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IL TARDO NEOPLATONISMO

In competizione con il Cristianesimo, l’ultima fase del neoplatonismo cerca di contrastarlo


sotto un aspetto: la scelta di vita che porta alla felicità.
Questo fenomeno spiega le caratteristiche di fondo del tardo neoplatonismo:
 L’importanza dei riti e delle pratiche liturgiche e religiose (teurgia) finalizzate a
stabilire un contatto con il divino;
 La la moltiplicazione delle entità soprattutto nel mondo intelligibile e del divino;
 la maggiore attenzione nei confronti della tradizione filosofica precedente;
Le figure di rilievo furono:
 in Occidente: Porfirio;
 in Oriente: Giamblico (in Siria), Ammonio, Olimpiodoro (ad Alessandria), Proclo e
Damascio (ad Atene);

Con Porfirio nasce il problema degli universali, ossia di quei termini che si predicano di
più cose o individui. Porfirio, nella sua Isagoge si chiede se i generi e le specie siano di per
sé sussistenti o siano solo concetti mentali.
L’Isagoge si occupa dei predicabili, che si distinguono dai predicamenti (categorie)
aristotelici. Le categorie sono classi possibili di predicati, mentre i predicabili riguardano
il modo in cui qualcosa può essere predicato.
Porfirio elenca cinque predicabili:
1. Accidente: presente o assente senza che il soggetto si distrugga (non tutti i gatti sono
neri);
2. Proprio: ciò che appartiene a una determinata specie ma che non rientra nell’essenza
di quella specie (animale razionale mortale);
3. Differenza: ciò che divide la realtà all’interno di uno stesso genere (genere: animale,
differenza: razionale/irrazionale);
4. Specie: ciò che è subordinato al genere in relazione all’essenza (la specie uomo è
subordinata al genere animale);
5. Genere: ciò che si predica di più realtà che differiscono per specie, per quel che
riguarda l’essenza;
Genere e specie Genere e specie hanno un rapporto circolare: ogni termine può essere ad
un tempo specie rispetto a ciò che lo precede, e genere rispetto a ciò che lo segue. Questa
serie è finita verso l’alto e verso il basso: in alto termina con il genere sommo (le
categorie); in basso si arriva a una specie che si divide solo in individui (si genera così una
struttura ad albero nota come “albero di Porfirio”).

La scuola neoplatonica in Siria è legata a Giàmblico. Commentando il De anima di


Aristotele, afferma, contro Plotino, che l’anima da sola non può sollevarsi verso il divino
e dunque c’è bisogno di riti e pratiche di culto (teurgia). Inoltre Giàmblico moltiplica le
ipostasi disponendole in ordine gerarchicoi:
 Uno ineffabile;
 Uno come tale (Plotino);
 La coppia limite/illimitato, a cui si legherebbe un terzo principio, Uno-ente.
Ad Alessandria Giovanni Filòpono, noto commentatore di Aristotele, pensa che i moti
violenti derivano da una forza motrice impressa dal motore al corpo mobile.
Ad Atene, con Plutarco e Siriano, si tenta di ripensare la compatibilità tra Platone e
Aristotele. Sempre ad Atene, l’ultimo esponente che chiude la scuola e il pensiero greco è
Damascio, che, se l’Uno è ineffabile come vuole Plotino, allora non può essere principio di
nulla.

Proclo è la figura più importante del neoplatonismo ateniese. Cercò di integrare la


riflessione filosofica e il sentire religioso.
Nella Teologia platonica distingue le classi divine in ordine gerarchico al cui vertice c’è
l’Uno (primo dio), poi le ènadi, che fanno da intermediarie tra l’Uno e il molteplice, fino a
giungere agli esseri superiori o anime intellegibili (angeli, demoni, eroi).
Al di sotto ci sono le anime degli uomini, animali, i corpi e la materia.
Negli Elementi di teologia Proclo espone quattro motivi fondamentali del suo pensiero:
1. Ogni causa produce ciò che segue senza modificarsi;
2. La causalità ha un andamento circolare;
3. Tutto sta in tutto, nel modo che gli è proprio;
4. Tutto partecipa di ciò che è superiore, attraverso le opportune meditazioni;

LA FILOSOFIA NEL MEDIOEVO: BOEZIO, PSEUDO-DIONIGI, SCOTO


ERIUGENA

Il Medioevo è caratterizzato da una straordinaria produzione filosofica:


