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KANT

PROBLEMI DI KANT
I principali problemi che Kant si propone di risolvere sono
• La scienza -> (matematica e fisica) che egli ammette conoscibile
• La metafisica -> (io, Dio, mondo) di cui egli nega la conoscenza razionale (agnosticismo)
• La morale -> che egli fonda sulla ragione umana intesa come autoregolatrice

CRITICISMO KANTIANO
Criticismo significa esame della ragione sulle capacità e sui limiti di essa nell’attività conoscitiva (critica
della Ragion pura) nell’attività pratica (Critica della Ragione Pratica) e nell’attività fondata sul
sentimento di armonia e di finalità. Kant opera quindi una critica della ragione (pura e pratica) e del
giudizio. Essi costituiscono il sistema filosofico Kantiano; secondo il filosofo la mente umana agisce
attraverso 3 grandi facoltà:
1. produrre la morale attraverso la ragione
2. sentire (sentimento)
3. conoscere attraverso l’intelletto

PROBLEMA DELLA METAFISICA


Risolvibile con un procedimento scientifico. Ogni sistema filosofico per K è di tipo metafisico (va oltre i
limiti del sensibile); ragionamento largamente condiviso. La ragione umana si pone delle domande e cerca
risposte che oltrepassano la realtà sensibile. E’ dunque necessario sottoporre a una critica (critica alla
M) i contenuti e i metodi della filosofia, perché solo così possiamo sperare di raggiungere una
conoscenza vera. Già altri filosofi prima di lui avevano tentato questa strada ma si erano fermati ad
analizzare e criticare i limiti della ragione. Non avevano affrontato le tematiche della Metafisica

Fino ai tempi di kant la Mematifisica non era riuscita a dare delle risposte assolutamente vere e certe;
per il filosofo dobbiamo considerarla una “falsa dialettica”. La ragione umana non può conoscerla perché
manca il contenuto per la sintesi. Infatti io, universo, Dio non sono oggetto di esperienza e non offrono
perciò un’intuizione sensibile che serva da contenuto alle idee. Di conseguenza le scienze (metafisica
dell’anima, dell’universo e teologico), che si sono sviluppate sulle tre idee della ragione, sono considerate
false da Kant.
Per K invece la Metafisica è una delle facoltà naturale della ragione. E’ convinto che coloro che
conosceranno gli strumenti e i metodi della cinetica non potranno accontentarsi più finchè non avranno
raggiunto una metafisica controllata dalla ragione

RIVOLUZIONE COPERNICANA
Kant attribuisce un grande merito all’Illuminismo, perché a suo avviso ha superato un grande limite: ha
osato conoscere. Kant è infatti convinto che anche alla fine del 18 all’inizio del 19 sia indispensabile
apprenderee perché nulla è scontato. E’ da qui che parte l’idea Kantiana di una rivoluzione copernicana
della filosofia. Fino a Kant si era tentato di spiegare la conoscenza supponendo che fosse il soggetto a
dover ruotare intorno all’oggetto. Egli riconosce il fallimento dei grandi sistemi filosofici classici
(ovvero *guardare su internet*) Anche le verità certe degli illuministi si sono ristrette e non
permettono alla ragione di fornire risposte soddisfacenti ai grandi problemi della filosofia, da quello
teologico a quello epico.
C’è bisogno dunque, di una rivoluzione che non si accontenti di analizzare i limiti della ragione ma che
renda anche possibile un’analisi filosofica del tutto garantita dalla scientificità, cioè che si possa
ottenere ponendo il soggetto al centro del processo della conoscenza e attribuendogli la funzione
determinante rispetto agli “oggetti” della conoscenza stessa. Kant Suppose quindi che fosse l’oggetto a
dover ruotare intorno al soggetto; in breve, noi delle cose non conosciamo a priori se non quello che noi
stessi vi mettiamo, e pertanto il fondamento dei giudizi sintetici a priori è il soggetto stesso con le
leggi della sua sensibilità e del suo intelletto
LA CENTRALITA’ DEL SOGGETTO: aggettivo TRASCENDENTALE
Nella filosofia moderna, la centralità del soggetto non è una novità. Vi era già giunto Cartesio (cogito
ergo sum) . Il tentativo Kantiano è quello di stabilire un nuovo rapporto tra soggetto e oggetto, nel
quale dev’essere assicurato il carattere universale della conoscenza senza però rinunciare
all’esperienza, cioè senza mettere in dubbio la realtà sensibile. Per questo nuovo rapporto Kant inventa
un nuovo aggettivo: trascendentale. Con la coniazione di questo nuovo termine intende definire una
dimensione che “trascende” la realtà sensibile ma che acquista senso ed esiste solo in rapporto
all’esperienza sensibile stessa. E’ una parola che si riferisce alle strutture a priori della sensibilità e
dell’intelletto umani, strutture che rappresentano le condizioni senza le quali non è possibile nessuna
esperienza di nessun oggetto: il trascendentale è dunque la condizione della conoscibilità (della
intuibilità e della pensabilità) degli oggetti, e ciò che il soggetto mette nelle cose nell’atto stesso di
conoscerle. Il soggetto quindi determina, crea, costituisce il proprio rapporto con l’oggetto, purchè ci
siano condizioni. Anche se non sono gli oggetti a darci la conoscenza, essi consentono alle nostre facoltà
conoscitive di uscire dal puro stadio di potenzialità. Il soggetto, dice K, è trascendentale, in quanto, pur
essendo diverso e autonomo dall’oggetto, agisce ed esiste solo in rapporto con l’oggetto stesso

FENOMENO E NOUMENO
Distinzione tra ciò che è l’oggetto in se e ciò che di esso si manifesta al soggetto, Ciò che si manifesta
e che quindi è percepito dai sensi, K lo chiama “Fenomeno”, ciò che non appare ai sensi e può essere solo
pensato dalla mente, è detto da K “noumeno” (=pensabile, non conoscibile) o “oggetto della mente”. Il
noumeno è totalmente escluso dalla percezione sensibile e quindi dalla conoscenza che ne deriva. E’ un
“concetto problematico”, nel senso che esso non contiene nessuna contraddizione e come tale noi lo
possiamo pensare, ma non effettivamente conoscere; ma è anche un concetto necessario, affinché
l’intuizione sensibile non venga estesa fino alle cose in sé. Il concetto di noumeno in questo caso è
dunque solo un concetto limite per circoscrivere le pretese della sensibilità, e perciò di uso puramente
negativo; tuttavia possiamo anche attribuirgli un valore positivo: è il soprasensibile, posto fuori
dell’esperienza, al quale l’uomo aspira senza poterlo conoscere perché la conoscenza umana avviene solo
mediante sintesi e forma e del soprasensibile non si può avere il contenuto. Il fenomeno invece è
l’ambito ristretto delle cose così come esse ci appaiono, mentre tutt’intorno a esse c’è il più ben vasto
ambito delle cose quali sono in sè, un ambito che sfugge alla nostra conoscenza (noumeno) I fenomeni
cadendo sotto i nostri sensi ci permettono di capirli, comprenderli e ordinarli. Coi numeri lo possiamo
pensare ma non possiamo renderlo tangibile e interagirci. Bisogna solo conoscere i limiti delle 2 facoltà
1. intelletto
2. ragione (etica e morale) funziona in maniera diversa
3. sentimento
Queste sono le facoltà fondamentali del sistema Kantiano

LA CONOSCENZA
In questo modo Kant ha ridisegnato lo scenario in cui opera la ragione. Ci sono 1 oggetto e 1 soggetto,
reciprocamente autonomi e al tempo stesso necessari l’uno all’altro. Ma il soggetto (trascende) non può
prescindere dal soggetto e ne determina il contenuto. La mente dell’uomo agisce solo in presenza di un
oggetto da conoscere (“fenomeno”); ma nell’atto conoscitivo il contenuto dell’oggetto non dipende da ciò
che è in se ma da ciò che percepisce il soggetto. Ecco perché la ragione deve operare un esame
autocritico per individuare i propri limiti ma anche per i meccanismi del proprio funzionamento.

