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ESEDRA

COLLANA DI LETTURE

LINGUA E DIRITTO
LIVELLI DI ANALISI

A cura di
Jacqueline Visconti
Testi di
Gianmaria Ajani Pascale Berteloot Pierluigi Chiassoni
Amedeo Giovanni Conte Paolo Di Lucia
Elena Ioriatti Ferrari Silvia Ferreri
Bice Mortara Garavelli Mario Garavelli
Riccardo Guastini Iørn Korzen Giuseppe Lorini
Giovanni Rovere Rodolfo Sacco Marcello Soffritti
Daniela Tiscornia

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Lingua e diritto
livelli di analisi
Introduzione
di Jacqueline Visconti

What say you? Are you guilty or not? Speak the


truth.
I will speak the truth. I have seen sights and been
scared. I have been very wicked. I hope I shall be
better, if God will help me.
(The Salem Witchcraft Papers, 405   1)

In the earliest stages of which vestiges have been


left to us, legal acts are magical acts.
This is a fact of great importance for compre-
hending our legal language. In its origin it is the
language of magic.
(K. Olivecrona, Legal language and reality, 1962, 176   2)

Per Luigi Lombardi Vallauri: «Jeder gute Jurist ist immer ein mis-
slungenes Was Anderes», ogni buon giurista è sempre un mancato
qualcos’altro; anzi: «forse solo chi non è nato giurista può essere un
buon giurista»   3.
Se si lascia ai giuristi la curiosità di verificare quanto questa affer-
mazione sia fondata, è però vero che le idee più affascinanti nascono

1
In K.L. Doty - R. Hiltunen, Formulaic discourse and speech acts in the
witchcraft trial records of Salem, 1692, Journal of Pragmatics 41, 3 (2009), 466.
2
In R.A. Newman, Essays in Jurisprudence in honor of Roscoe Pound, Indi-
anapolis - New York, Bobbs - Merrill, 1962, 151-191.
3
Il Bigiavi. Taccuino multilingue del­la Società Italiana di Diritto e Letteratu-
ra 2 (2008), a cura di E. Pattaro, 12-13.

7
Jacqueline Visconti

spesso al­le frontiere tra discipline, in quei territori inesplorati in cui


vengono meno le certezze del ‘core’, in cui si confrontano – talora
provocando crisi – paradigmi e concezioni di provenienza diversa.
Proprio a queste esplorazioni è dedicato il presente volume, in cui
filosofi, giuristi e linguisti affrontano temi vicini da ottiche diverse e
complementari, mettendo in luce aspetti diversi nel­lo studio dei rap-
porti tra lingua e diritto.
Tra i diversi, affascinanti, risvolti di tale questione   4, questa rac-
colta ne privilegia uno: la riflessione sul rapporto tra il significato
«letterale» dei testi giuridici e la loro interpretazione. In particolare,
i sedici saggi raccolti mettono in luce aspetti diversi del modo in cui
i livel­li linguistici – lessicale, morfo-sintattico, semantico, testuale –
contribui­scano al­la definizione del significato letterale del testo e di
come le informazioni contestuali (di origine co-testuale, situazionale o
enciclopedica) interagiscano nel­l’arricchire tale significato.
Il rapporto tra questi due livel­li di significato, detti, nel­la tradizio-
ne di linguistica testuale che adotto, significato «linguistico» e signifi-
cato «comunicativo», è precisato da Ferrari (2008, 22)   5:
Il significato linguistico può essere definito come il significato iscritto
nel­la struttura linguistica del­la ‘frase’, vale a dire quel significato dato
dal­la combinazione dei significati del­le forme lessicali secondo le indi-
cazioni offerte dal­la sintassi e dal­la punteggiatura. Quanto al significato
comunicativo, esso è invece quel significato che nasce inferenzialmente
dal­la combinazione del significato linguistico con le informazioni con-
testuali che la situazione d’enunciazione presenta come pertinenti; le
quali informazioni […] possono avere un’origine situazionale (legata
al­la concreta situazione fisica in cui avviene l’atto comunicativo), co-
testuale (relativa al­l’intorno linguistico del­la ‘frase’) o enciclopedica
(legata a proprie esperienze cognitive, affettive ecc.).

4
Si veda, ad esempio, l’introduzione di P. Di Lucia al­la sil­loge di U. Scarpel­
li - P. Di Lucia, Il linguaggio del diritto, Milano, LED, 1994; P. Fiorel­li, Intorno
al­le parole del diritto, Milano, Giuffrè, 2008; B. Mortara Garavel­li, Le parole e la
giustizia, Torino, Einaudi, 2001; F. Sabatini, Analisi del linguaggio giuridico, in
M. D’Antonio (a cura di), Corso di studi superiori legislativi 1988-1989, Padova,
Cedam, 675-724; R. Sacco, Langue et droit, in Les multiples langues du droit
européen uniforme, éd. par Id. et L. Castel­lani, Torino, L’Harmattan, 1999, 163-
185; tr. it. Lingua e diritto, Ars Interpretandi 5 (2000), 117-134.
5
A. Ferrari, L’interfaccia lingua e testo, Alessandria, Edizioni del­l’Orso,
2008.

8
Lingua e diritto. Livelli di analisi

Il significato linguistico può essere considerato come un insieme di


istruzioni date dal locutore affinché l’interprete elabori le inferenze
necessarie al­la costruzione del significato comunicativo. Come nota
Conte (1999 [1988], 84): «Le sequenze testuali guidano [steuern] la
costruzione del­la coerenza testuale»   6. Il significato comunicativo è
così «un’ipotesi interpretativa del­l’interlocutore» (Ferrari 2008, 23)
che i diversi livel­li linguistici, o «moduli», contribuiscono in vario mo-
do a delineare.
Molta del­la riflessione sia giuridica sia linguistica verte, a mio av-
viso, sul­la modulazione del passaggio dal primo tipo di significato al
secondo; si pensi, ad esempio, al­le considerazioni già in Bobbio (1950,
359) sul passaggio dal­l’interpretazione dei verba al­l’interpretazione
del­la mens legis   7; o al­la dibattuta (quanto insoluta) questione del­la
distinzione tra semantica e pragmatica (per alcuni: semantica = si­
gni­ficato codificato dal­la lingua; pragmatica = significato elaborato
in­ferenzialmente per interazione tra il significato linguistico e i dati
contestuali pertinenti)   8.
Il contributo che gli studi raccolti in questo volume apportano a
tale questione si distribuisce a diversi livel­li.

1.1. – Un primo gruppo di contributi riflette sul­la natura stessa del­


l’interpretazione giuridica. Le questioni trattate comprendono: il
ruo­lo del­l’enciclopedia; i tipi di processi inferenziali che portano al
significato comunicativo; il rapporto tra il piano sintattico-semantico
e il piano pragmatico nel risolvere l’ambiguità di una disposizione; la
tensione tra la funzione creativa del­l’attività giurisprudenziale e l’im-
portanza del livel­lo del­la decodifica dei «mezzi di prova».
In particolare, addentrandoci nei singoli capitoli:

6
M.-E. Conte, Condizioni di coerenza, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1999.
Si veda anche ivi, 84-95.
7
N. Bobbio, Scienza del diritto e analisi del linguaggio, Rivista trimestrale di
diritto e procedura civile (1950), 342-367.
8
Per una sintesi del­le diverse posizioni si veda M.B. Mosegaard Hansen  -
K. Turner (eds.), Explorations in the semantics-pragmatics interface, Acta Lin­
guistica Hafniensia 38 (2006), 7-13.

9
Jacqueline Visconti

In Introduzione al­la teoria del­l’interpretazione Riccardo Guastini ela-


bora i tratti fondamentali di una teoria generale del­l’interpretazione
dei testi normativi a partire dal­l’ambiguità del vocabolo ‘interpre-
tazione’ in contesti giuridici. Le distinzioni principali sono tre. La
prima concerne l’opposizione tra interpretazione in abstracto e
in­terpretazione in concreto. L’interpretazione in abstracto (o text-
oriented) consiste nel­l’identificare il contenuto di senso, cioè il
contenuto normativo espresso da, e/o logicamente implicito in, un
testo normativo (una fonte del diritto) senza riferimento ad alcuna
fattispecie concreta; l’interpretazione in concreto (o fact-oriented)
consiste invece nel sussumere una fattispecie concreta nel campo di
applicazione di una norma previamente identificata in abstracto. Se
l’interpretazione in abstracto è assimilabile al­la traduzione (intralin-
guistica), perché consiste nel riformulare (rewording) il testo inter-
pretato, l’interpretazione in concreto concerne invece la decisione
intorno al­la estensione di un concetto. La seconda distinzione è tra
interpretazione cognitiva, decisoria, e creativa: (i) l’interpretazione
cognitiva, o interpretazione-accertamento, consiste nel­l’identificare
i diversi possibili significati di un testo normativo (sul­la base del­le
regole del­la lingua, del­le diverse tecniche interpretative in uso, del­
le tesi dogmatiche diffuse in dottrina, ecc.) senza sceglierne alcuno;
(ii) l’interpretazione decisoria consiste nel­lo scegliere un significato
determinato nel­l’ambito dei significati identificati (o identificabili)
per mezzo del­l’interpretazione cognitiva, scartando i rimanenti; (iii)
l’interpretazione creativa consiste nel­l’attribuire ad un testo un si-
gnificato «nuovo», non compreso tra quel­li identificabili in sede di
interpretazione cognitiva. La terza distinzione è tra interpretazione
in senso stretto e «costruzione giuridica», cioè la costruzione di nor-
me «inespresse», non formulate da alcuna autorità normativa ma ela-
borate dagli interpreti per mezzo di vari procedimenti argomentativi
pseudo-logici.
La prima distinzione è connessa al­la duplice indeterminatezza
del diritto: molteplicità di significati degli enunciati normativi e, ri-
spettivamente, vaghezza di ciascun significato. La seconda pretende
di risolvere l’annosa questione dottrinale se l’interpretazione sia atto
di conoscenza o atto di volontà. La terza vuole mettere in luce che
non tutte le operazioni compiute dai giuristi sui testi normativi sono
riconducibili al­l’interpretazione strettamente intesa.

10
1.
AZIONE, PENSIERO, PAROLA
NEL­lA CREAZIONE
DEL DIRITTO
di Rodolfo Sacco

1.1. – Cosa raccontano le facoltà di giurisprudenza quando trattano il


tema del­la creazione del diritto – detto altrimenti, il tema del­le fonti
del diritto?
Non c’è dubbio che il posto centrale viene assegnato al­la legge. Si
men­zionerà, accanto al­la legge e contrapposta ad essa, la consuetudi-
ne. Ma il discorso sul­la legge, sul modo del­la sua produzione, sul­la sua
interpretazione, sarà lungo, articolato, approfondito, e sarà ripreso
(con sviluppi anche più impegnativi) nel corso di diritto costituzio-
nale. Il discorso sul­la consuetudine sarà embrionale; spesso si lascerà
intendere che la consuetudine è operante e legittima solo là dove sia
presente un rinvio del­la legge.
Il civilista, in specie, sarà più o meno disponibile a menzionare la
consuetudine fra le fonti, ma tratterà poi questa definizione come una
nozione libresca priva di sviluppi reali, e non giustificherà mai con
la consuetudine la soluzione che intende dare ad un problema (salva
sempre l’ipotesi, infrequente, del­l’uso richiamato dal diritto scritto).
Il giurista, d’altronde, obbedisce a certe convenzioni, e fra queste
la più vincolante impone (da due secoli a questa parte) di iniziare il
discorso giuridico partendo dal­la costituzione. E la costituzione, fonte
somma tra le regole scritte autoritative, ama regolare (e deve regolare)
la produzione del­le leggi, del­le ordinanze e dei referendum, cioè del­
le altre fonti scritte autoritative, e invece ignora il diritto spontaneo,
consuetudinario, il quale, proprio perché spontaneo, non ha bisogno
di nessuna giustificazione e legittimazione proveniente dal­la costitu-
zione o da un’altra fonte scritta.

21
Rodolfo Sacco

La legge è, in modo evidente, una dichiarazione. Essa esprime un


imperativo (metaforicamente: una volontà) e promana da un’autorità –
e cioè: dal­lo Stato, o dagli organi cui lo Stato affida il compito di creare
norme (regioni, comuni, autorità indipendenti, ecc.); e dal­le organizza-
zioni sovrastatuali cui lo Stato ha deferito il corrispondente potere.
La brevità del­la trattazione del­la consuetudine va di pari con lo
scarso apprezzamento per questa fonte non scritta, accusata di venir
elaborata in modo troppo lento, e di essere perciò fatalmente arre-
trata   1.

1.2. – La realtà è diversa dal­le declamazioni. Nel­la realtà attuale, il bi­


lan­cio non può dirsi così negativo per le fonti non scritte.
La consuetudine è tuttora fonte primaria del diritto internazionale.
Nel­l’area del common law, la legge autoritativa esiste e fiorisce,
ma non è considerata la base del­l’ordinamento. Il sistema non può
dir­si fondato sul­la consuetudine, ma è aperto a tanti apporti.
In Cina, In Giappone, in India il diritto tradizionale spontaneo
convive con il diritto scritto a model­lo europeo inglese o americano;
l’ambito in cui operano l’uno e l’altro non è ben definito nel­la vita rea­
le, e meno ancora è ricostruito dagli studiosi   2.
In tutta l’Africa è ben evidente che il diritto tradizionale, sponta-
neo, riesce a circoscrivere l’ambito di applicazione del diritto scritto
autoritativo, di marca europea o sciaraitica   3.
In America latina, non sappiamo in quale misura i conflitti giuridici
vengano risolti dagli organi giurisdizionali statuali, e in quale misura ope-
rino invece autorità di fatto, che fanno applicazione di regole spontanee
o tradizionali, cui solo ora la dottrina incomincia a prestare attenzione   4.

1
Anche studiosi ben disposti verso la consuetudine la giudicano conservatri-
ce: J. Gilissen, voce «Consuetudine», in Digesto IV, Disc. priv. Sez. civ., III, Tori-
no, Utet, 1988; Id., La coutume, Recueils de la société Jean Bodin (1988), 4 vol­l.;
A. Pizzorusso, voce «Consuetudine», in Enc. Giur., VIII, Roma, Istituto Treccani,
1988.
2
Chiarimenti (su qualche punto, innovativi) in A. Gambaro - R. Sacco, Siste-
mi giuridici comparati, Torino, Utet, 20083.
3
Riferimenti ben documentati in R. Sacco, Il diritto africano, Torino, Utet,
1995, 112-115, 124-136 e soprattutto 190-199.
4
Si veda ad es. A. Levaggi (coord.), El aborigen y el derecho en el pasado y el
presente, Buenos Aires, Univ. Museo social argentino, 1990 – e ivi si noti l’articolo
di Chàvez sul servinakuy (matrimonio consuetudinario) nel Perù.

22
Azione, pensiero, parola nella creazione del diritto

In Russia il diritto statuale autoritativo è ben analizzato e spon-


sorizzato dal pensiero accademico: ma noi non siamo completamente
certi che nel paese di Tolstoj questo diritto culto trovato dapprima a
Bisanzio, poi in Francia, e, per l’ultimo secolo, in Germania, abbia
sof­focato qualsiasi modo alternativo di soluzione dei conflitti.
Un po’ dovunque comunità di immigrati recenti, che parlano una
lingua diversa da quel­la ufficiale, risolvono le loro questioni giuridi-
che in modi non conformi al­le regole scritte.
Qualche studio viene ora pubblicato sul diritto degli zingari    5.
Da una data recente in Australia, in Canada, e altrove, si consente a
giurisdizioni tradizionali di applicare al­la luce del sole un diritto spon-
taneo che discende da quel­lo che era in vigore prima del­l’invasione
europea.
E nel nostro Paese?
In Italia gli usi sono previsti – in forma generale e astratta – nel­
l’art. 8 del­le preleggi al c.c. del 1942; ivi si dispone che l’uso vincola se
è richiamato dal­la legge. Ma in realtà la consuetudine – entro e fuori
del­l’ambito del­l’art.  8  – pervade, in modo conclamato o senza farsi
notare – tutto il diritto privato   6.
La proprietà è ben permeabile al­la consuetudine. La legge, con
affermazioni ogni volta più perentorie e roboanti, riserva al proprieta-
rio del suolo la proprietà dei prodotti del­la terra, anche nel caso in cui
la terra li offra al­l’uomo senza il concorso del lavoro di quest’ultimo:
funghi, bacche, more, e così via   7.
Ma la legge non ha nul­la mutato del­l’ordine, spontaneamente
crea­tosi da tempo immemorabile, che consente a chiunque la libera

5
A. Simoni (a cura di), Stato di diritto e identità rom, Torino, l’Harmattan
Italia, 2005.
6
Su questo fenomeno, poco osservato dai civilisti, R. Sacco, Il diritto non
scritto, in G. Alpa - A. Guarneri - P.G. Monateri - G. Pascuzzi - R. Sacco, Le fonti
non scritte e l’interpretazione, Torino, Utet, 1999.
7
Leggiamo il Code Napoléon. Art. 546: «La propriété d’une chose […] donne
droit sur tout ce qu’el­le produit». Art. 551: «Tout ce qui s’unit à la chose appar-
tient au propriétaire». Art. 713: «Les biens qui n’ont pas de maître appartiennent
à la nation». Leggiamo il c.c. it. (1942). Art. 812: «È bene immobile […] tutto
ciò che è naturalmente […] incorporato al suolo». Art. 820: «Sono frutti naturali
[…] i prodotti agricoli». Art. 934: «Qualunque piantagione […] appartiene al
proprietario del suolo».

23
Rodolfo Sacco

raccolta. Sì che la legge finisce poi per riconoscere tacitamente la con-


suetudine, presupponendo la libera raccolta là dove adotta singole
norme di dettaglio per disciplinare la raccolta del­le piante medica-
mentose, o dei tartufi; e il regolamento locale procede con la medesi-
ma logica quando sottopone la raccolta dei funghi sul fondo altrui a
chicanes amministrative di varia natura.
Fuori del nostro paese (in Svizzera, in Germania, in Svezia), il di­
ritto scritto ha oramai legittimato anche formalmente questa prassi
(qualcuno in futuro potrà pensare che la regola sia stata concepita
nel­la riflessione che si matura nel­le aule dei Parlamenti).
Non sempre la consuetudine è così antica. Da qualche tempo
l’uo­mo scia su fondo altrui, e l’autorità comunale protegge questo
svago non solo regolamentando l’attività sportiva ma soprattutto indi-
rizzando al proprietario cento divieti (di erigere costruzioni o ostacoli,
ecc.).
Il contratto è totalmente sposato al­la regola consuetudinaria.
L’art. 1374 c.c. it., rubricato «integrazione del contratto», riserva
a questo negozio gli effetti che ne derivano secondo la legge e secondo
gli usi. L’interprete ama proclamare che l’uso incide sul­l’effetto del
contratto se richiamato dal­la legge (si dimentica che il richiamo è ope-
rato proprio dal­l’art. citato), e con ciò sembra far avvizzire la grande
regola del­l’art. 1374.
Ma poi la stessa giurisprudenza, dovendo interpretare la comune
volontà dei contraenti, si basa su massime d’esperienza relative a ciò
che le parti considerano essere la regola e a ciò che la comunità ha
fi­nora praticato (relative al­l’opinione e al­l’attuazione, ossia ai due ele-
menti costitutivi del­la regola giuridica consuetudinaria).
Ad ogni negozio possono ricol­legarsi effetti previsti ex lege. Così
avviene nel­l’area dei contratti «tipici», cioè appartenenti ad una di
quel­le figure che il legislatore ha definito e regolato in modo specifico
(come avviene per la vendita, il mutuo, l’appalto, ecc.). Ma la prassi
crea sempre più numerosi model­li atipici, i cui effetti corrispondono
a ciò che le parti dicono e, nel silenzio del testo, a regole via via ela-
borate dai giudici; e i giudici decidono non già a capriccio, ma in base
al­le attese del­le parti, model­late sul­la prassi e sul­le valutazioni del­
l’operatore medio – e cioè, ancora una volta, sul­la consuetudine. Se
la giustizia e l’economia lo richiedono, il giudice elabora tipi contrat-
tuali nuovi, per sottrarre il singolo contratto al­le regole che la legge

24
Azione, pensiero, parola nella creazione del diritto

ha enunziato per un dato tipo legale. Ad es., per sottrarre il mercato


borsistico al­le regole legali sul mandato, e dare spazio agli usi di bor-
sa, egli inventa il contratto, atipico, del­l’«ordine di borsa»   8.
Il segreto bancario – cardine del rapporto fra la banca e il clien-
te – opera senza l’appoggio del­la legge, e deroga ad ogni legge contra-
stante. Maldestri tentativi vengono talora condotti per regalare origini
legali al­l’istituto.
La pratica conosce bene la società di fatto, antichissima, ignota
al­la legge scritta.
La legge italiana (art. 1350 c.c.) impone la forma scritta per ogni
alienazione immobiliare. Ma non ha potuto eliminare la pratica del
conferimento di fondi agricoli (col­latio agrorum rusticorum), con cui
alcuni proprietarii di fondi, volendo costruire una strada, conferisco-
no le aree necessarie, che così facendo diventano comuni   9.

1.3. – Fin qui, si è visto che il civilista è restio a riconoscere uno spazio
al diritto spontaneo. Ma il costituzionalista non nega che gli organi su-
premi del­lo Stato, in date circostanze, per procedere secondo il diritto
debbono al­lontanarsi dal­la regola scritta. I nomi dati a questa figura
sono principio di effettività   10, norma non scritta che giustifica la rego-
la fattuale   11; l’atto del­l’organo si chiama procedimento extra ordinem.
Su un piano anche più generale, la dottrina non manca di aggiun-
gere al­la dottrina del­le fonti del diritto ogni opportuno discorso sul­
l’interpretazione, sul­la realtà sociale, sul­lo spirito del diritto, e queste
riflessioni conducono poi a contrapporre al­la nuda lettera del­la legge
un diritto «vivente», un diritto in action, un diritto «spontaneo», una
natura del­le cose, un diritto contrassegnato dal­la effettività, una visio-
ne realistica del diritto. Con queste elaborazioni si entra nel­l’area di
un diritto applicato, diverso dal diritto scritto, conformatosi in modo
spontaneo, consuetudinario.

8
Cass. 23 dicembre 1977, n. 5724, Banca, borsa e tit. cred. 2 (1978), 129.
9
La giurisprudenza, costantissima, è abbondante. Da ultimo Cass. 29 otto-
bre 1983, n. 6442; Cass. 26 novembre 1997, n. 11842.
10
Pizzorusso, voce cit., 1.1 e 5.4.
11
G. Zagrebelsky, Sul­la consuetudine costituzionale nel­la teoria del­le fonti del
diritto, Torino, Einaudi, 1970, 134.

25
2.
IL CONCETTO DI VALENZA
NEL­lA FILOSOFIA
DEL­l’ATTO GIURIDICO
di Paolo Di Lucia

Nel­l’ambito del sociale, v’è un fenomeno che


è del tutto assente nel­l’ambito del­la natura: la
nul­lità [Nichtigkeit]. Infatti, un’azione umana
può presentarsi con la soggettiva pretesa di vali-
dità […] senza essere tale oggettivamente. […]
Nel­l’ambito del­la natura non vi sono atti nul­li.
(Hans Kelsen)

2.0. Due paradigmi per una filosofia del­l’atto giuridico

Nel presente studio elaboro due paradigmi per una filosofia del­l’atto
giuridico:
(i) atto parlato vs. atto muto (§ 2.1.);
(ii) atto bivalente vs. atto trivalente (§ 2.2.).

