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IMMAGINI E SIMBOLI
d i I r o m c c i i u m v c r s o _____________________
Jaca Book
IM M AG IN I E SIM BO LI
«...Oggi si sta comprendendo una cosa di citi il XIX secolo non poteva avere nem
meno un presentimento, ovvero d ie il simbolo, il mito, l’immagine apparten
gono alla sostanza della vita spirituale, che è possibile mascherarli, mutilarli,
degradarli, ma che non li si estirperà mai...
Le immagini, i simboli, i miti, non sono creazioni irresponsabili della psiche;
essi rispondono a una necessità ed adempiono una funzione importante: mette
re 1 nudo le modalità più segrete dell'essere. Ne consegue che il loro studio ci
permette di conoscere meglio l’uomo, l'u o m o toul court", quello che non è
ancora sceso a patti con le condizioni della storia. Ogni essere storico porta
con sé una grande parte dell'umanità prima elella Storia. Questo dato, certo,
non è mai staro dimenticato, nemmeno ai tempi più inclementi del positivi
smo: chi meglio di un positivista poteva sapere che l'uomo e un "animale ,
definito e governato da istinti identici a quelli dei suoi fratelli, gli animali?
Constatazione esatta, però parziale, schiava ili un piano di riierimenio esclusi
vo. Oggi si comincia a vedere che la parie anti-storica di ogni essere umano
n on affonda, contrariamente a quanto si pensava nel XIX secolo, nel regno
animale e, in fin dei conti, nella "Vita": anzi, al contano deriva e si innalza ben
al di sopra di essa: questa parte astorica dell’essere umano porta, come una
medaglia, l'impronta del ricordo di un'esistenza più ricca, più completa, quasi
beatifica».
Mu cca Eliade
M IRCEA E LIA D E
B 3B 129012
ISBN 978 88 16-40070-2
€ 15,00 9 (-88816 4 f i0 ? n ?
D ello stesso autore
presso la Ja c a B ook
Opere narrative
Jaca Book
Titolo originale
Images et symboles.
Essai sur le symbolisme magico-religieux
© 1952
Gallimard, Paris
© 1980
Editoriale Jaca Book SpA, Milano
per l’edizione italiana
Sesta ristampa
settembre 2007
In copertina
Pittura su corteccia degli aborigeni australiani
(foto di A. Hay)
ISBN 978-88-16-40070-2
Prefazione 9
Premessa
Riscoperta del simbolismo 13
Simbolismo e psicanalisi 16
Perennità delle Immagini 19
Il piano del libro 23
Capitolo primo
Il simbolismo del « Centro »
Psicologia e storia delle religioni 29
Storia e archetipi 34
L ’Immagine del mondo 38
Il simbolismo del « Centro » 41
Simbolismo dell’ascensione 46
Costruzione di un centro 50
Capitolo secondo
Simbolismi indiani
del Tempo e delTEternità
La'funzione dei miti 55
Miti indiani del Tempo 57
La dottrina degli « Yuga » 60
Tempo cosmico e Storia ¿4
7
Indice
Capitolo terzo
Il « dio legatore » e il simbolismo dei nodi
Il Sovrano Terribile 85
Il simbolismo di Varuna 88
« Dei legatori » nell’india antica 91
Traci, Germani, Caucasici 94
Iran 97
Paralleli etnografici 98
Magia dei nodi 100
Magia e religione 102
Simbolismo delle « situazioni limite » 107
Simbolismo e storia 108
Capitolo quarto
Osservazioni sul simbolismo delle conchiglie
La Luna e le Acque 113
Simbolismo della fecondità 116
Funzioni rituali delle conchiglie 120
Il ruolo delle conchiglie nelle credenze funerarie 121
La perla nella magia e nella medicina 129
Il mito della perla 132
Capitolo quinto
Simbolismo e storia
Battesimo, diluvio e simbolismi acquatici 135
Immagini archetipe e simbolismo cristiano 143
Osservazioni sul metodo 155
8
PREFAZIONE
9
Prefazione
Georges Dumézil
Alla memoria di mio padre
Gheorghe Eliade (1870-1951)
PREMESSA
13
Premessa
14
Riscoperta del simbolismo
15
Premessa
Simbolismo e psicanalisi
16
Simbolismo e psicanalisi
17
Premessa
4 Il merito più grande di Jung è stato quello di aver superato la psicoanalisi freu
diana partendo proprio dalla psicologia, e di avere in tal modo ripristinato il si
gnificato spirituale dell’immagine.
18
Perennità delle Immagini
$uoi significati oppure uno solo dei suoi numerosi piani di riferimento.
Tradurre un’immagine in una terminologia concreta, riducendola ad uno
loltanto dei suoi piani di riferimento, è peggio che mutilarla, significa
annientarla, annullarla in quanto strumento di conoscenza.
Non ignoriamo che in certi casi la psiche fissa un’immagine su un
unico piano di riferimento, il piano « concreto », però questa è già la pro
va di uno squilibrio psichico. Esistono indubbiamente casi in cui l’im
magine della Madre non è più che il desiderio incestuoso della propria
madre, ma gli psicologi concordano nel vedere, in una tale interpreta
tone carnale di un simbolo, il segno di una crisi psichica. Sul piano
itetio della dialettica dell’immagine qualsiasi riduzione esclusiva è aber
rante. Nella storia delle religioni abbondano le interpretazioni unilate
rali e di conseguenza aberranti dei simboli. Non si troverà un solo gran
de (imbolo religioso la cui storia non sia un tragico susseguirsi di « ca
dute » innumerevoli. Non esiste eresia mostruosa, orgia infernale, cru
deltà religiosa, follia, assurdità o pazzia magico-religiosa che non sia
« giustificata », nel suo principio stesso, da un’interpretazione errata
—in quanto parziale, incompleta—di un simbolismo grandioso5.
1 Cfr. il nostro Traiti d'Histoire des Religioni, pp. 304s. e passim (tr. it. Trat
tilo di storia delle religioni, Boringhieri, Torino 1954, 448ss.).
19
Premessa
e film (non c’è forse chi ha affermato che il cinema è la « fabbrica dei
sogni »?). Si possono anche analizzare le immagini liberate improvvisa
mente da una musica qualsiasi, a volte dalla più volgare delle canzonet
te e si constaterà che queste immagini esprimono la nostalgia di un
passato mitizzato, trasformato in archetipo e che questo « passato » com
porta, oltre al rimpianto di un tempo abolito, mille altri significati:
esprime tutto ciò che sarebbe potuto essere e non è stato, la tristezza
di ogni esistenza che è solo cessando di essere altra cosa, il rimpianto
di non vivere nel paesaggio e nel tempo che la canzone evoca (qualun
que siano i colori locali o storici: « il buon tempo passato », la Russia
delle balalaike, l’oriente romantico, l’Halti dei film, il milionario ame
ricano, il principe esotico, ecc.); in fin dei conti il desiderio di qualcosa
di completamente diverso dall’istante presente, qualcosa, in definitiva,
di inaccessibile o di irrimediabilmente perduto: il « Paradiso ».
L ’elemento importante, in queste immagini della « nostalgia del pa
radiso », è che esse sono sempre più eloquenti rispetto a ciò che potreb
be esprimere a parole il soggetto che le ha provate. La maggior parte
degli esseri umani, del resto, sarebbero incapaci di raccontarle: non è
che siano meno intelligenti degli altri, tuttavia sta di fatto che accorda
no meno importanza al nostro linguaggio analitico. Di fatto, se una so
lidarietà totale del genere umano esiste, essa non può essere percepita
e « attuata » se non a livello delle Immagini (non diciamo del subcon
scio, poiché nulla prova che non esista anche un transconscio).
Non si è prestata sufficiente attenzione a tali « nostalgie »; in esse
si è voluto riconoscere solo dei frammenti psichici privi di significato:
al massimo ci si trovava d’accordo nel riconoscere che potevano interes
sare determinate indagini sulle forme di evasione psichica. Orbene, le
nostalgie sono a volte cariche di significati che investono la situazione
stessa dell’uomo: a questo titolo esse si impongono sia al filosofo che
al teologo. Soltanto non le si prendeva sul serio, le si trovava « frivo
le »: l’immagine del Paradiso Perduto sprigionata all’improvviso da
un’aria di fisarmonica, che argomento di studio compromettente! Que
sto vuol dire dimenticare che la vita dell’uomo moderno è tutto un bru
lichio di miti semidimenticati, di ierofanie decadute, di simboli abban
donati. La dissacrazione interrotta dell’uomo moderno ha alterato il con
tenuto della sua vita spirituale, ma non ha infranto le matrici della sua
immaginazione: in zone mal controllate sopravvive tutta una scoria mi
tologica. <
Del resto, la parte più « nobile » della coscienza di un uomo moder- {
Perennità delle Immagini
21
Premessa
care una parte della loro magra razione per offrirsi questo piacere) e
quelle storie non facevano che trasmettere dei miti, quelle romanze era
no cariche di « nostalgie ». Tutta questa parte, essenziale e imprescin
dibile dell’uomo, che si chiama l 'immaginatone nuota in pieno simboli
smo e continua a vivere miti e teologie arcaici *.
Sta all’uomo moderno, dicevamo, « risvegliare » questo inestimabi
le tesoro di immagini che egli porta con sé: risvegliare queste immagi
ni per contemplarle nella loro verginità e assimilare il loro messaggio.
La saggezza popolare ha espresso a più riprese l’importanza deU’imma-
ginazione per la salute stessa dell’individuo, per l’equilibrio e la ricchez
za della sua vita interiore. In certe lingue moderne chi è « privo di im
maginazione » è da compiangere, viene considerato un essere limitato,
mediocre, triste, infelice. Gli psicologi, Jung in primo luogo, hanno mo
strato fino a che punto i drammi del mondo moderno derivino da un
profondo squilibrio della psiche, sia individuale che collettiva, squilibrio
in buona parte provocato da una sempre più grande sterilizzazione del
l’immaginazione. « Avere immaginazione » significa godere di ricchez- '
za interiore, di un flusso ininterrotto e spontaneo di immagini. Sponta
neità, però, non significa invenzione arbitraria. Sul piano etimologico,
« immaginazione » è solidale con imago, « rappresentazione, imitazio
ne » e con imìtor, « imitare, riprodurre ». Per una volta l’etimologia
rieccheggia sia le realtà psicologiche che la verità spirituale. L ’immagi
nazione imita dei modelli esemplari—le immagini—li riproduce, li riat
tualizza, li ripete incessantemente. Avere immaginazione è vedere il
mondo nella sua totalità, giacché è potere e missione delle Immagini
mostrare tutto ciò che rimane refrattario al concetto. Ci si spiega allo
ra la disgrazia e la rovina di chi « è privo di immaginazione »: un tale
individuo è tagliato fuori dalla realtà profonda della vita e della sua
stessa anima.
Nel ricordare questi principi abbiamo voluto mostrare che lo studio
6 Cfr. le analisi ricche e penetranti svolte da Gaston Bachelard nelle sue opere
dedicate all’« immaginazione della materia »: La psychanalyse du feu, L’Eau et les
Rives, L’Air et les Songes, La Terre et les Rêveries, Paris 1939-1948, 2 voli. Ba
chelard si basa per lo più sulla poesia e sui sogni, ma sarebbe facile dimostrare
cune i sogni e le immagini poetiche siano il proseguimento di simbolismi sacri e
di mitologie arcaiche. A proposito delle immagini dell’Acqua e della Terra die
tornano in modo ossessivo nei sogni e nelle letterature, cfr. i capitoli sulle ierofa-
nie e i simbolismi acquatici e tellurici nel nostro Traiti d’Histoire des Religions,
pp. 168s., 211s. (ed. it. pp. 193s., 245s.).
Il piano del libro
23
Premessa
24
Il piano del libro
25
Premessa
26
Il piano del libro
Uri tedeschi, non è nemmeno lecito fermarsi a quel che gli autori pen-
Mvuno delle loro stesse creazioni per interpretare il simbolismo impli-
• Ho in esse. È un fatto che il più delle volte un autore non esaurisce il
lignificato della sua opera. I simbolismi arcaici riappaiono spontanea
mente perfino nelle opere di autori « realisti » che ignorano tutto di tali
«Imboli.
D'altronde questa controversia circa i limiti legittimi dell’ermeneu-
ilm dei simboli è del tutto vana. Si è visto che i miti si degradano e i
•Imboli si secolarizzano ma non scompaiono mai, nemmeno nella civil
tà più positivista, quella del xix secolo. I simboli e i miti vengono da
i toppo lontano: fanno parte dell’essere umano ed è impossibile non ri
trovarli in qualsiasi situazione esistenziale dell’uomo nel Cosmo.
