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*Gianni Guerrieri Il catasto a valori e redditi:


alcune considerazioni

Parole chiave: catasto dei valori, valore normale, valore di mercato.

Abstract L’articolo intende verificare la tenuta logico-metodologica della costituzione di un catasto dei
valori basato sui valori di mercato, oltreché dei redditi, come prevedono le linee di riforma in discussione
da tempo nel Parlamento italiano, anche alla luce delle critiche avanzate e delle criticità insite nella deter-
minazione teorica ed empirica dei valori patrimoniali per finalità impositive.

INTRODUZIONE
Nella scorsa legislatura, a valle degli interventi previsti dal decreto legge del 6 dicembre 2011, n. 2011
in materia di imposizione patrimoniale, con l’introduzione dell’imposta municipale propria (IMU), che
ha sostituito l’imposta comunale sugli immobili (ICI), e la rideterminazione delle modalità di calcolo
dei valori immobiliari si è posto il tema ineludibile della riforma del sistema di determinazione delle
“rendite catastali”.
E’ noto, infatti, che la base imponibile della nuova IMU è determinata, come per l’ICI, sulla base di tali
rendite, a cui si applicano la rivalutazione del 5%2 e poi i moltiplicatori differenziati per categoria ca-
tastale.3 Tali moltiplicatori sono stati aumentati, rispetto a quelli vigenti per l’ICI, al fine di incrementare
il prelievo fiscale derivante dalla proprietà immobiliare. Con tale incremento, peraltro, i valori imponibili
permangono comunque al di sotto degli attuali valori di mercato (nel 2008 il valore di mercato medio
di un’abitazione era circa 3,7 volte il corrispondente valore imponibile medio a fini ICI).4

*Direttore centrale Osservatorio mercato immobiliare e servizi estimativi dell’Agenzia delle Entrate.
Le considerazioni svolte in questo testo riflettono esclusivamente l’opinione dell’autore, senza impegnare la responsabilità
dell’Istituzione di appartenenza.

1 L’IMU, in sostituzione dell’l’ICI, è stata introdotta dal Decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, con decorrenza dal 2014 nell’ambito
del cosiddetto federalismo municipale. Con il Decreto Legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011, n.
214, è stata disposta l’anticipazione al 2012 dell’IMU, l’aumento delle basi imponibili rispetto alla preesistente ICI e la reintroduzione
della tassazione sull’abitazione principale.

2 Articolo 3, comma 48, della legge 23 dicembre 1996, n. 662.

― 160, per i fabbricati classificati nel gruppo catastale A e nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, con esclusione della categoria
3 Attualmente, per l’IMU, sono i seguenti:

― 140, per i fabbricati classificati nel gruppo catastale B e nelle categorie catastali C/3, C/4 e C/5;
catastale A/10;

― 80, per i fabbricati classificati nella categoria catastale D/5 e A/10;


― 60 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale D, ad eccezione dei fabbricati classificati nella categoria catastale D/5. Tale

― 55 per i fabbricati classificati nella categoria catastale C/1.


moltiplicatore è elevato a 65 a decorrere dal 1º gennaio 2013;

4 Cfr. Agenzia del Territorio – Dipartimento delle Finanze (2010), p. 109. Il dato si riferisce all’anno 2008.
10 Gianni Guerrieri

Allo stesso tempo, è altresì noto che le rendite catastali presentano elementi di vetustà5 e obsolescenza6
tali da imporre una loro profonda revisione al fine di pervenire ad una maggiore equità tra i contribuenti.
In effetti, si riscontrano sia problemi di iniquità orizzontale, sia di iniquità verticale. I primi risultano
tra i contribuenti in relazione al territorio in cui sono localizzati gli immobili di loro proprietà, a causa
del mutamento dei valori relativi (prezzi e canoni di locazione) tra le diverse zone di un comune e tra i
diversi comuni. Ciò, in particolare, è avvenuto nell’ultimo quindicennio, in cui si è registrato uno dei più
lunghi cicli positivi del mercato immobiliare che ha comportato una sensibile differenziazione dei livelli
di valore e di reddito tra i diversi territori. I secondi, sono stati evidenziati dal fatto che il differenziale tra
i valori effettivi di mercato e quelli calcolati sulla base delle rendite e dei moltiplicatori, tende ad aumen-
tare per i segmenti più ricchi (in termini di ricchezza abitativa posseduta) dei proprietari.7
Inoltre, il mancato aggiornamento delle rendite catastali negli ultimi vent’anni ha determinato una
conseguente relativa scarsa dinamicità della corrispondente base imponibile (rispetto ai prezzi e ai
redditi). Ciò ha comportato, a parità di aliquota, una perdita di gettito in termini reali, ossia a parità di
gettito nominale il “potere d’acquisto” dello stesso si è ridotto.8
Si è detto che l’incremento della tassazione attuata con l’aumento della base imponibile IMU ottenuto, a
sua volta, mediante l’incremento uniforme – pur per categoria di immobile – dei moltiplicatori da applicare
alla rendita catastale,9 ha comportato un’accresciuta iniquità del sistema. Ciò deriva dal fatto che, aumen-
tando in modo uguale i moltiplicatori, l’incidenza della tassazione (dell’IMU) sul valore di mercato effettivo
si riduce al crescere della differenza tra valore catastale (imponibile IMU) e valore di mercato. La Figura 1
è costruita ipotizzando diversi immobili aventi tutti la stessa rendita, ma diversi valori di mercato. Avendo
la stessa rendita, l’imponibile ai fini ICI è lo stesso per tutti gli immobili, così come quello ai fini IMU, come
pure risulta uguale l’incremento di imposizione (sia assoluto che percentuale). L’incidenza dell’imposta sul
valore di mercato effettivo nel passaggio dall’ICI all’IMU non è invece la stessa, ma risulta decrescente al
crescere del differenziale tra valore di mercato e valore catastale (sia se quest’ultimo è misurato a fini ICI
che a fini IMU). Nella Figura 1 all’asse delle ascisse è riportato il differenziale tra valore di mercato e valore
catastale (VM/VC); nell’asse sinistra delle ordinate è riportata la misura delle differenti incidenze sul va-
lore di mercato dell’ammontare di IMU e di ICI dovute.

5 Le rendite catastali sono vetuste in quanto da ormai 21 anni non si dà luogo alla loro revisione pure prevista ogni decennio dalla nor-
mativa vigente. Infatti, gli artt. 28 e 37 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, stabiliscono che con decreto del Ministro delle Finanze (ora
Economia e Finanze) almeno ogni dieci anni si dia luogo alla revisione delle tariffe d’estimo e delle rendite, sia per quel che riguarda il ca-
tasto fabbricati, sia per quanto concerne il catasto terreni. I decreti, dopo la revisione del 1990, non sono stati mai emanati.

6 L’obsolescenza delle le rendite catastali deriva dal fatto che il sistema a categorie e classi non è mai stato aggiornato, rimanendo
sostanzialmente quello di impianto (anno 1939). Tale sistema non consente di seguire adeguatamente l’evolversi nel tempo delle
configurazioni urbanistiche degli abitati e delle costruzioni. Sicché la denominazione e la classificazione dei beni immobili è dive-
nuta nel tempo inadeguata. Inoltre, il classamento, ovvero l’operazione del classificare in una categoria ordinaria ed in una relativa
classe di valore la specifica unità immobiliare, è rimasto quello iniziale all’atto della costruzione del catasto, a meno di azioni di ri-
strutturazioni e variazioni edilizie denunciate dai proprietari al catasto. Ciò provoca, tra i diversi comuni e all’interno dei territori
comunali ulteriori iniquità: per esempio, abitazioni classate come “popolari”, e quindi con rendita bassa, non hanno subito nel
tempo nuove riclassificazioni, pur se oggi, trovandosi magari in zone centrali, possiedono un valore di mercato assai più elevato
di un buon edificio “civile” delle zone semicentrali di una città a cui, invece, è stata attribuita una rendita più alta. Al riguardo, si
rammenta che la già citata revisione degli estimi operata agli inizi del ’90 ha operato soltanto una revisione “monetaria” delle
tariffe d’estimo e non anche una revisione del classamento delle singole unità immobiliari delle categorie ordinarie.

7 Cfr. Agenzia del Territorio – Dipartimento delle Finanze (2011), pp. 55-56 ed anche in Agenzia del Territorio – Dipartimento delle
Finanze (2012), p. 120.

