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Studi e

materiali
di diritto agrario

collana diretta da Giovanni Galloni

Ferdinando Albisinni

DIRITTO AGRARIO TERRITORIALE


Lezioni, Norme, Casi

EDIZIONI
TELLUS

Strogili
2 settembre 2003
1

Il progetto di una legislazione chiara e


inequivocabile è stato per i giuristi quello che il
riferimento all’efficienza è per gli economisti: una
sorta di desiderio erotico, necessariamente sempre
incompiuto.

(J.L. Schroeder, The End of Market: A


Psychoanalysis of Law and
Economics, in “Harvard Law Review”,
vol.112, 1998).
2

DIRITTO AGRARIO TERRITORIALE

INDICE

Antefatto

Lezioni

I.- Il territorio tra agricoltura e ruralità

II.- L’agricoltura nella PAC: dalla politica delle strutture allo


sviluppo rurale

III.- L’impresa agricola – le formule del cambiamento

IV.- Le attività integrative in agricoltura e l’agriturismo.

V.- L’agricoltura per autoconsumo

VI.- Il territorio agricolo nei decreti del 2001

VII.- I distretti in agricoltura

VIII.- La disciplina urbanistica delle zone agricole

IX.- L’interesse agricolo e la Corte costituzionale

X.- Attività agricola e parchi

XI.- Aree protette e sviluppo rurale

XII.- Il dialogo tra fonti per un diritto agrario territoriale


3

Norme

1.- La Costituzione ed il Codice civile

2.- I Trattati europei

3.- La PAC

4.- I patti agrari e l’impresa

5.- La attività integrative in agricoltura

6.- Le riforme dell’agricoltura di fine secolo

7.- Agricoltura ed alimentazione

8.- La disciplina nazionale – urbanistica, ambiente, espropri

9.- La disciplina regionale sull’uso del territorio

10.- Esperienze comparative.


4

Casi

1.- La Corte costituzionale

2.- la Corte di Cassazione

3.- Il Consiglio di Stato ed i TAR

4.- La Corte di giustizia


5

Letture

Nel file denominato Letture, contenuto nel volume cartaceo e nel


CD-ROM, sono indicate, per ordine alfabetico di autore, ed all’interno
di questo per data di edizione, le opere citate nel corso delle Lezioni ed
ulteriori opere di interesse.
L’utilizzazione di un formato elettronico consente l’agevole
individuazione delle opere, con ricerche libere per titolo (o parte di
esso) e per Autore.
In ragione delle caratteristiche della pubblicazione e per favorire
la lettura, nelle note a piè di pagina delle Lezioni sono riportati
esclusivamente i riferimenti normativi e giurisprudenziali, mentre gli
Autori sono richiamati tra parentesi nel testo, con indicazione
dell’anno di pubblicazione e del numero dell’opera come riportato nel
file Letture.
6

ANTEFATTO

1.- «Oggi l’attenzione sembra concentrarsi sulla nozione di diritto del


territorio e sul complesso oggetto della sua disciplina: orbene, non v’è difficoltà a
presentare il nuovo diritto agrario - senza per questo rinunziare ad affermarne la
tipicità - come l’insieme delle norme afferenti a quella porzione del territorio che,
nell’ambito della generale pianificazione, riceve una destinazione all’uso agricolo.
Viene in tal modo a profilarsi un’altra possibile definizione del diritto agrario, che si
intona all’interesse crescente per i problemi di governo del territorio e dell’ambiente,
giudicati assorbenti rispetto ai problemi della riforma delle strutture produttive
aziendali» - così, alla fine degli anni ’70, uno studioso disegnava, con suggestiva
anticipazione, possibili linee evolutive di un diritto agrario come diritto del territorio
(1).
Pochi anni più tardi, nell’indagare sulle prospettive del diritto dell’agricoltura
per gli anni ’80, altro autorevole studioso sottolineava: «Proprio il diritto
dell’agricoltura costituisce l’esempio quanto mai significativo di una branca del
diritto, che non solo per molti suoi istituti si pone sul terreno di uno spazio comune
(diritto comune è stato detto) tra privato e pubblico, ma per altri istituti si pone tutto
all’interno del diritto pubblico come diritto amministrativo agrario … Nella
prospettiva di evoluzione del diritto pubblico dell’agricoltura degli anni ottanta è
possibile prevedere che anche il legislatore italiano, come già è avvenuto in altri paesi
europei, sarà chiamato, sotto la spinta di nuove esigenze dell’ecologia, ad occuparsi
dell’instaurazione di un rapporto diverso da quello tradizionale tra agricoltura ed
urbanistica. … Ecco perché non è lontana una legislazione urbanistica a favore
dell’agricoltura o delle zone verdi … Anche questi sono dunque importanti recenti
orientamenti sulle “nuove frontiere” del diritto agrario» (2).
Questi insegnamenti, risalenti, autorevoli, favorevolmente accolti in alcune
occasioni di riflessione istituzionale, eppure a lungo trascurati nelle scelte di governo
e legislazione di settore, ed obiettivamente sottoordinati rispetto ad altri temi giudicati
di interesse nei prevalenti indirizzi di ricerca agraristica ed urbanistica, tornano alla
mente innanzi alla vicende di questi ultimi anni, che hanno visto l’irrompere dei temi
dell’impresa agricola all’interno del regime d’uso del territorio.
Di qui l’interesse per l’indagine sulla disciplina del rapporto tra agricoltura e
territorio, attraverso un approccio comparativo alle plurime riforme, che dagli anni
’70 ai primi anni del nuovo secolo hanno segnato un’epoca di profonde innovazioni,
dalla prima regionalizzazione, attraverso gli interventi di settore (dai parchi, ai beni

(1) A.CARROZZA, L’autonomia del diritto agrario, in Manuale di diritto agrario italiano, a cura di
N.Irti, Torino, 1978, 37, a p.52.
(2) G.GALLONI, Agricoltura (diritto dell’). Quali prospettive per gli anni ’80, in Diritto agrario, a
cura di A.Carrozza, vol.4 dei «Dizionari del diritto privato» a cura di N.Irti, 1983, 1, a p. 7 e 38.
7

ambientali, alla disciplina urbanistica nazionale e regionale, alle acque ed ai piani di


bacino), sino alle leggi di conferimento di ulteriori funzioni alle regioni e agli enti
locali, alla riforma del Titolo V della Costituzione con ampia individuazione di
competenze esclusive delle regioni ed espansione delle competenze concorrenti, e da
ultimo alle leggi e decreti delegati di orientamento e modernizzazione
dell’agricoltura.
In questo senso, gli occhiali dell’agrarista si rivelano lenti preziose per una
rilettura delle linee dell’ordinamento, che non costituisce l’ennesimo
riposizionamento dei (peraltro incerti) confini del diritto agrario, ma piuttosto
l’assunzione di un punto di osservazione, quello dell’agricoltura (con i plurimi
significati che essa ha assunto nei più recenti enunciati europei), quale scelta
metodologica di riordino, di ciò che in altre prospettive, pur conosciuto, assume
significati e determina esiti tutt’affatto diversi.
E non sembra casuale che, in anni recenti, a far tempo dall’apertura del
dibattito sulla riforma dello Stato ed in sintonia con le indicazioni per la
semplificazione e la delegificazione, gli agraristi si stiano volgendo con crescente
attenzione verso temi tradizionalmente propri del diritto pubblico (3).
L’indagine proposta in questo lavoro si colloca dunque all’interno di un
processo di riorientamento dello studio del diritto dell’agricoltura in prospettive
adeguate alle mutate realtà istituzionali, e muove da una considerazione che ne guida
l’intero svolgimento: l’individuazione della relazione essenziale tra territorio e
comunità.
Territorio è così assunto non quale perimetrazione descrittiva di un’area
dotata di talune caratteristiche naturali ed ambientali, ma quale espressione sintetica
ed evocativa, che coniuga a tali caratteristiche la storia dei luoghi e la collettività che
vi vive ed opera (4).

2.- La storia del paesaggio agrario italiano è espressione fortunata (5), con la
quale alcuni studiosi hanno sinteticamente descritto il continuo percorso attraverso il
quale nel nostro Paese il coltivare è stato - in senso proprio ed altissimo - opera di
architetto, disegno non sulla tela, ma nell'ampia dimensione dello spazio reale; è stato

(3) E’ sufficiente in proposito ricordare i temi cui sono stati dedicati gli ultimi Convegni dell’IDAIC-
Istituto di Diritto Agrario Internazionale e Comparato di Firenze, da quello del dicembre 1999,
dedicato al Governo del sistema agricoltura: profili di riforme istituzionali tra dimensione
sovranazionale e attribuzioni regionali, Atti del Convegno di Firenze del 17-dicembre 1999, a cura di
A.GERMANO’, Milano, 2000, a quello dell’aprile 2002, dedicato a Il governo dell’agricoltura nel
nuovo Titolo V della Costituzione, Atti dell’Incontro di Firenze del 13 aprile 2002, a cura e con un
saggio di A.GERMANO’, Milano, 2003.
(4) Così collocandosi lungo le linee di ricerca, che hanno caratterizzato numerosi contributi alla rivista
Diritto e giurisprudenza agraria e dell’ambiente, sin dall’editoriale che nel primo numero del 1993 ha
segnato l’inserimento dell’ambiente nella testata, G.GALLONI, Profili giuridici di un nuovo rapporto
tra agricoltura e ambiente, in Dir.giur.agr.amb., 1993, 1, e che da ultimo ha dato vita alla collana in
cui si colloca questo lavoro, aperta da S.MASINI, Agricoltura e regioni, Roma, 2003.
(5) Doveroso il richiamo ad E.SERENI, Storia del paesaggio agrario italiano, Roma-Bari, 4^ ed.,
1982.
8

dare forma in ragione di un progetto produttivo, nel quale le finalità della produzione
determinavano le strutture, e nel medesimo tempo la qualità e la natura delle risorse
(non definite una volta per tutte, ma soggette appunto alla costante opera
dell'agricoltore) determinavano intimamente il prodotto.
Sicché, come altre volte si avuto occasione di osservare, i "segni del
territorio" esprimono un duplice significato:
- sono i segni che l'agricoltore ha impresso sul territorio, meglio ancora è
l'intero modo di essere del territorio agrario siccome oggetto delle cure
dell'agricoltore;
- nel medesimo tempo sono i segni che sui prodotti sono impressi dal
territorio, siccome non mero contenitore di un'attività indifferenziata, ma esso stesso
elemento di conformazione del prodotto.
Questo processo circolare, per il quale il territorio esprime segno e identità
dell'opera dell'agricoltore, ed a sua volta imprime segno ed identità nel singolo
prodotto, che - staccato dal fondo ed immesso nel mercato - porta con sé una sorta di
bandiera di appartenenza, è oggetto da alcuni decenni di radicali contestazioni sul
piano operativo, ed anche sul piano sistematico e dei princìpi.
L'enfasi sulle necessità di una produzione misurata esclusivamente in termini
di quantità di prodotto conferite sul mercato, o soltanto in termini di aderenza a
standards uniformi di qualità identificati in parametri fisico-chimici misurabili ex
post, ha indotto a trascurare la relazione fra prodotto, attività, strutture e luoghi della
produzione, con esiti ormai ben noti.
Il ripensamento, intervenuto anche in sede comunitaria a partire dagli anni '80,
ha restituito attenzione e visibilità prima alla politica delle strutture aziendali
(riconosciute meritevoli di interventi per sé, e non solo in via mediata attraverso
l'intervento sui prodotti e sui prezzi) quale fondante componente economica e non
quale passatista idealizzazione estetizzante, poi allo sviluppo rurale come politica che
investe la dimensione collettiva dell’essere e del fare, ricompresa in sede europea
nella formula evocatrice dell’ espace rural.
Il paesaggio agrario riacquista una dimensione, nella quale la bellezza
dell'armonia si esprime per adesione ad un progetto di produzione, che pone in
sintonia vocazioni, potenzialità, ed effettive destinazioni.
Il percorso è lungi dall'essere compiuto, e rischia di venire degradato a
semplice regola di eccezione quando, pur in presenza di affermate dichiarazioni di
consapevolezza dell'intreccio circolare che lega l'opera dell'uomo, l'ambiente in cui
opera e la sua alimentazione, in realtà nei fatti, nelle scelte quotidiane, si isolano
questi momenti, riducendoli in una condizione di debolezza rispetto ad altri interessi e
progetti, che nel confronto frazionato continuano a prevalere.
Così, sotto il profilo delle regole di uso e destinazione del territorio, si è a
lungo continuato a negare autonomo e individuato rilievo all'uso agricolo, pervenendo
ad una dichiarata giuridica identità solo nelle più recenti esperienze regolatrici; e sotto
il profilo della caratterizzazione dei prodotti, si continua in molte occasioni a
privilegiare una logica di genere, che nei fatti riduce l'identità in termini di nicchie e
di eccezioni, e premia - se mai - l'appartenenza a modelli costruiti per conformità al
prodotto delocalizzato, privo di radici territoriali.
9

Di qui l'esigenza di una consapevole attenzione al territorio agricolo e rurale,


quale capacità di individuare - nel mercato ed in una logica di concorrenza che
necessariamente è anche un logica di diversità e di identità di specie – originali
modelli di regolazione giuridica del costruire, che si esprimono in cose, beni
materiali, prodotti, strutture della produzione, ma anche in fare, servizi,
comportamenti di coerenza al disegno, che assumono la forma e i segni dell'agire in
agricoltura, quali indispensabili e caratterizzanti connotati di ogni regola, che intenda
collocarsi in un progetto di sviluppo sostenibile.

3.- Il tema di indagine individuato, del territorio agricolo e dell’ agricoltura


territoriale, corrisponde a termini divenuti di frequente uso nel confronto giuridico,
oltre che politico ed economico.
Il legislatore, nazionale ed europeo, la giurisprudenza, gli studiosi, e gli
operatori della pratica quotidiana, sempre più spesso incontrano tali espressioni, dai
significati ad oggi non consolidati.
Sul piano didattico, le facoltà di agraria, all’interno del processo di riforma
universitaria, hanno dato vita a corsi di laurea dedicati a «Scienze della pianificazione
rurale ed ambientale» (6), e dunque con oggetti e competenze diversi da quelli
tradizionali per un laureato in agraria.
Specularmente, anche tra coloro che si occupano professionalmente del
regime di uso dei suoli, siano essi di formazione giuridica od urbanistica, i temi
dell’attività agricola stano assumendo crescente rilievo in ragione del peso ad essi
assegnato dalla normativa in materia.
Manca peraltro, a tutt’oggi, un quadro consolidato: regole del territorio
agricolo e regole dell’agricoltura territoriale, pur contigue, non possono dirsi
coincidenti.
Ne risulta un’area di ricerca, per larga parte inesplorata, siccome soggetta alle
occasionali incursioni dei cultori dell’una o dell’altra disciplina, ma tuttora carente di
un proprio spazio individuato.
Sicché non appare sufficiente la conoscenza della law in the books, ma
occorre indagare la law in action, il diritto vivente secondo le note formule proposte
da Roscoe Pound, nella prospettiva storico-comparativa (7) dei contenuti attribuiti al
diritto da una pluralità di regolatori assurti al ruolo di law makers, e insieme
dell'attenzione anche a norme non più vigenti ma rilevanti ai fini della conoscenza e
dell'interpretazione.

(6) E’ questo il caso della facoltà di Scienze Agrarie e Forestali dell’Università della Tuscia - Viterbo,
ove tale corso di laurea è stato avviato ormai da tre anni, con un numero annualmente crescente di
iscritti.
(7) Tornano d'attualità anche nello studio del diritto interno gli insegnamenti del diritto comparato, con
l'invito a non limitarsi ad una comparazione di nomi e definizioni, quanto piuttosto a ricercare rationes
attraverso il metodo storico-casistico, secondo le indicazioni formulate da G.GORLA a partire dalla
Prefazione a Il Contratto, Milano 1954, ed in una successiva nota serie di saggi apparsa sui Quaderni
del Foro it.
10

4.- In questo ordito emergente, obiettivamente ricco di suggestioni ma ancora


privo di canoni definiti e di generale adozione, l’ipotesi di lavoro è quella che
individua nell’agricoltura territoriale, nella centralità del fondo, del bene terra, con
la sua unicità, peculiarità ed irriproducibilità, possibili elementi fondanti di un
sistema, che è insieme di regole sostanziali e di coerenti competenze.
Lo stesso percorso del diritto comunitario, dal sostegno dei prezzi, alle
strutture, allo sviluppo rurale, ai più recenti regolamenti sul riconoscimento di
entitlements disaccoppiati da produzioni in essere, pur con l'essenziale attenzione al
mercato (elemento costitutivo e fondante di tale diritto), ha recuperato elementi di
attenzione per quella varietà di contenuti, soggettivi, territoriali e d’impresa, che è
stata riscoperta, prima dai sociologi rurali, poi dagli economisti attenti alla
dimensione locale, e solo di recente dai giuristi, come dimensione connotante e
qualificante dell’agricoltura (europea in generale, ed italiana in specie).
In questa agricoltura, che nel produrre secondo le vocazioni naturali e nel
rispetto di queste, assicura espressione alle esigenze insieme di tutela e di sostenibile
sviluppo del territorio e delle comunità locali, si può ricercare l’essenziale criterio
ordinante anche del costruire.
I decreti legislativi di orientamento in materia di agricoltura, pesca e
forestazione del 2001 (8) hanno posto al centro dell’interesse i temi di una nuova
imprenditorialità in agricoltura, peraltro senza compiutamente tradurre in formule
regolatrici quel modello di agricoltura territoriale, che – come si è già ricordato - ha
trovato da ultimo decisivo conforto negli stessi atti della Comunità europea, con ciò
confermando l’inadeguatezza di un approccio tradizionale, che si risolveva al più nei
temi dell’impresa, lasciando ad altri comparti regolatori l’essenziale compito di
costruire il quadro (fortemente condizionante) in cui l’impresa è chiamata ad operare.
La prospettiva che nell’oggi si apre per il diritto dell’agricoltura è dunque
quella delle regole proprie anche per il costruire, che non importa una pretesa di
separatezza e una ricerca di anacronistici confini, ma una capacità di informare -
coerentemente ai bisogni e alle soggettività investite - un complesso di regole,
urbanistiche e ambientali, di conformazione e di competenze (anzitutto, ma non solo),
che sull’interesse agricolo incidono pesantemente, ma che dall’interesse agricolo
cominciano ad essere significativamente determinate.

5.- Da ciò questo lavoro che, indirizzato agli studenti del corso di laurea in
Scienze della pianificazione rurale ed ambientale, intende insieme esplorare aree di
indagine ed apprestare strumenti per percorsi di interesse non solo didattico, ma
operativo.