29
Il simbolismo del « Centro »
30
Psicologia e storia delle religioni
31
Il simbolismo del « Centro »
32
Psicologia e storia delie religioni
33
Il simbolismo del « Centro »
le, vale a dire sia l’entità fisiologica che l’uomo sociale, quello econo
mico e via di seguito. Tutti questi condizionamenti, però, non arrivano,
da soli, ad esaurire la vita spirituale.
Ciò che distingue lo storico delle religioni da uno storico puro e
semplice è il fatto che egli si trova davanti dati che, per quanto storici
rivelano un comportamento che va ben al di là dei comportamenti sto
rici dell’essere umano. Se è ben vero che l’uomo si trova sempre « in
situazione », ciò— non vuol dire che questa situazione sia sempre sto
rica, cioè condizionata esclusivamente dal momento storico a lei con
temporaneo. Oltre alla sua condizione storica l’uomo integrale conosce
altre situazioni, conosce, ad esempio, lo stato di sogno, o di sogno ad
occhi aperti, oppure di malinconia e di distacco, o di beatitudine este
tica, o di evasione, ecc.— e tutti questi stati non sono « storici », seb
bene essi siano altrettanto autentici e importanti per l’esistenza uma
na quanto lo è la sua situazione storica. L ’uomo conosce, d’altronde,
svariati ritmi temporali e non soltanto il tempo storico, cioè il tempo
che gli è proprio, la contemporaneità storica. Basta che ascolti della buo
na musica, o che si innamori o che preghi, ed esce dal presente storico
per ritrovare il presente eterno dell’amore e della religione. Basta ad
dirittura che apra un romanzo o assista a una rappresentazione teatrale
per ritrovare un ritmo temporale diverso— quel che si potrebbe defi
nire il tempo contratto— che non è, in ogni caso, quello del tempo sto
rico. Troppo presto si è giunti alla conclusione che l’autenticità di un’e
sistenza dipende esclusivamente dalla coscienza della propria storicità.
Tale coscienza storica svolge un ruolo assai modesto nella coscienza
umana, per non parlare delle zone dell’inconscio appartenenti anch’es-
se all’essere umano integrale. Più una coscienza è desta, più essa su
pera la sua storicità: ci basti ricordare i mistici e i saggi di ogni tempo,
in primo luogo quelli dell’Oriente.
Storia e archetipi
34
Storia e archetipi
35
Il simbolismo del « Centro »
36
Storia e archetipi
* Cfr. più sotto il Capitolo terzo: Il « dio legatore» e U simbolismo dei nodi.
37
Il simbolismo del «< Centro *
38
L ’Immagine del mondo
1 t'Ir. W.J. Knight, Cumaean Gates, Oxford 1936; Karl Kerenyi, Labyrinth-
I A l b a e Vigilae, Heft xv, Amsterdam-Leipzig 1941.
39
Il simbolismo del « Centro »
sono esistere svariati « centri ». Come vedremo tra poco, tutte le civil
tà orientali—Mesopotamia, India, Cina, ecc.—conoscono un numero
illimitato di « Centri ». Meglio ancora: ciascuno di questi * Centri » è
considerato, e addirittura letteralmente denominato il « Centro del
Mondo ». Lo spazio in questione è uno spazio sacro, determinato da una
ierofania, vale a dire costruito ritualmente e non imo spazio profano,
omogeneo, geometrico, perciò la pluralità dei « Centri della Terra » al
l’interno di una stessa regione non fa alcuna difficoltà \ Siamo in pre
senza di una geografìa sacra e mitica, la sola che sia effettivamente rea
le e non di una geometria prolana, « obiettiva », in qualche modo astrat
ta e non essenziale, costruzione teorica di uno spazio e di un mondo
in cui non si abita e che perciò non si conosce.
Nella geografia mitica, lo spazio sacre è ]®« ^ 4zìq reale per eccellen- ,
za in quanto, come è stato dimostrato di recentes, per il mondo arcaico |
il mito è reale poiché racconta le manifestazioni della vera realtà: il !
sacro. £ in tale spazio si attinge direttamente al sacro, sia esso materia-
lizzato in determinati oggetti ( tchuringa, rappresentazioni della divini
tà, ecc.) oppure si manifesti nei simboli iero-cosmici (Pilastro del Mon
do, Albero Cosmico, ecc.). Nelle culture che conoscono la concezione
delle tre regioni cosmiche— Gelo, Terra, Inferno—il « centro » costi
tuisce il punto di intersezione di tali regioni ed è qui che è possibile j
una rottura di livello e, con ciò stesso, una comunicazione tra queste i
tre regioni. Abbiamo motivo di credere che l’immagine di tre livelli co- i
smici sia alquanto arcaica; la si incontra, ad esempio, tra pigmei Semang
della penisola di Malacca: al centro del mondo si erge una roccia enor
me, Batu-Ribu e sotto di essa si trova l’inferno. Un tempo dal Batu- ;
Ribu un tronco d’albero si innalzava verso il Cielo6. L ’inferno, il cen*
tro della terra e la « porta » del cielo si trovano quindi sullo stesso as
se ed è attraverso tale asse che avveniva il passaggio da una regione
cosmica all’altra. Si stenterebbe a credere all’autenticità di questa teo
ria cosmologica tra i pigmei Semang se ragioni fondate non ci facessero
4 Cfr. il nostro Traité d’Histoire des Religions, Payot, Paris 1949, pp. 315s.
(ed. it. pp. 380s.).
5 Cfr. R. Pettazzoni, Miti e Leggende, Torino 1948, i, p. v; id., «Verità del
mito * in Studi e materiali di storia delle religioni, 1947-1948, voi. n a , pp. 104-116;
G. van der ’Leeuw, «D ie Bedeutung der Mythen» in Festschrift für Alfred
Beriholet, Tübingen 1949, pp. 287-293; M. Eliade, Traité d’Histoire des Religions,
pp. 350s. (ed. it. pp. 398s.).
6 P. Schebesta, Les Pygmies, (trad. fr., Paris 1940, pp. 156s.). |
40
Il simbolismo del « Centro »
41
11 simbolismo del « Centro »
42
Il simbolismo del « Centro »
43
Il simbolismo del « Centro »
9 Cfr. Il nostro Traiti, pp. 236s. (ed. it. pp. 310) Le Cbamanisme pp. 244s.
(ed. it. pp. 293s.); sul simbolismo cristiano della croce *= Albero Cosmico, cfr. H.
de Lubac, Aspects du Bouddhisme, Paris 1951, PP- 51s. (tr. it. Aspetti del Bud
dismo, Jaca Book, Milano 1980, pp. 51s.).
44
Il simbolismo del « Centro »
** i-fr. materiali e bibliografia nel nostro libro Le Chamanisme, pp. 171s. (ed.
tl |i|i 220s.).
" A.A. Popov, Tavgfjcy. Materialy po etnografo avamskicb i vedeevskicb tavgf-
&v, Moika-Leningrad 1936; cfr. Le Chamanisme, pp. 160s. (ed. it. pp. 192s.).
'* Cfr. E. Emsheitner, « Schamanentrommel und Trommelbaum » in Etbnos,
voi. iv, pp. 166-181.
Il simbolismo del « Centro »
' tro » e, in seguito, al Cielo più alto. Quindi salendo la betulla cerimo
niale a 7 o a 9 tacche, oppure suonando il tamburo lo sciamano intra
prende il suo viaggio in Cielo. Tuttavia, egli è in grado di ottenere la
rottura dei livelli cosmici che gli consentirà l’ascensione e il volo estati
co attraverso i cieli, solo perché si ritiene che già si trovi al centro stes
so del mondo; solo in questo centro, infatti, come abbiamo visto, è pos
sibile la comunicazione tra la Terra, il Cielo e l’inferno13.
Simbolismo dell’ascensione
È molto probabile che, per lo meno nel caso delle religioni centro
asiatiche e siberiane, questo simbolismo del Centro sia influenzato da
schemi cosmologici indo-iranici e, in ultima istanza, mesopotamici. L’im
portanza del numero 7, tra l’altro, sembra dimostrarlo. È opportuno,
tuttavia, beh distinguere tra il mutuare una teoria cosmologica elabora
ta intorno al simbolismo del Centro—come sarebbe, ad esempio, la con
cezione di 7 livelli celesti—e il simbolismo del centro in sé. Abbiamo
già visto che questo simbolismo è estremamente arcaico, che è noto ai
Pigmei della penisola di Malacca. £ se anche si potesse sospettare una
lontana influenza indiana su questi Pigmei Semang, ci sarebbe ancora
da spiegare il simbolismo del Centro che si incontra sui monumenti prei
storici (Montagne Cosmiche, i quattro fiumi, l’Albero e la spirale, ecc.).
Meglio ancora: si è potuto dimostrare che il simbolismo di un asse co
smico è già noto nelle culture arcaiche (le Urkulturen di cui parla la
scuola Graebner-Schmidt) e in primo luogo presso le popolazioni arti
che e del nord America: il palo centrale dell’abitazione è, presso que
sti popoli, assimilato all’Asse Cosmico. Ed è alla base di questo palo che
vengono deposte le offerte destinate alle divinità celesti, dal momento
che soltanto lungo quest’asse le offerte possono salire al cielo M. Quan
do cambia la forma dell’abitazione e la yurta prende il posto della ca
panna (tra i pastori-allevatori dell’Asia centrale, ad esempio), la funzio
ne mitico-rituale del pilastro centrale è assolta dall’apertura superiore
destinata a lasciar uscire il fumo. In occasione dei sacrifici, nella yurta
viene introdotto un albero, la cui cima fuoriesce da tale apertura. Que-
46
Simbolismo dell’ascensione
«lo «lbero sacrificale, con i suoi sette rami, simboleggia le sette sfere ce
fali. Così, da un lato, la casa è omologata all’Uttiverso ed è, d’altra
(•arie, considerata situata al Centro del Mondo, con l’apertura per il fu
mii disposta di fronte alla stella polare.
Torneremo più avanti su questa assimilazione simbolica dell’abita-
•tonc al « Centro del Mondo », poiché essa rivela imo dei comporta
menti più istruttivi dell’uomo religioso arcaico. Soffermiamoci, per il
momento, sui riti di ascensione che hanno luogo in un « centro ». Ab
biamo visto che lo sciamano tartaro o siberiano si arrampica su un al
bero e che il sacrificatore vedico sale su una scala. L ’obiettivo dei due
•III è identico: l’ascensione al cielo. Un numero considerevole di miti
(«ria di un albero, di una liana, di una corda, di una ragnatela o di una
« a la che collegano la terra al cielo e grazie a cui certi esseri privilegia
li lalgono effettivamente al cielo. Questi miti hanno, ben s’intende, del
ta corrispondenze rituali: ad esempio l’albero sciamanico o il palo del
latrlficatore vedico. Accontentiamoci di qualche esempio: Polyaenus
(Slntagematon, vii, 22) ci parla di Kosingas, prete-re di certe popola
rm i della Tracia, il quàle minacciava di abbandonare i suoi sudditi,
•alando su una scala di legno fino alla dea Hera: questo dimostra che
una icala rituale di questo genere esisteva e che la si riteneva capace di
«indurre il prete-re fino al Gelo. L ’ascensione celeste tramite la salita ceri
moniale di una scala faceva probabilmente^, parte di un’iniziazione orfica.
I lotnunque sia, la ritroviamo nell’iniziazione mitraica. Nei misteri di Mitra,
la icala (climax) cerimoniale aveva sette gradini ciascuno di metallo diver
bi Secondo Celso (Origene, Contro Celestum, vi, 22), il primo gradino
ara di piombo e corrispondeva al « cielo » del pianeta Saturno, il se-
Hindo di stagno (Venere), il terzo di bronzo (Giove), il quarto di ferro
(Mercurio), il quinto di «lega monetaria» (Marte), il sesto d’argento
(la luna), il settimo d’oro (il sole). L ’ottavo gradino, ci dice Celso, rap-
J*r*»enta la sfera delle stelle fìsso ,5.* Salendo questa scala cerimoniale,
l'infoiato percorreva effettivamente i 7 cieli, innalzandosi così fino al-
l'Kmpireo. Allo stesso modo si montava fino all’ultimo cielo percorren-
ilti I «ette piani del ziqqurat babilonese o si attraversavano le diverse re-
w Cfr. i materiali raccolti nel nostro Chamanisme, pp. 248s. (ed. it. pp. 298s.).
I*w II simbolismo cristiano dell’ascensione, cfr. Louis Beimaert, « Le symbolisme
Mt*niionnel dans la liturgie et la mystique chrétiennes » in Eranos-Jahrbucb.
Xttlirh 1951, xix, pp. 41-63.
47
Il simbolismo del « Centro »
gioni cosmiche scalando la terrazza del tempio Barabudur che, come ab
biamo visto, costituiva in sé una Montagna Cosmica e una imago mundi.