8 Ciò ha comportato che gli enti impositori per contrastare la perdita di gettito in termini reali, hanno aumentato le aliquote, ero-
dendo i margini di effettiva autonomia tributaria. E’ stato calcolato che ⅓ dell’incremento complessivo dell’ICI registrato tra il
1994 ed il 2004 si è reso necessario per mantenere invariato il valore reale del gettito ai livelli del 1994. Cfr. Guerrieri (2006), p.
185. Inoltre, è possibile che la necessità di recuperare le risorse di gettito depauperate in termini reali, abbia indotto taluni enti
locali a scelte di politiche urbanistiche volte ad accrescere lo stock di immobili sul proprio territorio per aumentare la base impo-
nibile e quindi la capacità di gettito complessivo, con esiti distorsivi per un buon uso del territorio. È vero anche, peraltro, che se-
guire l’andamento dei valori immobiliari, potrebbe comportare la dipendenza dei bilanci pubblici, in particolare di quelli degli enti
locali, dagli andamenti del ciclo immobiliare dei prezzi. Con effetti tutti da verificare e studiare in ordine alla capacità di regolazione
della spesa in funzione dell’andamento ciclico di una parte delle entrate.

9 Cfr. nota 4.
Il catasto a valori e redditi: alcune considerazioni 11

Figura 1 Differente incidenza teorica dell’IMU rispetto all’ICI sul valore di mercato (Fonte: nostra elaborazione)

1,4% 0,50%

0,45%
1,2%

differenza tra incidenza ICI e incidenza IMU su VM


0,40%
incidenza TAX su valore di mercato

1,0% 0,35%

0,30%
0,8%
0,25%
0,6%
0,20%

0,4% 0,15%

0,10%
0,2%
0,05%

0,0% 0,00%
1,0 1,1 1,2 1,3 1,4 1,5 1,6 1,7 1,9 2,0 2,2 2,4 2,6 2,8 3,0 3,6 4,5 5,5
differenziale VM / VC
differenza ICI IMU

Le curve mostrano, quindi, come varia l’incidenza al variare del rapporto VM/VC rispettivamente per
l’ICI e per l’IMU. L’istogramma, la cui misura è riportata nell’asse destra delle ordinate, rappresenta la
differenza tra le due incidenze sopradette.
Questa situazione può essere modificata nel senso dell’equità solo se si attua una riforma del sistema
estimativo dei fabbricati.
Su questo tema, in effetti, Governo e Parlamento, nel corso degli anni, hanno avviato diverse iniziative
legislative non andate però a buon fine. Ciò a testimonianza, da un lato, che la riforma del sistema
catastale è avvertita, da tempo, quale esigenza anche dal punto di vista politico; dall’altro che di fatto
è esistita una persistente difficoltà ad approvare le norme necessarie e quindi ad avviare concreta-
mente il processo di riforma.10
I motivi di queste difficoltà sono riconducibili, probabilmente, anche alla complessità, alla durata e al
costo dell’operazione, i cui esiti non possono che manifestarsi in un orizzonte temporale di medio

10 Il Parlamento italiano è intervenuto su questa materia diverse volte nell’ultimo quindicennio. Una prima volta, nel 1996, appro-
vando la legge delega per la revisione generale del catasto urbano con la quale furono poste le basi per avviare un completo
processo revisionale. Gli indirizzi del legislatore furono recepiti nel DPR 23 marzo 1998, n. 138, regolamento di disciplina generale
dell’intero processo revisionale, approvato dopo un iter di circa due anni, che prevedeva l’ultimazione delle attività entro il 1° gen-
naio 2000. Tuttavia, nel corso delle operazioni revisionali, comunque complesse per l’esistenza all’epoca di forti carenze informa-
tive, fu approvata la legge 13 maggio 1999, n. 133, recante, al comma 1 dell’articolo 18, la delega al Governo per l’emanazione di
uno o più decreti legislativi, finalizzati alla razionalizzazione del sistema impositivo immobiliare e alla neutralizzazione degli effetti
sul gettito tributario della revisione degli estimi. Tale delega che, peraltro, indicava innovativi principi attuativi, da regolamentare
attraverso specifici provvedimenti entro nove mesi dalla entrata in vigore della legge, non è stata in concreto esercitata. In con-
comitanza a queste nuove disposizioni, fu emanato il Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n. 112, che prevedeva, tra l’altro, il de-
centramento ai Comuni dei servizi e delle funzioni catastali, tra le quali anche le attività in tema di revisione degli estimi.
Successivamente, con la riforma dell’organizzazione del Governo (Decreto Legislativo 30 luglio 1999, n. 300) veniva istituita, tra
le diverse Agenzie fiscali, anche l’Agenzia del Territorio, competente, in particolare, a svolgere i servizi in materia di Catasto, con
funzioni di Organismo tecnico (ex art. 68 del Decreto Legislativo n. 112 del 1998). Conseguentemente le operazioni di revisione,
a fronte di queste incertezze normative, non furono portate avanti. Nella XV legislatura, il Governo presentò la proposta di legge
di «Delega al Governo per il riordino della normativa sulla tassazione dei redditi di capitale, sulla riscossione e accertamento dei
tributi erariali, sul sistema estimativo del catasto fabbricati, nonché per la redazione di testi unici delle disposizioni sui tributi
statali», nella quale, all’articolo 4, era contenuta la specifica delega per la riforma del sistema estimativo del catasto fabbricati.
L’iter di approvazione non si perfezionò a causa della chiusura anticipata della legislatura. Analogamente è accaduto nella XVI le-
gislatura nella quale il Governo Monti ha presentato, il 15 giugno 2012, il disegno di legge di «Delega al Governo recante disposi-
zioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita», dove all’articolo 2 ha previsto le norme di delega per
la revisione del catasto dei fabbricati. La legge delega è stata approvata dalla Camera ma non ha concluso l’iter al Senato per le
dimissioni del Governo e la fine anticipata della legislatura. Nel momento in cui si scrive il nuovo Parlamento ha ripreso quel testo
approvato alla Camera e lo sta dibattendo in Commissione Finanze della camera dei Deputati.
12 Gianni Guerrieri

periodo non sempre compatibile con i tempi richiesti dalla politica. D’altra parte, questo intervento
rappresenterebbe una vera e propria riforma di tipo strutturale, indispensabile se si vuole riportare
equità e perequazione nel sistema di tassazione degli immobili.
In ogni caso, sia nel disegno di legge delega presentato nella XV legislatura che in quello presentato
nel 2012 dal Governo Monti, è stato introdotto il principio di un catasto dei fabbricati imperniato non
solo sulla determinazione della rendita delle unità immobiliari censite (ovvero del reddito figurativo
netto), ma anche sulla determinazione del valore patrimoniale delle stesse.
Questo principio modifica significativamente il catasto e soprattutto la modalità di determinazione
dell’imponibile dei tributi commisurati al valore del patrimonio immobiliare, in quanto quest’ultima
non sarebbe più basata sull’applicazione di uno specifico moltiplicatore alla rendita catastale, ma di-
rettamente dal valore stimato “catastalmente”.
Obiettivo di questa nota è proprio quello di approfondire i motivi e le conseguenze del passaggio da
un catasto solo a redditi a un catasto a valori e redditi. Evidentemente il tema del valore in ambito
catastale non può che richiamare il concetto di valore normale e questo, a sua volta, evoca i dibattiti
sul tema dei prezzi normali e la loro determinazione nell’equilibrio di lungo periodo. Pur cercando
di non eludere le questioni teoriche, il ragionamento che proporremo si svilupperà più sugli aspetti
empirici del come può essere costruita concretamente una adeguata tassazione immobiliare di natura
patrimoniale, senza peraltro discutere sulla scelta politica, con i suoi limiti e i suoi pregi, di una tas-
sazione di questa natura.

