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OLTRE 49 MILA
TALENTI NELLA
PROGETTAZIONE
DI PASSI AVANTI.
Migliaia di intelligenze impegnate a renderci la principale azienda tecnologica in Italia e
tra le prime dieci al mondo nell’Aerospazio, Difesa e Sicurezza. Un percorso in costante
evoluzione che è il risultato di un’unica cosa: la volontà di non fermarsi mai.
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MAIELLO - Luca MAINOLDI - Roberto MENOTTI - Paolo MORAWSKI - Roberto NOCELLA - Giovanni ORFEI
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161 Stephen R. NAGY - Toˉkyoˉ ama tanto la Cina che ne vuole due
167 Federico PETRONI - La straordinaria scelta dell’Australia
177 Andrew GAMBLE - Globale, ma con giudizio:
nell’Indo-Pacifco Londra va con gli Usa
183 Lorenzo DI MURO - L’India usa la Cina ‘buona’
per scacciare quella ‘cattiva’
193 Lucio BLANCO PITLO III - Le Filippine sulla linea del fronte
203 Gianni VALENTE - Danzando fra Taipei e Pechino:
equilibrismi vaticani nella partita del secolo
AUTORI
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TAIWAN, L’ANTI-CINA
Parte I
l’ IMPORTANZA
di ESSERE TAIWAN
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TAIWAN, L’ANTI-CINA
rischia di sconvolgere Formosa prima del previsto, perfno aldilà dei programmi
stilati dai soggetti coinvolti. In nome di un territorio storicamente strategico, attual-
mente decisivo.
10 1. Cfr. J. MANTHROPE, Forbidden Nation: A History of Taiwan, New York City 2008, Saint Martin’s Press.
TAIWAN, L’ANTI-CINA
co si stabiliva tra la Cina e i mari, ovvero dentro la fragilità psicologica del nemico,
stretto tra i limiti terrestri e la necessità di trascendere sé stesso.
Cominciava il momento nipponico di Taiwan, destinato a durare mezzo secolo,
con notevoli effetti sulla sua traiettoria. Il regime coloniale rovesciò la cultura locale,
eliminando i tre vizi del costume cinese: la pratica di deformare i piedi delle donne
per renderli più piccoli (piedi fasciati), il fumare oppio e le tipiche acconciature man-
ciù che prevedevano rasatura sulla fronte e codino da metà cranio. I nuovi dominatori
rinnovarono l’urbanistica – ancora oggi la pianta nipponica della capitale Taipei è
facilmente riconoscibile. Favorirono una strumentale industrializzazione, pensata per
sostenere le ambizioni imperiali della dinastia Meiji, progresso fssato nella memoria
dei taiwanesi, ancora inclini a riconoscere nelle multinazionali giapponesi il massimo
miglioramento tecnologico. Quindi alla fne degli anni Trenta ordinarono l’assimila-
zione dell’intera popolazione, compresi gli aborigeni, precedentemente descritti co-
me subumani. L’occasione fu fornita dallo scoppio della seconda guerra mondiale.
Migliaia di aborigeni si arruolarono come volontari nel Corpo Takasago (antico nome
giapponese dell’isola), scelti per la loro struttura fsica, per la disciplina manifestata
nelle campagne di terra, perché più capaci dei nipponici a muoversi nel tropicale cli-
ma del Sud-Est asiatico. Fedeli fno alla morte all’armata coloniale, centinaia di questi
sono stati deifcati come kami nel santuario scintoista di Yasukuni a T§ky§, sacro
luogo in cui ascendono al pantheon nazionale i caduti nelle guerre giapponesi.
Addirittura nel 1974 fu un taiwanese di origini aborigene, Teruo Nakamura,
nato Attun Palalin, l’ultimo soldato nipponico ad arrendersi, rinvenuto ancora in
assetto di guerra sull’isola di Morotai, nell’arcipelago indonesiano, per lo stupore
dell’opinione pubblica giapponese colpita dalla sua natura aliena. Rimpatriato a
Taipei, fu rinominato Lee Kuang-hui dal governo nazionalista, appellativo manda-
rino che non avrebbe intaccato la sedimentazione della cultura yamato, nel frat-
tempo recuperata affanco a quella han.
Durante il secondo confitto mondiale, la dichiarazione del Cairo stabilì il ri-
torno dei possedimenti giapponesi al nuovo Stato mandarino reso in Repubblica.
Così al termine della guerra civile cinese si verifcò l’ultima trasformazione dell’i-
sola. Sconftti dai comunisti, un milione e mezzo di nazionalisti guidati da Chiang
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Soltanto all’alba della guerra fredda, in piena crisi con Mosca, l’amministrazio-
ne americana pensò di abbandonare Taiwan al suo destino, per non perdere la
Corea. Ultima sottovalutazione dell’isola.
Posti al cospetto dell’offensiva sovietica, gli apparati d’Oltreoceano applica-
rono la lezione giapponese2 , per cui soltanto attraverso la penisola coreana è
possibile dividere russi e cinesi, dominandoli entrambi. Nel 1950 l’amministrazione
Truman concentrò gli sforzi sulla conquista del sino-coreano fume Yalu, soglia
che anche oggi trasformerebbe in terrestre il contenimento marittimo della Repub-
blica Popolare. Prima di correre ai ripari inviando la Settima Flotta nello Stretto di
Formosa. Intenzionati a strappare l’isola ai nazionalisti, i comunisti furono distolti
dall’intervento dei mezzi statunitensi. Consapevole di non poter vincere la battaglia
di mare, allora Mao si giocò tutto sul 38° parallelo, sacrifcando in Corea il predi-
letto fglio Anying, affnché gli americani travestiti da onusiani non arrivassero al
confne terrestre.
Era la cronica predilezione per la terra che avrebbe segnato negativamente
la traiettoria di Pechino, impedimento riprodotto nella successiva crisi del 1958,
durato fno ai nostri giorni.
Nel 1971 il destino di Taiwan mutò di nuovo. Intenzionata a usare la Repubbli-
ca Popolare contro l’Unione Sovietica, Washington instaurò relazioni diplomatiche
con Pechino, smettendo uffcialmente di riconoscere Taipei, escludendo il governo
nazionalista dal Palazzo di Vetro. In realtà gli Stati Uniti non rinnegarono Taiwan.
Semplicemente la guerra fredda imponeva tale acrobazia, nella certezza che Pechi-
no fosse troppo debole per prendere l’isola manu militari. Allora fu elaborata la
cosiddetta «politica di una sola Cina», con cui Washington fngeva di accettare come
legittima la sola Repubblica Popolare.
Assunto lentamente superato già negli anni Novanta, dopo l’implosione di Mo-
sca. Quando tra il 1995 e il 1996 la Repubblica Popolare lanciò missili verso l’isola
per protestare contro la visita alla Cornell University del presidente taiwanese Lee
Teng-hui, Washington inviò nello stretto le portaerei USS Nimitz e USS Indepen-
dence, palesando nuovamente l’incapacità per il gigante han di sconfggere il ne-
mico in mare. Defcienza cui nel tempo si è aggiunta la creazione di uno specifco
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sente per il 90% taiwanese anziché cinese, con il 27% degli intervistati portatori di
entrambe le identità 4. Differenza enorme rispetto al 1992, quando soltanto il 17%
si dichiarava taiwanese, giacché Taipei riemergeva da decenni di sinizzazione e
Pechino appariva assai meno minacciosa.
Se pure riuscisse nello sbarco anfbio, oggi la Repubblica Popolare incontre-
rebbe notevoli diffcoltà nel sedare la popolazione locale, ormai sicura di posse-
dere una parabola distinta dalla madrepatria. Su cui non incide neppure la dipen-
denza commerciale, qualche decennio fa individuata dalla dirigenza comunista
come effcace strumento per attirare verso sé la provincia ribelle. Altri sondaggi
dimostrano che i taiwanesi anelano convintamente l’indipendenza, obiettivo da
raggiungere per il 54%, da evitare per il 23% 5.
Diffcile stabilire se il rinnegamento del Kuomintang sia determinato esclusiva-
mente dalla volontà di resistere all’annessione con la propria cifra culturale oppure
se nasconda anche una pericolosa deriva post-storica. Ovvero, se la damnatio me-
moriae applicata a Chiang Kai-shek sia dovuta all’indipendenza perseguita o anche
al ricordo di un regime autoritario. Le indagini sulla popolazione non forniscono
risposte certe, così la volontà differita di tramutarsi in uno Stato sovrano potrebbe
indicare scaltrezza o scarsa inclinazione a battersi per tale scopo. Ma la nuova co-
scienza taiwanese è già ostacolo fn troppo insidioso per Pechino. Mentre intorno
all’isola si intensifcano le manovre delle principali potenze, consapevoli che la
competizione globale potrebbe defagrare nello stretto. Movimenti che costringono
Taiwan ad osservare gli eventi. Con massima concitazione.
capitato con Hong Kong e Macao, quasi Taiwan fosse una colonia da (ri)consegna-
re ai legittimi governanti. Principio di una possibile nuova èra. Per la Repubblica
Popolare l’atteso evento per trasformare la propria infuenza economica in status
geopolitico. Per obliterare il cosiddetto secolo delle umiliazioni, il periodo tra la
prima guerra dell’Oppio (1839-1842) e la fne della guerra civile. Per distruggere
l’altra Cina, giungendo fnalmente a dominare l’intero spazio sinico, senza più con-
correnti. Per privare gli Stati Uniti di una avanguardia che ne insidia la stabilità. Per
trascendere la prima linea di isole, recinto naturale entro cui Washington vorrebbe
confnarla sine die.
4. Cfr. C. YU-FUN, J. CHIN, «Nearly 90 percent of public identify with Taiwan: poll», Taipei Times,
11/8/2021.
14 5. Cfr. H. TSU-TI «Poll shows highest ever support for Taiwan independence», Taiwan News, 22/6/2020.
TAIWAN, L’ANTI-CINA
6. Citato in «Xi Jinping says Taiwan ‹must and will be› reunited with China», Bbc News, 2/1/2019.
7. Cfr. H. LYBRAND, «Fact check: Sen. John Cornyn falsely claims there are “30,000” US troops in Tai-
wan», Cnn, 17/8/2021. 15
L’ALTRA CINA, CHIAVE DELLA COMPETIZIONE GLOBALE
Gli apparati washingtoniani non vorrebbero giungere alla guerra, poiché sod-
disfatti dello status quo. Obiettivo ultimo è condurre alla resa il nemico con il solo
contenimento marittimo, imperniato su Taipei, reso in architettura militare con l’ap-
porto dei paesi che completano con gli Stati Uniti il quadrilatero securitario, India,
Australia, Giappone – oltre alle principali potenze europee apertamente invitate
nell’Indo-Pacifco. Ma gli americani sono consapevoli che la situazione potrebbe
precipitare nottetempo.
Proprio T§ky§ è il terzo protagonista della vicenda. Ormai pronta ad abbando-
nare l’isolazionismo traslato in pacifsmo per respingere l’ascesa della Repubblica
popolare, la classe dirigente nipponica intende compiere tale evoluzione in nome
di Taiwan. Per gli antichi legami coloniali, residuo di un impero oltremodo contro-
verso. Specie adesso che Taipei riscopre l’antica dimensione nipponica.
Per impedire a Pechino di accedere all’Oceano Pacifco, dove la fotta giap-
ponese perlustra le acque assieme a quella americana, immenso specchio d’acqua
che ne compone la principale profondità difensiva. Per evitare che il nemico giun-
ga davanti a Okinawa, distruggendo il proprio schema securitario. Per scongiurare
che, attraverso l’annessione di Taiwan, il regime comunista possa presentare ai
paesi limitrof la sua ascesa come fatto compiuto.
Lo scorso aprile nel comunicato emesso al termine del bilaterale con Biden,
il governo giapponese ha esplicitamente invocato «pace e stabilità nello Stretto di
Taiwan» 9, quanto non accadeva da oltre cinquant’anni, prima di minimizzare tale
dichiarazione imitando l’ambiguità americana. «Ciò che accade a Taiwan riguarda
la sopravvivenza del Giappone. Dobbiamo essere pronti a difendere l’isola assie-
me agli Stati Uniti» 10, ha aggiunto il vicepremier Taro Aso, smarcandosi tempora-
neamente dal non detto.
Clamorosi proclami che si sommano alla modernizzazione della Marina nippo-
nica, dotata di due portaerei mascherate da portaelicotteri (Izumo e Kaga). Tanto
che il 3 ottobre un caccia americano F35-B per la prima volta ha appontato sulla
Izumo.
Segnali di un Giappone pronto a entrare violentemente nella disputa per For-
mosa, anche per abbracciare il costume taiwanese parzialmente distillato dall’im-
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5. Un’altra Cina esiste. Archiviata (quasi defnitivamente) Hong Kong per re-
pressione pechinese, esclusi Tibet e Xinjiang perché non abitati da una popola-
zione a maggioranza han, Taiwan resta unica alternativa alla Repubblica Popolare.
Non più per dimensione ideologica contrapposta al comunismo della madrepatria.
8. Citato in «White House backtracks after Biden appears to say US would defend Taiwan against
China», Reuters, 20/8/2021.
9. Cfr. R. JENNINGS, «US-Japan Statement Raises Issue of Taiwan Defense Against China», Voa, 24/4/2021.
10. Citato in J. JOHNSON, «Deputy PM says Japan must defend Taiwan with U.S.», The Japan Times,
16 6/7/2021.
Principali potenze Credito verso gli Usa
L’IMPERO AMERICANO nel confronto con gli Usa in miliardi
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di dollari (giugno 2021)
Nemico principale 1.280 Giappone
Potenza ambigua 1.062 Cina
Rivale strategico 83 Germania
Pseudoalleato con ambizioni imperiali 4 Russia
R U S S I A
Area di R U S S I A
competenza della
II Flotta Croughton Base aerea
GERMANIA
Ramstein Base aerea
Dongducheon STATI UNITI
GIAPPONE US Fleet Cyber Command Fort Meade Napoli VI Flotta
Seoul İncirlik Base aerea
Osan Yokosuka VII Flotta Washington
III Flotta San Diego Norfolk II Flotta Bagram Base congiunta C I N A
Kunsan Sasebo Base navale
C I N A Jacksonville IV Flotta
Kadena Base aerea al-’Udayd Base aerea
Bahrein V Flotta
Fort Magsaysay Base aerea Pearl Harbor Guantánamo Base navale
Guam Base aeronavale
Mactan-Benito Ebuen Base aerea Camp Lemonnier Base navale
Area di Area di
Lumbia Base aerea competenza della competenza della
Singapore Antonio Bautista Base aerea
III Flotta V Flotta Singapore
Diego Garcia
Darwin Base aerea
Harold E. Holt Stazione comunicazioni navali
Russia
e
ti n
I so l e A le u
Vancouver
Amchitka
Australia
Brisbane Distanze in miglia nautiche
Siti di test nucleari americani Perth (1 miglio nautico equivale a 1,852 km)
Isole o atolli statunitensi Sydney Hawaii (Honolulu) - Guam 3.300 Santiago
Stretti e canali Auckland Hawaii (Honolulu) - Vancouver 2.420
Rotte oceaniche del Pacifco Singapore - Tōkyō 2.880
Seconda catena di isole Sydney - Vancouver 6.890 Proiezione Usa
Porti strategici ©Limes Tōkyō - Panamá 7.680 nell’Oceano Pacifco
NEL TEATRO INDO-PACIFICO Possibili micce
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belliche
RUSSIA ★
★
★
1 Isole Paracel contese tra Cina, Taiwan ★ ★ Normalizzazione
e Vietnam cinese di Hong Kong
2 Isole Spratly contese tra Cina, Filippine, COREA GIAPPONE Taiwan
Brunei, Malaysia, Taiwan e Vietnam DEL NORD (potenza si allontana
MONGOLIA
I 10 dell’Asean in ascesa) dalla Cina
COREA OCEANO
DEL SUD
Alleati (inafdabili) della Cina PACIFICO Stretti
★
Sec
ir Mar
m Sonda
ond
sh Cinese
a
Ka Lombok
c
Orientale
a
C I N A Makassar
tena
Isole Senkaku Balabac
PAKISTAN Mindoro
di isol
e
NE
PA TAIWAN Luzon
L Taiwan
Mar
delle Filippine Tsushima
IN D IA HONG KONG
MYANMAR Hainan Guam
Mare ★
LAOS FILIPPINE
★ ★
★ 1 Perno Usa
Arabico ★
Golfo
del Bengala Mar Cinese
THAILANDIA VIETNAM Meridionale
CAMBOGIA
2
★
★
★ ★
★
BRUNEI
USA M A L A Y S I A
SINGAPORE
OCEANO INDIANO
Rotta principale Cina-Europa I N D O N E S I A
★
★
Direttrici strategiche cinesi ★ ★
★
per il dominio dell’Indo-Pacifco:
oltre la seconda catena di isole
e oltre Malacca AUSTRALIA
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IL MEDIOCEANO NELLA STRATEGIA AMERICANA
M e d i o c e a n o a r t i c o
Federazione Russa
Germania
Basi principali
Basi con libero accesso
DIEGO GARCIA alle forze Usa
(A) (M) (Ma) (E) Esercito
(A) Aviazione
AUSTRALIA
Darwin (Ma) (M) Marina
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(Ma) Marines
Quanto per l’alterità culturale sviluppata dalla popolazione locale, caso di distanza
semietnica dalla madrepatria originaria.
Passaggio cruciale, fortemente incentivato dagli Stati Uniti, indispensabile per
fornire ai taiwanesi la profondità antropologica per respingere le offerte commer-
ciali e le minacce militari della Repubblica Popolare. Accadimento recente, utile
per sostanziare la narrazione d’Oltreoceano, che vuole la superpotenza impegnata
a difendere i taiwanesi dalla possibile obliterazione culturale (etnica?), non soltanto
dalle classiche grinfe di un regime autoritario.
Abbastanza per complicare i piani di Pechino, già vittima del contenimento
marittimo progettato ai suoi danni da Washington, puntellato negli ultimi mesi dal 17
L’ALTRA CINA, CHIAVE DELLA COMPETIZIONE GLOBALE
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TAIWAN, L’ANTI-CINA
COME PECHINO
HA PRODOTTO
L’ANTI-CINA di Arthur S. DING
Il gigantismo economico-militare della Repubblica Popolare
alimenta il nazionalismo dell’isola, che teme l’annessione.
La lezione di Hong Kong. Le ansie energetiche di T§ky§.
Con gli Stati Uniti, Taipei gioca la carta della reputazione.
tima. Bastano pochi dati: 36.197 km2 di superfcie contro 9.596.961 km2; 23 milioni
di abitanti contro 1,4 miliardi; un pil di 1.400 miliardi di dollari (stima per il 2021)
contro 26.660 miliardi a parità di potere d’acquisto (682,7 miliardi contro 16.640
miliardi in termini nominali); un esercito attivo di meno di 200 mila unità contro
uno di 2 milioni; un bilancio militare di 10 miliardi rispetto a uno di 216 miliardi. E
l’elenco potrebbe continuare.
Forte di quest’enorme disparità, Pechino ha usato bastone e carota nella spe-
ranza di piegare Taiwan. Ha esercitato pressioni diplomatiche per isolare Taipei a
livello internazionale, ha dispiegato navi da guerra e caccia per pattugliarne le ac-
que e deprimerne il morale mandando al contempo un forte segnale agli Stati
Uniti, ha seminato disinformazione per dividere la società taiwanese mentre elargi-
va incentivi economici e materiali per renderla economicamente dipendente. 19
COME PECHINO HA PRODOTTO L’ANTI-CINA
2. Quanto avvenuto a Hong Kong nel 2019 è stato cruciale per il rafforzamen-
to dell’identità taiwanese. La brutale repressione cinese delle proteste democrati-
che e di quanti le avevano anche solo sostenute ha spaventato tutti i taiwanesi. Il
principio «un paese, due sistemi» di Deng Xiaoping è apparso completamente rin-
negato con la «normalizzazione» di Hong Kong. Ora Pechino non ha più modo di
convincere Taiwan che tale principio possa applicarsi a essa; nessuno crede più a
una parola dei leader cinesi.
Questi, del resto, hanno imposto controlli ultrarigidi dopo le proteste del 2019.
La legge di sicurezza nazionale è calata su Hong Kong senza che il governo della
città avesse alcuna voce in capitolo, gli arresti continuano su vasta scala e i rappre-
sentanti cittadini vengono rimossi con accuse di «disfattismo» o connessione a «for-
ze esterne», la libertà di stampa è soppressa. L’immagine che ne emerge agli occhi
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di Taiwan è terribile.
Mentre lancia repressioni nel Xinjiang e a Hong Kong, Xi preme su Taiwan. Lo
fa soprattutto con l’asimmetria militare nell’omonimo stretto, grazie a Forze armate
divenute utile strumento da usare contro l’isola. Dal 2015 l’Esercito popolare di libe-
razione (Epl) ha preso a pattugliare le acque intorno e oltre Formosa, stabilendo nel
tempo una pericolosa routine. Il numero di voli militari cinesi intorno all’isola varia,
ma dal 2016 il totale annuo è sempre stato intorno a 300. Solo nei primi sette mesi
del 2021 siamo già a 360. Fatta eccezione per gli aerei cargo e per quelli cisterna
sono impiegati tutti i tipi di velivoli, compresi diversi modelli di caccia, aerei da av-
vistamento, apparecchi per il disturbo delle telecomunicazioni, aerei antisottomarino
e bombardieri. Intanto navi da guerra cinesi, portaerei incluse, incrociano nelle ac-
20 que circostanti. Tutto ciò crea apprensione a Taiwan, esacerbando gli animi.
TAIWAN, L’ANTI-CINA
Queste condotte non sono le sole cause della fammata identitaria taiwanese,
ma di certo vi hanno fortemente contribuito. Tutti i sondaggi mostrano che l’iden-
tità di Taiwan si è notevolmente rafforzata dopo l’avvento di Xi. Secondo un’inda-
gine del Centro studi elettorali della National Chengchi University pubblicato a
luglio, si percepisce taiwanese il 63,3% dei residenti contro un mero 2,7% che si
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1. Per approfondimenti: A. DING, «Taiwan: Unsinkable Aircraft Carrier Sails Again?», Taiwan Insight,
22 26/5/2021.
TAIWAN, L’ANTI-CINA
Per gli Stati Uniti il rischio è concreto. Con Taiwan, Pechino estenderebbe la
propria infuenza al Pacifco occidentale mentre il sistema di alleanze statunitense
costruito dopo la seconda guerra mondiale rischierebbe il collasso, perché nessun
alleato scommetterebbe più sulla capacità americana di mantenere la leadership e
dunque si troverebbe a scegliere tra venire a patti con la Cina o cercare alternative.
L’annessione di Taiwan potrebbe compromettere anche lo status del dollaro.
Uno scenario possibile è che il biglietto verde perda il proprio valore a livello in-
ternazionale, nel qual caso l’economia statunitense potrebbe risentirne molto.
Nemmeno la competizione in ambito tecnologico sarebbe risparmiata: Taiwan è
un ganglio dell’industria mondiale dei semiconduttori, la sua Tsmc (Taiwan Semi-
conductor Manufacturing Company) sforna oltre il 60% dei circuiti integrati più
avanzati del mondo e molte aziende statunitensi, anche nel campo della difesa,
dipendono da essa. Se Taiwan fnisse sotto il controllo cinese, le forniture di Tsmc
agli Usa potrebbero cessare, mentre le industrie e le Forze armate cinesi potrebbe-
ro benefciarne. Ciò spiega in parte perché il governo statunitense stia facendo
grandi sforzi per dominare l’intera fliera dei semiconduttori e farà verosimilmente
di tutto per proteggere i suoi approvvigionamenti di circuiti taiwanesi.
4. Man mano che la Cina si rafforza, le apprensioni del Giappone per gli svi-
luppi nello Stretto di Taiwan crescono rapidamente. Di recente molti funzionari
del governo nipponico hanno espresso questi timori, sebbene le loro dichiarazio-
ni siano poi state interpretate come considerazioni personali. Il 6 luglio scorso il
vicepremier Tar§ As§ ha affermato che «se si verifcasse un incidente importante
(su Taiwan), non è esagerato dire che la sopravvivenza del Giappone sarebbe a
rischio. Pertanto, Giappone e Stati Uniti devono difendere insieme Taiwan.» Il 25
giugno era stata la volta del ministro della Difesa Kishi Nobuo: «La pace e la sta-
bilità di Taiwan sono direttamente connesse al Giappone e noi monitoriamo da
vicino i legami tra Taiwan e la Cina, così come l’attività militare cinese. (…) Via
via che la Cina potenzia il suo esercito, l’equilibrio con Taiwan pende sempre più
dalla sua parte.»
Non è diffcile capire perché T§ky§ sia così preoccupata per questa asimme-
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tria militare e per le possibili azioni cinesi. Il Giappone dipende fortemente per il
suo fabbisogno energetico dalla rotta marittima che parte dal Golfo e attraverso
l’Oceano Indiano, il Mar Cinese Meridionale e lo Stretto di Taiwan porta il greggio
mediorientale nei suoi porti. Pechino ha insediato militarmente il Mar Cinese Meri-
dionale costruendovi isole artifciali e ora può dominare la regione. Se dunque
occupasse Taiwan, potrebbe troncare completamente le linee di approvvigiona-
mento giapponesi gettando il paese del Sol Levante nel caos.
La nuova strategia americana di competizione con la Cina e i timori giappone-
si per le crescenti capacità militari di Pechino hanno reso lo status di Taiwan sem-
pre più importante. A seguito di questi sviluppi Washington ha rafforzato le sue
relazioni con l’isola attraverso diversi programmi, in modo che Taipei possa soste-
nere la pressione cinese. 23
COME PECHINO HA PRODOTTO L’ANTI-CINA
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25
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TAIWAN, L’ANTI-CINA
S
TORIA E GEOGRAFIA LEGANO TAIWAN
(uffcialmente Repubblica di Cina) alla Repubblica Popolare Cinese (Rpc), ma Tai-
pei farà di tutto per scongiurare ciò che Pechino giudica inevitabile: l’annessione
di Formosa (antico nome dell’isola), pacifca o manu militari. Senza la quale il fu
Impero del Centro non potrà completare il «risorgimento» della nazione cinese en-
tro il 2049, anno del centenario della fondazione della Rpc. Per non subire passi-
vamente le ambizioni di Pechino, il governo di Tsai Ing-wen cerca e trova il soste-
gno degli Stati Uniti, ora più che mai impegnati nel contenimento dell’assertività
della Repubblica Popolare nell’Indo-Pacifco. Inoltre, Taipei si dedica allo sviluppo
di un’identità esclusivamente taiwanese, il meno possibile connessa al passato
condiviso con la Cina continentale. Ciò rende Taiwan nodo cruciale della compe-
tizione sino-statunitense.
Le priorità di lungo periodo di Taipei sono tre. Primo, impedire l’emersione di
attori bramosi di destabilizzare Formosa e di spingerla ad accettare l’unifcazione
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con la Cina continentale. Secondo, dotarsi di una capacità di deterrenza tale da non
essere preda delle potenze regionali. In particolare della Repubblica Popolare e in
seconda battuta del Giappone, un tempo colonizzatore di Taiwan e oggi suo con-
veniente partner in chiave anticinese. Terzo, assicurarsi il libero accesso alle rotte
marittime commerciali che connettono Formosa al resto del mondo, inclusa la Ci-
na. La quale resta malgrado tutto il primo socio commerciale taiwanese.
Allo stesso tempo, gli strateghi della Repubblica Popolare ritengono che dalla
presa di Taiwan dipendano due traguardi specifci. Il primo consiste nel completo
superamento del «secolo delle umiliazioni» incassate dalla Cina tra la prima guerra
dell’oppio (1839-1842) e la fondazione della Repubblica Popolare nel 1949. Tra gli
affronti da vendicare rientrano anche la perdita di Taiwan per mano del Giappone
e poi la fuga sull’isola dei nazionalisti di Chiang Kai-shek. Fuga alla quale Mao 27
LA LUNGA MARCIA DI TAIWAN VERSO IL DISTACCO DALLA CINA
Zedong e i suoi successori non seppero rimediare, a causa delle scarse capacità
navali cinesi e dell’opposizione degli Stati Uniti. Il secondo obiettivo è strettamen-
te marittimo. Taiwan fungerebbe da scudo a protezione parziale della costa della
Repubblica Popolare. Inoltre permetterebbe a Pechino il libero ingresso nell’Oce-
ano Pacifco, che oggi avviene sotto la sorveglianza delle basi militari Usa in Corea
del Sud, Giappone e Filippine. Nel lungo periodo, da questi obiettivi dipendono il
grado di potenza della Cina e la credibilità di Pechino agli occhi della popolazione.
Quindi la sovranità del Partito comunista e del suo leader Xi Jinping, il quale do-
vrebbe governare il paese anche dopo il Congresso nazionale del 2022. Solo la
presa di Taiwan consentirebbe all’attuale presidente di superare Mao nel pantheon
del partito e di scongiurare trappole da parte dei suoi rivali (annidati nello Stato
profondo cinese) al termine della sua carriera politica.
Il governo taiwanese della presidente Tsai Ing-wen opta per la scelta più logi-
ca: stringere i rapporti politici e militari con gli Usa. Washington non intende lascia-
re che la Cina diventi una potenza marittima compiuta, capace di contenderle il
primato talassocratico. Pertanto contribuisce alla trasformazione dell’isola in un «por-
cospino» dotato di un numero così elevato di aculei da scoraggiare un’invasione.
Taipei aumenta il budget della Difesa, acquista armi statunitensi e prende perfno in
considerazione di dotarsi di missili a lungo raggio in grado di colpire la Repubblica
Popolare. Non perché sia convinta di poter vincere una guerra convenzionale nello
Stretto di Formosa. Piuttosto ritiene che in questo modo imporrebbe al governo ci-
nese costi umani e politici talmente elevati da costringerlo a rinunciare all’invasione.
Allo stesso tempo, Taipei cerca di imprimere nelle giovani generazioni il sen-
so di appartenenza all’isola. Perciò sminuisce l’impatto storico della cultura cine-
se. Pone il dominio di Ming e Qing sul medesimo piano delle colonizzazioni su-
bite da parte di Spagna, Olanda e Giappone tra il XVI e il XX secolo. In più sot-
tolinea che la Repubblica Popolare non ha mai governato Taiwan. Soprattutto,
Tsai non ha neanche mai riconosciuto uffcialmente il «consenso del 1992». Cioè il
precario compromesso diplomatico con cui quasi vent’anni fa si asseriva l’esisten-
za di una «una sola Cina» (yige Zhongguo), senza specifcare chi tra Pechino e
Taipei ne fosse sovrana. Taipei rinnega in maniera sempre più netta anche la f-
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rappresenta il 54% del mercato fondiario globale dei semiconduttori contenuti nei
microchip. Il secondo nucleo geopolitico è la pianura di Chianan (o Chiayi-Tai-
nan), situata a sud-ovest. È la culla degli indigeni taiwanesi, ma dalla dinastia Qing
in poi è diventata meta privilegiata degli han dalla terraferma. Chianan comprende
Kaohsiung, che ospita il porto più grande di Taiwan e l’Accademia militare della
Repubblica di Cina, aperta nel 1924 dal Kuomintang. Originariamente si chiamava
Accademia militare di Whampoa e aveva sede a Guangzhou. Durante il XX secolo,
la struttura formò la maggior parte dei comandanti (appartenenti sia al Kuomintang
sia al Partito comunista) che combatterono i confitti in Cina. I nazionalisti la spo-
starono quando si ritirarono a Taiwan.
1. «Taiwanese / Chinese Identity (1992/06-2021/06)», Election Study Center, National Chengchi Uni-
versity, 20/7/2021. 29
LA LUNGA MARCIA DI TAIWAN VERSO IL DISTACCO DALLA CINA
avesse inviato sull’isola soldati e funzionari 4. Di certo vi è che nel 1544 i marinai
portoghesi furono i primi europei a sbarcare a Taiwan e la chiamarono Llha formo-
sa, cioè «Isola bella». Nel 1624, la Compagnia olandese delle Indie Orientali installò
un avamposto nell’odierna Anping, nella parte sud-occidentale dell’isola. La sua
presenza incentivò l’arrivo dei cinesi del Fujian, i quali iniziarono a lavorare nei cam-
pi di riso e canna da zucchero. Rapidamente il porto di Tayouan diventò un fonda-
mentale punto di connessione con il resto del mondo. Nel 1626, gli spagnoli si inse-
diarono al Nord, per poi essere estromessi dagli olandesi nel 1642. Alcuni storici ri-
2. The 2010 Population and Housing Census, National Statistics, Republic of China (Taiwan).
3. Cfr. Sintesi della storia di Taiwan dalla pagina uffciale del governo taiwanese, bit.ly/3uyCNJj
4. Cfr. «Basic facts about Taiwan», Uffcio per le questioni taiwanesi del Consiglio di Stato della Re-
30 pubblica Popolare Cinese, 28/7/2020, bit.ly/39XXKnv
TAIWAN, L’ANTI-CINA
tengono che «Tayouan» fosse il nome con cui gli aborigeni indicavano gli stranieri.
Altri ritengono si trattasse del nome della tribù che abitava quel territorio 5. Da questa
parola origina probabilmente il nome «Taiwan», che signifca letteralmente «Baia ter-
razzata». Considerato che l’isola non dispone di spiagge particolarmente ampie, la
dicitura potrebbe essere un segno di quanto poco i cinesi conoscessero il posto.
Del resto in quel periodo Formosa non era in cima ai pensieri dell’Impero del
Centro, concentrato sulla preservazione della stabilità interna e poco interessato a
minacce e opportunità derivanti dall’esplorazione marittima. La dinastia Ming crol-
lò nel 1644, sopraffatta da quella Qing, che riunifcò il Nord della Cina. La conqui-
sta della parte meridionale dell’impero proseguì fno alla fne del regno dell’impe-
ratore Shunzhi nel 1661. L’anno dopo il comandante Koxinga (Zheng Chenggong),
fedele ai Ming, guidò un grande esercito da Xiamen e Quemoy verso Taiwan,
sconfsse gli olandesi e prese il controllo dell’isola. Ciò attirò l’ira dei Qing, i quali
per vent’anni prepararono la conquista di Formosa. L’imperatore Kangxi pose pri-
ma fne alle rivolte dei tre feudatari (1673-1681), che provenivano dallo Yunnan,
dal Guangdong e dal Fujian. Nel frattempo, addestrava la sua armata allo sbarco e
conduceva attività politiche, economiche e diplomatiche per isolare Formosa e
convincere i suoi abitanti dell’inevitabilità della conquista. La combinazione di que-
sti fattori consentì a Kangxi di riprendere Taiwan nel 1683 e di annetterla l’anno
dopo come prefettura della provincia del Fujian. Quell’esperienza è restata impres-
sa nella memoria degli strateghi cinesi al punto da essere analizzata nel 2020 dallo
storico Deng Tao sulla rivista Xuexi Shibao, edita dalla Scuola centrale del Partito
comunista. Il sottinteso di quel saggio è che anche oggi a Pechino non basta l’uso
della forza per prendere Formosa 6.
Il trattato di Shimonoseki del 1895 pose fne alla prima guerra sino-giappone-
se e obbligò i Qing a cedere Taiwan, le Pescadores, la penisola del Liaodong e
l’arcipelago Senkaku/Diaoyu al paese del Sol Levante. La vicenda accelerò la para-
bola discendente dell’impero (capitolerà nel 1911) e segnò profondamente la me-
moria collettiva cinese. Ancora oggi la Repubblica Popolare considera quelle inva-
sioni come la prova di quanto sia importante dotarsi di una Marina all’avanguardia.
Il Giappone impiegò un decennio per sedare le proteste di hakka e hoklo a Tai-
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wan, per poi governarla alla maniera militare. Lo scopo era attingere alle risorse
naturali taiwanesi, non instaurarvi un sistema democratico. L’isola divenne presto
fonte di proftto e T§ky§ decise di potenziare infrastrutture e industria locali. Al
punto che segni dell’architettura giapponese sono rintracciabili nei suoi principali
poli urbani. L’attuale palazzo del governo taiwanese a Taipei era la sede del pote-
re coloniale nipponico. I giapponesi imposero la loro pedagogia nelle scuole per
ridimensionare l’impatto della cultura cinese. Nel complesso, i taiwanesi non disde-
gnavano le loro condizioni di vita, ma agli inizi del XX secolo iniziarono a dibatte-
re di identità taiwanese e d’indipendenza.