Si comprende facilmente che la scalinata dell’iniziazione mitraica
era un Asse del Mondo e si trovava al Centro dell’Universo: se non
fosse stato così, la rottura dei livelli sarebbe stata impossibile. « Ini
ziazione » vuol dire, ben lo si sa, morte e risurrezione del neofita, oppu
re, in altri contesti, discesa agli Inferni seguita dall’Ascensione al Cie
lo. La morte—iniziatica o no—è la rottura di livello per eccellenza. Per
questo motivo è simboleggiata da una scalata e molto spesso i rituali
funerari utilizzano scale o scalinate. L’anima del morto percorre i sen
tieri di una montagna, oppure si arrampica su un albero, o una liana,
fino ai cieli. Questa concezione si incontra un po’ dovunque nel mondo,
dall’antico Egitto all’Australia. In assiro l’espressione corrente per
« morire » è « aggrapparsi alla montagna ». Analogamente in egiziano,
myny, « aggrapparsi », è un eufemismo per « morire ». Nella tradizio
ne mitica indiana, Yama, il primo morto, si è arrampicato sulla mon
tagna e ha percorso « le alte vie » per mostrare « il cammino a molti
uomini », come leggiamo nel Rig Veda (x, 14,1). Il sentiero dei morti
nelle credenze popolari uralo-altaiche si inerpica su per i monti; Bolot,
eroe Kara-Kirghiso, al pari di Kesar, re leggenderio dei Mongoli, pene
tra nel mondo dell’aldilà, a mo’ di prova iniziatica, attraverso una grot
ta situata sulla cima delle montagne; la discesa dello sciamano agli In
ferni si effettua anch’essa tramite una grotta. Gli Egiziani hanno con
servato nei loro testi funerari l’espressione asket pet ( asket = « gradi
no ») per indicare che la scala di cui dispone Ré è una vera e propria
scala die collega la Terra al Cielo. « £ installata per me la scala per
vedere gli dei », dice il Libro dei Morti. « Gli dei preparano per lui
una scala affinché, grazie ad essa, monti in Gelo », dice sempre il Libro
dei Morti. In molte tombe del tempo delle dinastie arcaiche e medio
evali sono stati trovati amuleti raffiguranti una scala ( maqet) o una
scalinata. L ’uso della scala funeraria è sopravvissuto, del resto, fino ai
nostri giorni: molte popolazioni primitive—ad esempio i Lolo, i Ka-
ren, ecc.— erigono sulle tombe delle scale rituali che servono ai defun
ti per salire ai Cieli “ .
Come abbiamo appena visto la scala è portatrice di un simbolismo
estremamente ricco e al tempo stesso perfettamente coerente: essa raf-
14 Cfr. Traiti d'Histoire des Religione, pp. 86s. (ed. it. pp. 114s.) Le Cbama-
nume et les techniques archàiques de l'extase, pp. 420s. (ed. it. pp. 470*.).
48
Simbolismo dell’ascensione
11 Cfr. Il nostro studio « Durohàna and thè ‘waking dream’ » in Art and
I Imught, A volume in bonour of thè late Dr Ananda K. Coomaraswamy, London
1947, pp. 209s.
49
Il simbolismo del « Centro »
Costruzione di un centro
Abbiamo visto come non solo i templi fossero ritenuti ergersi nel
« Centro del Mondo », ma qualsiasi luogo sacro, qualsiasi luogo che
manifestasse un inserimento del sacro nello spazio profano, fosse a sua'
volta considerato un « centro ». Questi spazi sacri potevano anche ve
nir costruiti, tuttavia la loro costruzione era in certo modo una cosmo
gonia, tuia creazione del mondo, cosa questa del tutto naturale dal mo
mento che, come abbiamo visto, il mondo è stato costruito a partire da
un embrione, da un « centro ». Così, ad esempio, la costruzione del
l’altare del fuoco vedico riproduceva la creazione del mondo e l’altare
stesso era un microcosmo, un'imago mundi. L ’acqua nella quale si im
pasta l’argilla, dice il Qatapatha Bràhmana (i 9,2,29; vi 5,ls. ecc.) è
l’Acqua primordiale; l’argilla che serve di base all’altare è la terra; le
pareti laterali rappresentano l’atmosfera, ecc. (Bisognerebbe forse ag
giungere che questa costruzione implica altresì una costruzione del Tem
po cosmico, ma non è il caso di affrontare questo problema in questa
sede; cfr. Le Mytbe de l’Eternel Retour, pp. 122s.; ed. it. pp. 83s.).
È inutile, quindi, insistere; la storia delle religioni conosce un nu
mero considerevole di costruzioni rituali di un « Centro ». Osserviamo
una cosa soltanto, molto importante a nostro modo di vedere: nella mi
sura in cui i vecchi luoghi sacri, i templi o gli altari, perdono la loro ef
ficacia religiosa, si scoprono e si applicano altre formule geomantiche,
architettoniche o iconografiche le quali, in fin dei conti, rappresentano,
talora in modo assai sorprendente, lo stesso simbolismo del « Centro ».
Scegliamo un unico esempio: la costruzione e la funzione del manda
la ". Questo termine significa « cerchio »; le traduzioni tibetane lo ren
dono a volte con « centro », a volte con « ciò che circonda ». Di fatto.
11 Cfr. il nostro libro Tecbniques du Yoga, Gallimard, Paris 1948, pp. 185s.
(tr. it. Tecniche dello Yoga, Boringhieri, Torino 1975); Giuseppe Tucci, Teoria
e pratica del mandala, Roma 1949, sul simbolismo del mandala, cfr. C.G. Jung,
Psychologie und Alchemie, Zurich 1944, pp. 139 sq. (tr. it. Psicologia e alchimia.
Astrolabio, Roma 1950); id., Gestdtungen des Unbewussten, Zurich 1950, pp. 187s
50
Costruzione di un centro
51
Il simbolismo del « Centro »
52
Costruzione di un centro
* Cfr. Traiti d’Histoire des Religioni, pp. 326«. (ed. it. pp. 395«.); Le Chama-
IM im i, pp. 417, 428s. (ed. it. pp. 467, 478s.).
• Ptrceval, ed. Hucher, p. 466; Jessie L. Western, From Ritual to Romance,
Cambridge 1920, pp. 12s. Lo stesso motivo mitico si ritrova nel culo di sir
Qawain (Weston, ibid.).
33
Il simbolismo del « Centro »
54
Capitolo secondo
SIMBOLISMI INDIANI
DEL TEMPO E DELL’ ETERNITÀ
55
Simbolismi indiani del Tempo e dell’Eternità
un istante senza durata, che è il modo in cui certi mistici e certi filosofi
si rappresentano l’eternità.
£ questa una constatazione importante poiché da ciò consegue che
la recitazione dei miti non è senza conseguenze per chi la compie e per
coloro che l’ascoltano. Per il semplice fatto di narrare un mito il tem
po profano è— almeno simbolicamente— abolito: il narratore e il suo
pubblico sono proiettati in un tempo sacro e mitico. In altro luogo 1 ab
biamo cercato di mostrare che l’abolizione del tempo profano tramite
l’imitazione dei modelli esemplari e la riattualizzazione degli eventi mitici
costituisce un tratto specifico di ogni società tradizionale e che basta que
sto unico tratto per differenziare il mondo arcaico dalle nostre società
moderne. Nelle società tradizionali ci si sforzava, in modo conscio e de
liberato, di abolire periodicamente il Tempo, di cancellare il passato e
di rigenerare il Tempo tramite una serie di rituali che, in certo qual mo
do, riattualizzavano la cosmogonia. Possiamo fare a meno, in questa
sede, di addentrarci in elaborazioni che ci porterebbero troppo lontano
dal nostro argomento specifico. Accontentiamoci di ricordare che un
mito strappa l’uomo al tempo che gli è proprio, al suo tempo indivi
duale, cronologico, « storico », e lo proietta, almeno simbolicamente,
nel Gran Tempo, in un istante paradossale che non può essere misurato
in quanto non costituito da una durata. £ come dire che il mito impli
ca una rottura del tempo e del mondo circostante: realizza un’apertura
verso il Gran Tempo, verso il Tempo sacro.
In virtù del semplice fatto di ascoltare un mito, l’uomo dimentica
la sua condizione profana, la sua « situazione storica », come si ha oggi
l’abitudine di dire. Non è affatto necessario partecipare a una civiltà sto
rica per poter dire di qualcuno che si trova in una « situazione stori
ca ». L ’aborigeno australiano che si ciba di insetti e di radici si trova
anche lui in una « situazione storica », ovvero in una situazione ben de
limitata, che è espressa da una determinata ideologia ed è sostenuta da
un determinato tipo di organizzazione sociale ed economica; nel caso
specifico, l’esistenza dell’australiano rappresenta con ogni probabilità
una variante della situazione storica dell’uomo paleolitico. L ’espressio
ne « situazione storica », infatti, non necessariamente implica la « sto
56
Miti indiani del Tempo
57
Simbolismi indiani del Tempo e dell’Eternita
2 Cfr. Heinrich Zimmer, Myths and Symbols in Indian Art and Civilization,
a cura di Joseph Campbell, The Bollingen Series, vi, New York 1946, pp. 3s.
58
Miti indiani del Tempo
59
Simbolismi indiani del Tempo e dell’Eternità
60
La dottrina degli « Yuga »
nosce in virtù del fatto che nel corso di questa epoca solo la proprietà
conferisce il rango sociale, la ricchezza diventa l’unica fonte delle vir
tù, la passione e la lussuria l’unico vincolo tra gli sposi, la falsità e la
menzogna l’unica condizione del successo nella vita, la sessualità l’unico
mezzo di godimento e la religione esteriore, puramente ritualistica, vie
ne confusa con la spiritualità. Da molti millenni stiamo vivendo, benin
teso, nel kali yuga.
Le cifre 4, 3, 2 e 1 denotano a un tempo la durata decrescente di
ogni yuga e la progressiva diminuzione del dharma che in esso sussiste,
■ cui corrisponde del resto una diminuzione della durata della vita
umana, accompagnata, come abbiamo visto, da un progressivo allentarsi
dei costumi e da un declino continuo dell’intelligenza. Certe scuole in
diane, come il Pàncaràtra, collegano del resto alla teoria dei cicli m a
dottrina della « decadenza della conoscenza » (jhàna bramca).
È possibile calcolare in modo diverso la durata relativa di ciascuno
di questi quattro yuga: tutto dipende dal valore che viene accordato
■gli anni, cioè se si ha a che fare con anni umani, oppure con anni «c di
vini », ciascuno dei quali abbraccia 360 anni. Qualche esempio basterà.
Secondo certe fonti (Manu, i, 69s.; Mahàbràrata, in 12.826) il krta yuga
dura 4000 anni, più 400 anni di « aurora » e altrettanti di « crepusco
lo »; vengono poi tretà yuga di 3000 anni, dvàpara di 2000 e kali yuga
di 1000 anni (più, si intende, le « aurore » e i « crepuscoli » corrispon
denti). Un ciclo completo, un mahàyuga, abbraccia quindi 12000 anni.
Il passaggio da uno yuga all’altro si verifica nel corso di un « crepusco
lo » che segna un calando all’interno stesso di ciascuno yuga e ciascu
no di essi si conclude con una tappa di tenebre. Man mano che ci si av
vicina alla fine del ciclo, ovvero al quarto ed ultimo yuga, le « tene
bre » si infittiscono. L ’ultimo yuga, quello in cui ci troviamo attualmen
te, è del resto considerato 1’« età delle tenebre » per eccellenza, in quan
to, con un gioco di parole, esso è stato messo in rapporto con la dea
KAlì, cioè « la Nera ». Kàlì è uno dei tanti nomi della Grande Dea, del
la (¿akti, la sposa del dio Qiva. Non è mancato l’accostamento tra que
llo nome della Grande Dea e il termine sanscrito kMa, « tempo »: Kàlì
■arebbe non soltanto « la Nera », ma anche la personificazione del Tem
po1. Qualunque sia il valore di questa etimologia, l’accostamento tra
kila, il « Tempo », la dea Kàlì e kali yuga è lecito sul piano della strut
61
Simbolismi indiani del Tempo e dell’Eternità
63
Simbolismi indiani del Tempo e dell’Eternità
64
Tempo cosmico e Stona
65
Simbolismi indiani del Tempo e dell’Eternità
* The Sayings of Sri Ramakrishna, Madras 1938, Libro iv, capitolo 22. Cfr.
un’altra versione di questo mito secondo la Matsya Purina, raccontata da H. Zim-
mer, Myths and Symbols, pp. -27s.
