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Proteine

Il legame peptidico ovvero un legame tra il gruppo amminico di un amminoacido e il gruppo


carbossilico dell'altro amminoacido, creato attraverso una reazione di condensazione con perdita
di una molecola d’acqua, è un legame che ha parziali caratteristiche di doppio legame per questo è
rigido e planare, e non può ruotare.
Polipeptide: catene polipeptidiche con un numero inferiore a 50 amminoacidi
Proteina: Catena polipeptidica con un numero superiore a 50 amminoacidi
In genere si effettua questa suddivisione anche se non è del tutto corretta perché non esiste
davvero un limite.

Più facile è invece classificare catene polipeptidiche costituite da pochi amminoacidi, detti
oligopeptidi. La funzione di una proteina è strettamente legata alla sua struttura tridimensionale
complessiva, detta conformazione nativa della proteina.
Le proteine possono essere suddivise in semplici quando sono costituite solo dalla componete
polipeptidica, e coniugate quando oltre alla componente polipeptidica è presente anche un
gruppo prostetico. Questo gruppo può avere varia natura: nelle lipoproteine, per esempio, sono
presenti componenti lipidiche, nelle glicoproteine possono essere legate molecole di carboidrati,
ecc.
Sono molecole complesse molto diverse fra loro perché la presenza di così tanti amminoacidi
diversi, che hanno caratteristiche distinte, fanno sì che ci sia una notevole variabilità strutturale.
Per quanto riguarda invece le funzioni possiamo parlare degli enzimi, catalizzatori che accelerano
le reazioni chimiche che avvengono all’interno delle cellule. Esistono anche proteine di regolazione
come gli ormoni, molecole segnale che vanno ad esercitare la loro funzione regolatoria attraverso
il sangue; ma abbiamo anche proteine di regolazione che lavorano all’interno della cellula stessa
per esempio per la regolazione dell’espressione genica e di altri processi.
Le proteine che fungono da trasportatori di sostanze di varia natura come l’emoglobina che
trasporta l’ossigeno nel sangue, quelli che si occupano di sostanze di natura idrofoba e i
trasportatori di membrana.
Proteine di riserva come la ferritina, che rappresenta il deposito del ferro nelle cellule o come la
mioglobina funge da deposito per l’ossigeno nei muscoli.
Proteine contrattili come l’actina e la miosina, la tubulina per il citoscheletro.
Proteine strutturali come il collagene, l’α-cheratina che costituisce i capelli, le unghie…
Proteine con funzione di difesa come le immunoglobuline, gli anticorpi o le proteine della
coagulazione del sangue.
Le proteine adattatrici funzionano all’interno delle cellule e consentono il collegamento tra
proteine diverse che altrimenti non potrebbero comunicare.

Le catene polipeptidiche che caratterizzano le proteine sono molto diverse tra loro arrivando a
costituire le proteine da diverse subunità.
Alcuni amminoacidi sono più o meno presenti in una proteina in base a quale proteina si sta
prendendo in considerazione.
Gli amminoacidi che presentano una catena laterale ionizzabile sono suddivisibili in acidi
(aspartato e glutammato) e basici (lisina, arginina, istidina). Questo perché in una catena
polipeptidica, nel momento in cui si formano i legami peptidici, le cariche elettriche del gruppo
carbossilico del gruppo amminico scompaiono, lasciando soltanto il gruppo amminico N-terminale
e il gruppo carbossilico C-terminale (questo discorso vale per i gruppi ionizzabili legati al carbonio
α). Quindi rimangono soltanto le cariche delle catene laterali.
Se si vuole estendere il concetto di punto isoelettrico degli amminoacidi alle proteine, si può dire
che il loro punto isoelettrico è quel valore di pH in cui la carica complessiva è pari a 0. Ma questo
significa che viene considerata la ionizzazione delle catene laterali. È evidente che, se prevalgono
gli amminoacidi basici, la proteina sarà anch’essa basica con un punto isoelettrico spostato su
valori di pH più alti e viceversa.
Struttura primaria:
E l’ordine con cui gli amminoacidi si susseguono all’interno della catena, che viene descritta a
partire dall’amminoacido N-terminale fino alla C-terminale. Prendiamo come esempio l’insulina
che è una proteina di dimensioni abbastanza ridotte perché presenta un’unica catena costituita da
circa 90 amminoacidi. Parte da una fenilalanina e si finisce con l’asparagina, quindi la struttura
primaria non è altro che la sequenza degli amminoacidi. Nella pro-insulina si nota che ci sono dei
legami S-S tra le catene laterali di cisteina che contengono gruppi SH nella catena laterale e che
tendono a reagire tra loro quando sono vicine. Nel processo di maturazione dell’insulina, la catena
della pro-insulina viene frammentata in più punti e distaccato un peptide che prende il nome di
peptide C. Perciò si forma l’insulina matura, formata dalla prima parte della pro-insulina e
dall’ultima parte della vecchia pro-insulina, rimuovendo perciò il peptide C. Queste due catene
sono unite tra loro dalla presenza di due legami disolfuro.
Il citocromo C è una proteina piccola che svolge la sua funzione nella catena di trasporto degli
elettroni nei mitocondri. E una proteina coniugata contenente un gruppo eme.
I residui invarianti si trovano per esempio in tutti il citocromo C di qualsiasi specie vivente perché
sono importanti per il mantenimento di certe funzioni della proteina. Altri invece cambiano in base
alle specie a cui appartengono.
Una catena polipeptidica può essere vista come il susseguirsi di piani peptidici rigidi che prendono
contatto tra loro attraverso gli atomi di carbonio alfa di ogni amminoacido e a causa del legame
peptidico l’unico movimento della molecola è a livello dei carboni alfa che consentono ai vari
piano peptidici di orientarsi in modo diverso fra loro. Se si prendono in considerazione due piani
peptidici adiacenti legati a livello del carbonio alfa, si vede che l’unica possibilità di rotazione
avviene solo lungo l’asse dei due legami del carbonio alfa e cioè quello tra il carbonio e l’atomo di
azoto del carbonio amminico la cui rotazione viene misurata attraverso l’angolo φ, e quello tra
carbonio alfa e il carbonio carbossilico che si misura con l’angolo ψ. Questi angoli vengono definiti
pari a 0° quando i due piano peptidici adiacenti si trovano sullo stesso piano, ma quando entrambi
sono 0 la disposizione dei due piani peptidici determina un conflitto spaziale tra l’atomo di
ossigeno legato al carbonio carbossilico del piano di sinistra e l’atomo di idrogeno legato all’azoto
del piano di destra. I due atomi saranno troppo vicini tra loro per poter coesistere e quindi questo
tipo di disposizione è soltanto teorica perché non può esistere per ragioni di ingombro sterico.
Esiste però anche un altro angolo relativo al legame peptidico detto angolo omega.
Struttura secondaria:
Da qui cominciano le cosiddette strutture superiori delle proteine, cioè quelle che ci permettono di
vedere in che modo la catena di dispone nello spazio. Facciamo riferimento a brevi tratti della
catena (struttura locale) che tendono ad organizzarsi in modo molto regolare. Gli elementi di
struttura secondaria possono ammettere valori di Φ e Ψ molto precisi con poche possibilità di
variazione.
Esistono due tipi di strutture secondarie:

 L’α-elica: è uno degli elementi più comuni che si trovano nelle proteine. Prevede che la
catena polipeptidica assuma un andamento elicoidale per un tratto più o meno lungo.
Esiste in due possibili forme, destrogira e levogira di cui è più comune la prima. In questa
struttura l’angolo Φ ha un valore intorno ai -60° mentre l’angolo Ψ ha un valore di -50°.
Gli andamenti elicoidali possono essere diversi tra loro per il numero di giri dell’elica, per la
vicinanza tra le spirali ecc.
Nel definire l’elica possiamo introdurre il concetto di passo che è la distanza tra due punti
in posizione analoga su due giri adiacenti dell’elica, in questo caso è di 5,4 A; un secondo
parametro è il numero di residui amminoacidici per ogni giro di elica, qui abbiamo 3,6
residui per giro; il terzo parametro è la distanza assiale tra due residui contigui e questa
distanza si ottiene dividendo il passo per il numero di residui (5,4 : 3,6 = 1,5A ).
Nella grande maggioranza delle proteine gli andamenti elicoidali sono tutti del tipo α-elica,
questo perché essa è molto stabile a causa dei legami a idrogeno tra i gruppi -CO di un
residuo qualsiasi della proteina (residuo i) e i gruppi -NH di un residuo a 4 amminoacidi di
distanza della catena (residuo i+4); in questo modo i due residui saranno uno sopra l’altro
nell’avvolgimento elicoidale.
Nella struttura ad α-elica tutti i piani peptidici sono orientati nello stesso modo perciò tutti i
dipoli danno una somma di dipoli; la parte carbossi-terminale avrà un addensamento di
carica negativa e la parte ammino-terminale avrà un addensamento di carica positiva. Per
questo motivo all’interno delle proteine, se si devono rilevare dei siti dove si legano gli
anioni fosfato, essi si trovano spesso nelle regioni ammino-terminali proprio perché lì è
presente un addensamento di cariche positive e perché si trovano catene laterali di
amminoacidi basici come lisina e arginina.
Nell’α-elica alcuni residui si trovano molto più spesso di altri come alanina, glutammato,
leucina e metionina. Quelli che invece non troviamo mai sono glicina e prolina, perché la
prima ha una catena laterale costituita da un solo atomo di idrogeno e per questo la catena
può assumere delle conformazioni molto varie a causa delle sue ridotte dimensioni; la
seconda invece è più rigida e quando forma il legame peptidico l’atomo di N risulta non
avere più idrogeni legati ad esso, perciò non può istaurare un legame a idrogeno.

 Foglietto-β: si basa sull’associazione di un’unità elementare che è il filamento-β. Esso


prevede la catena polipeptidica in forma abbastanza distesa con un andamento “up and
down”. I valori degli angoli torsionali fi e psi cadono nel riquadro in alto a sinistra del
grafico di Ramachandran, dove gli angoli Φ hanno un valore negativo intorno a -100° e gli
angoli Ψ hanno un valore positivo intorno a +130°. Questa struttura ha un passo di 7 A,
all’interno del quale si trovano due residui, quindi una distanza assiale pari a 3,5 A.
Esso però a differenza dell’α-elica è poco stabile, per stabilizzarsi è necessario che due
filamenti beta si associno tra loro. Le possibilità di associazione sono due: antiparallela (i
due filamenti decorrono in verso contrario uno rispetto all’altro) e parallela (i due filamenti
decorrono nello stesso verso). Il motivo di questa instabilità è dato dal fatto che, se due
foglietti si associano, si ha la formazione di legame a idrogeno (sempre tra i gruppi -CO e
-NH delle catene), che aiutano a stabilizzare la struttura come nell’α-elica.
Il foglietto-β, però, spesso è formato dall’associazione di più di due filamenti legati sempre
dai legami a idrogeno in cui spesso la condizione parallela e antiparallela coesistono, in
questo caso si parla di foglietto misto. Anche per il foglietto-β è possibile trovare degli
amminoacidi che si trovano più o meno facilmente. Quelli che spesso sono presenti sono la
treonina o la tirosina e anche in questo caso glicina e prolina non sono quasi mai presenti.