La Filosofia come oggetto di insegnamento pubblico, animato da un sapere critico sul
metodo della quaestio e disputatio. Per la prima volta è stato sancito il principio della
libertà d’insegnamento (Libertas docendi). Infine, vi è la nascita del lessico filosofico e del
modo di studiarla;
Non vi furono la caccia alle streghe, roghi, Inquisizione (fenomeni moderni del XVI s.);
Epoca esoterica;
Dal crollo dell’Impero romano d’Occidente (476) sino all’VIII-IX secolo, l’Europa latina e
cristiana si ritrova senza scuole e senza filosofia. L’unica eccezione è quella di Severino
Boezio. Recupera e rende accessibili in latino i testi greci; concilia il loro pensiero con la
fede; produce dei manuali per il ciclo di arti liberali che suddivide in trivio (grammatica,
retorica, dialettica) e quadrivio (aritmetica, geometria, astronomia, musica); Fornisce
strumenti di logica per la teologia.
Nel campo della logica, Boezio, commentando l’Isagoge di Porfirio, si occupa del
problema degli universali. Secondo la soluzione neoplatonica gli universali sono forme
separate, ossia sussistenti, non solo concetti. Boezio, riprendendo Aristotele con la teoria
dell’astrazione, afferma che genere e specie non esistono separatamente come le forme
platoniche, ma esistono soltanto negli individui. Così l’intelletto coglie in un solo
concetto universale tutti gli individui che hanno una somiglianza essenziale.
Negli opuscoli teologici Boezio affronta il problema dell’applicabilità delle categorie
aristoteliche a Dio, distinguendo fra categorie “sostanziali” (la sostanza, la quantità e la
qualità), che si predicano di Dio ricevendo un incremento di significato, e categorie
accidentali, che si possono predicare di Dio solo in senso metaforico.
Accusato di cospirazione e tradimento, egli ritorna all’antico ideale di filosofia come ricerca
della felicità. Egli, però, aggiunge anche degli elementi di forte originalità, come:
l’interpretazione dell’eternità divina come atemporalità (assenza assoluta di tempo) e non
come onnitemporalità (durata infinita lungo l’intero corso del tempo); Dio, nella sua
atemporalità, conosce tutti gli eventi come presenti, ma non è la conoscenza divina a far sì
che questi accadano; piuttosto, poiché accadono, Dio non può fare a meno di conoscerli.
Per questo Boezio attribuisce alla scienza divina non una necessità assoluta (poiché Dio
conosce una cosa essa accade) ma una necessità ipotetica (se una cosa accade, Dio la
conosce)

Nel mondo bizantino, l’insegnamento della filosofia è sostituito da quello della teologia
cristiana. Una eccezione significativa è rappresentata dallo Pseudo-Dionigi Areopagita.
È considerato uno dei padri della teologia negativa o apofatica, per la quale è più corretto
riferirsi a Dio con le negazioni che con le affermazioni. Egli delinea una scala gerarchica
per accostarsi a Dio in tre gradi:
1. la via affermativa, che parla di Dio in modo improprio a partire dalle creature;
2. la via negativa, che si avvicina a Dio negando tutti i contenuti ricavati dalle creature;
3. la via superlativa o dell’eminenza, che, negando le stesse negazioni, riconosce che
Dio è superiore, eccedente a tutto; a qualsiasi possibilità conoscitiva e linguistica,
perché eccede e trascende sia le affermazioni che le negazioni.
Per superare le contraddizioni legate all’assoluta trascendenza divina, lo Pseudo-Dionigi
pone Dio al di là del principio di non-contraddizione.

Nel mondo latino, nel periodo carolingio, intorno alla metà dell’VIII secolo, si verifica
una significativa ripresa degli studi filosofici, legati al linguaggio. In questo contesto è
Giovanni Scoto (o Eriugena) la figura di maggior spicco.
Compone un trattato sulla predestinazione (De divina praedestinatione), nel quale si
allontana dalla teoria agostiniana della grazia, assicurando maggiore libertà al volere umano
in merito alla salvezza e ridimensionando il concetto di dannazione: nessuna consistenza
ontologica del male (se Dio è buono, non ci può essere spazio per il male o le pene).
L’opera più importante di Scoto è il De divisione naturae: essa muove dal perfetto
parallelismo tra pensiero e realtà, compreso attraverso la dialettica. Il termine “natura”
permette di cogliere lo sviluppo dell’Universo e quello della conoscenza: in quanto termine
primo, non può essere definito, ma può essere diviso in:
1. La natura che non è creata, ma crea (Dio);
2. La natura che è creata e crea (Logos);
3. La natura che è creata e non crea (cose sensibili);
4. La natura che non è creata e non crea (ritorno a Dio di tutto il molteplice);

