PROBLEMI DI KANT
I principali problemi che Kant si propone di risolvere sono
• La scienza -> (matematica e fisica) che egli ammette conoscibile
• La metafisica -> (io, Dio, mondo) di cui egli nega la conoscenza razionale (agnosticismo)
• La morale -> che egli fonda sulla ragione umana intesa come autoregolatrice
CRITICISMO KANTIANO
Criticismo significa esame della ragione sulle capacità e sui limiti di essa nell’attività conoscitiva (critica
della Ragion pura) nell’attività pratica (Critica della Ragione Pratica) e nell’attività fondata sul
sentimento di armonia e di finalità. Kant opera quindi una critica della ragione (pura e pratica) e del
giudizio. Essi costituiscono il sistema filosofico Kantiano; secondo il filosofo la mente umana agisce
attraverso 3 grandi facoltà:
1. produrre la morale attraverso la ragione
2. sentire (sentimento)
3. conoscere attraverso l’intelletto
Fino ai tempi di kant la Mematifisica non era riuscita a dare delle risposte assolutamente vere e certe;
per il filosofo dobbiamo considerarla una “falsa dialettica”. La ragione umana non può conoscerla perché
manca il contenuto per la sintesi. Infatti io, universo, Dio non sono oggetto di esperienza e non offrono
perciò un’intuizione sensibile che serva da contenuto alle idee. Di conseguenza le scienze (metafisica
dell’anima, dell’universo e teologico), che si sono sviluppate sulle tre idee della ragione, sono considerate
false da Kant.
Per K invece la Metafisica è una delle facoltà naturale della ragione. E’ convinto che coloro che
conosceranno gli strumenti e i metodi della cinetica non potranno accontentarsi più finchè non avranno
raggiunto una metafisica controllata dalla ragione
RIVOLUZIONE COPERNICANA
Kant attribuisce un grande merito all’Illuminismo, perché a suo avviso ha superato un grande limite: ha
osato conoscere. Kant è infatti convinto che anche alla fine del 18 all’inizio del 19 sia indispensabile
apprenderee perché nulla è scontato. E’ da qui che parte l’idea Kantiana di una rivoluzione copernicana
della filosofia. Fino a Kant si era tentato di spiegare la conoscenza supponendo che fosse il soggetto a
dover ruotare intorno all’oggetto. Egli riconosce il fallimento dei grandi sistemi filosofici classici
(ovvero *guardare su internet*) Anche le verità certe degli illuministi si sono ristrette e non
permettono alla ragione di fornire risposte soddisfacenti ai grandi problemi della filosofia, da quello
teologico a quello epico.
C’è bisogno dunque, di una rivoluzione che non si accontenti di analizzare i limiti della ragione ma che
renda anche possibile un’analisi filosofica del tutto garantita dalla scientificità, cioè che si possa
ottenere ponendo il soggetto al centro del processo della conoscenza e attribuendogli la funzione
determinante rispetto agli “oggetti” della conoscenza stessa. Kant Suppose quindi che fosse l’oggetto a
dover ruotare intorno al soggetto; in breve, noi delle cose non conosciamo a priori se non quello che noi
stessi vi mettiamo, e pertanto il fondamento dei giudizi sintetici a priori è il soggetto stesso con le
leggi della sua sensibilità e del suo intelletto
LA CENTRALITA’ DEL SOGGETTO: aggettivo TRASCENDENTALE
Nella filosofia moderna, la centralità del soggetto non è una novità. Vi era già giunto Cartesio (cogito
ergo sum) . Il tentativo Kantiano è quello di stabilire un nuovo rapporto tra soggetto e oggetto, nel
quale dev’essere assicurato il carattere universale della conoscenza senza però rinunciare
all’esperienza, cioè senza mettere in dubbio la realtà sensibile. Per questo nuovo rapporto Kant inventa
un nuovo aggettivo: trascendentale. Con la coniazione di questo nuovo termine intende definire una
dimensione che “trascende” la realtà sensibile ma che acquista senso ed esiste solo in rapporto
all’esperienza sensibile stessa. E’ una parola che si riferisce alle strutture a priori della sensibilità e
dell’intelletto umani, strutture che rappresentano le condizioni senza le quali non è possibile nessuna