Nella struttura di una proteina foglietti-β e α-eliche si associano con delle porzioni della catena
che hanno una disposizione più disordinata e formano delle anse (o loop). Essi hanno una
lunghezza variabile, ed essendo disordinati, i valori degli angoli torsionali cambiano da un
amminoacido all’altro contenuto nel loop. Sono la parte della proteina che fluttua
maggiormente e, grazie a questo, le zone funzionali della proteina si trovano proprio in
prossimità dei loop. Ma i loop non sono sempre disordinati anzi, esistono dei tipi di anse che
hanno un certo ordine chiamati β-turn che sono dei brevi tratti formati da 4 residui
amminoacidici. In prossimità di questi la catena compie un cambio di direzione di 180°.
Esistono più tipi di β-turn, ma non è necessario analizzarli. Bisogna analizzare invece il grado di
ordine perché gli angoli torsionali sono sempre gli stessi e se prolina e glicina non si trovavano
mai nei casi precedenti, nei β-turn sono presenti quasi sempre. Questo perché la prolina
conferisce la giusta rigidità per effettuare il giro di 180°, mentre la glicina consente alla catena
di piegarsi ulteriormente.

Struttura supersecodaria:
È un tipo di struttura con caratteristiche intermedie tra la struttura secondaria e terziaria e che
coincide con i cosiddetti motivi strutturali. Essi sono delle combinazioni ricorrenti di elementi
fondamentali di struttura secondaria e possono essere diversi:

 Motivo elica-loop-elica: consiste nella presenza di una alfa elica che termina con un loop
che compie un movimento dello spazio e al termine del loop comincia un'altra alfa elica.
Questo motivo lo possiamo trovare per esempio nelle proteine che legano il DNA perché
questo motivo è in grado di consentire l’associazione tra la proteina e una molecola di
DNA.
 Motivo a mano EF: che a livello del loop ha delle condizioni favorevoli per legare lo ione
calcio, ha un loop abbastanza lungo identificabile dal dito medio della mano chiuso e i
filamenti da indice e pollice aperti.

 Motivo forcina-β: una struttura molto semplice che non assume alcun tipo di funzione, è
caratterizzata dalla presenza di β-turn che collega i due foglietti beta.

 Motivo beta-alfa-beta: i due filamenti beta sono sullo stesso piano mentre l’α-elica sta al
di sopra. Se associati in un certo modo formano una specie di botte, anche questa
struttura non ha nessuna funzione specifica.

 Motivo a chiave greca: foglietto beta antiparallelo dove i foglietti non hanno una
successione normale nel senso che gli ultimi due filamenti sono collegati da un’ansa più
lunga che porta il quarto filamento ad affiancarsi al primo piuttosto che al terzo.

Struttura terziaria:
È il ripiegamento nelle tre dimensioni dello spazio dell’intera catena polipeptidica. Una
certa quantità di proteine si fermano proprio alla struttura terziaria e sono quelle a singola
catena. È possibile suddividere le proteine con struttura terziaria in tre grandi classi:
 Proteine globulari:
Sono le più comuni, sono caratterizzate da un ripiegamento a gomitolo e sono anche
solubili. Qui la struttura tridimensionale viene stabilizzata attraverso l’interazione idrofoba,
cioè tutte le catene laterali idrofobiche tendono a sfuggire al contatto con l’acqua e quindi
tendono ad associarsi fra loro e a disporsi all’interno della struttura formando il cosiddetto
core idrofobo. Possiamo trovare anche interazioni di tipo dipolare che però hanno un
ruolo minimo.
Anche i legami disolfuro fanno parte della struttura terziaria, legame covalente molto
resistente anche se a volte in alcune proteine non si trovano, quelle che ne possiedono più
di uno però sono proteine molto stabili.
Le strutture terziarie sono caratterizzate anche dalla presenza di un Dominio proteico cioè
una regione globulare compatta strutturalmente indipendente dal resto della molecola.
Esistono anche delle proteine che hanno struttura terziaria e che sono a singolo dominio,
cioè una struttura globulare che non possiede zone indipendenti. Ma esistono singole
catene che hanno più domini che possono svolgere diverse funzioni, per esempio
strutturali. Questi domini si sono così caratterizzati nel corso dell’evoluzione che possono
trovarsi tra proteine molto diverse tra loro. Le proteine, da questo punto di vista, possono
essere considerate come degli elementi modulari perché certe parti della proteina sono
fatte così bene che possiamo ritrovarle in proteine completamente diverse che hanno solo
la necessità di svolgere lo stesso compito.
Le proteine possono essere classificate in base alla struttura secondaria che possiedono;
un metodo di classificazione è il cosiddetto SCOP (Structural Classification Of Proteins) che
individua 4 grandi classi di proteine:
le proteine tutte α che hanno una struttura secondaria esclusivamente ad alfa elica; le
proteine tutte β; le proteine in cui entrambe le tipologie di struttura secondaria
coesistono, proteine α/β; infine la variante della precedente viene detta α+β, qui i due tipi
di strutture tendono a rimanere separate.

 Proteine di membrana: immerse in ambiente idrofobo con caratteristiche peculiari


 Proteine fibrose: nelle quali la struttura terziaria si sviluppa lungo una sola dimensione
dello spazio. Proteine insolubili.
Struttura quaternaria:
Si parla di struttura quaternaria quando una proteina è costituita dall’associazione di due o più
catene polipeptidiche. Le singole catene polipeptidiche si ripiegano ed entrano in contatto tra
loro di solito attraverso interazioni idrofobiche. Le proteine provviste di struttura quaternaria
possono essere costituite da catene identiche in questo caso si parla di omomultimero; se le
catene sono due omodimero, se sono tre omotrimero e così via.
Se le catene che costituiscono la proteina sono diverse verrà chiamato eteromultimero, se le
catene sono due eterodimero ecc.
Per una proteina i vantaggi di possedere una struttura quaternaria sono diversi: avere una
maggiore stabilità, viene richiesta una quantità minore di DNA per codificare la stessa
proteina, possiede più siti catalitici nel caso degli enzimi e lo svolgimento delle funzioni
avviene attraverso fenomeni cooperativi che si basano su cambiamenti conformazionali,
quindi lo svolgimento delle funzioni viene facilitato e si hanno maggiori possibilità di
regolazione funzionale.
Una classe di proteine che si caratterizza per non possedere una struttura tridimensionale non
definita sono le proteine intrinsecamente disordinate; non possiedono il core idrofobo e sono
ricche di amminoacidi polari, di prolina (che porta disordine) e tendono a rimanere così anche
in soluzione. Ma la cosa interessante è che assumono una struttura ben precisa se
interagiscono con delle proteine partner consentendo dei fenomeni di regolazione molto
importanti nell’ambito dei processi fisiologici delle cellule.