5. Cfr. J. MANTHORPE, Forbidden nation: A history of Taiwan, New York 2005, St. Martin’s Press Griffn.
6. Cfr. G. CUSCITO, «I Qing insegnano: per la Cina non è tempo di invadere Taiwan», limesonline.com,
22/5/2020. 31
32
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LA GRANDE CINA
R U S S I A
K A Z A K I S T A N
M AN CI URI A Oceano
Almaty
M O N G O L I A Pacifico
Ürümqi
Changchun
Via d
ella
set
Shenyang GIAPPONE
Kashgar a
PECHINO
COREA Tōkyō
DEL NORD
Tianjin
LA LUNGA MARCIA DI TAIWAN VERSO IL DISTACCO DALLA CINA
COREA
CHANG’AN DEL SUD
Dinastia Tang
NANCHINO dal 618 al 907
T I B E T
Shanghai
Chengdu
Wuhan Protettorato
I N D I A Lhasa
Dinastia Ming
dal 1368 al 1644
Dinastia Han Kunming
206 a.C. - 220 d.C. Canton TAIWAN
(inclusa Grande Muraglia
nell’impero
Protettorato Hanoi Qing nel 1683)
Dinastia Qing
Capitale Grande Muraglia dal 1644 al 1911
LA “FOGLIA DI BEGONIA”
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LA PRESSIONE CINESE SU TAIWAN
POPOLAZIONI SHANGHAI
Cina: 1.397.462.098
Taiwan: 23.451.837
Forze militari CINA TAIWAN
Quartier generali a di Hangzhou
HANGZHOU Bai
FORZE TERRESTRI 412 mila militari 88 mila militari
(Comandi di teatro
Orientale e Meridionale)
FORZE NAVALI 2 portaerei 4 cacciatorpediniere
23 cacciatorpediniere 22 fregate
37 fregate 12 unità anfbie
39 corvette 4 mezzi da sbarco
16 unità anfbie 2 sottomarini diesel
35 mezzi da sbarco 44 pattugliatori costieri
34 sottomarini
(diesel e nucleari d’attacco) MAR CINESE
68 pattugliatori costieri ORIENTALE
FORZE AEREE 1.360 velivoli 680 velivoli
Fonte: Military balance e U.S.-China economic and security review commission
Cacciatorpediniere PLA
Fonte: rapporto Pentagono 2019 TA I WA N
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HONG KONG
MAR CINESE
MERIDIONALE
Km.
0 100 200
Fonte: Annuario statistico della Repubblica Popolare Cinese e Annuario statistico di Taiwan, 2017
Popolazione totale del paese: Le montagne
NUCLEI GEOPOLITICI A FORMOSA di Taiwan
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23.451.837 (agosto 2021) 3.997
Composizione etnica di Taiwan 2.500
Fonte: www.taiwan.gov.tw Personale militare:
2,5% 1.800
Aborigeni 1% Cinesi continentali 1.822.000 (di cui 165.000 soldati in attività 1.200
Isole Nansei e 1.657.000 in riserva))
austronesiani Macao, Hong Kong e stranieri (Giappone) 500
Fonte: National Statistics Republic of China (Taiwan), 0 metri
media locali
Han (inclusi hoklo,
hakka e altri cinesi
96,5% provenienti dalla
terraferma)
Lanyu
TA I WA N (Taiwan)
Isole Batan
Taipei (Filippine)
M a r C i n e s e
O r i e n t a l e Taoyuan Yu Shan
Hsinchu 3.997 m
Sede di Taiwan Semiconductor
Canale di Bashi
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Wenzhou Matsu tt Kaohsiung
(Taiwan) o Maggior porto
d per trafco container
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Z H E J I N G a
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Fuzhou M a r C i n e s e
(Taiwan)
M e r i d i o n a l e
F U J I A N Quemoy
(Taiwan) Confni marittimi
CINA
Nanping Nuclei geopolitici
Xiamen
di Taiwan
Potenziali punti di sbarco
Nuova Taipei di un eventuale attacco della
Rep. Pop. Cinese
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DI CHI È TAIWAN?
Z H E J I A N G
Nanchang Amami
Mar Tokuno
Wenzhou Cinese
Orientale
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J I A N G X I Okinawa
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Isole Senkaku O C E A N O
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(GIAPPONE, rivend. P A C I F I C O
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C I N A Fuzhou da Cina e Taiwan)
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F U J I A N E
143 km Miyako L O
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Xiamen 108 km I P
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Taipei City
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(TAIWAN) Yilan
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Isole Pratas Isole Batan (FILIPPINE)
Arcipelago (TAIWAN, rivendicate dalla Cina)
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della Repubblica di Cina Mar Canale di Balintang City
(TAIWAN) Babuyan Kaohsiung City Taitung
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Cinese Calayan
TAIWAN Meridionale Dalupiri Fuga Camiguin
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ISOLE MATSU
QUEMOY Limite della piattaforma
continentale rivendicato Laoag Taitung
Isola di Luzon
PESCADORES dalla Cina LE CONTEE DELLA
Acque contese tra Tuguegarao REP. DI CINA
LANYU Confni marittimi Giappone e Cina FILIPPINE (TAIWAN)
TAIWAN, L’ANTI-CINA
alla ritirata e occuparono temporaneamente Seoul per poi essere respinti nuova-
mente a nord del 38° parallelo. La frma dell’armistizio tra le due Coree nel 1953
pose fne ai combattimenti. Pechino oggi celebra quell’intervento come la «guerra
di resistenza all’aggressione americana», ma in realtà si tratta dell’ennesima volta in
cui non riuscì a prendere Taiwan. Ancora oggi, per gli strateghi cinesi il controllo
di Quemoy resta propedeutico a un eventuale sbarco anfbio a Formosa.
Il trattato di San Francisco del 1951 costrinse il Giappone a rinunciare a Taiwan
e alle isole Penghu, senza stabilire però se queste dovessero essere controllate
dalla Cina repubblicana o da quella socialista. Il Giappone le considerava parte
delle Nansei, le quali fnirono sotto il controllo Usa e furono riconsegnate a T§ky§
nel 1971. Tali eventi acuirono la disputa per le Diaoyu/Senkaku, oggi territorio
giapponese rivendicato da Pechino e in maniera più sottile da Taipei. 33
LA LUNGA MARCIA DI TAIWAN VERSO IL DISTACCO DALLA CINA
I due confitti avvenuti rispettivamente tra il 1954 e il 1958 (le cosiddette due
crisi dello stretto) consentirono ai comunisti di togliere ai nazionalisti gli isolotti di
Yijiangshan e Dachen, ma non di prendere Formosa. Per 36 anni, il Kuomintang
dominò Taiwan in maniera autoritaria, tramite la legge marziale. La sua abolizione
nel 1987 determinò un drastico cambiamento del sistema politico, di cui entrarono
a far parte i partiti d’opposizione, incluso il Ppd. In quel periodo, Pechino riteneva
di poter assorbire Taiwan pacifcamente. Perciò sviluppò il modello di «un paese,
due sistemi» e lo adottò a Hong Kong e Macao, restituite da Regno Unito e Porto-
gallo rispettivamente nel 1997 e nel 1999. In quegli anni, il dibattito taiwanese si
concentrò sul contrasto tra l’identità imperniata sulla cultura cinese e il processo di
«indigenizzazione», il cui scopo era provare l’unicità di Taiwan.
L’adozione del principio di «una sola Cina» nel 1992 non concluse la disputa
tra Pechino e Taipei ma segnò la fne delle ambizioni di quest’ultima sui territori
della Repubblica Popolare. Tale cambiamento ebbe delle ripercussioni sulla carto-
grafa taiwanese. All’epoca le mappe della Repubblica di Cina prevedevano un ri-
quadro raffgurante i confni affermati da Pechino. I manuali di storia sottolineava-
no l’importanza degli han e della dinastia Qing nell’epopea taiwanese. Allo stesso
tempo non trascuravano il contributo culturale degli indigeni e degli altri coloni.
I test missilistici cinesi condotti tra il 1995 e il 1996 (la terza crisi nello Stretto)
alimentarono il senso di appartenenza dei taiwanesi all’isola. Di due vettori lancia-
ti dalle Forze armate cinesi si persero le tracce. Pechino imputò la responsabilità
agli Usa, che avrebbero danneggiato la comunicazione del sistema Gps installato
su di essi. Più tardi quella «umiliazione» fungerà da leva motivazionale per il dispie-
gamento su scala globale di satelliti Beidou, interamente made in China 7.
Negli stessi anni, Taiwan trovò una preziosa nicchia nel settore tecnologico.
Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (Tsmc) si concentrò sulla lavora-
zione dei semiconduttori per conto di imprese straniere. Prese piede il cosiddetto
modello fabless, in base a cui diversi colossi di settore si concentrarono sullo svi-
luppo del design dei circuiti integrati per poi usufruire delle fabbriche taiwanesi. In
questo modo, Tsmc acquisì un ruolo determinante nella fliera tecnologica. Ruolo
che preserva ancora oggi.
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Nel 2000, Chen Shui-bian è diventato il primo capo del Ppd a essere eletto
presidente. L’anno dopo il Kuomintang, ormai il partito taiwanese più favorevole
al riavvicinamento a Pechino, ha perso per la prima volta la maggioranza dei voti,
superato dal Ppd, che si concentrava sulla defnizione dell’identità taiwanese. Cio-
nonostante, la coalizione del Kmt dominava ancora in parlamento. Nel frattempo,
gli scambi economici con la Repubblica Popolare crescevano in maniera esponen-
ziale. Nel 2002, Taipei ha smesso di pubblicare la «mappa completa della Repub-
blica di Cina», che includeva i territori controllati fno al 1912, e ha diffuso quella
sulla «regione di Taiwan», comprendente l’isola omologa, le Penghu, Kinmen,
Matsu, Pratas e due atolli nelle Spratly. La «foglia di begonia» ha perso la sua iconi-
7. M. CHAN, «Unforgettable humiliation’ led to development of GPS equivalent», South China Morning
34 Post, 13/11/2009.
TAIWAN, L’ANTI-CINA
cità a favore della forma di «patata dolce», associata a Formosa. Nei libri di storia la
parola «Cina» ha sostituito il termine «il nostro paese», prima usato per indicare le
rivendicazioni sulla terraferma. Il presidente Ma Ying-jeou, a capo del Kmt ed elet-
to nel 2008, era però accusato di voler rafforzare eccessivamente i rapporti con
Pechino. Il vertice tra Ma e Xi nel 2015 a Singapore è stato il primo tra i leader dei
due governi 66 anni dopo la guerra civile. Contestualmente Taipei ha avviato una
revisione dei manuali scolastici al fne di ribadire la connessione con la terraferma.
Le proteste di professori e studenti non sono bastate ad alterare tale processo.
Nel 2016, Taiwan ha subìto un’inversione di rotta con l’elezione di Tsai Ing-
wen, la cui campagna elettorale poneva l’accento sul senso di appartenenza all’i-
sola. Il Partito progressista democratico ha guadagnato per la prima volta la mag-
gioranza assoluta nel parlamento. Entrata in carica, Tsai si è rifutata di riconoscere
il principio di «una sola Cina». Tra i suoi provvedimenti rientravano anche l’annul-
lamento delle linee guida scolastiche approvate dal Kmt e una nuova revisione
pedagogica. Non a caso i media di Pechino affermano che i manuali taiwanesi
comprimono eccessivamente la storia cinese dalle origini fno alla dinastia Tang 8.
A quel punto si è registrata un’intensifcazione delle misure per rendere Taiwan
meno sinocentrica. Nel 2017 Taipei ha introdotto l’atto per lo sviluppo delle lingue
indigene, per tutelare l’identità delle 16 tribù riconosciute uffcialmente a Taiwan.
L’anno dopo il governo ha stabilito un piano affnché la popolazione diventi bilingue
entro il 2030; cioè che parli correntemente non solo il mandarino ma anche l’inglese.
Contestualmente la Repubblica Popolare ha intensifcato le operazioni militari nello
Stretto di Formosa. Il rinnovato timore locale verso Pechino e le ennesime proteste
scoppiate a Hong Kong (ormai assorbita nei gangli della Repubblica Popolare) han-
no alimentato il malumore a Taiwan verso la Repubblica Popolare e assicurato nuo-
vamente a Tsai la vittoria nelle elezioni presidenziali del 2020. Ciò ha innescato altre
iniziative per sminuire contemporaneamente nessi più o meno diretti con la Repub-
blica Popolare e con il regime del Kuomintang. Per esempio, la modifca della co-
pertina dei passaporti. Qui la scritta «Republic of China» è stata rimpicciolita per non
essere confusa con «People’s Republic of China», mentre Zhonghua minguo (Repub-
blica di Cina) e il nome «Taiwan» sono stati ingranditi. Successivamente è iniziato il
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Il fattore taiwanese
Taiwan tenta di fuggire dal proprio passato per non essere preda delle ambi-
zioni geopolitiche di Pechino. Tale proposito è agevolato dalla postura sempre più
assertiva della Repubblica Popolare, la quale oggi invia periodicamente caccia e
8. FAN ANQI, «Omission of Chinese history in Taiwan textbooks opposed in island», Global Times,
9/9/2020. 35
LA LUNGA MARCIA DI TAIWAN VERSO IL DISTACCO DALLA CINA
9. «Wojun zhanji zhongjiu yao feiyue tai dao. Taijun kaihuo yiweizhe huimie» («I nostri caccia alla fne
voleranno sopra Taiwan. Se Taiwan aprisse il fuoco signifcherebbe la distruzione dell’isola»),
36 Huanqiu Shibao, 13/9/2021.
TAIWAN, L’ANTI-CINA
SE FORMOSA
NON SI SENTE
(PIÙ) CINA di Ivy KWEK e Alan Hao YANG
L’avvento di un’identità nazionale non è frutto solo della percepita
minaccia cinese. Retaggi storici e sviluppi recenti fanno dell’isola una
società sempre più aperta e consapevole. Il mosaico etnico. Il ruolo
degli immigrati e i rapporti con l’Asean. I giovani guidano la svolta.
gnoli. Nello stesso periodo i cinesi delle province del Fujian e di Canton iniziarono
a migrare verso questo territorio in gran numero per trovare lavoro. L’insediamen-
to olandese ebbe vita breve, poiché la dinastia cinese dei Ming prese il controllo
dell’isola nel 1661. Ventidue anni dopo, Formosa divenne parte dell’impero Qing.
Tuttavia nel 1895 i giapponesi la occuparono dopo la sconftta della Cina nella
prima guerra sino-giapponese. L’occupazione giapponese fu respinta dalla gente
del posto, ma fu relativamente benigna e molti taiwanesi fnirono per adottare
tratti della cultura nipponica. Dopo la sconftta di T§ky§ nel 1945 Taiwan fu con-
segnata alla Repubblica di Cina governata dal Kuomintang. Sotto la guida di Chiang
Kai-shek il Kuomintang governò con pugno di ferro, portando appena due anni
dopo all’incidente del 28 febbraio 1947, quando una protesta di nativi taiwanesi fu
repressa con la violenza: morirono circa 28 mila manifestanti. Due anni dopo, nel
1949, il Kuomintang perse la guerra civile contro il Partito comunista cinese e si
rifugiò a Formosa 1.
I quarant’anni di governo del Kuomintang, fno a fne anni Ottanta, sono ricor-
dati come «èra del Terrore bianco». Si trattava di un regime autoritario che governa-
va con la legge marziale e vessava i molti dissidenti etichettati come «simpatizzanti
dei comunisti». Le tensioni etniche tra i continentali (immigrati cinesi trasferitisi
negli anni Quaranta) e i nativi (discendenti dei primi immigrati cinesi di origine
hoklo o hakka) erano all’ordine del giorno e hanno caratterizzato la politica taiwa-
nese a lungo. Benché i nativi fossero numericamente dominanti furono privati dei
diritti politici a favore dei continentali. Siccome il Kuomintang considerava la pro-
pria presenza a Formosa come temporanea, in attesa di riconquistare la Cina, i
taiwanesi furono sinizzati: la lingua hokkien fu soppressa e al suo posto fu imposto
il mandarino.
Gli anni Novanta inaugurarono una nuova èra di transizione democratica con
l’ascesa di Lee Teng-hui, primo presidente nativo di Taiwan. Il quale pose fne allo
Stato d’emergenza imposto durante le presidenze della famiglia Chiang e aprì la
strada alla democratizzazione dell’isola: nel 1996 divenne il primo presidente eletto
democraticamente. Lee cercò anche di ricucire le relazioni tra continentali e indi-
geni promuovendo una «nuova identità di Taiwan». Perseguì inoltre il riconosci-
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mento internazionale di Taiwan come Stato sovrano, insistendo sul fatto che il suo
paese si sarebbe riunito alla Cina solo se questa fosse diventata democratica e
provocandone così l’ostilità. Questo periodo ha accelerato la formazione di un’i-
dentità nazionale più forte, distinta da quella continentale.
Nel 2000 Chen Shui-bian, leader del Partito progressista democratico (Ppd),
vinse le presidenziali divenendo il primo capo dell’opposizione eletto al governo.
Questo infastidì Pechino, che non si fdava del Ppd per la sua inclinazione indi-
pendentista. Anche Chen Shui-bian intraprese uno sforzo di costruzione della
nazione, cementando ulteriormente l’evoluzione di un’identità taiwanese 2.
1. C. DONOVAN SMITH, «A History of Taiwanese Identity», Ketagalan Media, 8/12/2018.
2. D. SACKS, «What Xi Jinping’s Major Speech Means for Taiwan», Council on Foreign Relations,
38 6/7/2021.
TAIWAN, L’ANTI-CINA
Cina ha schierato velivoli e navi nello spazio aeronavale taiwanese e fa di tutto per
isolare Taiwan, ad esempio premendo sulle compagnie aeree affnché la trattino
come provincia cinese o vietando l’importazione dei suoi prodotti agricoli.
Nonostante le turbolenze, la presidente è stata rieletta nel 2020. Il fattore Hong
Kong ha pesato sul risultato: la repressione delle proteste nell’ex colonia inglese e
la promulgazione della legge sulla sicurezza nazionale hanno svuotato il principio
«un paese, due sistemi». I taiwanesi hanno perso ogni residua fducia in Pechino e
non vogliono fare la stessa fne degli hongkonghesi. L’identità taiwanese, come
visto, è particolarmente forte tra i giovani 4, più desiderosi di distinguersi dai cinesi
3. Ibidem.
4. J. HUAI-CHE CHIANG, «Election Aside, Taiwan’s Generation Gap Will Shape Relations with China», The
Diplomat, 9/1/2020. 39
SE FORMOSA NON SI SENTE (PIÙ) CINA
e più disposti ad alzare la voce. Libertà di parola, diritti umani e democrazia sono
valori profondamente radicati nelle giovani generazioni taiwanesi, che pur lamen-
tandone le imperfezioni si sentono ormai parte integrante del sistema democratico.
Il miglioramento delle relazioni attraverso lo stretto durante l’amministrazione Ma
non ha ridotto l’affato identitario, fattosi anzi più trasversale. Oggi anche i politici
del Kuomintang devono moderare le loro posizioni quando si tratta dei rapporti
con la Cina continentale, poiché qualsiasi postura flocinese è mal tollerata. Anche
così la popolarità del Kuomintang ha subìto un duro colpo, specie tra i giovani: il
partito appare troppo appiattito su Pechino e interessato a tutelare i taishang, gli
uomini d’affari taiwanesi (molti membri del partito stesso) che hanno interessi sul
continente 5.
Ma i sentimenti indipendentisti non fanno necessariamente il gioco del Ppd.
Nel 2018 la Taiwan Public Opinion Foundation ha rilevato che il 23,5% degli elet-
tori sosteneva il partito di governo, il 35,4% supportava il Kuomintang e il 36% si
defniva indipendente 6. Se l’argomento in passato era tabù, oggi i giovani sono più
propensi a cercare la propria identità e persino a sostenere un’indipendenza for-
male, ma non vogliono necessariamente lo scontro. Del resto il sentimento verso
la Cina che prevale tra i taiwanesi è la diffdenza, non l’odio 7, anche se con l’au-
mento dell’aggressività cinese il secondo potrebbe rafforzarsi.
5. A. LIN, «Taiwan’s Kuomintang at a Crossroads: Should the Nationalist Rethink Its China-Leaning
Posture?», Pulitzer Center, 24/7/2020.
6. K. HILLE, «China’s “sharp power” play in Taiwan», Financial Times, 21/11/2018.
7. K. DEVLIN, C. HUANG, «In Taiwan, Views of Mainland China Mostly Negative», Pew Research Center,
40 12/5/2020.
TAIWAN, L’ANTI-CINA
medie) 8. Le scuole dell’isola ora richiedono che gli studenti imparino anche la loro
lingua madre 9, ma il duro trattamento dei lavoratori provenienti dal Sud-Est asiati-
co resta una spina nel fanco delle relazioni tra Taiwan e l’Asean. La New
Southbound Policy (Nsp) lanciata dal presidente Tsai ha dato una spinta positiva a
questi legami. Se le precedenti politiche che guardavano a sud miravano principal-
mente a ridurre la dipendenza economica di Taiwan dalla Cina, l’Nsp si concentra
sui rapporti interpersonali in un esercizio diplomatico. Oltre al Sud-Est asiatico il
programma guarda all’Asia meridionale, all’Australia e alla Nuova Zelanda. Intanto
i taiwanesi si stanno aprendo al mondo. Ogni anno in 60-70 mila studiano all’este-
ro, prevalentemente in paesi anglofoni 10. Gli scambi accademici e professionali
hanno aiutato anche studiosi e studenti stranieri a comprendere meglio Taiwan, il
cui governo si è impegnato a trasformare il paese in nazione bilingue entro il 2030.
Taipei si è poi guadagnata elogi internazionali per la sua gestione del Co-
vid-19. Relativamente poco toccata dal virus, ha avviato programmi di assistenza ad
altri paesi fornendo dispositivi di protezione individuale e respiratori. Quando si è
trovata a corto di vaccini molti di questi Stati hanno ricambiato, criticando il fatto
che sia esclusa dall’Organizzazione mondiale della sanità. Le critiche sono state
sollevate anche durante le Olimpiadi di T§ky§, quando le medaglie d’oro conqui-
state da atleti taiwanesi hanno riacceso il dibattito sul divieto di usare la bandiera
nazionale.
Taiwan è in cerca delle proprie radici e dagli anni Novanta sta uscendo
dall’ombra cinese imposta dal Kuomintang. Alla riscoperta della storia che precede
l’istituzione della Repubblica di Cina si accompagnano i nuovi sforzi per abbraccia-
re la varietà culturale e immaginare un futuro più inclusivo. Lo sviluppo di questa
identità avviene nonostante la (o grazie alla) crescente propensione della Cina alla
riunifcazione ed è dunque rifesso della determinazione taiwanese a preservare il
proprio stile di vita.
I detrattori dell’Nsp ritengono questa politica inutile, vedendovi anche un de-
liberato tentativo di desinizzare Formosa a rischio di aumentare le tensioni nello
stretto. In realtà punta a facilitare un processo organico già in atto, evidenziando
caratteristiche a lungo ignorate. Strategicamente è anche il passo giusto per posi-
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zionare Taiwan nella più ampia regione indo-pacifca. La stabilità dello stretto resta
la preoccupazione principale, ma è giunto il momento che Taipei guardi oltre
l’Asia orientale condividendo risorse con vicini e partner affni.
Questi sviluppi non faranno piacere a Pechino, sempre più risoluta nel perse-
guire l’annessione. La Repubblica Popolare si sta sforzando di reclutare giovani
talenti taiwanesi nel settore tecnologico e nelle industrie di semiconduttori, mentre
le sanzioni agricole danneggiano le province rurali dell’isola (dove il Kuomintang
8. J. CHIANG, A. YANG, «A Nation Reborn? Taiwan’s Belated Recognition of Its Southeast Asian Heritage»,
The Diplomat, 28/9/2018.
9. D. I-RU CHEN, «Moving Toward a More Inclusive Society: The Educational Policy of New Immigrant
Children in Taiwan», Taiwan Insight, 21/8/2020.
10. «Studenti taiwanesi all’estero», ministero dell’Istruzione di Taiwan, 2017. 41
SE FORMOSA NON SI SENTE (PIÙ) CINA
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42
TAIWAN, L’ANTI-CINA
COME PROTEGGERE
LO STRETTO di LU Li-shih
L’ascesa militare di Pechino cambia i rapporti di forza nella partita
taiwanese e impone a Taipei di ripensare la sua sicurezza, adottando
tattiche innovative. Scenari d’invasione, possibili contromosse e
importanza degli aiuti esterni. Il cruciale esempio nipponico.
1. J. A. WINNEFELD, M. MORELL, «The War That Never Was?», Proceedings, agosto 2020, bit.ly/3AHgJOO
2. S. CROPSEY, «The US election could be a danger for Taiwan, an opportunity for China», The Hill,
17/9/20, bit.ly/3CJV6xR 43
COME PROTEGGERE LO STRETTO
dovettero ritirarsi dalle isole Dachen. La seconda coincise invece con la battaglia
d’artiglieria del 23 agosto 1958, che ebbe luogo nelle isole Quemoy. Le forze cine-
si riversarono oltre 400 mila colpi su soli 150 chilometri quadrati dell’arcipelago
fno al mese di ottobre, quando il ministro della Difesa cinese Peng Dehuai annun-
ciò la fne delle operazioni. La terza crisi fu causata dalla visita negli Stati Uniti del
presidente taiwanese Lee Teng-hui nel maggio 1995, con annesso discorso alla
Cornell University. A luglio l’Esercito popolare di liberazione (Epl) rispose lancian-
do 6 missili balistici a corto raggio verso le acque dell’isolotto Pengja, distante
circa 56 chilometri dall’estremità settentrionale di Taiwan, e condusse un’esercita-
zione anfbia nell’isola Dongshan della provincia di Fujian. L’anno successivo fu-
rono lanciati altri 4 missili in direzione dei porti taiwanesi di Keelung e Kaohsiung,
mentre le truppe cinesi conducevano altre manovre anfbie e si addestravano alla
guerra in montagna presso l’isola Pingtan, nella provincia di Fujian.
Nel 2008 il neoeletto presidente taiwanese Ma Ying-jeou del partito naziona-
lista Guomindang adottò invece una dottrina incentrata sulla ricerca della pace con
la Cina continentale, sull’amicizia con il Giappone e sulla vicinanza con gli Stati
Uniti. Fu in tale contesto che Taipei e Pechino siglarono due anni più tardi l’accor-
do quadro per la cooperazione economica bilaterale. Successivamente, nel 2015,
andò in scena a Singapore l’incontro fra i presidenti Ma Ying-jeou e Xi Jinping in
quello che è passato alla storia come il primo vertice bilaterale fra i due capi di
Stato a distanza di 66 anni dalla fne della guerra civile. A quel tempo sembrò che
il presidente Ma fosse riuscito nell’impresa di garantire la pace e di far acquietare
i venti di tensione nello stretto, complice la stipula di un apposito accordo com-
merciale destinato ad aprire i rispettivi mercati dei servizi agli investimenti della
controparte. La notizia scatenò invece la protesta studentesca e l’occupazione del
parlamento taiwanese da parte del movimento del girasole, che si opponeva alla
ratifca dell’accordo sostenendo la tesi che ciò avrebbe consentito a Pechino di
espandere la sua infuenza politica a Taipei agendo sulle leve economiche e com-
merciali del trattato. La protesta ebbe un ruolo di spicco nel favorire la sconftta del
Guomindang alle elezioni presidenziali del 2016, che videro la vittoria della candi-
data del Partito progressista democratico Tsai Ing-wen.
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La nuova presidente ha scelto di mantenere la linea dello status quo. Nel 2019
il discorso tenuto dal presidente Xi in occasione del 40° anniversario dal «messag-
gio ai compatrioti di Taiwan» del 1979 provocò la brusca reazione del governo Tsai,
secondo cui Taipei non accetterà mai il principio «un paese, due sistemi» caro in-
vece a Pechino. Da quel momento, i rapporti fra le due sponde dello stretto sono
diventati sempre più tesi.
n
e
Xiam
XXXX
Shamei
10 Beishan
XX
Nanshan XX
18
201 1
Lintsuo Yang
6
Lungkou
km
XXX
XVIII
Limiti dell’avanzata Qionglin
dell’Esercito XXX XX Grande Quemoy
popolare V 3 118
Jincheng XXXX
di liberazione Piccola 1,8
(25 ottobre) Quemoy
km 22
Shuitou
XXX
XXXX XXV Forze maoiste (in nero) attaccano Quemoy,
Reggimenti 12 XXXXX XXX ma lo sbarco fallisce per la resistenza dei
dei nazionalisti XIX
KINMEN nazionalisti (in grigio). L’isola è ancora taiwanese e
Unità corazzate dista un paio di chilometri da Xiamen (Rep. Pop. Cinese)
dei nazionalisti
ricostruire le proprie Forze armate sulla base del modello statunitense, per supe-
rarlo entro il 2025 e trasformare la Cina in una superpotenza militare a tutti gli
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effetti in grado di rivaleggiare con gli Stati Uniti. Ciò avrà delle profonde riper-
cussioni sui rapporti di forza nello stretto, che in futuro diverranno sempre più
favorevoli a Pechino. Già oggi Taipei vive nell’impossibilità di lanciarsi in un’a-
perta corsa al riarmo contro il rivale continentale: anche se il suo pil viaggia al
21° posto su scala globale (dati World Economic Outlook 2021), si tratta pur
sempre di una semplice frazione di quello cinese in seconda posizione (più pre-
cisamente, il 4,5%). Mentre stando alle stime del Pentagono 3, la Cina vanta una
spesa militare che grazie ai suoi continui incrementi è superiore di ben 15 volte
a quella di Taiwan.
3. «Military and Security Developments Involving the People’s Republic of China 2020», U.S. De-
partment of Defense, settembre 2020. 45
46
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Isole Quemoy L’ARCIPELAGO DELLE ISOLE QUEMOY
CINA Taipei
N
Xiamen Mashan
n
O E
wa
Tai
TAIWAN
di
hu Guan’ao S
ng
tto
Pe
re
St
Kaohsiung
Xiyuan Shanhou
COME PROTEGGERE LO STRETTO
Shamei
Guningtou Beishan
Nanshan Cimitero
GRANDE QUEMOY dei Martiri
Tempio di Li Guangqian
Xipotou
Anqi Longkou
PICCOLA QUEMOY Huxia
Qionglin Xiazhuang
Panshan Xiaojing
Dingbao
Shanwai
Jincheng Shangyi
Donglin Chenggong
Xintou
Tempio di Wang Yulan Torre Juguang Wucuo
Houfenggang Houhu Liaoluo
Qingqi
Shuitou
Guqiu
Jinmencheng
Zhushan
Strade principali
Area urbana di Jincheng (al 2006)
Territorio sotto ai 60 metri s.l.m.
Stretto di Taiwan Territorio tra i 60 e i 120 metri s.l.m.
0 1 2 3 Miglia Territorio oltre i 120 metri s.l.m.
TAIWAN, L’ANTI-CINA
318
300
297
200
110
100
0
2000 2005 2010 2015 2020
Cina Usa
zione), oltre che per le missioni di altre unità di analisi e di raccolta informazio-
ni. La Forza di supporto strategico e la Forza missilistica si addestrano ciclica-
mente con i reparti aeronavali dell’Epl nel Mar Cinese Meridionale e oltre i
confni meridionali della Zona di identifcazione per la difesa aerea di Taiwan,
segno che le forze cinesi sono perfettamente in grado di individuare i loro ber-
sagli all’interno della prima catena di isole.
Soprattutto dopo la parata militare organizzata nel 2019 a piazza Tiananmen
a Pechino per celebrare il 70° anniversario della fondazione della Repubblica
Popolare Cinese, l’Epl ha rivelato di aver sviluppato e reso operativo un gran
numero di droni: oltre a considerazioni di natura operativa e tattica, si tratta di
una mossa fnalizzata ad aggirare i vincoli numerici insiti nell’effettiva disponibi-
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paggi, oltre che di presidiare i colli di bottiglia a nord e a sud di Taiwan dove
nel 1996, durante la terza crisi dello stretto, la U.S. Navy fece affuire le sue forze
navali per proteggere Taipei. Le portaerei cinesi hanno il compito di scongiurare
l’arrivo delle fotte di Stati Uniti e Giappone che potrebbero essere mobilitate in
difesa dell’isola nell’eventualità di una crisi.
generale per la prima volta nel 2016, su impulso dell’allora ministro Feng Shih-
kuan e del suo vice. Il piano era fortemente innovativo: per esempio, suggeriva di
dotare le piste degli aeroporti taiwanesi di trampolini analoghi a quelli per il decol-
lo dei velivoli in uso sulle portaerei di modo da poter sopravvivere alla prima salva
di missili balistici e da crociera scagliati dal nemico. Oppure di costruire un gran
numero di unità navali sottili dal dislocamento inferiore alle 50 tonnellate, armate
con una coppia di missili antinave Hsiung Feng II (le cosiddette MicMab, dall’in-
glese micro missile assault boat). Il loro compito era di celarsi nei porti commer-
ciali di Taiwan in tempo di pace e di prendere il mare come un branco di lupi in
caso di confitto, bersagliando con le loro armi offensive i mezzi anfbi del nemico.
Anche l’Esercito si sarebbe dovuto dotare di grandi quantità di missili tattici per
50 saturare le difese cinesi.
TAIWAN, L’ANTI-CINA
Dopo il ricambio dei vertici ministeriali nel 2018, il progetto è stato abbando-
nato. Anche se il ministero ha continuato a porre l’accento sulla necessità di svilup-
pare dottrine innovative e sistemi di combattimento asimmetrici per assicurare la
difesa di Taiwan, l’Aeronautica ha preso posizione contro la costruzione di tram-
polini negli aeroporti mentre il programma delle MicMab veniva interrotto nel
2020. L’unico passo in avanti è stato l’acquisto dagli Stati Uniti di un sistema di ar-
tiglieria missilistica ad alta mobilità con un raggio d’azione di 300 chilometri nel
giugno 2021. Nel frattempo il concetto di difesa generale riusciva a fare il suo in-
gresso nel Rapporto nazionale di difesa, il documento strategico delle Forze arma-
te taiwanesi, anche se per la sua completa applicazione bisognerà percorrere una
strada ancora lunga e tortuosa.
della Jamestown Foundation. L’idea è stata ripresa anche dall’ex presidente del
Center for Strategic and Budgetary Assessment, Andrew F. Krepinevich, che gli ha
dedicato un articolo pubblicato nel marzo 2015 su Foreign Affairs 5 e poi un libro 6.
L’autore descrive la difesa arcipelagica come lo spiegamento di mine e di sistemi
per la difesa aerea, antimissile e antinave da parte degli Stati arroccati sulla prima
catena insulare (Filippine, Taiwan e Giappone), ovvero quelli che possono inter-
4. T. YOSHIHARA, J.R. HOLMES, «Ryukyu Chain in China’s Island Strategy», Jamestown Foundation,
10/9/2010, bit.ly/3ALNcn6
5. A.F. KREPINEVICH, «How to deter China: The case of Archipelagic Defence», Foreign Affairs, vol. 94,
n. 2, marzo-aprile 2015, bit.ly/39DemAM
6. A.F. KREPINEVICH, Archipelagic Defense: The Japan-US Alliance and Preserving Peace and Stability in
the Western Pacifc, T§ky§ 2017, Sasakawa Peace Foundation, pp. 46-51. 51
COME PROTEGGERE LO STRETTO
capacità offensive delle sue Forze armate e la difesa contro i missili balistici e da
crociera cinesi di nuova generazione.
52
TAIWAN, L’ANTI-CINA
LIMES Taiwan è uno Stato indipendente di fatto, il suo nome uffciale è Repubbli-
ca di Cina. Perché non è indipendente de iure? Nel prossimo futuro avete inten-
zione di dichiarare l’indipendenza, così da colmare il divario tra realtà e fnzione
diplomatica?
WU Taiwan non ha bisogno di dichiarare l’indipendenza: siamo già uno Stato in-
dipendente e sovrano. Abbiamo un governo e un esercito, emettiamo passaporti,
eleggiamo il nostro presidente con il voto popolare, abbiamo relazioni diploma-
tiche con 15 Stati. La Cina non ha mai governato Taiwan. Eppure, la leadership
della Repubblica Popolare ha incluso unilateralmente Taiwan nel suo «sogno ci-
nese». Pechino continua a comprimere la nostra libertà d’azione internazionale, ci
intimidisce sul piano militare e retorico, turba con le sue azioni la pace e la stabi-
lità nello stretto che ci separa. È la Cina che ha perso il contatto con la realtà.
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Nel 2020 il vostro paese è stato uno di quelli colpiti più duramente in Europa
dall’epidemia di Covid-19. Il governo e la società civile taiwanesi hanno donato
all’Italia 500 mila mascherine protettive, 30 ventilatori polmonari e 62 imballaggi di
materiale medico per aiutare gli operatori sanitari a combattere il virus. Nella con-
ferenza stampa del 27 aprile 2020, il capo del dipartimento della Protezione civile
Angelo Borrelli ha riconosciuto pubblicamente l’importanza di queste donazioni
mettendo Taiwan al vertice della lista dei paesi ringraziati. A dimostrazione del
fatto che «Taiwan può essere d’aiuto» e a conferma dello spirito di reciproca amici-
zia espresso dallo slogan: «Italia e Taiwan: sane, insieme».
