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SAN LUCA
2. Stato di diritto e garanzie giustiziali dei singoli nei confronti della P. A. : breve
sintesi del processo storico di affermazione del sistema italiano di giustizia amministrativa
(anamnesi storica); si consiglia una mera lettura veloce per poca preponderanza concettuale in sede di
esame.
Durante il periodo della unificazione dell'Italia, si pose il problema di come amministrare la nuova entità
statale, giacché ciascuno stato preunitario aveva le sue leggi e i suoi modelli istituzionali: sebbene questi
fossero fra loro similari, si rese comunque necessario uniformarli. Allo scopo, venne emanata la legge di
unificazione amministrativa, Legge 20 Marzo 1865 n. 2248, che contiene sei allegati, ognuno dei quali ha
ad oggetto uno specifico segmento dell'azione amministrativa da uniformare, dettando le regole con
riferimento a ciascuno di tali segmenti. La nostra attenzione deve incentrarsi nei confronti di due Allegati,
rispetto ai 6 generali riproposti dalla suddetta Legge; l'Allegato D, avente ad oggetto la disciplina del
Consiglio di Stato, e l'Allegato E, con il quale furono aboliti i Tribunali speciali investiti della giurisdizione
del contenzioso amministrativo. Quest'ultimo ha subito talmente tante di quelle modificazioni, che oggi
può addirittura considerarsi come un documento storico, poiché presenta ancora, dopo quasi un secolo,
significative ricadute sull'ordinamento vigente, soprattutto per la sua successiva modifica, intercorsa,
dopo meno di cinque lustri, con la Legge 31 marzo 1889, n. 5992, che istituì la IV Sezione del Consiglio di
Stato. Con l'Allegato E furono aboliti i Tribunali del contenzioso amministrativo, i quali costituivano
l'assetto giurisdizionale degli Stati preunitari, occupandosi delle controversie avverso la P. A. e , quindi,
della giustizia amministrativa. Furono devolute alla giurisdizione ordinaria tutte le cause per
contravvenzioni e tutte le materie in relazione alle quali si facesse questione di un diritto civile o politico.
L'idea era quella di abolire i Tribunali cosicché ogni questione del contenzioso con la P. A. dovesse
necessariamente finire sotto la giurisdizione del giudice ordinario. Ci si accorse che la operazione non
aveva sortito l'effetto sperato, con essa trascurandosi il fatto che non tutte le questioni insorgenti con la
P.A. hanno la consistenza di un diritto soggettivo, così finendosi per sottrarre alcune "materie" ad una
giustizia che , sia pure insufficiente, ne aveva le sembianze. Le "materie", di cui stiamo parlando, possono
dirsi definitorie dell'area che oggi conosciamo come quella propria dell'interesse legittimo: questa
situazione giuridica finiva per non avere alcuna tutela giurisdizionale. Fu per questo che venne istituita la
IV Sezione del Consiglio di Stato. Quest'ultimo costituiva l'apparato di consulenza giuridica del sovrano.
Nel nostro ordinamento persiste un'anomalia di non poco conto, che chiaramente denota una mancanza
di un Consiglio Superiore della Magistratura, per i giudici amministrativi esistendo uno specifico organo di
autogoverno, il Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa. Potremmo dire sinteticamente
(confrontando anticipatamente la giurisdizione civile con quella amministrativistica) che il giudice civile,
data la norma, egli semplicemente la applica, in relazione ad una fattispecie concreta che trova in quella
norma la sua disciplina giuridica. Nel caso della giurisdizione amministrativa, la questione e' differente in
relazione al fatto che la sua ragion d'essere risiede invero nella sua "specialità". Il giudice amministrativo
conserva la sua specialità, perché non può in alcun modo sottovalutarsi la particolare sensibilità richiesta
per svolgere il sindacato sull'azione amministrativa. Il giudice amministrativo, proprio per essere da
sempre molto vicino al potere, possiede, per tradizione, la cultura dell'interesse pubblico. E' stata la
giurisprudenza amministrativa a stabilire ciò che la P. A. potesse o non potesse fare per restare entro i
confini della legalità, perché l'agire in un certo modo avrebbe potuto costituire il sintomo di un eccesso di
potere. Questa opera, lenta ed inesorabile, e' stata compiuta proprio da quel Consiglio di Stato che mal
veniva visto inizialmente, ma che poi si e' dimostrato molto utile a tal fine. Quel sospetto oggi può dirsi
scomparso in virtù del fatto che a tutti gli effetti, oggi, abbiamo dei giudici amministrativi riconosciuti, tra
l'altro, anche dalla nostra Costituzione. La Legge 6 Dicembre 1971, n. 1034, istituì i Tribunali
Amministrativi Regionali, seguendo quello che e' il modello processuale del giudizio ordinario. Oltre al
primo grado, nel processo amministrativo, abbiamo un secondo grado innanzi al Consiglio di Stato, che
ormai e' giudice d'appello; In questa fase rivisita il merito della decisione del Tribunale di primo grado. E'
necessario annoverare alcuni provvedimenti importanti, tra cui il D.Lgs. 2 Luglio 2010, n. 104 che istituì il
C.P.A. e l'R.D. 2840/1923, che fu indispensabile per l'introduzione di due innovazioni determinanti per il
futuro della giustizia amministrativa, in relazione al riparto di giurisdizione tra il giudice ordinario e il
giudice amministrativo. Queste ed altre furono le cause istituzionali che richiesero l'introduzione di un
codice, nel caso di specie il C.P.A., che andasse quindi a regolare e sistemare il disordine istituzionale
avutosi fino al 2010.
