Facoltà di Architettura
Franco Purini
Percorsi nell’architettura
Collana di Lectiones Magistrales
a cura di Donatella Scatena
Percorsi nell’architettura
Franco Purini
Production Editor
Mary Joan Crowley
Graphics
Nicola De Sol
COPYRIGHT 2013
ISBN 978-1-300-87737-0
INDICE
Prefazione
Renato Masiani
Introduzione
Massimo Del Vecchio
Percorsi nell’architettura
Franco Purini
-Una premessa
-Una considerazione preliminare sull’architettura
-Architettura e globalizzazione
-Alcuni caratteri della globalizzazione
-Aspetti della situazione attuale dell’architettura
-Tre aspetti fondativi
-La Facoltà di Architettura di Roma
-Roma
-Il progetto
-Caratteri generali dell’architettura italiana
-La condizione del territorio, delle città e dell’architettura in Italia
-Maestri, modelli, gruppi
-Ulteriori elementi sulla formazione
-Una definizione di architettura
Realizzazioni e Allestimenti
Renato Masiani
Preside Facoltà di Architettura
Sapienza Università di Roma
Roma febbraio 2013
Introduzione
Massimo Del Vecchio
Dal 1 Novembre 2012, per sopraggiunti limiti di età, Franco Purini non è più
tra i docenti strutturati della nostra Facoltà. Mi è sembrato un doveroso
omaggio da parte del Corso di Laurea in Architettura a ciclo unico affidare
quest’anno a lui il compito di inaugurare con una Lectio Magistralis l’inizio
delle attività didattiche del primo semestre.
Ci si aspetta in questi casi una lezione corredata da molte immagini di
progetti e di architetture accattivanti.
Forse anche i numerosi giovani studenti convenuti se lo aspettavano.
Sappiamo però che, spesso, le belle immagini proiettate hanno come esito
indesiderato quello di un allentamento dell’attenzione sulle parole e sui
contenuti di un discorso teorico.
Purini sceglie dunque per questa lezione inaugurale le modalità di una
discorso privo di immagini. Può sembrare strano, considerata la grande
importanza che il disegno e l’immagine rivestono nella sperimentazione
progettuale e nella ricerca sulla composizione dell’architettura. Ma ciò non
deve stupire. Ritengo che analoga scelta di laconicità editoriale Purini ha
praticato quando ha pubblicato di due testi che sono centrali per la
comprensione del suo pensiero riguardo alle questioni della costruzione
dell’architettura, della città e del territorio. Mi sto riferendo al lontano
“L’Architettura didattica”, e al più recente e stimolante “La misura italiana
dell’architettura”. Due testi, privi di illustrazioni, il secondo anche nella
copertina, ma che parlano la lingua del progetto di architettura dalle prime
alle ultime pagine. Più autobiografico e didattico il primo, come il titolo lascia
intendere, più immerso in una dimensione critica il secondo, nell’ intento di
individuare i percorsi e i caratteri di individualità della ricerca dell’Architettura
moderna e contemporanea nella cultura italiana.
Chi ha familiarità con Purini sa che i suoi interventi, quasi sempre, hanno la
capacità di spiazzare gli ascoltatori per le sue posizioni che,
incessantemente, assumono punti di vista tanto inaspettati quanto
imprevedibili, frutto di un costante esercizio di costruzione di un pensiero
laterale, che sta alla base della sua originale attitudine critica e forse anche
del suo metodo progettuale.
La lezione, affronta dieci complesse tematiche, ma più che un decalogo, si
presenta come una “mappa” capace di orientare gli studenti nel difficile
percorso di avvicinamento all’architettura: una vera e propria proposta di
iniziazione all’architettura, tanto precisa quanto plurima e totalizzante.
Per gli studenti non sarà facile cogliere, non solo tutta la ricchezza di
implicazioni critiche dense di nomi e di riferimenti, ma anche la consistenza
profonda del percorso autobiografico che permea fortemente la costruzione
di questa mappa . Per questo motivo sarà opportuno, per loro, leggere e
rileggere, anche più volte e più avanti nel loro percorso, questa Lectio
Magistralis.
Walter Gropius
Una premessa
Architettura e globalizzazione
Veniamo ora a una questione molto importante, quella della formazione. Agli
studenti che cominciano quest’anno il loro percorso verso l’architettura, ma
anche a quelli più avanti negli studi, vorrei ricordare che l’architettura in cui
siamo oggi, progettata dall’architetto Enrico Del Debbio, una figura centrale
dell’architettura italiana degli Anni Trenta, intermedio tra modernità e
tradizione, è il primo edificio ideato e costruito in Italia per ospitare una
Facoltà di Architettura. Quella di Roma è infatti la prima del nostro paese.