Ogni anno diverse agenzie governative taiwanesi offrono agli studenti italiani bor-
se di studio per completare il proprio percorso universitario in materie specialisti-
che e per perfezionare la conoscenza della lingua cinese. Nel 2020 a Taiwan c’era- 55
‘LA CINA UNICA NON ESISTE, TAIWAN NON SI PIEGHERÀ ALLA PREPOTENZA DI PECHINO’
no 239 studenti italiani, mentre in Italia studiavano 212 taiwanesi. Anche gli scam-
bi culturali tra i due paesi non sono trascurabili: artisti e associazioni culturali tai-
wanesi vengono regolarmente invitati a Venezia per partecipare alle iniziative
della Biennale: la Mostra internazionale d’arte cinematografca, l’Esposizione inter-
nazionale d’arte e la Mostra internazionale d’architettura.
Negli ultimi anni il parlamento italiano ha fornito un sostegno concreto alla parte-
cipazione di Taiwan alle organizzazioni internazionali. Lo scorso maggio, per
esempio, una sessantina di parlamentari italiani di diversa provenienza politica
hanno sottoscritto la lettera indirizzata dal Formosa Club al direttore generale
dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) per perorare l’inclusione di Tai-
wan in quest’ultima; la petizione sottolinea l’apporto disinteressato di Taiwan ai
consessi internazionali. Per quanto riguarda le minacce e le vessazioni nei nostri
confronti condotte dalla Cina mediante i suoi aerei da guerra, quest’anno l’Italia ha
aderito ai comunicati del G7 dei ministri degli Esteri e dello Sviluppo e del G7 dei
capi di Stato e di governo che hanno sottolineato l’importanza della pace e della
stabilità nello Stretto di Taiwan. Tali dichiarazioni incarnano il carattere universale
della difesa della democrazia e della pace, valori condivisi dai nostri paesi. Il go-
verno taiwanese apprezza il sostegno offerto dal parlamento e dal governo italiani
e intende continuare a cooperare con l’Italia e altre nazioni affni per sviluppare
ulteriormente i rapporti bilaterali.
LIMES La nostra rivista ha sede a Roma, dove Taiwan ha un’ambasciata presso la
Santa Sede e un Uffcio di rappresentanza presso la Repubblica Italiana. Cosa pen-
sa dell’accordo tra la Repubblica Popolare Cinese e la Santa Sede?
WU La Repubblica di Cina (Taiwan) ha stabilito relazioni diplomatiche con la Santa
Sede nel luglio 1942. Nel 1943 venne istituita una legazione, che nel giugno 1959
è divenuta un’ambasciata. L’Uffcio di rappresentanza di Taipei in Italia è stato
aperto uffcialmente il 15 aprile 1991. Dopo questa data, l’ambasciata presso la
Santa Sede non ha più dovuto offrire servizi diplomatici sul territorio nazionale
italiano. Come gli altri Stati, Taiwan ha ora due missioni diplomatiche a Roma, in
armonia con il principio per il quale le missioni presso la Santa Sede e la Repub-
blica Italiana pertengono a giurisdizioni diverse.
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Qualunque sia la natura dei negoziati e degli accordi con la Cina, la Santa Sede
persegue obiettivi religiosi superiori: riaffermare che il papa ha l’ultima parola sul-
la nomina dei vescovi cinesi e far progredire la libertà religiosa nella Repubblica
Popolare, cosicché i cattolici cinesi possano praticare normalmente la loro fede.
Nel settembre 2018 la Santa Sede ha siglato con la Cina un accordo provvisorio
sulla nomina dei vescovi, rinnovato per due anni nell’ottobre 2020. Negli ultimi tre
anni il pontefce ha ordinato sei vescovi cinesi, ristabilendo la propria somma au-
torità in tale materia.
Sfortunatamente, secondo i media durante questo periodo la libertà religiosa in
Cina è peggiorata e i cattolici sono stati oggetto di una rigida repressione. Credo
sia per questo che nell’intervista dello scorso 1° settembre all’emittente spagnola
56 Radio Cope papa Francesco abbia rimarcato che «la questione della Cina non è
TAIWAN, L’ANTI-CINA
facile» e che «si può essere ingannati nel dialogo». Auspichiamo che la Repubblica
Popolare inizi a rispettare sinceramente la libertà religiosa e i valori universali.
LIMES In termini culturali, Taiwan è parte del mondo cinese? Se non lo è, come
defnirebbe l’identità taiwanese?
WU Taiwan possiede elementi della cultura cinese. Si tratta di una caratteristica
ancestrale che condivide con altre comunità cinesi dei paesi del Sud-Est asiatico,
come Singapore, Malaysia, Filippine, Thailandia e Indonesia, così come con quelle
di Stati Uniti e Canada. Ma Taiwan non fa assolutamente parte della Repubblica
Popolare Cinese, quest’ultima non ha governato Taiwan neanche per un solo gior-
no. Il sistema politico taiwanese, fondato sulla libertà e sulla democrazia, è in
netto contrasto con l’autocrazia comunista di stampo totalitario della Cina. Tra i
due paesi esiste un divario di fondo in termini di sistema di governo, rispetto delle
libertà individuali e diversità sociale.
Data la sua collocazione geografca all’intersezione tra il continente asiatico e l’O-
ceano Pacifco, Taiwan ha assorbito simultaneamente elementi delle culture ocea-
nica e continentale. La sua popolazione è composta da autoctoni, coloni prove-
nienti dal Guangdong e dal Fujian, persone trasferitesi sull’isola durante la guerra
civile cinese e nuovi immigrati. Tale confgurazione sociale ha consentito lo svilup-
po di una cultura variegata e inclusiva. Taiwan rispetta la democrazia, i diritti uma-
ni, lo Stato di diritto e fa propri i valori tradizionalmente considerati universali.
Tutto ciò l’ha resa una storia di successo sotto il proflo della democrazia e della
prosperità economica. Il che, fra l’altro, dimostra che il governo democratico e la
cultura cinese sono compatibili e smentisce la menzogna del governo cinese, se-
condo cui «la democrazia non è adatta alla Cina».
Per riassumere, la cultura taiwanese è stata in grado di incorporare la diversità. Non
è solo in linea con le tendenze globali, presenta anche delle caratteristiche uniche
che la rendono un modello per i cinesi etnici in ogni parte del mondo. I 23 milio-
ni di taiwanesi non sono solo una comunità culturale ma anche una collettività che
condivide un destino comune. Ciascun taiwanese si batte per lo sviluppo sosteni-
bile e la prosperità di Taiwan e i taiwanesi nel loro insieme si impegnano per sal-
vaguardare la libertà e la democrazia.
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«Cina unica» e che prevede l’applicazione del modello «un paese, due sistemi» a
Taiwan, con lo scopo di raggiungere l’unifcazione della Cina. Per noi si tratta di
un approccio inaccettabile. Hong Kong è un esempio perfetto per comprendere la
nostra posizione. Nel 1984 la Cina promise di applicare a Hong Kong il principio
«un paese, due sistemi», assicurando che lo stile di vita hongkonghese sarebbe ri-
masto immutato per cinquant’anni. Lo scorso anno, tuttavia, la Repubblica Popola-
re ha approvato la legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong, riducendo enor-
memente la libertà di espressione e l’indipendenza dei giudici locali e autorizzando
arresti arbitrari di attivisti per la democrazia e professionisti dei media. I membri a
favore della democrazia del Consiglio legislativo di Hong Kong sono stati privati
del loro seggio, mentre negli ambiti della cultura e dell’istruzione sono state impo-
ste censura e altre forme di restrizioni. I paesi democratici di tutto il mondo, Italia
inclusa, hanno severamente condannato queste azioni. Il calpestamento del siste-
ma democratico a Hong Kong ha permesso al popolo taiwanese di svelare il vero
volto del modello «un paese, due sistemi», così come la disonestà e l’abitudine a
tradire le promesse dell’autoritario regime comunista cinese.
Secondo un sondaggio condotto quest’anno dal Consiglio per gli affari continentali
di Taiwan, l’89,2% dei taiwanesi si oppone al modello «un paese, due sistemi», men-
tre il 76,1% è contrario al principio della «Cina unica» e al «consenso del 1992». Que-
sti dati rivelano che, al di là delle appartenenze politiche, la stragrande maggioranza
della popolazione taiwanese rifuta in modo netto il governo autoritario cinese.
LIMES Se fosse il leader della Repubblica Popolare Cinese che tipo di politica adot-
terebbe nei confronti di Taiwan?
WU Non posso fare ipotesi in tal senso e neppure parlare per conto della Repub-
blica Popolare Cinese in riferimento alla sua politica nei confronti di Taiwan. In
una democrazia matura, le priorità di un capo di Stato responsabile dovrebbero
essere la prosperità della popolazione, una duratura pace interna e la stabilità re-
gionale, non le ambizioni politiche personali e la permanenza al potere del proprio
partito a discapito del benessere del popolo e degli interessi nazionali. Attualmen-
te, il leader della Repubblica Popolare centralizza il potere e non lascia alcuno
spazio alle critiche e al dissenso. Non solo ha distrutto la democrazia e la libertà a
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Hong Kong e soppresso i diritti umani nel Xinjiang, ma ha anche investito consi-
derevoli risorse in azioni provocatorie contro i vicini mediante l’applicazione della
tattica della zona grigia e della diplomazia del «lupo guerriero». Tutto ciò non sod-
disfa gli interessi della popolazione e non ha altra conseguenza che appannare
l’immagine della Cina.
Di recente Pechino ha consapevolmente perseguito una politica di aggressione
militare e di costante espansionismo. Nel giro di 25 anni il suo bilancio militare è
decuplicato. La Cina ha inoltre inesorabilmente incrementato le azioni ostili nei
nostri confronti, che includono innumerevoli intrusioni dei suoi aerei da guerra
nella Zona di identifcazione per la difesa aerea di Taiwan allo scopo di intimidire
la popolazione taiwanese, ha adottato un approccio espansionista nei Mari Cinesi,
58 ha istigato sanguinosi confitti al confne con l’India e minacciato la libertà di volo
TAIWAN, L’ANTI-CINA
e di navigazione nel Mar Cinese Meridionale. Tutte iniziative che mettono in peri-
colo la pace e la stabilità regionali. Anche paesi come Giappone, Filippine, Indo-
nesia e Malaysia si sentono minacciati.
Il governo cinese dovrebbe mettere la popolazione al centro della sua azione, ri-
spettare la democrazia e la libertà, difendere i diritti umani, improntare al pragma-
tismo e alla ragionevolezza le relazioni tra le due sponde dello stretto, essere
aperto a un dialogo alla pari con Taiwan e rispettare le opinioni del popolo taiwa-
nese, così da permettere alle due parti di promuovere congiuntamente rapporti
bilaterali pacifci. La Cina dovrebbe inoltre aderire alle norme internazionali, coo-
perare con la comunità internazionale per assicurare stabilità e sicurezza tanto
nella regione quanto a livello globale, smettere di sfdare l’ordine globale e trasfor-
mare il «sogno cinese» in un progetto che rechi benefcio – e non detrimento –
all’umanità.
LIMES Gli Stati Uniti si stanno schierando sempre più al fanco di Taiwan e contro
Pechino. Accettereste l’installazione di una base americana sul vostro territorio? A
Taiwan esiste già una sorta di ombrello americano in grado di scoraggiare un’ag-
gressione cinese contro il vostro paese?
WU L’ascesa della Cina ha creato minacce notevoli per la comunità internazionale.
Le democrazie occidentali, capeggiate dagli Stati Uniti, sono diventate estremamen-
te vigili nei confronti della condotta della Repubblica Popolare e hanno iniziato a
comprendere la vera natura del suo espansionismo autoritario. Ormai c’è un vasto
e consolidato consenso circa la pericolosità delle molteplici sfde insite nell’ascesa
cinese. Taiwan è la prima linea di difesa della comunità democratica contro questo
regime autoritario e gioca dunque un ruolo indispensabile nella salvaguardia della
sicurezza e della prosperità dell’intera comunità internazionale.
L’amministrazione Biden ha ripetutamente riaffermato la propria volontà di rispet-
tare il Taiwan Relations Act e le «sei assicurazioni»: il suo impegno a favore di Tai-
wan è granitico. Il presidente americano ha spesso espresso preoccupazione per
le azioni provocatorie del governo cinese e ha invitato gli alleati degli Stati Uniti a
manifestare apertamente l’importanza che attribuiscono alla pace e alla stabilità
nello Stretto di Taiwan. Ha confermato la politica che ha normalizzato la vendita di
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TAIWAN RIPENSA
LA PROPRIA DIFESA di Alberto DE SANCTIS
I progressi della Marina cinese obbligano Taipei a puntare su
armamenti più agili. Obiettivo: non già un’ormai impossibile
vittoria campale, ma vendere cara la pelle in chiave deterrente.
L’incognita americana. Taiping, laboratorio del nuovo corso.
1. T
RE SONO LE PIÙ RILEVANTI PARTITE MARITTIME
con cui deve fare i conti Taiwan, la piccola nazione arcipelago costretta a convi-
vere da sempre con le mire egemoniche della Repubblica Popolare Cinese (Rpc)
che ne minacciano sovranità, pretese territoriali e fonti di approvvigionamento.
La piccola democrazia sorge all’intersezione degli spazi marini fra l’Asia orien-
tale e il Pacifco occidentale, subisce in pieno l’assertività marittima di Pechino e i
contraccolpi del duello Stati Uniti-Cina che ne determinerà la traiettoria geopolitica.
Senza per questo rinunciare a pensare il mare, sua fonte di sostentamento, benes-
sere e sicurezza.
La prima partita si gioca direttamente nelle acque dello Stretto di Taiwan, dove
la crescita del potere militare cinese ha sovvertito i tradizionali rapporti di forza
novecenteschi e pende come un macigno sull’indipendenza della Repubblica di
Cina (Roc). La seconda riguarda le considerevoli rivendicazioni di Taipei sul Mar
Cinese Meridionale, cui si contrappone una postura del tutto peculiare assunta in
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questi anni nel bacino. La terza ha a che fare con la proiezione marittima di For-
mosa (nome dato dai portoghesi all’isola) incarnata dalle sue fotte di pescherecci
e con la continuità delle sue rotte di approvvigionamento.
2. L’ascesa cinese confgura la più grave forma di minaccia alla stabilità e all’in-
dipendenza di Taipei. Per Pechino l’isola è una provincia da assoggettare entro il
2049, centenario della fondazione della Rpc entro cui la dirigenza comunista inten-
de completare il «risorgimento» nazionale. Più della preminenza politica, della sta-
bilità interna e del prestigio, per la Cina conta il dilemma strategico.
Taiwan è il bastione che ostruisce i passaggi verso l’oceano e che con la sua
indipendenza di fatto logora da oltre settant’anni le risorse politiche, economiche
e militari del gigante asiatico. Impossessarsene signifcherebbe per Pechino dare 61
TAIWAN RIPENSA LA PROPRIA DIFESA
3. Consci della posta in palio e del valore geostrategico della loro isola, gli
strateghi taiwanesi reagiscono alle provocazioni e alla pressione cinesi adottando
le medesime tattiche con cui Pechino intende ostacolare i movimenti aeronavali
dell’America nei mari d’Asia e logorarne le forze con una battaglia d’attrito in caso
di confitto.
Messa da parte ogni velleità di competere con le truppe della Rpc sul piano
quantitativo e qualitativo – fgurarsi affrontare in mare aperto le oltre 170 unità
navali della Mepl con la propria trentina scarsa – Taiwan punta a vincere questa
partita marittima rendendo insostenibile il costo di un’invasione cinese. A tal fne
scommette sulla propria orografa, sull’ampiezza dello stretto e sull’acquisto di si-
stemi d’arma idonei ad allontanare la prospettiva dello scontro armato (deterrenza)
e ad aumentare le chance di sopravvivenza in caso di guerra (difesa costiera).
Posto che soltanto il 10% delle coste insulari si presta a sbarchi anfbi e che
le navi nemiche dovrebbero navigare in mare aperto per ore sotto il fuoco di
sbarramento taiwanese, le Forze armate della Roc puntano a dotarsi in misura
crescente di sistemi missilistici anti-aerei, antinave e terra-terra, unitamente ai
relativi impianti di scoperta, lancio e puntamento, frutto di acquisti realizzati
negli Stati Uniti e di programmi militari indigeni 3. È un approccio che privilegia
l’acquisto in massa di sistemi relativamente economici e forse anche poco appa-
riscenti come gli apparati missilistici di breve gittata, ma che pure si prestano
alla difesa contro un’invasione e facendo sì che alleati del calibro di Washington
e T§ky§ possano correre in soccorso con un’azione diretta contro la Cina o at-
tuando un blocco navale ai suoi danni in uno o più stretti asiatici che essa non
controlla.
Nel dibattito in corso a Taipei su come ristrutturare lo strumento militare per
affrontare al meglio la sfda cinese fa capolino anche l’opzione di missili a lungo
raggio in grado di colpire direttamente il territorio della Rpc 4. È una potenziale
novità che qualora venisse concretizzata marcherebbe un cambio di passo radica-
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3. D. AXE, «Taiwan is arming itself to beat a Chinese invasion. Some new weapons are better than
others», Forbes, 13/9/2021.
4. «Taiwan says needs long-range weapons to deter China», Reuters, 27/9/2021. 63
TAIWAN RIPENSA LA PROPRIA DIFESA
4. Itu Aba è una delle cento isole che compongono l’arcipelago Spratly, nel
cuore del Mar Cinese Meridionale. Dista quasi mille miglia da Taiwan, da cui è
raggiungibile in tre ore e mezza di volo in direzione sud. Con i suoi 36 ettari di
superfcie è la prima per estensione fra quelle di origine naturale dell’arcipelago,
ma scivola al quarto posto dietro a Mischief (565 ettari), Subi (394) e Fiery Cross
(273) se considerati anche gli isolotti artifciali costruiti da Pechino a partire dal
dicembre 2013.
I taiwanesi la conoscono come Taiping, in memoria della nave militare che vi
approdò per occuparla nel 1946 all’indomani della seconda guerra mondiale, an-
che se la loro presenza stanziale sull’isola risale al 1956, complice la rinuncia nip-
ponica pochi anni prima a rivendicare le terre emerse del bacino. Al pari di molte
altre isole del Mar Cinese Meridionale oggi Itu Aba ospita diverse infrastrutture, fra
cui una pista d’atterraggio lunga circa 1.200 metri con annesse installazioni ausilia-
rie, un centro di raccolta per le acque pluviali, un ospedale, un faro e un approdo
protetto in grado di garantire il rifornimento e l’ormeggio di navi con dislocamento
fno a duemila tonnellate.
La vicenda di Taiping è importante poiché esemplifca il tipo di atteggiamen-
to assunto da Taipei nel mare conteso. Sapendo di non poter competere con i
vicini, a cominciare dalla Cina, si adopera per bilanciare le sue aspirazioni di
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lungo corso con i rilevanti interessi nazionali nel bacino. Sul piano formale riven-
dica per sé l’intero spazio marittimo in nome di una carta del governo nazionalista
cinese degli anni Trenta del Novecento, ripubblicata nel 1947 per sostanziare l’e-
sistenza di un preminente interesse cinese sull’area. Nel concreto, non ha però i
mezzi né le risorse per far valere questo punto di vista. Tanto più quando le sue
rivendicazioni ricalcano esattamente quelle di Pechino (che si rifà alla medesima
mappa 5) e scontano quelle di altri attori rivieraschi: Vietnam, Filippine, Malaysia,
Brunei.
5. È la nota carta con la linea dei nove trattini che inglobano l’intero Mar Cinese Meridionale, poi
diventati dieci nel 2015 per abbracciare meglio la stessa Taiwan, che la dirigenza comunista cinese
considera una provincia da riportare sotto il proprio controllo. Cfr. G. CUSCITO, «Le nuove regole della
64 Cina sulle mappe», limesonline.com, 15/12/2015.
SPRATLY
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V North East Cay F Nares Bank
V
South Reef Trident Shoal Reed Bank
a le Templer Bank
n West York
VIETNAM F F Sandy Shoal
io Hopkins Reef Seahorse Shoal
Subi Reef C
F F Brown Bank
id Loai ta & Reefs F
r
Cu Lao Hon F
e
V Petley Reef Wood Bank
Western or Eldad Reef
T V
M
Roche Yusan Flora Temple Reef Jackson Atoll
Southern Bank
C V Nam Yit Southampton Reefs Carnatic Shoal
se
V Chigua Reef
Discovery C
e
Petite Catwick Great Reef V C Mischief Reef Sabina Shoal
C Union Banks & Reefs C
in
Roche Julia
n
C
Dhaulle Shoal Fiery Cross or
w
Canges Reef
C
a
ar
P
M
V London Reefs V Pearson Reef V Pigeon Reef Royal Captain Shoal FILIPPINE
Cuarteron Reef
V C V Half Moon Shoal
Spratly V V
Ladd Reef East Reef Alison Reef
V Cay Marino
C
Limiti delle
Louisa Reef rivendicazioni Siti occupati da:
M marittime C Cina
Cina F Filippine
Vietnam M Malaysia
Brunei
North Luconia Shoals Malaysia V Vietnam
Filippine T Taiwan
M A L AY S I A Banchi di sabbia
0 50 100 km Isole
South Luconia Shoals
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LA RETE MARITTIMA NELL’ASIA DEL NORD-EST
FED. RUSSA Rumoi Kushiro
Principali rotte
commerciali marittime
Vladivostok Tomakomai
Nakhodka
Hakodate
Sonbŏng
Mar de l Hachinohe
G i appone Noshiro
Akita
Haikeng COREA Sakata
Donggou
DEL
NORD Sendai
Tianjin Dalian Namp’o Niigata
Kashiwazaki
Ch’unch’ŏn
Inch’ŏn Tokyo
Takaoka
Yantai Weihai COREA
DEL SUD P’ohang Kanazawa
Shidao Kunsan Tsuruga Shizuoka
Qingdao Pusan Nagoya
Ōsaka
Yŏsu GIAPPONE
Rizhao
Xugou
Fu
ku
ok
C I N A i a
k
sa Miyazaki
ga
Na
Shanghai
Zhenhai
M ar OCEANO PACIFICO
Ci nes e
O ri ent ale
Jiaojiang
Okinawa
(GIAPPONE)
MAR CINESE MERIDIONALE CINA
M YA N M A R
Đảo Bạch Long Vĩ
Acque interne
Hainan
Acque contese (Cina)
o rivendicate
Acque arcipelagiche
Giacimenti di gas
Giacimenti di petrolio
LAOS
Giacimenti in sfruttamento
Bangkok
Siracha
Rayong CAMBOGIA
Mar Cinese
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Meridionale
M A L A Y S I A
Kertech
Kuala Lumpur
INDONESIA
INDONESIA
Singapore
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Paesi pro-Usa
F E D . R U S S A (India, Vietnam, Singapore, Indonesia, Malaisya,
Indonesia, Timor Est, Australia,
Corea del Sud, Giappone)
Paesi pro-Cina
KAZAKISTAN GIAPPONE (Pakistan, Nepal)
M O N G O L I A COREA
DEL NORD
Paesi equidistanti
(Kazakistan, Mongolia, Kirghizistan,
KIRGHIZISTAN Ürümqi COREA DEL SUD Tagikistan, Afghanistan, Myanmar, Thailandia,
Pechino Laos, Cambogia, Filippine, Taiwan)
TAGIKISTAN Minaccia latente
X I N J I A N G
Prima (Corea del Nord)
AFGHANISTAN C I N A catena
di Isole
T I B E T Canale di Miyako
PAKISTAN Lhasa Passaggio per incursioni cinesi
(Sede amministrativa nell’Oceano Pacifco
TAIWAN Guam (USA)
NEPAL delle isole del Mar
Cinese Meridionale)
O c e a n o P a c i f i c o
I N D I A Atollo di Scarborough
MYANMAR Sansha (sottratto alle Filippine Seconda catena di Isole
LAOS dalla Cina)
HAINAN
ARCO DI TENSIONE FILIPPINE
THAILANDIA
CINA - USA VIETNAM
CAMBOGIA
Confni marittimi
Isola cinese di Hainan
Nuova base per sottomarini nucleari (Base di Yulin)
Isole contese nel Mar Cinese Meridionale
Isole Paracel (Importante piattaforma petrolifera cinese e presenza di caccia J-11) MALAYSIA
Isole Spratly (7 isole artifciali con equipaggiamenti militari e basi per missili terra-aria)
Isole Senkaku/Diaoyu SINGAPORE
I N D O N E S I A
Aree cinesi di massima instabilità
TIMOR EST
“Ten-dotted line”, rivendicazioni cinesi nel Mar Cinese Meridionale
THAILANDIA
Bangkok
CAMBOGIA
ISOLE ANDAMANE
(India)
Phnom Penh
VIETNAM
Basi aeronavali Ho Chi Minh
one
indiane
Ve
app
rs
la
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Canale Dieci Gradi T
il Gi
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ilan
l Golfo Persi
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NICOBARE
(India)
Cina
dall’Africa
la
Verso
esi
da altri pa
Mar Cinese
Meridionale
MALAYSIA
Kuala Lumpur
Medan
Singapore
Stretto di Malacca
Lungo 800 km e ampio tra i 180 e i 50 km BORNEO
(nella parte più angusta si restringe fno a 2,8 km)
I N D O N E S I A
Padang
S U M AT R A
LO STRETTO DI MALACCA
Fonte: ReCAAP; Marine Department of Malaysia; Us Eia 2016
strutture sono state eclissate dalla muraglia di sabbia che Pechino ha eretto dalle
Paracel alle Spratly, con l’intento di far valere le sue pretese egemoniche sull’inte-
ro teatro marittimo.
Taiwan ha scelto invece una postura diametralmente opposta, fondata sul ri-
dimensionamento dell’impronta militare a Taiping e sulla ricerca della cooperazio-
ne con i vicini. Negli anni Duemila ha ritirato il contingente di fanti di Marina che
presidiava l’isola, rimpiazzandolo con personale della Guardia costiera (poco me-
no di 200 uomini). Nel mentre ribadiva che non avrebbe mai trasformato l’isola in
una fortezza 6 e riduceva la frequenza e l’entità delle esercitazioni condotte local-
mente, in passato motivo di frizione con gli altri attori rivieraschi. L’ultima grande
serie di manovre aeronavali risale al 2014 7.
Oggi l’idea prevalente in seno alla dirigenza taiwanese è trasformare Itu Aba
in un polo di ricerca scientifca e soprattutto in un centro di assistenza umanitaria,
per fronteggiare eventuali disastri marittimi innescati da eventi ambientali estremi
o legati a incidenti occorsi lungo una delle gremite rotte mercantili passanti per il
Mar Cinese Meridionale. Emblematico il caso delle esercitazioni organizzate con
regolarità a Taiping e dintorni dal 2016 per esibire le capacità della Guardia costie-
ra taiwanese di condurre operazioni di ricerca e soccorso ed evacuare eventuali
feriti direttamente negli ospedali di Formosa 8.
In questa politica di riduzione delle occasioni di scontro rientra la scelta di asse-
gnare alle navi civili del corpo statale di sicurezza marittima e non alle unità militari
della Marina il pattugliamento delle acque contese. La Guardia costiera di Taiwan
vive da almeno dieci anni un processo di notevole crescita capacitiva che testimonia
il senso d’urgenza con cui Taipei vuole gestire le questioni marittime. Se a fne anni
Novanta del Novecento non era neppure in grado di operare con continuità nel Mar
Cinese Meridionale, oggi ha quasi raggiunto l’obiettivo di poter mantenere una pre-
senza navale fssa nelle acque di Taiping. Un’altra novità di rilievo è stata la scelta di
dipingere il nome «Taiwan» sulle murate delle sue navi, per distinguerle dalle omolo-
ghe cinesi che incrociano al seguito della milizia paramilitare e delle bande di pe-
scherecci inviate da Pechino a reclamare se necessario con la forza le acque contese.
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Micronesia, isole Marshall e Salomone, con soste a Majuro nelle Marshall e a Suva
nelle Figi. Nell’Oceano Indiano pescano negli spazi marittimi compresi fra le coste
di Kenya, Madagascar, Seychelles e Maurizio. In Atlantico centrale sono a ridosso
del Golfo di Guinea con scali a Dakar in Senegal, Nouadhibou in Mauritania e
Conakry in Guinea.
Le attività legate alla pesca costituiscono uno degli esempi più lampanti delle
capacità di proiezione marittima di un paese; per questo possono alimentare la
competizione geopolitica fra rivali e subirne gli effetti indiretti. Il caso taiwanese
è emblematico al riguardo, poiché la possibilità di operare a lungo raggio negli
spazi oceanici stride con una presenza in netto calo nelle acque di casa. L’asim-
metria è dovuta a diversi fattori, fra cui il crollo delle riserve ittiche locali (negli
anni Settanta le barche si procacciavano fno a 20 tonnellate di pescato restando
in mare per 20 giorni, oggi è impossibile), le rivalità che infammano la regione a
ogni latitudine e la scelta delle autorità di Taipei di destinare le loro relativamente
scarse risorse nazionali ad altri compiti rispetto alla protezione muscolare del na-
viglio da pesca.
In Asia orientale i pescherecci taiwanesi operano dunque soprattutto nelle
acque sud-occidentali a ridosso di Formosa, compiendo rare incursioni verso le
Paracel a sud-ovest e il banco di Scarborough, in direzione delle Filippine, più a
sud. Nel mentre devono registrare la presenza dei battelli cinesi che infestano le
acque prossime al continente fno a 200 chilometri dalla costa e che iniziano a
intensifcare la loro presenza soprattutto nelle Spratly e verso la Malaysia, forti
della copertura garantita loro dalla Marina militare e dalla Guardia costiera cinesi
e della possibilità di utilizzare le nuove installazioni presenti nelle isole artifciali
del Mar Cinese Meridionale. Per sfuggire al rischio di subire le ispezioni delle
autorità straniere, che spesso comportano la confsca del carico e l’affondamento
delle navi, i pescatori taiwanesi sono costretti a rispolverare le tattiche dei convo-
gli della seconda guerra mondiale – operando a stretto contatto gli uni con gli
altri per far massa contro le incursioni avversarie.
Tutto ciò fa del Mar Cinese Meridionale uno dei bacini più pericolosi al mon-
do per chi lo percorre in cerca di risorse, specialmente da quando in ballo non ci
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9. Dati 2020, Uffcio dell’energia e ministero degli Affari economici della Repubblica di Cina. 67
TAIWAN RIPENSA LA PROPRIA DIFESA
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68
TAIWAN, L’ANTI-CINA
TAIWAN CINA
Superfcie 136a 3a
Popolazione 52a 1a
Pil pro capite 39a 76a
Pil 2021 21a 2a
Indice globale di connessione, 2020 19a 70a
Indice di percezione della corruzione (Transparency International, 2020) 28a 78a
Global Peace Index 2021 34a 100a
Competitività globale (Imd, 2021) 8a 16a
Eguaglianza di genere (Undp, 2019) 11a 39a
Libertà economica (2021) 6a 107a
Libertà politica (Freedom House Freedom Report 2021) paese libero paese non libero
La Cina è il terzo paese più esteso al mondo, mentre Taiwan è il 136°; la prima
ha 1,4 miliardi di abitanti, Taiwan poco più di 23 milioni. Eppure la Repubblica di
Cina sorpassa Pechino in molti indici globali: competitività, eguaglianza di genere,
libertà economica tra gli altri.
2. Le relazioni Cina-Taiwan erano complicate già sul fnire del XIX secolo: nel
1895 la dinastia Qing cedette l’isola al Giappone dopo essere stata da questo scon-
ftta. Il 1° ottobre 1949 veniva fondata la Repubblica Popolare; a dicembre la Re-
pubblica di Cina, rovesciata sul continente, si rifugiava a Taiwan. Sorse allora un
problema: chi rappresenta la Cina?
La relativa risoluzione Onu 2758 del 1971 non fa menzione di Taiwan: l’As-
semblea generale, «riconoscendo i rappresentanti del governo della Repubblica
Popolare Cinese quali unici rappresentanti legittimi della Cina alle Nazioni Unite e
che la Repubblica Popolare Cinese è uno dei cinque membri permanenti del Con-
siglio di Sicurezza, decide la riabilitazione della Repubblica Popolare Cinese in
tutti i suoi diritti e (…) l’espulsione immediata dei rappresentanti di Chiang Kai-
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shek dal posto illegittimamente occupato alle Nazioni Unite e in tutte le organizza-
zioni a esse afferenti».
Pechino ha usato la risoluzione per indurre il mondo ad accettare la politica di
«una sola Cina», secondo cui «esiste solo una Cina e Taiwan ne è parte». In realtà la
Repubblica Popolare non ha mai governato Taiwan; affermare che la seconda ap-
partenga alla prima è dunque illogico e illegittimo.
Nel 1987 il governo taiwanese prese ad autorizzare visite dei propri cittadini in
Cina; ne seguirono scambi culturali e socioeconomici, cresciuti nel tempo. Da al-
lora e fno al 2019, vigilia del Covid-19, Taiwan è stata visitata 31,5 milioni di volte
da cinesi del continente, mentre le visite di taiwanesi in Cina sono state 105,4 mi-
lioni. Oggi sono oltre 400 mila i cittadini di Taiwan che lavorano regolarmente in
70 Cina e ogni anno 2 mila studenti dell’isola studiano sul continente. I cinesi della
TAIWAN, L’ANTI-CINA
3. Nei decenni passati gli Stati Uniti hanno ingenuamente creduto di poter
trasformare la Cina in una democrazia attraverso l’interscambio economico, ma
alla fne si sono resi conto che Pechino è determinata a rafforzare il suo sociali-
smo per dominare il mondo. Dal 2010 il pil cinese ha superato quello del Giap-
pone, divenendo secondo solo a quello statunitense. Nel 2015 Michael Pillsbury,
sottosegretario aggiunto alla Difesa con Ronald Reagan, ha pubblicato The Hun-
dred-Year Marathon: China’s Secret Strategy to Replace America as the Global
Superpower. Il libro svela come i presidenti statunitensi abbiano soddisfatto le
pretese di Pechino e fortemente sostenuto lo sforzo cinese volto a divenire una
moderna potenza socialista. Quelle rivelazioni fecero realizzare ai politici di Wa-
shington che la Cina era determinata a sfdare gli Stati Uniti. La strategia ameri-
cana di allearsi con la Repubblica Popolare contro l’Unione Sovietica aveva inf-
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ne prodotto un mostro.
Pillsbury usò l’espressione «panda huggers» («quelli che abbracciano il panda»)
per designare i flocinesi americani che sostenevano la necessità di fornire copiosi
aiuti economici, tecnologici e militari alla Cina, onde coltivarne i talenti in questi
ambiti. Incrementando l’assistenza a Pechino nella lotta contro Mosca, essi pensa-
vano di concorrere a fare della Cina un paese libero, democratico e pacifco.
Tuttavia, la teoria dei panda huggers si basava su cinque postulati rivelatisi
drammaticamente errati: che tra Cina e Stati Uniti possa esservi una cooperazione
totale, che la Cina vada verso la democrazia e la libertà, che il paese sia fragile e
innocuo, che non abbia altre ambizioni all’infuori della prosperità e della moder-
nizzazione, che al suo interno la fazione dei falchi sia debole. I falchi hanno in-
vece fnito per prevalere e sono molto infuenti nella cerchia ristretta di Xi Jinping. 71
DUE PIEDI, DUE STAFFE: IL FASCINO DEL MODELLO SINGAPORE
Essi sono determinati a riscattare il «secolo delle umiliazioni» e aspirano a far sì che
la Cina rimpiazzi l’America come egemone economico, militare e politico entro il
2049, centenario della Repubblica Popolare. È questa l’essenza della «secolare
maratona» cinese.
Con Xi la Cina ha adottato una duplice strategia: la «diplomazia del lupo guer-
riero» mira a rintuzzare qualsiasi critica esterna con una retorica aggressiva e of-
fensiva; la «potenza afflata» punta a coniugare hard power (militare ed economi-
co) e soft power (culturale e sociale) per infuenzare, infltrare, incitare, corrompe-
re, manipolare e forzare altri paesi ad assecondare gli obiettivi di Pechino. Solo in
anni recenti il mondo ha preso coscienza di questa seconda strategia e sempre più
paesi occidentali hanno alzato la guardia, contribuendo al sorgere di un diffuso
sentimento anticinese. Il 15 settembre 2021 i leader di Australia, Stati Uniti e Re-
gno Unito hanno deciso di ampliare la loro cooperazione diplomatica e militare
nell’Indo-Pacifco annunciando il partenariato trilaterale Aukus con funzione di
deterrenza verso la Cina.
Il Covid-19 ha fatto comprendere meglio al mondo la natura della Repubblica
Popolare Cinese e la virtù di Taiwan: se alla prima si addebita la diffusione del
virus, la seconda è lodata per averlo schivato nel 2020 e per aver aiutato altri pae-
si bisognosi di sostegno. L’amministrazione Trump ha ricalibrato le relazioni Usa-
Cina e Usa-Taiwan, dando importanza al valore strategico di Taipei e includendola
nel partenariato per la sicurezza dell’Indo-Pacifco. In questo periodo molti parla-
mentari del Congresso hanno presentato leggi a favore di Taiwan e quattro sono
state approvate: il Taiwan Travel Act e l’Asia Reassurance Initiative Act del 2018, il
Taiwan Allies International Protection and Enhancement Initiative (Taipei) Act del
2019 e il Taiwan Assurance Act del 2020.
