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VENETI NON VENETI

M.G. Tibiletti Bruno

L’iscrizione venetica Es 75, incisa su cippo votivo in trachite dei col-


li euganei (come del resto altri reperti), che venne trovato tra il Monte
Murale e il Palazzo del Principe, appare, con alcune integrazioni del Pro-
sdocimi (in I Veneti antichi, p. 282)(1), come: mego fr[em]/[a.i.s.]to.s. do-
na.s./to .e.inaio[.i.?] // [?] vote.i.iio.s. ‘me fremaistos donò per einaios (?) //
vo(t)teiios’. Einaio[i dat. oppure -s nom.] presenta una formazione in -aio-
che non è frequentissima in venetico, sempre legata ad antroponimi; v.
apaia voltiiom[---](? di dubbia lettura, e apaia, se così è da leggere, è no-
me femminile non venetico (Es 119); in seconda posizione, cioè appositi-
vi: nerkai trostiiaiiai (*Es 128) e trostiiaiiai (*Es 129) entrambi dativi(2);
voltigen(e)i andetiiaiioi dat. (*Pa 28)(3); osts katusiaiios (Vi 2)(4); veines kre-
viniiaio (Ca 2)(5); turijonei okijaijoi dat. (Ca 24)(6); deivolaijos (Ag 1b)(7);
padros pompeteguaios (*Od. 7)(8), e in iscrizioni latine di quest’area: Couos
Sabinaius (Ca IIb) e [---]laioni.f. genit. (Es LVIII)(9); v. anche eccaio su
monete galliche(10) trovate in Friuli.
Nel volume sopra citato il Prosdocimi, a p. 305, riprendendo un’ipo-
tesi dell’Untermann(11), ritiene che in particolare le forme in -ia-io- (quin-
di con partenza diversa rispetto a einaio- perché da -ia- e non da -a-, ma
per la spiegazione ritengo si possa considerarle morfologicamente simili co-
me ricostruzione) vengano dalla giustapposizione di due suffissi, cioè -ia-
dell’appositivo femminile e -io- di derivazione, considerato generalmente
funzionare come formante di patronimico (sintetico) ‘figlio di’. Egli infatti
afferma che per -ia-io- si tratti di matronimico anziché di patronimico,
perché il suffisso -io- viene attaccato all’appositivo femminile anziché a
quello maschile. Qui si tratta di un caso istituzionale speciale, cioè di
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quando il padre non gode di diritti civili e pertanto non può legittimare il
figlio, il quale allora viene identificato mediante l’appositivo della madre(12).
Quello che qui ci interessa è il procedimento di formazione, e cioè:
il suffisso -io- che si aggiunge elimina la vocale tematica del personale
quando questa è &o breve, mentre si attacca subito dopo la vocale quando
questa è 1a lungo, per cui risulta -1a-io-.
Allora einaio- deve partire da una forma eina equiparata ai temi in
-1a- lungo, solitamente a diatesi femminile(13). E noi abbiamo attestato in
altre tradizioni il nome eina, in etrusco e in falisco. Però in falisco è nel-
l’iscrizione Giac., 80, funeraria, incisa in una tomba della necropoli pres-
so il ponte Terrano a Civita Castellana(14), dove il defunto appare con il
prenome abbreviato: mar:eina, cioè marco(s) eina. Ma eina non è gentili-
zio falisco, è etrusco come lo sono vari altri gentilizi in area falisca, senza
alcun adattamento morfologico(15), specialmente nella zona di Corchia-
no(16). Nell’area etrusca, particolarmente quella chiusina, troviamo l’obli-
quo femminile einal, che viene dal nominativo einei, per palatalizzazione
da *einai (o *ainai), rispetto a un maschile eina con -i femminilizzante.
Abbiamo forse la rappresentazione della forma più antica aina a Rusellae,
sul fondo di un vaso campano di età ellenistica (‘Studi Etruschi’, XXXIII,
1965, p. 72)(17); il dittongo ai- passa a ei- nel V a.C.(18).
A questo punto è doveroso ricordare che esiste eina su uno specchio
purtroppo perduto (NRIE, 1107), di età non precisabile e di provenienza
incerta, che è però considerato la resa etrusca di greco A„ne…aj ‘Aeneas’. È
per ora l’unico esempio epigrafico della figura di Enea contro le altre del
ciclo troiano(19) con più attestazioni. Questo eina secondo De Simone(20)
apparirebbe in -na come i gentilizi etruschi e sulla base di altri theonimi
in -a, come ca(u)qa, quplqa, lasa, ecc.
Le altre forme che noi abbiamo, etrusche, sono gentilizi, come il so-
pra citato einal, nonché in area falisca eina, e cioè: einatei femm. sempre
in territorio chiusino, su olla (CIE, 2073), e invece a Tarquinii, propria-
mente a Corneto (villa Tarantola), su coperchio, einanei femm. (CIE,
5511) e einanal obl. femm. (CIE, 5512)(21), tutte forme che dovrebbero
partire da eina. Si hanno anche forme in -i, dalla zona chiusina, eini m.
(CIE, 855) a Montepulciano, su ossuario in pietra tiburtina, e einis obl.
m. (CIE, 2322) da località incerta, su tegolo sepolcrale. Del resto, dalla
forma con ai- iniziale non ancora palatalizzato abbiamo i gentilizi latini
Ainius (CIL, IX, 608034) a Urbino, Aenius (CIL, VI, 1058) a Roma e
(VIII, 2798) a... e Aennius (XIV, 2668) a Tuscolo, cui si può aggiungere
Aen1onius da un tema in -on- *Aen1o (IX, 1147) a Aeclanum.
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Einaio- è una vera fonte di problemi non facilmente risolvibili. Allo-


ra, un primo problema è se eina sia arrivato direttamente dall’etrusco,
portato da genti chiusine, oppure dal falisco, da abitanti della zona di Ci-
vita Castellana (pur essendo eina un gentilizio etrusco anche in area fali-
sca). D’altra parte la forma in area falisca è recenziore rispetto a Es 75, an-
che se forse solo di un secolo, un secolo e mezzo, e inoltre la forma in fa-
lisco finora è unica. E quindi, anche se effettivamente genti falische arri-
varono nel Veneto, perché in un’iscrizione frammentaria pure da Este ab-
biamo [---]firtati dat., che è stato completato in [loi]firtati (ma la grafia e
la morfologia sono latine(22) e quindi l’iscrizione è tarda, di età repubbli-
cana, o ±90-89 a.C.), cioè una dedica alla dea falisca *loifirtas, v. loifirta-
to(s) genit. ‘di Loifirtas’ (Giac., 25a-b)(23), i rapporti con il mondo falisco
sono tardi. E il Prosdocimi (I Ven. ant., p. 343) ricorda anche iscrizioni la-
tine a Padova e ad Aquileia (CIL, I, 1435 e I2, 2171) riguardanti espo-
nenti della gens Tampia, che è diffusa pure altrove, però ha radici nell’area
falisca, v. a. il fundus Tampianus, e a Preneste (CIL, I2, 1458 e 303-308).
Però tutto questo indizia di rapporti tardi, mentre Es 75 è assai anteriore.
Allora non resta altro che pensare all’arrivo di persone di una famiglia
etrusca, chiusina.
Un secondo problema è il valore della formazione ampliata successi-
vamente in -io- e un terzo è il completamento della mutilazione. Da eina
gentilizio sorge l’appositivo con -io-: eina-io-s che, essendo contrapposto a
fremaistos personale del dedicante, dovrebbe funzionare da personale del
destinatario, perciò con -io- che ha perduto la sua funzione di patronimi-
co(-gentilizio?)(24)? Infatti votteiiios nom. che appare sull’altra faccia e do-
po la fine della scritta dedicatoria è un elemento aggiunto(25), e pertanto
la contrapposizione resta fra fremaistos e einaio[i?]. Ma se invece che ei-
naio[i] dat. fosse da completare einaio[s] nom., avremmo un personaggio
indicato con il personale, fremaistos, cui è stato poi aggiunto un secondo
elemento, patronimico o gentilizio (?), einaios, cui sarebbe stato aggiunto
poi dopo un terzo, non preventivato, vo(t)teiiios, come è testimoniato al-
tre volte(26) (vo(t)t(o)-e-io-s, v. votos), però mai i tre elementi onomastici
sono tutti separati (di solito è separato il terzo, mentre i primi due for-
mano coppia regolare(27)). Questo fatto mi induce a ritenere che si debba
completare einaio[i] dat. anziché einaio[s] nominativo.
Il terzo problema è legato alla struttura dell’iscrizione: mittente/do-
natore - verbo - destinatario (cui prodest) // elemento onomastico aggiun-
tivo al mittente. Però prima di vo(t)teiiios nella seconda faccia il Prosdoci-
mi segna il dubbio che possa esserci stato qualcosa(28): potrebbe trattarsi
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del vero destinatario del dono, la divinità(29)? D’altra parte forse è anche
possibile che non venga espressa la divinità cui si fa l’offerta, anche se
normalmente la vediamo indicata, v. gli oggetti della stipe di reitia(30).
Oppure, e qui arriviamo al quarto problema, che discende dal, o meglio
è strettamente interdipendente con il terzo e che potremmo anche consi-
derare il principale, in una certa ottica, cioè all’interpretazione del Pro-
sdocimi del terzo elemento della struttura dell’iscrizione. Egli infatti ritie-
ne che il nome della divinità sia espresso nel dativo einaio[i], cioè *einaios
sarebbe non una persona a vantaggio della quale si fa il dono alla divini-
tà, bensì proprio una divinità, maschile, forse quella per la quale era stata
raccolta la cosiddetta ‘stipe di Caldevigo’(31). Ma come ricollegare la forma
con eina di cui si è parlato sopra? Come può rientrare un theonimo nella
serie -a-io- (o -aio-)? Forse, se si parte da eina ‘Enea’ (arrivato già con il
passaggio a ei- da ai-), inciso su di uno specchio etrusco, e quindi dal no-
me di un ‘eroe’ divinizzato con l’aggiunta del formante derivativo -io- sa-
rebbe sorto eina-io- ‘legato a E., quello di E.’, cfr. in latino e in umbro
m1art-io- ‘legato a M1ars’ (ancora aggettivo, non individuato) dal theonimo
M1ars; in osco cfr. ad es. mamertiais abl. pl. ‘Martiis’ (V. 84-85), ecc., da
mamers (glosse), e menereviius nom. pl. (<*-1os) ‘di Minerva’ da Menerua
con -io- (-(1a)-io-), e anaptissi (‘SE’, LXII, ’96, pp. 376-77); nel marsico
tardo erinie et/ erine/ patre dat. ‘per Erinia e per Erinos Padre’ (V. 228b),
entrambi theonimi, il primo f. derivato in -ia- dal secondo m.; in latino,
recentemente identificata dal Colonna, ianaia- ‘quella della Porta’ (v. ap-
presso). Ma v. pure come formante nel venetico reitia (la dea della famo-
sa stipe di Este), se da *reit(o)-ia- ‘legata’ al *reito- ‘scrittura’ oppure al
*reito- ‘fiume’, a seconda dell’etimologia (il Prosdocimi preferisce que-
st’ultima, per confronto con Limna…a ‘quella della palude’)(32). Però mi
sembra che Enea sia troppo poco diffuso nel mondo etrusco per poter es-
sere poi arrivato nel Veneto e aver dato luogo a una ‘nuova’ divinità, an-
che se per il Prosdocimi, in altra occasione, il silenzio non è un argomen-
to sufficientemente valido per escludere un’ipotesi(33).
Veniamo ora a considerare le forme in -aio-, nelle molteplici attesta-
zioni, le quali possono aver avuto varie origini (non conosciamo la primi-
tiva quantità di a)(34), per cui in alcune tradizioni e in alcuni casi il for-
mante può essere arrivato da onomastica greca già in -aio-, così negli
etruschi asklaie (CII, 2753bis= TLE, 4: mamerce a., Camp., Capua, V
a.C.) dal gr. ’Askla§§ioj; parqanapae-s (CII, 1070, Perugia, V a.C.) dal gr.
Parqenopa§ioj (con assimilazioni e scomparsa di -iª- intervocalico); meli-
taie (EVP, 196 nr. 14= De Simone, I, p. 91, su anfora, Ia metà V a.C.;
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non riportato in Th.1.E., e neppure nel I e II supplemento) dal gr. Meli-


ta§ioj; nell’osco meliíssaii[?] (V. 31, v. lt. Melissaeus) dal gr. Melissa§ioj;
[---]laiej (Pocc. 220= V. 228d, marrucino) (?), e queste forme e altre non
pervenute fino a noi possono aver dato il modello per una certa diffusio-
ne, specie per ‘etnici’, cioè potrebbe esserlo per lt. Sabinaios (anche in area
venetica, v. sopra) e per falisco latinaios (Giac., 63), ad es., ecc., cfr. forse
osco púmpaiians ‘di Pompei, Pompeiano’ nom. sg. (V. 11, e diffuso)(35),
ma non solo.
Da forme in -a forse in falisco abbiamo uoltaia (Giac. 118, I), che
può essere motivato dal prenome maschile uolta assai diffuso (però il pa-
tronimico è normalmente uoltios con la scomparsa di -a, cfr. *iunios > iu-
neo(s), da iuna) con -io- direttamente aggiunto ad -a(36), e inoltre una for-
ma ancora una volta etrusca, com’è il caso di eina, e cioè la recenziore
anae (Giac., 57)(37), la quale arriva in etrusco dall’italico o piuttosto dal la-
tino (è eliminata la forma anaios di Ardea perché divisa erroneamente k,
abbreviazione impossibile all’età dell’iscrizione, v. sotto, e anaios), ma è
presente in sudpiceno, come an_aiúm genit. plur., a data antica, VI a.C.
(Mar., AP. 1), poi pel. anaes (V. 214), marsico-latino anaiedio(s) (V.
228d= Pocc., 220), e lt. Annaeus(38), Annaedius e Annaienus.
V. anche, ancora in peligno, in iscrizioni parimenti tarde, acaes e ac-
caes (Pocc., 209 e 212)(39), e lt. Accaeus(40), e Accaedius, Acaenius, ecc.
Sopra si tratta dunque di a(n)na e qui di a(c)ca, attestati in etrusco
come ana a Narce nel VII a.C. e a Roma nel VI-V a.C., e poi più tardi a
Cere, e il secondo come aka-és obl. a Colle Val d’Elsa nel VI a.C. e un se-
condo esempio dato come arcaico, e aka-s larices id. a Cere pure nel VI
a.C., mentre è dubbio aca a Cere dato come arcaico; e nella tradizione la-
tina si hanno Anna Perenna e Acca Larentia(41), che sono però figure fem-
minili.
A Capena abbiamo aciu˝aiom o genit. pl. (retto da esú ‘questo’ o ‘so-
no’ di a.).
Ancora nelle lingue italiche, in osco abbiamo maraies (V. 195d) = lt.
Maraeus, da maras, genit. maraheis, con l’aggiunta di -io-; tantrnnaiúm
genit. pl. (V. 86 e 87); vesulliaís (nv.v., V. 150, II a.C.), e poi, fuori del-
l’onomastica, mefítaiiaís dat.-abl. pl. ‘Mefitalibus’ (V. 32)(42), e v. sopra
púmpaiians; in umbro, ugualmente fuori dall’onomastica, pernaiaf (43) e
pusnaiaf acc. pl. ‘anteriori’ e ‘posteriori’ (T.I., Ib 10 e Ib 11), che potreb-
bero partire da avverbi *pern1a e *pos(t)n1a antichi strumentali sing. con
l’aggiunta di -io-, cfr. in latino contr1a(d) e contr1arius, ed extr1a(d) ed
extr1aneus.
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Ma le più antiche attestazioni in iscrizioni nelle aree latina e italica,