Essa fu fondata nel 1920 da Gustavo Giovannoni all’interno di un progetto
formativo che aveva al suo centro l’idea di architetto integrale, vale a dire un
progettista in grado di conciliare organicamente diversi saperi, al fine di dare
vita a concezioni architettoniche unitarie. Questo modello restò in vigore per
più di quaranta anni alimentando più generazioni di progettisti, che avevano
a disposizione conoscenze teoriche e nozioni pratiche fortemente strutturate
e stabilmente articolate. Questa impostazione, fortemente orientata verso
un’attività professionale ancora elitaria, fu violentemente attaccata da Bruno
Zevi che nel 1963, nel famoso Convegno del Roxy, quasi gli stati generali
della Facoltà di allora, propose come alternativa un sistema didattico basato
su una riproposizione critica dello sperimentalismo moderno, da lui
contrapposto all’accademismo del precedente assetto formativo. In accordo
con quella ripresa di temi avanguardistici che caratterizzò la cultura italiana
all’inizio degli Anni Sessanta - gli stessi in cui nacque il Gruppo 63 - l’autore
di Architettura in nuce, sosteneva la necessità che l’architetto si ricollegasse
teoricamente e concretamente ai fenomeni territoriali e urbani che si stavano
verificando in quel periodo. Si tratta della stagione che vede l’esordio delle
ipotesi sulla città-territorio, o città-regione, una formula nella quale
l’urbanistica si univa all’architettura in nuovi ordinamenti scalari. Ludovico
Quaroni e Luigi Piccinato dettero il loro sostegno a questa svolta radicale,
che doveva avere come esito un architetto movimentista, aperto al nuovo,
cultore della complessità, portato allo sradicamento più che alla ricerca di
punti fermi. Secondo Bruno Zevi questa nuova figura di progettista si
sarebbe immersa nel flusso dei cambiamenti partecipando pienamente del
dinamismo della città contemporanea. Il legame con il passato veniva per un
verso reciso a favore di una proiezione totale verso il futuro, per l’altro era
recuperato come un insieme di tessiture problematiche da una lettura
orientata della storia dell’architettura, chiamata dallo stesso Bruno Zevi la
critica operativa. Il progetto zeviano fu attivo fino all’inizio degli Anni Ottanta,
quando l’avvento pressoché improvviso del Postmodernismo, promosso
principalmente da Paolo Portoghesi, riportò in primo piano l’attenzione per
un’architettura della memoria che intendeva riscoprire il valore dei luoghi in
alternativa all’atopia moderna scommettendo, anche sulla scorta delle Pop
Art, sul valore estetico e sociale dell’immaginario mediatico. Circa un
decennio dopo il Postmodernismo fu soppiantato dal Decostruttivismo,
diffuso in tutto il mondo nel 1988, a seguito di una mostra al Museum of
Modern Art (MOMA) di New York organizzata da Philip Johnson e Mark
Wigley. Da allora a oggi la Facoltà di Architettura di Roma ha vissuto una
serie di fenomeni non proprio positivi, tra i quali un periodo in cui l’offerta
didattica si fece così specialistica da aumentare a dismisura l’offerta
formativa, che per questi motivi divenne estremamente frammentaria
nonché, in parte ripetitiva. Attualmente il sistema formativo della nostra
scuola si sta riqualificando, ma ciò che non appare ancora sufficientemente
chiaro è la sua architettura tematica. Ciò appare come un ritardo
preoccupante data la condizione globale dell’architettura, di cui ho già
parlato. Una condizione che esige alcune dotazioni extralocali, quali le
conoscenze di più di una lingua straniera - tra queste l’inglese è obbligatorio
- un’attitudine a lavorare in contesti diversi, la capacità di comprendere
velocemente le specificità dei problemi all’interno di particolari notazioni
tecnico-programmatiche, una notevole creatività digitale. I giovani sono per
più di un verso favoriti in questo processo formativo. Nativi digitali essi
possono usufruire dei circuiti Erasmus, visitare con una certa facilità paesi e
città fuori dei confini nazionali usufruendo delle più vantaggiose opportunità
di viaggiare, partecipare a workshop, frequentare dottorati e master -
aperture che la mia generazione non aveva a disposizione. Per un giovane
architetto di oggi avere visitato molte città in tutto il mondo è, più o meno, un
fatto consueto, così come aver fatto esperienze di lavoro all’estero.