Anche l’amministrazione Biden sostiene fortemente Taiwan. Il consigliere per
la Sicurezza nazionale Jake Sullivan ha dichiarato che «l’impegno americano verso
Taiwan resta più forte che mai» e che tale impegno «è sacrosanto». Il 19 agosto, in
un’intervista a Abc News il presidente ha detto: «L’articolo 5 [della Carta Atlantica] ci
impegna in modo ferreo a rispondere in caso d’aggressione a un membro della
Nato, ma lo stesso vale per Giappone, Corea del Sud e Taiwan. È persino superfuo
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dell’Asia. L’Ue è il maggiore investitore estero a Taiwan, con uno stock di investi-
menti pari a 45 miliardi di dollari. Siccome nel 2020 il paese era considerato sicuro
sotto il proflo del Covid-19, il governo ha donato mascherine e altri dispositivi
medici a svariati paesi. Il 1° aprile il presidente Tsai ha annunciato che Taiwan
avrebbe donato 10 milioni di mascherine a paesi seriamente colpiti dall’epidemia,
7 milioni dei quali sono andati a paesi europei, Italia inclusa.
Questi sforzi hanno pagato. Nell’agosto 2020 una delegazione uffciale della
Repubblica Ceca diretta dal presidente del Senato Miloš Vystr0il si è recata a Tai-
wan malgrado le pressioni cinesi; la delegazione ha espresso sostegno a Taipei e
ha promesso di non piegarsi alle pretese di Pechino. Un anno dopo Taiwan ha
ricevuto in dono da Praga 30 mila dosi del vaccino Moderna. Nel luglio 2021 il
ministero degli Esteri taiwanese ha annunciato che la Lituania aprirà una rappre-
sentanza commerciale a Taiwan, mentre questa aprirà una sua rappresentanza a
Vilnius. La Lituania ha donato 20 mila dosi del siero AstraZeneca a Taiwan e 62
europarlamentari di 20 paesi hanno indirizzato una lettera congiunta al governo
lituano per sostenerne la determinazione ad approfondire i legami con Taipei. Il 16
luglio la Commissione europea ha annunciato che la Slovacchia donerà 10 mila
dosi di vaccini a Taiwan per ricambiare l’elargizione di 700 mila mascherine nel
2020; a settembre anche la Polonia ha inviato 400 mila dosi di AstraZeneca in «se-
gno di solidarietà» e riconoscenza per le donazioni di materiale medico effettuate
da Taiwan l’anno scorso.
Nell’ottobre 2019 alcuni membri dei parlamenti europeo, britannico, francese
e tedesco hanno fondato il Formosa Club per sostenere Taiwan sulla base di valo-
ri condivisi, come la democrazia e i diritti umani. Ora questo gruppo conta oltre
cento parlamentari provenienti anche da Belgio, Portogallo, Irlanda, Slovacchia,
Polonia, Svezia, Repubblica Ceca, Finlandia, Svizzera, Danimarca e Italia. Il 1° set-
tembre 2021 la commissione Esteri del Parlamento europeo ha approvato la bozza
del rapporto «Eu-Taiwan Relations and Cooperation» a sostegno delle relazioni Ue-
Taiwan. Il rapporto chiede alla Ue di prepararsi alla possibile frma di un trattato
bilaterale d’investimento e di rinominare l’Eeto in «Eu Offce in Taiwan»; propugna
inoltre relazioni bilaterali più strette, esprime forte preoccupazione per le pressioni
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militari cinesi su Taiwan, chiede alla Ue di fare di più per proteggere la democrazia
taiwanese e lo status dell’isola quale importante partner dell’Unione.
Il 13 giugno i leader del G7 hanno diramato un comunicato congiunto per
«sottolineare l’importanza della pace e della stabilità nello Stretto di Taiwan e inco-
raggiare la pacifca risoluzione delle dispute che lo investono». È la prima volta che
la questione di Taiwan compare in un comunicato scritto del G7.
ripetutamente insistito sul principio di «una sola Cina», che ovviamente è la Repub-
blica Popolare di cui Taiwan sarebbe una piccola parte. Tuttavia, se Taipei e Pe-
chino fanno entrambe un passo indietro e stipulano un compromesso, quest’anno-
sa disputa può essere risolta rimpiazzando «una sola Cina» con «un solo chunghwa».
Questa parola indica gli individui di discendenza e cultura cinesi e può essere
usata per descrivere i cinesi quale gruppo etnico con un retroterra socioculturale
comune. Nel 1901 il flosofo cinese Liang Qichao coniò la formula «nazione cinese»,
poi rinominata chunghwa per indicare i cinesi etnici che scrivono usando i carat-
teri mandarini.
Dei 23,6 milioni di persone che vivono a Taiwan, fatto salvo un piccolo grup-
po di indigeni i cui antenati non si mischiarono con gli han, quasi tutti hanno in
74 varia misura un retroterra cinese. Praticano e coltivano anche la cultura cinese,
TAIWAN, L’ANTI-CINA
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(traduzione di Fabrizio Maronta)
75
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TAIWAN, L’ANTI-CINA
TIANRAN DU
LA NUOVA GENERAZIONE
DELL’INDIPENDENZA di Bi-yu CHANG
Le tappe del cammino identitario, fra pedagogia nazionale
e storiografia geopolitica. La morta foglia di begonia.
La rivalutazione di indigeni e dominazione giapponese.
Democrazia e indipendentismo, due facce della stessa medaglia.
vranità di Taiwan e al suo futuro generano tensioni politico-militari tra i due lati
dello stretto, accentuando le differenze tra i rispettivi valori e stili di vita. L’Esercito
popolare di liberazione (Epl) ha intensificato le intimidazioni negli ultimi anni, ini-
ziando a intraprendere esercitazioni di accerchiamento dell’isola. I numerosi aerei
militari cinesi che recentemente hanno operato nella Zona d’identificazione per la
difesa aerea di Taiwan hanno allarmato Taipei e innervosito Washington 4. Visto il
rischio di trascinare due superpotenze in un conflitto armato, molti considerano lo
Stretto di Taiwan uno dei punti più caldi del pianeta 5. La chiave dei contrasti tra le
due sponde è proprio il cambiamento dell’identità taiwanese, manifestatosi nel cre-
scente indipendentismo e nella diffusione del sentimento anticinese. La dinamica
può essere influenzata da sviluppi politici e socioeconomici, nonché dalle minac-
ce esterne; ma anche dai cambiamenti nel dibattito pubblico, specie in quei di-
scorsi che una società generalmente accetta come veri – un regime di verità, per
dirla con Foucault 6.
La prima svolta in merito risale a metà anni Novanta, quando le relazioni tra
le due sponde peggiorano. Tra il 1995 e il 1996 Pechino avvia esercitazioni missi-
listiche nelle acque di Taiwan per influenzare le prime elezioni presidenziali
dell’isola. Provocati dall’aggressione cinese, i taiwanesi si stringono attorno a Lee
Teng-hui, il candidato più indipendentista, eletto con il 54% dei voti. Il sondaggio
sulla percezione identitaria del 1995 mostra una marcata inversione di tendenza:
per la prima volta i «solo taiwanesi» (25%) sorpassano i «solo cinesi» (17,6%). La
seconda svolta si verifica nel 2005, quando Pechino inizia a corteggiare i pochi
alleati di Taiwan e approva la legge antisecessione che legalizza l’intervento mili-
tare qualora l’isola dichiari l’indipendenza. Le ripercussioni si manifestano nel
sondaggio sull’identità del 2005, nel quale i «solo taiwanesi» sorpassano quanti si
definiscono «taiwanesi e cinesi» e da allora sono il gruppo dominante. Siamo di
fronte a un capovolgimento della psiche collettiva che rivela non solo cosa i tai-
wanesi credono di essere, ma soprattutto cosa non sono: cinesi. Taiwan smette di
considerarsi un’isola cinese di frontiera e prende a pensarsi centro dell’Asia-Paci-
fico, rivalutando il fattore geografico.
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7. T. ANDRADE, How Taiwan Became Chinese: Dutch, Spanish, and Han Colonization In the Sevente-
enth Century, New York 2010, Columbia University Press.
8. W. HSU, «From Aboriginal Island to Chinese Frontier: The development of Taiwan before 1683», in
R. KNAPP, China’s Island Frontier, Honolulu 1980, The University Press of Hawaii, pp. 3-30.
9. Ibidem.
10. D. DAVIES, D. FELL, C. HUANG, Taiwan’s contemporary indigenous peoples, London 2021, Routledge.
11. Per capire come si è sviluppato questo discorso e come sono stati divisi i quattro gruppi, si ve-
da F. WANG, «Studi sulle relazioni etniche di Taiwan», Rivista internazionale di studi su Taiwan, n.
1/2018, pp. 64-89 (in cnese).
12. A. HSIAU, Restructuring Taiwan: The Cultural Politics of Contemporary Nationalism, Taipei 2012,
Lianjing, p. 210. 79
TIANRAN DU, LA NUOVA GENERAZIONE DELL’INDIPENDENZA
no); i confini nazionali basati sulla versione del 1947 (a forma di qiuhaitang ye,
foglia di begonia, a simboleggiare la completezza del territorio nazionale); le di-
visioni amministrative della Rpc (35 province, 12 comuni, due regioni e un di-
stretto speciale). Accedere ai dati geografici e produrre mappe di buona qualità
poteva mettere in guai seri i cartografi, sospettabili di spionaggio o di minaccia-
re la sicurezza nazionale.
13. B. CHANG, Place, Identity and National Imagination in Post-war Taiwan, London 2015, Routled-
ge, pp. 155-206.
14. B. CHANG, «So Close, Yet So Far Away: Imaging Chinese “Homeland” in Taiwan’s Geography
Education (1945-67)», Cultural Geographies, vol. 18, n. 3, 2011, pp. 385-412; B. CHANG, «Constructing
the Motherland: Culture and the State in Taiwan», in D. FELL, What has Changed? Taiwan Before
and After the Change in Ruling Parties, Wiesbaden 2006, Harrassowitz, pp. 187-206.
80 15. A. HSIAU, «Narrating Taiwan out of the Chinese Empire: Rewriting Taiwan’s History from a Taiwa-
nese Perspective in the 1970s», Studies in Ethnicity and Nationalism, vol. 18, n. 2, 2018, pp. 93-126.
TAIWAN, L’ANTI-CINA
16. B. CHANG, «Constructing the Motherland: Culture and the State in Taiwan», art. cit.
17. J. MAKEHAM, A. HSIAU, Cultural, ethnic, and political nationalism in contemporary Taiwan: ben-
tuhua, New York 2005, Palgrave Macmillan. 81
TIANRAN DU, LA NUOVA GENERAZIONE DELL’INDIPENDENZA
taiwanesi hanno preso a temere sempre più gli effetti di una stretta integrazione
con la Cina, sicché l’approccio filocinese di Ma è divenuto assai impopolare. Du-
rante il suo secondo mandato lo Yuan (il parlamento di Taipei) bocciò il Cross-
strait Service Trade Agreement (Cssta); il 18 marzo 2014 un gruppo di studenti ir-
ruppe nell’assemblea e la occupò per 23 giorni. Fuori si radunarono centinaia di
migliaia di studenti, membri di ong e attivisti per chiedere riforme. La protesta,
nota come Movimento del girasole o Movimento 318, ha modificato il panorama
politico dell’isola e le relazioni con il continente 18. Dando priorità alla giustizia
sociale, alla libertà e all’uguaglianza, i giovani taiwanesi hanno rigettato l’approc-
cio di Ma che privilegiava sviluppo economico e sicurezza nazionale. Il movi-
mento ha consolidato una nuova generazione tianran du («indipendentista per
natura»): secondo i sondaggi la proporzione di giovani che supporta l’indipen-
denza è molto più alta della media nazionale e continua a crescere, di pari passo
con il sentimento anticinese e anti-autoritario 19.
Pechino ha risposto alla crescente democratizzazione dell’isola con disprez-
zo, puntando all’unificazione attraverso la coercizione, che si esplica in una stra-
tegia duale: «irrigidire le politiche già rigide e ammorbidire quelle già morbide» 20.
Tradotto: da una parte Pechino crede che i benefici dell’economia condurranno
Taiwan a adeguarsi (quindi all’unificazione) e in quest’ottica persegue «l’utilizzo
del mercato per orientare la politica», onde conquistare cuori e menti dei taiwa-
nesi. Ne sono esempi le 31 misure huiTai («a beneficio di Taiwan») del 2018 21 e i
26 approfondimenti delle stesse del 2019 22. Dall’altra parte la Repubblica Popola-
re preme su Taiwan (e su altri paesi) affinché accetti il principio «una sola Cina»,
impiegando a tal fine la brutale politica «dei tre muri»: sottrare a Taiwan i suoi al-
leati, impedirne la partecipazione al sistema internazionale e ridurla a provincia
rinnegata 23. Le misure atte a isolare Taiwan ne hanno compresso lo spazio, per
esempio escludendola dalle riunioni dell’Organizzazione mondiale della sanità
(Oms) e impedendole di acquisire i vaccini BioNTech contro il Covid-19 24. La
brutale repressione a Hong Kong attesta cosa potrebbe succedere a Taiwan,
quindi non stupisce che il principio cinese «un paese, due sistemi» non susciti
grandi entusiasmi nei taiwanesi.
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18. D. FELL, Taiwan’s social movements under Ma Ying-jeou: From the Wild Strawberries to the Sun-
flower, London 2017, Routledge.
19. T. LIN, «Political Identity of Young Generation in Taiwan, 1995-2015», Hong Kong Journal of So-
cial Sciences, n. 49/2017, pp. 27-65; L. CHEN, «Evaluating Cross-strait Relations and 2020 Presidential
Election from the Prospective of Public Opinions», Prospect & Exploration, vol. 17, n. 4, 2019, pp.
125-142.
20. G. MOORE, «China’s strategic posture in the Asia-Pacific Region», in S. SHEN, Multidimensional di-
plomacy of contemporary China, Lanham 2010, Lexington Books, p. 94.
21. I.C. FORSYTH, «Analyzing China’s 31 Measures for Taiwan», China-US Focus, 24/4/2018.
22. B. BLANCHARD, «China holds out carrot ahead of Taiwan election, but few convinced», Reuters,
28/11/2019.
23. D.V HICKEY, «Beijing’s Evolving Policy toward Taipei: Engagement or Entrapment», Issues & Stu-
dies, vol. 45, n. 1, 2019, pp. 47-55.
24. J. FENG, «China Decries U.S. “Interference” for Donating Vaccines to Taiwan», Newsweek,
82 22/06/2021.
TAIWAN, L’ANTI-CINA
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25. J. RUTHERFORD, «Interview with Homi Bhabha: The Third Space», Identity: Community, Culture,
Difference, London 1990, Lawrence & Wishart, p. 219.
26. L. KUO, «Taiwan becomes first in Asia to legalise same-sex marriage», The Guardian, 17/5/2019. 83
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TAIWAN, L’ANTI-CINA
LE CITTÀ
DI TAIPEI di Joe ALLEN
La topografia della capitale riflette le colonizzazioni subite da Formosa
nei secoli. Il marchio urbanistico di Qing, giapponesi e Chiang Kai-
shek. Il superamento del trauma legato al Terrore bianco e la cultura
aborigena plasmano la nuova identità della Repubblica di Cina.
1. A TAIPEI LE MANIFESTAZIONI DI
protesta e le celebrazioni iniziano spesso nell’ampio ma corto Ketagalan Boule-
vard. Da qui, volgendo lo sguardo a oriente, si distingue la vecchia Porta orientale,
ormai priva delle sue mura, e in lontananza il grattacielo Taipei 101. A ovest si
trova il palazzo presidenziale, un maestoso edifcio d’epoca coloniale che vanta
quella che un tempo era la torre più alta della città. Sul fronte settentrionale del
quadrante si trovano il Parco Memoriale della Pace 228 e la foresteria di Taipei. A
sud invece è ubicato un giardino tradizionale cinese, dedicato alla memoria dei
primi leader nazionalisti. Questi luoghi esemplifcano la complessità urbanistica e
ideologica di Taipei. La Porta orientale venne costruita durante la dinastia Qing, ma
la sua importanza è legata al periodo della colonizzazione giapponese; mentre la
parte superiore della struttura è il risultato della revisione autoritaria portata avanti
nel 1965. Il palazzo presidenziale è un esempio audace di architettura coloniale
nipponica, ma divenne la sede del governo nazionalista nel 1949. Oggi il Parco
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Memoriale ospita il Monumento alle vittime del Terrore bianco, come viene chia-
mato il periodo del governo nazionalista. Ketagalan Boulevard venne costruito dai
giapponesi come via d’accesso a questo edifcio, con vista sulla Porta orientale. I
nazionalisti lo chiamarono Chiang Kai-shek Road. Nel 1996, il governo taiwanese
gli cambiò il nome in Ketagalan Boulevard in onore della popolazione indigena
che abitava il bacino di Taipei prima dell’arrivo dei coloni cinesi, europei e giap-
ponesi. Che si tratti di proteste studentesche, gay pride, manifestazioni per i diritti
indigeni o contro politiche sconsiderate, la topografa della città induce la popola-
zione a radunarsi a Ketagalan Boulevard.
Ciò che rende Taipei unica in Asia orientale e forse nel mondo sono i repen-
tini cambiamenti di infuenza culturale a cui è stata sottoposta. Ciascuno di essi ha
lasciato un marchio profondo: il tardo impero cinese (1887-95); l’iniziale moderniz- 85
LE CITTÀ DI TAIPEI
zazione come città coloniale giapponese (1895-1945); l’alleanza con gli Usa duran-
te la guerra fredda, quando Taiwan era guidata dai nazionalisti (1949-88); l’aboli-
zione della legge marziale nel 1987, che ha gettato le basi per una società civile
libera e pulsante in cui si mescolano culture locali e globali.
fci nella parte nord-orientale della città. Ma tutto si fermò improvvisamente con
l’avvento della guerra sino-giapponese e la cessione dell’isola da parte della dina-
stia Qing nel 1895.
La struttura urbana di Taipei era in linea con questa tradizione. Le mura erano
una elaborata costruzione in pietre e mattoni, alta quasi cinque metri e lunga circa
8,5 chilometri, con una notevole merlatura lungo la parte superiore. Vi erano cin-
que porte posizionate in maniera sistematica seppure sparsa: una per ogni lato
delle mura, con quella a sud dotata di un ingresso secondario. Gli ingressi princi-
pali erano quelli a nord e a ovest, poiché conducevano direttamente alle città fu-
viali periferiche di Mengjia e Dadaocheng.
La conformazione esterna di Taipei era molto più chiara rispetto a quella in-
terna. Sebbene il quadrante nord-orientale fosse abbastanza sviluppato e dotato di
edifci commerciali e governativi, nel resto della città gli insediamenti erano sparsi
prima dell’arrivo dei giapponesi. Una pratica consolidata nel processo di moderniz-
zazione cinese del XX secolo era l’abbattimento delle antiche mura. Proprio come
queste rappresentavano il tradizionale controllo amministrativo, la loro distruzione
suggellava la rimozione di tale presa e l’avvento della modernità. La volontà di
radere al suolo la città aveva una logica complessa da un punto di vista sociologico
e condizionata dalle circostanze locali, ma il risultato era molto chiaro. Sulla traccia
delle mura venivano costruite strade che circondavano la città. Spesso però le por-
te rimanevano intatte. Così venivano reifcate: trasformate da qualcosa di vuoto e
apparentemente assente in un elemento solido e concreto. Questo sembra essere
dovuto al riconoscimento del ruolo delle porte cittadine nella cultura tradizionale,
nonostante il rapido avvio verso la modernizzazione. Una volta rimosse le mura,
gli ingressi non erano più un passaggio che agevolava il traffco cittadino: diventa-
vano un ostacolo che la viabilità doveva aggirare o con cui doveva scendere a
patti. Le porte divennero quindi l’emblema di una tradizione da dimenticare e un
impedimento a quello che era diventato il nuovo modo di fare le cose.
del dirigente civile Got§ Shinpei, la cui amministrazione durò dal 1898 fno al 1905.
Una delle prime mosse di Got§ Shinpei nel processo di modernizzazione di
Taihoku fu proprio progettare la demolizione della cinta muraria. Per la prima
volta delle mura cinesi furono rase al suolo per ammodernare una città. Era un
processo in linea con quello che sarebbe accaduto nella Cina continentale nei de-
cenni successivi, sebbene le peculiari condizioni di Taipei ne infuenzarono il risul-
tato. Innanzitutto, la demolizione portò alla creazione di strade che circondavano
il complesso urbano. Si trattava dei larghissimi viali a tre corsie (sanxian lu), sul
modello di quelli parigini. Nel 1965 George Kerr scrisse: «Le antiche porte cittadine
vennero preservate come monumenti decorativi, diventando il punto focale per le
ampie vie radiali e per le strade alberate che portavano verso le campagne». Tracce
di questi viali che si snodano nel vecchio centro sono facilmente individuabili nel- 87
LE CITTÀ DI TAIPEI
vicende dell’isola sotto un velo aborigeno che sminuiva il passato locale e colonia-
le di Formosa. A questo scopo, il museo nel giardino botanico veniva utilizzato
principalmente per la promozione della cultura e della storia della Cina continen-
tale. Entrambi i musei sono stati rivisitati signifcativamente dopo l’abolizione della
legge marziale, lasciando spazio alla cultura e alla storia di Taiwan.
Il museo Kodama-Got§ era soltanto uno dei tanti edifci costruiti all’interno
della città e ispirati agli stili architettonici occidentali. Questo processo iniziò con la
costruzione della residenza uffciale del governatore generale nel 1901. Molti di
questi complessi sono ancora in uso, compresa la sua residenza, oggi foresteria di
Taipei. Tra questi, nessuno è più importante o degno di nota della sede del gover-
no coloniale (Sotokufu) costruito in pietra e mattoni in stile rinascimentale. Termi-
88 nato nel 1919, incarnava le aspirazioni nipponiche per la colonia, dominava la
TAIWAN, L’ANTI-CINA
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Qing per molte delle strade (sebbene con una pronuncia giapponese), ma nessuno
di questi venne salvaguardato dai nazionalisti. Gli effetti della sinizzazione furono
visibili anche nella costruzione degli edifci pubblici risalenti agli anni Sessanta con
un’architettura cinese fnto-tradizionale, riprendendo lo stile dei palazzi di Pechino.
Tra questi, le più maestose erano le sale concerti del Memoriale di Chiang Kai-
shek. Forse il cambiamento più profondo non fu il risultato delle politiche pubbli-
che ma della pressione demografca rappresentata da un’ondata di cittadini conti-
nentali che arrivò nel 1950. Questi occuparono gli edifci residenziali giapponesi
situati nelle periferie orientali, vivendo a tutti gli effetti nella casa del nemico.
Successivamente, quasi tutte le parti residenziali caratterizzate da un proflo basso
e affascinante furono sostituite dagli onnipresenti – e, bisogna dirlo, sgradevoli –
condomini in cemento e piastrelle a quattro piani degli anni Sessanta e Settanta.
Durante la transizione dal dominio giapponese a quello nazionalista, anche le
porte della città subirono una serie di adeguamenti concettuali. Quando il governo
nazionalista arrivò a Taiwan non ereditò soltanto l’imponente Sotokufu, ma anche
la sua visione della Porta orientale e l’ideologia dello sguardo verso est. Lo spazio
intorno a questo ingresso urbano crebbe d’importanza simbolica quando nell’area
furono costruite altre importanti istituzioni, come il memoriale di Chiang Kai-shek,
la moderna biblioteca centrale, l’ospedale universitario di Taiwan e la sede del
Partito nazionalista. Per contrastare questo sguardo verso est gli immigrati conti-
nentali si distanziarono consapevolmente da parti taiwanesi della città come
Mengjia e Dadaocheng, che si erano fuse in un’unica area ininterrotta lungo il
lungomare oltre la Porta Nord.
Nel quadro della sinizzazione della città, tre ingressi furono «rinnovati» nel
1965. L’intera loro metà superiore fu ricostruita nello «stile di palazzo» settentriona-
le, che era considerato più «cinese» rispetto a quello meridionale originale. L’unica
porta che sfuggì a tale destino fu quella a nord. La quale perse progressivamente
prestigio durante il periodo giapponese e all’inizio di quello nazionalista principal-
mente perché era strettamente associata alle antiche parti taiwanesi della città.
Venne deciso di non «restaurare» la porta perché doveva essere abbattuta per far
posto alle rampe di uscita e ingresso della nuova autostrada. Ma nel 1977 le prote-
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ste degli abitanti ne impedirono la demolizione. Si trattò di una delle prime mani-
festazioni locali di successo sotto la legge marziale. Tuttavia, il governo decise di
costruire ugualmente l’autostrada. Le rampe che si snodavano a pochi centimetri
dalla porta lasciavano intendere che alla fne le autorità avevano avuto comunque
la meglio sulla popolazione.
6. Molte cose sono cambiate a Taiwan dall’abolizione della legge marziale nel
1987. La riscrittura dei libri di testo e i nuovi memoriali per i defunti sono esempi
che saltano agli occhi. Alcuni cambiamenti sono stati repentini, altri più lenti. In
questo processo, Taipei è stata radicalmente trasformata, soprattutto quando il mo-
vimento nativista ha cercato di annullare gli sforzi di sinizzazione del governo na-
zionalista. Gli edifci giapponesi abbandonati, comprese le residenze, sono stati 91
LE CITTÀ DI TAIPEI
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92
TAIWAN, L’ANTI-CINA
I MICROCHIP
COME POLIZZA
PER LA VITA di John LEE
1. J. LEE, J-P. KLEINHANS, «Would China invade Taiwan for TSMC?», The Diplomat, 15/12/2020.
2. A. CRAWFORD, J. DILLARD, H. FOUQUET, I. REYNOLDS, «The World Is Dangerously Dependent on Tai-
wan for Semiconductors», Bloomberg, 25/1/2021.
3. E. HUANG, «TSMC overtakes Tencent to become Asia’s most valuable company, as China
crackdown takes a toll», Cnbc, 21/8/2021.
4. A. NEWMAN, «US and China are weaponising global trade networks», Financial Times, 1/9/2019.
5. «Building Resilient Supply Chains, Revitalizing American Manufacturing, and Fostering Broad-Ba-
sed Growth, 100-Day Reviews under Executive Order 14017», The White House, giugno 2021.
6. «Statement of President Joe Biden on Senate Passage of the U.S. Innovation and Competition Act»,
The White House, 8/6/2021. 93
I MICROCHIP COME POLIZZA PER LA VITA
sta relativa al ruolo di Taiwan nell’industria globale dei semiconduttori non po-
trebbe essere più alta 7.
L’industria mondiale dei circuiti integrati è il paradigma di filiera transnazio-
nale «fortemente modulare», essendo costituita da stadi complessi e altamente
specialistici distribuiti in vari paesi 8. Tale filiera si suddivide in otto fasi, ognuna
delle quali è dominata da determinate aziende che vi si sono specializzate nell’ar-
co di decenni conseguendo ampie economie di scala 9. L’azienda olandese ASML
si avvale ad esempio di 5 mila fornitori per produrre macchinari usati in un solo
stadio del processo produttivo 10: si tratta delle macchine per la litografia ultravio-
letta estrema oggi necessarie a produrre i processori di ultima generazione, usati
tra l’altro negli smartphone più avanzati 11.
Nelle catene produttive altamente modulari il dominio tecnologico raggiunto
dagli attori dominanti nella rispettiva nicchia è molto difficile da scalfire; le forze
di mercato oppongono una resistenza formidabile ai tentativi dei governi di spo-
stare particolari fasi produttive entro la loro giurisdizione (la cosiddetta rilocaliz-
zazione) per ragioni di sicurezza nazionale. Quanto ai semiconduttori, un recente
studio ha stimato in oltre mille miliardi di dollari i soli costi vivi necessari a ripro-
durre l’intera filiera a livello regionale, con un conseguente rincaro dei prodotti fi-
niti di oltre il 60% ai ritmi di consumo del 2019 12. Ma la domanda globale di se-
miconduttori cresce del 13% l’anno 13.
Taiwan ha sostenuto per decenni la posizione delle sue industrie in fasi speci-
fiche della produzione di circuiti integrati 14. Le aziende di quest’isola, che conta 24
milioni di abitanti, assommano oggi il 70% delle fonderie e il 50% degli impianti di
assemblaggio-test-confezionamento dei microchip. Ma coprono anche il 18% della
fase progettuale, seconde solo alle aziende statunitensi 15. Le fonderie rappresenta-
no l’89% dell’industria taiwanese dei semiconduttori; negli anni Ottanta Tsmc è sta-
ta la prima a sperimentare la delocalizzazione del processo 16 e oggi domina il 50%
del mercato mondiale in termini di valore 17. I suoi impianti più avanzati, necessari
7. «Full Text: Speech by Xi Jinping at a ceremony marking the centenary of the CPC», Xinhua,
1/7/2021.
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8. E. THUN, D. TAGLIONI, T.J. STURGEON, M.P. DALLAS, «Massive modularity: Why reshoring supply chains
will be harder than you may think», Banca Mondiale, 17/6/2021.
9. J. LEE, J.-P. KLEINHANS, «Mapping China’s Semiconductor Ecosystem in Global Context: Strategic Di-
mensions and Conclusions», MERICS e Stiftung Neue Verantwortung, giugno 2021.
10. J.-P. KLEINHANS, N. BAISAKOVA, «The Global Semiconductor Value Chain: A Technology Primer for
Policy Makers», Stiftung Neue Verantwortung, ottobre 2020, p.17.
11. T. DE CHANT, «The Chip Choke point», The Wire China, 7/2/2021.
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13. «Global Semiconductor Sales Increase 13.2% year-to-year in January», Semiconductor Industry
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14. «Taiwan and the global electronics industry», Nature Electronics, vol. 229, n. 4, aprile 2021.
15. MENG-FAN CHANG, CHING LIN, CHANG HONG SHEN, SUNG WEN WANG, KUO CHENG CHANG, R. CHEN-HAO
CHANG, WEN KUAN YEH, «The role of government policy in the building of a global semiconductor in-
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16. M. LIU, «Taiwan and the foundry model», Nature Electronics, vol. 229, n. 4, 14/5/2021.
94 17. «2 charts show how much the world depends on Taiwan for semiconductors», Cnbc, 15/3/2021.
TAIWAN, L’ANTI-CINA
ad esempio per realizzare i circuiti integrati degli ultimi dispositivi Apple 18, hanno
in Samsung e Intel gli unici concorrenti paragonabili ma nessuna delle due ha fon-
derie pure-play, specializzate cioè (come Tsmc) nei microchip 19. Nel solo 2021 l’a-
zienda taiwanese spenderà oltre 30 miliardi di dollari in ricerca e sviluppo e recen-
temente ha annunciato un cruciale passo avanti nella messa a punto del processo
per la produzione della prossima generazione di circuiti, quelli da un nanometro 20.
Tsmc e gli altri campioni taiwanesi dei semiconduttori non hanno però fatto
tutto da soli. I loro successi si nutrono di input provenienti da aziende sparse in
tutto il mondo 21, come i fornitori di materiali e apparecchiature olandesi (ASML)
e giapponesi. Anche per avanzare nel suo stesso campo Tsmc si affida a partner
stranieri, come il Massachusetts Institute of Technology e il belga Imec 22. Malgra-
do gli sforzi di Taipei per attrarre sul proprio territorio aziende straniere chiave, le
industrie locali resteranno dipendenti dall’estero sia per la domanda di loro pro-
dotti sia per la capacità di realizzarli 23.
18. «Apple partner TSMC to increase chip production prices by up to 20%», Apple Insider, 25/8/2021.
19. S. JONES, «No, Intel and Samsung are not passing TSMC», SemiWiki, 2/12/2020.
20. A. PATTERSON, «TSMC Raises Capital Budget to $30B», EETimes Asia, 19/4/2021; R. MITCHELL, «TSMC
and MIT Announce 1nm Technology Just After IBMs 2nm Device», Electropages, giugno 2021.
21. J.-P. KLEINHANS, N. BAISAKOVA, «The Global Semiconductor Value Chain: A Technology Primer for
Policy Makers», Stiftung Neue Verantwortung, ottobre 2020, p.17.
22. A. CRAWFORD, «The U.S.-China Tech Conflict Front Line Goes Through Belgium», Bloomberg,
13/7/2021.
23. J. LEE E J.-P. KLEINHANS, «Taiwan, Chips, and Geopolitics: Part 1», The Diplomat, 10/12/2020.
24. J. LEE, J.-P. KLEINHANS, «Would China invade Taiwan for TSMC?», The Diplomat, 15/12/2020.
25. J. LEE, «The new Chinese diaspora», Lowy Interpreter, 31/5/2017. 95
I MICROCHIP COME POLIZZA PER LA VITA
nelle startup cinesi del settore 26. Le fonderie cinesi fanno ancora ampio affida-
mento su personale taiwanese e l’economia cinese nel suo complesso trae bene-
ficio dall’apertura di stabilimenti di Tsmc nella Cina continentale 27. L’accesso alla
tecnologia e al sapere taiwanesi può essere realizzato mediante lo spionaggio e il
reclutamento di talenti, ma le autorità taiwanesi stanno inasprendo controlli e re-
strizioni in materia 28.
Pechino necessita di stabilità internazionale per cementare la sua posizione
nelle filiere globali del valore e puntare al primato tecnologico. La Cina sta lottan-
do per emergere a livello mondiale nel 5G, nelle auto a guida autonoma, nell’in-
telligenza artificiale e in altre applicazioni che richiedono notevole capacità di
calcolo. Questi sforzi incontrano già ostacoli nelle limitazioni statunitensi all’ex-
port e nella penuria mondiale di circuiti integrati che si sta rivelando difficile da
gestire pur in assenza di un conflitto sino-statunitense su Taiwan 29. Pechino ha
un forte interesse a evitare ulteriori problemi alla propria industria dei microchip,
che resta anni indietro ai concorrenti in quasi tutta la filiera.
I leader cinesi possono nutrire fondate speranze di non essere tagliati fuori
dai partner taiwanesi: l’apertura di impianti in Cina da parte di Tsmc è stata re-
centemente approvata dalle autorità di Taipei malgrado le obiezioni dell’ammini-
strazione Biden 30 e fatta salva Huawei – oggetto del bando statunitense – Tsmc
continua a rifornire i grandi produttori cinesi di elettronica 31. Pechino ha inoltre
vari modi di esercitare un’influenza occulta sulla politica di Taiwan 32.
È difficile che un marcato deterioramento dell’interazione economico-indu-
striale con la Cina non mini il posizionamento delle aziende taiwanesi nella filiera
globale dei circuiti integrati. Nel 2020 la Cina ha assemblato oltre un terzo delle
apparecchiature elettroniche prodotte nel mondo ed è stata il secondo mercato
(dopo gli Stati Uniti) per l’elettronica di consumo che incorpora semiconduttori 33.
È anche il mercato in più rapida crescita per quasi tutti gli altri prodotti che fanno
largo uso di tali circuiti, dal 5G alle auto elettriche 34. Le opzioni delle aziende tai-
wanesi sono ulteriormente limitate dal fatto che i loro partner e concorrenti in
Asia non stanno voltando le spalle a Pechino: una rilevazione del settembre 2020
sulle aziende giapponesi operanti in Cina ha evidenziato che meno di una su die-
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3. Per oltre vent’anni le aziende americane hanno soddisfatto oltre metà della
richiesta globale di semiconduttori 37, grazie soprattutto al dominio quasi incontra-
stato nella progettazione, la fase a più alto valore aggiunto 38. Gli Stati Uniti con-
servano forti posizioni anche nel campo dei software per il disegno, delle macchi-
ne utensili per la fabbricazione dei chip e della proprietà intellettuale, formando
altrettanti colli di bottiglia nella filiera globale che spiegano perché Tsmc abbia
suo malgrado applicato le restrizioni imposte da Washington a Huawei. Nella fab-
bricazione e nell’assemblaggio-test-confezionamento, invece, l’industria si è con-
centrata a Taiwan, in Cina e (per la fabbricazione) in Corea del Sud 39. Ciò ha cre-
ato timori per la sicurezza nazionale negli Stati Uniti data la crescente importanza
dei circuiti integrati per i sistemi d’arma e i rischi di spionaggio, specie nella fase
di assemblaggio-test-confezionamento 40. Un rapporto pubblicato nel marzo 2021
dalla U.S. National Security Commission on Artificial Intelligence indica le applica-
zioni militari dell’intelligenza artificiale come giustificazione per limitare l’export,
onde impedire alle aziende cinesi di produrre le ultime generazioni di circuiti 41.
La medesima ragione è stata addotta per il progetto, sostenuto dal dipartimento
della Difesa, di rilocalizzare le fonderie più avanzate nell’ambito di un altro pro-
gramma dello stesso ministero volto a ricostituire una capacità nazionale nella fase
di assemblaggio-test-confezionamento, migliorandone ulteriormente i processi 42.