a parte apaes, etc., e anaiúm del sudpiceno (v. sotto), sembrano per ora es-
sere, secondo il Colonna (in Lapis Satricanus, ’80, pp. 61 segg., e ‘SE’,
LXI, 1995(’96), p. 348): karkavaios (pp. 64-65), su ciotola di bucchero,
da Acqua Acetosa Laurentina, fine VI a.C.; kan_aios (p. 66, 36 fig. 10= V.
363), per il quale io invece proporrei la lettura kapiaios(44), con p a unci-
no lungo (cfr. post[---] (p. 58 fig. 5.16), dal Palatino), oppure kau˝iaios, su
fondo di vaso in bucchero pesante, da Ardea, IIa metà VI a.C. (v. appres-
so), e ianaias genit. f. (p. 348)(45), nel fondo del piede di una ciotola-co-
perchio, dalla meta sudans in Roma, fine VI-V a.C. Quest’ultima forma è
da lui analizzata come formazione in -ia- (diatesi femminile rispetto a -io-
) da Iana paredra di Ianus, il dio della porta, cioè *iana-ia ‘quella della
porta’, da identificare poi con Iuno Sororia (p. 350)(46). Allora, ianaias è
giustificata da forma in -a in partenza, mentre karkavaios e kan˝aios o
kap˝iaios o kau˝iaios non sembrano avere chance per una base in -a visibi-
le, e quindi potrebbero essere invece per estrapolazione di un suffisso -aio-
per taglio errato oppure per il confronto con forme greche. Che però le
forme in -aio- fossero assai diffuse in età più arcaica (quali che fossero le
sue origini), ce lo testimonia l’etrusco, anche prima del sudpiceno
(apais/apaes e apaiús, rispettivamente nom. sg. e nom. pl. (Mar., MC.2,
MC.1 e AP.2), VI-V a.C., lt. Appaeus e Appaedius, Appaienus, forme che
partono da apa (47) con l’aggiunta del suff. -io-, cioè *a(p)pa-io- (v. anche
ven. apaia, cit., Es 119), per cui è meno importante sapere se il suo valo-
re è di NP appositivo oppure di titolo (v. Marinetti, pp. 64-65)(48), men-
tre in latino è sicuramente gentilizio, e tale è anche in etrusco apaiae-s, v.
appresso), le più diffuse in genere legate a termini del linguaggio ‘infanti-
le’: a(n)na, a(p)pa, a(t)ta, a(c)ca, pupa, tata, tita(49), poi inseriti nei sistemi
morfologici di varie lingue.
In etrusco infatti abbiamo: [---]etaina-s(50) (aran[q---]et., G.B.G.,
222, Marsiliana, 675-650 a.C.); flakunaie (/venel, TLE, 429= G.B.G.,
261, Monteriggioni, metà VII a.C.); pupaia-s f. (p. karkanas, ‘SE’, XLI, p.
350 nr. 154= G.B.G., 14a= S.M., p. 35 nnr. 37.38, Cere, 650-630 a.C.),
v. poi pupainei f. (Clus.) e pupainal (ib.), pupaini (Volt.); alésaiana-si
(G.B.G., 80= S.M., p. 141 e 54, p. 106, Cere, ultimo quarto VII a.C.);
[---]naie-si (laricesi [---]na., CIE, 8426= G.B.G., 137, Falerii, Monte So-
riano, metà VII a.C.); velcaina-si (larisale v., ‘SE’, XLII, p. 263 nr. 217=
G.B.G., 94= S.M., p. 48 nr. 81, Cere, ultimo quarto VII a.C. o 620-580
a.C.) e velcaina-ési ([---]e v., ‘SE’, XLII, p. 263= G.B.G., 300, Satricum,
fine VII a.C.; licinesi v., TLE, 866= G.B.G., 70= S.M., p. 41 nr. 58, Ce-
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re, ultimo quarto VII a.C. o 630-600 a.C.), da velcaie (v.pustminas, TLE,
22, Campania, loc. inc., V a.C.; recenziore, aule v., CIE, 4718, Clus., Ca-
stiglione d.l.) e velcaie-s (CII, app. 935, Campania, Capua), velcaia-és f.
(CIE, 510, Clus., Colline d.l.), e velcainal (obl. da *velcainai, CIE, 3034,
Clus., Fonte Rotella), e forme recenziori velcae (CIE, 3106, Clus., loc.
inc.), velcae-s (‘SE’, XXX, p. 142 nr. 10, Vols., Orvieto, VI a.C.; p. 145
nr. 16, VI a.C.) e velcae-és (CIE, 4719, Clus., Castiglione d.l.) e velcaia-s f.
(CIE, 509, Clus., Colline d.l.); hirsunaie-si (licinesi h., TLE, 769=
G.B.G., 99= S.M., p. 49 nr. 86, Cere (orig. inc.?), fine VII- secondo
quarto VI a.C. o 600 a.C.); [---]naie (NRIE, 882, Veio, VII-VI a.C.);
ataia-s f. (CVA, Brit. Mus., VII, IV Ba, tav.13 nr. 13= S.M., p. 36 nr. 41,
p. 105, Cere, 650-25 a.C.) e recenziore atain() (Clus., loc. inc.)(51);
apaiae-s (laris a., ‘SE’, XIII, p. 459 nr. 4= S.M., p. 172 nr. 11, Veio, Por-
tonaccio, 600-550 a.C.) e poi apaiatru-s (larqial a., CIE, 5451, Tarqui-
nia); paienaie-s (velqurus p., ‘SE’, XXXIV, p. 106, Vols., Orvieto, VI a.C.);
cizaie-s o cipaie-s ([---]ilus c., ‘Epigraph.’, XXXVIII, p. 29 nr. 2= S.M., p.
65 nnr. 144 e 107, Cere, Tolfa, 600-500 a.C.); leqaie-s (laris l., TLE, 37=
S.M., p. 172 nr. 11, Veio, VI a.C.); e leqae-s (CIE, 5043, Vols., Orvieto,
VI a.C.); sataiie-s (‘SE’, XLII, p. 312 nr. 302, or. inc., VI a.C.); [---]aie
(‘SE’, V, p. 546 nr. 3, VI a.C.); luscinaie-s (S.M., p. 53 nr. 102 e pp.
106,141, da -na + -ie, Cere, Tolfa, 550-500 a.C.); tataiie-s (NRIE, 1013=
‘SE’, XLII, p. 309.292, Campania, Suessula, V a.C.); titaie (venlis t., CII,
2778, Nola, V a.C.); zarmaie-s (‘SE’, XXXIX, p. 353 nr. 26, Vulci, V
a.C.). [n]uzinaie (S.M., p. 136 nr. 1, Veio, VI a.C.; nuvlaiués (TLE, 441,
S. Quirico d’O.)(52); nelaiu (‘SE’, XLI, p. 356 nr. 169, Corsica, Aleria).
Sono invece recenti: pulpae (arnt ésalie p., CIE, 2710, Clus., loc. inc.) e
pulpainei (CIE, 2711, ib.); petrae-s (CII, app. 840, orig. inc.).
Anche per l’etrusco abbiamo, tra le forme considerate, forme che
possono partire: a) da -na più la terminazione -ie, che è l’etruschizzazione
di -ios italica, greca e latina, ecc. (al semplice -os infatti corrisponde -e), e
b) anche forme in -a più ugualmente la terminazione -ie:
a) nuzi(e)-na-ie (forse v. Nostius, Cic.; CIL, VI, 19448, ecc.?)(53); lu-
sci(e)-na-ie (da Luscius: lt. luscus ‘guercio’)(54); hirsu-na-ie (v. hersu-s Vols.,
Orvieto; con ir da er, passaggio italico, e rustico in latino, v. anche a Pre-
neste?); paie-na-ie (da paie, Cere);
b) ata-ia; apa-ia-ie; pupa-ia; tita-ie; tata-iie; velca-ie (55), e forse anche
leqa-ie (v. leqa-nal obl. f.; Tarquinii, e leqa-nei Clusium, leqa-ni ib. e Pe-
rusia, leqa-ria e leqa-ria-és Clusium; NP theoforici).
Ma per b) alcune forme devono essere arrivate in etrusco già con
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-aio-/-aia-(56), tranne velcaie e leqaie etruschi, mentre resto in dubbio, per


mancanza di attestazioni, su alésa-ia-na, petra-e, pulpa-e. Per il caso a) mi
sembrano sicuri lusci-na-ie e anche nuzi-na-ie, mentre sono in dubbio su
flakunaie, se flaku-na-ie oppure, come mi sembra assai più probabile trat-
tandosi di un tema flacco- (lt. flaccus e cogn. Flaccus, o.flakis, V. 163), fla-
kun-aie (da *flacc(o)-on-, nom. *Flacc1o). V. del resto quanto scrive il De
Simone, in Rapporti linguistici..., p. 140: ‘Apaie è una pura variante iso-
funzionale (ridondante) di *Apa (per cui esistono altri esempi: cfr. Vel: Ve-
lie [:*Velie-na])(57), dovuta all’impatto e osmosi da prenomi latini e italici
in -io-/-yo- (tipo L1ucius, Lukkis).’, e v. anche: ‘Pacie: Pacana (:Paca), Spu-
rie: Spurana (:spura).’ La differenza ‘culturale’ doveva però sentirsi, alme-
no per un certo periodo, perché -ie non era il semplice -e dell’automati-
smo (v. sopra la sostituzione della desinenza maschile etrusca -e a -os stra-
niero), cfr. ad es. quello che dovette essere la terminazione in italiano -ie-
re dal provenzale, contro la propria -aio, da -ario.
Orbene, si è visto che le formazioni in -aio- nell’italico e nel latino
sono diverse, cioè di diversa origine, cioè sembrano e probabilmente sono
spesso da -a- più -io- tranne i casi dal greco -aio-, e le possibili interfe-
renze e astrazioni di un suff. -aio- o su -a-io- o su -aio-.
In etrusco pure si è visto che si hanno diversificazioni, cioè forme
italiche già in -aio-s etruschizzate in -aie, forme etrusche in -a con ag-
giunta di un formante di origine italica etruschizzato in -ie, e poi forme
in -na (un elemento etrusco di tipo derivato aggettivale, poi specificato
nella formazione di gentilizi), ugualmente con l’aggiunta dello stesso for-
mante -ie.
Il procedimento che il Prosdocimi sostiene per il venetico per le for-
mazioni in -ia-io- e -ia-ko- (da appositivi femminili) vede ugualmente la
base di partenza con -ia, che non cade per l’aggiunta del nuovo formante
bensì si mantiene, come si è già detto più sopra, con lo stesso procedi-
mento che abbiamo in etrusco, mentre in latino e anche nell’italico e nel
falisco il formante -io- gentilizio elimina -a del ‘tema’(58).
Ma ora ritorniamo alla nostra iscrizione venetica, e a quello che mi
ha lasciato perplessa quando ho dovuto spiegare ai miei studenti l’inte-
grazione, e come si utilizzino il tipo di tracciato delle lettere, i minimi
tratti, le obliquità delle parti restanti delle lettere nelle iscrizioni e nei
graffiti mutili o con parti rovinate per corrosione o altro, per arrivare a ri-
costruire il possibile. Allora, fino a einai direi che la fotografia a p. 186 di
Ling. ven. non dà adito a dubbi; ma il segno successivo che è stato inter-
pretato come o (cioè einaio, e dopo non si vede altro, per cui viene inte-
289

grato einaio[i] dat.), non può assolutamente essere o, perché tipologica-


mente è troppo diverso dai ben quattro o precedenti, i quali sono tutti
uguali, assai piccoli e centrati nella riga di scrittura: esso infatti, pur es-
sendo in un punto rovinato in basso, per cui se ne vedrebbe solo la parte
alta se fosse o, è dato da un angolo acuto che finisce contro la riga sopra-
stante, quindi non centrato come gli altri quattro, e lo si vede bene nella
fotografia. Non può trattarsi dunque che del solito u capovolto, a volte
più corto delle altre lettere (forse perché intero con le sue sbarre oblique
assai divaricate occuperebbe troppo spazio), v. ad es. Es 25; 44; 50; 86; 93
(appena un po’ più alto di o, ma ugualmente quasi centrato: v. Es 3; 115
e Ca 22; appare più alto di o in Es 13 e Ca 21b, in cui si accompagna a
un u più grande)(59).
Allora la forma in -u, se non seguiva altro nella mutilazione, può
rappresentare un nominativo singolare iscurito da -1o per influsso illirico,
v. rumanna se gamonimico di *R1om1anos (kanta r., Es 49, e 50); ariiuns
(voltiomnos iiuvants a., Es 25); resunkos (suros r., Ca 7) e votunkea (Tr 6);
kuijuta ametikus tuler (per koijuta/koijota ametikos toler, Ca 21). E quin-
di si tratterebbe dell’appositivo, staccato, riferito al personale fr[emais]tos.
In tal caso si possono ricordare in -aio- con l’ulteriore aggiunta di -on- (e
nominativo normalmente in -1o) kreviniiaio (veines kr., Ca 2; se non è in-
vece da dividere kreviniiaios ites: ites però non è interpretabile, ma d’altra
parte non mi sembra molto valido neppure il taglio che stacca sites)(60);
eccaio (se non per eccaios, cfr. DAG, p. 538) e tardo [---]laioni f. ‘figlio di
[---]laion(o)s’ o, meno probabilmente, ‘figlio di [---]laioni(o)s’(61).
Se invece dopo -u- ci fossero state ancora lettere, ora perdute nella
corrosione e nella frattura (-u infatti è sotto la seconda sbarra del t di
fr[emais]tos), ripeto dopo u – la scritta è bustrofedica – possono esserci
state una lettera sotto s e una stretta sotto i e forse una sotto a. Così po-
tremmo aver avuto il dativo -u[ne.i.] per -onei con l’iscurimento già nota-
to, v. ariiuns, resunkos, votunkea contro krumelons, naisonkos, moldonkeo.
Anche nel caso di un dativo, dato il tipo di formazione, mi sembra diffi-
cile pensare a un theonimo (la divinità ignota di Caldevigo a mio parere
rimane tale), mentre ritengo si tratti di un antroponimo, di un probabile
appellativo o di un personale rifatto da un appellativo per scadimento di
funzione.
Se anche in venetico fosse presente un esito -eio da -aio-(62), si potreb-
bero aggiungere i tardi moldonkeo (Es 24), con sparizione di -i- intervoca-
lico, con l’aggiunta successiva di -on-, e Eniconeio (?)(63) (Ca 73), che po-
trebbe aver avuto due volte il formante -on- (*enn(o)-ik(o)-on-a-i(o)-on-?).
290

Quindi l’onomastica, l’antroponimia ha quest’uso di forme in -aio-


alle quali è stato aggiunto l’ulteriore suffisso -on-, che in genere caratte-
rizza i personali (ca. una cinquantina di forme in -on- e due forme in -on-
alle quali sono stati aggiunti due altri formanti)(64).
Allora mi sembra che non si possa altro che concludere per il valore
antroponimico di einaiu, che al nominativo sarebbe appositivo come kre-
viniiaio (citato sopra); se fosse einaiu[nei](65) dat., si tratterebbe della per-
sona per la quale fr[emais]tos ha fatto la donazione, sia uomo che donna:
i temi in -on- infatti sono indifferenti alla diatesi, cfr. allo, Es 60; vasseno
(turkna vasseno, Es 93, con gamonimico in -na in prima posizione e per-
sonale stranamente posposto(66)); fremenodu (fremenodu otnija, *Es 125,
personale con -u per iscurimento di -1o e ‘patronimico’ in -ia forse da un
tema in -n-, cfr. makknos e galknos genit., contro i gamonimici otnai dat.,
v. appresso, da *o(t)to-s); Ostiac1o(?) (a Ostiaco.Usedica/ b ostiiiako uése[dic]a,
Tr 3, a grafia latina e grafia venetica). Se fosse stato einaiu, ma io pro-
pendo per il dativo einaiu[nei], fr[emais]tos avrebbe avuto il suo appositi-
vo staccato (ma v. n. 25), e poi gli (?) sarebbe stato aggiunto posterior-
mente, al di fuori di tutto il contesto, voteiiios (cfr. il ‘patronimico’ vot-
teiiios, cioè kantes votteiiios akuts, Es 64). Preferisco, dicevo sopra, einaiu-
nei, che potrebbe anche essere un personale femminile, e non sarebbe ne-
cessario indicare il gamonimico in quanto la stessa einaiu sarebbe la mo-
glie di fr[emais]tos.
Mi sembra ci siano poi possibili confronti con l’area etrusca, con l’a-
rea falisca, con l’area centrale, italica, che si potrebbero proficuamente ap-
profondire. Pertanto qui di séguito porto alcune proposte di confronti,
per krumelons (leso o peso kr., Es 92), crumel¸[onioi?] (egetorei cr., Es 112) e
Crumelonia (Tertia Cr., Es XXIII; Iusta Cr., Es XXVI); okijaijoi dat. (turi-
jonei o., Ca 24); iants (Vi 3) e iantai dat. f. (i. pannariai, *Tr 13; i. p[ana-
riai] otnai, *Tr. 15, e i. panariai otna[i], *Tr. 14); toticinai (Es 1062); ga-
vis raupatnis (Es 113); padros pompeteguaios (/kaialoiso ‘figlio di kaialos’?,
*Od 7).
1) krumelons da *krumelonios: non sembra avere confronti, e anche
l’etrusco non mostra presenze antroponimiche ricollegabili. Se si potesse
pensare a un antroponimo *krumel1o sorto da una forma diminutiva *cru-
mela ‘la piccola groma’ da etr. *cruma, non testimoniata ma presupposta
per il latino gr1oma/gruma(croma), che è imprestito indiretto dal greco
gnèmwn ‘lo gnomone, la groma’ (per misurare i terreni), e il tramite etru-
sco sembra necessario per il passaggio gn->cr-, cioè Cn>Cr, cfr. acmemrun
(6 esemplari, IV-II a.C.) da ’Agamπmnwn(67), potremmo aver risolto il pro-
291

blema(68). Il suff. -el1a- (: -elo-) è ben presente in falisco (ad es. urnela
[pa]tela o [lu]tela e arcentelom, Giac. 1, ecc.)(69), osco (famel, glosse); top.
fistelú f. (V. 200B 7d) e fistelia (V. 200B), etn. fistlúis dat.-abl. pl. e fist-
lus nom. pl. (V. 200B 7a-b-c), v. gentilizio lt. Fistelius; peligno (famel, V.
209); umbro (katel, T.I., IIa 43; tiçel, IIa 15); in latino -el 1 a -/
-elo- è comunque passato a -ol1a-/-olo- e poi a -ul1a-/-ulo- (v. urnula: urna,
falcula: falx, r1egulus: r1ex; come l’imprestito dall’osco famel in latino appa-
re come famulus). *krumel1a- sarebbe quindi partito come epiteto, v. ad es.
i cognomina latini Bulla, Tegula, Falcula, Fenestella, Libra, Ofella, Regula,
Perna, Testa, Tucca, Vacerra, ecc., ma poi sarebbe entrato fra i personali
con l’aggiunta del formante -on- (70) in particolare. V. poi appresso
pa(n)n1aria- / pa(n)n1ario- sotto iants e ianta.
2) okijaijoi dat. da nom. *okijaijos (v. katusiaiios), il quale sembra es-
sere un matronimico in -io- atipico poiché siamo in area settentrionale e
quindi dovrebbe essere invece in -ko-, v. Lejeune, Langue ven., p. 261 n.
165: ‘Avec okijaijo- (242) eneijo- est notre seul exemple, à Làgole, d’un
patronyme non derivé en -ko-.’ Ritengo, se teniamo presente l’appositivo
broijokos (Ca 28 e 29) in -o-ko- da broijo-, il quale risale con quasi certez-
za al celtico brogio- (brogi- <*mrogi- ‘territorio, confine’, v. Prosdocimi,
Ling. ven., II, pp. 60-61), palatalizzato in broio-, cfr. anche Catu-brigom,
che diventa per palatalizzazione Catu-brium(71) – e attraverso altri passag-
gi arriva a Cadore –, ritengo, dicevo, che okija- possa risalire a okik1a- per
palatalizzazione diffusa nell’area cadorina, e quindi possa confrontarsi con
il gentilizio maschile falisco ocicio(s) (Giac., 88) dalla necropoli di Celle a
Civita Castellana (se il gentilizio falisco incominciava veramente per o-
come credo, e non con una consonante precedente sparita nella rottura
della pietra), da un personale *okikos(72). Infatti da ocicio- verrebbe ocijo-
per palatalizzazione, e femminile ocija- e da questo il matronimico (v.
quanto ha affermato il Prosdocimi, cit., sulla sua funzione nel mondo ve-
netico) con la stessa utilizzazione dei due formanti, quello meridionale -
io- e quello settentrionale -ko-, che si ha per il patronimico. Se poi qui
l’appositivo è in -io- anziché in -ko- come appunto dovrebbe essere dato
che il personaggio si trova in un’area settentrionale, vuole dire che deve
trattarsi, per parte materna, di un personaggio che aveva origini meridio-
nali, forse da Este, e comunque assai più lontane, perché il matronimico
sembra avere una possibilità di confronto solo con l’area falisca.
3) iants m. e ianta f.: abbiamo due possibilità di confronto, quasi si-
curamente una sola in partenza. Allora, per prima un’onomastica celtica
che è però legata a temi in particolare in -u-, v. *iantu-/ *ientu-, a. irl. ét
292

