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GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA - GUIDO CLEMENTE DI

SAN LUCA

CAPITOLO 1 - Cenni introduttivi sul sistema italiano di giustizia


amministrativa

Introduzione discorsiva alla materia: La giustizia amministrativa costituisce il versante


della disciplina "diritto amministrativo" che studia la reazione a quanto prodotto dalla P. A. che
si presenta, in qualche maniera, non conforme alla legge. Questo tipo di giustizia (di tipo
amministrativistico) viene in essere ed opera per tutte quelle fattispecie in cui almeno uno dei
soggetti protagonisti della controversia e' sempre una P.A. Con la locuzione "giustizia
amministrativa" s'intende, diremmo ancor più propriamente, l'insieme degli strumenti che
garantiscono ad un soggetto di ottenere tutela con riguardo alle controversie aventi ad oggetto
l'esercizio (evidentemente illegittimo), o il mancato esercizio, del potere amministrativo. Il che
avviene su due versanti: quello giustiziale e quello propriamente giurisdizionale (come
spiegheremo propriamente a breve, in maniera specifica) . /
Quindi, ricapitolando nuovamente, tout court, in maniera più specifica : col termine giustizia
amministrativa si fa riferimento all’insieme di mezzi che l'ordinamento giuridico predispone a
tutela delle situazioni giuridiche dei soggetti nei confronti della pubblica amministrazione. I
mezzi così predisposti sono detti garanzie giustiziali in quanto sono posti a tutela dei singoli ed
operano per iniziativa dei medesimi. Questo li distingue dalle garanzie politiche, che comprendono i
controlli esercitati dal parlamento sul potere esecutivo, e dalle garanzie amministrative, che comprendono i
controlli esercitati d'ufficio sull'operato degli organi amministrativi da parte di altri organi amministrativi.
L'esistenza di un sistema di giustizia amministrativa è una delle caratteristiche essenziali dello
stato di diritto poiché, in questo modo, si rende effettiva la sottoposizione della pubblica
amministrazione alla legge, secondo il principio di legalità. La tutela delle situazioni giuridiche
nei confronti della pubblica amministrazione può configurarsi, come accennato, in 2 particolari
macro – fattispecie : può essere demandata ad un organo della stessa pubblica
amministrazione, adito dal soggetto leso mediante un ricorso amministrativo (via giustiziale) ,
oppure ad un giudice investito della controversia a seguito dell'esercizio di un'azione da parte
del soggetto leso (via giurisdizionale).

2. Stato di diritto e garanzie giustiziali dei singoli nei confronti della P. A. : breve
sintesi del processo storico di affermazione del sistema italiano di giustizia amministrativa
(anamnesi storica); si consiglia una mera lettura veloce per poca preponderanza concettuale in sede di
esame.
Durante il periodo della unificazione dell'Italia, si pose il problema di come amministrare la nuova entità
statale, giacché ciascuno stato preunitario aveva le sue leggi e i suoi modelli istituzionali: sebbene questi
fossero fra loro similari, si rese comunque necessario uniformarli. Allo scopo, venne emanata la legge di
unificazione amministrativa, Legge 20 Marzo 1865 n. 2248, che contiene sei allegati, ognuno dei quali ha
ad oggetto uno specifico segmento dell'azione amministrativa da uniformare, dettando le regole con
riferimento a ciascuno di tali segmenti. La nostra attenzione deve incentrarsi nei confronti di due Allegati,
rispetto ai 6 generali riproposti dalla suddetta Legge; l'Allegato D, avente ad oggetto la disciplina del
Consiglio di Stato, e l'Allegato E, con il quale furono aboliti i Tribunali speciali investiti della giurisdizione
del contenzioso amministrativo. Quest'ultimo ha subito talmente tante di quelle modificazioni, che oggi
può addirittura considerarsi come un documento storico, poiché presenta ancora, dopo quasi un secolo,
significative ricadute sull'ordinamento vigente, soprattutto per la sua successiva modifica, intercorsa,
dopo meno di cinque lustri, con la Legge 31 marzo 1889, n. 5992, che istituì la IV Sezione del Consiglio di
Stato. Con l'Allegato E furono aboliti i Tribunali del contenzioso amministrativo, i quali costituivano
l'assetto giurisdizionale degli Stati preunitari, occupandosi delle controversie avverso la P. A. e , quindi,
della giustizia amministrativa. Furono devolute alla giurisdizione ordinaria tutte le cause per
contravvenzioni e tutte le materie in relazione alle quali si facesse questione di un diritto civile o politico.
L'idea era quella di abolire i Tribunali cosicché ogni questione del contenzioso con la P. A. dovesse
necessariamente finire sotto la giurisdizione del giudice ordinario. Ci si accorse che la operazione non
aveva sortito l'effetto sperato, con essa trascurandosi il fatto che non tutte le questioni insorgenti con la
P.A. hanno la consistenza di un diritto soggettivo, così finendosi per sottrarre alcune "materie" ad una
giustizia che , sia pure insufficiente, ne aveva le sembianze. Le "materie", di cui stiamo parlando, possono
dirsi definitorie dell'area che oggi conosciamo come quella propria dell'interesse legittimo: questa
situazione giuridica finiva per non avere alcuna tutela giurisdizionale. Fu per questo che venne istituita la
IV Sezione del Consiglio di Stato. Quest'ultimo costituiva l'apparato di consulenza giuridica del sovrano.
Nel nostro ordinamento persiste un'anomalia di non poco conto, che chiaramente denota una mancanza
di un Consiglio Superiore della Magistratura, per i giudici amministrativi esistendo uno specifico organo di
autogoverno, il Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa. Potremmo dire sinteticamente
(confrontando anticipatamente la giurisdizione civile con quella amministrativistica) che il giudice civile,
data la norma, egli semplicemente la applica, in relazione ad una fattispecie concreta che trova in quella
norma la sua disciplina giuridica. Nel caso della giurisdizione amministrativa, la questione e' differente in
relazione al fatto che la sua ragion d'essere risiede invero nella sua "specialità". Il giudice amministrativo
conserva la sua specialità, perché non può in alcun modo sottovalutarsi la particolare sensibilità richiesta
per svolgere il sindacato sull'azione amministrativa. Il giudice amministrativo, proprio per essere da
sempre molto vicino al potere, possiede, per tradizione, la cultura dell'interesse pubblico. E' stata la
giurisprudenza amministrativa a stabilire ciò che la P. A. potesse o non potesse fare per restare entro i
confini della legalità, perché l'agire in un certo modo avrebbe potuto costituire il sintomo di un eccesso di
potere. Questa opera, lenta ed inesorabile, e' stata compiuta proprio da quel Consiglio di Stato che mal
veniva visto inizialmente, ma che poi si e' dimostrato molto utile a tal fine. Quel sospetto oggi può dirsi
scomparso in virtù del fatto che a tutti gli effetti, oggi, abbiamo dei giudici amministrativi riconosciuti, tra
l'altro, anche dalla nostra Costituzione. La Legge 6 Dicembre 1971, n. 1034, istituì i Tribunali
Amministrativi Regionali, seguendo quello che e' il modello processuale del giudizio ordinario. Oltre al
primo grado, nel processo amministrativo, abbiamo un secondo grado innanzi al Consiglio di Stato, che
ormai e' giudice d'appello; In questa fase rivisita il merito della decisione del Tribunale di primo grado. E'
necessario annoverare alcuni provvedimenti importanti, tra cui il D.Lgs. 2 Luglio 2010, n. 104 che istituì il
C.P.A. e l'R.D. 2840/1923, che fu indispensabile per l'introduzione di due innovazioni determinanti per il
futuro della giustizia amministrativa, in relazione al riparto di giurisdizione tra il giudice ordinario e il
giudice amministrativo. Queste ed altre furono le cause istituzionali che richiesero l'introduzione di un
codice, nel caso di specie il C.P.A., che andasse quindi a regolare e sistemare il disordine istituzionale
avutosi fino al 2010.

3. Rimedi amministrativi giustiziali, rimedi giurisdizionali e relazioni fra essi :


Il sistema italiano di giustizia amministrativa consta di tre "sotto sistemi" : quello che fa capo
alla stessa P. A., cui possono proporsi ricorsi amministrativi, attraverso i quali chiedere una
rivisitazione del merito della scelta contenuta nel provvedimento (rimedio giustiziale, sarebbe il
ricorso amministrativo) ; quello che fa capo al giudice ordinario, cui sempre ci si deve rivolgere
per la tutela dei diritti soggettivi (rimedio giurisdizionale ordinario) ; e quello che fa capo al
giudice amministrativo, cui ci si deve rivolgere per la tutela degli interessi legittimi (rimedio
giurisdizionale amministrativistico) .
I ricorsi amministrativi (rimedi giustiziali) , i quali costruiscono la "prima", a dir così, e più
elementare forma di giustizia amministrativa, hanno la loro origine storica nello Stato assoluto,
rappresentando in questa l'unica forma di giustizia amministrativa concessa dal sovrano, ab
origine dei tempi . L'avvento dello Stato di diritto ha reso progressivamente marginale il ruolo
della giustizia "domestica", “della giustizia tramite ricorsi amministrativi “, quanto meno per le
questioni concernenti la legittimità dell'azione amministrativa, legittimità la cui tutela e'
garantita più correttamente da parte di un giudice amministrativo, tramite magari un rimedio
giurisdizionale .
Relazione tra rimedio giustiziale (ricorso) e rimedio giurisdizionale : Quanto al
rapporto fra rimedi amministrativo – giustiziali (ricorsi) e rimedi giurisdizionali, occorre, a primo
acchito e prima di tutto, distinguere nell'ambito dei primi (quindi, ancora, sotto – dividere la
categoria “ricorsi amministrativi giustiziali” ) fra ricorso straordinario al Presidente della
Repubblica e ricorsi ordinari. Detto e fatto ciò, dobbiamo confrontare la relazione intercorrente
tra le 2 sub – categorie del rimedio giustiziale ed il ricorso giurisdizionale, allorché confrontare,
in ambito relazionale, ricorso straordinario giustiziale / ricorso giurisdizionale e ricorso ordinario
giustiziale / ricorso giurisdizionale. C’è da dire, a questo punto, che la relazione tra ricorso
straordinario ed il ricorso giurisdizionale e' regolata dal principio di alternatività, in virtù del
quale una volta proposto ricorso giurisdizionale non e' possibile esperire quello straordinario, e
viceversa. Con riferimento, in secondo luogo, ai ricorsi amministrativi ordinari, invece, la
relazione fra essi ed il ricorso giurisdizionale si dice regolata dal principio di prevalenza, essendo
evidentemente prevalente sempre e comunque il ricorso giurisdizionale sul ricorso
amministrativo ordinario, quindi la via giurisdizionale prevale su quella giustiziale (come
vedremo anche a breve).
Prima della entrata in vigore della L. 1034/1971, per proporre ricorso giurisdizionale era
necessario che l'atto impugnato avesse acquisito il carattere della "definitività", conseguibile con
il previo esperimento del ricorso amministrativo ordinario e con la relativa decisione; da quella
legge (e quindi dopo il 1971) ciò non vale più, fortunatamente. Questo fa sì che oggi i due
rimedi non siano più l'uno indispensabile presupposto dell'altro; capiamo, inoltre, che il loro
contemporaneo esperimento comporta la sopravvivenza del solo ricorso giurisdizionale (come
abbiamo detto poche righe fa) , e quindi la sua prevalenza su quello amministrativo, cioè sul
ricorso giustiziale.
4. Le principali modifiche al sistema della giustizia amministrativa a seguito della
entrata in vigore del Codice del processo amministrativo:
I principali profili di innovazione del sistema di giustizia amministrativa introdotti dalla riforma del
2010 (quando s’è introdotto il codice del processo amministrativo) sono ricavabili dal dato normativo
espresso nella finalità della delega (quella introducente il CPA) e nei criteri direttivi per il suo
esercizio. Con il C.P.A. si e' provveduto a dare un novellato assetto al processo amministrativo di
primo e secondo grado, puntando a: a) recepire, entro il corpo normativo, gli indirizzi derivanti per
un verso dal diritto dell'U.E., e per un altro, dalla più recente giurisprudenza, sia della Corte
costituzionale, sia delle giurisdizioni superiori ; b) realizzare il coordinamento di un risultato di
indiscutibile "civiltà giuridica", e cioè la concentrazione delle tutele. I richiamati obiettivi sono stati
perseguiti dando seguito ai principi e criteri direttivi stabiliti dall'art. 44 co. 2, dei quali è importante
dar conto in maniera pressoché integrale. / In primo luogo, in questo ambito, si è operato per la
snellezza, la concentrazione ed effettività della tutela, così da garantire la ragionevole durata del
processo, anche mediante il ricorso a procedure informatiche e telematiche. In secondo luogo, si e'
provveduto a disciplinare le azioni e le funzioni del giudice attraverso: 1) il riordino delle norme
vigenti sulla giurisdizione del giudice amministrativo; 2) il riordino dei casi di giurisdizione estesa al
merito; 3) la eventuale riduzione dei termini di decadenza o prescrizione delle azioni esperibili; 4) la
previsione di procedure dichiarative, costitutive e di condanna idonee a soddisfare la pretesa della
parte vittoriosa. In terzo luogo sono stati rivisti e razionalizzati i riti speciali e le materie cui essi si
applicano. E' stata poi razionalizzata ed unificata anche la disciplina della riassunzione del processo e dei
relativi termini, che ciò sia conseguenza tanto di sentenze di altri organi giurisdizionali, quanto di
sentenze dei tribunali amministrativi regionali o del Consiglio di Stato che dichiarano l'incompetenza
funzionale. Si e' infine provveduto al riordino del sistema di impugnazione, da un lato individuando le
disposizioni applicabili, mediante rinvio a quelle del processo di primo grado, e, dall'altro, disciplinando la
concentrazione delle impugnazioni, l'effetto devolutivo del l'appello è così via.