La mancanza di simili capacità sul suolo e presso aziende statunitensi allarmò
le autorità di Washington già cinque anni fa, quando l’unico fornitore del Pentago-
no, Ibm, vendette la sua divisione fonderie a GlobalFoundries di Abu Dhabi 43. Nel
2018 l’azienda emiratina ha abbandonato la competizione mondiale per sviluppare
le tecnologie di fabbricazione dei semiconduttori di prossima generazione 44. Gli
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36. R.C. LEE, «Taiwan’s China dependency is a double-edged sword», East Asia Forum, 6/7/2021.
37. «2020 State of the US Semiconductor Industry», Semiconductor Industry Association, giugno
2020.
38. J.-P. KLEINHANS, P. MAHAM, J. HESS, A. SEMENOVA, «Who is developing the chips of the future?»,
Stiftung Neue Verantwortung, 16/6/2021.
39. J. LEE, J.-P. KLEINHANS, «Mapping China’s Semiconductor Ecosystem in Global Context: Strategic
Dimensions and Conclusions», MERICS e Stiftung Neue Verantwortung, giugno 2021.
40. Ibidem.
41. National Security Commission on Artificial Intelligence, Final Report, marzo 2021, p. 499–500
42. «DoD and S2MARTS Impacting the Microelectronics Ecosystem through the Rapid Assured Mi-
croelectronics Prototypes-Commercial (RAMP-C) Project», National Security Technology Accelerator,
30/8/2021.
43. R. MCCORMACK, «DoD, NSA and Dependency on Foreign Microelectronics», SLDInfo, 3/6/2016.
44. «GlobalFoundries drops out of race to develop next-gen semiconductor technology», Reuters,
28/8/2018. 97
I MICROCHIP COME POLIZZA PER LA VITA
sforzi di Intel per restare in gara hanno invece prodotto un contratto del Pentago-
no per supportare il rimpatrio delle fonderie avanzate 45, mentre recentemente è
nata un’altra fonderia statunitense che però opera su scala ridotta 46. Frattanto una
misura allo studio del Congresso potrebbe stanziare aiuti per 52 miliardi di dollari a
sostegno dell’industria nazionale dei semiconduttori 47.
Nel prossimo futuro, tuttavia, gli sforzi americani di rilocalizzazione dipende-
ranno fortemente dalla capacità di indurre Samsung e Tsmc a ubicare impianti
avanzati negli Stati Uniti. L’azienda taiwanese si è impegnata a costruire una fon-
deria avanzata in Arizona e forse investirà in un’altra fonderia americana che im-
piega tecnologia (attualmente) di punta 48. Ma sebbene alcuni rapporti indichino
come probabili ulteriori investimenti di Tsmc negli Usa, il fondatore dell’azienda
resta contrario a spostarne fuori da Taiwan il baricentro perché ne ritiene irrepli-
cabili altrove i vantaggi 49.
Anche il confezionamento avanzato è critico per le prospettive dell’industria
negli Stati Uniti, in quanto promette di migliorare ulteriormente le prestazioni dei
microchip mentre si approssimano i limiti della legge di Moore 50. Le aziende sta-
tunitensi sono leader nel settore ma lo è anche Tsmc, che può sfruttare le siner-
gie con la sua posizione dominante nel segmento delle fonderie. Questo dominio
si autoalimenta, attraendo commesse da molti leader statunitensi dell’elettronica
che potrebbero invece sostenere fornitori americani. Apple, ad esempio, sta ab-
bandonando le architetture X-86 di Intel ma conserva Tsmc come fabbricante dei
suoi chip; ciò potrebbe spingere altre aziende d’elettronica a rivolgersi a progetta-
tori che poi si avvalgono di fonderie in Taiwan o in Cina 51. La stessa Intel usa og-
gi Tsmc per molte sue linee di prodotti 52.
Questa tendenza non depone a favore di un’industria statunitense dei semi-
conduttori autosufficiente, capace di affrancarsi dai fornitori taiwanesi. I giorni in
cui la Silicon Valley si guadagnò il suo soprannome fabbricando un terzo dei mi-
crochip nel mondo difficilmente torneranno 53. Il dipartimento della Difesa sem-
bra aver preso atto che una qualche dipendenza dai fornitori stranieri per la «sua»
microelettronica è inevitabile, pertanto sta cercando di rafforzare rafforzare le
procedure di sicurezza (specie) nelle fasi estere della produzione 54. Sarebbe que-
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45. «Intel Wins US Government Project to Develop Leading-Edge Foundry Ecosystem», Intel,
23/8/2021.
46. A. HERMAN, «Biden, Semiconductors, And America’s Future», Forbes, 17/2/2021.
47. TAISEI HOYAMA, «Vote on US “China bill” recedes to fall or beyond», Nikkei Asian Review,
27/8/2021.
48. S. NELLIS, «TSMC looks to double down on U.S. chip factories as talks in Europe falter», Reuters,
14/5/2021.
49. «Taiwan has edge on US, China: TSMC founder», Taipei Times, 23/4/2021.
50. E. SPERLING, «Moore’s Law Now Requires Advanced Packaging», Semiconductor Engineering,
19/4/2019.
51. CHENG TING-FANG, LAULY LI, «Apple’s follow-up to M1 chip goes into mass production for Mac»,
Nikkei Asian Review, 27/4/2021.
52. P. CLARKE, «Intel outsources Core i3 to TSMC’s 5nm process», eeNews Europe, 18/1/2021.
53. A. HERMAN, op. cit.
54. «DOD Adopts “Zero Trust” Approach to Buying Microelectronics», Department of Defense,
98 19/5/2020.
TAIWAN, L’ANTI-CINA
sta una strategia meno rischiosa se il grosso della capacità produttiva del compar-
to non risiedesse in un’isola al largo delle coste cinesi, che resta fortemente inte-
grata nell’industria elettronica della Repubblica Popolare. Conscia a sua volta del-
la perdurante vulnerabilità della propria industria dei semiconduttori, anche Pe-
chino sta puntando sul confezionamento avanzato come potenziale «trampolino»
verso la leadership tecnologica 55. Oggi in questo settore il 60% della capacità
mondiale è suddivisa tra imprese cinesi e taiwanesi, con le seconde che hanno
ormai il grosso degli impianti in Cina. Al dato fa riscontro un mero 3% del Nord
America 56. Quali industrie faranno i maggiori passi avanti nel campo delle fonde-
rie e dell’assemblaggio-test-confezionamento, e dove verranno ubicati i loro im-
pianti, saranno tra le grandi partite geopolitiche del XXI secolo.
Tuttavia, data la natura fortemente transnazionale e compartimentata di que-
sta industria critica, un certo rischio per la sicurezza nazionale insito nell’interdi-
pendenza con l’estero va messo in conto. Come affermato da un ex alto funzio-
nario del Pentagono, la ricerca di una totale autosufficienza nel campo dei semi-
conduttori non è solo ingenua, ma anche pericolosa 57. La pensa così anche l’in-
dustria dei microchip, che infatti ha avversato le misure di disaccopiamento (de-
coupling) dell’economia statunitense da quella cinese.
Se l’autarchia dei circuiti integrati risulta impossibile per gli Stati Uniti lo è a
maggior ragione per l’Europa 58, dunque il ruolo cruciale di Taiwan in questa indu-
stria sembra assicurato per il prossimo futuro, con tutto quanto ne consegue in ter-
mini di vulnerabilità – di Formosa e delle sue fabbriche – alle politiche di una Cina
in ascesa. Far sì che la situazione non sfugga di mano è nell’interesse di tutti.
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Parte II
CINA e USA
alla GUERRA che
(FORSE)
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non VOGLIONO
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TAIWAN, L’ANTI-CINA
CROCI E DELIZIE
DELL’AMBIGUITÀ
STRATEGICA AMERICANA di Phillip ORCHARD
L’approccio ambivalente sin qui adottato dagli Usa per difendere
Taiwan senza alienarsi Pechino rischia d’infrangersi sul riarmo
cinese, che obbliga a scelte sistemiche. I pro e i contro del ‘porcospino’.
Mentre ostenta calma, Washington studia lo scenario peggiore.
prima di quanto si immaginasse fno a ieri. Soprattutto, rende sempre più diffcile
e oneroso per gli Stati Uniti intervenire a difesa di Taipei.
Questi allarmismi non devono stupire. L’unico modo di indurre il Congresso e
i vasti apparati governativi degli Stati Uniti all’azione è agitare un pericolo immi-
nente, se necessario esagerando un po’. Prepararsi ad affrontare minacce di tale
entità richiede decenni; scelte cruciali sulla struttura delle forze da schierare e sul
loro fnanziamento non possono essere rimandate alla vigilia di una crisi. Ma seb-
bene vada emergendo un generale consenso sulle intenzioni e sulle capacità della
Cina, vi è molta meno concordia su ciò che l’America possa e debba fare. Lo si è
visto, da ultimo, nelle dichiarazioni rese a settembre dall’ex capo dell’allora Co-
mando Pacifco Harry Harris, che ha spronato a rivedere la tradizionale politica
statunitense di «ambiguità strategica» verso Taiwan. Il dilemma di fondo per gli 103
CROCI E DELIZIE DELL’AMBIGUITÀ STRATEGICA AMERICANA
Stati Uniti è come coadiuvare al meglio la difesa di Taipei facendo in modo che
Pechino non sia mai tentata di testarne la forza.
L’ambiguità strategica è stata il pilastro della politica statunitense su Taiwan da
quando, nel 1979, l’America riconobbe uffcialmente la Repubblica Popolare Cine-
se. Quando l’allora presidente Richard Nixon compì il suo storico viaggio in Cina
nel 1972 le priorità strategiche di Washington e Pechino convergevano, eppure
l’America trovò impossibile lasciare completamente a sé stessa la Repubblica di
Cina (Taiwan). Gli Stati Uniti puntarono a soddisfare entrambe, sicché il processo
di normalizzazione si protrasse per altri sette anni nel tentativo statunitense di far
sì che Taiwan e Cina salvassero la faccia mantenendo lo status quo nello stretto.
Essendo la Repubblica Popolare troppo debole per riprendere Formosa con la
forza, gli Usa avallarono di buon grado la politica di «una sola Cina» e scelsero di
riconoscere uffcialmente Pechino.
La svolta diplomatica implicava tuttavia per Washington rigettare il trattato si-
no-americano di mutua difesa del 1954 e ciò imponeva di trovare un meccanismo
per mantenere legami militari con un governo di Taipei non più riconosciuto come
legittimo. La rozza ma effcace soluzione di questo dilemma presentata al Congres-
so meno di due mesi dopo il riorientamento verso Pechino fu il Taiwan Relations
Act, legge volutamente vaga che contiene pochissimi impegni: gli Stati Uniti non
hanno un obbligo legale di difendere Taiwan in caso di attacco, devono solo for-
nirle quanto necessario a difendersi. Questa indeterminatezza lasciò alle successive
amministrazioni statunitensi ampio margine per consolidare o instaurare legami
militari con Taipei ogni qualvolta lo ritenessero opportuno.
Grazie a tale politica gli Stati Uniti hanno mantenuto la fessibilità necessaria a
adattarsi alle mutevoli circostanze, potendo al contempo incentrare il rapporto con
la Repubblica Popolare su aspetti di mutuo interesse, in particolare l’economia. La
vaghezza del partenariato divenne sempre più anomala via via che Taiwan pren-
deva di fatto le sembianze di una nazione indipendente; ma permise a tutti di ar-
ricchirsi in un quadro di accettabile stabilità nello stretto, dunque tutti avevano
interesse a mantenere la fnzione.
L’ambiguità strategica era anche una politica relativamente semplice perché
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era alquanto improbabile che Pechino potesse lanciare una massiccia offensiva
militare su Formosa – almeno fno a ieri. Isola montuosa, Taiwan ha uno straor-
dinario vantaggio geografco sulla Cina che insieme alle costanti forniture di armi
statunitensi le consentiva di compensare l’inferiorità dimensionale con la superio-
rità tecnologico-militare necessaria a tenere l’esercito cinese fuori dalle sue acque
territoriali.
Per quasi tutta la seconda metà del XX secolo la Repubblica Popolare è stata
peraltro uno Stato introverso, il suo esercito una forza di terra male equipaggiata e
usata principalmente con funzioni di polizia interna e di repressione nelle periferie
inquiete, come il Tibet. Non aveva signifcative capacità di proiezione marittima e
ciò, insieme alla possibilità che gli Stati Uniti intervenissero in difesa di Taiwan,
104 bastava a far sì che l’invasione cinese di quest’ultima restasse un’ipotesi di scuola.
TAIWAN, L’ANTI-CINA
per gli Stati Uniti compiere un simile passo. In termini numerici la Marina militare
cinese è vicina alla parità con quella statunitense ed è inoltre supportata da miglia-
ia di vascelli paramilitari della Guardia costiera e della milizia marittima, pescherec-
ci dotati di armi leggere che rispondono direttamente all’esercito e possono agire
da moltiplicatori di forza nelle acque costiere del paese. Ciò consente alla Cina di
provare a inondare gli spazi contesi con quantità enormi di imbarcazioni variamen-
te armate, surclassando le relativamente poche unità statunitensi o alleate disponi-
bili nei primi giorni di confitto. Soprattutto le conferisce un tremendo vantaggio
informativo, mettendola potenzialmente in grado di «accecare» o persino neutraliz-
zare navi statunitensi colte di sorpresa.
Questo spiega il crescente timore di Washington che nel prossimo decennio la
Cina possa rendere troppo oneroso per gli Stati Uniti operare intorno a Taiwan. 109
CROCI E DELIZIE DELL’AMBIGUITÀ STRATEGICA AMERICANA
Spiega anche l’incertezza che serpeggia a Taipei sul modo migliore di prepararsi
allo scenario peggiore mentre gli Usa cercano di capire come meglio aiutarla. L’A-
merica è gelosa della sua fessibilità e trova diffcile abbandonare completamente
l’ambiguità strategica, almeno nell’immediato. Nell’incertezza, questo resterà dun-
que il paradigma dell’approccio americano. Ma ciò non garantisce che lo status
quo permanga. Il bello delle politiche indefnite è la possibilità di ripensarle in
fretta, anche sostanzialmente. Mentre dunque gli Stati Uniti esibiscono prudenza,
nulla toglie che si preparino seriamente a una prova di forza.
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TAIWAN, L’ANTI-CINA
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Xinjiang, Tibet e Hong Kong: aree instabili VIETNAM KO
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Xinjiang: campagna di repressione contro gli uiguri;
snodo delle nuove vie della seta LAOS HAINAN Mar Cinese FILIPPINE
Meridionale
Taiwan: contraria all’unifcazione
TAIWAN, L’ANTI-CINA
bardiere tattico che gli Stati Uniti bombardarono l’ambasciata cinese a Belgrado,
provocando oceaniche manifestazioni a Pechino e generando la prima vera coa-
gulazione del sentimento anti-americano in Cina. Già in quel momento America e
Repubblica Popolare erano ai ferri corti.
2. La spirale iniziò ad avvitarsi tra il 2000 e il 2001, periodo nel quale Pechi-
no sostenne la Sunshine Policy del presidente sudcoreano Kim Dae Jung, che
intendeva dialogare con il Nord. Dopo la sua elezione alla presidenza, George W.
Bush impose a Seoul di mettere fne a questa politica di conciliazione e adottò un
approccio molto duro nei confronti della Cina. Il 1° aprile 2001 avvenne l’inciden-
te di Hainan, nel quale un Ep-3 americano fu costretto da una collisione con un
intercettore J-8II dell’Aeronautica cinese a un atterraggio d’emergenza sull’isola.
L’avvitamento della spirale si interruppe solo grazie all’11 settembre, ma i decisori
cinesi non compresero che la fase innescata dagli attacchi alle Torri Gemelle era
una parentesi. Pechino aveva solo guadagnato tempo, gli americani non avevano
dimenticato quanto era accaduto dal 1999 in poi. I conti restavano in sospeso, pri-
ma o poi avrebbero dovuto essere regolati.
Tre episodi accaduti nel 2008 hanno ulteriormente contribuito all’ubriacatura
della Repubblica Popolare, convincendo i cinesi di essere ormai diventati una
superpotenza e che gli americani fossero in declino. Il primo fu il terremoto nel Si-
chuan del 12 maggio 2008, che consentì alla Cina di dimostrare al resto del mondo
la propria capacità di gestire effcacemente un’emergenza di proporzioni straordi-
narie. Il secondo furono le Olimpiadi di Pechino, enorme successo di propaganda.
Infne, la crisi di Wall Street, che confermò i dubbi nutriti dalla Repubblica Popola-
re nei confronti della potenza americana fn dall’invasione dell’Iraq nel 2003. L’in-
tervento militare in Mesopotamia aveva infatti convinto i cinesi che gli Stati Uniti
non fossero più i dominatori del pianeta. Agli occhi della Cina le due battaglie di
Fallûãa del 2004 furono in tal senso paradigmatiche, dal momento che palesavano
la percepita debolezza dell’America: non si riusciva nemmeno a capire chi o cosa
gli americani stessero combattendo, quale fosse il loro obiettivo strategico. Dalla
prospettiva cinese la superpotenza non sembrava più tale. Gli Usa mostravano se-
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del furto di proprietà intellettuale, che ha diminuito notevolmente gli introiti degli
uomini d’affari cinesi negli Stati Uniti, da sempre la lobby di Pechino a Washington.
Il circolo vizioso raggiunse il culmine nel 2015, quando il presidente della Repub-
blica Popolare Xi Jinping compì il suo primo viaggio negli Stati Uniti. La visita del
leader cinese coincise con quella di papa Francesco. Il raffronto tra la copertura dei
due eventi da parte dei media americani è indicativa: già due mesi prima del suo
arrivo i giornali dedicavano le copertine al pontefce, mentre la notizia dello sbarco
di Xi in America venne relegata nelle pagine interne. Segno che per gli Stati Uniti
il papa era divenuto molto più importante del presidente della Cina.
Poco più di un anno dopo alla Casa Bianca arrivò Donald Trump, il quale
esasperò un sentimento anticinese bipartisan. Il tycoon provò a spingere per un
114 accordo con Pechino, che non vide la luce. I cinesi pensavano di poter ammansire
TAIWAN, L’ANTI-CINA
quegli anni che oggi il 30% della popolazione taiwanese è di origine continen-
tale. Circostanza che non fonda solo le rivendicazioni della Repubblica Popolare
su Taiwan ma anche quelle di Taiwan sulla Repubblica Popolare. Tanto che fno
alla metà degli anni Novanta la narrazione prevalente a Taipei era centrata sulla
riconquista della Cina. Il Partito progressista democratico (Ppd) taiwanese venne
fondato (anche) come sostegno al Partito comunista cinese. Il fondatore del Ppd,
Chen Shui-bian, andò in Cina di nascosto durante la rivoluzione culturale per ot-
tenere l’appoggio dei comunisti, il cui approccio a Taiwan non era allora orientato
dal desiderio di conquistare l’isola ma dal timore che il Guomindang si riprendes-
se la Cina. Paura tutt’altro che irrealistica, come dimostrano gli eventi del 1962, a
guerra sino-indiana in corso. I taiwanesi – molto ben informati di quanto avveniva
nella Repubblica Popolare e consapevoli che i cinesi stavano morendo di fame 115
COREE E INDIA, PIÙ DI TAIWAN SONO I POSSIBILI INNESCHI DI UNA GUERRA FRA USA E CINA
dopo il «grande balzo in avanti» – erano convinti che fosse arrivato il momento
giusto per invadere la Cina. Provarono dunque a saggiare la resistenza cinese con
degli attacchi nello Yunnan condotti da truppe stanziate nel Nord della Birmania.
L’offensiva non produsse tuttavia risultati concreti, anche perché gli americani –
che avevano già un fronte aperto in Vietnam – erano indecisi sull’approccio da
adottare.
Ancora negli anni Settanta, a Pechino il timore che Taiwan invadesse la Cina
prevaleva sull’anelito a conquistare l’isola. La prospettiva cominciò a modifcarsi
solo alla fne del decennio, in coincidenza con i negoziati tra Deng Xiaoping e
Jimmy Carter, che trovarono un compromesso sulla questione taiwanese. E cambiò
signifcativamente all’inizio degli anni Ottanta, quando ebbe inizio la trattativa su
Hong Kong, di cui i cinesi riuscirono a ottenere la restituzione anche perché gli
americani mantennero un ruolo mediano tra Cina e Regno Unito. Manifestazione
della benevolenza degli Stati Uniti verso la Repubblica Popolare, che quest’ultima
era riuscita a conquistarsi giocando due mosse: attaccando il Vietnam nel 1979,
così impedendo che l’infuenza sovietica si estendesse alla Thailandia e al resto
dell’Indocina; creando una seconda rotta di rifornimenti ai mujåhidøn che combat-
tevano i sovietici in Afghanistan, dunque permettendo agli americani di richiamare
all’ordine i pakistani.
Di conseguenza, negli anni Ottanta l’America adottò una posizione più favo-
revole alla Cina, facendole tre concessioni che diedero abbrivio alla sua crescita:
ridusse i dazi sulle importazioni di beni cinesi in America, portandoli a un livello
più basso rispetto a quelli imposti al Giappone e a Taiwan; consentì al trasferimen-
to di tecnologia, anche duale, che veniva invece negata a T§ky§ e a Taipei; istituì
un uffcio della Banca mondiale a Pechino che svolse il ruolo di consulente delle
riforme economiche in Cina.
Con queste aperture gli Stati Uniti tentarono di inserire nel sistema economico
americano la Repubblica Popolare, già integrata di fatto in quello militare grazie al
ruolo giocato nella guerra in Vietnam e al contrasto ai sovietici in Afghanistan, oltre
che alla pressione indiretta esercitata sulla Mongolia e sulla Siberia. Tutto questo
all’inizio degli anni Novanta produsse notevoli effetti sulla questione di Taiwan,
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che si concretizzarono nel compromesso sulla «Cina unica» raggiunto da Jiang Ze-
min e Lee Teng-hui. L’intesa tra i due leader venne favorita dal fatto che entrambi
erano «ex» comunisti: Jiang era un dirigente atipico del Partito comunista cinese,
Lee era stato membro del Partito comunista giapponese a Taiwan. La luna di miele
si frantumò però nel 1994, quando svanì la prospettiva di trovare un’applicazione
concreta dell’accordo. I rapporti tra le due Cine degenerarono già nel 1996, anno
in cui Pechino minacciò di invadere l’isola e gli americani schierarono due gruppi
navali nell’area. Episodio che contribuì a rafforzare l’approccio nazionalista del
governo e dell’opinione pubblica cinesi alla questione di Taiwan.
Capitale
LA PRIMA GUERRA DELL’OPPIO Città
LA GUERRA NEL 1839-40 Basi difensive cinesi
Battaglie del 1839-40
1 ESTUARIO DI KOWLOON Battaglie del 1840-41
4 settembre 1839
FENGTIEN
2 FORTE DI CHUANBI JEHOL Canton Città aperte al commercio
3 novembre 1839 secondo il Trattato di Nanchino
3 PORTO DI TING-HA (MACAO)
21 giugno 1840
PECHINO
4 AMOY (XIAMEN)
giugno 1840 Tianjin
5 PORTO DI DINGHAI (ISOLA DI ZHOUSHAN) 7 settembre 1840
4 luglio 1840 CHIHLI agosto 1840
6 FOCE DEL FIUME YANGTZE SHANSI
agosto 1840
7 FOCE
K ADELN FIUME
S U HAI (TIANJIN)
settembre 1840
SHANTUNG
SHENSI
8 HUMEN HONAN KIANGSU
20 gennaio 1841
9 CANTON
27 maggio 1841 13 Chinkiang
CIN A (Zhenjang)
10 AMOY Nanchino 6 Foce Yangtze
11 SDINGHAI
Z E C H WA N 12 Shanghai
HUPEH ANHWEI
12 SHANGHAI
5 Dinghai
13 CHINKIANG
21 luglio 1842 11
Ningbo
CHEKIANG
IL TRATTATO DI NANCHINO
29 agosto 1842 KIANGSI
I cinesi sono costretti a versare ai britannici H U N A N
un’indennità
K WdiE 21
I Cmilioni
HOW di dollari d’argento, settembre 1841
oltre che ad accettare:
FUKIEN
1. la cessione perpetua dell’isola di Hong Kong Fuzhou
alla Corona inglese
2. l’apertura dei porti di Canton, Fuzhou, Amoy,
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Mar
giug
41
Cinese
8
sto 1
HAINAN Meridionale
ago
117
Fonte: www.Tuttocina.it, G. Melis 1979
COREE E INDIA, PIÙ DI TAIWAN SONO I POSSIBILI INNESCHI DI UNA GUERRA FRA USA E CINA
retorica sull’unifcazione tra le due Cine entro il 2049 ha dunque una dimensione
prevalentemente interna, è propedeutica non tanto a uno sbarco sull’isola quan-
to a prepararsi a un attacco da parte degli Stati Uniti, dell’India o di altri clienti
dell’America.
Per la Repubblica Popolare la questione principale è la percepita invidia ame-
ricana. Nella narrazione nazionalista cinese gli americani invidiano la Cina perché
sta diventando il Numero Uno, perché è destinata all’egemonia. Per questo le
vogliono tagliare le gambe, spaccando l’unità del grande popolo cinese. Non riu-
scendo a vincere regolarmente, intendono farlo in modo irregolare. Togliendole
Taiwan, che peraltro è solo uno dei fronti della competizione Usa-Cina e non è
neanche quello principale. Tale retorica si è però ritorta contro Pechino. La sua
principale conseguenza è stata una più forte integrazione di Taiwan nel sistema
militare americano, accompagnata da un consistente avvicinamento di Taipei a
Giappone, Vietnam e India. A dimostrazione del carattere erroneo della reazione
cinese alla pressione americana. Rivelato da un’altra mossa inconsulta: l’apertura
del fronte del Mar Cinese Meridionale. In questo quadrante Pechino avrebbe do-
vuto mantenere lo status quo, mentre invece è arrivata a istituirvi una prefettura.
Questi errori dimostrano che i cinesi hanno una percezione di fatto sbagliata
di come funziona la grande strategia e della tattica che serve a sostanziarla. La
grande strategia ha bisogno dell’equilibrio di potenza, che la Cina interpreta uni-
camente in chiave interna: se sono forte, devo impormi con la forza. Gli americani
perseguono invece una politica basata sulle alleanze con gli Stati tributari, che i
cinesi non hanno mai fatto. Tale differenza di approccio si traduce in un modo
radicalmente diverso di fare la guerra. Gli Stati Uniti inviarono in Corea soldati di
55 nazioni diverse. I cinesi hanno sempre fatto la guerra da soli, così come da soli
realizzano le grandi opere in Africa. La demografa c’entra fno a un certo punto,
il nocciolo della questione è il modo differente di pensare la strategia e il modo di
condurre i confitti. I cinesi fanno poche guerre, ma quando le fanno non hanno
mezze misure. Basti pensare all’esito della rivolta dei Taiping del 1851-64, che pro-
vocò la morte di circa il 20% della popolazione cinese dell’epoca. O alla guerra di
Corea, che produsse un milione di morti.
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119
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TAIWAN, L’ANTI-CINA
Uniti e Cina, che rende la prospettiva di un confronto militare nello Stretto di Tai-
wan sempre meno improbabile.
stato però tanto il nuovo corso politico inaugurato cinque anni fa a Taipei quanto
la svolta geopolitica maturata a Washington. Gli Stati Uniti – soprattutto a partire
dall’amministrazione Trump – hanno preso a dipingere la Cina come un avversario
alla pari, abbandonando la decennale politica di coinvolgimento della Repubblica
Popolare e iniziando a giocare con spregiudicatezza la carta dell’indipendenza
taiwanese per inchiodare il rivale. Approccio che il presidente Joe Biden ha man-
tenuto inalterato.
La Cina è perfettamente consapevole che la nuova postura americana può
effcacemente limitarne l’ascesa e ha reagito di conseguenza, alzando il volume
della retorica bellicista e aumentando la pressione militare su Taiwan. Nel 2020 gli
aerei da guerra dell’Epl hanno compiuto 380 sortite intorno all’isola. Nel 2021 la
frequenza è ulteriormente aumentata, con 310 incursioni nei primi 130 giorni
dell’anno 2. Nel solo luglio 2021 sono state registrate 14 violazioni della Zona di
identifcazione per la difesa aerea (Adiz nell’acronimo inglese) di Taiwan. Le por-
taerei Liaoning e Shandong hanno incrociato in diverse occasioni nelle acque che
separano la Cina continentale da Formosa, mentre le navi da guerra cinesi attraver-
sano regolarmente la linea mediana dello stretto conteso. Marines e reparti regola-
ri di fanteria dell’Epl hanno inoltre realizzato ambiziose esercitazioni nell’area,
propedeutiche a una potenziale operazione militare.
Si tratta di sviluppi senza precedenti che hanno messo fne alla distensione
che ha improntato il periodo della presidenza Ma Ying-jeou (2008-2016). Le rela-
zioni bilaterali tra Pechino e Taipei sono tornate a essere caratterizzate dalla me-
desima forma di coercizione militare che ha contraddistinto la fase immediata-
mente precedente all’avvento al potere del Guomindang sancito dalle elezioni
presidenziali del 2008.
Taiwan ha dal canto suo elevato il livello di preparazione alla guerra delle sue
Forze armate, non solo come reazione alle mosse della Repubblica Popolare. Su-
bito dopo essere entrata in carica, Tsai Ing-wen ha archiviato l’approccio difensivo
di Ma Ying-jeou, introducendo una postura militare più aggressiva fondata su linee
di difesa stratifcate e proiettate verso l’esterno. L’elemento offensivo di tale strate-
gia è evidente. Tsai ha voluto darne simbolica dimostrazione nell’agosto 2017, in
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mente la dottrina della sua amministrazione. Dalle sue prime mosse appare eviden-
te che intende accentuare la dimensione competitiva del confronto, per quanto
forse con minore intensità rispetto al suo predecessore. Quella di Taiwan è ormai
da anni una delle crisi geopolitiche eurasiatiche più rilevanti e la Casa Bianca sem-
bra determinata a usarla come leva per volgere a suo vantaggio la competizione
con la Cina, consapevole della sensibilità della questione per quest’ultima. Dinami-
ca che sta contribuendo in modo decisivo a ridefnire la natura stessa del confitto,
conferendogli un carattere preminentemente militare.
Lo dimostra soprattutto il crescente interesse degli Stati Uniti per Taiwan, visi-
tata ormai regolarmente da membri del governo americano ed esponenti di alto
rango del dipartimento di Stato. Gli uffciali delle Forze armate statunitensi si reca-
no a Taipei senza più preoccuparsi della reazione delle autorità cinesi, svolgono
corsi d’addestramento destinati alle controparti taiwanesi e presiedono a esercita-
zioni e simulazioni militari 4. Le vendite di armi americane a Taiwan sono inoltre
aumentate esponenzialmente sia sotto il proflo quantitativo sia sotto quello quali-
tativo. Durante l’amministrazione Trump Washington ha ceduto a Taipei arma-
menti avanzati del valore complessivo di 18 miliardi di dollari, distribuiti in 11 di-
verse transazioni. A luglio di quest’anno Biden ha approvato la prima vendita
della sua amministrazione, alla quale ne seguiranno certamente molte altre. Se in
passato il trasferimento di armi a Taiwan rientrava nel più generale impegno degli
americani a sostenere militarmente i propri partner e alleati, oggi risponde all’o-
biettivo di incorporare progressivamente Taipei nella catena di isole che costitui-
sce lo scheletro della strategia americana nell’Indo-Pacifco. In termini ancora più
concreti, nei primi sette mesi del 2021 le navi da guerra statunitensi hanno incro-
ciato nel braccio di mare che separa la Cina continentale da Taiwan mediamente
ogni 30 giorni, mentre tra giugno e luglio di quest’anno gli aerei da guerra degli
Stati Uniti sono atterrati negli aeroporti taiwanesi in ben tre occasioni. Si tratta di
una frequenza senza precedenti: dal 1979 – anno in cui Pechino e Washington
hanno ristabilito relazioni diplomatiche bilaterali – e al 2020 gli aerei da guerra
della superpotenza avevano fatto scalo a Taiwan solo due volte, in entrambi i casi
per ragioni d’emergenza. È dunque del tutto evidente che gli Usa abbiano ormai
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I casus belli
La tendenza alla militarizzazione della crisi di Taiwan sembra irreversibile. Non
solo gli attori direttamente coinvolti nella contesa – Stati Uniti e Cina – ma anche il
Giappone e altri Stati della regione si stanno preparando all’eventualità della guer-
ra. In tal senso, è possibile individuare tre cause in grado di innescare un confitto
armato sull’isola.
4. Dichiarazioni della portavoce dell’America Institute in Taiwan Amanda Mansour nella conferenza
stampa del 3/4/2020. 123
124
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ROTTE DI TRANSITO DELLE IMPORTAZIONI
DI PETROLIO E GAS CINESI R U S S I A
Tomsk Russia-Cina
Kazakistan-Cina Kazakistan-Cina Oleodotto
Gasdotto Oleodotto 600 mila barili al giorno
previsti 10 bcm/annui 400 mila barili al giorno Russia-Cina <1%
<1% Gasdotto Khabarovsk
Atyrau KAZAKISTAN previsti 38 bcm/annui
<1% 40%
Dal Canale di Suez
via Mar Rosso
Stretto di Hormuz
Myanmar-Cina Kunming America
Gasdotto 4% dalla costa pacifca
43% 2%
<1% 12% 12 bcm/annui
Myanmar-Cina
Oleodotto
Kyaukpyu 440 mila barili al giorno
MYANMAR <1% Asia/Australia
Golfo di Aden 2% non via Stretto di Malacca,
via Mar Rosso <1% di Lombok e della Sonda
Stretto di Malacca
Africa 4% Oleodotti esistenti
80% 40%
(non dal Mar Rosso),
America dalla costa atlantica, 13% Gasdotti esistenti
Europa e spazio ex sovietico Gasdotto in costruzione
33% 1% Gasdotti proposti
Stretti 19%
di Lombok Importazioni di petrolio via mare
e della Sonda
27% Importazioni di gas via mare
80% Percentuale sul totale dei fussi
Fonte: U.S. Department of Defense Annual Report to Congress
TAIWAN, L’ANTI-CINA
accaduto nel novembre 2020 illustra effcacemente gli effetti indesiderabili che pos-
sono innescare dinamiche di questo tipo. Dopo la sconftta alle elezioni presidenzia-
li americane, Donald Trump cercò di imporre dei fatti compiuti per destabilizzare lo
status quo e ipotecare la geopolitica taiwanese del suo successore. Il tycoon spinse
ad esempio l’allora ambasciatrice statunitense alle Nazioni Unite Kelly Craft a visitare
Taiwan. Secondo fonti cinesi e americane l’aereo con a bordo l’ex diplomatica fu
costretto a invertire la rotta perché la Cina avvertì la controparte che nel momento
stesso in cui il velivolo fosse atterrato gli aerei da guerra dell’Epl avrebbe sorvolato
Taiwan. Trump decise di cancellare la visita di Craft all’ultimo minuto e il potenziale
confronto venne evitato. Ma si tratta di un precedente signifcativo.
5. N. Tucker, Strait Talk: United States-Taiwan Relations and the Crisis with China, Cambridge MA
2009, Harvard University Press. 125
LA CINA PREPARA LA GUERRA CHE NON VORREBBE FARE
In questa categoria rientrano anche scontri a fuoco accidentali tra gli aerei da
guerra cinesi e quelli taiwanesi che cercano di intercettare i primi nell’Adiz di Tai-
wan, il dispiegamento di importanti sistemi d’arma statunitensi sull’isola, la parte-
cipazione formale dell’esercito taiwanese a esercitazioni militari multinazionali a
guida americana, l’uso da parte delle Forze armate Usa di Taiwan e delle isole al
largo di quest’ultima – ad esempio di Itu Aba (Taiping), nel Mar Cinese Meridiona-
le – quali avamposti per monitorare le attività dell’Epl, la vendita a Taipei da parte
del Pentagono di armamenti che violano le linee rosse della Cina, come sottoma-
rini o F-35. Tutti questi eventi sarebbero inaccettabili per la Repubblica Popolare,
le cui Forze armate aumenterebbero inevitabilmente la preparazione al combatti-
mento. E forse condurrebbero anche operazioni preventive.