Volendo riassumere il tutto, ricordiamo che: i ricorsi amministrativi si dividono in Impugnatori e non
impugnatori (eccezionali) . I primi a loro volta si suddividono in ulteriori sottocategorie, ovverosia
ricorsi ordinari (rinnovatori) e straordinari (eliminatorio e generale). Inoltre gli ordinari si dividono a
loro volta in gerarchico proprio (particolare) e in opposizione (eccezionale), mentre lo straordinario
in gerarchico improprio (eccezionale).
d) Poteri Istruttori e cautelari del decidente. L'organo decidente può procedere alla disposizione
di misure istruttorie e di accertamento, al fine di ricavare elementi utili ai fini della decisione.
e) Decisione. Terminata l'istruttoria, l'organo decidente provvederà sul ricorso con decisione
scritta e motivata, comunicando la stessa all'organo o all'ente che ha emanato l'atto impugnato,
al ricorrente e agli altri interessati ai quali sia stato comunicato il ricorso. Ciò potrà avvenire in
via amministrativa, con notifica, o tramite raccomandata con avviso di ricevimento. L'organo
decidente se riconosce che il ricorso non poteva essere proposto, lo dichiara inammissibile. Se
invece dovesse ravvisare un'irregolarità sanabile, assegna al ricorrente un termine per la
regolarizzazione (se questi non vi abbia provveduto, dichiarerà il ricorso improcedibile). Il
ricorso terminerà in via ufficiale con una decisione, nel quale lo stesso viene accolto o respinto a
seconda della fattispecie.
6. Il ricorso gerarchico:
Il ricorso gerarchico è un rimedio ordinario, particolare e a carattere rinnovatorio che viene
proposto da parte di chi vi abbia interesse all'organo gerarchicamente sovraordinato, avverso
atti amministrativi non definitivi emanati da quello sotto ordinato, per motivi tanto di legittimità
quanto di merito. / È un rimedio amministrativo ordinario che consiste nell’impugnativa di un
atto non definitivo da parte dell’interessato all’organo gerarchicamente sovraordinato rispetto a
quello che ha emanato l’atto. Può essere relativo a vizi di legittimità e di merito. Si distinguono il
ricorso gerarchico proprio – che presuppone un rapporto di gerarchia in senso stretto – dal
ricorso gerarchico improprio, rimedio di carattere eccezionale, ammesso solo in casi tassativi
previsti dalla legge, quando non esiste un rapporto di gerarchia (ad es. nei riguardi di
deliberazioni di organi collegiali). Il ricorso gerarchico deve essere presentato entro trenta giorni
dalla notifica o conoscenza dell’atto impugnato. La decisione sul ricorso gerarchico è
impugnabile al TAR o, alternativamente, con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
Decorsi novanta giorni dalla presentazione del ricorso senza che l’organo adito abbia
comunicato la sua decisione il ricorso si intende respinto. La legge istitutiva dei Tar ha, peraltro,
abolito la definitività dell’atto come presupposto del ricorso giurisdizionale. /
Rapporto ricorso gerarchico / ricorso giurisdizionale (netta prevalenza del ricorso
giurisdizionale): Ove nei confronti dello stesso atto amministrativo venga proposto sia il ricorso
gerarchico sia quello giurisdizionale, prevale quest'ultimo. Se il ricorso gerarchico viene
presentato prima di quello giurisdizionale al giudice amministrativo, una volta proposto
quest'ultimo, quello giustiziale (il ricorso gerarchico) diventa non procedibile; se, invece, viene
presentato successivamente alla proposizione del ricorso giurisdizionale, il giustiziale (il ricorso
gerarchico) è inammissibile. Vi è una ulteriore incompatibilità tra ricorso giurisdizionale e ricorso
gerarchico, qualora altri interessati promuovano ricorso giurisdizionale contro il medesimo atto:
in questo caso il ricorrente in via gerarchica avrà l'onere di riproporre le sue doglianze in sede
giurisdizionale.