66
Il « terrore del Tempo »
Il mito del tempo ciciclo, ovvero dei cicli cosmici che si ripetono al
l'infinito non è un’innovazione del pensiero speculativo indiano. Come
abbiamo mostrato altrove7, le società tradizionali—le cui rappresenta
zioni del Tempo risultano così difficili da cogliere, proprio perché sono
«presse attraverso simboli e rituali il cui significato profondo ci rima
ne talora inaccessibile— immaginano l’esistenza temporale dell’uomo non
67
Simbolismi indiani del Tempo e delI’Eternità
68
Simbolismo indiano dell’abolizione del Tempo
69
Simbolismi indiani del Tempo e dell’Etemità
come dire che tanto l’universo nei suoi aspetti manifesti e non manife
sti, che lo Spirito nelle sue modalità di condizionato e non condiziona
to, riposano nell’Unico, nel Brahman che annulla tutte le polarità e tutte
le opposizioni. Orbene la Maitri Upanisad ( v i i 11,8), precisando questo
aspetto bipolare dell’Essere universale sul piano del Tempo, distingue
le « due forme » (dve rupe) di Brahman (cioè gli aspetti delle « due na
ture » [ dvaitibhava] di un’unica essenza Itad ekan\) in quanto « Tem
po e senza-Tempo » [kàlaq - càkalaq-ca). In altri termini il Tempo, al
pari dell’Eternità, sono i due aspetti dello stesso Principio: nel Brahman
il nuttc fluens e il nunc stans coincidono. La Maitri Upanisad prosegue:
« Ciò che precede il sole è senza-Tempo (akàla) e non diviso (akala);
ma ciò che comincia con il Sole è il tempo che ha delle parti (sakala) e
la sua forma è l’Annata... »
L ’espressione « ciò che precede il Sole » potrebbe essere intesa tan
to sul piano cosmologico, in quanto riferita all’epoca che precedeva la
Creazione—poiché negli intervalli tra i mahàyuga o tra i kalpa, nel cor
so delle Grandi Notti Cosrtiiche, la durata non esiste più—ma essa si
applica soprattutto sul piano metafisico e soteriologico, cioè essa indica
la situazione paradossale di chi ottiene l’illuminazione, diventa un
jivanmukta, un « liberato nella vita » e proprio in virtù di ciò supera il
Tempo, nel senso che non partecipa più alla durata. In effetti la Chàn-
dogya-Upanisad (in 11) afferma che per il Saggio, per l’illuminato, il
Sole resta immobile. « Ma dopo essersi alzato allo zenit, esso [il Sole ]
non si alzerà e non si poserà più. Si terrà solitario al Centro (ekala eva
madhyhe sthàlà). Da qui il verso: « Giammai là [cioè nel mondo tra
scendentale del brahman] è tramontato, giammai è sorto... Non si le
va né si posa; una volta per tutte ( sakrt ) è nel cielo per colui che co
nosce la dottrina del brahman ».
Si tratta qui, si intende, di un’immagine sensibile della trascenden
za: allo zenit, cioè alla sommità della volta celeste, al «Centro del
mondo », nel punto dove sono possibili la rottura dei livelli e la comu
nicazione tra le zone cosmiche, il Sole ( = il Tempo) rimane immobile
per « colui che sa », il nuric fluens si trasforma paradossalmente in nunc
stans. L’illuminazione, la comprensione, realizza il miracolo dell’uscita
dal Tempo. L ’istante paradossale dell’illuminazione è paragonato nei te
sti vedici e nelle Upanisad al lampo. Brahman si capisce all’improvviso
come un lampo ( Kena Up. iv 4,5). « Nel lampo, la Verità » ( Kausitaki
Up. iv 2. È noto che la stessa identica immagine, lampo— illuminazione
spirituale, si incontra nella metafisica greca e nella mistica cristiana).
70 j
Simbolismo indiano dell’abolizione del Tempo
71
Simbolismi indiani del Tempo e dell’Eternità
72
L ’« Uovo infranto »
73
Simbolismi indiani del Tempo e dell’Eternità
74
La filosofia del Tempo nel buddismo
14 Sutta Nipàta, 373, 860, ecc. e altri testi raccolti da Coorparaswamy, op. cit.,
pp. 40s.
75
Simbolismi indiani del Tempo e dell’Eternità
Immagini e paradossi
76 1
Immagini e paradossi
esprimere l’atto paradossale dell’« uscita dal tempo » valgono anche per
esprimere il passaggio dall’ignoranza all’illuminazione (ovvero, in altri
termini, dalla « morte » alla « vita », dal condizionato al non condizio
nato,ecc.)- Grosso modo esse possono essere raggruppate in tre classi:
1) le immagini che indicano l’abolizione del tempo, e di conseguenza,
l’illuminazione tramite una rottura dei livelli (1’« Uovo infranto », il
Lampo, i Sette Passi del Budda, ecc.); 2) quelle che esprimono una si
tuazione inconcepibile (l’immobilità del sole allo zenit, la stabilità del
flusso degli stati di coscienza, il completo arresto della respirazione nel*
la pratica yoga, ecc.) e, per finire, 3) l’immagine contraddittoria del
« momento favorevole », frammento temporale trasfigurato in « istan
te deH’illuminazione ». Le ultime due classi di immagini indicano, a lo
ro volta, una rottura di livelli, poiché mettono in luce il passaggio para*
dossale da uno stato « normale » sul piano profano (la corsa del sole,
il Busso della coscienza, ecc.) a uno stato « paradossale » (l’immobilità
del sole, ecc.) oppure implicano la transustanzializzazione che si produ
ce all’interno stesso del momento temporale. (Com’è noto, il passaggio
dalla durata profana al tempo sacro messo in moto da un rituale si ot
tiene altresì attraverso una « rottura dei livelli »: il tempo liturgico non
continua la durata profana in cui si inserisce, bensì, paradossalmente, il
tempo dell’ultimo rituale celebrato. Cfr. il nostro Traité d’Histoire des
Religioni, PP- 332s., ed it. p. 402s.).
La struttura di queste immagini non ha nulla di sorprendente: qual
siasi simbolismo della trascendenza è paradossale e sul piano profano
impossibile da concepire. Il simbolo maggiore usato per esprimere la rot
tura dei livelli e la penetrazione nell’« altro mondo », nel mondo sopra-
sensibile (sia esso il mondo dei morti o quello degli dei), è quello de}
« passaggio difficile », il filo del rasoio. La Katha XJpanisad (ili 14) af
ferma: « È arduo passare sulla lama alata del rasoio, dicono i poeti, per
esprimere le difficoltà del cammino (che conduce alla conoscenza supre
ma) ». Sovviene quel che dice il Vangelo: « Quanto stretta è invece la
porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli
che la trovano » (Mt 7, 14). La « porta stretta », il filo del rasoio, il
ponte esiguo e pericoloso non esauriscono, del resto, la ricchezza di que
sto simbolismo. Altre immagini ci presentano una situazione apparen
temente senza via d’uscita. L ’eroe di un racconto iniziatico deve passa
re nel punto « in cui il giorno e la notte si incontrano », oppure trova
re una porta in un muro che si presenta compatto, o salire al Cielo at
traverso un passaggio che si socchiude per un solo istante, passare tra
77
Simbolismi indiani del Tempo e dell’Eternità
due mole in continuo movimento, tra due massi che si scontrano in con
tinuazione, o ancora tra le fauci di un mostro, ecc.I6. Tutte queste im
magini mitiche esprimono la necessità di trascendere i contrari, di abo
lire la polarità che caratterizza la condizione umana per accedere atta
realtà suprema. Come dice Coomarasmy, « chi vuole trasportarsi da
questo mondo all’altro, o farvi ritorno, lo deve fare nell’intervallo uni
dimensionale e atemporale che separa delle forze apparenti ma contra
rie, attraverso cui si può passare solo in un istante » (Symplegades,
p. 486).
In effetti, poiché per il pensiero indiano la condizione umana si de
finisce in base all’esistenza dei contrari, la liberazione (ovvero l’aboli
zione della condizione umana) equivale a uno stato non condizionato che
supera i contrari ovvero, ed è poi la stessa cosa, a uno stato in cui i con
trari coincidono. Ci si ricorderà che la Maitri Upanisad, riferendosi agli
aspetti manifesti e non manifesti dell’essere, distingue le « due for
me » di Brahman in « Tempo ,e Senza-Tempo ». Per il Saggio, Brahman
tiene il ruolo di modello esemplare: la liberazione è un’« imitazione di
Brahman ». È dire che, per « colui che sa », il « Tempo e il Senza-Tem-
p© » perdono la loro tensione di opposti: non sono più distinti l’uno
dall’altro. Per illustrare questa paradossale situazione ottenuta grazie al
l’abolizione delle « coppie di contrari », il pensiero indiano, al pari di
qualsiasi pensiero arcaico, utilizza delle immagini nella cui stessa strut
tura è inclusa la contraddizione (immagini del tipo: trovare una porta
in' un muro che non rivela nessuna apertura).
La coincidenza degli opposti è messa in luce ancora meglio dall’im
magine dell’« istante » (ksana) che si trasforma in « momento favore
vole ». Apparentemente, nulla distingue un frammento qualsiasi del
Tempo profano dall’istante intemporale ottenuto attraverso l’illumina
zione. Per ben comprendere la struttura e la funzione di una tale imma
gine è necessario tener presente la dialettica del sacro: un oggetto qual
siasi diventa paradossalmente una ierofania, un ricettacolo del sacro,
16 ■In merito a questi motivi, cfr. A.B. Cook, Zeus, in, 2, Cambridge 1940,
Appendice B: « Floating Islands », pp. 975-1006; Ananda Coomaraswamy, « Sym
plegades » in Studies and Essays in thè History' of Science and Learning ofteredK
in Homage to George Sarton, New York 1947, pp. 463-488; Eliade, Le Chamani-
sme et les techniques archaiques de l'extase, Payot, Paris 1951, pp. 419s. e
passim (tr. it. Lo sciamanismo e le tecniche dell’estasi, Ed. Mediterranee, Roma
1975, pp. 468s. e passim).
78
Tecniche dell’« uscita dal Tempo »
17 Sulla dialettica del sacro, cfr. il nostro Traiti d’Histoire des Religioni, pp. 15s.
(tr. it. Trattato di storia delle religioni, Boringhieri, Torino 1972, pp. 16s.).
79
Simbolismi indiani del Tempo e delTEternità
80
Tecniche dell’« uscita dal Tempo »
81
Simbolismi indiani del Tempo e dell’Eternità
82
Tecniche dell’« uscita dal Tempo »
a Una simile presunzione sembrerà con ogni probabilità vana o addirittura pe
ricolosa agli occhi degli psicologi occidentali. Pur declinando qualsiasi qualifica
per intervenire nel dibattito, teniamo a ricordare da un lato La straordinaria scie»
za psicologica degli yogi e degli spirituali indù, e dall’altra l’ignoranza degli stu
diosi occidentali circa- la realtà psicologica delle esperienze yogiche.
u Cfr. sopra, pp. 70ss.
83
Simbolismi indiani del Tempo e dell’Eternità
84
ì
Capitolo terzo
IL «D IO LEGATORE»
E IL SIMBOLISMO DEI NODI
II Sovrano Terribile
85
Il « dio legatore » e il simbolismo dei nodi
una serie di ‘doni’ magici, il dono dell’ubiquità o per lo meno dello spo
stamento immediato, l’arte del travestimento e il dono della metamor
fosi illimitata, infine e soprattutto il dono di accecare, di togliere l’udi
to, di paralizzare i suoi avversari e di togliere ogni efficacia alle loro ar
mi ». Nella tradizione romana, infine, ai procedimenti di Jupiter, il
quale interviene nella battaglia in qualità di stregone onnipotente, si
contrappongono i mezzi normali, puramente militari, di Marte2. È questa
una contrapposizione che in India si manifesta a volte in modo ancor
più netto: Indra, ad esempio, salva, « slegandole », le vittime « legate »
da Varuna ì.
Com’era da prevedere, Dumézil prosegue la verifica di questa pola
rità « legatore »-« slegatore » nelle sfere più concrete dei riti e delle
usanze. Romolo « tiranno terribile quanto prestigioso, che lega con vin
coli onnipotenti, che ha istituito dei Lupercali furibondi e dei Celeri
frenetici » (Horace et les Curiaces, 1942, p. 68) è, sul piano « storiciz
zato » della mitologia romana, l’equivalente di Varuna, di Urano e di
Giove. Tutta la sua « storia » e le istituzioni socio-religiose di cui gli
viene attribuita la fondazione si spiegano a partire dall’archetipo che
egli in certo qual modo incarna: il Sovrano Magico degli indo-europei,
signore dei « vincoli ». Dumézil ricorda un testo di Plutarco ( Romulus,
26) in cui si dice che, davanti a Romolo, camminavano sempre « degli
uomini armati di verghe i quali tenevano a distanza la folla ed erano
cinti di corregge al fine di legare immediatamente coloro che egli aves
se ordinato di legare » 4. I Luperchi, confraternita magico-religiosa isti
tuita da Romolo, appartengono all’ordine degli equites e, in quanto tali,
portano un anello al dito (Mitra-Varuna, p. 16). Il flàmen dialis, invece,
rappresentante della religione grave, giuridica, statica, non può né mon
tare a cavallo ( equo dialem flaminem vehi religio est, Aulo Gellio, x 15)
né portare anello, a meno che non sia traforato e vuoto {item annulo
1 Georges Dumézil, Mythes et Dieux des Germainst Paris 1939, pp. 21s., 27s.j
Jupiter, Mars, Quirinus, Paris 1941, pp. 79s.; cfr. Ouranos-Varuna, Paris 1934,
passim.
