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di diritto agrario
Ferdinando Albisinni
EDIZIONI
TELLUS
Strogili
2 settembre 2003
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INDICE
Antefatto
Lezioni
Norme
3.- La PAC
Casi
Letture
ANTEFATTO
(1) A.CARROZZA, L’autonomia del diritto agrario, in Manuale di diritto agrario italiano, a cura di
N.Irti, Torino, 1978, 37, a p.52.
(2) G.GALLONI, Agricoltura (diritto dell’). Quali prospettive per gli anni ’80, in Diritto agrario, a
cura di A.Carrozza, vol.4 dei «Dizionari del diritto privato» a cura di N.Irti, 1983, 1, a p. 7 e 38.
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2.- La storia del paesaggio agrario italiano è espressione fortunata (5), con la
quale alcuni studiosi hanno sinteticamente descritto il continuo percorso attraverso il
quale nel nostro Paese il coltivare è stato - in senso proprio ed altissimo - opera di
architetto, disegno non sulla tela, ma nell'ampia dimensione dello spazio reale; è stato
(3) E’ sufficiente in proposito ricordare i temi cui sono stati dedicati gli ultimi Convegni dell’IDAIC-
Istituto di Diritto Agrario Internazionale e Comparato di Firenze, da quello del dicembre 1999,
dedicato al Governo del sistema agricoltura: profili di riforme istituzionali tra dimensione
sovranazionale e attribuzioni regionali, Atti del Convegno di Firenze del 17-dicembre 1999, a cura di
A.GERMANO’, Milano, 2000, a quello dell’aprile 2002, dedicato a Il governo dell’agricoltura nel
nuovo Titolo V della Costituzione, Atti dell’Incontro di Firenze del 13 aprile 2002, a cura e con un
saggio di A.GERMANO’, Milano, 2003.
(4) Così collocandosi lungo le linee di ricerca, che hanno caratterizzato numerosi contributi alla rivista
Diritto e giurisprudenza agraria e dell’ambiente, sin dall’editoriale che nel primo numero del 1993 ha
segnato l’inserimento dell’ambiente nella testata, G.GALLONI, Profili giuridici di un nuovo rapporto
tra agricoltura e ambiente, in Dir.giur.agr.amb., 1993, 1, e che da ultimo ha dato vita alla collana in
cui si colloca questo lavoro, aperta da S.MASINI, Agricoltura e regioni, Roma, 2003.
(5) Doveroso il richiamo ad E.SERENI, Storia del paesaggio agrario italiano, Roma-Bari, 4^ ed.,
1982.
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dare forma in ragione di un progetto produttivo, nel quale le finalità della produzione
determinavano le strutture, e nel medesimo tempo la qualità e la natura delle risorse
(non definite una volta per tutte, ma soggette appunto alla costante opera
dell'agricoltore) determinavano intimamente il prodotto.
Sicché, come altre volte si avuto occasione di osservare, i "segni del
territorio" esprimono un duplice significato:
- sono i segni che l'agricoltore ha impresso sul territorio, meglio ancora è
l'intero modo di essere del territorio agrario siccome oggetto delle cure
dell'agricoltore;
- nel medesimo tempo sono i segni che sui prodotti sono impressi dal
territorio, siccome non mero contenitore di un'attività indifferenziata, ma esso stesso
elemento di conformazione del prodotto.
Questo processo circolare, per il quale il territorio esprime segno e identità
dell'opera dell'agricoltore, ed a sua volta imprime segno ed identità nel singolo
prodotto, che - staccato dal fondo ed immesso nel mercato - porta con sé una sorta di
bandiera di appartenenza, è oggetto da alcuni decenni di radicali contestazioni sul
piano operativo, ed anche sul piano sistematico e dei princìpi.
L'enfasi sulle necessità di una produzione misurata esclusivamente in termini
di quantità di prodotto conferite sul mercato, o soltanto in termini di aderenza a
standards uniformi di qualità identificati in parametri fisico-chimici misurabili ex
post, ha indotto a trascurare la relazione fra prodotto, attività, strutture e luoghi della
produzione, con esiti ormai ben noti.
Il ripensamento, intervenuto anche in sede comunitaria a partire dagli anni '80,
ha restituito attenzione e visibilità prima alla politica delle strutture aziendali
(riconosciute meritevoli di interventi per sé, e non solo in via mediata attraverso
l'intervento sui prodotti e sui prezzi) quale fondante componente economica e non
quale passatista idealizzazione estetizzante, poi allo sviluppo rurale come politica che
investe la dimensione collettiva dell’essere e del fare, ricompresa in sede europea
nella formula evocatrice dell’ espace rural.
Il paesaggio agrario riacquista una dimensione, nella quale la bellezza
dell'armonia si esprime per adesione ad un progetto di produzione, che pone in
sintonia vocazioni, potenzialità, ed effettive destinazioni.
Il percorso è lungi dall'essere compiuto, e rischia di venire degradato a
semplice regola di eccezione quando, pur in presenza di affermate dichiarazioni di
consapevolezza dell'intreccio circolare che lega l'opera dell'uomo, l'ambiente in cui
opera e la sua alimentazione, in realtà nei fatti, nelle scelte quotidiane, si isolano
questi momenti, riducendoli in una condizione di debolezza rispetto ad altri interessi e
progetti, che nel confronto frazionato continuano a prevalere.
Così, sotto il profilo delle regole di uso e destinazione del territorio, si è a
lungo continuato a negare autonomo e individuato rilievo all'uso agricolo, pervenendo
ad una dichiarata giuridica identità solo nelle più recenti esperienze regolatrici; e sotto
il profilo della caratterizzazione dei prodotti, si continua in molte occasioni a
privilegiare una logica di genere, che nei fatti riduce l'identità in termini di nicchie e
di eccezioni, e premia - se mai - l'appartenenza a modelli costruiti per conformità al
prodotto delocalizzato, privo di radici territoriali.
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(6) E’ questo il caso della facoltà di Scienze Agrarie e Forestali dell’Università della Tuscia - Viterbo,
ove tale corso di laurea è stato avviato ormai da tre anni, con un numero annualmente crescente di
iscritti.
(7) Tornano d'attualità anche nello studio del diritto interno gli insegnamenti del diritto comparato, con
l'invito a non limitarsi ad una comparazione di nomi e definizioni, quanto piuttosto a ricercare rationes
attraverso il metodo storico-casistico, secondo le indicazioni formulate da G.GORLA a partire dalla
Prefazione a Il Contratto, Milano 1954, ed in una successiva nota serie di saggi apparsa sui Quaderni
del Foro it.
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5.- Da ciò questo lavoro che, indirizzato agli studenti del corso di laurea in
Scienze della pianificazione rurale ed ambientale, intende insieme esplorare aree di
indagine ed apprestare strumenti per percorsi di interesse non solo didattico, ma
operativo.
(8) Sono i noti decreti legislativi del 18 maggio 2001, n.226 sulla pesca e acquacoltura, n.227 sul
settore forestale, n.228 sul settore agricolo; sulle prospettive aperte dai decreti si vedano G.GALLONI,
Impresa agricola. Disposizioni generali, in “Commentario del codice civile Scialoja-Branca”,
Bologna-Roma, 2003; A.GERMANO’, Manuale di diritto agrario, 5^ ed., Torino, 2003;
L.COSTATO, Corso di diritto agrario, 2^ ed., Milano, 2003; A.JANNARELLI, Il diritto
dell’agricoltura nell’era della globalizzazione, 2^ ed., Bari, 2003.