2.1. Primo paradigma: atto parlato vs. atto muto

2.1.0. È merito di Rodolfo Sacco aver denunciato il privilegiamento


del­l’atto linguistico verbale (e l’oscuramento del­l’atto semplice) nel­la
teoria del­l’atto giuridico.
Egli lo ha fatto, in particolare, nel contesto di una teoria del­l’atto
«autonomo». «Autonomo»   1, nel lessico dei giuristi, è l’atto con il qua-

1
Una storia del concetto di atto autonomo non è stata ancora scritta. Come
osserva lo stesso Rodolfo Sacco (Autonomia nel diritto privato, 1987), quali siano

43
Paolo Di Lucia

le il soggetto pone esso stesso (autós) regole (nómoi) immediatamente,


senza la mediazione e l’intervento d’una legge.
Scrive Sacco in proposito:
[…] il giurista (legislatore e studioso) incontra, senza veramente analiz-
zarle, tante figure di esercizio del­l’autonomia, che si estrinsecano non
già nel dichiarare e consentire, ma nel­l’esercitare il diritto che si vuole
creare, nel­lo svolgere quel­la prestazione che è oggetto del­lo scambio,
nel far cessare di fatto un carico che gravava giuridicamente sul vicino
e di cui si vuole che egli sia finalmente libero.
Ecco l’individuo che raccoglie una bacca e ne diventa proprietario.
Ec­co quel raccoglitore che consegna un frutto ad altri, e gli trasferisce
una proprietà.   2
Ma è anche merito di Rodolfo Sacco aver introdotto nel­la teoria del­l’at­
to giuridico il paradigma inedito: atto parlato (parlante) vs. atto mu­to   3.
I due esempi di «atti muti» (di autonomia) più familiari al giurista
sono i seguenti:
(i) la presa di possesso (occupazione);
(ii) l’abbandono (derelizione).
L’elenco degli atti muti di Sacco è molto lungo e «i più significativi fra
essi vengono da epoche arcaiche (essi non hanno bisogno del linguag-
gio articolato!)»   4.

gli atti autonomi dipende dal­l’ordinamento giuridico preso in considerazione. La


categoria del­l’autonomia è invece una categoria transsistematica.
2
R. Sacco, Antropologia giuridica, 2007, 296.
3
Cfr. R. Sacco, Il diritto muto, 1993, 695. Sul differente significato del­l’ag­get­
tivo «muto» nei sintagmi «atto muto» e «diritto muto» cfr. A.G. Conte, Erlebnis-
recht. Diritto vissuto nel­l’antropologia filosofica di Rodolfo Sacco, 2008. Il sintagma
«atto muto» appare, credo, per la prima volta, nel­l’opera di Giam­battista Vico
(1668-1744), La scienza nuova, nel­la forma plurale e in un significato differente da
quel­lo introdotto da Sacco. In particolare Vico parla del­la lingua degli atti muti:
«Tre spezie di lingue. Del­le quali la prima fu una lingua divina mentale per atti
muti religiosi, o sieno divine cerimonie; onde restaron in ragion civile a’ romani
gli ‘atti legitimi’, co’ quali celebravano tutte le faccende del­le loro civili utilità.
Qual lingua si conviene al­le religioni per tal proprietà: che più importa loro esser
riverite che ragionate; e fu necessaria ne’ primi tempi, che gli uomini gentili non
sapevano ancor articolare la favel­la. La seconda fu per imprese eroiche, con le
quali parlano l’armi; la qual favel­la, come abbian sopra detto, restò al­la militar
disciplina. La terza è per parlari, che per tutte le nazioni oggi s’usano, articolati».
4
Cfr. R. Sacco, Il diritto africano, 1995.

44
Il concetto di valenza nella filosofia dell’atto giuridico

Ecco quattordici esempi di atti «muti» (non dichiarativi), vivissi-


mi nel diritto del­le società più avanzate, riportati da Sacco:
[…] l’occupazione, il possesso, l’abbandono del­la cosa, la consegna,
l’accettazione tacita di eredità, la sanatoria di un negozio invalido me-
diante esecuzione, l’accettazione tacita di un mandato e l’accettazione
di un’ordinazione mediante l’invio del­la merce, la distribuzione di pro-
dotti o di titoli di legittimazione mediante apparecchi automatici, la so-
cietà di fatto, il rapporto di lavoro di fatto, il rapporto maritale-uxorio
di fatto, il rapporto parentale di fatto.   5
Ma qual è il criterio di individuazione (determinazione, riconoscimen-
to) degli atti che Rodolfo Sacco chiama «atti muti»? Per rispondere a
questa domanda è necessario indagare la pragmatica del­l’atto muto.

2.1.1. Pragmatica del­l’atto muto

2.1.1.1. Che cosa l’atto muto non è

Nel saggio Il diritto muto (1993) Rodolfo Sacco denuncia una «visuale
contorta del­le relazioni umane», in virtù del­la quale: «[…] quando si
deve definire l’atto muto, esso si definisce ricorrendo al­l’analogia con
l’atto parlato».
Secondo questa visuale «contorta» l’atto muto è equiparato ad
una dichiarazione tacita   6.
Scrive Sacco:
Si spiega che il soggetto vuole un certo effetto giuridico, che egli deve
dunque manifestare la volontà corrispondente, che a questo fine può
essere sufficiente l’esecuzione del­l’atto in questione: e l’esecuzione fun-
zionerà qui come una tacita dichiarazione.   7

5
R. Sacco, Antropologia giuridica, 2007, 183. Inesplicabilmente, l’insieme
più esteso di atti muti, individuato da Sacco, non è omogeneo. Almeno cinque
del­le entità che Sacco chiama «atti muti» non sono atti (né muti né non-muti).
In particolare non sono atti: il possesso; la società di fatto; il rapporto di lavoro
di fatto; il rapporto maritale-uxorio di fatto; il rapporto parentale di fatto. «Atto
muto» non equivale ad atto ‘bruto’ (G.E.M. Anscombe [1910-2001]). A sua volta,
«atto muto» non equivale ad ‘evento’.
6
Sul concetto di «dichiarazione» cfr. P. Schlesinger, voce «Dichiarazione
(teo­ria generale)», 1964.
7
R. Sacco, Il diritto muto, 1993, 700.

45
Paolo Di Lucia

Un «visuale contorta» caratterizza, secondo Sacco, anche il modo di


ricostruire l’atto autonomo muto nel­l’epoca più remota del diritto,
l’e­poca del diritto muto (diritto «senza linguaggio articolato»).
L’uomo che attua in silenzio attua direttamente un rapporto. Il giurista
del­la parola ricostruisce la sequenza in modo più complesso. Secondo
le sue categorie, l’uomo silenzioso vorrebbe costituire un rapporto, sa-
prebbe che per costituirlo occorre un negozio, ossia una dichiarazione,
che l’esecuzione del rapporto equivale a dichiarazione, e a questo pun-
to eseguirebbe […].
Quando l’uomo non parlava, la dinamica del diritto si riduceva (ce­
ri­monie a parte) al­l’attuazione di rapporti (inizio, prosecuzione, ces-
sazione del­l’attuazione, sostituzione di un soggetto al­l’altro nel­l’at­tua­
zione), né c’è ragione per vedere oggi nel­l’atto semplice una realtà più
complessa di quel­la che interveniva in quei tempi.   8

2.1.1.2. Che cosa l’atto muto è

Nel­l’opera di Rodolfo Sacco, gli «atti muti» costituiscono, dunque,


uno dei due termini di un’opposizione paradigmatica: atti parlati vs.
atti muti.
L’elaborazione del concetto di «atto muto» si articola attraverso
due passaggi.
Ripercorro i due passaggi del­l’argomentazione di Sacco che si
svol­ge nel contesto di una macrostoria del diritto.
Primo passaggio: Sacco riconosce esplicitamente il ruolo svolto
dal­la «parola» quale strumento essenziale per formulare e conformare
le relazioni giuridiche. Esempi: promessa, donazione, patto, società,
testamento.
Scrive Sacco:
Le culture del­l’uomo che ci è dato conoscere formulano e conformano
mediante lo strumento «parola» le relazioni giuridiche che convengo-
no agli interessati: l’impegno di dare una cosa in cambio di una cosa;
il trasferimento generoso del­la proprietà di un bene; il patto per cui
l’uno dei due non caccerà […] se non a monte, e l’altro non caccerà se
non a val­le; la costituzione di una società; il testamento.   9

8
Ibidem.
9
R. Sacco, Antropologia giuridica, 2007, 183.

46
3.
INTRODUZIONE
ALlA TEORIA
dell’INTERPRETAZIONE
di Riccardo Guastini

3.1. Ambiguità di ‘interpretazione’

Nel linguaggio giuridico il vocabolo ‘interpretazione’ soffre di una


molteplice ambiguità: è ambiguo sotto (almeno) quattro profili   1.

3.1.1. Prima ambiguità

Con il vocabolo ‘interpretazione’ ci si riferisce talvolta ad una attività,


talaltra al risultato, al­l’esito, o al prodotto di tale attività   2.
Ad esempio, in enunciati del tipo «La tale disposizione è ambigua
sicché richiede interpretazione», «Non c’è applicazione senza previa

1
Il discorso che segue è circoscritto agli usi linguistici correnti dei giuristi
europei contemporanei, dove il vocabolo ‘interpretazione’ (come i suoi equiva-
lenti in altre lingue), pure con le ambiguità di cui ora dirò, sempre riguarda l’at-
tribuzione di significato a testi normativi. Trascuro senz’altro l’uso (molto ampio
e, in verità, molto oscuro) di ‘interpretazione’ che si incontra in molta letteratura
(soprattutto) americana al confine tra filosofia giuridica e filosofia politica norma-
tiva. Cfr. ad es. M. Rosenfeld, Just interpretations. Law between ethics and politics,
Berkeley - Los Angeles 1998; R. Dworkin, Law’s empire, Cambridge (Mass.) 1986.
Si veda anche S.M. Griffin, Il costituzionalismo americano. Dal­la teoria al­la politica
[1996]; tr. it. Bologna 2003, cap. V.
2
Cfr. G. Tarel­lo, Orientamenti analitico-linguistici e teoria del­l’inter­pre­ta­zio­
ne giuridica, in U. Scarpel­li (a cura di), Diritto e analisi del linguaggio, Milano
1976.

61
Riccardo Guastini

interpretazione», etc., il vocabolo ‘interpretazione’ denota evidente-


mente un’attività (potrebbe essere sostituito con il sintagma ‘attività
interpretativa’). Per contro, in enunciati del tipo «Del­la tale disposi-
zione la Cassazione dà una interpretazione restrittiva», lo stesso voca-
bolo palesemente denota non un’attività, ma piuttosto il suo risultato
(nel caso: la «restrizione» del significato di una certa disposizione).

3.1.2. Seconda ambiguità

Con il vocabolo ‘interpretazione’ ci si riferisce talvolta al­l’attribuzione


di significato ad un testo normativo – «T» significa «S» – talaltra al­la
qualificazione giuridica di una fattispecie concreta – «X costituisce
omicidio» – qualificazione che dà poi fondamento al­la soluzione di
una specifica controversia.
Sebbene questa seconda cosa presupponga logicamente la prima,
e sebbene le due cose siano probabilmente indistinguibili nel processo
psicologico di interpretazione (specie se compiuto da un giudice, so-
prattutto un giudice di merito), si tratta di due attività intel­lettuali lo-
gicamente distinte   3. Un conto è interrogarsi sul senso di una sequenza
di parole; un altro conto è domandarsi se una particolare fattispecie
concreta ricada o no nel campo di applicazione di una data norma,
previamente identificata   4. Dobbiamo dunque distinguere tra:
a. l’interpretazione in abstracto (o text-oriented), che consiste nel­
l’identificare il contenuto di senso – cioè il contenuto normativo
(la norma o, più spesso, le norme) – espresso da, e/o logicamente

3
Cfr. R. Guastini, L’interpretazione dei documenti normativi, Milano 2004,
cap. VI; P. Chiassoni, Tecnica del­l’interpretazione giuridica, Bologna 2007, cap. II.
Si veda anche M. Troper, La notion de pouvoir judiciaire au début de la Révolution
française, in Présence du droit public et des droits de l’homme. Mélanges offerts à
Jacques Velu, Bruxel­les 1992.
4
Occorre forse chiarire che ogni norma presenta la forma logica di un con-
dizionale (diciamo: «Se F, al­lora G»), in cui l’antecedente si riferisce ad una classe
di fatti (cosiddetta «fattispecie astratta») e il conseguente ad una classe di conse-
guenze giuridiche (quali una sanzione, l’acquisizione di un diritto, la nascita di
un obbligo, la validità o l’invalidità di un atto, etc.). Il «campo di applicazione»
del­la norma altro non è che la classe dei fatti ai quali è imputabile quel tipo di
conseguenza giuridica. E naturalmente tale classe non può che essere configurata
mediante predicati, ossia appunto mediante termini che denotano classi.

62
Introduzione alla teoria dell’interpretazione

implicito in, un testo normativo (una fonte del diritto) senza riferi-
mento ad alcuna fattispecie concreta;
b. l’interpretazione in concreto (o fact-oriented), che consiste nel sus-
sumere una fattispecie concreta nel campo di applicazione di una
norma previamente identificata in abstracto.
L’interpretazione in abstracto è assimilabile al­la traduzione (intra­
lin­guistica), giacché consiste nel riformulare (rewording) il testo in-
terpretato   5. L’interpretazione in concreto altro non è, banalmente,
che la decisione intorno al­la estensione di un concetto (del concetto
mediante il quale l’autorità normativa ha configurato una classe di fat-
tispecie).
Ancora: l’interpretazione in abstracto consiste nel­l’interpretare
enunciati normativi completi   6. Mentre l’interpretazione in concreto
consiste nel­l’interpretare predicati in senso logico, ossia termini che
denotano classi. Nel­l’un caso, si identificano le norme in vigore; nel­
l’altro, si identificano i casi concreti che sono disciplinati da ciascuna
norma.
Ora, il diritto, come tra poco vedremo, è duplicemente indetermi­
nato.
Per un verso, è indeterminato il sistema giuridico, nel senso che –
a causa del­l’equivocità dei testi normativi – non si sa quali norme ap-
partengano ad esso o siano in vigore.
Per un altro verso, è indeterminata ogni singola norma vigente,
nel senso che – a causa del­la vaghezza dei predicati in ogni linguaggio
naturale – non si sa quali fattispecie ricadano nel suo campo di appli-
cazione
Ebbene, l’interpretazione in abstracto riduce l’indeterminatezza
del sistema giuridico in quanto tale, identificando le norme in vigore;
mentre l’interpretazione in concreto riduce l’indeterminatezza del­le

5
U. Eco, Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di traduzione, Milano 2003,
cap. X.
6
Occorre avvertire che l’«enunciato completo», fatto oggetto di interpreta­
zione in astratto, non necessariamente è una precisa disposizione del­le fonti
normative (il comma tale del­l’articolo tale del­la legge tale): può anche essere, e
frequentemente è, un frammento di disposizione, oppure il frutto del­la ricompo-
sizione, da parte del­l’interprete, di vari frammenti di disposizioni, talora disperse
in una pluralità di documenti normativi.

63
Riccardo Guastini

norme, identificando i casi concreti che sono disciplinati da ciascuna


norma.

3.1.3. Terza ambiguità

Con il vocabolo ‘interpretazione’ ci si riferisce talvolta ad un atto di


co­noscenza, talaltra ad un atto di decisione, altre volte ancora ad un
atto di creazione normativa   7. Dobbiamo dunque distinguere:
(i) l’interpretazione cognitiva, o interpretazione-accertamento, che
consiste nel­l’identificare i diversi possibili significati di un testo
normativo (sul­la base del­le regole del­la lingua, del­le diverse tecni-
che interpretative in uso, del­le tesi dogmatiche diffuse in dottrina,
etc.) senza sceglierne alcuno;
(ii) l’interpretazione decisoria, o interpretazione-decisione, che consi-
ste nel­lo scegliere un significato determinato nel­l’ambito dei signi-
ficati identificati (o identificabili) per mezzo del­l’interpretazione
cognitiva, scartando i rimanenti;
(iii) l’interpretazione creativa, o interpretazione-creazione, che consiste
nel­l’attribuire ad un testo un significato «nuovo», non compreso
tra quel­li identificabili in sede di interpretazione cognitiva.
Poniamo che una certa disposizione D sia ambigua, e possa dunque
essere intesa come esprimente la norma N1 o la norma N2. Ebbene:
a. l’interpretazione cognitiva si esprimerà mediante l’enunciato «D
può significare N1 o N2»;
b. l’interpretazione decisoria si esprimerà mediante l’enunciato «D
significa N1», oppure mediante l’enunciato «D significa N2»;
c. l’interpretazione creativa si esprimerà mediante un enunciato del
tipo «D significa N3» (non sfuggirà che, in ipotesi, la norma N3
non rientra tra i significati possibili del­la disposizione D, quali so-
no stati identificati in sede di interpretazione cognitiva).
L’interpretazione cognitiva è in tutto analoga al­la definizione
lessicale (ricognizione degli usi linguistici effettivi). L’interpretazio-

7
H. Kelsen, Dottrina pura del diritto [1960], Torino 1966, cap. VIII; Guasti-
ni, L’interpretazione dei documenti normativi cit., cap. VI. Si veda anche O. Pfers-
mann, La notion moderne de constitution, in L. Favoreu (éd.), Droit constitution-
nel, Paris, 20003, 113 ss.

64
Introduzione alla teoria dell’interpretazione

ne decisoria è analoga al­la ridefinizione (selezione di un significato


determinato nel­l’ambito degli usi effettivi). L’interpretazione creativa
è analoga al­la definizione stipulativa (introduzione di un significato
nuovo, inusuale)   8.
L’interpretazione cognitiva è un’operazione puramente scientifi-
ca, priva di qualunque effetto pratico, mentre l’interpretazione deci-
soria e l’interpretazione creativa sono operazioni ‘politiche’ (in senso
ampio), che possono essere compiute tanto da un giurista, quanto da
un organo del­l’applicazione. La sola differenza importante è che solo
l’interpretazione compiuta da un organo del­l’applicazione è «auten-
tica», nel senso kelseniano, ossia provvista di conseguenze giuridiche
(del­le quali è invece priva l’interpretazione offerta dai giuristi)    9.
Occorre tuttavia sottolineare che l’interpretazione creativa, così
come è stata qui definita, è fenomeno abbastanza raro. Nel­la maggior
parte dei casi, ciò che intuitivamente appare come una interpretazione
«creativa» consiste nel ricavare dal testo del­le norme inespresse (det-
te «implicite») con mezzi pseudo-logici, ossia mediante ragionamenti
non deduttivi, e pertanto non stringenti (ad esempio, mediante l’argo-
mento analogico). Tale operazione non è, strettamente parlando, un
atto di «interpretazione»: si tratta di un vero atto di creazione norma-
tiva, il cui nome appropriato è (forse) «costruzione giuridica». Il che
ci conduce al­la quarta ambiguità.

3.1.4. Quarta ambiguità

Con il vocabolo ‘interpretazione’ ci si riferisce talvolta al­l’attribuzione


di significato ad un testo, talaltra a ciò che, in mancanza di meglio,
chiameremo «costruzione giuridica»   10.
L’attività di costruzione giuridica include una vasta serie di opera-
zioni caratteristiche del­la dottrina (primariamente del­la dottrina, ma,

8
Cfr. R. Guastini, Interpretive statements, in E. Garzón Valdés et al. (eds.),
Normative systems in legal and moral theory. Festschrift for Carlos E. Alchourrón
and Eugenio Bulygin, Berlin 1997.
9
Kelsen, Dottrina pura del diritto cit., cap. VIII.
10
Cfr. in proposito G. Lazzaro, Storia e teoria del­la costruzione giuridica, Tori-
no 1965.

65
Riccardo Guastini

beninteso, anche del­la giurisprudenza), di cui sarebbe difficile stendere


un elenco completo. Si possono menzionare, a titolo di esempio: le con-
getture intorno al­la ratio di una norma o di un intero documento nor-
mativo; la creazione di gerarchie assiologiche tra norme; la elaborazione
di norme inespresse (che si pretendono implicite,) ivi inclusa la formu-
lazione di «principi generali»; la concretizzazione di principi espressi; il
bilanciamento tra principi confliggenti; e così via enumerando.
Tra queste molteplici operazioni la elaborazione di norme ine-
spresse riveste un ruolo speciale. Nel­la maggior parte dei casi, ciò che
abbiamo chiamato interpretazione creativa consiste precisamente in
questo: nel costruire – a partire da norme «esplicite», espressamente
formulate dal­le autorità normative – norme «inespresse» («implicite»,
ma in un senso molto ampio, non logico, di questa parola): norme,
insomma che nessuna autorità normativa ha mai formulato.
È espressa ogni norma che possa essere imputata ad una precisa
disposizione come suo significato. È inespressa ogni norma di cui non
si possa dire che costituisce il significato di una determinata disposi-
zione. Vi torneremo tra un momento.

3.2. La duplice indeterminatezza del diritto

Il diritto, si diceva sopra, è duplicemente indeterminato. L’indeter-


minatezza del diritto concerne: per un verso, il sistema giuridico in
quanto tale; per un altro verso, ciascuno dei suoi componenti, ossia
ciascuna norma   11.

3.2.1. L’equivocità dei testi normativi

In primo luogo, è indeterminato il sistema giuridico nel senso che – a


causa del­l’equivocità dei testi normativi – è dubbio quali norme ap-
partengano ad esso. Alcuni esempi caratteristici di controversie inter-
pretative possono chiarire il punto.
(a) Talvolta, un testo normativo è ambiguo: ci si domanda se esso
e­sprima la norma N1 o invece la norma N2.

11
Guastini, L’interpretazione dei documenti normativi cit., cap. V.

66
4.
ANALISI LINGUISTICA E TEORIA
DELl’INTERPRETAZIONE
GIURIDICA
Ancora sul­la sempiterna disputa
tra scettici e misti(ci)
di Pierluigi Chiassoni

4.0. Premessa

Un noto film di Costa Gavras, Z. L’orgia del potere, si apre con la sce­
na di una conferenza.
Il conferenziere, (presumibilmente) un professore di agronomia,
ricorda al­l’uditorio il pericolo rappresentato, per le colture viticole,
dal flagel­lo del­la peronospera.
In prima fila siede un generale, comandante del­la gendarmeria
nazionale el­lenica. Il generale chiede la parola. Gli preme infatti ram-
mentare al­l’uditorio la presenza di un altro flagel­lo, a suo avviso assai
più pericoloso del­la peronospera: un flagel­lo di natura politica, che
identifica con la minaccia comunista al­la (testuali parole) civiltà el­
leno-cristiana. Anche la teoria del­l’interpretazione giuridica soffre da
tempo, a mio avviso, di flagel­li dai quali è opportuno sbarazzarsi.
In questo lavoro, mi propongo pertanto due obiettivi.
Il primo obiettivo consiste nel­l’identificare, in generale, alcuni dei
difetti che, a mio avviso, viziano, o possono viziare, quei discorsi che
siamo soliti chiamare «teorie del­l’interpretazione (giuridica)». A tale
fine, richiamerò l’attenzione su alcune distinzioni meta-teoriche, di
cui, a mio avviso, si dovrebbe tenere conto: sia quando si elaborano
«teorie del­l’interpretazione»; sia quando si analizzano «teorie del­l’in­
terpretazione altrui»; sia, infine, quando si formulano argomenti per
difendere o confutare «teorie del­l’interpretazione».
Il secondo obiettivo è sperimentale: consiste nel­l’utilizzare un ta-
le apparato di nozioni e distinzioni meta-teoriche per analizzare una

75
Pierluigi Chiassoni

particolare teoria del­l’interpretazione giuridica: la teoria analitica di


Eugenio Bulygin.
Poiché si tratta di una teoria mista (nel senso che preciserò tra
breve), che appare sotto più aspetti difettosa, questo mio contributo
può anche essere inteso, come suggerisce il titolo, come un’ulteriore
pagina nel­l’annosa disputa tra scettici e misti(ci). La teoria di Bulygin
costituisce, in particolare, un esempio paradigmatico di quasi-cogniti-
vismo semantico, e si contrappone, in quanto tale, a ciò che potrebbe
chiamarsi non-cognitivismo pragmatico.