‘zelo’, cfr. Iantu-marus (DAG, 237, 244 e 239)/ Ientu-maro dat. (DAG,
244), Iantullus, non sicuri Ianthus e Ianta m., ecc., e poi *iat-/ *iet-, e con
particella rafforzativa iniziale ad, ad-iantu-/ ad-ientu- e ad-iat-/ ad-iet-, da
cui forse gallese addiad ‘desiderio’, v. Adia[t]u-mar(us) (DAG, 208a= 214)
e Adietu-marus (DAG, 244), Adiatullus, ecc. Abbiamo soprattutto Iantasio
(DAG, 202, Rem.), Iantius (CIL, XI, 4125, Narni) e Ientius (DAG, 214),
Iantinus (PID, VIII c) e Ientinus (CIL, II, 4589) e Iatinius (DAG, 237),
ecc., v. Holder e soprattutto Evans, Gaul. pers. n., pp. 211-15.
Come seconda possibilità, ma ben più precisa della prima, noi ab-
biamo, guarda caso, proprio in falisco il prenome femminile ianta/iata as-
sai diffuso, cioè con la stessa funzione che abbiamo in venetico: iatai dat.
(Giac., 100) da Civita Castellana; iata (Giac., 98 e 99) id. e (Giac., 124)
da Caprarola; ian(ta) (Giac., 87) da Civita Castellana, inoltre forse anche
ia (Giac., 143) da Vignanello, abbreviazione o per iata o per ianta. Come
sia sorto questo personale in falisco non mi è chiaro (e finora non ci è at-
testata la forma maschile): potrebbe forse esserci un rapporto con le for-
me celtiche per la ‘radice’ solamente. Del resto, il ‘gentilizio’ pannariai /
panariai dat. (e masch. pannarioi / panarioi, Tr 12 e 11) pare essere un
antico epiteto (v. krumelons), cioè p1an1arium ‘cesto, credenza’, da p1anis ‘pa-
ne’ perché questo era depositato in tale contenitore, ma anche, per eti-
mologia popolare, pann1arium, secondo pannus, perché a volte erano de-
positati nel cesto anche i panni (e non credo invece che sia per la norma
citata appresso al paragrafo 4).
4) toticinai (lettura del Lejeune accettata dal Prosdocimi, in I Ven.
ant., p. 256)(73) dat. f., gamonimico da *totikos: il marito della donna era
probabilmente di origine umbra, perché il nome sembra essere una forma
monottongata da *toutikos, cfr. umbro t1otco, per sincope da t1otic1o abl. sg.
‘pubblico’, cioè ‘appartenente alla t1ota’ (pleno totco, Rocca, Be 1 a-d, I
a.C.; v. anche toce per t1otice, ultimo stadio, avv., Id., Ass. 2). Cfr. il genti-
lizio latino Totticius (come Votticius, v. venet. vo(t)tos, votteiiios?), che po-
trebbe essere sorto ugualmente da *t1oticos umbro, o da un dialetto carat-
terizzato come l’umbro, per metatesi quantitativa, v. lt. I1upiter (*diªeu-pa-
ter>*diªou-p1ater>*iª1o-pater>I1upiter) che passa a I&uppiter, cioè 3V + C > V +
CC(74).
5) gavis raupatnis in un’iscrizione tarda su vasetto grigio, tracciata
con lettere latine, con f corsivo (sbarra verticale e in alto una sbarretta
corta parallela), ecc. Si tratta di un personaggio con onomastica eviden-
temente non venetica, ma neanche latina. Il personale gavi(o)s è presente
in falisco, v. cauio (Giac., 62 III; 63; 71 II-III; 76 IV, ecc.) e cauia f.
293

(Giac., 79 I; 86 II; 121 IIb, ecc.)(75); sudpiceno kaúieh kaúieis puqloh


‘(per) Gauio figlio di Gauio’ (Mar., AQ 1)(76); osco gaavíeís genit. (V.
143) e gaaviis gentil. (V. 115) da Nola, gaviis (V. 4) da Capua. Allora il
prenome gavis con la caratteristica sincope italica per gavios (v. sopra)(77)
può essere stato portato da un osco o da un umbro, perché siamo in età
tarda(78), nel Veneto, perché il personale è un prenome italico in forma
italica per la sincope di -o- breve, e non falisco, perché il falisco conserva
-&o- e perde invece -s finale(79).
Così si può ritenere che anche il gentilizio (tale è sicuramente nel-
l’italico l’appositivo) raupatnis lo sia, da *raupatnios con la sincope itali-
ca, non con l’adeguamento a forme venetiche in -is, cfr. vilkenis (*Es 120,
IIa metà VI a.C.), personale, e vennonis (Pa 13), klutiiaris (Pa 16), poi ri-
dotte a -s, karanmns (Es 24), iiuvants ariiuns (Es 25)(80), ecc., v. l’iperca-
ratterizzazione luks melinks (Is 3) ‘L1ucios Melinkios’ (da L1uc.; già monot-
tongato in 1u).
Il Prosdocimi propone dubitativamente (p. 383) che si tratti di un
composto, però nelle lingue italiche non abbiamo testimoniata un’ono-
mastica composta (ma v. quanto ho accennato sopra)(81). D’altra parte,
trattandosi di un polisillabo, potrebbe effettivamente dividersi rau- e pat-
ni- o patno- con il formante -io-, il primo da un *raÁuo-, ma potrebbe in-
vece trattarsi di un derivato plurisuffissato *raup(o)-at(o)-n- (v. n. 80).
Nel primo caso *raÁuo- può confrontarsi con:
a) lt. r&avus ‘rauco’ (Pl.; Lucil.)(82): rau-cus, cfr. scr. ráyati ‘abbaia’, ráu-
ti ‘urla’, lit. rieju ‘io grido’, lett. reju ‘io urlo’; a. nord. r1amr ‘fioco’, ecc.;
b) lt. r1avus ‘di colore giallognolo’ (Hor.), detto degli occhi, ma r1avi-
stellus (Pl., Epid., 620A) o gr1avastellus (Id., ib., 620P) (entrambe le lezio-
ni dei mss. A e P sono note a Festo, 85,23 e 339,3); r1avidus ‘giallo-gri-
giognolo’ (Col.) e cogn. in Catullo, v. anche Ravilia o Ravilla (Fest. 740,
30); Ravillius e Ravelio(s); Ravius (Roma; Isernia; Napoli); Ravonius (Dal-
mazia); Ravolenus (Fermo) e Raulenus (ag. Amitern.). Vi si possono ag-
giungere le forme antroponimiche passate in etrusco: raue (CIE, 31602,
Clus., loc. inc.,) e rave (CIE, 5490, Tarq.; NRIE, 400, Clus.); e raués (CIE,
1795, ib., loc. inc.); ravia (CIE, 2659, ib.). Il confronto pare essere con a.
nord. gr1ar, a. a. ted. gr1ao ‘grigio’, dal got. *grewa; v. anche gr. gr…baj ‘ca-
vallo dal mantello grigio’, ecc. Ma per questo confronto naturalmente gr-
iniziale si sarebbe semplificato in r- come appunto in r1avus, ma non mi
risulta che in italico ci sia la stessa riduzione(83), per cui mi sembra da ac-
cettare eventualmente il confronto dato come a). Il secondo membro del
‘composto’ può forse ricollegarsi con o. patensins imperf. cong. IIIa pl.
294

‘panderent’ (V. 1, Cipp. Abellan.), theon. pat1anaí piístíaí dat. ‘Pandae Pin-
sitrici’ (V. 147, 14 e B17, Tab. Agnon.), e volsco ar-patitu<*ad-pat-1e-t1od
(V. 222), e lt. pate1o ‘apro, spalanco’, ecc.(84).
Sarebbe invece più interessante l’accostamento al NP Patna, proprio
di un vasaio, la cui produzione è assai diffusa, da Londra (CIL, VII,
1336.805) a Douai (Schuerm., 4181), a Beaune (Habert, 1036 tav. 22),
ecc. (v. appresso). Inoltre in etrusco abbiamo il gentilizio patna (Vols.,
Bolsena, CIE, 10768= TLE, 902, is. avanti cottura) e patna-s obl. (Peru-
gia, ‘SE’, XXXVI, p. 233 n. 2) e patna-és id. (ib., Ponte Felcino, CIE, 3448
e 3449); patnai (ib., ‘SE’, XLII, p. 294 n. 267) e rec. patnei f. (ib., CIE,
3445 e 3446, e 3447?); inoltre patn_i-s obl. (Clus., loc. inc., CIE, 2318).
Questo ‘gentilizio’ Patna poteva essere arrivato in etrusco dall’italico, do-
ve poteva essere sorto come ‘sobriquet’ (v. sopra per *krumel1a-, krumelons,
e per p1a(n)n1aria-, p1a(n)n1ario-) dal gr. pat£nh ‘padella, tegame’ in età ab-
bastanza antica per andare soggetto alla sincope (p&at&ana>patna). Infatti
come epiteto per persone di bassa condizione(85) prive di gentilizio poteva
essere accettato, e quindi con le persone poteva passare in località etru-
sche, dove la forma patna in -na si adattava a gentilizi etruschi con il ben
noto ‘formante’ -na (v. analogamente per eina-).
A questo punto, l’insieme dei due membri non mi sembra dare una
semantica convincente, né ‘che dà sfogo al grido’ né ‘pentola che risuona’,
per cui eliminerei l’ipotesi del composto, e ora ritengo di dover conside-
rare la possibilità di un derivato, o meglio di un pluriderivato.
Allora, *raupo- non è attestato, neppure in etrusco, dove in certi ca-
si si trovano testimoniate, a volte anche in età assai antica (già nel VII e
nel VI a.C.), forme che nell’italico e in latino (e altrove, cfr. venet. katak-
na, Es 52, gamonimico da *katakos, v. etr. katacina-s obl. gent., ‘SE’,
XLVII, p. 337 nr. 48, VI a.C.; v. poi in iscrizioni latine Catacus nel Gal-
les e Catacius nella Belgica) ci sono note a età cronologicamente assai più
bassa. Però forme con il dittongo au possono risalire a forme precedenti
in ou, che poi si è velarizzato(86), come testimonia l’etrusco per onomasti-
ca latina o italica che ha ricevuto e quindi etruschizzato: raufe(87), lau-
cie(88), laucane(89), ecc. *Roupo- o *roupi- può venire da una rad. *reup-
/*roup-/*rup-, v. scr. r1opayati ‘provoca vivo dolore, spezza’, lit. raupa§ı, cfr.
a. isl. rauf f. ‘buco’, serbo r § u pa ‘cavità nella roccia’, topon. tirol.
roup±/rouf±, poi Roppen/Rofen, ecc. Dubbia purtroppo è la lettura Roupiae
in CIL, XIII, 1276 (Bourges), ma sarebbe interessante, anche se in area
così lontana (nell’esercito romano c’erano persone di varia origine, reclu-
tate in un certo periodo soprattutto nell’Italia centro-meridionale), se la
295

lettura potesse essere accertata. Infatti *roupato- con suff. -1ato- (1a lungo)
potrebbe significare ‘pieno di buchi, di cavità, sforacchiato’.
La velarizzazione di cui si è detto sopra, che appare nelle forme etru-
schizzate, è presente, oltre che in area celtica sporadicamente(90), talvolta
in latino come passaggio più generale di o ad a per influsso dei popoli la-
tini costieri secondo il Peruzzi(91), cioè ad es. roudus,-eris ‘peso informe di
sasso’ e r1udus ‘aes infectum’ (Fest., 522, 5-8 in Cincio), rispetto a raudus,-
eris ‘aes’ (Varr.) e r1odus (Lucil.), v. anche Porta Rauduscula (Varr.) e R1odu-
scul1ana (Fest., 339, 11 e 12) e R1udusculana (CIL, VI, 975, Roma, 136
d.C.), cioè qui abbiamo ou avanti C, che passa ad au, però è molto più
frequente ou avanti V, con ugual passaggio ad au. Sporadicamente appa-
re anche altrove la velarizzazione, v. in falisco alternante il gentilizio aufi-
lio(s) con oufilio(s) nella stessa tomba (au- Giac., 71, II, III e VII; ou-
Giac., 71, I e VI) da Civita Castellana, e oufilio(s) (Giac., 140 I e II), da
Corchiano), mentre il prenome aufilo(s) (Giac., 76 II) è a Civita Castella-
na(92). Inoltre a Civita Castellana compare il prenome [l]auvcies (Giac.,
57), da loukios ancora non monottongato, con velarizzazione in au (v. n.
87), però in un contesto completamente etrusco, perché l’iscrizione reci-
ta: anae [l]auvcies (in coppia congiunta, cioè con la flessione solo alla fi-
ne, cioè nel secondo elemento, che però in questo caso è il prenome per-
ché posposto, mentre di solito è il gentilizio, in quanto in seconda posi-
zione, che viene flesso). Anae è esito etrusco recente per anaie, che viene
da a(n)naios (v. testo e n. 38), per scomparsa di -i- intervocalico.
D’altra parte, gavis raupatnis è un soldato, o meglio un ex-militare
(miles poltos= pulsus? con una formula ibrida, di lt. miles e di venetico(?)
poltos(93)), che ha una qualifica particolare, ufficiale, quasi onorifica visto
che è stata ricordata nell’epigrafe, quindi ‘in congedo’? ‘in pensione’? dal-
l’esercito. Pur essendo egli originario, o quanto meno la sua famiglia, dal-
l’Italia centrale, deve essere ormai abbastanza inserito nella società veneti-
ca, o almeno vuole farlo credere, dal momento che usa nei pochi tratti il
codice linguistico venetico (ostinobos ‘alle ossa’, cfr. iorobos, Es 23, e lou-
derobos, Es 45)(94). Suo figlio, se la lettura è esatta perché il punto non è
così perspicuo nei tratti incisi, doveva chiamarsi *frivos, ricostruito dal ge-
nitivo frivi (in -1ı per i temi in -&o- breve), un personale che non ha atte-
stazioni nell’italico, né in falisco né in latino, e non compare neppure in
etrusco, per le ricerche che ho fatto (comunque, almeno per ora). Tutta-
via il tema fr1ıvo-, se con 1ı lungo, potrebbe essere lo stesso che è alla base
del lt. fr1ıvolus ‘fragile’: ‘frivola sunt proprie vasa fictilia quassa’ (P.F., 90),
v. anche re-fr1ıva faba (Fest., 277)= re-fer1ıva faba (Plin., NH, XVIII, 119)
296