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VIII
1.- Premessa
2.- Il quadro normativo risalente
3.- La giurisprudenza amministrativa
4.- La legislazione regionale
5.- Gli orientamenti della Corte costituzionale
6.- La dimensione proprietaria
7.- L’edificare nelle aree rurali come attività dell’impresa agricola:
dallo ius aedificandi allo ius colendi
1.- Premessa
(4) Legge 6 agosto 1967, n. 765, «Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n.
1150».
(5) Legge 19 novembre 1968, n.1187, « Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto
1942, n. 1150».
(6) «Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra
spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività
collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti
urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della L. 6 agosto 1967, n. 765».
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(7) Cons. Stato, Sez. V, 22 ottobre 1974 n. 680, in Cons.St., 1974, I, 1204.
(8) Cons. Stato, Sez. IV, 18 ottobre 1974 n. 637, in Cons.St., 1974, I, 1124.
(9) Cons. Stato, Sez. IV, 15 aprile 1986 n. 268, in Cons.St., 1986, I, 482.
(10) Cons. Stato, V, 26 gennaio 1996, n. 85, in Foro amm., 1996, 125; in tal senso v. anche Cons. Stato,
IV, 7 luglio 1988, n.578, in Riv.giur.edil., 1988, I, 820.
(11) Cons. Stato, VI, 9 novembre 1994, n. 1596, in Cons.Stato, 1994, I, 1616.
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(12) Cons. Stato, V, 28 settembre 1993 n. 968, in Foro it., 1994, III, 225.
(13) Cons. Stato, V, 16 ottobre 1989, n. 642, in Foro amm., 1989, 2710.
(14) Corte Cost. 23 luglio 1997, n.261, in Foro it., 1998, I, 1021.
(15) Cons. Stato, V, 1 marzo 1993, n.319, in Dir.giur.agr.amb., 1995, 249.
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(16); anche se occorre dire che, specificamente in tema di apicoltura, la più recente
giurisprudenza, modificando l'orientamento sopra richiamato, ne ha ammesso la
natura propriamente agricola ed ha affermato: «L'attività di apicoltura, avente un
effettivo collegamento con l'utilizzazione di un fondo, va considerata come attività
tipicamente compatibile con la sua destinazione agricola, ai fini del rilascio della
concessione edilizia per la costruzione di opere necessarie per lo svolgimento
dell'attività medesima» (17).
La stessa Corte Costituzionale, nell'ordinanza 16 maggio 1995 (su cui
torneremo in prosieguo, e che pure ha segnato una tappa decisiva per il
riconoscimento dell'interesse agricolo come interesse territoriale rilevante nella
disciplina urbanistica), ha negato carattere agricolo e collegamento con l'attività
agricola alla realizzazione di box per cavalli destinati ad un centro ippico (18).
Il territorio agricolo, insomma, secondo le letture che i giudici amministrativi
(e non solo amministrativi) ne hanno dato ancora sul finire degli anni ‘90, resta aperto
alle incursioni di altri interessi, ritenuti sovraordinati; ma nello stesso tempo gli
agricoltori trovano rilevanti difficoltà nel dotare le aziende delle nuove strutture
edilizie richieste dalle innovazioni nelle tecniche o negli oggetti della produzione.
Ne risulta una lettura della disciplina urbanistica che si pone come «limite»
per l'agricoltura (FRANCARIO 1993), proprio perché ne ignora le ragioni.
(20)
(21) Così la sentenza della Corte cost. 13 luglio 1990, n. 327, in Foro it., 1991, I, 2010, e in
Riv.dir.agr., 1990, II, 18, che ha riconosciuto la legittimità costituzionale delle deliberazioni del
consiglio regionale dell'Emilia-Romagna n. 2620 del 29 giugno 1989 e n. 2897 del 30 novembre 1989,
intese a disciplinare l'intero territorio regionale in sede di adozione del piano paesistico regionale di cui
all'art. 1 bis l. 8 agosto 1985, n. 431.
(22) V., negli anni '90, fra le più significative, la legge regione Toscana 16 gennaio 1995, n. 5, «Norme
per il governo del territorio», e da ultimo la legge regione Lazio 22 dicembre 1999, n.38, «Norme sul
governo del territorio», e la legge regione Emilia-Romagna, 24 marzo 2000, n.20, «Disciplina generale
sulla tutela e l'uso del territorio».
(23) Così l'art. 1 della legge regione Toscana 16 gennaio 1995, n. 5.
(24) Così l’art. 2 della legge regione Toscana ult. cit.
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(29) V. la sentenza della Corte costituzionale 30 luglio 1992, n.388, in Le Regioni, 1993, 885.
(30) Cfr., ad esempio, l'art. 4 legge regione Toscana 14 aprile 1995, n.64.
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(31) V. la disciplina di dettaglio introdotta dall’art.4 della legge regione Toscana ult.cit.
(32) Cfr. Corte cost., ord. 23 giugno 1988 n. 709 e n. 714, in Giur. costit., 1988, I, 3251, e in Le
Regioni, 1989, 959.
(33) Legge 8 agosto 1985, n.431, che ha convertito il decreto legge 27 giugno 1985, n.312.
(34) Legge 18 maggio 1989, n.183, «Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del
suolo», modificata e integrata con legge 7 agosto 1990, n.253, «Disposizioni integrative della L. 18
maggio 1989 n.183 recante norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo».
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Più di recente la nuova legge sulle zone montane, 31 gennaio 1994 n. 97 (35),
all' art. 7 prevede specifici interventi sul patrimonio monumentale e di edilizia rurale,
al fine di consolidare e sviluppare le attività economiche e migliorare i servizi,
sottolineando la rilevanza del momento dinamico dell' attività di impresa anche al
fine di dettare il regime degli interventi sui beni.
verde agricolo non è imposta ai fini della salvaguardia di interessi agricoli, ma come
mezzo di disciplina urbanistica del territorio allo scopo di evitare addensamenti
edilizi e espansioni pregiudizievoli ad un corretto insediamento urbano del territorio»
(39).
La Corte costituzionale ha chiuso decisamente a queste argomentazioni, sino
ad allora largamente dominanti, con esiti che investono ben più della sola definizione
di possibili conflitti di competenza in ordine al soggetto (Stato, Regioni, od Enti
locali) legittimato a fissare le regole del costruire.
Ne emerge un dinamismo delle regole, capaci di proporsi in una dimensione
sistematica, che nell'agricoltura territoriale (meglio: in un consolidato inter-essere fra
agricoltura e territorio, e così in un condiviso interesse) trova un canone ordinatore
generale, modulato in funzione di una pluralità di bisogni non antagonisti.
Con la pronuncia del 1995 sulle zone agricole, che si colloca lungo un
percorso che aveva visto plurimi momenti di conflitto Stato-Regioni, la Corte
Costituzionale per un verso ha confermato una nozione ben ampia di urbanistica, che
comprende tutto ciò che concerne l’uso del territorio, nozione assai diversa da quella
limitativa accolta all’inizio degli anni ‘70 (40), e per altro verso ha segnato una
rilevante novità, lì ove ha richiamato l’art.44 cost. quale canone fondante della
disciplina urbanistica, oltre che dei rapporti agrari.
Per la dottrina agraristica è acquisito da tempo il richiamo all'art. 44 cost.,
come norma che collega dinamicamente proprietà ed impresa e in questo
collegamento dinamico trova le ragioni di «obblighi e vincoli alla proprietà terriera
privata». Sicché uno studioso, già all’inizio degli anni ’80, con significativa
anticipazione, aveva potuto ipotizzare «non lontana una legislazione urbanistica a
favore dell’agricoltura o delle zone verdi che imponga, in analogia ai vincoli
idrogeologici, anche vincoli di coltivazione o di mantenimento a verde nella
pianificazione del territorio» (GALLONI 1983).