Giudizi analitici a priori, giudizi sintetici a posteriori – critica della ragion pura
RAZIONALISTI – giudizi analitici A PRIORI
La ragione ha da sempre operato attraverso la formulazione di giudizi, cioè ha sempre attribuito un
predicato a un oggetto es “l’uomo è mortale”. Però non tutti i giudizi sono dello stesso tipo “la somma di
3+2=52”. K precisa che i giudizi dei razionalisti sono di un modello fondato sul principio logico di
identità, secondo il quale il predicato è già contenuto nel soggetto e questi giudizi sono detti “analitici a
priori”, i quali obbediscono ai criteri di necessità e universalità: il predicato è necessariamente legato al
soggetto, per cui chiunque pensando a quel soggetto non può non pensarlo con quel predicato. (es. il
corpo è esteso: il concetto di estensione (predicato) è già contenuto nel soggetto corpo /soggetto)
Questo tipo di giudizio è analitico: l’analisi non aggiunge nulla al soggetto analizzato. Il predicato rende
semplicemente esplicito ciò che già esprime il concetto che da soggetto. Non con consentono quindi
l’aumento della conoscenza.

L’A A PRIORI DI KANT E DEI RAZIONALISTI


L’a a priori di Kant non corrisponde a quella dei Razionalisti. Anche se, tanto per i Razionalisti quanto
per K, a priori vuol dire indipendentemente dall’esperienza. L’a priori dei razionalisti significa idee
innate, che sono principi razionali posseduti dall’anima (la res cogitans) come contenuto suo proprio; l’a
priori kantiano invece indica la funzione, l’attività dello spirito umano.

EMPIRISTI
I giudizi empiristi invece vengono espressi a seguito di un’esperienza, dunque essi sono “ sintetici a
posteriori”, aggiungono qualcosa che non era inclusa nel soggetto. Es. “i corpi sono pesanti” Si può dire
che i corpi sono pesanti, ma non tutti lo sono, occorre fare un’esperienza per verificare i vari casi. In
essi quindi il predicato aggiunge qualcosa di nuovo al concetto che fa da soggetto. Questi giudizi K li
definisce sintetici ma anch’essi presentano un limite: pur fornendo un aumento di conoscenza non
rispondono ai criteri di
1. necessità
2. universalità
essenziali per un giudizio scientifico e dunque attendibile. Per la conoscenza occorre esprimere i giudizi
sintetici a priori,

LA SINTESI DI KANT E DEGLI EMPIRISTI


Non corrisponde. Secondo gli Empiristi la sintesi è attuata a posteriori ed è ottenuta con la somma di
varie esperienze, cioè con l’aggiunta di esperienza ad esperienza; secondo Kant invece la sintesi dei dati
sensibili è attuata a priori; cioè mediante l’attività comune a tutti gli uomini, e quindi ha carattere di
universalità e necessità

UNIONE: SINTETICO A PRIORI


L’obbiettivo della filosofia di K è quello di individuare la possibilità di formulare un giudizio che abbia
tutte le caratteristiche e i prerequisiti
a) dell’analitico a priori e che produca un incremento
b) della conoscenza, come avviene con i sintetici a posteriori
La filosofia deve quindi esprimersi con giudizi sintetici a priori e K ritiene di averne individuato un
modello nella matematica. Es. 7+5=12 E’ un giudizio sintetico. Il predicato/risultato non è contenuto nei
termini 7 e 5 ma scaturisce solo dalla loro relazione/unione (la somma) ma è anche a priori poiché vale
indipendentemente dall’esperienza cioè prescinde dagli oggetti empirici a cui questi numeri si
riferiscono (entità 5 e entità 7), Il giudizio sintetico a priori è quindi costituito da un contenuto a
posteriori (le impressioni sensibili: materia), e di un elemento a priori non derivato dall’esperienza (la
forma a priori: forma) Tale giudizio ha i caratteri di fecondità, perché il contenuto è ricavato
dall’esperienza, e nello stesso tempo di universalità e necessità, perché la sintesi dei dati sensibili è
operata secondo le leggi proprie dello spirito umano, indipendentemente dall’esperienza, cioè secondo il
modo di funzionare dello spirito.
LA RAGION PURA
Il carattere a priori di un giudizio risiede nel “soggetto-giudicante”, cioè nella ragion pura, ,considerata
al di fuori di qualsiasi esperienza. Poiché la ragione è una facoltà, è la facoltà che ci fornisce i principi a
priori della conoscenza, la R.P. è quella che contiene i principi per conoscere a priori, cioè che ci
consente di applicare le forme pure alle esperienze per trarne gli elementi conoscitivi

IL PENSIERO, LA RAGIONE E L’INTELLETTO


Quando K parla di p, r e i, si riferisce sempre a un’attività esclusivamente umana, intrinseca in ciascun
individuo, glissando consapevolmente ogni dimensione metafisica del pensiero. (Pensiero e Ragione
diversi da intelletto) In questo modo egli accoglie pienamente la lezione dell’empirismo e
dell’illuminismo. Inoltre, il pensiero, in tedesco denken, come “attività dell’uomo” si manifesta in maniera
diversificata perché utilizza facoltà diverse della mente umana

Quando elabora i dati pervenuti dall’esperienza e produce una conoscenza di tipo scientifico, K lo
definisce come “intelletto” in tedesco verstand. Ma siccome è evidente che la nostra mente pensa
anche a oggetti estranei alla sensibilità (Dio es) per farlo essa ricorre ad un’altra facoltà. “La ragione”
(vernunft). Intelletto e Ragione per K indicano due facoltà e funzioni diverse della mente umana, non
sono quindi sinonimi

CRITICA DELLA RAGION PURA


L’obbiettivo della critica della ragion pura è stabilire le sue possibilità e i suoi limiti. Perciò Kant si
domanda se la matematica, la fisica, ma soprattutto la metafisica abbiano valore di scienza, cioè
possano essere formulate mediante giudizi sintetici a priori.
ESTETICA E LOGICA TRASCENDENTALI
K ha suddiviso la sua opera in due parti:
1) dedicata alla sensibilità e alle sensazioni, che egli ha chiamato “estetica trascendentale”
2) si occupa delle facoltà della mente, che ha chiamato “logica trascendentale”. In questa ha operato
un’ulteriore divisione:
• analitica t -> relativa all’attività dell’intelletto, cioè il modo in cui mediante la rielaborazione dei
dati pervenuti si giunge alla conoscenza scientifica. Ricerca specificamente i concetti a priori e
i principi dell’intelletto umano senza i quali nessun oggetto po’ essere pensato.
• dialettica t -> relativa al funzionamento della ragione in relazione alle idee, cioè ai contenuti del
pensiero che prescindono dalle sensazioni. E’ l’attività della ragione che, oltrepassando
l’esperienza, pretende di conoscere la metafisica nel tentativo di unificare in un tutto armonico
le conoscenze parziali dell’intelletto, e, nella sua illusione, cade in ragionamenti contraddittori.

ESTETICA TRASCENDENTALE
La parola estetica è assunta nel significato etimologico (dal greco àisthesis, sentire immediatamente,
sensazione) e quindi significa sensibilità, cioè intuizione sensibile; l’aggettivo trascendentale indica che
tale intuizione è resa possibile dalle forme pure, o a priori. Nell’estetica trascendentale gli oggetti sono
utilizzati dal soggetto “senziente” che percepisce i dati sensibili; si serve quindi dei sensi, inseparabili
dall’intelletto. Kant propone di individuare le forme a priori dalla conoscenza sensibile. In
quest’impostazione della ricerca sia ha sia la novità assoluta sia la risposta al razionalismo e
all’empirismo perché è nell’analisi della sensazione che si può individuare il rapporto tra soggetto e
oggetto.
DEFINIZIONI KANTIANE
Per capire bene l’estetica trascendentale, e tutto quanto segue, occorre premettere una serie di
chiarificazioni terminologiche, sulle quali Kant stesso richiama l’attenzione del lettore con grande cura.
a) sensibilità -> capacità dell’uomo di essere modificato dagli oggetti che si relaziona e interagisce
b) intuizione -> capacità di riferimento immediato/connessione da un soggetto a un oggetto
c) sensazione – E’ l’azione che compie l’oggetto modificando il soggetto
d) concetto -> prodotto dell’intelletto pensante gli oggetti delle intuizioni. Gli oggetti sono dati
sempre dalla sensibilità che che ci fornisce altresì le intuizioni, ma queste vengono pensate
dallo stesso Intelletto (da esso derivano i concetti). L’azione di un oggetto sulla nostra capacità
rappresentativa (cioè sulla capacità di produrre concetti) è detta sensazione. L’oggetto di
un’intuizione empirica è il
e) fenomeno, nel quale k individua una
• materia -> data dalle sensazioni prodotte in noi da un oggetto (intuizione empirica)
• forma -> data dall’ordinamento in determinati rapporti del molteplice che costituisce il
fenomeno. E’ il modo di funzionare della nostra sensibilità la quale quando accoglie i dati
sensoriali e li “sistema” (intuizione pura)