secondo referre. Tale tema fr1ıvo- in fr1ıvo-lo- e in re-fr1ıvo- viene dalla radi-
ce *bhr1ei-, o meglio dal grado zero *bhr1ı- mediante il suff. -Áuo-; cfr. scr.
bhr1ı-n_anti ‘si rompono’, a. sl. britva ‘rasoio’, ecc. Nulla però mi sembra
indicare nel personale del figlio se è ‘latino’ o italico o venetico perché la
posizione iniziale del fonema bh(95) ha resa spirante bilabiale in tutte e tre
le lingue citate (ma è da escludere il latino perché il prenome del perso-
naggio-padre non è latino, e ha una resa di nominativo, v. anche l’appo-
sitivo, non latina; *fr1ıÁuo- probabilmente esisteva anche in italico). Se te-
niamo presente che spesso i nomi dei figli hanno un legame, una connes-
sione con quello del genitore (quando non sono gli stessi, v. sudpic.
kauieh kauieis puqloh, cit.; umbro pe.pe.ufeôrier (Rocca, Be. 3); osco mr.ati-
niis.mr[.] (V. 12), v.púpidiis.v. (V. 13), v.sadiriis.v. (V. 20), l.púpid.l. (V.
28), tutti di Pompei; [n]iumsis.heírennis.níumsieís (V. 115), di Nola; ve-
net. [voltiio]mmnoi voltiiommniioi (Es 118); f [r]ema f [r]emaist[iia, piut-
tosto che na] (Es 32); frema frem[aistiia, piuttosto che aistna] (Es 94); ho-
vo houvonikos=fovo fouvonikos (Ca 66), con ho-=fo- per hou-=fou-(96), ecc.),
qualcosa che ‘si rompe; si spacca’ (raupatnis) e qualcosa che ‘è a buchi, fes-
surato o bucherellato’ (*frivo-s) rientra in una concettualità assai simile.
6) padros pompeteguaios: su ciottolone (sul ‘retro’ appare kaialoiso),
v.n. 8; se i confronti etimologici sono esatti, nei due elementi onomasti-
ci, il personale e l’appositivo, sono presenti tre esiti da labiovelare, uno nel
personale, da sorda, e due nell’appositivo, cioè da sorda e poi da sonora.
Vediamo allora per il personale padros. Ammettiamo che abbia
ragione il Prosdocimi nel ritenere che sia un derivato dal tema del
numerale ‘4’, le cui forme di base sembrano essere *quetÁuor/ *quetur/
*q uetru-/ *q utru-, e per l’ordinale *q uotru-/o-, cioè labiovelare sorda
iniziale, vocale e (escluso qui il grado zero) e sonorizzazione di t in d
avanti la rotata r. Vediamo quindi le testimonianze delle lingue che
possono aver dato a) la labiale come esito della labiovelare iniziale, b)
inoltre a al posto di e originaria e sonora anziché la sorda originaria
davanti a r.
a) Osco: pettiur ‘4’ (V. 141), petora/pitura (Fest. 226L= 206M
codd.); petiro-pert/petiru-pert (V. 2, 15 e 16, Tab. Bant.) avv. ‘quater’; cfr.
gentil. Petrucidii (V. 240 a3, Picenum)(97);
umbro: petur-pursus ‘quadrupedibus’ (T.I., VI b 16); gentilizi: truti-
tis (Rocca, Todi 2, p. 115; sul ‘Marte di Todi’); petrunia-per ‘da parte del-
la g. Petronia’ (T.I., II, a 21), ptrnio(s) ‘Petronius’ (Rocca, Fol 2);
peligno-latino: ptruna ‘Petronia’ (V. 215 q);
etrusco (in area falisca): petrunes (Giac., 121 III)(98);
297

marsico: petr1o pren. (Pocc., 223);


marrucino: petroni gentil. (Id., 206).
Celtico: a. corn. petguar, m. corn. pedwar e mod. peswar; bret. pevar;
gallese pedeir (contro a. irl. cethir m., cetheora f. ‘4’; cethorchat ‘40’). Gal-
lico petor-ritum ‘a 4 ruote’= ‘carro’; petru-decameto ‘il 14° (giorno)’ abe. sg.
(CIL, XIII, 2414, Gélignieux 9, Ain); etn. Petru-cori1ı e Perru-cori1ı, popo-
lazione dell’Aquitania (Caes., BG, XIII, 972; su monete, DAG, 78, 157),
top. od. Périgueux; *Petro-ialum ‘4 campi’ > Petroilum > Preuil (vari topp.:
dép. Allier; dép. Cher; dep. Plaine-et-Loire); Petro-mantelum (presso Pari-
gi), ecc.(99). E antroponimia: person. Petr1o (CIL, V, 6604, Marzialesco);
gentilizi: Petrucius (Symm., Ep., 7, 123); Petru-cidius (Carteia, Sp.); Pe-
trusius (DAG, 271, Germ. Inf.) e Petrusia (Aquileia); Petrosidius (Caes.) e
Petrusidius (Roma); cognomina: Petrusonia (DAG, p. 222); Petrullus
(Germ. Sup.); Petrucili (Sissex)(100), ecc. Più dubbie sono le forme ono-
mastiche non in -u- (*quetru-): Petrecus (DAG, 337); Petracius (Mérida);
Petranius (Brixia) e Petranioi dat.? (Lamas de Moledo), ecc. (v. n. 100).
In un’iscrizione tarda, della metà I a.C. (Lejeune, I, G - 106, Venta-
bren, Bouches-du-Rhône) abbiamo ouenitoouta kouadrounia: su di una
stele in grafia greca, trovata insieme con un’altra che presenta onomastica
maschile (p. 118: ‘... qu’il y a tout lieu de supposer époux.’), e in grafia la-
tina, a coprire una tomba a incinerazione. Secondo il Prosdocimi kouadr.
è gallico e non latino, e attesta la resa kua- e la sonorizzazione di t avanti
r come il latino, ma a me, come prima al Whatmough,..., ’52, p..., pare
difficile che in una iscrizione così tarda, un personale che corrisponde co-
sì esattamente al lt. Quadr1onia, f. di Quadr1onius gentil. (v. CIL, XIII,
3167, Nîmes; 4415, Narbonne, ecc.)(101) rappresenti invece una forma ge-
nuinamente celtica, ma di nessun’altra tradizione celtica attestata: il ‘galli-
co’ e il gruppo britannico hanno la labiale dalla labiovelare, ma non la ve-
larizzazione di e in a (senza motivazione apparente: un fenomeno così dif-
ficilior non può essersi sviluppato né indipendentemente né ovviamente
per contatto in lingue che erano parlate in aree tanto lontane); il gruppo
gaelico è ancora più lontano perché ugualmente non ha la velarizzazione
in a e per di più ha la resa velare della labiovelare. Etnici, toponimi e an-
troponimi sono poi costanti nel presentare sempre la conservazione del
gruppo tr e mai la sonorizzazione in dr, dalla Spagna(102) alla Galazia e al-
la Britannia, e quindi pare strano che la presenti un celtismo d’area vene-
tica.
b) Latino: quattuor ‘4’; quater ‘4 volte’; quartus, poi quadrus,
quadr1atus, quadr1aginta, quadr1ans,-ntis, quadr1ımus, quadr1ıgae, ecc. E an-
298

troponimia: Quartus, e gentilizi: Quartinius, Quartillius, Quartius e


Quart1onius, dal cogn. Quarti1o(103), ecc.; invece i gentilizi Petr1onius e deri-
vati vengono dall’italico, v. sopra(104).
Nel secondo elemento onomastico, l’appositivo, nome composto,
abbiamo due labiovelari, la prima, sorda, come interna e poi anche ini-
ziale del primo membro del composto, e la seconda, sonora, all’interno
del secondo membro. Secondo il Prosdocimi si tratta per il primo del nu-
merale pompe ‘5’ e per il secondo di te(n)gu1a- ‘lingua’, per cui l’intero
composto, di tipo bahuvrihi o possessivo, deve valere ‘che ha 5 lingue’, in-
tendendosi forse ‘molte’, come diremmo noi ‘poliglotta’ (allora indicazio-
ne di funzione di ‘interprete’? e non NP).
Per il primo membro mi sembra ovvio che si tratti del numerale ‘5’
(non credo che il personale per ‘4’ sia stato scelto fra quelli che sono sor-
ti dai numerali contrapponendo o giustapponendo il ‘4’ al ‘5’), comun-
que è da notare che questo numerale conserva intatta la nasale (pompe-)
davanti a consonante, mentre nel secondo membro la nasale (tegua-) nel-
la stessa posizione avanti consonante (e non vale che l’una sia nasale la-
biale e l’altra velare avanti velare – anche se da originaria labiovelare – re-
sa graficamente con il segno della nasale dentale n) è sparita(105). Ma qui
l’elemento difficilior è la labializzazione dell’e di *penque (che passa a
*quenque per assimilazione della labiale iniziale alla labiovelare successiva)
in o, v. appresso.
Come sopra, vediamo allora le testimonianze delle lingue che posso-
no aver dato la labiale dalla labiovelare e inoltre la labializzazione della pa-
latale e originaria in o.
Dal numerale cardinale *penque ‘5’ abbiamo:
osco: pumperias nom. pl. e púmperiaís dat.-abl. pl. ‘le quincurie’ (?)
(V. 87) e pumperiais (V. 84.85); gentilizi: pump() ‘Pomponius?’ (V. 73),
pwmponij (Pocc., 175) e Pomponi (V. 221); etn. púmpaiians ‘Pompeiano’
(varie iscrizioni), v. anche antroponimia italica in iscrizioni latine, ad es.
Pomp1onius (come per ‘4’ Petr1onius)(106);
umbro: pumpeôrias nom. pl. (T.I., II b2);
marsico: NP pomposiies (V. 226);
peligno: Peumpuni (Pocc., 217);
sabino: Pompos, Pomp1o e Pompilios (dalla tradizione letteraria latina e
greca);
celtico: gallese pimp e gallese mod. pump, a. corn. pimp, m. corn.
pump e corn. mod. pymp; bret. Léon pemp e Vann. puemp (invece irl. cóic
e irl. mod. cúig (107), cóica ‘50’).
299

Fitonimo: gall. pempπdoula / ponpedulon ‘quinquefolium’ (v. ap-


presso).
Etnico: Pimpe-dunn1ı (Plin., NH, IV,108), popolazione dell’Aquita-
nia.
[latino: quinque, quinquies ‘cinque volte’, quingenti, quinqu1aginta, v.
anche, appresso, il composto quinquefolium ‘potentilla’, ecc. Non nell’o-
nomastica;
messapico: NP penkaheh genit. (13.210, < *penquaÁio-) e penkeos (19,
21)];
Dal numerale ordinale *penquto- ‘quinto’ abbiamo:
osco: pomtis ‘quinquies’ (V. 22 c). Gentilizi: pomptiej (V. 196) e
púmptiis ‘Pontius’ (V. 224), púmti[---] (Pocc., 75) e púmp. (Pocc., 48);
peligno: gentilizi: Ponties (V. 202 bis), puntieis genit. (V. 125);
celtico: m. corn. pymbret, corn. mod. pympes, m. bret. pempet; gall.
pimpetos (La Graufesanque).
Antroponimi: Pentavi genit. (E S p. 39, Yecla de Yeltes, Lusit.;
Astorga) e Pintaui genit. (Villa- mesía, Trujillo); Pentilius (Talavera) e
Pentilia (Illano- Leganiel); Pentu (Paderna), Pentodia, DAG, 222) e Pen-
tadios f.; Pintameus (Mérida); Pintami genit. (Idanha-a-Velha; Oporto,
Lusit.); Pintovius (E S p. 24, Saldeana, Lusit.; Moral e Villalcampo) e Pen-
tovius (Luriezo, Sp.) e Pentovieci genit. (ib.); Pintaius; Pintil() e Pentilius
(DAG, 337); Penti genit. (Ovido e Léon), ecc.
Leponzio kvitos (kvitos lekatos nell’iscrizione di Briona, Novara, I
a.C.= ‘Quintus legatus’), prenome latino preso dal Gallo al posto del pro-
prio indigeno avendo assunto un rapporto preciso (come legato) con i
Romani.
[latino: quintus < *quenctus; prenome Quintus, gentilizi: Quintius e
Quinctius, Qu1ınctilius; cognomina: Qu1ıntellus, Quintilla.
venetico: kvit1o (Es 99), tema in -on-, v. sotto leponzio].
Il Prosdocimi si basa, per ritenere effettuata in una parte del celtico
la labializzazione di e in o, sul nome del ‘quinquefolium’ = Potentiella rep-
tans in due autori, cioè Dioscoride (4,42): ‘ pent£fullon... G£lloi
pempπdoula(108), Dako… (falsamente) propedoul£…’ e nei manoscritti an-
che pompa…doula, e lo Pseudo-Apuleio (de herb.): ‘Galli pompedulon,
Daci propedula…’, il quale evidentemente attinge a Dioscoride e sembra
contaminare due ‘manoscritti’, quello con pempπdoula e quello con pom-
pa…doula. Egli ritiene che, come in irlandese si ha la labializzazione di e
in o dopo Áu delle labiovelare che si è poi delabializzata; così anche in un
altro dialetto celtico si aveva la labializzazione di e in o, quello nel quale si
300

ha la voce pompedulon/pompaidula, non testimoniata nelle numerose atte-


stazioni onomastiche, come si è visto, e anche nelle varie formazioni nu-
merali. A me sembra difficile che solo un fitonimo e in un solo autore (lo
Pseudo-Apuleio infatti copia il precedente) possa rappresentare la forma
necessaria per giustificare *pompe-te(n)gu1a-; inoltre, trattandosi di un au-
tore greco, la forma dei manoscritti pompa…doula (e pompedulon) sembra
essere per un’etimologia popolare da PompÒj e do§uloj o da Pompa§ioj,
cioè ‘servo di Pompos’ oppure ‘servo di Pompaios’, di Pompos e Pompaios
in quanto epiteti del dio dell’oltretomba, Hermes, accompagnatore delle
anime (spesso infatti i nomi delle piante sono legati a nomi di divinità,
per motivi vari)(109). Così mi pare che non resti nessun appoggio per una
forma pomp- celtica, dal momento che, come ho già notato, le forme la-
bializzate in gallese e cornovagliese sono sorte tardi, da forme attestate
prima con i o e, e quindi è presumibile che anche l’irlandese avesse prima
una forma a vocale non labializzata (e pompeteguaios nel Veneto è forse del
V a.C., ma in realtà non è localizzabile cronologicamente, e per vari mo-
tivi è un apax secondo Prosdocimi, in I Ven. ant., p. 304).
Per il secondo elemento del composto il Prosdocimi più volte riba-
disce l’etimologia da *tn≤ghu1a- rispetto a *dhn≤ghu1a- con sonora iniziale, v.
lt. lingua da *lengu1a- sorto da *dengu1a- per il fenomeno che passa con il
nome di ‘l sabino’(110); got. tugg1o; a. isl. tunga; ags. tunge; a. a. ted. zunga;
toc. A käntu, B kantwa (per metatesi); scr. jihv1a, ecc. (forme soggette a ta-
bù linguistico), ed è da notare che l’italico, l’osco, presenta fangva-, v.
fangvam acc. sg. nella defixio (V. 3, Cuma) e fancua[s] acc. pl. (V. 7), en-
trambe del II-I a.C., in grafia latina, con an come esito di n≤ sonante, esi-
to che ha in genere anche il celtico.
Allora per questa etimologia ci sono vari elementi tutti insieme che
non sono proprio ‘facili’, cioè la sorda iniziale, l’esito en di n≤ sonante, la
mancata scrittura della nasale avanti consonante (conservata invece in
pompe-), l’esito gu da labiovelare sonora aspirata. Secondo me, forse c’è
un’etimologia più semplice, che riduce quasi tutte queste difficoltà, e che
rende il rapporto con il primo membro forse più ‘normale’ sulla base di
vari confronti, soprattutto in relazione all’uso del suffisso così particolare.
Esiste un termine che, ricostruito, è *thegu1a- ‘colle, altura, mon-
(111), che appare in miceneo come te-qa- (v. sotto).
te’
In greco appare come Q§hbai e Q»bh in varie zone(112)= Th1ebae: in
Beozia (Plin., NH, IV, 25-26), in Tessaglia (Id., NH, VIII, 29), o meglio
nella Ftiotide verso Demetriade, nell’Eolide (Id., NH, V, 122), nella Troa-
de, in Frigia, Licia, Misia, ecc.; v. Thebae Lucanae in Italia (Id., NH, III,
301