Al contrario, nella riflessione degli studiosi della disciplina urbanistica l’art.44
cost. è stato a lungo tempo trascurato, mentre il fondamento dell’intera disciplina
veniva comunemente trovato nell'art. 42 cost. e così nella riserva in favore della
«legge che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti», con formula
significativamente diversa sia dagli «obblighi» dell'art.44, sia dai «programmi e
controlli» dell'art.41.
La sottolineatura sul versante proprietario è risultata paradossalmente
confermata - secondo accreditati commenti - perfino dalla legge Bucalossi,
dichiaratamente ispirata ad un disegno di separazione fra posizione dominicale e jus
(39) Cons. Stato, V, 19 settembre 1991, n. 1168, in Cons. Stato, 1991, I, 1336.
(40) Corte cost., 24 luglio 1972, n.141, in Giur.cost. 1972, I, 596.
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aedificandi (41), lì ove all'art.4, primo e sesto comma, prevede: «La concessione è
data dal sindaco al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederla», mentre il
vecchio testo dell'art.31 della legge urbanistica del 1942 riconosceva la facoltà di
richiedere la licenza ad edificare a «Chiunque intenda nell'ambito del territorio
comunale eseguire nuove costruzioni, ampliare, modificare o demolire quelle esistenti
ovvero procedere all'esecuzione di opere di urbanizzazione del terreno deve chiedere
apposita licenza al sindaco».
Come è stato osservato: «La legge 10/1977 (art.4, primo e sesto comma)
legittima esplicitamente il proprietario o chi abbia titolo - e non altri - a richiedere la
concessione o il trasferimento», «Il proprietario perde la facoltà di trasformare e
costruire che viene riservata al potere pubblico, mentre una diversa facoltà viene
riservata al proprietario e solo a lui (o all'avente titolo, di cui parleremo poi), cioè
quella di chiedere la concessione, additiva proprio perché aggiunge facoltà nuove alla
situazione del proprietario» (PREDIERI 1977).
Del resto, tale costruzione è coerente con la risalente impostazione del codice
civile, che all'art. 869 intitolato ai «Piani regolatori» dispone: «I proprietari
d'immobili nei comuni dove sono formati piani regolatori devono osservare le
prescrizioni dei piani stessi nelle costruzioni e nelle riedificazioni o modificazioni
delle costruzioni esistenti».
7.- L’edificare nelle aree rurali come attività dell’impresa agricola: dallo ius
aedificandi allo ius colendi
Se l'edificare è del proprietario, si resta nel versante dei limiti esterni, dei
contenuti più o meno immanenti della condizione proprietaria, e quindi nelle dispute
infinite circa l'indennità di esproprio e il contenuto ablatorio delle limitazioni alla
facoltà di costruire e di utilizzare il bene secondo gli individuali desideri dominicali.
Ma, alla stregua della legislazione regionale surrichiamata, il proprietario del
fondo agricolo in quanto tale non ha la facoltà di costruire, e può costruire in zona
agricola solo in quanto si faccia imprenditore agricolo, ovvero consenta ad altri di
farsi imprenditore agricolo sul suo fondo, subendone però una conformazione a lungo
termine del bene (42).
Nello stesso tempo l'imprenditore agricolo non per ciò stesso può costruire
autodeterminandosi, ma deve accettare un sindacato di coerenza del suo progetto
rispetto agli interessi ambientali (43).
L'edificare nelle zone rurali è dunque attività riservata all'impresa agricola, e
specificamente all’impresa agricola coerente ad un progetto che valorizza - fra gli
elementi connotanti - il rispetto dell’interesse ambientale. La conformazione
dell'iniziativa costituisce uno dato essenziale e si risolve nella forma dell'essere
IX
Negli anni ’80 sono state più volte sottoposte al giudizio della Corte
costituzionale le leggi regionali in tema di edilizia nelle zone agricole.
La Corte in particolare si è pronunciata sulla legge della regione Lombardia 7
giugno 1980, n. 93 (1), e sulla legge della regione Toscana 19 febbraio 1979, n. 10 (2),
dichiarando infondate le questioni di legittimità costituzionale così sollevate.
In tali ordinanze, peraltro, era rimasto in ombra il profilo di antagonistica
tutela fra interessi agricoli e non agricoli, rispetto ad una prospettiva che faceva perno
su profili soggettivi di protezione, quali la famiglia coltivatrice, l' imprenditore
agricolo a titolo principale, e simili.
Negli anni ’90 il TAR Lombardia, ha nuovamente rimesso innanzi alla Corte
Costituzionale la questione di legittimità della legge regione Lombardia n. 93 del
1980, ritenendo che le disposizioni di tale legge: «violano, per un verso, l'art.3 e per
altro l'art.117 della Cost. per il fatto che, mentre discriminano irragionevolmente la
posizione di chi svolge l'attività agricola in modo professionale o principale rispetto a
quella di chi non l'esercita, ledono i principi desumibili alle norme statali (in
particolare l'art.1 della legge 28 gennaio 1977 n.10 e gli artt. 7, 8 e 25 della legge 28
febbraio 1985 n.47) alla luce della giurisprudenza costituzionale, che afferma
l'irrilevanza, ai fini urbanistici, delle concrete modalità di utilizzazione
dell'immobile» (3).
Le norme della legge regione Lombardia 7 giugno 1980 n. 93, sottoposte al
giudice delle leggi, recitano:
(1) Corte cost., ord. 23 giugno 1988 n. 714, in Giur. costit., 1988, I, 3251, e in Le Regioni, 1989, 959.
(2) Corte cost., ord. 23 giugno 1988 n. 709, in Giur. costit., 1988, I, 3236, e in Le Regioni, 1989, 938.
(3) Ordinanza di rimessione del TAR Lombardia, quale richiamata nella ordinanza 16 maggio 1995
della Corte cost., cit.
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- art. 2, primo comma: «In tutte le aree destinate dagli strumenti urbanistici
generali a zona agricola sono ammesse esclusivamente le opere realizzate in funzione
della conduzione del fondo e destinate alle residenze dell'imprenditore agricolo e dei
dipendenti dell'azienda, nonché alle attrezzature e infrastrutture produttive quali
stalle, silos, serre, magazzini, locali per la lavorazione e la conservazione e vendita
dei prodotti agricoli secondo i criteri e le modalità previsti dal successivo art. 3»;
- art.3: «1. In tutte le aree previste dagli strumenti urbanistici generali come
zone agricole, la concessione edilizia può essere rilasciata esclusivamente:
a) all'imprenditore agricolo singolo o associato, iscritto all'albo di cui alla
legge regionale 13.04.1974, n. 18, per tutti gli interventi di cui al precedente articolo
2, primo comma, a titolo gratuito ai sensi dell'art. 9, lettera a), della legge 28.01.1977,
n. 10;
b) al titolare o al legale rappresentante dell'impresa agricola per la
realizzazione delle sole attrezzature ed infrastrutture produttive e delle sole abitazioni
per i salariati agricoli, subordinatamente al versamento dei contributi di concessione;
c) limitatamente ai territori dei comuni indicati nella tabella allegata alla legge
regionale 19 novembre 1976, n. 51, ai soggetti aventi i requisiti di cui all'art. 8 della
legge 10 maggio 1976, n. 352 e all'art. 8, punto 4) della legge regionale sopraccitata,
subordinatamente al pagamento dei contributi di concessione, per tutti gli interventi di
cui al precedente art. 2 primo comma.