*** CONCLUSIONI SCHEMATICHE / RICAPITOLATIVE: Si vuole, allorché, pervenire ad


una ricapitolazione analitica e schematica di quanto detto ; Una ricapitolazione tout court sul
sistema di giustizia amministrativo ordinamentale italiano: col termine giustizia amministrativa
si fa riferimento all’insieme di mezzi che l'ordinamento giuridico predispone a tutela delle
situazioni giuridiche dei soggetti nei confronti della pubblica amministrazione. L'esistenza di un
sistema di giustizia amministrativa è una delle caratteristiche essenziali dello stato di diritto
poiché, in questo modo, si rende effettiva la sottoposizione della pubblica amministrazione alla
legge, secondo il principio di legalità. La tutela delle situazioni giuridiche nei confronti della
pubblica amministrazione può essere demandata ad un organo della stessa pubblica
amministrazione, adito dal soggetto leso mediante un ricorso amministrativo, oppure ad un
giudice investito della controversia a seguito dell'esercizio di un'azione da parte del soggetto
leso.
Ricorsi amministrativi – RIMEDIO GIUSTIZIALE : I ricorsi amministrativi possono essere
rivolti allo stesso organo che ha emanato l'atto con il quale è stata lesa la situazione giuridica
(opposizione), al suo superiore gerarchico (ricorso gerarchico) o ad altro organo. In particolare,
rientrano in quest'ultima categoria i ricorsi agli organi del contenzioso amministrativo, presenti
in alcuni ordinamenti: si tratta di organi amministrativi collegiali che, peraltro, possono unire
alle competenze in materia di ricorsi anche altre competenze amministrative.
Tutela giurisdizionale – RIMEDIO GIURISDIZIONALE: È evidente che la tutela
giurisdizionale offre maggiori garanzie al soggetto leso rispetto ai ricorsi amministrativi ed al
rimedio giustiziale , per la posizione di terzietà e di indipendenza dal potere esecutivo in cui si
trova il giudice. In certi ordinamenti, principalmente quelli di common law, la tutela nei
confronti della pubblica amministrazione è demandata, in linea di principio, agli stessi giudici
competenti per le controversie tra privati (cosiddetto sistema monistico), mentre in altri
ordinamenti è demandata a giudici speciali (giudici amministrativi, che caratterizzano il
cosiddetto sistema dualistico, il nostro). Vi sono anche ordinamenti (ad esempio, la Spagna) che
adottano una soluzione intermedia, demandando tale tutela a sezioni specializzate degli organi
giurisdizionali ordinari. L'ordinamento italiano ha adottato un peculiare criterio di
ripartizione della giurisdizione, imperniato sulla natura della situazione giuridica
soggettiva lesa: se è un diritto soggettivo sussiste la giurisdizione ordinaria, se invece è
un interesse legittimo sussiste la giurisdizione amministrativa .
Giustizia amministrativa In Italia: Nel sistema italiano di giustizia amministrativa sono
presenti sia i ricorsi amministrativi, sia la tutela giurisdizionale. I primi sono esperibili innanzi ad
organi amministrativi non giurisdizionali e sono, di regola, il ricorso gerarchico proprio e il
ricorso straordinario al Presidente della Repubblica; sono, invece, esperibili nei soli casi previsti
dalla legge il ricorso in opposizione e il ricorso ad altri organi amministrativi (detto ricorso
gerarchico improprio, in quanto quello gerarchico proprio è di regola quello fatto dinanzi il P. d.
R). La tutela giurisdizionale è ripartita, ai sensi dell'articolo 113 Costituzione, fra gli organi di
giurisdizione ordinaria e quelli di giurisdizione amministrativa, secondo il criterio della natura
della situazione giuridica tutelata, di cui si è detto. Sono giudici amministrativi con competenza
generale i tribunali amministrativi regionali (TAR) e il Consiglio di Stato. In Sicilia, oltre al TAR con
sede a Palermo e sezione distaccata a Catania, vi è il Consiglio di giustizia amministrativa (CGA), organo previsto
dallo Statuto speciale che svolge nell'isola le funzioni proprie del Consiglio di Stato e che il D.Lgs. 24 dicembre 2003,
n. 373, qualifica come sezione distaccata dello stesso.

CAPITOLO 2 - Giustizia amministrativa

Il sistema dei rimedi amministrativi: natura e ragion d'essere dei ricorsi


amministrativi:
I ricorsi amministrativi sono espressione della funzione giustiziale dell'amministrazione. La P.A. è
chiamata dalla legge, dopo aver esaminato il ricorso ed i motivi in esso dedotti, a risolvere la
controversia con una decisione che ha natura di atto amministrativo: ad essa si applica, perciò,
il regime giuridico tipico di quest'ultimo, quindi il ricorso viene risolto con una decisione che ha
natura di atto amministrativo.
Classificazione e tipologie dei ricorsi amministrativi:
I ricorsi amministrativi vengono classificati secondo diversi criteri; in particolare secondo 5
criteri:
• Il primo di questi riguarda e concerne la differenza che v'è tra ricorsi impugnatori e
ricorsi non impugnatori a seconda che essi abbiano o meno ad oggetto l'impugnazione di un
provvedimento. Il loro intento non e' quello di ottenere l'eliminazione di un atto, bensì
semplicemente l'eliminazione di una controversia. Esempi di ricorsi impugnatori sono: ricorso
straordinario, ricorso gerarchico (proprio e improprio) nonché il ricorso in opposizione.
• Un secondo criterio converge verso una catalogazione dei ricorsi amministrativi secondo
le modalità di previsione della legge. Quindi, il secondo criterio è semplicemente una
ripartizione, una divisione in categorie dei ricorsi, operata dalla legge stessa che dice quando un
determinato ricorso può essere esperito o meno (proprio in base alla possibile proposizione dei
ricorsi o meno in determinate circostanze, la legge opera tale distinzione):
a) Rimedi di carattere generale, i quali possono essere emanati in qualunque circostanza e
avverso ogni sorta di atto amministrativo, nonostante manchi chiaramente una espressa
disposizione di legge in tal senso. Es. Ricorso straordinario Pres. Della Repubblica.
b) Rimedi di carattere particolare, esperibili anche in assenza di una specifica norma che ne
ammetta la proposizione purché siano avverso atti emanati da organi sotto – ordinati e il ricorso
è esperito, conseguentemente, verso un organo sovra - ordinato. Es. Ricorso Gerarchico.
c) Rimedi di carattere eccezionale, proponibili solo ed esclusivamente se una fonte del diritto lo
preveda espressamente. Es. Ricorso gerarchico improprio, ricorso in opposizione e ricorsi non
impugnatori.
• Terzo criterio lo si fa derivare dal potere di cui l'amministrazione dispone ai fini della sua
decisione. In questo caso troviamo una classificazione dei ricorsi amministrativi in: eliminatori e
rinnovatori. Sono eliminatori i ricorsi a mezzo dei quali il ricorrente può chiedere
all'amministrazione solo l'annullamento dell'atto impugnato: e' il caso del ricorso straordinario;
Quelli rinnovatori, invero, consentono all'organo adito, nei limiti della domanda del ricorrente, di
poter promuovere valutazioni non solo in merito alla legittimità dell'atto impugnato, ma anche
della sua opportunità. Da qui conseguirebbero tre potenziali opportunità a seconda della
fattispecie: annullamento, modifica o sostituzione (quindi, ricapitolando, con i ricorsi rinnovatori
vi sono 3 possibili vie di uscita per l’atto in esame, se il ricorso è vittorioso: modifica,
sostituzione o, perché no, annullamento stesso) .
• Secondo un quarto criterio, i ricorsi amministrativi si distinguerebbero per i vizi con esso
deducibili, fra quelli ammessi per vizi di legittimità e/o vizi di merito. Sarà sicuramente certa la
possibilità di promuovere il ricorso straordinario per vizi di legittimità. Meno chiara, invece,
appare la collocabilità del ricorso in opposizione e del ricorso gerarchico improprio poiché il tutto
dipende, di volta in volta, da come le rispettive leggi disciplinanti gli stessi dispongano.
• In base ad un quinto e ultimo criterio, si fa differenza fra i ricorsi ordinari ed il ricorso
straordinario al Presidente della Repubblica. Il discrimine tra gli uni e gli altri sta nella
“definitività” o meno dell'atto da impugnare. Mentre i ricorsi ordinari sono proponibili solo nei
confronti degli atti non definitivi, il secondo lo e' solo nei confronti degli atti definitivi. E'
necessario dover chiarire il concetto di definitività, per un gioco forza concettuale:
dall'ordinamento si ricava che sia definitivo il provvedimento che esita ad una procedura
destinata a sfociare nella pronuncia ultima e decisiva da parte dell'autorità a tal fine qualificata
nell'ambito del rispettivo settore. In altri termini, un atto amministrativo acquisisce il carattere
della definitività nel momento in cui la P.A non può più intervenire sulla fattispecie, essendosi
esauriti i procedimenti di primo e di secondo grado. La definitività può essere altresì dichiarata
anche dalla stessa legge (es. un atto è definitivo quando ...). Il carattere della definitività resta
decisivo oggi solo per la proponibilità del ricorso straordinario, non avendo più rilevanza
nell'ordinamento processuale sin dalle riforme del 1971. Sebbene soltanto in negativo, il
carattere della definitività rimane decisivo anche per la proponibilità dei ricorsi ordinari, nel
senso che questi possono essere presentati solo avverso atti che non siano definitivi, come
abbiamo detto precedentemente. Quindi ricapitolando, con un esempio concreto e fattuale che
non dà spazi alla immaginazione: Atto definitivo / posso procedere con ricorso straordinario ;
Atto non definitivo / posso procedere con ricorso ordinario , e non con ricorso straordinario.