esperienza di nessun oggetto: il trascendentale è dunque la condizione della conoscibilità (della
intuibilità e della pensabilità) degli oggetti, e ciò che il soggetto mette nelle cose nell’atto stesso di
conoscerle. Il soggetto quindi determina, crea, costituisce il proprio rapporto con l’oggetto, purchè ci
siano condizioni. Anche se non sono gli oggetti a darci la conoscenza, essi consentono alle nostre facoltà
conoscitive di uscire dal puro stadio di potenzialità. Il soggetto, dice K, è trascendentale, in quanto, pur
essendo diverso e autonomo dall’oggetto, agisce ed esiste solo in rapporto con l’oggetto stesso
FENOMENO E NOUMENO
Distinzione tra ciò che è l’oggetto in se e ciò che di esso si manifesta al soggetto, Ciò che si manifesta
e che quindi è percepito dai sensi, K lo chiama “Fenomeno”, ciò che non appare ai sensi e può essere solo
pensato dalla mente, è detto da K “noumeno” (=pensabile, non conoscibile) o “oggetto della mente”. Il
noumeno è totalmente escluso dalla percezione sensibile e quindi dalla conoscenza che ne deriva. E’ un
“concetto problematico”, nel senso che esso non contiene nessuna contraddizione e come tale noi lo
possiamo pensare, ma non effettivamente conoscere; ma è anche un concetto necessario, affinché
l’intuizione sensibile non venga estesa fino alle cose in sé. Il concetto di noumeno in questo caso è
dunque solo un concetto limite per circoscrivere le pretese della sensibilità, e perciò di uso puramente
negativo; tuttavia possiamo anche attribuirgli un valore positivo: è il soprasensibile, posto fuori
dell’esperienza, al quale l’uomo aspira senza poterlo conoscere perché la conoscenza umana avviene solo
mediante sintesi e forma e del soprasensibile non si può avere il contenuto. Il fenomeno invece è
l’ambito ristretto delle cose così come esse ci appaiono, mentre tutt’intorno a esse c’è il più ben vasto
ambito delle cose quali sono in sè, un ambito che sfugge alla nostra conoscenza (noumeno) I fenomeni
cadendo sotto i nostri sensi ci permettono di capirli, comprenderli e ordinarli. Coi numeri lo possiamo
pensare ma non possiamo renderlo tangibile e interagirci. Bisogna solo conoscere i limiti delle 2 facoltà
1. intelletto
2. ragione (etica e morale) funziona in maniera diversa
3. sentimento
Queste sono le facoltà fondamentali del sistema Kantiano
LA CONOSCENZA
In questo modo Kant ha ridisegnato lo scenario in cui opera la ragione. Ci sono 1 oggetto e 1 soggetto,
reciprocamente autonomi e al tempo stesso necessari l’uno all’altro. Ma il soggetto (trascende) non può
prescindere dal soggetto e ne determina il contenuto. La mente dell’uomo agisce solo in presenza di un
oggetto da conoscere (“fenomeno”); ma nell’atto conoscitivo il contenuto dell’oggetto non dipende da ciò
che è in se ma da ciò che percepisce il soggetto. Ecco perché la ragione deve operare un esame
autocritico per individuare i propri limiti ma anche per i meccanismi del proprio funzionamento.
Giudizi analitici a priori, giudizi sintetici a posteriori – critica della ragion pura
RAZIONALISTI – giudizi analitici A PRIORI
La ragione ha da sempre operato attraverso la formulazione di giudizi, cioè ha sempre attribuito un
predicato a un oggetto es “l’uomo è mortale”. Però non tutti i giudizi sono dello stesso tipo “la somma di
3+2=52”. K precisa che i giudizi dei razionalisti sono di un modello fondato sul principio logico di
identità, secondo il quale il predicato è già contenuto nel soggetto e questi giudizi sono detti “analitici a
priori”, i quali obbediscono ai criteri di necessità e universalità: il predicato è necessariamente legato al
soggetto, per cui chiunque pensando a quel soggetto non può non pensarlo con quel predicato. (es. il
corpo è esteso: il concetto di estensione (predicato) è già contenuto nel soggetto corpo /soggetto)
Questo tipo di giudizio è analitico: l’analisi non aggiunge nulla al soggetto analizzato. Il predicato rende
semplicemente esplicito ciò che già esprime il concetto che da soggetto. Non con consentono quindi
l’aumento della conoscenza.