98)(113); poi Q»bh ‘UpÒkrhmnoj in Ionia; Thebae Corsiae presso l’Elicona


(Plin., NH, IV, 3, 8), e il composto ‘UpÒ-qhbai (Il., II, 505). Cfr. anche
Q»basa/Thebasae, un castello in Cappadocia e in Licaonia (Plin., NH, V,
95); etn. Thebasen1ı in Galazia (Id., NH, V, 147), e forse si hanno ancora
altre presenze da collegare. Come aggettivi abbiamo Th1ebaios (v. The-
baeus)= Qhba§ioj, The1 baicus= gr. QhbaikÒj, e The1 ba1 nus (cfr. lt. Ro1 ma1 nus).
Ma già in miceneo troviamo attestato il toponimo(114) nella forma te-qa-de
‘verso Tebe’ acc. pl. con preposizione (= gr. Q»baze, Arist.), prima attesta-
zione a Micene (X, 508), e recentemente tre testimonianze a Tebe; te-qa-
ta-qe nom. pl. con l’aggiunta dell’enclitica -qe (Pyl.), <*tegua1 -tai. Sono poi
interessanti gli antroponimi composti con *-tegua-iÁ o-s: au-to-te-qa-jo (Au-
tothe1 gwaios, Ug 4) ‘a man dwelling in Thebes itself ’ o ‘a genuine Theban’,
all’origine; e pa-ro-te-qa-jo (Paroth1egwaios) ‘a newcomer to Thebes’ o ‘a
man living near Thebes’, e NP semplici te-qa-ija f. (Cnoss., Ap 5864.4, e
Pyl., Ep. 359) e te-qa-io m., rispettivamente= Qhba…a e Qhba§ioj.
L’intero composto pompe-tegu1a- varrebbe ‘la zona/località dei cinque
colli, delle cinque alture’, e pompe-tegua-io-s è ‘colui che viene dalla zo-
na/regione o dalla località chiamata Pompetegua’, ‘l’abitante di P.’.
Tantissime località, toponimi, ecc. (nel mondo greco sono più di un
centinaio), sono caratterizzati dall’avere qualcosa in quantità maggiore
dell’unità (v. Grasberger per il greco, n. 112): ad es. D…-lofoj (172A);
Tri-k£ranon/j (134.269); Tri-kÒruqoj (ib.); Tetra-purg…a (270) e Tri-
purg…a (269); Pente-lÒfoi (270); ‘Exa-m…lion (271); ‘Epta-st…dion
(272); ’Oktè-lofoj (272); ’Enne£-krounoj (ib.);
Dwdek£-krounoj (ib.)(115). Cfr. forse, ma centum- può venire per eti-
mologia popolare, KentÒripa (od. Centorbi)= Centum-ripae/Centuripae=
Centum-colles; Septi-montium a Roma, e poi Tri-montium (Plin.= New-
steads, Roxbrughs); ecc., v. poi sotto.
La composizione è dunque presente anche in Italia, ma soprattutto
nella fascia centrale, anche se tale tipo di toponomastica appare in veste
completamente latina (o latinizzata), ed è singolare che sia soprattutto in
questa zona, con qualche ripercussione più a meridione, però per toponi-
mi che già compaiono in quella centrale (mi baso sull’Atlante del Fracca-
ro, anche se esiste altra toponomastica non localizzabile sul terreno e solo
testimoniata dalle fonti letterarie, che si potrebbe forse aggiungere).
Quindi, c’è la fascia chiaramente greca con Neapolis (Campania),
Acropolis e Metapontum (Lucania), Callipolis= Anxa, e Leucopetra e Meso-
chorum (Calabria), v. poi in Sicilia; poi la fascia centrale, che ho detto la-
tina, con Centum-cellae(116) (Etruria, sopra Castrum Novum), v. sopra, Suc-
302

cosa (<*Sub-cosa, ib., sotto Cosa) e Polimartium (> od. Bomarzo, ib., pres-
so Horta), Prolaqueum (Umbria, sopra Camerino) e Interamna Nahars
(ib.)(117), e quest’ultimo ritorna come Interamnia presso i Praetuttii, e in-
vece identico, cioè Interamna (Lirenas, Sucasina) nel Latium adiectum, e
infine ‘scivola’ fino ai Bruttii, sul Sybaris, come Interamnium; in Sabina
abbiamo Amiternum e Interocrium (> od. Antrodoco, sull’Avens); fra i Pae-
ligni Interpromium (sull’Aternum) e Superaequum. Gli Aequi hanno Subla-
queum (sopra Afilae) e forse Sublacum (?), mentre i Piceni hanno Pisau-
rum (<*P(i)-Isaurom) e Septem-peda (sopra Tolentinum), v. sopra. Nel La-
tium ci sono Castrimoenium (presso Tusculum) e Tri-pontium (quasi all’al-
tezza di Satricum), v. sopra. Infine, forse presso Taurasia, nel Sannio, c’e-
ra Cisauna (<*Cis-amna, cfr. Inter-amna, con -un- da -mn- per un feno-
meno illirico)(118).
Si presuppone un ambiente miceneo, cioè l’insediamento (assai pri-
ma dell’età regia per Roma), chiamato poi *Pompetegua, doveva esistere
assai anticamente, legato probabilmente a un precedente insediamento
fissato e mantenuto come *Tegua ‘l’Altura’ (con -gu- o con un suono si-
mile, cioè diverso dalla labiale b dei Greci di Q§hbai), i cui abitanti erano
denominati *TeguaÁio-, come si è visto sopra per i Micenei, te-qa-io-, e per
i Greci, Qhbaio-, e del resto per i Greci i R1om1ani sono ‘Rwmaioi(119). L’a-
rea quindi deve aver avuto una penetrazione di popolazioni italiche, um-
bre?, per cui un insediamento *T1egua (l’onomastica in genere è più con-
servatrice) sarebbe stato ‘rideterminato’ inglobando altre alture, ‘5’= pom-
pe(120), oppure ne sarebbe sorto un altro in altra località caratterizzata da 5
colli come la stessa Roma dai 7 colli (Septimontium). Del resto, dove è te-
stimoniata in Italia l’‘altura’ come t1eba? Presso i Sabini, quindi nella fascia
centrale, in una forma, è vero, che, se da *t1eghu1a-, mostra la labializzazio-
ne della labiovelare sonora, regolare(121), attraverso il solito passaggio itali-
co (t1eba e non più tegua). Infatti Varrone (RR, III, 1,6) afferma: ‘…lingua
prisca et in Graecia Aeolis Boeoti sine adflatu voca(ba)nt collis t[h]ebas,
et in Sabinis, quo e Graecia venerunt Pelasgi, etiam nunc ita dicunt, cuius
vestigium in agro Sabino via Salaria non longe a Re<a>te, miliarius clivus
cum appellatur T[h]ebae.’, cioè in Sabina arrivarono i Pelasgi provenienti
dalla Grecia, e quindi i Sabini avevano il termine teba (tebae) per indica-
re il colle (i colli), e inoltre presso Rieti c’era un colle (miliarius collis) che
era denominato Tebae.
È possibile che l’uso della toponomastica composta risalga all’indie-
tro, all’uso composizionale d’origine micenea (greca)? E del resto qui l’ag-
gettivo dal toponimo rispecchia la forma greca, o meglio quella micenea,
303

te-qa-jo = -teguaio-, anche nella composizione pompe-teguaio-.


Resta ancora padros, se da *petr-o-, cioè dal numerale ‘4’, e non da
p&atr-o- da ‘padre’, anche se esiste nell’onomastica m1atr-o- da m1atr- ‘madre’
(…)(122): (per quest’ultima ipotesi resterebbe solo la difficoltà della sono-
rizzazione di -tr- in -dr-, ma sonorizzazioni di sorde avanti r sono bene at-
testate in umbro). Il prenome è probabilmente sorto più tardi dell’appo-
sitivo –ricordiamo che l’iscrizione venetica è antica, però non sappiamo
esattamente quanto – e quindi può essere della fase italica, in un ambien-
te umbro, umbro-sabino?, per l’esito labiale p- dalla labiovelare sorda qu-
iniziale, ma solo il latino, che invece ha conservato la labiovelare, ha la ve-
larizzazione a (qua-), e del resto ha anche la sonorizzazione di tr in dr
(quadrus, quadr1atus, quadruvium, quadraginta, quadringenti, ecc.) per
questo numerale (v. Peruzzi, Mycenaeans (n. 123), p. 129).
La conclusione? Un’ipotesi ancora una volta: un umbro o un sabino
proveniente da un insediamento di età micenea(123), di famiglia legata al-
l’ambiente romano, o piuttosto un discendente di una famiglia umbra o
sabina legata all’ambiente romano (Padros sembra la latinizzazione di un
Petros: *pedros secondo Quadros!), si è trasferito nel Veneto e ha lasciato a
noi il ricordo di un ‘travagliato’ ambiente culturale. E ultima osservazio-
ne, mi sia ancora permesso di aggiungere, einaio- (anche se poi ampliato
nel tema) è, ritengo, da forma etrusca in -a con -io- derivativo di tipo pa-
tronimico o gentilizio, mentre pompeteguaios è ‘etnico’ da toponimo mi-
ceneo originariamente, *tegua, con primo elemento poi aggiunto italico,
con -io- derivativo miceneo (dal toponimo ancora non composto) e greco
(mentre il sabino ‘italico’ ha la labializzazione; o dovremmo dire il sabino
con ascendenze ‘pelasgiche’?). Se le mie ipotesi sono esatte, si hanno due
storie completamente diverse per due forme che paiono uguali nella deri-
vazione in -aio-.
I Veneti hanno accolto già anticamente e poi anche successivamen-
te, come del resto è avvenuto anche per altre popolazioni, individui e fa-
miglie che venivano da lontano, e di tradizioni completamente diverse, e
che poi si integrarono nel tessuto venetico.
304

NOTE

(1) G. Fogolari - A.L. Prosdocimi, I Veneti antichi, Padova, 1988. Il cippo, mu-
tilo nella parte superiore, presenta l’iscrizione incisa su tre righe separate da rotaie, in
senso bustrofedico (con il vero bustrofedismo); o è abbastanza piccolo e h è a scalet-
ta, il che farebbe pensare a iscrizione abbastanza antica: V a.C., cfr. *Es 121?
(2) Su situle di bronzo, dalla ricca tomba Ricovero 23 datata ai primi decenni
del III a.C.
(3) Su ciottolone, della stessa mano di Pa 26, da Trambacche; V a.C.?
(4) Su cippo in pietra di Nanto, con cronologia non determinata. Porta l’acc.
pl. termonios deiuos ‘gli dei Termoni’ (=Termini). o è romboidale, grande; Ái è dato da
tre verticali (omografo di h, v. Vi 1, e v. Es 76, Pa 13), quindi datazione dopo il III
a.C. (v. anche Es 119).
(5) Su cippo in ardesia, da Lozzo di Cadore; ora scomparso. o è romboidale,
grande.
(6) Su manico di bronzo, spezzato. o è romboidale, grande.
(7) Su piccolo obelisco funebre in pietra nera, mutilo. Potrebbe però essere in-
vece un composto di deiÁuo- ‘dio’ (v. sopra deiuos) e laio-? o è romboidale, grande.
(8) Su ciottolone; o e q tondi, grandi. Prosdocimi (Una nuova iscrizione ...
Oderzo, p. 423) scrive: ‘i) Un “ciottolone” fuori dal territorio di Padova ... un ciotto-
lone a Vicenza (+Vi 4) ... 2) Un ciottolone e non naturale ... 3) La scritta è su due
“facce” senza un evidente criterio di sequenzialità. 4) Assenza di puntuazione sillabi-
ca e presenza di punti divisori...’ (quest’ultima cosa contrariamente alla codificazione
grafica venetica). V. anche Id., in I Ven. ant., p. 304.
(9) Su capeduncola; Couos probabilmente si confronta con kovetésos (Gt 19); il
gentilizio invece è noto altrove e non è chiaramente venetico. Il secondo è su vaso in
terra ocra, con vernice rosso-bruna; personale plurisuffissato: [---]l(o)-ai(o)-on-io-?
oppure [deiuo-]lai(o)-on-io-, v. sopra n. 7.
(10) DAG, p. 538: da *ecc(o)-ai(o)-on- o per *Ecc(o)-aio-s, cfr. ekkaioj (eskig-
gomarioj) (G 107a) da Ventabren (Bouches-du-Rhône)?
(11) Prosdocimi, o.c., p. 373: ‘Non esiste dunque un suff. -eio- allotropo di
-io-, ma esiste il solo suff. -io- aggiunto a basi in -e-. Se ciò è vero per -eio- sarà ve-
ro anche per -aio-, -iaio- (per -iako- appresso). Qui non si tratta dunque per princi-
pio, di suffissi allotropi, ma dello stesso -io- aggiunto a basi in -a- (appresso per i ri-
flessi sostanziali): -io- è aggiunto alle basi in -e-, -a- mentre è sostituito a quelle in
-o-:…’ e ‘...gli appositivi in -aio-, -eio- rimandano a basi nominali in -a-, -e-16 etc./
Quindi -iaio- è da scomporre in -ia- + -io-; questa scomposizione è accertata dalla
compresenza di Andetio- (*Pa 26) e Andetiaio- (*Pa 28), in quanto in iscrizioni stret-
tamente collegate...’.
(12) Il procedimento è anche quello per lo schiavo o il liberto di una donna,
cioè dall’appositivo della donna in -aia- (contro i personali in -a: frema, kanta, kata,
lemetora, fougonta, ecc.) mediante il suff. -ko- si crea per lui l’appositivo. E così per la
schiava o liberta mediante -k1a- (Id., pp. 373-80).
305

(13) Ma in certe tradizioni può essere usato anche come maschile, v. in celtico,
v. qui kuijuta (Ca 12) e, ad es. in falisco iuna e uolta: da quest’ultimo potremmo ave-
re uoltaia (Giac., 118I) con lo stesso procedimento; però in realtà abbiamo come pa-
tronimici uoltios e uoltilios con varie attestazioni, e come personale oltre a uolta an-
che uoltios (il cui patronimico, per disambiguarsi, assume il suff. -ilio- contro il sem-
plice -io-, che invece dovrebbe essere in realtà riservato al patronimico da uolta, con
la sparizione di -a, cfr. iunio(s)/ iuneo(s) patronimico di iuna).
(14) ‘Iscrizione sotto un loculo sepolcrale, in una tomba scoperta già da tem-
po, ma scavata durante la guerra per ragioni contingenti. I caratteri sono molto niti-
di (79). Risale probabilmente al III secolo (v. Tav. IX A)... La m, presumibilmente
per un errore dell’epigrafista, consta di quattro aste riunite da tre brevi tratti; questa
tipologia si ripete nella n, composta però di due aste, chiarissima la distinzione della
r e della a di tipo falisco.’
(15) [?]osena (Giac., 62, I), cotena (57), macena (121), nomesina (127), soprat-
tutto originari dalle aree vicine al Trasimeno, e così pure hadenia (126), i primi due
da Falerii novi, i secondi due da Corchiano e l’ultimo da Fabbrica di Roma.
(16) V. Peruzzi, Gli etruschi di Corchiano, in AA.VV., La civiltà dei Falisci, pp.
277-89.
(17) È dato solo un cliché nel testo sulle campagne di scavo (Cl. Laviosa), di
un pezzo trovato in un’area di riempimento sotto uno strato carbonioso.
(18) Anche se troviamo nel VII a.C. eleivana dal gr. ™la…ana, il quale potreb-
be invece essere dovuto ad assimilazione di a all’e della sillaba precedente.
(19) Perché non faceva parte della mitologia arrivata in questa tradizione?
(20) Die Etruskischen Entlehnungen, II, p. 119 §96. È con elcste= ’Alπxandroj
e con clutmusta= Klutaim»stra.
(21) L’iscrizione 5512 porta larqialc einanal, che è stato anche diviso larqial
ceinanal (non essendoci interpunzione disgiuntiva; però nelle coppie di patronimico
+ matronimico in genere si ha l’enclitica -c, v. ThLE, p. 85 s.v. -c, per una lunga
esemplificazione), ma mi sembra meglio il taglio larqial-c einanal ‘e di larqi einanei’
(da *ainanai). È bensì vero che abbiamo attestatissimo ceina (Chiusi), e poi ceinei f.
(Volsinii, Bolsena) e ceineal obl. f., e caina (Roselle, S. Quirico in Osenna; Chiusi,
ecc.), cainai (Volterra) e cain() (Volsinii, Horta; Chiusi) e cainal obl. f. (Volterra; ter-
ritorio senese; Chiusi, ecc.) e cainalisa id. (S. Quirico in Os.); cainei (Tarquinia; Vol-
sinii, ecc. ecc.) e kainei (Chiusi; Arezzo). Purtroppo le due iscrizioni lunghette sono
dal Fabretti e riportate nel CIE in riproduzione tipografica, perché perdute, non da
calco, per cui le riproduzioni ceinanei e ceinanal non possono essere escluse perché a
Tarquinia c’è cainei (che è d’altra parte diffusissimo anche altrove), anche se ancora
con -ai-. Ritengo però anche facile partire da eina aggiungendo il derivativo -na, for-
mando perciò il maschile *eina-na e quindi il femminile *einana-i che passa a eina-
nei. Einatei può invece far pensare a *eina-ta-i.
(22) Per cui forse il completamento poteva essere più vicino alla fonetica lati-
na (oi dà infatti oe, esito sabino secondo il Peruzzi, e ei>1e>1ı/ou>1o>1u): l1of- (v. n. 23)
o l1ef-.
(23) V. anche loifirta (Giac., 73, I)= lt. l1ıberta (<leiberta <*loiberta) e loferta
306