Modificazioni post-traduzionali
Una volta che una proteina è stata sintetizzata a livello ribosomiale non è detto che possa
svolgere la sua funzione. A valle del processo di traduzione, la catena polipeptidica può essere
modificata attraverso una serie di reazioni che creano legami covalenti con molecole di altro
tipo.
Le modificazioni post-traduzionali covalenti (a volte reversibili) più importanti sono:
Fosforilazione e defosforilazione: rappresenta una delle modificazioni più importanti e consiste
nel trasferimento di un gruppo fosfato (preso dall’ATP) ad una proteina bersaglio. È un
processo reversibile perché il fosfato può essere staccato da un altro enzima, detto
fosfoproteina fosfatasi, in una reazione di defosforilazione. Tutto ciò è catalizzato da un
enzima chiamato proteina chinasi (PK). Le catene laterali degli amminoacidi presenti in una
catena che possono legare un gruppo fosfato, sono quelle che possiedono un gruppo -OH. Da
un lato si legano serina e treonina, dall’altro si lega la tirosina. Nella reazione catalizzata da
una proteina chinasi, un gruppo -OH, viene legato ad un residuo di uno di questi tre
amminoacidi e, per ogni gruppo fosfato legato, la proteina acquisisce cariche negative
determinando un cambiamento conformazionale della proteina. Il processo è reversibile
perché il gruppo fosfoestere può essere idrolizzato grazie alla fosfoproteina fosfatasi che
riporta la proteina al suo stato originale. In tutto questo si consuma una molecola di ATP per
ogni gruppo fosfato legato alla proteina. La proteina in forma fosforilata ha una
conformazione diversa rispetto a quella non fosforilata. Alla diversa conformazione, quindi,
corrisponde una diversa attività della proteina. In alcuni casi, la proteina non fosforilata può
essere inattiva e la forma fosforilata essere attiva, in altri casi accade il contrario. Gli enzimi in
grado di fosforilare le proteine sono due:

 Proteina chinasi (PK): trasferiscono il gruppo fosfato dall’ATP a due gruppi -OH di
serina o treonina. Es. PKA, PKB, PKC. Implicate nella regolazione del metabolismo.
 Tirosina chinasi (PTK): fosforilano residui di tirosina. Es. MAPK e recettore insulinico.
Implicate nei processi di accrescimento e divisione cellulare.
Ma esistono enzimi in grado di defosforilare le fosfoproteine:

 Fosfoproteina fosfatasi: agiscono su fosfoserina e fosfotreonina riportandole alle


condizioni di partenza. Es. PP2A, PP2B
 Fosfotirosina fosfatasi: agiscono su residui di fosfotirosina.
In entrambi i casi portano alla liberazione di un gruppo fosfato inorganico.

ADP-ribosilazione: è un processo che dipende dalla presenza del NAD. Può essere mono o poli, con
più gruppi ADPribosio legati alla proteina da modificare. La mono ADP-ribosilazione è una reazione
catalizzata da un’attività enzimatica che prende il nome di ADP ribosil-transferasi; in questo
processo il NAD viene scisso e il ribosio reagisce con una catena di arginina della proteina.
Il processo di poli ADP-ribosilazione è catalizzato dagli enzimi denominati PARP, ed è un processo
implicato nella regolazione dell’espressione genica, dell’apoptosi e nei meccanismi di riparazione
del DNA. In questo caso il NAD dona l’ADP-ribosio che si lega al gruppo di aspartato-glutammato.
Di questi residui però ne viene legato più di uno e si forma una catena che può ramificarsi con
legami 1,2-glicosidici.