4.1. Alcuni strumenti meta-teorici

«I giuristi ancora cercano una teoria del­l’interpretazione». Per mimesi


kantiana, verrebbe da dire così osservando il fiume d’inchiostro super
interpretationem che percorre il pensiero giuridico contemporaneo.
Tra i fattori che si possono menzionare per spiegare la persistenza
del «problema del­l’interpretazione» nel­la cultura giuridica vi è, in-
dubbiamente, il costante modificarsi del­la condizione umana: l’inces-
sante mutare del­le esigenze materiali, del­le strutture concettuali, dei
valori e del­le ideologie. Di modo che il complesso fenomeno culturale
del­l’interpretazione giuridica appare uno schermo opaco, sul quale
viene proiettata una pluralità di immagini diverse, talvolta scarsa-
mente somiglianti, secondo i tempi e le prospettive di volta in volta
adottate.
Questa prima spiegazione vale peraltro, com’è ovvio, per qualsiasi
fenomeno culturale. Vi sono tuttavia alcuni fattori esplicativi che at-
tengono in modo più specifico al­l’interpretazione giuridica.
Tra questi, un ruolo primario va ascritto a due confusioni d’ordi-
ne concettuale – a due omissioni in distinguendo –, che riflettono un
deficit di consapevolezza metodologica nei cultori del­l’interpretazione
giuridica.
La prima confusione consiste nel non distinguere – o non distin-
guere con la necessaria accuratezza – tra discorsi in funzione descritti-
va (descrizione, esplicazione, teoria) e discorsi in funzione prescrittiva
(prescrizione, dottrina, ideologia): tra discorsi sul­l’interpretazione
giuridica quale essa, di fatto, è in una o più esperienze giuridiche de­

76
Analisi linguistica e teoria dell’interpretazione giuridica

ter­mi­nate, e discorsi sul­l’interpretazione giuridica quale essa deve es-


sere, in generale o in particolari esperienze.
La distinzione tra teorie (strettamente intese) e ideologie è stata
fatta oggetto, in tempi recenti, di critiche volte a metterne in luce l’in-
fondatezza, l’inutilità, l’esizialità. Si tratta però di critiche che possono
essere disattese. Basti qui questa considerazione. Chi coerentemente –
e sottolineo: coerentemente – faccia a meno del­la distinzione tra fatti
e valori, pur con tutti i limiti e le cautele che nel tracciarla devono
essere prese, si trova a – e sceglie di – vivere in un mondo nel quale la
realtà si confonde con il desiderio, le immagini dettate dal­le passioni
sostituiscono i dati di esperienza, vi si sovrappongono, li intorbidano,
li indeboliscono (viene da pensare ai mol­li, esausti, orologi di Salva-
dor Dalì): è un mondo di false luci, di suggestioni alimentate da pa-
role suadenti, di cose che sfumano misteriosamente l’una nel­l’altra;
un mondo che disprezza la ragione e la scienza, e considera il rigore
intel­lettuale un orpel­lo fuori moda.
La seconda confusione attiene in modo specifico al­le teorie (de-
scrittive) del­l’interpretazione giuridica e consiste, in particolare, in
una confusione di prospettive. Nel dare conto del fenomeno interpre-
tazione giuridica – vuoi per esplicare la natura del­l’attività interpreta-
tiva, vuoi per il­lustrarne la struttura, vuoi per esporne gli strumenti – i
teo­rici tendono sovente a confondere – a non distinguere con la ne-
cessaria accuratezza – (non meno di) tre diverse dimensioni del feno-
meno interpretativo e, corrispondentemente, tre diverse prospettive
dal­le quale si può «fare teoria» del­l’interpretazione.
1. Un prima prospettiva è la prospettiva cognitiva del­la psicologia del­
l’interpretazione. Da questo punto di vista, l’interpretazione è inda-
gata in quanto processo intel­lettuale in mente interpretis, al fine di
descriverla mediante model­li rappresentativi psicologici costruiti
sul­l’introspezione e su congetture comportamentistiche a partire
dai discorsi interpretativi.
2. Una seconda prospettiva è la prospettiva del­la metodologia del­l’in­
terpretazione. Da questo punto di vista, l’interpretazione è indaga-
ta in quanto discorso giustificatorio formulato in documenti quali
le sentenze giudiziali, le opere dottrinali, le comparse e le arringhe
degli avvocati. L’interpretazione giuridica, da un punto di vista
metodologico, consiste pertanto in stringhe di enunciati che com-
pongono ragionamenti interpretativi, dei quali si tratta d’indagare,

77
Pierluigi Chiassoni

porre in luce e, se del caso, ricostruire mediante forme e concetti


perspicui, gli strumenti (schemi discorsivi, argomenti, metodi, tec-
niche, canoni, direttive) e la struttura logica.
3. Una terza prospettiva, infine, è la prospettiva sociologica del­
la teoria del­l’azione sociale. Da questo punto di vista, l’interpre-
tazione giuridica è indagata in quanto attività – psicologica e/o
discorsiva-giustificatoria – socialmente condizionata: soggetta a
vincoli, o con­dizionamenti, provenienti dai modi di pensare e dal­
le ideologie diffuse tra gli operatori del diritto e/o i consociati at
large.
Per effetto del­la confusione tra le tre prospettive sopra menzio-
nate (che potrebbe denominarsi sincretismo prospettico o di prospet-
tive), le teorie del­l’interpretazione sono sovente discorsi ibridi, nei
quali considerazioni psicologiche, metodologiche, e socio-culturali
si mescolano inavvertitamente e casualmente tra loro, a scapito del
rigore del­le analisi e del­la fondatezza, e control­labilità, del­le conclu-
sioni.
Al­le confusioni appena richiamate si possono aggiungere altri di-
fetti, tra cui il seguente. Non di rado i teorici del­l’interpretazione giu-
ridica, nel­l’accostarsi al – e dare conto del – fenomeno, utilizzano pro-
spettive e strumenti mutuati da altri campi del sapere: ad esempio, da
un qualche indirizzo nel­la filosofia del linguaggio, nel­l’epistemologia,
nel­la metafisica, nel­la teoria del­la critica letteraria, nel­la linguistica,
etc. Un tale modo di procedere – fecondo e commendevole – può
tuttavia dare luogo a due inconvenienti, segnalati a suo tempo da Nor-
berto Bobbio con riguardo al­la filosofia del diritto italiana del primo
novecento: la trasposizione estrinseca e l’abuso del metodo concettua-
le   1. Accade, in altre parole, questo: l’interpretazione giuridica viene
adagiata su letti di Procuste fabbricati in altri campi del sapere, per
altri fenomeni, ed acriticamente introdotti tra l’armamentario del teo­
rico del diritto.
In conclusione: la persistenza del «problema del­l’interpretazione»
nel­la cultura giuridica occidentale dipende, in buona misura, dal co-
spirare di non meno di quattro principali fattori (uno fisiologico, e tre
patologici):

1
N. Bobbio, Giusnaturalismo e positivismo giuridico, Milano, Comunità, 1965,
parte I.

78
Analisi linguistica e teoria dell’interpretazione giuridica

a. la fluidità del­la condizione umana;


b. la confusione, nei discorsi sul­l’interpretazione, tra teorie (stretta-
mente intese) e ideologie;
c. la confusione, nel­le teorie del­l’interpretazione, tra prospettiva psi-
cologica, prospettiva metodologica, e prospettiva socioculturale;
d. il riduzionismo teorico.
Di questi fattori, gli ultimi tre favoriscono il prodursi di dispute
tendenzialmente perpetue, tra esperti ostinati nel difendere e contrap-
porre tesi eterogenee, e magari del tutto conciliabili, percepite però,
ad un tempo, come omogenee – attinenti al­lo stesso oggetto e al­lo
stesso, preciso, problema – e inconciliabili.

4.2. La teoria «mista» di Eugenio Bulygin, in poche parole

La teoria del­l’interpretazione di Eugenio Bulygin – quale può ricavarsi


da alcuni passi de Il positivismo giuridico, dal paragrafo centrale di As-
serti normativi veri o falsi e, soprattutto, da altri lavori che menzionerò
in seguito, alcuni dei quali scritti con Carlos E. Alchourrón – costitui-
sce, a mio avviso, un esempio istruttivo di teoria difettosa: sia sotto il
profilo del­la confusione tra le prospettive psicologica, metodologica,
e socioculturale (sincretismo prospettico); sia per la trasposizione ri-
duzionistica di modi di pensare elaborati in campi diversi dal diritto
(riduzionismo teorico).
Per suffragare queste conclusioni, offrirò una breve, ma (spero)
circostanziata, esposizione del­la teoria del­l’interpretazione di Bulygin.
Una teoria, come si vedrà tra poco, assai suggestiva, condivisa nel­le
sue linee portanti da avveduti teorici del diritto   2, che avanza pretese di
correttezza la cui infondatezza è, prima facie, tutt’altro che evidente.
La teoria del­l’interpretazione giuridica di Bulygin è un discorso
descrittivo (non, apparentemente, un’ideologia), tra i cui obiettivi
primari vi è quel­lo di fornire una risposta al problema del­la natura
del­l’attività interpretativa.

2
Tra cui, ad esempio: Herbert Hart, Genaro R. Carrió, José Juan Moreso, e
Andrei Marmor.

79
5.
I GIUDICI E IL LINGUAGGIO
di Mario Garavel­li

Il giurista americano Roscoe Pound scrisse nel 1910 un saggio intito-


lato Law in book and law in action   1, distinguendo il diritto concepito
nel­le sistemazioni teoriche degli studiosi da quel­lo che si attua nel­la
vi­ta di tutti i giorni. Qui vorremmo parlare dei nessi tra il linguaggio e
uno dei più tipici diritti in action, quel­lo che nasce dal­le decisioni dei
giudici, e che la Corte Costituzionale ha anch’essa a sua volta definito
il «diritto vivente».
Non ho bisogno di sottolineare due aspetti preliminari di questo
discorso: il primo è che è ormai non si parla più del giudice come
bouche de la loi, come semplice traduttore in pratica dei dettami di
norme in sé precise ed esaurienti, ma si riconosce la funzione creativa
del­l’attività giurisprudenziale (Lord Denning diceva: «La verità è che
il diritto è incerto. Nessuno può dire quale sia il diritto finché le Corti
non lo definiscono. I giudici producono diritto ogni giorno, sebbene
ammetterlo sia quasi un’eresia»). Il secondo aspetto, che accomuna
in un certo senso i magistrati ai linguisti, è che anche i magistrati la-
vorano sul­la lingua, costituente la materia prima di cui essi fanno un
uso costante; i mattoni del­le loro costruzioni non sono che parole,
prima le parole che essi leggono negli atti di causa e nei testi legisla-
tivi, poi le parole con le quali danno conto del­le loro decisioni nel­le
tre tipologie (sentenze, ordinanze, decreti) previste dai codici di pro-

1
R. Pound, Law in book and law in action, American Law Review (1910), 10.

97
Mario Garavelli

cedura. I «discorsi dei giuristi» che Tarel­lo, in un saggio del 1974   2,


riferiva soltanto al­la dottrina possono essere estesi a tutta la corpo-
razione, includendovi la magistratura, che produce i propri discorsi
nel­le motivazioni dei suoi provvedimenti, quel­le motivazioni che la
stessa Costituzione, al­l’art. 111, dichiara obbligatorie riconoscendone
l’essenziale importanza nel­l’esercizio del­la funzione, in un contesto di
democrazia dove ogni autorità pubblica dovrebbe giustificare le sue
scelte di fronte ai cittadini. E non vanno dimenticati gli avvocati, che
nel diritto in azione hanno così tanta parte, e la cui forza sta sia nel­la
parola scritta che in quel­la pronunciata oralmente. Da tutto questo
dovrebbero nascere una costante curiosità dei giuristi nei confronti di
chi si occupa professionalmente del­la lingua e un’al­leanza tra questi
due tipi di intel­lettuali per un costante miglioramento degli strumenti
argomentativi utilizzati dai primi; la scarsa sensibilità di costoro al ri-
guardo (con significative eccezioni) denota uno degli aspetti del­la crisi
attuale del­la giustizia, che è certo dovuta a molteplici cause ma che è
dovuta anche a una certa sordità culturale dei suoi protagonisti.
Quando si dice che i magistrati basano il loro lavoro su testi
linguistici si pensa comunemente al­l’interpretazione dei dettati nor-
mativi, come se questo fosse l’unico campo di indagine che attiene
al tema di cui trattiamo. Questo campo è ben più ampio, perché la
tecnica giurisprudenziale deve sempre necessariamente partire dal­la
ricostruzione del fatto, la quale è basata sul­le prove. Come tutti sanno,
quel­li che i codici di procedura sia civile che penale (art. 202 e titolo
secondo del libro III rispettivamente) chiamano «mezzi di prova» so-
no molteplici, ma i più comuni sono le testimonianze, i documenti, le
perizie: ebbene, gran parte del­le fatiche di chi si occupa dei processi,
sia penali che civili, sta proprio nel comprendere appieno il signifi-
cato dei segni linguistici nei quali si traducono quel­le fonti probato-
rie, attraverso i quali è possibile l’accertamento di quanto è avvenuto
con la maggior chiarezza possibile. È ovvio quindi che già qui sono
impegnate pienamente le competenze linguistiche dei giuristi pratici
(lo stesso discorso infatti coinvolge gli avvocati); e può darsi il caso
che la limitatezza di queste competenze renda necessario l’interven-

2
G. Tarel­lo, Linguaggio descrittivo e linguaggio precettivo nei discorsi dei
giuristi, riprodotto nel vol. a cura di U. Scarpel­li e P. Di Lucia, Il linguaggio del
diritto, Milano, Led, 1994, 349.

98
I giudici e il linguaggio

to degli specialisti del­la lingua. Ricordo che un amico dialettologo, il


prof. Corrado Grassi, eseguì una perizia su intercettazioni telefoniche
relative a sospetti criminali, e riuscì a individuare la provenienza de-
gli interlocutori attraverso le particolarità fonetiche dei loro discorsi.
In una dimensione civilistica, ricordo anche una perizia affidata a tre
esperti di lingua in occasione di una causa tra due famose riviste di
enigmistica, una del­le quali accusava l’altra di aver copiato gli schemi
e i procedimenti di alcuni giochi di grande diffusione. Ecco dunque
un campo dove l’al­leanza tra giuristi e linguisti può essere preziosa.
Solo dopo aver eseguito, con gli strumenti di analisi prima accen-
nati, un’accettabile ricostruzione degli avvenimenti oggetto del giudi-
zio l’attenzione del giurista si rivolge al­la norma che appare applicabi-
le al­la fattispecie sottoposta al suo esame, e naturalmente anche qui gli
aspetti linguistici appaiono preponderanti; basta ricordare la fonda-
mentale regola contenuta nel­l’art. 12, primo comma, del codice civile:
«Nel­l’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che
quel­lo fatto palese dal significato proprio del­le parole secondo la con-
nessione di esse e dal­la intenzione del legislatore». Questo è il campo
nel quale quel­lo che Luigi Lombardi chiamava il diritto giurispruden-
ziale   3 trova le più ampie possibilità di azione e dove le competenze
linguistiche degli interpreti possono esercitarsi con grande libertà.
Il legislatore infatti usa ampiamente, come è logico, termini ap-
partenenti sia al linguaggio naturale che a quel­lo strettamente giuri­
dico, sui cui rapporti ha detto cose acutissime Giovanni Tarel­lo   4.
An­drea Belvedere, in un saggio del 1987   5, parla di «termini fattuali
e termini normativi» contenuti nel codice civile, elencando, tra i pri-
mi, «per­sona», «parentela», «morte», «gravidanza», «albero», «erba»,
ecc., e tra i secondi «contratto», «obbligazione», «debitore», ecc.

3
L. Lombardi Val­lauri, Saggio sul diritto giurisprudenziale, Milano, Giuffrè,
1967.
4
Si veda in particolare G. Tarel­lo, L’interpretazione del­la legge, in Trat­tato
di diritto civile e commerciale, dir. da A. Cicu, F. Messineo e L. Mengoni, Milano,
Giuffrè, 1980, passim.
5
A. Belvedere, Il linguaggio del codice civile: alcune osservazioni, riprodotto
nel vol. a cura di Scarpel­li e Di Lucia, Il linguaggio del diritto cit., 415.

99
6.
CONDIZIONI DI ETEROGENEITÀ
DISCORSIVA NEL DIALOGATO
DI PROCEDIMENTI PENALI
di Bice Mortara Garavel­li

6.0. Generalità

Varie manifestazioni del «parlato in tribunale» sono state oggetto di


studi in anni recenti   1. Basti qui ricordare il lavoro imponente com-
piuto in questo campo da Patrizia Bel­lucci, documentato da vari saggi
e da interessanti materiali di lavoro, e culminato nel fondamentale
Bel­lucci (2002) (che si raccomanda anche per la ricca bibliografia).
Segnalo inoltre l’accurato articolo di Galatolo (2002) centrato sul­l’in­
terrogatorio.
Le mie osservazioni verteranno sul carattere composito di dialoghi
in cui si possono trovare elementi ascrivibili a diverse varietà lingui-
stiche   2 distribuiti in proporzioni disuguali nel parlato dei dialoganti.
I tratti linguistici di per sé non basterebbero a distinguere in misura
caratterizzante rispetto ad altri generi di parlato testi come quel­li che
costituiscono il nostro corpus di riferimento. È la maggiore rigidità dei
vincoli imposti dal­l’esterno la principale responsabile dei tratti tipolo-
gicamente pertinenti. Ne dipende in parte cospicua la strutturazione
linguistico-testuale dei discorsi.

1
Riprendo in questo contributo una parte del­le analisi e del­le osservazioni
contenute in un mio precedente articolo (Mortara Garavel­li 2005).
2
Mi riferisco al­le varietà diafasiche, diastratiche, diatopiche (per le quali ba-
sta rinviare qui a Berruto 1993 e 1998), e al­le varietà di apprendimento (cfr. Ber­
ru­to 2001) che costituiscono l’italiano di stranieri attestato in buona misura negli
atti processuali.

103
Bice Mortara Garavelli

Il corpus a cui appartiene l’esemplificazione qui prodotta (fram-


menti minimi rispetto al­l’insieme) comprende registrazioni di esami
di testimoni e di interrogatori di imputati in due udienze di processi
svolti presso il Tribunale di Torino   3. I vari tipi di interazione si distin-
guono fondamentalmente per «il sistema di avvicendamento di turni e
le restrizioni in atto al­l’interno di uno schema sequenziale domanda-
risposta» (Caffi 2001, 172)   4. Il tipo di comunicazione asimmetrica di
cui mi sto occupando è quel­lo regolato nel modo più rigido: se non
erro, è l’unico esempio di interazione le cui procedure siano stabilite
istituzionalmente, e giuridicamente, fino a prevedere, per l’inosser-
vanza di alcuni passaggi obbligati, l’invalidità del procedimento di
cui l’interazione stessa è parte costitutiva. Mi riferisco al­la normativa
contenuta negli articoli 465-548 del codice di procedura penale, che
compongono il libro VII, sotto il titolo generale Giudizio.

3
Date del­le udienze: il 10 e il 19 febbraio 2003. Sigle rispettive nel­le citazioni
di esempi: C.; Ag., precedute ciascuna dal numero d’ordine dei nastri che con-
tengono le registrazioni, e seguite dal numero dei turni. Le registrazioni su nastro
occupano la prima un’ora e mezzo; la seconda tre ore. Le trascrizioni definitive
dei passi riportati negli esempi sono opera di Ida Tucci, specialista di notazione
prosodica presso il Laboratorio Linguistico LABLITA, al­la scuola di Emanuela
Cresti, nel­l’Università di Firenze. Riproduco integralmente le spiegazioni del­le
convenzioni seguite. «Segni di scansione prosodica del continuum fonico: // In-
terruzione prosodica [d’ora in poi, IP] terminale (fine enunciato); ? IP terminale
interrogativa (fine enunciato); ! IP terminale esclamativa (fine enunciato); … IP
di enunciato intenzionalmente lasciato sospeso (fine enunciato); + IP terminale di
enunciato interrotto; / IP non terminale; [?] IP connessa ad una esitazione; [/]
[//] [///] IP connessa a una falsa partenza; ‘ Indice applicato sul­la destra del­le
unità prosodiche che appartengono a un discorso riportato (es. /’ //’ ecc.). Altri
segni: # Pausa; xxx Parola o parole non comprese; <parola parola> Parentesi che
delimitano le parti di un turno sovrapposte; [<] Segno che indica la relazione di
sovrapposizione tra due stringhe sovrapposte; & Segno che etichetta una serie di
caratteri che realizzano un frammento di parola».
4
Ho tenuto presenti, pur senza rimandarvi esplicitamente nel­le singole oc-
casioni, le strategie del­la mitigazione descritte nel­l’ampio e denso lavoro di Caffi
(2001), dedicato al­la comunicazione in contesti terapeutici; ove una parte con-
sistente sia del­le indicazioni di metodo sia dei principi che la studiosa pone a
fondamento del­le sue analisi è esportabile in ambiti diversi del­le indagini conver-
sazionali.