EMPIRISTI
I giudizi empiristi invece vengono espressi a seguito di un’esperienza, dunque essi sono “ sintetici a
posteriori”, aggiungono qualcosa che non era inclusa nel soggetto. Es. “i corpi sono pesanti” Si può dire
che i corpi sono pesanti, ma non tutti lo sono, occorre fare un’esperienza per verificare i vari casi. In
essi quindi il predicato aggiunge qualcosa di nuovo al concetto che fa da soggetto. Questi giudizi K li
definisce sintetici ma anch’essi presentano un limite: pur fornendo un aumento di conoscenza non
rispondono ai criteri di
1. necessità
2. universalità
essenziali per un giudizio scientifico e dunque attendibile. Per la conoscenza occorre esprimere i giudizi
sintetici a priori,
Quando elabora i dati pervenuti dall’esperienza e produce una conoscenza di tipo scientifico, K lo
definisce come “intelletto” in tedesco verstand. Ma siccome è evidente che la nostra mente pensa
anche a oggetti estranei alla sensibilità (Dio es) per farlo essa ricorre ad un’altra facoltà. “La ragione”
(vernunft). Intelletto e Ragione per K indicano due facoltà e funzioni diverse della mente umana, non
sono quindi sinonimi
ESTETICA TRASCENDENTALE
La parola estetica è assunta nel significato etimologico (dal greco àisthesis, sentire immediatamente,
sensazione) e quindi significa sensibilità, cioè intuizione sensibile; l’aggettivo trascendentale indica che
tale intuizione è resa possibile dalle forme pure, o a priori. Nell’estetica trascendentale gli oggetti sono
utilizzati dal soggetto “senziente” che percepisce i dati sensibili; si serve quindi dei sensi, inseparabili
dall’intelletto. Kant propone di individuare le forme a priori dalla conoscenza sensibile. In
quest’impostazione della ricerca sia ha sia la novità assoluta sia la risposta al razionalismo e
all’empirismo perché è nell’analisi della sensazione che si può individuare il rapporto tra soggetto e
oggetto.
DEFINIZIONI KANTIANE
Per capire bene l’estetica trascendentale, e tutto quanto segue, occorre premettere una serie di
chiarificazioni terminologiche, sulle quali Kant stesso richiama l’attenzione del lettore con grande cura.
a) sensibilità -> capacità dell’uomo di essere modificato dagli oggetti che si relaziona e interagisce
b) intuizione -> capacità di riferimento immediato/connessione da un soggetto a un oggetto
c) sensazione – E’ l’azione che compie l’oggetto modificando il soggetto
d) concetto -> prodotto dell’intelletto pensante gli oggetti delle intuizioni. Gli oggetti sono dati
sempre dalla sensibilità che che ci fornisce altresì le intuizioni, ma queste vengono pensate
dallo stesso Intelletto (da esso derivano i concetti). L’azione di un oggetto sulla nostra capacità
rappresentativa (cioè sulla capacità di produrre concetti) è detta sensazione. L’oggetto di
un’intuizione empirica è il
e) fenomeno, nel quale k individua una
• materia -> data dalle sensazioni prodotte in noi da un oggetto (intuizione empirica)
• forma -> data dall’ordinamento in determinati rapporti del molteplice che costituisce il
fenomeno. E’ il modo di funzionare della nostra sensibilità la quale quando accoglie i dati
sensoriali e li “sistema” (intuizione pura)
SPAZIO/TEMPO
Nella filosofia occidentale lo s/t vengono considerati concetti assoluti e certi. Soprattutto nella
filosofia moderna, condizionata dalla logica matematica, non si dubita mai della misurabilità e della
quantificabiità dello spazio e del tempo, e quindi del loro carattere oggettivo. Lo spazio e tempo sono le
condizioni necessarie di ogni esperienza e sono quindi le forme a priori dell’intuizione. K. Riconduce i
concetti di spazio/tempo nel soggetto, e li lega in particolare alla sensibilità precisando: “l’uomo è
dotato di un senso interno e di un senso esterno”. Il senso esterno (in pratica i 5 sensi) ci mettono in
relazione con il mondo che ci circonda, cioè con i fenomeni, il senso interno è quello che ci consente di
percepire noi stessi che percepiamo il mondo esterno (sentire di sentire, facoltà di). La molteplicità dei
fenomeni si presenta ai nostri sensi in maniera disordinata e, solo grazie alla forma “spazio” insita nella
nostra sensibilità, possiamo organizzare la molteplicità nel momento che la percepiamo. Per questo si
può affermare che “quella determinata cosa è lì, mentre questa è qui”.
