificanza
dell’uomo;
d. la mescolanza di parole classiche, auliche e arcaiche (virtude, duolo, averno, ecc.) e di paro-
le vaghe e indefinite, per sottolineare il dissidio fra antico e moderno;
e. l’uso di figure retoriche, come l’ossimoro, indicative della drammatica negatività del presen-
te: ad esempio nell’espressione ombra reale e salda.

1a
Prova
L avoro sul testo
Comprensione del testo
A
1. Rileggi con attenzione la canzone e riassumila in non più di 20 righe.

Analisi e interpretazione complessiva


2. Analizza la canzone dal punto di vista stilistico-formale, individuando in particolare le figure retori-
che e di costruzione del periodo; analizzala poi sotto il profilo lessicale, sottolineando tutti i termini
che esprimono il tema lirico-soggettivo (cfr. Linee di analisi testuale).
3. Rispondi alle seguenti domande in maniera puntuale (max 5 righe per ogni risposta):
a. A chi è dedicata la canzone?
b. In quali circostanze viene composta?
c. Quali novità presenta sul piano contenutistico rispetto ai precedenti Canti?
d. Perché Leopardi considera Mai un eroe?
e. Come termina la canzone? A chi si rivolge l’autore e con quale obiettivo?
1a
Prova Redazione di una relazione
4. Sulla base delle indicazioni fornite dalle Linee di analisi testuale, prepara una relazione (max 40 righe)
sui contenuti salienti della canzone Ad Angelo Mai, sul suo messaggio complessivo e sul significato
che in essa rivestono le figure di Dante, Petrarca, Colombo, Ariosto, Tasso e Alfieri. Ricorda che la
relazione è un’esposizione organizzata, coerente e obiettiva di informazioni; perciò riserva un tuo
eventuale commento o una tua personale valutazione alla fase conclusiva.
3a
Prova Trattazione sintetica di argomenti
A
5. Rileggi la canzone e le relative Linee di analisi testuale. Quindi tratta sinteticamente (max 20 righe) il
seguente argomento, con opportuni riferimenti al testo:
Il sonno dei contemporanei: risveglia i morti / poi che dormono i vivi.

© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI 43


Ultimo canto di Saffo
da Canti, IX

Poesia filosofica e poesia di immaginazione


Scritto a Recanati fra il 13 e il 19 maggio 1822, edito nel 1824, l’Ultimo canto di Saffo è la seconda delle due can-
zoni filosofiche, dopo il Bruto minore del 1821. L’opposizione fra poesia di immaginazione degli antichi e poesia fi-
losofica e sentimentale dei moderni è un nodo centrale della poetica leopardiana: la vera poesia, secondo Leopardi,
è quella dei primitivi, frutto di un rapporto diretto, empatico, pre-logico (di immaginazione, appunto) fra l’uomo e la
natura; la poesia moderna, invece, non può che essere filosofica, in quanto inevitabilmente condizionata dallo svi-
luppo del pensiero scientifico-razionale (cioè dall’arido vero che ha progressivamente distrutto le illusioni primitive),
e sentimentale, dal momento che sa di non poter più tornare alla condizione antica e, perciò, nutre per essa un sen-
timento di profonda nostalgia.

L’importanza delle canzoni filosofiche


Le due canzoni filosofiche rappresentano anche un momento decisivo nella maturazione del pensiero leopardia-
no. Dall’idea di positività della natura (la natura è grande, la ragione è piccola), formulata negli anni del pessimismo
storico, Leopardi sta passando all’idea di natura “matrigna”, che caratterizzerà la fase decisiva del suo pensiero. Per
ora, l’esperienza del dolore e la consapevolezza del male sono riservate a individui particolari e eccezionali, come
Saffo e Bruto (che, presa coscienza dell’ostilità della natura e dell’indifferenza di un tempo corrotto ai loro meriti,
scelgono il suicidio come suprema forma di protesta); tra poco sarà di tutti gli uomini.
Schema metrico: la canzone è composta da quattro strofe di 18 versi, di cui i primi 16 sono endecasillabi liberi e i
due finali sono un settenario e un endecasillabo a rima baciata.

Placida notte, e verecondo raggio


della cadente luna; e tu che spunti
fra la tacita selva in su la rupe,
nunzio del giorno;1 oh dilettose e care2
5 mentre3 ignote mi fûr l’erinni e il fato,4
sembianze5 agli occhi miei; già6 non arride
spettacol molle ai disperati affetti.7
Noi l’insueto allor gaudio ravviva8
quando per l’etra liquido si volve
10 e per li campi trepidanti il flutto
polveroso de’ Noti,9 e quando il carro,
grave carro di Giove a noi sul capo,
tonando, il tenebroso aere divide.10

1. Placida… giorno: notte serena e luce discreta (verecon- colo a chi è disperato. Spettacol molle è una sinestesia, co-
do raggio, letteralmente “pudico”) della luna che tramonta; me si evince da un appunto manoscritto di Leopardi, il
e tu (stella di Venere, detta anche Lucifero) che fra gli albe- quale nota che l’espressione rivela una trasposizione dalla
ri del bosco silenzioso sorgi sullo scoglio (allude alla rupe sfera del gusto a quella della vista.
di Leucade) ad annunciare il giorno. 8. Noi… ravviva: nella nuova condizione sentimentale (al-
2. dilettose e care: endiadi a significare “care” in quanto lor) di dolore un insolito piacere fa rivivere me (noi).
fonte di diletto. 9. quando… Noti: quando lo spirare (flutto, che fa pensare
3. mentre: finché. all’onda marina) dei venti (Noto è il vento del sud) che sol-
4. ignote… fato: non conobbi la furia delle passioni (del- leva la polvere (polveroso) soffia turbinando (si volve) inve-
l’amore) e la crudeltà del destino. Le Erinni rappresentava- stendo il cielo (l’etra) limpido e trasparente (liquido) e i
no, nella mitologia classica, le passioni umane. campi sconvolti dalla tempesta (trepidanti).
5. sembianze: fattezze (riferito a dilettose e care). La parola 10. quando… divide: quando il tuono (carro di Giove;
antropomorfizza gli elementi, dato che sembianze significa nel mito classico si riteneva prodotto dal fragore del car-
propriamente lineamenti del volto. ro di Giove) rimbombando (tonando) sulla nostra testa
6. già: ormai, contrapposto a mentre. (capo) squarcia (divide) il cielo scuro e tenebroso (tene-
7. non arride… affetti: non si confà un dilettevole spetta- broso aere).

44 CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS


Noi per le balze e le profonde valli
15 natar giova tra’ nembi,11 e noi la vasta
fuga de’ greggi sbigottiti, o d’alto
fiume alla dubbia sponda
il suono e la vittrice ira dell’onda.12
Bello il tuo manto, o divo13 cielo, e bella
20 sei tu, rorida14 terra. Ahi di cotesta
infinita beltà parte nessuna
alla misera Saffo, i numi e l’empia
sorte non fenno.15 A’ tuoi superbi regni
vile, o natura, e grave ospite addetta,
25 e dispregiata amante, alle vezzose
tue forme il core e le pupille invano
supplichevole intendo.16 A me non ride17
l’aprico margo18, e dall’eterea porta19
il mattutino albor20; me non il canto
30 de’ colorati augelli, e non de’ faggi
il murmure saluta:21 e dove all’ombra
degl’inchinati salici dispiega
candido rivo il puro seno, al mio
lubrico piè le flessuose linfe
35 disdegnando sottragge,
e preme in fuga l’odorate spiagge.22
Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso23
macchiommi24 anzi il natale,25 onde sì torvo
il ciel mi fosse e di fortuna il volto?
40 In che peccai bambina, allor che ignara
di misfatto è la vita, onde poi scemo
di giovinezza, e disfiorato, al fuso
dell’indomita Parca si volvesse
il ferrigno mio stame?26 Incaute voci27
45 spande il tuo labbro: i destinati eventi
move arcano consiglio28. Arcano29 è tutto,

11. Noi… nembi: a me (“noi” è un accusativo alla latina, 19. eterea porta: porta celeste, del cielo.
me iuvat, con esempi in Petrarca e Tasso) piace (giova) im- 20. il… albor: la luce del mattino, l’alba.
mergermi (natar) nella tempesta (nembi) attraverso (per) le 21. me… saluta: il canto dei variopinti (colorati) uccelli e
montagne (balze) e le valli scoscese (profonde). nemmeno (e non) il fruscio (murmure, parola onomatopei-
12. e noi… onda: e a me (noi) piace (sottinteso “giova”; ca) dei faggi mi saluta.
l’ellissi del verbo drammatizza ulteriormente la scena), il 22. e dove… spiagge: e dove, all’ombra dei salici dai rami
movimento delle greggi che fuggono per la vastità dei cam- piegati (inchinati) un limpido (candido) fiume scorre (di-
pi (vasta fuga) terrorizzate (sbigottiti) o il suono dell’onda spiega) con le sue nitide acque (puro seno), disdegnoso al-
di un fiume in piena (alto fiume) che violentemente per- lontana (sottragge) dal mio piede malfermo (lubrico, a cau-
cuote (vittrice ira) le sponde mal sicure (dubbia sponda) sa del terreno umido e scivoloso) le sue acque sinuose
che rischiano di non impedire lo straripamento. (flessuose) e fuggendo da me (in fuga) tocca (preme) le rive
13. divo: divino. (spiagge) odorose (odorate).
14. rorida: rugiadosa. 23. nefando eccesso: indicibile grave delitto.
15. Ahi… fenno: ahi il cielo (numi) e lo spietato destino 24. macchiommi: mi segnò.
(empia sorte) non elargirono (fenno) nemmeno la minima 25. anzi il natale: prima della nascita.
parte (parte nessuna) di questa bellezza sconfinata e im- 26. onde…stame?: per cui in seguito il filo scuro (ferrigno,
mensa (infinita beltà) all’infelice (misera) Saffo. quindi triste) della mia vita, privo (scemo) di giovinezza e
16. A’ tuoi… intendo: invano, o natura, io, quale (addetta) appassito si dovette svolgere al fuso della invincibile (indo-
ospite di poco valore (vile), e sopportata (grave) e innamo- mita) Parca (Lachesi, che avvolgeva il filo della vita intorno
rata disprezzata (dispregiata amante) rivolgo (intendo) pre- al fuso che veniva reciso nel momento della morte).
gando (supplichevole) il cuore e gli occhi ai tuoi magnifici 27. Incaute voci: parole avventate.
(superbi) regni. 28. i destinati… consiglio: una volontà imperscrutabile deter-
17. A… ride: a me non sorride. mina e gestisce il corso fatale degli eventi (destinati eventi).
18. l’aprico margo: la soleggiata campagna. 29. Arcano: misterioso.

© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI 45


fuor che il nostro dolor. Negletta prole30
nascemmo31 al pianto32, e la ragione in grembo
de’ celesti33 si posa. Oh cure, oh speme
50 de’ più verd’anni! Alle sembianze il Padre,
alle amene sembianze eterno regno
diè34 nelle genti; e per virili imprese,
per dotta lira o canto,
virtù non luce in disadorno ammanto.35
55 Morremo36. Il velo indegno a terra sparto,
rifuggirà l’ignudo animo a Dite,
e il crudo fallo emenderà del cieco
dispensator de’ casi.37 E tu cui lungo
amore indarno, e lunga fede, e vano
60 d’implacato desio furor mi strinse,
vivi felice, se felice in terra
visse nato mortal.38 Me non asperse
del soave licor del doglio avaro
Giove, poi che perîr gl’inganni e il sogno
65 della mia fanciullezza.39 Ogni più lieto
giorno di nostra età primo s’invola.40
Sottentra il morbo41, e la vecchiezza, e l’ombra
della gelida morte.42 Ecco di tante
sperate palme43 e dilettosi errori,44
70 il Tartaro45 m’avanza; e il prode ingegno
han la tenaria Diva,
e l’atra notte, e la silente riva.46
da Canti, a cura di F. Bandini, Garzanti, Milano, 1996

30. Negletta prole: figlia trascurata. bia mai provato la felicità (se felice visse) sulla terra (in terra).
31. nascemmo: nacqui. 39. Me… fanciullezza: Giove non mi cosparse (me non
32. al pianto: a un destino doloroso. asperse) del dolce liquore (soave licor) del vaso (per Ome-
33. in… celesti: nella mente degli dèi. ro Giove custodiva il vaso della felicità) avaro di felicità per
34. Alle… diè: il Padre Giove ha concesso perenne potere gli uomini, da quando morirono (perîr) le illusioni (inganni)
(eterno regno) sugli uomini all’aspetto fisico (sembianze) e e il sogno di felicità della mia giovinezza.
alle leggiadre fattezze (amene sembianze). 40. Ogni… s’invola: tutti i giorni più felici (ogni più lieto
35. e per… ammanto: il valore (virtù) bellico (virili imprese) giorno) della nostra vita (di nostra età) per primi (primo) si
e poetico (dotta lira o canto) non risalta (luce) in un corpo dileguano (s’invola).
brutto (disadorno ammanto). 41. il morbo: la malattia, la cattiva salute.
36. Morremo: morirò. 42. e l’ombra… morte: e l’incubo, il fantasma della fredda
37. Il velo… casi: dopo aver gettato a terra (a terra sparto) il morte.
brutto corpo (velo indegno, nella doppia accezione di brut- 43. di… palme: di tante speranze di gloria.
to e di non degno delle qualità interiori di Saffo), l’anima 44. e… errori: e di piacevoli illusioni.
priva del corpo (ignudo) si rifugerà (rifuggirà) da Plutone 45. il Tartaro: la morte.
(Dite, cioè nell’aldilà, nell’Averno) e in questo modo rime- 46. e… riva: e Proserpina (tenaria Diva; uno degli ingressi
dierà (emenderà) al crudele errore, all’ingiustizia del Desti- degli inferi era presso il capo Tenaro), e la buia e nera not-
no (cieco dispensator de’ casi). te (atra notte) e la muta spiaggia infernale (silente riva) pos-
38. E tu… mortal: e tu (Saffo si rivolge all’innamorato Faone) siedono il nobile e alto ingegno (prode ingegno). Notevole
a cui fui legata (mi strinse) invano (indarno) da un costante la trama ritmica che, dalla drammatica immediatezza di
amore (lungo amore), da una continua fedeltà (lunga fede) e Ecco che apre gli ultimi cinque versi, passa al ritmo rallen-
dall’inutile ardore di un desiderio inappagato (implacato de- tato della dolente iterazione del polisindeto (e dilettosi er-
sio), vivi felice se può accadere che l’uomo (nato mortal) ab- rori […] e l’atra notte, e la silente riva).

46 CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS


Focus SAFFO
Vissuta nell’isola di Lesbo a cavallo fra il VII e il VI secolo a.C., Saffo è una delle più importanti autrici della li-
rica monodica, genere di poesia della Grecia antica che prevedeva l’esibizione di un solo esecutore con l’ac-
compagnamento della cetra. Appartenente a una famiglia aristocratica, fu legata al culto della dea Afrodite e
maestra di un tiaso, comunità a sfondo religioso e culturale dedita alla venerazione di una divinità, formata
esclusivamente da giovani donne che lì venivano
preparate al matrimonio.
Tema centrale della sua poesia è l’amore, canta-
to come esperienza totalizzante di cui si sottoli-
neano gli sconvolgimenti che causa nell’animo e
nel corpo: uno dei testi più noti della poetessa
descrive infatti i turbamenti provocati nell’uomo
dalla vista della donna amata. Questo celeberri-
mo componimento, ripreso anche dal poeta lati-
no Catullo, fu molto amato da Foscolo, che ne fe-
ce due diverse traduzioni. L’ammirazione di Fo-
scolo per la poetessa è del resto testimoniato an-
che da un componimento giovanile, intitolato A
Saffo. Della sua opera ci restano solo frammenti,
se si eccettua un’ode ad Afrodite, pervenutaci in-
tegra, e quattro strofe della lirica sopra citata sui
turbamenti d’amore.
La storia del suo infelice amore per il pescatore
Faone, a seguito del quale si sarebbe suicidata,
gettandosi dalla rupe di Leucade, è già in Me-
nandro (Strabone, X, 452), ma diventa celebre
grazie a una delle Heroides di Ovidio (la XV), in
cui si dice anche che Saffo era piccola di statura,
bruna e non bella. All’origine della leggenda sta
probabilmente la deformazione da parte dei poe-
ti comici greci di due dati tradizionali: Faone era
una creatura mitologica della cerchia di Afrodite
e il gettarsi dalla rupe di Leucade significava, me-
taforicamente, il voler dimenticare una pena
d’amore.

Leopold Burthe, Saffo suona la lira, 1848.


Carcassonne, Musée des Beaux Arts.

L inee di analisi testuale

Saffo e la natura
La perdita Saffo è rappresentata nei momenti precedenti il suicidio, che ha luogo in sintonia con il passag-
della sintonia gio dalla notte al giorno: si rivolge infatti alla luna che tramonta (cadente, v. 2) e alla stella Lucife-
ro che preannuncia il sorgere del sole. La bipolarità del sistema spazio-temporale è in perfetto pa-
rallelismo con la duplice identificazione di Saffo con la natura: Saffo, nei momenti felici della gio-
vinezza e dell’illusione, è in sintonia con la natura serena, mentre, dopo la caduta delle illusioni,
si rispecchia nella natura in tempesta.
Nella seconda e nella terza stanza è in primo piano il contrasto fra la bellezza della natura nel-
le sue diverse forme e la bruttezza di Saffo. Dopo aver constatato l’indifferenza e l’ostilità della na-
tura, la poetessa si chiede il perché di tutto questo: di quali colpe può essersi macchiata? La rispo-
sta non sta nell’individuo, ma nel comune e universale destino dell’umanità, nella colpa tragica di

© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI 47


esistere: il dolore è realtà ineluttabile, l’unica certezza che è data all’uomo. Il contrasto fra Saffo e
la natura è rispecchiato dal parallelismo antitetico che suggella l’inizio della seconda stanza e la
conclusione della terza: al Bello […] manto del cielo corrisponde il disadorno ammanto di Saffo;
l’antitesi, in modo lancinante e drammatico, rappresenta l’incomunicabilità e il non rispecchia-
mento fra individuo e natura, fra microcosmo e macrocosmo. La perdita della sintonia fra uomo e
natura che era tipica dei tempi antichi, ovvero la perdita della fanciullezza, che è propria del mo-
derno, non possono essere recuperate né da virili imprese né da dotta lira o canto, né da Bruto né
da Saffo, emblemi, l’uno, della virtù civile e, l’altra, della poesia.

Il rifiuto del mito neoclassico della bellezza


Il disagio Nel momento in cui sviluppa il concetto della non coincidenza fra bellezza esteriore e virtù in-
del vivere teriore, Leopardi non solo denuncia l’incomunicabilità tra mondo moderno e natura, ma polemiz-
za anche con il mito neoclassico della bellezza come valore estetico e poetico (espresso, ad esem-
pio, da Foscolo ne Le Grazie).
In un passo dello Zibaldone del 5 marzo 1821 emergono chiaramente e in tutta la loro dramma-
ticità l’esclusione dalla bellezza e il rifiuto da parte della natura che Leopardi sente gravare su di sé:
L’uomo d’immaginazione di sentimento e di entusiasmo, privo della bellezza del corpo, è
verso la natura appresso a poco quello ch’è verso l’amata un amante ardentissimo e since-
rissimo, non corrisposto nell’amore. Egli si slancia fervidamente verso la natura, ne sente
profondissimamente tutta la forza, tutto l’incanto, tutte le attrattive, tutta la bellezza, l’ama
con ogni trasporto, ma quasi che egli non fosse punto corrisposto, sente ch’egli non è par-
tecipe di questo bello che ama ed ammira, si vede fuor della sfera della bellezza, come
l’amante escluso dal cuore, dalle tenerezze, dalle compagnie dell’amata. Nella considera-
zione e nel sentimento della natura e del bello, il ritorno sopra se stesso gli è sempre pe-
noso. Egli sente subito e continuamente che quel bello, quella cosa ch’egli ammira ed ama
e sente, non gli appartiene.
L’espressione virtù non luce in disadorno ammanto (v. 54) ne riprende altre analogamente strut-
turate nelle prime due strofe (già non arride / spettacol molle ai disperati affetti, vv. 6-7, A me non
ride / l’aprico margo, vv. 27-28), a sottolineare la condizione di radicale esclusione. La condizio-
ne di estraneità di Saffo alla luna e alla primavera rappresenta il disagio del vivere, la condizione
negativa del moderno rispetto all’antico. Infatti, nella storia di Saffo c’è un prima (Saffo in sinto-
nia con la natura primaverile e con la luna) e un poi (Saffo in contrasto con esse). Saffo, non ri-
cambiata nel sentimento d’amore, rappresenta la moderna poesia sentimentale di contro alla
poesia di immaginazione degli antichi, che è simboleggiata invece da quella Saffo che viveva in
sintonia con la primavera e con la luna. Il disagio di vivere il moderno e la contemporaneità si
evince dai due aggettivi DISperati e DISadorno, caratterizzati dal prefisso dis- che indica man-
canza e antiteticità. Non a caso, l’uso di questo prefisso è frequente in tutta la canzone: dispre-
giata, disdegnoso, disfiorato.

La morte della fanciullezza e delle illusioni


L’infelicità L’ultima stanza è all’insegna della morte: si apre e si chiude con il verbo Morremo e con l’im-
e la morte magine degli inferi, espressa con drammatica iterazione (tenaria Diva, atra notte, silente riva).
Non esiste differenza tra Faone e Saffo, in quanto la felicità di Faone non potrà che essere fitti-
zia: la vita dell’uomo conosce solo un breve momento di felicità, che corrisponde alla sua fan-
ciullezza, la quale presto lascia il posto alla vecchiaia e alla morte. La felicità che Saffo augura
a Faone contrasta con l’infelicità di Saffo stessa e, nel medesimo tempo, rivela tutta la sua natu-
ra effimera e caduca, dato che la vita dell’uomo è un percorso di inesorabile decadenza dall’in-
fanzia alla morte. La figura retorica del chiasmo rappresenta l’apparente antiteticità dei perso-
naggi di Faone e Saffo, che sono, invece, immagine allo specchio dello stesso destino di infeli-
cità: vivi felice / felice […] visse. La simmetria fra i concetti di morte e di silenzio connota la
morte di Saffo anche come morte della voce poetica; infatti, gli inferi rapiscono e imprigionano
il prode ingegno (v. 70), cioè la stessa facoltà poetica di Saffo. Ma tutta la canzone si iscrive, con
simmetrico parallelismo antitetico, fra il silenzio del paesaggio notturno e quello della morte:
placida notte, luna, tacita selva vs tenaria Diva, atra notte, silente riva. Dal silenzio della con-
templazione, di cui sono emblemi la tacita selva e il tranquillo paesaggio lunare, si passa al si-
lenzio ipogeo e infernale; ma, nella mitologia classica, Proserpina (tenaria Diva), oltre a essere
la regina degli inferi, è anche la Luna: quindi anche l’immagine della quiete lunare ha in sé i se-
gni della morte. Il parallelismo dei sintagmi misera Saffo e prode ingegno indica che Leopardi
coniuga il sentimento del dolore, proprio del genere lirico-elegiaco e denotato dall’aggettivo
misera, con il genere epico, indicato dall’epiteto prode.

48 CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS


1a
Prova
L avoro sul testo
Comprensione del testo
A
1. Parafrasa l’Ultimo canto di Saffo aiutandoti con le note di cui è corredato il testo.
2. Riassumi il contenuto della canzone in non più di 15 righe.

Analisi e interpretazione complessiva


3. Elabora una breve relazione scritta (max 20 righe), in cui dovrai indicare:
a. la struttura metrica del componimento;
b. i suoi contenuti salienti;
c. le sue principali caratteristiche formali;
d. il significato dell’espressione canzone filosofica.
1a
Prova Redazione di un’intervista
B
4. Rileggi attentamente la canzone e le relative Linee di analisi testuale. Poi elabora una scaletta in pre-
parazione dell’intervista che immaginerai di fare a Leopardi in merito alla genesi e alle finalità di que-
sto testo. Prova a rispondere utilizzando lo stile e il lessico dell’autore, recuperando termini e locuzio-
ni da questi versi (o da altri versi leopardiani a tua scelta).
3a
Prova Quesiti a risposta singola
B
5. Rispondi in modo puntuale alle seguenti domande (max 5 righe per ciascuna risposta):
a. A chi si rivolge Saffo e perché?
b. In che cosa consiste il contrasto tra Saffo e la natura? A che cosa rimanda, più in generale?
c. Quale atteggiamento ha il poeta nei confronti del mito neoclassico della bellezza?
d. Che valore ha il prefisso dis-? In quante e quali parole ricorre e per quale motivo?

