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Walter Pierpaoli e Pippo Zappulla

Centoventi e passa, di media


Vivere bene, invecchiare giovani e morire sani

Studi clinici, effettuati per la prima volta sull’uomo, dimostrano in maniera


inconfutabile che la melatonina, da sola, è in grado di invertire straordinariamente il
processo di invecchiamento

Presentazione (di chi?)

Indice

Cap. 1 - Invecchiare mantenendosi giovani

Cap. 2 – Faust e il mito

Cap. 3 – Un mondo al femminile

Cap. 4 – Si salvi chi può

Cap. 5 – Il fondamento della salute

Cap. 6 - Il trapianto di pineale

Cap. 7 - La sperimentazione animale

Cap. 8 – Funzione della pineale e invecchiamento

Cap. 9 – La ghiandola pineale e la melatonina

Cap. 10 – I parametri clinici dell’invecchiamento

Cap. 11 – La menopausa, classico segno d’invecchiamento biologico

Cap. 12 – La conferenza di Berkeley e la melatonina

Cap. 13 – Melatonina e invecchiamento

Cap. 14 – Come mantenersi in buona salute, a contatto con la natura

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Cap. 15 - Me l’ha prescritto il medico! Attività sessuale e sistema immunitario

Cap. 16 – La ricerca scientifica e la medicina pratica

Cap. 17 – Odisseo, chi era costui?

Cap. 18 – Le Conferenze di Stromboli su Cancro e Invecchiamento

Cap. 19 – Il diabete

Cap. 20 – AIDS

Cap. 21 – Le patologie

Cap. 22 – Domande ricorrenti. FAQ (Frequent Asked Questions)

Cap. 23 – Risposte veloci

Concludendo

Appendici

A. Lettere

B. Lavori scientifici

Bibliografia

Prefazione

Mi guardo in giro nel mondo del 2002, e mi sforzo di far mie le probabili
considerazioni di un bambino dei nostri giorni. Per scrivere questa introduzione,
senza cadere nelle banalità della retorica, cerco nella mia remota infanzia
emozioni e sentimenti struggenti e lontani.
Non ho altra scelta. Vi siete mai chiesti con quanto distacco e disincanto noi
‘adulti’ guardiamo al divario che esiste tra ciò che chiamiamo Realtà, e la Natura
(o quello che ne è rimasto)? Oppure: chi ha ancora tempo per meditare e riflettere,
senza che venga divorato dalla voragine del temporaneo, dal narcisismo
imperante, che sfocia e si autoalimenta nella ‘narcosi perenne’?
Visti quindi con gli occhi di un bambino, ecco i tre motivi che hanno fatto maturare
in me l’idea di questo libro.
1) Ho conosciuto Pippo Zappulla, ed è lui lo scrittore che sa realizzare queste
cose con la sua arte.

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2) Abbiamo imparato a rispettarci e ad amarci, e da qui si è manifestata la fiducia
e la serenità che ci fa trovare espressioni entusiasmanti ed esilaranti, come
due bambini perduti in un gioco all'aperto. Ci divertiamo da matti.
3) Abbiamo da raccontare avvenimenti e vicende che lasceranno un solco
indelebile; ne siamo certi, anzi certissimi. Sarebbe un peccato se le
meravigliose notizie scientifiche che riguardano la salute di tutti, rimanessero
qua e là nascoste nel mio cassetto, più o meno in pezzi slegati fra loro. A che
sarebbero allora serviti i miei quarant’anni d’attesa?

Pippo mi ha chiesto di scrivere un’introduzione a questo libro, e io mi sono detto:


«se voglio che serva a qualcosa, devo rifletterci su bene».
Ho preso quindi il coraggio a due mani e, giusto o sbagliato che sia, ho deciso di
mettere nero su bianco quello che penso del mondo, e dei bipedi che lo popolano
(coprendolo, ormai quasi del tutto, di arti e di membra).
Io, il mondo lo vedo così: a un bivio straordinario. Ignoro cosa potrà accadere in
futuro.
So però con certezza che tutti hanno, di nuovo, fallito; e in particolare gli
assatanati accentratori di denaro e potere, inconsci strumenti di ataviche neurosi.
Infatti, costoro hanno semplicemente dimenticato di essere destinati alla
decrepitezza e alla morte, e ‘giustamente’ non hanno nessuna intenzione di porvi
mente. Non ne hanno il tempo, perché la loro agenda è zeppa di impegni
irrevocabili e solenni.
Poi, improvvisamente, parte un trombo o scoppia un vasellino: fine della narcosi.
Omini, più o meno verbosi, quelli prigionieri dei propri bagni con i rubinetti d'oro,
ma anche quelli dallo spirito spartano ed emuli del buon samaritano, hanno
inventato il mondo come noi lo vediamo ora, cadente, e si sono autoproclamati, di
volta in volta, economisti, sociologi, banchieri, finanzieri, imprenditori, professori.
Hanno costruito il mondo, ma non hanno compreso una verità elementare. E cioè,
che l'economia del profitto è una patologia, e porta a sicura rovina.
Il prevedibile e irreversibile crollo, cui stiamo assistendo, della ‘crescita perenne’,
specchietto irresistibile per i piccoli investitori, ne è la sicura riprova.