7. Il ricorso in opposizione:
Il ricorso in opposizione è rimedio ordinario a carattere rinnovatorio, ed eccezionale, giacchè
esperibile soltanto nei limitati casi espressamente previsti dalla legge (art. 7, co. 1, D.P.R.
1199/1971). Quest'ultimo è esperibile dallo stesso organo che ha emanato l'atto impugnato. Il
comma 2. stabilisce che per tutte quelle che sono le disposizioni che non sono espressamente
previste dalla legge, si seguiranno le norme disciplinanti il ricorso gerarchico (quindi anche
questa volta, così come per il ricorso gerarchico improprio, si segue in analogia l’impianto
normativo regolante il ricorso gerarchico proprio). E' esperibile sia per motivi di legittimità che
per motivi di merito. Le ipotesi in cui e' previsto il ricorso in opposizione sono piuttosto limitate,
ciò essendo dovuto, con ogni probabilità, alla "sfiducia" del Legislatore nella capacità dell'organo
che ha emanato l'atto impugnato di valutare in maniera imparziale il ricorso diretto verso l'atto
emanato da se medesimo. /
Ricapitolando, in schema ricognitivo, diremmo ancor meglio: Il ricorso in opposizione è un
ricorso amministrativo prodotto da chi vuole tutelare un proprio diritto o interesse legittimo,
contro atti della pubblica amministrazione che è presentato allo stesso organo amministrativo
che ha prodotto l'atto verso il quale si vuole ricorrere. È un rimedio tassativo che può essere
utilizzato solo nei casi previsti dalla legge. Esso può essere proposto sia per motivi di legittimità
sia di merito, come un po’ in tutti i casi di ricorsi in via giustiziale. Si può ricorrere contro un atto
amministrativo se questo è viziato per motivi di legittimità o di merito, unicamente nei casi
previsti dalla legge; per esempio, nel settore del pubblico impiego, è possibile esperire questo
tipo di ricorso nel caso della compilazione di graduatorie di merito o per l'attribuzione di
incarichi. Se la possibilità di ricorso in opposizione non è prevista dalla legge si avrà un semplice
reclamo.
RICORSO STRAORDINARIO AL P. d. R :
Rimedio amministrativo di tipi giustiziale rivolto al Presidente della Repubblica contro i
provvedimenti definitivi (quando non sia esperibile o sia stato già esperito il ricorso in via
gerarchica) per motivi SOLAMENTE ed ESCLUSIVAMENTE di legittimità.
***Anamnesi storica : Ab origine, nell'ordinamento italiano il ricorso straordinario al Presidente della
Repubblica era un peculiare ricorso amministrativo, alternativo ai ricorsi giurisdizionali, prodotto da chi
voleva tutelare un proprio diritto o interesse legittimo, contro atti della pubblica amministrazione. In
conseguenza dell'intervento del legislatore, che con la L. n. 69 del 2009 art. 69 è intervenuto in revisione
sull'istituto, oggi possiamo considerare il Ricorso Straordinario al Capo dello Stato un vero e proprio
rimedio giurisdizionale, anche se ciò viene detto solo a livello dottrinale e in sostanza in quanto,
fondamentalmente e formalmente, rimane “sulla carta” una tipologia di ricorso amministrativo per via
giustiziale e non è un rimedio giurisdizionale. Prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104
(Codice del processo amministrativo), la giurisprudenza affermava il carattere generale del rimedio in
esame, da cui ne conseguiva l’esperibilità in tutti i casi in cui ciò non fosse espressamente escluso dalla
legge. A seguito dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, il quale in particolare
dispone (all’art. 7, comma 8) che il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica "è ammesso
unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa", deve ritenersi che non sia più
proponibile un ricorso straordinario per una controversia rientrante nella giurisdizione dell’A.G.O.
*Piccolo appunto “simpatico” che ci fa riflettere: Fino all'entrata in vigore della legge 111/2011
(finanziaria 2012, governo Berlusconi IV), il ricorso straordinario al capo dello stato, fatte salve le spese di
notifica, era completamente gratuito. Con l'art. 37, comma 6, della legge suddetta è stato invece
introdotto un contributo di euro 600 (seicento), con lo scopo evidente di scoraggiare il ricorso a questo
rimedio giurisdizionale da parte dei cittadini lesi nei propri interessi legittimi.
NATURA JURIS e CONTENUTISTICA GENERALE SULL’ISTITUTO: Il ricorso straordinario
al Presidente della Repubblica è configurato secondo un regime di alternatività con il ricorso
giurisdizionale. Nell’ottica del legislatore di preferenza per i rimedi giurisdizionali, ritenuti forme
di tutela del cittadino più raffinate ed efficaci, è stata prevista la possibilità, per cointeressati,
controinteressati e amministrazione resistente (quanto meno nel caso si tratti di ente pubblico
diverso dallo Stato), di chiedere la trasposizione della controversia davanti al giudice
amministrativo. Il ricorso deve essere presentato entro centoventi giorni dalla comunicazione
(notificazione, pubblicazione o piena conoscenza) del provvedimento definitivo. Quindi, QUESTO
PARTICOLARE RICORSO STRAORDINARIO E’ ESPERIBILE ENTRO 120 GG.