Ancore lipidiche
In questo caso la proteina viene addizionata di una porzione di natura lipidica e, nel momento in
cui queste due strutture si legano, la porzione lipidica può inserirsi all’interno della membrana e la
proteina risulterà ancorata. Molto spesso la proteina che viene ancorata è in grado di agire in
maniera puntiforme da un punto di vista spaziale, altrimenti la creazione di questo legame può
essere reversibile. Un esempio di ancora lipidica è l’acido miristico, un acido grasso saturo con 14
atomi di carbonio che può essere legato ad un residuo di glicina N-terminale di una proteina
durante la sua sintesi nel ribosoma, in questa maniera si crea una coda idrofoba che consente di
ancorare la proteina alla membrana. Le proteine miristilate sono proteine che legano la catena di
acido nel foglietto interno; alcuni esempi di proteine che possono essere miristilate sono quelle
della famiglia Src tirosina chinasi citoplasmatiche. Anche le subunità α delle proteine G trimeriche
associate ai GPCR sono miristilate. Il collegamento di una proteina attraverso una sola catena di
acido miristico non è un ancoraggio molto robusto.
Un altro esempio è l’acido palmitico a 16 atomi di carbonio che viene legato all’estremità N-
terminale della cisteina presente all’interno della proteina che viene palmitilata. Si crea un’ancora
che consente alla proteina di legarsi alla membrana attraverso l’inserimento della catena
idrocarburica dell’acido palmitico nella membrana. La palmitilazione è una modificazione
reversibile e avviene in risposta ad un segnale extracellulare che innesca nella cellula dei
meccanismi che porta una chinasi ad essere legata a livello della membrana cellulare. Quando il
segnale si spegne l’acido palmitico può essere rimosso dalla proteina e la chinasi torna libera nel
citosol.
Con il termine prenilazione intendiamo una modificazione in cui alla proteina viene legata una
catena idrocarburica di natura terpenica mediante la formazione di un legame tioetere ad una
catena laterale di cisteina, posta in prossimità della porzione C-terminale della proteina stessa. Le
catene terpeniche che possono essere legate sono catene farnisiliche (15 atomi) e geranil-
geraniliche (20 atomi); queste catene vengono legate all’estremità C-terminale quando la
sequenza è CAAX (x amminoacido qualsiasi, C cisteina). Questa cisteina viene legata dal farnesile o
dal geranil-geranile e i residui C terminale (AAX) vengono rimossi, la cisteina prelinata diventa il
nuovo amminoacido C-terminale che subisce una reazione di metilazione. La formazione di questa
ancora lipidica avviene a carico della proteina ras, una proteina G monomerica implicata nella
segnalazione cellulare.
Glicosil-fosfatidilinositolo (GPI): funzionano sul foglietto esterno della membrana cellulare. Si
tratta di un’ancora robusta costituita dal fosfatidilinositolo che si lega all’estremità C-
terminale della proteina stessa. L’inositolo è legato ad una catena oligosaccaridica che può
essere arricchita da altri residui variabili; la catena oligosaccaridica si lega con il C-terminale
grazie ad una fosfoetanolammina. Le proteine provviste di ancora GPI possono essere liberate
al di fuori della cellula grazie all’azione di fosfolipasi che idrolizzano i legami tra la proteina e
l’ancora.

Tagli proteolitici

È una modificazione irreversibile. Questi tagli avvengono perché garantiscono la biodiversità tra le
proteine con la rimozione della metionina N-terminale che è uguale per tutte; serve come
meccanismo di attivazione perché alcune proteine sono sintetizzate come proteine inattive e
attivate successivamente per taglio proteolitico; serve anche
come targeting di proteine, nel senso che alcune proteine
sono prodotte come preproteine e sono provviste di una
sequenza N-terminale che le indirizza in una sede specifica.
Mediante il taglio questa sequenza viene eliminata e la
proteina attivata.
Un esempio di processing di una catena polipeptidica
dopo la sua sintesi è rappresentato dall’insulina, un
ormone polipeptidico, secreto dalle cellule β delle isole di
Langerhans del pancreas, la quale viene prodotto come
preproinsulina, provvista di una sequenza segnale N-
terminale indirizzando la proteina nella via della
secrezione. Questa sequenza segnale, una volta giunta a
destinazione, viene rimossa da un primo taglio
proteolitico e rimane la proinsulina. In fase post-
prandiale, quando la glicemia aumenta, si ha un secondo
taglio che rimuove il peptide C generando l’insulina matura pronta per la sua funzione.
La propiomelanocortina è un polipeptide che viene prodotto da cellule dell’adenoipofisi il cui
processing porta alla formazione di più polipeptidi biologicamente attivi. È presente un
peptide segnale che indirizza la proteina in cui, successivi tagli proteolitici, portano alla
formazione di peptidi più piccoli come CTH, β-lipotropina.

Il peptide segnale N-terminale che indirizza le proteine al RE


Ha una lunghezza variabile dai 13 ai 36 aa, ma in ognuno si trovano delle caratteristiche strutturali
comuni. La presenza di amminoacidi basici è una prerogativa, anche un certo numero di
amminoacidi idrofobi e amminoacidi di piccole dimensioni in prossimità del sito di scissione. Il
lavoro di questo peptide si divide in diverse tappe che comincia da un RNAm che si lega al
ribosoma che a sua volta lo traduce. La catena polipeptidica emergente mostra la sequenza
segnale che viene riconosciuta dalla SRP (signal recognition particle), un complesso nucleo
proteico che si lega saldamente all’estremità N-terminale della catena polipeptidica nascente.
L’effetto della SRP è duplice, in primo luogo la sintesi proteica si arresta, in secondo luogo la SRP
viene riconosciuta da un recettore posto sulla membrana del reticolo endoplasmatico. Essa
riconosce il recettore e la catena viene posizionata in modo da poter entrare nel complesso di
traslocazione del peptide, il cosiddetto traslocone. A questo punto la SRP si distacca, la sintesi
proteica riprende ma la catena polipeptidica viene inserita nella membrana e protrude nel reticolo
endoplasmatico. La prima cosa che accade è che una peptidasi, facente parte del traslocone, taglia
via il peptide segnale e libera la proteina nel lume, il ribosoma si distacca per legarsi ad un altro
RNAm. La proteina invece si è liberata nel lume e poi sarà esportata fuori dalla cellula. In realtà
può accadere che, se la catena polipeptidica contiene una o più sequenza idrofobe, questa
rimanga nel reticolo destinata a diventare una proteina di membrana.

Acetilazione: è una modificazione che si realizza in gran parte delle proteine citosoliche delle

cellule eucariotiche, attraverso l’acetilazione dell’estremità N-terminale per rendere le proteine


più resistenti ai processi proteolitici ubiquitina-dipendenti. Gli istoni vengono interessati
dall’acetilazione, essi controllano il grado di condensazione della cromatina e in questo caso i
gruppi acetilici vengono trasferiti su catene laterali di lisina abbondanti negli istoni. Nel momento
in cui le catene laterali vengono N-acetilate la carica positiva della catena si perde e le interazioni
fra le proteine e il DNA tendono a diminuire e, per questo motivo, diminuisce anche il livello di
condensazione della cromatina. L’acetilazione degli istoni, quindi, aumenta la trascrizione del DNA.
Questo processo è reversibile.