2. La concessione è tuttavia subordinata:
a) alla presentazione al sindaco di un atto di impegno che preveda il
mantenimento della destinazione dell'immobile al servizio dell'attività.. agricola, da
trascriversi a cura e spese del concessionario sui registri della proprietà immobiliare;
tale vincolo decade a seguito di variazione della destinazione di zona riguardante
l'area interessata, operata dagli strumenti urbanistici generali;
b) all'accertamento da parte del sindaco dell'effettiva esistenza e
funzionamento dell'azienda agricola;
c) limitatamente ai soggetti di cui alla lettera b) del precedente primo comma,
anche alla presentazione al sindaco, contestualmente alla richiesta di concessione
edilizia, di specifica certificazione disposta dal servizio provinciale agricoltura,
foreste e alimentazione competente per territorio, che attesti, anche in termini
quantitativi, le esigenze edilizie connesse alla conduzione dell'impresa;
3. Dei requisiti, dell'attestazione e delle verifiche di cui al presente articolo, è
fatta specifica menzione nel provvedimento di concessione.
4. Il sindaco deve rilasciare, contestualmente all'atto di concessione, una
attestazione relativa alle aree su cui deve essere costituito il vincolo di "non
edificazione" di cui al precedente art. 2, quinto comma.».
(6) Corte cost., sent. 30 luglio 1992 n. 388, in Le Regioni, 1993, 885.
133
Ma già nel 1995, all’epoca della decisione della Corte costituzionale in tema
di disciplina dell’attività edilizia nelle zone agricole, una siffatta lettura restrittiva del
novero delle attività agricole ben poteva essere superata sotto diversi profili, in
riferimento ai modelli di agricoltura ambientale e territoriale proposti con crescente
rilievo in sede europea (11), alle norme tributarie di portata più ampia rispetto a quelle
civilistiche proprio in tema di allevamenti, alle numerose leggi speciali che avevano
già allora agrarizzato attività disparate fino ad includervi, ad esempio, l'attività
cinotecnica (12).
Non è questa la sede per tentare considerazioni conclusive sul punto. Occorre
solo sottolineare che privilegiare l'interesse agricolo nella pianificazione territoriale
pone necessitati interrogativi su cosa intendere per agricoltura.
La Corte Costituzionale ha compiuto un passo di grande rilievo, lì ove ha
attribuito rilevanza anche urbanistica alle ragioni dell' impresa agricola, e quindi alle
ragioni di un' agricoltura intesa nel momento dinamico e produttivo coerente con le
vocazioni del territorio. Si è però arrestata alla soglia di un modello di «agricoltura»,
che esclude possibili usi del territorio e delle risorse agricole, che in realtà non sono
affatto incompatibili con la finalità di «frenare il processo di erosione dello spazio
destinato alle colture» (per riprendere l'espressione utilizzata dalla Corte nella parte
motiva), ma che anzi con le attività agricole tradizionali possono integrarsi fornendo
nuove ragioni di economicità e così di esistenza.
Sicché la tensione verso radicali trasformazioni dei modelli di utilizzazione
delle risorse e degli stessi modelli di organizzazione dell' impresa agricola, che si è da
ultimo espressa nella riforma della definizione legale di impresa agricola con i decreti
legislativi del 2001 (13), in qualche misura è giunta ad integrare – anche in riferimento
alla disciplina del costruire - un quadro di regole per un’agricoltura presidio attivo del
territorio, che nell’ordinanza della Corte costituzionale del 1995 trova gli elementi
fondanti e gli essenziali presupposti, ma non ancora un compiuto sviluppo.
(11) V. «Il futuro del mondo rurale», Comunicazione della Commissione trasmessa al Consiglio e al
parlamento europeo del 29 luglio 1988 (COM (88) 501 def.); e la «Carta rurale europea», elaborata
dalla Commissione per l'Agricoltura e lo Sviluppo rurale dell' Assemblea Parlamentare del Consiglio
di Europa, e presentata nel Terzo Forum agricolo europeo, tenuto a Verona il 8-9 marzo 1995.
(12) Legge 23 agosto 1993, n.349, «Norme in materia di attività cinotecnica».
(13) V. supra cap.III.
135
X
ATTIVITA’AGRICOLA E PARCHI
Una legge quadro sui parchi è stata introdotta soltanto nel 1991 ( 4), mentre
sino ad allora si era provveduto con specifici provvedimenti sui singoli parchi.
Nell’art.1 di questa legge, la cui rubrica recita «Finalità e ambito della
legge», si fa riferimento alla gestione delle aree naturali protette per la conservazione
e la valorizzazione del patrimonio naturale del paese, si precisa che per «patrimonio
naturale» si intendono «le formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche e
biologiche, o gruppi di esse, che hanno rilevante valore naturalistico e ambientale»,
ma non si fa neppure menzione della parola «agricoltura».
Ne emerge una logica, che è insieme di eccezione (soltanto ciò che ha
«rilevante valore») e di tutela chiusa in difesa. Non c'è l'enunciato, ed ancor meno
l'idea, di una generalizzata politica di gestione dell'intero patrimonio naturale,
coerente con le vocazioni di questo e con un'attività di coltivazione che costituisce
espressione di cura e attenzione. Manca, nelle parole di questo legislatore,
un'agricoltura, che nel radicamento territoriale trovi le fondanti ragioni del farsi
impresa e capacità produttiva.
E' previsto che il regolamento di ciascun parco disciplini, fra l'altro, la
tipologia e le modalità di costruzione di opere e manufatti, e lo svolgimento delle
attività artigianali, commerciali, di servizio e agro-silvo-pastorali (5). Ma proprio tale
generalizzata previsione identifica la connotazione di un territorio quale parco come
limite estrinseco per tutte le attività umane, genericamente e complessivamente
considerate, senza che in ipotesi ne emerga un ruolo differenziato delle attività di
coltivazione o allevamento rispetto a quelle commerciali o di servizio.
Anche negli anni successivi l'approccio del legislatore rimane sostanzialmente
legato ad un disegno, che punta alla «conservazione della natura» (6) in una logica di
eccezione, perseguendo una sorta di «ritaglio» di ciò che merita di essere conservato;
laddove è piuttosto con riferimento alle aree urbane che cominciano ad affermarsi
idee innovative di «sostenibilità ambientale delle aree urbane … per la gestione
sostenibile e consapevole di ambiti territoriali particolarmente degradati, ivi comprese
le azioni per le città amiche dell'infanzia» (7).
Nel 1998 i «Nuovi interventi in campo ambientale» (8) introducono una
molteplicità di disposizioni all'interno di un quadro generale, le cui linee generali
rimangono immutate. Degna di nota, siccome indicativa del primo (incerto) apparire
(4) Legge 6 dicembre 1991, n.394, «Legge quadro sulle aree protette».
(5) Art.11 legge ult.cit.
(6) La legge 8 ottobre 1997, n.344, «Disposizioni per lo sviluppo e la qualificazione degli interventi e
dell'occupazione in campo ambientale», all'art.4 sotto la rubrica «Interventi per la conservazione della
natura» regola l'istituzione di nuovi parchi nazionali e prevede alcune misure di sostegno ai parchi già
esistenti.
(7) V. l'art.2 della succitata legge 8 ottobre 1997, n.344.
(8) Legge 9 dicembre 1998, n.426.
137
(9) Art.2 legge ult.cit., che introduce l'art.1-bis nella legge 6 dicembre 1991, n.394.
(10) Così come il successivo art.2-bis, che prevede «disposizioni che autorizzino l'esercizio di attività
particolari collegate agli usi», in una logica che al più rimane di conservazione.
(11) Comunicazione della Commissione trasmessa al Consiglio e al Parlamento europeo del 29 luglio
1988 (COM (88) 501 def).