104
Eterogeneità discorsiva nel dialogato di procedimenti penali

6.1. La normazione del­le procedure


e dei turni del discorso

Nel­l’organizzazione del dialogato negli esami testimoniali e negli in-


terrogatori degli imputati la «relazione diretta fra status e ruolo da un
lato e diritti e doveri discorsivi dal­l’altro»   5 determina senza deroghe
le modalità del succedersi dei turni. È ciò che distingue nel modo più
immediatamente percepibile questo tipo di parlato dal­la conversazio-
ne ordinaria.
Nel­la pratica giudiziaria le infrazioni al­le regole procedurali sono
immediatamente rilevate e censurate o dal presidente, che dirige il di-
battimento, o dai rappresentanti del­la pubblica accusa e del­la difesa
(ad es., con i rituali «Mi oppongo»; «Opposizione» e simili, o con
altre meno sintetiche proteste formali). È un intrecciarsi di restrizioni
che agiscono in più direzioni; e sono le principali responsabili nel­
l’assegnare le prese di parola e nel model­lare i turni. Ne sono for-
temente caratterizzati i dialoghi che hanno luogo negli esami e nei
controesami di testi e di imputati.
Negli articoli 465-548 del codice di procedura penale, oltre al­le
prescrizioni riguardanti le fasi e la conduzione del dibattimento, gli
atti relativi, eccetera, troviamo:
a. La precisa determinazione di chi è ammesso a fare domande ai
testimoni nel corso del­l’esame diretto e del controesame e l’ordi-
ne  – rigido – di successione degli interventi da parte dei diversi
in­terroganti (artt. 498 e 506 c.p.p.).
b. Le condizioni di liceità del­le domande. Queste devono vertere «su
fatti specifici» (donde, nel­le fasi processuali, gli abbastanza fre-
quenti richiami ai testimoni o al­le parti: «Si attenga ai fatti» / «Non
esprima opinioni»); non devono essere tali da pregiudicare la «sin-
cerità del­le risposte» o tendere «a suggerire le risposte» (commi
1-3 del­l’art. 499 c.p.p. intitolato Regole per l’esame testimoniale).
c. Un vero e proprio codice di comportamento del­le parti, espresso
nel­l’elenco del­le garanzie che il presidente deve tutelare: curare
«che l’esame del testimone sia condotto senza ledere il rispetto del­
la persona»; «assicurare la pertinenza del­le domande, la genuinità

5
Cito da Drew - Heritage (1992, 48-49), servendomi del­la traduzione di Caf-
fi (2001, 173).

105
Bice Mortara Garavelli

del­le risposte, la lealtà del­l’esame e la correttezza del­le contestazio-


ni» (art. 499.4-6 c.p.p.); impedire «ogni divagazione, ripetizione e
interruzione» come recitano gli articoli riguardanti, il 493.4, le «ri-
chieste di prova» e il 523.3 la discussione finale del dibattimento    6.
Si veda, nel seguente esempio (1), l’intervento moderatore del
pre­sidente in seguito al­le proteste di un teste per l’aggressività con cui
il difensore di un imputato fa il controesame:
(1)
1C. 508 TESTE A.: [<] <cioè / se mi deve chiedere determinate
cose come sono andate / io gliele dico / se> lei
mi deve aggredire / io non riesco a <dirle più
niente> //
509 DIF. V.: <io non aggredisco> nessuno / faccio del­le
domande // poi se non vuole rispondere / <è
un suo diritto> //
510 PRES.: [<] <le faccia> un pochino più con + non so
come <dire> // […]
517 PRES.: semplicemente / con un [/] co’ un po’ / meno
aggressività / ecco // che è un teste / mi pare
/ abbastanza chiaro // perché noi / testi / qua
/ ne abbiamo a bizzeffe // e ce n’è di quel­li
che han fatto  / non dico in questo processo
/ ma in tutti i processi / che han fatto vera-
mente pena / a cavargli le parole + questo è /
insomma è un teste che cerca di [/] di [/] di /
mi pare / di esprimersi abbastanza bene // per
cui / non ha bisogno <di essere> +
In nessun altro genere dialogico la successione dei turni è altrettan-
to rigidamente prestabilita. Questa condizione pragmatica vincola in
modo predeterminante l’organizzazione testuale (sintattica e retorica)
del discorso. Ad esempio, vietando che si divaghi, che si ripetano
enunciazioni di fatti già formulate e argomenti già addotti, che si in-

6
Sui contenuti e sul­l’organizzazione argomentativa del dibattito verte la pre-
cisazione del­le competenze del presidente (art. 506.1 c.p.p.); nel­le regole per la
discussione finale sancite nel­l’art. 523 è ribadita la fissità del­l’ordine sequenziale
nel­le fasi del dibattimento.

106
Eterogeneità discorsiva nel dialogato di procedimenti penali

terrompano gli altri partecipanti, si agisce sul­le strutture retoriche del


discorso e si cerca di contenerlo entro limiti che sarebbero impensa-
bili per i prodotti di interazioni spontanee. Se qualcosa di analogo si
può osservare per dibattiti guidati in altre sedi   7, permane tuttavia una
differenza sostanziale, di carattere giuridico-normativo: le limitazioni
al­la lunghezza, ai modi di argomentare eccetera non si possono avva-
lere, in nessun altro caso e ambiente, del­l’autorità legale che compete
a chi presiede un col­legio giudicante.

6.2. Aspetti pragmatici:


gli atti di «control­lo del discorso»

Dal condizionamento dei diritti e doveri discorsivi dovuto al­la diffor-


mità dei ruoli rivestiti dai partecipanti al­l’interazione nascono gli atti
di «control­lo del discorso» descritti da Thomas (1989). Ne vedremo
esempi ascrivibili al­le categorie: (1) degli indicatori discorsivi [discour-
sal indicators]; (2) dei commenti metadiscorsivi [metadiscoursal com-
ments]; (3) dei control­lori interazionali [interactional control­lers].

6.2.1. Agli indicatori discorsivi (o «discorsuali»), con cui il parlante


dominante intende stabilire lo scopo e la natura del discorso, defi-
nire gli argomenti del­la comunicazione e la pertinenza del modo in
cui vengono trattati, possiamo ascrivere le espressioni con le quali chi
interroga fissa preliminarmente le modalità del­la risposta attesa:
(2)
1C. 29 P.M.: ecco // mi vuol raccontare bene / in maniera
completa / com’è che è nata l’idea / di acqui-
stare questo appartamento / e che cosa è suc-
cesso in seguito?

7
Diversi tipi e situazioni di dialogo sono analizzati in Bazzanel­la (a cura di)
2002. Segnalo per analogie con argomenti del presente mio contributo, i saggi di
Galatolo, di Eerdmans e Walsh, di Bazzanel­la; di quest’ultima in particolare la
trattazione dei tratti prototipici del dialogo. Si veda inoltre Scarano (a cura di)
2003.

107
7.
IL PRINCIPIO DEL­l’ECONOMIA
NEL­lA LINGUA GIURIDICA
Gli avverbi in -mente
di Giovanni Rovere

7.1. – Il titolo scelto impone alcune osservazioni di ordine terminolo-


gico e metodologico. Infatti, anche a trascurare la complicazione les-
sicale e sintattica non funzionale a esigenze denotative, descritta come
tratto ricorrente nel linguaggio giuridico (cfr. soprattutto Mortara
Garavel­li 2001, 2003, 2006), è palese che l’articolazione linguistica di
molti testi giuridici si contrappone diametralmente per complessità
al­lo stile telegrafico dei piccoli annunci economici o dei messaggini
cel­lulari, gli esempi prototipici di economia linguistica.
Il model­lo di economia linguistica più noto è quel­lo sviluppato, in
prospettiva diacronica, da Martinet (1955), con particolare riguardo
al­la fonologia. Altri model­li si trovano in studi linguistici che, seppur
dissimili tra loro quanto ad impostazione e obiettivi, permettono di
identificare nel­l’impegno, nel risultato e nel­l’ambito di applicazione i
parametri rilevanti per un inquadramento del fenomeno (cfr. Roelcke
2007, 10)   1. Tali studi hanno in comune il fatto di interpretare l’econo-
mia non nel senso, evocato di frequente nel­le trattazioni del­la doppia
articolazione, d’impiego di mezzi linguistici minimo, diretto a ottenere
il rendimento denotativo massimo   2, bensì come principio del minimo

1
Cfr. ad esempio gli studi di Wilder et al. (1996), Prince e Smolensky (1997),
Chomsky (1998).
2
Affermazioni analoghe si trovano anche in ambito cognitivista, si veda ad
es. «Human cognitive processes […] are geared to achieving the greatest possi-
ble cognitive effect for the smal­lest possible processing effort» (Sperber - Wilson
1986, VII); si veda anche Wilder et al. (1996, 31n.).

119
Giovanni Rovere

sforzo. Secondo tale concezione «l’homme ne se dépense que dans


la mesure où il peut ainsi atteindre aux buts qu’ils s’est fixés [l’uomo
consuma energia solo nei limiti necessari a raggiungere i fini che si è
proposto]» (Martinet 1980, 176 s.). Pertanto, in luogo del­la variabilità
simultanea dei due parametri, l’impegno e il risultato, uno dei due,
generalmente il risultato, è tenuto costante; l’economia è al­lora conce-
pita come minimizzazione del­l’impegno.
Il concetto di economia occupa nel­le definizioni di lingua speciale
una posizione secondaria. Quale proprietà principale figura la preci-
sione, intesa come il riferimento più appropriato possibile di tecnici-
smi a fatti, eventi e processi del­l’ambito settoriale in questione. Nel­la
tradizionale concezione del lessico tecnico la funzione del­la definizio-
ne terminologica consiste, in effetti, nel determinare il significato di
un tecnicismo in modo da renderlo univoco, a prescindere da ogni sua
attualizzazione. Se si estende l’attenzione dal livel­lo sistemico, in cui la
lingua speciale è considerata in primo luogo come inventario di tecni-
cismi, al livel­lo testuale in cui essa si manifesta in funzione dei fini del
discorso, la precisione risulta prioritariamente una proprietà del­l’uso
in contesti tecnici. In tal modo il contrasto tra la postulata univocità
dei tecnicismi e la loro frequente polisemia si risolve considerando la
monosemia il risultato di una determinazione contestuale   3. La mar-
ginalità del­l’economia nel­le descrizioni dei tratti prospettati come
tipici del­le lingue speciali si spiega con il diffuso assunto secondo cui
l’esigenza di precisione terminologica, generando una continua espan-
sione quantitativa del lessico tecnico, prevarrebbe necessariamente
sul principio del­l’economia. Rispunta in tal modo la concezione del­
l’economia linguistica che considera la minimizzazione del­l’impegno
e la massimizzazione del risultato come processi simultanei. In realtà,
in quanto succintamente esposto a proposito del­la precisione si rico-
noscono due manifestazioni fondamentali del principio di economia:
la polisemia che contribuisce a moderare l’aumento di significanti,
e la lessicalizzazione terminologica. La sostituzione di perifrasi, de-
scrizioni e spiegazioni con tecnicismi definiti, rappresenta, infatti, la

3
Così, per fare un rapido esempio, la discriminazione tra le accezioni di escu-
tere ‘interrogare (un testimone) in un processo’ e ‘avviare un’azione legale contro
un debitore’ dipende dal­l’individuazione dei diversi quadri argomentali del verbo
che si manifestano nei rispettivi contesti d’uso.

120
Il principio dell’economia nella lingua giuridica

forma più economica di denotazione tecnica. Un ulteriore grado di


condensazione è possibile ricorrendo ai vari tipi di accorciamento del
tecnicismo, secondo le modalità previste dal­le singole lingue speciali,
a condizione, pur tuttavia, che fra base e forma accorciata sussista un
rapporto di sinonimia (Mayer - Rovere 2007, 213).
L’ambito di applicazione del­l’economia linguistica è nel­le osserva­
zioni seguenti il lessico studiato in chiave sistemica e sincronica. L’at-
tenzione per il livel­lo sistemico significa che la dimensione testuale
è tenuta in considerazione innanzitutto per osservazioni sul profilo
combinatorio dei lessemi sotto esame e per ricerche sul­l’equivalenza
al­l’interno di serie di potenziali alternative lessicali. I procedimenti
di condensazione sintattica operanti nel discorso e le figure retoriche
con funzioni stilistiche passano invece in secondo piano   4. Né assume
rilievo immediato quanto in nomografia è considerato come principio
economico (si veda ad es. Schäffer 1987, 120). Il postulato secondo
cui tutto ciò che viene formulato in un testo di legge deve avere un
contenuto normativo, si traduce, di conseguenza, principalmente in
strategie di natura testuale, riassumibili in termini di concisione e bre-
vità. Un’eccezione è data dal­la formazione di parole astratte, funzio-
nale al­la necessità di riferirsi in modo intensionale (e non referenziale)
agli oggetti da sottoporre a normazione.
Fenomeni come l’accorciamento richiedono, d’altra parte, almeno
un accenno al­le dimensioni pragmatica e cognitiva. In una prospetti-
va comunicativa, l’economia linguistica va considerata come concetto
relazionale il cui secondo termine è rappresentato dagli interlocutori
coinvolti nel­l’atto comunicativo, sia sul versante del­la produzione e
del suo control­lo, sia su quel­lo dei processi di ricezione e d’interpreta-
zione. In testi tecnici destinati a interlocutori esperti, l’economia è un
elemento costitutivo del­l’efficienza comunicativa (cfr. Rovere 2008).

7.2. – Gli avverbi derivati in -mente fanno parte, secondo l’ipotesi che
vorrei proporre, dei fenomeni lessicali del­la lingua giuridica in cui è rico-
noscibile l’azione del principio del­l’economia. Il quadro in cui si inseri-

4
Per la sostituzione di frasi relative con il participio presente («princìpi attri-
buenti solo al giudice») si vedano Mortara Garavel­li (2001, 166 s.), con aggettivi
reggenti un complemento preposizionale («lesivo del principio») Rovere (2005,
110) e ora la ricerca approfondita di Del­l’Anna (in corso di stampa).

121
Giovanni Rovere

sce l’argomento è costituito dal­la tendenza ad ampliare il lessico tecnico


rimanendo al­l’interno del­la famiglia lessicale di tecnicismi già esistenti.
Questi fungono da base morfologica nei processi derivazionali oppure
semantica nel­la formazione non derivazionale. Si tratta di un’economia
a forte valenza cognitiva dato che favorisce per via associativa l’autore
nel­l’atto del­la produzione e il destinatario nel lavoro d’interpretazione.
Di seguito si ipotizza che la formazione di avverbi tecnici con il
suf­fisso -mente in quanto alternativa sintetica, e quindi economica,
ad espressioni analitiche semanticamente equivalenti, manifesti nel­la
lingua giuridica, rispetto al­la lingua comune, una particolare produtti-
vità   5. Per verificare in termini statistici tale rilevanza sarebbe necessa-
rio control­lare preliminarmente le occorrenze degli avverbi nel corpus
elettronico a disposizione, in particolare quel­le che, per vari motivi,
andrebbero escluse o conteggiate diversamente da quanto elaborato
automaticamente dal programma di concordanze. I dati depurati an-
drebbero poi confrontati con i risultati ottenuti attraverso uno studio
comparativo sul­la diffusione degli avverbi nel­la lingua comune. Nel­
l’impossibilità di svolgere in questa sede un tale lavoro, mi limiterò a
segnalare tendenze e a riportare valori approssimativi. La base empi-
rica consiste in un elenco di più di 2300 avverbi tecnici e non tecnici
in -mente, attestati in ventuno annate del «Foro italiano» (1987-2007),
disposti per ordine alfabetico e di frequenza   6. Per il numero comples-
sivo poco maneggevole, mi concentro su un campione di circa due-
cento avverbi, composto essenzialmente da quegli inizianti per a-.
Il primo criterio fondamentale per una loro classificazione con-
siste nel­l’opposizione tra avverbi comuni (tipo abbondantemente) e
tecnici (tipo accessoriamente)   7. Incertezze nel­l’assegnazione al­l’una o
l’altra categoria emergono, quando da una verifica lessicografica ri-
sulta che l’avverbio è registrato come sottolemma di un aggettivo di
cui non sono riportate accezioni giuridiche. A proposito di abusivo,
ad esempio, il GDU dà un’accezione giuridica solo del nome abuso
(‘sfruttamento di un diritto o potere oltre i limiti leciti; esercizio il­
legittimo di un potere, di un’attività’), esemplificata con commettere

5
Cfr. a proposito Bel­lucci (2002, 340n.).
6
Ringrazio Maurice Mayer del­l’assistenza fornita.
7
Per considerazioni generali sul­lo statuto di lemmi inizianti per a- contraddi-
stinti nel­lo Zingarel­li come termini del diritto si veda Cortelazzo (1997, 43 s.).

122
Il principio dell’economia nella lingua giuridica

un abuso, abuso edilizio. L’aspetto problematico consiste nel fatto che


queste col­locazioni non si differenziano per grado di tecnicità da quel­
le fornite per l’uso aggettivale: costruzione abusiva, porto d’armi abusi-
vo. Il ricorso al corpus giuridico permette innanzitutto di esemplificare
quanto osservato sul­la formazione di tecnicismi al­l’interno del­la stessa
famiglia lessicale: accanto ad abuso si registra una presenza consistente
di abusivismo e abusività, tecnicismi specifici, funzionali al­l’esigenza
disciplinare di disporre di termini (molto) astratti, cfr. (1)-(2). Abu-
sivista, meno frequente ma formato con evidenti intenti economici,
ricorre sia come nome sia come aggettivo, cfr. (3)-(4)   8. In secondo
luogo, l’appartenenza di abusivo al lessico giuridico risulta confermata
dal suo uso al­l’interno di frequenti col­locazioni come clausole abusive,
lottizzazione abusiva, ricorso abusivo al credito, esercizio abusivo di (at-
tività commerciale / …), porto abusivo (di armi / …), specie in contesti
in cui fungono, analogamente al nome, da parole chiave, cfr. (5)-(6).
Infine, le contestualizzazioni semantiche del­l’avverbio in (7)-(9) cor-
rispondono, a loro volta, a quel­le usuali del nome e del­l’aggettivo. Di
particolare rilevanza sono le attestazioni in cui l’impiego del­l’avverbio
è oggetto di osservazioni linguistiche volte a sottolineare il tratto se-
mantico giuridico del­l’il­legittimità, cfr. (10)-(11). Appare palese l’alto
grado di lessicalizzazione, sia per la frequenza assoluta del­l’avverbio
giuridico, sia per il fatto che le alternative analitiche in modo abusivo /
in maniera abusiva sono attestate in numero esiguo.

8
Molto rare le occorrenze raccolte in corpora giornalistici, in cui la coniazio-
ne assume talora carattere espressivo, cfr. «L’uomo che sequestrò uccel­li e vil­laggi
turistici, che assolse ladri e spogliarel­liste e condannò mamme manesche, ladri
spericolati e abusivisti incal­liti, non ci sta» (La Stampa, 31.5.1999). Più vicino al­
l’uso denotativo: «Il Governo si autolimita perché riconosce che ha competen-
za solo sugli abusi maggiori, puniti penalmente, mentre gli abusi minori, colpiti
da sanzioni pecuniarie e amministrative, sono di competenza del­le Regioni e dei
Comuni. Siamo quindi di fronte a un provvedimento irragionevole sul piano co-
stituzionale, che penalizza i cittadini colpevoli di piccoli abusi e premia i grandi
abusivisti» (Il Sole-24 Ore, 10.10.2003).

123
8.
LINGUA, COGNIZIONE
E DUE COSTITUZIONI
di Iørn Korzen

8.1. Introduzione

Nel­le pagine seguenti tratterò la struttura testuale del­la Costitu-


zione Italiana. Da una parte la mia analisi indagherà la costruzione
linguistico-grammaticale (morfo-sintattica e testuale), dal­l’altra la
di­sposizione del contenuto in parti e sezioni. L’approccio generale
sarà comparativo: farò un paragone con la ‘mia’ Costituzione, quel­la
Danese, e cercherò di individuare e di definire gli elementi più im-
portanti che accomunano i due testi e quel­li che li distinguono. Farò
un breve confronto con altri testi – giuridici e non – ed esaminerò le
somiglianze e le differenze al­la luce del­le ipotesi sul­l’influenza del­la
lingua sul pensiero umano, più precisamente da una parte sul nostro
modo di concepire il mondo intorno a noi, dal­l’altra sul nostro modo
di verbalizzare e ‘raccontare’ lo stesso mondo e di organizzare il con-
tenuto dei nostri ‘racconti’.
Comincerò con una breve presentazione di alcune affermazioni
sul legame tra lingua e pensiero, dopodiché passerò ad una veloce
esposizione del­le più fondamentali differenze strutturali tra le lingue
romanze e quel­le germaniche.
Proporrò poi alcune ipotesi sul­le possibili influenze di questi due
ceppi linguistici sul nostro modo di organizzare e strutturare i nostri
pensieri e, conseguentemente, i nostri testi, e infine, al­la luce di tali
considerazioni, paragonerò struttura e composizione del­le due Carte
Costituzionali.

163
Iørn Korzen

8.2. Dal sistema linguistico al modo di pensare

Come è noto, le ipotesi su una correlazione tra lingua e pensiero   1 e,


con ciò, secondo alcuni, tra lingua e carattere umano, sono tutt’altro
che recenti. Probabilmente la prima attestazione è quel­la di Isidoro
di Siviglia (560 ca. - 636), vescovo di Siviglia dal 600 ca. ed autore dei
venti Ethimologiarum libri, sive Origines che costituirono l’enciclope-
dia di tutto lo scibile del tempo e che in larga misura influenzarono la
cultura medievale. Nel nono libro troviamo il famoso detto:
… ex linguis gentes, non ex gentibus linguae exortae sunt (Isidoro di
Siviglia, Etymologiae, Liber IX: De linguis, gentibus, regnis, militia, ci-
vibus, affinitatibus).

Nel mil­lennio seguente Giambatista Vico (1668-1744) fu autore di si­


mi­li riflessioni:
[…] le indoli dei popoli si formano con le lingue e non le lingue con
le indoli (De nostri temporis studiorum ratione [1709]; cit.: Vico 2001,
141).
[…] le lingue sono, per dir così, il veicolo onde si stransfonde in chi le
appara lo spirito del­le nazioni (Lettera XII a Francesco Saverio Estevan
[1729]; cit.: Vico 2001, 334)   2.

E 100 anni dopo, nel pieno Romanticismo tedesco, Wilhelm von


Humboldt (1767-1835) scrive fra l’altro (tradotto in inglese):
[T]he difference between languages would achieve historical relevance
to the extent that it influences and determines the working of the
human mind […]. Languages and the differences between them must
therefore be considered a dominant force in the history of mankind
(On the national character of languages [1822]; cit.: Humboldt 1997,
60).

Con ciò si è preparata la strada per la famosa (o, secondo alcuni, fa-
migerata) «ipotesi Sapir-Whorf», ovvero il principio del­la relatività
linguistica, secondo cui la lingua è determinante per il nostro modo

1
Più precisamente il tipo di pensiero che Slobin (1996, 76) chiama «thinking
for speaking».
2
Ringrazio il col­lega Remo Stefano Chiari per questi riferimenti a Vico.

164
Lingua, cognizione e due Costituzioni

di concepire e di interpretare il mondo intorno a noi. Edward Sapir


(1884-1939) sostiene per esempio:
We see and hear and otherwise experience very largely as we do
because the language habits of our community predispose certain
choices of interpretation. […] From this standpoint we may think of
language as the symbolic guide to culture (The status of linguistics as a
science [1929]; cit.: Sapir 1964, 69).
It would be possible to go on indefinitely with such examples of
incommensurable analyses of experience in different languages. The
upshot of it al­l would be to make very real to us a kind of relativity that
is general­ly hidden from us by our naïve acceptance of fixed habits of
speech as guides to an objective understanding of the nature of experi-
ence. This is the relativity of concepts or, as it might be cal­led, the rela-
tivity of the form of thought (The grammarian and his language [1924];
cit.: Sapir 1968, 159).
La nozione di «relatività linguistica» e, conseguentemente, di relati-
vità del­la «forma del pensiero» fu approfondita e sviluppata da uno
degli al­lievi di Sapir, Benjamin Lee Whorf (1897-1941):
[T]he linguistic relativity principle […] means, in informal terms, that
users of markedly different grammars are pointed by their grammars
toward different types of observations and different evaluations of
external­ly similar acts of observation, and hence are not equivalent
as observers but must arrive at somewhat different views of the world
(Linguistics as an exact science [1940]; cit.: Whorf 1956, 221).
We cut nature up, organize it into concepts, and ascribe significances
as we do, largely because we are parties to an agreement to organize it
this way – an agreement that holds throughout our speech community
and is coded in the patterns of our language (Science and linguistics
[1940]; cit.: Whorf 1956, 213).
Oltre al­la professione di linguista, Sapir era anche antropologo e ave-
va studiato le lingue degli amerindi. Un’altra antropologa e studiosa
degli stessi popoli era Dorothy D. Lee (1905-1975), che con palese
riferimento a Sapir dichiarò:
It has been said that a language wil­l delineate and limit the logical
concepts of the individual who speaks it. Conversely, a language is
an organ for the expression of thought, of concepts and principles of
classification. True enough, the thought of the individual must run
along its grooves; but these grooves, themselves, are a heritage from

165
Iørn Korzen

individuals who laid them down in an unconscious effort to express


their attitude toward the world. Grammar contains in crystal­lized form
the accumulated and accumulating experience, the Weltanschauung of
a people (Lee 1938, 89).
Come è noto, l’ipotesi Sapir-Whorf ebbe sia sostenitori che opposi-
tori, e il fiorire del­la grammatica generativo-trasformazionale negli
an­ni ’60 ridusse l’interesse per la relazione tra lingua e pensiero. Esso
rinacque però al­l’inizio degli anni ’80, soprattutto nel campo degli
psicolinguisti, di cui uno, Alfred Bloom, espresse il suo punto di vista,
piuttosto ‘equilibrato’, nel­la seguente affermazione:
Is it not reasonable to suppose, in other words, that despite an obvious
need for qualification and greater precision, Whorf may have been on
the right track? […] [L]et us suppose that a language, by whether it
labels or does not label any specific mode of categorizing experience,
cannot determine whether its speakers wil­l think that way, but can
either encourage or not encourage them to develop a labeled cognitive
schema specific to that mode of thought (Bloom 1981, 11, 20).