A queste tre potenziali cause di guerra se ne aggiunge una quarta, al momen-
to molto improbabile: l’ipotesi di un confitto conseguente alla dichiarazione d’in-
dipendenza di Taiwan dovuta non alle scelte di Taipei ma alla pressione americana
su di essa, dunque all’abbandono da parte di Washington del rispetto della politica
di «una sola Cina». La logica sottostante a questa mossa riposa sulla convinzione
che l’unico modo per arrestare l’ascesa della Repubblica Popolare sia imporle una
guerra. Gli Stati Uniti sanno perfettamente che a differenza della disputa sulle isole
Spratly, in merito alla quale può scegliere che tipo di corso d’azione seguire, il
Partito comunista cinese non avrebbe alternativa al ricorso allo strumento militare
se Taiwan dichiarasse l’indipendenza. Sanno anche che in caso di confitto armato
il prezzo da pagare sarebbe potenzialmente molto elevato e dunque hanno fnora
scartato tale opzione. Ma se le relazioni sino-americane si deteriorassero al punto
da rendere un confronto militare quasi inevitabile, gli strateghi statunitensi potreb-
bero considerare necessario e meritevole il sacrifcio di Taiwan. È per questo che
non si può escludere del tutto il verifcarsi di tale casus belli 6.
ti in previsioni sulla sua data d’inizio. Alcuni pronosticano che il confronto militare
scoppierà nel 2026, altri che avverrà nel corso del prossimo decennio. Tale allar-
mismo ha già prodotto un impatto sui pianifcatori militari statunitensi e cinesi, ma
la maggior parte di queste predizioni è tutt’altro che ragionevole. Sia per quanto
riguarda la data sia per quanto riguarda le cause dell’eventuale confitto. In molti
ad esempio sostengono che a dichiarare guerra sarà la Cina. Questo è vero solo in
parte, il che rende inutili tali profezie. Perché vengono omessi i motivi per i quali
Pechino si spingerebbe a farlo.
Illustrare le dinamiche che indurrebbero la Repubblica Popolare a dare inizio
al confitto è dunque essenziale per comprendere la natura dello stesso. Facendo
6. YOU JI, «A Blue Water Navy, Does it Matter?», in D. GOODMAN, G. SEGAL (a cura di), China Rising:
126 Interdependence and Nationalism, London 1997, Routledge.
TAIWAN, L’ANTI-CINA
riferimento ai casus belli illustrati sopra, è lecito supporre che a innescare la guerra
potrebbe essere innanzitutto un incidente dovuto all’assenza di regole di ingaggio
mutuamente accettate e alla crescente vicinanza fsica tra i sistemi d’arma cinesi e
taiwanesi. La seconda causa più probabile è un eventuale dichiarazione d’indipen-
denza de iure da parte di Taiwan. La terza riguarda la crescente pressione militare
che l’Epl eserciterebbe su Taipei come punizione per la violazione degli interessi
fondamentali della Repubblica Popolare o per iniziative che condurrebbero a
un’eccessiva desinizzazione. Infne, l’ipotesi meno probabile è che il confitto ven-
ga innescato dal sostegno tattico dell’America all’indipendenza di Taiwan con atti
ostili che non lascerebbero a Pechino altra scelta che reagire militarmente, come
inviti formali negli Stati Uniti ai leader taiwanesi o il dispiegamento di truppe ame-
ricane sull’isola.
Il primo scenario illustrato è il più suscettibile di provocare una guerra per
Taiwan, ma è anche quello più gestibile. Lascerebbe infatti a Pechino e Taipei
margini di manovra per evitare che l’incidente evolva in un confitto armato in
piena regola, soprattutto se in quel momento nessuna delle due parti fosse real-
mente disposta a innescare dinamiche che per loro natura potrebbero facilmente
sfuggire di mano. A raffreddare gli animi potrebbe intervenire inoltre la mediazione
degli Stati Uniti, riluttanti a diventare indirettamente parte di un confitto con una
potenza nucleare che non sono pronti a combattere.
L’impreparazione o l’indisponibilità americana a imporre la resa dei conti alla
Cina infuenzano anche il quarto scenario, il più improbabile. Per una lunga serie
di motivi: i sondaggi dimostrano inequivocabilmente che l’opinione pubblica sta-
tunitense non è favorevole a intraprendere una guerra per Taiwan con una poten-
za nucleare come la Repubblica Popolare; l’isola non viene ancora considerata
dagli Stati Uniti come una componente fondamentale dei propri interessi strategici;
Washington e Pechino sono profondamente interdipendenti in molti ambiti, dun-
que alla superpotenza non conviene portare alle estreme conseguenze il sostegno
fornito a Taiwan in chiave anticinese; gli strateghi americani sono consapevoli del
fatto che non è il momento di mettere la Cina all’angolo e in questa fase sono as-
sorbiti dai problemi interni 7. Dal canto suo, la Repubblica Popolare dovrà affron-
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PAKISTAN
TAIWAN
NEPAL Guangzhou OCEANO
BHUTAN Stretto
di Luzon PACIFICO
ZHANJIANG Hong Kong
a PAPUA
SRI LANKA gli NUOVA
0 mi GUINEA
1.30
I N D O N E S I A AUSTRALIA
©Limes
Fonte: Defense Manpower Data Center, U.S. Department of Defense
TAIWAN, L’ANTI-CINA
inducendola a adottare una postura che mira a superare lo status quo. Le tendenze
indipendentiste sono inoltre favorite dal contesto geopolitico e dagli sviluppi poli-
tici interni.
L’inasprirsi delle tensioni tra Stati Uniti e Cina aprono infatti una fnestra favo-
revole al completamento della costruzione della statualità taiwanese, anche in con-
siderazione della crescente importanza strategica che l’isola sta acquisendo per
Washington. Taipei riveste una posizione centrale nella prima catena di isole e
costituisce un valido avamposto anticinese, come dimostra il ruolo giocato nelle
rivolte del 2019 a Hong Kong e l’effcacia con cui la sua lobby riesce a contrastare
gli interessi di Pechino a livello globale – si veda ad esempio quanto accaduto in
Lituania.
In secondo luogo, il Ppd controlla tanto l’esecutivo quanto il parlamento ed è
dunque nella posizione ottimale per promuovere un referendum sull’indipenden-
za, necessario per la proclamazione de iure della stessa. Il partito di governo ha
elaborato un piano quinquennale per riformare la costituzione della Repubblica di
Cina, passaggio giuridico che secondo la legge antisecessione legittima l’adozione
di misure di carattere militare da parte dell’Epl 8.
Infne, il mandato di Tsai Ing-wen termina nel 2024. L’attuale presidente potrà
dunque prendere decisioni drastiche – che le conferirebbero una posizione unica
nella storia di Taiwan – con relativa leggerezza. Anche perché il suo successore
sarà verosimilmente l’attuale vicepresidente Lai Ching-te, sostenitore accanito del-
l’indipendenza de iure.
8. YOU JI, «China’s Anti-Secession Law and the Risk of War in the Taiwan Strait», Contemporary Secu-
rity Policy, vol. 27, n. 2, agosto 2006.
9. L. DITTMER (a cura di), Taiwan and China: Fitful Embrace, Oakland 2017, University of California
Press. 129
LA CINA PREPARA LA GUERRA CHE NON VORREBBE FARE
131
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TAIWAN, L’ANTI-CINA
XI NON RINUNCERÀ
A TAIWAN di DENG Yuwen
Dalla conquista di Formosa dipendono la sopravvivenza del Partito
comunista e la formazione dell’identità nazionale cinese. Quindi
anche il retaggio e l’incolumità del presidente, il quale farà di tutto
per prendere l’isola. Possibilmente entro il 2035.
controllo del Partito comunista cinese (Pcc) sul paese sarebbe in pericolo. Per non
parlare naturalmente del proflo storico di Xi, che potrebbe davvero diventare l’ul-
timo segretario generale del Pcc.
Perciò apparentemente Washington e Pechino non possono rinunciare a Tai-
wan. Qualora quest’ultima si rifutasse di diventare parte della Repubblica Popo-
lare e se ne allontanasse sempre più, il governo cinese considererebbe l’interven-
to armato come l’unica soluzione. A quel punto una guerra con gli Stati Uniti sa-
rebbe inevitabile.
(Trattato di Pechino)
i Vladivostok 1860
b GIAPPONE
l Go Niuzhuang
Deserto de Mar del
Pechino Giappone
Lanzhou Zhenjiang
Shanghai
Nanchino
S I C H U A N Ningbo
Hankou
Chongqing «Cina delle 18 Province»
Ninjiang
Fuzhou Danshui Regioni controllate
Y U N N A N Amoy dagli insorti Taiping
Dali Yunnan Chaozhou
dal 1850 al 1864
BIRMANIA Canton FORMOSA 1895
Guangzhouwan (GIAPPONE) Principali insurrezioni
(1898 Fr.) Hong Kong
ANNAM Macao 1842 (R.U.) musulmane
Qiongzhou FILIPPINE Territori controllati
SIAM dai «Boxer» nel 1900
TAIWAN, L’ANTI-CINA
wan si separi defnitivamente dalla Cina perché tutta la retorica crolli all’istante. La
popolazione volterebbe le spalle al Pcc, il quale si frantumerebbe. Senza il Partito,
l’unità territoriale della Cina probabilmente verrebbe meno. Regioni come Xinjiang,
Tibet e persino Hong Kong potrebbero staccarsi dalla Repubblica Popolare. Se i
comunisti perdessero il potere o si ritrovassero degradati a forza politica di mino-
ranza, tutti i tentativi di riforma compiuti in precedenza sarebbero vanifcati. Il Pcc,
Xi e la sua cordata non vogliono farsi carico di un simile fardello.
3. Perciò, nonostante Taiwan sia una questione imprescindibile per Usa e Cina,
la differenza tra le loro posizioni sta nel fatto che Washington può permettersi di
perdere infuenza sull’isola anche a costo di rinunciare ipso facto al proprio ruolo
egemonico. Mentre se la Repubblica Popolare e il Partito comunista si lasciassero
sfuggire Taiwan andrebbero incontro a conseguenze catastrofche. Da questo punto
di vista, al contrario di Washington, una volta scoppiata la guerra Pechino sarebbe
costretta a mobilitare tutte le risorse del paese. Qualora gli Usa impegnassero a loro
volta le proprie forze armate inizierebbe un confitto tra potenze atomiche, senza
precedenti nella storia dell’umanità. Se gli Stati Uniti invece decidessero di circoscri-
vere il proprio aiuto a Taipei o di ingaggiare con la Cina una guerra limitata, quest’ul-
tima avrebbe maggiori possibilità di vittoria. Ma possiamo stare certi che, anche se i
falchi di Washington continuassero incessantemente a sostenere l’isola dopo aver
gridato all’invasione cinese, gli Stati Uniti non potrebbero comunque rischiare tutte
le loro risorse in una guerra nucleare con la Repubblica Popolare.
Da questo punto di vista, vincitori e vinti sembrerebbero già decisi. La doman-
da è: quando i comunisti cinesi daranno inizio al confitto? Si tratta di una valuta-
zione assai complessa. Dipenderà da molti fattori, ma soprattutto dalla misura in
cui cambierà in futuro l’importanza di Taiwan per la Cina. Se Pechino vuole ascen-
dere al rango di superpotenza non può accettare a lungo di restare confnata da
Washington entro la «prima catena di isole». Gli Stati Uniti stanno consolidando
l’accerchiamento strategico della Repubblica Popolare. Rafforzano la presenza mi-
litare in Giappone e Corea del Sud, intensifcano la cooperazione con Taiwan e
quella con i membri del Dialogo quadrilaterale di sicurezza (Quad, che comprende
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anche Giappone, Australia e India, n.d.r.) e schierano una forza deterrente nel
Pacifco. Per uscire da questa situazione e rispondere alle mosse dell’avversario,
Pechino sarà costretta a forzare la «prima catena di isole», di cui Taiwan è l’anello
più forte. Quando il rafforzamento della cooperazione militare tra Washington e
Taipei oltrepasserà una delle linee rosse stabilite da Pechino, l’Esercito popolare di
liberazione si vedrà costretto a muovere guerra contro Taiwan. Ciò potrebbe acca-
dere qualora gli Usa stanziassero soldati sull’isola, consentissero a quest’ultima di
sviluppare armamenti offensivi in grado di colpire il continente o si servissero di
porti e isole del Pacifco controllati da Taipei come basi per l’esercito americano.
traguardo del genere senza aver raggiunto l’unità territoriale. Il Pcc ha fssato l’an-
no 2050 come data del suo conseguimento. Pertanto Taiwan dovrebbe tornare
alla madrepatria entro quell’anno. In realtà l’obiettivo è abbastanza fessibile e può
essere posticipato illimitatamente. Sempre che Taipei non rinunci all’indipendenza
e rinnovi la propria adesione al «consenso del 1992» e al principio «una sola Cina».
A quel punto il Partito comunista potrebbe dare a intendere che l’isola riconosce
la sovranità della Repubblica Popolare pur non facendone parte amministrativa-
mente. In pratica Pechino avrebbe già Taiwan nel sacco. Ma in assenza di una si-
mile dinamica, il Pcc non avrebbe altra scusante: sarebbe costretto a riconquistare
Taiwan entro il 2050. A ogni modo, non possiamo escludere che i comunisti deci-
dano di arrestare la marcia del risorgimento della nazione. Qualora nel corso dei
prossimi trent’anni impreviste agitazioni sociali rallentassero il paese oppure ostru-
issero i piani della Repubblica Popolare, i comunisti sarebbero troppo occupati per
badare a Taiwan. Per ora questa possibilità sembra piuttosto remota.
La riunifcazione dell’isola con la madrepatria è per il Partito un fattore fon-
damentale per tenere in pugno l’opinione pubblica, oltre che il segno più chiaro
dell’importanza storica di Xi Jinping. Nessun altro fatto sarebbe in grado di con-
tribuire altrettanto alla reputazione e al ruolo del leader comunista nella storia
della Cina e del Partito. Lo sviluppo economico, il rafforzamento militare e la
posizione internazionale sono tutti segnali importanti del risorgimento del paese,
ma niente sarebbe altrettanto signifcativo per il popolo e per tutta la Repubblica
Popolare quanto la riunifcazione di Taiwan. Perciò il concetto stesso di risorgi-
mento nazionale si può ridurre al recupero della sovranità cinese sull’isola. Qua-
lora riuscisse nell’impresa, Xi Jinping supererebbe per importanza lo stesso Mao
Zedong nella storia della Cina e del Pcc, diventando il vero erede dei grandi
imperatori del passato. Tutti gli uomini di Stato ambiscono a lasciare una signi-
fcativa traccia nella storia. C’è chi dice che lo scopo ultimo del totalitarismo e
della dittatura di Xi sia proprio risolvere la questione di Taiwan. Egli non lasce-
rebbe mai questa impresa e la gloria che ne deriverebbe ai suoi successori: vuo-
le risolverla in prima persona. La verità è che il principale scopo del totalitarismo
e della dittatura à la Xi è salvare il Partito comunista, ma anche Taiwan è fra i
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suoi obiettivi.
Dalla riunifcazione a cavallo dello stretto non dipende solamente l’importanza
storica del leader cinese, ma anche il suo destino dopo che si sarà ritirato o dimes-
so. In questi anni, Xi si è fatto troppi nemici dentro e fuori il Partito. Nessun leader
comunista prima di lui aveva agito in questo modo, oltraggiando praticamente
tutti i centri di potere e i gruppi di interesse del paese. Ciò non corrisponde alla
flosofa di governo dei predecessori: in questo senso Xi è un leader comunista
atipico, che però mette sé stesso in pericolo. Se oggi egli appare tranquillo è per-
ché tiene saldamente le redini del potere. I suoi oppositori non hanno margini
d’azione contro di lui. Naturalmente essi si presenteranno alla resa dei conti, non
appena avrà abdicato. Ma nel caso in cui Xi riuscisse a risolvere la questione di
Taiwan durante il suo mandato, guadagnerebbe una garanzia sulla vita. Se il popo- 137
XI NON RINUNCERÀ A TAIWAN
lo gli riconoscesse il merito di aver riunifcato il paese tutte le azioni che hanno
generato malumore gli sarebbero immediatamente perdonate. A quel punto, i suoi
rivali diverrebbero nemici del popolo e della storia e nessuno oserebbe colpire il
presidente. Pertanto, a meno di avvenimenti imprevisti di una certa portata, Xi ri-
prenderà il controllo di Taiwan durante la sua presidenza.
Quando un uomo solo è al governo, la sua inclinazione personale è un fattore
importante per giudicare la congiuntura storica. Xi Jinping è uno che fa sul serio.
È pragmatico, ma la sua risolutezza e la sua sete di riconoscimenti storici lo spin-
geranno a scommettere su Taiwan. Tuttavia, bisogna tenere conto anche del fatto-
re anagrafco. Sono rari i casi di uomini che abbiano esercitato il potere oltre l’ot-
tantacinquesimo anno di vita, perché a quell’età forze fsiche e facoltà intellettive
sono generalmente ridotte. Dopo il XX Congresso del Pcc che si terrà il prossimo
anno, Xi potrà restare al potere per altri due o tre mandati al massimo (quindici
anni in tutto), concludendo la sua carriera da anziano ottantacinquenne. Questo
fatto implica che la questione taiwanese dovrà essere risolta entro il 2035. Quindi-
ci anni è esattamente il lasso di tempo entro il quale il Pcc ha promesso di portare
a termine la prima fase della modernizzazione del paese. Non è una coincidenza:
c’entra sicuramente l’idea che ha Xi Jinping della questione taiwanese.
stanze. Xi dovrebbe giocarsi il tutto per tutto e, facendo leva sul nazionalismo ci-
nese, cercherebbe di riscattare il fallimento sul fronte interno con la riconquista di
Taiwan. Il presidente può mobilitare tutte le risorse nazionali per un attacco all’i-
sola, mentre gli Usa diffcilmente potranno fare altrettanto. Dunque la Repubblica
Popolare dovrebbe impegnarsi al massimo per riprendere il controllo di Taiwan
subito dopo lo scoppio della guerra, costi quel che costi.
Eppure Pechino non lascerà andare Taiwan. Troppi sono i fattori in gioco: la
missione del Pcc, il prestigio e l’autorevolezza personale di Xi, le circostanze inter-
ne e internazionali dello Stato nazionale cinese, il sentimento patriottico delle mas-
se. Inoltre, questo è il momento più favorevole per la Repubblica Popolare anche
in termini di forza complessiva. Naturalmente Xi e il Pcc valuteranno opportuna-
mente anche come affrontare un’eventuale sconftta. Ma dato che essa arriverà
solo una volta deciso l’intervento armato, la questione si riduce a quale prezzo
bisogna considerare accettabile. Perché in ballo non ci sarebbero soltanto l’ambi-
zione di un leader e la legittimità del Partito: questi fanno del dossier Taiwan l’ul-
tima battaglia da vincere per conseguire il risorgimento della nazione e lavare via
cent’anni di umiliazioni.
Infne, sebbene Pechino sembri non avere ancora predisposto piani di riserva
o progetti dettagliati per una soluzione militare della questione taiwanese, gli even-
ti possono essere condizionati da fattori fuori programma. Per esempio, dei sussul-
ti a Taipei o una riduzione del supporto americano in difesa di Taiwan potrebbero
persuadere il governo cinese a cogliere l’attimo e a intervenire militarmente.
Di una cosa si può star certi: Pechino terrà l’isola sotto un controllo sempre più
stretto. Il momento della resa dei conti tra le due sponde dello stretto è sempre più
vicino.
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139
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TAIWAN, L’ANTI-CINA
PERCHÉ A PECHINO
È L’ORA DEI FALCHI di JU Hailong
tra le relazioni sino-statunitensi e quelle tra Pechino e Taipei. A giudicare dagli ul-
timi eventi, gli Stati Uniti e i loro alleati paiono incoraggiare le forze «indipendenti-
ste» a superare i paletti che delimitano le relazioni con la Repubblica Popolare,
onde provocarne la reazione: una riunifcazione forzata che precipiti lo scontro. Il
contesto regionale in cui la questione di Taiwan va gestita e risolta si sta deterio-
rando, mettendo a dura prova la saggezza degli statisti.
Prima del 1949 l’affare taiwanese si riassumeva nell’inseguimento da parte
dell’Esercito popolare di liberazione cinese delle truppe del Guomindang rifugia-
tesi sull’isola. La guerra fredda, la guerra di Corea e l’intervento statunitense posero
fne a questa guerra civile. Negli anni Settanta gli Stati Uniti ridefnirono la questio-
ne di Taiwan alla luce dell’apertura alla Cina, del ritiro dal Vietnam e della nuova
traiettoria strategica in Asia. Il 28 febbraio 1972 Washington e Pechino frmarono 141
PERCHÉ A PECHINO È L’ORA DEI FALCHI
uno storico comunicato congiunto che sullo spinoso dossier taiwanese esibiva un
capolavoro retorico: «Gli Stati Uniti riconoscono che tutti i cinesi su ambo le spon-
de dello Stretto di Taiwan credono che esista una sola Cina e che Taiwan ne faccia
parte.» Gli Stati Uniti non contestavano questa posizione e riaffermavano l’auspicio
che fossero gli stessi cinesi a risolvere pacifcamente la disputa, dunque procede-
vano al graduale ma completo ritiro delle loro forze dall’isola.
Nei comunicati congiunti del 1978 e del 1982 Washington ribadiva di vedere
nel governo della Repubblica Popolare Cinese l’unico esecutivo legittimo della
Cina, ma anche che esiste una sola Cina e che Taiwan ne è parte. Pertanto, confer-
mava l’impegno a ridurre la vendita di armamenti a Taipei. Purtroppo, lo sviluppo
della questione taiwanese tra la fne degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta non
fu infuenzato solo dall’instaurazione di relazioni diplomatiche tra Cina e Stati Uni-
ti. Il Taiwan Relations Act proposto da Jimmy Carter a fne gennaio 1979, approva-
to dal Congresso a fne marzo e controfrmato dal presidente il 10 aprile è divenu-
to il secondo fattore in ordine d’importanza a infuire sulla vicenda. La legge stabi-
liva che la decisione statunitense di stabilire relazioni diplomatiche con la Repub-
blica Popolare Cinese riposava sull’aspettativa che il futuro di Taiwan fosse deciso
in modo pacifco; qualsiasi tentativo in senso contrario avrebbe minacciato la pace
e la stabilità del Pacifco occidentale, suscitando forti preoccupazioni a Washing-
ton. La legge prevede altresì che Taiwan sia rifornita di armi «per mantenere la sua
capacità di difendersi contro qualsiasi uso della forza o di altre forme di coercizio-
ne capaci di minare la sicurezza o il suo sistema socioeconomico».
La strategia americana di stabilire relazioni diplomatiche con Pechino mante-
nendo il sostegno militare a Taipei lascia la questione taiwanese in balìa del fragile
equilibrio tra relazione sino-statunitense e rapporti Cina-Taiwan. Cambiamenti in
una delle due relazioni potrebbero alterare l’equilibrio e compromettere la possi-
bilità di risolvere pacifcamente lo stallo.
2. L’infuenza dei leader taiwanesi non può essere ignorata. Lee Teng-hui e
Chen Shui-bian hanno promosso con vigore politiche flogiapponesi, floamericane
e anticinesi. I due hanno anche imbevuto di «indipendentismo» il sistema d’istruzio-
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ne, cancellando il ricordo della storia e della cultura cinesi nelle nuove generazio-
ni. La condotta perversa di Lee e Chen ha suscitato l’opposizione dei taiwanesi
saggi e attratto l’attenzione dei politici americani: intorno al 2008 la politica di «in-
dipendenza» propugnata da Chen era così radicale che Washington è dovuta inter-
venire per bloccare la farsa del referendum.
Ma Ying-jeou è stato eletto presidente di Taiwan nel 2008; la sua elezione ha
schiuso ai cinesi su ambo le sponde dello stretto la prospettiva di una riunifca-
zione pacifca. In quegli anni molti studiosi taiwanesi hanno teorizzato formule
come «un paese, due sistemi», federalismo, confederalismo e «coordinamento in-
ter-stretto per la difesa nazionale». Alcuni partiti favorevoli alla riunifcazione sor-
ti negli anni Novanta, come il Partito nuovo, l’Associazione di salvezza nazionale
142 Whampoa, l’Associazione cinese per la pace inter-stretto e la strategia di sviluppo,
TAIWAN, L’ANTI-CINA
l’Associazione nuovo Tong Meng hanno avuto un discreto successo. Alcuni tra i
più radicali hanno persino fondato partiti che sostengono la riunifcazione in base
alla formula «un paese, due sistemi», come il Partito per la promozione dell’unif-
cazione cinese.
Anche gli scambi politici, economici e culturali tra le due sponde si sono svi-
luppati. Con l’aiuto di entusiasti da ambo i lati sono stati istituiti voli diretti, sono
caduti molti tabù sugli scambi accademici, il turismo cinese a Taiwan è cresciuto e
molti prodotti agricoli taiwanesi hanno preso a essere esportati nella Cina conti-
nentale. Ma soprattutto, seppur con alcune restrizioni, Taiwan ha aperto i suoi ar-
chivi a qualifcati studiosi del continente.
I bei tempi però non sono durati a lungo. Alla fne del secondo mandato di
Ma, il vento politico sull’isola è girato. I sostenitori dell’«indipendenza» erano già in
crescita quando, nel 2016, Tsai Ing-wen è divenuta presidente dell’isola. Al tempo
alcuni suoi insegnanti di liceo in Cina, dove aveva studiato nell’ambito di uno scam-
bio culturale, avvertirono che questa donna dal carattere lunatico avrebbe proba-
bilmente distrutto le relazioni bilaterali ricostituite con tanta diffcoltà. Appena arri-
vata, da brava ecologista ha subito innalzato il proprio tenore di vita e in pochi
anni ha sottratto ai rivali le loro proprietà, ammassando una fortuna per il Partito
progressista democratico, il suo schieramento. Frattanto reprimeva l’opposizione.
Alcuni membri della Coalizione blu dicono che dal 2016 vivono una sorta di Ter-
rore bianco: privati del diritto di parola, impossibilitati a sviluppare nuove relazioni
con la Cina continentale ma anche a mantenere quelle esistenti, in via di «riesame».
Alcuni convinti fautori dei legami inter-stretto, normali cittadini, sono stati incarce-
rati. Tsai ha anche graziato Chen Shui-bian (condannato all’ergastolo nel 2009 per
corruzione e appropriazione indebita), ha acquistato grandi quantitativi di armi
dagli Stati Uniti e ha provocato la Cina in molti modi, portando a un inedito con-
gelamento delle relazioni con Pechino.
Tsai ing-wen integra ora il fronte internazionale anticinese capeggiato dagli
Stati Uniti: fa la faccia feroce con la Repubblica Popolare ed è inebriata dalla vitto-
ria conseguita usando Taiwan come avamposto di Washington, specie da quando
l’America e alcuni paesi europei hanno espresso il proposito di cambiare il nome
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dei propri uffci a Taipei, rendendoli più simili ad ambasciate. Tsai forse compren-
de, ma non vuole ammettere che il tavolo su cui ha calato il suo asso non è più
quello di trent’anni fa. Oggi la Cina è una grande potenza che compete per molti
versi alla pari con gli Usa per Taiwan: data la posizione e le caratteristiche dell’iso-
la, quale delle due crede che avrà la meglio?
La riunifcazione pacifca è sempre stata la principale politica di Pechino ri-
guardo alla questione taiwanese; una politica rimasta immutata per decenni grazie
a tre elementi. Primo: le relazioni sino-statunitensi sono rimaste stabili dagli anni
Ottanta del Novecento alla prima metà del 2018. Secondo: l’attitudine benigna
della Cina continentale verso Taiwan. Terzo: sebbene Lee Teng-hui e Chen Shui-
bian abbiano compromesso le relazioni inter-stretto, le forze «indipendentiste» di
Taiwan non sono mai riuscite a minarne le basi. Al fne di preservare il delicato 143
PERCHÉ A PECHINO È L’ORA DEI FALCHI
blica Popolare. Se l’«indipendentismo» taiwanese riuscisse nel suo intento, l’isola di-
verrebbe un avamposto americano a poche miglia dalle coste cinesi e – consideran-
do la forte presenza militare degli Stati Uniti nel Mar Cinese Meridionale – le condi-
zioni di sicurezza nella periferia strategica cinese si deteriorerebbero sensibilmente.
In un’ottica strategica, la Cina non ha dunque alcuna ragione di accondiscen-
dere alle forze «indipendentiste» taiwanesi, specie con un’America fortemente osti-
le. Se quelle forze o la stessa America superano il punto di non ritorno nelle rela-
zioni inter-stretto, berranno dall’amaro calice che esse stesse si sono riempite.
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TAIWAN, L’ANTI-CINA
avuto carattere informale, mentre dopo il trasferimento della sovranità sulla regio-
ne dal Regno Unito alla Repubblica Popolare Cinese nel 1997 il Porto Profumato
ha acquisito per Taiwan uno status speciale regolato da una specifca legge adot-
tata nel 1997.
Anche gli Stati Uniti avevano riservato un trattamento preferenziale a Hong
Kong attraverso un accordo del 1984. Nel luglio 2020 il presidente Donald Trump lo
ha revocato in seguito alla repressione delle manifestazioni di protesta contro la fa-
migerata legge sull’estradizione da parte della Cina e ai successivi arresti di massa,
segno inequivocabile che la Repubblica Popolare stava venendo meno al suo impe-
gno a garantire il modello fondato sul principio «un paese, due sistemi». Il Congresso
americano ha immediatamente adottato provvedimenti legislativi volti a tutelare i
diritti umani degli hongkonghesi, imponendo al contempo sanzioni a funzionari ci- 147
HONG KONG DEVE STUDIARE LA LEZIONE DI FORMOSA
nesi e della Regione ad amministrazione speciale. Tutti questi sviluppi hanno inevi-
tabilmente infuenzato l’approccio a Hong Kong di Taiwan, che pur non avendo
l’infuenza politica degli Stati Uniti ha cercato di fare la sua parte offrendo aiuti uma-
nitari agli esiliati attraverso le organizzazioni non governative. Se gli eventi degli ul-
timi anni hanno contribuito ad allontanare i governi di Hong Kong e Taipei, hanno
al contempo contribuito ad avvicinare le rispettive società civili.
Grafco 1 - L’IDENTITÀ POLITICA DI HONG KONG (% di cittadini che si auto identifcano come...)
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Hong Kongesi Cinesi Identità mista
Fonte: Adapted from Public Opinion Programme, The University of Hong Kong,
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Taiwanesi Identità mista Cinesi
della dipendenza economica dalla Cina: non voglio che Taiwan diventi domani
quello che Hong Kong è oggi» 4.
Qualche mese dopo nella Regione ad amministrazione speciale esplose il Mo-
vimento Occupy, che chiedeva l’elezione a suffragio universale del capo dell’ese-
cutivo. Il 1° luglio, anniversario del trasferimento della sovranità dal Regno Unito
alla Cina, alla manifestazione organizzata dal movimento pro democrazia presero
parte anche attivisti taiwanesi 5. La tensione raggiunse l’apice alla fne di agosto,
quando il governo cinese rigettò le richieste degli attivisti hongkonghesi e questi
ultimi organizzarono uno sciopero della fame dal quale nacque il cosiddetto Movi-
mento degli ombrelli. Mentre la polizia reprimeva le proteste pacifche con i gas
lacrimogeni, gli attivisti taiwanesi diedero vita a un sit-in di solidarietà con le pro-
teste di fronte all’Uffcio di rappresentanza di Hong Kong a Taipei. Le manifesta-
zioni degli studenti hongkonghesi a Taiwan contribuirono a sensibilizzare ulterior-
mente l’opinione pubblica locale e a convincere diversi attivisti taiwanesi a parte-
cipare al movimento di protesta nel Porto Profumato. Il Movimento degli ombrelli
non riuscì a ottenere gli obiettivi prefssati, ma piantò i semi per l’attivismo giova-
nile e le rivolte popolari che sarebbero scoppiate negli anni successivi.
Il ciclo di manifestazioni andato in scena tra il 2012 e il 2014 ha permesso le
prime interazioni tra le società civili di Taiwan e Hong Kong, anche se gli esiti dei
movimenti di protesta sono stati molti diversi. Il Movimento degli ombrelli è stato
paralizzato dalle divisioni interne. Il Movimento studentesco del girasole a Taiwan è
invece riuscito ad aprire nuovi spazi politici: i suoi protagonisti hanno fondato par-
titi, sono stati assorbiti nel Partito progressista democratico (Ppd) o hanno addirittu-
ra ricoperto incarichi governativi dopo che quest’ultimo ha sconftto il Kuomintang
nelle elezioni del 2016. I giovani attivisti hongkonghesi hanno cercato con successo
di imitare l’esperienza taiwanese, attirando su di loro l’indesiderata attenzione del
governo cinese e dei suoi agenti di prossimità a Hong Kong. Quando Joshua Wong
e Nathan Law hanno visitato Taiwan nel 2017 sono stati oggetto di minacce da par-
te di gruppi flocinesi legati alla malavita, come si è scoperto in seguito.
4. «2.3 thousand people brave cold wind, prefer to catch a cold rather than take the trade agreement»,
United Evening News, 21/3/2014.
5. «Taiwan NGOs will not be absent, going to Hong Kong to show support», Liberty Time, 1/7/2014. 151
HONG KONG DEVE STUDIARE LA LEZIONE DI FORMOSA
152 6. Cifre fornite dal dipartimento di Polizia di Hong Kong il 17/2/2020 e il 20/4/2020.
TAIWAN, L’ANTI-CINA
30,7
10,6
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1,1 0,3
ANNI
TOTALE: 612
52,9
33,8
6
2,3 2,3 0,3 2,3
ANNI
darietà, organizzando raccolte fondi per inviare maschere antigas a Hong Kong e
chiedendo al governo di Taiwan di concedere asilo ai manifestanti che intendeva-
no rifugiarsi sull’isola.
«Al fanco di Hong Kong» non era solo uno slogan ma l’espressione della vo-
lontà popolare dei taiwanesi. La pressione dell’opinione pubblica e considerazioni
di ordine geopolitico spinsero la presidente di Taiwan Tsai Ing-wen a delineare
concrete misure umanitarie a favore di Hong Kong, soprattutto a fronte dell’eviden-
te fallimento del modello fondato sul principio «un paese, due sistemi». Secondo un 153
HONG KONG DEVE STUDIARE LA LEZIONE DI FORMOSA
sondaggio realizzato nel 2020 da Academia Sinica, il più importante istituto di ri-
cerca di Taiwan, il 67% dei taiwanesi appoggiava la resistenza degli hongkonghesi.
Nella fascia d’età 18-34 anni la percentuale raggiungeva l’85% 7, tanto che alcuni
arrivarono a criticare il tiepido sostegno di Taipei alle manifestazioni 8. Cercando di
contribuire alla difesa dei manifestanti di Hong Kong senza scatenare la reazione
di Pechino, il governo taiwanese optò per una politica di supporto alla società ci-
vile hongkonghese grazie alla quale tra il 2019 e il 2021 un centinaio di attivisti
hanno trovato rifugio a Taiwan, dove gli sono stati forniti abitazioni, istruzione
gratuita e sostegno fnanziario. A questo va aggiunto il fusso di migranti hongkon-
ghesi verso l’isola avvenuto nello stesso periodo.
Le proteste contro la legge sull’estradizione a Hong Kong andavano in scena
mentre si avvicinavano le elezioni presidenziali a Taiwan, in programma l’11 gen-
naio 2020. Poco più di un anno prima, nel novembre 2018, il Kuomintang aveva
stracciato il Ppd nelle elezioni locali, circostanza che aveva indotto il presidente
cinese Xi Jinping a premere sull’acceleratore. In un discorso pronunciato all’inizio
del 2019, Xi si era rivolto ai «compatrioti taiwanesi» invitandoli a sostenere l’unif-
cazione alla Repubblica Popolare nell’ambito del modello fondato sul principio
«un paese, due sistemi», avvertendoli che la Cina non poteva «promettere che
avrebbe rinunciato all’uso della forza». La presidente di Taiwan Tsai Ing-wen ri-
spose per le rime al presidente cinese, il cui tentativo di usare gli agenti di pros-
simità di Pechino sull’isola per attaccare gli «indipendentisti taiwanesi» si è rivelato
controproducente.
La guerra mediatica condotta dalla Repubblica Popolare e la minaccia dell’u-
nifcazione forzata contribuirono infatti a sviluppare nei giovani taiwanesi il timore
di perdere il proprio paese (wangguogan). L’approvazione da parte del parlamen-
to taiwanese di una legge che consentiva il matrimonio tra persone dello stesso
sesso – primo caso in un paese asiatico – diede impeto al movimento progressista
giovanile che assicurò a Tsai Ing-wen la vittoria di un secondo mandato presiden-
ziale. Il wangguogan si tradusse inoltre in uno slancio a favore della causa di Hong
Kong, percepita dai taiwanesi come affne alla propria. Lo slogan «Oggi Hong
Kong, domani Taiwan» divenne estremamente popolare in quella fase.
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10. «Carrie Lam: Hong Kong Legislative Council election postponed a year because of the seriousness
of the epidemic», Cna, 31/7/2020.
11. «Hong Kong Legislative Council: the Chinese People’s Congress Standing Committee resolution
against the pro-democracy camp,» Bbc, 11/11/2020. 155
HONG KONG DEVE STUDIARE LA LEZIONE DI FORMOSA
5. Negli ultimi due anni le crescenti tensioni geopolitiche tra Cina e Stati Uniti
hanno ulteriormente complicato la già diffcile situazione di Hong Kong, dal mo-
mento che l’approccio di Pechino alla regione è stato infuenzato dalle dinamiche
della competizione con la superpotenza. È molto improbabile che la Repubblica
Popolare allenti la sua presa sul Porto Profumato, ma nonostante la diffcile con-
giuntura l’America e altri attori esterni possono aiutare gli hongkonghesi a preser-
vare un barlume di speranza circa il futuro della loro democrazia.