(8) Sono i noti decreti legislativi del 18 maggio 2001, n.226 sulla pesca e acquacoltura, n.227 sul
settore forestale, n.228 sul settore agricolo; sulle prospettive aperte dai decreti si vedano G.GALLONI,
Impresa agricola. Disposizioni generali, in “Commentario del codice civile Scialoja-Branca”,
Bologna-Roma, 2003; A.GERMANO’, Manuale di diritto agrario, 5^ ed., Torino, 2003;
L.COSTATO, Corso di diritto agrario, 2^ ed., Milano, 2003; A.JANNARELLI, Il diritto
dell’agricoltura nell’era della globalizzazione, 2^ ed., Bari, 2003.
11

Le Lezioni costituiscono una sorta di prima mappatura di aree e di


individuazione di punti cospicui, attraverso i quali il lettore possa autonomamente
determinare percorsi non necessariamente lineari, ma individualmente conformati in
ragione degli elementi di interesse.
Le Norme ed i Casi sono proposti in un CD-ROM, con l’ampiezza che
l’editoria elettronica consente.
I primi materiali sono doverosamente dedicati alla carta costituzionale, ed alla
lettura dei principi ivi affermati, quali enunciati nella giurisprudenza della Corte
costituzionale, alla luce delle leggi di riforma istituzionale e da ultimo in esito
all’adozione, prima in sede comunitaria e poi nel nostro testo costituzionale, del
principio di sussidiarietà, inteso come strumento per sé coerente con i principi di
precauzione, prevenzione e correzione in materia ambientale, nel frattempo introdotti
nel sistema del diritto europeo.
Nel prosieguo, la lettura della legislazione e della giurisprudenza consente di
ripercorrere il passaggio da una concezione statica e difensiva del paesaggio ad una
dimensione dinamica di territorio, rinvenendo, al di là della stessa garanzia
costituzionale accordata al paesaggio, nell’art.44 cost. e nel razionale sfruttamento
del suolo quale sintesi di una territorializzazione dell’intero sviluppo agricolo, i
fondamenti per una tutela ambientale, quale da ultimo esplicitamente introdotta con la
riforma dell’art.117 cost.
L’analisi delle regole d’uso del territorio non può prescindere da una pur
sommaria disamina della ripartizione delle competenze, e così dei livelli di governo
rispetto alla natura dell’interesse predetto ed alla dimensione territoriale e di comunità
investita, ed insieme investe oggetti diversi da quelli tradizionalmente ricompresi nel
diritto dell’agricoltura.
Ciò importa una necessaria attenzione ai contenuti anche di talune leggi di
settore, di non esplicito e diretto oggetto agricolo.
Nei fascicoli elettronici, che compongono il CD-ROM, vengono organizzati
documenti normativi europei, nazionali e regionali, dalla PAC, ai patti agrari, alle
attività integrative, alle norme di uso del territorio, generali e specifiche delle zone
rurali, per concludere con la dimensione comparativa proposta dalle riforme adottate
in anni recenti in Francia, che in varia misura concorrono ad illuminare possibili
dimensioni evolutive della disciplina.
La pubblicazione, accanto agli atti normativi, di talune significative decisioni
dei giudici nazionali e della Corte di giustizia, intende consentire anche al giurista
formato sui modelli del diritto interno di orientarsi in un ordinamento, che in larga
misura si colloca al di fuori della tradizionale gerarchia delle fonti.

6.- Il ricorso a strumenti di editoria elettronica è apparso preferibile, rispetto


alle tradizionali raccolte cartacee, sin qui pubblicate per sé sole o in appendice ad
alcuni volumi, in ragione di alcuni peculiari vantaggi, e così l' ampiezza, perché un
solo dischetto può contenere una mole rilevante di documenti, l’aggiornamento,
perché la banca dati può essere agevolmente integrata e modificata, la praticabilità di
ricerche testuali e casuali anche in assenza di precisi riferimenti normativi.
12

A questi vantaggi di ordine operativo e di efficacia, si accompagna un


vantaggio di metodo, quanto alle diverse possibili utilizzazioni.
Il CD-ROM in questo senso assolve una duplice funzione: di diretta
acquisizione delle informazioni, e insieme di sperimentazione di metodi di
reperimento e di diretta lettura del documento giuridico, che costituiscono abituale
ferro del mestiere di chiunque si occupi della materia.
Le dichiarate finalità, e la conseguente natura e struttura della pubblicazione,
mirano a collocare l'iniziativa nel novero dei nuovi strumenti didattici – come si è già
ricordato - elaborati in funzione delle domande poste dalla riforma dell'ordinamento
universitario.
Anziché inserire una parte documentaria (abitualmente obsoleta già all’atto
della stampa), spesso con ripetizioni e sovrapposizioni e sempre con carenze e ritardi,
Norme e Casi sono stati concentrati in uno strumento, avente ad oggetto i diversi temi
del diritto agrario territoriale.
Obiettivo è quello di consentire agli studenti di acquisire familiarità con le
tecniche di interpretazione dei materiali giuridici.
Nel medesimo tempo, la pubblicazione si indirizza ai soggetti che operano
professionalmente in agricoltura e nel territorio agricolo, quale agile strumento di
prima indagine, che non raccoglie la totalità delle disposizioni, ma presenta un quadro
complessivo e trasversale di documentazione, ad oggi non disponibile in unico
contesto, e propone norme di varia origine e pronunce giudiziali, in una prospettiva
che riflette gli elementi peculiari del modello di fonti del diritto del tempo presente,
caratterizzato dalla complessità e dalla pluralità di centri ordinatori.

Un sincero ringraziamento va agli studenti dell’Università di Viterbo, che mi


hanno sollecitato a questo lavoro, agli amici con cui ho discusso, alla dott.ssa Clelia
Losavio che mi ha aiutato nella raccolta della documentazione.

Strogili, 2 settembre 2003


112

VIII

LA DISCIPLINA URBANISTICA DELLE ZONE AGRICOLE:

1.- Premessa
2.- Il quadro normativo risalente
3.- La giurisprudenza amministrativa
4.- La legislazione regionale
5.- Gli orientamenti della Corte costituzionale
6.- La dimensione proprietaria
7.- L’edificare nelle aree rurali come attività dell’impresa agricola:
dallo ius aedificandi allo ius colendi

1.- Premessa

Il rapporto fra agricoltura, territorio e ambiente, è stato a lungo connotato


dall’assenza di principi condivisi, prima ancora che dalla mancanza di regole comuni.
Sicché le ricorrenti controversie, ad esempio in tema di indennità di esproprio
e di occupazione (CASADEI 1975), di natura e indennizzabilità dei vincoli
(FRANCARIO 1986), o di rapporto fra finalità agricole e finalità ambientali
(CARROZZA 1986; D’ADDEZZIO 1996), palesano l’evidente conflitto fra gli
interessi circa i possibili differenziati usi del territorio ed insieme la confusione delle
scelte e la mancanza di un disegno regolatore unitario.
La contrapposizione si è espressa nella critica a modelli prescrittivi
vincolistici, segnati da un'antagonistica chiusura verso l'edificare e tali, nella loro
rigidità, da portare il sé il germe della violazione; e sul versante opposto nella
riaffermata difesa di un regime di tutela espresso in una rigorosa serie di divieti,
assunti quale unica possibile garanzia contro consumi irreversibili di risorse naturali
non riproducibili.
Nella prospettiva dei produttori agricoli, in specie, la dichiarata ostilità per le
prescrizioni introdotte dal quadro normativo vigente ha reso manifeste, talvolta
contraddittoriamente, esigenze che non possono essere sbrigativamente etichettate
come espressione di disegni di speculazione immobiliare.
Reciprocamente, il sistema delle regole del costruire nelle campagne, siccome
identificato con parametri quantitativi ed astratti, prescidenti dalle effettive attività
svolte, è stato spesso avvertito come ingiusto e vessatorio proprio da chi intende
realizzare sul terreno attività compatibili con le vocazioni naturali e si trova a subire
limiti esterni e generalizzati che non comprende.
113

Ne è derivata una vicenda singolare, che ha visto molti attori


contemporaneamente sulla scena, con ruoli sovrapposti, con voci dissonanti, con
grave disagio per il cittadino, l'operatore economico, l'agricoltore, in ragione della
scarsa chiarezza delle regole del gioco.
In realtà, prima ancora che un problema di vincoli, si pone un problema di
regole dell’agire. Le domande dei pubblici amministratori, che sulla base delle loro
esperienze chiedono regole di evidente e immediata applicazione, praticabili e
governabili con efficacia, sono domande di portata generale, che si collocano
nell’ambito dell’agire e del fare, e non sono in ciò diverse dalle domande degli
agricoltori, smarriti innanzi a una molteplicità di disposizioni, diverse nelle origini, e
disomogenee nell'ispirazione e nelle finalità.
Esiste dunque una diffusa domanda di canoni dell'agire, e così di regole di
attività prima che di beni.
Attraverso questo snodo decisivo transita qualunque ipotesi di governo
dell’attività edilizia nel territorio agricolo; e rispetto ad esso occorre prendere atto che
sono a lungo mancati modelli di portata generale e di immediata applicazione.
Nella legislazione urbanistica nazionale, in specie, manca tuttora un intervento
che individui in modo esplicito l'interesse agricolo, quale interesse normativamente
considerato, da privilegiare con logiche positive di sostegno anziché di vincolo
all'interno delle politiche di uso del territorio; laddove nella stessa legislazione
agricola, solo nei più recenti decreti di orientamento si rinviene il riconoscimento
espresso di rilievo giuridico alle «vocazioni produttive del territorio» agricolo come
canone delle scelte (1).

2.- Il quadro normativo risalente

Le linee evolutive della disciplina urbanistica nelle zone agricole possono


essere individuate in sintonia con il progressivo espandersi sia territoriale che
tematico delle aree investite da tale disciplina.
Ai fini di una sommaria periodizzazione, è qui sufficiente ricordare che per un
lungo arco di anni, dalle prime leggi di approvazione dei piani regolatori nelle grandi
città (1912), alla legge urbanistica fondamentale del 1942 (2), ed alla stessa
legislazione agraria del dopoguerra (MORBIDELLI 1983), le vocazioni agricole dei
terreni sono rimaste prive di specifico rilievo rispetto alle scelte di localizzazione
urbanistica, e specularmente le zone agricole sono state caratterizzate da un'assenza di
regole e regimi autorizzatori per le costruzioni.
Tra le finalità espressamente perseguite dalla legge del 1942 rientra quella di
«favorire il disurbanamento e … frenare la tendenza all' urbanesimo» (3).

(1) V. supra cap. VI.


(2) Legge 17 agosto 1942 n. 1150, «Legge urbanistica».
(3) Art.1, comma 2, legge ult.cit.
114

Nel disegno della legge urbanistica fondamentale, dunque, l'assenza di


prescrizioni urbanistiche per le campagne, ed il conseguente regime di esenzione da
vincoli nella realizzazione di fabbricati, trovavano giustificazione in un disegno
estraneo alle esigenze dell' agricoltura (compresse a beneficio di altre e differenti
finalità), all' interno di una logica che riteneva il territorio agricolo quasi una risorsa
infinita e guardava alle città come uniche destinatarie del diritto urbanistico.
Soltanto nella seconda metà degli anni '60 le zone agricole sono state investite
direttamente dalla disciplina urbanistica, che con ciò ha esteso il suo ambito di
applicazione fuori dagli spazi urbani.
Nel 1967 la c.d. «legge ponte» (4) ha introdotto l'obbligo generalizzato della
licenza edilizia per tutto il territorio comunale, e nell’anno successivo il contenuto dei
piani regolatori è stato esteso sino a comprendere obbligatoriamente l’intero territorio
comunale (5). Anche questi provvedimenti, peraltro, non hanno attribuito alcuna
rilevanza alle qualità e vocazioni agricole del territorio (CARROZZA 1980), non
distinguendo le costruzioni destinate al servizio dell' agricoltura da quelle destinate ad
altre utilizzazioni.
Una terza fase, connotata da un regime di specifica tutela, si è aperta alla fine
degli anni ’60 (URBANI 1994), con l’adozione del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444 (6),
che, nel fissare gli standards urbanistici, individua le zone territoriali omogenee, e fra
queste la zona "E" destinata ad usi agricoli, con la previsione di un lotto minimo
edificabile di almeno un ettaro e con un basso indice di edificabilità.
Anche in questo caso si trattava però soltanto di misure difensive, legate ad
indici esclusivamente quantitativi, di rapporto fra superficie disponibile e cubatura
realizzabile. L’indice di massima densità fondiaria previsto per le abitazioni nelle
zone agricole è di mc. 0,03 per mq., ma tale indice prescinde da qualsivoglia
collegamento con attività agricole in essere o in progetto.
Sicché anche queste misure solo indirettamente mirano a proteggere il
territorio agricolo da una non pianificata erosione a vantaggio di finalità non agricole.

3.- La giurisprudenza amministrativa

Dal canto suo, la giurisprudenza amministrativa, pur dopo l'approvazione della


legge ponte del 1967, ha continuato a riconoscere legittima, per le aree destinate a
«verde agricolo», l’utilizzazione delle stesse in funzione di esigenze diverse da quelle
della produzione agricola.

(4) Legge 6 agosto 1967, n. 765, «Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n.
1150».
(5) Legge 19 novembre 1968, n.1187, « Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto
1942, n. 1150».
(6) «Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra
spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività
collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti
urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della L. 6 agosto 1967, n. 765».
115

Il Consiglio di Stato, in particolare, ha più volte confermato che «in sede di


procedimento di formazione dei piani regolatori generali, il "verde agricolo" non è
imposto in vista della salvaguardia di interessi agricoli, ma come mezzo di disciplina
della utilizzazione urbanistica del territorio, al fine di evitare addensamenti edilizi o
espansioni pregiudizievoli per un corretto insediamento umano su un territorio» (7);
«la ratio dei piani regolatori generali che destinano ampie località a zona agricola non
è già quella di dettare prescrizioni circa gli impieghi agricoli, ma piuttosto quella di
garantire - attraverso la previsione di un'edificazione estremamente rada - la
conservazione di ampi intervalli di verde» ( 8); «In sede di pianificazione urbanistica il
verde agricolo non è tanto preordinato alla salvaguardia degli interessi
dell'agricoltura, quanto invece ad evitare ulteriori insediamenti edilizi che possano
risultare pregiudizievoli per il più conveniente equilibrio delle condizioni di vivibilità
della popolazione» (9).
Sul piano dell'interpretazione e del controllo di legittimità (con evidenti esiti
sui comportamenti dei pubblici amministratori) è rimasto quindi per lungo tempo
prevalente un approccio per il quale, anche quando normate, «in pratica le zone
agricole vengono considerate come zone di "riserva", o zone ad edificabilità urbana
differita» (MORBIDELLI 1983) dichiaratamente sottordinate alle esigenze della
corretta edificazione.
La lettura tradizionale della disciplina urbanistica, nella prevalente
giurisprudenza amministrativa si è collocata all’interno di un modello che vede il
territorio agricolo come zona residuale, disponibile per le più varie utilizzazioni, ivi
incluse, quasi per intrinseca e insuperabile necessità, quelle ritenute incompatibili con
l'ambiente urbano, proprio perché inquinanti e comunque fonte di disturbi e fastidi -
come hanno da tempo sottolineato gli studiosi di urbanistica, prima ancora che i
giuristi (STANGHELLINI 1980).
Così nel 1996 il Consiglio di Stato ha avuto modo di affermare: «L'esercizio
dell'attività di discarica di rifiuti e gli interventi costruttivi intesi all'ampliamento di
quest'ultima non sono di per sé incompatibili con la destinazione agricola impressa
dallo strumento urbanistico alla zona in cui essa è ubicata - e, pertanto, è illegittimo il
diniego di concessione edilizia statuito con riferimento a tale destinazione -, perché la
classificazione agricola dell'area in questione non ne impone un obbligo di
utilizzazione in tal senso, consentendo piuttosto interventi edilizi di vario genere, qual
è, appunto, l'insediamento di una discarica che, per sua natura, non può essere ubicato
che in aperta campagna, laddove il piano regolatore non ne preveda altra
localizzazione» (10); ed ancora in anni recenti ha concluso che la destinazione agricola
della zona non è ostativa all'autorizzazione all'attività di cava (11), né all'installazione
di un deposito di esplosivi perché «La determinazione di piano regolatore a zona
agricola preclude gli insediamenti residenziali, ma non gli insediamenti che non

(7) Cons. Stato, Sez. V, 22 ottobre 1974 n. 680, in Cons.St., 1974, I, 1204.
(8) Cons. Stato, Sez. IV, 18 ottobre 1974 n. 637, in Cons.St., 1974, I, 1124.
(9) Cons. Stato, Sez. IV, 15 aprile 1986 n. 268, in Cons.St., 1986, I, 482.
(10) Cons. Stato, V, 26 gennaio 1996, n. 85, in Foro amm., 1996, 125; in tal senso v. anche Cons. Stato,
IV, 7 luglio 1988, n.578, in Riv.giur.edil., 1988, I, 820.
(11) Cons. Stato, VI, 9 novembre 1994, n. 1596, in Cons.Stato, 1994, I, 1616.
116

possono essere allocati in zone residenziali (nella specie si è ritenuta legittima la


concessione edilizia che consentiva l'insediamento in zona agricola di un deposito di
esplosivi)» (12); ed ha dichiarato che non si giustifica il diniego di concessione
edilizia per la costruzione di un impianto idroelettrico motivato con riferimento al
contrasto esistente tra l'opera e la destinazione agricola dell'area, ove non sia state
individuate specifiche violazioni delle prescrizioni del programma di fabbricazione
vigente (13).
Siamo, dunque, in presenza di una giurisprudenza che, nel conflitto fra
ambiente agricolo ed esigenze produttive o residenziali, sacrifica il primo, e ritiene
legittimo collocare in zona agricola attività pericolose, inquinanti, o comunque in
evidente contrasto con finalità di tutela naturalistica e ambientale, per la semplice
ragione che impianti siffatti non possono essere installati in zona urbana.
Ma se è di immediata evidenza l'argomento per il quale le attività pericolose o
inquinanti non possono essere collocate in aree urbane, non altrettanto evidente è la
conclusione, secondo cui l'intero territorio agricolo si risolverebbe in uno spazio
indifferenziato, privo di specifiche connotazioni.
Questa giurisprudenza finisce con l'appiattire il regime d'uso e di destinazione
in una formula, «zone agricole», che solo linguisticamente sembra rinviare all'
«agricoltura», ma che in realtà annichilisce e svuota il termine «agricolo»,
identificato per negazione, come il «non urbano», privo di qualunque autonoma
connotazione e di qualunque identità, mero contenitore privo di valore e neppure
suscettibile di autonoma valutazione.
Del resto, la contrapposizione fra aree urbane (o comunque destinate
all'edificazione) suscettibili di autonoma considerazione in termini di valore e di
stima, ed aree extraurbane da valutare attraverso parametri astratti, e spesso
manifestamente obsoleti, senza tener conto della loro effettiva e concreta utilizzabilità
in funzione delle rispettive vocazioni, è scelta espressa anche dalla legislazione in
tema di esproprio e confermata perfino da recente giurisprudenza costituzionale in
argomento, secondo cui «E' infondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 5 bis, 4° comma, d.l. 11 luglio 1992 n.333, convertito, con modificazioni, in l.
8 agosto 1992 n.359, nella parte in cui prevede, per le aree non edificabili, un unico
criterio di valutazione indennitaria, pari a quello delle aree agricole, senza tener conto
della concreta utilizzabilità delle stesse in riferimento agli art. 3 e 42, 3° comma,
Cost.» (14).
Per singolare contrappunto, altre decisioni dei giudici amministrativi hanno
negato natura agricola alla realizzazione di una semplice recinzione in pali di
castagno per un maneggio per cavalli (15), ovvero hanno dichiarato non consentita in
zone agricole la realizzazione di un apiario e la conseguente attività di apicoltura, sul
presupposto che questa rappresenterebbe «un'attività del tutto distinta ed autonoma,
indipendente dall'esistenza di un fondo, dal quale, anzi, può totalmente prescindere»