LA NEOSCOLASTICA ARABA ED EBRAICA

Ilmaggiore progetto filosofico di Avicenna (980-1037),il Libro della Guarigione (articolato


in 4 parti: logica,filosofia naturale, matematica e metafisica) propone una ridefinizione della
metafisica di Aristotele. Una prima ridefinizione riguarda il “soggetto”di tale scienza che
diventa l’ente in quanto ente, l’esistente. Una seconda ridefinizione riguarda il problema
dell’immaterialità: per Avicenna, il soggetto è immateriale nel senso che viene prima di
ciò che è materiale e immateriale. L’ente in quanto ente è qualcosa che precede e include al
suo interno tutte le possibili determinazioni dell’ente.
Nella Metafisica del Libro della Guarigione Avicenna presenta una soluzione al problema
degli universali, attraverso la dottrina dell’indifferenza delle essenze. Posto che essenza
ed esistenza non sono realtà diverse, ma intenzioni diverse (cioè aspetti diversi di una realtà
che non possono essere separati effettivamente, ma considerati separatamente), la dottrina
dell’indifferenza afferma che l’essenza di qualcosa non è in sé né universale né
particolare, ma è soltanto sé stessa. Ciò non significa che l’essenza goda di un’esistenza
separata, come le forme platoniche: l’essenza esiste sempre o nei concetti universali presenti
nella mente o negli enti concreti, senza che nessuna delle due determini il suo contenuto. In
altri termini, il tipo di esistenza (individuale o universale) non rientra mai nell’essenza di
qualcosa.
La Causa prima non produce le cose né intenzionalmente, né inconsapevolmente: essa
conosce in universale ciò che fluirà da sé, conoscendo la sua stessa bontà. Per preservare
l’unicità e l’unitarietà di Dio, Avicenna sostiene che la Causa prima produce eternamente e
immediatamente un solo effetto, la prima intelligenza. L’emanazione delle intelligenze
angeliche si ripete sino alla decima intelligenza che sovrintende al mondo sublunare e da
cui dipendono tanto le anime umane quanto le forme naturali degli altri enti. Per questo tale
intelligenza è chiamata anche “datore delle forme”. Essa coincide con l’intelletto agente o
produttivo di tutta l’umanità, unico e separato.
Per Avicenna ogni nostra conoscenza ha sempre origine dai sensi interni. Il passaggio dal
livello delle immagini sensibili alla conoscenza intelligibile è reso possibile da un principio
esterno: la decima intelligenza (o intelletto agente) che spoglia le immagini sensibili da
ogni residuo individuale e materiale. I contenuti intelligibili diventano così disponibili per
l’intelletto potenziale che ha la potenza di accoglierli e di pensarli in atto. L’intelletto
agente è separato e unico per tutta l’umanità; quello potenziale è individuale e proprio di
ciascun uomo.

Averroè(1126-1198) è considerato il “Commentatore” per eccellenza di Aristotele. Egli


prende le distanze dall’interpretazione di Avicenna. Commentando Aristotele,Averroè
giunge ad una soluzione molto personale di duequestioni: la dottrina dell’intelletto e la
questione delsoggetto della filosofia prima. Per Averroè il soggettodella metafisica non
coincide con l’ente in quanto ente,ma con Dio e le altre sostanze separate (le intelligenze):
la metafisica è dunque una teologia filosofica. Filosofia e religione sono “sorelle di
latte”. Egli sostiene che religione e filosofia conducono sempre alla medesima verità.
La fama di Averroè in Occidente è legata alla sua teoria dell’intelletto. La grande novità di
Averroè consiste nel porre come unico e separato anche l’intelletto potenziale,
collocando l’intera attività del pensiero al di fuori degli individui. Ogni individuo elabora, a
partire dalle sensazioni, delle forme o immagini sensibili (i fantasmi) sulle quali interviene
l’azione astrattiva dell’intelletto agente, che le spoglia di ogni componente materiale o
individuale, seguita dalla ricezione dell’intelletto potenziale. Per Averroè, dunque, a
pensare non è il singolo uomo, ma l’intelletto potenziale separato, mentre l’uomo si
limita a fornire i contenuti di tale pensiero, gli oggetti da pensare. Poiché non tutti gli
uomini sono in grado di congiungersi all’intelletto separato, per Averroè è necessario che vi
siano sempre alcuni filosofi.