Volendo riassumere il tutto, ricordiamo che: i ricorsi amministrativi si dividono in Impugnatori e non
impugnatori (eccezionali) . I primi a loro volta si suddividono in ulteriori sottocategorie, ovverosia
ricorsi ordinari (rinnovatori) e straordinari (eliminatorio e generale). Inoltre gli ordinari si dividono a
loro volta in gerarchico proprio (particolare) e in opposizione (eccezionale), mentre lo straordinario
in gerarchico improprio (eccezionale).

Tratti essenziali e comuni della disciplina dei ricorsi amministrativi ordinari:


La disciplina giuridica dei ricorsi amministrativi è dettata al D.P.R. 1199/1971, la legge appunto
sui ricorsi amministrativi, che dispone al Capo I del ricorso gerarchico, al Capo II del ricorso in
opposizione, e al capo III del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. Si aggiungono
a quest'ultimo, e ne integrano contenuti, la L. 1034/1971 (la legge TAR), nonché il C.P.A.
Vediamo, nello specifico, quali sono i caratteri peculiari della fattispecie in esame, ovverosia
grazie a quali prerogative si può esperire correttamente un ricorso amministrativo, e quindi
porre in essere un rimedio giustiziale; quindi vediamo (nelle lettere seguenti, nei punti seguenti)
ciò che viene a succedere quando un ricorso è presentato, ovvero sia se esso viene ritenuto
ammissibile o meno:

a) Presupposti di ammissibilità, ricevibilità e procedibilità. L'ammissibilità di un ricorso


amministrativo e' da ritenersi valida solo in presenza di alcune condizioni. A prescindere da
questo aggiungiamo che talvolta, anche se vi sia la presenza di quest'ultime, il ricorso può
essere sprovvisto di quelli che vengono definiti presupposti processuali in senso stretto: talvolta
il ricorso diviene improcedibile a causa della sopravvenienza di determinate circostanze
successivamente alla sua instaurazione.
Sono presupposti di ammissibilità del ricorso:
• Legittimazione alla decisione, derivante tanto dall'interesse sostanziale giuridicamente
e/o amministrativamente protetto in capo al ricorrente, quanto dal pregiudizio che a tale
interesse arreca il provvedimento impugnato.
• L'interesse alla decisione, consistente nel vantaggio che il ricorrente ricaverebbe da una
decisione di accoglimento del ricorso.
• Cosiddetti elementi di fatto quali: a) esistenza di un atto amministrativo ; b) mancata
decorrenza dei termini di impugnazione ; c) mancanza della rinuncia alla proposizione del
ricorso ; d) mancanza di cause preclusive quali la precedente proposizione di un ricorso
giurisdizionale avverso lo stesso provvedimento.
Sono presupposti di ricevibilità:
• che l'atto introduttivo del ricorso amministrativo sia conforme alle prescrizioni che ne
dettano gli elementi costitutivi.
• che il ricorrente affermi il suo interesse all'impugnazione.
• che il ricorrente affermi la sua legittimazione all'impugnazione.
• che al momento della presentazione del ricorso venga instaurato il contraddittorio
attraverso la notifica ad almeno uno dei controinteressati.
Sono, infine, presupposti di procedibilità del ricorso:
• Gli adempimenti cui il ricorrente è tenuto, a pena di decadenza, unitamente o
successivamente alla presentazione del ricorso.
• La mancata sopravvenienza di cause che facciano venire meno la legittimazione o
l'interesse ad agire.
• Che non intervenga la rinuncia del ricorrente alla decisione.
• Che avverso lo stesso provvedimento non venga presentato un ricorso giurisdizionale.
E' importante sottolineare che tanto la legittimazione quanto l'interesse ad agire devono
presentare i caratteri della attualità (devono sussistere al momento dell'attuazione del ricorso),
della personalità e infine della immediatezza (la lesione lamentata deve derivare direttamente
dal provvedimento impugnato). La stessa lesione dell'interesse sostanziale protetto deve essere
attuale e diretta.

b) Legittimazione ed interesse ad agire. Ribadiamo , ancora una volta, che i ricorsi


amministrativi possono essere proposti solo da chi abbia effettivamente la legittimazione ad
agire (titolare di una situazione soggettiva “rilevante”) lesa dall'azione della P.A, nonché
ovunque vi sia l'interesse ad agire che si suddivide in due circostanze, in due fattispecie: la
prima riguarda la lesione subita da parte del ricorrente, mentre le seconda assurge alla
possibilità di ricavare un risultato vantaggioso da una eventuale decisione di accoglimento delle
sue doglianze.

c) Adempimenti procedurali, i formalismi. I ricorsi amministrativi vanno redatti in forma scritta e


devono contenere l'indicazione dell'organo adito, le generalità del ricorrente e dell'atto
impugnato, e l'esplicazione dei motivi di diritto e delle conseguenti conclusioni. Non v'è l'obbligo
di notifica ad eventuali controinteressati (salvo il caso del ricorso al Presidente della Repubblica,
come vedremo dopo in questo stesso capitolo). Rispetto ai ricorsi giurisdizionali (per i quali il
termine è di 60 giorni, come vedremo più specificatamente dopo nel capitolo successivo), quelli
amministrativi ordinari vanno proposti nel termine di trenta giorni dalla data della notificazione o
della comunicazione in via amministrativa dell'atto impugnato, ovvero da quando l'interessato
ne abbia avuto piena conoscenza. Il termine è considerato perentorio, e da ciò ne
conseguirebbe la decadenza del diritto di ricorrere. Il ricorrente non e' obbligato a notificare il
ricorso, poiché l'estensione del contraddittorio agli altri soggetti direttamente interessati sarà
individuabile direttamente sulla base dell'atto impugnato. Ciò però può altresì avvenire da parte
dell'organo decidente, a mezzo di una comunicazione della avvenuta presentazione del ricorso.
Ciò consentirebbe alle parti interessate di poter procedere alla presentazione di documenti e
deduzioni nei venti giorni successivi alla presentazione delle sue deduzioni.

d) Poteri Istruttori e cautelari del decidente. L'organo decidente può procedere alla disposizione
di misure istruttorie e di accertamento, al fine di ricavare elementi utili ai fini della decisione.
e) Decisione. Terminata l'istruttoria, l'organo decidente provvederà sul ricorso con decisione
scritta e motivata, comunicando la stessa all'organo o all'ente che ha emanato l'atto impugnato,
al ricorrente e agli altri interessati ai quali sia stato comunicato il ricorso. Ciò potrà avvenire in
via amministrativa, con notifica, o tramite raccomandata con avviso di ricevimento. L'organo
decidente se riconosce che il ricorso non poteva essere proposto, lo dichiara inammissibile. Se
invece dovesse ravvisare un'irregolarità sanabile, assegna al ricorrente un termine per la
regolarizzazione (se questi non vi abbia provveduto, dichiarerà il ricorso improcedibile). Il
ricorso terminerà in via ufficiale con una decisione, nel quale lo stesso viene accolto o respinto a
seconda della fattispecie.

5. La impugnabilità della decisione sui ricorsi ordinari ed il cd. "silenzio


rigetto":
L'atto che contiene la decisione sul ricorso ordinario e' impugnabile. In quanto atto definitivo, la
decisione è impugnabile anche con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. Mentre è
indubbio che il ricorso avverso la decisione di accoglimento (che riformi l'atto impugnato) abbia ad
oggetto la decisione stessa e non l'atto che essa ha riformato, più problematica è l'individuazione
dell'oggetto della impugnazione nel caso in cui la decisione sia di rigetto. Ciò che appare controverso
è se con il ricorso avverso la decisione di rigetto si impugni l'atto che la contiene, oppure l'atto
impugnato originariamente con il ricorso amministrativo ordinario, il quale, nel ricorso di secondo
grado, sostituirebbe la decisione del ricorso amministrativo di "primo grado". La tesi della
impugnabilità della decisione sul ricorso amministrativo è quella prevalente.
La situazione del cd. Silenzio rigetto: quando ci troviamo di fronte alla situazione ipotetica (non
rara in prassi) in cui il ricorso viene proposto all’amministrazione e la stessa non risponde né
affermativamente né negativamente, ci troviamo di fronte ad un silenzio rigetto: si tratta di un
atteggiamento adottato da parte della P.A. a cui la legge fornisce significato di rigetto del
ricorso proposto. In termini pratici, succede che decorsi i novanta giorni dalla data di
presentazione del ricorso senza che l'organo adito abbia comunicato la decisione, si ritiene lo
stesso respinto a tutti gli effetti. Contro questo provvedimento è possibile esperire il ricorso
all'autorità giurisdizionale competente, o esperire ricorso straordinario dinanzi al Presidente
della Repubblica. Il fine di questo atteggiamento tenuto dalla P.A. ha portato vedute differenti e
conflittuali in dottrina. Per superare una serie di inconvenienti che sarebbero derivati nei
confronti del ricorrente, il giudice sostiene che il silenzio deve avere il valore legale tipico non di
decisione di rigetto, bensì di rifiuto di annullamento, il cui concretarsi costituisce, come detto,
presupposto processuale per la proposizione del ricorso giurisdizionale o straordinario contro
l'atto effettivamente emanato dall'amministrazione (quindi, semplicemente, il silenzio rigetto,
avendo una natura juris simile a quella dell’atto, ed essendo atto, a questo punto, definitivo,
può essere sicuramente impugnato tramite la via processuale del ricorso straordinario dinanzi il
P.d.R).
- Legittimità ed effetti della decisione esplicita emanata dopo i novanta giorni, quindi decisione in ritardo.
Importante da annoverare, in tal senso, sono le vedute e i pareri proposti da parte dell'Adunanza Plenaria
e in particolare: - Ad Pl. n. 4/1978. Decisione tardiva di accoglimento del ricorso gerarchico esistente ed
efficace, ma illegittima perché tardiva. Effetti sul ricorrente: cessazione della materia del contendere nel
giudizio di impugnazione del silenzio davanti al giudice amministrativo. Effetti sui controinteressati: onere
di impugnativa davanti al giudice amministrativo della decisione ai fini del suo annullamento in quanto
illegittima perché tardiva ; - Ad. Pl. n 16 e 17/1989. Decisione tardiva di accoglimento del ricorso
gerarchico legittima. Effetti sul ricorrente: cessazione della materia del contendere nel giudizio di
impugnazione del silenzio davanti al giudice amministrativo. Effetti sui controinteressati: impossibilità di
impugnativa davanti al giudice amministrativo della decisione tardiva ai fini del suo annullamento per il
solo fatto che sia tale (la tardività non ne produce la illegittimità).

6. Il ricorso gerarchico:
Il ricorso gerarchico è un rimedio ordinario, particolare e a carattere rinnovatorio che viene
proposto da parte di chi vi abbia interesse all'organo gerarchicamente sovraordinato, avverso
atti amministrativi non definitivi emanati da quello sotto ordinato, per motivi tanto di legittimità
quanto di merito. / È un rimedio amministrativo ordinario che consiste nell’impugnativa di un
atto non definitivo da parte dell’interessato all’organo gerarchicamente sovraordinato rispetto a
quello che ha emanato l’atto. Può essere relativo a vizi di legittimità e di merito. Si distinguono il
ricorso gerarchico proprio – che presuppone un rapporto di gerarchia in senso stretto – dal
ricorso gerarchico improprio, rimedio di carattere eccezionale, ammesso solo in casi tassativi
previsti dalla legge, quando non esiste un rapporto di gerarchia (ad es. nei riguardi di
deliberazioni di organi collegiali). Il ricorso gerarchico deve essere presentato entro trenta giorni
dalla notifica o conoscenza dell’atto impugnato. La decisione sul ricorso gerarchico è
impugnabile al TAR o, alternativamente, con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
Decorsi novanta giorni dalla presentazione del ricorso senza che l’organo adito abbia
comunicato la sua decisione il ricorso si intende respinto. La legge istitutiva dei Tar ha, peraltro,
abolito la definitività dell’atto come presupposto del ricorso giurisdizionale. /
Rapporto ricorso gerarchico / ricorso giurisdizionale (netta prevalenza del ricorso
giurisdizionale): Ove nei confronti dello stesso atto amministrativo venga proposto sia il ricorso
gerarchico sia quello giurisdizionale, prevale quest'ultimo. Se il ricorso gerarchico viene
presentato prima di quello giurisdizionale al giudice amministrativo, una volta proposto
quest'ultimo, quello giustiziale (il ricorso gerarchico) diventa non procedibile; se, invece, viene
presentato successivamente alla proposizione del ricorso giurisdizionale, il giustiziale (il ricorso
gerarchico) è inammissibile. Vi è una ulteriore incompatibilità tra ricorso giurisdizionale e ricorso
gerarchico, qualora altri interessati promuovano ricorso giurisdizionale contro il medesimo atto:
in questo caso il ricorrente in via gerarchica avrà l'onere di riproporre le sue doglianze in sede
giurisdizionale.