Nonostante queste nuove opportunità, senza dubbio notevoli la formazione,
svolgendosi in una università da qualche decennio diventata di massa, non
è certo facile. Il rapporto con i docenti non è più personale, ma mediato da
una serie di schemi istituzionali, il programma degli studi è sempre più rigido
e compartimentato; le Facoltà non sono adeguatamente attrezzate per un
lavoro sperimentale; le attività culturali extra-didattiche sono sempre più
limitate data la scarsità delle risorse; i giovani non hanno sufficiente
possibilità per realizzare iniziative autonome; libri e materiali didattici sono
estremamente costosi. Eppure restano molti spazi interstiziali attraverso i
quali gli studenti possono inserirsi, anche disturbando con azioni culturali
mirate un sistema che affida solo alla sua efficienza quantitativa la propria
legittimazione. Gli studenti non possono sentirsi vincolati da una struttura
troppo meccanica e ricorsiva ma debbono essere liberi di utilizzare tale
struttura secondo le proprie aspirazioni e le proprie intenzioni - inserendo in
essi enzimi di innovazione e al contempo - evitando di utilizzare quegli
apparenti spazi franchi che paternalisticamente l’organizzazione
accademica lascia a disposizione degli studenti. Questi stessi sono
sollecitati per questo a inventare circuiti extraformativi autogestiti e
alternativi. Tenendo anche presente che ciò che ostacola una formazione
consapevole è la catena di montaggio fatta di frequentazione dei corsi e dei
laboratori e di esami, una serialità che è bene a volte interrompere a favore
anche di momenti di vuoto, spesso occasioni di scoperte essenziali.
Roma
Roma è una delle poche capitali mondiali della cultura e dello spirito. È stata
il centro di un impero, è oggi il cuore di una delle tre grandi religioni
monoteiste, è assieme ad Atene la madre dell’architettura occidentale ma
anche di quella moderna, come ci ricorda l’opera di Le Corbusier, di Mies
van der Rohe, di Louis Kahn e di molti altri maestri. Roma è stata oggetto di
infinite narrazioni. Tra i tanti letterati che hanno scritto su di essa pagine
memorabili vorrei elencarne alcuni, non tanto per la qualità delle loro opere
ma per una preferenza personale. Tra gli stranieri ricordo Joachim du
Bellay, Johann Wolfgang von Goethe, François-René de Chateaubriand,
Sigmund Freud, Rainer Maria Rilke; tra gli italiani Gabriele d’Annunzio, Carlo
Emilio Gadda, Pier Paolo Pasolini, Giorgio Montefoschi, Marco Lodoli. Roma
ha ispirato registi come Vittorio De Sica, Federico Fellini, Michelangelo
Antonioni, Pier Paolo Pasolini che hanno tratto dalle sue strade e dalle sue
piazze immagini nuove, sorprendenti anche per chi ci vive. Molti docenti
della Facoltà di Architettura di Roma l’hanno messa al centro della propria
ricerca. Tra questi basterà citare, sempre secondo una selezione molto
personale, Marcello Piacentini, Saverio Muratori, Ludovico Quaroni, Bruno
Zevi, Gianfranco Caniggia, Arnaldo Bruschi, Paolo Portoghesi, Paolo
Marconi, Vieri Quilici, Sandro Benedetti, Gianfranco Spagnesi, Manfredo
Tafuri, Giorgio Muratore, Alessandra Muntoni, Clementina Barucci,
Francesco Paolo Fiore, Gianni Accasto, Vanna Fraticelli, Renato Nicolini,
Piero Ostilio Rossi, per comprendere attraverso il loro lavoro quante letture
di se stessa Roma ha saputo suggerire. Queste personalità della nostra
scuola hanno dato di Roma letture diverse, a volte molto contrastanti, che si
sono affiancate a interpretazioni di altri studiosi come Leonardo Benevolo e
Italo Insolera. A questi nomi aggiungo quelli del Gruppo Stalker, e di Marina
Natoli, architetti che da qualche anno hanno intrapreso una ricerca
conoscitiva e creativa su Roma attraverso un’esperienza fisica degli spazi
urbani e degli edifici che li delimitano fatta attraverso il camminare. In questo