IL VALORE NORMALE: QUALE DEFINIZIONE


Il sistema catastale trae origine dalla necessità di determinare la base imponibile per i redditi connessi
ai frutti della proprietà terriera. Una ragione di fondo che storicamente ha indotto alla costruzione di tali
sistemi, oltre a quello di censire le proprietà, consiste nella difficoltà e onerosità dell’accertamento dei
redditi effettivi e quindi nel vantaggio, per l’erario, a semplificare tale accertamento mediante una de-
terminazione del reddito normale, ovvero che può normalmente ottenersi dalla proprietà del terreno.
Secondo un approccio produttivistico,11 nel settore agricolo questa modalità di predeterminazione
del reddito presenta un ulteriore vantaggio: quello di incentivare fiscalmente l’investimento finalizzato
a migliorare il fondo per ottenere un reddito effettivo superiore al reddito “normale”, dato che il mag-
gior reddito effettivo risulterebbe non tassato. Al contrario, verrebbe disincentivato il comportamento
meno efficiente, in quanto se il reddito effettivo finisse per risultare inferiore a quello normale, il pro-
prietario subirebbe una penalizzazione fiscale.
Ammesso che questa funzione incentivante sia realmente esistita,12 sicuramente è riferibile a una eco-
nomia prevalentemente agricola e aventi regole di produzione e di finanziamento del settore agricolo
completamente diverse da quelle attuali, centrate sull’ampio sussidio pubblico all’agricoltura. Peraltro,
tale funzione risulta infondata con riferimento alla proprietà dei fabbricati. In effetti, «non è riconoscibile
alcuno stimolo all’efficienza della tassazione su base catastale dei fabbricati e in particolare delle abita-
zioni».13 Non solo, ma l’apprezzamento sia dei redditi che dei valori patrimoniali connessi alla proprietà

11 Al riguardo si rinvia a Einaudi (1983), in particolare p. 254.

12 Affinché questo incentivo/disincentivo fiscale risulti efficace, occorre, quale condizione necessaria, che il reddito catastale sia
soggetto a periodici aggiornamenti rispetto all’evoluzione del reddito effettivo, altrimenti, nel tempo si perderebbero queste ca-
pacità incentivanti del sistema. Al riguardo, lo stesso Einaudi (1983) afferma che: «la ordinarietà del reddito da assoggettarsi al-
l’imposta non vuol dire catasto “perpetuo”», (p. 252). Poiché storicamente la revisione e l’adeguamento delle rendite catastali è
avvenuta pochissime volte, si può largamente dubitare che sia mai esistita questa funzione incentivante l’efficienza produttiva.

13 Artoni, (1999), p. 108. Al riguardo, Muraro (1998) sostiene che «[…] Indubbiamente il concetto presenta delle limitazioni severe
rispetto al campo di applicazione tipico costituito dall'agricoltura. L’edilizia offre infatti un minore spazio per l'operosità del gestore,
il che riduce la forza dell'incentivazione implicita nel sistema del reddito normale».
Il catasto a valori e redditi: alcune considerazioni 13

dei fabbricati è sovente dovuta all’esito di politiche pubbliche (infrastrutture, qualità dell’ambiente urbano,
ecc.) e non ad interventi di miglioria effettuati dai proprietari sull’immobile.
Pertanto, l’utilizzo di un sistema catastale a fini fiscali ha trovato la sua ragione d’essere, a partire al-
meno dalla riforma fiscale degli anni settanta, essenzialmente quale semplificazione per l’ammini-
strazione delle modalità di accertamento dei redditi e per il contribuente degli adempimenti
burocratico-fiscali.14
Lo spostamento progressivo del prelievo tributario sugli immobili dal reddito al patrimonio, le cui ra-
gioni, anche sotto l’aspetto teorico, esulano dagli scopi della presente nota, impone una misurazione
del valore patrimoniale quale base imponibile.15
La scelta che fu operata in Italia con l’introduzione dell’ICI nel 1993 fu quella di procedere alla deter-
minazione dei valori imponibili di natura patrimoniale applicando alla rendita catastale un coefficiente
moltiplicativo specifico per ciascuna categoria di immobili. All’epoca tali coefficienti16 rappresenta-
vano il reciproco di un tasso di capitalizzazione convenzionale medio nazionale. In altri termini, il
valore normale era approssimato dalla capitalizzazione di una rendita perpetua e la sua normalità
era concettualmente fondata, da un lato, sulla rendita quale espressione di un prezzo normale di
lungo periodo (canone di locazione) per l’uso degli spazi immobiliari (abitativi e non) al netto delle
normali spese di manutenzione e gestione e, dall’altro, da un tasso di capitalizzazione convenzionale.
In questo contesto il riferimento al valore normale implica o quantomeno evoca una condizione di
«equilibrio» di lungo periodo.
La questione, dal punto di vista teorico, verte proprio sulla solidità dei concetti di valore normale e
di «equilibrio». Nell’ambito della teoria economica neoclassica non si può che rinviare ai prezzi di
equilibrio di lungo periodo di Marshall o ai prezzi di equilibrio tout court nei sistemi di equilibro eco-

14 «Il problema dell’accertamento del reddito medio si può imporre per motivi concreti. Infatti, quando le unità da valutare ai fini
dell’accertamento sono molto numerose, con un ammontare d’imposta per contribuente modesto, […] una stima diretta del reddito
effettivo è impossibile ed in ogni caso eccessivamente onerosa, per cui è necessario […] procedere con sistemi catastali», Cosciani
(1977).

15 Il sistema tributario, con specifico riferimento ai fabbricati, fino all’introduzione dell’imposta comunale sugli immobili (1993),
era imperniato sostanzialmente sulla tassazione dei redditi, così come configurata dalla riforma degli anni settanta, e sulle imposte
di trasferimento della proprietà. In estrema sintesi il sistema catastale, imperniato sulla determinazione delle rendite (redditi netti)
ritraibili nel medio periodo dalla proprietà di un immobile, ha avuto sostanzialmente tre ruoli fino al 2006:
1. determinare la base imponibile dei redditi figurativi tassati ai fini delle imposte sul reddito, nel caso di assenza di locazione;
2. concorrere a determinare, mediante l’applicazione di specifici moltiplicatori alla rendita medesima, il limite alla rettifica in sede
di accertamento della base imponibile dichiarata ai fini delle imposte sui trasferimenti della proprietà (comprese le succes-
sioni);
3. concorrere a determinare i valori sottoposti a tassazione patrimoniale (ICI) applicando alle rendite specifici moltiplicatori che,
originariamente, rappresentavano tassi convenzionali di rendimento su base nazionale per aggregati tipologici di immobili.
Successivamente al 2006, il ruolo descritto nel punto 2) è mutato in quanto, per un verso, nel caso dell’imposta di registro sugli
acquisti di abitazioni da parte di persone fisiche che non agiscano in qualità di imprenditori o professionisti, il “valore catastale”
(ovvero rendita per moltiplicatori) è divenuto direttamente la base imponibile su cui calcolare l’imposta, per altro verso, con la
sola esclusione dell’imposta di successione, sono stati eliminati i limiti alla rettifica degli importi dichiarati in atti. Tuttavia, la
modifica più radicale al sistema è giunta con il cosiddetto “federalismo municipale”. La nuova normativa, per quel che qui interessa,
prevede in particolare:
1. la facoltà per il contribuente di applicare un’imposta sostitutiva per il reddito da locazione di abitazioni (“cedolare secca”); in
altri termini tale tipo di reddito, anziché concorrere al reddito complessivo tassato progressivamente in Irpef, viene tassato con
una imposta sostitutiva (al pari dei redditi finanziari) con aliquota del 21%;
2. l’introduzione dell’IMU, che ”sostituisce, per la componente immobiliare, l'imposta sul reddito delle persone fisiche e le relative
addizionali dovute in relazione ai redditi fondiari relativi ai beni non locati, e l'imposta comunale sugli immobili” e con una base
imponibile sostanzialmente identica a quella dell’ICI.
Ai fini della funzione fiscale del catasto, appare evidente la profonda novità introdotta: non sono più tassati i redditi figurativi at-
tribuibili alla proprietà immobiliare, acquisendo ancor più rilevanza, per contro, la tassazione patrimoniale attraverso l’IMU. Tale
scelta (prevista originariamente a decorrere dal 2014) è stata anticipata al 2012 nell’ambito del cosiddetto decreto “salva-Italia”.
Inoltre, l’anticipazione dell’IMU è avvenuta con un aumento della base imponibile, rispetto all’ICI, ottenuta aumentando i moltipli-
catori da applicare alla rendita catastale. Come già rappresentato nel precedente paragrafo, oltre a comportare un aumento delle
iniquità rispetto a quelle già presenti nelle attuali rendite catastali rispetto ai valori di mercato relativi, l’aumento dei moltiplicatori
ha reso questi ultimi privi di ogni ratio concettuale, in quanto rappresentano ormai puri tassi convenzionali sganciati da ogni pur
labile correlazione con tassi di rendimento medi.