Tale rimedio giustiziale (perché comunque sia, secondo la mia opinione, rimane tale) è definito
straordinario perché, come accennato, presuppone che sia esaurita la possibilità di esperire altri
rimedi amministrativi, essendo infatti ammesso nei confronti di atti amministrativi definitivi :
Quindi, ecco la seconda caratteristica peculiare, QUESTO PARTICOLARE RICORSO
STRAORDINARIO E’ ESPERIBILE SOLO PER QUANTO CONCERNE I PROVVEDIMENTI E/O GLI
ATTI AMMINISTRATIVI DEFINITIVI ;
è stato tradizionalmente classificato come un rimedio impugnatorio, in quanto finalizzato
all’annullamento di un provvedimento, ed eliminatorio, in quanto comporta, in caso di
accoglimento, solo decisioni di annullamento; infine, è proponibile, a tutela di interessi legittimi
e diritti soggettivi, soltanto per vizi di legittimità, come abbiamo stra – ripetuto.
Il procedimento del ricorso straordinario prevede che sia adottato, nel corso dell’istruttoria, un
parere obbligatorio del Consiglio di Stato: se il Ministro intenda discostarsene deve sottoporre la
questione al Consiglio dei Ministri. La decisione, formulata come proposta di decreto al
Presidente della Repubblica, è assunta dal competente Ministro sulla base del predetto parere.
Il ricorso straordinario è deciso con decreto del Presidente della Repubblica, anche se, per quelli
più acuti mentalmente, sostanzialmente si può capire che, benché formalmente riferito al
Presidente, il ricorso è in verità deciso dal Consiglio di Stato.
PROCEDURA (nello specifico) – per coloro maggiormente scrupolosi: Il ricorso va proposto
entro 120 giorni dalla notificazione o piena conoscenza del provvedimento. Va notificato entro il
termine predetto ad almeno uno dei controinteressati (coloro che hanno un interesse contrario
a quello del ricorrente, il quale impugna l’atto e ne chiede l’annullamento mentre il
controinteressato che ha un vantaggio da quell’atto ha una posizione che collima con quella
dell’amm.ne, cioè difende l’atto perché gli dà un vantaggio) e presentato con la prova della
notifica all'organo che ha emanato l'atto o al ministero competente. Se presentato all'organo
questo lo trasmette immediatamente al Ministero competente.
I controinteressati possono entro 60 giorni presentare deduzioni e documenti. I
controinteressati possono accettare la sede giudiziaria scelta dal ricorrente o proporre
opposizione per chiedere la trasposizione del giudizio in sede giurisdizionale davanti al Tribunale
Amministrativo Regionale. Nel caso quest'ultimo non abbia giurisdizione poiché l'oggetto della
domanda riguardi diritti soggettivi il giudizio continua presso la sede originaria allo scopo di non
far perdere la tutela al ricorrente.
Terminata l'istruttoria del Ministero entro 120 giorni dal termine per presentare le deduzioni da
parte dei controinteressati, il gravame viene trasmesso al Consiglio di Stato per il parere.
Decorsi 120 giorni dal predetto termine il ricorrente può fare domanda al Ministero per sapere
se la documentazione è stata trasmessa al Consiglio di Stato, in caso di negativa o mancata
risposta potrà lui stesso provvedere alla trasmissione. La decisione viene emanata sotto forma
di dpr del Presidente della Repubblica su proposta del Ministero e in seguito al parere
obbligatorio e, per gli effetti della legge n.69/2009, vincolante del Consiglio di Stato.
EFFETTI e FASE FINALE DEL RICORSO : La decisione può essere di vario contenuto: il
ricorso straordinario può essere accolto, rigettato o vi può essere la dichiarazione di
inammissibilità, ove si riconosca che il ricorso non poteva essere proposto, ad esempio perché
l’atto impugnato non era definitivo (ed era quindi ammesso un ricorso gerarchico), salva la
facoltà della assegnazione di un breve termine per presentare all’organo competente il ricorso
amministrativo, se si accerta l'esistenza di un errore ritenuto errore scusabile. Nel caso in cui il
ricorso venga accolto, l'atto sarà annullato; questa annullamento avrà effetto esclusivamente
tra le parti, salvo che non si tratti di un atto a natura normativa o regolamentare: in questa
ipotesi l'efficacia dell'annullamento sarà erga omnes. Possono essere dedotti i seguenti vizi
dell'atto amministrativo: incompetenza relativa, eccesso di potere e violazione di legge. È logico
che se tali vizi sono ritenuti infondati, il ricorso viene rigettato.