Ora però parliamo di cose serie. Vale a dire della salute: in fondo, non è forse il
nostro unico bene, anche se ci hanno raccontato che le sofferenze (comunque e
sempre inevitabili!) ci nobilitano?
Io mi chiedo: ma il mondo non funzionerebbe forse meglio se non esistessero
dolori e sofferenze e se, nel nostro caso, la vecchiaia non fosse accompagnata da
una serie infinita di guai?

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Allora, perché, almeno, non provare?!
Scuotiamoci quindi dalla narcosi nella quale ci hanno precipitato i dottori, e
scendiamo dal letto a baldacchino pieno di ragnatele sul quale la Bella
Addormentata nel Bosco giace da secoli. Scuotiamoci dalla narcosi e…
rinasciamo.
Anni fa un necrofilo qui dei dintorni, come ce sono purtroppo tanti in circolazione,
quelli cioè che hanno la morte nel cuore, dopo avere ascoltato esterrefatto i
ragionamenti che gli andavo esponendo, così come sono del resto riportati in
questo libro, mi apostrofò scandalizzato: «Ma la vita è una cosa seria»!
Evidentemente la stupidità (per non parlare poi della necrofilia!) ha radici profonde.
La gioia di vivere ha molti nemici, geneticamente agguerriti. Sono quasi invincibili.
Non mi sembra perciò il caso di dilungarmi in strazianti lamenti e accorati appelli:
la Selezione Naturale, vale a dire il ‘si salvi chi può’, funziona in automatico:
lasciamo una volta ancora che sia la Natura a operare una selezione tra chi
capisce, e si adegua (specialmente le donne, naturalmente!), e chi invece ritiene di
avere un cervello tutto corteccia, e ignora quanto c'è sotto: l’atavico e vero
cervello dell'anima che si trova nell’ippocampo.

Walter Pierpaoli

Prologo

Una mattina di luglio Walter si è messo a parlare di questo e di quest’altro, e anche

delle sue scoperte. Visto che non la finiva più, gli ho piazzato davanti il registratore. Ne

è venuto fuori un libro, ed è questo, fra l’altro, il motivo per cui esso viene pubblicato

adesso sotto forma d’intervista.

La teoria di Walter si può riassumere così: assumendo una semplicissima molecola

naturale, che si chiama melatonina, da pochi soldi (perché non è possibile brevettarla,

poi vedremo perché), possiamo vivere a lungo, molto a lungo, lucidi, e sani come

pesci; poi, quando si è piuttosto avanti con gli anni, si assume un’altra diavoleria che

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lui intanto sta studiando, e si va avanti per un altro bel po’ di anni. Infine, a 120 anni

suonati, ci si addormenta, e la mattina dopo non ci si sveglia più.

Interessante, no? Ora io dico, anche senza voler essere fanatici a tutti i costi: mettiamo

che lui abbia sbagliato i calcoli; invece di 120 saranno 105, a me va bene lo stesso, e

senza malattie, che ve ne pare?

Al momento in cui scriviamo, Walter ha 66 anni e io ne ho (appena) 60. In altre epoche

saremmo stati due vecchietti male in arnese, mentre oggi tutti ci considerano due

signori di mezz’età (in senso letterale, badate!); ci siamo infatti proposti come

traguardo i 120 anni (di media): me l’ha promesso Walter, e io gli credo!

In ogni caso, quando leggerete questo libro, magari fra 30 o 40 anni, e vi renderete

conto che noi due siamo già morti e sepolti, non dite subito: si erano sbagliati!

Walter infatti sostiene che ognuno ha il diritto di pensare di essere immortale, fino

all’ultimo respiro, cioè fino a prova contraria; dite piuttosto, caso mai ci fossimo proprio

sbagliati (Walter soprattutto!), ‘se ne sono andati in buona salute’, perché è

fondamentale morire sani. La stessa cosa auguriamo a voi che ci leggerete.

Inoltre, per favore, non lasciatevi ingannare dal tono leggero che ho deciso di dare a

questo prologo: credetemi, è soltanto un artifizio perché non vi possiate annoiare fin

dalle prime pagine.

Le cose che dico (che dice Walter) sono invece serissime; molte di esse sono anzi

terribilmente vere, ma nessuna potrà davvero incutervi spavento, tutt’altro! (che so: ‘se

non fate questo, invecchierete presto, sarete perseguitati dai rimorsi, ingrasserete, il

vostro colesterolo andrà alle stelle’; oppure: ‘morirete tardi ma non vi ricorderete più

dove abitate e, soprattutto, come e quando avete fatto l’ultima volta l’amore, e se è

stato ancora piacevole oppure no’, e cose di questo genere).