2 Dumézil, Mitra-Varuna, Paris 1940, p. 33; Jupiter, Mars, Quirinus, pp. 81«.
3 Dumézil, Flàmen-Brahman, Paris 1935, pp. 34s.; Mitra-Varuna, pp. 79s.
4 Mitra-Varuna, p. 72; cfr. Le osservazioni di Jean Bayet in Rev. Hist. des
Religions, cxxiv, 1941, pp. 194s. Sempre secondo Plutarco, Questions Romaines
67, il nome stesso di lictores deriva da ligare e Dumézil non vede motivo di « re
spingere il rapporto che avvertivano gli antichi tra lictor e ligare-. lictor può
essere formato su un radicale non attestato ligere, che sarebbe, rispetto a ligare,
quel che dicere è rispetto a dicare» (ibid., p. 72).
86
Il Sovrano Terribile
uti, nini pervio cassoque, fas non est). « Entra [dal flàmen dialis] un
uomo incatenato, si deve liberarlo, i suoi legami devono essere fatti sa
lire sul tetto attraverso l’impluvium e di là gettati in strada. Egli (il
flàmen) non porta nodi né al berretto né alla cintura né in altra parte
( nodum in apice neque in cinctu neque in alia parte ullum habet). Se si
trascina un uomo che deve ricevere delle vergate e costui si getta sup
plicando ai' piedi del flàmen, è sacrilegio batterlo quel giorno » (Aulo
Gellio, Noctes Atticae, x 15) s.
Non è il caso di riprendere la documentazione riunita ed analizzata
in modo ammirevole da Dumézil. Il nostro intento è del tutto diverso-,
vogliamo seguire su un piano comparativo ancor più vasto i motivi del
« dio legatore » e della magia della « legatura », sforzandoci di enuclear
ne i significati e di precisarne altresì le funzioni all’interno di altri am
biti religiosi che non siano quelli della sovranità magica indo-europea.
Non sarà nostra pretesa esaurire questo materiale enorme, su cui già
sono state scritte svariate monografie6. Il nostro proposito è, invece,
piuttosto di ordine metodologico: approfittando da un lato dei ricchi
repertori di fatti accumulati dagli etnografi e dagli storici delle religio
ni e, dall’altro, delle ricerche svolte da Dumézil nella sfera specifica del
la sovranità magica indo-europea, ci chiederemo: 1) in che senso l’idea
del « sovrano legatore » è specifica, caratteristica del sistema religioso
indo-europeo; 2) qual è il contenuto magico-religioso di tutti i miti, i
riti e le superstizioni incentrati sul motivo della « legatura ». Non ci
sfuggono i pericoli che un tale programma comporta, in primo luogo il
« confusionismo » brillantemente denunciato da Dumézil (Naissance de
Rome, 1944, pp. 12s.). Qui, tuttavia, non si tratta tanto di spiegare i
fatti indo-europei attraverso paralleli eterocliti, quanto di tracciare som
mariamente la mappa dei « complessi » magico-religiosi dello stesso tipo
e di precisare, nella misura del possibile, i rapporti tra il simbolismo
87
Il « dio legatore » e il simbolismo dei nodi
Il simbolismo di Varuna
88
Il simbolismo di Varuna
tutto dò che lega, a comindare dai nodi, viene detto varuniano I#. Du-
mézil giustifica questo prestigio del signore legatore in base alla sovra
nità di Varuna. « I vincoli di Varuna sono magid, come è magica la so
vranità stessa; essi sono il simbolo delle forze mistiche detenute dal ca
po e che si chiamano: giustizia, amministrazione, sicurezza reale e pub
blica, tutti i ‘poteri’. Scettro e vincoli, dattda e pàcàh si spartiscono, in
India come altrove, il privilegio di rappresentare tutto ciò » [Ouranós-
Varuna, p. 53).
G ò è senza alcun dubbio esatto, tuttavia l’aspetto di « sovrano » e
addirittura di « sovrano-mago » non esaurisce la natura complessa die
caratterizza Varuna fin dai più antichi testi vedici. Sebbene non lo si
possa dassificare esclusivamente tra gli « d d del Cielo », ciò non toglie
che egli possiede alcuni tratti propri alle divinità uraniche. Egli è viqva-
dargala «visibile ovunque » ( r v vili, 41,3), egli «h a separato i due
mondi » (vii 86,1), il vento è il suo soffio ( v i i 87,2), lui e Mitra sono
venerati in qualità dei « due potenti e sublimi signori del Cielo », i
quali « si mostrano con le nuvole diversamente dipinte nel primo bron
tolio di tuono e fanno piovere il Cielo grazie a un miracolo divino »
(v 63,2-5), ecc. Questa struttura cosmica gli ha consentito molto presto
di assumere caratteristiche lunari11 e piovose al punto che, col tem
po, è diventato una divinità delPOceano l2. Questa stessa struttura co-
smico-uraniana spiega le altre funzioni e prestigi di Varuna: ad esem
pio la sua onniscenza ( a v , i v 16,2-7, eco) e la sua infallibilità ( r v , i
35,7s.). Egli è sahasràksa, « dai mille occhi » ( r v , vili 34,10), formula
mitica che fa riferimento alle stelle e che, almeno all’origine, non pote
va designare che una divinità uraniana13. I prestigi della sovranità so
no aumentati ed hanno moltiplicato i prestigi celesti: Varuna vede e
conosce tutto in quanto dalla sua dimora siderale egli domina l’Univer-
so; e, al medesimo tempo, egli può tutto, dal momento che è cosmocra-
te e punisce « legando » (cioè con la malattia, con l’impotenza) coloro
che infrangono la legge, d d momento che egli è il custode dell’ordine
universale. Esiste dunque un’ammirevole simmetria tra ciò che potrem
mo chiamare lo « strato cdeste » di Varuna e il suo « strato regale »,
due strati in reciproca corrispondenza e che si completano a vicenda: il
10 S . L é v i, p . 15 3 ; D u m ézil,Ouranós-Varuna, p . 5 1 , n. 1.
11 H iU eb ran d , Vedische Mythologie, B re slau 1902, n i , p p . l s .
12 S . L é v i, op. cit., p p . 1 5 8 ss.; J . J . M eyer, Trilogie altindischer Mächte und
Teste der Vegetation, Z ü rich -Leipzig 1937, i n , p p . 206$., 2 6 9 s.
13 R affaele P ettazzon i, « L e C o rp s p arsem é d ’y eu x » in Zalmoxis, i, 1938, p p . l s .
89
Il « dio legatore » e il simbolismo dei nodi
90
« Dei legatori » nell’india antica
91
Il « dio legatore » e il simbolismo dei nodi
to, il cui senso è che Indra ritorce contro il demonio i suoi stessi espe
dienti ». Chè non soltanto Varuna e Vrtra, ma anche altri esseri divini
possiedono la loro maya: è il caso dei Marut (rv v, 53,6), di Tvashtr
(x 53,9), di Agni (i 144,1; ecc.) di Soma (ix 73,5 ecc.) e perfino degli
A$vin (v 78,6 ecc.; cfr. Bergaigne, in, pp. 80s). D’altro lato, però, qui
si ha spesso a che fare con esseri religiosi ambivalenti, nel senso che in
loro, a fianco degli elementi divini, coesiste un elemento demoniaco
(Tvashtr, Marut); d’altro lato la denominazione « mago » non è un at
tributo specifico e viene aggiunta alle personalità divine solo in forma
di omaggio supplementare: è tale il prestigio del màyin che si sente il
bisogno di attribuire questo titolo a qualsiasi divinità che si vuol ono
rare. La tendenza « imperialista » che spinge una forma religiosa vitto
riosa ad inglobare ogni sorta di altri attributi divini e ad estendere il
suo dominio sulle diverse zone del sacro è un fenomeno ben noto nella
storia delle religioni e delle religioni indiane in particolare. Nel caso in
questione, questa tendenza ad annettersi prestigi e poteri estranei alla
sfera propria del dio è tanto più interessante in quanto si tratta di una
struttura religiosa arcaica, cioè del prestigio del « mago ». E colui che
ne ha tratto maggior profitto è Indra. « Ha sconfitto i màyin per mez
zo dei màyà » è questo il tema conduttore di vari testi (Bergaigne, in,
p. 82). Tra le « magie » di Indra abbiamo in primo luogo il suo potere
di trasformazione M, ma sarà forse il caso di fare una distinzione tra le
sue molteplici epifanie particolari, omologate (toro, ecc.) e il potere ma
gico indefinito che permette ad un qualsiasi essere (divino, demoniaco,
umano) di assumere una qualsiasi forma animale. Va da sé che tra la
sfera dell’epifania mitico-religiosa e quella della metamorfosi esistono
delle interferenze, dei prestiti, delle confusioni e che, in una sfera in
stabile quanto quella della mitologia vedica, non sempre è facile distin
guere che cosa appartiene all’una e cosa all’altra. Tuttavia proprio que
sta imprecisione e questa instabilità sono istruttive dal punto di vista
fenomenologico, in quanto esse mettono a nudo la tendenza propria del
le « forme » religiose all’interpenetrazione e all’assorbimento reciproco
e questa prospettiva dialettica non può che contribuire alla comprensio
ne dei fenomeni religiosi arcaici.
Ritorniamo a Indra. Egli non è soltanto un « mago » in certi casi:
anch’egli, esattamente come Varuna o come Vrtra, è un « legatore ».
92 I
« Dei legatori » nell’india antica
L’atmosfera è il suo laccio ed è con questo laccio che egli avvolge i suoi
avversari ( a v v i i i , 8, 5-8, ecc.). Il suo corrispettivo iranico, Verelhra-
gna, lega le mani dell’avversario ( Yasht, 14,63). Questi sono, comun
que, tratti secondari che forse si spiegano in relazione all’uso effettivo,
nella preistoria, del laccio come arma21. È vero che, nell’ottica del pen
siero arcaico, un’arma è sempre un mezzo magico, ma questo non im
pedisce che un dio guerriero ili senso proprio come Indra utilizzi que
sto mezzo magico in veri e propri combattimenti, mentre Varuna si ser
ve dei suoi « vincoli » senza combattere, senza agire e in modo magico
Più istruttivo è l’esempio degli altri due dei legatori, Nirrti e Yama,
entrambi divinità della morte. I vincoli di Yama (yamasya padbìqa, a v ,
v i 96,2; vili 7,28) vengono chiamati in maniera generale « i vincoli del
la morte » (mrlyupàgàh, a v , v i i 112,2; vili 2,2; ecc.; cfr. Scheftelowitz,
p. 6). Nirrti, dal canto suo, incatena coloro di cui vuole la rovina ( a v ,
v i 63,1-2; Taitt. Sam., v 2,4,3; Cdapatha Brahmana, v i i 2,1,55) e si
rivolgono preghiere agli dei affinché allontanino « i vincoli di Nirrti *
( a v , i 31,2), così come l’uomo implora Varuna affinché lo salvi dai suoi
« vincoli ». Come in certi casi Agni, Soma o Rudra (Güntert, p. 122)
vengono invocati perché liberino dai « vincoli di Varuna », si ritiene
che Indra sia in grado di liberare non soltanto dai « vincoli di Varuna »,
ma altresì dalla « legatura » dei demoni della morte (ad es., a v , i x 3,
2-3 in cui il problema è quello di tagliare i vincoli del demonio femmi
na Vifvavàra con l’aiuto di Indra, ecc.). Le malattie sono dei « lacci »
e la morte non è che il « vincolo » supremo. Questo spiega che, in
Yama e in Nirrti, questi attributi sono più che importanti, essi sono
davvero fondamentali.