6.1. Il ricorso gerarchico improprio:


Il ricorso gerarchico improprio è rimedio a carattere rinnovatorio ma, a differenza di quello
proprio, è rimedio eccezionale, e cioè è ammesso nei soli casi previsti dalla legge. Esso trova la
sua previsione generale nell'art 1. co. 2, D.P.R. 1199/1971, secondo il quale " Contro gli atti
amministrativi dei Ministeri, di enti pubblici o di organi collegiali è ammesso ricorso gerarchico
improprio da parte di chi vi abbia interesse nei casi, nei limiti, e con le modalità previsti dalla
legge o dagli ordinamenti dei singoli enti". Al ricorso gerarchico improprio si applica la disciplina
del ricorso gerarchico proprio, in analogia. Esso viene proposto ad un organo diverso da quello
che ha emanato l'atto lesivo, organo che però non è gerarchicamente sovraordinato a
quest'ultimo. (Es. viene impugnato un atto x emanato dall’organo amministrativo X, e ciò vien
fatto dinanzi all’organo amministrativo Y che non ha nulla a che vedere con l’organo
amministrativo X che ha emanato l’atto x, e cioè non è in rapporto gerarchico con l’organo
amministrativo Y). E' controverso in dottrina se questo particolare ricorso possa essere proposto da
un plesso organizzatorio diverso da quello di appartenenza dell'organo che ha emesso l'atto
impugnato, se cioè tra le due amministrazioni (amministrazione emanante atto impugnato poi in
ricorso gerarchico, ed amministrazione impugnante l’atto) non vi sia alcun rapporto funzionale.

7. Il ricorso in opposizione:
Il ricorso in opposizione è rimedio ordinario a carattere rinnovatorio, ed eccezionale, giacchè
esperibile soltanto nei limitati casi espressamente previsti dalla legge (art. 7, co. 1, D.P.R.
1199/1971). Quest'ultimo è esperibile dallo stesso organo che ha emanato l'atto impugnato. Il
comma 2. stabilisce che per tutte quelle che sono le disposizioni che non sono espressamente
previste dalla legge, si seguiranno le norme disciplinanti il ricorso gerarchico (quindi anche
questa volta, così come per il ricorso gerarchico improprio, si segue in analogia l’impianto
normativo regolante il ricorso gerarchico proprio). E' esperibile sia per motivi di legittimità che
per motivi di merito. Le ipotesi in cui e' previsto il ricorso in opposizione sono piuttosto limitate,
ciò essendo dovuto, con ogni probabilità, alla "sfiducia" del Legislatore nella capacità dell'organo
che ha emanato l'atto impugnato di valutare in maniera imparziale il ricorso diretto verso l'atto
emanato da se medesimo. /
Ricapitolando, in schema ricognitivo, diremmo ancor meglio: Il ricorso in opposizione è un
ricorso amministrativo prodotto da chi vuole tutelare un proprio diritto o interesse legittimo,
contro atti della pubblica amministrazione che è presentato allo stesso organo amministrativo
che ha prodotto l'atto verso il quale si vuole ricorrere. È un rimedio tassativo che può essere
utilizzato solo nei casi previsti dalla legge. Esso può essere proposto sia per motivi di legittimità
sia di merito, come un po’ in tutti i casi di ricorsi in via giustiziale. Si può ricorrere contro un atto
amministrativo se questo è viziato per motivi di legittimità o di merito, unicamente nei casi
previsti dalla legge; per esempio, nel settore del pubblico impiego, è possibile esperire questo
tipo di ricorso nel caso della compilazione di graduatorie di merito o per l'attribuzione di
incarichi. Se la possibilità di ricorso in opposizione non è prevista dalla legge si avrà un semplice
reclamo.

8. Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica:


Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica è un rimedio generale a carattere eliminatorio,
proponibile da parte di chi vi abbia interesse e solo per motivi di legittimità, avverso gli atti
amministrativi definitivi. Lo stesso garantisce una tutela sia di interessi legittimi che di diritti
soggettivi. Il ricorso straordinario può essere esperito solo se non sia già stato proposto ricorso
giurisdizionale da parte dello stesso interessato. In questo caso vige nettamente, come abbiamo
anticipato ab origine, il principio della "alternatività", per evitare due eventuali decisioni difformi in
merito al medesimo atto amministrativo. Rispetto ad altri ricorsi amministrativi, il ricorso
straordinario è caratterizzato da alcuni istituti che assicurano a tutti i soggetti interessati un'estesa
ed effettiva tutela.
Vediamo alcuni tratti peculiari caratteristici di questo particolare ricorso straordinario:
a) Presupposti di ammissibilità e procedibilità del ricorso straordinario : e' ammesso esclusivamente
per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa. Al ricorso straordinario si applicano le
regole sui presupposti di ammissibilità e procedibilità valevoli per i ricorsi amministrativi in genere. Il
ricorso stesso diviene improcedibile nel momento in cui venga proposta opposizione da parte dei
contro interessati.
b) L'opposizione dei controinteressati e la trasposizione del ricorso straordinario in sede
giurisdizionale: Nel caso in cui venga proposta opposizione da parte dei controinteressati, il giudizio
segue dinanzi al tribunale amministrativo regionale se il ricorrente, entro il termine perentorio di 60
giorni dal ricevimento dell'atto di opposizione, deposita nella relativa segreteria l'atto di costituzione
del giudizio, dandone avviso mediante notificazione alle parti. La trasposizione, proposta dal
ricorrente, nel momento in cui quest'ultimo voglia insistere sul ricorso, deve depositare nella
segreteria del giudice amministrativo competente, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento
dell'atto di opposizione, l'atto di costituzione del giudizio, dandone avviso mediante notificazione
all'organo che ha emanato l'atto impugnato ed ai controinteressati. Ove questi ultimi decidano di
non avvalersi dell'opposizione, si precludono la possibilità di impugnare l'atto innanzi al Consiglio di
Stato in sede giurisdizionale della decisione di accoglimento del Presidente della Repubblica, salvo
che per vizi di forma o di procedimento propri del medesimo. Quanto alla notifica, deve essere
presentata nella forma e nei e nei modi prescritti dai ricorsi giurisdizionali. La presentazione equivale
al deposito del ricorso nel processo. Al Ministero compete di ordinare la integrazione del
contraddittorio, nel caso in cui il ricorso sia presentato solo ad alcuni dei controinteressati.
c) Poteri istruttori e cautelari nel ricorso straordinario: Una volta trascorso il termine di 60 giorni
dalla notifica del ricorso, inizia a decorrere quello di 120 giorni, entro il quale il Ministero competente
deve svolgere l'istruttoria e trasmettere il ricorso, ed i relativi atti e documenti, al Consiglio di Stato,
affinché questo esprima il prescritto parere. Il predetto parere viene espresso dalla Sezione o dalla
Commissione speciale del Consiglio di Stato cui esso è assegnato; questa, ove rilevi che la questione
di diritto sottoposta al suo esame abbia dato luogo o possa dar luogo a contrasti giurisprudenziali,
può rimettere il ricorso all'Adunanza generale.
d) La decisione del ricorso straordinario e la sua impugnabilità: La decisione del ricorso straordinario
è adottata dal Presidente della Repubblica su proposta del Ministero competente; tale proposta deve
essere conforme al parere del Consiglio di Stato, che perciò, oltre ad essere obbligatorio, e' anche
vincolante. L'impugnazione del decreto del presidente della Repubblica, che decide il ricorso
straordinario, e' impugnabile innanzi al giudice amministrativo solo per vizi di forma o di
procedimento. Il decreto di decisione del ricorso straordinario evidentemente può essere impugnato
anche per revocazione nei casi previsti dall'art. 395 del codice di proceduta civile. Il termine del
ricorso per revocazione è di 60 giorni.
(“Ricorso straordinario al presidente della Repubblica” scritto da D . Raiano)