LE FORME PURE A PRIORI


La conoscenza è il frutto di una relazione e soggetto e oggetto per cui entrambi sono attivi e passivi.
L’oggetto è attivo perché modifica la nostra sensibilità, ed è passivo perché viene ordinato e
rappresentato dal soggetto. Quest’ultimo è simmetricamente passivo poiché modificato dall’oggetto
sensibile e attivo perché dotato della facoltà di pensare cioè di definire e ordinare l’oggetto. Ciò,
tramite l’esperienza sensibile, non è la cosa in sé e nemmeno l’oggetto “indifferenziato”, è solo una
rappresentazione dell’intelletto e del soggetto che dà forma alla percezione sensibile. Per dare forma
alla materia del fenomeno, l’intelletto deve possedere dei prerequisiti, delle facoltà adatte aventi
forme a priori insite nell’intelletto stesso; l’estetica trascendentale è lo studio di queste forme.

SPAZIO/TEMPO
Nella filosofia occidentale lo s/t vengono considerati concetti assoluti e certi. Soprattutto nella
filosofia moderna, condizionata dalla logica matematica, non si dubita mai della misurabilità e della
quantificabiità dello spazio e del tempo, e quindi del loro carattere oggettivo. Lo spazio e tempo sono le
condizioni necessarie di ogni esperienza e sono quindi le forme a priori dell’intuizione. K. Riconduce i
concetti di spazio/tempo nel soggetto, e li lega in particolare alla sensibilità precisando: “l’uomo è
dotato di un senso interno e di un senso esterno”. Il senso esterno (in pratica i 5 sensi) ci mettono in
relazione con il mondo che ci circonda, cioè con i fenomeni, il senso interno è quello che ci consente di
percepire noi stessi che percepiamo il mondo esterno (sentire di sentire, facoltà di). La molteplicità dei
fenomeni si presenta ai nostri sensi in maniera disordinata e, solo grazie alla forma “spazio” insita nella
nostra sensibilità, possiamo organizzare la molteplicità nel momento che la percepiamo. Per questo si
può affermare che “quella determinata cosa è lì, mentre questa è qui”.

La forma spazio ci consente di percepire distintamente la cose, ma se osserviamo meglio vediamo che
l’ordine non è prettamente spaziale. Noi infatti percepiamo “prima quella cosa e dopo questa.” (o
viceversa) Quest’ordine,tuttavia, non è nelle cose ma è in noi. Ed è la forma “tempo” che agisce verso
l’interno collocando le sensazioni in ordine cronologico. Il tempo rende quindi possibile la conoscenza
della successione temporale degli stati d’animo e della percezione dei fatti esterni

Spazio/tempo, dunque, sono strumenti del soggetto grazie ai quali egli plasma la materia informe che
percepisce grazie ai sensi al fine di conoscerla. Ecco perché Kant afferma che l’uomo ordina e organizza
scientificamente la natura. Kant afferma inoltre che la intuizione dello spazio e del tempo deve essere
anteriore a qualsiasi esperienza perché altrimenti l’uomo non potrebbe collocare i dati sensibili in uno
spazio particolare e in un tempo particolare
LOGICA TRASCENDENTALE ANALITICA
Le sensazioni ordinate per spazio e per tempo non sono ancora un giudizio, affinché lo diventino, devono
essere strutturate in proposizioni (soggetto+verbo+predicato). A loro volta, le proposizioni possono
essere collegate e diventano n discorso (proposizione + proposizione) questa attività è svolta
dall’intelletto che per poterla svolgere è dotato di forme pure adatte allo scopo. Per condurre un’analisi
dell’intelletto è necessario operare in maniera pratica, cioè osservare i prodotti dell’intelletto (leggi
concetti) che non sono intuitivi ma bensì discorsivi.
Kant propone a questo proposito una classificazione dei prodotti dell’intelletto-concetti strutturata in
4 titoli che riprendono quelli della logica trascendentale, e sono:
a) rispetto alla quantità possono essere -> universali, particolari e singolari
b) rispetto alla qualità possono essere -> affermativi, negativi, infiniti
c) rispetto alla relazione (stessa in?) possono essere -> categorici, ipotetici, disgiuntivi
d) rispetto alla modalità possono essere -> problematici, assertori, apodittici (assoluti.

LA SINTESI E LE CATEGORIE
L’intelletto organizza le rappresentazioni fornite dalla sensibilità attraverso un’attività che Kant
chiama sintesi e che, intesa nel senso più generale della parola, è “l’atto di unire diverse
rappresentazioni e comprendere la loro molteplicità in una conoscenza. Le forme pure, usate per
compiere questa operazione, sono le categorie; cioè funzioni logiche che danno vita ai diversi tipi di
giudizio. Sono quindi le leggi a priori con cui l’intelletto opera la sintesi dei molteplici dati sensibili e
quindi esse sono forme costitutive dell’esperienza. Kant enumera dodici categorie ricavandole dalla
tavola dei giudizi della logica aristotelica:
1. tre per la quantità (unità, pluralità, totalità)
2. tre della qualità (realtà, negazione, limitazione)
3. tre della relazione (inerenza/sussistenza, casualità/dipendenza, reciprocità d’azione)
4. tre della modalità (possibilità/impossibilità, esistenza, inesistenza, necessità,/contingenza)

DIFFERENZA CATEGORIE KANT E ARISTOTELE


Non è difficile notare la somiglianza col metodo Aristotelico, ma Kant evidenzia le differenze: Per Kant
le dodici categorie sono il modo di funzionare dell’intelletto e sono soltanto “forme logiche pure (=del
pensiero) Le dieci categorie di Aristotele invece sono i generi sommi del pensiero e dell’essere: del
pensiero, in quanto concetti che hanno il massimo di estensione (sono predicati di qualunque oggetto) e
il massimo di comprensione (hanno una sola nota caratteristica, quella cioè che ciascuna di esse
designa); dell’essere, in quanto si attuano nella realtà: esse sono perciò forme logiche (del pensiero) ed
anche forme ontologiche (=della realtà). Per chiarire questo punto, Kant affronta la cosiddetta croce
dei metafisici, cioè il concetto di causa

CONCETTO DI CAUSA
Il punto di partenza è la riflessione critica di Hume (david] cioè la connessione fra due fenomeni “se un
corpo è illuminato abbastanza a lungo dal sole, esso diventa caldo”; questa frase non esprime il concetto
di causa, è solo una connessione soggettiva delle percezioni. Se affermassimo invece che “il sole è, con
la sua luce, la causa del calore” diciamo la stessa cosa, ma le attribuiamo il carattere di una legge. I
fenomeni però non ci consentono di essere sicuri del principio di necessità ma un giudizio scientifico,
per essere tale, deve esprimere caratteri di necessità e universalità (prerequisiti).
Le categorie hanno quindi fondamento nella relazione dell’intelletto con l’esperienza, ma tale relazione
non è così forte da far si che esse traggano la propria origine dall’esperienza stessa; è anzi l’esperienza
che trae da esse. Stiamo insomma parlando di una connessione totalmente rovesciata, ed è bene
ricordare che questo è il carattere trascendentale delle categorie e dell’intera conoscenza; infatti le
categorie, essendo a priori, servono all’Intelletto solo nell’esperienza e, sentenzia Kant, solo attraverso
la relazione tra intelletto e fenomeni (percepiti dai sensi) è possibile la conoscenza. Pensare e
conoscere non sono la stessa cosa; non basta pensare un oggetto perché esso esista. Il pensiero deve
avere un oggetto da cui trarre ispirazione.

