Con Porfirio nasce il problema degli universali, ossia di quei termini che si predicano di
più cose o individui. Porfirio, nella sua Isagoge si chiede se i generi e le specie siano di per
sé sussistenti o siano solo concetti mentali.
L’Isagoge si occupa dei predicabili, che si distinguono dai predicamenti (categorie)
aristotelici. Le categorie sono classi possibili di predicati, mentre i predicabili riguardano
il modo in cui qualcosa può essere predicato.
Porfirio elenca cinque predicabili:
1. Accidente: presente o assente senza che il soggetto si distrugga (non tutti i gatti sono
neri);
2. Proprio: ciò che appartiene a una determinata specie ma che non rientra nell’essenza
di quella specie (animale razionale mortale);
3. Differenza: ciò che divide la realtà all’interno di uno stesso genere (genere: animale,
differenza: razionale/irrazionale);
4. Specie: ciò che è subordinato al genere in relazione all’essenza (la specie uomo è
subordinata al genere animale);
5. Genere: ciò che si predica di più realtà che differiscono per specie, per quel che
riguarda l’essenza;
Genere e specie Genere e specie hanno un rapporto circolare: ogni termine può essere ad
un tempo specie rispetto a ciò che lo precede, e genere rispetto a ciò che lo segue. Questa
serie è finita verso l’alto e verso il basso: in alto termina con il genere sommo (le
categorie); in basso si arriva a una specie che si divide solo in individui (si genera così una
struttura ad albero nota come “albero di Porfirio”).
Nel mondo bizantino, l’insegnamento della filosofia è sostituito da quello della teologia
cristiana. Una eccezione significativa è rappresentata dallo Pseudo-Dionigi Areopagita.
È considerato uno dei padri della teologia negativa o apofatica, per la quale è più corretto
riferirsi a Dio con le negazioni che con le affermazioni. Egli delinea una scala gerarchica
per accostarsi a Dio in tre gradi:
1. la via affermativa, che parla di Dio in modo improprio a partire dalle creature;
2. la via negativa, che si avvicina a Dio negando tutti i contenuti ricavati dalle creature;
3. la via superlativa o dell’eminenza, che, negando le stesse negazioni, riconosce che
Dio è superiore, eccedente a tutto; a qualsiasi possibilità conoscitiva e linguistica,
perché eccede e trascende sia le affermazioni che le negazioni.
Per superare le contraddizioni legate all’assoluta trascendenza divina, lo Pseudo-Dionigi
pone Dio al di là del principio di non-contraddizione.
Nel mondo latino, nel periodo carolingio, intorno alla metà dell’VIII secolo, si verifica
una significativa ripresa degli studi filosofici, legati al linguaggio. In questo contesto è
Giovanni Scoto (o Eriugena) la figura di maggior spicco.
Compone un trattato sulla predestinazione (De divina praedestinatione), nel quale si
allontana dalla teoria agostiniana della grazia, assicurando maggiore libertà al volere umano
in merito alla salvezza e ridimensionando il concetto di dannazione: nessuna consistenza
ontologica del male (se Dio è buono, non ci può essere spazio per il male o le pene).
L’opera più importante di Scoto è il De divisione naturae: essa muove dal perfetto
parallelismo tra pensiero e realtà, compreso attraverso la dialettica. Il termine “natura”
permette di cogliere lo sviluppo dell’Universo e quello della conoscenza: in quanto termine
primo, non può essere definito, ma può essere diviso in:
1. La natura che non è creata, ma crea (Dio);
2. La natura che è creata e crea (Logos);
3. La natura che è creata e non crea (cose sensibili);
4. La natura che non è creata e non crea (ritorno a Dio di tutto il molteplice);
La Spagna musulmana, dagli inizi dell’XI secolo fino alla metà del XII, è anche il principale
centro della cultura filosofica ebraica. Le due figure più rappresentative di questa cultura
sono Ibn Gabirol (Malga 1021-1058 Valencia) e Mosè Maimònide (Cordova 1128-1204
El Cairo).