Noi l’abbiamo scritto per divertirci, è vero; ma, leggendo, succederà anche a voi.

Walter infatti sostiene che il mondo si divide in due categorie: quelli che pensano di

essere nati per soffrire (morte compresa); e quelli che pensano a vivere, anzi a

spassarsela.

Decidete da che parte volete stare.

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Non ha importanza chi morirà per primo, ma vuoi mettere la differenza? Quelli infatti

che fanno della preparazione alla morte lo scopo più importante per cui vivere, come

se il luttuoso evento fosse il più significativo della loro vita, sono pesantucci da

sopportare, e soprattutto non tollerano l’allegria degli altri.

E se Walter, come scienziato e ricercatore, fosse pazzo?

Ovviamente, ci ho pensato anch’io, cosa credete. Pazzo lui? Avete anche voi gli occhi,

no? E allora guardatevi in giro e fate come me: scompisciatevi dalle risate, non

aggiungo altro. Ma li leggete i giornali? E se li leggete, siete disposti a credere che sia

pazzo uno che prolunga la vita a innocenti topolini fino a tre anni e passa, mentre un

topino di razza (della stessa ‘etnia’ naturalmente) raggiunge a stento i due anni?

(sarebbe come dire 120-130 anni per l’uomo, vi sembra poco?). E il pazzo non è non

piuttosto chi pensa a organizzare guerre e massacri, ad affamare il prossimo, con

l’avallo della scienza, medicina compresa?

Se questa è pazzia, viva la pazzia!

E sarebbe, invece, sano di mente chi? per esempio.

Pippo Zappulla

Cap. 1 - Invecchiare mantenendosi giovani

La vita è l’arte del dosaggio del tempo


e della distribuzione dell’amore. (Walter Pierpaoli)

Caro Walter, dopo anni di ricerca scientifica, qual è la scoperta della tua vita,

quella che consideri più importante e significativa?

Voglio cominciare con uno scherzo. Francamente, quello che io mi sono sempre

chiesto è: che mi serve fare grandi scoperte, strepitose, se poi divento vecchio e

malandato, e crepo? Direi quindi che la scoperta più importante della mia vita è stata

quella di aver trovato la chiave di volta per rimandare nel tempo l’invecchiamento e la

morte. Avrò così più tempo per dedicarmi agli aspetti della vita che più mi interessano.

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Quindi, da un punto di vista logico e anche filosofico, io ritengo, tutto sommato, che il

successo, cioè la sfida suprema dell’uomo, è la lotta contro la morte. E non importa il

modo grazie al quale uno arriva al traguardo (con la melatonina, cioè, o con altre

molecole della pineale ecc.); ciò che conta è invece che, attraverso la ricerca

scientifica, si sia in un certo senso compiuto il mio destino di ricercatore, che è quello

di vedere realizzate le proprie scoperte. Perché, se queste rimanessero sulla carta,

non interesserebbero proprio a nessuno.

Io infatti, oltre a essere un ricercatore, sono una persona pratica, e sono anche un

medico. Mi sono preso la briga di passare quarant’anni a studiare perché si invecchia:

credo di aver capito molto, e adesso sono quindi in grado di applicare ai pazienti ciò

che ho imparato. E, fra l’altro, mi diverto a farlo.

Ora infatti dispongo del tempo di cui avevo bisogno; perché, se è vero che si invecchia

lentamente (e chissà quanto vivremo più a lungo e in buona salute!), non mi mancherà

certo l’occasione per divertirmi nel vedere realizzati gli obiettivi che intendevo

raggiungere.

Per tornare quindi alla tua domanda, credo di aver scoperto sostanzialmente la base

biologica dell’invecchiamento, avendo trovato la chiave del perché, e di come si diventi

anziani. Senza questa fondamentale scoperta, non sarei stato in grado di mettere a

fuoco le molecole di cui abbiamo bisogno per realizzare il sogno faustiano; né,

tantomeno, per vedere compiuta l’altra mia grande scoperta (e che mi è costata

un’immensa fatica), cioè la base biologica dell’immunità, quella cioè che darà il via a

una nuova era nel campo dei trapianti.

La scoperta che l'invecchiamento è ritardabile, e persino reversibile, non ha ancora

raggiunto la coscienza dei più. Infatti, il lavaggio del cervello che avviene fin dalla

nascita, imprime una visione precisa e indelebile del corso della nostra vita; in questa

visione, la presenza costante di malattie, ansie e dolori fa parte del ‘destino’ dell'uomo.