138
12
) Legge regione Lombardia 23 aprile 1990, n.24, «Istituzione del parco regionale di cintura
metropolitana "Parco Agricolo Sud Milano"», adottata ai sensi della legge regione Lombardia 30
novembre 1983, n.86, «Piano regionale delle aree protette. Norme per l'istituzione e la gestione delle
139
riserve, dei parchi e dei monumenti naturali, nonché delle aree di particolare rilevanza naturale e
ambientale».
(13) Il TAR Lombardia, sez.II, con sentenza 8 ottobre 1997, n.1738, ha annullato la deliberazione della
giunta regionale della Lombardia 20 aprile 1995, n.67573, recante "approvazione della relazione
istruttoria relativa alla proposta di approvazione del piano territoriale di coordinamento del parco
agricolo sud Milano", la deliberazione di giunta regionale 1 marzo 1996, n.9480, avente ad oggetto la
"trasmissione al consiglio regionale della relazione istruttoria … concernente la proposta di piano
territoriale di coordinamento del parco regionale di cintura metropolitana-parco agricolo sud Milano",
nonché la deliberazione della giunta regionale 1 marzo 1996, n.9479, avente ad oggetto "approvazione
e trasmissione al consiglio regionale del progetto di legge per l'approvazione del piano territoriale di
coordinamento /Ptc) del parco regionale di cintura metropolitana-parco agricolo sud Milano".
Avverso questa sentenza del giudice amministrativo la Regione Lombardia ha sollevato
conflitto di attribuzione innanzi la Corte costituzionale, lamentando che il TAR avrebbe "esorbitato dai
confini della giurisdizione, annullando atti del procedimento legislativo regionale, così da ledere
l'integrità della potesta legislativa della regione". La Corte costituzionale, con sentenza 11 giugno
1999, n.226 (in Foro it., 2000, I, 369), investita della complessa questione relativa al sindacato sulle
leggi-provvedimento, ha distinto fra atti amministrativi di adozione del piano ad opera dell'ente gestore
del parco e di verifica e modifica dello stesso da parte della giunta regionale, sottoposti al controllo del
giudice amministrativo, e legge regionale di approvazione del piano, sottratta a tale controllo ma non
costituente né "validazione legislativa" né "sanatoria del piano stesso" e non idonea in ogni caso a far
"assumere al complesso del piano anzidetto (composto da una serie di elaborati) valore di legge";
sicché l'annullamento, ad opera del giudice amministrativo, delle delibere di adozione del piano
dell'ente gestore o di quelle di modifica della giunta regionale "può produrre l'effetto di rimuovere
totalmente o parzialmente - a seconda dell'ampiezza dell'annullamento, totale o parziale - il contenuto
del piano adottato dall'ente gestore ed eventualmente modificato dalla legge regionale ancorché
approvato con legge, la quale, in simili evenienze, finisce con il rimanere in tutto o in parte priva di
oggetto".
La Corte costituzionale, con altra sentenza, connessa alla sopra richiamata e pronunciata nello
stesso giorno, 11 giugno 1999, n.225 (loc.ult.cit.), ha confermato la sindacabilità del piano territoriale
di coordinamento ad opera del giudice amministrativo ed a tutela dei soggetti interessati, poiché "Il
piano del parco non crea vincoli nel soli confronti delle amministrazioni come esercizio di potere di
indirizzo , ma comporta immediatamente e direttamente vincoli e limiti anche per i privati",
sottolineando che "è evidente che "gli eventuali vizi della fase amministrativa di formazione, adozione
e modifiche del piano del parco non sono sanati né comunque coperti dall'approvazione con legge
regionale del piano stesso".
(14) V. la legge regione Lombardia 30 gennaio, n.3, «Proroga del regime di salvaguardia dei parchi
regionali», e la legge regione Lombardia 29 gennaio 1999, n.7, «Proroga della salvaguardia del parco
agricolo sud Milano e nuove disposizioni in materia di salvaguardia dei parchi regionali».
140
Pur scontando queste difficoltà, la legge n.24 del 1990 della regione
Lombardia fa propria la prospettiva dello spazio rurale come proposta in sede
europea, assume l'agricoltura come canone ordinatore del parco periurbano, individua
le produzioni di qualità e la tutela ambientale come espressione di un progetto
integrato di utilizzazione coerente delle risorse naturali, introduce la previsione di uno
specifico piano di sviluppo agricolo per l'intero territorio del parco, finalizzato a
sostenere le attività produttive agricole e le attività connesse, come strumento
ordinario di governo del parco e di realizzazione delle finalità di questo, con novità
ancor più significativa ove si compari tale previsione alla logica di eccezione e di
nicchia tuttora presente nella legislazione nazionale, e da ultimo nella già richiamata
legge 9 dicembre 1998, n.426 sui «Nuovi interventi in campo ambientale».
L'art.19 di questa legge della regione Lombardia recita:
«(Piano di settore agricolo) …2. Il piano di settore agricolo, tenuto conto delle
disposizioni statali e comunitarie in materia, individua criteri operativi e tecniche
agronomiche per ottenere: a) produzioni zootecniche, cerealicole, ortofrutticole, di
alta qualità al fine di competere sul mercato e avere redditi equi per i produttori
agricoli; b) la protezione dall'inquinamento dei suoli, delle acque superficiali e
sotterranee, la conservazione della fertilità naturale nei terreni; c) la conservazione
della fauna e della flora e degli ecosistemi tipici dell'area del parco; d) il
mantenimento ed il ripristino del paesaggio agrario al fine di preservare le strutture
ecologiche e gli aspetti estetici della tradizione rurale; e) lo sviluppo di attività
connesse con l'agricoltura quali l'agriturismo, la fruizione del verde, l'attività
ricreativa; f) lo sviluppo di attività di agricoltura biologica e biodinamica. 3. Il piano
di settore agricolo analizza, altresì, i vincoli di ordine paesaggistico, cui è sottoposta
l'attività agricola e ne valuta gli eventuali riflessi economici negativi, al fine di
stabilire i criteri per la quantificazione dei relativi indennizzi agli operatori agricoli.
4. Il piano di settore agricolo è predisposto previa realizzazione del censimento in
tutta l'area del parco per conoscere: a) l'estensione e la qualità di concimi, diserbanti e
antiparassitari impiegati nel processo agricolo da ogni unità produttiva; b) il numero
degli allevamenti, suddiviso per categoria, con la superficie di terreno a disposizione
per valutare se il carico di bestiame è sopportato dal territorio; c) il parco macchine
esistente sotto il profilo del numero e della potenza; d) il numero e la localizzazione
delle industrie di trasformazione di prodotti agricoli nonché la provenienza dei
prodotti base trasformati; e) il numero delle imprese operanti << per conto terzi >>
presenti nell'area del parco; f) lo stato delle acque superficiali e del terreno sotto il
profilo della sua fertilità; g) la quantità, la tipologia, lo stato di conservazione delle
infrastrutture esistenti, comprese le opere di bonifica e irrigazione; h) la consistenza
del patrimonio edilizio rurale e altri elementi paesaggistici rilevanti; i) la consistenza
dei pioppeti, nonché le macchie di bosco esistenti nell'area».
La lettura di queste disposizioni introduce in un mondo agricolo vitale, nel
quale produzioni di qualità sono una componente essenziale dell'essere parco, una
regola connotante e non una mera eccezione tollerata ma non apprezzata.
L’oggetto della disciplina, il modo di porsi, le finalità perseguite, si collocano
all’interno di un progetto, che intende valorizzare la finalità di tutela ambientale
141
attraverso un meccanismo di promozione del fare, in coerenza con una logica che nel
territorio agricolo riconosce i tratti della storia e i segni dell’agire.