La teoria del piacere


da Zibaldone

Il nucleo centrale della riflessione di Leopardi


La teoria del piacere rappresenta il nucleo centrale della riflessione filosofica leopardiana: non per nulla, nelle pa-
gine dello Zibaldone, lo scrittore vi rimanda più volte, anche quando è mutato il suo giudizio sulla natura. In questa
prima fase, la natura è vista positivamente, in quanto ha compensato l’impossibilità per l’uomo di raggiungere il pia-
cere (che nella prospettiva materialistica di Leopardi è tutt’uno con la felicità) attraverso il dono dell’immaginazione
e la varietà dei piaceri, che gli impediscono di acquisire piena consapevolezza della miseria della propria condizio-
ne. Ma già nell’Ultimo canto di Saffo si affaccia l’idea di una contraddizione tra l’ordine del mondo e la natura del
singolo individuo: poco dopo, tale contraddizione si rivelerà non limitata a casi specifici, come quello di Saffo, ma
universale, svelando così la terribile responsabilità della natura, che ha generato l’uomo con l’istinto del piacere, im-
pedendogli però di soddisfarlo.

[165-169] 12-13 luglio 1820


Il sentimento della nullità di tutte le cose, la insufficienza di tutti i piaceri a riempirci l’ani-
mo, e la tendenza nostra verso un infinito che non comprendiamo, forse proviene da una
cagione semplicissima, e più materiale che spirituale. L’anima umana (e così tutti gli es-
seri viventi) desidera sempre essenzialmente, e mira unicamente, benché sotto mille
5 aspetti, al piacere, ossia alla felicità, che considerandola bene, è tutt’uno col piacere.
Questo desiderio e questa tendenza non ha limiti, perch’è ingenita o congenita coll’esi-

© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI 49


stenza, e perciò non può aver fine in questo o quel piacere che non può essere infinito,
ma solamente termina colla vita. E non ha limiti 1. né per durata, 2. né per estensione.
Quindi non ci può essere nessun piacere che uguagli 1. né la sua durata, perché nessun
10 piacere è eterno, 2. né la sua estensione, perché nessun piacere è immenso, ma la natu-
ra delle cose porta che tutto esista limitatamente e tutto abbia confini, e sia circoscritto. Il
detto desiderio del piacere non ha limiti per durata, perché, come ho detto non finisce se
non coll’esistenza, e quindi l’uomo non esisterebbe se non provasse questo desiderio.
Non ha limiti per estensione perch’è sostanziale in noi, non come desiderio di uno o più
15 piaceri, ma come desiderio del piacere. Ora una tal natura porta con se materialmente
l’infinità, perché ogni piacere è circoscritto, ma non il piacere la cui estensione è indeter-
minata, e l’anima amando sostanzialmente il piacere, abbraccia tutta l’estensione immagi-
nabile di questo sentimento […].
Veniamo alla inclinazione dell’uomo all’infinito. Indipendentemente dal desiderio del pia-
20 cere, esiste nell’uomo una facoltà immaginativa, la quale può concepire le cose che non
sono, e in un modo in cui le cose reali non sono. Considerando la tendenza innata del-
l’uomo al piacere, è naturale che la facoltà immaginativa faccia una delle sue principali
occupazioni della immaginazione del piacere. E stante la detta proprietà di questa forza
immaginativa, ella può figurarsi dei piaceri che non esitano, e figurarseli infiniti 1. in nu-
25 mero, 2. in durata, 3. e in estensione. Il piacere infinito che non si può trovare nella real-
tà, si trova così nella immaginazione, dalla quale derivano la speranza, le illusioni ec. Per-
ciò non è maraviglia 1. che la speranza sia sempre maggiore del bene, 2. che la felicità
umana non possa consistere se non se nella immaginazione e nelle illusioni.
Quindi bisogna considerare la gran misericordia e il gran magistero della natura, che da
30 una parte non potendo spogliar l’uomo e nessun essere vivente, dell’amor del piacere
che è una conseguenza immediata e quasi tutt’uno coll’amor proprio e della propria con-
servazione necessario alla sussistenza delle cose, dall’altra parte non potendo fornirli di
piaceri reali infiniti, ha voluto supplire: 1. colle illusioni, e di queste è stata loro liberalis-
sima, e bisogna considerarle come cose arbitrarie in natura, la quale poteva ben farcene
35 senza; 2. coll’immensa varietà [168] acciocché l’uomo stanco o disingannato di un piace-
re ricorresse all’altro, o anche disingannato di tutti i piaceri fosse distratto e confuso dal-
la gran varietà delle cose, ed anche non potesse così facilmente stancarsi di un piacere,
non avendo troppo tempo di fermarcisi, e di lasciarlo logorare, e dall’altro canto non
avesse troppo campo di riflettere sulla incapacità di tutti i piaceri a soddisfarlo. Quindi
40 deducete le solite conseguenze della superiorità degli antichi sopra i moderni in ordine
alla felicità. 1. L’immaginazione come ho detto è il primo fonte della felicità umana.
Quanto più questa regnerà nell’uomo, tanto più l’uomo sarà felice. Lo vediamo nei fan-
ciulli. Ma questa non può regnare senza l’ignoranza, almeno una certa ignoranza come
quella degli antichi. La cognizione del vero cioè dei limiti e definizioni delle cose, circo-
45 scrive l’immaginazione. E osservate che la facoltà immaginativa essendo spesse volte più
grande negl’istruiti che negl’ignoranti, non lo è in atto come in potenza, e perciò operan-
do molto più negl’ignoranti, li fa più felici di quelli che da natura avrebbero sortito una
fonte più copiosa di piaceri. E notate in secondo luogo che la natura ha voluto che l’im-
maginazione non fosse considerata dall’uomo come tale, cioè non ha voluto che l’uomo
50 la considerasse come facoltà ingannatrice, ma la confondesse colla facoltà conoscitrice, e
perciò avesse i sogni dell’immaginazione per cose reali e quindi fosse animato dall’imma-
ginario come dal vero (anzi più, perché l’immaginario ha forze più naturali, e la natura è
sempre superiore alla ragione). Ma ora le persone istruite, quando anche sieno fecondis-
sime d’illusioni, le hanno per tali, e le seguono più per volontà che per persuasione, al
55 contrario degli antichi [169] degl’ignoranti de’ fanciulli e dell’ordine della natura. 2. Tutti
i piaceri, come tutti i dolori ec. essendo tanto grandi quanto si reputano, ne segue che in
proporzione della grandezza e copia delle illusioni va la grandezza e copia de’ piaceri, i
quali sebbene neanche gli antichi li trovassero infiniti, tuttavia li trovavano grandissimi, e
capaci se non di riempierli, almeno di trattenerli a bada. La natura non volea che sapes-
60 simo, e l’uomo primitivo non sa che nessun piacere lo può soddisfare. Quindi e trovan-
do ciascun piacere molto più grande che noi non facciamo, e dandogli coll’immaginazio-

50 CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS


ne un’estensione quasi illimitata, e passando di desiderio in desiderio, colla speranza di
piaceri maggiori e di un’intera soddisfazione, conseguivano il fine voluto dalla natura,
che è di vivere se non paghi intieramente di quella tal vita, almeno contenti della vita in
65 genere (12-13 luglio 1820).
da Tutte le opere, vol. II, a cura di W. Binni, Sansoni, Milano, 1993

L inee di analisi testuale

Piacere e illusione
Una tendenza La tendenza al piacere, cioè alla felicità, è connaturata nell’uomo ed è, di fatto, un sentimento
innata illimitato in quanto non consiste tanto nel raggiungimento di un piacere determinato, quanto nel-
la ricerca del piacere in quanto tale: la riprova sta nel fatto che l’uomo, una volta soddisfatto un
desiderio, subito prende a desiderare un’altra cosa; l’uomo, dunque, desidera il desiderio, e il ve-
ro piacere consiste nell’immaginarlo più che nel realizzarlo.
Il desiderio del piacere è fondamentale nell’uomo affinché egli accetti l’esistenza, tanto più se
l’immaginazione è vissuta come facoltà conoscitrice e non come facoltà ingannatrice. La storia
dell’umanità è storia del disinganno come tragitto dalla felicità degli antichi all’infelicità dei mo-
derni; dall’illusione, che fa coincidere immaginazione e “vero”, alla cognizione del “vero” che
svela l’illusorietà dell’immaginazione. Come, a livello storico, gli antichi vivevano nello stato di fe-
licità, mentre i moderni vivono nell’infelicità, così, a livello di esistenza individuale, i fanciulli e gli
ignoranti vivono di illusioni, mentre gli uomini adulti e i dotti vivono nella consapevolezza dell’in-
felicità.

1a
Prova
L avoro sul testo
Comprensione del testo
A
1. Rileggi con attenzione il brano e riassumilo in non più di 7 righe.

Interpretazione complessiva e approfondimenti


2. Rispondi alle seguenti domande in maniera puntuale (max 6 righe per ogni risposta):
a. A che cosa tende l’anima umana? Con quali risultati?
b. Qual è il ruolo della natura in questa fase del pensiero leopardiano?
c. Che cosa è l’immaginazione? Con quale facoltà può essere confusa?
d. Che cosa la natura non volea che sapessimo?
3a
Prova Trattazione sintetica di argomenti
A
3. Rileggi il brano e le relative Linee
di analisi testuale, quindi tratta
sinteticamente il seguente argo-
mento (max 20 righe), corredando
la trattazione con opportuni riferi-
menti al testo:
Piacere e illusione nella riflessio-
ne filosofica leopardiana.

La biblioteca di casa Leopardi.

© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI 51


Concetti chiave
Giacomo Leopardi nasce a Recanati nel Leopardi è estraneo al Risorgimento e ostile a
1798. Il difficile rapporto con i genitori e la ma- ogni ideologia ottimista e progressista (in parti-
lattia accentuano la sua sensibilità e si trasfor- colare all’Idealismo e al Cattolicesimo ottecen-
mano in un’eccezionale stimolo ad indagare il teschi): l’immotivata presunzione dell’uomo
dolore insito nella condizione umana. L’ambien- nelle proprie capacità è secondo lui un ostaco-
te chiuso e retrivo di Recanati lo spinge in un lo a quella rifondazione della società che predi-
primo momento ad un tentativo di fuga (e ad in- ca negli ultimi anni, come alleanza difensiva de-
trecciare un fondamentale rapporto epistolare gli uomini contro la violenza della natura, fon-
con Pietro Giordani); ma la delusione conse- data sulla coscienza della propria debolezza e
guente al soggiorno romano determina un giu- dell’universale vanità delle cose.
dizio radicalmente negativo su tutto il mondo
moderno, e in particolare l’Italia, malata di I Canti. Le poesie di Leopardi sono raccolte
egoismo e individualismo. Dopo soggiorni a nei Canti, il cui titolo sottolinea la scelta del ge-
Milano e Firenze (dove conosce gli intellettuali nere lirico, che è considerato il più poetico.
dell’“Antologia”), muore a Napoli nel 1837, do- I primi due gruppi di testi riconoscibili nei Canti
ve si è trasferito con l’amico Antonio Ranieri. sono le canzoni e gli idilli (1818-1823). Leopardi
La formazione culturale di Leopardi, benché è in questo momento convinto della crisi della
raggiunta da autodidatta, nella biblioteca pa- poesia nel mondo moderno. Solo gli antichi,
terna, è straordinariamente ricca e approfondi- in virtù della loro sintonia con la natura, erano
ta. Conosce le lingue antiche e moderne, stu- capaci di una poesia ingenua; la prevalenza
dia i classici greci, latini e italiani, ma soprattut- della ragione nei moderni li spinge piuttosto
to si forma nell’ambito della tradizione più radi- verso la filosofia, e l’unico genere di poesia
cale dell’Illuminismo, sui pensatori sensisti e possibile è quella sentimentale, basata sulla co-
materialisti. scienza del distacco tra uomo e natura.
Il pensiero leopardiano, di cui soltanto di re- Nascono di qui le nove canzoni, che seguono
cente è stata riconosciuta la portata filosofica, ancora lo schema della canzone petrarchesca:
si evolve nel tempo e trova espressione, oltre sono infatti basate sulla contrapposizione tra la
che nei testi letterari, nello Zibaldone. Esso si condizione felice degli antichi, la loro virtù ed
fonda sulla teoria del piacere, secondo la qua- energia fisica e intellettuale, e la decadenza
le l’uomo desidera una felicità (che in chiave contemporanea (Ad Angelo Mai, Alla primave-
materialista coincide col piacere) insieme com- ra o delle favole antiche), cui si contrappone la
pleta e illimitata, cosa in sé impossibile. In un scelta eroica del suicidio (nel Bruto minore e
primo momento, Leopardi pensa che la natura nell’Ultimo canto di Saffo). Fondamentali sono
benevola abbia compensato tale impossibilità il nesso tra illusione e felicità e la rappresenta-
con la varietà dei piaceri, l’immaginazione e zione del mondo antico come età naturalmente
l’impressione dell’infinito. Ma la ragione, vista poetica e creatrice di miti. Lo stile è arduo e
negativamente, ha rivelato la verità e i limiti, complesso, il linguaggio denso di forme lati-
condannando l’uomo alla sofferenza. Di qui la neggianti e arcaismi.
superiorità degli antichi e dei fanciulli, domina- Ciò che erano gli antichi, è stato ciascun uomo
ti dall’immaginazione e felici, sui moderni (pes- nell’infanzia: accanto alla poesia di segno nega-
simismo storico). Verso il 1823, tuttavia, la sco- tivo delle canzoni, Leopardi sperimenta anche
perta della contraddizione tra lo scopo dell’uo- un poesia volta al parziale recupero della facol-
mo (la felicità) e lo scopo della natura (la con- tà immaginativa, attraverso il ricordo. È la poe-
servazione della specie, che comporta di ne- sia degli idilli (tra cui L’infinito, La sera del dì di
cessità la sofferenza dei singoli individui) lo festa, Alla luna), componimenti in endecasillabi
spinge a mutare il suo giudizio sulla natura, de- sciolti in cui la visione si sposta dal paesaggio
finita non madre, ma matrigna delle sue creatu- esterno all’interiorità, e si assiste, a livello psi-
re. Il dolore è sostanziale e universale, nel tem- cologico e poetico, al superamento della condi-
po e nello spazio (pessimismo cosmico). La ra- zione attuale del poeta, limitata in senso spazia-
gione è ora considerata in modo ambivalente: le e temporale, attraverso percezioni visive e
da un lato, consente all’uomo di prendere co- sonore che producono l’impressione dell’infini-
scienza della verità, dall’altro lo illude, con i to (che per Leopardi propriamente non esiste:
progressi della scienza e della tecnica, di poter esiste solo l’indefinito). Lo stile, nitido e musica-
dominare la natura. le, è caratterizzato da un’originale commistione

© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI 159


di aulico e quotidiano e dalla ricerca di parole tare le proprie convinzioni e aderire all’ottimi-
vaghe e indeterminate. smo progressista dell’Ottocento; Il tramonto
Dopo il 1823, in conseguenza del radicalizzarsi del della luna, in cui con sommessa musicalità vie-
suo pessimismo, Leopardi abbandona la poesia. ne celebrata la poesia come soglia tra vita e
Dopo la scrittura delle Operette morali, il silen- morte; e soprattutto La ginestra, il testamento
zio poetico è interrotto nel 1828 con la compo- spirituale di Leopardi, che mescola in maniera
sizione dei canti pisano-recanatesi. La grande originalissima lirica, satira e argomentazione fi-
stagione della poesia leopardiana è caratteriz- losofica, e oppone alla miseria intellettuale e
zata dall’adozione della canzone libera e dalla morale dei contemporanei la grandezza d’ani-
poetica della rimembranza e della doppia vi- mo di chi, come il poeta, guarda in faccia con
sta. Il ricordo fa sì che nei versi sia possibile la coraggio la verità, senza illudersi con superbo
contemporanea presenza del momento dell’il- orgoglio, ma anche senza chinare il capo di
lusione (il passato) e di quello della disillusione fronte alla malvagità della natura, contro cui
(la consapevolezza presente, l’arido vero), di propone un’alleanza difensiva, per limitarne il
immaginazione e ragione. La poesia è capace potere sulla vita umana.
nello stesso tempo di svelare l’infelicità della vi-
ta e di consolare di essa. Viene meno la con- Le Operette morali. Tra il 1824 e il 1828, du-
trapposizione tra antichi e moderni, sia sul pia- rante gli anni del silenzio poetico la riflessione
no intellettuale (l’infelicità è universale, il sape- filosofica trova espressione nella prosa delle
re razionale e quello emotivo coincidono) sia su Operette morali, strutturate per lo più in forma
quello poetico: il genere lirico è quello proprio di dialoghi satirici tra personificazioni o perso-
dell’uomo primitivo, ma anche l’unico pratica- naggi del passato, alla maniera dello scrittore
bile nella modernità. greco Luciano. È un genere nuovo e ibrido, che
I canti pisano-recanatesi sono: A Silvia, sulla risente della prosa scientifica, soprattutto gali-
morte della speranza giovanile; Le ricordanze, leiana, e mescola tragico e comico, rigore di
sul tema del ricordo e della rappresentazione argomentazione e suggestione immaginativa. Il
del natio borgo selvaggio di Recanati; Canto dialogo consente allo scrittore di guidare il let-
notturno di un pastore errante dell’Asia, la tore alla scoperta della verità attraverso il dibat-
più compiuta definizione del pessimismo co- tito intellettuale e il confronto dei punti di vista:
smico leopardiano; La quiete dopo la tempe- fondamentale è in tal senso il ruolo dell’ironia,
sta, sulla felicità come cessazione di un dolore; che demistifica e mette in ridicolo i falsi valori e
Il sabato del villaggio, sulla superiorità del sa- le false credenze del mondo moderno. I temi
bato rispetto alla domenica, dell’attesa di un principali sono la felicità, che non è mai attuale,
bene rispetto al suo conseguimento. È scritto ma consiste solo nella speranza di un bene fu-
nella stessa forma e nello stesso periodo anche turo o nella cessazione di un dolore, e la noia,
Il passero solitario, anticipato però nei Canti che è il desiderio della felicità in astratto, non
prima degli idilli perché basato sulla rappresen- applicato a uno specifico oggetto (Dialogo di
tazione dell’infelicità individuale del poeta. Torquato Tasso e del suo Genio familiare); la
La consapevolezza filosofica di Leopardi viene sofferenza come condizione dell’intero uni-
messa in discussione dalla rinascita dell’amore, verso e l’accusa contro la crudeltà della Natu-
ispirato da Fanny Targioni Tozzetti e inteso co- ra (Dialogo della Natura e di un Islandese); la
me forza dirompente, inganno della natura vol- critica dell’antropocentrismo e della fiducia nel
to alla propagazione della specie. Nasce da progresso (Proposta di premi fatta dall’Accade-
quest’esperienza il “ciclo di Aspasia”, caratte- mia dei Sillografi); la morte e la fine del mondo,
rizzato dall’impianto discorsivo-riflessivo, dal- viste però in maniera positiva, come liberazione
lo stile secco e tagliente e dal ritmo franto: dai mali (Cantico del gallo silvestre). Importante
aspetti che raggiungono l’apice in A se stesso, è anche la riflessione metaletteraria, con l’ado-
dove la rabbia per aver ceduto ancora una vol- zione di un punto di vista postumo sulla vita
ta all’inganno dell’amore si accompagna al di- (Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mum-
sprezzo per la natura, intesa ora quasi come di- mie): Leopardi è consapevole del proprio ruolo
vinità malvagia, che deliberatamente vuole il di scrittore controcorrente, che rivendica contro
male delle creature. gli inganni e la povertà intellettuale della cultu-
L’accentuato sperimentalismo e la tensione ra del suo tempo (Dialogo di Tristano e di un
eroica caratterizzano anche le altre prove estre- amico). Ciò non è dovuto a odio verso gli altri
me di Leopardi: la satirica Palinodia al marche- uomini, ma alla necessità di mostrare la sola
se Gino Capponi, in cui il poeta finge di ritrat- colpevole del male, che è la Natura.

160 CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS


3a
Prova
E sercizio di sintesi
Indica con una “x” le risposte corrette.
C

1. La prima formazione di Leopardi è


q a. frutto dell’insegnamento ricevuto in due collegi cattolici.
q b. prevalentemente da autodidatta.
q c. esclusivamente a cura del padre.
q d. approssimativa, a causa del precario stato di salute.

2. La produzione leopardiana è
q a. interamente dedicata alla lirica. q b. interamente dedicata alla prosa filosofica.
q c. limitata alla lirica e alla prosa filosofica. q d. distribuita in varie fasi e vari generi.

3. Il pensiero di Leopardi è caratterizzato da


q a. idealismo e spiritualismo. q b. disorganicità e asistematicità.
q c. materialismo e pessimismo. q d. pessimismo e irrazionalismo.

4. Nella teoria del piacere Leopardi sostiene che


q a. l’uomo ha un’innata propensione alla felicità.
q b. il desiderio di felicità può essere appagato solo dalla ragione.
q c. la felicità è di natura spirituale, il piacere è soltanto materiale.
q d. la vera felicità è nel progresso sociale e tecnologico.

5. Secondo Leopardi, la poesia


q a. dei moderni è superiore a quella degli antichi.
q b. è tutt’uno con la rimembranza e l’infinito.
q c. ha bisogno di parole che definiscano con precisione analitica gli oggetti.
q d. moderna deve ubbidire in toto ai nuovi canoni del Romanticismo.

6. I metri degli idilli e dei canti pisano-recanatesi sono rispettivamente


q a. endecasillabo sciolto e canzone libera (con due eccezioni).
q b. terzina dantesca e canzone petrarchesca.
q c. canzone libera e ottava tassiana.
q d. sonetto e ballata.

7. Leopardi definisce idilli le poesie composte fra il 1819 e il 1821 perché


q a. ripropongono alla lettera il genere idillico tradizionale.
q b. trattano il tema d’amore in chiave idillica.
q c. usano l’elemento idillico come spunto di percorsi interiori e riflessivi.
q d. sono componimenti più brevi e meno impegnativi delle canzoni.

8. Sono detti impropriamente grandi idilli


q a. i componimenti del “ciclo di Aspasia”.
q b. le canzoni a tema civile, politico, filosofico.
q c. la Palinodia al marchese Gino Capponi e La ginestra.
q d. i canti pisano-recanatesi (composti tra Pisa e Recanati fra il 1828 e il 1830).

9. Le Operette morali
q a. danno vita a un nuovo genere letterario, mescolando tragedia e commedia.
q b. sono la più importante opera poetica di Leopardi.
q c. hanno un immediato successo di pubblico e di critica.
q d. trattano esclusivamente temi morali e filosofici.

10.Ne La ginestra, suo testamento poetico, Leopardi


q a. ritratta il proprio pensiero ed esalta l’idealismo ottocentesco.
q b. invita gli uomini a confederarsi contro la Natura e i suoi inganni.
q c. riconosce il ruolo centrale dell’uomo nell’universo.
q d. mette in guardia da una nuova possibile eruzione del Vesuvio.

© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI 161


P rove d’esame
1a TIPOLOGIA A – ANALISI DEL TESTO
Prova
Leopardi, Amore e Morte
Quelli che seguono sono i versi 1-26 (le prime due strofe) di Amore e Morte, una delle liriche del “Ciclo
di Aspasia”, pubblicata la prima volta nell’edizione napoletana dei Canti (1835).

Muor giovane colui ch’al cielo è caro accompagnar sovente;


MENANDRO 15 e sorvolano insiem la via mortale,
primi conforti d’ogni saggio core.
Fratelli, a un tempo stesso, Amore e Morte
Né cor fu mai più saggio
ingenerò la sorte.
che percosso d’amor, né mai più forte
Cose quaggiù sì belle
sprezzò l’infausta vita,
altre il mondo non ha, non han le stelle.
20 né per altro signore
5 Nasce dall’uno il bene,
come per questo a perigliar fu pronto:
nasce il piacer maggiore
ch’ove tu porgi aita,
che per lo mar dell’essere si trova;
Amor, nasce il coraggio,
l’altra ogni gran dolore,
o si ridesta; e sapiente in opre,
ogni gran male annulla.
25 non in pensiero invan, siccome suole,
10 Bellissima fanciulla,
divien l’umana prole.
dolce a veder, non quale
la si dipinge la codarda gente,
da Canti, a cura di F. Bandini, Garzanti, Milano, 1996
gode il fanciullo Amore

Comprensione del testo


1. Rileggi con attenzione questi versi e riassumine il contenuto in non più di 10 righe.
Analisi e interpretazione complessiva
2. Rileggi il testo, illustrane lo schema metrico e analizzalo dal punto di vista stilistico-formale.
3. Che cosa permette di fare e/o di avere l’Amore? (max 4 righe)
4. Quali sono i primi conforti d’ogni saggio core (v. 16)? Perché? (max 3 righe)
5. Il poeta avverte una rottura fra la felicità generata dall’amore e la vita reale? Perché? (max 3 righe)
Approfondimenti
6. Poni a confronto questa poesia con l’Ultimo canto di Saffo (cfr. pagg. 44-48), A Silvia (cfr. pagg. 79-
83) e Le ricordanze (cfr. pagg. 84-92). Proponi le tue riflessioni (20 righe circa) in merito alla diversa
caratterizzazione dell’Amore e della Morte nei tre testi.