In realtà, invece, l'invecchiamento e la morte sono due entità separate e distinte che

non hanno nulla di misterioso; e che fanno semplicemente parte di un preciso

programma ormonale! Tale programma è chiaramente identificabile nella durata

massima della vita nei mammiferi omeotermi (a sangue caldo), cui l'uomo, purtroppo,

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appartiene; mentre non si conosce quanto a lungo vivano, e in quali circostanze

muoiano i poichilotermi, vale a dire gli animali a sangue freddo (pesci, rettili, anfibi) che

continuano ad andare avanti negli anni, e che muoiono poi generalmente, per quanto

ne sappiamo, di ‘incidenti’.

Quali sono state le tappe fondamentali del tuo processo di ricerca?

Si sono venuti delineando in maniera sempre più netta e marcata alcuni punti che io

reputo essenziali. Abbiamo scoperto cos’è l’invecchiamento, e ciò secondo me è più

importante di tutto il resto. L’invecchiamento infatti si basa sostanzialmente

sull’appiattimento, la scomparsa, la desincronizzazione dei ritmi ormonali.

Hai affermato da qualche parte: «Quello che gli altri studiosi della ghiandola pineale

concepivano come un semplice sintomo dell’invecchiamento, io cominciai a

considerarlo come la causa stessa dell’invecchiamento».

Io ho cominciato a pensare che, restaurando i ritmi notturni di melatonina, che hanno a

che fare con i cicli ormonali, si potessero ottenere dei benefici. Pervenni a questa

conclusione raccogliendo notizie dalla letteratura scientifica esistente, ma anche grazie

agli esperimenti condotti in laboratorio. In questo senso, uno degli esperimenti

fondamentali, e di cui parleremo in seguito in questo libro, fu quello di lasciare i

topolini, giorno e notte, esposti alla luce di una lampada. Ciò mi permise di osservare

come, alterando il ciclo giorno/notte, a partire dalla quarta generazione, i topolini non

crescevano più, e morivano prematuramente. Tutta la storia ha avuto inizio da questa

semplice osservazione, che però in precedenza nessuno aveva mai realizzato. Però,

come diceva Pasteur, la fortuna viene incontro alla mente preparata; e la mia fortuna è

stata di non avere pregiudizi di sorta. Già infatti nel 1977 avevo intuito come il bioritmo

circadiano (circa diem, cioè della durata di un giorno), con l’alternanza del giorno e

della notte, sia alla base della salute e della vita. Questa intuizione legittimava il mio

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interesse per la melatonina, come sostanza in grado (forse) di prolungare la vita. E ciò,

proprio in quanto la sua produzione è legata al ritmo circadiano, e diminuisce con

l’andare degli anni nel corso della vita. Era quindi ipotizzabile che, attraverso la

somministrazione esogena (dall’esterno) di melatonina, sarebbe stato possibile

ricostituire il ciclo primitivo, con conseguente allungamento della vita. E così infatti è

avvenuto.

Però, non ti sei fermato a questo risultato.

No, guai! Al contrario, ha scatenato interrogativi a non finire. A partire dalla questione

che, forse, nella pineale potrebbero esistere sostanze molto più potenti della stessa

melatonina; e arrivando così a ipotizzare, e quindi a eseguire, il trapianto di pineale. Fu

il primo punto fermo, che mi permise di intuire come, in effetti, non era tanto la

melatonina, da sola, a prolungare la vita, ma piuttosto la pineale stessa. Oppure, al

contrario, a impartire l’ordine d’invecchiare, come è appunto accaduto quando ho

trapiantato la pineale vecchia in un topolino giovane (che è invecchiato

rapidissimamente). C’era quindi qualcos’altro d’importante che andava ben oltre la

semplice melatonina: credo che avremo modo di parlarne diffusamente in questa

nostra conversazione. Aggiungo, per adesso, soltanto un’altra informazione, che siamo

cioè arrivati al punto in cui i principi, ampiamente sperimentati in laboratorio (pubblicati

su riviste scientifiche di prim’ordine), potrebbero già venire applicati all’uomo, in senso

profilattico e terapeutico.

Cap. 2 – Faust e il mito

Chi dice che esistono uomini vecchi?


Esistono solamente uomini giovani o uomini morti.
I cadaveri in movimento non contano. (Walter Pierpaoli)

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Tu hai appena citato il mito di Faust; ovviamente, in questo contesto non potrebbe

esistere richiamo più pertinente a uno dei sogni che l’uomo coltiva da sempre, quello

dell’eterna giovinezza e dell’immortalità. Però, rimane, appunto un sogno, che per

qualcuno potrebbe suonare addirittura blasfemo. Non sarebbe in ogni caso meglio

lasciar fare alla natura?