16 I moltiplicatori erano pari a: 34 per la categoria catastale C1 (negozi), 50 per la categoria A10 (uffici) e per il gruppo D (immobili
speciali produttivi, commerciali del terziario), e 100 per tutte le restanti tipologie comprese le abitazioni.
14 Gianni Guerrieri

nomico generale.17 In ambiti teorici diversi rinvia ai prezzi naturali di Smith, come riconsiderati in ter-
mini di posizioni di lungo periodo, attorno a cui «gravitano» i prezzi di mercato,18 caratterizzate dal-
l’uniformità del saggio di profitto sul prezzo di offerta dei beni capitali (nonché dall’uniformità dei
saggi di salario e di rendita). Evidentemente «la posizione di lungo periodo deve essere persistente,
e dunque deve dipendere da cause permanenti e non da elementi temporanei».19
Al riguardo è stato osservato che le «uniche “regole generali” cui obbediscono i prezzi di mercato ri-
guardano la direzione delle loro deviazioni dai prezzi naturali e la tendenza di tali deviazioni a correg-
gersi».20 Il problema è che sfortunatamente la tesi per cui i prezzi medi di mercato, calcolati su periodi
abbastanza lunghi, tendono ad eguagliare i prezzi naturali, è criticabile.21 Infatti, l’operare delle forze
di mercato non garantisce che in qualche lungo periodo si compensino le deviazioni positive e ne-
gative del prezzo di mercato dal prezzo naturale. Se questa mancata compensazione non mette in al-
cuna difficoltà teoria e ruolo dei prezzi naturali,22 rende invece alquanto problematico il riferimento
empirico ai prezzi di mercato per trarre qualche lume sui valori normali o naturali degli immobili.
Non è certo il luogo, né probabilmente si dispone delle competenze necessarie per affrontare con
profondità le implicazioni analitiche di ciascuno di questi riferimenti teorici qui soltanto evocati.23
Nondimeno, qualsiasi tributo di natura patrimoniale non può fare a meno, per definizione, ad una qualche
misura del valore, periodicamente aggiornata, cui riferire l’imponibile, e, d’altra parte, gli unici elementi
di conoscenza appurabili nel mondo reale sono formati esclusivamente dai prezzi dei beni immobiliari
registrati nei contratti di compravendita e dai redditi lordi ritraibili dai medesimi beni (canoni di locazione).
Nella migliore delle ipotesi, dunque, anche laddove l’analisi teorica dovesse condurre alla definizione di
un concetto consistente di valore normale, dal punto di vista empirico la sua concreta determinazione
a fini operativi non può prescindere da quegli unici elementi di conoscenza.
In questo senso, dunque non analitico ma semplicemente operativo, i valori espressi quotidianamente
dal mercato degli scambi dei beni immobiliari e da quello della locazione degli stessi debbono essere
assunti come riferimento, sia pur approssimativo, di quella misura del valore cui riferire l’imponibile
ai fini della tassazione patrimoniale a patto che riflettano normali condizioni di scambio o di loca-
zione24 di un numero di beni sufficientemente simili (con l’approssimazione dettata dalla peculiare
eterogeneità dei beni immobiliari già accennata).
Tale condizione è rilevante in quanto, ovviamente, una misura dell’imponibile che prenda come rife-
rimento il prezzo osservato sul mercato deve poter essere utilizzata per tutti i beni che, seppure non
omogenei, possono essere oggetto di comparazione in un qualche senso significativo. Ciò richiede
quindi, per quanto sopra detto, che il bene oggetto di scambio o di locazione non sia “eccentrico”,
ovvero presenti elementi di similitudine con i beni che formano lo stock, e che la determinazione del

17 E’ ampiamente nota la critica a cui è stata sottoposta l’impostazione neoclassica. E’ anche assai vasta la letteratura sull’argo-
mento. Mi permetto di rinviare a solo tre testi: Napoleoni (1965); Lunghini (1993); Caravale (1994).

18 Cfr. Garegnani, (1979), pp. 89-116 e anche Garegnani (1994) pp. 163-198. Sul tema si veda anche Gozzi – Boggio (1991).

19 Lunghini (1993), p. 124. In particolare per un dibattito su questi temi si rinvia a: Caravale (1994).

20 Vianello (1992); p. 129.

21 Cfr. ibidem, pp. 134-139.

22 Cfr. ibidem, p. 138.

23 La bibliografia sull’argomento è ovviamente sterminata. Si è scelto di rinviare per tutti ad un piccolo libro divulgativo che, nelle
intenzioni del suo autore, «si rivolge al lettore comune che poco o nulla sa di teorie economiche»; Lunghini (2012).

24 Per esemplificare, non sono condizioni di scambio ordinarie quelle relative a beni soggetti a condizioni di offerta particolari
come per esempio nel caso delle dismissioni da parte di enti pubblici il cui prezzo è regolato da sconti di legge e la domanda ori-
entata dal diritto alla prelazione.
Il catasto a valori e redditi: alcune considerazioni 15

valore di scambio o del canone di locazione sia avvenuta in condizioni di mercato nelle quali il ven-
ditore o l’acquirente siano entrambi soggetti «non condizionati, indipendenti e con interessi opposti»
e che la compravendita sia avvenuta «dopo un’adeguata attività di marketing durante la quale en-
trambe le parti hanno agito con eguale capacità, con prudenza e senza alcuna costrizione».25
In conclusione, una definizione non controversa del significato teorico da attribuire al valore normale
a nostro avviso non è immediatamente accessibile. Si deve scegliere l’approssimazione del valore
dei beni a partire dai prezzi osservati sul mercato in condizioni relativamente normali nel senso sud-
detto e ritenere che tali prezzi consentano di approssimare il valore patrimoniale di riferimento utile
alla tassazione.
A tale riguardo, può aiutare significativamente il fatto che ai fini della tassazione, il riferimento ai prezzi
di mercato non è tanto rilevante per la determinazione del livello assoluto del valore di ciascun im-
mobile, quanto per determinare la distanza relativa del valore tra i diversi immobili.

Critiche al catasto con valori patrimoniali e alla derivazione da questi dei redditi da fabbricati
Se sull’esigenza della riforma del sistema estimativo vi sono poche voci di disaccordo, sulle modalità
di attuazione vi sono invece punti di vista diversi, in particolare sull’introduzione, anche in Italia, di un
catasto a valori, oltre che a redditi.26
Evidentemente la funzione di un catasto a valori consentirebbe una misurazione diretta della base
imponibile, ai fini principalmente della tassazione patrimoniale, non derivata cioè dalla capitalizzazione
di una rendita perpetua come avveniva per l’ICI e oggi avviene per l’IMU.
La posizione del prof. Francesco Forte è quella che esprime una critica di fondo, sul piano teorico,
circa la possibilità di costruire un catasto a valori patrimoniali utilizzabile a fini fiscali.27 L’attacco a
questa possibilità viene portata su tre fronti.
Il primo fronte è quello relativo alla variabilità nel tempo dei valori di mercato, che li rende inidonei
al principio di stabilità che dovrebbe invece caratterizzare gli imponibili catastali. Tale variabilità deriva
dal fatto che «i valori capitali dei beni immobili dipendono non solo dal loro reddito, ma anche dal
tasso di interesse. E questo, in regime di moneta convenzionale […] è una variabile instabile, che viene
manovrata allo scopo di controllare altre variabili, come il tasso di inflazione, il tasso di cambio e il
volume delle operazioni finanziarie sui mercati interni ed internazionali».28 In altri termini, il tasso di
capitalizzazione che influenza il valore degli asset dipende dal livello del tasso di interesse monetario
e da altre variabili (anche di natura speculativa) e pertanto, in sintesi, «il valore di mercato dei beni
non ha il requisito di ‘valore ordinario’».29
Il secondo fronte di attacco è mosso alla specifica determinazione del valore dei fabbricati. In parti-
colare, sostiene il prof. Forte, esistono motivi che fanno «differire sistematicamente il valore di mer-
cato dal valore di capitalizzazione del reddito medio ordinario da essi ritraibile»,30 anche
indipendentemente dalla variazione del tasso di interesse con cui si effettua la capitalizzazione. Le
ragioni di tale divario sistematico dipenderebbero, da un lato, dalla diversa obsolescenza tecnico-
funzionale dei beni immobili nel tempo e, dall’altro, dalla variazione del valore del terreno sotto-