Il primo sostiene la tesi dell’ilemorfismo universale, secondo cui materia e forma
caratterizzano ogni effetto della Causa prima e si ritrovano in qualsiasi grado dell’Universo,
ad eccezione di Dio stesso.
Il secondo applica gli strumenti della filosofia e dell’aristotelismo per interpretare le
Scritture della tradizione religiosa ebraica in modo allegorico. Elabora una prova
dell’esistenza di Dio fondata sui concetti di contingenza e necessità. Il mondo esiste
perpetuamente dopo la creazione.
Tale concetto è presente anche nella mente di chi nega l’esistenza di Dio; ma chi nega
l’esistenza di Dio entra in contraddizione con quel che pensa, e dunque con se stesso, se non
ammette che questo concetto è esiste nella realtà, in quanto ciò che esiste nella realtà è più
grande di ciò che esiste solo nel pensiero. Così, Anselmo, arriva ad affermare che
l’esistenza di Dio può forse rimanere in dubbio dal punto di vista della fede, ma è
indubitabile dal punto di vista dell’intelletto.
Il monaco benedettino Gaunilone di Marmoutier avanza due famose obiezioni
all’argomento di Anselmo:
1. Critica al passaggio dal pensiero alla realtà (è possibile concepire una cosa come
dotata di ogni possibile perfezione, ma non per questo essa diventerà reale);
2. Contesta la definizione di Dio come “ciò di cui non si può pensare nulla di più
grande”.
Nel corso del XII secolo l’Occidente latino presenta importanti segnali di risveglio
filosofico, che portano alla creazione di scuole presso le cattedrali o i principali monasteri
europei, come la scuola cattedrale di Chartres e la scuola di San Vittore a Parigi. Nella
prima riprende vigore l’interesse per le questioni cosmologiche; nella seconda la cultura
teologica tradizionale si arricchisce di spunti provenienti da diverse direzioni, come
dimostra il caso di Pietro Abelardo (1079-1142).
Due sono gli elementi più originali del suo pensiero:
il contributo alla disputa sugli universali;
la concezione della moralità.
Nella disputa sugli universali, Abelardo si confronta con due posizioni contrapposte: quella
realista di Guglielmo di Champeaux, che riproponeva l’impianto platonizzante; e quella
vocalista di Roscellino di Compiègne, che riduceva gli universali a pure emissioni sonore.
La soluzione di Abelardo consiste nel negare che esista un’essenza comune a tutti gli
individui di una stessa specie e nell’affermare che esiste una ragione comune per cui più
individui appartengono alla stessa specie, poiché si trovano nello stesso stato, cioè
rispondono alla medesima definizione.
Per quanto riguarda la morale, Abelardo afferma il primato dell’intenzione con cui si
compie l’azione. Il vero peccato è quello che si commette deliberatamente, e non per
ignoranza o inconsapevolezza.
Il termine “Scolastica” indica la teologia e la filosofia insegnate nelle scholae, ovvero nelle
Università medievali. In base all’appartenenza istituzionale dei vari maestri, si distingue tra
teologi (coloro che insegnano alla Facoltà di Teologia) e artistae (coloro che insegnano alla
Facoltà delle Arti). All’interno del gruppo dei teologi, è possibile distinguere tra
francescani e domenicani;
Uno dei più noti maestri francescani parigini del XIII secolo è Bonaventura da Bagnoregio
(1217/18-1274 dottrina dell’esemplarismo, ossia il far dipendere l’essere delle cose del
mondo terreno da esemplari eterni contenuti nell’intelletto divino).