Lo spazio concessomi in questa sede non mi permette ulteriori appro-


fondimenti del­le ipotesi sul­la relazione tra lingua e pensiero e sul­la
relatività linguistica, e mi permetto invece di rimandare agli accurati
e scrupolosi studi di Lucy (1992), di Gumperz e Levinson (1996) e di
altri studiosi ivi menzionati. Cfr. anche Korzen (2005a, b, c).

8.3. Lingue «endocentriche» e lingue «esocentriche»

A questo punto sposterei brevemente l’attenzione su una serie di la-


vori di un’équipe di linguisti del­la Copenhagen Business School. In
questi lavori gli studiosi, iscrivendosi nel­la tradizione delineata nel­la
sezione precedente, espongono una descrizione tipologica del­le più
fondamentali differenze tra le lingue romanze e quel­le germaniche   3.

3
Fra i lavori col­lettivi del­l’équipe mi limito a citare Korzen - Marel­lo (a cura
di) (2000); Herslund (éd.) (2003); Baron (ed.) (2003); Herslund - Baron (éds.)
(2005); Korzen - D’Achil­le (a cura di) (2005); Korzen - Lammert - Vassiliadou
(éds.) (2007); Korzen - Lavinio (a cura di) (2009).

166
9.
CONDIZIONI RESTRITTIVE
NEI CODICI TEDESCHI
E ITALIANI
di Marcel­lo Soffritti

9.0. Introduzione
e delimitazione del tema

La ricerca sui linguaggi giuridici ha già largamente esplorato la ter-


minologia di codici e leggi in Germania, Svizzera, Austria e Italia, e,
con il ricorso a corpora, ha prodotto importanti analisi empiriche di
aspetti sintattici, stilistici e pragmatici di testi del­la comunicazione
giuridica (ad es. Höhmann 2005; Lombardi 2004; Wiesmann 2004;
Hel­ler 2003, ed altri).
Ora si presenta l’occasione di approfondire l’inquadramento
contrastivo e traduttivo del­la sintassi, del­la semantica e per certi versi
del­la pragmatica dei costrutti condizionali in testi di legge tedeschi e
italiani.
Questa occasione deriva in particolare dal progetto, ormai con-
cluso, di J. Visconti (qui ci si riferisce in particolare a Visconti 2007),
volto a realizzare un lessico contrastivo plurilingue dei connettori ipo-
tetici con particolare riferimento ai testi giuridici.
In questo contributo mi propongo di discutere dettagliatamente
la portata del­l’approccio di Visconti utilizzando un corpus di codici
tedeschi e italiani. Cercherò in particolare di chiarire fino a che punto
sia applicabile la distinzione fra due classi fondamentali di connettori
ipotetici (generici e restrittivi), e in che misura sia possibile trasferire i
risultati del­l’indagine in un lessico plurilingue degli stessi connettori.
La funzione genericamente ipotetica e quel­la ipotetica-restrittiva
sembrano riconducibili, in italiano, a due liste di connettori che, alme­

203
Marcello Soffritti

no nel­la comunicazione orale informale, si possono classificare con


una certa chiarezza con l’aiuto di tratti pragmatici, sintattici, semanti-
ci e prosodici.
Questa suddivisione basata sul­la categoria del­la restrittività, mol-
to plausibile dal punto di vista teorico, appare tuttavia meno agevole
nei testi di legge italiani e soprattutto in quel­li tedeschi, dove i connet-
tori e le altre forme espressive utilizzate nei costrutti condizionali non
sono altrettanto facili da classificare.
Le questioni sul tappeto non riguardano solo l’analisi contrastiva
dei linguaggi specifici, in quanto il lessico dei connettori ipotetici è
concepito anche per consentire e facilitare traduzioni più precise. In
questo contributo mi occuperò tuttavia soprattutto del­le questioni
descrittive e contrastive. Solo in una o più pubblicazioni future sarà
possibile trattare le questioni traduttive con l’aiuto di corpora paral­
leli.
Dal punto di vista metodologico mi propongo di approfondire i
seguenti punti:
• È sufficiente la classificazione lessicale dei connettori in senso stret­to

per descrivere adeguatamente la gamma di variazione del­le espres-


sioni ipotetiche?
• Quali fattori pragmatici e testuali determinano l’uso di connettori

restrittivi in testi giuridici normativi?


• I parametri (e in particolare i parametri pragmatici) utilizzati da Vi-

sconti nel suo model­lo sono ugualmente rilevanti sia al­l’interno, sia
al di fuori del­la comunicazione giuridica?
• Si potrebbero proporre ulteriori categorie o parametri per classifi-

care i connettori nel linguaggio del­la comunicazione giuridica?

9.1. La base di dati

Le proposte di classificazione avanzate da Visconti, pur sviluppate


partendo al­l’analisi di trattati internazionali, si riferiscono in linea di
massima al­l’intera gamma dei testi giuridici. Nel mio contributo con-
durrò invece il confronto tra le espressioni ipotetiche entro una forma
testuale specifica, cioè i codici di leggi. Questa delimitazione consente
infatti non solo di ridurre a dimensioni gestibili la massa dei dati da

204
Condizioni restrittive nei codici tedeschi e italiani

esaminare, ma anche di utilizzare proficuamente una serie di risultati


ottenuti in studi precedenti.
Diversamente da una precedente pubblicazione (Soffritti 1999),
in cui esaminavo solo il Codice Civile del­la Repubblica Federale Te-
desca (Bürgerliches Gesetzbuch – BGB) e quel­lo italiano (CC), mi
avvalgo ora di una raccolta più vasta, composta per entrambi i Paesi
dal Codice Civile (BGB e CC), dal Codice Penale (Strafgesetzbuch –
StGB e CP) e dal Codice di Procedura Penale (Strafprozessordnung –
StPO e CPP). In questo modo è garantita, in primo luogo, la con-
gruenza tematica e testuale che deve stare al­la base di ogni indagine
comparativa.
Si tratta infatti di codici, cioè di grandi raccolte di norme svilup-
patesi in entrambi i Paesi nel corso di numerosi decenni, che debbono
essere costantemente prese come riferimento per la comunicazione
specialistica e l’intera prassi, compresa la legislazione corrente. Di qui
è sorta anche una certa esemplarità linguistica dei codici, che si fa
sentire chiaramente nel­la redazione del­le singole leggi e che influenza
in parte anche la semantica dei connettori ipotetici.
D’altro lato, non si può attribuire a questo corpus una piena rap-
presentatività per l’intera sfera dei testi normativi (nel senso definito
da Busse 2000), per le seguenti ragioni:
(i) A differenza del­le singole leggi di emanazione corrente, i codici
so­no stati soggetti, nel corso di numerosi decenni, a continui
adattamenti e aggiornamenti, e questa stratificazione è avverti-
bile.
(ii) I codici sono concepiti come raccolte suddivise in numerosi
set­tori tematici, al cui interno valgono particolari condizioni di
coe­renza testuale e disciplinare non sempre presenti nel­le leggi
singole.
(iii) A differenza di leggi singole, regolamenti e altre disposizioni ap-
plicative, i codici non contengono in genere riferimenti a concreti
problemi quotidiani, liste dettagliate di oggetti o specifiche moti-
vazioni di determinate misure.
Resta dunque un vasto spazio per ulteriori approfondimenti, che sa-
rebbero da dedicare non solo, come si è detto, a singole leggi, rego-
lamenti e norme di applicazione, ma anche e soprattutto ai testi non
normativi del­la comunicazione giuridica.
Ecco i principali valori quantitativi del corpus utilizzato:

205
Marcello Soffritti

Articoli Parole Articoli Parole


Bürgerliches Gesetzbuch 2.385 178.615
Codice civile 2.969 190.897
Strafgesetzbuch 358 61.236
Codice penale 734 68.673
Strafprozessordnung 495 72.185
Codice di Procedura Penale 1 746 + 260 + 36 135.913
   1

Poiché non si devono fare particolari confronti statistici fra la parte


italiana e quel­la tedesca del corpus, il fatto che la parte italiana sia
sensibilmente più estesa non crea particolari inconvenienti. È invece
certamente soddisfatta la condizione metodologica essenziale, vale a
dire che ciascuna parte sia rappresentativa per l’uso linguistico del­la
legislazione normativa nel relativo paese.

9.2. Aspetti metodologici

9.2.1. La classe dei connettori propriamente detti a confronto


con la gamma del­le espressioni ipotetiche

Nel momento in cui si cerca di definire l’oggetto di questa indagine, ci


si deve chiedere se si intenda isolare i connettori ipotetici come clas-
se morfosintattica, cioè come un repertorio tendenzialmente chiuso
di elementi che connettono le frasi, o se non sia meglio al­largare la
prospettiva a tutte le forme linguistiche con cui un’autorità normativa
(nel nostro caso) formula nei suoi testi espressioni da intendere come
condizioni. Ovviamente, porre questa alternativa non significa rifiuta-
re l’ipotesi di un lessico dei connettori, bensì puntualizzare l’effettiva
portata del­la classificazione di lessemi specifici del­le singole lingue:
i connettori (insieme al­le frasi che col­legano) non sono l’unico mez-
zo per esprimere condizioni. Le condizioni, al pari di molti altri col­

1
Sono qui comprese due corpose raccolte di norme di applicazione, che fan-
no parte del­l’edizione ufficiale.

206
Condizioni restrittive nei codici tedeschi e italiani

legamenti concettuali fra contenuti proposizionali astratti, si possono


esprimere con diverse realizzazioni al di sotto del livel­lo sintattico fra-
sale (e non si intenda con ciò la loro semplice anaforizzazione). Come
è già stato constatato in linea generale (Hel­ler 2003 e Soffritti 1999),
una condizione può essere espressa in diversissimi modi. Può essere
contenuta in una costruzione el­littica:
[…] si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni contenute nel­
l’articolo 322-ter (CP, 640-quater).
L’azione è ammessa previa autorizzazione del giudice ai sensi del­
l’articolo 274.(CC, 279, 1).
Der Überweisende kann, soweit vereinbart, dem Kreditinstitut den zu
überweisenden Geldbetrag auch in bar zur Verfügung stel­len (BGB,
233).

o in un sintagma preposizionale:
Le disposizioni del­l’art. 29 e del secondo capoverso del­l’art. 32 non si
applicano nel caso di condanna per delitto colposo (CP, 33, 1).
Quando è proposta domanda di nul­lità del matrimonio, il tribunale
può, su istanza di uno dei coniugi, ordinare la loro separazione tempo-
ranea durante il giudizio; può ordinarla anche d’ufficio, se ambedue i
coniugi o uno di essi sono minori o interdetti (CC, 126).
Der Vormund kann den Mündel nicht vertreten: 1. bei einem Rechts-
geschäft zwischen seinem Ehegatten, seinem Lebenspartner oder einem
seiner Verwandten in gerader Linie einerseits und dem Mündel anderer-
seits, es sei denn, dass das Rechtsgeschäft ausschließlich in der Erfül­
lung einer Verbindlichkeit besteht […] (BGB, 1795, 1).

Eine Wil­lenserklärung, welche durch die zur Übermittelung verwen-


dete Person oder Einrichtung unrichtig übermittelt worden ist, kann
unter der gleichen Voraussetzung angefochten werden wie nach § 119
eine irrtümlich abgegebene Wil­lenserklärung (BGB, 120).

o in un avverbio:
Quando revoca la sentenza di non luogo a procedere, il giudice, se il
pubblico ministero ha chiesto il rinvio a giudizio, fissa l’udienza pre-
liminare (418), dandone avviso agli interessati presenti e disponendo
per gli altri la notificazione; altrimenti ordina la riapertura del­le inda-
gini (CPP, 436, 2).

207
9.
CONDIZIONI RESTRITTIVE
NEI CODICI TEDESCHI
E ITALIANI
di Marcel­lo Soffritti

9.0. Introduzione
e delimitazione del tema

La ricerca sui linguaggi giuridici ha già largamente esplorato la ter-


minologia di codici e leggi in Germania, Svizzera, Austria e Italia, e,
con il ricorso a corpora, ha prodotto importanti analisi empiriche di
aspetti sintattici, stilistici e pragmatici di testi del­la comunicazione
giuridica (ad es. Höhmann 2005; Lombardi 2004; Wiesmann 2004;
Hel­ler 2003, ed altri).
Ora si presenta l’occasione di approfondire l’inquadramento
contrastivo e traduttivo del­la sintassi, del­la semantica e per certi versi
del­la pragmatica dei costrutti condizionali in testi di legge tedeschi e
italiani.
Questa occasione deriva in particolare dal progetto, ormai con-
cluso, di J. Visconti (qui ci si riferisce in particolare a Visconti 2007),
volto a realizzare un lessico contrastivo plurilingue dei connettori ipo-
tetici con particolare riferimento ai testi giuridici.
In questo contributo mi propongo di discutere dettagliatamente
la portata del­l’approccio di Visconti utilizzando un corpus di codici
tedeschi e italiani. Cercherò in particolare di chiarire fino a che punto
sia applicabile la distinzione fra due classi fondamentali di connettori
ipotetici (generici e restrittivi), e in che misura sia possibile trasferire i
risultati del­l’indagine in un lessico plurilingue degli stessi connettori.
La funzione genericamente ipotetica e quel­la ipotetica-restrittiva
sembrano riconducibili, in italiano, a due liste di connettori che, alme­

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Marcello Soffritti

no nel­la comunicazione orale informale, si possono classificare con


una certa chiarezza con l’aiuto di tratti pragmatici, sintattici, semanti-
ci e prosodici.
Questa suddivisione basata sul­la categoria del­la restrittività, mol-
to plausibile dal punto di vista teorico, appare tuttavia meno agevole
nei testi di legge italiani e soprattutto in quel­li tedeschi, dove i connet-
tori e le altre forme espressive utilizzate nei costrutti condizionali non
sono altrettanto facili da classificare.
Le questioni sul tappeto non riguardano solo l’analisi contrastiva
dei linguaggi specifici, in quanto il lessico dei connettori ipotetici è
concepito anche per consentire e facilitare traduzioni più precise. In
questo contributo mi occuperò tuttavia soprattutto del­le questioni
descrittive e contrastive. Solo in una o più pubblicazioni future sarà
possibile trattare le questioni traduttive con l’aiuto di corpora paral­
leli.
Dal punto di vista metodologico mi propongo di approfondire i
seguenti punti:
• È sufficiente la classificazione lessicale dei connettori in senso stret­to

per descrivere adeguatamente la gamma di variazione del­le espres-


sioni ipotetiche?
• Quali fattori pragmatici e testuali determinano l’uso di connettori

restrittivi in testi giuridici normativi?


• I parametri (e in particolare i parametri pragmatici) utilizzati da Vi-

sconti nel suo model­lo sono ugualmente rilevanti sia al­l’interno, sia
al di fuori del­la comunicazione giuridica?
• Si potrebbero proporre ulteriori categorie o parametri per classifi-

care i connettori nel linguaggio del­la comunicazione giuridica?

9.1. La base di dati

Le proposte di classificazione avanzate da Visconti, pur sviluppate


partendo al­l’analisi di trattati internazionali, si riferiscono in linea di
massima al­l’intera gamma dei testi giuridici. Nel mio contributo con-
durrò invece il confronto tra le espressioni ipotetiche entro una forma
testuale specifica, cioè i codici di leggi. Questa delimitazione consente
infatti non solo di ridurre a dimensioni gestibili la massa dei dati da

204
Condizioni restrittive nei codici tedeschi e italiani

esaminare, ma anche di utilizzare proficuamente una serie di risultati


ottenuti in studi precedenti.
Diversamente da una precedente pubblicazione (Soffritti 1999),
in cui esaminavo solo il Codice Civile del­la Repubblica Federale Te-
desca (Bürgerliches Gesetzbuch – BGB) e quel­lo italiano (CC), mi
avvalgo ora di una raccolta più vasta, composta per entrambi i Paesi
dal Codice Civile (BGB e CC), dal Codice Penale (Strafgesetzbuch –
StGB e CP) e dal Codice di Procedura Penale (Strafprozessordnung –
StPO e CPP). In questo modo è garantita, in primo luogo, la con-
gruenza tematica e testuale che deve stare al­la base di ogni indagine
comparativa.
Si tratta infatti di codici, cioè di grandi raccolte di norme svilup-
patesi in entrambi i Paesi nel corso di numerosi decenni, che debbono
essere costantemente prese come riferimento per la comunicazione
specialistica e l’intera prassi, compresa la legislazione corrente. Di qui
è sorta anche una certa esemplarità linguistica dei codici, che si fa
sentire chiaramente nel­la redazione del­le singole leggi e che influenza
in parte anche la semantica dei connettori ipotetici.
D’altro lato, non si può attribuire a questo corpus una piena rap-
presentatività per l’intera sfera dei testi normativi (nel senso definito
da Busse 2000), per le seguenti ragioni:
(i) A differenza del­le singole leggi di emanazione corrente, i codici
so­no stati soggetti, nel corso di numerosi decenni, a continui
adattamenti e aggiornamenti, e questa stratificazione è avverti-
bile.
(ii) I codici sono concepiti come raccolte suddivise in numerosi
set­tori tematici, al cui interno valgono particolari condizioni di
coe­renza testuale e disciplinare non sempre presenti nel­le leggi
singole.
(iii) A differenza di leggi singole, regolamenti e altre disposizioni ap-
plicative, i codici non contengono in genere riferimenti a concreti
problemi quotidiani, liste dettagliate di oggetti o specifiche moti-
vazioni di determinate misure.
Resta dunque un vasto spazio per ulteriori approfondimenti, che sa-
rebbero da dedicare non solo, come si è detto, a singole leggi, rego-
lamenti e norme di applicazione, ma anche e soprattutto ai testi non
normativi del­la comunicazione giuridica.
Ecco i principali valori quantitativi del corpus utilizzato:

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Marcello Soffritti

Articoli Parole Articoli Parole


Bürgerliches Gesetzbuch 2.385 178.615
Codice civile 2.969 190.897
Strafgesetzbuch 358 61.236
Codice penale 734 68.673
Strafprozessordnung 495 72.185
Codice di Procedura Penale 1 746 + 260 + 36 135.913
   1

Poiché non si devono fare particolari confronti statistici fra la parte


italiana e quel­la tedesca del corpus, il fatto che la parte italiana sia
sensibilmente più estesa non crea particolari inconvenienti. È invece
certamente soddisfatta la condizione metodologica essenziale, vale a
dire che ciascuna parte sia rappresentativa per l’uso linguistico del­la
legislazione normativa nel relativo paese.

9.2. Aspetti metodologici

9.2.1. La classe dei connettori propriamente detti a confronto


con la gamma del­le espressioni ipotetiche

Nel momento in cui si cerca di definire l’oggetto di questa indagine, ci


si deve chiedere se si intenda isolare i connettori ipotetici come clas-
se morfosintattica, cioè come un repertorio tendenzialmente chiuso
di elementi che connettono le frasi, o se non sia meglio al­largare la
prospettiva a tutte le forme linguistiche con cui un’autorità normativa
(nel nostro caso) formula nei suoi testi espressioni da intendere come
condizioni. Ovviamente, porre questa alternativa non significa rifiuta-
re l’ipotesi di un lessico dei connettori, bensì puntualizzare l’effettiva
portata del­la classificazione di lessemi specifici del­le singole lingue:
i connettori (insieme al­le frasi che col­legano) non sono l’unico mez-
zo per esprimere condizioni. Le condizioni, al pari di molti altri col­

1
Sono qui comprese due corpose raccolte di norme di applicazione, che fan-
no parte del­l’edizione ufficiale.

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Condizioni restrittive nei codici tedeschi e italiani

legamenti concettuali fra contenuti proposizionali astratti, si possono


esprimere con diverse realizzazioni al di sotto del livel­lo sintattico fra-
sale (e non si intenda con ciò la loro semplice anaforizzazione). Come
è già stato constatato in linea generale (Hel­ler 2003 e Soffritti 1999),
una condizione può essere espressa in diversissimi modi. Può essere
contenuta in una costruzione el­littica:
[…] si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni contenute nel­
l’articolo 322-ter (CP, 640-quater).
L’azione è ammessa previa autorizzazione del giudice ai sensi del­
l’articolo 274.(CC, 279, 1).
Der Überweisende kann, soweit vereinbart, dem Kreditinstitut den zu
überweisenden Geldbetrag auch in bar zur Verfügung stel­len (BGB,
233).

o in un sintagma preposizionale:
Le disposizioni del­l’art. 29 e del secondo capoverso del­l’art. 32 non si
applicano nel caso di condanna per delitto colposo (CP, 33, 1).
Quando è proposta domanda di nul­lità del matrimonio, il tribunale
può, su istanza di uno dei coniugi, ordinare la loro separazione tempo-
ranea durante il giudizio; può ordinarla anche d’ufficio, se ambedue i
coniugi o uno di essi sono minori o interdetti (CC, 126).
Der Vormund kann den Mündel nicht vertreten: 1. bei einem Rechts-
geschäft zwischen seinem Ehegatten, seinem Lebenspartner oder einem
seiner Verwandten in gerader Linie einerseits und dem Mündel anderer-
seits, es sei denn, dass das Rechtsgeschäft ausschließlich in der Erfül­
lung einer Verbindlichkeit besteht […] (BGB, 1795, 1).

Eine Wil­lenserklärung, welche durch die zur Übermittelung verwen-


dete Person oder Einrichtung unrichtig übermittelt worden ist, kann
unter der gleichen Voraussetzung angefochten werden wie nach § 119
eine irrtümlich abgegebene Wil­lenserklärung (BGB, 120).

o in un avverbio:
Quando revoca la sentenza di non luogo a procedere, il giudice, se il
pubblico ministero ha chiesto il rinvio a giudizio, fissa l’udienza pre-
liminare (418), dandone avviso agli interessati presenti e disponendo
per gli altri la notificazione; altrimenti ordina la riapertura del­le inda-
gini (CPP, 436, 2).