Metilazione: anche questo processo avviene sugli istoni, sul gruppo guanidinico della catena
laterale di arginina presente negli istoni stessi. Queste metilazioni possono essere singole o
multiple e il risultato è quello di inattivare la cromatina, effetto opposto dell’acetilazione.
Ovviamente gli istoni non sono le uniche proteine che possono essere metilate, ma possono farlo
anche la miosina e rappresentano dei segnali che danno inizio ad un processo di ricambio proteico.
Gli istoni possono subire anche fosforilazione su serina e treonina.

Ubiquitinazione: L’ubiquitina è una proteina di 76 amminoacidi presente in tutte le cellule


eucariotiche. La sua diffusione è dovuta al suo coinvolgimento nella proteolisi ubiquitina-
dipendente. Essa presenta un residuo di glicina all’estremità C-terminale e due residui di lisina
molto importanti. Le catene di ubiquitina possono legarsi tra loro con legami tra il C-terminale e la
catena laterale della lisina 63 presente nella sua stessa sequenza.
È implicata in un processo di ricambio proteico nelle cellule, lega le proteine che sono da sostituire
per destinarle alla demolizione. Ma l’ubiquitina, per legare queste proteine, deve essere attivata
da un enzima (E1), la sua parte attiva è il C-terminale a sua volta attivato dal legame con un gruppo
-SH di una catena laterale di cisteina presente in questo enzima attivatore. L’ATP usato viene scisso
in AMP e PPi, l’AMP reagisce con una seconda molecola di ATP formando due molecole di ADP,
dunque il processo di attivazione richiede il consumo di due molecole di ATP.
Una volta attivata l’ubiquitina deve essere trasferita sull’enzima E2 chiamato anche enzima di
coniugazione dell’ubiquitina. In questa reazione l’ubiquitina viene trasferita dalla catena di cisteina

dell’E1 su una catena di cisteina dell’E2. Dopo questo legame l’ubiquitina viene portata in
prossimità della proteina da marcare, ciò avviene grazie ad un terzo enzima detto ubiquitina-ligasi
in grado di legare l’ubiquitina e la proteina bersaglio. L’enzima E3 riconosce le proteine bersaglio
che devono essere ubiquitinate mediante delle proteine adattatrici chiamate F-box. Sembra che
sia molto importante la qualità dell’amminoacido che si trova all’estremità N-terminale della
proteina da marcare; se questo è una lisina o un’arginina il processo di ubiquitinazione è

velocissimo, il che ci fa pensare che questo processo funga anche da “controllo qualità”.

Adesso l’ubiquitina viene trasferita sulla proteina


bersaglio che viene ubiquitinata. Il ciclo può ripetersi più
volte e possono legarsi all’ubiquitina legata alla proteina,
altre molecole di ubiquitina, per formare una catena di
poliubiquitinazione la proteina, quindi, viene rilasciata e
portata al proteasoma dove verrà distrutta.

Il processo di degradazione mediata dall’ubiquitina si


svolge nel proteasoma, il quale prevede che la proteina
venga localizzata all’interno di questa struttura, perda le molecole di ubiquitina che vengono
recuperate, per venire poi degradata all’interno del proteasoma.
Il proteasoma 26S è una delle strutture più grandi delle nostre cellule ed è costituito da un nucleo
centrale (20S) costituito da quattro anelli (2α e 2beta) di sette subunità ciascuno che formano una
struttura a barile. Alcune subunità β hanno attività proteolitica. Possiede anche due particelle
regolatrici 19S costituite da 18 subunità ciascuna. Esse deubiquitano e denaturano le proteine che
entrano nel barile proteolitico.

Folding delle proteine


È quel processo attraverso cui una catena polipeptidica appena sintetizzata si ripiega per assumere
la propria struttura tridimensionale, cioè la conformazione nativa a cui corrisponde la sua
funzione. Per denaturazione di una proteina si intende la perdita della struttura tridimensionale e
quindi la perdita di ogni funzione, il processo è spesso reversibile ed è indotto da agenti chimici
(valori estremi di pH o molecole che ad alte concentrazioni interferiscono con le forze che
stabilizzano le strutture superiori delle proteine) o fisici (temperature e pressioni alte e forze di
torsione).
Esperimenti di Anfinsen
Egli fu uno dei primi a studiare il folding delle proteine, infatti già negli anni ’60 studiò la
ribonucleasi A (RNasi A) costituita da 124 aa con 4 ponti disolfuro a unire le otto cisteine della
catena. Anfinsen denaturò la RNasi A utilizzando l’urea insieme a un agente riducente
(mercaptoetanolo) necessario per ridurre i legami disolfuro. A seguito di questo trattamento la
proteina si denaturava rimanendo con i residui di cisteina allo stato ridotto. Successivamente
Anfinsen allontanava urea e mercaptoetanolo dalla proteina ed essa ricostituiva la sua struttura
ritornando in funzione. In questo caso si vengono a riformare solo i quattro ponti disolfuro
caratteristici della conformazione.
In un secondo esperimento Anfinsen denaturava la RNasi A con gli stessi composti di prima ma
allontanando i due agenti in momenti diversi; inizialmente allontanando solo il mercaptoetanolo
per far riformare alla proteina i legami disolfuro e, nonostante fosse ancora denaturata, alla
rimozione dell’urea la proteina si rinaturava in maniera parziale, l’aggiunta di tracce di riducente
per far rompere i legami per poi farli riformare determinava la completa rinaturazione della
proteina che ritornava a funzionare. La formazione e la rinaturazione avvenivano in momenti
diversi e quindi si formavano ponti disolfuro in più che non permettevano il funzionamento
corretto della proteina. Le informazioni per questo processo di ripiegamento sono contenute nella
sequenza amminoacidica della proteina.