(12) Cons. Stato, V, 28 settembre 1993 n. 968, in Foro it., 1994, III, 225.
(13) Cons. Stato, V, 16 ottobre 1989, n. 642, in Foro amm., 1989, 2710.
(14) Corte Cost. 23 luglio 1997, n.261, in Foro it., 1998, I, 1021.
(15) Cons. Stato, V, 1 marzo 1993, n.319, in Dir.giur.agr.amb., 1995, 249.
117

(16); anche se occorre dire che, specificamente in tema di apicoltura, la più recente
giurisprudenza, modificando l'orientamento sopra richiamato, ne ha ammesso la
natura propriamente agricola ed ha affermato: «L'attività di apicoltura, avente un
effettivo collegamento con l'utilizzazione di un fondo, va considerata come attività
tipicamente compatibile con la sua destinazione agricola, ai fini del rilascio della
concessione edilizia per la costruzione di opere necessarie per lo svolgimento
dell'attività medesima» (17).
La stessa Corte Costituzionale, nell'ordinanza 16 maggio 1995 (su cui
torneremo in prosieguo, e che pure ha segnato una tappa decisiva per il
riconoscimento dell'interesse agricolo come interesse territoriale rilevante nella
disciplina urbanistica), ha negato carattere agricolo e collegamento con l'attività
agricola alla realizzazione di box per cavalli destinati ad un centro ippico (18).
Il territorio agricolo, insomma, secondo le letture che i giudici amministrativi
(e non solo amministrativi) ne hanno dato ancora sul finire degli anni ‘90, resta aperto
alle incursioni di altri interessi, ritenuti sovraordinati; ma nello stesso tempo gli
agricoltori trovano rilevanti difficoltà nel dotare le aziende delle nuove strutture
edilizie richieste dalle innovazioni nelle tecniche o negli oggetti della produzione.
Ne risulta una lettura della disciplina urbanistica che si pone come «limite»
per l'agricoltura (FRANCARIO 1993), proprio perché ne ignora le ragioni.

4.- La legislazione regionale

In un siffatto scenario, nel quale la law in action, il diritto vivente come


applicato dai giudici amministrativi, sembra smentire radicalmente le ripetute e
diffuse affermazioni secondo cui l'agricoltore sarebbe «il custode del territorio»,
riducendole a formule declamatorie, prive di contenuto precettivo, si sono affacciate
le Regioni, come attori nuovi e autorevoli, capaci di modificare la trama stessa della
vicenda, oltre che i singoli contenuti disciplinari.
Il periodo di avvio di questa esperienza è quello della c.d. «seconda
regionalizzazione».
Fra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 talune leggi regionali hanno
cominciato ad attribuire specifico rilievo alle attività agricole, all'interno di un
complessivo progetto di governo del territorio, che ha visto l’elaborazione di formule
originali ed anticipatrici (GIUFFRIDA 1981) (19).
Sicché già alla metà degli anni ’90 si contavano circa 350 leggi regionali in
tema di disciplina urbanistica.
Le scelte di regolazione delle regioni rinviano ad una nuova prospettiva, per la
quale a partire da quegli anni risulta ormai minoritaria la tradizionale lettura
dell'urbanistica come disciplina del costruire nelle città, avendo raggiunto

(16) T.R.G.A. Trentino Alto Adige Bolzano, 19 gennaio 1993, n. 9.


(17)Cons. Stato, V, 9 marzo 1995, n. 327, in Cons. Stato, 1995, I, 351.
(18) Ordinanza Corte cost. 16 maggio 1995, in Riv.dir.agr., 1996, II, 214.
(19) V. già la legge regione Sicilia 27 dicembre 1978, n.71.
118

maggioritario consenso l'individuazione dell'urbanistica, conformemente all'art. 80


del DPR 616/1977 (20), come materia concernente «La disciplina dell'uso del
territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti
le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonché la protezione
dell'ambiente» (FRANCARIO 1986).
Si possono ricordare fra le prime leggi regionali che introducono una generale
disciplina urbanistica ed all’interno di questa dettano disposizioni specifiche per le
zone agricole, la legge regione Piemonte 5 dicembre 1978, n. 56, la legge regione
Emilia Romagna 7 dicembre 1978, n. 47, la legge Provincia autonoma Bolzano 24
novembre 1980, n. 34, la legge regione Puglia 31 maggio 1980, n. 56, la legge
regione Campania 20 marzo 1982, n. 14; e fra le leggi esclusivamente indirizzate alle
zone agricole la legge regione Veneto 13 settembre 1978, n. 58, la legge regione
Toscana 19 febbraio 1979, n. 10, la legge regione Lombardia 7 giugno 1980 n. 93.
Si viene in tal modo affermando una legislazione regionale per i territori
agricoli, costruita con un doppio piano di operatività, da un lato comprendente norme
«destinate ad ordinare e condizionare l'area dei soggetti pubblici investiti di
competenze urbanistiche», dall'altro introducente «un piano di prescrizioni
immediatamente vincolate per i soggetti privati» (21).
Negli anni ’90, poi, talune leggi regionali introducono, nella generale
disciplina del regime d’uso dei suoli e quale essenziale componente di questa,
l’attribuzione all'interesse agricolo di un'espressa tutela in positivo (22), all'interno di
un progetto di tutela di ampio orizzonte, inteso «a salvaguardare i diritti delle
generazioni presenti e future a fruire delle risorse del territorio» (23) e segnato dalla
dichiarata (e non modesta) ambizione di dare regola - ben oltre il costruire - all'intero
insieme di attività che coinvolgono l'utilizzazione delle risorse naturale.
Sicché si legge, ad esempio in apertura della legge della regione Toscana n. 5
del 1995: «sono risorse naturali del territorio l'aria, l'acqua, il suolo, gli ecosistemi
della fauna e della flora ... Sono risorse essenziali del territorio le risorse naturali, le
città e i sistemi degli insediamenti, il paesaggio, i documenti materiali della cultura, i
sistemi infrastrutturali e tecnologici» (24).
La realizzazione di questi obiettivi è perseguita anzitutto attraverso le norme
generali per la tutela e l'uso del territorio, indirizzate ai pubblici poterei, ai quali si
impone di rispettare una dichiarata gerarchia di valori e di interessi, secondo cui:

(20)
(21) Così la sentenza della Corte cost. 13 luglio 1990, n. 327, in Foro it., 1991, I, 2010, e in
Riv.dir.agr., 1990, II, 18, che ha riconosciuto la legittimità costituzionale delle deliberazioni del
consiglio regionale dell'Emilia-Romagna n. 2620 del 29 giugno 1989 e n. 2897 del 30 novembre 1989,
intese a disciplinare l'intero territorio regionale in sede di adozione del piano paesistico regionale di cui
all'art. 1 bis l. 8 agosto 1985, n. 431.
(22) V., negli anni '90, fra le più significative, la legge regione Toscana 16 gennaio 1995, n. 5, «Norme
per il governo del territorio», e da ultimo la legge regione Lazio 22 dicembre 1999, n.38, «Norme sul
governo del territorio», e la legge regione Emilia-Romagna, 24 marzo 2000, n.20, «Disciplina generale
sulla tutela e l'uso del territorio».
(23) Così l'art. 1 della legge regione Toscana 16 gennaio 1995, n. 5.
(24) Così l’art. 2 della legge regione Toscana ult. cit.
119

«1. Gli atti di programmazione e di pianificazione territoriale si conformano ai


principi generali di cui ai seguenti commi.
2. Gli atti di programmazione e di pianificazione territoriale assicurano
l'adempimento delle finalità previste dalle leggi nazionali e regionali in materia di
protezione delle bellezze naturali e di tutela delle zone di particolare interesse
ambientale.
3. Nessuna risorsa naturale del territorio può essere ridotta in modo
significativo e irreversibile in riferimento agli equilibri degli ecosistemi di cui è
componente. Le azioni di trasformazione del territorio sono soggette a procedure
preventive di valutazione degli effetti ambientali previste dalla legge. Le azioni di
trasformazione del territorio devono essere valutate e analizzate in base a un bilancio
complessivo degli effetti su tutte le risorse essenziali del territorio.
4. Nuovi impegni del suolo a fini insediativi e infrastrutturali sono di norma
consentiti quando non sussistono alternative di riuso e riorganizzazione degli
insediamenti e infrastrutture esistenti. Devono comunque concorrere alla
riqualificazione dei sistemi insediativi e degli assetti territoriali nel loro insieme ed
alla prevenzione e recupero del degrado ambientale» (25).
Nel contempo, la specifica legislazione per l'edilizia nelle zone rurali traduce i
generali enunciati programmatici in misura di diretta applicazione.
La realizzazione di nuovi edifici nelle zone agricole è consentita soltanto in
funzione di un programma di miglioramento agricolo aziendale, e subordinatamente
alla disponibilità di alcune superfici fondiarie minime, variamente dimensionate in
funzione del tipo di coltura (da 0,8 ha per colture ortoflorovivaistiche specialistiche, a
50 ha per bosco ceduo e pascolo cespugliato) (26), così riprendendo le indicazioni in
favore del metodo delle tipologie aziendali agricole.
L'elemento di originalità è evidente: la legislazione regionale passa dalla
ripresa di modelli comunali ad «una sorta di funzione di disciplina sostanziale del
potere di pianificazione», con una «modulazione delle prescrizioni in funzione delle
caratteristiche delle singole zone» (URBANI 1994).
All’elemento quantitativo, dimensionale, si accompagna l’elemento
teleologico, quale necessario presupposto per la concessione ad edificare: «Le
concessioni edilizie per la costruzione di nuovi edifici sono rilasciate esclusivamente
alle aziende presentatrici dei programmi di cui all' art.4, se approvati» (27) e così
presentatrici di un «Programma di miglioramento agricolo ambientale», di durata
almeno decennale (28).
Ne emerge un passaggio fortemente innovativo: la concessione ad edificare un
immobile nelle zone rurali è data non in funzione delle caratteristiche del bene
investito, dell'area dotata di caratteristiche materiali e quantitative, determinate

(25) Art.5 della legge regione Toscana ult.cit.


(26) V. l'art.3 legge regione Toscana 14 aprile 1995, n.64, «Disciplina degli interventi di trasformazione
urbanistica ed edilizia nelle zone con prevalente funzione agricola», modificata con leggi regione
Toscana 4 aprile 1997, n.25, e 27 novembre 1997, n.88.
(27) Art.3 legge regione Toscana ult. cit.
(28) Art.4 legge regione Toscana ult. cit.
120

secondo i canoni tradizionali dell'edilizia e dell'urbanistica, ad esempio attraverso


indici di fabbricabilità in funzione della superficie scoperta interessata.
Non è un bene, l'edificio, che accede ad altro bene, il fondo, il terreno (che,
secondo talune tradizionali formule di lettura della proprietà, avrebbe contenuto il
primo quasi come una germinazione del secondo), ma è un'attività (l'edificare), che
accede ad un'altra attività (il coltivare) che la giustifica e la sostiene.
E’ l'esercizio dell'impresa agricola che consente l'edificazione.
Sono scelte legislative di scandalo per taluni studiosi del diritto
amministrativo, che più volte hanno affermato che il diritto urbanistico sarebbe
esclusivamente disciplina di beni e non di attività.
In realtà, la tensione verso una plurima funzionalizzazione delle regole in tema
di destinazione d'uso degli immobili non investe i soli fondi agricoli. E’ sufficiente in
proposito pensare alle vicende in tema di destinazione d'uso delle botteghe storiche
(29) (URBANI-CIVITARESE 2000). Ma il passaggio da una disciplina di beni ad una
disciplina di attività non è senza conseguenze, quanto ai contenuti della disciplina e
quanto ai destinatari di questa.
Quando si subordina alle esigenze dell'agricoltura la possibilità di ottenere una
concessione edilizia nelle zone agricole, il parametro al quale si riferisce la possibilità
del costruire non è più il parametro quantitativo tradizionale della legislazione
urbanistica nazionale (vale a dire: x metri cubi per y metri quadri), ma un parametro
diverso, prospettico, per il quale l'edificare deve essere motivato e garantito da un
progetto del fare, da un’integrazione fra la dinamica dell'impresa e una materialità
fatta di mattoni, di pietra, di cemento, di cose che rimangono.
La difficoltà è quella di sostituire ai tradizionali canoni del costruire, che
individuano meccanismi facili, semplici, esterni all'agire, risolventesi in formule
matematiche di vincolo quantitativo (metri cubi, metri quadri, altezza, inclinazione
del tetto, ecc.), nuove formule, più complesse, legate al fare.
Se gli oggetti e le forme del costruire sono legati al fare; se occorre dare
regime all'attività, fissare il mutevole, non è sufficiente la tavola di progetto che
disegna l'opera, occorre garantire la destinazione, un facere positivo protratto nel
tempo; occorre ricercare altri strumenti, e così l’atto d’obbligo, il vincolo
pertinenziale, l’investire superfici ben più ampie di quelle oggetto della costruzione e
in termini originali rispetto a quelli correnti, introdurre vincoli di indivisibilità e di
non commerciabilità autonoma di un bene realizzato al servizio di un fare; insomma
costruire modelli e contenuti dinamici di una proprietà immobiliare che
tradizionalmente si vorrebbe statica quasi per la sua stessa natura.
Lo stesso meccanismo del vincolo, pur necessario, non è sufficiente:
all'impegno in negativo a non modificare la destinazione d'uso vincolata, si affianca
l'impegno in positivo ad effettuare gli interventi aziendali progettati e a realizzare gli
interventi di sistemazione ambientale previsti (30).
I vincoli e gli obblighi non investono più soltanto il bene, o la relazione
privilegiata del bene edificio con altri beni (ad esempio prevedendo l’inalienabilità

(29) V. la sentenza della Corte costituzionale 30 luglio 1992, n.388, in Le Regioni, 1993, 885.
(30) Cfr., ad esempio, l'art. 4 legge regione Toscana 14 aprile 1995, n.64.
121

del fabbricato separatamente dal fondo), ma la stessa attività, cui l’imprenditore


agricolo si impegna in riferimento sia ad iniziative produttive, sia ad iniziative di
protezione ambientale, assicurando il rispetto di tempi e fasi di realizzazione del
programma anche attraverso specifiche garanzie (31).
Si ripete con ciò una vicenda normativa già conosciuta, per la quale
l'esperienza regionale anticipa quella statale. Esemplare in tal senso la vicenda della
legislazione in materia di agriturismo, ove le regioni hanno rivelato un fenomeno
nuovo ed hanno dovuto inventare categorie, formule e modalità, scontando le
inevitabili incertezze e ambiguità, solo successivamente affrontate in chiave
sistematica dalla legislazione nazionale (ALBISINNI 1993).
Le scelte regionali stentano però a trovare ascolto e vengono severamente
criticate da alcuni commentatori, che richiamano la pianificazione urbanistica ad
esclusivi compiti di disciplina dei beni e non delle attività (32). La stessa legislazione
nazionale in materia – come si è già ricordato - appare priva di specifica attenzione
verso l'interesse agricolo.
Ripercorrendo itinerari più volte percorsi dal diritto agrario, ad esempio in
tema di ampliamento della categoria delle attività connesse, alcuni elementi
anticipatori si rinvengono piuttosto in talune leggi di settore, che dettano un regime
anche urbanistico privilegiato in funzione di attività e di soggetti, specificamente
individuati quali portatori di interessi agricoli peculiari.
Così la legge quadro sull'agriturismo, 5 dicembre 1985 n. 730, all'art. 2 precisa
che lo svolgimento di attività agrituristiche non costituisce distrazione dalla
destinazione agricola dei fondi e degli edifici interessati, a condizione che siano
rispettati i presupposti della legge, quindi sia i requisiti oggettivi (l'inerenza della
nuova attività di ospitalità ad un'attività di produzione agricola), che quelli soggettivi
(la qualità di imprenditore agricolo). Il regime urbanistico del bene viene con ciò
fatto derivare dalla natura e dal regime dell'attività.
La legge 8 agosto 1985 n. 431, per la tutela delle zone di particolare interesse
ambientale (33) introduce la tutela dell'ambiente come principio informatore generale,
prevede i piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori
paesistici e ambientali, limita l'edificabilità nelle zone boscate ed esonera dalla
necessità della previa autorizzazione di cui all'art.7 della legge 29 giugno 1939 n.
1497 le sole opere necessarie per l'esercizio delle attività agro-silvo-pastorale che non
comportino alterazioni permanenti dello stato dei luoghi (URBANI-CIVITARESE
2000). In prosieguo la legge n.183 del 1989, come modificata e integrata dalla legge
n.253 del 1990 (34), fa della «difesa del suolo» un concetto giuridico unitario
(ABRAMI 1991, 1995).