207
10.
COERENZA DEL DIRITTO
PRIVATO EUROPEO
Il problema del multilinguismo
di Gianmaria Ajani

10.1. Comparazione giuridica e traduzione

La comparazione quale indagine sul ‘trapianto’ di norme giuridiche e


sul­le insidie del­la traduzione dei concetti in culture e ordinamenti di-
versi da quel­li di origine ha negli anni recenti dato luogo a molteplici
incontri interdisciplinari fra comparatisti, studiosi del diritto privato
europeo, linguisti, studiosi del­l’intel­ligenza artificiale   1. L’intensificar-

1
È in quel­l’ambito che è stata attivata dal Dipartimento di Scienze giuridiche
del­l’Università di Torino una rete di ricerca europea denominata Uniform Termi-
nology for European Law, finalizzata al­la produzione di un repertorio digitale di
concetti e regole in materia di diritti dei consumatori, strumento di ausilio dei pro-
getti di armonizzazione del­le regole nazionali che applicano la normativa europea:
http://www.eulawtaxonomy.org. Il progetto aspira a presentare una più completa
definizione dei termini impiegati sia al livel­lo del­l’acquis che dei diritti nazionali
dei cinque maggiori sistemi giuridici del­l’Unione (Francia, Germania, Inghilter-
ra, Italia, Spagna) nel­la materia del diritto dei consumatori. I termini scelti per
l’elaborazione del Syl­labus sono quel­li considerati significativi nel contesto del
diritto europeo dei contratti sia dal punto di vista categoriale (quali «danno», o
«conclusione del contratto»), sia da quel­lo del­la prospettiva interpretativa (ad es.:
la nozione di «chiaro e comprensibile», o di «pubblicità ingannevole»). Si vedano
ampiamente G. Ajani - G. Boel­la - L. Lesmo - M. Martin - A. Mazzei - P. Ros-
si, A development tool for multilingual ontology-based conceptual dictionaries, in
Proceedings of 5th International Conference on language resources and evaluation,
Genova 2006; P. Rossi, Ontologie applicate e comparazione giuridica, Riv. Crit.
Dir. Priv. (2004); P. Rossi - C. Vogel, Terms and concepts: towards a syl­labus for
European private law, European Review of Private Law (2004), 293, S. Ferreri, La
lingua del legislatore. Model­li comunitari e attuazione negli Stati membri, Rivista

231
Gianmaria Ajani

si di tali incontri e le pubblicazioni che ne derivano confermano la fer-


tilità di tale approccio, che mira ad unire una componente descrittiva,
la ricerca sul­le modalità di produzione transnazionale del­le regole, ad
una di metodo; metodo che si interroga sugli effetti per il diritto posi-
tivo del contatto con norme elaborate in un contesto diverso da quel­lo
nazionale, e concepite, nonostante la finzione di pari status di tutte
le lingue del­l’Unione europea, in una lingua giuridica (o due) nel­la
maggior parte dei casi diversa da quel­la di ricezione   2.
Accanto ad una accelerata e diffusa produzione di model­li opera-
tivi (normativa sul control­lo societario, ad esempio, o normativa anti-
trust) appartenenti al formante legislativo, model­li legittimati in quan-
to si è radicata l’idea che certe regole giuridiche siano un fattore di
crescita dei mercati e di sviluppo economico, abbiamo assistito, negli
anni più recenti, al ricorso a formule vaghe, principi generali, nozioni
di sicura forza mediatica, ma dal contenuto difficilmente identificabi-
le, o comunque non univoco.
Si ha in ciò un processo di astrazione analogo a quel­lo utilizzato
dal diritto internazionale.
L’idea di individuare norme comuni al­le diverse nazioni, di porta-
ta globale, non è certo nuova, avendo essa fondato in buona misura i
discorsi dei cultori del diritto internazionale classico volti a legittima-
re la disciplina; la pretesa di universalità ha rappresentato quindi un
importante elemento di validazione del diritto internazionale, unita-
mente al formalismo. Si riproduce, in tal modo, la divisione di campo
fra le competenze di analisi e valutazione del­la governance globale,
proprie del diritto internazionale, che al fine di mantenere il grado
di universalità inducono una esasperazione del­la generalità ed astra-
zione del­le regole, e le competenze di raffronto ed armonizzazione
del­le culture giuridiche, proprie del diritto comparato, che vengono
paralizzate da una diffusa consapevolezza dei limiti al­l’integrazione

dir. civ. 2 (2004), 561 ss., nonché. G. Ajani - M. Ebers (eds.), Uniform terminology
for European contract law, Baden Baden 2005.
2
Connessa a ciò è poi la considerazione che la «lingua del diritto» possa uti-
lizzare terminologie differenti anche qualora le lingue di comunicazione siano la
stessa. Ciò vale sia in senso orizzontale (ad esempio il francese del diritto belga e
il francese del diritto francese), sia in senso verticale (l’italiano di una direttiva e
l’italiano del­la normativa di attuazione).

232
Coerenza del diritto privato europeo

rappresentati dai particolarismi e dal­le diversità. È evidente il caso


del­l’Unione europea; il processo di al­largamento giunto a compimen-
to in questi anni (2004-2007) è stato inaugurato al­l’inizio degli anni
’90 dal­la inclusione del­la nozione di Rule of law entro gli Accordi di
associazione stipulati fra la Comunità e gli Stati del­l’Europa centro-
orientale per preparare al­l’adesione le economie e i sistemi giuridici
degli Stati candidati   3.
Ma la questione può essere ancora più complessa: la determina­
zione di standards di riferimento per il trapianto di norme entro alcu-
ne macro-nozioni, quali Rule of law, Governance, Due process, sembra
poter veicolare importanti mutamenti al momento del­la recezione
proprio in forza del­la natura ingenua (ossia non tecnica) del linguag-
gio che le caratterizza. Una distanza dal dato tecnico contingente che
è ulteriormente moltiplicata da traduzioni ambigue o inaffidabili,
estranee al contesto dato da prassi e istituzioni.
Fare ricerca sul­l’adattamento e trapianto del­la norma è da tem-
po una del­le attività preferite dal comparatista; è, tuttavia, quel­lo
che stiamo qui osservando, un lavoro diverso: la pratica attuale del­
l’innovazione giuridica rende la ricerca sul processo di costruzione
del­la norma ancora più peculiare, in quanto insiste nel­l’esaminare il
ruolo di quei soggetti (in primo luogo le organizzazioni finanziarie in-
ternazionali) che, pur privi di un model­lo giuridico formale (potrem-
mo dire di un sistema di norme) proprio, sottolineano la funzione del
model­lo economico che si intende vestire di forme giuridiche.
La strumentalità del­l’innovazione legislativa rispetto al­la perfor-
mance economica diviene così il paradigma dominante, utile a giusti-
ficare e legittimare il processo di trapianti di norme da sistemi econo-
micamente maturi a sistemi in transizione o in sviluppo    4.

3
Cfr. B. Pasa, Gli Accordi di Associazione ed i partenariati di adesione con i
Paesi del­l’Europa centro-orientale, I. Questioni generali, cap. 9, in I nuovi contratti.
Il diritto privato nel­la giurisprudenza, dir. da P. Cendon, Torino 2004.
4
Si ha con ciò una ripresa di certi discorsi già condotti negli anni ’60, al­
l’epoca del­la decolonizzazione e del­la offerta, ai nuovi stati indipendenti del­
l’Africa e del­l’Asia, di model­li giuridici di «buon funzionamento» del­la società
e del­lo Stato. Oggi, tuttavia, l’enfasi è su una più intensa universalità (fondata
sul­l’idea di «mercato efficiente») dei model­li, mentre al­l’epoca del «diritto per lo
sviluppo» i model­li venivano ricercati nel­le diverse storie costituzionali dei Paesi
colonizzatori. Non è certo casuale che la nozione di good governance, coniata al

233
11.
LA LINGUA
DEL LEGISLATORE EUROPEO
di Silvia Ferreri

11.0. Premessa

Quando i giuristi dei diversi Stati membri del­l’Unione europea si ri-


trovano per qualche occasione di lavoro esiste un tema comune che
li riunisce: è la solfa, il refrain, il leitmotiv sul­la povera qualità del­la
legislazione europea.
Ogni osservatore locale ha il proprio repertorio di assurdità lin-
guistiche, di ibridi mal riusciti, di espressioni infelici imputabili al­
le fucine di Bruxel­les: i giuristi dei diversi Stati, spesso così polemi-
ci sul­le soluzioni da seguire di fronte ai problemi che il commercio
internazionale pone, o al­le difficoltà di dare effetto a procedimenti
giudiziari stranieri, ritrovano l’unanimità e il consenso nel deprecare
l’imprecisione, l’ambiguità, la carenza del­le fonti sopranazionali. Co-
sì almeno un effetto aggregante si verifica: l’unione non sul­le regole,
ma … contro il legislatore comune.
Quando il legislatore europeo parla di «professionista» in realtà –
si dice – intende il «contraente di mestiere» anziché occasionale (non
il «professionista intel­lettuale» o il praticante di una «professione li-
berale»); quando la CE parla di «clausola abusiva» in realtà intende
clausola «vessatoria», e clausola «stipulata malgrado la buona fede» si-
gnifica in realtà «contro la buona fede»   1; un remedy non è davvero un

1
Direttiva 93/13/CE, 5 aprile 1993, art. 3: «[…] una clausola contrattuale
che non è stata oggetto di negoziato individuale si considera abusiva se, malgrado

247
Silvia Ferreri

remedy (che implicherebbe il pagamento di damages); una warranty


non è una vera warranty, ma una guarantee, piuttosto, ecc.

11.1. Quali sono i rimproveri più ricorrenti?

I giuristi imputano agli uffici responsabili del­la redazione di diretti-


ve e regolamenti comunitari di dedicare poca attenzione al versante
propriamente giuridico degli atti normativi via via varati: ci si lamenta
che i negoziati, le contrattazioni a Bruxel­les (e Strasburgo per il Par-
lamento europeo) guardino più ai risultati in senso economico, al­la
risoluzione di un intralcio commerciale, al­lo scarso o limitato accesso
ai servizi per i cittadini europei, piuttosto che agli esatti rimedi, ai pro-
cedimenti giuridici che vengono introdotti.
In qualche modo questa distribuzione del­l’attenzione del legisla-
tore europeo è anche testimoniata dai preamboli degli atti normativi,
ad esempio nel­le direttive, dove si enunciano gli obbiettivi da raggiun-
gere, spesso estesamente il­lustrati da numerosi considerando, mentre
la parte normativa, gli articoli effettivamente vincolanti sono pochi,
sommari, scritti in un linguaggio volutamente atecnico, che cerca di
non aderire ad un model­lo nazionale troppo visibile, troppo identi-
ficabile. Il legislatore sopranazionale cerca di non sbilanciarsi troppo
a favore di uno degli Stati (o, peggio, verso una soluzione nordame-
ricana): anche se talvolta qualche termine propriamente anglofono
entra nel­la terminologia, ad es. in materia societaria o nel­l’area del­la
responsabilità da prodotto difettoso. Non accennerò (se non in mo-
do incidentale, ad es. rispetto al «supporto durevole») al problema
del modo in cui termini anglofoni stingano sul­le altre lingue. Alcuni
esempi sono divertenti: come il caso in cui un col­lega ha parlato a
proposito dei difetti che colpiscono il bene venduto di «vizi che af-
fettano il bene» (da «defects affecting the good») o altri parlano di
«scannare un testo scritto (da «scanner»). E, dal francese, stinge sul­la
nostra Cassazione l’idea di «una funzione di orientamento e indirizzo
che […] svolgono gli arresti del­la Corte Europea»   2. Anche l’espres-

il requisito del­la buona fede determina un significativo squilibrio dei diritti degli
obblighi del­le parti derivanti dal contratto».
2
Cass., sez. lav., 27 marzo 2004, n. 6173.

248
La lingua del legislatore europeo

sione, talvolta ricorrente nel­la pubblicità, su un «tappeto resiliente»


lascia spazio a qualche incertezza sul­la provenienza del­la definizio-
ne (forse una restituzione di un termine originariamente latino? Così
come capita quando un Lord inglese risponde al­l’interrogazione in
Parlamento: content?).
Un gergo speciale è in azione, al di là del linguaggio che tutti do-
miniamo.
Tornando al­la questione del­le lamentele, anche il carattere inde-
finito, vago, di alcune previsioni come il concetto di «consumatore
informato» suscitano reazioni analoghe a quel­le che si sono spesso
indirizzate al­le convenzioni internazionali   3.
In sostanza i giuristi spesso criticano il carattere sommario, em-
pirico, giuridicamente impreciso del­le fonti europee: coniugato pe-
rò – in modo curioso – ad una qualche ricercatezza linguistica. Ad
esempio, leggendo le versioni inglesi dei regolamenti europei e del­le
direttive, si nota un’abbondanza di espressioni latineggianti, di for-
mule lontane dal linguaggio corrente: causa di frequenti commenti
irridenti da parte dei lettori più severi   4.

3
Nel volume del 1998 sul­le Fonti scritte del diritto, nel Trattato Sacco di dirit-
to civile, I, Torino, Utet, avevo dedicato un paragrafo al­le formule «elastiche»
(p. 306); P. Tiersma nel volume del 1999, Legal language, ricorda a sua volta il
prudent investor del­le convenzioni internazionali.
4
A titolo di esempio si nota l’uso del verbo to permit quando normalmente
diremmo to al­low; si usa consent in luogo di agreement (art. 9 nel­la 97/7/EC, Dis-
tance Sel­ling Directive), inertia sel­ling (piuttosto che unsolicited goods, più corren-
te) nel­la stessa direttiva, ecc. Per evitare di ripetere i richiami, rinvio al­l’intervento
al convegno di Trento: «Interpretazione e traduzione del diritto» (30 novembre
2007), http://www.jus.unitn.it/services/arc/2007/1130/docs/Ferreri_convegno_
traduzione_trento.pdf. In Inghilterra (come – ad altri fini – in Australia, negli
Stati Uniti e altrove), esiste una Plain Language Association che è alquanto feroce
nel dissezionare i provvedimenti europei, nel metterli al­la berlina per l’eccesso
di fumosità e nel riscrivere i testi dimostrando come sarebbe possibile limitare il
numero di parole adoperate e sciogliere l’espressione ermetica: le accuse al legal
lingo, al gobbledygook europeo sono abbastanza cocenti. Si veda Plain Language
International Association (http://plainlanguagenetwork.org/stephens/intro.html):
tra l’altro vi si trovano alcune direttive comunitarie riscritte secondo le regole
del­la trasparenza linguistica, con semplificazioni del­la sintassi, correzione del­la
punteggiatura ecc.

249
12.
Linguismo euruniònico
e redazione del­la norma
comunitaria scritta
Prime riflessioni
di Elena Ioriatti Ferrari

12.0. Introduzione

La norma comunitaria scritta costituisce il risultato di un procedimen-


to di redazione complesso   1.
Questa complessità è riconducibile in primo luogo al­l’assenza di
un’attribuzione funzionale unitaria del potere normativo comunitario
ad una specifica istituzione: nel­l’ambito del c.d. «Primo pilastro» il
potere normativo è condiviso tra dal­la Commissione e dal Consiglio,
unitamente al Parlamento europeo   2. La «funzione legislativa»   3 comu-

1
A. Vedaschi, Istituzioni europee e tecnica legislativa, Giuffrè, Milano, 2001;
P. Raworth, The legislative process in the European Community, Deventer - Boston,
Kluwer Law Taxation Publisher, 1993; T.C. Hartley, The foundations of European
Community law, Oxford, Oxford University Press, 2003; M. Westlake - D. Gal­
loway, The Council of the European Union, London, John Harper Publishing, 2006.
2
Organi consultivi sono inoltre il Comitato Economico Sociale e il Comitato
del­le Regioni. Al­la Banca Centrale Europea (art. 266 ss. TCE) è inoltre attribuita
competenza di iniziativa normativa che attiene al­la «Unione economica e mone-
taria» (art. 266 ss. TCE). Accanto al­le istituzioni al­le quali i Trattati attribuiscono
formalmente la funzione legislativa, deve essere inoltre annoverata la Corte di
Giustizia del­le Comunità europee, per l’importanza del ruolo assunto non solo
nel­l’attuazione, ma altresì nel­la creazione del diritto comunitario: A. Barav, Om-
nipotent Courts, in D. Curtin - T. Heukels, Institutional dynamics of European
integration. Essay in honour of Henry G. Schermers, Dordrecht - Boston - London,
Martinus Nijhoff Publisher, 1994.
3
Critico nei confronti di una struttura del potere legislativo che avrebbe
perso l’iniziale connotazione di separazione dei poteri federale: R. Schütze, The

261
Elena Ioriatti Ferrari

nitaria è quindi il risultato di una dinamica col­laborazione tra poteri,


orientata verso l’adozione di atti normativi   4.
Al­l’assenza di un’attribuzione unitaria del potere normativo è
inoltre ricondotta la mancanza di una procedura unica per l’adozione
degli atti comunitari; il modo di produzione del diritto comunitario
secondario si può infatti articolare in cinque differenti procedimenti
decisionali, ognuno dei quali riflette il diverso modo di atteggiarsi dei
rapporti fra le tre istituzioni che compongono il c.d. Triangle Institu-
tionnel   5. Ad oggi, la procedura più utilizzata è la codecisione, il cui
potenziamento costituisce il risultato del­lo sforzo di coinvolgere il
Parlamento europeo nel procedimento normativo con funzioni non
solo consultive, ma decisionali. Questa scelta, di carattere democrati-
co, ha però accresciuto ulteriormente la complessità del­la procedura
di redazione soprattutto del­le direttive e dei regolamenti, aggiungen-
do al già complicato iter redazionale comunitario nuove fasi e nuovi
attori.
Fornire un quadro dettagliato degli innumerevoli passaggi ai quali
è sottoposto il testo normativo dal­l’iniziativa del­la Commissione al­
l’approvazione in Consiglio esula dal­lo scopo di questo lavoro. Basti
qui segnalare un dato temporale: il completamento del­la sola fase di
redazione di una proposta normativa da parte del­la Commissione può
durare alcuni anni   6.
Un ulteriore elemento di complessità del­la produzione normativa
comunitaria dipende dal fatto che essa non avviene su base consen-
suale, bensì istituzionale   7 ed è quindi spesso svincolata dal consenso

morphology of legislative power in the European Community: legal instruments and


the federal division of powers, in P. Eeckhout - T. Tridimas (eds.), Yearbook of
European law, Oxford, Oxford University Press, 2006, 148 ss.
4
Identifica il legislatore europeo nel­l’ambito dei rapporti dialettici tra «or-
gani legislativi parziali» B. Nabli, La figure du législateur de l’Union européenne,
Revue française de Droit Constitutionel (2007), 696.
5
Il parere conforme, la procedura di consultazione, la cooperazione. La
concertazione, introdotta con la Dichiarazione comune del Parlamento europeo,
del Consiglio e del­la Commissione del 4 marzo 1975, ad oggi è sostanzialmente
assorbita dal­la codecisione. R. Corbett - F. Jacobs - M. Shackleton, The European
Parliament, London, John Harper Publishing, 2005.
6
Raworth, The legislative process in the European Community cit., 30.
7
Scannicchio, Il diritto privato europeo nel sistema del­le fonti, in N. Lipari (a
cura di), Trattato di diritto privato europeo, I, Padova, Cedam, 2003,100.

262
Linguismo euruniònico e redazione della norma comunitaria scritta

di tutti gli Stati partecipanti   8. A differenza del diritto internaziona-


le, la norma comunitaria scritta è il prodotto degli stessi organi del­
l’Unione e non l’oggetto di una Convenzione tra Stati. Ciò nonostan-
te, l’ordinamento comunitario è ancora dominato da logiche tipiche
del­l’ordinamento internazionale   9, le cui conseguenze si ripercuotono
sul contenuto del­la norma.
Come in ambito internazionale, anche nel contesto comunitario
i delegati degli Stati membri percepiscono il proprio ruolo come una
funzione diplomatica, piuttosto che legislativa   10. Obiettivo principale
dei delegati/redattori del­la norma non è quindi l’accordo sui contenu-
ti giuridici, sul futuro operativo del testo normativo; piuttosto, si per-
segue l’obiettivo di fissare sul­la carta il risultato del negoziato, inteso
come accordo politico sul­le frasi, sul­le parole. Come nel diritto inter-
nazionale, questa tecnica di redazione tiene poco conto del­la necessità
di riuscita del­la comunicazione del messaggio contenuto nel­la norma,
ossia del­la regola da applicare   11.
Nel­l’ambito del Consiglio i compromessi del­l’ultimo minuto,
particolarmente frequenti in alcune aree del diritto comunitario quali
l’ambiente o l’agricoltura, vengono così trasposti in testi formulati o
modificati frettolosamente e quindi a volte poco chiari   12; non è raro
che il compromesso stesso venga raggiunto grazie al­la formulazione
di un testo intenzionalmente vago, in modo da consentire al delegato
nazionale di dichiarare raggiunto l’obiettivo del proprio mandato.

8
Cfr. i casi nei quali le norme del Trattato richiedono non l’unanimità, ma
la maggioranza (semplice o qualificata). Ad esempio l’art. 95 TCE, che attribuisce
al­la Comunità europea la competenza a procedere al riavvicinamento del­le legisla-
zioni.
9
L. Sico, Il diritto del­l’Unione europea nei rapporti con il diritto internazio-
nale, in P. Fois - R. Clerici, I caratteri del diritto del­l’Unione Europea, Padova,
Cedam, 2007, 61.
10
T. Gal­las, EC-law between social message and record of agreement. How the
theory of legislation can contribute to the understanding practical problems of nego-
tiated law, in L. Wintgens - P. Thion - M. Carly (eds.), The theory and practice of
legislation: essays in legisprudence, Hants (England), Aldershot, 2005.
11
Ibidem.
12
R. Wainwright, Techniques of drafting European Community legislation:
problems of interpretation, Statute Law Review (1996), 12.