IO PENSO
K opera una sintesi dei dati empirici già sottoposti alla sintesi categorica. L’Io penso è il prodotto
dell’attività di sintesi dell’intelletto che, mediante le categorie, unifica la molteplicità caratteristica dei
fenomeni. Ma, per poter esprimere l’unità l’intelletto ha bisogno di un’altra “forma a priori”, cioè di
qualcosa che unifichi e accolli le proposizioni che altrimenti non sarebbero comprensibili: si tratta della
famigerata forma pura chiamata “appercezione” con la quale vuole indicare la percezione consapevole
dell’oggetto. Tuttavia essa è funzionale e può essere gestita e compresa solo dal soggetto pensante. L’io
penso è dunque per K l’unità sintetica originaria consapevole di tutte le rappresentazioni. E’ il sole del
nuovo universo copernicano di Kant. L’”Io penso” o “trascendentale” o “appercezione pura” è quindi la
categoria suprema mediante la quale il soggetto ha coscienza della propria identità sintetizzatrice.
Questa coscienza, comune a tutti gli uomini, rappresenta la condizione e il fondamento permanente di
una conoscenza universale e necessaria in mezzo al fluire delle rappresentazioni. L’Io penso è il
principio su cui si fonda la rivoluzione copernicana.

IL SOGGETTO E IL CIASCUN UOMO


K è riuscito a sviluppare la conoscenza mettendo ai margini l’oggetto e spostando tutta la ricerca sul
soggetto. L’oggetto è per K “materia informe disordinata e destrutturata”. Il soggetto è per K
“l’architetto che rappresenta e costituisce il mondo della natura, imponendogli le proprie leggi.”
Il soggetto e l’intelletto sono metafisici, non materiali ma entità pure, che però restano in costante ed
ineliminabile relazione con gli oggetti. Il soggetto non è un dio, né divino è il suo intelletto; egli inoltre
non è neppure uno, bensì è moltiplicato per il numero degli uomini (soggetti pensanti che popolano la
terra)
L’affermazione del più radicale soggettivismo coincide con la certezza d’aver trovato il principio della
verità indubitabile, necessaria e universale; esso risiede nell’universalità e necessita delle forme pure a
priori dalla sensibilità e dell’intelletto: “ogni uomo è uguale un altro uomo nel modo di percepire,
spazializzare e temporalizzare le cose; tutti gli uomini pensano nello stesso modo, usano le stesse
categorie, riconoscono gli altri uguali a se grazie alla consapevolezza del proprio Io.

LO SCHEMATISMO TRASCENDENTALE: come un oggetto venga ridotto a un concetto


Affinché il quadro del processo conoscitivo sia completo, resta un punto da chiarire:c come un oggetto
venga ridotto a un concetto. Occorre un intermediario che consenta alla categoria di entrare in
rapporto con l’oggetto. K chiama questo intermediario schema trascendentale e lo identifica nei numeri
e nelle forme geometriche. Ma che cos’è lo schema trascendentale? Vi sono molti casi in cui la relazione
tra i fenomeni è molto complessa e difficile. Qui Kant riscopre e utilizza il tempo come “strumento per
avvicinare le categorie-concetti puri agli oggetti e fenomeni. Com’è possibile che l’intelletto, mediante
le categorie, operi sulla materia colta dalla sensazione? Lo schema trascendentale aiuta l’intelletto a
usare la corretta categoria.
LEGGI DELL’INTELLETTO E DELLA NATURA
L’intelletto riesce a costruire giudizi sintetici a priori. Sono la descrizione dei fenomeni secondo leggi
Universali e necessarie. Le leggi che regolano la formulazione dei giudizi sono proprie dell’intelletto che
le trasferisce (impone) alla natura intesa come materia (priva di forma e struttura).
I fenomeni non sono solo rappresentazioni di cose che rimangono ignote per quel che possono essere in
sé stesse
• i fenomeni -> che non esistono in sé, non possono avere leggi proprie, essi infatti esistono solo in
relazion al soggetto dotato di sensi e intelletto
• l’intelletto -> imponendo le proprie leggi alla natura, la trasforma da “materialiter spectata”
(natura vista come pura materia) a “formaliter spectata” (natura vista come ordinata secondo
leggi.
Alla luce della riflessione Kantiana entra in crisi il realismo della scienza moderna; le leggi di Keplero e
di Newton non sono leggi Naturali bensì sono imposte dai pensatori alla natura intesa come “materaliter
spectata” e siccome keplero e newton operano secondo le modalità universali e necessarie dell’intelletto
umano, i loro studi, ricerche, scoperte e conoscenza sono patrimonio comune della conoscenza umana.
Ragione fa idee, intelletto fa categorie

LOGICA TRASCENDENTALE -> dialettica


“Pensare non è sinonimo di conoscere” ciò vuol dire che si può pensare anche l’inconoscibile –infatti, la
“cosa in sé” è noumeno (pensabile). La Ragione è in grado di pensare concetti puri che non hanno
relazione con i dati dell’esperienza e tali concetti puri della ragione Kant li chiama “idee”. La distinzione
tra idee e categorie (concetti puri dell’inteletto) è importantissima per fondare una scienza che
contenga il sistema di queste conoscenze a priori. Senza tale distinzione si costruisce solo della psedo-
falsa scienza. Kant ritiene di aver cancellato lo scetticismo che deriva dall’empirismo e dal materialismo
che nega ogni dimesione metafisica ma soprattutto quello del razionalismo che pone sullo stesso piano il
discorso scientifico e quello teologico. Si pensi al principio di causa fondamentale nella scienza moderna
ma che i deisti applicano anche a Dio.

Il concetto di causa -> categoria dell’intelletto. E’ applicabile all’esperienza sensibile, ma non può essere
utilizzata in un discorso su DIO

LE IDEE DELLA RAGION PURA


Al di fuori di ogni rapporto con l’esperienza sensibile non è possibile la conoscenza. Quando la ragione si
deve confrontare con le idee non può pretendere senza cadere in contraddizioni; mentre l’intelletto è la
facoltà di giudicare, la ragione è invece la facoltà di sillogizzare, cioè di operare su puri concetti e
giudizi, deducendo mediatamente conclusioni particolari a partire da principi supremi e incondizionati.
Dalla tavola dei sillogismi Kant deduce la tavola dei concetti puri della ragione, che egli chiama “Idee” in
senso tecnico. Le suddivide in 3 tipi:
a) idea psicologica (anima) che intende riferire tutti i fenomeni dell’esperienza interna ad una
sostanza permanente ed immutabile attraverso il variare delle suddette esperienze
b) idea cosmologica (mondo come unità metafisica) che intende riferire tutti i fenomeni
dell’esperienza esterna ad una realtà totale in cui, in compiuta e stretta connessione, si
unificano tutti i particolari
c) idea teologica (Dio) intende riferire tutti i fenomeni dell’esperienza interna ed esterna ad un
principio assoluto nel quale tutti gli esseri si unificano e si accomunano
Il risultato è un insieme di ragionamenti errati “Paralogismi” o “contrapposizioni irrisolvibili “antinomie”;
prove dell’esistenza di Dio che non hanno valore di prova. A differenza delle Idee platoniche, che erano
trascendenti rispetto alla ragione, in Kant le idee diventano concetti supremi della ragione, nel senso di
supreme “forme” o esigenze strutturali della ragione
L’ANIMA
Nell’analitica trascendentale Kant ha posto “l’Io penso” come facoltà dell’intelletto in grado di unificare
il ragionamento e la conoscenza. L’Io penso è trascendentale, riceve infatti esistenza e realtà autonome
dalle condizioni che lo rendono operante. Anche se considerassimo L’Io penso come autocoscienza non
potremmo dimenticare che il soggetto è consapevole di pensare solo quando pensa a un oggetto (F.).