TIPOLOGIA B – SAGGIO BREVE O ARTICOLO DI GIORNALE – AMBITO LETTERARIO

Sviluppa uno dei seguenti argomenti in forma di saggio breve o di articolo di giornale, utilizzando come mate-
riali di consultazione tutte le pagine dedicate a Leopardi in questo libro di testo (compresi i brani antologici
e le pagine critiche). Dai all’elaborato un titolo coerente con la trattazione e indicane una destinazione edi-
toriale a tua scelta. Per entrambe le forme di scrittura non superare le tre colonne di metà foglio protocollo.
1. Gli idilli e i canti pisano-recanatesi, passaggio centrale della produzione lirica leopardiana.
2. Le idee di infinito e rimembranza nella poetica e nella poesia di Leopardi.

TIPOLOGIA C – TEMA DI ARGOMENTO STORICO

L’epoca di Leopardi ovvero i primi decenni dell’Ottocento in Italia: dall’età napoleonica alla
Restaurazione e da questa ai moti insurrezionali degli anni Venti e Trenta.

TIPOLOGIA D – TEMA DI ORDINE GENERALE

La Weltanschauung è la concezione del mondo e delle cose, ovvero il sistema ideologico, l’insieme delle
idee che consentono un’interpretazione organica della realtà nei suoi molteplici aspetti. Senza un sistema
ideologico “operativo” non è possibile alcuna interpretazione critica delle cose. Qual è la Weltanschauung
di Leopardi? La condividi? Qual è il tuo sistema ideologico e quali ne sono gli elementi costitutivi?

162 CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS


L interpretazione critica

Francesco De Sanctis nea il non risolto rapporto tra pensiero e


e la critica positivistica poesia: il pessimismo leopardiano è, a suo
giudizio, una rassegnazione disperata, [...]
Dopo le incomprensioni della critica di
una rinunzia, [...] un rinnegamento. [...] di là
primo Ottocento, è Francesco De Sanctis,
e di qua della poesia. Per Croce, in sostanza,
per primo, a inquadrare debitamente la fi-
è da salvare solo il Leopardi degli idilli; per il
gura di Leopardi intellettuale, filosofo e
resto, i momenti poetici di rado e non mai
poeta. Leopardi, per il contrappunto ragio-
informano interamente di sé i carmi del Leo-
ne-sentimento proprio del suo pensiero e
pardi, e quasi sempre, o sempre, trapassano
per il costante impegno morale, incarna il
nella didascalica e nell’oratoria e in uno stile
modello supremo di scrittore capace di
secco ed epigrafico.
quella sintesi di forma e contenuto che è il
Il giudizio severo e fortemente limitativo
canone fondamentale dell’estetica desan-
del maestro crea più di un disagio nelle file
ctisiana. Probabilmente al ritratto delineato
dei crociani e in genere degli idealisti, dove
da De Sanctis manca il supporto della cono-
maturano posizioni diverse sul rapporto
scenza diretta delle fonti della filosofia leo-
pensiero-poesia e sui motivi essenziali e uni-
pardiana, in special modo dei testi del Sen-
ficanti della poesia leopardiana. Uno dei
sismo francese e italiano. Tuttavia, è merito
contributi più impegnati e validi è quello di
indubbio del grande critico ottocentesco
Karl Vossler, critico tedesco di formazione
aver tracciato di Leopardi un profilo com-
idealistica (Leopardi, 1923), che coglie in un
pleto e per molti aspetti insuperato, in una
misticismo orientato naturisticamente il cen-
serie di interventi che vanno dalla Storia
tro vero dello spirito leopardiano. Del 1923
della letteratura a numerosi saggi (L’Episto-
è pure il saggio di Eugenio Donadoni (Il
lario di G. Leopardi; La Nerina di G. Leopar-
sentimento dell’infinito nella poesia leopar-
di; Nuove canzoni di G. Leopardi; Schopen-
diana, in Da Dante a Manzoni), che riprende
hauer e Leopardi, ecc.), fino al definitivo e
e approfondisce le osservazioni di De Sanctis
più impegnativo saggio Giacomo Leopardi,
sull’eticità e la religiosità leopardiane.
pubblicato postumo nel 1885.
La critica positivistica, col suo metodo
scrupolosamente analitico, contribuisce no- Il valore del pensiero filosofico
tevolmente ad ampliare le conoscenze sulla di Leopardi
vita, la personalità e le singole opere leopar- In aperta polemica con le affermazioni cro-
diane, dall’Epistolario allo Zibaldone in pri- ciane sono i giudizi di Giovanni Gentile, au-
mo luogo. Mestica, D’Ovidio, Cesareo, tore di numerosi saggi su Leopardi. Il critico-
D’Ancona, Chiarini, Carducci, Zumbini, Zin- filosofo, più attento agli atteggiamenti con-
garelli sono i nomi più notevoli di questo fi- cettuali che ai valori formali della poesia, ri-
lone critico particolarmente fervido. conosce per primo nel pensiero filosofico di
Leopardi le radici profonde della sua poesia,
La critica crociana ponendo le premesse per una risoluzione
del dilemma filosofia-poesia che coglierà
La critica crociana ribalta, per molti aspet-
frutti decisivi nella più recente critica nove-
ti, l’impostazione di De Sanctis. Benedetto
centesca.
Croce (Leopardi, in “Critica”, 1922) sottoli-

© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI – L’INTERPRETAZIONE CRITICA 163
I critici de “La Ronda” no e dimostra, con ricchezza di documenta-
zione, il rapporto tra Leopardi e il classicismo
Una rivalutazione delle Operette, così co-
italiano settecentesco, ascrivendo l’esperien-
me dello Zibaldone e della prosa in genere,
za del recanatese a quell’ambito neoclassico-
si ha agli inizi degli anni Venti del Novecen-
progressista in cui operano gli intellettuali del
to con gli scrittori de “La Ronda”, che, nel-
primo Ottocento, come Giordani, fautori del-
l’ambito del loro programma di restaurazio-
la tradizione non per miope conservatorismo,
ne classicistica, sono impegnati nella ricerca
ma per opposizione consapevole a un certo
di un Leopardi non tanto pensatore quanto
clima romantico di restaurazione religiosa.
modello di moderno prosatore. Nell’analisi
A Leopardi Walter Binni dedica oltre un
dei valori formali e stilistici della prosa leo-
ventennio di studi e ricerche, nel quadro di
pardiana si distinguono soprattutto gli studi
una critica storicistica più aperta e meno
di Giuseppe De Robertis (Introduzione a
condizionata da presupposti ideologici. Il
Giacomo Leopardi, Zibaldone, 1922) che
critico, dopo aver individuato nella poesia
sottolinea il carattere immaginativo e inven-
leopardiana, accanto all’atteggiamento
tivo delle Operette morali, e a proposito
“idillico”, anche un atteggiamento di natura
dello Zibaldone afferma: […] si può dire che
“eroica”, si sofferma su quest’ultimo pun-
il segreto del Leopardi è tutto qui: nella tra-
tando sulle ultime composizioni poetiche
duzione fantastica dei suoi pensieri e senti-
(La ginestra e gli altri Canti del periodo
menti più profondi o, ch’è lo stesso, in quel-
1834-1837), che né De Sanctis né tantome-
la sua facoltà di trattare la materia autobio-
no Croce avevano adeguatamente valutato.
grafica con uno stretto rigore lirico.
Per Binni, Leopardi non è solamente lucido
filosofo e intransigente moralista, ma è pure
La critica storicistica poeta capace di dare alle sue liriche una
Negli anni del secondo dopoguerra, col struttura sinfonica di ampio respiro, in cui
mutare del clima culturale muta anche l’ap- pensiero e capacità di trasfigurazione poeti-
proccio critico all’opera leopardiana, grazie ca attingono il punto più alto di equilibrio e
soprattutto a due fondamentali saggi del contemplazione artistica.
1947: Leopardi progressivo di Cesare Lupori-
ni e La nuova poetica leopardiana di Walter
Scala della casa natale di Giacomo Leopardi a Recanati.
Binni. Luporini si colloca nella scia della critica
storicistico-marxista, capace di un’analisi ap-
profondita sulle radici e la natura del pensiero
leopardiano e sul rapporto pensiero-poesia,
mettendo in luce l’originalità, la base umani-
stica e la funzione rivoluzionaria e progressista
dell’ideologia leopardiana. Merito precipuo
di questi studi è quello di rifiutare la distinzio-
ne fra Leopardi pensatore e Leopardi poeta, e
di individuare anzi nella radice materialistico-
sensistica del primo il sostrato su cui si regge
la trasfigurazione artistica del secondo.
Col suo Leopardi progressivo Luporini co-
glie un saldo nesso tra il pensiero di Leopardi
e la cultura del suo tempo, individuando nella
grave “delusione storica” (dalla Rivoluzione
all’età napoleonica e da questa alla Restaura-
zione) la causa preminente del suo pessimi-
smo e nella dialettica natura/ragione una del-
le principali novità della sua ideologia. Nella
stessa linea interpretativa, Sebastiano Tim-
panaro (Alcune osservazioni sul pensiero del
Leopardi e Il Leopardi e i filosofi antichi. Na-
tura, dei e fato nel Leopardi, 1965; Antileo-
pardiani e neomoderati nella sinistra italiana,
1982) riconsidera con lucidità di analisi l’intui-
zione di Luporini sul progressismo leopardia-