263
13.
Unione europea
Accesso al diritto e molteplicità del­le lingue
di Pascale Berteloot

La vita sociale, personale, commerciale, economica non si svolge più


unicamente a livel­lo di una regione o del­lo Stato, ma anche a livel­lo di
continente e a livel­lo mondiale.
L’accesso al diritto nazionale di ciascuno degli Stati membri del­
l’Unione europea e l’accesso al diritto europeo – che possono ancora
migliorare nel­l’ambito del­l’evoluzione del­le tecnologie – sembrano
realizzati. Il cittadino può accedere facilmente al­le norme, molte volte
anche al­la giurisprudenza del­l’Unione europea e nel suo Stato e nel­la
sua lingua. In questo contesto le esigenze attuali fanno riferimento al­
la qualità, leggibilità e comprensibilità del­le norme. Ciò vuol dire che
gli sforzi da parte del­lo Stato e del­l’amministrazione incaricata del­la
diffusione del diritto devono essere editoriali.
Adesso, in un mondo più globalizzato, i cittadini e i giuristi di
tutte le professioni hanno bisogno del­l’accesso ai diritti nazionali dei
vicini. Questo bisogno è nato negli ultimi anni ed è stato riconosciuto
in vari testi e con varie azioni.
I bisogni d’accesso ai diritti nazionali sono da sempre legati al­le
misure di recepimento del­le direttive di diritto comunitario, ma lo svi-
luppo del principio di sussidiarietà   1 dal­l’entrata in vigore del trattato
di Maastricht, che rileva l’importanza del diritto nazionale e la coope-
razione nei settori del­la giustizia e degli affari interni introdotta dal­lo

1
Art. 3 B, Trattato sul­l’Unione europea.

313
Pascale Berteloot

stesso trattato   2, da al­lora in crescita continua, hanno in gran parte


contribuito a porre nuove categorie di persone – giuristi o no  – di
fronte al­la necessità di accedere ai diritti degli altri Stati membri del­
l’Unione.
Queste necessità sono state espresse al­le riunioni di un gruppo di
lavoro del Consiglio del­l’Unione europea, il gruppo Informatica giuri-
dica, che riunisce due volte al­l’anno specialisti di tutti gli Stati mem-
bri in materia   3. Questo gruppo ha promosso lo sviluppo, da parte
del­l’Ufficio del­le pubblicazioni ufficiali del­le Comunità europee, del
sito N-Lex   4, stimolando una riflessione sul­l’accesso centralizzato al­la
giurisprudenza nazionale.
Secondo i termini stessi del sito, N-Lex è «un’interfaccia che per-
mette di accedere al­le banche dati ufficiali legislative di 23 Stati mem-
bri del­l’Unione europea […] N-Lex mette a disposizione un modulo
di ricerca uniforme, disponibile in 22 del­le lingue ufficiali del­l’UE».
È anche interessante rilevare che, nel corso degli ultimi mesi, il
Consiglio ha adottato una risoluzione ed una decisione che interes-
sano entrambe il settore del­l’accesso al diritto nazionale degli Stati
membri. Su invito del­la presidenza francese del­l’Unione europea nel
secondo semestre 2008, il Consiglio Competitività ha adottato nel­la
riunio­ne del 25 e 26 settembre 2008 del­le risoluzioni sul miglioramen-
to del­la regolamentazione   5; al punto 9 si auspica «la prosecuzione dei
lavori sul miglioramento del col­legamento tra EUR-Lex   6 e le banche
dati sul­le legislazioni nazionali degli Stati membri, quale reso possibile
da N-Lex»   7.
In un altro contesto, il Consiglio ha adottato nel dicembre 2008
una risoluzione sul­la creazione di una rete di cooperazione legislati-

2
Art. 29, Trattato sul­l’Unione europea.
3
Tutti i documenti di lavoro di questo gruppo sono nel sito ufficiale del
Consiglio nel registro pubblico sotto la voce «JURINFO»: http://www.consilium.
europa.eu, «Documenti».
4
Si veda http://eur-lex.europa.eu/n-lex/.
5
Si veda Comunicato Stampa del­la 2891a sessione, nel registro pubblico del
Consiglio, documento 12959/1/08 REV 1.
6
L’accesso diretto e gratuito al diritto del­l’Unione europea è disponibile nel
sito http://eur-lex.europa.eu.
7
Il documento adottato è disponibile nel registro pubblico del Consiglio sot-
to il numero 13148/08.

314
Unione europea: accesso al diritto e molteplicità delle lingue

va dei ministeri della giustizia   8 per la «promozione di una migliore


comprensione del­le leggi degli altri Stati membri» e per «potenziare
l’accesso al­le informazioni di cui dispongono i ministeri del­la giustizia
degli Stati membri del­l’Unione europea sul­la legislazione in vigore,
sui sistemi giudiziari e giuridici e sui grandi progetti di riforma giudi-
ziaria». La risoluzione prevede anche di rendere «accessibili i risultati
del­le ricerche di diritto comparato effettuate dai ministeri del­la giusti-
zia di ciascuno Stato».
Si aggiunga che spesso, a livel­lo dei Parlamenti nazionali, al mo-
mento del­la discussione di una riforma legislativa importante, sono
effettuati anche studi di diritto comparato.
La descrizione di questo contesto mostra quanto l’accesso al di-
ritto degli stati vicini sia ora richiesto. Al momento dei primi sviluppi
di N-Lex, quattro tipi di ostacoli erano stati identificati, di cui uno
era l’ostacolo linguistico   9. Le banche di dati nazionali sono sviluppate
nel­la lingua nazionale di uno Stato. Le lingue nazionali prese in consi-
derazione come lingue ufficiali del­l’Unione europea sono attualmente
23. Ritenendo che un utente di qualsiasi Stato membro può avere bi-
sogno di conoscere il diritto nazionale di qualsiasi altro Stato, si arriva
al­la necessità di gestire 506 combinazioni linguistiche.
Infatti, se N-Lex offre effettivamente un’interfaccia in tutte le lin-
gue ufficiali del­l’Unione, i risultati appariranno sempre nel­la lingua
del­la base nazionale. L’interfaccia plurilingue può facilitare la ricerca
secondo criteri formali quali la data o il numero di un atto, ma al­le
volte la ricerca per parola non potrà essere realizzata che nel­la lingua
del­la base. A titolo d’aiuto, l’utente di N-Lex ha accesso al thesaurus
Eurovoc   10 che descrive l’attività europea in tutte le lingue, ma – oltre
che poco sviluppato nel settore giuridico – quest’ultimo non è adatto
al­la ricerca in basi di diritto nazionale.

8
Gazzetta ufficiale del­l’Unione europea, C326, 20.12.2008, 1.
9
I tre altri ostacoli erano tecnici (relativi al­la stessa concezione di ciascuna
del­le banche dati nazionali), giuridici (la conoscenza del­le strutture giuridiche
elementari del diritto straniero è indispensabile) e documentari (i metadati docu-
mentari associati in ciascuno dei sistemi ai documenti divergono fortemente e non
permettono sempre l’utilizzazione degli stessi criteri di ricerca).
10
Si veda http://europa.eu/eurovoc/.

315
Pascale Berteloot

Per quanto riguarda i risultati di una ricerca, i più ottimisti ri-


tengono che a breve scadenza la traduzione automatica darà risultati
sorprendenti. Le nuove tecniche basate non sul­l’analisi linguistica
comparata, ma su calcoli statistici sono forse un’apertura. Esse però
sono basate sul trattamento di corpora di testi molto importanti che
saranno sempre più voluminosi e daranno risultati migliori per lingue
molto utilizzate rispetto a corpora inevitabilmente più ridotti in lingue
aventi un numero più ristretto di interlocutori   11.
Questi elementi bastano a dimostrare la complessità del­la que-
stione d’accesso ai diritti nazionali degli stati vicini, tanto più che
l’ostacolo è certamente linguistico, ma si noterà – come tutti quel­li
che hanno lavorato nel settore «lingua e diritto» sanno – che oltre
al­la conoscenza del­la lingua generale e del­la lingua di specialità, come
in ogni settore professionale, la comprensione esige in questo campo
anche una conoscenza del­le strutture e dei concetti di base del diritto
straniero. Il principio è dunque che senza conoscenza del­la lingua na-
zionale, l’accesso al contenuto di un sistema elettronico d’informazio-
ne giuridica di diritto straniero resta molto problematico.
Anche se nel caso di stati bi- o plurilingui   12 nei quali la legislazio-
ne esiste ed è diffusa in due o più lingue nazionali, il diritto è accessi-
bile in più d’una sola lingua, nel­la maggioranza dei casi la questione
resta insolubile, salvo conoscenza del­le lingue nazionali del­lo Stato di
cui si vuole consultare la legislazione e la giurisprudenza. Si può tut-
tavia pensare a proposte di soluzioni che potrebbero essere oggetto di
raccomandazioni a livel­lo politico.
La Svizzera ha sviluppato il suo sistema d’accesso al diritto in mo-
do multilingue, nel­le quattro lingue ufficiali del paese, cioè il tedesco,
il francese, l’italiano e il ladino, ma aggiungendo una lingua veicolare
comune e neutrale rispetto al­le lingue nazionali del­la Confederazione
elvetica, scelta anche per coloro che non parlano alcuna del­le lingue
nazionali, l’inglese   13.

11
Per un’informazione aggiornata in materia di traduzione automatica, si ve-
da Y. Wilks, Machine translation, its scope and limits, Springer 2009.
12
Ad es. il Belgio, con francese, olandese e tedesco, Malta con inglese e malte-
se e la Finlandia con finlandese e svedese.
13
Per il sito ufficiale sviluppato dal­le Autorità federali del­la Confederazione
svizzera, si veda http://www.admin.ch/ch/f/rs/rs.html.

316
14.
Il linguaggio giuridico
nel­la prospettiva
computazionale
di Daniela Tiscornia

14.1. Introduzione

Per quanto potenti ed in grado di trattare enormi masse di dati, la


capacità dei mezzi informatici di gestire efficacemente l’informazione
digitale è condizionata dal­le «barriere linguistiche» cioè dal­la possibi-
lità di raggiungere i contenuti al di là del­la formulazione linguistica, in
modo da trasformare i dati in conoscenza «comprensibile» ed elabo-
rabile dai programmi. Senza strumenti che consentano di catalogare,
selezionare ed interpretare la massa di dati distribuita dal­la rete, l’in-
formazione diventa ingestibile ed inutile, ne è prova l’enorme impiego
di risorse umane e finanziarie destinate al­l’iniziativa del cosiddetto
«web semantico».
Considerata la dimensione sociale del­l’informazione normativa,
per cui garantire la conoscenza significa da un lato accrescere la ca-
pacità conoscitiva del­l’utente, dal­l’altro soddisfare un più generale
obbligo di informazione che grava sul­le istituzioni statali, l’accesso ai
contenuti è un tema strategico anche per l’informatica giuridica. Nel
dominio del diritto il trattamento del­la conoscenza deve inoltre misu-
rarsi con la grande frammentarietà e disorganicità dei dati normativi
e con la necessità di garantirne l’autenticità e l’aggiornamento nono-
stante il rapido succedersi e stratificarsi del­le fonti.
Il Semantic Web adotta un approccio ‘cognitivo’, con lo scopo
di fondare la comunicazione su model­li di descrizione indipendenti
dal linguaggio e quindi formalizzati, ma in grado di cogliere la di-
mensione sociale nel­la formazione dei significati e quindi di trattar-

321
Daniela Tiscornia

ne gli aspetti pragmatici del linguaggio su cui basare la condivisio-


ne. Tale esigenza diventa determinante in un dominio come quel­lo
giuridico, dove i processi di interpretazione e applicazione del testo
normativo sono fattori costitutivi del­la conoscenza giuridica.
Va notato che gli approcci del­le tecnologie del­l’informazione, in
qualsiasi settore si col­lochino, sono caratterizzati da una prospettiva
pragmatica, dettata dal­la necessità di risolvere problemi ben indivi-
duati e definiti; questo può essere un vantaggio perché semplifica le
scelte metodologiche, valutate sul­la base dei risultati concreti piut-
tosto che sul­la base di assunzioni di partenza, e in ultima analisi può
fornire elementi interessanti di valutazione anche sul piano del­la
investigazione teorica.
Lo scopo di questo contributo è perciò di descrivere alcuni ap-
procci al­l’analisi del linguaggio del diritto destinato al trattamento
computazionale dei testi giuridici, in particolare mettendo in luce
il ruolo che i metodi ‘ontologici’ possono giocare per affrontare la
semantica giuridica. La nozione di ontologia applicata, emersa ne-
gli ultimi anni come elemento fondante di una teoria cognitiva e
computabile del significato, costituisce la vera novità nel settore in-
formatico per affrontare la gestione dei contenuti. L’obbiettivo è la
rappresentazione di significati condivisi, attribuiti agli elementi del­la
realtà fisica o sociale da una comunità di ‘consociati’, attraverso cui
diviene possibile la comunicazione, significati non necessariamente
univoci, né universalmente accettati. L’ingegneria ontologica studia
le assunzioni di significato che guidano la percezione del­la realtà, la
concettualizzazione individuale e la condivisione dei significati che
è implicita nei processi comunicativi, per riuscire così a trasferire
tale conoscenza nel­le macchine.

14.2. Linguaggio e diritto

Esiste una stretta connessione fra diritto e linguaggio, caratterizzata


dal­la coesistenza di due sistemi autonomi, ma strutturalmente affi-
ni: entrambi sono dotati di regole che sottostanno al­la costruzione
del sistema steso, ne guidano l’evoluzione e ne garantiscono la coe-
renza. Entrambi sono condizionati dal­la dimensione sociale in cui si

322
Il linguaggio giuridico nella prospettiva computazionale

col­locano, per cui fissano e definiscono il loro oggetto in relazione a


un contesto culturale e dinamico.
L’interrelazione fra linguaggio e diritto non è simmetrica, per-
ché esiste una stretta dipendenza del diritto dal­la sua espressione
linguistica: il diritto deve essere comunicato, e la trasmissione del­
le regole sociali e giuridiche passa in gran parte attraverso la loro
espressione scritta ed orale. Anche quando i comportamenti assur-
gono a regola esiste quasi sempre una fase di verbalizzazione che
ne consente l’identificazione o il riconoscimento; anche se il diritto
non può essere ridotto al linguaggio che lo esprime, nonostante ciò,
non può sfuggire al­la propria testualità.
Nei documenti giuridici convivono perciò due tipi di informa-
zioni semantiche associate agli elementi del testo, da un lato, «there
is ontological structuring in the form of a conceptual model of the
legal domain, consisting of a complex structure of concepts, forms
and abstraction from legal textual material», dal­l’altro «there is a
vocabulary of lexical items that lexicalize concepts, which are not
necessarily restricted to the legal domain, and are associated with
specific linguistic information»   1.
Ulteriore caratteristica del discorso giuridico è l’articolazione in
più livel­li: il linguaggio del diritto, con cui il legislatore enuncia il
diritto, ed il linguaggio dei giuristi, che parlano del diritto per stu-
diare, classificare comparare, e per elaborare norme individuali   2.
Tale struttura a più livel­li incide sul­le caratteristiche stilistiche del
discorso, sul­la tecnicità (maggiore nel linguaggio legislativo), sul­le
caratteristiche logiche, (il linguaggio dei giuristi è per, sua natura un
metalinguaggio), sul­la semantica, in particolare sul ruolo del­la giuri-
sprudenza nel­la assegnazione dei significati estensionali dei concetti
open textured.
La sovrapposizione fra linguaggio e conoscenza diventa cruciale
nei contesti multilingui, ove i complessi temi del­la traduzione giuri-

1
Peters - Sagri - Tiscornia (2006).
2
«L’elaborazione, l’interpretazione e l’applicazione del diritto hanno biso-
gno di operazioni di carattere diverso […] Il loro svolgimento implica da un lato
l’enunciazione del diritto, la quale avviene nel linguaggio del diritto, e dal­l’altro un
discorso sul diritto, che a sua volta avviene nel linguaggio dei giuristi» (Kalinowski
1965, 197).

323
Daniela Tiscornia

dica coinvolgono traduzione e comparazione   3 ed, a maggior ragione,


in ambito comunitario a causa del plurilinguismo istituzionale    4. Le
differenze tra i sistemi giuridici nazionali ed i moduli linguistici co-
munitari, generate dai complessi processi di mediazione linguistica
nel­la fase di redazione, hanno prodotto un linguaggio giuridico di-
plomatico, ‘contrattato’ tra i vari operatori, tale da garantire l’uni-
vocità dei significati espressi dal­le versioni ufficiali   5. Ciò si scontra
con le diversità che da sempre caratterizzano i sistemi giuridici eu-
ropei e comporta quindi lo stratificarsi di un linguaggio ‘europeo’,
spesso avulso dal linguaggio utilizzato nei testi giuridici nazionali.

14.3. L’analisi logica del linguaggio giuridico

Dal punto di vista del­le tecnologie del­l’informazione, l’obiettivo è,


come si è detto, squisitamente concreto: in primo luogo, consenti-
re al­l’utente di raggiungere le fonti di informazioni in modo pre-
ciso e completo, lasciandone l’interpretazione e la rielaborazione
al destinatario; in applicazioni più complesse, fornire conoscenza
rielaborata ed integrata attivando processi di ragionamento per la
soluzione di problemi specifici. Senza entrare in dettagli tecnici, si
è soliti ricondurre il primo filone ai temi del­l’information retrieval,
il secondo ai temi del­la rappresentazione del­la conoscenza. In en-
trambi i settori, l’analisi logica dei documenti giuridici gioca un ruo-
lo determinante.
L’analisi del lessico giuridico è volta al­la costruzione di reti ter-
minologiche concettualmente consistenti, organizzate in strutture
semanticamente coerenti con i contesti giuridici, utilizzate dai mo-

3
Per uno sguardo di insieme su un tema oggetto di vastissima letteratura,
si veda il numero monografico La traduzione di informazioni giuridiche, Ars In-
terpretandi, Annuario di Ermeneutica giuridica, Traduzione e Diritto 5 (2000),
Padova, Cedam. Agli aspetti di confronto ed integrazione fra comparatisti, on-
tologi e linguisti è dedicato il volume The multilingual complexity of European
law. Methodologies in comparison, ed. by G. Ajani, G. Peruginel­li, G. Sartor and
D. Tiscornia, Firenze, European Press Academy Publishing, 2007.
4
Rossi (2007).
5
Gal­las (2006).

324
Il linguaggio giuridico nella prospettiva computazionale

tori di ricerca per espandere concettualmente la ricerca indipenden-


temente dal­la formulazione linguistica del­le domande, in modo da
rintracciare contenuti affini o espressi in lingue diverse.
Sul piano del­la rappresentazione del­la conoscenza, l’analisi del
linguaggio ha come oggetto le strutture testuali dei documenti giuri-
dici, per identificare strutture linguistiche isomorfe ai model­li logici
di rappresentazione del­le norme, ad esempio, attraverso l’analisi dei
connettivi proposizionali fra enunciati legislativi   6 e la classificazio-
ne degli enunciati legislativi in base al­la funzione normativa   7. Altri
aspetti riguardano l’analisi del­la struttura narrativa dei testi per il
riconoscimento dei model­li argomentativi impliciti nel­le pronunzie
giudiziarie   8.
Sia nel­la costruzione dei lessici che nel­la formalizzazione di
schemi di ragionamento e di strutture retoriche, la metodologia per
il trattamento degli aspetti semantici è basata su strutture concet-
tuali a vari livel­li di formalizzazione, chiamate «ontologie».

14.4. L’approccio ontologico

Sul piano teorico, la moderna accezione di ontologia ha inizialmente


echeggiato il «metodo ontologico», come concepito dai filosofi clas-
sici, teso ad obiettivi ben più ambiziosi degli attuali, quali la spiega-
zione degli elementi costitutivi del­la realtà, attraverso lo sviluppo di
teorie che ne cogliessero l’essenza. La connotazione epistemologica è
stata poi progressivamente abbandonata a favore di una prospettiva
descrittiva; secondo Barry Smith   9: «L’ontologia descrittiva o realista
non cerca una spiegazione bensì una descrizione del­la realtà nei ter-
mini di una classificazione di entità che sia esaustiva … nel senso che
vi siano inclusi tutti i tipi di entità, compresi i tipi di relazioni con cui
le entità sono legate insieme».

6
Al­len (1958).
7
Biagioli (2007).
8
Mochales Palau - Moens (2008).
9
Smith (2003), 156.

325
15.
Referenti in testi
normativi  *
di Giuseppe Lorini

La véritable éloquence consiste à dire tout ce qu’il


faut, et à ne dire que ce qu’il faut.
La vera eloquenza consiste nel dire tutto e soltanto
ciò che deve essere detto.
(François de La Rochefoucauld)

15.0. Cinque specie di termini designativi


nei testi normativi

15.0.1. Il presente saggio si propone di indagare la referenza nei testi


normativi, esaminando un sottoinsieme dei termini che compaiono
nei testi normativi: i termini designativi   1.
In particolare, esaminerò i termini designativi che ricorrono in
un particolare testo normativo: la Carta dei diritti fondamentali del­
l’Unione europea [Charter of fundamental rights of the European
Union, Charte des droits fondamentaux de l’Union européenne, Charta
der Grundrechte der europäischen Union], proclamata a Nizza il 7 di-
cembre 2000.


* Il presente saggio è dedicato a Maria-Elisabeth Conte (Soest in Westfalen,
12 novembre 1935 - Pavia, 6 marzo 1998), esploratrice dei riferimenti anaforici,
nel decennale del­la sua scomparsa.
1
Ricordo che di «segni designativi nel linguaggio in uso normativo» parla
già Uberto Scarpel­li nel Contributo al­la semantica del linguaggio normativo, 1959,
1985, 119.

339
Giuseppe Lorini

15.0.2. Quali specie di «termini designativi» appaiono nel testo del­la


Carta dei diritti fondamentali del­l’Unione europea   2?
Nel testo del­la Carta, ho individuato almeno cinque differenti spe-
cie di termini designativi, che ho distinto in base al tipo di entità al­la
quale i termini si riferiscono.
Ecco le cinque specie:
(i) termini designativi di entità ontiche;
(ii) termini designativi di valori;
(iii) termini designativi di status deontici;
(iv) termini designativi di istituzioni;
(v) termini designativi di entità istituzionali.

15.1. Prima specie: termini designativi


di entità ontiche

15.1.0. La prima del­le cinque specie di termini designativi del­la Carta


consta dei termini designativi di entità ontiche   3.

15.1.1. Determinare se un termine sia designativo di un’entità ontica


è esso stesso un difficile problema filosofico. Accanto a termini uni-
vocamente designativi di entità ontiche, vi sono termini dei quali è
dubbio se designino entità ontiche.
Un termine univocamente designativo di un’entità ontica è il ter-
mine ‘età’ [age, âge, Alter], il quale ricorre nel­l’art. 21, 1:
(1) È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in partico-
lare, sul sesso, la razza, il colore del­la pel­le o l’origine etnica o
sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le con-

2
Mi avvarrò del­la ricerca sul linguaggio del­la Carta svolta da Paolo Di Lu-
cia nel saggio La carta dei diritti fondamentali. Linguaggio axiologico e linguaggio
deon­tico, 2003. Nel presente saggio, indago i termini designativi in testi normativi.
Per un’indagine, invece, dei verbi deontici in testi normativi, cfr. A.G. Conte, Va-
lori non-normativi di verbi deontici in testi normativi, 2007.
3
L’aggettivo ‘ontico’ (che appare nel­l’espressione «entità ontiche») ha una
trasparente etimologia: deriva dal secondo membro del sintagma greco tÕ Ôn (tò
ón) «ciò che è», l’«essente», secondo membro che è il neutro del participio pre-
sente del verbo e„m… «essere».

340
Referenti in testi normativi

vinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura,


l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la na-
scita, gli handicap, l’età [age, âge, Alter] o le tendenze sessuali.
Any discrimination based on any ground such as sex, race, colour,
ethnic or social origin, genetic features, language, religion or
belief, political or any other opinion, membership of a national
minority, property, birth, disability, age or sexual orientation shal­l
be prohibited.
È dubbio, invece, se il termine ‘corpo umano’ [human body, corps
humain, menschlicher Körper] (che appare nel­l’art. 3 del­la Carta) sia
propriamente un termine designativo di un’entità ontica.   4

15.2. Seconda specie: termini designativi di valori

15.2.0. La seconda del­le cinque specie di termini designativi del­la Car-


ta consta dei termini designativi di valori, dei termini designativi di
una ¢x…a (axía)   5.

15.2.1. La rilevanza dei termini designativi di valori per il linguaggio


del­la Carta appare già dal Preambolo, nel quale si legge:
(2) L’Unione si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità
umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà.
The Union is founded on the indivisible, universal values of
human dignity, freedom, equality and solidarity.
Qui appaiono quattro termini che non designano, ovviamente, entità
ontiche:
(i) ‘dignità umana’ [human dignity, dignité humaine, Würde des Men-
schen];
(ii) ‘libertà’ [freedom, liberté, Freiheit];

4
Cfr. G.M. Azzoni, L’arbitrarietà del corpo umano, 2003.
5
Dai termini designativi di valori (ad esempio, ‘libertà’), termini che sono
avalutativi, si distinguono i «termini valutativi» (ad esempio, ‘depravato’), o
axionimi, nel­la terminologia di Maria-Elisabeth Conte (Deissi testuale ed anafora,
1981, 1988, 23).

341
Giuseppe Lorini

(iii) ‘uguaglianza’ [equality, égalité, Gleichheit];


(iv) ‘solidarietà’ [solidarity, solidarité, Solidarität].