È una domanda che, come puoi immaginare, mi è stata posta infinite volte. A mio

avviso, l’umanità si divide in due categorie: esistono i depressi e i necrofili, che hanno

la vocazione all’invecchiamento; e poi ci sono persone che non accettano

passivamente l’idea dell’invecchiamento e della fine, e vogliono piuttosto vivere. Sono

due atteggiamenti genetici, psicologici, culturali, fortemente radicati nell’uomo, tanto

che è quasi impossibile mutarli. Ne ho conosciute di persone che non ne volevano

sapere di prolungare la loro vita! Quando è stato presentato negli Stati Uniti il libro che

ho scritto, insieme a Bill Regelson e con Carol Colman, The Melatonin Miracle, siamo

andati a far festa in un rinomato ristorante di New York. Accanto a noi, sedute a tavoli

diversi, c’erano due coppie di anziani. Abbiamo provato a chiedere loro se avevano

sentito parlare di melatonina e di come essa sia in grado di prolungare la vita. Ebbene,

una coppia apprese la notizia con entusiasmo ed eccitazione; l’altra, invece, era

piuttosto infastidita, e manifestò chiaramente di non volerne sapere né di melatonina

né di prolungamento della vita.

D’altra parte, intendiamoci: la mia non è un’aspirazione narcisistica, come se

desiderassi vivere per sempre; si tratta piuttosto di una sfida di carattere filosofico-

scientifico. Semplicemente cioè, io non credo né all’invecchiamento né alla morte.

Ritengo, al contrario, che l’uomo sia libero di pensare fino all’ultimo respiro che non sta

andando a morire. E men che meno di una qualsiasi malattia.

Se poi ciò non si verifica realmente, poco importa! Io però, fino alla fine, crederò

fermamente che l’invecchiamento è evitabile, e che noi vivremo a tempo

indeterminato; e saremo anche in grado di capire perfettamente perché si muore,

anche se in perfetta salute, per così dire. È, in sostanza, una questione che attiene alla

libertà stessa dell’uomo; il quale è libero di credere alla possibilità concreta di

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realizzare questo sogno. Un sogno che è lecito, e che ci libera da tutti i dogmi, le

remore e le inibizioni che ci sono stati inculcati.

È vero, è la sfida suprema, ma essa non ha niente di blasfemo, e fa invece riferimento

al senso gioioso e bello della vita!

Niente a che vedere quindi, con certi fenomeni, quasi da fantascienza, in cui ci si

prepara puntigliosamente a un trapasso da… surgelati, in attesa che la scienza

‘sconfigga’ (chissà, un domani) la morte?

No, infatti. Nei casi che tu citi c’è una macabra, oscena e orrenda messinscena, che

nulla ha a che vedere con l’idea dell’invecchiamento e della morte che mi appartiene,

intesa cioè come desincronizzazione ormonale del mammifero uomo; il cui cervello,

nonostante sia programmato in un certo modo, può essere però riprogrammato a

tempo debito, grazie a una corretta interpretazione del programma ormonale originario.

Non c’è niente di misterioso! Questa è la grande scoperta: l’invecchiamento è un

fenomeno biologico perfettamente interpretabile e, proprio perché tale, modificabile. La

novità è, semmai, che adesso siamo in grado di dimostrare in molti modi questa

affermazione, sia sul piano sperimentale, sia in ambito clinico, addirittura.

Delle dimostrazioni avremo modo di parlare più avanti. Però, fammi capire bene:

nonostante quanto tu affermi, esiste tuttavia, purtroppo, l’invecchiamento, ed esiste

anche la morte…

A scanso di equivoci, vorrei che fosse chiara una distinzione fondamentale: esiste un

piano di filosofia della scienza, per così dire, e in questo ambito le affermazioni o le

ipotesi hanno un determinato valore, e vanno interpretate all’interno di questo

contesto. Esiste poi un piano sperimentale, in cui le osservazioni e le scoperte

assodate, perché verificate scientificamente, non possono essere contraddette e,

tantomeno, ignorate. Nel primo caso, io posso avanzare delle ipotesi o pronunciare

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delle affermazioni, estrapolando o portando alla logica conseguenza, le mie

constatazioni; non sono però in grado di stabilire se esse sono vere o false.

Ricorro a un esempio per spiegarmi meglio: nonostante io sostenga di aver trovato la

chiave biologica dell’invecchiamento, non sono però in grado di determinare con

certezza quale sarà il mio stato di salute fra dieci anni; per poterlo stabilire, dovrei

infatti correre avanti di dieci anni, e verificare così come staranno veramente le cose a

quella data (posso dire però che oggi sto molto meglio di dieci anni fa, questo sì, e a

me basta!). Sul piano sperimentale, però, la certezza che ciò che vado affermando è

vero, io l’ho già raggiunta di fatto. Nel senso che ho già abbondantemente verificato,

per esempio, che i topolini in laboratorio, trattati in un certo modo, prolungano la loro

esistenza, in ottima salute, oltre ogni limite ipotizzabile, per la specie cui appartengono.

Quanto al resto, voglio dire, facendo questa volta le debite trasposizioni all’uomo, io

assisto costantemente a recuperi incredibili in persone anziane che applicano i miei

principi. Non si tratta quindi di un atto di fede, ma piuttosto di un atteggiamento

culturale o, se si vuole, di apertura mentale e di intelligenza (nel senso più esaustivo

del termine, e non quindi solamente come pura e fredda razionalità).