(“ Ricorso straordinario al PdR” , scritto da F. Merola)
* Infine, per rendere il concetto ancora più chiaro, si vuole ancor meglio concettualizzare la
fondamentale materia del riparto giurisdizionale in Italia :
La Costituzione italiana stabilisce un sistema di tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi
legittimi basato su due tipi di giurisdizione, una giurisdizione ordinaria e una giurisdizione
amministrativa (art. 113, 1° co., Cost.).
Ragion d’essere e Natura storica del riparto di giurisdizione : La ragione di tale ripartizione deriva
da un’esigenza avvertita negli ordinamenti di civil law nell’ambito dei quali la pubblica
amministrazione, quando agisce in veste autoritativa, si pone in una posizione differente rispetto a
quella degli altri soggetti dell’ordinamento, per cui anche la tutela giurisdizionale deve essere
attribuita a un giudice diverso da quello ordinario. Pertanto, tali sistemi hanno adottato il modello
dualistico di giurisdizione sopra delineato. Diversa è la situazione negli ordinamenti di common law,
che, infatti, hanno adottato un modello monistico di giurisdizione, nell’ambito dei quali la pubblica
amministrazione non assume una configurazione particolare rispetto agli altri soggetti e, di
conseguenza, la tutela giurisdizionale è affidata a un giudice unico.
Contenutistica dell’argomento ( I criteri di riparto di giurisdizione) . - Il criterio di
riparto tra la giurisdizione ordinaria e la giurisdizione amministrativa, stabilito dalla Carta
costituzionale, è basato principalmente sulla natura delle situazioni giuridiche soggettive vantate
dai privati nei confronti della pubblica amministrazione. Al giudice ordinario spetta la cognizione
delle controversie che hanno a oggetto i diritti soggettivi, mentre al giudice amministrativo
spetta la cognizione delle controversie riguardanti gli interessi legittimi. Inoltre, in particolari
materie, espressamente indicate dalla legge, viene affidata alla giurisdizione amministrativa
anche la tutela dei diritti soggettivi (art. 103, 1° co., Cost.).
In generale, quindi, al giudice ordinario sono attribuite le controversie sui diritti soggettivi,
escluse quelle relative alle materie espressamente devolute alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo; in via eccezionale e in relazione a un numero limitato di materie
assoggettate a procedimenti speciali (per es., espulsione di stranieri, trattamenti sanitari
obbligatori), il giudice ordinario può incidere sul contenuto dell’atto amministrativo
sospendendolo, modificandolo o annullandolo. Inoltre, in seguito alla cosiddetta privatizzazione del
pubblico impiego, è stata devoluta al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, la cognizione delle
controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, mentre al giudice
amministrativo è rimasta la cognizione delle controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione
dei dipendenti e la giurisdizione esclusiva sui rapporti di lavoro non privatizzato che rimane «in regime di diritto
pubblico». Parallelamente, in materia di contrattualistica pubblica, appartengono alla giurisdizione ordinaria le
controversie attinenti propriamente alla fase esecutiva del rapporto negoziale mentre sono devolute alla
cognizione del giudice amministrativo quelle connesse alla legittimità della procedura ad evidenza pubblica. In
questo schema, differentemente da altri ordinamenti europei, il giudice amministrativo potrà conoscere degli
effetti del contratto soltanto per stabilirne la sorte nel caso in cui sia stato annullato il provvedimento di
aggiudicazione (su tali profili si veda la voce Contratti della pubblica amministrazione). Inoltre, alla
giurisdizione amministrativa è attribuita, in via esclusiva, la cognizione delle controversie su
particolari materie indicate dalla legge, indipendentemente dalla situazione giuridica dedotta in
giudizio (c.d. giurisdizione esclusiva). La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 204 del 2004,
storica in tal senso, ha stabilito che il legislatore ben può ampliare l’area della giurisdizione
esclusiva, purché lo faccia con riguardo a materie (in tal senso, particolari) che, in assenza di
tale previsione, contemplerebbero pur sempre, in quanto vi opera la pubblica amministrazione-
autorità, la giurisdizione generale di legittimità. Con le riforme della fine degli anni ‘90, è stato
anche conferito al giudice amministrativo, nell’esercizio della propria giurisdizione (sia esclusiva
sia di legittimità), il potere di condannare l’amministrazione al risarcimento del danno per
lesione di interessi legittimi e degli altri diritti patrimoniali consequenziali, anche attraverso la
reintegrazione in forma specifica.
Altro appunto da fare, è che recentemente, infine, è stato avvalorato il nesso tra la giurisdizione
amministrativa e l’esercizio del potere pubblico in forma autoritativa. Infatti, l’art. 7 del codice del
processo amministrativo stabilisce che sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie
concernenti il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o
comportamenti riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio del potere. Secondo un consolidato
orientamento della giurisprudenza, infatti, esulano dalla giurisdizione amministrativa e appartengono alla
cognizione del giudice ordinario quelle controversie in cui l’amministrazione abbia agito non attraverso
strumenti autoritativi ma secondo moduli di diritto comune.