15.2.2. Ma che cosa designano al­lora questi quattro termini? La na-


tura del­le entità al­le quali queste quattro espressioni si riferiscono è
esplicitata già dal testo stesso del­la Carta: si tratta di valori («valori
indivisibili e universali»).
Questi quattro termini sono, quindi, termini che designano valori:
rispettivamente il valore del­la dignità umana, il valore del­la libertà, il
valore del­l’uguaglianza, il valore del­la solidarietà.

15.3. Terza specie: termini designativi di status deontici

15.3.0. La terza del­le cinque specie di termini designativi del­la Carta


consta dei termini designativi di status deontici   6.
Tre esempi di status deontici sono: il divieto d’accesso ai non ad-
detti ai lavori, l’obbligatorietà del­l’azione penale, il dovere di pagare
le decime.

15.3.1. Esaminiamo ora l’art. 9 del­la Carta:


(3) Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono ga-
rantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio.
The right to marry and the right to found a family shal­l be guaran-
teed in accordance with the national laws governing the exercise
of these rights.
Che cosa designa il sintagma ‘il diritto di sposarsi’ [the right to marry,
le droit de se marier, das Recht, eine Ehe einzugehen]?
Il sintagma ‘il diritto di sposarsi’ non designa ovviamente né
un’en­tità ontica, né un valore. Ciò che il sintagma ‘il diritto di sposar-
si’ designa è uno status deontico.
Gli status deontici sono «gli análoga [deontici] dei fatti (ossia gli
obblighi, i divieti […])», cioè gli stati di cose deontici    7.

6
Il termine ‘deontico’ deriva dal secondo membro del sintagma greco tÕ
dšon (tò déon) «ciò che è necessario», «ciò che si deve».
7
A.G. Conte, Studio per una teoria del­la validità, 1970, 1989, 62. In que-
sto saggio, Conte indaga quali siano le entità che possono fungere da referenti del

342
16.
Xenonimía Sinonimía
Sinsemía
di Amedeo Giovanni Conte

Dwuznaczności płodza̧ wiele znaczeń.


I doppi sensi generano molti significati.
(Stanisław Jerzy Lec)
Gdy dwuznaczniki traca̧ jedno znaczenie, nie znacza̧ nic.
Quando le parole a doppio senso ne perdono uno,
non significano nul­la.
(Stanisław Jerzy Lec   1)

16.0. Prologo: tre tesi sul rapporto tra linguaggio


e pensiero (tre tesi sul­le funzioni del linguaggio)

Vi sono due tesi, antitetiche, sul rapporto tra linguaggio e pensiero.


(i) Prima tesi: Il linguaggio serve a manifestare il pensiero.
(In altri termini: Funzione del linguaggio è manifestare il pen­
siero)   2.
(ii) Seconda tesi: Il linguaggio serve (non: a manifestare il pensiero,
ma:) a nascondere/occultare (déguiser) il pensiero.
(In altri termini: Funzione del linguaggio è occultare il pensiero)   3.

1
Stanisław Jerzy Lec (Lwów, 1909 - Warszawa, 1966), Myśli nieuczesane
wszystkie, redakcja i posłowie Lidia Kos´ka, Warszawa, Noir sur Blanc, 2007; tr.
it. dal polacco P. Marchesani (a cura di), Stanisław Jerzy Lec, Pensieri spettinati,
Milano, Bompiani, 1984, 1992².
2
La prima tesi (Il linguaggio serve a manifestare il pensiero) è documentata
in Molière (Jean-Baptiste Poquelin [Paris, 1622 - Paris, 1673]).
3
La seconda tesi (Il linguaggio serve a nascondere, a déguiser il pensiero) è
documentata in Voltaire (François-Marie Arouet [Paris, 1694 - Paris, 1778]).

353
Amedeo Giovanni Conte

Sono due tesi antitetiche (manifestare vs. nascondere). Ma esse non


esauriscono le possibilità. Tertium datur. Il tertium è la mia tesi:
(iii) Terza tesi (di Amedeo Giovanni Conte): il linguaggio serve (non:
a manifestare il pensiero, non: a nascondere il pensiero, ma:) a na-
scondere l’assenza di pensiero.
(In altri termini: Funzione del linguaggio non è: manifestare il
pensiero, non è: nascondere il pensiero; ma: nascondere l’assenza di
pensiero).

16.1. La triade: xenonimía, sinonimía, sinsemía


. .
Duzo rzeczy nie powstało z niemozności ich nazwania.
Molte cose non sono venute ad esistenza
per impossibilità di dare ad esse un nome.
(Stanisław Jerzy Lec   4)

16.1.1. Xenonimía [Xenonymie; xenonymy; xénonymie]

Chiamo xenonimo (in tedesco: Xenonym; in inglese: xenonym; in


francese: xénonyme) ogni termine il quale ne traduca un altro; ogni
termine il quale (secondo almeno un dizionario bilingue) sia tradu-
cente [ustreznica, traduzione] di un termine di una lingua straniera   5.
Date due lingue (una lingua l1 e una lingua straniera l2: l1 è la lin-
gua a qua, la lingua dal­la quale si traduce; l2 è la lingua ad quam, la lin-
gua straniera nel­la quale si traduce)   6, chiamo xenonimo d’un termine
t1 di l1 ogni termine t2 di l2 il quale sia (secondo almeno un dizionario
bilingue) una traduzione (un «traducente», una ustreznica) di t1 dal­la
lingua l1 al­la lingua l2.
Chiamo xenonimía (in tedesco: Xenonymie; in inglese: xenonymy;
in francese: xénonymie) la relazione diadica tra due termini t1 e t2 di

4
Lec, Myśli nieuczesane wszystkie cit.
5
Io uso le virgolette semplici: ‘ ’ solo per indicare che ciò che esse includono
è in suppositione materiali. In tutti gli altri casi, io uso le virgolette doppie: « ».
6
Il sintagma ‘lingua a qua’ exempla il sintagma ‘terminus a quo’; il sintagma
‘lingua ad quam’ exempla il sintagma ‘terminus ad quem’.

354
Xenonimía sinonimía sinsemía

due lingue (una lingua a qua l1 e una lingua straniera ad quam l2) il
secondo dei quali (t2: il «traducente») sia (in un dizionario bilingue)
una traduzione del primo (t1: il «traducendo»)   7.
Xenonimo è un concetto relazionale, un concetto-di-relazione: nes-
sun termine è, in assoluto, uno xenonimo. Ogni xenonimo è xenonimo
in relazione ad un altro termine. ‘Xenonimo’ equivale a ‘xenonimo-di’.
L’etimo di ‘xenonimía’ [Xenonymie; xenonymy; xénonymie] e di
‘xenonimo’ [Xenonym; xenonym; xénonyme] è trasparente:
(i) xšnoj (xénos) «straniero» (cfr. ‘xenofobia’, ‘xenoglossia’);
(ii) Ônuma (ónyma) vel Ônoma (ónoma) «nome» (cfr. ‘omonimia’, ‘sino-
nimía’, ‘pseudonimo’)   8.
Ecco cinque esempi di xenonimía:
(i) Il sostantivo polacco prawo è uno xenonimo polacco (una ustrez-
nica polacca) del sostantivo finnico oikeus;
(ii) il sostantivo polacco prawda è uno xenonimo polacco del sostanti-
vo russo истина (istina);
(iii) il sostantivo polacco sprawiedliwość è uno xenonimo polacco del
sostantivo tedesco Gerechtigkeit;

7
La xenonimía (l’essere un termine xenonimo di un altro termine) è questio-
ne puramente fattuale: è questione puramente fattuale se almeno un dizionario
bilingue (ad esempio, il dizionario bilingue polacco-francese: K. Kupisz - B. Kiel-
ski, Podrȩczny słownik francusko-polski, Warszawa, Wiedza Powszechna, 1987)
indichi il termine polacco prawda come xenonimo del termine francese vérité. Il
termine prawda è effettivamente indicato come xenonimo del termine vérité, e pre-
cisamente al­la p. 887. Analogamente, è questione puramente fattuale se almeno un
dizionario bilingue (ad esempio, il dizionario bilingue tedesco-inglese: K. Wildha-
gen  - W. Hérancourt, Englisch-Deutsches Deutsch-Englisches Wörterbuch / Eng-
lish-German German-English Dictionary, Wiesbaden - London, Brandstetter - Al­
len and Unwin, 1972) indichi (così come indica: cfr. vol. I, p. 87) il termine tedesco
Buch come xenonimo del termine inglese book.
8
Sia i sostantivi ‘xenonimía’, Xenonymie, xenonymy, xénonymie, sia i so-
stantivi xenónimo, Xenonym, xenonym, xénonyme, sono neologismi di Amedeo
Giovanni Conte. Talvolta, gli xenonimi sono chiamati «traducenti». Ignoro a chi
risalga l’uso di ‘traducente’ per «xenonimo», e di ‘traducenza’ per «xenonimía».
Giulio Ciro Lepschy propone di chiamare «il traducendo» il termine, del qua-
le uno xenonimo è, appunto, xenonimo («traducente»). (Testimonianza di Jac-
queline Visconti). Il sostantivo (maschile) italiano ‘traducente’ è tradotto con il
sostantivo (femminile) sloveno ustreznica (vocabolo proparossitono: ustréznica)
in D.F. Bajc, Sloveno. Dizionario compatto Sloveno-Italiano Italiano-Sloveno, Bolo-
gna, Zanichel­li, 2005, sezione Italiano-sloveno, voce «traducente», 480.

355
gli autori

Gianmaria Ajani è professore ordinario di Diritto privato comparato


nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Torino, dove inse-
gna anche Diritto cinese. È curatore del Legal Taxonomy Syllabus, un
dizionario semantico plurilingue in materia di diritto dei consumatori.
Ha pubblicato numerose monografie e saggi in tema di diritto e lingua,
trapianto di norma, riforma giuridica e trasformazione economica. È
direttore (con A. Benacchio) del Trattato di diritto privato dell’Unione
Europea (Torino, Giappichelli).
Università degli Studi di Torino, Facoltà di Giurisprudenza, Diparti-
mento di Scien­ze giuridiche.
e-mail: gianmaria.ajani@unito.it.

Pascale Berteloot è stata Chef d’Unité alla Corte di Giustizia delle Co-
munità europee dal 1995 e attualmente all’Ufficio delle Pubblica­zio­
ni dell’Unione europea, lavorando sempre in domini relativi al trat-
tamento del multilinguismo e dell’informatica giuridica. Relatrice in
molti congressi internazionali, è autrice di diverse pubblicazioni su
questi temi.
Office for Official Publications of the European Communities, Lux-
embourg.
e-mail: pascale.berteloot@publications.europa.eu.

Pierluigi Chiassoni è professore ordinario di Filosofia del diritto nel­­


l’Uni­versità di Genova. Tra le pubblicazioni più recenti: Tecnica del­

371
Gli Autori

l’interpretazione giuridica (Bologna, Il Mulino, 2007); L’indirizzo ana­


litico nella filosofia del diritto. I. Da Bentham a Kelsen (Torino, Giap­
pichelli, 2009).
Università Università degli Studi di Genova, Dipartimento di Cultura
giuridica Giovanni Tarello.
e-mail: pierluigi.chiassoni@unige.it.

Amedeo Giovanni Conte è libero docente all’Università di Torino;


professore all’Università di Pavia, socio dell’Accademia Nazionale dei
Lincei (Classe di Scienze morali), Roma; socio dell’Istituto Lombardo.
Accademia di Scienze e Lettere (Classe di Scienze morali), Milano; so-
cio fondatore dei Seminari filosofici internazionali di Sant’Alberto di
Butrio; socio fondatore del Centro di Filosofia sociale dell’Università
di Pavia. Tra il 1957 ed il 2009 (se si computano non solo le opere
originali, ma anche le riedizioni, le traduzioni, le recensioni) ha pub-
blicato più di 350 entità bibliografiche, tra cui: Filosofia del linguaggio
normativo. Studi (Torino, Giappichelli, 1989-2001, 3 voll.); Filosofia
del­l’ordinamento. Studi 1957-1968 (Torino, Giappichelli, 1997); Res
ex nomine (Napoli, Editoriale Scientifica, 2009).
Università degli Studi di Pavia; Accademia dei Lincei, Roma.
e-mail: conte@unipv.it.

Paolo Di Lucia è professore ordinario di Filosofia del diritto all’Uni-


versità degli Studi di Milano. Dal 2006 è coordinatore del Dottorato
di ricerca in Filosofia del diritto dell’Università degli Studi di Milano
e professore invitato alla Facoltà di Teologia di Lugano. È autore, tra
l’altro, di: Deontica in von Wright (Milano 1992); L’universale della
pro­messa (Milano 1997); Normatività. Diritto linguaggio azione (To-
rino 2003); Ricerche di filosofia del diritto (Torino 2006). È curatore,
tra l’altro, di: Il linguaggio del diritto (con Uberto Scarpelli, Milano
1994); Nomografia. Linguaggio e redazione delle leggi (Milano 1995);
Filosofia del diritto (Milano 2002); Assiomatica del normativo (Milano
2009).
Università degli Studi di Milano, Istituto di Filosofia e sociologia del
diritto.
e-mail: dilucia@fildir.unimi.it.

372
Gli Autori

Silvia Ferreri è professore ordinario di Diritto comparato presso la


Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Torino dove insegna il
corso di Sistemi giuridici comparati e Anglo-american Law. In prece-
denza ha insegnato a Venezia (Facoltà di Economia) e ad Alessandria,
per l’Università del Piemonte orientale. Ha pubblicato alcune mono-
grafie in materia di tutela del diritto di proprietà, sull’interpretazione
del contratto, in relazione al contratto di vendita e sulle fonti del dirit-
to extra-nazionali. Siede nel direttivo dell’Association Henri Capitant
des amis de la culture française ed è socia dell’International Academy
of Comparative Law. Nel 2008 è stata Visiting Professor negli USA,
presso la Law School della Lousiana State University di Baton Rouge.
Università degli Studi di Torino, Facoltà di Giurisprudenza, Diparti-
mento di Scienze giuridiche.
e-mail: silvia.ferreri@unito.it.

Mario Garavelli è stato magistrato in Pretura, Tribunale, Corte d’Ap-


pello e Corte di Cassazione; presidente del Tribunale di Torino fino
al 2000 e della Corte d’Appello di Genova fino al termine del 2002. È
stato relatore in numerosi importanti processi penali per terrorismo e
criminalità organizzata, occupandosi, in Cassazione, di procedimen-
ti di rilevanza nazionale, quale il processo per l’omicidio Ambrosoli
a carico di Michele Sindona. Tra le sue pubblicazioni si segnalano i
volumi: Connessione, riunione e separazione dei procedimenti (Milano,
Giuffrè, 1989); Il sequestro nel processo penale (Torino, UTET, 2002);
Ma cos’è questa giustizia? Luci e ombre di un’istituzione contestata (Ro-
ma, Editori Riuniti, 2003). In collaborazione con G.C. Caselli: Droga:
in nome della legge (Torino, EGA, 1990) e L’attività antidroga della
polizia giudiziaria (Torino, Utet, 1991).
Già presidente della Corte d’Appello di Genova.

Riccardo Guastini è professore di Diritto nella Facoltà di Giurispru-


denza di Genova. È stato Visiting Professor in diverse università stra-
niere (Francia, Spagna, USA) e relatore in molti congressi internazio-
nali. Nel corso degli anni, si è occupato di filosofia politica, teoria
generale del diritto, metodologia giuridica, e teoria costituzionale.
In­segna attualmente Filosofia del diritto e Tecniche dell’interpre-
tazione. Ha pubblicato tra l’altro: Dalle fonti alle norme (1992); Le

373
Gli Autori

fonti del diritto e l’interpretazione (1994); Distinguendo. Studi di teoria


e metateoria del diritto (1996); Teoria e dogmatica delle fonti (1998);
L’interpretazione dei documenti normativi (2004).
Università degli Studi di Genova, Dipartimento di Cultura giuridica
Giovanni Tarello.
e-mail: r.guastini@unige.it.

Elena Ioriatti Ferrari è ricercatrice in Diritto privato comparato pres-


so la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Trento,
dove insegna Sistemi giuridici comparati e Traduzione giuridica. È
responsabile scientifico del progetto Lingua e Diritto presso la mede-
sima facoltà. Collabora con le Istituzioni comunitarie come docente
nell’ambito del programma di formazione dei funzionari comunitari
ed esperto nominato dalla Commissione europea nell’ambito della
Re­te di Eccellenza dell’Italiano Istituzionale. È autrice della monogra-
fia Codice Civile Europeo. Il dibattito, i modelli, le tendenze (Padova,
Cedam, 2006) oltre che di saggi sul tema della traduzione giuridica
in diverse lingue e curatrice di tre volumi collettanei, tra i quali Inter-
pretazione e traduzione del diritto (Padova, Cedam, 2008).
Università degli Studi di Trento, Dipartimento di Scienze giuridiche.
e-mail: ioriatti@jus.unitn.it.

Iørn Korzen dopo diversi anni di insegnamento di Linguistica italiana


nelle università di Odense e di Copenaghen, è attualmente professo-
re ordinario alla Copenhagen Business School, dove è responsabile
del Dipartimento di Italiano. Nel 1996 ha ottenuto la libera docenza
con la dissertazione L’articolo italiano fra concetto ed entità (études
Romanes 36, Copenaghen, Museum Tusculanum). È autore di più di
cento saggi linguistici, ultimamente con particolare riguardo ad aspet-
ti tipologici, sintattici e pragmatici della strutturazione testuale, ed è
autore e (co-)redattore di una serie di miscellanee e monografie su
simili ed altri argomenti. Fra le miscellanee, che sono anche atti di
seminari italo-danesi organizzati in Italia, vanno menzionate: Per una
linguistica della traduzione (con Carla Marello, Alessandria, Edizioni
dell’Orso, 2000); Tipologia linguistica e società (con Paolo D’Achille,
Firenze, Franco Cesati, 2005) e Lingue, culture e testi istituzionali (con
Cristina Lavinio, Firenze, Franco Cesati, 2009). Nel biennio 2002-

374
Gli Autori

2004 è stato presidente della Società Internazionale di Linguistica e


Filologia Italiana.
Copenhagen Business School, Istituto di Studi internazionali di Cul-
tura e Comunicazione.
e-mail: ik.ikk@cbs.dk.

Giuseppe Lorini è dal 2005 professore associato di Filosofia del diritto


presso l’Università di Cagliari. È autore dei seguenti tre libri: Dimen-
sioni giuridiche dell’istituzionale (Padova, CEDAM, 2000); Il valore
logico delle norme (Bari, Adriatica, 2003); Atto e oggetto. Contribu-
to alla Filosofia del diritto (Torino, Giappichelli, 2008). È coautore
(con
. Amedeo G. Conte, Paolo Di Lucia, Antonio Incampo, Wojciech
Zełaniec) di: Ricerche di Filosofia del diritto, a cura di Lorenzo Passe-
rini Glazel (Torino, Giappichelli, 2007). Ha curato, inoltre, il volume
Atto giuridico (Bari, Adriatica, 2002).
Università degli Studi di Cagliari, Dipartimento di Diritto pubblico e
Studi sociali.
e-mail: lorini@unicat.

Bice Mortara Garavelli è professore emerito di Grammatica italiana


nell’Università di Torino. È accademica della Crusca e socia dell’Ac-
cademia delle Scienze di Torino. Tra i suoi libri più recenti: Le parole
e la giustizia. Divagazioni grammaticali e retoriche su testi giuridici ita-
liani (Einaudi, Torino, 2001); Manuale di retorica (Milano, Bompiani,
2008, XI edizione); Prontuario di punteggiatura (Roma - Bari, Laterza,
2009, XII edizione). Ha curato, oltre all’edizione di opere di Daniello
Bartoli, i volumi: Parafrasi. Dalla ricerca linguistica alla ricerca psicope-
dagogica, in collaborazione con Lucia Lumbelli (Alessandria, Edizioni
dell’Orso, 1999); Storia della punteggiatura in Europa (Laterza, Ro-
ma - Bari, 2008).
Professore emerito, Università degli Studi di Torino; Accademia della
Crusca, Firenze.
e-mail: bice.mortara@unito.it.

Giovanni Rovere insegna Linguistica italiana all’Istituto di Linguistica


generale e applicata dell’Università di Heidelberg. Si occupa di varie-
tà dell’italiano e di (meta)lessicografia. È autore di: Testi di italiano

375
Gli Autori

popolare, prefazione di T. De Mauro (Roma, CSER, 1977); Il discorso


omiletico (Roma, CSER, 1982); Un’autobiografia popolare del primo
Ottocento (Torino, Il Punto, 2002 [19921]); Capitoli di linguistica giu-
ridica (Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2005). È coautore del Wörter-
buch der italienischen Verben (Stuttgart, Klett, 1998) e del Dizionario
idiomatico tedesco italiano (Bologna, Zanichelli, 2009). Ha collaborato
al Dizionario di italianismi in francese, inglese, tedesco (Firenze, Ac-
cademia della Crusca, 2008). Collabora al Dictionary of Lexicography
and Dictionary Research (Berlin, De Gryuter).
Università di Heidelberg, Neuphilologische Fakultät.
e-mail: giovanni.rovere@urz.uni-heidelberg.de.

Rodolfo Sacco, professore emerito dell’Università di Torino, è rico-


nosciuto caposcuola del diritto privato comparato. Più volte presi-
dente di associazioni internazionali di diritto comparato, membro
dell’Accademia dei Lincei, è stato tradotto in molte lingue. Tra i
suoi libri: Introduzione al diritto comparato (Torino, Giappichelli),
Sistemi giuridici comparati (con A. Gambaro, Torino, Utet), Il con-
tratto (con G. De Nova, Torino, Utet, 2004, III edizione, 2 voll.),
Antropologia giuridica (Bologna, Il Mulino). Dirige inoltre il Trattato
di diritto civile (Torino, Utet) ed il Trattato di diritto comparato
(Torino, Utet).
Professore emerito, Università degli Studi di Torino; Accademia dei
Lincei, Roma.

Marcello Soffritti, dal 1992 professore ordinario di Lingua e linguisti-


ca tedesca alla Scuola Superiore di Lingue moderne per Interpreti e
Traduttori dell’Università di Bologna (sede di Forlì) e coordinatore
del Dottorato di ricerca in Traduzione, Interpretazione e Intercultu-
ralità. Si occupa di linguistica contrastiva (con particolare riferimento
ai linguaggi specifici), teoria e analisi della traduzione (con particolare
riferimento alla comunicazione specialistica e multimediale), termino-
logia e applicazioni computazionali.
Università degli Studi di Bologna, Dipartimento di Studi interdiscipli-
nari su Traduzione, Lingue e Culture.
e-mail: marcello.soffritti@unibo.it.

376
Gli Autori

Daniela Tiscornia è dirigente di ricerca presso l’Istituto di Teoria e


Tecniche per l’Informazione giuridica di Firenze, organo del Con-
siglio Nazionale delle Ricerche, ove coordina il gruppo di ricerca
Ontologie giuridiche e trattamento automatico del linguaggio giuridi-
co. Le sue attività di ricerca si svolgono nel settore dell’informatica
giuridica, con un particolare interesse per l’utilizzo delle tecnologie
dell’informazione nell’analisi del linguaggio e nella modellazione della
conoscenza e del ragionamento giuridico. È coordinatore di progetti
di ricerca ed di iniziative a livello nazionale ed europeo relative a tali
tematiche, su cui ha ampiamente pubblicato.
Istituto di Teoria e Tecniche per l’Informazione giuridica del Consi-
glio Nazionale delle Ricerche.
e-mail: tiscornia@ittig.cnr.it.

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