(31) V. la disciplina di dettaglio introdotta dall’art.4 della legge regione Toscana ult.cit.
(32) Cfr. Corte cost., ord. 23 giugno 1988 n. 709 e n. 714, in Giur. costit., 1988, I, 3251, e in Le
Regioni, 1989, 959.
(33) Legge 8 agosto 1985, n.431, che ha convertito il decreto legge 27 giugno 1985, n.312.
(34) Legge 18 maggio 1989, n.183, «Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del
suolo», modificata e integrata con legge 7 agosto 1990, n.253, «Disposizioni integrative della L. 18
maggio 1989 n.183 recante norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo».
122

Più di recente la nuova legge sulle zone montane, 31 gennaio 1994 n. 97 (35),
all' art. 7 prevede specifici interventi sul patrimonio monumentale e di edilizia rurale,
al fine di consolidare e sviluppare le attività economiche e migliorare i servizi,
sottolineando la rilevanza del momento dinamico dell' attività di impresa anche al
fine di dettare il regime degli interventi sui beni.

5.- Gli orientamenti della Corte costituzionale

In questo quadro è intervenuta, alla metà degli anni ’90, la Corte


costituzionale, con una decisione (36) che risulta di particolare rilievo per
l'autorevolezza con cui ha indicato al legislatore nazionale, oltre che all' interprete ed
al pubblico amministratore, un modello pianificatorio complessivo che investe l'intero
territorio, sottolineando l'interesse agricolo quale valore di rango costituzionale
suscettibile di tutela ex se nell' ambito del regime urbanistico, con ciò superando
precedenti orientamenti della stessa Corte che avevano privilegiato l' aspetto
«urbano» della disciplina.
Il ruolo anticipatore delle richiamate esperienze regionali ha dunque trovato
conforto nei più recenti orientamenti di quella stessa Corte costituzionale, che negli
anni '70 aveva considerato le esigenze dell’agricoltura obiettivamente e
intrinsecamente alternative rispetto a quelle ambientali (37).
La novità è ancor più significativa ove si consideri che una non dichiarata, ma
largamente presupposta, contrapposizione fra agricoltura e ambiente è rimasta a lungo
presente negli atti formali con cui il Parlamento si esprime (cioè le leggi nazionali), al
di là delle dichiarazioni di intenti. Sicché occorre distinguere un piano delle
dichiarazioni, delle declamazioni, tipico di molte posizioni, non solo nazionali, e un
piano dei provvedimenti, con cui devono concretamente misurarsi il cittadino,
l'imprenditore agricolo, e il pubblico amministratore.
D'altro canto il credito che continua tralatiziamente a godere la
contrapposizione fra «agricoltura-produzione» e «agricoltura-protezione», conferma -
prima di qualunque analisi di dettaglio - la vischiosità di categorie, originali quando
elaborate al tempo del D.P.R. 616/1977, ma manifestamente inadeguate a spiegare
un'agricoltura dell'oggi, che deve tutta e necessariamente collocarsi nel paradigma
dello «sviluppo sostenibile».
La Corte costituzionale, chiamata a decidere sulla legittimità costituzionale di
una legge della Regione Lombardia (38), che, aderendo ai nuovi modelli
soprarammentati, nelle zone agricole consente la realizzazione di interventi edilizi
soltanto in funzione delle esigenze di coltivazione del fondo e subordinatamente al

(35) «Nuove disposizioni per le zone montane».


(36) Corte cost., ord. 16 maggio 1995, in Riv.dir.agr., 1996, II, 201; su cui v. amplius il successivo cap.
IX.
(37) Corte cost. 24 luglio 1972, n.142, in Foro it. 1972, I, 3345.
(38) Artt.2 e 3 della già ricordata legge regione Lombardia 7 giugno 1980, n.93, «Norme in materia di
edificazione nelle zone agricole».
123

possesso di determinati requisiti soggettivi (qualità di imprenditore agricolo a titolo


principale o figure assimilate), ha dichiarato la legittimità di tale legge. La norma era
stata censurata dal TAR Lombardia, siccome ritenuta in contrasto con un modello
ricostruttivo, secondo il quale la disponibilità di una certa superficie in metri quadrati
avrebbe dovuto comunque dare diritto a realizzare un certo numero di metri cubi,
laddove vincolare l'edificare ad un progetto del produrre avrebbe importato
un'ingiusta discriminazione fra soggetti, in ragione di fattori da ritenere irrilevanti
sotto il profilo urbanistico ed esorbitanti dalla materia "urbanistica" attribuita alla
competenza regionale. In altre parole, per il giudice del merito amministrativo,
subordinare l'edificare ad un progetto del produrre avrebbe importato una
compressione di diritti dominicali, esorbitante dall'ambito delle competenze regionali.
La Corte costituzionale ha respinto la censura del TAR Milano e ha
confermato la legittimità della legge, sulla base di un’importante affermazione di
principio: le scelte del legislatore regionale, dirette a limitare l’utilizzazione edilizia
dei territori agricoli, a frenare il processo di erosione dello spazio destinato alle
colture, sono da considerarsi legittime perché trovano fondamento nell’articolo 44
della costituzione, che intende conseguire il razionale sfruttamento del suolo.
Ha concluso la Corte: «gli artt.2, 1^ comma, e 3 della legge Regione
Lombardia n. 93 del 1980, oggetto di contestazione da parte del giudice a quo, sono
frutto di un'insindacabile scelta del legislatore regionale, diretta a limitare
l'utilizzazione edilizia dei territori agricoli e a frenare il processo di erosione dello
spazio destinato alle colture, scelta che ha il proprio fondamento nell'art.44 della
Cost., il quale “al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire
equi rapporti sociali”, facoltizza il legislatore, anche regionale, a predisporre aiuti e
sostegni all'impresa agricola e alla proprietà coltivatrice».
Il giudice delle leggi ha consacrato così le più recenti letture dell'art.44 cost.,
secondo le quali per «razionale sfruttamento del suolo» non è da intendersi un dato
meramente quantitativo, ma piuttosto una produzione che rispetti le vocazioni
naturali, e ha riconosciuto l'agricoltura quale interesse meritevole di privilegiata
considerazione nella legislazione (anche, ma non solo, urbanistica), in ragione di un
impegno, che travalica i semplici aspetti produttivi e si fa garante di un uso del suolo
conforme alle vocazioni e alle possibilità naturali.
Sicché, se si assume come regola di diritto che l’agricoltura è il canone
rispetto al quale valutare gli altri interessi e le altre potenziali utilità ritraibili dal
territorio, le regole d'uso e di destinazione del territorio agricolo non sono più vincoli
esterni, imposizioni, sottrazioni rispetto a un poter fare, ma al contrario esplicitazione
e valorizzazione di ciò che è nella natura delle cose.
Non va dimenticato che il Consiglio di Stato ancora nel 1991 aveva dichiarato
illegittima la prescrizione del P.R.G. di S. Benedetto del Tronto, in forza della quale
lo jus aedificandi era riservato ai soli proprietari coltivatori diretti concedenti o
conduttori di licenza nonché agli affittuari e mezzadri che avevano acquisito il diritto
di sostituirsi al proprietario nella esecuzione di opere oggetto della concessione,
«risolvendosi la stessa in una non consentita discriminazione da parte dello strumento
urbanistico nel diritto alla concessione edilizia in base a qualità personali»; con
decisione così massimata: «In sede di pianificazione urbanistica, la destinazione a
124

verde agricolo non è imposta ai fini della salvaguardia di interessi agricoli, ma come
mezzo di disciplina urbanistica del territorio allo scopo di evitare addensamenti
edilizi e espansioni pregiudizievoli ad un corretto insediamento urbano del territorio»
(39).
La Corte costituzionale ha chiuso decisamente a queste argomentazioni, sino
ad allora largamente dominanti, con esiti che investono ben più della sola definizione
di possibili conflitti di competenza in ordine al soggetto (Stato, Regioni, od Enti
locali) legittimato a fissare le regole del costruire.
Ne emerge un dinamismo delle regole, capaci di proporsi in una dimensione
sistematica, che nell'agricoltura territoriale (meglio: in un consolidato inter-essere fra
agricoltura e territorio, e così in un condiviso interesse) trova un canone ordinatore
generale, modulato in funzione di una pluralità di bisogni non antagonisti.

6.- La dimensione proprietaria

Con la pronuncia del 1995 sulle zone agricole, che si colloca lungo un
percorso che aveva visto plurimi momenti di conflitto Stato-Regioni, la Corte
Costituzionale per un verso ha confermato una nozione ben ampia di urbanistica, che
comprende tutto ciò che concerne l’uso del territorio, nozione assai diversa da quella
limitativa accolta all’inizio degli anni ‘70 (40), e per altro verso ha segnato una
rilevante novità, lì ove ha richiamato l’art.44 cost. quale canone fondante della
disciplina urbanistica, oltre che dei rapporti agrari.
Per la dottrina agraristica è acquisito da tempo il richiamo all'art. 44 cost.,
come norma che collega dinamicamente proprietà ed impresa e in questo
collegamento dinamico trova le ragioni di «obblighi e vincoli alla proprietà terriera
privata». Sicché uno studioso, già all’inizio degli anni ’80, con significativa
anticipazione, aveva potuto ipotizzare «non lontana una legislazione urbanistica a
favore dell’agricoltura o delle zone verdi che imponga, in analogia ai vincoli
idrogeologici, anche vincoli di coltivazione o di mantenimento a verde nella
pianificazione del territorio» (GALLONI 1983).
Al contrario, nella riflessione degli studiosi della disciplina urbanistica l’art.44
cost. è stato a lungo tempo trascurato, mentre il fondamento dell’intera disciplina
veniva comunemente trovato nell'art. 42 cost. e così nella riserva in favore della
«legge che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti», con formula
significativamente diversa sia dagli «obblighi» dell'art.44, sia dai «programmi e
controlli» dell'art.41.
La sottolineatura sul versante proprietario è risultata paradossalmente
confermata - secondo accreditati commenti - perfino dalla legge Bucalossi,
dichiaratamente ispirata ad un disegno di separazione fra posizione dominicale e jus

(39) Cons. Stato, V, 19 settembre 1991, n. 1168, in Cons. Stato, 1991, I, 1336.
(40) Corte cost., 24 luglio 1972, n.141, in Giur.cost. 1972, I, 596.
125

aedificandi (41), lì ove all'art.4, primo e sesto comma, prevede: «La concessione è
data dal sindaco al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederla», mentre il
vecchio testo dell'art.31 della legge urbanistica del 1942 riconosceva la facoltà di
richiedere la licenza ad edificare a «Chiunque intenda nell'ambito del territorio
comunale eseguire nuove costruzioni, ampliare, modificare o demolire quelle esistenti
ovvero procedere all'esecuzione di opere di urbanizzazione del terreno deve chiedere
apposita licenza al sindaco».
Come è stato osservato: «La legge 10/1977 (art.4, primo e sesto comma)
legittima esplicitamente il proprietario o chi abbia titolo - e non altri - a richiedere la
concessione o il trasferimento», «Il proprietario perde la facoltà di trasformare e
costruire che viene riservata al potere pubblico, mentre una diversa facoltà viene
riservata al proprietario e solo a lui (o all'avente titolo, di cui parleremo poi), cioè
quella di chiedere la concessione, additiva proprio perché aggiunge facoltà nuove alla
situazione del proprietario» (PREDIERI 1977).
Del resto, tale costruzione è coerente con la risalente impostazione del codice
civile, che all'art. 869 intitolato ai «Piani regolatori» dispone: «I proprietari
d'immobili nei comuni dove sono formati piani regolatori devono osservare le
prescrizioni dei piani stessi nelle costruzioni e nelle riedificazioni o modificazioni
delle costruzioni esistenti».

7.- L’edificare nelle aree rurali come attività dell’impresa agricola: dallo ius
aedificandi allo ius colendi

Se l'edificare è del proprietario, si resta nel versante dei limiti esterni, dei
contenuti più o meno immanenti della condizione proprietaria, e quindi nelle dispute
infinite circa l'indennità di esproprio e il contenuto ablatorio delle limitazioni alla
facoltà di costruire e di utilizzare il bene secondo gli individuali desideri dominicali.
Ma, alla stregua della legislazione regionale surrichiamata, il proprietario del
fondo agricolo in quanto tale non ha la facoltà di costruire, e può costruire in zona
agricola solo in quanto si faccia imprenditore agricolo, ovvero consenta ad altri di
farsi imprenditore agricolo sul suo fondo, subendone però una conformazione a lungo
termine del bene (42).
Nello stesso tempo l'imprenditore agricolo non per ciò stesso può costruire
autodeterminandosi, ma deve accettare un sindacato di coerenza del suo progetto
rispetto agli interessi ambientali (43).
L'edificare nelle zone rurali è dunque attività riservata all'impresa agricola, e
specificamente all’impresa agricola coerente ad un progetto che valorizza - fra gli
elementi connotanti - il rispetto dell’interesse ambientale. La conformazione
dell'iniziativa costituisce uno dato essenziale e si risolve nella forma dell'essere

(41) Legge 10 gennaio 1977, n.10.


(42) Cfr. gli artt. 3 e 4 della legge regione Toscana 16 gennaio 1995, n.5.
(43) Cfr. gli artt. 19 e 20 della legge regione Lombardia 23 aprile 1990, n.24, soprarichiamati.
126

impresa in coerenza con le finalità proposte, secondo i "programmi e i controlli" dell'


art.41.
L'interesse agricolo diventa interesse protetto nella disciplina urbanistica nella
misura in cui esso stesso è cambiato, è diventato interesse che ha assunto al proprio
interno come necessario componente l'interesse ambientale; e così l’utilizzazione
delle risorse naturali secondo la loro vocazione nel rispetto dei canoni dello sviluppo
sostenibile (44); nello stesso tempo è un interesse che muove il proprio fulcro dalla
proprietà all’impresa e assume quei connotati del rispetto dei «programmi e controlli»
di legge (in questo caso, il rispetto dei programmi ambientali) che l'art.41 attribuisce
ad ogni impresa.
Le leggi regionali, insomma, negano il diritto a costruire al proprietario in
quanto tale, operando un processo di ablazione certo non irrilevante.
La disciplina urbanistica delle zone rurali, però, se assume la dignità di regola
di attività oltre che di beni, non può limitarsi ai soli fondi rustici. Nel medesimo
tempo l'art.44 cost., inteso come canone di corretto utilizzo delle risorse naturali,
ampia la sua area di operatività verso le aree antropizzate.
Il razionale sfruttamento del suolo, infatti, non può comprendere solo i singoli
fondi rustici delle singole aziende, ma investe l'intero complesso delle varie iniziative
d'impresa nel territorio. E dal diritto del territorio agricolo tornano alcune indicazioni
a ricercare negli artt.41 e 44 cost., prima ancora che nell'art.42 cost. (GERMANO’-
ROOK BASILE 1981), una base costituzionale dell'urbanistica come disciplina d'uso
delle risorse territoriali.
L’intero modello delle regole del costruire ne risulta radicalmente modificato.
Come è stato efficacemente osservato, nel 1980, ben prima degli ultimi
sviluppi soprariferiti, da un Maestro del diritto agrario: «Non è del tutto campata in
aria l'ipotesi di un'evoluzione del regime della proprietà fondiaria agraria simile a
quella che in questo momento si sta verificando in Italia in seguito alla entrata in
vigore della nuova legge del 1977 sulla edificabilità dei suoli (legge Bucalossi). Una
delle innovazioni giudicate di maggior rilievo in questa branca legislativa consiste nel
distacco accentuato dal diritto del proprietario fondiario del cosiddetto ius
aedificandi. … Ebbene, i sintomi di un processo analogo sono avvertibili per quanto
concerne il diritto di proprietà della terra coltivabile. In altri termini, è prevedibile una
vicenda di dissociazione anche di questo diritto, dal quale potrebbe staccarsi una
facoltà che - per simmetria con il suddetto ius aedificandi relativo alla proprietà del
suolo edilizio - potrebbe prendere il nome di ius colendi: anch'esso, come il ius
aedificandi, suscettibile di essere acquistato (dal titolare delle restanti facoltà che
formano la proprietà oppure da un terzo …) per effetto di una concessione
amministrativa; anch'esso, come il ius aedificandi, soggetto nella fase del suo
esercizio agli interventi della autorità amministrativa a scopo di indirizzo e di
controllo» (CARROZZA 1980).
Ne emerge uno ius colendi come conformazione dell'attività produttiva
agricola (quale risulta, ad esempio, dalle note vicende in tema di quote di
produzione); ma anche uno ius colendi quale formula sintetica per il complesso di

(44) Art.1 legge Toscana 16 gennaio 1995, n.5 cit.