Nel caso in cui sorgano conflitti tra la giurisdizione ordinaria e la giurisdizione amministrativa, la
soluzione deve essere demandata alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, eventualmente
nelle forme del regolamento preventivo di giurisdizione, ovvero attraverso il particolare mezzo di
impugnazione del ricorso per cassazione.
(“Riparto di giurisdizione tra G.A. e G.O.” scritto da F. Merola)
2. Il potere di disapplicazione:
Il potere di disapplicazione viene ad essere qualificato come un potere non finale, ma
strumentale. Ciò significa che l'attore si rivolge al G.O. per ottenere, non la disapplicazione
dell'atto illegittimo, ma un'altra utilità, per conseguire la quale è necessario che il giudice
"disapplichi" l'atto di cui ha rilevato la legittimità. Laddove il titolare di un diritto leso da un atto
amministrativo illegittimo si rivolga al G.O. per veder soddisfatta la sua pretesa, questi,
adoperando il potere di disapplicazione, giudica la fattispecie come se l'atto illegittimo tamquam
non esset (come se non esistesse), e cioè, rilevatene la illegittimità, non potendo annullarlo, lo
considera inesistente ai limitati fini della questione su cui è chiamato ad esprimersi. L'atto,
quindi, resta in vita producendo erga omnes tutti gli effetti suoi propri, fintanto che non venga
eventualmente annullato poi da un giudice competente amministrativo. Il potere di
disapplicazione, in altri termini, serve per "nascondere" un atto che il GO non può annullare
(perché sarebbe un chiarissimo vizio di competenza, se lo facesse), sebbene ne abbia verificato
la illegittimità. Tramite la disapplicazione, l'atto illegittimo non viene annullato, ma viene privato
dei suoi effetti, limitatamente alla controversia dedotta in giudizio. Importante da specificare è
che il potere di disapplicazione è esercitabile soltanto in relazione ad atti amministrativi
illegittimi, ma esistenti, giacchè un atto nullo è di per sé incapace di produrre gli effetti suoi
propri, ciò rendendo inutile l'esercizio del potere di disapplicazione.
In dottrina viene ad essere riportata una differenza tra due fattispecie di disapplicazione:
principale e incidentale. La distinzione è operata a seconda che l'oggetto della disapplicazione
sia un atto illegittimo perché lesivo di un diritto riconosciuto direttamente dalla legge, ovvero
ogni altro atto illegittimo che abbia generato il diritto.
3. Tipologia delle sentenze emanabili dal giudice ordinario nei confronti della P.A.:
Fino alla Costituzione repubblicana, si riteneva che il G.O. potesse emettere nei confronti della
P.A. soltanto sentenze di mero accertamento, o sentenze di condanna al pagamento di somme
di denaro dovute dalla P.A. Non erano ammesse né le sentenze di condanna, né le sentenze di
tipo costitutivo, quelle di annullamento, revoca o modifica dell'atto amministrativo illegittimo.
Con l'avvento della Carta, il quadro giuridico costituzionale di riferimento viene evidentemente a
mutare, anche se è solo negli ultimi tre lustri che hanno progressivamente preso corpo il
cambiamento sia della relativa disciplina, sia degli orientamenti giurisprudenziali. Fermo
restando il divieto di pronunciare sentenze di annullamento, revoca o modifica dell'atto
amministrativo illegittimo, invero, lo spettro delle sentenze emanabili dal G.O. nei confronti della
P.A. risulta oggi senz'altro ampliato: questi può sempre emettere sentenze costitutive e di
condanna, laddove, beninteso, non si tratti di fattispecie in cui la P.A. si sia espressa
nell'esercizio di potere amministrativo. Infine, l'ordinamento non sembra oggi impedire al G.O.
di emanare nei confronti della P.A. qualunque tipo di sentenza che imponga ad essa un'attività,
purché non si tratti, evidentemente, di attività provvedimentale.
__________________________________________________________________
___________________
Si vuole, a questo punto, fare una sintetica e fondamentale ricapitolazione schematica di tutta la
materia concernente la giustizia amministrativa, di cui si consiglia una attenta lettura:
La giustizia amministrativa è il complesso dei mezzi di tutela amministrativa e giurisdizionale cui
qualsiasi soggetto, privato o pubblico, può ricorrere per tutelare la propria posizione giuridica nei
confronti della pubblica amministrazione, laddove questa assuma una posizione di supremazia nello
svolgimento della sua attività, e ottenere quindi una pronuncia oggettiva e imparziale in merito alla
controversia. Tali garanzie – che alcuni definiscono giustiziali – si distinguono sia da quelle politiche,
cioè dai controlli parlamentari sull’attività del potere esecutivo, sia da quelle amministrative, ossia
dai controlli amministrativi d’ufficio, preventivi e successivi, sugli atti di amministrazione attiva,
anche in funzione di autotutela (in quest’ambito, i mezzi di tutela amministrativa sono affidati a
organi della stessa o di altra amministrazione, che esercitano tale attività in forme non
giurisdizionali).