RICORSO STRAORDINARIO AL P. d. R :
Rimedio amministrativo di tipi giustiziale rivolto al Presidente della Repubblica contro i
provvedimenti definitivi (quando non sia esperibile o sia stato già esperito il ricorso in via
gerarchica) per motivi SOLAMENTE ed ESCLUSIVAMENTE di legittimità.
***Anamnesi storica : Ab origine, nell'ordinamento italiano il ricorso straordinario al Presidente della
Repubblica era un peculiare ricorso amministrativo, alternativo ai ricorsi giurisdizionali, prodotto da chi
voleva tutelare un proprio diritto o interesse legittimo, contro atti della pubblica amministrazione. In
conseguenza dell'intervento del legislatore, che con la L. n. 69 del 2009 art. 69 è intervenuto in revisione
sull'istituto, oggi possiamo considerare il Ricorso Straordinario al Capo dello Stato un vero e proprio
rimedio giurisdizionale, anche se ciò viene detto solo a livello dottrinale e in sostanza in quanto,
fondamentalmente e formalmente, rimane “sulla carta” una tipologia di ricorso amministrativo per via
giustiziale e non è un rimedio giurisdizionale. Prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104
(Codice del processo amministrativo), la giurisprudenza affermava il carattere generale del rimedio in
esame, da cui ne conseguiva l’esperibilità in tutti i casi in cui ciò non fosse espressamente escluso dalla
legge. A seguito dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, il quale in particolare
dispone (all’art. 7, comma 8) che il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica "è ammesso
unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa", deve ritenersi che non sia più
proponibile un ricorso straordinario per una controversia rientrante nella giurisdizione dell’A.G.O.
*Piccolo appunto “simpatico” che ci fa riflettere: Fino all'entrata in vigore della legge 111/2011
(finanziaria 2012, governo Berlusconi IV), il ricorso straordinario al capo dello stato, fatte salve le spese di
notifica, era completamente gratuito. Con l'art. 37, comma 6, della legge suddetta è stato invece
introdotto un contributo di euro 600 (seicento), con lo scopo evidente di scoraggiare il ricorso a questo
rimedio giurisdizionale da parte dei cittadini lesi nei propri interessi legittimi.
NATURA JURIS e CONTENUTISTICA GENERALE SULL’ISTITUTO: Il ricorso straordinario
al Presidente della Repubblica è configurato secondo un regime di alternatività con il ricorso
giurisdizionale. Nell’ottica del legislatore di preferenza per i rimedi giurisdizionali, ritenuti forme
di tutela del cittadino più raffinate ed efficaci, è stata prevista la possibilità, per cointeressati,
controinteressati e amministrazione resistente (quanto meno nel caso si tratti di ente pubblico
diverso dallo Stato), di chiedere la trasposizione della controversia davanti al giudice
amministrativo. Il ricorso deve essere presentato entro centoventi giorni dalla comunicazione
(notificazione, pubblicazione o piena conoscenza) del provvedimento definitivo. Quindi, QUESTO
PARTICOLARE RICORSO STRAORDINARIO E’ ESPERIBILE ENTRO 120 GG.
Tale rimedio giustiziale (perché comunque sia, secondo la mia opinione, rimane tale) è definito
straordinario perché, come accennato, presuppone che sia esaurita la possibilità di esperire altri
rimedi amministrativi, essendo infatti ammesso nei confronti di atti amministrativi definitivi :
Quindi, ecco la seconda caratteristica peculiare, QUESTO PARTICOLARE RICORSO
STRAORDINARIO E’ ESPERIBILE SOLO PER QUANTO CONCERNE I PROVVEDIMENTI E/O GLI
ATTI AMMINISTRATIVI DEFINITIVI ;
è stato tradizionalmente classificato come un rimedio impugnatorio, in quanto finalizzato
all’annullamento di un provvedimento, ed eliminatorio, in quanto comporta, in caso di
accoglimento, solo decisioni di annullamento; infine, è proponibile, a tutela di interessi legittimi
e diritti soggettivi, soltanto per vizi di legittimità, come abbiamo stra – ripetuto.
Il procedimento del ricorso straordinario prevede che sia adottato, nel corso dell’istruttoria, un
parere obbligatorio del Consiglio di Stato: se il Ministro intenda discostarsene deve sottoporre la
questione al Consiglio dei Ministri. La decisione, formulata come proposta di decreto al
Presidente della Repubblica, è assunta dal competente Ministro sulla base del predetto parere.
Il ricorso straordinario è deciso con decreto del Presidente della Repubblica, anche se, per quelli
più acuti mentalmente, sostanzialmente si può capire che, benché formalmente riferito al
Presidente, il ricorso è in verità deciso dal Consiglio di Stato.
PROCEDURA (nello specifico) – per coloro maggiormente scrupolosi: Il ricorso va proposto
entro 120 giorni dalla notificazione o piena conoscenza del provvedimento. Va notificato entro il
termine predetto ad almeno uno dei controinteressati (coloro che hanno un interesse contrario
a quello del ricorrente, il quale impugna l’atto e ne chiede l’annullamento mentre il
controinteressato che ha un vantaggio da quell’atto ha una posizione che collima con quella
dell’amm.ne, cioè difende l’atto perché gli dà un vantaggio) e presentato con la prova della
notifica all'organo che ha emanato l'atto o al ministero competente. Se presentato all'organo
questo lo trasmette immediatamente al Ministero competente.
I controinteressati possono entro 60 giorni presentare deduzioni e documenti. I
controinteressati possono accettare la sede giudiziaria scelta dal ricorrente o proporre
opposizione per chiedere la trasposizione del giudizio in sede giurisdizionale davanti al Tribunale
Amministrativo Regionale. Nel caso quest'ultimo non abbia giurisdizione poiché l'oggetto della
domanda riguardi diritti soggettivi il giudizio continua presso la sede originaria allo scopo di non
far perdere la tutela al ricorrente.
Terminata l'istruttoria del Ministero entro 120 giorni dal termine per presentare le deduzioni da
parte dei controinteressati, il gravame viene trasmesso al Consiglio di Stato per il parere.
Decorsi 120 giorni dal predetto termine il ricorrente può fare domanda al Ministero per sapere
se la documentazione è stata trasmessa al Consiglio di Stato, in caso di negativa o mancata
risposta potrà lui stesso provvedere alla trasmissione. La decisione viene emanata sotto forma
di dpr del Presidente della Repubblica su proposta del Ministero e in seguito al parere
obbligatorio e, per gli effetti della legge n.69/2009, vincolante del Consiglio di Stato.
EFFETTI e FASE FINALE DEL RICORSO : La decisione può essere di vario contenuto: il
ricorso straordinario può essere accolto, rigettato o vi può essere la dichiarazione di
inammissibilità, ove si riconosca che il ricorso non poteva essere proposto, ad esempio perché
l’atto impugnato non era definitivo (ed era quindi ammesso un ricorso gerarchico), salva la
facoltà della assegnazione di un breve termine per presentare all’organo competente il ricorso
amministrativo, se si accerta l'esistenza di un errore ritenuto errore scusabile. Nel caso in cui il
ricorso venga accolto, l'atto sarà annullato; questa annullamento avrà effetto esclusivamente
tra le parti, salvo che non si tratti di un atto a natura normativa o regolamentare: in questa
ipotesi l'efficacia dell'annullamento sarà erga omnes. Possono essere dedotti i seguenti vizi
dell'atto amministrativo: incompetenza relativa, eccesso di potere e violazione di legge. È logico
che se tali vizi sono ritenuti infondati, il ricorso viene rigettato.
(“ Ricorso straordinario al PdR” , scritto da F. Merola)

CAPITOLO 3 - I tratti generali della tutela giurisdizionale nei


confronti di atti e comportamenti della P.A secondo la
Costituzione

1. Riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo (e


materia costituzionale al riguardo) :
La genesi del riparti di giurisdizione può farsi risalire al 1865, anno in cui, con la legge abolitrice
del contenzioso amministrativo, eliminandosi i relativi Tribunali speciali, si determinò un vuoto di
tutela per le situazioni giuridiche soggettive “frontiste” del potere amministrativo. Con la legge
istitutiva IV Sezione, si stabilì il riparto di giurisdizione, lasciandosi al G.O. le questioni
concernenti i diritti soggettivi ed affidandosi al G.A la giurisdizione di merito. La Costituzione
prevede due giudici: il G.O ed il G.A ed anche il criterio di riparto fra questi. La tutela dei diritti
soggettivi è concessa al G.O.; gli interessi legittimi al G.A., il quale, in alcune ipotesi specifiche,
può occuparsi anche di diritti soggettivi, cosiddette ipotesi di “giurisdizione esclusiva”.
L'art 103 della Carta Costituzionale co. 1, recita: “Il Consiglio di Stato e gli altri organi di
giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica
amministrazione, degli interessi legittimi e, in particolari materie, anche di diritti soggettivi”.
Spostando la nostra attenzione su altre norme Costituzionali, quali l'art. 102 e l'art. 108 della
Carta, notiamo altre disposizioni interessanti in tal senso. L'art 102, dopo aver stabilito che la
funzione giurisdizionale è esercitata dai magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme
sull'ordinamento giudiziario, prescrive altresì che non possono essere istituiti giudici speciali o
straordinari. Ciò nondimeno possono essere istituiti solo ed esclusivamente presso organi
giudiziari ordinari a sezioni specializzate. La VI disp. Trans. E fin. Cost. (anch’ essa importante a
tale proposito) , prescriveva che, entro i cinque anni successivi all'entrata in vigore della Carta,
si doveva procedere alla revisione degli organi speciali di giurisdizione attualmente esistenti,
salvo le giurisdizioni del Consiglio di Stato, della Corte dei conti e dei Tribunali militari. Tutto ciò
potrebbe non sembrare coerente con il dettato dell'art. 108 co. 2, Cost., poiché quest'ultimo
prevede che la legge debba assicurare l'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, del
pubblico ministero presso di esse, e degli estranei che partecipano all'amministrazione della
giustizia, poiché sembrerebbe implicitamente ammettere la possibile esistenza di giudici speciali,
in apparente contraddizione con le norme appena richiamate. Tuttavia, a ben guardare, la
contraddizione non c'è. Il Costituente ha inequivocabilmente sancito che fosse conservata la
giurisdizione del Consiglio di Stato, collocando accanto ad esso altri organi di giustizia
amministrativa, e stabilendo che dalla legge deve essere comunque garantita l'indipendenza dei
giudici delle giurisdizioni speciali.
Ritornando alla lettera del 103, si capisce a chiare lettere che una delle parti del contraddittorio
amministrativo debba necessariamente essere la P.A. E' necessario chiarire però che un azione
della P.A., può ledere sia un soggetto privato, sia una diversa P.A.: contro un atto
amministrativo illegittimo, infatti, non solo l'uno ma anche l'altra riceve tutela innanzi al
Consiglio di Stato ed agli altri organi di giustizia amministrativa. L'art 103 chiarisce in maniera
inequivocabile quale sia la situazione giuridica soggettiva fisiologicamente tutelabile innanzi al
G.A., ovvero per la tutela degli interessi legittimi. Diritti soggettivi e interessi legittimi, in quanto
strettamente legati con l'amministrazione pubblica, sono tutelabili esclusivamente in sede
giurisdizionale amministrativa. Si può dire allora che laddove un atto amministrativo leda un
interesse legittimo, per la sua tutela, il titolare può rivolgersi esclusivamente alla giurisdizione
amministrativa.
Dal combinato disposto degli arti 24 e 103 Cost., inoltre, possiamo derivare che detto sistema
si caratterizza per essere di tipo soggettivo, e non di tipo oggettivo. In altri termini, per adire il
G.A., occorre che la illegittimità dell'atto ridondi negativamente in una sfera giuridica soggettiva
individuale. In definitiva, la Carta fissa la regola del riparto fra giurisdizione ordinaria e
amministrativa, e stabilisce chiaramente la divisione di competenza fra G.O. E G.A., non
esprimendosi però in maniera inequivocabile con riguardo ai poteri di cui i due giudici
dispongono nei confronti degli atti amministrativi. La Costituzione, quindi, rimanda al Legislatore
la individuazione degli organi giurisdizionali dotati del potere di annullare gli atti amministrativi.
Da ciò si conclude che tale potere viene assegnato dalla legge al G.A., lasciando al G.O., sugli
atti amministrativi, esclusivamente il potere di poterli disapplicare. La giurisdizione in parola
(quella ordinaria) può però, in quanto ha potere strumentale e non finale, procedere alla
disapplicazione di un atto amministrativo illegittimo, al fine di condannare la P.A. al risarcimento
del danno derivante dalla lesione di un diritto soggettivo. Inoltre il 103 specifica, altresì, che la
natura dell'atto è irrilevante ai fini della sua impugnabilità, a patto che l'atto sia in grado di
ledere una situazione giuridica soggettiva. C'è altrettanto da dover tener conto che talvolta non
e' infrequente rinvenire nell'ordinamento ipotesi di poteri amministrativi, e conseguenti
provvedimenti, a fronte dei quali la situazione giuridica soggettiva non è solo di interesse
legittimo, bensì anche di diritto soggettivo, oppure e' dubbia la sua natura. Appare quasi
inevitabile, quindi, la previsione di una giurisdizione esclusiva. Per concludere bisogna
rammentare l'art 111 Cost., il quale disegna il profilo costituzionale di ogni giurisdizione.
(Leggere l'articolo sulla Costituzione).
(“ Riparto di Giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario” scritto da D. Raiano)

IL RIPARTO DI GIURISDIZIONE TRA G.A. E G.O.:


Il riparto di giurisdizione è un insieme di regole da utilizzarsi per individuare il giudice
competente, in modo particolare quando si voglia intentare una causa contro la pubblica
amministrazione. Naturalmente, il rilievo giuridico dei criteri di riparto cessa se è la stessa legge
che attribuisce espressamente la giurisdizione al giudice ordinario o al giudice amministrativo.
A decidere sul riparto sono le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che devono determinare
in modo definitivo il giudice dotato di giurisdizione. Il sistema processuale italiano, infatti,
conosce due organi giurisdizionali ipoteticamente competenti: il giudice ordinario e il giudice
amministrativo.
In linea generale, le questioni afferenti a diritti civili o politici (diritti soggettivi) sono di
competenza del giudice ordinario (Tribunale, Corte d'appello e Corte di Cassazione) anche
quando vengano coinvolti da un provvedimento amministrativo. In tal ultimo caso, il giudice
non può riformare, annullare o modificare l'atto amministrativo, ma deve limitarsi a
disapplicarlo, decidendo la controversia come se tale provvedimento non fosse mai esistito.
Inoltre, ancora : "gli affari non compresi nell'articolo precedente", ossia le controversie relative
a quegli interessi giuridicamente rilevanti diversi dai diritti soggettivi, che poi assumeranno
storicamente il nome di interessi legittimi, rientrano nella giurisdizione del giudice
amministrativo.
Il riparto di giurisdizione basato sulla dicotomia diritto soggettivo/giudice ordinario -
interesse legittimo/giudice amministrativo dal 1949 costituisce la regola generale, a cui si
contrappone, ai sensi dell'art. 103 Cost., la regola di riparto fondata sui "blocchi di materie", di
carattere residuale. Infatti, ai sensi della citata disposizione costituzionale, i giudici
amministrativi hanno giurisdizione, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti
soggettivi.
La regola fondata sui "blocchi di materie" è stata ridimensionata dalla Corte Costituzionale nella
nota sentenza n. 204/2004, in quanto la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
sarebbe legittima solo quando, agendo la pubblica amministrazione come autorità, vi sia un
"inestricabile nodo" di interessi legittimi e diritti soggettivi che renda opportuna, per esigenze di
concentrazione processuale, la sola giurisdizione del giudice amministrativo.