127

facoltà e poteri che, in un nuovo quadro di regole, compongono lo statuto dell'impresa


agricola, non quale semplice esonero dalle regole dell'impresa commerciale, ma
piuttosto come affermazione di potestà riservate (e fra queste quella dell'edificare) in
ragione delle plurime missioni assegnate all'agricoltura.
Nelle più recenti esperienze di disciplina urbanistica delle zone agricole, lo ius
aedificandi, dunque, non è più un attributo della proprietà, ma piuttosto un momento
di esercizio dell’impresa in agricoltura.
128

IX

L'INTERESSE AGRICOLO E LA CORTE COSTITUZIONALE

1.- Il contenzioso sulla legislazione regionale per le zone agricole


2.- La decisione del 1995
3.- Da una disciplina di beni ad una disciplina di attività
4.- La perdurante incertezza sui contenuti dell’agricoltura

1.- Il contenzioso sulla legislazione regionale per le zone agricole

Negli anni ’80 sono state più volte sottoposte al giudizio della Corte
costituzionale le leggi regionali in tema di edilizia nelle zone agricole.
La Corte in particolare si è pronunciata sulla legge della regione Lombardia 7
giugno 1980, n. 93 (1), e sulla legge della regione Toscana 19 febbraio 1979, n. 10 (2),
dichiarando infondate le questioni di legittimità costituzionale così sollevate.
In tali ordinanze, peraltro, era rimasto in ombra il profilo di antagonistica
tutela fra interessi agricoli e non agricoli, rispetto ad una prospettiva che faceva perno
su profili soggettivi di protezione, quali la famiglia coltivatrice, l' imprenditore
agricolo a titolo principale, e simili.
Negli anni ’90 il TAR Lombardia, ha nuovamente rimesso innanzi alla Corte
Costituzionale la questione di legittimità della legge regione Lombardia n. 93 del
1980, ritenendo che le disposizioni di tale legge: «violano, per un verso, l'art.3 e per
altro l'art.117 della Cost. per il fatto che, mentre discriminano irragionevolmente la
posizione di chi svolge l'attività agricola in modo professionale o principale rispetto a
quella di chi non l'esercita, ledono i principi desumibili alle norme statali (in
particolare l'art.1 della legge 28 gennaio 1977 n.10 e gli artt. 7, 8 e 25 della legge 28
febbraio 1985 n.47) alla luce della giurisprudenza costituzionale, che afferma
l'irrilevanza, ai fini urbanistici, delle concrete modalità di utilizzazione
dell'immobile» (3).
Le norme della legge regione Lombardia 7 giugno 1980 n. 93, sottoposte al
giudice delle leggi, recitano:

(1) Corte cost., ord. 23 giugno 1988 n. 714, in Giur. costit., 1988, I, 3251, e in Le Regioni, 1989, 959.
(2) Corte cost., ord. 23 giugno 1988 n. 709, in Giur. costit., 1988, I, 3236, e in Le Regioni, 1989, 938.
(3) Ordinanza di rimessione del TAR Lombardia, quale richiamata nella ordinanza 16 maggio 1995
della Corte cost., cit.
129

- art. 2, primo comma: «In tutte le aree destinate dagli strumenti urbanistici
generali a zona agricola sono ammesse esclusivamente le opere realizzate in funzione
della conduzione del fondo e destinate alle residenze dell'imprenditore agricolo e dei
dipendenti dell'azienda, nonché alle attrezzature e infrastrutture produttive quali
stalle, silos, serre, magazzini, locali per la lavorazione e la conservazione e vendita
dei prodotti agricoli secondo i criteri e le modalità previsti dal successivo art. 3»;
- art.3: «1. In tutte le aree previste dagli strumenti urbanistici generali come
zone agricole, la concessione edilizia può essere rilasciata esclusivamente:
a) all'imprenditore agricolo singolo o associato, iscritto all'albo di cui alla
legge regionale 13.04.1974, n. 18, per tutti gli interventi di cui al precedente articolo
2, primo comma, a titolo gratuito ai sensi dell'art. 9, lettera a), della legge 28.01.1977,
n. 10;
b) al titolare o al legale rappresentante dell'impresa agricola per la
realizzazione delle sole attrezzature ed infrastrutture produttive e delle sole abitazioni
per i salariati agricoli, subordinatamente al versamento dei contributi di concessione;
c) limitatamente ai territori dei comuni indicati nella tabella allegata alla legge
regionale 19 novembre 1976, n. 51, ai soggetti aventi i requisiti di cui all'art. 8 della
legge 10 maggio 1976, n. 352 e all'art. 8, punto 4) della legge regionale sopraccitata,
subordinatamente al pagamento dei contributi di concessione, per tutti gli interventi di
cui al precedente art. 2 primo comma.
2. La concessione è tuttavia subordinata:
a) alla presentazione al sindaco di un atto di impegno che preveda il
mantenimento della destinazione dell'immobile al servizio dell'attività.. agricola, da
trascriversi a cura e spese del concessionario sui registri della proprietà immobiliare;
tale vincolo decade a seguito di variazione della destinazione di zona riguardante
l'area interessata, operata dagli strumenti urbanistici generali;
b) all'accertamento da parte del sindaco dell'effettiva esistenza e
funzionamento dell'azienda agricola;
c) limitatamente ai soggetti di cui alla lettera b) del precedente primo comma,
anche alla presentazione al sindaco, contestualmente alla richiesta di concessione
edilizia, di specifica certificazione disposta dal servizio provinciale agricoltura,
foreste e alimentazione competente per territorio, che attesti, anche in termini
quantitativi, le esigenze edilizie connesse alla conduzione dell'impresa;
3. Dei requisiti, dell'attestazione e delle verifiche di cui al presente articolo, è
fatta specifica menzione nel provvedimento di concessione.
4. Il sindaco deve rilasciare, contestualmente all'atto di concessione, una
attestazione relativa alle aree su cui deve essere costituito il vincolo di "non
edificazione" di cui al precedente art. 2, quinto comma.».

2.- La decisione del 1995

La Corte Costituzionale ha dichiarato infondate le questioni di legittimità


costituzionale delle disposizioni contenute nella legge censurata dal TAR della
130

Lombardia, pronunciando un'articolata ordinanza, suscettibile di differenziate letture,


con la quale è stato individuato, con forza ed in modo espresso, l' interesse agricolo
quale valore di rango costituzionale, meritevole di tutela diretta e primaria all'interno
delle scelte territoriali.
Decisivo in particolare risulta il primo argomento adottato dalla Corte, lì ove
questa fa rientrare nel «fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di
stabilire equi rapporti sociali» la scelta «diretta a limitare l'utilizzazione edilizia dei
territori agricoli e a frenare il processo di erosione dello spazio destinato alle colture»,
espandendo l'area della tutela ben oltre i limiti aziendali, in una prospettiva
comparativa di meritevolezza e di possibile conflitto rispetto ad altri beni protetti.
Così argomentando la Corte non si limita a proporre un modello difensivo,
articolato in chiave di divieti e standards dimensionali (quale quello, sopraricordato,m
introdotto dal D.M n. 1444 del 1968), né si limita a sottolineare le competenze
regionali previste dall' art. 117 cost., ma muove da un' ampia lettura dell' art. 44 cost.,
per pervenire ad enunciati che riprendono le indicazioni di quegli studiosi che
avevano sottolineato la novità di tale norma per l'individuazione di differenziate
strutture proprietarie, dinamicamente collegate all'impresa agricola, e tali da far
ipotizzare «proprietà differenziate», sia verticalmente in funzione delle dimensioni,
sia orizzontalmente in ragione dell' area geografica (montagna od altri luoghi) o delle
forme di conduzione (URBANI 1994).
Una rilettura delle precedenti ordinanze della Corte, n. 709 e 714 del 23
giugno 1988 (ABRAMI 1995), che avevano affrontato analoghe questioni, consente
di cogliere la differenza di accenti. Nell' ordinanza n. 709 l'art.44 cost. neppure era
menzionato, ed anche nell'ordinanza n. 714 tale norma è richiamata solo per
giustificare un dichiarato favore per taluni soggetti (gli imprenditori agricoli a titolo
principale, in quel caso) rispetto ad altri. Pur dichiarando la legittimità di innovative
norme regionali, si restava dunque all' interno della logica tradizionale, secondo cui
talune categorie di soggetti operanti in agricoltura - variamente individuati dall'
ordinamento nelle diverse epoche - risultavano meritevoli di esenzioni e privilegi in
funzione di considerazioni di ordine eminentemente sociale.
Non così nell' ordinanza del 1995, che sottolinea unitariamente le esigenze
produttive dell' agricoltura ed insieme la scelta di «frenare il processo di erosione
dello spazio destinato alle colture», sicché‚ il richiamo al trattamento differenziato
accordato agli «imprenditori agricoli o ad altre figure assimilate» risponde ad una
logica complessiva di coerenza con le vocazioni territoriali; il soggetto agricoltore,
insomma, non quale destinatario di provvidenze legate ad uno status di disagio, ma
piuttosto quale espressione e garanzia dell' interesse che si valuta meritevole di tutela.
Con ciò un punto d'arrivo: l'interesse agricolo quale interesse rilevante nelle
scelte urbanistiche non solo perché tutelato dalle leggi regionali, ma ancora prima
perché riconosciuto nella stessa carta costituzionale. Dunque un interesse che può
essere azionato giudizialmente per sindacare le scelte operate sul territorio, anche
nelle aree e regioni che non hanno ancora adottato normative simili a quelle introdotte
dalla regione Lombardia e dalla regione Toscana.
131

Anticipando quanto si osserverà in prosieguo (4), con riferimento alla svolta


nella giurisprudenza amministrativa segnata nel 2003 dalla decisione del Consiglio di
Stato, che ha affermato la necessità di accertare in concreto le caratteristiche
dell’attività agricola in essere od in progetto al fine di autorizzare la costruzione di
nuovi edifici, pur nelle regioni nelle quali manchino norme di legge in tal senso, si
deve convenire che l’ordinanza del 1995 della Corte costituzionale ha lucidamente
individuato le basi fondanti di un diritto del territorio agricolo che dalla
valorizzazione costituzionale delle attività produttive deriva le stesse regole del
costruire.
In altro ambito problematico, è' stato sottolineato come la giurisprudenza della
Corte di Cassazione e della Corte dei Conti, oltre che quella della Corte
costituzionale, erano giunte ad individuare l'ambiente come bene immateriale unitario
suscettibile di tutela in sede giudiziaria, già prima della legge n. 349 del 1986; sicché
proprio la riconosciuta azionabilità in sede giudiziaria aveva espresso sotto il profilo
sostanziale «l'inserimento dell' ambiente nell' alveo delle situazioni giuridiche
soggettive», sollecitando «l'interprete ad intenderlo come bene giuridico»
(GERMANO’ 1995c).
Attraverso un percorso inverso, muovendo dalla riconosciuta esistenza della
situazione giuridica protetta dalla costituzione e dalla legge regionale quale
presupposto per un' azionabilità diffusa (5), la Consulta giunge a risultati analoghi in
riferimento alla rilevanza territoriale dell' interesse agricolo, produttivo e di
protezione ambientale.
Da qui anche un punto di partenza. La Corte respinge espressamente
l'argomento del TAR per la Lombardia, secondo cui sarebbero irrilevanti ai fini
urbanistici «le concrete modalità di utilizzazione dell'immobile». Ne segue, per
converso, che la natura dell'attività (ed a questa rinvia, nella pronuncia della Corte,
anche il richiamo allo status del soggetto imprenditore agricolo) assume portata
decisiva per la legittimazione di discipline urbanistiche differenziate.

3.- Da una disciplina di beni ad una disciplina di attività

Il trascorrere da una disciplina di beni ad una disciplina di attività importa


anche una modifica degli strumenti utilizzati, con il conseguente rinvio agli atti
d'obbligo (previsti anche nella legge reg. Lombardia all'art. 3 comma 2), come
tentativo di fissare il mutevole: di assicurare il permanere di un'attività e di
un'impresa per loro stessa natura soggetti a trasformazioni profonde ed assai pi-
rapide che nel passato.
Ne derivano i richiamati interrogativi degli studiosi del diritto urbanistico sull'
oggetto della disciplina. Ma anche una considerazione: il richiamo alle attività perde

(4) V. infra cap.XII.


(5) V. Corte Cost 21 luglio 1972 n. 141, in Foro it.. 1972, I, 3348; v. anche sent. n.64 del 10 maggio
1963 in Giust. pen., 1963, I, 232.
132

i caratteri fortemente antinomici con l'utilizzo degli strumenti della pianificazione


urbanistica, sottolineati da parte della dottrina orientata in senso tradizionale, ove si
intenda la normazione in materia come rivolta primariamente all'autorità locale di
pianificazione. Le scelte concrete vengono sollecitate ad un esame comparativo di
interessi, e sono con ciò assoggettabili ad una verifica di compatibilità, superando la
logica di indifferenziazione delle zone agricole.
Emerge, nella disciplina delle zone agricole, un elemento che comincia ad
apparire anche in altri comparti della legislazione relativa alle attività produttive, in
un significativo intreccio fra regime urbanistico della destinazione dei beni, e regime
di governo delle attività produttive.
Appare sempre più chiaro come i beni (e dunque la proprietà) risultino
conformati, definiti e destinati in ragione delle concrete utilizzazioni produttive,
sicché anche esigenze di conservazione e mantenimento dell' esistente non possono
risolversi in semplici divieti di mutamento ma debbono tradursi nell' individuazione
di elementi di economicità produttiva privilegiata; così ad esempio quanto al potere
dei Comuni di vietare in aree di particolare interesse l'esercizio di attività
imprenditoriali ritenute incompatibili (ad esempio i c.d. «fast foods») ex art. 4 d.l.
832/1986; disposizione censurata di incostituzionalità proprio perché il regime dei
beni immobili sarebbe riservato alla disciplina urbanistica (destinata a regolare i beni
nella loro materialità) e non alla disciplina delle attività economiche da intendersi
libere ex art. 41 cost. Anche nel caso dei fast foods la Corte Costituzionale aveva
respinto la censura proprio sulla base della considerazione - analoga a quella adottata
nella pronuncia qui in commento -che la funzione di utilità sociale dell' art. 41 cost.
ben può riverberarsi sul regime di destinazione dei beni e della proprietà (6).
E' considerazione oggi largamente accettata quella secondo cui la destinazione
del bene terra ad un'attività produttiva agricola non può essere rimessa alla sola
autonomia privata, risultando le destinazioni del terreno dalle scelte urbanistiche,
«cosicché può ben dirsi che le proprietà interessate sono, da tale provvedimento
amministrativo, "conformate" in un certo modo e non in un altro» (GERMANO’
1995a).
Ma è anche vero l'inverso: la pianificazione urbanistica, rinviando alle scelte
della produzione agricola (e privilegiando in taluni casi la stessa programmazione
aziendale ai fini dell'ammissibilità dell'intervento edilizio), finisce con l'essere a sua
volta «conformata» dall'attività dell'impresa agricola.
La comunicazione e la conformazione non sono a senso unico, ma corrono in
entrambe le direzioni. La programmazione territoriale ed urbanistica, nel momento in
cui trascorre dai beni alle attività, riceve da tali attività, e quindi dall'impresa, i suoi
contenuti.

4.- La perdurante incertezza sui contenuti dell’agricoltura

(6) Corte cost., sent. 30 luglio 1992 n. 388, in Le Regioni, 1993, 885.
133

In questo senso, la pronuncia della Corte ha segnato un momento decisivo per


l'affermazione dell'interesse agricolo, come interesse tutelato ex se, premiato dalla
protezione costituzionale assicurata attraverso un'ampia lettura dell'art. 44 della
Costituzione.
Un passaggio lascia però perplessi, lì ove la Corte ha scelto la strada della
dichiarazione di manifesta infondatezza pronunciata con ordinanza, anziché quella
della sentenza di rigetto, che avrebbe consentito una più compiuta coerenza, in
riferimento all'interpretazione della norma sottoposta a censura dal giudice a quo.
Il rilievo decisorio riconosciuto alle esigenze dell'agricoltura è elemento
decisivo che connota l’orientamento della Corte.
Ma, come sempre, quando le scelte differenziate di regime all'interno di un
comparto dell'ordinamento (nel caso il diritto urbanistico) rinviano a categorie di altro
comparto, si pone il problema di individuare i termini di tale rinvio, con il rischio di
un rinvio al passato e non al presente di tali categorie, e con un non desiderato (e
forse neppure consapevole) effetto di trascinamento e di limitazione.
Nel caso di specie, la concessione edilizia della cui liceità si discuteva era
quella rilasciata ad un’associazione «Centro ippico» per la costruzione di un box per
cavalli.
La questione di legittimità costituzionale sollevata dal TAR Lombardia dà per
scontata una lettura di «agricoltura» e di «imprenditore agricolo», che esclude
l'utilizzazione dei cavalli per attività diverse dalla produzione di carne o di energia
motrice. E' sufficiente rileggere, fra i documenti di quegli anni, l’Indagine conoscitiva
del Senato sull'ippicoltura (7), per constatare l’antistoricità di siffatta lettura: gli
animali da tiro o da soma sono da tempo scomparsi dall'agricoltura italiana, e le razze
equine hanno nell’oggi in Italia due sole destinazioni: il macello o la sella (per
entrambe le quali esiste una crescente domanda non soddisfatta dalla produzione
nazionale).
E' una lettura che è stata più volte, ancora in anni recenti, fatta propria dalla
giurisprudenza amministrativa ed ordinaria (8), muovendo dalla formula allevamento
del «bestiame» contenuta nel testo originario dell’art.2135 cod.civ., e che è stata
definitivamente superata sul piano legislativo solo negli ultimi anni, prima con il
decreto legislativo del 1998 che ha agrarizzato tutte le attività di allevamento di
«equini di qualsiasi razza» (9), e poi con la riforma dell’art. 2135 cod.civ. ad opera del
decreto legislativo di orientamento del 2001, che ha qualificato agricole tutte le
attività di allevamento di «animali» (10).

(7) Documento XVII n. 13 approvato il 6 marzo 1991.


(8)V. Cass. S.U. 25 novembre 1993 n. 11648, in Dir.giur.agr. 1994, 344; Cons.Stato, Sez. V, 1 marzo
1993 n. 319, in Dir.giur.agr., 1995, 249.
(9) Decr. leg.vo 30 aprile 1998, n.173, «Disposizioni in materia di contenimento dei costi di produzione
e per il rafforzamento strutturale delle imprese agricole, a norma dell’art.55, commi 14 e 15, della L.
27 dicembre 1997, n,449», il cui art.9 ha disposto: «Sono imprenditori agricoli, ai sensi dell’articolo
2135 del codice civile, anche coloro che esercitano attività di allevamento di equini di qualsiasi razza,
in connessione con l’azienda agricola».
(10) Decr. leg.vo 18 maggio 2001, n.228, «Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a
norma dell’art7 della legge 5 marzo 2001, n.57».
134

Ma già nel 1995, all’epoca della decisione della Corte costituzionale in tema
di disciplina dell’attività edilizia nelle zone agricole, una siffatta lettura restrittiva del
novero delle attività agricole ben poteva essere superata sotto diversi profili, in
riferimento ai modelli di agricoltura ambientale e territoriale proposti con crescente
rilievo in sede europea (11), alle norme tributarie di portata più ampia rispetto a quelle
civilistiche proprio in tema di allevamenti, alle numerose leggi speciali che avevano
già allora agrarizzato attività disparate fino ad includervi, ad esempio, l'attività
cinotecnica (12).
Non è questa la sede per tentare considerazioni conclusive sul punto. Occorre
solo sottolineare che privilegiare l'interesse agricolo nella pianificazione territoriale
pone necessitati interrogativi su cosa intendere per agricoltura.
La Corte Costituzionale ha compiuto un passo di grande rilievo, lì ove ha
attribuito rilevanza anche urbanistica alle ragioni dell' impresa agricola, e quindi alle
ragioni di un' agricoltura intesa nel momento dinamico e produttivo coerente con le
vocazioni del territorio. Si è però arrestata alla soglia di un modello di «agricoltura»,
che esclude possibili usi del territorio e delle risorse agricole, che in realtà non sono
affatto incompatibili con la finalità di «frenare il processo di erosione dello spazio
destinato alle colture» (per riprendere l'espressione utilizzata dalla Corte nella parte
motiva), ma che anzi con le attività agricole tradizionali possono integrarsi fornendo
nuove ragioni di economicità e così di esistenza.
Sicché la tensione verso radicali trasformazioni dei modelli di utilizzazione
delle risorse e degli stessi modelli di organizzazione dell' impresa agricola, che si è da
ultimo espressa nella riforma della definizione legale di impresa agricola con i decreti
legislativi del 2001 (13), in qualche misura è giunta ad integrare – anche in riferimento
alla disciplina del costruire - un quadro di regole per un’agricoltura presidio attivo del
territorio, che nell’ordinanza della Corte costituzionale del 1995 trova gli elementi
fondanti e gli essenziali presupposti, ma non ancora un compiuto sviluppo.