Perché, hai qualcosa contro la razionalità?

Voglio chiarire questo concetto, perché per me è fondamentale. In realtà, il cervello

‘intelligente’ è l’ippocampo, cioè la parte che costituisce la base del cervello, quella che

sta sotto, a cui fanno capo le emozioni. La ratio, invece, in genere disturba tutto il

resto. Io mi spingo addirittura ad affermare che la razionalità è una sorta di demenza;

così come, la cosiddetta intelligenza superiore, è spesso una forma di pazzia bella e

buona.

Cap. 3 – Un mondo al femminile

Dedicato alla mia ‘Dama di Cuori’. (Walter Pierpaoli)

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Intelligenza che, ricollegandoci al capitolo precedente, mi pare di capire da certi tuoi

altri scritti e discorsi, tu saresti propenso ad attribuire più alle femminucce che ai

maschietti, o mi sbaglio? Qual è in sostanza il ruolo del ‘femminile’ nell’avventura del

genere umano?

Io sono ‘femminista’ al cento per cento (lasciamo perdere il termine, in sé e per sé, che

si presta a interpretazioni che non mi trovano del tutto d’accordo, se vuoi). Nutro infatti

una totale fiducia che il mondo passerà nelle mani delle donne, e per molte ragioni.

Anni fa ho conosciuto il famoso antropologo americano Ashley Montagu, autore del

best seller The natural superiority of women, il quale affermava che la donna è

naturalmente superiore all’uomo, perché da qualche millennio a questa parte si è vista

costretta a sobbarcarsi fatiche e pesi inauditi, riuscendo tuttavia sempre a

sopravvivere, grazie alla sua innata flessibilità. La donna è, secondo me, infinitamente

più ‘intelligente’ e versatile dell’uomo. E non è affatto un caso che viva più a lungo.

E perché è più longeva? Evidentemente perché la femmina, ai fini della conservazione

della specie, è più importante del maschio, e porta su di sé responsabilità maggiori

rispetto a quest’ultimo. Se poi la situazione di oggi è quella che tutti conosciamo, ciò è

dovuto a tutte le angherie che la donna ha dovuto subire nel corso dei secoli per le

umiliazioni (per non parlare delle soppressioni sul rogo al tempo delle ‘streghe’) che le

varie religioni, la politica, il potere, le hanno inflitto in continuazione. A tal punto da

risultare totalmente spogliata della consapevolezza del proprio valore e del proprio

ruolo.

Così, la donna ha finito per essere soggiogata totalmente da questi ridicoli ometti con

tre cromosomi ‘y’, i quali, da bambini cattivi e capricciosi quali sono, e dominati dal

testosterone, debbono pur manifestare di essere in gamba, oltre che superiori e più

intelligenti. La donna però, per sua fortuna, ha anche questa di capacità, che riesce

perfino a sopportare gli uomini! D’altra parte, se noi guardiamo i due millenni che ci

siamo appena lasciati alle spalle, non possiamo che rabbrividire semplicemente

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dall’orrore! È stato infatti questo un mondo interamente dominato dagli uomini maschi,

e da questi distrutto (nella natura, nella cultura, nei valori).

Adesso che non c’è quasi rimasto più niente da distruggere, ed essendo molto

probabilmente calati i livelli di testosterone grazie anche agli estrogeni che il maschio

ingerisce in quantità sempre maggiori con il cibo; ed essendosi quindi i maschi un po’

femminilizzati, senza volerlo, e magari sull’orlo dell’impotenza; non resta che lasciare

spazio alla donna: il futuro è senz’altro suo! Purché si tratti ovviamente di vere donne,

quelle cioè in grado di tirar fuori tutte le loro qualità: dolcezza, sensibilità, intuizione,

flessibilità, tolleranza, le sole capaci di dominare il mondo che verrà. Personalmente,

nella cerchia famigliare, sono circondato da donne che adoro.

Ciò vale per il femminile in quanto tale? Voglio dire, anche per i tuoi topolini

femmina, o è riferito soltanto alla donna? C’è in sostanza un fondamento

scientifico per le tue affermazioni, che va al di là delle peculiarità del genere

umano?

Quanto ai topolini, io preferisco avere a che fare con le femmine, perché vivono più a

lungo, sono tranquille, non si azzuffano e non si feriscono fra di loro. Ma aggiungo

subito che la donna, e quindi il femminile, per me rappresenta le fasi lunari, il ritmo, la

ciclicità, il flusso e riflusso delle maree, cioè tutto quanto di bello e pulsante di vita

esista nel creato.

Oltre che affascinanti per chi ti ascolta, quanto sono stati importanti questi concetti

ai fini delle tue scoperte sull’invecchiamento?