La Spagna musulmana, dagli inizi dell’XI secolo fino alla metà del XII, è anche il principale
centro della cultura filosofica ebraica. Le due figure più rappresentative di questa cultura
sono Ibn Gabirol (Malga 1021-1058 Valencia) e Mosè Maimònide (Cordova 1128-1204
El Cairo).
Il primo sostiene la tesi dell’ilemorfismo universale, secondo cui materia e forma
caratterizzano ogni effetto della Causa prima e si ritrovano in qualsiasi grado dell’Universo,
ad eccezione di Dio stesso.
Il secondo applica gli strumenti della filosofia e dell’aristotelismo per interpretare le
Scritture della tradizione religiosa ebraica in modo allegorico. Elabora una prova
dell’esistenza di Dio fondata sui concetti di contingenza e necessità. Il mondo esiste
perpetuamente dopo la creazione.

LA FILOSOFIA NEI SECOLI XI-XIII: ANSELMO, PIETRO ABELARDO,


BONAVENTURA, ALBERTO MAGNO
*

Tale concetto è presente anche nella mente di chi nega l’esistenza di Dio; ma chi nega
l’esistenza di Dio entra in contraddizione con quel che pensa, e dunque con se stesso, se non
ammette che questo concetto è esiste nella realtà, in quanto ciò che esiste nella realtà è più
grande di ciò che esiste solo nel pensiero. Così, Anselmo, arriva ad affermare che
l’esistenza di Dio può forse rimanere in dubbio dal punto di vista della fede, ma è
indubitabile dal punto di vista dell’intelletto.
Il monaco benedettino Gaunilone di Marmoutier avanza due famose obiezioni
all’argomento di Anselmo:
1. Critica al passaggio dal pensiero alla realtà (è possibile concepire una cosa come
dotata di ogni possibile perfezione, ma non per questo essa diventerà reale);
2. Contesta la definizione di Dio come “ciò di cui non si può pensare nulla di più
grande”.
Nel corso del XII secolo l’Occidente latino presenta importanti segnali di risveglio
filosofico, che portano alla creazione di scuole presso le cattedrali o i principali monasteri
europei, come la scuola cattedrale di Chartres e la scuola di San Vittore a Parigi. Nella
prima riprende vigore l’interesse per le questioni cosmologiche; nella seconda la cultura
teologica tradizionale si arricchisce di spunti provenienti da diverse direzioni, come
dimostra il caso di Pietro Abelardo (1079-1142).
Due sono gli elementi più originali del suo pensiero:
 il contributo alla disputa sugli universali;
 la concezione della moralità.
Nella disputa sugli universali, Abelardo si confronta con due posizioni contrapposte: quella
realista di Guglielmo di Champeaux, che riproponeva l’impianto platonizzante; e quella
vocalista di Roscellino di Compiègne, che riduceva gli universali a pure emissioni sonore.
La soluzione di Abelardo consiste nel negare che esista un’essenza comune a tutti gli
individui di una stessa specie e nell’affermare che esiste una ragione comune per cui più
individui appartengono alla stessa specie, poiché si trovano nello stesso stato, cioè
rispondono alla medesima definizione.
Per quanto riguarda la morale, Abelardo afferma il primato dell’intenzione con cui si
compie l’azione. Il vero peccato è quello che si commette deliberatamente, e non per
ignoranza o inconsapevolezza.
Il termine “Scolastica” indica la teologia e la filosofia insegnate nelle scholae, ovvero nelle
Università medievali. In base all’appartenenza istituzionale dei vari maestri, si distingue tra
teologi (coloro che insegnano alla Facoltà di Teologia) e artistae (coloro che insegnano alla
Facoltà delle Arti). All’interno del gruppo dei teologi, è possibile distinguere tra
francescani e domenicani;
Uno dei più noti maestri francescani parigini del XIII secolo è Bonaventura da Bagnoregio
(1217/18-1274 dottrina dell’esemplarismo, ossia il far dipendere l’essere delle cose del
mondo terreno da esemplari eterni contenuti nell’intelletto divino).
Sono nove le caratteristiche di fondo dell’orientamento dottrinale complessivo dei maestri
francescani parigini:
1. un atteggiamento di circospezione e diffidenza nei confronti della rapida diffusione
dell’aristotelismo;
2. l’idea che la nostra conoscenza derivi da una forma di illuminazione interiore;
3. la pluralità delle forme sostanziali nell’uomo;
4. l’ilemorfismo universale;
5. la non-eternità del mondo;
6. le ragioni seminali;
7. il primato della volontà sull’intelletto;
8. la teologia come scienza pratica;
9. Dio come il primo oggetto conosciuto dall’intelletto.
Nel 1228 i domenicani ottengono la loro prima cattedra di teologia a Parigi. Alberto Magno
(1200-1280) e Tommaso d’Aquino (1224-1274) promuovono, all’interno dell’Ordine, un
diverso atteggiamento nei confronti dello studio della filosofia, di Aristotele e dei suoi
interpreti arabi. Durante il capitolo di Valenciennes, nel 1259, approvano una riforma che
attribuisce una centralità assoluta allo studio (e alla filosofia in particolare) nella vita
dell’Ordine.
Già nel 1248, a Colonia, Alberto elabora il progetto di un’esposizione sistematica di tutti
gli scritti aristotelici, che lo ha reso l’iniziatore dell’aristotelismo latino. Alberto difende
l’autonomia e la distinzione degli ambiti tra teologia e filosofia.
La sua interpretazione dell’Universo si basa sulla fusione di aristotelismo e
neoplatonismo. Per quanto riguarda lo statuto dell’anima e l’essenza dell’uomo, per
Alberto l’anima organizza e vivifica il corpo, ma è al fondo intellettualità pura e l’uomo
si identifica con l’intelletto. L’uomo possiede sia un intelletto potenziale che un intelletto
agente, che è insieme separato e nostro e consente all’anima di raggiungere quello stato
che Alberto chiama “santo”.
FILOSOFIA E TEOLOGIA NEL XIV SECOLO
A lungo rappresentato come un momento di crisi per la filosofia e la teologia, il XIV secolo
è stato, in realtà, un periodo in cui sono emerse soluzioni dottrinali profondamente
innovative, come dimostrano Giovanni Duns Scoto, Meister Eckhart, Guglielmo di
Ockham e Dante Alighieri.
Molti tratti dottrinali del XIV secolo derivano dalla condanna del 1277, ad esempio:
l’importanza accordata alla contingenza, lo sviluppo di differenti approcci
all’aristotelismo e la convinzione che la sfera della possibilità sia più ampia di quella
dell’attualità. Inoltre, la scienza assume un carattere sempre più ipotetico-congetturale
e, conseguentemente, la verità viene intesa non più come il rispecchiamento del reale, ma
come la coerenza logica di un modello esplicativo. Di qui la grande importanza assunta
dalla logica e dall’analisi del linguaggio.