L’idea di anima -> è una realtà individuale e autonoma, nasce dall’attribuzione dell’Io penso dalle
caratteristica di sostanza spirituale capace di vivere oltre il corpo. Se l’anima è una sostanza, dovremo
pur sempre dimostrare la sua immortalità; “condizione soggettiva di ogni esperienza possibile è la vita”
Se non è possibile fare l’esperienza dell’immortalità allora dire che “l’anima è immortale” piuttosto che
“l’anima è mortale” non ha alcun valore conoscitivo; dunque qualsiasi discorso sull’anima risulta privo di
significato e senza fondamento scientifico per Kant.
Egli afferma che “l’Io penso dei Razionalisti”, ossia il semplice pensiero inteso come attività pensante,
non può identificarsi con l’anima intesa come sostanza semplice, libera, immortale che costituisce il
substrato di tutti i fenomeni interni.

LA COSMOLOGIA RAZIONALE
E’ lo studio del cosmo con i concetti della ragione. E’ una scienza presunta. Essa infatti pretende di dare
una conoscenza assoluta dell’universo e dei suoi fenomeni che vi stanno dentro. E’ vero che i fenomeni
dell’universo sono osservabili, ma le costruzioni cosmologiche (matematiche-fisico-dinamiche)
propongono un modello (oggetto) che non può essere “dato compreso” in una qualsiasi esperienza. Kant
afferma che la ragione cade in contraddizioni insolubili quando pretende di conoscere l’universo inteso,
metafisicamente, come totalità. Infatti intorno all’universo considerato nella sua totalità sono possibili
affermazioni opposte tra loro (tesi e antitesi) dette appunto antinomie. Kant identifica innanzitutto 4
tesi:
1) il mondo ha un inizio (limite) nel tempo e nello spazio
2) Il mondo deriva da parti semplici e quind non è divisibile all’infinito
3) vi sono nel mondo delle cause che agiscono in libertà
4) nella serie di cause cosmiche vi è un certo essere necessario
Queste 4 tesi non sono contraddittorie e non possono essere confutate dall’esperienza, anzi, Kant le
dimostra ma parallelamente sostiene che sono anche dimostrabili le 4 antitesi che legano queste tesi:
1) il mondo è infinito nel tempo e nello spazio
2) nel mondo non vi è niente di semplice, tutto è composto
3) nel mondo non vi è libertà, tutto è natura
4) nella serie di cause cosmiche non vi è niente di necessario; tutto è contingente (occasionale)
La coppia di tesi più antitesi costituisce un’autonomia: 2 proporzioni possono essere entrambe vere o
entrambe false, e siccome non si può ricorrere all’esperienza anche la cosmologia risulta essere una non
scienza per Kant.

DIO
Le idee di anima e di mondo nascono da un rapporto con l’esperienza e si configurano come idee nel
momento in cui la ragione presiede di trascendere l’esperienza pensando all’anima immortale e al mondo
come totalità assoluta. Ben più evidente è il carattere e l’idea allorché la ragione pensa a Dio; essa
infatti si stacca dall’esperienza, “partendo” da concetti di ciò che costituirebbe l’assoluta compiutezza
di una cosa in generale e tramite l’idea di un essere primo perfettissimo fino alla definizione della
realtà delle cose. La teologia ritiene condizioni oggettive delle cose condizioni soggettive del nostro
pensiero. Ritiene quindi un dogma ciò che è n’ipotesi necessaria all’appagamento della ragione.
Kant riconosce alla ragione umana il bisogno di Dio, purchè non si trasformi questa ipotesi nella causa
originaria di tutte le cose “pensare non è sinonimo di conoscere”; tenendo ferma questa distinzione
nessun pensiero è precluso ad esso. Siccome la teologia ha prodotto una serie di prove sull’esistenza di
un essere assoluto e necessario, Kant analizza e confuta tali prove criticando ogni teologia fondata sui
principi speculativi della ragione
• il deismo -> pensa a Dio come causa del mondo (passivo)
• il teismo -> pensa a Dio come creatore del mondo (attivo)
Per Kant, se Dio fosse conoscibile all’interno della catena della causalità egli dovrebbe entrare nel
mondo delle esperienze sensibili, Se ciò non fosse noi dovremmo trovare una causa che non sia un
fenomeno empirico; ma ciò è logicamente impossibile, richiede un atto di fede (un procedimento non
conoscitivo e non scientifico). Anche la teologia altro non è che una falsa scienza.

L’ARCHITETTURA DELLA RAGION PURA


Solo l’intelletto nel suo costante rapporto con l’esperienza sensibile è in grado di imporre alla realtà le
proprie leggi e di organizzarla nelle rappresentazioni che costituiscono la conoscenza. La Ragione,
liberata dal campo della conoscenza, può averne uno proprio nel quale può sviluppare la facoltà di
desiderare. Kant mette in guardia contro la frammentazione in compartimenti stagni del sapere, è
questo il motivo per cui la filosofia deve ricostruirsi come sistema: il sistema di ogni conoscenza. Fin
qui, abbiamo concentrato l’attenzione sulla conoscenza della realtà naturale.

LIBERTA’ E MORALE: ragione mossa dal desiderio di colmare il vuoto (p.737)


Resta da considerare l’analisi Kantiana della libertà e della morale. Anche Kant le analizza
separatamente; ma senza mai dimenticarsi che tutto dev’essere considerato all’interno di un unico
insieme filosofico.
L’unità dell’uomo si articola in varie facoltà:
a) di conoscere
b) di desiderare
c) di sentire (nel senso di provare sentimenti)
La ragione è mossa dal desiderio di colmare un vuoto. E’ cioè in grado di pensare sia all’assoluto, sia
all’infinito, sia all’essere, sia all’eternità. Tutti elementi a cui può pensare e che, se non è consapevole
dei propri limiti, può credere che esistano. Però, anche K è consapevole, non può negare il desiderio di
pensare (atto di). La Ragione non è per K adatta all’attività conoscitiva (propria dell’intelletto); essa
diventa protagonista dell’attività pratica. Infatti, se è impossibile far si che un oggetto esista solo
perché lo pensiamo, possiamo invece determinare con il nostro animo, le nostre azioni, quindi, la nostra
morale.

RAGION PRATICA
IL PIACERE E A FELICITA’
Le azioni dell’uomo sono legate alla sua sensibilità: rispondono a stimoli sensibili e tendono al
raggiungimento del piacere e della felicità. Per Kant, accanto ai piaceri derivanti dai sensi, esistono i
piaceri dell’Intelletto (leggere, conversare etc) Ambo i 2 piaceri (sensoriali e intellettuali) agiscono
sulla facoltà di desiderare e ne sono determinanti la durata e l’intensità del piacere. Possiamo allora
dire che le scelte dell’agire umano sono determinate
1) dall’indennità del piacere
2) dalla sua lunghezza
3) dalla facilità con cui procurarselo
4) dalla frequenza con cui lo possiamo ripetere
AUTONOMIA ED ETERONOMIA
La volontà è determinata dagli effetti che ogni azione ha sul soggetto. Tuttavia le azioni che hanno
valore di piacere nel confronti di chi le compie, non possono essere il criterio della moralità. Queste
sono buone perché producono piacere al soggetto che le compie. Hanno dunque un valore relativo e
soggettivo. Rispondono invece ai principi della morale le azioni ritenute universalmente buone, e la
ragione deve tendere a formulare norme valide di per sé e riconosciute valide da tutti gli esseri
razionali: Ma, per poter realizzare un simile risultato, la ragione dev’essere autonoma e non deve
derivare cioè da stimoli esterni, da leggi acquisite o dettate da altri.