(Giac., 121, I), che ha invece -er- come il latino. Le forme con -f- interno non pos-
sono essere venetiche, perché il venetico non ha la spirante sorda interna, né -er- pas-
sa a -ir-: infatti Nircae (ES IV) per nerka/ Nerka (Es 59.53.43; XLI; L) in iscrizione
latina non è testimonianza di un esito fonetico, bensì semplicemente e squisitamen-
te grafico: l’incisore ha tracciato n, dato da due sbarre verticali (congiunte da una
sbarretta interna obliqua), poi ha tracciato la prima sbarra di e del tipo piuttosto cor-
sivo a due verticali e, confondendo con la (seconda) verticale di n, ha creduto di aver
già tracciato entrambe le verticali di e. Quindi la lettura Nirca va corretta, a mio pa-
rere, in Nerca.
(24) Cfr. ad es. in leponzio, a Stabio nel Canton Ticino, in due iscrizioni pres-
sappoco coeve o addirittura coeve, minuku/ komoneos e komoneos/ uadsileos, 1 notiamo
nella prima komoneos patronimico celtico in -eo- ben conosciuto (da nom. komu, te-
ma in -on-), nella seconda lo stesso funziona invece come personale, mentre al se-
condo posto come patronimico abbiamo uadsileos 1 1
(da nom. *uadsileos), ugualmente
in -eo-, ormai in un periodo in cui il patronimico sintetico stava lasciando il posto a
quello analitico con il genitivo del personale paterno. In venetico appaiono elementi
con funzioni non ben accertate. Due appositivi contemporaneamente in -io-: Es 5;
25; *121; Pa 3 bis; *Pa 26; Ca 15. Nomi singoli in forma di gamonimico al posto di
un personale normale: Es 41; 43 (la donatrice, mentre la destinataria ha personale
normale); 52; 87; 88; 95; in forma di patronimico al posto di un personale normale:
Es 57 (la donatrice, mentre la destinataria ha personale normale); Tr 4 (la destinata-
ria, mentre la donatrice ha personale normale); 6 (-ea- da -eia-); Ca 18; 23; 64 (il ‘de-
stinatario’, mentre il donatore ha personale e patronimico normali). I personali in -
genes ‘nato da, generato da’ mostrano analogamente un’antichissima perdita di fun-
zione (inoltre hanno una flessione non più in -es-, bensì in -1e-; ricadono nella tipolo-
gia del suffisso formante).
(25) Cfr. Es 28 lemetor [f ]ratere[i] donasto boiiios/ voltiiommnoi; Es 27
volti[iom]mnos [do]nasto kelag[s?], II-I a.C.; Es 111 fougontai egtorei...lamusioi; *Es
121 iu[v]antei he[ge]toriioi...kala[n]iioi; Pa 1 puponei ego rakoi, V a.C.; Pa 3 bis eno-
genei enetiioi...albareniioi; *Tr 7 [---]nai kve ekvopetars/ fremaist[iiai?] (un’altra don-
na, allora fremaistia se indicata dal patronimico o fremaistna se indicata dal gamoni-
mico? o dat.-abl. plurale se riferito a due sorelle, ostialai[---] e [---]nai con l’enclitica
kve ‘e’?; ma io penso piuttosto al patronimico in dativo, fremaistiiai, per la donna che
prima era stata indicata con il solo gamonimico -e questo perché altrimenti kve
avrebbe dovuto essere subito dopo il personale e non passare dopo il gamonimico);
1) vantei... 2) fl”oroi tekiioi (Monte Manicola, AQ., La Regina, in Italia..., pp. 429-
30): personale venetico, gentilizio e ‘cognomen’, anteposto, latini. V. Prosdocimi, in
I Ven. ant., p. 282: ‘Da notare piuttosto la disgiunzione dell’appositivo per ricerca sti-
listica o perché aggiunto, come farebbero pensare delle particolarità dell’esecuzione?’,
e in Ling. ven., I, p. 187: ‘Fascia 4 (...l’iscrizione sembra indipendente dalla prece-
dente: mancanza delle linee di riquadro, incisione meno profonda, dalle lettere leg-
germente più piccole: inoltre gli o rotondi risultano alquanto diversi da quelli così ca-
ratteristici dell’altra faccia)...’.
(26) Cfr. Es 5 urkl(e)i egetoriioi akutiioi (III periodo?); Es 24 vants moldonkeo
karanmns; Es 25 voltiiomnos iiuvants ariiuns, fine III- inizio II a.C.; Es 64 kantes vot-
307

teiiios akuts; Es 121 iu[v]antei he[ge]toriioi...kala[n]iioi; Pa 2 pledei veignoi karanm-


niioi; Pa 3bis enogenei enetiioi...albareniioi, V a.C.; *Pa 26 fugiioi tivaliioi andetiioi.
(27) V. sopra Es 121 (n. 25 e 26); Pa 3bis, V a.C.?
(28) Prosdocimi, in I Ven. ant., p. 187: ‘All’inizio la pietra è scheggiata lungo
l’asta del v: non si è certi che prima non fosse inciso niente (è possibile che vi termi-
nasse l’iscrizione della 3a fascia)’. Del resto l’altezza attuale è di 300 cm, e forse all’o-
rigine era solo 305/310 cm. Lo stesso dice: ‘il nome individuale Fr[---]tos ha, forse,
l’appositivo in Voteios, con una disgiunzione assai rara; si noti che l’incisione sembra
diversa.’
(29) La stipe di Caldevigo non è dedicata a reitia, pertanto doveva appartene-
re a un’altra divinità, o maschile o femminile.
(30) Manca il theonimo in Es 28; in Es 43 és può rappresentare l’abbreviazione
di ésainatei; Es 59; Es 60; Es 66.
(31) Prosdocimi, in Ling. ven., I, p. 186: ‘...è sicura l’esistenza di altri due san-
tuari a Este...: particolarmente importante è la stipe di Caldevigo (Callegari etc.): il
luogo di ritrovamento... è lontano non più di 500 metri dal Monte Murale. Giacché
tale posto risulta più basso della primitiva sede della stipe, che non fu possibile iden-
tificare..., si può proporre che il nostro cippo appartenesse alla stipe, parte delle cui
laminette, più leggere, furono dilavate e portate più in basso dalle acque piovane.’, e
pp. 187-88: ‘...si affaccia l’ipotesi di un nome o epiteto divino – diverso da quelli co-
nosciuti – proprio della divinità cultuata nella stipe di Caldevigo cui abbiamo asse-
gnato il cippo votivo...’
(32) Prosdocimi, I Ven. ant., pp. 386-88, in particolare p. 388, e v. n. 21. Per
il formante etrusco -na, v. suqi ‘sepolcro’ e suqi-na ‘sepolcrale’, che crea pure i genti-
lizi come formante d’appartenenza: resta sempre il dubbio se sia un nome theofori-
co, cioè da eina ‘Enea’ appunto, oppure invece dal gentilizio eina, che può essere an-
che di origine diversa, cioè da ei(o)-/ai(o)- (non attestati in etrusco né eie né aie, da
cui facilmente *eie-na/*aie-na, cfr. anaina <*anai(e)-na, apeina <*apei(e)-na, ecc., si
sarebbero ridotti a ei-na/ai-na) con -na. Ma quale origine hanno in latino Aius, Aie-
nus, Aiedius? Forse Aius viene da *ag·-io-s, cfr. lt. ai1o<aii1o<*ag·-i1o, cfr. ad-ag-ium? Nel
qual caso dovrebbe *Aios essere arrivato in etrusco già con la palatalizzazione com-
pletata. V. anche Aius Locutius. Del resto v. De Simone, in Rapporti...popoli, p. 137:
‘...esistenza in etrusco (l’evidenza epigrafica si è recentemente accresciuta) di “nomi
doppi”, il cui secondo elemento è costituito da un derivato aggettivale in -na (iso-
funzionale di -io-), ad es. Mariés Halna, Mariés Husrana, Selvans Smucinqiuna; Tinia
Calusna. In questi casi l’aggettivo in -na dovrebbe avere la funzione di indicare, al-
meno in parte, la valenza specifica del primo nome. È legittimo pensare, in linea di
principio, a formule romane del tipo Numisius Martius, umbro Tursa Iovia, ecc.’.
(33) Dal momento che si vede a distanza di anni arrivare una nuova testimo-
nianza che rompe il silenzio, v. in I Ven. ant., p. 306.
(34) Per -aio- v. Untermann, VP, pp. 73-74 §113; Prosdocimi, in I Ven. ant.,
pp. 373-74; 376-81; e in altre tradizioni v. G. Giacomelli, in ‘SE’, XXX, 1962, pp.
359-67.
(35) Il prenome uoltios in -io-, rispetto a uolta, deve avere soprattutto patroni-
308

mico in -ilio- per disambiguazione rispetto al patronimico in -io-, che rimane legato
a uolta (v. n. 13). Il lt. Volteius potrebbe essere con l’altro suff. -eio-, oppure con pas-
saggio -aio->-eio-: è certo che in vari casi abbiamo sia forme in -aio- che in -eio-, per
cui le prime potrebbero essere più antiche delle seconde.
(36) Del resto v. De Simone, n. 32.
(37) Etr. anaes (S.M., p. 75 nr. 179, 450-400 a.C.) e forma più antica anaieés
per la conservazione di -Ái- intervocalico (Corsica, Aleria), entrambi obliqui; anaias
obl. f. (orig. inc.), e derivati: anain() (Montaperti; Clusium); anaina (Clus.); anainal
obl. f. (assai diffuso) di anainei; anaini e anainiés obl. (tutti da anaien(a)).
(38) Si possono interpretare come forme da ana-/anna- con il suff. -io-, v. ap-
presso.
(39) Da non tradurre in latino, come il Poccetti, con Accaus, che invece viene
da Accavus <Accauos (v. ad es. CIL, IX, 3164 Accaus, 3165 Accav1o, Corfinium).
(40) Possono essere ugualmente da a(c)ca, con il suff. -io-.
(41) Testimonianze di un’età arcaica Anna Perenna e Acca Larentia, la prima era
una dea sposa di Marte (Martial.; Ov.), poi confusa con Anna, sorella di Didone, la
quale si buttò nel fiume Numicio; la seconda era moglie di Faustolo e allattò Romo-
lo e Remo (Gell.; Macr.); entrambe ebbero dedicata una festività. V. anche Acca Tar-
ratia o Ta(r)rutia, una prostituta che lasciò i suoi beni a Roma, e pertanto le fu
ugualmente dedicata una festività.
(42) Cfr. anche Mefitanoi (Pocc., 177 e 179), che ugualmente farebbe pensa-
re al theonimo nella forma *mefita anziché l’attestata *Mefiti-j, mefitei/mefithi dat.
sg. (Pocc., 157, 159, 171, 173, 182). Anche l’etnico púmpaiians sembrerebbe partire
da un toponimo *Pompaia, piuttosto che *Pompaios, v. Devoto, Gli ant. Ital., p. 177:
‘Secondo il Patroni... l’elemento sannitico si è sovrapposto a un piccolo nucleo etru-
sco, identificato nella VI regione che conserva il maggior numero di gentili etruschi78
e l’ha inserito in un insieme maggiore di cinque villaggi: pompaios “i cinque”79 (cfr.
p. 124).’; cfr. R1oma> R1om1anus, o. *núvla> núvl1ano-, v. n. 52.
(43) Probabilmente non c’è legame formale con il theonimo *Perna, v. dat. per-
naí (V. 147, 22 Tab. Agnon.), che potrebbe inoltre avere altra etimologia.
(44) Contro la lettura del Vetter k anaios ‘K(aeso) Annaeus’. La rilettura del
Colonna kan”aios tuttavia mi lascia assai in dubbio per l’assoluta atipicità del segno
che legge n. Quindi, se non è pi, sarei ancora propensa alla vecchia lettura kau˝i˝aios
con u capovolto più i.
(45) Già con a aperto, che ha una notevole diffusione nella grafia latina (testi-
moniato bene anche nei graffiti in lingua venetica e grafia latina e poi nei graffiti in
lingua e grafia latine, v. Ling. ven., ad es. Es 104.105.106.107.111.113 e poi
IV.VII.XXI.XXVII, ecc.; in Cadore a epicorico è aperto, e a aperto si trova pure in
Ca 62 con grafia latina e nell’iscrizione latina(-venetica) Ca 73; v. a. Ad 15. Questo
tipo di a aperto arrivò dal latino, v. già ianaias, cit., tanto arcaico, che sia della fine
del VI oppure del V a.C., nel leponzio (ipotesi da me ripresa e ribadita in A proposi-
to di una nuova is. (etc.), pp. 1006 e 1008, v. Tavole dei segni), e quindi nel retico al-
pino e nel venetico cadorino soprattutto, sostituendo il tipo di a normale della grafia
di modello etrusco.
309

(46) Cfr. etr. culés pater:culésu ‘la portiera degli Inferi’ (legata a culés ).
(47) Cfr. anche etr. apa-s obl. (S.M., p. 70 nr. 160, Cere, 510-450 a.C.; p. 72
nr. 168, Cere, 480 a.C.), apa (S.M., p. 71 nr. 166, Pyrgi, 510-450 a.C.). V. anche
Pfiffig, Etr.Apa (in Bibliografia).
(48) E p. 139. Inoltre la Marinetti considera pertinente al sabino il prenome
Appius anziché Attus/Atta, come dalla tradizione unanime per il sabino Clausus, per-
ché in sudpiceno (stretto legame o qualcosa di più con il sabino) c’è apaio-, al quale
però attribuisce valore diverso dal prenome, v. n. 49 e n. 47. Forse vi si può ricon-
nettere Apui (*Tr XIV: Tombolani, ’87), che, essendo in grafia latina, difficilmente
sarà il nom. f. etrusco ap˝u˝-i˝ (cfr. pumpu-i), e invece può essere abbreviato per
Apui(os) o più facilmente il genit. di Apuios appunto oppure di Apuos. A questo pro-
posito ritengo si debba rivedere la lettura di sudpiceno a-pies (Mar., TE. 4) sulla pis-
side di Campovalano, I quarto VI a.C., perché dalla foto allegata si rileva chiara-
mente il segno caratteristico sudpiceno per v con le due ‘alette’ aggiunte alla figura
normale del digamma che ha le due sbarrette perpendicolari alla sbarra verticale, e
pertanto è da leggere apves, cioè apues. V. etr. apu (cfr. poi lt. Ap1onius) in CIE, 8411,
Falerii, Narce, VI a.C.; CII, 2230, Vulci, arc.; CVA, Berl. Post., p. 100, n. 104, V
a.C.; apu-i f. ‘Nuovi Quaderni. Ist. Arch. Univ. Perugia’, I, ’79, p. 160, Vols., Horta,
e soprattutto apve, NRIE, 854, Veio, VI a.C., praticamente coevo di apves sudpiceno;
apu-la-s obl. f. in -la (v. tite-la-s, G.B.G., 2), Camp., Nocera A.; v. poi derivati in ve-
lare, apu-cu, ecc., e in nasale, apu-na-’s (orig. inc., VII-VI a.C.), ecc.; apuniie, TLE,
34, Veio, VI a.C., e apunie-s, Pitigliano, VI a.C., e orig. inc., VI-V a.C., eccetera (con
l’aggiunta di -ie, da -ios), v. sudpic. apúnis ‘Aponius’ (AP. 3). E p. 139.
(49) Ernout-Meillet, p. 4 Acca; p. 35 Anna; p. 54 atta; p. 381 mamma; p.
480 pappa; p. 546 puppa; p. 677 tata; pp. 692-93 tı°tta. V. De Simone, I Tirreni...,
pp. 15-20.
(50) Alcuni gentilizi in -na partono da forme in -aie: -aie-na passa a -ai-na.
Quando possibile, separo le desinenze flessive mediante una lineetta.
(51) V. anche ati (S.M., p. 83 nr. 214, Cere, arc.?) e atii-al obl. (p. 56 nr. 114,
ib., 520-500 a.C.; p. 62 nr. 131, ib., 520-480 a.C.; p. 61 nr. 130, ib., id.).
(52) È una forma d’etnico, da núvla- ‘Nola’ (da *neÁuel1a- ‘la novella’ >*noÁuel1a-)
con -io-, contro osco núvlanúis dat.-abl. pl. ‘coi Nolani’, lt. N1ol1an1ı, cfr. R1om1an1ı da
R1oma, etnico che doveva essere in uso in ambiente grecofono, v. i già citati asklaie,
parqanapae-s, melitaie. Cfr. forse il recente Noleius NP, se da -aio- con palatalizzazio-
ne in -eio-, cfr. del resto n. 42: *Pompaios o *Pompaia (*Pompai1as pl.?) passa in lati-
no al plurale come Pompe1ı (e aggett. Pompei1ano- contro púmpaiano-).
(53) Ma v. più sicuramente dalla base del gentilizio Nostius: etr. nuéste (Clu-
sium), nuéstesla (ib.), nuésteslisa (ib.), nuéstiia (Perugia), e forse anche nuése o per erro-
re o assimilazione di ést in és(és). Secondo il Bonfante il valore soggiacente a z è st in
etrusco.
(54) È da notare che l’iscrizione pubblicata dal Gasperini (in ‘Epigraphica’, pp.
25-30) come [---]ilus cizaies è stata corretta dal Colonna (in ‘SE’, LI, ’85, p. 272 nr.
177) come [m]i luscin”aies, ma la Marchesini mette entrambe le letture come se cor-
rispondessero a due iscrizioni diverse su due oggetti diversi e con datazioni diverse: la
310