Washington può ad esempio provare ad aumentare il costo della repressione
cinese a Hong Kong. Analogamente, Taipei potrebbe incrementare il proprio im-
pegno a favore della società civile hongkonghese, schivando la pressione di Pechi-
no con iniziative di basso proflo. L’Unione economica democratica, nota organiz-
zazione civica, ha copubblicato ad esempio la rivista Flow HK in collaborazione
con attivisti hongkonghesi residenti all’estero. La condizione della Regione ad am-
ministrazione speciale non è troppo diversa da quella in cui versava Taiwan duran-
te il periodo in cui vigeva la legge marziale (1949-1987). In quella fase, le organiz-
zazioni taiwanesi basate all’estero riuscirono a rendere consapevole il resto del
mondo della repressione del Kuomintang, svolsero attività di lobbying presso i
governi occidentali, addestrarono attivisti, pubblicarono libri proibiti dal regime,
svilupparono connessioni con i dissidenti rimasti in patria e li aiutarono a fuggire.
Attività che ebbero un’importanza vitale per impedire l’estinzione della resistenza.
Gli hongkonghesi devono dunque imparare dal precedente taiwanese a con-
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durre una «guerra di posizione» dopo il confronto sfbrante degli scorsi anni, a re-
sistere al lavaggio del cervello praticato nelle scuole e attraverso i media, a preser-
vare la memoria storica, a sfruttare il defcit di legittimità del regime che combatto-
no, a connettere le attività della società civile in esilio a quelle degli attivisti che
continuano a battersi in patria. Veicolando la loro esperienza, i taiwanesi possono
fornire un contributo fondamentale alla liberalizzazione e alla democratizzazione
di Hong Kong.*
Parte III
le POTENZE
INDO-PACIFICHE
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si SCHIERANO
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TAIWAN, L’ANTI-CINA
1. D
ALL’AVVENTO DELL’AMMINISTRAZIONE BIDEN
nel gennaio 2021 la politica estera statunitense e quella giapponese mostrano un
crescente interesse per Taiwan e per il modo in cui l’isola si inserisce nella relazio-
ne tra Cina e Stati Uniti. La Casa Bianca ha rilasciato dure dichiarazioni sia unilate-
rali che insieme a paesi amici o alleati. Per esempio, nell’aprile 2021 durante la
visita a Washington dell’allora premier giapponese Suga Yoshihide Giappone e
Stati Uniti hanno esplicitamente sottolineato l’importanza della pace e della stabili-
tà nelle relazioni Pechino-Taipei. Al comunicato ha fatto eco quello fnale del suc-
cessivo G7 incentrato su pace e stabilità nello Stretto di Taiwan, ma anche sull’op-
portunità di ammettere Taipei all’Organizzazione mondiale della sanità e di ap-
prendere dalla sua esperienza nella gestione del Covid-19.
Più recentemente molti politici giapponesi, inclusi il ministro della Difesa Kishi
Nobuo e il ministro delle Finanze nonché vicepremier As§ Tar§, si sono pronun-
ciati in favore di Taiwan arrivando a dichiarare che in caso di confitto tra questa e
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ga i Mari Cinesi Orientale e Meridionale. Entrambi i bacini, per non parlare dello
Stretto di Taiwan e della stessa Formosa, sono come noto oggetto delle rivendica-
zioni della Repubblica Popolare. T§ky§ teme che se Pechino arrivasse a controlla-
re queste vie marittime, militarizzandole, potrebbe forzare il Giappone stesso e
altri paesi dell’Indo-Pacifco a compiere scelte contrarie al loro interesse nazionale.
Questa forma di coercizione economica, o meglio marittimo-navale, è tra le mag-
giori preoccupazioni del paese del Sol Levante, che vede la Cina divenire una
potenza sempre più sfrontata.
In secondo luogo gli Stati Uniti sembrano tendere verso una nuova o più am-
bigua interpretazione della politica di «una sola Cina», alla base delle relazioni sino-
statunitensi. Per Taiwan ciò implica visite ministeriali, cooperazione rafforzata, uff-
cializzazione della rappresentanza diplomatica. La politica di «una sola Cina» è stata
l’architrave delle relazioni sino-statunitensi per oltre quarant’anni, garantendone la
stabilità; sconfessarla è una sfda alla Repubblica Popolare. Taiwan è infatti un tabù
per il Partito comunista cinese (Pcc), il cui intento di annettere l’isola al resto del
paese è considerato un supremo interesse nazionale, come tale non negoziabile.
Ogni passo verso l’indipendenza di Taipei, verso un suo riconoscimento internazio-
nale o una cooperazione che deroghi alla politica di «una sola Cina» mette in discus-
sione il ruolo del Pcc quale unico e legittimo governo della Cina unitaria.
In quest’ottica, ogni atto di Washington che aumenti l’ambiguità crea problemi
interni al partito, il cui primato è eroso agli occhi della popolazione e soprattutto dei
settori più nazionalisti. Un aumento del nazionalismo cinese sulla questione di
Taiwan potrebbe mettere all’angolo Xi Jinping, spingendolo a tentare di annettere
Formosa con le armi. Il Giappone osserva con sempre maggiore preoccupazione
questa dinamica, temendo lo scoppio di un confitto nello stretto o che la Cina tenti
con la forza d’indurre T§ky§ ad abbandonare Taipei, magari aumentando la pressio-
ne sulle isole Senkaku o attuando un blocco navale nel Mar Cinese Meridionale. Ciò
minerebbe l’economia, ma anche la stabilità politica del paese del Sol Levante.
azienda che produce alcuni dei semiconduttori più sofsticati al mondo impiegati
tra l’altro nei prodotti Apple, nei caccia militari e nelle auto giapponesi. Questi
sofsticati circuiti rappresentano tecnologie critiche per l’economia giapponese,
essendo al cuore di molte produzioni high-tech in cui il paese è leader. Che le
relative fliere transnazionali possano essere sabotate, anche solo temporaneamen-
te, da un confitto con la Cina è un vero incubo per il Giappone, il quale subirebbe
un impatto socioeconomico davvero pesante.
Stante il dualismo di molte tecnologie informatiche, T§ky§ guarda a Taiwan
anche in un’ottica militare: la piena disponibilità dei microprocessori di punta –
come quelli prodotti a Formosa – accelererebbe il già rapido ammodernamento
delle Forze armate cinesi, aumentandone capacità e aggressività nell’Indo-Pacifco.
162 Per questo Giappone e Stati Uniti lavorano insieme e con gli alleati della regione,
TAIWAN, L’ANTI-CINA
MONGOLIA Manciuria
1905
Mongolia Interna
Jehol
1933
Corea GIAPPONE
Pechino
1910
Seoul Tōkyō
Tsingtao
1938
Xi’an
Kiangsu Nanchino
C I N A
1937
BRITANNICA
Sarawak
Singapore
1942
INDIE ORIENTALI OLANDESI
Massima espansione
dell’impero giapponese
nel 1942
163
ˉ KYO
TO ˉ AMA TANTO LA CINA CHE NE VUOLE DUE
FEDERAZIONE RUSSA
Avversario e interlocutore
Isole Curili
Rivendicate dal Giappone
COREA GIAPPONE
DEL NORD
Nemico Tōkyō:
giurato quartiere di Kasumigaseki
sede dei ministeri degli Esteri
e delle Finanze
e dell’intelligence nazionale
quartiere di Ichigaya
COREA DEL SUD sede del ministero della Difesa
Alleato teorico
e nemico reale
CINA
Nemico giurato Recupero di Taiwan
all’infuenza giapponese
TAIWAN
MYANMAR
Copia di 8a1a8ce32abcb86782aa3a165bf88d38
FILIPPINE
THAILANDIA VIETNAM
M A L A Y S I A
I N D O N E S I A
Paesi che ricevono aiuti
fnanziari dal Giappone 165
ˉ KYO
TO ˉ AMA TANTO LA CINA CHE NE VUOLE DUE
serva con timore l’avvitarsi dell’interazione Usa-Cina e l’acuirsi delle tensioni nello
Stretto di Taiwan con tutte le possibili implicazioni regionali, perseguire questi
quattro imperativi è fondamentale per assicurare che le sue linee di approvvigio-
namento rimangano aperte, gli Stati Uniti continuino a garantire la sicurezza della
regione e il ruolo di Taiwan in tale contesto resti sostenibile, stabile, pacifco.
166
TAIWAN, L’ANTI-CINA
LA STRAORDINARIA
SCELTA DELL’AUSTRALIA di Federico PETRONI
Canberra ha stabilito che la Cina è una minaccia e si è stretta
agli Usa. Era nella logica strategica. Ma la conversione è stata
fulminea, condotta con misure drastiche e sostenuta dalla
popolazione. Una corretta interpretazione del patto Aukus.
incarna la netta presa di posizione australiana. Apre alla sua defnitiva integrazione
nello schieramento navale anticinese. Dischiude una cooperazione tecnologica che
promette di compensare indirettamente il prezzo pagato nella guerra economica
con la Repubblica Popolare.
Sbaglia chi se ne stupisce eccessivamente: decidere che la Cina è un nemico e
offrirsi agli Stati Uniti è in linea con la cultura strategica dell’Australia. Sbaglia però
pure chi se ne stupisce troppo poco. Non era scontato che Canberra assumesse
questi atteggiamenti, men che meno con tanta rapidità. La discendenza britannica
non genera automaticamente una visione identica delle minacce. L’Anglosfera non
è una comunità d’intenti. Fino a ieri, Washington era profondamente scontenta del
lassismo australiano nei confronti della Cina. E ancora oggi, nonostante o forse
proprio in virtù di Aukus, restano inevitabili frizioni fra i due alleati. Vale dunque 167
LA STRAORDINARIA SCELTA DELL’AUSTRALIA
Non potrebbe affdarsi a una talassocrazia orientale non solo perché troppo vicina
ma pure perché ne annullerebbe l’alterità. L’accetterebbe soltanto in caso di occu-
pazione militare o per sostituzione del ceppo dominante.
Tutto molto razionale, eppure insuffciente in assenza della spinta umana. In
breve, fno a ieri gli australiani non ritenevano l’ascesa di Pechino una minaccia.
Comprensibile per una società occidentale profondamente intrisa di cultura econo-
micistica, convinta della fne della storia, che gli affari avessero ormai espunto l’e-
lemento cruento delle competizioni umane, a cui era necessario presentare ogni
intervento militare nelle vicine isolette del Pacifco come missione di pace. Una
società abituata a discorsi su questa falsariga: la Cina è il nostro primissimo partner
commerciale, non possiamo mettere a repentaglio gli interscambi, Pechino non
168 avrà interesse a colpirci perché dipende dai minerali che le vendiamo, se il nostro
TAIWAN, L’ANTI-CINA
pil è cresciuto ininterrottamente per trent’anni è solo grazie agli investimenti cinesi
che ci hanno salvato dal crollo di Wall Street nel 2008.
Innegabile, ma profondamente astrategico. Tanto da innervosire gli americani.
Solo nel 2017 un esponente dell’establishment, ora alto funzionario dell’ammini-
strazione Biden, defniva l’Australia «un grande alleato degli Stati Uniti ovunque
tranne che in Asia». Addirittura, ancora nel 2019 al Congresso ci si chiedeva: «Chi
ha perso l’Australia?» 1.
3. Che cosa è cambiato nel frattempo? La Cina ha chiarito che la sua ascesa
non avrebbe avuto natura benigna. Sta brutalmente assimilando le province del
suo impero. Ha iniziato a intimidire e a prendere di mira i paesi del Sud-Est asiati-
co. Si è installata o sta provando a farlo lungo tutta la catena di isole fra Nuova
Guinea e Figi che chiude il Mar dei Coralli e che Canberra ritiene sua sfera d’in-
fuenza esclusiva (carta). Si è dotata per la prima volta della capacità di colpire il
territorio australiano, grazie ai missili installati nei castelli di sabbia (Spratly, Para-
cel) nel Mar Cinese Meridionale.
Decisivo, la Cina si è fatta sentire in casa dell’Australia, diffondendo la sua
tecnologia, allacciando intimi rapporti nei suoi partiti, pretendendo la fedeltà della
cospicua diaspora, controllando infrastrutture decisive come porti o reti informati-
che, perseguitando gli esuli dissidenti. Canberra si è resa conto che Pechino avreb-
be impiegato quell’infuenza per manipolarla, per imporle la propria volontà. E ha
capito che Washington non si sarebbe spesa per aiutarla. Anzi, l’impressione di un
satellite manovrato dall’avversario avrebbe soltanto peggiorato la sua immagine
presso la superpotenza. Infne, ha realizzato di non poter restare al riparo dal peg-
gioramento della competizione fra americani e cinesi. Improvvisamente, gli oceani
che la separavano dal mondo si sono fatti stretti e bassi. Attraversabili.
Insomma, l’Australia si è mossa quando la Cina l’ha toccata sul fronte interno.
E ha preso decisioni sorprendenti nel loro insieme. Ha approvato leggi contro l’in-
terferenza straniera in politica dopo una serie di scandali. Ha bandito il 5G cinese,
prima al mondo e prima che gli Stati Uniti ordinassero al Canada di arrestare il
capo delle fnanze di Huawei. Ha cancellato l’accordo con cui lo Stato di Victoria
Copia di 8a1a8ce32abcb86782aa3a165bf88d38
aveva aderito alle nuove vie della seta. Ha bloccato investimenti in settori sensibili.
Ha preso di mira ricercatori cinesi sospettati di legami con le Forze armate e di
rubare segreti industriali e militari. Ha attribuito alla Cina la responsabilità degli
attacchi cibernetici.
Sul fronte esterno, ha accusato Pechino di violare il diritto internazionale nel
Mar Cinese Meridionale e i diritti umani degli hongkonghesi, degli uiguri, dei tibe-
tani, dunque a sua volta interferendo negli affari domestici della Repubblica Popo-
lare. L’ha pubblicamente additata come responsabile dello scoppio dell’epidemia,
implicito nella richiesta di un’indagine sulle origini del virus. Ha stretto accordi
militari con Giappone, India e Stati Uniti, riesumando con questi paesi il quadrila-
1. Entrambe le citazioni in J. CURRAN, «Could the AUKUS Deal Strengthen Deterrence Against China –
And Yet Come at a Real Cost to Australia?», Council on Foreign Relations, 20/9/2021. 169
170
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N A
C I CINA TAIWAN INCUBI AUSTRALIANI
(”focolaio” per il quale l’Australia
potrebbe essere coinvolta in una guerra ) Tradizionale sfera d’infuenza
australiana attraverso investimenti,
“Ten-dotted-line” progetti infrastrutturali,
rivendicazioni cinesi aiuti allo sviluppo, apertura di nuove
nel Mar Cinese Meridionale postazioni diplomatiche
Thailandia Filippine
Guam Paesi con cui l’Australia
(hub strategico Usa) coopera militarmente
in funzione anticinese
Vietnam
Arginamento della pressione
demografca dall’Indonesia
Zona a rischio - Indonesia: 260 milioni di abitanti
per infltrazioni jihadiste - Australia: 25 milioni di abitanti
LA STRAORDINARIA SCELTA DELL’AUSTRALIA
Malaysia
Singapore Principali porti australiani
Papua Nuova
Guinea Isole Salomone
I n d o n e s i a
Christmas Timor Est
Isole Cocos (Australia) Vanuatu
(Australia) Figi
Darwin
Allo studio la militarizzazione
delle isole Cocos e Christmas
Port Hedland
Tonga
A U S T R A L I A Brisbane
O C E A N O I N D I A N O
Sydney O C E A N O P A C I F I C O
Fremantle
Stretti strategici
per le principali Canberra
rotte marittime Adelaide
Sonda
Melbourne
Lombok
Torres Nuova Zelanda
Malacca
Makassar ©Limes
TAIWAN, L’ANTI-CINA
2. Un buon esempio in tal senso è C. HAMILTON, Silent Invasion: China’s Infuence in Australia, Rich-
mond, Victoria, Australia 2018, Hardie Grant.
3. L. SILVER, K. DEVLIN, C. HUANG, «Unfavorable Views of China Reach Historic Highs in Many Countries»,
Pew Research Center, 6/10/2020.
4. N. KASSAM, «Lowy Institute Poll 2019», Lowy Institute, 26/6/2019.
5. Cit. in S. DZIEDZIC, «“No way” is Japan handling its China relationship better than Australia, says Ja-
panese ambassador in Canberra», Abc, 23/7/2021. 171
LA STRAORDINARIA SCELTA DELL’AUSTRALIA
te più rilevante. Ma spostata nel futuro, visto che non saranno operativi prima del
2040. Un’altra dimensione riguarda invece il presente. Per capirlo occorre fare un
passo indietro.
Partita la rappresaglia commerciale cinese, gli australiani si sono rivolti agli
americani per vendere loro l’invenduto e compensare le perdite. Ma gli interessati
hanno fatto orecchie da mercante, a parte annunciare su Twitter pasti a base di
vini aussie alla Casa Bianca. Non hanno prestato ascolto nemmeno ad altre due
richieste di Canberra. Una è riformare l’Organizzazione mondiale del commercio,
che gli statunitensi stanno lasciando andare in malora. L’altra è modifcare la tregua
commerciale raggiunta con Pechino nel 2020 sotto Trump e confermata da Biden,
che danneggia alcuni settori australiani. Washington non ha interesse a farlo; il suo
protezionismo è dovuto alla necessità di curare il fronte interno, di alleviare il peso
della globalizzazione sulle classi medio-basse che non appoggiano più ogni impre-
sa imperiale dell’America.
Gli Stati Uniti hanno fatto una controproposta, una compensazione indiretta.
L’accordo Aukus prevede la condivisione di informazioni scientifche su ciberneti-
ca, intelligenza artifciale, calcolo quantistico. Pochi giorni dopo, nella riunione del
Quad, ne è stato siglato un altro per cooperare su semiconduttori, 5G, Spazio ec-
cetera. Tutte tecnologie al centro dell’attuale rivoluzione industrial-digitale. L’Au-
stralia sta inoltre cercando di far produrre sul proprio suolo missili a lunga gittata,
missili ipersonici e mezzi sottomarini teleguidati. Sono posti di lavoro, ma soprat-
tutto promettono di generare a cascata progresso tecnologico e opportunità im-
prenditoriali, come sempre accade sulla scia della ricerca e sviluppo militare.
Lo scambio è: voi ci seguite nel contenimento della Cina, noi vi forniamo tec-
nologia con cui alimentare l’economia. Aderendo a queste iniziative, gli australiani
contribuiscono a tagliare fuori la Repubblica Popolare dalle fliere produttive sen-
sibili e d’avanguardia, a rallentare la sua ascesa tecnologica. È esattamente quanto
Washington sta provando a negoziare con gli europei, con urgenza ed esiti assai
diversi. Gli americani hanno offerto qualcosa che fosse anche nel loro interesse. E
di valore assai maggiore di un’aragosta e qualche bottiglia di vino.
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6. Letto così, il patto Aukus non è una scelta determinata da fattori culturali o
razziali (l’Anglosfera), ma una convergenza di interessi concreti, certo oliata dalla
familiarità e dalla consuetudine strategica.
Calarsi nel punto di vista degli Stati Uniti aiuta a cogliere meglio la convergen-
za di interessi materiali. L’Australia è utile non per la matrice britannica bensì per
la geografa strategica. Esattamente come tutti gli altri membri dei Five Eyes, ha il
lusso di non sorgere in Eurasia, la massa bicontinentale che è imperativo per gli
americani accerchiare per evitare l’emersione di uno o più rivali. È una favolosa
piattaforma per affacciarsi su due oceani, pattugliare gli stretti indonesiani in cui
imbottigliare i cinesi, tenersi relativamente lontani dal fuoco nemico, allungare lo
schieramento militare oltre la prima e la seconda catena di isole del Pacifco. Pre-
mio di consolazione di non riuscire a sbarcare sul continente, di non aver nessun 173
LA STRAORDINARIA SCELTA DELL’AUSTRALIA
paese dell’Indocina disposto a ospitarli: in Asia gli americani sono presenti in mas-
sa soltanto sulla penisola coreana e in nessuno vicino della Repubblica Popolare,
ora che hanno lasciato l’Afghanistan.
In cambio di un robusto aiuto a riarmarsi, gli americani stanno trasformando
l’Australia in un avamposto cruciale nell’Indo-Pacifco. Hanno già accesso a diverse
basi: Exmouth, Kojarena, Robertson Barracks, Pine Gap (qui sorge una stazione del
Muos essenziale per l’intelligence e le comunicazioni planetarie), più Tindal e Dar-
win (aeree). Ma, con i soldi dei suoi stessi contribuenti (787 milioni di dollari),
Canberra sta ampliando quattro installazioni nelle vicinanze di Darwin per acquar-
tierarvi soldati e mezzi americani: Robertson Barracks, Kangaroo Flats, Mount Bun-
dey, Bradshaw. Ospiterà navi e sottomarini statunitensi nella stazione navale di
Sterling, a Perth, per offrire un affaccio sull’Oceano Indiano. Ha attrezzato le basi
aeree per accogliere ogni tipo di velivolo militare della superpotenza. Sta creando
una brigata congiunta, comandata a rotazione da un generale di una delle due
nazioni, la prima di questo tipo. I marines a Darwin sono tornati a quota 2.500, ma
di certo il numero di militari americani aumenterà: già nel 2011, quando negoziò
l’accesso proprio al porto più settentrionale del paese, Washington chiedeva di
stanziarne 7.500. Allora Canberra rifutò, ora le sarà diffcile resistere.
Oltre a usare il suo territorio, gli Stati Uniti stanno inserendo l’Australia nella
coalizione per Taiwan. Nel 2021, il ministro della Difesa australiano ha dichiarato
che un confitto a Formosa non può essere escluso e, in una lettera al personale
nel giorno delle Forze armate, il dipartimento dell’Interno ha evocato «tamburi di
guerra» che tornano a rullare. L’ambasciata americana a Canberra sostiene di stare
già discutendo piani di contingenza 11. E sulla stampa fltrano voci delle opzioni
sul contributo australiano in caso di aggressione cinese a Taipei: sottomarini e
velivoli da ricognizione per controllare gli stretti da Malacca a Lombok, riforni-
mento in volo, forse caccia in decollo da Guam, Filippine, persino Giappone,
incrociatori da inserire nei gruppi navali delle portaerei 12. Insomma, un apporto
per nulla trascurabile.
È la stessa Taiwan a implorare aiuto. Per esempio il suo ministro degli Esteri
appoggia la retorica anticinese australiana, invoca un accordo di libero scambio, si
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dice sicuro che nel momento del bisogno (leggi: in guerra) Canberra parlerà a no-
me dei taiwanesi (leggi: interverrà) 13. Chiede inoltre di approvare la richiesta di
aderire al patto commerciale transpacifco (noto con la sigla Cptpp), a cui ha chie-
sto accesso anche la Cina, braccio di ferro destinato a obbligare gli attori indo-pa-
cifci a chiarire chi sta con chi. Prossimamente, l’Australia potrebbe prendere posi-
zione sull’accordo transpacifco (dunque svuotare di senso la politica di «una sola
Cina»). Potrebbe creare un formale uffcio di collegamento militare sull’isola, coin-
11. A. GREENE, «Australia discussing “contingency” plans with United States over possible Taiwan con-
fict», Abc, 1/4/2021.
12. J. GREBER, M. SMITH, A. TILLETT, «Canberra prepares for Taiwan confict as tensions escalate», Austra-
lian Financial Review, 16/4/2021.
174 13. M. SMITH, «Taiwan shores up allies as China threat looms», Australian Financial Review, 6/5/2021.
TAIWAN, L’ANTI-CINA
impossibile contenimento statico, che non induca in crisi Pechino, per non subirne
le conseguenze.
Lo segnala la stessa opinione pubblica australiana in un recente sondaggio: il
62% degli intervistati ritiene la Cina aggressiva, ma solo il 21% morirebbe per Tai-
pei e il 57% preferirebbe restare neutrale in caso di confitto 14. Lo dimostrano gli
stessi funzionari di Canberra, che spifferano alla stampa rischi di guerra e possibili
piani di battaglia. Quando simili dettagli trapelano, vuol dire che fra Stati Uniti e
Australia esistono divergenze non trascurabili. Quando si va d’accordo, i segreti
restano avvolti nella notte. Come Aukus, presentato a fatto compiuto. Frizioni ine-
vitabili fra alleati, specie se intimi. Incapaci tuttavia di alterare una traiettoria che
14. N. KASSAM, «Lowy Institute Poll 2021», Lowy Institute, 23/6/2021. 175
LA STRAORDINARIA SCELTA DELL’AUSTRALIA
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176
TAIWAN, L’ANTI-CINA
tima a valutare che la minaccia posta dalla Cina fosse molto maggiore di quanto
originariamente pensato e che per contrastarla fossero dunque necessari sommer-
gibili con più autonomia, capaci di sfuggire più a lungo ai radar. Ma i sottomarini
non saranno verosimilmente consegnati prima del 2040, pertanto non faranno la
differenza nella capacità australiana di contrastare la crescente presenza militare di
Pechino nel Mar Cinese Meridionale nel breve periodo. La Francia si era detta di-
sponibile a modifcare la commessa per fornire all’acquirente sommergibili atomici,
ma la ragione principale dell’Aukus per l’Australia è rafforzare l’alleanza con l’Ame-
rica e segnalare a Pechino che Washington fa sul serio nel garantire la sicurezza dei
propri alleati, cosa che con Trump non sembrava più così scontata.
L’amministrazione Biden vuole mostrare che gli Stati Uniti sono di nuovo im-
pegnati a difendere i propri interessi e quelli dei loro soci, dunque ha continuato 177
GLOBALE, MA CON GIUDIZIO: NELL’INDO-PACIFICO LONDRA VA CON GLI USA
tersi di accantonare l’Europa per privilegiare i legami con gli altri paesi anglofoni.
Il Regno Unito è stato incluso nella nuova alleanza perché condivide da tempo
la tecnologia dei sottomarini nucleari statunitensi ed è ormai fortemente integrato
nell’industria americana della difesa, ma anche perché fa parte dei Five Eyes, la
cooperazione nel campo dell’intelligence insieme a Usa, Canada, Australia e Nuo-
va Zelanda. Tra i Five Eyes, peraltro, Australia e Regno Unito si sono dimostrati i
partner più affdabili di Washington in Afghanistan e in Iraq.
C’è anche l’urgenza di cooperare con Pechino su obiettivi condivisi, come la lotta
al cambiamento climatico. Isolarla e contenerla come fatto con l’Urss non sembra
possibile e l’Ue diffcilmente sosterrà una simile strategia. In prospettiva l’Aukus
potrebbe marcare il momento in cui Australia e Regno Unito abbandonano ogni
velleità di autonomia strategica e ripristinano una stretta dipendenza militare dagli
Stati Uniti. L’Ue deve scegliere se fare altrettanto o tentare nuovamente di ritagliarsi
un proprio margine di manovra.
Hong Kong e la persecuzione degli uiguri nel Xinjiang. La repressione del 2019 e
l’imposizione, l’anno successivo, della draconiana legge sulla sicurezza nazionale
hanno spinto il Regno Unito a offrire asilo agli hongkonghesi dotati di passaporto
britannico (5,4 milioni pari al 70% della popolazione locale, secondo alcune sti-
me). Il ministero dell’Interno ha ridimensionato le iniziali previsioni di un affusso
massiccio, anticipando l’arrivo di massimo 500 mila persone che dopo cinque anni
possono richiedere la cittadinanza, ma fnora sono molti meno quelli che hanno
voluto o potuto emigrare.
La natura sempre più repressiva del regime cinese ha dunque cambiato l’atteg-
giamento del Regno Unito verso Pechino, spingendolo ad allinearsi maggiormente
a Washington. Nel 2020 in seno al parlamento è stato istituito il China Research
180 Group; il parlamentare Tom Tugendhat, tra i fondatori, presiede la commissione
TAIWAN, L’ANTI-CINA
Esteri ed è divenuto uno dei principali critici della Cina. Dopo aver chiesto che
Pechino fosse sanzionata per il mancato rispetto dei diritti umani, a Tugendhat e
ad altri membri del gruppo è stato vietato l’ingresso nel territorio cinese. Il gruppo
e altri parlamentari britannici hanno allora chiesto l’inasprimento delle sanzioni
economiche, lo sganciamento dell’economia britannica da quella cinese, il divieto
a imprese cinesi come Huawei di fornire infrastrutture critiche quali le reti 5G, la
revoca degli appalti alle imprese cinesi incaricate di costruire nuove centrali nucle-
ari. Per ragioni di sicurezza nazionale il China Research Group ha chiesto anche
che gli atenei britannici cessino le collaborazioni con le università della Repubblica
Popolare e riducano il numero di studenti cinesi iscritti alle loro facoltà. Il gruppo
sostiene lo spiegamento di forze navali britanniche nell’Indo-Pacifco e ha accolto
con favore l’Aukus.
Dopo il referendum sul Brexit del 2016 il governo conservatore vide inizial-
mente Cina e Hong Kong come pietre angolari della nuova Global Britain. Al
raffreddarsi delle relazioni gli esponenti dell’esecutivo hanno sostenuto che fosse
possibile adottare una linea più intransigente con Pechino sulla sicurezza e sui
diritti umani senza pregiudicare la cooperazione economica e su problemi comu-
ni, come il cambiamento climatico. Ora, sotto la pressione di Washington quella
posizione è stata quasi del tutto abbandonata: Londra si è collocata nell’alleanza
occidentale contro la Cina, divenendone uno dei principali fautori. La sicurezza ha
avuto la meglio sul commercio.
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181
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TAIWAN, L’ANTI-CINA
Taiwan ricade nel secondo dei tre cerchi attraverso cui gli strateghi indiani
percepiscono il proprio intorno, esteso nella sua porzione orientale dalle coste
dell’Africa al Mar Arabico e in quella occidentale dal Golfo del Bengala ai Mari
Cinesi, dall’Australia al Giappone. Area il cui baricentro è l’Oceano Indiano, invero
mare americano a dispetto dei desiderata di Delhi. Il primo invece comprende i
vicini Pakistan e Cina, al pari di Nepal, Bhutan, Bangladesh, Sri Lanka e Myanmar.
In questi due cerchi l’India si attribuisce diritto di veto e capacità di infuenzare gli
equilibri in nome della propria sicurezza nazionale. L’incubo di Delhi è che la pre-
sa di Taiwan da parte di Pechino (comprese quindi le isole Itu Aba e Pratas) le
schiuda le porte del Medioceano asiatico, sicché gli altri attori regionali si trovereb-
bero in una condizione simile a quella dei paesi latinoamericani, oggetto di una
dottrina Monroe con caratteristiche cinesi. 183
L’INDIA USA LA CINA ‘BUONA’ PER SCACCIARE QUELLA ‘CATTIVA’
nali e planetarie. Ma dalla sua indipendenza nel 1947 è stata costretta all’introver-
sione dalle sue faglie domestiche, che insieme alle minacce terrestri (incarnate in
primis dal nemico esistenziale pakistano nella valle dell’Indo, mentre le catene
montuose di Himalaya e Arakan la schermano a nord e a est) ne hanno impedito
il consolidamento interno e dunque la proiezione oltreconfne. È solo stabilizzando
il subcontinente che Delhi può estrofettersi per mare, tanto che malgrado i suoi
oltre 7 mila km di coste l’India è potenza terragna. E infatti è via mare che, sfrut-
tando la sua debolezza navale e le sue divisioni interne, gli europei sono riusciti a
soggiogarla, a metterla contro sé stessa. Dopo la guerra fredda, era la talassocrazia
americana che, come i britannici prima, avrebbe potuto via mare minacciare l’indi-
pendenza e la sicurezza del paese. Finché, con l’implosione sovietica e l’ascesa
184 cinese, quel ruolo è passato a Pechino. Da qui la nuova esigenza strategica: diven-
TAIWAN, L’ANTI-CINA
tare potenza marittima, facendo fronte comune con Stati Uniti e altri attori minac-
ciati dall’estroversione della Cina. La Repubblica Popolare sta accerchiando l’India
sui fronti terrestre e marittimo, penetrando in Pakistan, Myanmar, Nepal, Sri Lanka,
Maldive, premendo attorno allo Stretto di Malacca tramite gli investimenti infra-
strutturali nei terminal portuali (il famigerato «flo di perle») e i progetti avviati nel
novero delle nuove vie della seta. Affacciandosi sempre più consistentemente
nell’Oceano Indiano con l’invio di naviglio civile e militare, il controllo di scali
marittimi e l’edifcazione della base a Gibuti.
2. In questa cornice, negli scorsi quindici anni gli strateghi indiani hanno di-
scettato dell’opportunità di rinsaldare i legami con Taipei, mentre i politici usavano
la leva taiwanese come strumento di pressione anticinese nei periodi di crisi dei
rapporti con Pechino. Ma è nell’ultimo quinquennio, parallelamente alle scherma-
glie di confne nel 2017 (Doklam) e nel 2020 (Ladakh), che Delhi ha iniziato ad
avvitare le relazioni con la Repubblica di Cina. Il quadro geopolitico regionale
destabilizzato dall’ascesa cinese e quello interno ai due paesi, guidati da partiti
nazionalisti (con sfumature diverse), stanno favorendo una convergenza inedita
nelle relazioni bilaterali. In linea con la massima kautilyana per cui il nemico del
nemico è un amico, fnora inapplicata a Taiwan in considerazione dell’anelito in-
diano alla stabilità della regione e dei rapporti con Pechino. Anelito che ha spinto
Delhi ad attenersi pedissequamente al principio di «una sola Cina», ma che dal 2010
gli indiani si rifutano di ribadire nei comunicati congiunti con i cinesi, pretenden-
do che la controparte riconosca quello di «una sola India». Quest’ultima insomma,
pure con la sua tradizionale circospezione, sta inserendo gradualmente la variabile
Taiwan nell’equazione sino-indiana, dato lo stravolgimento nella bilancia di poten-
za causato dalla Cina che gli indiani paragonano all’arrivo degli europei alla fne
del XV secolo. Nella valle del fume Galwan, in particolare, Pechino ha inteso im-
partire all’India una lezione su ciò che comporta opporsi alla visione cinese dell’or-
dine regionale. E Delhi ha preso nota.
Atteggiamento agli antipodi di quello tenuto nel 1974, quando la Cina occupò
le isole Paracel nel silenzio di Delhi. Silenzio che non passò inosservato all’amba-
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sciata di Francia in India, la quale faceva notare in una nota all’Esagono che tale
mossa segnalava l’obiettivo cinese di «circondare l’Asia sud-orientale» per esercitar-
vi «infuenza politica, economica, strategica». Sebbene a distanza di mezzo secolo
l‘India stia prendendo contromisure alla minaccia cinese, la sua Marina è ancora
lungi dal raggiungere lo status di blue navy tridimensionale capace di difendere
interessi geostrategici sempre più legati alle vie di comunicazione marittime. Mari-
na che sconta la quota minore di spese militari, pari al 15% del totale (nel 2012 era
del 18%), rispetto al 23% dell’Aeronautica e al 56% dell’Esercito. Laddove l’obiettivo
dichiarato è di arrivare a 212 navi da guerra e 458 velivoli navali entro il 2027, a
fronte delle 138 e dei 235 del 2017, numeri che impallidiscono se raffrontati a quel-
li cinesi. Ma oltre i freddi numeri il confronto deve tener conto della geografa: il
subcontinente è di fatto un’immensa portaerei posta al centro delle rotte indo-pa- 185
186
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IL PROGETTO KALADAN
Lhasa Aeroporti internaz.li
ANCHE L’INDIA HA IL DILEMMA DI MALACCA C I N A Capitale hon
Altri aeroporti
BIMSTEC N cMa Progetti di aeroporti
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Iniziativa per la cooperazione tecnica ed economica A Thimphu Città
Thimphu
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multisettoriale del Golfo del Bengala Delhi L
NEPAL BHUTAN
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Kathmandu BHUTAN
Kunming MYANMAR
Paesi che fanno parte del Bimstec Kanpur
INDIA Corridoio strad.
Capitale Est-Ovest
BANGLADESH BANGLADESH Silchar Ferrovia strategica
Città Moreh
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Base militare indiana cc a Dacca AgartalaV I E T N Kalewa
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Vishakhapatnam: comando navale Kolkata Da Kolkata Hanoi
Mandalay Lawngtlai
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Naypyidaw lungo la frontiera con
To olfo
★
★
★ ★
★
(539 km) Vientiane avamposti militari
di grande importanza Kyaukpyu
Porto costruito e/o gestito dall’India
★
★
Vishakhapatnam Yangon
★
L’INDIA USA LA CINA ‘BUONA’ PER SCACCIARE QUELLA ‘CATTIVA’
★ ★
Porto costruito e/o gestito dalla Cina T H A I L A N D I A
Sottomarini cinesi
Golfo del Bengala
Bangkok
Bangalore
CAMBOGIA
ISOLE ISOLE Phnom Penh
LACCADIVE ANDAMANE
Port Blair
Madurai confne India - Sri Lanka Golfo di Ho Chi Minh
i Palk Mare delle
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Oceano Indiano Andamane
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★ ★
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Hambantota
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Sabang
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INDONESIA
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TAIWAN, L’ANTI-CINA
cifche, dotata inoltre dello strategico avamposto naturale costituito dalle isole An-
damane e Nicobare. Non a caso qui si concentra una ventina delle circa 50 imbar-
cazioni deputate a pattugliare l’area che va dal Golfo Persico allo Stretto di Malac-
ca. E qui, presso Port Blair, è stato installato il primo comando interforze indiano.