Molte delle dottrine morali si fondano su formule provenienti dall’esterno del soggetto. [Religioni
rivelate, concezioni filosofiche, teorie ideologiche] e in questi casi la volontà è condizionata dagli
oggetti. Tutto ciò che è condizionato da una pena o da un premio non ha un vero valore morale. Così
nessuna azione potrà essere considerata buona se compiuta con l’intento di sfuggire a una condanna
(pena) o con quello di ottenere un premio. Es. comportarsi bene perché si vuole acquisire un premio (es n
posto in paradiso) non è una regola morale

Il sommo bene si raggiunge quando la regola morale ha successo, ossia quando raggiunge un buon
risultato concreto (p29 libro giallo)

IMPERATIVO IPOTETICO E IMPERATIVO CATEGORICO


Per capire i principi del pensiero morale di Kant è bene mettere a punto alcune importanti distinzioni: i
principi sono le determinazioni generali della volontà sotto la quale stanno numerose regole pratiche
particolari.
Le azioni di una volontà condizionata, cioè di una morale autonoma (proveniente dall’esterno) provengono
dall’”Imperativo ipotetico” e sono espresse utilizzando le formule “se…” “allora…” “ es. “se voglio esser
promosso, allora dovrò studiare”. Questi imperativi valgono solo quando si vuole raggiungere uno scopo.

L’imperativo della modale autonoma, cioè della vera morale, deve essere libero, deve avere un valore
assoluto e universale a prescindere dagli oggetti, liberando la volontà; Kant lo chiama Imperativo
categorico, utilizzando la formula “tu…devi”. Determina la volontà non in vista di ottenere un
determinato scopo. L’imperativo categorico è un comando assoluto e incondizionato, e non un semplice
consiglio o invito, è forma a priori della ragion pratica e non proviene dall’esperienza; di conseguenza
l’azione che si riveste di tale forma pura non è subordinata ad alcuna ipotesi o condizione, ma acquista
valore di universalità e necessità. Vale incondizionatamente per tutti gli esseri razionali Es. 2Non devi
promettere il falso” se risulta che tale regola è praticamente e moralmente giusta essa è una legge e
perciò un imperativo categorico. Dunque, la Ragion pratica non deve non deve limitarsi a mostrare un
interesse estraneo, ma deve esprimere la propria autorità imperativa formulando le leggi supreme e
assolute. La norma morale (perché l’imperativo) ha quindi una forma ipotetica e una craterica e dà un
contenuto che Kant chiama Massima

MASSIME DELL’IMPERATIVO IPOTETICO


Il contenuto può essere empirico o razionale. La causa che spinge all’azione è la ricerca della felicità e
la ricerca del principio di perfezione. In ogni caso però le M,d.i.i. sono riferibili ad un’azione specifica e
relativa a un oggetto determinato es. “vado a teatro perché mi piace la commedia e perché mi piace
stare in mezzo agli altri
MASSIME DELL’IMPERATIVO CATEGORICO
L’i.c. deve avere un contenuto universale, dev’essere svincolato da ogni oggetto, deve avere un
contenuto formale. Deve cioè indicare un metodo generale applicabile a tutte le nostre azioni. Alcune
delle massime Kantiane sono:
1. agisci trattando l’umanità come fine e mai come mezzo
2. agisci secondo Massime che vuoi come leggi universali
3. agisci secondo massime che, come leggi universali della Natura, abbiano sé stesse come
oggetto
Questa è una concezione morale nuova, fondata sulla piena autonomia del soggetto e sul suo diritto a
legiferare nel campo della morale. L’uomo non è più sottoposto a leggi esterne, ma si autogoverna,
preoccupandosi che le leggi abbiano valore universale, cioè che siano applicabili a tutto ciò che le
circonda. Di fronte a una singola azione, la massima autonoma può non differenziarsi da quella
autonoma, ma il loro valore sarà totalmente diverso (autonomia del soggetto).

LA FACOLTA’ DI LEGIFERARE
“Il soggetto impone a sé stesso le proprie leggi alle quali non deve sottostare”. L’uomo unifica così in sé
la doppia funzione di legislatore e di suddito. Qui K ripropone un principio fondamentale affermatosi
tra i sostenitori della Democrazia: “la volontà generale non è nulla di più della somma delle volontà
individuali”. Solo la consapevolezza che la nostra volontà in ogni scelta obbedisce solo a sé stessa e non
a una volontà esterna ci può garantire un’adesione incondizionata alla norma morale.

Al di là del principio di piacere è necessario che le leggi morali e il principio di piacere non risiedano solo
nel principio di piacere e di felicità. Pur non negando il piacere come motore delle azioni è necessario
che esso perda le caratteristiche di soddisfazione individuale. Per K le azioni non si compiono per
ottenere qualcosa, quindi se non per piacere le azioni morali si compiranno per dovere. Ma l’obbedienza,
alla scelta del dovere, deve comunque nascere dalla ragione e dalle sue leggi.

ANTINOMIA DELLA RAGION PRATICA


Nb. Antinomia: affermazioni che si contraddicono; termine trae origine dalla duplicità della Natura
Umana e può trovare soluzione solo nell’Innalzamento dell’uomo sopra se stesso.
Dovere e piacere costituiscono i poli di un’antinomia, e questo contrasto dura finchè non si cercano le
cause delle nostre azioni in rapporto con il mondo sensibile, cioè si considera il dovere legato al piacere.
“Dovere, nome sublime e grande, che non consente niente di piacevole e che implichi lusinga ma chiedi la
sottomissione; che tuttavia non minacci niente donde nasca nell’Animo Naturale ripugnanza e spavento,
che muova la volontà, che esponi soltanto una legge che da sola trova adito nell’animo e anche contro la
volontà acquista se non sempre osservanza, innanzi alla quale tutte le inclinazioni (passioni)
ammutoliscono, benché, di nascosto, reagiscano ad essa; qual è l’origine degna di te e dove si trova la
radice del tuo nobile linguaggio che ricusa (rifiuta) fieramente ogni parentela con le inclinazioni? Radice
da cui deve di necessità derivare quel valore che è il solo che gli uomini si possono dare da se stessi”
(Cit. E.Kant) Non può essere niente di meno di quel che “innalza l’uomo sopra se stesso” come parte del
mondo sensibile. Ciò che lo lega a un ordine delle cose che soltanto l’intelletto può pensare; non è altro
che la personalità,cioè la “libertà” del meccanismo della Natura considerata come facoltà di un essere
soggetto a leggi speciali, cioè a leggi pure date dalla sua propria ragione. Quindi, la persona
(appartenente a un mondo sensibile) è soggetto alla propria personalità e nello stesso istante
appartiene al mondo intelligibile
POSTULATI DELLA RAGION PRATICA
Postulato (dal latino “postulo”, chiedo) è quel principio che non è dimostrabile ma che è richiesto, e
quindi viene ammesso, in quanto spiega certi fatti che non possono essere contestati. I Postulati della
Ragion Pratica sono perciò, secondo Kant, quei principi che rendono possibile la moralità e che, popur
essendo indimostrabili teoricamente, sono oggetto di fede. Essi sono tre: la libertà della volontà umana,
l’mmortalità dell’anima e l’esistenza di Dio.

I POSTULATO DELLA RAGION PRATICA: LA LIBERTA’


Consiste nel “non fare quello o quello per piacere; non farlo per paura, agisci solo seguendo la tua
volontà di non obbedire alla legge morale” Tutti gli uomini si credono liberi (e infatti la Natura è un
concetto dell’intelletto e dal punto di vista speculativo la vediamo dominata dalla necessità delle leggi
universali e necessarie che l’Intelletto le impone. La libertà delle nostre azioni nel mondo fenomenico
dimostra l’autonomia della ragione del mondo dell’intelletto e il suo primato dal punto di vista pratico.
La moralità esige, postula, la libertà della volontà, perché è evidente che il dovere può essere eseguito
soltanto da chi è libero. Se l’uomo deve, significa che può obbedire o meno alla legge morale e quindi che
la sua libertà è libera.

II POSTULATO DELLA RAGION PRATICA: L’IMMORTALITA’ DELL’ANIMA


La volontà libera vuole l’attuazione del bene, la conformità completa della personalità alla legge morale.
Tutto ciò è un progresso infinito che è possibile solo supponendo l’immortalità dell’anima. Cioè, solo
accettando che l’anima sia immortale, è possibile concepire e aspirare all’infinito. L’uomo, per la sua
razionalità, anela alla santità (conformità perfetta alla legge morale), che non può raggiungere a causa
delle proprie inclinazioni naturali e degli impulsi sensibili che non sono interamente eliminabili. Il
riconoscimento di questa impossibilità e la consapevolezza dell’aspirazione umana verso la perfezione
esigono, postulano, che l’anima continui a vivere oltre la morte del corpo in una vita ultraterrena per
uniformarsi completamente alla legge morale e raggiungere così la santità.