Malattia e morte: questi due elementi del complesso magico-religio-
so della « legatura » sono quelli che, quasi in ogni parte del mondo,
hanno goduto della massima popolarità e sarebbe interessante cercare
di scoprire se la loro diffusione non sia in grado di gettar luce su certi
aspetti del problema che ci sta a cuore. Tuttavia, prima di lasciare l’am
bito indiano, cerchiamo di riassumere schematicamente gli insiemi più
importanti che in esso abbiamo rilevato: 1) Varuna, il Grande Asura,
lega magicamente i colpevoli e a lui vengono rivolte preghiere affinché
93
Il « dio legatore » e il simbolismo dei nodi
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Il « dio legatore » e il simbolismo dei nodi
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Iran
Iran
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Il « dio legatore » e il simbolismo dei nodi
o l’eroe che lega i demoni; 2) il demone funerario che lega l’uomo pri
ma di trascinarlo verso il ponte Cinvat. À seguito, forse, della riforma
zoroastriana, gli altri due motivi importanti dell’insieme indiano—la
« magia » di Varuna e la « legatura » cosmologica—non compaiono più.
Paralleli etnografici
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Paralleli etnografici
oo
Il « dio legatore » e il simbolismo dei nodi
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Il « dio legatore » e il simbolismo dei nodi
Magia e religione
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Magia e religione
È , di consegu enza, lecito su p p o rre che certe allu sion i vediche ai lacci d i Va-
tuna esprìm ono a loro volta u n ’esperienza religiosa p arago n ab ile a q u ella di G io b b e .
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Il « dio legatore » e il simbolismo dei nodi
20, 128; cfr. 24,210). Le dee del destino tessono il filo della vita uma
na: « Là lo lasceremo subire il destino che hanno filato per lui le tristi
Filatrici nel momento in cui da sua madre ha ricevuto la vita... » ( Odis
sea 7,189)®. Ma c’è di più: lo stesso Cosmo è concepito come un tes
suto, come un’enorme « trama ». Nella speculazione indiana, ad esem
pio, l’aria ( vàyu) « ha tessuto » l’universo collegando, come tramite un
filo, questo e l’altro mondo e tutti gli esseri insieme (Brhadàranyaka Up.
n i, 7,2) così come il soffio (prona) ha « tessuto » la vita umana. (« Chi
ha tessuto il soffio in lui? » Atharva Veda x, 2,13). Da ciò risulta che '
un simbolismo assai denso esprime due cose essenziali: da un lato che
nel Cosmo come nella vita umana, tutto è legato a tutto da un invisibi
le tessuto e, d’altro lato, che determinate divinità66 sono padrone di
quei « fili » che, in ultima istanza, costituiscono una vasta « legatura »
cosmica.
£ raro che l’etimologia fornisca argomenti decisivi in problemi deli
cati come quelli relativi all’« origine » della religione e della magia, però
spesso è istruttiva. Scheftelowitz e Guntert hanno ricordato che, in sva
riate famiglie linguistiche, le parole che designano l’azione di « legare »
servono anche per esprimere l’ammaliamento: ad esempio in turco-tar
taro, bag, baj, boi significa a un tempo « stregonerìa » e « legame, cor
da » 67; il termine greco xaTaSéw significa « legare solidamente » e an
che « legare con un incantesimo magico, facendo un nodo » (da cui
xitaìsjnos « corda, stregare », Inscr. Graec., ni, 3, p.v.; Scheftelowitz,
p. 17); il termine latino fascinum, « incantesimo, maleficio » è apparen
tato con fascio, « benda, fasciatura, con fascis, « fascio * ; ligàre e liga-
tura, « atto di legare » sono1altresì « stregare » e « incantesimo » (cfr.
il rumeno legatura, « azione di legare » e « stregare »); in sancrito yukti,
letteralmente « attaccare, legare » assume il significato di « mezzi magi
ci » e i poteri dello yoga, vengono talora intesi come un ammaliamento
tramite « legatura » 68. Tutte queste etimologie confermano che l’azione
65 C fr. vitae fila, Eroidi, 15, 82. C fr. il cap ito lo su i ritu ali
O v id io , e le m ito
lo g ie lunari n el n o stro Traiti d'Histore des Religioni, p p . 142s. (e d . it. p p . 183s.).
46 I I p iù d elle volte— m a non sem pre— d elle d iv in ità lu n ari, talo ra ctonio-lunari
47 H. V am béry, Die primitive Kultur des turko-tatarischen Volkes, L e ip zig 1879,
p . 2 4 6 . L ’id ea d i « d e -stre g a re » si esp rim e tram ite l ’esp ressio n e « lib e r a r e dai
vin coli » ; tra g li Y o ru b a , la p aro la edi « leg atu ra » h a anche il se n so d i « m agia *
e la p a ro la E w e vósesa, « a m u l e t o » , significa « s l e g a r e » (A .R . E llis, Yorubé
speaking peoples, L o n d o n 1894, p . 118).
“ A d es. Mahabhàrata, x i n , 4 1 , 3 s., in cu i V ip u là « aveva so g g io gato i se n si d i
R u c i per m ezzo d ei legam i dello Y o g a * (babandha yogabandhàic ca tasyàb str
io*
Simbolismo delle « situazioni limite »
vendriyàni sah; cfr. il mio Yoga. Essai sur les origine* de la mystique indienne,
Paris-Bucarest 1936, p. 151. Cfr anche Ananda K. Coomaraswamy, « ‘Spiritual
Paternity’ and the ‘Puppet-Complex’ f in Psychiatry, vili, n. 3, Agosto 1945, pp.
25-35, specialmente pp. 29s.
w S. Langdon, Semitic Mythology, Boston 1931, p. 109. Svariati templi babi
lonesi sono denominati markas shamé u irshiti, « Collegamento tra Cielo e Terra »,
cfr. E. Burrows, « Some cosmological patterns in babylonian religion » in Labyrinth,
a cura di S.H. Hook, London 1935,pp. 45-70, p. 47-48, n. 2. Un antico nome su
mero del tempio è « dimgal della regione ». Burrows (p. 47, n. 7) propone la tra
duzione « Great binding post »; dim = « post », ecc. ed anche « rope »; proba
bilmente dim = « tobind, thing to bind to, thing to bind with ». Il simbolismo
della «legatura» si trova qui integrato in un insieme più ampio che si potrebbe
denominare il « simbolismo del Centro »; cfr. sopra pp. 37ss.
70 Hughes, in Everyman's Library, p. 193, traduce: The link of all Creation. Il
carattere tradotto con « link » è hsi (Giles 4062) i cui significati sono « depen
dence, fastening, tie, link, nexus, chain, lineage, etc. », cfr. A.K. Coomaraswamy,
« The iconography of Diirer’s ‘Knots’ and Leonardo’s ‘concatenation’ » in T èi Art
Quarterly, Primavera 1944, p. 127, n. 19.
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Simbolismo delle « situazioni limite »
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I
Il « dio legatore » e il simbolismo dei nodi
Simbolismo e storia
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Simbolismo e storia
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Il « dio legatore » e il simbolismo dei nodi
75 Cfr. Traité d’Histoire des Religions, pp. 392%. (ed. it. pp. 469s.).
76 La scuola storico-culturale di W. Schmidt e W. Koppers ha reso fino ad OM
importanti servigi alla storia delle religioni, tuttavia le sue tesi, spinte all’etttcniOi
sfociano in una tale « storicizzazione » dell’uomo che viene abolita pratictfntnM
qualsiasi spontaneità spirituale. Se l’uomo non può essere concepito che OOflM
essere storico, questo non toglie che per sua stessa natura l’uomo si oppone tilt
storia e si sforza di abolirla e di ritrovare, con ogni mezzo, un «paradiio» fUQlt
dal tempo in cui la sua situazione più che una « situazione storica », tU UM
« situazione antropologica » (cfr. il nostro libro II mito dell’eterno ritorno).
Simbolismo e storia
I li
Il « dio legatore » e il simbolismo dei nodi
religione: esso sarebbe dovuto vuoi alla situazione stessa dell’uomo nel
mondo (« origine » spontanea) vuoi a un’imitazione più o meno servile
di forme già esistenti (« genesi » storica). Comunque, qualunque sia la
spiegazione che si preferisce, la complessità della concezione indo-euro
pea del Sovrano Terribile è ormai fuori discussione. Si comincia ad in-
trawederne la preistoria, si è preparati a discernere in essa eventuali
prestiti da tradizioni religiose estranee. Sarebbe forse improprio defini
re questa concezione una concezione esclusivamente magica, sebbene
spesso la sua struttura ci inviti a qualificarla così: da un lato abbiamo
sottolineato, nella stessa India, i valori cosmogonici e metafisici della
« legatura » di Varuna e di Vrtra; d’altro lato le esperienze religiose
provocate tra gli Ebrei dallo stesso complesso dimostrano che una vita
religiosa molto pura e molto profonda può trovare alimento anche nei
« lacci » di un Dio in apparenza terribile e « legatore ».
Capitolo quarto
OSSERVAZIONI SUL SIMBOLISMO
DELLE CONCHIGLIE
La Luna e le Acque
1 G i7. Kunz e Charles Hugh Stevenson, The Book of thè Pearl, London 1908,
hanno riunito un considerevole materiale documentario relativo alla diffusione
delle perle; J.W. Jackson, « The geographical distribution of thè use of pearls and
pearl-shells », Manchester 1916, 53 p.; tesi ripubblicata nel volume Shells as Evt-
dence of thè migration of Early Culture, Manchester 1917, completa le informa
zioni di Kunz e Stevenson. L’essenziale dell’enorme bibliografia relativa alla fun
zione magica delle conchiglie può essere trovato nell’articolo di W.L. Hildburgh,
« Cowrie-Shells as amulets in Europe * in Folk-Lore, voi. 53-54, 1942-1943, pp.
178-195. Cfr. anche i diversi contributi al problema pubblicati sulla rivista Man:
ottobre 1939, n. 165, p. 167; M.A. Murray, «The meaning of Cowrie-shell », pen
sa che il valore magico del cauri deriva dalla sua somiglianza ad un occhio soc
chiuso; gennaio 1940, n. 20: risposta di Murray a Sheppard; n. 61, pp. 50-53:
Or. Kurt Singer, « Cowrie and Baubo in early Japan», pubblica una statuetta
neolitica giapponese che dimostra come la conchiglia sia assimilata alla vulva; n. 78:
113
Osservazioni sul simbolismo delle conchiglie
Il simbolismo che sta alla base di tali concezioni appartiene con ogni
probabilità' ad uno strato profondo del peiisiero « primitivo », ma ha
conosciuto « attuazioni » e interpretazioni variate: si incontra la pre
senza delle ostriche e delle conchiglie nei riti agrari, nuziali o funerari,
negli ornamenti vestimentari o in certi motivi decorativi, anche se più
di una volta il loro significato magico-religioso sembra essere andato
quasi perso o essersi imbastardito. Presso certi popoli le conchiglie con
tinuano a fornire un motivo decorativo, mentre della loro valenza ma
gica si è perso perfino il ricordo. La perla, un tempo emblema della for
za generatrice, oppure simbolo di una realtà trascendente, ha conserva
to in Occidente solo il valore di « pietra preziosa ». L ’ininterrotta de
gradazione del simbolismo emergerà più nettamente alla fine della no
stra trattazione.
L ’insieme iconografico acqua-ostriche è abbondantemente attestato
nell’America pre-colombiana. Il « Tuia relief » di Malinche Hill rappre
senta una divinità circondata dalle Acque in cui galleggiano delle ostri
che, delle spirali, dei doppi cerchi2. Nel Codex Nuttal predomina il
complesso iconografico Acqua-Pesce-Serpente-Granchio-Ostrica3. Il Co
dex Dresdensis raffigura l’Acqua che a volte fuoriesce da conchiglie
d’ostrica, a volte riempie vasi formati da serpenti arrotolati4. Il dio
messicano della tempesta aveva al collo una catena d’oro a cui erano ap
pese delle conchigliette5; il dio della luna aveva come simbolo una gran
de lumaca di mare6.
Nell’antica Cina il simbolismo dell’ostrica è ancor meglio conserva
to: qui le conchiglie partecipano alla sacralità della luna e al tempo
stesso sono il prolungamento delle potenze acquatiche. Nel trattato
L&sh'i ch'tin ts’iu (in sec. a.C.) possiamq leggere: « La luna è la radice
di tutto ciò che è yin; con la luna piena le ostriche pang e ko sono pie
ne e tutte le cose yin diventano abbondanti; quando la luna si oscura
(ultima notte del ciclo lunare) le ostriche sono vuote e tutte le cose yin
si mettono a mancare » 7. Mo-tsi (v sec. a.C.), dopo aver osservato che
l’ostrica perlifera pang nasce senza l’interyento del maschio, aggiunge:
« Di conseguenza, se pang può avere come frutto una perla è perché
essa concentra tutta la sua forza yin » 8. « La luna », scrive Liou Ngan
(n sec. a.C.) « è il ceppo del yin. Per questo i cervelli dei pesci diminui
scono quando la luna è vuota e le conchiglie delle monovalve spiroidi
non sono piene di parti carnose quando la luna è morta ». Lo stesso
autore aggiunge, in un altro capitolo: « Le conchiglie bivalve, i granchi,
le perle e le tartarughe crescono e calano con la luna » 9.