In nuce, gli indiani non hanno bisogno di dissanguarsi per eguagliare quantitativa-
mente le forze cinesi e tenerle in scacco. L’appendice indiana nel Mare delle Anda-
mane è funzionale al comune interesse geopolitico di India e Taiwan di evitare che
Pechino renda il Medioceano asiatico mare suum. Come conferma l’adozione del
concetto stesso di Indo-Pacifco e la collaborazione con gli altri tre perni del Quad
da parte del governo Modi, che si sostanziano nell’inclusione dell’India nel conte-
nimento della Cina a guida americana. In questo senso trovano piena convergenza
la proiezione indiana declinata in iniziative quali Act East Policy (revisione in senso
eminentemente strategico della Look East Policy avviata nell’èra Rao, in cui la pre-
servazione degli equilibri marittimi è nodale), Sagar, Bimstec e quella taiwanese
tradotta nella New Southbound Policy avviata da Tsai nel 2016, che vede nell’India
uno dei paesi cardine. Entrambe centrate su Sud-Est asiatico e Mar Cinese Meridio-
nale, ormai abitualmente etichettato dagli indiani come bene comune globale.
Sono due i principali obiettivi di Delhi nei Mari Cinesi, di cui Taiwan è giun-
tura e chiave di volta: contenere la proiezione geopolitica della Cina e proteggere
i propri interessi economici (commerciali ed energetici) salvaguardando la libera
navigazione lungo le arterie marittime della globalizzazione e le proprie attività di
prospezione nelle acque a sovranità contestata, come quelle contese da Hanoi e
Pechino. Sul piano geoeconomico, rilevano poi le opportunità offerte dal disaccop-
piamento dall’economia cinese con conseguente ricalibratura delle catene di ap-
provvigionamento e produzione regionali. Il tentativo taiwanese di ridurre la pro-
pria dipendenza dalla Cina continentale in materia economica e identitaria, esten-
dendo il proprio raggio d’azione in Asia sud-orientale e meridionale, si sposa con
quello di Delhi di ravvivare i suoi settori tecnologici arginandovi l’infuenza cinese,
a partire da telecomunicazioni ed elettronica (dal 5G ai semiconduttori), di attrarre
investimenti e di inserirsi pienamente nelle catene globali del valore, acquisendo
un ruolo di primo piano nel settore manifatturiero mondiale. Complementarità
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nale e Orientale. E non ha mai partecipato con le forze americane alle operazioni
per la libera navigazione (Fonop) nelle acque contese.
Stessa ratio per cui l’accordo Australia-Uk-Usa (Aukus) fa il gioco di Delhi,
acuendo la pressione sulla Cina a costo zero per l’India. Poche ore prima dell’an-
nuncio di Biden sul patto Aukus, Modi ha ricevuto rassicurazioni in merito dall’o-
mologo aussie Morrison, mentre la settimana precedente in India si erano recati i
ministri degli Esteri e della Difesa australiani per il primo summit con le contropar-
ti indiane nel formato 2+2. Per Delhi Aukus è la riprova che la virata americana
nell’Indo-Pacifco è defnitiva e che potrà essere usata per strappare concessioni
all’America, come accaduto in campo atomico durante l’amministrazione Bush o in
materia energetica durante la presidenza Trump. Aukus potrebbe anche spingere
la Francia, uno dei partner securitari indiani nella regione, interessata a mantenervi 189
190
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IL CONFINE SINO-INDIANO
Confne rivendicato X I N J I A N G
dall’India
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L’INDIA USA LA CINA ‘BUONA’ PER SCACCIARE QUELLA ‘CATTIVA’
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conteso fra Cina e Bhutan
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P R A D E S H
un piede ben saldo dopo lo smacco subìto dagli Usa, a maggiori concessioni in
termini di forniture militari – ad esempio, coadiuvando la costruzione autoctona di
sottomarini nucleari d’attacco. La formazione di mini coalizioni è dalla prospettiva
di Delhi preferibile a una Nato asiatica – come Pechino defnisce il Quad, che allo
stato dell’arte non è un’alleanza militare – invisa non solo alla Cina ma a buona
parte dei paesi dell’Asean.
Geopoliticamente conftta dalle proprie faglie interne e da quelle di frontiera
(dal Pakistan alla Cina), Delhi deve evitare che le minacce promanino dal mare. Da
qui il non allineamento durante la guerra fredda, poi declinato in una «autonomia
strategica», utile a evitare la subordinazione alla talassocrazia americana. Negli ulti-
mi vent’anni però la Cina ha alterato i calcoli di Delhi, malgrado le divergenze che
permangono con gli Usa. Si pensi alla Fonop condotta lo scorso aprile da Washing-
ton nella Zona economica esclusiva (Zee) indiana a ovest delle isole Laccadive e
più in generale alla diversità di vedute sull’Oceano Indiano occidentale e sull’Iran,
o alle consistenti forniture di armi dalla Russia all’India, compreso il sistema anti-
missile S-400 che espone Delhi al rischio di sanzioni americane ex Caatsa.
Pur recalcitrante a stringere alleanze formali, percepite come costrizioni, l’In-
dia è nel bel mezzo di un cambio di paradigma e si sta attrezzando per affrontarlo:
sebbene considerata il lato debole del Quad, l’allineamento agli Usa in chiave an-
ticinese è probabilmente il partenariato più strategico intessuto dall’India dalla sua
indipendenza. Delhi sa che in solitaria non può bloccare l’estrofessione della Cina,
ma può faccarla di concerto con potenze di ogni taglia. Ecco spiegati le crescenti
apparizioni della Marina indiana nei Mari Cinesi; il rinsaldamento dei rapporti con
Vietnam e Filippine, naturali bastioni anticinesi; la sigla di accordi militari logistici
con Usa, Francia, Singapore, Corea del Sud, Giappone, Australia e i negoziati in tal
senso con Hanoi (che già garantisce l’accesso al porto di Nha Trang, come l’Indo-
nesia lo garantisce a quello di Sabang); le esercitazioni navali con una pletora di
attori indo-pacifci; la condivisione di intelligence navale e la presenza di stazioni
di rilevamento radar in paesi quali Brunei, Indonesia, Vietnam. Come pure l’inedi-
ta partecipazione all’esercitazione francese La Pérouse con gli altri Stati del Quad
nel Golfo del Bengala; l’estensione delle attività del quadrilatero anticinese dopo il
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vertice del marzo 2021 (specie in termini di tecnologie sensibili e fliere produttive,
di coordinamento militare e di intelligence); l’imminente cessione di missili super-
sonici da crociera Brahmos alle Filippine; l’elevazione della partnership militare
con il Vietnam; l’avvicinamento a Taiwan; il ripristino dell’accordo sul cessate-il-
fuoco del 2003 lungo la Linea di controllo con il Pakistan.
Insomma, gli indiani hanno capito che la formula «hindi-chini bhai bhai» (in-
diani e cinesi sono fratelli) coniata ai tempi della prima visita in Cina di Nehru del
1954 va archiviata. La relazione con Taipei deve essere rafforzata e non dovrà più
essere usata come mera rappresaglia nelle fasi di crisi con Pechino, ma come de-
terrente strutturale contro la multivettoriale assertività cinese. Profttandone, d’inte-
sa col Quad, anche sul versante economico. L’India continuerà dunque a sfruttare
la geografa e la compiacenza di paesi per i quali la Cina costituisce una minaccia. 191
L’INDIA USA LA CINA ‘BUONA’ PER SCACCIARE QUELLA ‘CATTIVA’
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192
TAIWAN, L’ANTI-CINA
LE FILIPPINE
SULLA LINEA
DEL FRONTE di Lucio BLANCO PITLO III
Manila coltiva intensi rapporti con Taiwan, cui la legano vitali
interessi economici. Il nodo irrisolto delle zone di pesca. Il difficile
equilibrismo tra Pechino e Washington. In caso di conflitto Usa-
Cina nello stretto, il paese si troverebbe in prima linea.
New Southbound Policy di Taipei, entrambi annunciati nel 2016, vanno visti an-
che come risposte alle sfde dell’ecosistema geopolitico regionale.
Filippine e Taiwan sono vicini con storie condivise. L’isola più a nord dell’ar-
cipelago flippino, Mavulis (anche nota come Y’Ami), sta a sole 60 miglia nautiche
dall’isola più meridionale – Orchid, o Lanyu – afferente a Taiwan 1. Manila e Taipei
distano un paio d’ore di aereo. Le due nazioni insulari hanno l’Oceano Pacifco a
est, patiscono costantemente tifoni e sono ben coscienti delle minacce poste dal
cambiamento climatico, specie alle loro città e comunità costiere. La famiglia au-
stronesiana accomuna i popoli indigeni di Batanes – la provincia più settentrionale
1. J. I-WEI CHANG, «Maritime Relations Between Taiwan and the Philippines Post-Pompeo Statement»,
Global Taiwan Brief, vol. 5, n. 16, 12/8/2020, p. 5-7. 193
LE FILIPPINE SULLA LINEA DEL FRONTE
delle Filippine – ai nativi taiwanesi, specie i tao di Orchid. Gli scambi in epoca
preistorica e l’affnità culturale favoriscono i rapporti interpersonali. Venendo ai
tempi moderni: ambo i paesi hanno sperimentato una fase di legge marziale prima
della democratizzazione (nel caso taiwanese) o di un ritorno alla democrazia (nel
caso flippino); Manila e Taipei erano nello stesso campo durante la guerra fredda
e mantengono forti legami con gli Stati Uniti in ambito di sicurezza. Entrambi han-
no nella Cina il principale partner commerciale e ne temono la crescente forza,
infuenza, preponderanza economica.
Il pragmatismo guida la relazione bilaterale, specie da parte flippina. L’inte-
razione economica è forte e reciprocamente vantaggiosa, il che costituisce una
solida base per relazioni cordiali. Nel 2020 Taiwan è stata l’ottavo partner com-
merciale delle Filippine: il nono mercato d’esportazione (2,1 miliardi di dollari) e
l’ottava fonte di importazioni (4,7 miliardi) 2. Nel 2019 era anche il nono investito-
re estero per Manila: in quell’anno le imprese taiwanesi hanno investito 54 milio-
ni di dollari nelle Filippine, soprattutto nel settore elettronico e in quello dei
macchinari 3. Prima del Covid-19 Taiwan era il quinto bacino turistico per le Filip-
pine, visitate annualmente da oltre 327 mila taiwanesi 4. A Taiwan risiedono 150
mila lavoratori 5 e 3 mila studenti 6 flippini, il grosso dei primi impiegati nelle
aziende elettroniche e come domestici nelle case private. Nel 2019 Taiwan era la
quarta destinazione dei migranti flippini 7; dal 2017 il paese ha abolito i visti per
turisti, lavoratori e imprenditori flippini per un soggiorno massimo di 14 giorni,
privilegio che da allora è stato annualmente riconfermato (da ultimo fno al 2022
incluso). Ciò ha incoraggiato i flippini a visitare Taiwan: nel 2019, prima del Co-
vid-19, gli ingressi erano stati 509 mila 8.
Per Taiwan, le Filippine sono invece il 14° partner commerciale: il 10° merca-
to d’esportazione e la 21a fonte di importazioni 9. L’interscambio bilaterale è cresciu-
to negli anni, oscillando tra 8 e 12 miliardi di dollari all’anno, con Taiwan in sostan-
zioso attivo 10. Ad attestare l’interconnessione industriale è il fatto che semicondut-
tori e componenti elettronici siano tra i beni più scambiati 11. Il vantaggio di Taiwan
in ambiti come l’elettronica dell’informazione, i circuiti integrati, i macchinari e
l’energia solare può aiutare lo sforzo flippino volto a incrementare la competitività
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industriale 12. Per agevolare l’affusso di capitale taiwanese nelle Filippine, nel 2017
2. Philippine Statistics Authority, «Highlights of the Annual Final International Merchandise Trade
Statistics of the Philippines», 31/3/2021.
3. «Taiwan-Philippines Trade Relationship. Bureau of Foreign Trade, Ministry of Economic Affairs»,
Bureau of Foreign Trade, 17/6/2020.
4. «2019 Philippine Tourism Statistics», Department of Tourism.
5. YU-CHEN CHUNG, E. LIM, «New Philippine representative sheds light on priorities in Taiwan», Focus
Taiwan, 8/8/2021.
6. K. CHEN, «New Philippines representative eager to expand bilateral cooperation with Taiwan», Tai-
wan News, 16/8/2021
7. «Total Number of OFWs Estimated at 2.2 Million», Philippine Statistics Authority, 4/6/2020.
8. «Taiwan-Philippines Relations», Taipei Economic and Cultural Offce in the Philippines, 17/3/2021.
9. Bureau of Foreign Trade, cit.
10. J. I-WEI CHANG, op. cit.
194 11. Bureau of Foreign Trade, cit.
12. Ibidem.
TAIWAN, L’ANTI-CINA
i due paesi hanno rinnovato l’accordo bilaterale sugli investimenti del 1992. È stato
il primo accordo del genere siglato da Taipei con un paese ricompreso nella sua
«nuova politica orientata a sud» e malgrado i malumori di Pechino è andato in por-
to. Nel 2019 erano oltre 8.500 i taiwanesi residenti nelle Filippine, la quarta comu-
nità straniera del paese 13, mentre i matrimoni misti sono circa 8 mila 14.
13. «148,000 foreign nationals residing in P.H. report to Immigration bureau», Abs-Cbn News, 24/3/2019.
14. Taipei Economic and Cultural Offce, cit.
15. G. MACFADYEN, G. HOSCH, N. KAYSSER, L. TAGZIRIA, The IUU Fishing Index 2019, Poseidon Aquatic
Resource Management Limited and the Global Initiative Against Transnational Organized Crime, 2019.
16. J.Y. ARCALAS, «Dar: Study on illegal fshing in the WPS nearly complete», Business Mirror, 20/3/2021.
17. M. THIM, «Taiwan’s dispute with the Philippines (I): One international law, two interpretations»,
The Asia Dialogue, 19/5/2013. 195
LE FILIPPINE SULLA LINEA DEL FRONTE
appena tre tornate di colloqui e brevi negoziati informali 24. Taiwan ha usato l’eco-
nomia come strumento di pressione e Manila ha realizzato che l’asimmetria econo-
mica è una seria vulnerabilità. L’episodio ha poi dimostrato che Taipei sfrutta ogni
18. J. I-WEI CHANG, op. cit.
19. Ibidem.
20. Ibidem.
21. «Taiwan and the Philippines sign agreement on law enforcement cooperation in fsheries matters»,
Ministry of Foreign Affairs Republic of China (Taiwan), 19/11/2015.
22. S. HSU, «Taiwan, Philippines sign fshing treaty», Taipei Times, 20/11/2015; G. LAVALLEE, «Taiwan,
Philippines ink fshing agreement over disputed waters», Rappler, Agence France Presse, 20/11/2015.
23. J. I-WEI CHANG, op. cit.
24. L. PITLO III, «Taiwan: fshing for a fshery agreement with the Philippines», East Asia Forum,
14/6/2013; «Taiwan and the Philippines sign agreement on law enforcement cooperation in fsheries
196 matters», Taipei Economic and Cultural Offce, 13/1/2016.
TAIWAN, L’ANTI-CINA
Mindoro
Samar
F I L I P P I N E
Panay Leyte
Isole Spratly
Mactan-Benito Ebuen
(Isole contese tra Cina,
Taiwan, Vietnam, Cebu Bohol
Malaysia e Brunei) Negros Siargao
Antonio Bautista Camiguin
Palawan Siquijor
Mar di Sulu
Lumbia
Isole Balabac
Mindanao
Tawi-Tawi Davao
Isole Sulu
Pangutaran Basilan
Jolo
BRUNEI
Basi concesse agli Usa
Confne marittimo rivendicato dalla Cina
Confne marittimo rivendicato dalle Filippine
MALAYSIA Presenza di gruppi jihadisti tra cui
Abu Sayyaf e Combattenti islamici
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INDONESIA per la libertà di Bangsamoro
©Limes
opportunità per accrescere il proprio status, anche a costo di attirare sui propri
vicini l’ira di Pechino. La frma dell’accordo con le Filippine ha dato notevole lustro
a Taiwan alla vigilia dello storico summit del 7 novembre 2015 a Singapore tra il
presidente cinese Xi Jinping e il suo omologo taiwanese Ma Ying-jeou 25.
Anche l’estradizione di fuggiaschi taiwanesi in Cina malgrado le proteste di
Taipei ha messo a dura prova la relazione bilaterale. Nel 2013 Taiwan tolse le re-
strizioni all’ingresso di lavoratori flippini dopo che Manila aveva licenziato il capo
del suo Servizio immigrazione, reo di aver estradato in Cina 14 cittadini taiwanesi
25. E. TORDESILLAS, «Fisheries agreement upgrades PH-Taiwan political relations», Abj-Cbn News,
30/11/2015. 197
LE FILIPPINE SULLA LINEA DEL FRONTE
rebbe altri pretendenti a concordare un bando comune alla pesca per permettere
la naturale ricostituzione degli stock ittici.
Nel 2018 è stato istituito un presidio marittimo sull’isola di Mavulis (arcipelago
delle Batanes), l’anno dopo sono stati installati un ricovero per i pescatori, un im-
pianto di essiccazione del pesce e un generatore elettrico a energia solare. Sebbene
piccola e disabitata, l’isola ha un grande valore simbolico e strategico. Nel maggio
2021 sono stati installati anche un impianto di dissalazione e di purifcazione
26. «Taiwan, Philippine spat over China deportations ends», Reuters, 9/3/2011.
27. National Defense Strategy 2018-2022, Department of National Defense, 7/8/2019.
28. R.M. OCHAVE, «3.6M kilos of fsh lost due to Chinese vessels in West Philippine Sea», Business
World, 3/5/2021.
29. «U.S. and Philippine Governments Combat Illegal Fishing Across Southeast Asia», U.S. Embassy in
198 the Philippines, 2/9/2016.
TAIWAN, L’ANTI-CINA
Il trattato di mutua assistenza militare del 1951 con gli Stati Uniti potrebbe
trascinare le Filippine in un confitto se Washington dovesse scontrarsi con Pechi-
no per Taiwan. Lo stazionamento e il preposizionamento di soldati e assetti ame-
ricani nelle Filippine, specie dopo la frma nel 2014 dell’accordo di cooperazione
rafforzata sulla difesa, potrebbero consentire agli Stati Uniti di rispondere pronta-
mente a qualsiasi sviluppo nel Mar Cinese Meridionale e nello Stretto di Taiwan.
Ma se truppe, navi e aerei degli Usa provenienti dalle Filippine ingaggiassero scon-
tri nello stretto, Manila si troverebbe in prima linea. Questo la rende nervosa. Esse-
re coinvolta in un confitto che vedrebbe il paese o il suo diretto intorno come
campo di battaglia è tra le principali ragioni che hanno spinto il ministro della Di-
34. S. ELLIS, D. WU, «Taiwan’s GDP Growth Outpaces China’s for First Time in 30 Years», Bloomberg,
200 29/1/2021.
TAIWAN, L’ANTI-CINA
fesa Delfn Lorenzana a chiedere nel 2018 e a risollecitare nel settembre 2021, in
una recente visita a Washington, la revisione dell’alleanza. Tra i motivi che hanno
portato il presidente Duterte a coltivare buone relazioni con Pechino malgrado le
dispute nel Mar Cinese Meridionale spicca il timore – meglio, l’incubo – di trovarsi
in mezzo a un confitto tra grandi potenze. Lorenzana sintetizza così il dilemma di
Manila rispetto all’alleanza con gli Stati Uniti: «Non è l’assenza di rassicurazioni a
impensierirmi. È la prospettiva di essere coinvolti in una guerra che non cerchiamo
e non vogliamo» 35. Un ragionamento che si applica allo Stretto di Taiwan non me-
no che al Mar Cinese Meridionale.
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35. «Statement of Defense Secretary Lorenzana on the MDT review», Department of National Defense,
5/3/2019. 201
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TAIWAN, L’ANTI-CINA
vito della Chiesa locale sono tenuti a dare comunicazione previa delle loro tra-
sferte taiwanesi alla segreteria di Stato 2.
A fronte di tanta cautela vaticana, la gestione taiwanese delle relazioni con la
Santa Sede punta a conferire massima visibilità internazionale a ogni occasione
di contatto con i palazzi d’Oltretevere. L’ambasciata di Taiwan presso la Santa Se-
de è iperattiva nel promuovere e finanziare iniziative a fianco di organismi e pre-
lati vaticani che accolgono con gratitudine l’offerta di collaborazione taiwanese.
Allineandosi alle forme di beneficenza più apprezzate sotto l’attuale pontificato,
la delegazione taiwanese presso il Vaticano ha fatto conoscere ai media le cospi-
cue donazioni di cibo consegnate al cardinale Konrad Krajewski, elemosiniere
del papa, per sostenere le iniziative a favore dei poveri di Roma. Nel 2020, in oc-
casione della festa nazionale, ha organizzato insieme al porporato polacco un
«pranzo per poveri» a base di pietanze tradizionali taiwanesi.
Mentre a causa della pressione economica cinese diminuiscono il rilievo e il
numero dei paesi che mantengono rapporti diplomatici con Taipei, la leadership
politica taiwanese sembra a tratti cercare conferme plateali – da esibire al resto
del mondo – circa le relazioni con il Vaticano. Alcuni analisti paventano l’ipotesi
– in realtà del tutto teorica – che una eventuale rescissione delle relazioni Vatica-
no-Taiwan possa scatenare processi di emulazione e peggiorare gravemente l’i-
solamento internazionale dell’isola, visto che oltre al Vaticano ben otto dei paesi
legati da vincoli diplomatici con Taipei sono abitati da popolazioni in maggio-
ranza cattoliche.
In anni recenti, l’attivismo taiwanese nei confronti del Vaticano ha avuto co-
me protagonista l’ex vicepresidente Chen Chien-jen, membro della locale comu-
nità cattolica, che il 30 luglio 2021 è stato nominato da papa Francesco membro
ordinario della Pontificia Accademia delle Scienze. Durante gli anni del suo man-
dato al fianco della presidente Tsai Ing-wen (2016-20), Chen non ha perso occa-
sione di venire a Roma per presenziare alle cerimonie di canonizzazione di santi
celebrate da papa Francesco, compresa quella che il 13 ottobre 2019 ha portato
agli onori degli altari il cardinale inglese John Henry Newman. Un anno prima, il
vicepresidente taiwanese aveva raggiunto la città eterna anche in occasione della
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2. Il viaggio più recente di un alto rappresentante vaticano a Taiwan è stato compiuto nel marzo
2019 dal cardinale Fernando Filoni, a quel tempo ancora prefetto della Congregazione per l’evange-
lizzazione dei popoli (Propaganda Fide), che si è recato nell’isola per partecipare al Congresso eu-
caristico celebrato dalla Chiesa locale. In quell’occasione, il cardinale Filoni è stato ricevuto anche
dalla presidente taiwanese Tsai Ing-wen. 205
DANZANDO FRA TAIPEI E PECHINO: EQUILIBRISMI VATICANI NELLA PARTITA DEL SECOLO
segretario di Stato americano Mike Pompeo aveva scritto su Twitter che il Vatica-
no «metterebbe a rischio la sua autorità morale, se rinnovasse l’accordo», e poi
era volato a Roma per ripetere i suoi argomenti anche in incontri de visu con i
vertici della segreteria di Stato vaticana. Con l’amministrazione Biden, al di là del-
le differenze di stile, la libertà religiosa continua a essere utilizzata con registri
più sofisticati e liberal quale vettore delle strategie geopolitiche statunitensi. E se
si punta a riallineare i paesi occidentali nel contrasto alla Cina di Xi Jinping, an-
che la carta Taiwan può essere usata per aumentare la pressione sul papato che
si sottrae sempre più al ruolo di «cappellania dell’Occidente», rischiando di espor-
si all’accusa di commercio con il nemico.
Se il bersaglio è l’accordo Cina-Vaticano, l’attuale leadership taiwanese ha
già fornito prove chiare della propria disponibilità a partecipare alle operazioni.
Il non gradimento taiwanese dell’accordo sulle nomine dei vescovi cinesi si è
manifestato già prima della sua iniziale sottoscrizione ed è stato riaffermato in
maniera inequivocabile a ridosso della sua proroga, nell’ottobre 2020. Fu allora
che il ministero degli Esteri taiwanese pubblicò una singolare nota in cui, tra le
altre cose, rievocava le misure poste in atto dai governanti comunisti cinesi per
«perseguitare le comunità cattoliche locali», e ricordava al papa e ai suoi colla-
boratori che «i cattolici nella Repubblica Popolare Cinese stanno affrontando sfi-
de serie alla loro fede e alla loro coscienza». Il ministero taiwanese arrivava a
impartire al Vaticano anche una lezione sulle procedure per le nomine episco-
pali, ricordando che secondo il codice di diritto canonico «tutti i vescovi della
Chiesa cattolica sono nominati dal papa», che alle autorità civili non è concesso
alcun diritto nella elezione, nomina o designazione dei vescovi, e che «proteg-
gere l’autorità del papa nella nomina dei vescovi serve infine a salvaguardare la
libertà religiosa» 3.
Anche l’episcopato cattolico di Taiwan sembra aver fatto proprie istanze e
preoccupazioni della dirigenza politica taiwanese nei confronti della Santa Sede
per quanto concerne il nodo delle relazioni diplomatiche e le riserve riguardanti
l’accordo sulle nomine episcopali cinesi. Nel maggio 2018, quando sono venuti a
Roma in occasione della loro ultima visita ad limina apostolorum, i vescovi di
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del potere cinese di non anticipare gli eventi per condurre al ritmo graduale dei
tempi lunghi anche il walzer da «tempi ultimi» tra Cina e Chiesa di Roma.
5. Cfr. G. O’Connell, «The Vatican is ready to renew its deal with China. Privately…», americamaga-
zine.org, 15/9/2020; «Vatican wants to open office in Beijing despite ties with Taiwan: Jesuit maga-
zine», taiwanews. com, 16/9/2020. 209
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JOE ALLEN - Professore emerito di Letteratura cinese e Studi culturali all’Università del Minnesota.
LUCIO BLANCO PITLO III - Lettore di Studi cinesi all’Università di Manila.
EDOARDO BORIA - Geografo al dipartimento di Scienze politiche dell’Università La Sapienza di
Roma, è titolare degli insegnamenti di Geografa e di Geopolitica. Consigliere scientifco di
Limes.
BI-YU CHANG - Vicedirettore del Center of Taiwan Studies e Senior Teaching Fellow alla Soas
dell’Università di Londra.
GIORGIO CUSCITO - Consigliere redazionale di Limes. Analista, studioso di geopolitica cinese. Cu-
ra per limesonline.com il «Bollettino imperiale» sulla Cina. Collaboratore della Scuola di Limes
DENG YUWEN - Studioso di relazioni internazionali, commentatore politico e ricercatore presso il
China Strategic Analysis Center Inc.
ALBERTO DE SANCTIS - Giornalista, consigliere redazionale e responsabile per la geopolitica dei
mari di Limes, manager di Utopia - Policy, advocacy & communication.
LORENZO DI MURO - Collaboratore di Limes e limesonline.com. Studioso di geopolitica, si occupa
di Cina-Usa, Indo-Pacifco e America Latina. Scrive per Aspenia e The Asia Dialogue.
ARTHUR S. DING - Professore emerito alla National Chengchi University di Taiwan.
DARIO FABBRI - Giornalista, consigliere scientifco e coordinatore America di Limes. Esperto di
America e Medio Oriente. Vicedirettore della Scuola di Limes.
ANDREW GAMBLE - Professore presso il dipartimento di Scienze politiche e relazioni internazio-
nali dell’Università di Sheffeld.
IVY KWEK - Visiting Fellow presso il Center for Southeast Asian Studies, National Chengchi Uni-
versity di Taiwan.
JU HAILONG - Professore associato presso la Scuola di Relazioni internazionali dell’Università di
Jinan.
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JOHN LEE - Senior Analyst al Mercator Institute for China Studies. Ha lavorato per i ministeri
della Difesa e degli Esteri del governo australiano.
ANNETTE HSIU-LIEN LU - Già vicepresidente di Taiwan.
LU LI-SHIH - È stato istruttore all’Accademia navale di Taiwan e uffciale della Marina della Repub-
blica Popolare Cinese. Studioso del potenziamento militare cinese e di difesa missilistica.
STEPHEN R. NAGY - Professore associato alla International Christian University di T§ky§, membro
onorario della canadese Asia Pacifc Foundation, membro del Canadian Global Affairs Insti-
tute (Cgai) e professore invitato presso il Japan Institute for International Affairs (Jiia).
PHILLIP ORCHARD - Senior Analyst di Geopolitical Futures.
FEDERICO PETRONI - Consigliere redazionale di Limes, cultore di Geopolitica all’Università Vita e
Salute-San Raffaele e presidente di Geopolis. Coordinatore didattico della Scuola di Limes. 211
FRANCESCO SISCI - Senior Researcher alla China People’s University. Consigliere scientifco di Limes.
GIANNI VALENTE - Vaticanista, redattore dell’agenzia Fides.
JAUSHIEH JOSEPH WU - Ministro degli Esteri della Repubblica di Cina (Taiwan).
WU JIEH-MIN - Ricercatore all’Institute of Sociology dell’Academia Sinica di Taiwan, cocuratore
con Brian Fong e Andrew Nathan di China’s infuence in the Centre-periphery Tug of War
in Hong Kong, Taiwan and Indo-Pacifc, London 2021, Routledge.
ALAN HAO YANG - Professore all’Institute of East Asian Studies della National Chengchi Univer-
sity di Taiwan.
YOU JI - Professore di Relazioni internazionali e capo del dipartimento di Governo e Pubblica
amministrazione dell’Università di Macao.
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La storia in carte
a cura di Edoardo BORIA
1-4. Nell’analisi geopolitica il ricorso alla storia va maneggiato con cura, aven-
do sempre bene in mente che ogni parte in causa avanzerà, appunto partigiana-
mente, la propria versione. Demolita come verità e ridimensionata a interpretazio-
ne, la lettura delle vicende storiche fatta dall’analista non perde valore perché ser-
ve a comprendere meglio i meccanismi comportamentali profondi delle diverse
collettività. A condizione che l’analista stesso si renda ben conto del valore relativo
di tali visioni del passato. Se ciò non succede signifca che egli stesso è caduto nel-
la trappola: illusoriamente confortato dal riferirsi a fatti realmente accaduti, egli
perde di vista l’inevitabile arbitrarietà intrinseca all’operazione di decifrarli. Con-
fonde allora il proprio compito spingendosi a giudicare, cioè dare moralisticamen-
te ragione a chi la merita, invece di limitarsi a osservare, esercizio asettico riserva-
to a chi ha compreso che la geopolitica è distaccata analisi dell’urto tra poteri, at-
tività magari meno nobile dell’altra ma di sicuro intellettualmente più sofsticata.
Quando guardiamo alla storia di Taiwan ci rendiamo facilmente conto che non
ne esiste una sola ma che ce ne sono molte. Dipende – come sempre in geopolitica
– dal dove, e in questo caso da dove la si legge. Se dalla Cina, allora la storia di Tai-
wan sarà innegabilmente cinese. Lo affermerebbe con forza l’originaria matrice cul-
turale dell’isola, a cui si aggiunge oggi, nonostante la contingenza politica sfavorevo-
le, il lento ma progressivo rafforzamento dei legami commerciali con la Cina. Lo dice
chiaramente la scritta rossa che nella fgura 1 si sovrappone all’isola: Taiwan è, se-
condo Pechino, parte della Repubblica Popolare Cinese. Un’idea confermata dallo
sfortunato destino del francobollo rappresentato in fgura 2, pensato per celebrare la
rivoluzione culturale di Mao ma incorso nel grave errore di raffgurare Taiwan in un
colore diverso dalla Cina (bianco e non rosso). L’emissione venne dunque immedia-
tamente interrotta e ne sopravvissero soltanto una trentina di esemplari.
La fgura 3 ci ricorda, invece, un’altra storia: quella di una Taiwan giapponese.
In conseguenza del primo confitto sino-nipponico l’isola diventò una colonia del
Giappone, e tale rimase per mezzo secolo, dal 1895 al 1945. I colonizzatori prati-
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carono una violenta politica di assimilazione culturale forzata che cambiò il volto
della società taiwanese. La fgura 3 mostra al centro il Giappone e tutt’attorno le
sue colonie dell’epoca: la Corea nella parte alta e poi, nei riquadri in basso, Tai-
wan, Sakhalin e altri arcipelaghi dell’area.
La dimensione geopolitica contemporanea impone una terza immagine: quella
di una Taiwan a stelle e strisce, non formalmente ma di fatto, proprio come piace
alla geopolitica che non bada all’apparenza ma alla sostanza. Alla fne della secon-
da guerra mondiale l’isola diventò uno strategico avamposto degli Stati Uniti, fun-
zionale al controllo dell’Estremo Oriente e oggi al contenimento dell’espansione
cinese. Da quel momento la questione taiwanese si internazionalizzò.
Ma la geopolitica non guarda solo alla scala internazionale. Al contrario della
politologia che pensa la politica separando nettamente la dimensione interna da 215
quella internazionale, la geopolitica prende in considerazione entrambe. Per me-
glio dire, ne considera la compenetrazione, i loro condizionamenti reciproci, le
loro interdipendenze. C’è dunque anche il fronte interno, e da questo punto di vi-
sta esiste una quarta Taiwan. È quella del governo e della sua propaganda, che
compatta il paese con richiami dal sapore nazionalista. La sua autorappresentazio-
ne è, evidentemente, quella di uno Stato sovrano pienamente legittimo.
Ma non è fnita, perché esiste una quinta dimensione di Taiwan, quella regio-
nale interna segnata da fratture tra l’Est e l’Ovest. Oggi sono testimoniate, ad
esempio, dai differenti atteggiamenti elettorali e dalle diversità linguistiche, che
contrappongono chi parla il cinese mandarino a chi usa invece dialetti locali. La
fgura 4 evidenzia questa bipartizione dell’isola lasciando una fascia bianca al cen-
tro in corrispondenza della catena montuosa che la taglia in due.
Fonte fgura 1: particolare dall’Atlante nazionale del mondo, Beijing 2005, casa
editrice Mappa delle stelle, tav. 57.
Fonte fgura 2: francobollo emesso dalla Cina nel 1968 e immediatamente ri-
tirato.
Fonte fgura 3: KENJI OGURA, «Veduta a volo d’uccello del nuovo Giappone»,
Toˉkyoˉ 1921 Asashi Shinbunsha, David Rumsey Historical Map Collection.
Fonte fgura 4: LI LIANKUN, «Taiwan qian hou shan quan tu» («Taiwan ai due
lati delle sorgenti di montagna»), 1875-1880 circa (Library of Congress).
5. Per tutti gli anni Cinquanta del Novecento l’isola di Taiwan veniva raffgu-
rata negli atlanti italiani con lo stesso colore della Cina e con stile del carattere
diverso da quello usato per gli Stati. In pratica, veniva equiparata a ogni altra
provincia cinese e non a uno Stato sovrano. Questa rappresentazione rifetteva la
posizione uffciale degli Stati Uniti con i suoi alleati e delle Nazioni Unite, che
continuarono ad attribuire fno al 1971 il seggio della Cina alle forze nazionaliste.
Come se la rivoluzione non fosse mai avvenuta e il governo fosse ancora nelle ma-
ni del nazionalista Chiang Kai-shek, che continuava a rivendicare l’autorità sull’in-
tero territorio cinese anche se oramai viveva confnato a Taiwan.
Nella fgura 5 l’isola di Taiwan viene ancora chiamata con l’epiteto oggi desue-
to di Formosa. Nonostante sia del 1953 non vi compare il toponimo Taipei. Non
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perché il peso demografco della città non ne giustifchi l’inserimento, visto che si
stava rapidamente avvicinando al milione di abitanti, quanto perché la carta le
preferisce la precedente denominazione di Taikoku imposta dai giapponesi, cac-
ciati già da anni. L’assenza di sottolineatura in corrispondenza di quel nome (come
invece, nella stessa carta, per Toˉkyoˉ e Pechino) la declassa a capoluogo privando-
la del ben più autorevole titolo di capitale di Stato.
Fonte: G. CORBELLINI, particolare dall’Atlante geografco sintetico redatto da G.
Nangeroni e L. Ricci, Bologna 1953, Zanichelli, tav. 38.
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