Ricorsi amministrativi. - Si tratta, in particolare, delle forme di tutela consistenti nel ricorso
amministrativo, sia esso ‘in opposizione’, ‘gerarchico’ (proprio e improprio) o ‘straordinario al capo
dello Stato’. Il ricorso straordinario al Capo dello Stato – che affonda le sue radici nelle istanze
rivolte dai sudditi al principe negli Stati assoluti per ottenerne una pronuncia, quale manifestazione
di ‘grazia sovrana’ – si pone in alternativa rispetto al ricorso al giudice amministrativo e, dunque, ai
mezzi di tutela giurisdizionale (di cui si dirà oltre), il che ne ha accentuato i caratteri giustiziali, pur
essendo prevista la possibilità, per cointeressati, controinteressati e amministrazione resistente
(quanto meno nel caso si tratti di ente pubblico diverso dallo Stato), di chiedere la trasposizione
della controversia davanti al giudice amministrativo (possibilità che evidenzia la preferenza del
legislatore per i rimedi giurisdizionali, ritenuti forme di tutela del cittadino più raffinate ed efficaci). Il
rimedio in esame è definito straordinario perché presuppone che sia esaurita la possibilità di esperire
altri rimedi amministrativi, essendo infatti ammesso nei confronti di atti amministrativi definitivi; è
stato tradizionalmente classificato come un rimedio impugnatorio, in quanto finalizzato
all’annullamento di un provvedimento (benché sia stato ammesso anche nei confronti di ipotesi di
silenzio-inadempimento), ed eliminatorio, in quanto comporta, in caso di accoglimento, solo decisioni
di annullamento; infine, è proponibile, a tutela di interessi legittimi e diritti soggettivi, soltanto per
vizi di legittimità. Quanto all’ambito di applicazione, l’art. 7, comma 8 del codice del processo
amministrativo (d.lgs. n. 104 del 2010) stabilisce che il ricorso straordinario al Presidente della
Repubblica "è ammesso unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa",
superando la precedente concezione dell’istituto come rimedio di carattere generale.
I ricorsi amministrativi ordinari rivestirono particolare importanza dopo la formazione dello
Stato unitario, giacché l’abolizione dei tribunali del contenzioso amministrativo (in forza della l. n.
2248/1865) e la conseguente devoluzione al giudice ordinario della sola tutela dei diritti soggettivi
lasciò scoperti da tutela giurisdizionale gli interessi legittimi. Tali ricorsi assunsero rilevanza anche
per effetto dell’istituzione, nel 1889, della giurisdizione amministrativa e delle norme che
richiedevano, per esperire il ricorso al Consiglio di Stato, la definitività del provvedimento
amministrativo (poi abolita dall’art. 20 della l. n. 1034/1971), la quale si acquisiva, dove il
provvedimento non fosse definitivo per natura o per legge, proprio a seguito della proposizione del
ricorso in via gerarchica. La decisione in esito al ricorso, peraltro, non provenendo da un organo
estraneo alla pubblica amministrazione (anche se da un organo amministrativo diverso da quello che
aveva emesso l’atto impugnato, tranne che nel caso dell’opposizione), poteva non essere
considerata pienamente imparziale. Solo il ricorso a rimedi giurisdizionali, caratterizzati dalla assoluta
estraneità del giudice rispetto alle parti in causa, avrebbe consentito un’effettiva tutela nei confronti
della pubblica amministrazione.