25 International Valuation Standards (IVS – 1,3.1). Cfr. anche Tecnoborsa (2011), p. 48.

26 Per un compendio delle critiche, sotto vari punti di vista, ad un catasto a valori cfr. AA:VV (2007).

27 Forte (2007), pp. 15-23

28 Ibid., p.15

29 Ibid., p. 16

30 Ibid., p.18
16 Gianni Guerrieri

stante correlata principalmente ai vincoli di natura urbanistica e di natura culturale.31 Ciò dovrebbe
implicare che il flusso dei redditi futuri sia indipendente da queste variabili (obsolescenza e valore
del terreno sottostante) e quindi non reagisca al loro mutare.
Il terzo fronte d’attacco, posta l’inidoneità a fini fiscali del riferimento al valore di mercato come
base imponibile, sta nel proporre ai fini della determinazione di una tassazione di tipo patrimoniale
il «reddito […] capitalizzato ad un tasso di interesse convenzionale, che dà luogo ad un valore ordi-
nario stabile».32
Infine, quale corollario del tutto conseguente date le premesse, non è assolutamente percorribile
la strada inversa, quella della determinazione del reddito figurativo (catastale) a partire da un valore
di mercato. Infatti, con l’applicazione al valore di mercato «di un tasso di rendimento, non si ottiene
un valore di reddito attendibile» a causa della non-relazione reddito e valore capitale dei beni im-
mobili e dell’instabilità nel tempo dei valori di mercato.
In definitiva, ai fini della tassazione patrimoniale, al di là di ogni considerazione circa la sua oppor-
tunità, il prof. Forte sostiene che il valore imponibile catastale dovrebbe derivare, semmai, dalla ca-
pitalizzazione del reddito, preferibilmente con l’adozione di un tasso convenzionale, in quanto se il
tasso di capitalizzazione dipendesse dal tasso di interesse, si determinerebbe l’instabilità dei valori.
Sicuramente non si deve far riferimento ad un valore di mercato riscontrato in un certo periodo.
Una diversa posizione è espressa dai professori Roscelli e Simonotti.33 In effetti, secondo gli autori,
«un sistema catastale efficiente dovrebbe far riferimento sia ai redditi degli immobili per l’imposi-
zione ordinaria, sia ai loro valori in sede di trasferimento».34 La loro critica sta nella costruzione di
un «catasto basato unicamente sui valori patrimoniali [dove] il calcolo dei redditi [è] ottenuto ap-
plicando surrettiziamente ai valori patrimoniali i saggi di fruttuosità».35 In altre occasioni, gli autori
hanno espresso perplessità, fermo restando l’obiezione critica sopra indicata, sulle modalità di at-
tuazione delle proposte di riforma/revisione del sistema degli estimi catastali36 formulate nella XV
legislatura (2006-2008).

Obiezioni alle critiche: aspetti teorici ed evidenze empiriche


Si ritiene conveniente affrontare le diverse questioni nello stesso ordine di come sono state proposte
nel paragrafo precedente.
La prima questione è dunque il tema della instabilità dei valori rispetto ai redditi e quindi dell’impos-
sibilità di determinare un valore ordinario.37
Il fatto che i valori degli asset patrimoniali siano instabili non può essere messo in discussione. E’ un
fatto. Riportiamo nella Figura 2 gli andamenti delle quotazioni medie nazionali delle abitazioni nel pe-
riodo che va dal primo semestre 2004 (fatto pari a 100) e il secondo semestre 2011. L’indice delle
quotazioni mostra un incremento del 29,9%. Si possono individuare facilmente due periodi: dal primo

31 Con riferimento ai vincoli di natura culturale si fa riferimento ai cosiddetti beni storico-artistici o beni culturali soggetti a
particolari vincoli di uso e trasformazione.

32 Forte (2007), p. 21.

33 Roscelli – Simonotti (2007).

34 Ibid., p.6.

35 Ibid. p.7.

36 Roscelli. – Simonotti (2007) (2006).

37 In questo caso, il termine “ordinario” è utilizzato nel senso di un valore relativamente stabile nel tempo. Un concetto che
non coincide necessariamente con quello di valore normale quale prezzo di equilibrio o prezzo naturale attorno a cui gravitano
i prezzi di mercato.
Il catasto a valori e redditi: alcune considerazioni 17

semestre del 2004 al secondo semestre del 2008, in cui le quotazioni sono aumentate del 29,6%, ed
un secondo periodo, dal secondo semestre 2008 al secondo semestre 2011, in cui le quotazioni sono
rimaste sostanzialmente ferme, con una variazione percentuale nel periodo dello 0,23%. E’ dunque
vero che l’andamento dei valori varia nel tempo anche in modo significativo.

Figura 2 Indice quotazioni e variazioni semestrali (Fonte: OMI-Agenzia del Territorio)

140,0 6,0%

129,4 129,6 129,3 129,9 129,9 5,0%


129,0 128,8 128,7
130,0 127,6

124,0

120,6 4,0%
120,0
116,3

3,0%
110,8
110,0 107,8

103,6 2,0%

100,0
100,0
1,0%
3,56%

4,07%

2,82%

4,96%

3,66%

2,83%

2,89%

1,43%

90,0
0,0%
0,18%

0,47%
0,42%
-0,02%

-0,03%
-0,22%
-0,44%
80,0 -1,0%
20041 20042 20051 20052 20061 20062 20071 20072 20081 20082 20091 20092 20101 20102 20111 20112

Tassi di variazione Indice quotazioni valori

Nella successiva Figura 3 è riportato, di nuovo, l’indice delle quotazioni delle abitazioni, calcolato
però su base annua e non semestrale, questa volta, assieme al numero indice delle quotazioni dei
canoni delle nuove locazioni, al numero indice degli affitti elaborato dall’ISTAT e al numero indice dei
prezzi al consumo NIC dell’ISTAT. Una prima evidenza è che anche i canoni da locazione variano nel
tempo in modo significativo.
Le nuove locazioni aumentano di oltre il 16% tra il 2004 ed 2008, per poi ridursi del 2,3% tra il 2008
ed il 2011. L’indice dei canoni di locazione su tutti i contratti in essere, rilevati dall’ISTAT, proprio
perché riflette i meccanismi contrattuali che stabilizzano l’andamento temporale dei canoni, aumenta
nel primo periodo anzidetto del 9,8%. Successivamente tra il 2008 ed il 2011 l’indice continua ad au-
mentare di un ulteriore 7,1%.
18 Gianni Guerrieri

Figura 3 Indice quotazioni valori, indice canoni nuove locazioni , indice affitti ISTAT, indice dei prezzi NIC
(Fonte: nostre elaborazioni su dati OMI-Agenzia del Territorio e ISTAT)

L’andamento difforme nell’ultimo periodo tra l’indice degli affitti ISTAT e l’indice dei nuovi canoni di
locazione dipende proprio dal fatto che l’indice degli affitti ISTAT riguarda sia lo stock di locazioni, i
cui canoni si muovono contrattualmente per il periodo di durata del contratto con l’andamento del-
l’inflazione, sia il flusso dei nuovi canoni di locazione, che sono determinati da un insieme di variabili
(l’inflazione passata non recuperata, l’inflazione attesa, il rendimento alternativo dell’impiego del ca-
pitale immobilizzato nell’abitazione e, quindi, anche il valore attuale del capitale immobilizzato).
L’inflazione dei prezzi al consumo, nei due sottoperiodi considerati, registra un incremento del 9,54%
tra 2004 e 2008 e un incremento del 5,72% tra 2008 e 2011.
Le quotazioni dei valori, invece, crescono su base annua del 27% circa nel primo sotto periodo e ri-
mangono ferme (+0,3% nel complesso) tra il 2008 ed il 2011.
Appare evidente, che seppure attenuati, anche i redditi medi da locazione presentano andamenti va-
riabili nel tempo, per la maggior parte spiegabili con l’andamento dell’inflazione, ma in relazione alla
frazione dei canoni oggetto annualmente dei rinnovi contrattuali, i redditi medi sono correlati all’an-
damento dei valori e dei rendimenti alternativi a parità di rischio (astrattamente sintetizzabili dal tasso
di interesse monetario).
Dal punto di vista esclusivamente empirico, quindi, alla verificata instabilità dei valori di mercato
degli asset, non corrisponde una alternativa piena stabilità dei redditi da locazione.
Vi è, tuttavia, una ragione specifica per cui il reddito normale (ordinario) da fabbricati non ha quelle
caratteristiche di stabilità implicitamente richieste dalla “normalità”. «[L’edilizia] produce redditi che
dipendono strettamente da un fattore esogeno mutevole costituito dalla rendita di posizione, il che
riduce il secondo vantaggio del sistema in esame, ossia la relativa stabilità nel tempo dell’imponibile,
quanto meno in termini comparati tra i vari cespiti. Una parola di chiarimento a questo riguardo è ne-
cessaria perché la vecchia concezione, che è importante per capire la genesi e la crescita del catasto
edilizio italiano, appare basata sull’assunto di una struttura delle rendite urbane piuttosto stabile in
quanto determinata da un modello essenzialmente monocentrico di organizzazione dello spazio ur-
bano. Tale modello, infatti, tende a generare una struttura dei valori poco sensibile al variare del
Il catasto a valori e redditi: alcune considerazioni 19