164 CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI – L’INTERPRETAZIONE CRITICA © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS
La critica stilistica cità universale; Mario Sansone (Leopardi e
la filosofia del Settecento, 1964); Giovanni
Numerosi sono gli studi che privilegiano
Getto (Saggi leopardiani, 1966), che ripro-
l’analisi degli aspetti stilistici e delle struttu-
pone un Leopardi in chiave religiosa, in con-
re linguistiche di una o più parti della produ-
trasto con la consueta interpretazione laico-
zione leopardiana, e che cercano di rico-
materialistica, e rilegge i testi leopardiani al-
struire dall’interno, mediante la storicizza-
la luce delle fondamentali coordinate dello
zione dei dati filologici, il cammino della
spazio e del tempo; Domenico Consoli
poetica in essi espressa. Queste ricerche si
(Cultura, coscienza letteraria e poesia in G.
possono raccogliere sotto la denominazione
Leopardi, 1967); ancora Luigi Blasucci (La
di critica stilistica e filologica e hanno come
posizione ideologica delle “Operette mora-
oggetto precipuo di indagine le Operette
li”, in AA.VV., Critica e storia letteraria, 1970;
morali, rispetto alle quali tentano di supera-
I tempi dei “Canti”. Nuovi studi leopardiani,
re i limiti della preclusione crociana. Per
1996), che analizza il percorso del pessimi-
compiutezza e sistematicità di discorso è da
smo leopardiano, dapprima a carattere sen-
segnalare la tesi di Mario Fubini (introduzio-
sistico-psicologico e poi radicalmente mate-
ne ai Canti, 1930 e alle Operette morali,
rialistico.
1933), che analizza il linguaggio e lo stile
leopardiani, sottolineando, tra l’altro, il di-
retto rapporto e la compenetrazione tra la Gli studi sul pensiero
prosa delle Operette e i Canti. Sorretti da di Leopardi
particolare sensibilità e da un severo magi- La critica dell’ultimo trentennio si è inte-
stero stilistico sono gli studi di Francesco ressata prevalentemente al pensiero leopar-
Flora (Introduzione a G. Leopardi, Opere, diano, con spunti di originale interpretazio-
1940; Poetica e poesia di G. Leopardi, ne e rivalutazione. Bruno Biral (La posizione
1949-50; La poesia leopardiana, 1962), che storica di G. Leopardi, 1974) ricostruisce le
cerca di fondere le intuizioni di De Sanctis fasi del pensiero di Leopardi riallacciandosi
con il metodo crociano. Di particolare inte- alla linea Luporini-Timpanaro, di cui attenua
resse sono le pagine dedicate all’analisi del- in qualche modo il tema del “progressismo”
la lingua poetica adottata da Leopardi, il per sottolineare quello del rivoluzionarismo
quale toglie alla parola ogni sapore e colore etico di Leopardi. Nell’ambito della discus-
di comunicazione pratica, e la pronunzia co- sione sui concetti di “reazione” e di “pro-
me una metafora interamente trascritta. Sul gressismo” applicati all’ideologia leopardia-
valore poetico e sullo stile delle Operette in- na, non mancano spunti anche di accesa po-
siste ancora, sviluppando ed approfonden- lemica, come testimoniano gli interventi di
do le conclusioni di Fubini, Emilio Bigi (To- critici di formazione e orientamenti diversi
no e tecnica delle “Operette morali” e Lin- raccolti in Jonard, Biral, Cellerino, Pirodda, Il
gua e stile dei “grandi idilli”, 1954). caso Leopardi (1974). Tra questi, il critico
Luigi Blasucci (Leopardi e i segnali dell’infi- francese Norbert Jonard, in netta antitesi
nito, 1985) analizza con grande suggestione con la tesi di un Leopardi “progressivo”,
gli strumenti stilistici, retorici e metrici attra- mette in luce il carattere conservatore e ari-
verso i quali Leopardi evoca l’idea di infinito, stocratico della formazione leopardiana,
sottolineando come essa si sviluppi essenzial- sottolineando, con argomentazione discuti-
mente per via negativa, come superamento e bile ma suggestiva, la funzione “restauratri-
impossibilità di definizione del limite. ce” della poesia e il ruolo “positivamente”
reazionario del pensiero del recanatese.
Alcuni importanti studi Conferma ulteriore dell’interesse per il pen-
siero leopardiano si ha negli atti del VI Con-
Tra i critici ai quali si deve una revisione più
vegno internazionale di studi leopardiani
generale della personalità, della cultura,
(Recanati 9-11 settembre 1984).
della poesia di Leopardi o la ricostruzione di
aspetti e momenti singoli, una menzione
particolare meritano: Luigi Russo (La carrie- La tesi di Severino
ra poetica di G. Leopardi, 1945); Umberto Di un Leopardi non solo filosofo sistemati-
Bosco (Titanismo e pietà di G. Leopardi, co e originale, ma anticipatore del pensiero
1957), che studia il titanismo leopardiano contemporaneo ci parla, in tempi recenti,
nelle sue varie fasi, da quella giovanile a Emanuele Severino, in due saggi di grande
quella matura e più consapevole dell’infeli- originalità e suggestione (Il nulla e la poesia.

© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI – L’INTERPRETAZIONE CRITICA 165
Alla fine dell’età della tecnica: Leopardi, nuovi all’analisi e all’interpretazione del-
1990; Cosa arcana e stupenda. L’Occidente l’opera leopardiana. Talvolta si tratta di in-
e Leopardi, 1997). La tesi centrale di Severi- terventi limitati a singoli testi, come nel caso
no è quella di un Leopardi che per primo ha di Angelo Marchese (L’analisi strutturale
saputo comprendere e definire l’inevitabile dell’“Infinito”, 1972), che, fondandosi sul-
fallimento di quel “paradiso della tecnica” l’ipotesi critica dell’Infinito come perfetto
in cui sembra consistere tutto il senso della modello letterario, nel quale ogni elemento
moderna civiltà occidentale. obbedisce a una determinata funzione se-
mantico-espressiva, giunge alla dimostra-
Gli studi recenti zione di una segreta dialettica (sensi-imma-
Tra gli altri contributi più notevoli – dove ginazione, finito-infinito, cuore-pensiero, io
spesso all’analisi del pensiero si unisce an- empirico-io puro) come dominante costrut-
che quella delle strutture formali – segnalia- tiva del celebre idillio. Nell’interpretazione
mo: Anna Dolfi (Leopardi tra negazione e semiotica dell’Infinito di Jurij Lotman (J.
utopia. Indagini e ricerche sui “Canti”, Lotman – B. A. Uspenskij, Tipologia della
1973); Franco Brioschi (La poesia senza no- cultura, 1975) si insiste sull’antitesi tra spazio
me, 1975); Mario Andrea Rigoni (Saggi sul esterno e spazio interno; in quella di Gio-
pensiero leopardiano, 1985; Il pensiero di vanni Bottiroli (Retorica della creatività. Per
Leopardi, 1997); Angiola Ferraris (L’ultimo l’interpretazione e la produzione dei testi,
Leopardi, 1987); Franco Ferrucci (Leopardi 1987) l’accento è posto invece sull’opposi-
filosofo e le ragioni della poesia, 1987; Il for- zione infinito spaziale-infinito temporale, ri-
midabile deserto. Lettura di G. Leopardi, flessa anche nelle strutture linguistiche. Inte-
1998); Maria de Las Nieves Muñiz Muñiz ressante è il saggio di Giovanni G. Amoretti
(Poetiche della temporalità. Manzoni, Leo- (“L’ultimo orizzonte”. Lettura psicanalitica
pardi, Verga, Pavese, 1990); Anna Clara Bo- dell’Infinito di G. Leopardi, in Poesia e psi-
va (Illaudabil meraviglia. Le contraddizioni canalisi: Foscolo e Leopardi, 1979), che,
della natura in G. Leopardi, 1992); Alberto senza rinunziare al confronto con altre inter-
Folin (Leopardi e la notte chiara, 1993; Pen- pretazioni critiche, muove all’esplorazione
sare per affetti. Leopardi, la natura, l’imma- del linguaggio gestuale e del simbolismo
gine, 1996); Alberto Caracciolo (Leopardi e materno per scoprire il messaggio umano
il nichilismo, 1994); Liana Cellerino (L’io del profondo dell’idillio. Si affianca a questi il
topo. Pensieri e letture dell’ultimo Leopardi, saggio di Giorgio Manacorda (Materialismo
1997); Antonio Prete (Finitudine e infinito. e masochismo. Il “Werther”, Foscolo e Leo-
Su Leopardi, 1998); Salvatore Natoli, Anto- pardi, 1973), che passa in rassegna alcuni
nio Prete (Dialogo su Leopardi. Natura, poe- motivi simbolici presenti nella poesia di Leo-
sia, filosofia, 1998). Importanti gli interventi pardi, mettendoli a raffronto con I dolori del
di Claudio Colaiacomo sullo Zibaldone giovane Werther di Goethe e con le Ultime
(1995), in cui si ricostruiscono le linee por- lettere di Jacopo Ortis di Foscolo e colle-
tanti dell’opera nella sua dialettica fra siste- gandoli con gli orientamenti ideologici e
ma e anti-sistema, e sui Canti (1995), di cui si culturali del tempo. Frutto di un’indagine
individuano le strategie compositive e le accurata e prolungata negli anni sono i sag-
nervature strutturali mediante un penetrante gi di Elio Gioanola, raccolti nel volume Leo-
scavo testuale. pardi, la malinconia (1995). Il critico muove
da un’analisi minuziosa della biografia del
poeta, a partire dal suo complesso rapporto
Strutturalismo, semiotica
col padre, per giungere alle varie fasi del-
e psicanalisi
l’ideologia e della produzione, viste costan-
Significativi e originali, fra i contributi criti- temente nel quadro della fenomenologia
ci degli ultimi decenni, quelli ispirati ai me- malinconica, di una “malinconia” che è in-
todi dello strutturalismo, della semiotica, sieme elemento patologico e stimolo ecce-
della psicanalisi, capaci di offrire elementi zionale per la creazione poetica.

166 CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI – L’INTERPRETAZIONE CRITICA © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS
Il contrasto fra intelletto e cuore
Francesco De Sanctis

L’affermazione del carattere attivo e positivo del pessimismo leopardiano, fondato sul contrasto tra cuore e intel-
letto, tra la razionale negazione della vita e la riaffermazione delle illusioni di felicità e di bellezza che incessante-
mente risorgono: è questa la tesi centrale di De Sanctis, destinata a condizionare gran parte della critica successiva.
Leopardi
riesce a rendere poetico questo stato di riflessione e questa distruzione del sentimento, che sono cose som-
mamente prosaiche […]. Vi riesce perché dura in lui il contrasto tra il cuore e l’intelletto, e anche quando l’in-
telletto, dissipatore delle illusioni, vince sull’altro, egli prova sì forte angoscia che produce ancora poesia.
Questa feconda contraddizione è illustrata nella pagina qui riportata, giustamente celebre perché non solo defini-
sce in profondità il pensiero e la poesia di Leopardi, ma è anche il primo deciso riconoscimento dell’alta coscienza
morale di Leopardi, cui si rifanno apertamente, dall’Ottocento al Novecento, tutti gli studiosi che pongono l’accen-
to sul carattere etico dell’opera leopardiana.

Il carattere
Leopardi produce l’effetto contrario a quello che si propone. Non crede al progresso, e te
attivo e positivolo fa desiderare; non crede alla libertà, e te la fa amare. Chiama illusioni l’amore, la gloria,
del pensiero
di Leopardi la virtù, e te ne accende in petto un desiderio inesausto. E non puoi lasciarlo, che non ti
senta migliore; e non puoi accostartegli, che non cerchi innanzi di raccoglierti e purificarti,
perché non abbi ad arrossire al suo cospetto. È scettico, e ti fa credente; e mentre non cre-
de possibile un avvenire men tristo per la patria comune, ti desta in seno un vivo amore
per quella e t’infiamma a nobili fatti. Ha così basso concetto dell’umanità, e la sua anima al-
ta, gentile e pura l’onora e la nobilita. E se il destino gli avesse prolungata la vita infino al
quarantotto, senti che te l’avresti trovato accanto, confortatore e combattitore. Pessimista od
Le differenze anticosmico, come Schopenhauer1, non predica l’assurda negazione del “Wille”2, l’innatu-
rispetto rale astensione e mortificazione del cenobita: filosofia dell’ozio che avrebbe ridotta l’Euro-
a Schopenhauer
pa all’evirata immobilità orientale, se la libertà e l’attività del pensiero non avesse vinto la
ferocia domenicana e la scaltrezza gesuitica.3 Ben contrasta Leopardi alle passioni, ma solo
alle cattive; e mentre chiama larva ed errore tutta la vita, non sai come, ti senti stringere più
saldamente a tutto ciò che nella vita è nobile e grande. L’ozio per Leopardi è un’abdicazio-
ne dell’umana dignità, una vigliaccheria; Schopenhauer richiede l’occupazione come un
mezzo di conservarsi in buona salute. E se vuoi con un solo esempio misurare l’abisso che
divide queste due anime, pensa che per Schopenhauer tra lo schiavo e l’uomo libero corre
una differenza piuttosto di nome che di fatto; perché se l’uomo libero può andare da un
luogo in un altro, lo schiavo ha il vantaggio di dormire tranquillo e vivere senza pensiero,
avendo il padrone che provvede a’ suoi bisogni; la qual sentenza se avesse letta Leopardi,
avrebbe arrossito di essere come “Wille” della stessa natura di Schopenhauer.
[…] Aggiungi che la profonda tristezza con la quale Leopardi spiega la vita, non ti ci fa ac-
quietare, e desideri e cerchi il conforto di un’altra spiegazione. Sicché se caso, o fortuna, o
destino volesse che Schopenhauer facesse capolino in Italia, troverebbe Leopardi che gli si
attaccherebbe a’ piedi come una palla di piombo, e gl’impedirebbe di andare innanzi.
da Schopenhauer e Leopardi, in Saggi critici, a cura di L. Russo, II, Laterza, Bari, 1957

1. Schopenhauer: il saggio Schopenhauer e Leopardi nasce in forma di dialogo tra A (un antico discepolo di De Sanctis) e
D (l’autore stesso) e propone un raffronto tra i due pensatori, dei quali il critico dice: Leopardi e Schopenhauer sono una
cosa. Quasi nello stesso tempo l’uno creava la metafisica e l’altro la poesia del dolore. I termini del raffronto sono stati ap-
profonditi successivamente da critici e filosofi nel tentativo di superare anche i criteri dell’impostazione desanctisiana.
2. “Wille”: significa “volontà”, che nel pensiero di Schopenhauer rappresenta il principio infinito di tutto il reale e si realizza
come volontà cieca di vivere, irrazionale, che si dispiega senza finalità e causa il dolore perché il volere implica un bisogno;
l’uomo può liberarsi dal dolore e sottrarsi al dominio tirannico della volontà attraverso la soppressione della volontà di vivere.
3. la ferocia domenicana… gesuitica: l’accenno polemico è all’ordine religioso dei domenicani, frati predicatori, che soprat-
tutto nel Medioevo si sono macchiati di crudeltà e ferocia nel difendere l’ortodossia e nel combattere gli eretici, come è acca-
duto nella crociata contro gli Albigesi; quanto alla congregazione dei gesuiti, l’accusa di scaltrezza richiama l’atteggiamento
piuttosto diplomatico e ipocrita che spesso è stato loro attribuito nello svolgimento della loro opera dottrinale ed educativa.

© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI – L’INTERPRETAZIONE CRITICA 167
Leopardi: la delusione storica e il progressismo
Cesare Luporini

La prospettiva da cui muove Luporini è quella di considerare il sistema filosofico e tutto l’atteggiamento leopardia-
no come frutto di una delusione storica, della particolare situazione emotiva della generazione maturata sulle dram-
matiche esperienze della Rivoluzione francese e della Restaurazione. Leopardi, di orientamento democratico e re-
pubblicano, reagisce alla delusione storica additando una visione energica della vita. Il pessimismo e il materialismo
leopardiano, anziché risolversi in rifiuto e rinuncia all’azione, si mostrano “progressivi” nel senso che il poeta tenta,
comunque, di giustificare la sua epoca, di vedere in essa non un fallimento ma il principio di una vita nuova […], il
filo della speranza.

La “filosofia” del Leopardi si risolve tutta, o pressoché tutta, su questo terreno: egli fu un
grande “moralista”, apparizione molto rara nella tradizione italiana e proprio per questo
Le radici non facilmente comprensibile presso di noi. Il suo pensiero nasce da un’esperienza tragi-
del pensiero ca, acutamente rappresentata e analizzata, e sia pure, com’è stato detto, esperienza di
di Leopardi
una “vita strozzata”: ma una vita strozzata è tuttavia una vita e può divenire, anche stori-
camente, altamente indicativa. L’importanza di questa esperienza e della sua espressione
non è quindi nella pretesa alla universalità scientifica, ma nell’intensità e precisione che
essa acquista e riesce a mantenere dentro il limite che le è proprio, per cui diventa in
qualche modo esemplare e tipica. L’esperienza leopardiana ha le sue radici essenzial-
mente nell’epoca romantica, ma tuttavia la oltrepassa per la direzione in cui si svolge, per
la schiettezza e virile compostezza con cui è vissuta e fatta oggetto di riflessione, priva
com’è di estetizzante compiacimento e, quasi sempre, del gusto della sofferenza e dilace-
razione da cui è materiata: “coscienza infelice” che non si culla in se medesima. I termi-
ni in cui si precisa questa esperienza sono, nel loro scomporsi e ricomporsi, legati stret-
tamente, e in certo modo fisiologicamente, alla vicenda individuale di Leopardi; tuttavia,
proprio per quella particolare esemplarità e intensità, hanno un ben delineato valore sto-
rico, rappresentano in una sua sfumatura la crisi di una società e di un’epoca (onde la ri-
sonanza europea del Leopardi), talché si può dire che nell’anima moderna vi è una nota
inconfondibile che è il “momento leopardiano”. È il momento, drammaticamente soffer-
to, dell’isolamento del mondo interiore, della sua incongruenza con la realtà storica e con
la quotidianità della vita. Un momento che già lo Hegel1 aveva sentito e acutamente in-
dicato in un frammento giovanile: “la nostalgia verso la vita di coloro che hanno elabora-
to in sé la natura in idea... Costoro non possono vivere soli, e l’uomo è sempre solo an-
che se egli si è posto dinanzi la propria natura e di questa rappresentazione ha fatto il
SUO compagno e in essa gode se stesso: egli deve trovare anche il rappresentato come
un vivente”. Questo fu appunto il problema iniziale e fondamentale del Leopardi; quello
in cui egli andò deluso: trovare il rappresentato, l’immagine, come un vivente. Aggiunge-
va lo Hegel: “Lo stato dell’uomo che il tempo ha cacciato in un mondo interiore, può es-
sere o soltanto una morte perpetua, se egli in esso si vuol mantenere, o, se la natura lo
spinge alla vita, non può essere che un anelito a superare il negativo del mondo sussi-
Noia e illusione stente, per potersi trovare e godere in esso, per poter vivere”. Leopardi visse in un siffat-
secondo to anelito e in esso fallì. Spinto alla vita non poté superare “il negativo del mondo sussi-
Leopardi
stente”: non si trattava soltanto del mondo delle sue misere vicende personali, ma del-
l’epoca che egli fu costretto a rifiutare. Egli non si poté “trovare e godere” in essa, non
poté, in tal senso, “vivere”. Cercò, e non poté trovare, il “rappresentato come un viven-
te”. Questo “rappresentato” si chiamò così per lui illusione. Cacciato e isolato dal tempo
e dalle circostanze nel “mondo interiore”, lo stato, mal sofferto, che egli analizzò e cercò
di teorizzare fu lo stato della “morte perpetua”, il tedio, la noia.
Il tedio, gran tema dei romantici, è principio e fine del “sistema” di Leopardi, ma non
ne rappresenta, da solo, l’intero dinamismo. Il rapporto che Leopardi ha con esso, co-

1. Hegel: G. W. Friedrich Hegel (1770-1831), celebre filosofo tedesco, massimo rappresentante dell’Idealismo.

168 CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI – L’INTERPRETAZIONE CRITICA © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS
me con tutti i termini del suo mondo filosofico (natura, ragione, illusione ecc.), è un
rapporto personale e drammatico, di consentimento o risentimento, di accettazione o
deprecazione.
Questi termini divengono essi stessi personaggi di un dramma. La noia rivela il vuoto, il
nulla delle cose, conclude Leopardi. Ma il vuoto, il nulla, sono personaggi tragici solo in
quanto corrispondono a un’aspirazione inappagata, che trova tutto meschino ciò che è
dato e può venir dato. Quest’apparizione inappagata ha un volto scoperto, che il Leopar-
di analizza e conduce al paradosso, ma ha anche una sostanza nascosta che spetta a noi
trarre alla luce. Questa sostanza è, vedremo, l’aspra delusione storica che sta all’origine
Romanticismo del dissidio leopardiano. Essa è rivelata proprio dalla pervicace volontà che ebbe il Leo-
e razionalismo pardi di tenersi stretto al gioco rigoroso dei termini che la esprimevano, che è come dire
alle proprie convinzioni razionali, e di non evadere nel vago e nell’indefinito dell’ethos
romantico, egli che del vago e dell’indefinito sentì (e la teorizzò) tutta la suggestione poe-
tica. Non bisogna dimenticare che questo romantico fu un ateo e un materialista, il qua-
le non solo si tenne fedele, ma sempre più si confermò, da ultimo quasi con accanimen-
to, nei principi del ’700; e già aveva combattuto al suo sorgere, in Italia, il Romanticismo
letterario, di cui non accolse mai le forme e le convenzionali figurazioni, anche quando
la sua poesia da poesia di immagini, si fece, per una crisi di vita, come egli ci dice, “poe-
sia di sentimento”, ossia poesia romantica: “non divenni sentimentale se non quando,
perduta la fantasia, divenni insensibile alla natura e tutto dedito alla ragione e al vero,
cioè filosofo.” […] Per il Leopardi il Romanticismo è una conseguenza del razionalismo,
non per antitesi dialettica, ma perché la ragione, distruggendo le immagini, nel cui gioco
oggettivo il mondo classico si era chiuso e difeso, dà luogo a un “traboccare” del senti-
mento. Si stabilisce così una peculiarissima continuità fra ragione e sentimento che diver-
rà una caratteristica intrinseca della “impura” poesia leopardiana. Ma questa continuità,
nei medesimi termini, viene proiettata dal Leopardi anche sul piano storico e costituirà
per lui il drammatico e fondamentale problema, variamente tentato, del rapporto della
propria età col secolo che l’ha preceduta. L’antitesi non è dunque, in Leopardi, parrebbe,
fra ragione e sentimento, ma fra altri termini: inizialmente fra sentimento ed immagini;
antitesi, sembrerebbe, tutta letteraria. Ma dietro di essa operava già un contrasto vitale; a
cui Metastasio o Monti e i contrapposti romantici, eran di ben scarso paravento: il contra-
sto vitale fra natura e ragione, prima scena del dramma leopardiano. [...] Tuttavia tra Leo-
La delusione pardi e Rousseau2 la divergenza è sostanziale, e questa divergenza è resa più importante
storica da quanto era accaduto nei tempi trascorsi fra loro. Rousseau vive ante rem e Leopardi
vive post rem,3 e questa cosa, decisiva per la posizione storica di ambedue, è stata la
grande Rivoluzione. Rousseau aveva aperto la strada alla Rivoluzione e aveva aperto la
strada anche al Romanticismo. Ora, Leopardi, che vive nel Romanticismo, lo rifiuta e non
si abbandona alle sollecitazioni etiche e politiche che venivano da esso. E qui sta il pun-
to più delicato per intendere tutta la posizione di Leopardi, il suo dramma, il suo intimo
dissidio che non è tanto e soltanto un dissidio personale e soggettivo, ma un dissidio sto-
rico. Quella ragione, la ragione settecentesca, che egli condanna è anche la ragione che
egli ama, l’unica che egli riconosce e sempre riconoscerà per tale, quella appunto che
aveva prodotto la filosofia razionalistica e materialistica del ’700, quella che aveva acceso
tante speranze in tutto il campo della civiltà umana, e soprattutto della vita sociale e po-
litica, speranze a cui ancora il Leopardi partecipa e che tuttavia egli riscontra deluse nei
propri tempi. Alla radice di tutto l’atteggiamento del Leopardi verso la “ragione” e verso
la “filosofia” sta questa delusione storica, in cui il momento politico è, naturalmente, de-
cisivo. La ragione che doveva per sempre distruggere le barbarie, le superstizioni, instau-
rare l’uguaglianza e la democrazia, riportare l’uomo civile al giusto e sano equilibrio con

2. Rousseau: Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), filosofo francese, illuminista, si distinse anche come pre-romantico nel-
la rivendicazione della spontaneità del sentimento rispetto alla ragione.
3. ante rem… post rem: letteralmente “prima della cosa” (cioè l’avvenimento) e “dopo la cosa”, cioè prima e dopo la Ri-
voluzione francese.

© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI – L’INTERPRETAZIONE CRITICA 169
la natura, [...] ebbene, questa ragione è fallita, la Rivoluzione da essa prodotta si è invo-
luta e ne è nato il dispotismo napoleonico, e poi soprattutto l’epoca presente, la Restau-
razione, in cui la cosa migliore, più progressiva, è il compromesso liberale e monarchico-
costituzionalistico, a cui il Leopardi, pur riconoscendone il relativo valore, ripugna come
dinanzi a tutti i compromessi.
Questa delusione storica, e con essa l’entusiasmo disincantato e quindi smorzato, o can-
giato in asprezza e quindi in risentimento, e tuttavia insieme un’inconcussa e nascosta fe-
de, riguardo alla ragione e filosofia settecentesca, fremono nelle pagine dello Zibaldone,
specie in tutta la sua prima metà. [...]
Il giudizio Dunque vi è almeno un punto, nella storia moderna, in cui si è stati “sollevati dalla bar-
di Leopardi barie” e questo punto è stato la Rivoluzione. In rapporto ad essa nasce il giudizio di Leo-
sulla propria
epoca pardi sulla propria epoca e sui due secoli che l’hanno preceduta. Ora, non è da credere
che il giudizio negativo di Leopardi sulla propria epoca nasca tutto d’un colpo, sia tutto
e soltanto un giudizio di risentimento e di avversione, di avversione moralistica. Esso è
un giudizio che si è formato travagliatamente proprio attraverso il tentativo di giustificare
questa epoca, di vedere in essa non un fallimento ma il principio di una vita nuova, lo
svolgimento storico della Rivoluzione, di trovare in essa il filo della speranza. Di qui an-
che l’attenta discussione che il Leopardi continuamente fa degli autori contemporanei, e
i loro nomi sono significativi, la Staël, il Lamennais, il Constant, lo Chateaubriand ecc.4
Questa discussione andrebbe ricostruita scrupolosamente e merita uno studio a parte.
Ora, il tentativo di giustificare la propria epoca è importante e probativo, proprio perché
in esso opera già la delusione storica e quindi operano già le caratteristiche categorie leo-
pardiane, natura, ragione, filosofia, illusione ecc., ed esso, sul piano teorico, diventa un
tentativo di superarne la rigida contrapposizione e di trovare ulteriori termini di raccordo
e di mediazione fra loro.
da Leopardi progressivo, in Filosofi vecchi e nuovi, Sansoni, Firenze, 1947

4. la Staël… Chateaubriand: Madame de Staël, scrittrice francese, riunì intorno a sé un importante salotto letterario e divul-
gò le idee romantiche, esercitando un notevole influsso sulla letteratura europea. Félicité-Robert de Lamennais (1782-
1854), pubblicista e filosofo francese, fu uno dei più noti e influenti pensatori cattolici, esponente del liberalismo cattoli-
co. Henri Benjamin Constant (1767-1830), fu uno dei maggiori esponenti del Romanticismo, autore del romanzo autobio-
grafico e introspettivo Adolphe. François-René de Chateaubriand (1768-1848), scrittore francese, pose il suo talento al ser-
vizio della fede cristiana (cfr. vol. IV, pag. 231 e segg.).