Sono nove le caratteristiche di fondo dell’orientamento dottrinale complessivo dei maestri
francescani parigini:
1. un atteggiamento di circospezione e diffidenza nei confronti della rapida diffusione
dell’aristotelismo;
2. l’idea che la nostra conoscenza derivi da una forma di illuminazione interiore;
3. la pluralità delle forme sostanziali nell’uomo;
4. l’ilemorfismo universale;
5. la non-eternità del mondo;
6. le ragioni seminali;
7. il primato della volontà sull’intelletto;
8. la teologia come scienza pratica;
9. Dio come il primo oggetto conosciuto dall’intelletto.
Nel 1228 i domenicani ottengono la loro prima cattedra di teologia a Parigi. Alberto Magno
(1200-1280) e Tommaso d’Aquino (1224-1274) promuovono, all’interno dell’Ordine, un
diverso atteggiamento nei confronti dello studio della filosofia, di Aristotele e dei suoi
interpreti arabi. Durante il capitolo di Valenciennes, nel 1259, approvano una riforma che
attribuisce una centralità assoluta allo studio (e alla filosofia in particolare) nella vita
dell’Ordine.
Già nel 1248, a Colonia, Alberto elabora il progetto di un’esposizione sistematica di tutti
gli scritti aristotelici, che lo ha reso l’iniziatore dell’aristotelismo latino. Alberto difende
l’autonomia e la distinzione degli ambiti tra teologia e filosofia.
La sua interpretazione dell’Universo si basa sulla fusione di aristotelismo e
neoplatonismo. Per quanto riguarda lo statuto dell’anima e l’essenza dell’uomo, per
Alberto l’anima organizza e vivifica il corpo, ma è al fondo intellettualità pura e l’uomo
si identifica con l’intelletto. L’uomo possiede sia un intelletto potenziale che un intelletto
agente, che è insieme separato e nostro e consente all’anima di raggiungere quello stato
che Alberto chiama “santo”.
FILOSOFIA E TEOLOGIA NEL XIV SECOLO
A lungo rappresentato come un momento di crisi per la filosofia e la teologia, il XIV secolo
è stato, in realtà, un periodo in cui sono emerse soluzioni dottrinali profondamente
innovative, come dimostrano Giovanni Duns Scoto, Meister Eckhart, Guglielmo di
Ockham e Dante Alighieri.
Molti tratti dottrinali del XIV secolo derivano dalla condanna del 1277, ad esempio:
l’importanza accordata alla contingenza, lo sviluppo di differenti approcci
all’aristotelismo e la convinzione che la sfera della possibilità sia più ampia di quella
dell’attualità. Inoltre, la scienza assume un carattere sempre più ipotetico-congetturale
e, conseguentemente, la verità viene intesa non più come il rispecchiamento del reale, ma
come la coerenza logica di un modello esplicativo. Di qui la grande importanza assunta
dalla logica e dall’analisi del linguaggio.
Giovanni Duns Scoto ripensa il rapporto tra metafisica e teologia a partire dalla
constatazione del loro difficile dialogo. La teologia, infatti, indica una mancanza (la
contingenza ontologica del mondo) e un’eccedenza (l’esigenza di una beatitudine
soprannaturale) e così facendo mostra alla filosofia quel che essa potrebbe essere, ovvero
una scienza che includa ciò che è materiale e ciò che è immateriale. La teologia, a sua volta,
ne riceve in cambio il concetto univoco di ente (un unico concetto per l’ente finito e quello
infinito) su cui fondare il discorso su Dio.
la metafisica è un’ontologia generale che si occupa dell’ente come concetto comune e
anteriore a tutte le categorie (trascendentale) e che racchiude in sé la teologia come parte
speciale.
A partire dall’esame del concetto di ente, Scoto elabora una prova dell’esistenza di Dio:
l’ente è qualcosa che può essere causato e le serie delle sue cause sono essenzialmente
ordinate, ovvero seguono un ordine preciso e non possono essere né reversibili, né aperte,
né infinite. Considerando le tre serie della causalità efficiente, della causalità finale e
dell’eminenza è possibile per ciascuna ipotizzare un termine primo incausato e incausabile,
cioè pensabile senza contraddizione. Ma se una prima causa incausata e incausabile è
possibile, allora esiste anche necessariamente già in atto e coincide con Dio. Scoto ripensa
la tradizione aristotelica greca ed araba rompendo con l’idea che Dio non solo esista
necessariamente, ma agisca in modo necessario: la necessità, almeno nella sfera dell’azione,
è sinonimo di costrizione, non di perfezione, e ad essere sinonimo di libertà è la
contingenza.