III POSTULATO R.P.: L’ESISTENZA DI DIO


Dovere e piacere, moralità e felicità sono termini che nella storia si presentano contrapposti; ma la
ragione li pensa uniti: è infatti difficile pensare al bene separato dal piacere. La loro separazione è
quindi impossibile per ogni essere finito, ma è invece possibile per un essere supremo. E’ normalmente
necessario ammettere l’esistenza di Dio, perché solo così è possibile comprendere la distinzione tra
virtù e piacere. A questo punto un’analisi superficiale del pensiero Kantiano potrebbe condurre alla
conclusione che egli abbia fatto rientrare nel suo sistema ciò che precedentemente aveva allontanato:
• libertà
• immortalità dell’anima
• esistenza di Dio
Questi sono 3 nodi essenziali intorno ai quali si è sviluppata la storia della filosofia e che vengono
postulati dalla ragione, posti come necessari, dal punto di vista pratico. La nostra ragione elabora una
legge morale e abbiamo il diritto di crederci liberi, di possedere un’anima immortale, e che Dio esista.
Questi 3 principi quindi sono dedotti dall’esistenza autonoma dei principi della morale; scienza e morale
restano divise mentre la ragione rafforza il bisogno dell’infinito e dell’assoluto.
L’impossibilità di raggiungere una felicità adeguata alla virtù (non sempre l’uomo che agisce moralmente
ottiene la felicità che merita per l’opposizione della natura) esige, postula, l’esistenza di Dio, cioè di una
mente suprema che garantisca alla virtù un grado proporzionato di felicità.
CRITICA DEL GIUDIZIO “sopra di me; è la morale in me”
Chiude la I critica e apre la III; la distinzione/separazione tra morale e conoscenza fanno della
filosofia Kantiana un punto di svolta del pensiero occidentale; sono la conclusione di un processo che
accomuna filosofia antica e moderna. Kant tuttavia sa che, pensando questa distinzione divida l’uomo in
2, dovrà poi a inseguire una ricomposizione tra spirito e materia, tra anima e corpo, tra pensiero e
estensione
Con la Critica del giudizio Kant cerca di superare il contrasto tra l’attività teoretica, volta a scoprire il
mondo della natura in cui ogni fenomeno è legato all’altro casualità meccanica, e l’attività pratica, aperta
verso il mondo soprasensibile della libertà e della finalità. L’esigenza di superare il contrasto è
vivamente sentita da Kant, sia per motivi morali (perché la volontà morale agisce nella natura dalla quale
trae il contenuto della sua azione e nella quale attua i suoi fini: la natura perciò deve essere
organizzata in maniera da non opporsi alla libertà morale), sia per motivi scientifici (perché la scienza
tende ad una visione sistematica ed organica dei singoli fenomeni: la natura perciò deve essere
organizzata in maniera da contenere in sé una certa finalità, simile a quella morale.) Kant ricerca quindi
un’attività intermedia fra quella teoretica e quella pratica che possa conciliare il dissidio

CRITICA DEL GIUDIZIO: IL BELLO


La Critica del Giudizio prende avvio dalla distanzio all’interno della filosofia tra conoscenza e morale e
si propone di riunire le due parti. In questo processo di riunificazione della conoscenza e della morale ci
si accorge che esiste una III facoltà della mente (ragione) che abbiamo già incontrato parlando di
morale, e cioè il sentimento di piacere e dispiacere. Il fatto che, il piacere non costituisca il
fondamento etico delle azioni umane non significa che esso non operi costantemente in ciascuno di noi e
che non esista una sfera di attività che non gli è propria. Guardando il cielo stellato non facciamo un
atto di conoscenza, né creiamo una nuova legge morale, però possiamo esprimere un giudizio di
sentimento. Il giudizio estetico (= della bellezza) esprime il particolare sentimento di piacere per il
bello che l’omo prova quando contempla un oggetto senza scopo conoscitivo e pratico; mentre lo
contempla, egli acquista coscienza della corrispondenza dell’oggetto con la propria armonia interiore,
per cui si compice, come se la cosa bella fosse fatta apposta per determinare in lui il libero esplicitarsi
delle proprie attività spirituali. C’è da notare che, secondo Kant, la bellezza non è propria dell’oggetto,
ma è riflessa sull’oggetto dal sentimento umano che tende alla finalità e all’armonia
GIUDIZIO DETERMINANTE E GIUDIZIO RIFLETTENTE
la critica del G. mette in evidenza una distinzione tra giudizio dell’intelletto e il giudizio che esprime un
sentimento. L’intelletto attraverso le categorie e le forme a priori, assume un dato particolare
all’interno di un concetto universale (che tutti conoscono), cioè attribuisce un predicato universale e
necessario a un fenomeno (tipico giudizio sintetico a priori) che possiamo chiamare “giudizio teoretico-
determinante”. Il giudizio determinante, che è proprio dell’attività teoretica, è quel giudizio per cui
l’uomo parte dal concetto puro universale (categoria), fornito dall’intelletto, e determina questo
universale applicandolo ai dati sensibili dell’intuizione. Il soggetto determina l’oggetto della conoscenza.
Ma non sempre, di fronte a un fenomeno, ci impegniamo a conoscerlo; a volte ci limitiamo al sentimento
che ci provoca. In noi esistono
• immagini
• desideri
• bisogni
e può accadere che si incontrino. Da tale incontro nasce il Giudizio Riflettente. E’ quel giudizio per cui
l’uomo riflette su ogni oggetto già conosciuto, e quindi già determinato col giudizio determinante, per
metterlo in relazione con un elemento universale, che non è l’universale dell’intelletto, ma è l’universale
del sentimento, che esige finalità e armonia. In esso, l’universalità è presunta. Infatti, davanti a
un’immagine che mi piace io presumo che ciò accada anche agli altri. L’incontro fra soggetto e oggetto
producente il giudizio riflettente avviene all’insegna della libertà, perché fuori da ogni legge il soggetto
si sente libero.
Nel giudizio riflettente la libertà del soggetto si manifesta nell’accordo con i dati dell’esperienza.
Nessuno nel rapporto col mondo sensibile può sottrarsi all’intelletto; può però esprimere (con libertà) il
sentimento di piacere o di dispiacere. Il giudizio determinante si esprime in due forme: Giudizio
teologico e Giudizio estetico o di gusto.

TIPI DI GIUDIZIO RIFLETTENTE


Rispetto al sentimento di piacere esistono
• bello
• sublime
• buono
• assoluto
i giudizi riflettenti rispetto al 2 sono detti “giudizi estetici”, rispetto al 4 è nel campo della morale
poiché ad ognuno il consenso incondizionato. (?)