Lo yin rappresenta, tra l’altro, l’energia cosmica femminile, lunare,
« umida ». Così l’eccesso dello yin attivo in una determinata regione
esaspera l’istinto sessuale femminile e fa sì che « le donne lascive per
vertano gli uomini » (7 Chou Shu, cap. 54, citato da Karlgren, op. cit.,
p. 38) Esiste, in effetti, una corrispondenza mistica tra i due principi,
yin e yang, e la società umana. Il carro del re era adorno di giada
(ricco di yang), quello della regina di piume di pavone e di conchiglie,
emblemi dello yin. I ritmi della vita cosmica seguono il loro corso nor
male fintanto che la circolazione dei due principi opposti e complemen
tari procede senza ostacoli. Scrive Sun-ts'i: « Se la giada è nella monta
gna, gli alberi della montagna daranno frutto; se le acque profonde pro
ducono perle, la vegetazione della riva non si seccherà » (Karlgren,
ibid., p. 40). Più avanti vedremo che la stessa polarità simbolica giada-
perla riappare nei costumi funerari cinesi.
Idee analoghe relative all’influsso delle fasi lunari sulle ostriche han
no avuto corso nell’antichità.
Luna alit ostrea et implet echinos, muribus fibras et fecur addit, di
ceva Lucilio: « La luna nutre le ostriche, riempie i ricci di mare, dà
forza e vigore alle cozze ». Plinio (Hist. Nat., il, 41,3), Aulo Gellio
115
Osservazioni sul simbolismo delle conchiglie
gendola al tempo stesso dalle forze nocive e dalla mala sorte. Le donne
Akamba portano cinture decorate con conchiglie d’ostrica, a cui rinun
ciano dopo la nascita del primo figlio u. Altrove le ostriche costituisco
no il regalo di nozze più appropriato. Nell’India meridionale, le ragaz
ze portano collane di conchiglie14 e la moderna terapeutica indù utiliz
za la polvere di perla per le sue qualità ricostituenti e afrodisiache15:
ancora un’applicazione « scientifica », sul piano concreto, immediato, di
un simbolismo che ormai viene colto solo a metà.
La funzione cosmologica e il valore magico della perla erano noti fin
dai tempi vedici. Un inno àél'Atharva Veda (iv, 10) la esalta in questi
termini: « Nata dal vento, dall’aria, dal lampo, dalla luce, possa la con
chiglia nata dall’oro, la perla, difenderci dalla paura! Con la conchiglia
nata dall’oceano, la prima di tutte le cose luminose, noi uccidiamo i de
moni (raksas) e sconfiggiamo i (demoni) divoranti. Con la conchiglia
(trionfiamo) sulla malattia, sulla povertà... La conchiglia è il nostro ri
medio universale; la perla ci protegge dalla paura. Nata dal delo, nata
dal mare, portata dallo Sindhu, questa conchiglia, nata dall’oro, è per
noi il gioiello (mani) che prolunga la vita. Gioiello nato dal mare, sole
nato dalla nube, possa essa proteggerci da ogni lato dalle frecce degli
Dei e degli Asura. Tu sei uno degli ori (la « perla » è uno dei nomi del
l’oro), tu sei nata dalla luna (Sòma), sei l’ornamento del carro, risplendi
sulla faretra. Prolunga le nostre vite! L ’osso degli dei si è fatto perla,
prende vita e si muove in seno alle acque. Io ti attacco per la vita, e il
vigore e la forza, per la lunga vita, la vita di cento autunni. Che la per
la ti protegga! »
La medicina cinese, dal canto suo, considera la perla una droga, ec
cellente per le sue virtù fertilizzanti e ginecologiche16. Secondo una cre
denza giapponese certe cozze aiutano il parto: da qui il nome che viene
loro dato di « cozze parto facile » (Andersson, Children of *the yellòtu
earth, p. 304). In Cina si raccomanda di non dare alle donne incinte
13 Andersson, Children of thè yéllow earth, p. 304. Cfr. anche C.K. Meek, Man,
1940, n. 78.
t4 Andersson, ibid., p. 304. Le ragazze Tiagy portano la conchiglia di un mollu
sco quale simbolo di verginità: nel momento in cui la perdono devono rinunciare
a portare la conchiglia.
15 Kunz e Stevenson, The Book of thè Pearl, p. 309, citano Sourindro Mohan
Tagore, Mani-MMà or a Treatise on Gems, Calcutta 1881.
14 Cfr. J.W. Jackson, Shells as evidence of thè mìgrations of early culture, p.
101; De Groot, The religioni system of China, col. i, Leiden 1898, pp. 217, 277.
117
Osservazioni sul simbolismo delle conchiglie
118
Simbolismo della fecondità
22 J.J. Meyer, Trilogie dtindiscber Màchie und Feste der Vegetation, Ziirich
1937, voi. i, p. 29.
M J-W. Jackson, « Shell-Trumpets and their distribution in thè Old and New
World » in Manchester Memoixs, 1916, ri. 8, p. 7.
24 Homeli, The sacred Chank of India, Madt» Fisherie* Publications, 1914, ci
tato da Jackson, The Aztec Moon-Cult, pp. 2-3. Cfr. anche Arnould Locard, «L ei
Coquilles sacrées dans les religions indiennes » in Annales du Musée Guimet, t
v i i , p p . 292-306.
H Jackson, The Aztec Moon-Cult, passim.
3,1 Kingsborough. Antiqwties of Mexico. London 1831-W8. voi. vi. p. 203
Osservazioni sul simbolismo delle conchiglie
120
Il ruolo delle conchiglie nelle credenze funerarie
29 Jackson, Shell-Trumpets, pp. 8, 11, 90; W.H. R. Rivers, The history of Me-
lanesian Society, Cambridge 1914, voi. i, pp. 69, 98, 186; voi. il, pp. 459, 535.
10 Cfr. Numerosi esempi in S. Seligmann, Der bose Blick, Berlin 1910, voi. n,
pp. 126s., 204s.
121
Osservazioni sul simbolismo delle conchiglie
-,| B. Laufer, Jade, a study in Cbinese Archaeology and Religion, Field Muséum,
Chicago 1912, p. 299, jiota.
Laufer, op. cit., p. 299. Cfr. anche Karlgren, Some jecundity symbols, pp. 22s.;
Ciseler, « Les Symboles de jade dans le taoïsme » in Revue d’Histoire des Religions,
1932, t. 105, pp. 158-181.
33 C. Hentze, Les Figurines de la céramique funéraire, Dresden 1928. Cfr. anche
C. Hentze, « Le Jades archaïques en Chine» in Artibus Asiae, ni, 1928-1929,
pp. 96-110; id., «L es Jades Pi et les symboles solaires», ibtd., pp. 199-216; t.
iv, pp. 35-41.
54 S. Couvreur, Li Ki, t. h, Ho Kien Fou, il éd., 1913, p. 252. Cfr. anche Cou
vreur, Tso tebouan, tr., t. i, p. 259.
35 De Groot, Religions System o/ China, 1892, i, p. 277.
30 Andersson, op. cit., p. 323 I cauri si trovano già nelle tombe della fine del
paleolitico; cfr. K. Singer, op. cit, p. 50.
122
i
Il ruolo delle conchiglie nelle credenze funerarie
124
Il ruolo delle conchiglie nelle credenze funerarie
perla, collane di perle e di piume erano appese ai muri; sulle bare dei
re erano deposti i loro scudi adorni di perle e al centro del tempio si
trovavano dei vasi pieni di perle preziose » 45. Willoughby ha già dimo
strato il molo essenziale tenuto dalle perle nelle cerimonie funerarie, de
scrivendo i riti solenni di mummificazione dei re indiani della Virgi
nia * . Zelia Nuttal ha scoperto, in vetta a una piramide messicana, uno
spesso strato di conchiglie e in mezzo ad esse delle tombe47. E questo
non è che un accenno dei documenti esistenti per quel che riguarda gli
Amerindi48. La presenza in certe regioni (lo Yucatan, ad esempio) di
pezzi di ferro49 a fianco delle perle e delle conchiglie, dimostra che si
voleva accostare il defunto a tutte le forme di energia magica a disposi
zione e il ferro aveva, come a Creta, il ruolo che in Cina era assegnato
alla giada e all’oro M.
Nella caverna di Mahaxay (Laos) Madeleine Colani ha scoperto del
le asce, dei cristalli di rocca e numerose conchiglie di Cypraea51 e al
tempo stesso è riuscita a dimostrare il carattere funerario e la funzione
magica delle asce52. Tutti questi oggetti venivano deposti nella tomba
allo scopo di garantire al defunto la miglior condizione nell’al di là.
Importanti depositi di conchiglie di ostriche e di conchiglie marine
sono stati ritrovati in numerosissime stazioni preistoriche molto distan
ti le ime dalle altre. Delle conchiglie di Cypraea moneta, ad esempio,
sono state scoperte nella famosa necropoli di Koubatì, nel Caucaso set
tentrionale (xiv sec. a.C.); altre conchiglie nelle tombe scite dei dintor
ni di Kiev, appartenenti alla civiltà Ananino dell’Ural occidentale. De
125
Osservazioni sul simbolismo delle conchiglie
53 Andersson, op. cit., pp. 299s.; Jackson, The geographical distribution, passim.
54 Nieuwenhuis, « Kunstperlen und ihre kulturelle Bedeutung» in Internai.
Archiv f. Ethnographie, Bd. 16, pp. 135-153.
55 Madeleine Colani, « Essai d’ethnographie comparée » in b e f e o , voi xxxvi, 1936,
pp. 198s.
126
Il ruolo delle conchiglie nelle credenze funerarie
127
Osservazioni sul simbolismo delle conchiglie
128
La perla nella magia e nella medicina
130
La perla nella magia e nella medicina
testa del drago racchiuda sempre una perla o qualche altra pietra pre
ziosa 74 e più di un’opera d’arte raffigura un drago con una perla tra le
fauci75. Questo motivo iconografico deriva da un simbolismo antichis
simo e assai complesso che ci porterebbe troppo lontano76.
È significativo, infine, il valore di longevità che Francis Bacon attri
buisce alla perla. Si tratta appunto di una delle virtù primordiali di que
sta pietra preziosa. La sua presenza sul corpo dell’uomo, come del re
sto quella della conchiglia, lo proietta alle fonti stesse dell’energia, del
la fecondità e della fertilità universale. Quando questa immagine inte
riore ha smesso di corrispondere al nuovo Cosmo scoperto dall’uomo,
o quando il suo ricorso, per ragioni diverse, si è imbastardito, l’oggetto
un tempo sacro ha conservato il suo valore, però tale valore si è defini
to su un livello diverso.
Ai confini tra la magia e la medicina, la perla occupa il ruolo ambi
guo di talismano77; ciò che prima dava fertilità e assicurava un desti
no ideale post mortem poco a poco diventa fonte costante di prosperi
tà 7*. In India questa concezione si è conservata fino ad un’epoca abba
stanza tarda. « La perla deve essere sempre portata come amuleto da
coloro che ambiscono alla prosperità », dice Buddhabatta79. La dimo
strazione che la perla è penetrata nella medicina per aver avuto innan
zitutto un ruolo nella magia e nel simbolismo erotico-funerario, è che
le conchiglie, in certe regioni, hanno virtù medicinali. In Cina tanto so-
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Osservazioni sul simbolismo delle conchiglie
132 I
Il mito della perla
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Osservazioni sul simbolismo delle conchiglie
1 XA
Capitolo quinto
SIMBOLISMO E STORIA
Tra i vari gruppi di simboli tra loro solidali del simbolismo acqua
tico che abbiamo appena presentato, quest’ultimo è di gran lunga il più
vasto e il più complesso. Abbiamo cercato di farne emergere la struttu
ra in un precedente lavoro, a cui ci permettiamo di rinviare il lettore
(cfr. Traité d’Histoire des Religions, pp. I68ss.; ed. it. pp. 193s.): in
esso potrà trovare i documenti essenziali di un dossier sulle ierofanie
acquatiche e al tempo stesso un’analisi del simbolismo che le mette in
valore. In questa sede ci limiteremo ad esaminare alami dei tratti più
rilevanti.