(11) V. «Il futuro del mondo rurale», Comunicazione della Commissione trasmessa al Consiglio e al
parlamento europeo del 29 luglio 1988 (COM (88) 501 def.); e la «Carta rurale europea», elaborata
dalla Commissione per l'Agricoltura e lo Sviluppo rurale dell' Assemblea Parlamentare del Consiglio
di Europa, e presentata nel Terzo Forum agricolo europeo, tenuto a Verona il 8-9 marzo 1995.
(12) Legge 23 agosto 1993, n.349, «Norme in materia di attività cinotecnica».
(13) V. supra cap.III.
135

X
ATTIVITA’AGRICOLA E PARCHI

1.- L’incerto rapporto tra agricoltura ed aree protette


2.- La legge quadro sui parchi
3.- Agricoltura multifunzionale e spazio rurale
4.- Un'esperienza di parco agricolo metropolitano

1.- L’incerto rapporto tra agricoltura ed aree protette

Il rapporto tra agricoltura ed aree protette è stato tradizionalmente costruito in


termini di conflitto fra interessi, affermazione di gerarchie comparative, che hanno
visto sovente soccombenti sia l’interesse agricolo che quello ambientale, esprimendo
una sorta di incompatibile alterità fra destinazione agricola e destinazione naturale.
Del resto, ancora negli anni '70 – come si è già ricordato (1) - la Corte
costituzionale aveva affermato che la creazione di parchi «vuole soddisfare l'interesse
di conservare integri, preservandolo da alterazione o manomissione, un insieme
paesistico dotato di una sua organicità e caratterizzato da valori estetici, scientifici,
ecologici di raro pregio, quali possono presentarsi anche in confronto a territori privi
di vegetazione o comunque, pur quando sussiste, destinati a rimanere esclusi da
quelle utilizzazioni produttive che costituiscono l'oggetto specifico dell'attività
agricola» (2).
Secondo la risalente interpretazione della Corte costituzionale sussisterebbe,
dunque, un'intrinseca contraddizione fra obiettivo protezionistico, proprio del parco, e
finalità produttive, proprie dell'agricoltura.
Ed anche in anni recenti i vivaci conflitti, che hanno visto su fronti
contrapposti i fautori della creazione di nuovi parchi e gli agricoltori e allevatori delle
zone interessate, confermano che tale orientamento della Corte costituzionale ha
espresso, su un piano formale, opinioni largamente condivise.
E’ un approccio che gli osservatori più avvertiti da tempo ritengono
inadeguato, e che meglio si comprende ove storicizzato all'interno di modelli risalenti,
diffusi negli anni '70, ma ben lontani dalle articolate enunciazioni di una politica
agricola dell'oggi, non solo comunitaria, che pone l'accento sul paradigma dello
sviluppo sostenibile e sulle «plurime funzioni dell'agricoltura» (3).

(1) V. supra cap.VIII.


(2) Corte cost., 24 luglio 1972, n.142, in Foro it., 1972, I, 3345.
3
) V. da ultimo il documento della FAO, Conclusions de la Conférence sur le caractère
multifonctionnel de l'agriculture et des terroirs, Maastricht, Pays-Bas, septembre 1999, presentato alla
30^ Sessione della Conferenza della FAO, Roma, 12-13 novembre 1999.
136

2.- La legge quadro sui parchi

Una legge quadro sui parchi è stata introdotta soltanto nel 1991 ( 4), mentre
sino ad allora si era provveduto con specifici provvedimenti sui singoli parchi.
Nell’art.1 di questa legge, la cui rubrica recita «Finalità e ambito della
legge», si fa riferimento alla gestione delle aree naturali protette per la conservazione
e la valorizzazione del patrimonio naturale del paese, si precisa che per «patrimonio
naturale» si intendono «le formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche e
biologiche, o gruppi di esse, che hanno rilevante valore naturalistico e ambientale»,
ma non si fa neppure menzione della parola «agricoltura».
Ne emerge una logica, che è insieme di eccezione (soltanto ciò che ha
«rilevante valore») e di tutela chiusa in difesa. Non c'è l'enunciato, ed ancor meno
l'idea, di una generalizzata politica di gestione dell'intero patrimonio naturale,
coerente con le vocazioni di questo e con un'attività di coltivazione che costituisce
espressione di cura e attenzione. Manca, nelle parole di questo legislatore,
un'agricoltura, che nel radicamento territoriale trovi le fondanti ragioni del farsi
impresa e capacità produttiva.
E' previsto che il regolamento di ciascun parco disciplini, fra l'altro, la
tipologia e le modalità di costruzione di opere e manufatti, e lo svolgimento delle
attività artigianali, commerciali, di servizio e agro-silvo-pastorali (5). Ma proprio tale
generalizzata previsione identifica la connotazione di un territorio quale parco come
limite estrinseco per tutte le attività umane, genericamente e complessivamente
considerate, senza che in ipotesi ne emerga un ruolo differenziato delle attività di
coltivazione o allevamento rispetto a quelle commerciali o di servizio.
Anche negli anni successivi l'approccio del legislatore rimane sostanzialmente
legato ad un disegno, che punta alla «conservazione della natura» (6) in una logica di
eccezione, perseguendo una sorta di «ritaglio» di ciò che merita di essere conservato;
laddove è piuttosto con riferimento alle aree urbane che cominciano ad affermarsi
idee innovative di «sostenibilità ambientale delle aree urbane … per la gestione
sostenibile e consapevole di ambiti territoriali particolarmente degradati, ivi comprese
le azioni per le città amiche dell'infanzia» (7).
Nel 1998 i «Nuovi interventi in campo ambientale» (8) introducono una
molteplicità di disposizioni all'interno di un quadro generale, le cui linee generali
rimangono immutate. Degna di nota, siccome indicativa del primo (incerto) apparire

(4) Legge 6 dicembre 1991, n.394, «Legge quadro sulle aree protette».
(5) Art.11 legge ult.cit.
(6) La legge 8 ottobre 1997, n.344, «Disposizioni per lo sviluppo e la qualificazione degli interventi e
dell'occupazione in campo ambientale», all'art.4 sotto la rubrica «Interventi per la conservazione della
natura» regola l'istituzione di nuovi parchi nazionali e prevede alcune misure di sostegno ai parchi già
esistenti.
(7) V. l'art.2 della succitata legge 8 ottobre 1997, n.344.
(8) Legge 9 dicembre 1998, n.426.
137

di una diversa considerazione delle attività agricole, la previsione di possibili


«accordi di programma per lo sviluppo di azioni economiche sostenibili con
particolare riferimento ad attività agro-silvo-pastorali tradizionali, dell'agriturismo e
del turismo ambientale» da promuovere all'interno dei sistemi territoriali dei parchi
(9). La stessa formula adottata, e il richiamo alle attività «tradizionali» ( 10),
confermano peraltro la natura di strumento limitato e di nicchia attribuito alle attività
agricole nei parchi.

3.- Agricoltura multifunzionale e spazio rurale

L’incerta trama normativa del rapporto fra agricoltura e ambiente, rivelata


dalla legislazione sulle aree protette (ABRAMI 2000a), trova orditi ben più robusti,
quando la si esamini alla luce delle ultime indicazioni comunitarie sullo spazio rurale.
Per certi versi, lo «spazio rurale» costituisce tuttora una sorta di enigma: una
lettura nei fatti largamente diffusa è quella bucolica, isolata dalla realtà della
produzione agricola. La Commissione europea, però, ha da tempo proposto una
precisa nozione di spazio rurale, suscettibile di porsi quale principio ordinatore anche
della disciplina urbanistica.
E' un nuovo approccio, anticipato con il «libro verde» della Commissione del
1985, e confermato nella Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo
ed al Consiglio del 1988, intitolata «Il futuro del mondo rurale», secondo cui: «Le
nozioni di spazio o di mondo rurale vanno ben oltre una semplice delimitazione
geografica e si riferiscono a tutto un tessuto economico e sociale comprendente un
insieme di attività alquanto diverse ... agricoltura, artigianato, piccole e medie
industrie, commercio, servizi»(11).
La «ruralità» trova qui un'espressione precisa, quale insieme di attività
«diverse», ma caratterizzate dal costituire un unico «tessuto economico e sociale».
L'espressione «tessuto» rende bene l'idea di «spazio rurale». Il tessuto fa
pensare a una trama, a un intrecciarsi di fili, che si sostengono insieme: il possibile
conflitto tra attività diverse si fa confronto e necessaria composizione, perché queste
sono accomunate dal fatto di trovarsi sullo stesso territorio e di dover condividere
regole e risorse; la trama si risolve in un ordito, una serie di regole, da ritrovare e da
condividere.
Ne emerge un’ipotesi di spazio rurale, come elemento di impresa nel territorio
e come regola. Non è questa la sede per un'indagine sull’impresa rurale, sulla sua
ammissibilità, e sulle ragioni anche teoriche e sistematiche di una distinzione
dall'impresa agricola in senso proprio, ma ciò che interessa è la coerenza della
formula rispetto al tema del rapporto fra regole dell’agricoltura e dell’ambiente.

(9) Art.2 legge ult.cit., che introduce l'art.1-bis nella legge 6 dicembre 1991, n.394.
(10) Così come il successivo art.2-bis, che prevede «disposizioni che autorizzino l'esercizio di attività
particolari collegate agli usi», in una logica che al più rimane di conservazione.
(11) Comunicazione della Commissione trasmessa al Consiglio e al Parlamento europeo del 29 luglio
1988 (COM (88) 501 def).
138

Forti sollecitazioni verso una diversa considerazione del rapporto fra


agricoltura e politica ambientale nell'intero territorio rurale sono dunque venute dalle
scelte operate sul piano europeo.
Ancora di recente, nel dicembre 1997, il Consiglio di Lussemburgo nel
dicembre 1997 ha solennemente dichiarato: «L'agriculture européenne, depuis des
siècles, remplit de multiples fonctions et missions économiques, environnnementales,
sociales et territoriales. C'est pourquoi il est essentiel que l'agriculture
multifonctionnelle soit répartie sur tout le territoire européen, y compris les régions à
problèmes specifiques»; a tutta l’agricoltura europea, non soltanto a quella della
singola zona, del piccolo spazio da proteggere, vengono riconosciute molteplici
funzioni e missioni, economica, ambientale, sociale e territoriale.
La Commissione europea, riprendendo queste indicazioni, nel marzo 1998,
presentando i progetti di riforma della PAC proposti in Agenda 2000, ha convenuto:
«Moltifonctionnalité de l'agriculture, son role à la fois économique, environnemental
et territorial, la nécessité de maintenir, pour cette raison, une activité agricole à
travers le territoire européen et de préserver le revenu des agriculteurs: là est la
difference, fondamentale, entre le modeéle européen et celui de nos grands
concurrents». I nostri grandi concorrenti sul piano del mercato dei prodotti
alimentari sono evidentemente gli americani: la partita si gioca fra l'Europa e
l'America.
La Comunità, alle soglie della riforma della PAC, ha individuato questo
aspetto con esemplare chiarezza, proponendo quale canone centrale di orientamento
delle scelte di politica agricola, anche quelle legate ai temi del mercato globalizzato
(che più sembrano distanti dalla dimensione territoriale e locale), un'idea di
multifunzionalità e di spazio rurale.

4.- Un'esperienza di parco agricolo metropolitano

All’interno della (tuttora) irrisolta conflittualità sopra richiamata, i temi del


rapporto fra regole dell’agricoltura e regole d’uso del territorio, si sono posti in modo
peculiare in riferimento ai parchi ed alle aree protette, proponendo significative
indicazioni di portata non ristretta a tali aree.
Parco e parco agricolo non sono termini indifferenziati e sovrapponibili nel
linguaggio del diritto. Nello stesso comune e diffuso sentire, le parole «parco» e
«agricolo» designano esperienze ed evocano immagini di realtà effettuali
radicalmente diverse.
Alcune innovative leggi regionali hanno tentato di coniugare attività
produttive agricole e finalità tipiche delle aree protette, e fra queste la legge della
Regione Lombardia n.24 del 23 aprile 1990 (12), che ha istituito il Parco Agricolo Sud

12
) Legge regione Lombardia 23 aprile 1990, n.24, «Istituzione del parco regionale di cintura
metropolitana "Parco Agricolo Sud Milano"», adottata ai sensi della legge regione Lombardia 30
novembre 1983, n.86, «Piano regionale delle aree protette. Norme per l'istituzione e la gestione delle
139

Milano, parco di cintura metropolitana, proponendosi quale possibile modello di


interesse anche in una dimensione sovraregionale.
Appare evidente l’antinomia di formule, quale quella di «Parco agricolo»,
antinomia ancor più evidente ove si consideri che il parco così proposto è insieme un
parco «agricolo» e un parco «metropolitano, perturbano», e sconta quindi molteplici
possibili contraddizioni, tanto da aver innescato un vivace contenzioso giudiziario (13)
ed aver richiesto circa un decennio per il passaggio alla fase operativa. La pluralità
dei soggetti (pubblici e privati) coinvolti, la complessità delle procedure e il
contenzioso giudiziario insorto, con l'annullamento delle prime delibere di
approvazione, e soprattutto la stessa novità del modello di governo di rilevanti
porzioni del territorio regionale, hanno infatti imposto più volte il rinvio delle misure
di attuazione e la ripetuta adozione di disposizioni transitorie di salvaguardia (14).

riserve, dei parchi e dei monumenti naturali, nonché delle aree di particolare rilevanza naturale e
ambientale».
(13) Il TAR Lombardia, sez.II, con sentenza 8 ottobre 1997, n.1738, ha annullato la deliberazione della
giunta regionale della Lombardia 20 aprile 1995, n.67573, recante "approvazione della relazione
istruttoria relativa alla proposta di approvazione del piano territoriale di coordinamento del parco
agricolo sud Milano", la deliberazione di giunta regionale 1 marzo 1996, n.9480, avente ad oggetto la
"trasmissione al consiglio regionale della relazione istruttoria … concernente la proposta di piano
territoriale di coordinamento del parco regionale di cintura metropolitana-parco agricolo sud Milano",
nonché la deliberazione della giunta regionale 1 marzo 1996, n.9479, avente ad oggetto "approvazione
e trasmissione al consiglio regionale del progetto di legge per l'approvazione del piano territoriale di
coordinamento /Ptc) del parco regionale di cintura metropolitana-parco agricolo sud Milano".
Avverso questa sentenza del giudice amministrativo la Regione Lombardia ha sollevato
conflitto di attribuzione innanzi la Corte costituzionale, lamentando che il TAR avrebbe "esorbitato dai
confini della giurisdizione, annullando atti del procedimento legislativo regionale, così da ledere
l'integrità della potesta legislativa della regione". La Corte costituzionale, con sentenza 11 giugno
1999, n.226 (in Foro it., 2000, I, 369), investita della complessa questione relativa al sindacato sulle
leggi-provvedimento, ha distinto fra atti amministrativi di adozione del piano ad opera dell'ente gestore
del parco e di verifica e modifica dello stesso da parte della giunta regionale, sottoposti al controllo del
giudice amministrativo, e legge regionale di approvazione del piano, sottratta a tale controllo ma non
costituente né "validazione legislativa" né "sanatoria del piano stesso" e non idonea in ogni caso a far
"assumere al complesso del piano anzidetto (composto da una serie di elaborati) valore di legge";
sicché l'annullamento, ad opera del giudice amministrativo, delle delibere di adozione del piano
dell'ente gestore o di quelle di modifica della giunta regionale "può produrre l'effetto di rimuovere
totalmente o parzialmente - a seconda dell'ampiezza dell'annullamento, totale o parziale - il contenuto
del piano adottato dall'ente gestore ed eventualmente modificato dalla legge regionale ancorché
approvato con legge, la quale, in simili evenienze, finisce con il rimanere in tutto o in parte priva di
oggetto".
La Corte costituzionale, con altra sentenza, connessa alla sopra richiamata e pronunciata nello
stesso giorno, 11 giugno 1999, n.225 (loc.ult.cit.), ha confermato la sindacabilità del piano territoriale
di coordinamento ad opera del giudice amministrativo ed a tutela dei soggetti interessati, poiché "Il
piano del parco non crea vincoli nel soli confronti delle amministrazioni come esercizio di potere di
indirizzo , ma comporta immediatamente e direttamente vincoli e limiti anche per i privati",
sottolineando che "è evidente che "gli eventuali vizi della fase amministrativa di formazione, adozione
e modifiche del piano del parco non sono sanati né comunque coperti dall'approvazione con legge
regionale del piano stesso".
(14) V. la legge regione Lombardia 30 gennaio, n.3, «Proroga del regime di salvaguardia dei parchi
regionali», e la legge regione Lombardia 29 gennaio 1999, n.7, «Proroga della salvaguardia del parco
agricolo sud Milano e nuove disposizioni in materia di salvaguardia dei parchi regionali».
140