modo essi sono riusciti a coniugare la conoscenza storica con i suggerimenti
teorici provenienti da Henry David Thoreau, da Charles Baudelaire, da
Walter Banjamin e da Guy Debord, messi a reagire con le suggestioni
analitico-mnemoniche della psicogeografia. Tornando a un passo
precedente vorrei chiarire, per evitare malintesi, che il breve elenco di
personalità proposto nelle righe precedenti non riguarda i molti architetti di
importanza nazionale e internazionale che si sono formati a Roma, ma solo
alcuni di coloro che si sono confrontati in molti modi con l’inestricabile
stratificazione tematica che essa propone. Studiare architettura nella nostra
città è un fatto positivo ma anche rischioso. Si vive infatti in un contesto
urbano quanto mai denso di temi e di motivi fondamentali per la propria
formazione, ma è proprio il fatto di averli a portata di mano che rende
queste presenze uniche in un certo senso invisibili. Inoltre la competizione
indiretta con coloro che da Roma hanno saputo individuare elementi
determinanti per la propria architettura finisce con il diminuire la nostra
fiducia nel poter ripetere la stessa esperienza. Tuttavia è un’altra la
dimensione con la quale Roma ci costringe a misurarci. Essa è quella del
tempo. Lo slogan Roma città eterna è meno scontato di quanto possa
sembrare. È interpretabile infatti, sia sul piano religioso sia su quello laico in
due modi. Il primo vede Roma come una città che durerà per sempre,
anche se potrà cambiare; il secondo la considera come una città nella quale
il tempo stesso non può intervenire. In realtà queste due interpretazioni sono
compresenti, interagendo costantemente. Roma è in grado di modificarsi
solo se ogni sua trasformazione non ne cambia il senso e il carattere. Agire
all’interno di questa contraddizione è l’invariante dell’architettura romana,
oltre a configurarsi come un paradigma che da Roma si fa regola valida per
ogni luogo, misura universale di ogni architettura. Tutto ciò all’interno della
consapevolezza che ogni città è un organismo vivente che esprime sempre
un suo progetto di esistenza. Un progetto che ciascun architetto che voglia
modificare un insediamento urbano deve comprendere con empatica
attenzione.
Il progetto
Franco Purini
Realizzazioni e Allestimenti
Progetto di un edificio per residenze ed uffici all’ Eur, Torre Eurosky, 2005-2013
Progetto: Franco Purini, Laura Thermes con Francesco Barbagli, Piero Baroni,
Carlo Blasi
Collaboratori: Massimiliano De Meo, Carlo Meo Colombo
Progettazione strutturale: Carlo Blasi, collaboratore Susanna Carfagni
Impiantistica: C.M.Z. studio associato (Ingg. G. Cinelli, E. Marazzini, F. Zambaldi)
Edificio per uffici Kubo, Ravenna, 1997-2005
Casa Pirrello, Gibellina, 1990
Progetto:Franco Purini
Collaboratori: S. Giannesini, F. Menegatti
Allestimento della mostra Incontri, Galleria Borghese, Roma, 2002
Accasto Gianni
Antonioni Michelangelo
Argan Giulio Carlo
Augè Marc
Bruschi Arnaldo
Caniggia Gianfranco
Celant Germano
Cohen Jean-Louis
d’Annunzio Gabriele
D'Arcy Wentworth Thompson
De Masi Domenico
De Sica Vittorio
Del Debbio Enrico
Del Vecchio Massimo
du Bellay Joachim
Eisenman Peter
Fellini Federico
Fiore Francesco Paolo
Fraticelli Vanna
Freud Sigmund
Gadda Carlo Emilio
Giovannoni Gustavo
Goethe Johann Wolfgang
Gregotti Vittorio
Gropius Walter
Johnson Philip
Kahn Louis
Koolhaas Rem
Latouche Serge
Le Corbusier
Lodoli Marco
Marconi Paolo
Mies van der Rohe
Montefoschi Giorgio
Muntoni Alessandra
Muratore Giorgio
Muratori Saverio
Nicolini Renato
Ostilo Rossi Piero
Pasolini Pier Paolo
Persico Edoardo
Piacentini Marcello
Piccinato Luigi
Portoghesi Paolo
Quaroni Ludovico
René de Chateaubriand
Rilke Rainer Maria
Rogers Ernesto Nathan
Rykwert Joseph
Sacripanti Maurizio
Spagnesi Gianfranco
Schwarz Rudolf
Tafuri Manfredo
Veronesi Giulia
Vitruvio
Wigley Mark
Wright Frank Lloyd
Zevi Bruno