lettura del Gasperini corretta in cipaies appare nel Catalogo a p. 65 al nr. 144: ‘Cae-
re, Tolfa-Vas (Rix)- Datazione: 600-500 a.C.- ?ilus cipaies’, e la lettura del Colonna
luscinaies nel Catalogo a p. 53 al n. 102: ‘Caere, Tolfa, loc. Casalone- Calice di buc-
chero- Datazione: 550-500 a.C.- [m]i luscinaies.’.
(55) Il prenome in etrusco è velcae, ma il gentilizio è velca, cioè appare essere
la base da cui è tratto il prenome; v. velca (Tarquinii) e velca-s obl. (ib.), velca-sa id.
(Clusium); velca-na-és obl. (ib.; VII a.C.) e velca-nei f. (Arezzo, Marciano).
(56) V. n. 49, cioè sono gli appellativi sorti da temi che partono da forme del
linguaggio infantile. V. anche De Simone, I Tirreni, pp. 19-21.
(57) Può essere stata una moda che si è diffusa quella di aggiungere -ie anche a
‘basi’ etrusche, però di questi personali non ne abbiamo attestati molti, cfr. éspurie /
spurie, velcie, qanirésiie, mentre sarebbero presupposti da gentilizi, dove -ie-na si dove-
va ridurre a -ina.
(58) Cfr. Barba cogn.: Barbius gentil.; Capella: Capellius; C 1e pa: C 1e pius;
C(a)etra: C1etrius; Decula: Declius; Fenestella: Fenestellius; Ligurra: Ligurrius; Lappa:
Lappius; Medulla: Medullius; Ocella: Ocellius; Orca: Orcius; Parra: Parrius; Regula:
Regullius; Squilla: Squillius; Stella: Stellius; Sulla: Sullius; Tucca: Tuccius, ecc. In fali-
sco, si è detto, il prenome iuna ha patronimico iuneo(s) per iunio(s), come uolteo(s)/
uolqeo(s) è il patronimico di uolta. In osco non mi sembrano attestati maschili in -a,
però per formazioni aggettivali mi pare che o si usino formanti monosillabici attac-
cati ad -a, oppure si scelgano suffissi bisillabici con -a- iniziale per accordarlo ap-
punto con l’-a del tema cui si attaccano (cfr. o.fi˝uusasiaís dat.-abl. pl. (V. 147, 20) da
*fi1˝usa ‘Flora’ e -sia-, o da *fi˝1us(a) e -1asia-, come vest. flusare abl. sg. (V. 227) da fl1usa
e -ri- (o -li- per dissimilazione) o fl1us(a) e -ari- o piuttosto -1ali- (v. prima). Ma que-
sto non è solo per -a: anche i temi in -u- hanno spesso formanti con -u- iniziale (ad
es. -uro-, -usso-, ecc.), e così i temi in -i- con -i- iniziale, ecc.
(59) Purtroppo in questa iscrizione non abbiamo alcun esempio di u; del resto,
anche in altre iscrizioni dove la lettura è completa e sicura, non ci sono lemmi con u,
e in iscrizioni mutile potevano altrettanto esserci o no lemmi con u nella parte spari-
ta, per cui non possiamo avere una visione completa della tipologia. Nell’iscrizione di
Gottolengo (Brescia) con nautios (Tibiletti Bruno, Note ven., pp. 190-99) l’u è capo-
volto, ma ha una prima sbarra molto lunga e una seconda assai più corta.
(60) Il confronto è al di fuori dell’area venetica, con il ‘leponzio’ siteôs di Presti-
no (Como) in un’epigrafe dedicatoria a divinità, ma l’acc. pl. riguarda il santuario o
il recinto sacro, che qui non è giustificabile.
(61) Anche in etrusco abbiamo, pochi, esempi di forme in -aiu, il corrispon-
dente di italico e latino -aion-, nom. -ai1o, e cioè: nelaiu (‘SE’, XLI, p. 356 nr. 169,
da Aleria, Corsica) e nuvlaiu-és obl. (TLE, 44, S. Quirico d’O.) ‘di Nolai1o: *nuvla-io-
s’ Nolano= abitante di Nola’, con aggiunta di -on- (ed etruschizzato al caso retto in -
iu), v. sopra o. núvlanúís (in osco con il suff. -1ano- da núvla, abbiamo detto, come
R1om1anus da R1oma, ecc.).
Dobbiamo anche ricordare una diversa divisione, cioè kreviniai dat. f. e os.te.s,
ma c’è già veines in prima posizione che funziona da prenome e kreviniaio o -aios è
l’appositivo.
311

(62) Come ricorda il Prosdocimi (I Ven. ant., p. 373), -eio- viene da basi -es-, v.
cioè -genes con variazione morfologica -gen1e-, dat. -genei: voltigeneiioi dat. (*Pa 28) e
[---]geneiioi dat. (Es 16), e forse pure [---]neiiio[?] (Gt 10). In venetico però abbiamo
forme in -eio- che non so se si possano sempre riconnettere a basi in -e-: urkleiiioi
dat. (Es 23) e [urk]leiiio[i] (Es 13), e urkleina gamon. (Es 47), v. Urkl-es-on-i (ES
XIII); [---?]a˝ntaveioi dat. (*Es 131); genteii(os) (Pa 13); toupeio (Pa 7); votteiiios (Es
64) e voteiiios (in quest’iscrizione che esaminiamo), e votunkea (con sparizione di -Ái-
intervocalico, ad es. come in etrusco, Tr 6, cit.); ivanteiai dat. f. (Es 107); forse ike-
veio[?] (...) e [---]neia (*Gt 24); eniconeiío (v. testo) e Enniceios (Ca 58).
(63) La legatura indicata fra i e o in realtà copre un segno che può parere o,
tracciato leggero e inglobante la verticale di i, ma non è detto che sia stato tracciato
dopo perché saltato, dal momento che subito dopo sembra essere stato tracciato,
ugualmente leggero, qualcosa che sembra un digamma, e che potrebbe essere prece-
dente alla scritta. Allora E(n)niconeio e Cattonico sono entrambi temi in -on- a nom.
-1o oppure entrambi sono temi in -&o- con -s finale saltato come normalmente in fali-
sco e a volte nel latino colloquiale, ma non in venetico. Sia l’uno sia l’altro sono de-
rivati con vari suffissi e ultimo forse -on- da precedenti temi in -on-, v. *enic(o)-on- e
*catt(o)-on- (cfr. *mold(o)-on-k(o)-e-i(o)-on-, Es 24).
(64) Aler1o o aper1o (Ca 24); all1o f. (Es 60); ariun-s (Es 25); arbon-kos (Tr 1); att1o
(Gt 1); avir1o (Ca 20); baiton-ia (Es 23); (Carponia, Es XXV; Catronius, Tr VIII;) Cat-
ton-ic1o (Ca 73); krumelon-s (Es 92); (Duronius, Tr IX;) Enicon-eio(s?) (Ca 73), enn1o
(Ca 69) e ennon-s (Es 91) e ennon-iai dat. f. (Es 90), Enon-i genit. (Bl 1); Foug1o (Es
XXXII); Fugison-iai dat. f. (Es 105); Fouon-icus (Ca 62); fov1o e fouvon-ikos (Ca 66);
fremenod1u f. (*Es 125); frenm1o (Vi 1); gavirr1o (Gt 13); hart1o (Gt 14); katurij1o (Ca 1);
kavaron-s (Gt 4); kuprikon-ioi dat. (Pa 9); lemon-ei dat. (Es 108; *Pa 29); leéson-ikoi
dat. o pelon-ikoi (Ca 64); leés1o o peés1o (Es 92); (Libon-ia, Es XX;) metés1o (Ca 49); mo-
lot1o (Es 90, per molt1o, a meno che non stia per molont1o, v. fougota per fougonta f., Es
76); mol1o (Es 72; Tr 1); molton-ei dat. (Es 15); moldon-ke1o (Es 24); naison-kos (Ca 9);
ostiiiak1o f. (Tr 3b); (Pu(l)li1o, Es XL e LIII); pupon-ei dat. (Pa 1); (Pusion-i, Es I;)
qvarti1o (*Ca 74); rebeton-iai dat. f. (*Es 127); resun-kos (Ca 7); Tiraglon-ia (Es
XXIV); titi.un-ioi dat. (Ad 13); [totion-ai è corretto in toticinai dat. f. (Es 106) e per-
tanto è da eliminare dall’elenco;] toupei1o (Pa 7); turijon-ei dat. (Ca 24); uko (Es 91)
e ukon-a (Es 89); Urkleson-i (Es XIII); Vanticcon-is genit. (Es XLI); Vanti1o (Es XL);
vasank1o o vasaiuk1o (Ad 15); vassen1o f. (Es 93); vennon-is (Pa 13); Voltii1o (Tr V); vot1o
(Pa 15); votun-kea (Tr 6); [---]laion-i genit. (Es LVIII); [---]on-is (Es XI). La forma-
zione in -on- si riconosce chiaramente anche in quella ‘patronimica’, togliendo per
l’area meridionale -io-/-ia- e per l’area settentrionale -iko-/-ik1a-, e così pure in quella
gamonimica togliendo -na (naturalmente il nominativo si ottiene sostituendo a -on-
la desinenza -1o, perché il trattamento venetico è come quello latino, cioè la caduta
della nasale dopo vocale lunga).
(65) Piuttosto che einaiunai dat. f. (anche se graficamente a ed e come segno
occupano lo stesso spazio), cioè da -on- con il formante chiaramente femminile -1a-,
quindi -on-a, cfr. a n. 64, ukon-a (Es 89) unico esempio, o piuttosto da -on- del per-
sonale del marito con il formante gamonimico -n1a-, cfr. rumanna da *r1om1an(o)-na-
(Es 49, v. anche ruman() 50), quindi *einaion-n1a- ‘la moglie di einai1o>einai1u’ (spes-
312

so infatti la donna veneta è indicata nelle epigrafi con il solo gamonimico, v. fre-
maistna (Es 41); fremaistnai dat. (Es 42); verkondarna (Es 43); fremaistna e katakna
(Es 52); akutnai dat. (Es 87); fogotnai id. (Es 88); fremaistna (Es 95); forse anche
korpnai dat. (Ad 4) e lentnai id. (Ad 1)), ma non è stata scritta la seconda nasale.
(66) V. analogamente Od 4 lavsko/s kubes, con kubes personale posposto e an-
teposto invece il patronimico in -ko-.
(67) Mi scuso se un altro studioso avrà già scritto in questo senso, perché può
essere che io non abbia avuto a mia disposizione tutta la bibliografia necessaria, a vol-
te assai difficile da reperire.
(68) Per dissimilazione in presenza di altra nasale. Il latino probabilmente ripren-
de la sonora iniziale secondo il gr. gn-, mantenendo però la dissimilazione r-m da n-m,
cfr. De Simone, Etr. Entleh., II, p. 161: c’è anche Mπmnwn passato in etrusco come
memrun (IV a.C.), memru e mempru (Perugia, III-I a.C.). L’acc. sg. gnèmona potrebbe
aver dato luogo anche a *norma attraverso vari passaggi, abbastanza difficoltosi (Id., pp.
271-73). La forma data come base dell’imprestito di gro1 ma, cioè gnèma, è in realtà at-
testata solo in Suida, rifatta sul latino gro1 ma secondo gnèmwn; in realtà solo quest’ulti-
ma forma è attestata in greco per lo ‘gnomone’ (gnèma/-h non ha mai tale valore).
(69) E diffuso nell’onomastica: anelia (Giac., 86 IX), arutielia (Giac., 86), co-
celia (Giac., 143 II), hlauelea (Giac., B XVI), leiuelio(s) (Giac., 77; 86 Ia; genit. 67; e
gentilizio 97; 106; f. 98), pupelio(s) (Giac., 89; 90), satelies (Giac., 73 II); contro pu-
tellio(s) ‘infans’ (Giac., 92). Pare avere funzioni diverse (origini diverse?).
(70) Cfr. per il lt. Bucca e Bucc1o, Coxsa e Cox1o, Butra e Butr1on-ius, Cetra e
Caetr1on-ianus, Barba e Barb1o, ecc. (sono però più frequenti dal gentilizio, cfr. Capel-
la, Capellius e Capelli1o; C1epa, C1epius e Caepi1o; Ocella, Ocellius e Ocelli1o; Parra, Par-
rius e Parri1o, ecc.).
(71) Cioè la velare viene palatalizzata e la grafia mostra la verticale di i più il se-
gno identico al gamma uncinato (mentre k è dato dalla verticale al centro della qua-
le è appoggiato l’angolo più o meno grande, e quindi non può essere confuso), che
rende Ái semivocalico, cioè il suono sorto per la palatalizzazione provocata dal contat-
to con un i sia semivocalico che vocalico.
(72) Del resto, prima del gentilizio avrebbe dovuto trovarsi il personale del-
l’uomo, in forma intera o abbreviata, v. mar:eina cit. (III a.C.). Hirata pure non con-
sidera ocicio perché mancante dell’inizio. Se ci fosse c, e questo non fosse nell’abbre-
viazione marc, allora salterebbe il confronto con il venetico (e pure con Occius, Occ1o
e O(c)c1onius -celtici?-, Occusius, Ocilius, ma etrusco ucl(i)na, uclni e auclina, forme in
dittongo e monottongate), perché si dovrebbe invece per il falisco pensare a Co(c)ius,
C1ocidius (:Kaukis…a), Cocilius (:Caucilius) e Coccillus, anche qui forme in dittongo e
monottongate, e con il passaggio 3VC>&VCC.
(73) Infatti totionai creava problemi come appositivo perché non si presentava
né in -ia- né in -n1a- (errore per totioniai o mancata scrittura della geminata per to-
tion-nai?).
(74) Potrebbero forse ricollegarsi Tútius (diffuso) e Tutia (Preneste), v. Paul.
Toutia M.f. (CIL, X, 6518, Cora); T1ut&ılius; Tutidius; T1uticius, ecc., se non sono in-
vece da t1utus ‘sicuro’.
313

(75) V. sopra n. 72. La sorda in falisco appunto ha valore bivalente per le vela-
ri (come pure per le labiali), mentre l’osco differenzia le sonore dalle sorde.
(76) Il sudpiceno in genere ha le sonore differenziate dalle sorde (mentre l’um-
bro, che utilizzerà un alfabeto di modello etrusco, avrà i segni delle sorde con valore
bivalente, velari e dentali, a parte il d a volte cerebralizzato e segnato con una lettera
particolare, la quale può coprire anche un l originario, che ha assunto lo stesso valo-
re, cfr. del resto il citato l sabino).
(77) Il Prosdocimi considera non una ‘riduzione’ bensì una variante -io-/-i-,
con -i- caratterizzante il nominativo in venetico (-i-s, v. vilkenis, *Es 120, Ia metà VI
a.C.), mentre l’italico ha la ‘riduzione’. Ma gavis raupatnis è dato da personale e gen-
tilizio non venetici, gavis sicuramente e il gentilizio con molta probabilità (e gavis
non è neppure latino, perché gavios non è usato in latino come prenome), e pertan-
to, essendo l’iscrizione molto tarda, sicuramente gavis è arrivato già con la sincope di
-&o- e anche raupatnis doveva essere con la stessa sincope che caratterizza ugualmente
i gentilizi italici. Cfr. o. ga˝[vis] (V. 5 A3) e [ga]víeís genit. (V. 143) e gent. gaavíis
(perkens g., V. 115), gaviis (statiis g., V. 4), plasis, lúvikis e lúvkis, dekis (ib.); e per i
gentilizi v. ad es. burris, buttis, bivellis, eburis, fuvfdis, heírennis, húhtavis, ecc., e con
-iis (non sempre giustificato): atiniís, beriis, blaisiis, kiípiís, kluvatiis, helleviis, húsidiis,
makkiis, púpidiis, rahiis, trebiis, ecc.
(78) E gavis è un militare, sia pure ‘congedato’(?), dell’esercito romano, poiché
usa la qualifica latina miles, però con l’aggiunta poltos, che non sembra latino, e si è
sposato con una donna veneta(?), da cui ha avuto un figlio, *frivos, che gli è premor-
to, non si sa per quale causa né a che età.
(79) È difficile che sia arrivato in venetico in età molto antica e solo tardi sia
comparso epigraficamente, ad es. presso qualcuno che aveva fatto fortuna, mentre gli
antenati di altri connazionali non erano stati altrettanto fortunati, e pertanto non ne
abbiamo traccia.
(80) [?]erottns (Es 33) da [?]erott(o)-n-is (con il grado zero -n- del suffisso come
in *makk(o)-n-os e *galk(o)-n-os genit.); [---]nis (*Pa 23); ennons (Es 91); krumelons,
v. sopra (Es 92).
(81) Dal sudpiceno non può essere arrivato, piuttosto dall’osco o dall’umbro,
perché siamo in età tarda, a meno che non ci sia stato un mantenimento dell’ono-
mastica in qualche zona o in un particolare strato sociale, v. i composti venetici so-
prattutto nell’area patavina, come hostihavos (Pa 7) (mentre sono assai meno signifi-
cativi i composti in -genes, -gno-s, perché mi sembrano essere diventati presto isofun-
zionali, come ho già detto, con i suffissi normali antroponimici, in una società o in
un ceto aristocratico isolato nel Veneto).
(82) Non conosciamo la quantità di a di rau-, se breve o lungo.
(83) Cfr. Caesulla e Caesula (falisco c1esula, Giac., 121 VI).
(84) Se come formazione fosse da confrontare con lt. dignus, ad es., da *dec-no-
s (v. decet, dec1ere), cioè con -no-, allora *pat-no-s (v. pat1ere) potrebbe valere ‘aperto’.
(85) Infatti ‘teglia, tegame’, v. lt. pat&ına ugualmente imprestito dallo stesso ter-
mine greco prima del IV a.C., e da esso sembra venire il gentilizio Patinius (propria-
mente dal ‘cognomen’ Patina), v. ancora Caccabus: caccabus; Matelli1o da Matellius:
314