Pur scontando queste difficoltà, la legge n.24 del 1990 della regione
Lombardia fa propria la prospettiva dello spazio rurale come proposta in sede
europea, assume l'agricoltura come canone ordinatore del parco periurbano, individua
le produzioni di qualità e la tutela ambientale come espressione di un progetto
integrato di utilizzazione coerente delle risorse naturali, introduce la previsione di uno
specifico piano di sviluppo agricolo per l'intero territorio del parco, finalizzato a
sostenere le attività produttive agricole e le attività connesse, come strumento
ordinario di governo del parco e di realizzazione delle finalità di questo, con novità
ancor più significativa ove si compari tale previsione alla logica di eccezione e di
nicchia tuttora presente nella legislazione nazionale, e da ultimo nella già richiamata
legge 9 dicembre 1998, n.426 sui «Nuovi interventi in campo ambientale».
L'art.19 di questa legge della regione Lombardia recita:
«(Piano di settore agricolo) …2. Il piano di settore agricolo, tenuto conto delle
disposizioni statali e comunitarie in materia, individua criteri operativi e tecniche
agronomiche per ottenere: a) produzioni zootecniche, cerealicole, ortofrutticole, di
alta qualità al fine di competere sul mercato e avere redditi equi per i produttori
agricoli; b) la protezione dall'inquinamento dei suoli, delle acque superficiali e
sotterranee, la conservazione della fertilità naturale nei terreni; c) la conservazione
della fauna e della flora e degli ecosistemi tipici dell'area del parco; d) il
mantenimento ed il ripristino del paesaggio agrario al fine di preservare le strutture
ecologiche e gli aspetti estetici della tradizione rurale; e) lo sviluppo di attività
connesse con l'agricoltura quali l'agriturismo, la fruizione del verde, l'attività
ricreativa; f) lo sviluppo di attività di agricoltura biologica e biodinamica. 3. Il piano
di settore agricolo analizza, altresì, i vincoli di ordine paesaggistico, cui è sottoposta
l'attività agricola e ne valuta gli eventuali riflessi economici negativi, al fine di
stabilire i criteri per la quantificazione dei relativi indennizzi agli operatori agricoli.
4. Il piano di settore agricolo è predisposto previa realizzazione del censimento in
tutta l'area del parco per conoscere: a) l'estensione e la qualità di concimi, diserbanti e
antiparassitari impiegati nel processo agricolo da ogni unità produttiva; b) il numero
degli allevamenti, suddiviso per categoria, con la superficie di terreno a disposizione
per valutare se il carico di bestiame è sopportato dal territorio; c) il parco macchine
esistente sotto il profilo del numero e della potenza; d) il numero e la localizzazione
delle industrie di trasformazione di prodotti agricoli nonché la provenienza dei
prodotti base trasformati; e) il numero delle imprese operanti << per conto terzi >>
presenti nell'area del parco; f) lo stato delle acque superficiali e del terreno sotto il
profilo della sua fertilità; g) la quantità, la tipologia, lo stato di conservazione delle
infrastrutture esistenti, comprese le opere di bonifica e irrigazione; h) la consistenza
del patrimonio edilizio rurale e altri elementi paesaggistici rilevanti; i) la consistenza
dei pioppeti, nonché le macchie di bosco esistenti nell'area».
La lettura di queste disposizioni introduce in un mondo agricolo vitale, nel
quale produzioni di qualità sono una componente essenziale dell'essere parco, una
regola connotante e non una mera eccezione tollerata ma non apprezzata.
L’oggetto della disciplina, il modo di porsi, le finalità perseguite, si collocano
all’interno di un progetto, che intende valorizzare la finalità di tutela ambientale
141

attraverso un meccanismo di promozione del fare, in coerenza con una logica che nel
territorio agricolo riconosce i tratti della storia e i segni dell’agire.
Per quanto attiene alle nuove costruzioni e a al riuso di quelle esistenti, mentre
in linea di principio sono vietate le nuove edificazioni per usi extragricoli (salve
alcune limitate eccezioni per opere di urbanizzazione necessarie per l'adeguamento
agli standards), sono consentiti interventi edilizi in funzione delle esigenze delle
imprese agricole e in ragione delle specifiche attività produttive al cui servizio è
destinato l'intervento edilizio.
Dispone l’art. 20 della legge regione Lombardia in esame:
«(Norme generali di salvaguardia) … 5. In materia di insediamenti extra
agricoli, oltre alle opere previste dal comma precedente, sono consentite unicamente
le nuove edificazioni relative ad opere di urbanizzazione primaria e secondaria per
adeguare i nuclei abitati esistenti agli standard minimi di Legge, nonché gli interventi
previsti da strumenti urbanistici generali e attuativi vigenti o adottati alla data di
entrata in vigore della presente Legge.
6. In materia di nuove costruzioni relative ad insediamenti agricoli, previa
verifica che non possano essere utilizzati idonei volumi esistenti e previo parere
tecnico agronomico ed economico del Servizio provinciale Agricoltura Foreste
Alimentazione(SPAFA) competente per territorio, si applicano le disposizioni di cui
alla LR 7 giugno 1980 n. 93, concernente << Norme in materia di edificazione nelle
zone agricole >> con l'osservanza delle seguenti prescrizioni: a) gli interventi edilizi
di imprese agricole dedite all'allevamento del bestiame sono consentiti, limitatamente
alle imprese che: a1) siano dedite all'allevamento di bovini, equini ed ovini, ovvero ad
allevamenti avicoli o cunicoli che dispongano per l'attività di allevamento di almeno
un ettaro di terreno agricolo per ogni 40 q.li di peso vivo di bestiame: a2) siano dedite
ad allevamenti di suini che dispongano per l'attività di allevamento di almeno un
ettaro di terreno agricolo per ogni 20 q.li di peso vivo di bestiame; b) gli interventi
edilizi di imprese singole o associate per l'esercizio di attività di trasformazione e
commercializzazione dei prodotti agricoli sono consentiti, purché le materie prime
trasformate provengano per almeno 2/3 dall'attività di coltivazione del fondo o di
allevamento, ovvero da conferimenti di provenienza consortile o associativa.
7. Negli edifici e sui manufatti esistenti sono consentiti interventi di
manutenzione ordinaria e straordinaria, restauro conservativo, adeguamenti igienici,
statici e tecnologici, demolizioni, ristrutturazioni edilizie anche con parziale
demolizione e ricostruzione, ivi compresi ampliamenti volumetrici fino ad un
massimo del 20% dell'esistente.
8. Negli edifici agricoli esistenti sono consentite le trasformazioni d'uso,
anche mediante recupero delle cascine, per la conversione ad attività connesse
all'agricoltura, quali l'agriturismo, ovvero per l'esercizio di attività di interesse
pubblico coerenti con le finalità del parco.
9. Gli interventi ammessi a norma dei precedenti quinto, settimo e ottavo
comma devono effettuarsi nel rispetto dei caratteri architettonici degli edifici, della
preesistente edilizia rurale e dell'ambiente del parco, per quanto riguarda la scelta sia
delle soluzioni tipologiche, sia dei materiali da costruzione.
142

10. E' vietato l'allestimento di villaggi turistici e campeggi stabili di cui alla
Legge Regionale 10 dicembre 1951 n. 71 concernente << Disciplina delle aziende
ricettive all'aria aperta >> e dei depositi di caravans e roulottes che non siano già
previsti dagli strumenti urbanistici vigenti.
11. Per la tutela diffusa del territorio, si applicano le seguenti disposizioni: a)
il taglio di piante arboree isolate o in filari, nonché di siepi arboree e arbustive lungo
il margine di strade, corsi d'acqua o coltivi, è soggetto alla disciplina di cui all'art.8
della Legge Regionale 27 gennaio 1977, n. 9, concernente << Tutela della
vegetazione nei parchi istituiti con Legge Regionale >>, fatti salvi gli interventi di
potatura, scalvatura ed ordinaria manutenzione; b) sono vietati: b1) l'alterazione dei
terreni cespugliati od incolti e delle zone umide, quali teste di fontanili, paludi, stagni
ed acquitrini; b2) la chiusura di sentieri pubblici o di uso pubblico e degli accessi ai
corpi d'acqua pubblici; b3) l'allestimento di impianti fissi e di percorsi e tracciati per
attività sportive da esercitarsi con mezzi motorizzati; b4) il transito con mezzi
motorizzati fuori dalle strade statali, provinciali o comunali e dalle strade vicinali
gravate da servitù di pubblico passaggio, fatta eccezione per i mezzi di servizio e per
quelli occorrenti all'attività agricola e forestale e nei casi di specifica autorizzazione
comunale; … b7) la costruzione di recinzioni delle proprietà , se non con siepi, salvo
le recinzioni temporanee a protezione delle aree di nuova piantagione e le recinzioni
strettamente pertinenti ad insediamenti urbani ed agricoli; …».
Per tale via, il parametro di liceità o di divieto dell’edificare è dato non
dall’inerenza a una superficie per sé intesa, ma dalla coerenza a un’attività in essere o
in progetto, e anche i parametri quantitativi vengono riferiti alle iniziative previste e
al rapporto fra queste e il fondo interessato.
La legge della regione Lombardia sul parco agricolo metropolitano si colloca
così all'interno di una linea di legislazione regionale, che nelle zone rurali trasferisce
il diritto di costruire dal proprietario all'imprenditore agricolo.
Parco agricolo metropolitano, dunque, è un possibile «spazio rurale» secondo
la terminologia europea, uno spazio nel quale le diverse attività agricole,
commerciali, metropolitane, si integrano, all'interno di una trama di regole condivise.
Da una pur sommaria disamina di questa peculiare esperienza emerge
insomma un'evidenza: se lo spazio rurale è una trama territoriale e insieme produttiva,
e se l’agricoltura anche territoriale è anzitutto un’agricoltura polifunzionale, che si
riappropria di una serie plurima di funzioni, tipicamente e tradizionalmente proprie
della cascina in Lombardia o della masseria nel meridione, a lungo trascurate sulla
spinta di scelte di mercato orientate verso la monocultura, e oggi recuperate insieme
ai valori della differenza e della molteplicità, occorre individuare un principio
ordinatore, in assenza del quale non potrebbe porsi alcun effettivo sistema di regole.
Fa capolino l'elemento dell’agricoltura come regola d’identità, canone
ordinatore.
Si afferma una formula positiva, del poter fare, rispetto a formule, negative e
difensive, largamente praticate e consumate, e così rispetto a quell'espressione di
«agricoltura presidio del territorio», che nella stessa logica della parola «presidio» fa
pensare a una fortezza assediata, disperata, condannata alla sconfitta.
143

Se al «presidio» difensivo, si sostituisce il «governo» attivo, il canone


ordinatore si sostanzia di attività e di contenuti, diventa un modo di operare le scelte.
E' una dimensione, connotata da tale varietà di contenuti e di iniziative, che
necessariamente richiede regole proprie e diverse; e nel medesimo tempo propone un
confine, un elemento di distinzione: l’area, la zona, il parco diviene elemento di
regola.
159

XII

IL DIALOGO TRA FONTI


PER UN DIRITTO AGRARIO TERRITORIALE

1.- I nuovi orientamenti dei giudici amministrativi


2.- L’interpretazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici
3.- Il controllo diffuso
4.- L’attività agricola regola del costruire

1.- I nuovi orientamenti dei giudici amministrativi

Piace concludere queste lezioni riferendo di una recente decisione del


Consiglio di Stato, connotata da rilevanti elementi di novità rispetto all’orientamento
tradizionale, che ha segnato l’ingresso anche nella giurisprudenza amministrativa di
originali canoni del costruire nelle zone rurali, coerenti con l’adozione dell’attività
agricola come regola fondante delle scelte di uso del territorio.
Per cogliere il decisivo passaggio segnato da questa pronuncia, è sufficiente
richiamare la precedente, risalente e più volte confermata, giurisprudenza del
Consiglio di Stato (1), secondo cui «La classificazione agricola dell’area non ne
impone un obbligo di utilizzazione in tal senso, consentendo piuttosto interventi
edilizi di vario genere» (2), sicché «la ratio dei piani regolatori generali che destinano
ampie località a zona agricola non è già quella di dettare prescrizioni circa gli
impieghi agricoli, ma piuttosto quella di garantire - attraverso la previsione di
un'edificazione estremamente rada - la conservazione di ampi intervalli di verde» ( 3);
«in sede di pianificazione urbanistica il verde agricolo non è tanto preordinato alla
salvaguardia degli interessi dell'agricoltura, quanto invece ad evitare ulteriori
insediamenti edilizi che possano risultare pregiudizievoli per il più conveniente
equilibrio delle condizioni di vivibilità della popolazione» (4).
Un dato va dunque anzitutto rilevato: la decisione del Consiglio di Stato, e
quella resa nel medesimo giudizio dal T.A.R. del Lazio, si segnalano, prima ancora

(1) V. i capp. precedenti.


(2) Cons.Stato, V sez., 26 gennaio 1996, n. 85, in Foro amm., 1996, 125, che dichiara legittimo
l’insediamento in zona agricola di una discarica di rifiuti, senza necessità di modifica della
destinazione urbanistica dell’area; in senso conforme v. da ultimo Cons.Stato, V sez., 15 giugno 2001,
n.3178.
(3) Cons.Stato, IV sez., 18 ottobre 1974, n.637, in Cons.St., 1974, I, 1124.
(4) Cons.Stato, IV sez., 15 aprile 1986, n.268, in Cons.St., 1986, I, 482.
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che per il merito delle scelte, perché, con l’autorevolezza dei giudici di Palazzo
Spada, segnano un’autentica svolta nella giurisprudenza amministrativa in materia.
Abbiamo già ricordato come a partire dalla fine degli anni ’70 abbia preso
avvio un processo di riscrittura delle regole del costruire nelle zone agricole, che ha
visto emergere indicazioni innovative nella legislazione regionale ( 5), con
l'attribuzione di rilievo anche giuridico nell'ambito della disciplina urbanistica alle
esigenze dell'impresa agricola.
Questa azione riformatrice tuttavia non ha trovato conferma nella legislazione
urbanistica nazionale, rimasta ancorata ad una logica quantitativa, che si esaurisce in
limiti generalizzati di superficie minima e di indice di edificabilità, privi di specifico
riferimento all’effettivo svolgimento di attività agricole; logica che non ha evitato la
definitiva sottrazione alla destinazione agricola di larghe parti di territorio, destinate
ad altri usi in assenza di scelte comparative di allocazione, e che nel medesimo tempo
ha finito per penalizzare l’impresa agricola, non consentendole di adeguare
sollecitamente le proprie strutture edilizie alle mutate tecniche produttive.
A sua volta la giurisprudenza amministrativa, formatasi sulla legge urbanistica
del 1942 e non sollecitata dalle successive leggi nazionali a modificare le proprie
scelte, è rimasta a lungo orientata (ancora sul finire degli anni ’90 – come già
ricordato) secondo linee assai lontane da quelle indicate dalla nuova legislazione
regionale, ed ha continuato a collocare l’edificazione nelle zone agricole all’interno di
un modello di regolazione tradizionale, che nega qualunque autonoma rilevanza
all’interesse produttivo agricolo; laddove veniva – se mai – accordata tutela ad un
interesse ambientale, a lungo inteso come distinto e talvolta contrapposto a quello
produttivo agricolo, secondo la fortunata (ma fuorviante) dicotomia «agricoltura-
protezione agricoltura-produzione».
In questo quadro, le innovative indicazioni di taluni piani regolatori e di talune
regioni, quanto all’edificazione in zona agricola, sono state più volte sfavorevolmente
scrutinate dai giudici amministrativi (6).
Alla metà degli anni ’90, l’intervento della Corte costituzionale, con la
richiamata ordinanza del 16 maggio 1995 (7), ha aperto prospettive innovative,
confermando la legittimità delle scelte regionali, sulla base di una lettura delle
disposizioni costituzionali in tema di proprietà terriera, che rinvia alle vocazioni
produttive e dunque ad una dimensione d’impresa, facendo propria un’ampia lettura
dell' art. 44 cost. (RODOTA’ 1982; GALLONI 1993; ROOK BASILE 1995a), che fa
rientrare nel «fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi
rapporti sociali» la scelta «diretta a limitare l'utilizzazione edilizia dei territori agricoli
e a frenare il processo di erosione dello spazio destinato alle colture», espandendo
l'area della tutela ben oltre i limiti aziendali, in una prospettiva comparativa di
meritevolezza e di esplicita scelta tra beni protetti.

(5) V. capp. precedenti.


(6) V. capp. precedenti.
(7) V. l’analisi in dettaglio di tale ordinanza nel precedente cap.IX.
161

2.- L’interpretazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici

Sgomberato il campo dalle ricorrenti censure di costituzionalità alle leggi


regionali in argomento, restava però aperta la questione dei contenuti di regolazione,
materiale e procedimentale, da assegnare agli strumenti urbanistici che individuano
zone agricole, nei casi (ancora oggi largamente diffusi) di assenza di specifiche
prescrizioni regionali quanto alla concreta utilizzabilità a scopi edilizi di tali aree.
Qui interviene, nel merito, la decisione del gennaio 2003 del Consiglio di
Stato, che per un verso fa proprie per la prima volta, pur senza menzionarle
espressamente, le indicazioni maturate nella legislazione regionale e nella richiamata
giurisprudenza costituzionale, così segnando – come si è osservato – un’autentica
svolta nella giurisprudenza amministrativa in materia; per altro verso, nella sua
specifica competenza di giudice della legittimità dell’azione della P.A., disegna
regole applicative degli strumenti urbanistici, che vanno ben oltre il caso deciso.
Il Giudice amministrativo ribadisce la natura di flessibile strumento di
governo del territorio assegnata al P.R.G., lì ove dichiara che il Comune
legittimamente può fissare nel P.R.G., «in relazione alle specificità del proprio
territorio» (8) prescrizioni più rigorose di quelle previste dalla legge regionale (così,
nel caso di specie, può determinare in 15.000 mq, anziché 10.000 mq., il lotto minimo
richiesto per la realizzazione in zona agricola di edifici con destinazione abitativa), e
nel medesimo tempo attribuisce alla formula del piano regolatore «edifici necessari
per la conduzione del fondo» un preciso contenuto, totalmente trascurato dal Comune
in sede di rilascio della concessione edilizia.
Nella disciplina del costruire come articolata dal Consiglio di Stato, la
previsione della destinazione dell’edificio ai fini della conduzione del fondo diventa
condizione di esercizio del potere comunale di rilascio della concessione edilizia, e
conseguentemente si traduce in parametro di sindacato dell’opera della P.A.
Il ricorrente in appello aveva censurato la sentenza di primo grado, assumendo
che «non era previsto alcun onere a carico dell’Amministrazione per l’accertamento
dell’effettiva coltivazione del fondo; né vi era obbligo del richiedente la concessione
di fornire gli elementi in ordine al rapporto di connessione con i fini agricoli».
Il Consiglio di Stato respinge la tesi del ricorrente, ed anzi proprio dalla
mancata previsione di un lotto minimo per i fabbricati posti al servizio della
conduzione del fondo, trae argomento per concludere: «La mancanza del lotto
minimo si giustifica proprio in relazione alla sussistenza di un’effettiva ed obiettiva
connessione funzionale dell’opera da realizzare con le esigenze relative alla
conduzione del fondo, e tale connessione doveva valutarsi in concreto tenendo conto
da una parte delle caratteristiche dell’edifico da costruire e dall’altra delle esigenze
agricole da soddisfare» (9).
Il sindacato sulle scelte comunali diventa penetrante: al Comune si chiede, per
consentire l’edificare, di accertare l’effettivo svolgimento delle attività agricole, ed al

(8) Così la motivazione.