La poesia del nulla come ultima illusione


Emanuele Severino

Severino, filosofo prima che critico, vede in Leopardi non il poeta che corteggia col canto della poesia la verità fi-
losofica, l’arido vero, ma il poeta che consola il deserto del nichilismo occidentale, avvertendo nel contempo il let-
tore che la consolazione, che può provenire solo dalla poesia, appartiene anch’essa al deserto e, in quanto consola-
zione, è pure la più tragica testimonianza del deserto stesso. Fatta la scoperta del nichilismo del pensiero e della ci-
viltà occidentali, Leopardi ne deduce che la ricerca della “verità” non può essere un rimedio all’angoscia, ma all’op-
posto, è la radice stessa dell’angoscia. Il rimedio, semmai, sarebbe nella dimenticanza della verità. Non è possibile,
tuttavia, dimenticare la verità nel tempo odierno, nell’età della piena ragione, nell’età della scienza e della tecnica.
L’unica strada percorribile, dunque, è quella del “genio”, cioè di chi è in grado di saldare la verità filosofica con la
poesia e, attraverso la poesia, vedere in piena luce tutta la negativa portata della verità. Nella produzione leopardia-
na, testimone del nulla è soprattutto il canto de La ginestra, il fiore del deserto che solo può consolare il deserto per-
ché ne partecipa della sorte. Se la filosofia ci parla del nulla desertificante, solo la poesia, come fiore del deserto,
può testimoniare il deserto non dall’esterno, ma dall’interno.

170 CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI – L’INTERPRETAZIONE CRITICA © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS
Le illusioni Il fuoco annientante circonda ogni uomo e sta dinanzi ai suoi occhi. Ma non ogni uomo
degli uomini lo scorge o vuol scorgerlo. “E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce”1 quel-
le che stanno dinanzi all’uomo quando egli distoglie lo sguardo dal fuoco e si illude, o
sognando la luce di un Dio che discende tra gli uomini per salvarli dalla morte, oppure
sognando, il capo “eretto / con forsennato orgoglio inver le stelle” (vv. 309-10), le sorti
magnifiche e il progresso della civiltà della tecnica. Non si illude invece, e regge la vi-
sione del fuoco, la “nobil natura che a sollevar s’ardisce / gli occhi mortali incontra / al
comun fato, e che con franca lingua, / nulla al ver detraendo, / confessa il mal che ci fu
dato in sorte, / e il basso stato e frale; / quella che grande e forte / mostra a sé nel sof-
frir [...]” (vv. 111-19).
La coincidenza Non detraendo nulla al vero, la “nobil natura” è il vero filosofo. Ma al filosofo vero non
tra poeta s’addice lo sguardo spento di chi resta accecato dal fuoco, bensì la potenza e grandezza
e filosofo
dello sguardo che regge con ardimento la vista del fuoco – “a sollevar s’ardisce / gli oc-
chi mortali incontra / al comun fato” –; e si addice la “franca lingua” che riconosce la nul-
lità umana e la nullità insensata e contraddittoria dell’essere. L’ardimento dello sguardo,
la franchezza ardita della lingua, la grandezza e fortezza nella sofferenza sono i tratti del
poeta. L’ardimento dello sguardo è l’ardimento stesso della lingua; e l’«ardire» del linguag-
gio è l’essenza stessa della bellezza della poesia. Solo il vero poeta è vero filosofo. Solo
il vero filosofo è vero poeta. È, questo, il nodo centrale del pensiero di Leopardi. Alla
poesia non è più concesso di illudere, evocando il sogno dell’infinito e dell’eterno: la ve-
ra poesia non detrae nulla alla verità, ossia è vera filosofia.
La natura Il “genio” – la nobile natura che unisce in sé la vera poesia e la vera filosofia – sta “su
della ginestra l’arida schiena” del vulcano sterminatore (vv. 1-3). Guarda il fuoco della lava e il fiam-
meggiar delle stelle. La nobile natura del genio è la ginestra, il “fiore del deserto”. E in-
nanzitutto in se stesso è inevitabile che Leopardi veda la nobile natura del genio, cioè ve-
da la ginestra nel proprio pensiero poetante – che per la prima volta nella storia dell’Oc-
cidente, «nulla al ver detraendo», scorge l’impossibilità di ogni eterno e di ogni infinito,
aprendo la strada a tutta la filosofia contemporanea e conducendo l’Occidente alla forma
più rigorosa e inevitabile della coscienza che la nostra civiltà può avere di sé –; il pensie-
ro poetante che per la prima volta canta nella poesia, con ardimento supremo, quella
nullità dell’essere che nelle pagine dei Pensieri è indicata con una potenza speculativa
che fa del pensiero di Leopardi una delle forme più alte della filosofia dell’Occidente (e
dunque del nichilismo dell’Occidente) – e anzi la più alta, se si riesce a scorgere la forza
invincibile con cui esso, sul fondamento della fede nell’annientamento di ogni essere, di-
strugge l’essenza stessa dell’intera tradizione filosofica e culturale dell’Occidente, che pu-
re era stata costruita per salvare l’uomo dall’angoscia prodotta da quella fede. Che poi
questa forza invincibile si riveli essa stessa contraddittoria [...] non è una debolezza del
pensiero di Leopardi, ma è il destino a cui il nichilismo va incontro quando si spinge fi-
no a toccare la volta del proprio cielo.
La “nobil natura”, il genio che unisce filosofia e poesia, il pensiero poetante di Leopardi,
la ginestra sono la stessa cosa. L’immedesimazione è indicata sin dalla prima parola del
Canto, che rivolgendosi all’“odorata ginestra” dice: “Qui”. (“Qui su l’arida schiena / del
formidabil monte / sterminator Vesevo”.) “Qui”, dove sono io, dice il genio; qui dove so-
vente “seggo la notte; e su la mesta landa in purissimo azzurro / veggo dall’alto fiammeg-
giar le stelle”; qui dove, peregrino, vedo il bagliore della lava “dal deserto foro / diritto
infra le file / dei mozzi colonnati”.
Alla fine del Canto il cantore torna a rivolgersi, come all’inizio, alla ginestra, e la chiama
“più saggia” e “tanto / meno inferma” dell’uomo (vv. 314-15). Diversa dall’uomo, perché
essa è l’uomo nella forma della nobile natura del genio. Non un super-uomo, ma “Uom
di povero stato e membra inferme / che sia dell’alma generoso ed alto” (vv. 87-88); sì che
la nobile natura della ginestra – che sta per soccombere anch’essa “alla crudel possanza

1. “E gli uomini... luce”: è il versetto biblico del Vangelo di Giovanni (3, 19) che Leopardi mette come epigrafe a La ginestra.

© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS CAP. 1 - GIACOMO LEOPARDI – L’INTERPRETAZIONE CRITICA 171
/ [...] del sotterraneo foco” e come ogni altra cosa non riesce a rimaner ferma di contro al
nulla che la invade – è “tanto / meno inferma” dell’uomo perché è ben più ferma dell’uo-
mo nella sua saggezza, che non le farà piegare il capo supplicando il fuoco annientante
di risparmiarla, e non glielo farà nemmeno tenere “eretto / con forsennato orgoglio inver
le stelle, / né sul deserto” in una vana illusione di immortalità. “Non io / con tal vergogna
scenderò sotterra” (vv. 63-64). Alla ginestra compete la saggezza della filosofia autentica
dell’Occidente, che scorge la nullità del tutto.
La potenza Ma le compete anche la potenza consolatrice della poesia, soprattutto una volta che an-
consolatrice che la natura e l’essere in quanto essere si mostrano come contraddizione e insensatezza
della poesia
estreme.
“[...] Or tutto intorno / una ruina involve, / dove tu siedi, o fior gentile, e quasi / i danni
altrui commiserando, al cielo / di dolcissimo odor mandi un profumo, / che il deserto
consola [...]”.
Guardando il fuoco annientante del vulcano e del cielo, la ginestra, unica, rimasta sola
dopo la morte dei fiori e degli alberi, cioè dei rimedi che l’uomo prepara per difendersi
dal nulla, unica “allegra” (v. 4) i deserti della terra e del cielo, ne è “contenta” e sparge un
profumo dolcissimo che li consola. Commiserando e consolando il deserto, il profumo
della ginestra non lo guarisce e non lo rende fertile; non dà un senso ad esso, che è l’as-
soluta mancanza di senso, la ginestra conduce il deserto all’interno del suo profumo, lo
mostra nel profumo. Il profumo è il modo in cui la ginestra indica e rappresenta il deser-
to, di cui essa è la sentinella, il modo in cui gli si rivolge e lo accoglie in sé. Per conso-
larlo, deve averlo dinanzi – e ogni uomo ha dinanzi il deserto, anche se non solleva su di
esso lo sguardo –, ma la ginestra lo ha dinanzi profumandolo, e il profumo è la consola-
zione. In questo profumo che consola il deserto consiste la poesia.
Lo dice Leopardi stesso, in modo esplicito, in quelle pagine 259-62 dei Pensieri, alle qua-
li abbiamo continuato a riferirci e che parlano appunto delle “opere di genio”: pur mo-
strando il deserto della nullità e infelicità della vita, esse consolano col loro profumo,
aprono il cuore e ravvivano, sollevano l’anima come il profumo solleva verso il cielo gli
abitatori del deserto.
Dopo i “pensieri” del 1824, che mostrano l’esistenza della contraddizione – l’esistenza di
ciò che è impossibile che esista – anche la tematica dell’opera del genio acquista un’in-
tensità estrema, perché la nullità delle cose, ora, è insieme la loro insensatezza e contrad-
dizione. Il deserto diventa infinitamente più aspro e angosciato, perché infinitamente più
temibile è il “vero” a cui la nobile natura del genio non detrae nulla; infinitamente più pe-
sante il dolore e l’angoscia che il fiore del deserto consola. Cresce il deserto – cresce la
poesia. Il genio di Leopardi – la ginestra – vede qualcosa che nessun altro ha veduto: il
deserto totalmente invaso dal “male”, dove “le cose non sono cose”, e che è “cosa arca-
na e stupenda” appunto perché “la cosa non è cosa”.
L’arca dell’arcano – l’essere – è vuota, non custodisce che il nulla, ed è essa stessa essere
e nulla, identità di essere e nulla. Per questo è “stupenda”, cioè angosciante. Cresce
l’estensione e l’intensità del deserto: la cosa – l’essere – è deserto perché si trova “in mez-
zo” al nulla e attraversata dal nulla e perché il suo sporgerne è l’impossibile che esiste, lo
sporgere dal nulla che è insieme identico al nulla. L’arca è questa sporgenza, insensata e
senza perché. Le illusioni, ora, non mascherano soltanto il nulla, ma anche l’esistenza
dell’insensatezza, della impossibilità, della contraddizione del divenire delle cose. Anche
l’opera del genio, ora, è illusione in questo senso più radicale. E sa di esserlo. Come sa
di essere essa stessa, in quanto “esistente”, esistenza dell’impossibile: essa stessa volta ad
un fine – il sollevarsi al di sopra del nulla e della contraddizione – che non è fine
dell’“esistenza” stessa dell’“esistente” in cui essa consiste.
da Cosa arcana e stupenda. L’Occidente e Leopardi, Rizzoli, Milano, 1997

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