Gli altri temi del suo pensiero segnano uno scarto rispetto alle interpretazioni
dell’aristotelismo e sono: il primato della volontà sull’intelletto; il principio di
individuazione, che non colloca nella materia ma in una determinazione di natura formale
(“ecceità”); la distinzione tra conoscenza intuitiva e conoscenza astrattiva.
Meister Eckhart (1260-1328) rappresenta la figura più originale della scuola domenicana
tedesca. Il suo ideale dell’unione o “unizione” con Dio non è affatto paragonabile all’estasi
mistica, ma ha un fondamento ontologico: nell’anima dell’uomo si trova una parte increata,
un fondo, che è immagine divina. L’uomo è chiamato a ritrovare in se stesso la
coincidenza tra il proprio fondo e il fondo di Dio.
Tale riconoscimento necessita di un doppio processo di spoliazione:
da una parte, occorre spogliare Dio di tutte le creaturali, giungendo alla nuda deità;
dall’altra l’uomo deve farsi “povero” spiritualmente.
Contrapponendosi a Tommaso, Eckhart fa del pensiero il fondamento dell’essere divino: se
Dio è essenzialmente pensiero e solo secondariamente essere, la presunta mistica
eckhartiana si risolve in una metafisica dell’intelletto.
L’attività di Ockham si divide in due fasi: la prima caratterizzata dall’interesse per i temi di
logica, di filosofia naturale e di teologia; la seconda dominata dalla polemica a distanza con
la corte papale.
La Somma di logica si divide in tre parti: logica dei termini, logica delle proposizioni e
logica dei ragionamenti. Nella prima, Ockham distingue fra termini orali, scritti e mentali
e fra termini assoluti (che possiedono un solo significato) e termini connotativi (che
significano qualcosa primariamente e qualche altra cosa secondariamente). I termini
connotativi non hanno mai una definizione reale (cioè che indichi l’essenza), ma solo una
definizione nominale (che chiarisce il significato a livello linguistico). Questa distinzione
svolge un’importante funzione sia a livello gnoseologico che metafisico, perché permette a
Ockham di ridurre le entità che si suppongono essere realtà a sé, identificandole come
semplici rapporti tra le cose. Si tratta del principio di parsimonia o “rasoio di Ockham”.
La supposizione è la proprietà che i termini hanno, in quanto segni, di stare “per qualcosa”.
Ockham distingue tre tipi di supposizione: personale (il suo significato – “uomo corre”),
semplice (suppone un concetto universale – “uomo è una specie”) e materiale (suppone per
se stesso – “uomo, parola di due sillabe”). Tale teoria costituisce il criterio per stabilire la
verità di una proposizione che risulta vera quando il soggetto e il predicato suppongono
per la stessa cosa. La verità si basa così sulla coerenza interna degli enunciati. Gli stessi
universali sono, per Ockham, in realtà concetti, e questi ultimi, nel loro essere, sono cose
singolari in sé, mentre sono universali solo riguardo al loro significato (segni di più cose).
Teologia e filosofia si basano su principi diversi: nessuna verità rivelata può essere oggetto
di dimostrazione scientifica, così come la filosofia non può né confutare una verità rivelata
né provare una tesi in contrasto con essa.
La separazione di ambiti tra filosofia e rivelazione caratterizza anche la riflessione etica.
Quest’ultima presuppone la libertà, interpretata come la volontà umana in quanto capace
di autodeterminarsi in un senso o in un altro. Questa radicale libertà della volontà non si
applica soltanto nei confronti delle scelte che ogni uomo si trova a dover affrontare, ma
anche nei confronti del fine ultimo.
Nella seconda fase della sua riflessione, Ockham mette in parallelo la questione dell’origine
della proprietà privata e quella relativa all’origine del potere politico. Egli ritiene che la
divisione dei beni e la proprietà privata non siano condizioni naturali, ma il risultato di una
precisa condizione storica.