tempo nel senso che, se la città si sviluppa, tutti gli edifici si troveranno a valere di più, ma senza che
i corrispondenti rapporti siano alterati (ed è questo naturalmente ciò che è importante nel catasto:
non tanto il valore assoluto, quanto la corretta rappresentazione dei valori relativi).
Cosa è successo, dunque, che ha reso mutevole un elemento così determinante per la validità del
catasto qual è la struttura delle rendite urbane? È successo che le città italiane si sono notevolmente
modificate negli ultimi decenni e mostrano ancora oggi una dinamica piuttosto accentuata sia nel-
l’organizzazione fisica degli spazi sia e soprattutto nell’utilizzazione pratica degli spazi stessi».38
Non è un caso, del resto, che, nel sistema di tassazione italiano, le rendite catastali sono state utilizzate
(prima dell’introduzione dell’ICI) come base imponibile solo per i redditi figurativi. I redditi relativi agli
immobili locati sono tassati sul reddito effettivo.
Ne segue che il riferimento alla “normalità”, anche in un senso analiticamente meno profondo di
quello connesso ai valori di “equilibrio” o alle “posizioni di lungo periodo”, non può contenere impli-
citamente un concetto di ordinarietà di lungo periodo – di stabilità – riconducibile ad un mondo (che
non c’è più, ma comunque fondamentalmente agricolo) anch’esso stabile nel tempo.
Il riferirsi ad un valore patrimoniale su base catastale deve quindi rinviare, ormai, ad un concetto più
prosaico e strumentale di “media dei valori relativi ad un periodo di riferimento” e non può che im-
plicare un sistema di aggiornamento periodico di tale “media”. 39
Se questo è l’orizzonte di riferimento, la questione dell’instabilità viene meno dal punto di vista con-
cettuale, rimanendo invece aperto dal punto di vista della definizione empirica di una “media dei va-
lori”. Tale aspetto, peraltro, si pone sia con riferimento ai valori patrimoniali che ai redditi da locazione.
La seconda critica, evidenziata nel paragrafo precedente, attiene al differimento sistematico del va-
lore di mercato dal valore di capitalizzazione del reddito medio ordinario che può dipendere dalla di-
versa obsolescenza tecnico-funzionale dei beni immobili nel tempo, dalla variazione del valore della
rendita del terreno derivante dai vincoli urbanistici o da vincoli di natura culturale.
Anche lasciando da parte il concetto di “reddito medio ordinario”, per quanto sopra argomentato in
merito al problema dell’instabilità, è vero che il canone di locazione corrisponde all’utilizzo corrente
dell’immobile e alle sue caratteristiche correnti. Mentre il valore di un bene può dipendere dalle sue
potenzialità.
Al riguardo si deve anzitutto partire dalla constatazione che nel reddito corrente si riflettono anche i
differenziali delle rendite di posizione tra i diversi territori di una città o tra comuni, analogamente a
quanto accade al sistema dei valori patrimoniali.
A titolo di esempio, nella Figura 4 sono riportati, per le abitazioni della città di Milano dell’anno 2011,
i differenziali dei canoni di locazioni e dei valori patrimoniali, rispetto ai corrispondenti minimi, per
ciascuna zona. Le zone, in senso orario, vanno da quelle centrali (lettera B), a quelle semicentrali (C),
a quelle periferiche (D) ed, infine, a quelle suburbane (E).

38 Muraro (1998).

39 Si consideri anche quanto affermava S. Steve anche con riferimento al catasto dei terreni: «In effetti si può ritenere che il man-
tenimento dell’accertamento catastale per il reddito dei terreni sarà, alla lunga, condizionato a una trasformazione tecnica che
renda possibile la revisione, anche a scadenza annuale, delle tariffe d’estimo e del reddito attribuito alle singole particelle, in
modo da tener conto rapidamente delle variazioni dei prezzi e dei costi che alterino in modo rilevante la posizione relativa delle
diverse colture e dei diversi terreni. In questo senso, e cioè per il mantenimento del catasto a condizione che esso sia reso
flessibile, si è pronunciata da ultimo la Commissione per la riforma tributaria [ndc si tratta della Commissione presieduta da C.
Cosciani del 1962-1963]». Steve (1976). A fortiori ciò si estende, mutatis mutandis, al catasto fabbricati.
20 Gianni Guerrieri

Figura 4 Differenziali rispetto al valore minimo dei canoni di locazione e dei valori patrimoniali a prezzi di mercato. Anno 2011 - Milano
(Fonte: nostre elaborazioni su dati OMI-Agenzia del Territorio)

! " "

! "
! " "

Appare evidente che i due differenziali si muovono in modo del tutto simile e che quindi i differenziali
relativi, che riflettono il diverso apprezzamento delle singole zone della città, sono abbastanza omo-
genei tra canoni di locazione e quotazioni di mercato. Pertanto, gli assetti urbanistici e l’infrastruttura
urbana che caratterizzano le diverse zone di una città si riflettono in modo analogo, in termini relativi,
sia sui valori che sui redditi.40
Nel valore patrimoniale, tuttavia, possono riflettersi anche potenzialità di valore non rilevabili dal fabbricato
oggettivamente esistente e derivanti dalle regole urbanistiche (vincoli, ma anche nuove opportunità).
Si ipotizzi il seguente caso. Esiste un edificio insistente su una particella di terreno solo parzialmente
edificata rispetto alla previsione degli atti urbanistici (piano regolatore, concessione edilizia, ecc.) e
quindi con una parte, oggi utilizzata a parco, ancora suscettibile di edificazione. Supponiamo che
questo bene (edificio con parco) sia dato in locazione dal proprietario. Il reddito ritraibile deve cor-
relarsi all’utilizzo attuale (supponiamo ad uffici) e alle caratteristiche attuali dell’immobile (edificio ad
uffici più parco). Il valore incorporato dal bene, invece, include necessariamente anche il valore della
potenzialità edificatoria ancora esistente. E’ evidente, in questo caso, che il valore calcolato mediante
la capitalizzazione del reddito corrente (supposto questo anche uguale a quello medio ordinario) non
può che risultare diverso dal valore corrente di mercato del bene stesso. Questo ragionamento può
essere ampliato anche alle variazioni delle regole urbanistiche che nel tempo possono far variare i
valori, lasciando invece immutati i redditi correnti finché non si assiste al mutamento delle caratteri-
stiche del bene (utilizzo, edificabilità, ecc.).41

40 Analoghe conclusioni sono state verificate anche per Roma e Napoli.

41 Per esempio, recentemente le diverse normative succedutesi (nazionali e regionali) sul cosiddetto “piano casa” hanno previsto,
in casi specifici, la possibilità di sopraelevazione. In pratica, un incremento delle cubature edificabili per immobili che avevano
ormai conseguito il massimo di edificabilità consentite dalle regole urbanistiche previgenti. Anche in questo caso, ovviamente, il
valore del bene è incrementato, mentre il reddito, correlato all’uso del bene cosi come attualmente configurato, non dovrebbe
subire alcuna variazione.
Il catasto a valori e redditi: alcune considerazioni 21