Giovanni Duns Scoto ripensa il rapporto tra metafisica e teologia a partire dalla
constatazione del loro difficile dialogo. La teologia, infatti, indica una mancanza (la
contingenza ontologica del mondo) e un’eccedenza (l’esigenza di una beatitudine
soprannaturale) e così facendo mostra alla filosofia quel che essa potrebbe essere, ovvero
una scienza che includa ciò che è materiale e ciò che è immateriale. La teologia, a sua volta,
ne riceve in cambio il concetto univoco di ente (un unico concetto per l’ente finito e quello
infinito) su cui fondare il discorso su Dio.
la metafisica è un’ontologia generale che si occupa dell’ente come concetto comune e
anteriore a tutte le categorie (trascendentale) e che racchiude in sé la teologia come parte
speciale.
A partire dall’esame del concetto di ente, Scoto elabora una prova dell’esistenza di Dio:
l’ente è qualcosa che può essere causato e le serie delle sue cause sono essenzialmente
ordinate, ovvero seguono un ordine preciso e non possono essere né reversibili, né aperte,
né infinite. Considerando le tre serie della causalità efficiente, della causalità finale e
dell’eminenza è possibile per ciascuna ipotizzare un termine primo incausato e incausabile,
cioè pensabile senza contraddizione. Ma se una prima causa incausata e incausabile è
possibile, allora esiste anche necessariamente già in atto e coincide con Dio. Scoto ripensa
la tradizione aristotelica greca ed araba rompendo con l’idea che Dio non solo esista
necessariamente, ma agisca in modo necessario: la necessità, almeno nella sfera dell’azione,
è sinonimo di costrizione, non di perfezione, e ad essere sinonimo di libertà è la
contingenza.
Gli altri temi del suo pensiero segnano uno scarto rispetto alle interpretazioni
dell’aristotelismo e sono: il primato della volontà sull’intelletto; il principio di
individuazione, che non colloca nella materia ma in una determinazione di natura formale
(“ecceità”); la distinzione tra conoscenza intuitiva e conoscenza astrattiva.
Meister Eckhart (1260-1328) rappresenta la figura più originale della scuola domenicana
tedesca. Il suo ideale dell’unione o “unizione” con Dio non è affatto paragonabile all’estasi
mistica, ma ha un fondamento ontologico: nell’anima dell’uomo si trova una parte increata,
un fondo, che è immagine divina. L’uomo è chiamato a ritrovare in se stesso la
coincidenza tra il proprio fondo e il fondo di Dio.
Tale riconoscimento necessita di un doppio processo di spoliazione:
 da una parte, occorre spogliare Dio di tutte le creaturali, giungendo alla nuda deità;
 dall’altra l’uomo deve farsi “povero” spiritualmente.
Contrapponendosi a Tommaso, Eckhart fa del pensiero il fondamento dell’essere divino: se
Dio è essenzialmente pensiero e solo secondariamente essere, la presunta mistica
eckhartiana si risolve in una metafisica dell’intelletto.