Per quanto attiene alle nuove costruzioni e a al riuso di quelle esistenti, mentre
in linea di principio sono vietate le nuove edificazioni per usi extragricoli (salve
alcune limitate eccezioni per opere di urbanizzazione necessarie per l'adeguamento
agli standards), sono consentiti interventi edilizi in funzione delle esigenze delle
imprese agricole e in ragione delle specifiche attività produttive al cui servizio è
destinato l'intervento edilizio.
Dispone l’art. 20 della legge regione Lombardia in esame:
«(Norme generali di salvaguardia) … 5. In materia di insediamenti extra
agricoli, oltre alle opere previste dal comma precedente, sono consentite unicamente
le nuove edificazioni relative ad opere di urbanizzazione primaria e secondaria per
adeguare i nuclei abitati esistenti agli standard minimi di Legge, nonché gli interventi
previsti da strumenti urbanistici generali e attuativi vigenti o adottati alla data di
entrata in vigore della presente Legge.
6. In materia di nuove costruzioni relative ad insediamenti agricoli, previa
verifica che non possano essere utilizzati idonei volumi esistenti e previo parere
tecnico agronomico ed economico del Servizio provinciale Agricoltura Foreste
Alimentazione(SPAFA) competente per territorio, si applicano le disposizioni di cui
alla LR 7 giugno 1980 n. 93, concernente << Norme in materia di edificazione nelle
zone agricole >> con l'osservanza delle seguenti prescrizioni: a) gli interventi edilizi
di imprese agricole dedite all'allevamento del bestiame sono consentiti, limitatamente
alle imprese che: a1) siano dedite all'allevamento di bovini, equini ed ovini, ovvero ad
allevamenti avicoli o cunicoli che dispongano per l'attività di allevamento di almeno
un ettaro di terreno agricolo per ogni 40 q.li di peso vivo di bestiame: a2) siano dedite
ad allevamenti di suini che dispongano per l'attività di allevamento di almeno un
ettaro di terreno agricolo per ogni 20 q.li di peso vivo di bestiame; b) gli interventi
edilizi di imprese singole o associate per l'esercizio di attività di trasformazione e
commercializzazione dei prodotti agricoli sono consentiti, purché le materie prime
trasformate provengano per almeno 2/3 dall'attività di coltivazione del fondo o di
allevamento, ovvero da conferimenti di provenienza consortile o associativa.
7. Negli edifici e sui manufatti esistenti sono consentiti interventi di
manutenzione ordinaria e straordinaria, restauro conservativo, adeguamenti igienici,
statici e tecnologici, demolizioni, ristrutturazioni edilizie anche con parziale
demolizione e ricostruzione, ivi compresi ampliamenti volumetrici fino ad un
massimo del 20% dell'esistente.
8. Negli edifici agricoli esistenti sono consentite le trasformazioni d'uso,
anche mediante recupero delle cascine, per la conversione ad attività connesse
all'agricoltura, quali l'agriturismo, ovvero per l'esercizio di attività di interesse
pubblico coerenti con le finalità del parco.
9. Gli interventi ammessi a norma dei precedenti quinto, settimo e ottavo
comma devono effettuarsi nel rispetto dei caratteri architettonici degli edifici, della
preesistente edilizia rurale e dell'ambiente del parco, per quanto riguarda la scelta sia
delle soluzioni tipologiche, sia dei materiali da costruzione.
142
10. E' vietato l'allestimento di villaggi turistici e campeggi stabili di cui alla
Legge Regionale 10 dicembre 1951 n. 71 concernente << Disciplina delle aziende
ricettive all'aria aperta >> e dei depositi di caravans e roulottes che non siano già
previsti dagli strumenti urbanistici vigenti.
11. Per la tutela diffusa del territorio, si applicano le seguenti disposizioni: a)
il taglio di piante arboree isolate o in filari, nonché di siepi arboree e arbustive lungo
il margine di strade, corsi d'acqua o coltivi, è soggetto alla disciplina di cui all'art.8
della Legge Regionale 27 gennaio 1977, n. 9, concernente << Tutela della
vegetazione nei parchi istituiti con Legge Regionale >>, fatti salvi gli interventi di
potatura, scalvatura ed ordinaria manutenzione; b) sono vietati: b1) l'alterazione dei
terreni cespugliati od incolti e delle zone umide, quali teste di fontanili, paludi, stagni
ed acquitrini; b2) la chiusura di sentieri pubblici o di uso pubblico e degli accessi ai
corpi d'acqua pubblici; b3) l'allestimento di impianti fissi e di percorsi e tracciati per
attività sportive da esercitarsi con mezzi motorizzati; b4) il transito con mezzi
motorizzati fuori dalle strade statali, provinciali o comunali e dalle strade vicinali
gravate da servitù di pubblico passaggio, fatta eccezione per i mezzi di servizio e per
quelli occorrenti all'attività agricola e forestale e nei casi di specifica autorizzazione
comunale; … b7) la costruzione di recinzioni delle proprietà , se non con siepi, salvo
le recinzioni temporanee a protezione delle aree di nuova piantagione e le recinzioni
strettamente pertinenti ad insediamenti urbani ed agricoli; …».
Per tale via, il parametro di liceità o di divieto dell’edificare è dato non
dall’inerenza a una superficie per sé intesa, ma dalla coerenza a un’attività in essere o
in progetto, e anche i parametri quantitativi vengono riferiti alle iniziative previste e
al rapporto fra queste e il fondo interessato.
La legge della regione Lombardia sul parco agricolo metropolitano si colloca
così all'interno di una linea di legislazione regionale, che nelle zone rurali trasferisce
il diritto di costruire dal proprietario all'imprenditore agricolo.
Parco agricolo metropolitano, dunque, è un possibile «spazio rurale» secondo
la terminologia europea, uno spazio nel quale le diverse attività agricole,
commerciali, metropolitane, si integrano, all'interno di una trama di regole condivise.
Da una pur sommaria disamina di questa peculiare esperienza emerge
insomma un'evidenza: se lo spazio rurale è una trama territoriale e insieme produttiva,
e se l’agricoltura anche territoriale è anzitutto un’agricoltura polifunzionale, che si
riappropria di una serie plurima di funzioni, tipicamente e tradizionalmente proprie
della cascina in Lombardia o della masseria nel meridione, a lungo trascurate sulla
spinta di scelte di mercato orientate verso la monocultura, e oggi recuperate insieme
ai valori della differenza e della molteplicità, occorre individuare un principio
ordinatore, in assenza del quale non potrebbe porsi alcun effettivo sistema di regole.
Fa capolino l'elemento dell’agricoltura come regola d’identità, canone
ordinatore.
Si afferma una formula positiva, del poter fare, rispetto a formule, negative e
difensive, largamente praticate e consumate, e così rispetto a quell'espressione di
«agricoltura presidio del territorio», che nella stessa logica della parola «presidio» fa
pensare a una fortezza assediata, disperata, condannata alla sconfitta.
143
XII
che per il merito delle scelte, perché, con l’autorevolezza dei giudici di Palazzo
Spada, segnano un’autentica svolta nella giurisprudenza amministrativa in materia.
Abbiamo già ricordato come a partire dalla fine degli anni ’70 abbia preso
avvio un processo di riscrittura delle regole del costruire nelle zone agricole, che ha
visto emergere indicazioni innovative nella legislazione regionale ( 5), con
l'attribuzione di rilievo anche giuridico nell'ambito della disciplina urbanistica alle
esigenze dell'impresa agricola.