matella, e ‘cognomen’ Matella; Patera: patera; Testa: testum, testa (il gentilizio Testius
potrebbe invece essere da testis). Cfr. ancora: Ascia, Bulla e gentilizio Bullius; Catena;
Cultellus; Falcula e gentilizio Falcilius?; Fiscus e gentilizio Fiscilius; Fenestella e gentili-
zio Fenestellius; Fistula; Groma; Libra e Libella; Lor&ıca; Marra; Massa; Mucr1o; Ofella;
Orca e gentilizio Orcius; Pera; Pila, ecc. Per patera e pat(e)na v. Colonna in La pre-
senza etrusca, ’94, p. 356: ‘In S 5 si ha il termine patara, che evoca immediatamente
il lat. patara, considerato a titolo di ipotesi d Ernout e Meillet come un ‘doublet’ del-
l’imprestito greco patina (da patéanh)62. Una mediazione etrusca consentirebbe forse
di giustificare meglio che non l’analogia con crat1era la sostituzione di -ra a -na come
sillaba finale. Infatti l’etrusco possiede un suffisso aggettivale -ra isofunzionale a -na...
Del resto in etrusco è attestata proprio la coppia dei gentilizi patara: *patana (rec.
patna).64’ (egli cita anche il nome etrusco di vaso mata: a mio parere il lt. matula, da-
to da Ernout-Meillet, p. 391 come ‘Sans étymologie’, è il diminutivo del termine
etrusco mata, cioè *matel1a-> *matol1a-> matul1a-, e da matula si rifà matella, v. vitulus
e vitellus, e da *Matella il gentilizio Matellius da una parte, e da matella il derivato
matelli1o ‘orinale’, ma il ‘cognomen’ Matelli1o è piuttosto da Matellius, anche se senti-
to uguale a matelli1o – scherzosamente? – v. sopra, cfr. Capella/ Capellius/ Capelli1o,
Cotta/ Cottius/ Cotti1o, Ocella/ Ocellius/ Ocelli1o, Parra/ Parrius/ Parri1o, ecc.).
(86) Raufe (CIE, 206, S. Quirico in Os.; 1922.2534, Clus., loc. inc.;
3556.4066, Perugia) e raufe-és (2668, Clus., loc. inc.) e raufe-sa (255, Asciano; 1346,
Clus.) da *Roufos; poi raufi (3482.3971.4159.4167, Perugia) e raufi-és (3486, ecc.,
ib.) e raufi-al f. (4613, Volterra; 782, Clus., Montepulciano); raufia f. (Clus., loc.
inc.; Perugia) e raufia-és (Clus., Montepulciano); raufnei f. (Perugia), inoltre rauhe
(Clus.) con f/h, e rafe, rafi e rafi-s/ rafi-és con riduzione di au ad a etrusca. *Roufos è
invece reso senza velarizzazione in ruvfe.
(87) Laucie-s (‘SE’, XXXIV, p. 104, Vols., Orvieto, VI a.C.), laucie-s (S.M., nr.
24 e p. 148, Cere, 675-650 a.C.) e [l]auv˝cie-s (CIE, 8029, Falerii) e lavcie-s• (‘SE’,
XLII, p. 264 n. 219, orig. inc.), e gentilizi: lauci (NRIE, 658, Populonia; ‘SE’,
XXXII, p. 191, Perugia) e lauci-és (Faes., S. Martino alla Palma) e lavci-sla (ib.) e lau-
ci-al f. (Volterra); lauciei-a obl. arc. m., v. qefariei (‘SE’, XXX, p. 143 n. 12, Vols.,
Orvieto, VI a.C.); laucinie (Clus., loc. inc.) e laucinie-sa (Clus., Città della Pieve);
laucini (Clus., Petrignano); laucinei f. (Clus., Cetona; loc. inc.) e laucinal obl. (Clus.,
loc. inc.). Loucios è invece reso senza velarizzazione in luvciie-s (CIE, 5528, Tarquinii,
V a.C.) e luvcie-s (Caere e Vulci), v. luvcial obl.f. (Tarquinii), luvcinal id. (Volsinii,
Bolsena).
(88) Laucane (CIE, 2374.2375.2377, Clus., loc. inc.; 3578, Perugia) e laucane-
és (1125, Clus., Pienza) e laucane-sa (1894 e 2376, Clus., loc. inc.); laucani-s (4342,
Perugia); laucania (2378.2379.2380, Clus., loc. inc.) e laucania-s (2381, ib.). *Lou-
canos è invece reso senza velarizzazione in luvcanie-s (TLE, 214), cfr. osco etn. lúvka-
nateís genit. (V.173), in latino la regione nell’elogio di Scipione Barbato, cos. 298
a.C., è detta (CIL, I2, 7) Loucanam acc. (sc. terram).
(89) Lautni ‘servo, liberto’ e lautni-qa ‘serva, liberta’ (diffusissimi) se dal tema
indeuropeo *leudho- ‘popolo’, cfr. lt. l1ıber, l1ıbertus/l1ıberta, fal. loifirtato(s) genit. ‘di
Loifirtas’, e loifirta ‘liberta’, venet. louderobos ‘ai figli’ (Es 95), louderai kanei ‘a Libe-
ra Fanciulla’ (Ca 4, situla di Valle), eccetera.
315

(90) Campi Raudii (presso Vercelli, Novara), da *Roudio-; NP Raudo-m1arus


(CIL, III, 3366, Czákvár); forse idr. Rura da *Raura a sua volta da *Rour1a- ‘la rumo-
rosa’, od. La Ruhr, e così l’etn. Rauric1ı, cfr. irl. ruire ‘rumore’, e NP Rauricia f. (Nar-
bonne); Rauracius un vescovo. Così pure il tema *teuto-/*teut1a- passa a *touto-/*tout1a-
e con velarizzazione a *tauto-: etn. taoutanoi nom. pl. (R.I.G., I, G-276, Mailly-le-
Camp, Aube); Taut1ı, forse traci (CIL, II, 2984); NP TaÚtamon acc. un seguace di Vi-
riato (Dion. Hal., 33,1,4); TaÚtalon acc. (Appian., 72,75); Taut1anus (Anth. lat.);
Tautius (CIL, II, 22773, Coruña del Conde; 5692, Leon); Tautonius (IX, 1984, Be-
nevento- due fratelli). Cfr. in composizione il theonimo Medio-tautehae (CIR, 329,
Colonia), ecc. La velarizzazione è normale in messapico, v. anche civitas Raudia=Ru-
diae (per la terra rossa della Puglia), v. sopra i Campi Raudii.
(91) In vari lavori: I Greci e le lingue del Lazio, pp. 499-503; Aspetti culturali del
Lazio primitivo, pp. 100-53.
(92) Del resto v. l’onomastica con Ouf-/ Auf- e con monottongazione O 3 f-
(quindi non osca). Aufius, / Ofius, osco ufiis (V.113?), pel. aufidis (V.215 u), Aufidius,
idr. Aufidus, top. Aufidena ‘Alfedena’: Ofidius, Ofdius, u. (pe. pe.) ufeôrier (Rocca, Be.3,
cit.). V. anche Aufanius: Ofanius/ Offanius; Aufatius: Ofatius; Aufonius: Ofonius/ Of-
fonius; Aufellius (cfr. etr. aufle e aufle-és, Perugia: afle, e afleés / afles, afli, ib.): Ofellius/
Offellius, cfr. pure Aufitius e Ofitulenus. C’è un legame con idr. 1ufens,-ntis ‘Ofanto’ e
lt. Oufent1ına / 3Ofent1ına / 3Ufent1ına tribus. Forse c’è un legame fra avdiis (V.16),
adeiej (V.180= Pocc., 154) e wuddieij genit. (V.194=Pocc., 186).
(93) Oppure da pell1o, part. pass. pass. *pÇl-to-s>poltos secondo se-peli1o sepolto-
s>sepultus, oc-cel1o>occul1o occolto-s>occultus, ecc., ma v. anche in venetico NP *molt1o
in moltonei dat. (Es 15) da *mol-to-s ‘macinato’(?), con l’aggiunta del solito for-
mante -on-.
(94) E tuttavia pospone la specificazione al termine che la regge, se non è per
una particolare marcatezza.
(95) Manteniamo ancora la vecchia classificazione, perché per certe tradizioni
non si ha una particolare variazione.
(96) La somiglianza semplice con il nome dei genitori può invece indicare so-
lo un certo gusto, cfr. fougontai fugisoniai (Es 105) (ugual ‘radice’ ma grado apofoni-
co diverso), Fougontai…filia Fugenia (Es 111) (id.); però mi pare che il fenomeno in
venetico abbia poca rilevanza, almeno per le testimonianze che abbiamo finora.
(97) E CIL, II, 49671, Spagna).
(98) Attestazioni etrusche dall’italico sono: petru (<petr1o) (Vols., Bolsena; S.
Quirico d’O.; Clus.; Per.) e petru-s (CIE, 10585, Vols., Orvieto, VI a.C.; Suana;
Clus.) e petru-és (S. Quirico d’O.; Clus.; Per.) e petru-ési obliquo dativale (Cort.) e pe-
tru-sa gamonimico (all’origine) (Clus.; Per.); petru-i f. (Tarq., Tuscana; Vols., Bomar-
zo; Clus.; Per.) e petrui-al (Per., Ponte Falcino) e petrual (Rapolano; Clus.; Per.;
Cort.). Inoltre: petrunie (<petronios) (Vols., Orvieto); petruni m. e f. (S. Quirico in
Os.; Clus.; Per.) e petruni-és (Per.) e petruni-s (Clus.; Per.) e petruni-al f. (Per.) e pe-
truni-als (orig. inc.); petruna-i f. (S. Quirico in Os.).
(99) Così altri toponimi sembrano piuttosto da petra ‘pietra, sasso’, cioè Petro-
cia> Peyrusse (in vari départements: Ariège, Aveyron, ecc.); Petriscus> Peyresq (dép.
316

Basses-Alpes); Petrianae castellum (in Britannia); Petrius pons> Pompierre (sul Monzon,
dép. Vosges) e Pierrepont (dép. Meurthe-et-Moselle), eccetera.
(100) Invece Petrucleius è da Petrucul-, cfr. anche Petruculaeus.
(101) Il Prosdocimi ammette che c’è un altro gentilizio latino sicuro in un’al-
tra iscrizione gallica (R.I.G., I, G-65) da Saint-Rémy (ugualmente Bouches-du-Rhô-
ne), cioè Kornhlia (K. rokloisia(o) bratou dekanít(em?) ‘K. alle (Madri) R. in rin-
graziamento la decima’), ma questo non lo distoglie dall’affermazione della gallicità
di kouadrounia (che di gallico deve avere solo l’iscurimento di 1o in 1u, fenomeno che
conosciamo del resto anche in area venetica, dove però sembra essere per influsso il-
lirico).
(102) È vero che in Spagna si hanno Cabrilius e Caburus, che vengono consi-
derati derivati da capro- (lt. caper ‘capro’), e quindi con sonorizzazione della sorda,
labiale, avanti r, ma io non sono così sicura che l’etimologia sia dallo zoonimo.
(103) CIL, VII, 693 (Housesteads), cfr. venet.-lat. kvarti1o (kv. fakios, *Ca 74).
(104) E Petronaeus < *Petronaios; cogn. Petronilla. Da *quetru- vengono ancora
(ma v. anche nel testo sotto forme in iscrizioni latine di area celtica, forme che in
realtà potrebbero anche essere state portate là da soldati ‘romani’ di origine italica,
dal momento che l’esito è uguale, petru- sia per gli Italici che per una parte dei Cel-
ti): Petrosidius (Roma) / Petrusidius (Anzio, ecc.); Petrucius (fra i Marsi) e Petrucidius
(in Spagna); Petrusulenus (Amiterno); Petruculeius (Corfinium)/ Petrucleius e Petrucu-
lae(i)us (Marruvium). Per altri ho invece il forte dubbio che siano invece sorti da Pe-
tra cogn. (cf. Tac., Ann., XI, 4 T.Pomponius T.f. Petra, praef.equitum di Germanico,
proveniente da Reggio Emilia), cioè: Petranius (Brescia; Spagna), Petreius (Plin. e Lu-
can.; diffuso; se da petraios, con palatalizzazione in -eio-, si può confrontare con l’etr.
petrae-és, orig. inc.), eccetera.
(105) È vero che nella tradizione grafica leponzia sia n che m in posizione an-
teconsonantica, proprio per norma grafica, non vengono mai scritte, mentre in vene-
tico abbiamo solo pochissimi casi, perché non è norma grafica, che sono solo una
spia della debolezza delle nasali in quella posizione: v. fougota (Es 76), fogotnai dat.
(Es 88) e soprattutto, in età arcaica, metlon, acc. sg. (*Es 120).
(106) Pomponius, cfr. il cit. T.Pomponius T.f. Petra (Caes.); v. poi Pomposius
(Roma) e Pompusius (ib.; nel Cicolano; Ravenna; Ostia), cfr. Petrusius; Pomposidius
(Roma) e Pompusidius (Roma; Todi; Chieti), cfr. Petrusidius; Pompucleius (Alba Fu-
cens), cfr. Petrucleius.
(107) Ma a quale epoca precisamente c’è stato il passaggio: a *quomque o a
*co.? A mio parere questo passaggio è avvenuto abbastanza tardi, come mostrano al-
tre lingue celtiche.
(108) Da *pempe ‘5’ e dule ‘foglia’, v. bret. pemp-delyen, gallese pum-dalen o
pum-nalen ‘quinquefolium’.
(109) Cfr. mercurialis, (adonis,) (centaurea,) (circea,) heracleum, iu-glans, Iovis
barba, (delphinium Aiacis,) (nymphaea,) ecc.; ¢rtemis…a, dionus…aj, dioskoure…a
’i rij, persefÒnion, kastÒrion, kastÒr-orcin, (kentaÚrion), ecc.; cfr. del resto in
italiano albero di S. Andrea, erba di S. Pietro, ombelico di Venere (<umbilicus Veneris),
occhio della Madonna, pianella della Madonna, specchio di Venere, eccetera.
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(110) V. Tib. Br., I Sabini, pp. 114-29 nrr. 16-58; Negri, Numa, pp. 242-44.
(111) Il celtico usa invece il tema *brı°g-/ *brı°go-/ *brı°g1a-/ *brego-; Autobriga
(celtiber.), Lango-briga, Nemeto-briga, ma anche Augusto-briga; *Catu-brigum> Catu-
brium (cit.), Are-brigium, eccetera.
(112) Alcune con la forme del plurale, e altre con quella del singolare. In qual-
che caso per la stessa località si hanno entrambe le forme, v. Pape-Benseler, pp. 505-
06; inoltre Grasberger, Stud.z.d.Ortsn., p. 149.
(113) Poi anche portato in Egitto,= Diospolis Magna (Plin., NH, V, 60); v. an-
che Thebaites amnis in Caria (Id., NH, V, 109), eccetera.
(114) Bartonôek, The name, p. 42.
(115) Ho privilegiato, quando possibile, le forme che hanno un legame se-
manticamente, cioè con ‘altura, colle, monte, cima’.
(116) Diverso è il caso (non sono composti) di Novem pagi, Septem Aquae, v.
pure Tres Tabernae (sulla via Flaminia in Sabina e sulla via Appia a destra di Satricum).
(117) Più lontani sono Intercisa (Saxa) e Pertusa Petra, in quanto participi pas-
sati di verbi composti con particella.
(118) In Campania abbiamo Suessa (a sinistra di Teanum Sidicinum) e Suessula
(a destra di Atella), che sarebbero forse formate con lo stesso elemento pronominale
che abbiamo nell’etnico Sab1ın1ı (v. De Simone, Sudpiceno saf1ıno-, p. 233).
(119) Come formazione v. anche, oltre Qhba§ioj, anche i citt. Parqenopa§ioj da
ParqenÒph, Melita§ioj da Mπlita, ’Egesta§ioi da ”Egesta (Sπgesta/Ai”ges§ia, lt. Se-
gesta), Surakousa§ioi da Sur£kousai (lt. Syrac1usae), Palagka§ioj idr. (su moneta di
Agyrion, cfr. Palanca oron. in Val Sesia), Motua§ioj da MotÚh, ecc., cfr. anche qerma§i
aƒ ‘Imera§iai (od. Termini Imerese), v. Zamboni, Siculo, pp. 959, 973; Pellegrini, To-
ponimi, pp. 84, 94, 95, 96.
(120) Ricordiamo ancora una volta che l’italico ha universalmente la labializza-
zione di e in o in tutte le forme, sia del numerale cardinale che di quello ordinale
(pomp-, pomt-). Nel mondo greco invece abbiamo solo il composto pompobolo ‘di 5
oboli’ (es.): per assimilazione?
(121) Infatti la labiovelare sonora in qualsiasi posizione ha esito b, ma resta -
gu- se è preceduta da nasale (v. il cit. fankua/ fancua in osco), e così pure avviene in
latino, cioè -gu- anziché -Áu-, cfr. il cit. *dengua> *lengua> lingua; unguen, cfr. u.umen
(< *omben), da *onguen-; inguen, gr. ¢déhn, da *n”guen-; ninguit contro nivis, gr. Ne…fei
da *sneighu-/ *snighu-, ecc.; inoltre se preceduto da r, cfr. tergus da *terguos-, gr.
stπrfoj, o seguito da consonante, agnus da *aguno-s, gr. ¢mnÒj< *¢bnÒj.
(122) Cfr. Dion. Hal., II, 49. Cfr. in etrusco pive / patrus, da Vulci (‘BA’, 48,
1988, p. 237.
(123) V. Peruzzi, Mycenaeans in early Latium, ’80.
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