Il paradosso di Levinthal
Egli considerò che una proteina di E.coli di 100 residui impiega cinque secondi ad essere
sintetizzata e ripiegata nella formazione nativa. Levinthal proseguì facendo delle considerazioni
teoriche: se ogni residuo della proteina avesse 10 conformazioni possibili, la proteina, nel suo
insieme, potrebbe assumere 10100 conformazioni diverse. Il tempo per passare da una
conformazione all’altra quindi, il tempo più breve da considerare è quella della vibrazione di un
legame covalente, e di circa 10−13 sec, quindi per testare tutte le conformazioni ci vogliono circa
1087 anni.
Concluse che il folding di una proteina deve svolgersi attraverso la progressiva stabilizzazione di
stati conformazionali intermedi, senza che gran parte delle conformazioni possibili venga testata
durante il processo.

Il percorso del folding


Questo processo vede la catena polipeptidica passare da uno stato denaturato disordinato, in cui
la proteina può assumere un numero enorme di conformazioni diverse, fino ad un unico stato
(stato nativo) in cui la struttura proteica è ben definita. Il passaggio dallo stato denaturato allo
stato nativo prevede che, durante il percorso, si formino degli stati intermedi in cui i gradi di
libertà conformazionale si riducono man mano che si procede verso lo stato nativo.
Negli anni furono proposti diversi modelli per spiegare il percorso del folding, ma questi modelli
non si adattavano a tutte le proteine.

Modello framework: era previsto che la catena denaturata formasse tutta una serie di elementi di
struttura secondaria e che solo in un secondo momento vi fosse l’assemblaggio della struttura
terziaria per poter raggiungere lo stato nativo.
Modello collasso idrofobico: qui si pensava che inizialmente ci fosse un collasso idrofobico e si
formasse un core idrofobo rudimentale. Solo in una fase successiva emergeva la struttura
secondaria per poi ottenere lo stato nativo.

Modello nucleazione condensazione: qui il processo di folding partiva da dei nuclei di folding che
coinvolgevano un numero ridotto di residui. Attorno a questo nucleo di folding si aveva la
condensazione della restante parte della struttura, con lo sviluppo della struttura secondaria e
terziaria in un colpo solo, fino ad arrivare allo stato nativo finale.
Modello energy landscape: questo fu uno dei primi modelli generali dove le molecole proteiche
allo stato denaturato vengono considerate possedere un livello energetico e un disordine
strutturale molto elevati, dimostrato dal fatto che i contatti caratteristici dello stato nativo, nello
stato denaturato sono ridotti al minimo. La strutturazione delle molecole proteiche si attua
seguendo diverse traiettorie, il solo criterio è quello di ridurre l’energia libera e aumentare le
interazioni dello stato nativo caratterizzato dalla massima stabilità. Questo modello è utilizzabile
sia per le proteine che si ripiegano seguendo un percorso a due stati, ma anche per proteine per le
quali sono evidenziati degli stati intermedi stabili.

Cambiamenti conformazionali della proteina nel processo di folding


La proteina, non appena viene sintetizzata dal ribosoma, si trova in uno stato denaturato. Un certo
numero di proteine tende ad intraprendere il percorso di folding in maniera spontanea, lo stato
nativo può essere raggiunto direttamente o attraverso intermedi di folding.
Però, lo stato nativo della proteina, può non essere la forma più stabile perché potrebbe aver
bisogno di legare dei gruppi prostetici oppure di una modificazione post-traduzionale. In altri casi
le proteine si possono associare tra loro formando multimeri funzionali, oppure disporsi a formare
delle fibre. Nel caso in cui la catena polipeptidica denaturata non riesca ad assumere la
conformazione nativa, lo stato unfolded può essere degradato attraverso cellule apposite.
Un problema del processo è che le varie parti in gioco possono intraprendere delle strade errate.
Gli stati unfolded e partially unfolded possono organizzarsi a formare aggregati disordinati. Lo
stesso stato nativo può formare degli aggregati ordinati detti native-like.
I diversi tipi di aggregati possono evolvere verso la strutturazione di forme maggiormente
organizzate, ad esempio aggregati ricchi di struttura β, i quali possono inizialmente formare delle
protofibrille e poi delle vere e proprie fibrille (fibrille amiloidi) più stabili dello stato nativo.
Le fibrille amiloidi e i loro precursori, grazie alla stabilità conformazionale, entrano in contatto con
altre proteine inducendone l’aggregazione. All’interno di una cellula la concentrazione
macromolecolare è molto elevata, basti pensare che le proteine hanno una concentrazione
compresa tra i 300 e 400 mg/ml. In queste condizioni le opportunità per l’aggregazione da cui la
cellula deve difendersi sono molte, e per farlo usa dei complessi proteici chiamati chaperoni
molecolari i quali garantiscono il corretto ripiegamento della proteina, impedendo la formazione
di aggregati e degradando le proteine danneggiate.

Esistono diversi tipi di chaperoni:

 Chepronine: GroEL e GroES nei procarioti, TRiC in eucarioti coplessi molto voluminosi in
grado di accogliere al loro interno una catena polipeptidica
 Proteine shock termico (Hsp)
 Protein disolfuro isomerasi (PDI)
 Peptidil profil isomerasi (PPI)
Quando si parla di protein folding bisogna tenere presente che le proteine sono chiamate a
ripiegarsi in ambienti in cui l’affollamento macromolecolare è enorme. Ciò nonostante, alcune
proteine tendono a piegarsi spontaneamente, ma il problema è che le proteine più grandi possono
esporre regioni idrofobe che possono fungere da nucleo per processi di aggregazione, per questo
intervengono chaperoni molecolari che mantengono la catena allo stato denaturato fino a quando
la sintesi non si è completata. In pochi casi la catena non riesce a ripiegarsi nemmeno in queste
condizioni, così devono intervenire altri chaperoni più complessi in cui si creano degli ambienti
protetti in cui le proteine possono ripiegarsi.