Questa azione riformatrice tuttavia non ha trovato conferma nella legislazione
urbanistica nazionale, rimasta ancorata ad una logica quantitativa, che si esaurisce in
limiti generalizzati di superficie minima e di indice di edificabilità, privi di specifico
riferimento all’effettivo svolgimento di attività agricole; logica che non ha evitato la
definitiva sottrazione alla destinazione agricola di larghe parti di territorio, destinate
ad altri usi in assenza di scelte comparative di allocazione, e che nel medesimo tempo
ha finito per penalizzare l’impresa agricola, non consentendole di adeguare
sollecitamente le proprie strutture edilizie alle mutate tecniche produttive.
A sua volta la giurisprudenza amministrativa, formatasi sulla legge urbanistica
del 1942 e non sollecitata dalle successive leggi nazionali a modificare le proprie
scelte, è rimasta a lungo orientata (ancora sul finire degli anni ’90 – come già
ricordato) secondo linee assai lontane da quelle indicate dalla nuova legislazione
regionale, ed ha continuato a collocare l’edificazione nelle zone agricole all’interno di
un modello di regolazione tradizionale, che nega qualunque autonoma rilevanza
all’interesse produttivo agricolo; laddove veniva – se mai – accordata tutela ad un
interesse ambientale, a lungo inteso come distinto e talvolta contrapposto a quello
produttivo agricolo, secondo la fortunata (ma fuorviante) dicotomia «agricoltura-
protezione agricoltura-produzione».
In questo quadro, le innovative indicazioni di taluni piani regolatori e di talune
regioni, quanto all’edificazione in zona agricola, sono state più volte sfavorevolmente
scrutinate dai giudici amministrativi (6).
Alla metà degli anni ’90, l’intervento della Corte costituzionale, con la
richiamata ordinanza del 16 maggio 1995 (7), ha aperto prospettive innovative,
confermando la legittimità delle scelte regionali, sulla base di una lettura delle
disposizioni costituzionali in tema di proprietà terriera, che rinvia alle vocazioni
produttive e dunque ad una dimensione d’impresa, facendo propria un’ampia lettura
dell' art. 44 cost. (RODOTA’ 1982; GALLONI 1993; ROOK BASILE 1995a), che fa
rientrare nel «fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi
rapporti sociali» la scelta «diretta a limitare l'utilizzazione edilizia dei territori agricoli
e a frenare il processo di erosione dello spazio destinato alle colture», espandendo
l'area della tutela ben oltre i limiti aziendali, in una prospettiva comparativa di
meritevolezza e di esplicita scelta tra beni protetti.
(10) Si trattava della legge regione Lazio 6 luglio 1977, n.24, «Disciplina urbanistico - edilizia nei
comuni sprovvisti di piano regolatore generale o di programma di fabbricazione approvato e nei
comuni i cui strumenti urbanistici generali sono stati approvati prima dell' entrata in vigore del decreto
interministeriale 2 aprile 1968, n. 1444. Misure di salvaguardia».
(11) Si veda la legge regione Lazio 22 dicembre 1999, n.38, «Norme sul governo del territorio», nel
testo vigente come modificato con legge regione Lazio 4 settembre 2000, n.38, che fra l’altro prevede:
«Art.54 (Trasformazioni urbanistiche in zona agricola) - 1.Fatto salvo quanto previsto dalle
leggi regionali 6 ottobre 1997, n. 29 e successive modificazioni, 10 novembre 1997, n. 36 e 6 luglio
1998, n. 24 e successive modificazioni, nelle zone agricole è vietata:
a) ogni attività comportante una trasformazione dell’uso del suolo diverso dalla sua
utilizzazione per la produzione vegetale o l’allevamento animale e per la valorizzazione dei relativi
prodotti, nonché dalle attività connesse e compatibili;
b) ogni lottizzazione a scopo edilizio;
c) l’apertura di strade interpoderali che non siano strettamente necessarie per l’utilizzazione
agricola e forestale del suolo»;
«Art.57 (Piani di utilizzazione aziendale) 1. Per le zone agricole, gli imprenditori agricoli a
titolo principale singoli od associati, possono presentare al comune un piano di utilizzazione aziendale
163
Gli esiti complessivi della pronuncia del Consiglio di Stato appaiono ancor più
rilevanti ove si consideri il profilo della legittimazione a ricorrere, che caratterizza
anch’esso in modo determinante la sentenza in commento.
che, previa indicazione dei risultati aziendali che si intendono conseguire, evidenzi l'utilizzazione delle
costruzioni esistenti e la indispensabilità delle nuove costruzioni.
2. Il piano di utilizzazione aziendale è sottoscritto da un dottore agronomo forestale, o da
un perito agrario, debitamente abilitato, nei limiti delle rispettive competenze professionali, ed è
sottoposto al preventivo parere dal competente organo della provincia, ai sensi dell'articolo 36, comma
2, lettera a) della l.r. 14/1999. Tale parere, se negativo, è vincolante e consiste:
a) nella verifica dei presupposti agronomici e/o forestali;
b) nella verifica degli aspetti paesistico-ambientali ed idrogeologici;
c) nella verifica di coerenza e di compatibilità con i piani sovraordinati generali e di settore.
3. Il piano di cui al comma 1 deve contenere:
a) una descrizione dello stato attuale dell'azienda;
b) una descrizione degli interventi programmati per lo svolgimento dell'attività agricola e
delle attività connesse, nonché degli altri interventi previsti per la tutela e la valorizzazione ambientale;
c) l'individuazione dei fabbricati esistenti e l'individuazione dei fabbricati presenti
nell'azienda ritenuti non più rispondenti alle finalità economiche e strutturali descritte dal programma;
d) una descrizione dettagliata degli interventi edilizi necessari a migliorare le condizioni di
vita e di lavoro dell'imprenditore agricolo, nonché al potenziamento delle strutture produttive con
l'indicazione dei fabbricati da realizzare e dei terreni agricoli collegati agli stessi;
e) la definizione dei tempi e delle fasi di realizzazione del programma stesso.
4. L'approvazione del piano di cui al comma 1 da parte del comune, costituisce condizione
preliminare per il rilascio delle concessioni od autorizzazioni edilizie. La realizzazione del piano è
garantita da un'apposita convenzione che, oltre a quanto previsto dall'articolo 76, stabilisca in
particolare l'obbligo per il richiedente di:
a) effettuare gli interventi previsti dal programma, in relazione ai quali è richiesta la
realizzazione di nuove costruzioni rurali;
b) non modificare la destinazione d'uso agricola delle costruzioni esistenti o recuperate
necessarie allo svolgimento delle attività agricole e di quelle connesse per il periodo di validità del
piano;
c) non modificare la destinazione d'uso agricola delle nuove costruzioni rurali
eventualmente da realizzare, per almeno dieci anni dall'ultimazione della costruzione;
d) non alienare separatamente dalle costruzioni il fondo alla cui capacità produttiva sono
riferite le costruzioni stesse;
e) asservire le edificazioni ai terreni alla cui capacità produttiva esse si riferiscono.
5. Il vincolo di destinazione d'uso di cui al comma 4, lettere b) e c) è trascritto a cura e
spesa del beneficiario presso la competente conservatoria dei registri immobiliari».
164
In questo caso il tema del regime edilizio delle zone agricole non è stato
portato innanzi al giudicante dall’abituale conflitto fra il proprietario, che richiede la
concessione edilizia, ed il Comune, cui spetta il potere di concessione e di controllo.
Il confronto non è fra soggetto pubblico e soggetto privato proprietario del
bene, ma fra soggetti portatori di interessi differenziati all’uso (privato, ma con
evidenti conseguenze di ordine generale, ed in questo senso di rilievo pubblico) del
bene terra.