* Infine, per rendere il concetto ancora più chiaro, si vuole ancor meglio concettualizzare la
fondamentale materia del riparto giurisdizionale in Italia :
La Costituzione italiana stabilisce un sistema di tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi
legittimi basato su due tipi di giurisdizione, una giurisdizione ordinaria e una giurisdizione
amministrativa (art. 113, 1° co., Cost.).
Ragion d’essere e Natura storica del riparto di giurisdizione : La ragione di tale ripartizione deriva
da un’esigenza avvertita negli ordinamenti di civil law nell’ambito dei quali la pubblica
amministrazione, quando agisce in veste autoritativa, si pone in una posizione differente rispetto a
quella degli altri soggetti dell’ordinamento, per cui anche la tutela giurisdizionale deve essere
attribuita a un giudice diverso da quello ordinario. Pertanto, tali sistemi hanno adottato il modello
dualistico di giurisdizione sopra delineato. Diversa è la situazione negli ordinamenti di common law,
che, infatti, hanno adottato un modello monistico di giurisdizione, nell’ambito dei quali la pubblica
amministrazione non assume una configurazione particolare rispetto agli altri soggetti e, di
conseguenza, la tutela giurisdizionale è affidata a un giudice unico.
Contenutistica dell’argomento ( I criteri di riparto di giurisdizione) . - Il criterio di
riparto tra la giurisdizione ordinaria e la giurisdizione amministrativa, stabilito dalla Carta
costituzionale, è basato principalmente sulla natura delle situazioni giuridiche soggettive vantate
dai privati nei confronti della pubblica amministrazione. Al giudice ordinario spetta la cognizione
delle controversie che hanno a oggetto i diritti soggettivi, mentre al giudice amministrativo
spetta la cognizione delle controversie riguardanti gli interessi legittimi. Inoltre, in particolari
materie, espressamente indicate dalla legge, viene affidata alla giurisdizione amministrativa
anche la tutela dei diritti soggettivi (art. 103, 1° co., Cost.).
In generale, quindi, al giudice ordinario sono attribuite le controversie sui diritti soggettivi,
escluse quelle relative alle materie espressamente devolute alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo; in via eccezionale e in relazione a un numero limitato di materie
assoggettate a procedimenti speciali (per es., espulsione di stranieri, trattamenti sanitari
obbligatori), il giudice ordinario può incidere sul contenuto dell’atto amministrativo
sospendendolo, modificandolo o annullandolo. Inoltre, in seguito alla cosiddetta privatizzazione del
pubblico impiego, è stata devoluta al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, la cognizione delle
controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, mentre al giudice
amministrativo è rimasta la cognizione delle controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione
dei dipendenti e la giurisdizione esclusiva sui rapporti di lavoro non privatizzato che rimane «in regime di diritto
pubblico». Parallelamente, in materia di contrattualistica pubblica, appartengono alla giurisdizione ordinaria le
controversie attinenti propriamente alla fase esecutiva del rapporto negoziale mentre sono devolute alla
cognizione del giudice amministrativo quelle connesse alla legittimità della procedura ad evidenza pubblica. In
questo schema, differentemente da altri ordinamenti europei, il giudice amministrativo potrà conoscere degli
effetti del contratto soltanto per stabilirne la sorte nel caso in cui sia stato annullato il provvedimento di
aggiudicazione (su tali profili si veda la voce Contratti della pubblica amministrazione). Inoltre, alla
giurisdizione amministrativa è attribuita, in via esclusiva, la cognizione delle controversie su
particolari materie indicate dalla legge, indipendentemente dalla situazione giuridica dedotta in
giudizio (c.d. giurisdizione esclusiva). La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 204 del 2004,
storica in tal senso, ha stabilito che il legislatore ben può ampliare l’area della giurisdizione
esclusiva, purché lo faccia con riguardo a materie (in tal senso, particolari) che, in assenza di
tale previsione, contemplerebbero pur sempre, in quanto vi opera la pubblica amministrazione-
autorità, la giurisdizione generale di legittimità. Con le riforme della fine degli anni ‘90, è stato
anche conferito al giudice amministrativo, nell’esercizio della propria giurisdizione (sia esclusiva
sia di legittimità), il potere di condannare l’amministrazione al risarcimento del danno per
lesione di interessi legittimi e degli altri diritti patrimoniali consequenziali, anche attraverso la
reintegrazione in forma specifica.
Altro appunto da fare, è che recentemente, infine, è stato avvalorato il nesso tra la giurisdizione
amministrativa e l’esercizio del potere pubblico in forma autoritativa. Infatti, l’art. 7 del codice del
processo amministrativo stabilisce che sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie
concernenti il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o
comportamenti riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio del potere. Secondo un consolidato
orientamento della giurisprudenza, infatti, esulano dalla giurisdizione amministrativa e appartengono alla
cognizione del giudice ordinario quelle controversie in cui l’amministrazione abbia agito non attraverso
strumenti autoritativi ma secondo moduli di diritto comune.
Nel caso in cui sorgano conflitti tra la giurisdizione ordinaria e la giurisdizione amministrativa, la
soluzione deve essere demandata alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, eventualmente
nelle forme del regolamento preventivo di giurisdizione, ovvero attraverso il particolare mezzo di
impugnazione del ricorso per cassazione.
(“Riparto di giurisdizione tra G.A. e G.O.” scritto da F. Merola)

• I tre tipi di giurisdizione del giudice amministrativo ed i relativi poteri:


La legge dispone, coerentemente con la Carta Cost., i tre tipi di giurisdizione in capo al G.A.:
• Generale di legittimità
• Esclusiva (particolare)
• Estesa al merito (eccezionale)
Oggi lo prevede espressamente l'art 7. C.P.A., co. 3. Descrivendone le linee essenziali,
ricordiamo che:
*La giurisdizione generale di legittimità: è la principale giurisdizione del G.A. che viene ad
attivarsi ogniqualvolta vi sia stata una lesione di un interesse legittimo ad opera di un atto
amministrativo e sarà necessaria la successiva impugnazione dello stesso, affinché il G.A. possa
procedere all'annullamento, se lo ritiene necessario. Quest'ultimo potrà anche eventualmente
rendere una tutela risarcitoria con successivo pagamento dei danni, oltre ovviamente a poter
esercitare il suo potere tipico che si sostanzia nel poter annullare l'atto impugnato, sempre se lo
ritiene necessario. Possiamo, inoltre, affermare che la suddetta giurisdizione è tale sugli atti
della P.A. ed ergo, proprio poiché gli atti rappresentano una manifestazione conclusiva
dell'esercizio di un potere amministrativo, la giurisdizione di legittimità finisce per giudicare
anche il rapporto sottostante fra la P.A. e i suoi “frontisti”.
*La giurisdizione esclusiva: La Legge, laddove la materia presenti un complesso intreccio tra
diritti soggettivi ed interessi legittimi, assegna al G.A. una giurisdizione esclusiva, il che significa
una giurisdizione in un cui il giudice è capace di conoscere sia dei diritti che degli interessi. Il
G.A. in questa giurisdizione vanta non solo potere caducatorio , ma anche risarcitorio. Come
recita il co. 5 dell'art 7 (del codice del processo amministrativo): “Nelle materie di giurisdizione
esclusiva, indicate dalla legge e dall'art. 133, il giudice amministrativo conosce, pure ai fini
risarcitori, anche delle controversie nelle quali si faccia questione di diritti soggettivi
(ordinariamente, come si sa, assegnati al GO)”.
*La giurisdizione estesa al merito. In alcuni casi disposti tassativamente dalla legge, il G.A.
vanta anche una giurisdizione estesa al merito. In queste ipotesi, al giudice è consentito di
delibare anche il merito della scelta effettuata con il provvedimento amministrativo impugnato,
non essendo peraltro pacifico che, nei confronti dell'atto, egli sia dotato di poteri più penetranti.
Come ci ricorda il co. 6 dell'art. 7 C.P.A.: “ Il giudice amministrativo esercita la giurisdizione con
cognizione estesa al merito nelle controversie indicate dalla legge e dall'art 134. Nell'esercizio di
tale giurisdizione il giudice amministrativo può sostituirsi all'amministrazione”. Ciò nondimeno
permangono dubbi consistenti nel qualificare tale giurisdizione come una giurisdizione di merito,
perché in pratica al giudice parrebbe non esser effettivamente consentito di prendere una
decisione discrezionale in luogo della P.A., poiché i limiti sembrerebbero derivare dalla stessa
natura del nostro ordinamento, chiaramente rivolta verso un sistema di
tripartizione/separazione dei poteri. /

Ricapitolando, in estrema sintesi, circa i vari tipi di giurisdizioni del GA:


I tipi di giurisdizione amministrativa. - La giurisdizione amministrativa si articola
nelle forme della giurisdizione di legittimità, di merito ed esclusiva. Vediamo il tutto :

La giurisdizione di legittimità ha carattere generale e conferisce al giudice il potere di


verificare se l’atto amministrativo sia lesivo di interessi legittimi per violazione di legge,
incompetenza o eccesso di potere La l. n. 205/2000 ha introdotto alcune importanti novità,
modificando l’impianto originario della giurisdizione di legittimità delineato dalla l. n. 1034/1971
(art. 2, 3 e 4), ampliando notevolmente i poteri del giudice con riferimento sia alla disponibilità
dei mezzi di prova (l. n. 1034/1971, art. 21) che alla capacità decisionale. In merito a
quest’ultimo profilo, il giudice, oltre al potere di annullamento dell’atto lesivo di interessi
legittimi, ha il potere di valutazione sulla risarcibilità del danno provocato dall’atto illegittimo
della pubblica amministrazione e può, inoltre, condannare l’amministrazione a un obbligo di
reintegrazione in forma specifica. Nuovi e rilevanti poteri sono stati conferiti anche dall’art. 34
del codice del processo che prevede il potere del giudice di condannare l’amministrazione
all’adozione di tutte le misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in
giudizio.
La giurisdizione di merito, invece, permette al giudice amministrativo di effettuare una
valutazione sull’opportunità o la convenienza dell’atto amministrativo in relazione all’interesse
pubblico che deve essere perseguito, attribuendogli ampi poteri di cognizione, di istruzione e di
decisione, fino all’eventuale annullamento, riforma o sostituzione dell’atto. Tale forma di
giurisdizione ha, però, carattere eccezionale, in quanto può essere esercitata solo nei casi
tassativamente previsti dalla legge (art. 134 c.p.a.): tradizionalmente ricondotta alle
controversie aventi ad oggetto l’attuazione, da parte dell’amministrazione, delle pronunce
giurisdizionali esecutive o del giudicato, può essere esercitata anche con riferimento agli atti e
alle operazioni in ambito elettorale, alle sanzioni pecuniarie la cui contestazione è devoluta alla
giurisdizione amministrativa, comprese quelle delle Autorità Amministrative Indipendenti e ad
altre ipotesi di modesta applicazione pratica.
La giurisdizione esclusiva, introdotta nel 1923, consente al giudice amministrativo di
conoscere delle controversie, in determinate materie espressamente indicate dalla legge, in cui
siano coinvolte posizioni giuridiche aventi la connotazione sia di interessi legittimi che di diritti
soggettivi. Le ipotesi che ricadono nell’ambito della giurisdizione esclusiva sono espressamente
indicate dall’art. 133 del codice del processo amministrativo. Come si è detto poco sopra, la
Corte costituzionale ha ridimensionato e circoscritto il potere del legislatore di individuare le
controversie devolute alla giurisdizione esclusiva, ribadendone il carattere eccezionale rispetto a
quella di legittimità. In particolare, la Corte costituzionale ha precisato che l’art. 103 Cost.
stabilisce espressamente che il legislatore può attribuire la giurisdizione esclusiva al giudice
amministrativo solo in «particolari materie» e solo quando la pubblica amministrazione «agisce
come autorità».