GIUDIZIO DEL GIUSTO


Il giudizio riguardante il piacevole e il bello sono detti anche giudizi di gusto. Nel piacevole il giudizio ha
un valore personale, non pretende l’universalità e per esso vale “ognuno ha il proprio gusto” Per il bello
invece è diverso. Sarebbe ridicolo affermare “è bello per me” perché quando si dà per bella una cosa si
pretende dagli altri lo stesso giudizio, non si giudica per sé ma per tutti, e si parla della bellezza come
se fosse una qualità dell’oggetto. In tutte le occasioni in cui noi esprimiamo un giudizio di bellezza a un
fenomeno/situazione/realtà non ci si accontentiamo a pensare che è piacevole per noi (per il nostro
gusto) ma crediamo che quel giudizio valga per tutti e che non venga messo in discussione. Affermiamo
un principio che è più generale e si basa su criteri condivisi. Dire “è bello” è diverso che dire “mi piace”;
poiché differente l’atteggiamento e la prospettiva dell’oggetto che stiamo analizzando. Il “bello in
assoluto” non esiste perché uscirebbe dal sentimento e entrerebbe nella morale con il concetto di
perfezione.
IL SUBLIME
Tutto ciò al cui confronto ogni cosa è piccola. Per il piacevole e il bello vi è una corrispondenza tra le
aspettative del soggetto e l’oggetto che si incontra; può accadere invece che una manifestazione della
natura provochi piacere pur non corrispondendo alle mie aspettative o entrando in contrasto con esse.
Ad esempio una cosa molto grande e infinita come l’assistere inermi allo scatenarsi della forza della
natura. In questi casi in cui il sentimento non è legato all’accordo delle aspettative ed è quasi sempre
nato dal loro contrasto si produce il sentimento sublime e si divide in 2:
a) matematico (la grandezza della via lattea) meraviglia, stupore
b) dinamico (lo scatenarsi delle forze della natura; il soggetto è lontano e assiste al fenomeno)
Tutte le volte che abbiamo la possibilità di superare con la nostra mente lo scatenarsi della natura
possiamo riconoscere il sublime degli elementi. Il sublime si riferisce quindi ad un oggetto di forma
illimitata, pur rappresentabile nella totalità, nella grandezza o nella potenza; mentre il bello produce un
sentimento di esaltazione alla vita il sublime esprime il contrasto fra l’immaginazione, che non riesce ad
abbracciare l’illimitata grandezza e potenza della natura nella sua totalità, e la ragione, capace invece di
superare ogni grandezza e dominare la potenza della natura nell’idea dell’infinito sopra sensibile che le
è propria: in questo contrasto l’uomo acquista consapevolezza del proprio valore e del proprio destino
come essere spirituale libero da ogni vincolo o impedimento naturale.

IL GIUDIZIO TEOLOGICO
Tutto nell’universo è utile a qualcosa (ha un fine) questa non è conoscenza né morale; è semplicemente
l’espressione di un sentimento. Valutando l’agire dell’uomo, vediamo che ogni azione ha un obbiettivo.
L’obbiettivo delle azioni umane è l’utilità . La visione di un’attività naturale in una prospettiva finalistica
è una forma particolare di giudizio riflettente che Kant chiama giudizio teologico, giudizio basato sui
fini. In altre parole l’uomo, quando considera un organismo vivente, sente che i singoli organi concorrono
alla finalità e che questa finalità è inerente all’oggetto, anche se corrispondente al suo sentimento di
finalità e di armonia: la finalità dell’oggetto è perciò oggettiva.

LA RELIGIONE E LA PACE PERPETUA


Ciò che appare un atto di unità può essere presuntuoso e temerario se si vuol dimostrare l’esistenza di
Dio, se si vuol dimostrare da Dio la morale o se si attribuisce a essa un universo ordinato e governato
dai fini. Certamente nel cosmo è presente il bisogno di Dio; ma il discorso su Dio richiede la conquista
dell’autonomia grazie all’uso critico della ragione. “la religione entro i limiti della sola ragione” è l’opera
principale di Kant sul tema in cui invitava a far l’uso del proprio intelletto senza farsi guidare
dall’esterno.

DISTINZIONE TRA RELIGIONE RIVELATA E RELIGIONE RAZIONALE/NATURALE


Il filosofo deve stare nei limiti della religione razionale e comunque anche in essa deve astrarsi da ogni
esperienza. Egli può tuttavia confrontarsi anche con la religione rivelata per vedere se riesce a
ricondurla al sistema razionale. Se ciò accade si può affermare un’unione tra ragione e scrittura, ma
questa unione non è sempre garantita. Così può accadere di avere una religione naturale e un culto
(manifestazione con cui si esprimono le religioni rivelate) non necessariamente in contrasto, anche se
bisognerà sempre cercare di farli coincidere.
RELIGIONE RAZIONALE
E’ inseparabile dalla riflessione sul tema del male e del bene. Se l’uomo considerasse se stesso come
perfezione e sommo bene non si porrebbe il problema della perfezione e del bene di cui si riconosce
privo.

MALE
Tutti fanno nascere il mondo dal bene e dalla perfezione dai quali l’uomo viene allontanato e cacciato
verso il peggio. Esiste tuttavia un’altra opinione secondo la quale il mondo progredisca verso il meglio;
presumibilmente solo una generosa ipotesi dei moralisti (da Seneca a Rousseau) per incoraggiarci a
coltivare il germe del bene essendo convinti di una naturale disposizione dell’uomo a questo sviluppo.
Così Kant ironizza sulla materia del moralismo senza però rinunciare all’ottimismo;ritiene infatti una
disposizione innata nell’uomo quella del bene e una tendenza acquisita quella al male. La tendenza al male
è legata al libero arbitrio, cioè alla possibilità dell’uomo di disattendere la legge morale data dalla
ragione.
Esiste una convinzione che dura da molti secoli secondo la quale il mondo si trova in una condizione di
“male”. Ciononostante tutti fanno nascere il mondo dal bene e dalla perfezione, dalle quali gli uomini
vengono cacciati verso il peggio. Esistono inoltre teorie nelle quali il mondo progredisce verso il meglio
ma K le considera una generosa ipotesi dei moralisti. L’uomo secondo il filosofo ha una tendenza
acquisita al male e una tendenza/disposizione innata al bene

LA LEGGE MORALE DELLA RAGIONE


La tendenza al male non appartiene necessariamente all’uomo ma al suo agire. Si può parlare di
• “male radicale”
• “tendenza di male” (ma quest’ultima è una tendenza che può essere vinta nella realtà delle azioni
umane)
LA VITTORIA SUL MALE
Se il bisogno di Dio coincide con quello di vincere il male, la religione razionale non può che risolversi sul
piano della morale. Non c’è alcun dubbio che ogni legislazione fondata sulla volontà divina sia anch’essa
morale. La religione razionale richiama la facoltà di legiferare della pratica. Prima di ogni religione
rivelata, l’uomo ricorre alla legge morale e universale dettata dalla ragione. Ogni religione rivelata rea
una propria religione morale

RELIGIONE RIVELATA E STORICA


L’obbiettivo impone alla ragione di postulare l’immortalità dell’anima e l’esistenza di Dio, e così la
ragione deve proiettarsi oltre se stessa. Una cosa simile avviene anche nella “teorie del male”. Nella
“scrittura sacra”, base della religione rivelata, la ragione incontra il peccato originale e si rivela, ma la
scrittura stessa offre una soluzione ponendo il male fuori dall’uomo il quale può sceglierlo o liberarsene.

LA VERA CHIESA UNIVERSALE – il conseguimento del bene


Il modo migliore per onorare Dio è quello di rispettare l’imperativo morale che l’uomo può trovare con la
ragione.
Qual è allora il ruolo delle chiese tra noi? Rispettando i nostri doveri noi siamo sempre al servizio di
Dio, dunque la religione razionale avrà tutti gli uomini capaci di pensare correttamente come ministri;
concezione questa simile al sacerdozio universale di martin lutero. Le chiese si fondano su statuti
ritenuti “divini” ma che in realtà sono arbitrari. Ritenere questa fede statuaria (?) necessaria ad un
culto divino è un’illusione religiosa. Non i culti, ma l’osservanza di una buona condotta distingue l’uomo e
gli consente l’acquisizione di un principio e di un livello diverso e molto più elevato. Tutti questi valori
per Kant fanno parte della vera chiesa universale.
LA PACE PERPETUA
1795. Kant scrisse un breve saggio “per la pace perpetua” si tratta di una riflessione giudico-politica in
cui viene messo in evidenza il primato della legge morale rispetto a ogni statuto. Esiste uno stato di
natura dal quale si esce col “contratto sociale” anche per Kant. [Stato natura=stato di guerra] mentre
lo stato di pace dev’essere costruito e la condizione “mancanza di ostilità” non significa sicurezza. Come
i singoli individui hanno sottoscritto il contratto che dà vita allo stato, così i singoli stati dovranno
sottoscrivere un patto che garantisca la pace. Kant definisce il suo credo politico affermando che “la
costituzione civile di ogni stato deve essere repubblicana” La costituzione repubblicana è la base
fondamentale di tutti gli stati. L’autonomia di ciascun individuo corrisponde all’obbedienza delle norme
di cui è artefice” e garantisce anche la possibilità di assicurare relazioni pacifiche tra tutti gli stati.

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