La forma spazio ci consente di percepire distintamente la cose, ma se osserviamo meglio vediamo che
l’ordine non è prettamente spaziale. Noi infatti percepiamo “prima quella cosa e dopo questa.” (o
viceversa) Quest’ordine,tuttavia, non è nelle cose ma è in noi. Ed è la forma “tempo” che agisce verso
l’interno collocando le sensazioni in ordine cronologico. Il tempo rende quindi possibile la conoscenza
della successione temporale degli stati d’animo e della percezione dei fatti esterni
Spazio/tempo, dunque, sono strumenti del soggetto grazie ai quali egli plasma la materia informe che
percepisce grazie ai sensi al fine di conoscerla. Ecco perché Kant afferma che l’uomo ordina e organizza
scientificamente la natura. Kant afferma inoltre che la intuizione dello spazio e del tempo deve essere
anteriore a qualsiasi esperienza perché altrimenti l’uomo non potrebbe collocare i dati sensibili in uno
spazio particolare e in un tempo particolare
LOGICA TRASCENDENTALE ANALITICA
Le sensazioni ordinate per spazio e per tempo non sono ancora un giudizio, affinché lo diventino, devono
essere strutturate in proposizioni (soggetto+verbo+predicato). A loro volta, le proposizioni possono
essere collegate e diventano n discorso (proposizione + proposizione) questa attività è svolta
dall’intelletto che per poterla svolgere è dotato di forme pure adatte allo scopo. Per condurre un’analisi
dell’intelletto è necessario operare in maniera pratica, cioè osservare i prodotti dell’intelletto (leggi
concetti) che non sono intuitivi ma bensì discorsivi.
Kant propone a questo proposito una classificazione dei prodotti dell’intelletto-concetti strutturata in
4 titoli che riprendono quelli della logica trascendentale, e sono:
a) rispetto alla quantità possono essere -> universali, particolari e singolari
b) rispetto alla qualità possono essere -> affermativi, negativi, infiniti
c) rispetto alla relazione (stessa in?) possono essere -> categorici, ipotetici, disgiuntivi
d) rispetto alla modalità possono essere -> problematici, assertori, apodittici (assoluti.
LA SINTESI E LE CATEGORIE
L’intelletto organizza le rappresentazioni fornite dalla sensibilità attraverso un’attività che Kant
chiama sintesi e che, intesa nel senso più generale della parola, è “l’atto di unire diverse
rappresentazioni e comprendere la loro molteplicità in una conoscenza. Le forme pure, usate per
compiere questa operazione, sono le categorie; cioè funzioni logiche che danno vita ai diversi tipi di
giudizio. Sono quindi le leggi a priori con cui l’intelletto opera la sintesi dei molteplici dati sensibili e
quindi esse sono forme costitutive dell’esperienza. Kant enumera dodici categorie ricavandole dalla
tavola dei giudizi della logica aristotelica:
1. tre per la quantità (unità, pluralità, totalità)
2. tre della qualità (realtà, negazione, limitazione)
3. tre della relazione (inerenza/sussistenza, casualità/dipendenza, reciprocità d’azione)
4. tre della modalità (possibilità/impossibilità, esistenza, inesistenza, necessità,/contingenza)
CONCETTO DI CAUSA
Il punto di partenza è la riflessione critica di Hume (david] cioè la connessione fra due fenomeni “se un
corpo è illuminato abbastanza a lungo dal sole, esso diventa caldo”; questa frase non esprime il concetto
di causa, è solo una connessione soggettiva delle percezioni. Se affermassimo invece che “il sole è, con
la sua luce, la causa del calore” diciamo la stessa cosa, ma le attribuiamo il carattere di una legge. I
fenomeni però non ci consentono di essere sicuri del principio di necessità ma un giudizio scientifico,
per essere tale, deve esprimere caratteri di necessità e universalità (prerequisiti).