Tutela caducatoria e Tutela risarcitoria :


Il risarcimento, come sappiamo bene dal diritto civile, è il modo attraverso il quale si rimborsano
(o reintegrano) coloro che hanno subito un danno ingiusto. Il danno può essere di natura
contrattuale o extracontrattuale (o precontrattuale, per quanti credono al tertium genus). Il risarcimento
consiste nella liquidazione in denaro del valore del debito nascente dall'illecito (di qualunque genere) o, in
altri termini, nella determinazione del valore dell'obbligazione a riparare il danno cagionato. Posto ciò
come premessa, dobbiamo esser certi che il risarcimento e l’annessa tutela risarcitoria (che
deriva per gioco forza concettuale dall’ordinamento italiano), per lo meno originariamente, è un
macro - istituto caratterizzante tipicamente il ramo civilistico (sui generis), o, per meglio dire, in
species, il ramo processual civilistico. Invero, di contro, la caducazione (di un atto
amministrativo) altro non è che l’annullamento di un atto amministrativo impugnato da un
ricorrente dinanzi il GA o, più nello specifico, di un provvedimento emanato della PA e
impugnato da un ricorrente dinanzi il GA; allor quindi affermerei, con certezza, che l’istituto
della “caducazione di un atto amministrativo” fa parte del ramo amministrativistico (sui generis),
o, per meglio dire, in species, del ramo processual – amministrativistico. Si caduca, si annulla
un atto, (detta male) allor quando il giudice amministrativo ritiene che questo atto
amministrativo portato dinanzi la sua scrivania (quindi, impugnato) da un ricorrente, non sia
legittimo  Ricapitolando: TUTELA RISARCITORIA (garantita dal giudice ordinario) ; TUTELA
CADUCATORIA (aggiungerei, … di un atto) (garantita dal giudice amministrativo).
Trapianto tecnico giuridico della tutela risarcitoria, in interconnessione con la tutela caducatoria,
nel diritto processual amministrativistico : Col passare del tempo, con l’innovazione socio –
ideologica che ha bagnato, toccato, consistentemente il “modus operandi” della giurisprudenza,
della dottrina ed, in ultimo acchito, del Legislatore stesso (vedi in ultimo, l’introduzione del
CPA), la tutela risarcitoria, garantita primariamente ed ab origine dal solo giudice ordinario e
non anche dal giudice amministrativo (che poteva solo far cadere, annullare, l’atto
amministrativo che si dimostrasse (in ambito processuale) illegittimo), si estende
completamente e nella maniera più netta possibile anche alla (e nella) sfera d’azione ed al
raggio operativo del giudice amministrativo che può, allorché, ricapitolando analiticamente tutto
il concetto sin qui riferito, non solo far cadere l’atto impugnato dal ricorrente, annullarlo,
qualora lo ritenesse illegittimo (applicando la tutela caducatoria tout court, cosa che già poteva
fare ab origine dei tempi) , ma può anche, in secondo luogo ed in plus positivistico per il
ricorrente, prescrivere che il ricorrente stesso venga RISARCITO dalla PA stessa per il danno
subito dal fatto che quell’atto stesso (poi impugnato) fu emanato dall’organo amministrativo
(quindi operando un po’ come se fosse il giudice ordinario che ha di solito questa potenziale
prerogativa). Il tutto deve condensarsi, venir in essere, con consistente attenzione e con
marginale prassi concretizzatrice, dato e posto che la tutela risarcitoria, ed il risarcimento di per
sé preso e considerato, debbono comunque sia considerarsi istituti tipicamente nati dal diritto
privato e per ciò tale ultima ragione certamente il trapianto tecnico giuridico dell’istituto della
tutela risarcitoria deve esser operato dall’interprete e dal giurista con cura e scrupolosità
chirurgica, sebbene è netto e confermato (per quanto surriferito) , ormai in dottrina ed in
giurisprudenza, il fatto che il risarcimento, detta male ed in fin dei conti, lo può avere anche il
ricorrente danneggiato da un atto amministrativo che, impugnandolo dinanzi il GA, non solo è
riuscito a farlo decadere (tutela caducatoria) ma è riuscito, “magari e beato a lui” , anche a farci
su dei “frutti pecuniari” dato il danno ricevuto (tutela risarcitoria) dall’emanazione, da parte
della PA, di quell’atto poi ritenuto illegittimo dal giudice amministrativo.
(“ Tutela caducatoria e risarcitoria” / scritto da F. Merola)

Capitolo 4 - Cenni su giurisdizione e poteri del giudice ordinario


sugli atti ed i comportamenti della P.A.

• La giurisdizione e i poteri del giudice ordinario sugli atti amministrativi:


tutela risarcitoria e disapplicazione:
La competenza per la tutela dei diritti soggettivi è concessa, come detto e di regola, al G.O., il
quale si attiverà ogniqualvolta la controversia abbia ad oggetto la violazione di un diritto
soggettivo da parte della P.A. Siffatto impianto risale al sistema (codificato dalla legge) del
1865, abolitrice del contenzioso amministrativo, e segnatamente dagli art 2 e 3, per quanto
attiene ai confini della giurisdizione, e dagli art 4 e 5, per quanto attiene, invece, ai poteri
spettanti al giudice. In termini pratici, gli art. 2 e 3 segnano i confini reciproci tra giurisdizione
ordinaria e amministrativa: il 2 si occupa di specificare i confini della giurisdizione ordinaria,
facendovi rientrare tutte le materie nelle quali si faccia questione d'un diritto civile o politico,
comunque vi possa essere interessata la pubblica amministrazione, e ancorché siano emanati
provvedimenti del potere esecutivo o dell'Autorità amministrativa. L'art. 3, invece, stabilisce i
confini di quella che poi sarà la giurisdizione amministrativa, stabilendo che gli affari che non
erano assegnati alla giurisdizione ordinaria (dall’art.2 e dall’art.3) erano attribuiti alle Autorità
amministrative, contro i provvedimenti delle quali si ammetteva poi il ricorso in via gerarchica in
conformità delle leggi amministrative. Gli art. 4 e 5 stabiliscono i poteri spettanti al G.O. e al
G.A. Il 4 stabilisce che, laddove si controverta di un diritto che si pretende leso da un atto
dell'Autorità amministrativa, i Tribunali si limiteranno a conoscere gli effetti dell'atto stesso in
relazione all'oggetto dedotto in giudizio, non potendo perciò annullarlo; e, più in particolare
(co.2), che essi (I Tribunali) non possono revocare o modificare l'atto amministrativo illegittimo,
risultato che potrà conseguirsi solo mediante ricorso alle competenti autorità amministrative, le
quali si conformeranno al giudicato dei Tribunali per quanto riguarda il caso deciso. L'art. 5
aggiunge che, nel caso di diritti che si assumono lesi, le Autorità giudiziarie applicheranno gli
atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle leggi. Da ciò si
ricava che, laddove atti e regolamenti non lo siano, il G.O., nel giudicare sulla controversia, può
disapplicarli, considerandone gli effetti limitatamente "all'oggetto dedotto in giudizio".
Il rigetto della tesi del petitum induce a valorizzare fortemente l’altro elemento tradizionale
dell’azione, rappresentato dalla causa petendi: la controversia è di competenza del giudice
amministrativo se è fatto valere un interesse legittimo; invece, è di competenza del giudice
ordinario se è fatto valere un diritto soggettivo.
Si deve, però, ancora capire alla stregua di quali circostanze si possa stabilire se sia fatto valere
un diritto soggettivo o un interesse legittimo. A questo proposito costituisce un termine
ricorrente di confronto la c.d. teoria della prospettazione  Secondo questa teoria si deve
attribuire rilievo decisivo alla “prospettazione” della posizione giuridica soggettiva come risulta
dagli atti introduttivi del giudizio: se l’attore allega di essere titolare di un interesse legittimo, la
tutela spetta al giudice amministrativo; se, invece, si presenta come titolare di un diritto
soggettivo, è competente il giudice ordinario.
La Cassazione ha respinto, giustamente, la tesi della prospettazione fin dal 1897 perché
assumeva come dato fisiologico che la decisione ultima sull’individuazione del giudice
competente potesse dipendere da valutazioni o da scelte di convenienza della parte.

2. Il potere di disapplicazione:
Il potere di disapplicazione viene ad essere qualificato come un potere non finale, ma
strumentale. Ciò significa che l'attore si rivolge al G.O. per ottenere, non la disapplicazione
dell'atto illegittimo, ma un'altra utilità, per conseguire la quale è necessario che il giudice
"disapplichi" l'atto di cui ha rilevato la legittimità. Laddove il titolare di un diritto leso da un atto
amministrativo illegittimo si rivolga al G.O. per veder soddisfatta la sua pretesa, questi,
adoperando il potere di disapplicazione, giudica la fattispecie come se l'atto illegittimo tamquam
non esset (come se non esistesse), e cioè, rilevatene la illegittimità, non potendo annullarlo, lo
considera inesistente ai limitati fini della questione su cui è chiamato ad esprimersi. L'atto,
quindi, resta in vita producendo erga omnes tutti gli effetti suoi propri, fintanto che non venga
eventualmente annullato poi da un giudice competente amministrativo. Il potere di
disapplicazione, in altri termini, serve per "nascondere" un atto che il GO non può annullare
(perché sarebbe un chiarissimo vizio di competenza, se lo facesse), sebbene ne abbia verificato
la illegittimità. Tramite la disapplicazione, l'atto illegittimo non viene annullato, ma viene privato
dei suoi effetti, limitatamente alla controversia dedotta in giudizio. Importante da specificare è
che il potere di disapplicazione è esercitabile soltanto in relazione ad atti amministrativi
illegittimi, ma esistenti, giacchè un atto nullo è di per sé incapace di produrre gli effetti suoi
propri, ciò rendendo inutile l'esercizio del potere di disapplicazione.
In dottrina viene ad essere riportata una differenza tra due fattispecie di disapplicazione:
principale e incidentale. La distinzione è operata a seconda che l'oggetto della disapplicazione
sia un atto illegittimo perché lesivo di un diritto riconosciuto direttamente dalla legge, ovvero
ogni altro atto illegittimo che abbia generato il diritto.

3. Tipologia delle sentenze emanabili dal giudice ordinario nei confronti della P.A.:
Fino alla Costituzione repubblicana, si riteneva che il G.O. potesse emettere nei confronti della
P.A. soltanto sentenze di mero accertamento, o sentenze di condanna al pagamento di somme
di denaro dovute dalla P.A. Non erano ammesse né le sentenze di condanna, né le sentenze di
tipo costitutivo, quelle di annullamento, revoca o modifica dell'atto amministrativo illegittimo.
Con l'avvento della Carta, il quadro giuridico costituzionale di riferimento viene evidentemente a
mutare, anche se è solo negli ultimi tre lustri che hanno progressivamente preso corpo il
cambiamento sia della relativa disciplina, sia degli orientamenti giurisprudenziali. Fermo
restando il divieto di pronunciare sentenze di annullamento, revoca o modifica dell'atto
amministrativo illegittimo, invero, lo spettro delle sentenze emanabili dal G.O. nei confronti della
P.A. risulta oggi senz'altro ampliato: questi può sempre emettere sentenze costitutive e di
condanna, laddove, beninteso, non si tratti di fattispecie in cui la P.A. si sia espressa
nell'esercizio di potere amministrativo. Infine, l'ordinamento non sembra oggi impedire al G.O.
di emanare nei confronti della P.A. qualunque tipo di sentenza che imponga ad essa un'attività,
purché non si tratti, evidentemente, di attività provvedimentale.