GroEL: complesso multimerico formato da 14 subunità organizzate in due anelli che delimitano
una cavità al loro interno
GroES: complesso multimerico formato da 6-8 subunità organizzate a fomrare una sorta di
cappuccio che interagisce con GroEL chiudendo la cavità dell’anello.
Le catene polipeptidiche non ripiegate o scorrettamente ripiegate arrivano a questi complessi
trovando uno strumento fondamentale per un ultimo tentativo di ripiegamento. Le proteine
accedono dalla cavità delimitata dalle subunità di GroEL e dopo la chiusura della cavità di GroES
queste proteine tentano un ripiegamento che avviene alle modificazioni conformazionali
dell’anello di GroEL. Le proteine vengono poi rilasciate in forma nativa o in forma ancora non del
tutto ripiegata. Un sistema di questo genere richiede un consumo di energia molto elevato e
proteine più grandi possono consumare anche 100 molecole di ATP.

La PDI consente la formazione dei ponti disolfuro e può sia accelerare il processo, perché presenta
al suo interno un ponte già formato, che agire su proteine in cui sono formati dei ponti disolfuro
sbagliati rompendoli e riformandoli.
La PPI accelera l’isomerizzazione cis-trans dei legami X-Pro allo stato denaturato. È importante
nella formazione dei beta-turn in cui spesso X-Pro e in configurazione cis, il che consente a queste
molecole di ripiegarsi correttamente molto velocemente.

Quando il processo di folding non si compie correttamente si ha il misfolding proteico da cui


possono originare diverse malattie:

 Malattie in cui si ha una diminuita efficienza di folding di una proteina e in cui il paziente
non beneficia di una quantità sufficiente di proteina funzionale. Es. fibrosi cistica

 Malattie in cui si ha un folding scorretto di una data proteina con conseguente difficoltà
della proteina stessa a raggiungere il tessuto bersaglio. Es. enfisema precoce
 Malattie dovute alla deposizione di aggregati fibrillari insolubili che danneggiano al tessuto
il cui si depositano. Es. Alzheimer

Fibrosi cistica
Malattia in cui la proteina alterata è la CFTR un trasportatore contenente dei domini di legame per
l’ATP. Si tratta di un canale per gli ioni cloruro, l’alterazione di solito è una delezione della
fenilalanina 508. Il 70% dei casi di fibrosi può essere ricondotto a questa mutazione. Il risultato è
che il cloro non può attraversare il canale e i secreti ghiandolari saranno molto più densi. La forma
mutata della CFTR essa viene sintetizzata comunque a livello della membrana del reticolo ma non
riesce ad assumere la sua conformazione nativa e quindi viene distaccata e può andare incontro a
ubiquitinazione, ma può anche tendere ad aggregare.

Enfisema precoce

In questo caso il ripiegamento scorretto è a carico dell’α 1-antitripsina una serpina (serina-proteasi
inibitori) che essendo modificata può dare luogo a questa patologia. L’ α 1-antitripsina è prodotta
dal fegato, riversata nel sangue viene trasportata al polmone dove svolge un’azione inibitoria
verso l’elastasi prodotta dai granulociti neutrofili, esso degrada in modo controllato l’elastina
garantendo la giusta elasticità degli alveoli. In condizioni normali l’antitripsina possiede un loop
reattivo che si inserisce nel foglietto βdell’elastasi. In particolari condizioni si possono produrre
altre varianti di α1 in cui il loop non si inserisce nel foglietto β delle elastasi ma si inserisce in
un’altra molecola di antitripsina, che a sua volta entrerà ad un’altra molecola e così via. Quindi si
formano degli aggregati voluminosi che si depositano nelle cellule e non viene riversata nel
sangue. Questo provoca il deposito di materiale proteico e provocare cirrosi epatica, in tempi più
brevi viene a mancare l’azione della tripsina che non raggiunge mai i polmoni, quindi viene
degradata l’elastina in modo incontrollato con la formazione di cavità nei polmoni con insorgenza
di enfisema.
Le fibrille amiloidi hanno una struttura formata dall’associazione di due o più protofilamenti,
ognuno dei quali costituito da uno o più foglietti beta. In generale una fibrilla ha una forma
allungata di diametro compreso tra 7 e 12 nm. I filamenti beta dei foglietti hanno un orientamento
perpendicolare rispetto all’asse della fibrilla, per questo la struttura beta di queste fibrille è stata
chiamata cross beta. Le fibrille amiloidi hanno la caratteristica di colorarsi di verde con un
colorante chiamato Rosso Congo, di mostrare una birifrangenza verde al microscopio e la presenza
di un pattern di diffrazione all’analisi ai raggi X che dimostri la presenza della struttura cross beta.

Diverse proteine possono trasformarsi in fibrille amiloidi attraverso percorsi differenti.


Il peptide β-amiloide parte da una struttura intrinsecamente disordinata. Per formare fibrille,
prima forma aggregati disordinati che poi assumono forma ordinata, prima granulare e poi
fibrillare.
La β2-microglobulina funzionale forma un eterodimero con MHC II. Per formare fibrille essa
subisce dissociazione e unfolding, per poi formare aggregati ordinati e, successivamente, fibrille.
Acilfosfatasi è una proteina che forma fibrille amiloidi nonostante non sia mai stata trovata
correlata ad alcuna malattia. Essa forma fibrille amiloidi dopo aver formato lo stato nativo e
successivi aggregati native-like.
Studi di tossicità hanno dimostrato che le specie tossiche per le cellule non sono le fibrille amiloidi
maturi, ma i loro precursori che possiedono una struttura beta.
Ma queste fibrille non giocano solo un ruolo nella patologia, ma sono utili anche a livello
fisiologico. Anche nell’uomo è noto almeno un esempio di lavoro svolto dalle fibrille. Nei
melanociti, all’interno dei melanosomi, esistono delle strutture fibrillari lungo le quali si formano i
granuli di melanina costituite dalla proteina Pmel17.

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