(9) Così la motivazione.
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proprietario si chiede di dimostrare, sul piano della tecnica agricola, le esigenze


produttive da soddisfare.
La logica tradizionale, quantitativa, legata al solo rapporto tra superfici e
volumi, è superata: non basta vincolare a fini edificatori una superficie cui
corrisponde un’astratta volumetria ammissibile; occorre dimostrare l’unitaria
destinazione di tutti i lotti a scopi produttivi agricoli, nell’ambito di un unico
complesso aziendale, e la coerenza degli edifici previsti rispetto a tale complesso
aziendale.
L’assenza di limiti generali ed uniformi, in termini sia di superficie che di
indice di edificabilità, per la realizzazione di edifici destinati a scopi produttivi
agricoli, si traduce in un regime del costruire nelle campagne, connotato da elementi
opposti rispetto a quelli che caratterizzavano la logica difensiva del d.m. del 1968. Se
quella disciplina nei fatti non ha sin qui evitato la sottrazione all’effettiva
destinazione agricola di innumerevoli lotti di un ettaro ciascuno e nel contempo ha
penalizzato l’impresa agricola, il sistema quale oggi disegnato dal Consiglio di Stato
preclude la destinazione edificatoria del lotto in assenza di effettiva attività agricola
anche laddove si tratti di lotto di dimensioni ben superiori all’ettaro, e consente
invece all’impresa agricola di dotarsi delle strutture edilizie ad essa concretamente
necessarie, a prescindere dalla dimensione del lotto disponibile.
La generica prescrizione del P.R.G. circa la destinazione degli edifici ai fini
della conduzione del fondo acquista – nella prospettazione accolta dal giudice
amministrativo – significati precisi, sul piano sia dei contenuti che del procedimento.
Per via giudiziale si costruisce un quadro di regole, che assegna all’attività
produttiva agricola carattere di effettiva misura del costruire, pur in assenza di
espresse disposizioni in tal senso nella legge regionale all’epoca vigente (10), ed in
assenza di prescrizioni procedimentali nello strumento urbanistico applicabile.
La sentenza – tanto più siccome pronunciata con l’autorevolezza del giudice
amministrativo di appello - assume un valore di integrazione della generale disciplina
in tema di costruzioni nelle zone agricole, e quanto al Lazio prefigura disposizioni di
merito e di istruttoria solo successivamente introdotte (11), suonando come una sorta

(10) Si trattava della legge regione Lazio 6 luglio 1977, n.24, «Disciplina urbanistico - edilizia nei
comuni sprovvisti di piano regolatore generale o di programma di fabbricazione approvato e nei
comuni i cui strumenti urbanistici generali sono stati approvati prima dell' entrata in vigore del decreto
interministeriale 2 aprile 1968, n. 1444. Misure di salvaguardia».
(11) Si veda la legge regione Lazio 22 dicembre 1999, n.38, «Norme sul governo del territorio», nel
testo vigente come modificato con legge regione Lazio 4 settembre 2000, n.38, che fra l’altro prevede:
«Art.54 (Trasformazioni urbanistiche in zona agricola) - 1.Fatto salvo quanto previsto dalle
leggi regionali 6 ottobre 1997, n. 29 e successive modificazioni, 10 novembre 1997, n. 36 e 6 luglio
1998, n. 24 e successive modificazioni, nelle zone agricole è vietata:
a) ogni attività comportante una trasformazione dell’uso del suolo diverso dalla sua
utilizzazione per la produzione vegetale o l’allevamento animale e per la valorizzazione dei relativi
prodotti, nonché dalle attività connesse e compatibili;
b) ogni lottizzazione a scopo edilizio;
c) l’apertura di strade interpoderali che non siano strettamente necessarie per l’utilizzazione
agricola e forestale del suolo»;
«Art.57 (Piani di utilizzazione aziendale) 1. Per le zone agricole, gli imprenditori agricoli a
titolo principale singoli od associati, possono presentare al comune un piano di utilizzazione aziendale
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di anticipato favorevole scrutinio per la generalizzata introduzione di un sistema di


regole sostanziali e procedimentali, intese a subordinare alle esigenze della
produzione agricola la liceità del costruire in zone urbanisticamente qualificate come
agricole, non più intese come disponibili per le più diverse utilizzazioni ma
riconosciute portatrici di un preciso e dichiarato interesse.

3.- Il controllo diffuso

Gli esiti complessivi della pronuncia del Consiglio di Stato appaiono ancor più
rilevanti ove si consideri il profilo della legittimazione a ricorrere, che caratterizza
anch’esso in modo determinante la sentenza in commento.

che, previa indicazione dei risultati aziendali che si intendono conseguire, evidenzi l'utilizzazione delle
costruzioni esistenti e la indispensabilità delle nuove costruzioni.
2. Il piano di utilizzazione aziendale è sottoscritto da un dottore agronomo forestale, o da
un perito agrario, debitamente abilitato, nei limiti delle rispettive competenze professionali, ed è
sottoposto al preventivo parere dal competente organo della provincia, ai sensi dell'articolo 36, comma
2, lettera a) della l.r. 14/1999. Tale parere, se negativo, è vincolante e consiste:
a) nella verifica dei presupposti agronomici e/o forestali;
b) nella verifica degli aspetti paesistico-ambientali ed idrogeologici;
c) nella verifica di coerenza e di compatibilità con i piani sovraordinati generali e di settore.
3. Il piano di cui al comma 1 deve contenere:
a) una descrizione dello stato attuale dell'azienda;
b) una descrizione degli interventi programmati per lo svolgimento dell'attività agricola e
delle attività connesse, nonché degli altri interventi previsti per la tutela e la valorizzazione ambientale;
c) l'individuazione dei fabbricati esistenti e l'individuazione dei fabbricati presenti
nell'azienda ritenuti non più rispondenti alle finalità economiche e strutturali descritte dal programma;
d) una descrizione dettagliata degli interventi edilizi necessari a migliorare le condizioni di
vita e di lavoro dell'imprenditore agricolo, nonché al potenziamento delle strutture produttive con
l'indicazione dei fabbricati da realizzare e dei terreni agricoli collegati agli stessi;
e) la definizione dei tempi e delle fasi di realizzazione del programma stesso.
4. L'approvazione del piano di cui al comma 1 da parte del comune, costituisce condizione
preliminare per il rilascio delle concessioni od autorizzazioni edilizie. La realizzazione del piano è
garantita da un'apposita convenzione che, oltre a quanto previsto dall'articolo 76, stabilisca in
particolare l'obbligo per il richiedente di:
a) effettuare gli interventi previsti dal programma, in relazione ai quali è richiesta la
realizzazione di nuove costruzioni rurali;
b) non modificare la destinazione d'uso agricola delle costruzioni esistenti o recuperate
necessarie allo svolgimento delle attività agricole e di quelle connesse per il periodo di validità del
piano;
c) non modificare la destinazione d'uso agricola delle nuove costruzioni rurali
eventualmente da realizzare, per almeno dieci anni dall'ultimazione della costruzione;
d) non alienare separatamente dalle costruzioni il fondo alla cui capacità produttiva sono
riferite le costruzioni stesse;
e) asservire le edificazioni ai terreni alla cui capacità produttiva esse si riferiscono.
5. Il vincolo di destinazione d'uso di cui al comma 4, lettere b) e c) è trascritto a cura e
spesa del beneficiario presso la competente conservatoria dei registri immobiliari».
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In questo caso il tema del regime edilizio delle zone agricole non è stato
portato innanzi al giudicante dall’abituale conflitto fra il proprietario, che richiede la
concessione edilizia, ed il Comune, cui spetta il potere di concessione e di controllo.
Il confronto non è fra soggetto pubblico e soggetto privato proprietario del
bene, ma fra soggetti portatori di interessi differenziati all’uso (privato, ma con
evidenti conseguenze di ordine generale, ed in questo senso di rilievo pubblico) del
bene terra.
Ricorrente è un terzo, che insorge contro il Comune che ha rilasciato la
concessione edilizia e contro il proprietario del terreno che in forza di tale
concessione ha avviato la costruzione. Lamenta il ricorrente l’illegittimità della
concessione, in ragione della carenza del requisito dell’effettiva destinazione
dell’edificio alle esigenze della conduzione agricola, e così agisce per garantire il
mantenimento di effettiva destinazione agricola ad aree urbanisticamente classificate
come tali.
Il Comune, soggetto pubblico cui spetterebbe il compito di garantire il rispetto
delle destinazioni d’uso, rilascia la concessione edilizia senza curarsi di indagare in
alcun modo l’effettivo svolgimento dell’attività agricola, rivelandosi inadeguato (ed
addirittura non interessato) ai compiti di tutela del territorio ad esso assegnati.
L’inerzia del Comune non sorprende. Sono note le ragioni, legate all’esigenza
di acquisire il consenso degli elettori, che nei fatti - secondo diffuse esperienze –
inducono molti enti locali ad una ridotta attenzione per quelli che gli economisti
designano come beni pubblici immateriali, ivi inclusi la qualità del territorio e
dell’ambiente e la prevenzione di un consumo immotivato ed irreversibile del bene
terra E sono ben noti i conflitti che hanno visto vivacemente contrapposti gli enti
locali e le autorità di gestione dei parchi e delle aree protette (GRAZIANI).
Incidentalmente, sotto un diverso, ma comparabile, profilo, giova ricordare che i
grandi negoziati internazionali, da Rio de Janeiro a Kyoto, hanno definitivamente
chiarito come ad un’utilizzazione sostenibile delle risorse naturali sia interessato (con
conseguente legittimazione a partecipare alle scelte di regolazione) un ambito di
comunità ben più ampio di quello localizzato all’interno delle risorse medesime.
Innanzi all’inerzia del Comune, e ancor più innanzi all’attivo coinvolgimento
dell’ente locale nel consumo del territorio a fini non agricoli, il ruolo di custode della
destinazione agricola viene assunto da un privato, terzo rispetto alla vicenda
amministrativa, privo di diritti immediatamente incidenti sul lotto in discorso, ma
portatore di un interesse, anche giudizialmente tutelato.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha da tempo riconosciuto
legittimazione ad impugnare la licenza edilizia a chiunque si trovi in una condizione
di «stabile collegamento con la zona edificata, senza necessità di dimostrare alcun
danno particolare» (12).
Applicare tali principi al regime della destinazione agricola del territorio
importa esiti analoghi a quelli che già si erano prodotti in riferimento alla tutela
ambientale, e che avevano consentito di individuare l’ambiente come bene
immateriale unitario suscettibile di tutela in sede giudiziaria, già prima della legge n.

(12) Cons. Stato, V sez., 2 marzo 1994, n.120, in Foro it., 1995, III, c.346.
165

349 del 1986; sicché proprio la riconosciuta azionabilità in sede giudiziaria aveva
assicurato «l'inserimento dell' ambiente nell' alveo delle situazioni giuridiche
soggettive», sollecitando «l'interprete ad intenderlo come bene giuridico»
(GERMANO’ 1995).
Giova sottolineare che, come la vicenda decisa nel 2003 dal Consiglio di
Stato, anche la richiamata controversia decisa nel 1995 dalla Corte costituzionale in
tema di costruzioni edilizie in zona agricola ai sensi della legge regione Lombardia
(13), era stata originata dall’iniziativa giudiziaria di un terzo contro il rilascio di una
concessione edilizia a non agricoltore in zona agricola.
Anche in quel caso il conflitto non era tra Comune e proprietario del fondo,
ma tra questi due soggetti da un lato, ed un terzo ad essi contrapposto, insorto contro
la realizzazione di ulteriori edifici in zone rurali in assenza di collegamento con
attività produttive agricole.
Ne emerge, con evidenza, come responsabile del consumo (per sua natura
irreversibile) di territorio agricolo sia non solo l’abusivismo, ma anche (ed in talune
zone soprattutto) il comportamento degli enti locali, abituati a considerare privo di
rilievo l’interesse agricolo nelle scelte di localizzazione e realizzazione edilizia.
Per converso, riconoscere a terzi legittimazione ad agire giudizialmente a
tutela della destinazione agricola significa chiamare anzitutto gli agricoltori, siccome
diretti portatori dell’interesse agricolo, ad esercitare un controllo diffuso sulle scelte
concrete di governo del territorio, così legittimando anche le organizzazioni degli
agricoltori all’azione giudiziale a tutela dell’interesse dei loro associati alla corretta
gestione della risorsa «terra».
Anche sotto questo profilo, la sentenza in commento si rivela tappa importante
nella costruzione di un diritto per l’agricoltura, oltre che dell’ agricoltura
(ALBISINNI 1998).
La Corte costituzionale nel 1995 ha riconosciuto l'interesse agricolo quale
interesse rilevante nelle scelte urbanistiche non solo perché tutelato dalle leggi
regionali, ma ancor prima perché rinvenibile nella stessa carta costituzionale, così
individuando un interesse che può essere azionato giudizialmente per sindacare le
scelte dei soggetti locali di governo, anche nelle aree e regioni che non hanno adottato
normative specifiche per l’edificazione in zone agricole.
Il Consiglio di Stato con la decisione del 2003, procedendo lungo il medesimo
percorso, segna un passo ulteriore nella direzione di un diritto del territorio agricolo,
lì ove richiede alla P.A. di accertare in concreto, anche in assenza di prescrizioni di
legge regionale in tal senso, le caratteristiche dell’attività agricola, come condizione
necessaria ed essenziale per consentire l’edificazione, ed ammette i terzi a sindacare
tale accertamento anche in assenza di situazioni soggettive direttamente inerenti il
lotto investito dalla costruzione. Ed è significativo in proposito che sia nel ricorso in
appello del proprietario che intendeva costruire, sia nella motivazione della sentenza
di appello, non si dedica alcuno spazio alla questione della legittimazione al giudizio
del ricorrente in primo grado, legittimazione assunta come pacifica e scontata, senza

(13) Corte cost. ordinanza 16 maggio 1995, cit.


166

necessità di indicare in ipotesi alcuna specifica relazione con il lotto che si intende
edificare.
Ne risulta un dichiarato legame tra agricoltura ed uso del territorio, non
soltanto sotto il profilo dell’edificare in zona agricola come potestà riservata
all’impresa agricola, ma anche come subordinazione del costruire ad un diffuso
sindacato del coltivare.
Ogni agricoltore della zona può esercitare tale sindacato, ed anche in questo
senso lo jus colendi si manifesta come regola dello jus aedificandi in zona agricola,
siccome il secondo può operare soltanto nel rispetto (e come espressione) del primo.
Il diritto dell’impresa agricola ne risulta come formula sintetica, a designare il
complesso di facoltà e poteri, che in un nuovo quadro di regole, ne compongono lo
statuto, non quale semplice esonero dalle regole dell’impresa commerciale, ma
piuttosto come affermazione di potestà e responsabilità (ad esempio quanto al
confronto comparativo di interessi nell’edificare) in ragione dei compiti assegnati
all’agricoltura.

4.- L’attività agricola regola del costruire.

La decisione del Consiglio di Stato consente di trarre alcune (provvisorie)


conclusioni sullo stato e sulle prospettive di questo che è stato chiamato diritto del
territorio agricolo o diritto agrario territoriale.
In un dialogo fra fonti, che ha più volte connotato il diritto dell’agricoltura, il
Consiglio di Stato, così come ha prefigurato discipline legislative, sostanziali e
procedimentali, introdotte dalla regione Lazio solo in epoca successiva ai fatti di
causa (14), altrettanto sembra assumere a fondamento della propria decisione, pur
senza nominarle, le più recenti normative introdotte nel settore agricolo.
Come già ricordato, la disciplina urbanistica nazionale non ha sin qui
assegnato specifico rilievo all’interesse agricolo nelle scelte di urbanizzazione e di
allocazione di interventi edilizi. Alcune sparse indicazioni in tal senso possono essere
– se mai - tratte da normative di impianto e di occasione non urbanistica, ma agricola,
quali la legge quadro sull’agriturismo, la legge sulle zone di prevalente interesse
ambientale, e la nuova legge sulle comunità montane (15).
Da ultimo, queste indicazioni, sinora isolate ed asistematiche, hanno trovato
significativa e generalizzata conferma in sede nazionale nella legislazione di riforma
della disciplina dell’agricoltura. Nel 2001 la legge per l’apertura e la regolazione dei
mercati (16) ha fra l’altro attribuito al governo la delega per l’emanazione di decreti

(14) V. supra cap. VIII.


(15) Si tratta, rispettivamente, della legge 5 dicembre 1985 n. 730, della legge 8 agosto 1985 n. 431, e
della legge 31 gennaio 1994 n. 97; v. amplius capp. precedenti.
(16) Legge 5 marzo 2001, n.57.
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legislativi di orientamento e modernizzazione nei settori dell’agricoltura, forestale,


della pesca e dell’acquacoltura (17).
In esito all’emanazione della legge n.57 del 2001 – si era dunque concluso - il
territorio agricolo è identità dichiarata, e la vocazione produttiva è valore.
Questa conclusione era rafforzata dalla natura della legge delega, quale
riconosciuta dalla Corte costituzionale, come atto normativo che possiede «tutte le
valenze tipiche delle norme legislative (come, ad esempio, quella di poter essere
utilizzate, a fini interpretativi, da qualsiasi organo o soggetto chiamato a dare
applicazione alle leggi)» (PALADIN 1979).
Sicché – secondo l’ipotesi interpretativa così proposta (18) – si può partire
dalle novità della legge delega, muovendo dalla valorizzazione delle «vocazioni
produttive del territorio» come generale canone delle scelte, ed assumendone quanto
di nuovo questa introduce in un disegno complessivo dell'ordinamento, quale parte di
un diritto che non è più soltanto dell'agricoltura, ma per l'agricoltura, e non si limita
a dettare regole dell'attività agricola o dell'impresa agricola, ma incide sulla
normazione di altre aree e settori, di fonte statale come di fonte regionale, dando
rilievo a interessi e valori, sinora largamente trascurati al di fuori dell'ambito
disciplinare loro proprio.
D’altro canto, nell’attuale assetto delle competenze legislative, quale risulta
dal testo vigente dell’art.117 cost. (19), il governo del territorio è materia di
legislazione concorrente, rispetto alla quale le disposizioni della legge delega del
2001, in tema di vocazioni produttive del territorio e di destinazione agricola dei
terreni, possono essere assunte come dichiarative dei principi fondamentali nella
materia, come tali riservate al legislatore statale e vincolanti per il legislatore
regionale.
Con la sentenza del Consiglio di Stato del gennaio 2003 – sembra di poter dire
– questa conclusione riceve l’autorevole sigillo dei giudici dell’azione
amministrativa: il canone di effettiva e verificabile coerenza con la destinazione
agricola dei terreni e con l’attività agricola è dichiarato disciplina di immediata e
diretta applicazione, azionabile anche giudizialmente, nei rapporti fra privati e dei
privati con la pubblica amministrazione.

(17) Delega tradottasi in tre decreti legislativi del 18 maggio 2001, n.226, «Orientamento e
modernizzazione del settore della pesca e dell'acquacoltura», n.227 «Orientamento e modernizzazione
del settore forestale», e n.228 «Orientamento e modernizzazione del settore agricolo».
(18) V. supra cap. VI.
(19) Come modificato dalla legge cost. n.3 del 18 Ottobre 2001, «Modifiche al titolo V della parte
seconda della Costituzione».

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