L’attività di Ockham si divide in due fasi: la prima caratterizzata dall’interesse per i temi di
logica, di filosofia naturale e di teologia; la seconda dominata dalla polemica a distanza con
la corte papale.
La Somma di logica si divide in tre parti: logica dei termini, logica delle proposizioni e
logica dei ragionamenti. Nella prima, Ockham distingue fra termini orali, scritti e mentali
e fra termini assoluti (che possiedono un solo significato) e termini connotativi (che
significano qualcosa primariamente e qualche altra cosa secondariamente). I termini
connotativi non hanno mai una definizione reale (cioè che indichi l’essenza), ma solo una
definizione nominale (che chiarisce il significato a livello linguistico). Questa distinzione
svolge un’importante funzione sia a livello gnoseologico che metafisico, perché permette a
Ockham di ridurre le entità che si suppongono essere realtà a sé, identificandole come
semplici rapporti tra le cose. Si tratta del principio di parsimonia o “rasoio di Ockham”.
La supposizione è la proprietà che i termini hanno, in quanto segni, di stare “per qualcosa”.
Ockham distingue tre tipi di supposizione: personale (il suo significato – “uomo corre”),
semplice (suppone un concetto universale – “uomo è una specie”) e materiale (suppone per
se stesso – “uomo, parola di due sillabe”). Tale teoria costituisce il criterio per stabilire la
verità di una proposizione che risulta vera quando il soggetto e il predicato suppongono
per la stessa cosa. La verità si basa così sulla coerenza interna degli enunciati. Gli stessi
universali sono, per Ockham, in realtà concetti, e questi ultimi, nel loro essere, sono cose
singolari in sé, mentre sono universali solo riguardo al loro significato (segni di più cose).
Teologia e filosofia si basano su principi diversi: nessuna verità rivelata può essere oggetto
di dimostrazione scientifica, così come la filosofia non può né confutare una verità rivelata
né provare una tesi in contrasto con essa.
La separazione di ambiti tra filosofia e rivelazione caratterizza anche la riflessione etica.
Quest’ultima presuppone la libertà, interpretata come la volontà umana in quanto capace
di autodeterminarsi in un senso o in un altro. Questa radicale libertà della volontà non si
applica soltanto nei confronti delle scelte che ogni uomo si trova a dover affrontare, ma
anche nei confronti del fine ultimo.
Nella seconda fase della sua riflessione, Ockham mette in parallelo la questione dell’origine
della proprietà privata e quella relativa all’origine del potere politico. Egli ritiene che la
divisione dei beni e la proprietà privata non siano condizioni naturali, ma il risultato di una
precisa condizione storica.