Al riguardo, si deve svolgere una duplice considerazione. La prima concerne il fatto che questa diva-
ricazione, da un punto di vista teorico, si chiude se nel reddito corrente si includesse anche il reddito
maturato (o atteso) in termini di capital gain. In tal caso, infatti, il valore di mercato e quello derivante
dalla capitalizzazione dei redditi tenderebbero ad uniformarsi. Si può apprezzare la rilevanza di questo
aspetto se si riflette sull’ampia frazione dello stock immobiliare non utilizzato esistente in Italia (per
le abitazioni talvolta, vi è un sottoutilizzo con l’impiego parziale nei soli periodi di ferie). La logica eco-
nomica di mantenere la proprietà di immobili totalmente o parzialmente inutilizzati può essere
ravvisata solo nell’attesa di un reddito da plusvalenza che rappresenta l’unico reddito che matura
nel tempo. Per cui, oltre a quanto già argomentato in merito alla debolezza di un reddito normale
ordinario, il concetto di ordinarietà tende ad attenuarsi se si dà rilevanza e si incorpora nella misura
del reddito anche la plusvalenza maturata in conto capitale per la variazione di valore dell’immobile.
La seconda considerazione è, invece, assolutamente empirica e riguarda specificamente la rilevazione dei
valori medi per finalità catastali. Questi non possono che riferirsi ai valori correlati agli utilizzi e alle carat-
teristiche correnti del bene immobile. Infatti, la dimensione dei problemi valutativi è tale per cui è impossibile
costruire un sistema catastale basato su stime puntuali, che colgano anche l’influenza sul valore delle va-
riabili urbanistiche e vincolistiche. La stima non può che essere effettuata su basi valutative di massa (mass
appraisal), utilizzando campioni di unità immobiliari ordinarie (questa volta si !) nel senso specifico che de-
vono rappresentare tipologicamente e per utilizzo le caratteristiche più frequenti e rilevanti che
determinano il valore dell’immobile. D’altra parte, le regole della tassazione patrimoniale in Italia, sia con
l’ICI che con la nuova IMU, indicano, almeno per le aree o porzioni di aree edificabili, una determinazione
della base imponibile che prescinde dalla rendita catastale ed è fondata sul valore venale.42
Per quel che attiene ai vincoli di «natura culturale» la questione è più delicata. Esistono sicuramente
casi singolari in cui il reddito netto ritraibile dal bene potrebbe tendere a zero (le spese di manuten-
zione e gestione superano i redditi derivanti dalla locazione del bene) e, nel contempo, il valore del
bene, per le sue caratteristiche storico-artistiche, potrebbe risultare elevatissimo. In tal caso, quindi,
il tasso di rendimento di quell’immobile è sistematicamente inferiore a quello ”normale”. La
questione è che per i beni oggetto del mercato immobiliare è poco realistico ipotizzare la piena uni-
formità dei saggi di rendimento. La tendenza all’uniformità esiste senz’altro, ma all’interno di una di-
stribuzione che vede alle code i particolari casi di cui è costellato un patrimonio immobiliare
stratificatosi nel tempo (in Italia poi in centinaia d’anni di storia). In questi casi è del tutto ovvio che il
valore di capitalizzazione del reddito medio ordinario dia risultati sistematicamente diversi dal valore
di mercato se il tasso di capitalizzazione è quello dei beni immobili “ordinari”. Il tasso di capitalizzazione
dei beni storico-artistici è normalmente inferiore a quello dei beni “ordinari”.
Il tema che si apre, a questo riguardo, è semmai un altro: quello legato all’utilizzo del valore patrimo-
niale quale indice di capacità contributiva. È del tutto chiaro che le imposte si pagano con il reddito
effettivo corrente. Il valore patrimoniale in linea generale rappresenta un indice di capacità contribu-
tiva ed è anche positivamente correlato, in termini statistici, al reddito. Se quindi si determinano i
valori imponibili di quegli immobili, pur trattandosi di situazioni singolari e limitate, con riferimento ai
valori medi correnti di mercato, è evidente che si può creare una effettiva distorsione proprio in ter-
mini di capacità contributiva. La correzione, tuttavia, dovrebbe essere ricercata non nell’ambito della
determinazione estimativa della base imponibile, ma semmai all’interno della struttura del tributo pre-
vedendo in sede di determinazione dell’imposta (mediante deduzioni, detrazioni, aliquote speciali o
agevolate, esenzioni) la graduazione e la flessibilità necessarie a trattare questi casi speciali.

42 Questa opzione giuridicamente inappuntabile, presenta poi enormi problemi applicativi. Tant’è che i comuni hanno attuato
scelte volte a una sorta di parametrazione dei valori a criteri più o meno oggettivi, surrogando, di fatto, una sorta di “valore
catastale” anche per le aree edificabili.
22 Gianni Guerrieri

Infine, rispetto alla obsolescenza tecnico-fisica che varia nel tempo e che determinerebbe anch’essa
una divergenza sistematica tra valore di capitalizzazione del reddito medio e valore di mercato, si ri-
tiene che il suo effetto, in realtà, si rifletta in termini relativi tra unità immobiliari diversamente obso-
lescenti, in misura simile sia in termini di reddito che di prezzo di mercato, analogamente a quanto
osservato per diversi assetti urbanistici delle zone di una città.
Le critiche descritte nel precedente paragrafo, cui si è cercato di argomentare sostenendo sostan-
zialmente la loro non definitività rispetto alla scelta di istituire un catasto anche a valori, si chiudono
identificando operativamente quale base imponibile per una tassazione patrimoniale, se proprio deve
essere determinata, la capitalizzazione del reddito mediante un tasso convenzionale, in modo da ot-
tenere un valore ordinario stabile nel tempo.43
D’altra parte, secondo tali critiche, per ottenere il reddito non si può applicare un tasso di rendimento,
più o meno convenzionale, ad un valore di mercato.
Fermo restando che tale stabilità è tutta da dimostrare, perché dipende non solo dal tasso di inte-
resse, posto invariante in quanto convenzionale, ma anche dalla stabilità del reddito - condizione
quest’ultima che, come si è visto, non è data a livello empirico -, la soluzione proposta contiene un
grave difetto, in quanto introduce una forte e arbitraria iniquità tra le diverse capacità contributive
incorporate nei diversi valori dei beni.
Anzitutto, va ricordato che la tassazione patrimoniale ha un senso in quanto il valore patrimoniale
rappresenta un indice di capacità contributiva. La capacità contributiva, se misurata mediante il valore
patrimoniale, non può che concepirsi come potenzialità di entrata (e di spesa) non solo per i redditi
correnti che può generare e le relative plusvalenze, ma anche per esempio, come strumento per am-
pliare la capacità di spesa potendo offrire il bene a garanzia di prestiti.44 In tal senso, il valore patri-
moniale deve poter misurare, in termini relativi tra un contribuente e l’altro, per un determinato
periodo, quella “potenzialità” anzidetta.
Qualora per la determinazione del valore imponibile si adottasse un tasso di interesse convenzionale
ai redditi figurativi, otterremo un valore imponibile (e una misura della capacità contributiva) non solo
convenzionale ma del tutto arbitraria. Supponiamo un bene con caratteristiche ordinarie (quindi
né bene storico-artistico, né contenente potenzialità edificatorie) la cui rendita catastale sia calcolata
esattamente pari al canone di locazione di mercato al netto delle spese. Assumiamo, poi, un tasso
convenzionale cui capitalizzare i redditi (per semplicità si assume una rendita perpetua). Il risultato
cui si andrebbe incontro nella tassazione si può analizzare formalmente nel modo seguente:
RC = RM
VC = RC/ic
ic ≠ im
im = RM/VM
dove :
RC = Rendita catastale
RM = Reddito da locazione di mercato
VC = Valore patrimoniale catastale
VM = valore patrimoniale di mercato
ic = tasso di capitalizzazione convenzionale
im = tasso di rendimento netto di mercato

43 Cfr. Forte (2007).

44 Il bene immobiliare è capitale non solo (e forse non tanto) in quanto parte dei mezzi necessari alla produzione o al soddisfaci-
mento di un bisogno (valore d’uso immediato), ma in quanto la sua proprietà (registrata e certa) incorpora un valore che può, me-
diante il sistema creditizio, attivare nuovo flusso di capitale da impiegare nel processo di accumulazione o nei piani di consumo
in un orizzonte di «ciclo vitale».
Il catasto a valori e redditi: alcune considerazioni 23

La tassazione patrimoniale (Tpc) su base catastale sarebbe pari a:


Tpc = tp VC;
mentre quella sulla base del valore di mercato (Tpm):
Tpm = tp VM
dove:
tp è l’aliquota dell’imposta patrimoniale.