Sono stati semplicemente fondamentali. I cicli lunari e planetari sono infatti legati a

quelli ormonali. I segnali che ritmano la nostra vita, dalla nascita alla morte, sono quelli

circadiani (legati all’alternanza giorno/notte), quelli lunari e quelli stagionali;

particolarmente importanti sono poi le variazioni di luce e di temperatura. Tutto ruota

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attorno a queste condizioni primarie che regolano ogni istante del nostro ciclo vitale:

nascita, crescita, fertilità, declino e morte.

Tali segnali scandiscono in maniera precisa i programmi ormonali: le variazioni

ritmiche circadiane (cioè, nell’arco delle ventiquattro ore) degli ormoni tiroidei,

surrenalici e sessuali, che si sono formati nell'evoluzione del mammifero uomo. Noi

siamo quindi totalmente guidati e condizionati dalla regolazione ormonale che viene

pilotata dalla ritmicità lunare e planetaria. Del resto, la vita sulla terra è venuta dal

mare, e si è probabilmente sviluppata grazie ai ritmi lunari, e quindi alle maree, che

rappresentano un movimento ritmico dovuto all'attrazione lunare.

Sta di fatto che l'invecchiamento va totalmente attribuito alla rottura della relazione

sincronica dell’uomo con i ritmi planetari-ormonali, regolata dalle strutture del sistema

nervoso che fanno parte del circuito cerebrale ipotalamo-ipofisi-pineale. Tale circuito

integra e sincronizza i ritmi notte/giorno della sintesi e secrezione di tutti gli ormoni. Ciò

è talmente ovvio che ognuno di noi è in grado di rendersi conto, vivendo immerso

nell'ambiente terrestre, come il condizionamento ambientale percepito dai sensi (aria,

luce, temperatura ecc.), e il nostro costante adeguamento ad esso, siano fondamentali

per respirare e vivere. Gli ormoni, e tutte le molecole del corpo, seguono strettamente

tale ciclicità, che è alla base della salute. L'invecchiamento dell'uomo è quindi senza

dubbio legato a un programma genetico; però, l'espressione di tale programma è

rappresentata dalla periodicità circadiana del sistema ormonale!

Ne consegue che, se noi potessimo evitare la perdita della ciclicità ormonale

programmata, non potremmo più invecchiare! Da questo punto di vista, la menopausa

nella donna, e l'andropausa nell'uomo, rappresentano due esempi tipici del

decadimento della funzione ormonale ciclica che presiede alla sessualità e alla

procreazione.

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Quanto è importante, e che significato può avere il fatto che la ghiandola pineale nella

donna è di dimensioni maggiori rispetto a quella dell’uomo? O, al contrario, questa

caratteristica è del tutto ininfluente quanto alla diversa longevità che si registra nei due

sessi?

Nel corso dell’evoluzione, la donna ha acquisito una maggiore longevità rispetto

all’uomo, per cui la sua fisiologia e i suoi ritmi si conservano integri più a lungo.

Qualcuno potrebbe obiettare che la menopausa rappresenta per la donna la fine del

programma riproduttivo. È vero, ma è ipotizzabile che la menopausa sia prerogativa

della donna proprio perché essa è destinata a vivere più a lungo.

Non so come vivessero le donne ai tempi delle caverne, o anche precedentemente,

ma è certo che nel corso di centinaia di migliaia di anni la donna ha acquisito una

maggiore longevità, basata sul suo sistema ormonale, e quindi su progesterone, ritmi,

cicli, in una parola sul mantenimento di una più accentuata condizione giovanile. Tutto

ciò è espresso dalle dimensioni delle ghiandole e dalla loro strutturazione; e, inoltre,

dal cromosoma X, che con tutta probabilità ha a che fare con questa regolazione.

L’uomo, al contrario, possiede il cromosoma Y che esercita su di lui un’influenza

negativa: il testosterone, infatti, porta con sé più guai che benefici: conferisce all’uomo

forti carattestiche mascoline, è vero. Guarda caso però, gli uomini ‘migliori’, i più

creativi, sono quelli che hanno, senza che per questo risultino necessariamente

omosessuali, accentuate caratteristiche femminili (la sensibilità, la dolcezza, la

flessibilità…).

Tutto ciò per dire che, nella storia dell’evoluzione, per esempio quando si moriva

prestissimo, era più opportuno, dal punto di vista della conservazione della specie, che

morte colpisse piuttosto l’uomo prima che la donna! Da maschio, non posso che

rammaricarmene: potrei al massimo desiderare più ormoni femminili, ma non posso

che arrendermi all’evidenza.