TOMMASO D’AQUINO (1225/6 - 1274)


Tommaso d’Aquino (ca. 1224/1225-1274) è diventato il principale punto di riferimento
dottrinale per il pensiero cattolico.
Il compito del sapiente è quello di occuparsi delle verità di fede e di ragione e di
confutare gli errori di coloro che si oppongono ad esse. In questo senso, la filosofia è utile
alla scienza divina per tre differenti scopi: per dimostrare alcuni preamboli della fede stessa
(come l’esistenza e l’unicità di Dio); per illustrare, mediante similitudini, alcune verità di
fede difficili da esprimere; per confutare ciò che si oppone alla fede, denunciandone la
falsità o l’irrilevanza.
Tommaso esplicita i concetti di ente ed essenza nella sua opera giovanile l’Ente e l’essenza.
Il concetto fondamentale è quello di ente, con cui si indica una qualsiasi cosa che esiste.
L’ente può essere sia logico, sia reale. Tale distinzione è di estrema importanza perché vuol
dire che non tutto ciò che viene pensato esiste realmente.
L’ente logico è espresso mediante il verbo copulativo essere, coniugato in tutte le forme. La
sua funzione è di unire più concetti, senza pretendere che questi esistano effettivamente
nella realtà.
L’ente reale è ogni realtà che esiste secondo le modalità specificate nelle categorie.
L’essenza indica il “che cos’è” una cosa, ossia l’insieme di materia e forma per cui gli enti
si distinguono fra di loro. Per quanto concerne Dio l’essenza si indentifica con l’essere, per
tutto il resto l’essenza significa attitudine ad essere, cioè potenza all’essere. E poiché
l’essenza delle creature non si identifica con l’esistenza, il mondo, nel suo insieme e nei
singoli componenti, non esiste necessariamente, cioè è contingente, può essere e può non
essere. Infine, poiché è contingente, se esiste, il mondo non esiste per sua virtù ma per virtù
di un altro, la cui essenza si identifica con l’essere, cioè Dio.
L’essere (esse) è l’atto che realizza l’essenza (actus essendi) che in se stessa non è che un
poter essere.
La partecipazione è l’atto con cui le creature, grazie a Dio, prendono parte della perfezione
dell’essere. Partecipare dell’Essere, di Dio, non si intende che le creature partecipano
dell’essenza di Dio (sarebbe panteismo), ma che realizzano in misura limitata ed imperfetta
(per somiglianza parziale) ciò che in Dio è illimitato e perfetto.
Analogia è il termine usato da Tommaso per distinguere e connettere l’essere di Dio con
l’essere delle creature. Tra loro non sono nè univoci (identici), nè equivoci (diversi), ma
sono analoghi, ossia in parte simili e diversi. Si estende a tutti i predicati che si estendono
a Dio e alle creature e che permettono un discorso teologico.
La nozione di trascendente (in seguito trascendentale) implica l’identificazione totale di
“uno”, “vero” e “buono” con l’essere, nel senso che sono da esso inseparabili, fino al punto
da convertirsi tra loro in maniera totale. Pertanto dire che l’uno, il vero e il bene sono dei
trascendentali dell’essere, significa dire che l’essere è uno, vero e buono.
Discorso su Dio
 negativo (via remotionis): rimuove, nega di Dio tutte le imperfezioni creaturali
 positivo:
via causalitatis: conosce Dio dalle perfezioni che Dio comunica alle creature
via eminentiae: pensa le perfezioni al superlativo, ossia in modo adeguato all’essere di Dio
Esistenza di Dio: 5 vie
1. pp (punto di partenza): movimento; pa (punto di arrivo): Dio come
Primo motore Immobile
2. pp: causa; pa: Dio come Causa prima incausata
3. pp: il possibile (contingente); pa: Dio come Ente necessario
4. pp: gradi di perfezione; pa: Dio come Perfezione somma
5. pp: fini; pa: Dio come Intelligenza ordinatrice
Struttura logica delle prove/vie:
a) si parte da un dato di esperienza che non si spiega da sé
b) si applica il principio di causa
c) si esclude il regresso all’infinito
d) si perviene a una realtà trascendente esplicatrice
Conoscenza
Astrazione (abstractione, deriv. di abtrahere: trarre via da): processo attraverso cui il
soggetto conoscente riceve le forme o specie (sensibili o intellegibili) delle cose, astraendole
dai corpi a cui sono unite. È conoscenza intellettuale, che astrae la forma dalla materia
individuale, ossia trae fuori l’universale dal particolare, la specie intellegibile dalle
immagini singole ossia dal fantasma.
Fantasma: riproduzione dell’oggetto sensibile nell’immaginazione. Essendo qualcosa di
sensibile e individuale, non è il concetto che è intellegibile e universale.
Materia: l’astrazione non separa la forma dalla materia in generale, ma dalla materia