Le categorie hanno quindi fondamento nella relazione dell’intelletto con l’esperienza, ma tale relazione
non è così forte da far si che esse traggano la propria origine dall’esperienza stessa; è anzi l’esperienza
che trae da esse. Stiamo insomma parlando di una connessione totalmente rovesciata, ed è bene
ricordare che questo è il carattere trascendentale delle categorie e dell’intera conoscenza; infatti le
categorie, essendo a priori, servono all’Intelletto solo nell’esperienza e, sentenzia Kant, solo attraverso
la relazione tra intelletto e fenomeni (percepiti dai sensi) è possibile la conoscenza. Pensare e
conoscere non sono la stessa cosa; non basta pensare un oggetto perché esso esista. Il pensiero deve
avere un oggetto da cui trarre ispirazione.
IO PENSO
K opera una sintesi dei dati empirici già sottoposti alla sintesi categorica. L’Io penso è il prodotto
dell’attività di sintesi dell’intelletto che, mediante le categorie, unifica la molteplicità caratteristica dei
fenomeni. Ma, per poter esprimere l’unità l’intelletto ha bisogno di un’altra “forma a priori”, cioè di
qualcosa che unifichi e accolli le proposizioni che altrimenti non sarebbero comprensibili: si tratta della
famigerata forma pura chiamata “appercezione” con la quale vuole indicare la percezione consapevole
dell’oggetto. Tuttavia essa è funzionale e può essere gestita e compresa solo dal soggetto pensante. L’io
penso è dunque per K l’unità sintetica originaria consapevole di tutte le rappresentazioni. E’ il sole del
nuovo universo copernicano di Kant. L’”Io penso” o “trascendentale” o “appercezione pura” è quindi la
categoria suprema mediante la quale il soggetto ha coscienza della propria identità sintetizzatrice.
Questa coscienza, comune a tutti gli uomini, rappresenta la condizione e il fondamento permanente di
una conoscenza universale e necessaria in mezzo al fluire delle rappresentazioni. L’Io penso è il
principio su cui si fonda la rivoluzione copernicana.
Il concetto di causa -> categoria dell’intelletto. E’ applicabile all’esperienza sensibile, ma non può essere
utilizzata in un discorso su DIO
L’idea di anima -> è una realtà individuale e autonoma, nasce dall’attribuzione dell’Io penso dalle
caratteristica di sostanza spirituale capace di vivere oltre il corpo. Se l’anima è una sostanza, dovremo
pur sempre dimostrare la sua immortalità; “condizione soggettiva di ogni esperienza possibile è la vita”
Se non è possibile fare l’esperienza dell’immortalità allora dire che “l’anima è immortale” piuttosto che
“l’anima è mortale” non ha alcun valore conoscitivo; dunque qualsiasi discorso sull’anima risulta privo di
significato e senza fondamento scientifico per Kant.
Egli afferma che “l’Io penso dei Razionalisti”, ossia il semplice pensiero inteso come attività pensante,
non può identificarsi con l’anima intesa come sostanza semplice, libera, immortale che costituisce il
substrato di tutti i fenomeni interni.
LA COSMOLOGIA RAZIONALE
E’ lo studio del cosmo con i concetti della ragione. E’ una scienza presunta. Essa infatti pretende di dare
una conoscenza assoluta dell’universo e dei suoi fenomeni che vi stanno dentro. E’ vero che i fenomeni
dell’universo sono osservabili, ma le costruzioni cosmologiche (matematiche-fisico-dinamiche)
propongono un modello (oggetto) che non può essere “dato compreso” in una qualsiasi esperienza. Kant
afferma che la ragione cade in contraddizioni insolubili quando pretende di conoscere l’universo inteso,
metafisicamente, come totalità. Infatti intorno all’universo considerato nella sua totalità sono possibili
affermazioni opposte tra loro (tesi e antitesi) dette appunto antinomie. Kant identifica innanzitutto 4
tesi:
1) il mondo ha un inizio (limite) nel tempo e nello spazio
2) Il mondo deriva da parti semplici e quind non è divisibile all’infinito
3) vi sono nel mondo delle cause che agiscono in libertà
4) nella serie di cause cosmiche vi è un certo essere necessario
Queste 4 tesi non sono contraddittorie e non possono essere confutate dall’esperienza, anzi, Kant le
dimostra ma parallelamente sostiene che sono anche dimostrabili le 4 antitesi che legano queste tesi:
1) il mondo è infinito nel tempo e nello spazio
2) nel mondo non vi è niente di semplice, tutto è composto
3) nel mondo non vi è libertà, tutto è natura
4) nella serie di cause cosmiche non vi è niente di necessario; tutto è contingente (occasionale)
La coppia di tesi più antitesi costituisce un’autonomia: 2 proporzioni possono essere entrambe vere o
entrambe false, e siccome non si può ricorrere all’esperienza anche la cosmologia risulta essere una non
scienza per Kant.