4. La esecuzione forzata nei confronti della P.A.:


E' doveroso analizzare quali strumenti giudiziari l'ordinamento predispone affinché, laddove la
P.A. non esegua una sentenza di condanna del G.O., il privato possa "costringerla" alla
esecuzione. Bisogna chiarire se e in che limiti è ammissibile l'esecuzione forzata nei confronti
della P.A. Al riguardo si fa riferimento ad esecuzione sui beni, sul denaro, ed esecuzione sui
crediti della P.A. Quanto ai beni, è pacifico in dottrina ammettere l'esecuzione esclusivamente
sui beni facenti parte del patrimonio disponibile. I beni demaniali e quelli indisponibili sono beni
incommerciabili ed in quanto tali non possono essere sottratti alla loro destinazione a finalità
pubbliche, se non nelle forme proprie del diritto amministrativo. L'esecuzione forzata, quindi,
può essere proposta solo nei confronti dei beni disponibili, e quindi tra essi rientra sicuramente
il denaro dell'Amministrazione. Attualmente si tende a riconoscere la possibilità di procedere ad
esecuzione forzata sul denaro dell'Amministrazione, presente in altri capitoli, in altre sedi, ove
mai il capitolo di bilancio dedicato alle spese per liti giudiziarie non contenga risorse sufficienti.
Quanto ai crediti vantati dalla P.A., e' opinione generale che essi, in linea di massima, non siano
espropriabili laddove siano già stati oggetto di una puntuale e specifica destinazione.
Nonostante le diverse vedute giurisprudenziali e dottrinali, si continua a ritenere che denaro e
crediti siano impignorabili quando siano stati oggetto di una specifica destinazione univoca,
precisa e concreta da parte del soggetto pubblico.

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___________________

Si vuole, a questo punto, fare una sintetica e fondamentale ricapitolazione schematica di tutta la
materia concernente la giustizia amministrativa, di cui si consiglia una attenta lettura:
La giustizia amministrativa è il complesso dei mezzi di tutela amministrativa e giurisdizionale cui
qualsiasi soggetto, privato o pubblico, può ricorrere per tutelare la propria posizione giuridica nei
confronti della pubblica amministrazione, laddove questa assuma una posizione di supremazia nello
svolgimento della sua attività, e ottenere quindi una pronuncia oggettiva e imparziale in merito alla
controversia. Tali garanzie – che alcuni definiscono giustiziali – si distinguono sia da quelle politiche,
cioè dai controlli parlamentari sull’attività del potere esecutivo, sia da quelle amministrative, ossia
dai controlli amministrativi d’ufficio, preventivi e successivi, sugli atti di amministrazione attiva,
anche in funzione di autotutela (in quest’ambito, i mezzi di tutela amministrativa sono affidati a
organi della stessa o di altra amministrazione, che esercitano tale attività in forme non
giurisdizionali). 
Ricorsi amministrativi. - Si tratta, in particolare, delle forme di tutela consistenti nel ricorso
amministrativo, sia esso ‘in opposizione’, ‘gerarchico’ (proprio e improprio) o ‘straordinario al capo
dello Stato’. Il ricorso straordinario al Capo dello Stato – che affonda le sue radici nelle istanze
rivolte dai sudditi al principe negli Stati assoluti per ottenerne una pronuncia, quale manifestazione
di ‘grazia sovrana’ – si pone in alternativa rispetto al ricorso al giudice amministrativo e, dunque, ai
mezzi di tutela giurisdizionale (di cui si dirà oltre), il che ne ha accentuato i caratteri giustiziali, pur
essendo prevista la possibilità, per cointeressati, controinteressati e amministrazione resistente
(quanto meno nel caso si tratti di ente pubblico diverso dallo Stato), di chiedere la trasposizione
della controversia davanti al giudice amministrativo (possibilità che evidenzia la preferenza del
legislatore per i rimedi giurisdizionali, ritenuti forme di tutela del cittadino più raffinate ed efficaci). Il
rimedio in esame è definito straordinario perché presuppone che sia esaurita la possibilità di esperire
altri rimedi amministrativi, essendo infatti ammesso nei confronti di atti amministrativi definitivi; è
stato tradizionalmente classificato come un rimedio impugnatorio, in quanto finalizzato
all’annullamento di un provvedimento (benché sia stato ammesso anche nei confronti di ipotesi di
silenzio-inadempimento), ed eliminatorio, in quanto comporta, in caso di accoglimento, solo decisioni
di annullamento; infine, è proponibile, a tutela di interessi legittimi e diritti soggettivi, soltanto per
vizi di legittimità. Quanto all’ambito di applicazione, l’art. 7, comma 8 del codice del processo
amministrativo (d.lgs. n. 104 del 2010) stabilisce che il ricorso straordinario al Presidente della
Repubblica "è ammesso unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa",
superando la precedente concezione dell’istituto come rimedio di carattere generale.
I ricorsi amministrativi ordinari rivestirono particolare importanza dopo la formazione dello
Stato unitario, giacché l’abolizione dei tribunali del contenzioso amministrativo (in forza della l. n.
2248/1865) e la conseguente devoluzione al giudice ordinario della sola tutela dei diritti soggettivi
lasciò scoperti da tutela giurisdizionale gli interessi legittimi. Tali ricorsi assunsero rilevanza anche
per effetto dell’istituzione, nel 1889, della giurisdizione amministrativa e delle norme che
richiedevano, per esperire il ricorso al Consiglio di Stato, la definitività del provvedimento
amministrativo (poi abolita dall’art. 20 della l. n. 1034/1971), la quale si acquisiva, dove il
provvedimento non fosse definitivo per natura o per legge, proprio a seguito della proposizione del
ricorso in via gerarchica. La decisione in esito al ricorso, peraltro, non provenendo da un organo
estraneo alla pubblica amministrazione (anche se da un organo amministrativo diverso da quello che
aveva emesso l’atto impugnato, tranne che nel caso dell’opposizione), poteva non essere
considerata pienamente imparziale. Solo il ricorso a rimedi giurisdizionali, caratterizzati dalla assoluta
estraneità del giudice rispetto alle parti in causa, avrebbe consentito un’effettiva tutela nei confronti
della pubblica amministrazione.
Il sistema a doppia giurisdizione. - Il sistema italiano di giustizia amministrativa è incentrato su
due giurisdizioni, quella ordinaria e quella amministrativa, che hanno pari importanza e carattere
generale, e si qualifica pertanto come sistema a ‘doppia giurisdizione’. La stessa Carta costituzionale
ha elevato la distinzione tra diritto soggettivo, la cui tutela è rimessa al giudice ordinario, e interesse
legittimo, la cui tutela è rimessa al giudice amministrativo, a canone e criterio generale della
giurisdizione, recependo un criterio di distribuzione delle controversie prevalso dal 1891. Secondo
l’insegnamento della dottrina tradizionale, il secondo si caratterizzerebbe per una tutela ‘affievolita’,
‘occasionale’ e ‘indiretta’ o, meglio, limitata e funzionalizzata, di fronte all’azione della pubblica
amministrazione, specie in ambito economico-sociale, mentre il primo configurerebbe una situazione
giuridica direttamente e pienamente tutelata dalla norma che lo riconosce degno di protezione anche
nei confronti della pubblica amministrazione, pure preposta alla cura di interessi generali. La
distinzione tra situazioni giuridiche soggettive aveva poi comportato la distinzione tra norme di
azione (a fronte delle quali si è titolari di un interesse legittimo a che l’amministrazione ne osservi
pienamente il dettato, essendo dirette a regolare l’attività amministrativa in sé e, specialmente, il
procedimento di formazione degli atti) e norme di relazione (a fronte delle quali si è titolari di un
diritto soggettivo, poiché esse regolano i rapporti tra amministrazione e cittadini, attribuendo diritti e
obblighi reciproci), la classificazione degli interessi legittimi in ‘diritti affievoliti’ o ‘diritti in attesa di
espansione’, l’individuazione giurisprudenziale di un obbligo di intermediazione dell’annullamento del
provvedimento amministrativo lesivo delle situazioni giuridiche soggettive per ottenere il diritto al
risarcimento del danno. Questa tradizionale impostazione del nostro sistema di giustizia
amministrativa ha dato luogo a uno dei più forti punti di tensione tra diritto comunitario e diritto
amministrativo italiano. Il primo, infatti, non conosce la figura dell’interesse legittimo, non prevede
alcuna distinzione tra norme di azione e norme di relazione, non richiede alcuna intermediazione
dell’annullamento del provvedimento amministrativo lesivo ai fini dell’azione di risarcimento danni e,
più in generale, non legittima alcun regime di deroga o di attenuazione della responsabilità
dell’amministrazione in relazione alla consistenza della situazione giuridica soggettiva. D’altro canto,
la posizione della giurisprudenza e della dottrina è ormai unanime nel ritenere che l’interesse
legittimo non costituisca più soltanto una figura processuale ma rappresenti una posizione giuridica
sostanziale strettamente connessa a un interesse materiale del titolare ad un bene della vita, la cui
lesione può determinare un pregiudizio.  Tra gli altri criteri di ripartizione delle competenze tra il
giudice ordinario e il giudice amministrativo – che pure trae origine dalla teoria dell’affievolimento
dei diritti di fronte al potere discrezionale della pubblica amministrazione – vi è poi quello che si basa
sulla distinzione fra ‘carenza di potere’ ed ‘esercizio illegittimo’ del potere stesso. In particolare, di
fronte a un atto amministrativo che incida su diritti soggettivi sarebbe competente il giudice
amministrativo laddove si contestino le modalità di esercizio del potere discrezionale, mentre la
competenza spetterebbe al giudice ordinario qualora si contesti l’appartenenza del potere stesso alla
pubblica amministrazione. In particolare, l’art. 7 del codice del processo amministrativo (d. lgs. n.
104/2010) stabilisce che sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie concernenti
l’esercizio il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o
comportamenti riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio del potere. Secondo un pacifico
orientamento della giurisprudenza, infatti, esulano dalla giurisdizione amministrativa e appartengono
alla cognizione del giudice ordinario quelle controversie in cui l’amministrazione abbia agito non
attraverso strumenti autoritativi ma secondo moduli di diritto comune.
Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. - Un diverso criterio, invece, fondato sulla
materia oggetto della controversia, è alla base della cosiddetta ‘giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo’, introdotta nel 1923 per il Consiglio di Stato e per le giunte provinciali amministrative
e poi confermata per il Consiglio di giustizia amministrativa della Regione siciliana e per i tribunali
amministrativi regionali istituiti nel 1971. Tale forma di giurisdizione consente al giudice
amministrativo di conoscere delle controversie, in particolari materie espressamente indicate dalla
legge, in cui siano coinvolte posizioni giuridiche aventi la connotazione non solo di interessi legittimi,
ma anche di diritti soggettivi. Le ipotesi che ricadono nell’ambito della giurisdizione esclusiva sono
espressamente indicate dall’art. 133 del codice del processo amministrativo: sono, infatti, attribuiti al
giudice amministrativo alcuni settori, a prescindere dal tipo di situazione giuridica soggettiva da
tutelare, una scelta il cui fondamento viene solitamente rinvenuto nella difficoltà di distinguere in
questi settori i diritti dagli interessi.  La Corte costituzionale, nelle sentenze n. 204/2004 e 191/2006,
ha ridimensionato e circoscritto il potere del legislatore di individuare le controversie devolute alla
giurisdizione esclusiva, ribadendone il carattere eccezionale rispetto a quella di legittimità. Nello
specifico, la Corte costituzionale ha precisato che l’art. 103 Cost. stabilisce espressamente che il
legislatore può attribuire la giurisdizione esclusiva al giudice amministrativo solo in «particolari
materie» e solo quando la pubblica amministrazione «agisce come autorità».

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