individuale.
Materia duplice:
comune (es. il tavolo, l’uomo)
signata o individuale (es. questo tavolo, questo uomo)
L’intelletto, conoscendo, non astrae la forma dalla materia sensibile comune, ma dalla
materia sensibile individuale.
Principium individuationis: ciò che determina il carattere di ciascun individuo, che non è né
la forma, né la materia comune, bensì la materia signata. Ogni individuo è unito ad un
determinato corpo, diverso per dimensioni spazio-temporali da altri
Intelletto: intus-legere (leggere dentro), penetrare sino alle essenze delle cose; facoltà
conoscitiva, del tutto organica, ossia esercita le sue funzioni indipendentemente dalla
materialità di un organo corporeo.Intelletto agente: facoltà che astrae le forme intellegibili
dalla materia individuale, permettendo all’intelletto di esprimerle in concetti. Contro
Averrroè che sosteneva la separazione e unicità, per Tommaso coincide con l’anima e ci
sono tanti intelletti agenti, quante le anime umane. I concetti universali esistono
 ante rem: in Dio, come modelli (= idee) delle cose create
 in re: come forme o strutture degli individui
 post rem: nell’intelletto, come concetti astratti
Il realismo moderato rappresenta la posizione logica e gnoseologica più consona alla
metafisica tomistica (e alla Scolastica in generale).
Verità: “adeguazione fra la cosa e l’intelletto (adaequatio rei et intellectus ed esprime due
aspetti della verità:
logico-gnoseologico: corrispondenza fra intelletto umano e cose
ontologico-trascendentale: ogni ente si adegua all’intelletto divino che lo ha creato ed è
intrinsecamente intellegibile e razionale.
studiosi in seguito:
 adaequatio rei et intellectus: verità ontologica
 adaequatio intellectus et rei: verità logico-gnoseologica
 adaequatio rei ad intellectum divinum: verità ontologica
 adaequatio intellectus nostri ad rem: verità logico-gnoseologica
Antropologia, etica, diritto, politica
Anima: funge da forma di un corpo, ma ha un suo essere proprio (anima habet esse per se)
che non riceve dal corpo né dalla unione con esso ma da Dio. Natura autonoma e incorporea
dell’anima intellettiva è provata dalla sua capacità di operare indipendentemente dal corpo.
Come sostanza per sé sussistente è anche immortale.
Agere sequitur esse: correlazione necessaria tra la natura di un ente e il suo modo di agire.
La creaturalità (indica rapporto di dipendenza da Dio) non è solo un dato ontologico, ma
anche un dover-essere morale.
Provvidenza: governo divino del mondo. Non esclude ma implica la libertà umana.
Prescienza: atto con cui Dio pre-vede (vede, dato che ha simultaneamente tutto il presente) i
futuri contingenti, cioè le azioni dovute alla volontà e alla libertà dell’uomo.
Volontà: facoltà con cui si tende a raggiungere il bene conosciuto dall’intelletto. Il volere
umano, pur non potendo fare a meno di tendere alla felicità (fine necessario), si accompagna
alla libertà
Libertà: situazione di immunità dalle costrizioni esterne o interne, concretizzata nel libero
arbitrio. Presuppone sia la volontà sia la ragione.
Sinderesi: disposizione naturale per intendere i principi pratici dai quali dipendono le azioni
buone
Coscienza: atto che deriva dalla sinderesi. Consiste nell’applicare i principi generali
dell’agire ad un’azione particolare.
Virtù morali: abiti, diposizioni costanti a vivere rettamente e a fuggire dal male
Legge (lex): “è una regola o misura dell’agire, in quanto viene da essa spinto all’azione, o
viene stornato da quella. Legge infatti deriva da legare, perché obbliga ad agire”.
 naturale: “partecipazione della legge eterna nella creatura ragionevole”,
ossia la legge prescrive alla volontà umana come deve agire per accordarsi
ai fini essenziali e necessari dell’essere umano
 umana: legge civile positiva per la quale si dispone in modo particolare
delle cose cui già si riferisce la legge naturale.
si fonda su quella naturale, che si fonda su quella eterna
il diritto positivo si fonda su quello naturale
 divina: legge positiva divina, che comprende la legge mosaica (lex vetus),
la legge evangelica (lex nova) e legge ecclesiastica che segue
Politica: le leggi sono di origine popolare. Tuttavia la monarchia è la miglior forma di
governo, perché garantisce unità e ordine dello Stato. Rapporti autorità civile e religiosa:
distingue le reciproche competenze, però i re del popolo cristiano devono essere subordinati
al Pontefice.

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