DIO
Le idee di anima e di mondo nascono da un rapporto con l’esperienza e si configurano come idee nel
momento in cui la ragione presiede di trascendere l’esperienza pensando all’anima immortale e al mondo
come totalità assoluta. Ben più evidente è il carattere e l’idea allorché la ragione pensa a Dio; essa
infatti si stacca dall’esperienza, “partendo” da concetti di ciò che costituirebbe l’assoluta compiutezza
di una cosa in generale e tramite l’idea di un essere primo perfettissimo fino alla definizione della
realtà delle cose. La teologia ritiene condizioni oggettive delle cose condizioni soggettive del nostro
pensiero. Ritiene quindi un dogma ciò che è n’ipotesi necessaria all’appagamento della ragione.
Kant riconosce alla ragione umana il bisogno di Dio, purchè non si trasformi questa ipotesi nella causa
originaria di tutte le cose “pensare non è sinonimo di conoscere”; tenendo ferma questa distinzione
nessun pensiero è precluso ad esso. Siccome la teologia ha prodotto una serie di prove sull’esistenza di
un essere assoluto e necessario, Kant analizza e confuta tali prove criticando ogni teologia fondata sui
principi speculativi della ragione
• il deismo -> pensa a Dio come causa del mondo (passivo)
• il teismo -> pensa a Dio come creatore del mondo (attivo)
Per Kant, se Dio fosse conoscibile all’interno della catena della causalità egli dovrebbe entrare nel
mondo delle esperienze sensibili, Se ciò non fosse noi dovremmo trovare una causa che non sia un
fenomeno empirico; ma ciò è logicamente impossibile, richiede un atto di fede (un procedimento non
conoscitivo e non scientifico). Anche la teologia altro non è che una falsa scienza.
RAGION PRATICA
IL PIACERE E A FELICITA’
Le azioni dell’uomo sono legate alla sua sensibilità: rispondono a stimoli sensibili e tendono al
raggiungimento del piacere e della felicità. Per Kant, accanto ai piaceri derivanti dai sensi, esistono i
piaceri dell’Intelletto (leggere, conversare etc) Ambo i 2 piaceri (sensoriali e intellettuali) agiscono
sulla facoltà di desiderare e ne sono determinanti la durata e l’intensità del piacere. Possiamo allora
dire che le scelte dell’agire umano sono determinate
1) dall’indennità del piacere
2) dalla sua lunghezza
3) dalla facilità con cui procurarselo
4) dalla frequenza con cui lo possiamo ripetere
AUTONOMIA ED ETERONOMIA
La volontà è determinata dagli effetti che ogni azione ha sul soggetto. Tuttavia le azioni che hanno
valore di piacere nel confronti di chi le compie, non possono essere il criterio della moralità. Queste
sono buone perché producono piacere al soggetto che le compie. Hanno dunque un valore relativo e
soggettivo. Rispondono invece ai principi della morale le azioni ritenute universalmente buone, e la
ragione deve tendere a formulare norme valide di per sé e riconosciute valide da tutti gli esseri
razionali: Ma, per poter realizzare un simile risultato, la ragione dev’essere autonoma e non deve
derivare cioè da stimoli esterni, da leggi acquisite o dettate da altri.