Il sistema a doppia giurisdizione. - Il sistema italiano di giustizia amministrativa è incentrato su
due giurisdizioni, quella ordinaria e quella amministrativa, che hanno pari importanza e carattere
generale, e si qualifica pertanto come sistema a ‘doppia giurisdizione’. La stessa Carta costituzionale
ha elevato la distinzione tra diritto soggettivo, la cui tutela è rimessa al giudice ordinario, e interesse
legittimo, la cui tutela è rimessa al giudice amministrativo, a canone e criterio generale della
giurisdizione, recependo un criterio di distribuzione delle controversie prevalso dal 1891. Secondo
l’insegnamento della dottrina tradizionale, il secondo si caratterizzerebbe per una tutela ‘affievolita’,
‘occasionale’ e ‘indiretta’ o, meglio, limitata e funzionalizzata, di fronte all’azione della pubblica
amministrazione, specie in ambito economico-sociale, mentre il primo configurerebbe una situazione
giuridica direttamente e pienamente tutelata dalla norma che lo riconosce degno di protezione anche
nei confronti della pubblica amministrazione, pure preposta alla cura di interessi generali. La
distinzione tra situazioni giuridiche soggettive aveva poi comportato la distinzione tra norme di
azione (a fronte delle quali si è titolari di un interesse legittimo a che l’amministrazione ne osservi
pienamente il dettato, essendo dirette a regolare l’attività amministrativa in sé e, specialmente, il
procedimento di formazione degli atti) e norme di relazione (a fronte delle quali si è titolari di un
diritto soggettivo, poiché esse regolano i rapporti tra amministrazione e cittadini, attribuendo diritti e
obblighi reciproci), la classificazione degli interessi legittimi in ‘diritti affievoliti’ o ‘diritti in attesa di
espansione’, l’individuazione giurisprudenziale di un obbligo di intermediazione dell’annullamento del
provvedimento amministrativo lesivo delle situazioni giuridiche soggettive per ottenere il diritto al
risarcimento del danno. Questa tradizionale impostazione del nostro sistema di giustizia
amministrativa ha dato luogo a uno dei più forti punti di tensione tra diritto comunitario e diritto
amministrativo italiano. Il primo, infatti, non conosce la figura dell’interesse legittimo, non prevede
alcuna distinzione tra norme di azione e norme di relazione, non richiede alcuna intermediazione
dell’annullamento del provvedimento amministrativo lesivo ai fini dell’azione di risarcimento danni e,
più in generale, non legittima alcun regime di deroga o di attenuazione della responsabilità
dell’amministrazione in relazione alla consistenza della situazione giuridica soggettiva. D’altro canto,
la posizione della giurisprudenza e della dottrina è ormai unanime nel ritenere che l’interesse
legittimo non costituisca più soltanto una figura processuale ma rappresenti una posizione giuridica
sostanziale strettamente connessa a un interesse materiale del titolare ad un bene della vita, la cui
lesione può determinare un pregiudizio. Tra gli altri criteri di ripartizione delle competenze tra il
giudice ordinario e il giudice amministrativo – che pure trae origine dalla teoria dell’affievolimento
dei diritti di fronte al potere discrezionale della pubblica amministrazione – vi è poi quello che si basa
sulla distinzione fra ‘carenza di potere’ ed ‘esercizio illegittimo’ del potere stesso. In particolare, di
fronte a un atto amministrativo che incida su diritti soggettivi sarebbe competente il giudice
amministrativo laddove si contestino le modalità di esercizio del potere discrezionale, mentre la
competenza spetterebbe al giudice ordinario qualora si contesti l’appartenenza del potere stesso alla
pubblica amministrazione. In particolare, l’art. 7 del codice del processo amministrativo (d. lgs. n.
104/2010) stabilisce che sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie concernenti
l’esercizio il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o
comportamenti riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio del potere. Secondo un pacifico
orientamento della giurisprudenza, infatti, esulano dalla giurisdizione amministrativa e appartengono
alla cognizione del giudice ordinario quelle controversie in cui l’amministrazione abbia agito non
attraverso strumenti autoritativi ma secondo moduli di diritto comune.
Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. - Un diverso criterio, invece, fondato sulla
materia oggetto della controversia, è alla base della cosiddetta ‘giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo’, introdotta nel 1923 per il Consiglio di Stato e per le giunte provinciali amministrative
e poi confermata per il Consiglio di giustizia amministrativa della Regione siciliana e per i tribunali
amministrativi regionali istituiti nel 1971. Tale forma di giurisdizione consente al giudice
amministrativo di conoscere delle controversie, in particolari materie espressamente indicate dalla
legge, in cui siano coinvolte posizioni giuridiche aventi la connotazione non solo di interessi legittimi,
ma anche di diritti soggettivi. Le ipotesi che ricadono nell’ambito della giurisdizione esclusiva sono
espressamente indicate dall’art. 133 del codice del processo amministrativo: sono, infatti, attribuiti al
giudice amministrativo alcuni settori, a prescindere dal tipo di situazione giuridica soggettiva da
tutelare, una scelta il cui fondamento viene solitamente rinvenuto nella difficoltà di distinguere in
questi settori i diritti dagli interessi. La Corte costituzionale, nelle sentenze n. 204/2004 e 191/2006,
ha ridimensionato e circoscritto il potere del legislatore di individuare le controversie devolute alla
giurisdizione esclusiva, ribadendone il carattere eccezionale rispetto a quella di legittimità. Nello
specifico, la Corte costituzionale ha precisato che l’art. 103 Cost. stabilisce espressamente che il
legislatore può attribuire la giurisdizione esclusiva al giudice amministrativo solo in «particolari
materie» e solo quando la pubblica amministrazione «agisce come autorità».