Le acque simboleggiano la somma universale delle virtualità; esse ,
sono fotis et origo, il serbatoio di tutte le possibilità di esistenza; esse
precedono tutte le forme e fanno da supporto ad ogni creazione. L ’im
magine esemplare di ogni creazione è l’isola, la quale si « manifesta »
all’improvviso in mezzo alle onde. L ’immersione nell’acqua, al contra
rio, simboleggia la regressione nel pre formale, il reintegrare la moda
lità indifferenziata della pre esistenza. L ’emersione ripete il gesto co
smogonico della manifestazione formale; l’immersione equivale ad una
dissoluzione delle forme. Il simbolismo delle Acque, quindi, implica sia
la Morte che la Rinascita. Il contatto con l’acqua comporta sempre una
rigenerazione poiché, da un lato alla dissoluzione fa seguito una « nuo
va nascita », dall’altro l’immersione rende fertile e moltiplica il poten
ziale di vita. Alla cosmogonia acquatica corrisponde—a livello antropo-
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Simbolismo e storia
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Battesimo, diluvio e simbolismi acquatici
cato profondo solo nella misura in cui è nota la struttura del simboli
smo acquatico. Questa particolarità del simbolismo non è priva di con
seguenze per quel che riguarda 1’« esperienza » o la « storia » di un sim
bolo qualsiasi.
Nel richiamare le direttrici principali del simbolismo acquatico, ave
vamo appunto in mente un punto ben preciso, ovvero la nuova messa
in valore religiosa delle Acque instaurata dal cristianesimo. I Padri del
la Chiesa hanno saputo sfruttare determinati valori precristiani e uni
versali del simbolismo acquatico, arricchendoli di significati inediti, cor
relati al dramma storico di Cristo. In altra sede {Traité, p. 175; ed. it.
p. 203) abbiamo richiamato due testi patristici relativi rispettivamente
ai valori sosteriologici dell’acqua e al simbolismo battesimale morte-
rinascita. Per Tertulliano (De baptismo, m-v), l’acqua è stata per prima
« la sede dello Spirito divino, il quale la preferiva allora a tutti gli altri
elementi... All’acqua per prima è stato ordinato di produrre delle crea
ture viventi... L ’acqua per prima ha prodotto ciò che è dotato di vita
affinché il nostro stupore cessasse il giorno in cui, nel battesimo, avreb
be generato la vita. Nella formazione dell’uomo stesso, Dio utilizzò l’ac
qua per consumare la sua opera. Ogni acqua naturale, quindi, in virtù
dell’antica prerogativa di cui fu onorata all’origine, acquista la virtù di
santificazione nel sacramento, purché Dio sia invocato a tal fine. Non
appena si pronunciano le parole, lo Spirito Santo, sceso dai cieli, si fer
ma sulle acque e le santifica grazie alla sua fecondità; le acque così san
tificate si impregnano a loro volta della virtù santificante... Ciò che un
tempo guariva il corpo guarisce oggi l’anima; ciò che procurava la salu
te nel tempo, procura la salvezza nell’eternità... »
Il « vecchio uomo » muore per immersione nell’acqua e genera un
essere nuovo, rigenerato. Questo simbolismo è ammirevolmente espres
so da Giovanni Crisostomo ( Homil. in Job., xxv, 2) il quale, parlando
della polivalenza simbolica del battesimo, scrive: « Esso rappresenta la
morte e la sepoltura, la vita e la risurrezione... Quando tuffiamo la te
sta nell’acqua come in un sepolcro, l’uomo vecchio è immerso, intera
mente seppellito; quando usciamo dall’acqua, simultaneamente compa
re l’uomo nuovo ».
Come si può vedere, le interpretazioni elaborate da Tertulliano e da
Giovanni Crisostomo si armonizzano perfettamente con la struttura del
simbolismo acquatico. Eppure, in questa messa in valore delle Acque
da parte del cristianesimo, intervengono determinati elementi di novità
legati a una « storia », nel caso specifico la Storia sacra. I lavori recen
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Simbolismo e storia
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Battesimo, diluvio e simbolismi acquatici
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Simbolismo e storia
Egli ¿ il nuovo Adamo ed è giunto con lui il tempo del Paradiso futuro; in lui
¿ già realizzata la distruzione del mondo peccatore adombrata nel diluvio; in lui
si compie il veto esodo, che libera il popolo di Dio dalla tirannide del demonio.
La predicazione apostolica si è valsa della tipologia come di un argomento atto a
stabilire la veridicità del suo messaggio, dimostrando come Cristo continui e
superi il Vecchio Testamento: « Tutte queste cose avvennero in figure (typikós) e
furono scritte per ammonirci (1 Cor 10,11). È quello che San Paolo chiama la
consolatio Scripturarum (Rom 15,4) » (Jean Daniélou, Bible et Liturgie, pp. 9-10;
ed. it. pp. 2-4).
Battesimo, diluvio e simbolismi acquatici
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Simbolismo e storia
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Immagini archetipe e simbolismo cristiano
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Simbolismo e storia
È
”'oni locali e storiche del simbolismo battesimale giudeo-cristiano. Per
primerci in maniera un po’ semplicistica diremo che la storia non rie-
e a modificare in modo radicale la struttura di un simbolismo « im
ánente ». La storia aggiunge in continuazione nuovi significati i quali,
¡[tuttavia, non distruggono la struttura del simbolo. Vedremo più avan
ti le conseguenze che ne derivano sul piano della filosofia della storia e
della morfologia della cultura. Per il momento soffermiamoci ancora su
alcuni esempi. Abbiamo parlato (v.s. pp. 39s) del simbolismo dell’Al
bero del Mondo. Il cristianesimo ha utilizzato, interpretato, ampliato
questo simbolo. La Croce, costruita con il legno dell’Albero del bene
e del male, prende il posto dell’albero cosmico; Cristo stesso viene de
scritto come un Albero (Origene). Un’omelia dello Pseudo Crisostomo
evoca la Croce paragonandola ad un albero che « sale della terra ai cie
li. Pianta immortale, esso si eleva al centro del cielo e della tèrra: so
stegno solido dell’universo, legame di tutte le cose, supporto di tutta la
terra abitata, intreccio cosmico che comprende in sé tutta la varietà del
la natura urnana... ». « E la liturgia bizantina canta ancora oggi, nel
giorno dell’Esaltazione della Santa Croce, ‘l’albero della vita piantato
sul Calvario, l’albero su cui il re dei secoli ha operato la nostra salvez
za’, ‘s’è innalzato al centro di questa’ e ‘santifica fino ai confini dell’uni-
verso’ » 4. L ’Immagine dell’Albero Cosmico si conserva sorprendente
mente pura. Con ogni probabilità il prototipo sarebbe da ricercare nel
la Saggezza che, secondo i Proverbi, in, 8 « è un albero di vita per chi
ad essa si attiene». Quésta saggezza, commenta de Lubac (op. cit., p.
71; ed. it. p. 64) « per gli ebrei sarà la Legge, per i cristiani sarà il fi
glio di Dio ». Altro prototipo probabile è l’albero visto in sogno da
Nabucodonosor (Dn 4, 7-15): « Io stavo guardando ed ecco un albero
di grande altezza in mezzo dia terra, ecc. ».
Il R.P. de Lubac ammette che, al pari del simbolo dell’Albero Co
smico delle tradizioni indiane, l’immagine della Croce = Albero del
Mondo è il prolungamento, nell’ambito del cristianesimo, di « antiche
speculazioni mitologiche * (op. cit., p. 75; ed. it. p. 70). Egli, però, si
4 Henri de Lubac, Aspects du Bouddhisme, Paris 1951, pp. 57, 66-67 (tr. it.
Aspetti del Buddismo, Jaca Book, Milano 1980, pp.'47, 59-60). Su questo proble
ma, cfr. R. Bauerreiss, Arbor Vitae. « Lebensbaum » und seine Vertoandung in
Liturgie, Kunst und Braucbtum des Abendlandes, Munich 1938, Abhandlungen der
Bayerischen Benediktiner-Akademie, ni.
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Immagini archetipe e simbolismo cristiano
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Simbolismo e storia
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Immagini archetipe e simbolismo cristiano
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Simbolismo e storia
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Immagini archetipe e simbolismo cristiano
* Ben s’intende che l’esperienza estatica dello sciamanismo non può essere ri
dotta a questo « ritorno al Paradiso »: in essa si ritrovano una quantità di altri eie*
menti. Avendo consacrato un intero libro a questo problema estremamente com
plesso, non riteniamo necessario riprendere una volta ancora la discussione. Osser
viamo tuttavia che l’iniziazione sciamanica consiste in un’esperienza estatica di
morte e di risurrezione, esperienza decisiva che si incontra in tutte le mistiche sto
riche, compresa quella cristiana.
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Simbolismo e storia
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Immagini archetipe e simbolismo cristiano
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Simbolismo e storia
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Simboli e cultura
possono aver luogo fin da ora. Quel tempo annunciato da Cristo è già
accessibile e per chi lo ha ritrovato, la storia cessa di esistere. La tra
sformazione del Tempo in Eternità è cominciata con i primi credenti.
Tuttavia questa trasformazione paradossale del Tempo in eternità non
è una prerogativa del cristianesimo. Abbiamo incontrato la stessa con
cezione e lo stesso simbolismo in India (v.s. p. 77). A ksana corrispon
de il kairos: uno come l’altro possono divenire il « momento favorevo
le » in virtù del quale si « esce dal tempo » e raggiungere l’eternità...
In ultima istanza si chiede al cristiano di diventare contemporaneo di
Cristo: questo implica sia un’esistenza concreta, nella storia, sia la con
temporaneità della predicazione, dell’agonia e della risurrezione di Cristo.
Simboli e cultura
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Simbolismo e storia
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Osservazioni sul metodo
Dopo quel che abbiamo or ora esposto, si vede in che senso è stata
superata la posizione « confusionista » di un Tylor o di un Frazer i qua
li, nelle loro ricerche antropologiche ed etnografiche, accumulavano esem
pi privi di ogni continuità geografica o storica, citando un mito austra
liano a fianco di un mito siberiano, africano o nord americano, convinti
che si trattasse sempre ed ovunque della stessa « reazione uniforme del
lo spirito umano di fronte ai fenomeni della Natura ». Rispetto a que
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Simbolismo e storia
12 Questo problema verrà ampiamente dibattuto nel secondo volume del nostro
Trattato di Storia delle religioni.
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Osservazioni sul metodo
me una creazione della psiche. Ciò diventa ancor più evidente quanto
ci si ricorda che la funzione di un simbolo è proprio quella di rivelare
una realtà totale, inaccessibile agli altri mezzi di conoscenza: la coinci
denza degli opposti, ad esempio, espressa dai simbolismi con tanta ab
bondanza e tanta semplicità, non è data in nessun punto del Cosmo e
non è accessibile all’esperienza immediata dell’uomo né al pensiero di
scorsivo.
Stiamo però attenti a non credere che il simbolismo si riferisca uni
camente alle realtà « spirituali ». Per il pensiero arcaico una separazio
ne del genere tra lo « spirituale » e il « materiale » non ha senso: i due
piani sono complementari. Il fatto di ritenere un’abitazione collocata al
« Centro del Mondo », non toglie che essa sia uno strumento che sod
disfa precisi bisogni e che è condizionato dal dima, dalla struttura eco
nomica della società e dalla tradizione architettonica. Ancora in tempi
recenti la vecchia disputa tra « simbolisti » e « realisti » è tornata a
scoppiare a proposito dell’architettura religiosa dell’antico Egitto. Le
due posizioni sono inconciliabili solo in apparenza: nell’orizzonte della
mentalità arcaica tener conto delle « realtà immediate » non vuol affat
to dire che si ignorano o si disprezzano le loro implicazioni simboliche
e viceversa. Non bisogna credere che l’implicazione simbolica annulli il
valore concreto e specifico di un oggetto o di una operazione: quando
la zappa viene chiamata fallo (come avviene in certe popolazioni austro
asiatiche) e la semina viene equiparata all’atto sessuale (come si fa qua
si dappertutto nel mondo) non ne consegue che l’agricoltore « primiti
vo » ignora la funzione specifica del suo lavoro e il valore concreto, im
mediato, del suo attrezzo. Il simbolismo aggiunge un valore nuovo ad
un oggetto o ad un’azione, senza per questo intaccare i loro valori pro
pri ed immediati. Applicandosi ad un oggetto o ad un’azione, il simbo
lismo li rende « aperti ». Il pensiero simbolico fa « scoppiare » la real
tà immediata, senza però sminuirla né svalutarla: nella sua ottica l’Uni-
verso non è chiuso, nessun oggetto è isolato nella sua esistenzialità: tut
to è tenuto insieme da un sistema serrato di corrispondenze e di assi
milazioni u. L ’uomo delle società arcaiche ha preso coscienza di sé in
un «mondo aperto» e ricco di significato: resta da sapere se queste
« aperture » sono altrettanti mezzi di evasione oppure se, al contrario,
esse costituiscono l’unica possibilità di accedere alla vera realtà del
mondo.
13 Per ben intendere la trasformazione del mondo ad opera del simbolo basti
ricordare la dialettica della ierofania: un oggetto diventa sacro pur rimanendo se
stesso (v. s. p. 80).
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