Ricorrente è un terzo, che insorge contro il Comune che ha rilasciato la
concessione edilizia e contro il proprietario del terreno che in forza di tale
concessione ha avviato la costruzione. Lamenta il ricorrente l’illegittimità della
concessione, in ragione della carenza del requisito dell’effettiva destinazione
dell’edificio alle esigenze della conduzione agricola, e così agisce per garantire il
mantenimento di effettiva destinazione agricola ad aree urbanisticamente classificate
come tali.
Il Comune, soggetto pubblico cui spetterebbe il compito di garantire il rispetto
delle destinazioni d’uso, rilascia la concessione edilizia senza curarsi di indagare in
alcun modo l’effettivo svolgimento dell’attività agricola, rivelandosi inadeguato (ed
addirittura non interessato) ai compiti di tutela del territorio ad esso assegnati.
L’inerzia del Comune non sorprende. Sono note le ragioni, legate all’esigenza
di acquisire il consenso degli elettori, che nei fatti - secondo diffuse esperienze –
inducono molti enti locali ad una ridotta attenzione per quelli che gli economisti
designano come beni pubblici immateriali, ivi inclusi la qualità del territorio e
dell’ambiente e la prevenzione di un consumo immotivato ed irreversibile del bene
terra E sono ben noti i conflitti che hanno visto vivacemente contrapposti gli enti
locali e le autorità di gestione dei parchi e delle aree protette (GRAZIANI).
Incidentalmente, sotto un diverso, ma comparabile, profilo, giova ricordare che i
grandi negoziati internazionali, da Rio de Janeiro a Kyoto, hanno definitivamente
chiarito come ad un’utilizzazione sostenibile delle risorse naturali sia interessato (con
conseguente legittimazione a partecipare alle scelte di regolazione) un ambito di
comunità ben più ampio di quello localizzato all’interno delle risorse medesime.
Innanzi all’inerzia del Comune, e ancor più innanzi all’attivo coinvolgimento
dell’ente locale nel consumo del territorio a fini non agricoli, il ruolo di custode della
destinazione agricola viene assunto da un privato, terzo rispetto alla vicenda
amministrativa, privo di diritti immediatamente incidenti sul lotto in discorso, ma
portatore di un interesse, anche giudizialmente tutelato.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha da tempo riconosciuto
legittimazione ad impugnare la licenza edilizia a chiunque si trovi in una condizione
di «stabile collegamento con la zona edificata, senza necessità di dimostrare alcun
danno particolare» (12).
Applicare tali principi al regime della destinazione agricola del territorio
importa esiti analoghi a quelli che già si erano prodotti in riferimento alla tutela
ambientale, e che avevano consentito di individuare l’ambiente come bene
immateriale unitario suscettibile di tutela in sede giudiziaria, già prima della legge n.
(12) Cons. Stato, V sez., 2 marzo 1994, n.120, in Foro it., 1995, III, c.346.
165
349 del 1986; sicché proprio la riconosciuta azionabilità in sede giudiziaria aveva
assicurato «l'inserimento dell' ambiente nell' alveo delle situazioni giuridiche
soggettive», sollecitando «l'interprete ad intenderlo come bene giuridico»
(GERMANO’ 1995).
Giova sottolineare che, come la vicenda decisa nel 2003 dal Consiglio di
Stato, anche la richiamata controversia decisa nel 1995 dalla Corte costituzionale in
tema di costruzioni edilizie in zona agricola ai sensi della legge regione Lombardia
(13), era stata originata dall’iniziativa giudiziaria di un terzo contro il rilascio di una
concessione edilizia a non agricoltore in zona agricola.
Anche in quel caso il conflitto non era tra Comune e proprietario del fondo,
ma tra questi due soggetti da un lato, ed un terzo ad essi contrapposto, insorto contro
la realizzazione di ulteriori edifici in zone rurali in assenza di collegamento con
attività produttive agricole.
Ne emerge, con evidenza, come responsabile del consumo (per sua natura
irreversibile) di territorio agricolo sia non solo l’abusivismo, ma anche (ed in talune
zone soprattutto) il comportamento degli enti locali, abituati a considerare privo di
rilievo l’interesse agricolo nelle scelte di localizzazione e realizzazione edilizia.
Per converso, riconoscere a terzi legittimazione ad agire giudizialmente a
tutela della destinazione agricola significa chiamare anzitutto gli agricoltori, siccome
diretti portatori dell’interesse agricolo, ad esercitare un controllo diffuso sulle scelte
concrete di governo del territorio, così legittimando anche le organizzazioni degli
agricoltori all’azione giudiziale a tutela dell’interesse dei loro associati alla corretta
gestione della risorsa «terra».
Anche sotto questo profilo, la sentenza in commento si rivela tappa importante
nella costruzione di un diritto per l’agricoltura, oltre che dell’ agricoltura
(ALBISINNI 1998).
La Corte costituzionale nel 1995 ha riconosciuto l'interesse agricolo quale
interesse rilevante nelle scelte urbanistiche non solo perché tutelato dalle leggi
regionali, ma ancor prima perché rinvenibile nella stessa carta costituzionale, così
individuando un interesse che può essere azionato giudizialmente per sindacare le
scelte dei soggetti locali di governo, anche nelle aree e regioni che non hanno adottato
normative specifiche per l’edificazione in zone agricole.
Il Consiglio di Stato con la decisione del 2003, procedendo lungo il medesimo
percorso, segna un passo ulteriore nella direzione di un diritto del territorio agricolo,
lì ove richiede alla P.A. di accertare in concreto, anche in assenza di prescrizioni di
legge regionale in tal senso, le caratteristiche dell’attività agricola, come condizione
necessaria ed essenziale per consentire l’edificazione, ed ammette i terzi a sindacare
tale accertamento anche in assenza di situazioni soggettive direttamente inerenti il
lotto investito dalla costruzione. Ed è significativo in proposito che sia nel ricorso in
appello del proprietario che intendeva costruire, sia nella motivazione della sentenza
di appello, non si dedica alcuno spazio alla questione della legittimazione al giudizio
del ricorrente in primo grado, legittimazione assunta come pacifica e scontata, senza
necessità di indicare in ipotesi alcuna specifica relazione con il lotto che si intende
edificare.
Ne risulta un dichiarato legame tra agricoltura ed uso del territorio, non
soltanto sotto il profilo dell’edificare in zona agricola come potestà riservata
all’impresa agricola, ma anche come subordinazione del costruire ad un diffuso
sindacato del coltivare.
Ogni agricoltore della zona può esercitare tale sindacato, ed anche in questo
senso lo jus colendi si manifesta come regola dello jus aedificandi in zona agricola,
siccome il secondo può operare soltanto nel rispetto (e come espressione) del primo.
Il diritto dell’impresa agricola ne risulta come formula sintetica, a designare il
complesso di facoltà e poteri, che in un nuovo quadro di regole, ne compongono lo
statuto, non quale semplice esonero dalle regole dell’impresa commerciale, ma
piuttosto come affermazione di potestà e responsabilità (ad esempio quanto al
confronto comparativo di interessi nell’edificare) in ragione dei compiti assegnati
all’agricoltura.
(17) Delega tradottasi in tre decreti legislativi del 18 maggio 2001, n.226, «Orientamento e
modernizzazione del settore della pesca e dell'acquacoltura», n.227 «Orientamento e modernizzazione
del settore forestale», e n.228 «Orientamento e modernizzazione del settore agricolo».
(18) V. supra cap. VI.
(19) Come modificato dalla legge cost. n.3 del 18 Ottobre 2001, «Modifiche al titolo V della parte
seconda della Costituzione».