Operando le adeguate sostituzioni, la differenza tra le due modalità di tassazione si può esprimere

∆ Tp = Tpc – Tpm = tp (RC/ic - RM/im) = tp RM(1/ic - 1/im)


come:
[1]

∆ Tp = 0 se ic = im
Pertanto

∆ Tp < 0 se ic > im
∆ Tp > 0 se ic < im

Per l’unità immobiliare cui corrisponde un tasso convenzionale superiore al tasso di rendimento netto
di mercato, si avrà un vantaggio fiscale, in termini relativi, rispetto alla situazione contraria. In altri
termini, nel primo caso la base imponibile sarà inferiore a quella del bene valutato ai prezzi di mercato
(correlata alla effettiva capacità contributiva), nel secondo caso avviene il contrario. Da questo punto
di vista, l’esito sarebbe anche criticabile in base ad un approccio produttivistico, in quanto sarebbero
penalizzati, in termini relativi, i contribuenti che riescono ad ottenere dal loro investimento immobiliare
un tasso di rendimento più elevato.45
Questa è l’iniquità implicita a un sistema in cui la tassazione patrimoniale è applicata a valori catastali
determinati sulla base della capitalizzazione a un tasso convenzionale della rendita (che esprime il
canone di locazione medio netto di mercato). Iniquità misurata dalla distanza rispetto a un importo
della tassazione applicata ai valori patrimoniali di mercato.
Questa è una delle iniquità dell’ICI (e ora dell’IMU). Si rammenta, infatti, che i moltiplicatori che si ap-
plicano alla rendita (almeno quelli originariamente previsti per l’ICI e l’imposta di registro) rappresen-
tano il reciproco dei tassi di capitalizzazione convenzionale delle rendite. La loro «convenzionalità»
è data non solo dall’esprimere, almeno originariamente, un’approssimazione a un tasso medio nazio-
nale per le diverse tipologie catastali, ma ancor di più dal fatto che, a partire dalla metà degli anni
2000, prima per l’imposta di registro e poi anche per l’ICI (ancor più per l’IMU) i moltiplicatori sono
stati ampiamente variati senza alcuna correlazione a qualche fatto economico specifico, ma, appunto,
avvalendosi della loro «convenzionalità».
Quindi, ai fini della tassazione patrimoniale, è opportuno riferirsi ai valori di mercato valutati sulla
media di un periodo, stimati mediante opportune tecniche di mass appraisal che approssimino per
quanto possibile la stima al valore di mercato degli immobili nella loro condizione d’uso (quindi al
netto delle potenzialità edificatorie e dell’high best use), lasciando a un approccio diverso e diretto –
il valore venale di mercato -, la determinazione della specifica base imponibile per le potenzialità edi-
ficatorie.
Tuttavia, nel trattare la materia della determinazione degli imponibili, come si è già accennato, si deve
tener conto della dimensione dei problemi applicativi dipendente dalla numerosità ed eterogeneità

45 Tale approccio produttivistico, come si è già accennato, legato ai concetti di normalità e stabilità delle basi imponibili
catastali, è comunque assai criticabile per i fabbricati.
24 Gianni Guerrieri

del patrimonio immobiliare (in Italia oltre 60 milioni di unità immobiliari esclusi i terreni). Già si è detto
che alla stima puntuale del valore di mercato debbono preferirsi, per quanto possibile, tecniche sta-
tistiche che correlino il valore del bene alle caratteristiche del bene stesso mediante opportune tec-
niche regressive. Questa modalità implicitamente accetta la presenza dell’approssimazione statistica
e tollera l’errore statistico.
Non vi è dubbio, a questo riguardo, che l’impiego di un tasso di capitalizzazione convenzionale può
rappresentare un’ulteriore notevole semplificazione per il calcolo dei valori da utilizzare quale base
imponibile, a patto di aver determinato i redditi sulla base di quelli correnti di mercato (questi semmai
con le stesse tecniche statistiche sopra accennate). Data l’iniquità del trattamento tributario cui si
va incontro, la scelta dell’utilizzo o meno di un tasso convenzionale (e a quale livello), a fini di sem-
plificazione dei processi di determinazione delle basi imponibili, diventa una scelta eminentemente
politica e non tecnica, relativamente al grado di iniquità politicamente accettabile a fronte di una
semplificazione della determinazione delle basi imponibili.46
Il problema è identico qualora il tasso convenzionale sia utilizzato per determinare i redditi (le rendite)
a partire dal valore di mercato. In questo caso tuttavia, ipotizzando che la tassazione patrimoniale
avvenga quindi con un valore catastale pari al valore di mercato, l’iniquità si sposta sulla tassazione
dei redditi figurativi. Peraltro, in tale caso, il relativo vantaggio fiscale andrebbe a chi ritrae un rendi-
mento netto di mercato superiore a quello convenzionale. Infatti, riscrivendo la [1] sulla tassazione
dei redditi figurativi e assumendo VM = VC e tr quale aliquota proporzionale dell’imposta sul reddito,
avremo:

∆ Tr = Trc – Trm = tr (VC x ic – VM x im) = tr VM(ic - im) e quindi


∆ Tr = 0 se ic = im
∆ Tr > 0 se ic > im
∆ Tr < 0 se ic < im

Anche in questo caso la scelta sull’utilizzo a fini di semplificazione applicativa, diventa politica e non
tecnica.
Nondimeno, le tecniche e le scelte debbono tener conto, come si è già accennato, del concreto si-
stema di tassazione immobiliare vigente: anche l’ottica della semplificazione può assumere orienta-
menti diversi a secondo del peso relativo delle imposte con base imponibile patrimoniale e di quelle
con base reddituale.

Conclusioni
Si è cercato di mettere in evidenza l’accresciuta iniquità che contraddistingue la tassazione immobi-
liare di natura patrimoniale e quindi la necessità di costruire un sistema catastale che, da un lato,
rimuova tali iniquità e, dall’altro, sia funzionale alla tassazione di natura patrimoniale che recente-
mente, con l’IMU, è divenuta predominante in quanto i redditi immobiliari sono tassati solo sul va-
lore effettivo, essendo stata esclusa la tassazione sui REDDITI FIGURATIVI (ovvero sulle rendite catastali).
Il problema è come determinare la base imponibile di un’imposta patrimoniale. Il riferimento ai valori
di mercato (seppure medi rispetto a un periodo di tempo) è fortemente criticata da alcuni studiosi,
in quanto i valori sono eccessivamente volatili e non riflettono la capitalizzazione dei redditi per via
degli effetti dell’obsolescenza tecnico-funzionale dei beni, dei vincoli di natura urbanistica e di
quelli di natura culturale. In realtà, la volatilità degli andamenti nel tempo riguarda i valori di mer-

46 Ovviamente tutto ciò apre alla questione del rispetto dei principi costituzionali.
Il catasto a valori e redditi: alcune considerazioni 25

cato ma anche i redditi di mercato. Per quanto concerne poi gli effetti dei vincoli urbanistici e cul-
turali la questione esiste, ma non può considerarsi nell’ambito della valutazione catastale del valore
dei beni e va risolta nell’ambito della struttura del tributo (tassazione in base al valore venale per la
potenzialità edificatoria e agevolazioni per i beni storico-artistici).
Tali criticità, pertanto, non possono rappresentare un limite al riferimento ai valori di mercato per la
determinazione dei valori catastali.
L’alternativa a questo approccio è quello della capitalizzazione dei redditi mediante un tasso di inte-
resse convenzionale. Si è dimostrata, tuttavia, l’iniquità cui porterebbe tale soluzione (peraltro quella
di fatto adottata per l’ICI e ora per l’IMU).47
In definitiva, a fronte di una tassazione immobiliare in cui prevale l’imposizione sui valori patrimoniali
o sui prezzi delle transazioni ed è ormai irrilevante la tassazione sui redditi figurativi, risulta del tutto
logica e fondata la costruzione di un catasto a valori ed il mantenimento di un catasto a redditi quale
forma di ausilio all’accertamento dei redditi effettivi da locazione.
Nondimeno, il riferimento ai valori di mercato non rappresenta un sentiero facile da percorrere, in
quanto l’eterogeneità del patrimonio immobiliare italiano e la modesta entità del suo mercato (solo
il 2,8% dello stock di abitazioni è stato compravenduto negli anni del picco positivo del mercato),
comporta una ristrettezza della quantità dei dati disponibili per effettuare analisi statistico-economi-
che. In ogni caso è l’unica strada che può portare a un sistema di determinazione dei beni imponibili
sostanzialmente più equo.

47 Si consideri, peraltro, che l’impiego di un tasso convenzionale rende assai più manovrabile la base imponibile “patrimoniale”,
rispetto ad una determinazione diretta di quest’ultima su base catastale.
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