Molte delle dottrine morali si fondano su formule provenienti dall’esterno del soggetto. [Religioni
rivelate, concezioni filosofiche, teorie ideologiche] e in questi casi la volontà è condizionata dagli
oggetti. Tutto ciò che è condizionato da una pena o da un premio non ha un vero valore morale. Così
nessuna azione potrà essere considerata buona se compiuta con l’intento di sfuggire a una condanna
(pena) o con quello di ottenere un premio. Es. comportarsi bene perché si vuole acquisire un premio (es n
posto in paradiso) non è una regola morale
Il sommo bene si raggiunge quando la regola morale ha successo, ossia quando raggiunge un buon
risultato concreto (p29 libro giallo)
L’imperativo della modale autonoma, cioè della vera morale, deve essere libero, deve avere un valore
assoluto e universale a prescindere dagli oggetti, liberando la volontà; Kant lo chiama Imperativo
categorico, utilizzando la formula “tu…devi”. Determina la volontà non in vista di ottenere un
determinato scopo. L’imperativo categorico è un comando assoluto e incondizionato, e non un semplice
consiglio o invito, è forma a priori della ragion pratica e non proviene dall’esperienza; di conseguenza
l’azione che si riveste di tale forma pura non è subordinata ad alcuna ipotesi o condizione, ma acquista
valore di universalità e necessità. Vale incondizionatamente per tutti gli esseri razionali Es. 2Non devi
promettere il falso” se risulta che tale regola è praticamente e moralmente giusta essa è una legge e
perciò un imperativo categorico. Dunque, la Ragion pratica non deve non deve limitarsi a mostrare un
interesse estraneo, ma deve esprimere la propria autorità imperativa formulando le leggi supreme e
assolute. La norma morale (perché l’imperativo) ha quindi una forma ipotetica e una craterica e dà un
contenuto che Kant chiama Massima
LA FACOLTA’ DI LEGIFERARE
“Il soggetto impone a sé stesso le proprie leggi alle quali non deve sottostare”. L’uomo unifica così in sé
la doppia funzione di legislatore e di suddito. Qui K ripropone un principio fondamentale affermatosi
tra i sostenitori della Democrazia: “la volontà generale non è nulla di più della somma delle volontà
individuali”. Solo la consapevolezza che la nostra volontà in ogni scelta obbedisce solo a sé stessa e non
a una volontà esterna ci può garantire un’adesione incondizionata alla norma morale.
Al di là del principio di piacere è necessario che le leggi morali e il principio di piacere non risiedano solo
nel principio di piacere e di felicità. Pur non negando il piacere come motore delle azioni è necessario
che esso perda le caratteristiche di soddisfazione individuale. Per K le azioni non si compiono per
ottenere qualcosa, quindi se non per piacere le azioni morali si compiranno per dovere. Ma l’obbedienza,
alla scelta del dovere, deve comunque nascere dalla ragione e dalle sue leggi.
IL GIUDIZIO TEOLOGICO
Tutto nell’universo è utile a qualcosa (ha un fine) questa non è conoscenza né morale; è semplicemente
l’espressione di un sentimento. Valutando l’agire dell’uomo, vediamo che ogni azione ha un obbiettivo.
L’obbiettivo delle azioni umane è l’utilità . La visione di un’attività naturale in una prospettiva finalistica
è una forma particolare di giudizio riflettente che Kant chiama giudizio teologico, giudizio basato sui
fini. In altre parole l’uomo, quando considera un organismo vivente, sente che i singoli organi concorrono
alla finalità e che questa finalità è inerente all’oggetto, anche se corrispondente al suo sentimento di
finalità e di armonia: la finalità dell’oggetto è perciò oggettiva.
MALE
Tutti fanno nascere il mondo dal bene e dalla perfezione dai quali l’uomo viene allontanato e cacciato
verso il peggio. Esiste tuttavia un’altra opinione secondo la quale il mondo progredisca verso il meglio;
presumibilmente solo una generosa ipotesi dei moralisti (da Seneca a Rousseau) per incoraggiarci a
coltivare il germe del bene essendo convinti di una naturale disposizione dell’uomo a questo sviluppo.
Così Kant ironizza sulla materia del moralismo senza però rinunciare all’ottimismo;ritiene infatti una
disposizione innata nell’uomo quella del bene e una tendenza acquisita quella al male. La tendenza al male
è legata al libero arbitrio, cioè alla possibilità dell’uomo di disattendere la legge morale data dalla
ragione.
Esiste una convinzione che dura da molti secoli secondo la quale il mondo si trova in una condizione di
“male”. Ciononostante tutti fanno nascere il mondo dal bene e dalla perfezione, dalle quali gli uomini
vengono cacciati verso il peggio. Esistono inoltre teorie nelle quali il mondo progredisce verso il meglio
ma K le considera una generosa ipotesi dei moralisti. L’uomo secondo il filosofo ha una tendenza
acquisita al male e una tendenza/disposizione innata al bene