16
A livello più generale, qual è il vero senso della scoperta dell’aging clock, con
riferimento alla ghiandola pineale?

La vera scoperta è che la base della salute consiste soltanto e semplicemente nella

capacità di adattamento, sia in senso fisico che psichico! Chi è in grado di conservare

tale caratteristica, vive; chi la perde, invecchia e muore, non c’è scampo! In altre

parole, il mantenimento dei cicli ormonali naturali, sintonizzati con il sistema planetario,

non soltanto ci mantiene in buona salute, ma previene l'invecchiamento (sfasamento

dei cicli, appiattimento, perdita della sincronizzazione circadiana e stagionale ecc.).

La stessa intelligenza, quella vera, e non soltanto quindi quella ‘razionale’, è

rappresentata semplicemente dalla flessibilità e dall'arte di adattarsi alle circostanze; il

che fa sperare, in ultima analisi, in una sopravvivenza più marcata. Credo che la

ragione vera della prolungata vita della donna, rispetto a quella dell’uomo, stia tutta

qui. Le donne, infatti, sono molto più flessibili ed elastiche degli uomini, e hanno

sviluppato, sia in senso psichico che somatico, una maggiore capacità di adattamento

del corpo e della mente, a difesa della specie e della prole.

Ciò spiega perché chi è flessibile e si adatta, vive più a lungo. Un banale esempio ce lo

fornisce in questo senso l'alimentazione: chi si è abituato a mangiare e a bere

eccessivamente, nel caso in cui dovessero venire a mancare cibo e bevande, sarebbe

il primo a soccombere (e ciò spiegherebbe anche, a mio avviso, perché la natura abbia

dotato alcuni individui di un intestino più lungo, quasi fossero geneticamente

predisposti a una maggiore resistenza così da non soccombere in caso di prolungata

carestia; negli Stati Uniti queste persone vengono definite come long-gut guys).

Il vero segreto della longevità consiste quindi nel saper conservare la capacità di

adattamento somatopsichico. Ed è anche questa la ragione per cui i veri egoisti, quelli

cioè che se ne ‘fregano’ di tutto e di tutti, vivono più a lungo di coloro che male si

adattano alle esigenze della società, e finiscono per morire di disadattamento e di di-

stress sociale, responsabile di molte attuali malattie!

Viva la donna quindi, che non solo è riuscita a ‘sopportare’ i maschietti aggressivi e

frustrati, grazie alle sue doti di flessibilità, ma rappresenta un simbolo di intelligenza

vera, e di adattamento all’ambiente circostante.

17
Cap. 4 – Si salvi chi può

La luce naturale e la temperatura


modulano quella sana ciclicità stagionale
del corpo e dello spirito che non può essere
abolita da un prolungamento artificiale dell’estate,
o da un anticipo della primavera. Evitate
le lusinghe delle agenzie di viaggio. (Walter Pierpaoli)

Stando così le cose, e venendo alla realtà dei nostri giorni, quali sono, a tuo avviso, i

più grossi grattacapi con cui l’umanità si trova a fare i conti in questo momento

storico?

Io ho una visione molto nitida della situazione attuale, cosa che purtroppo non mi pare

di ravvisare spesso in altri cosiddetti scienziati.

Intanto, l’economia. Io credo che una qualsiasi persona sana di mente, anche non

particolarmente dotata di spirito critico, quando sente parlare della borsa di New York e

di Mr. Greenspan, dovrebbe semplicemente mettersi a ridere a crepapelle. Questo è

infatti un sistema destinato inevitabilmente a crollare, essendo basato su un principio

che non sta in piedi, vale a dire quello della crescita perpetua.

Ora, come i grandi saggi del passato affermavano, se ogni seme caduto in terra

germogliasse e diventasse pianta, questo mondo ne sarebbe soffocato e morirebbe.

Però, per nostra sfortuna, mentre la natura si è dotata di validissimi meccanismi atti a

frenare una catastrofica crescita incontrollata, la stessa cosa non avviene per quanto

l’uomo ha costruito con le proprie mani. È pura follia pensare che esista una crescita

perenne, basata sull’aumento dei consumi; ciò condurrebbe semplicemente a un

suicidio collettivo!

Un altro degli aspetti di cui non si parla adeguatamente è la situazione di estrema

povertà delle popolazioni dell’Africa e dell’America Latina che tutti, a parole, dichiarano

solennemente di voler aiutare. Paradossalmente, il danno maggiore l’hanno prodotto

18
proprio gli scienziati e i medici che, grazie ai loro antibiotici e alle vaccinazioni di

massa, si sono limitati esclusivamente a salvare la vita di milioni di persone, senza

però preoccuparsi del resto.

Si sono limitati, in che senso? Cosa c’è di tanto disdicevole nel salvare la vita di

milioni di persone?

In sé, l’operazione è lodevole, e pure meritoria, ci mancherebbe! Lo è meno se si

considera che, essendosi appunto limitati a salvare delle vite umane, senza aver poi

fornito adeguati strumenti culturali, si è finito per innescare un processo, tale per cui i

milioni di ‘salvati’ si sono riprodotti senza fine, dando origine alle varie baraccopoli

(vedi, per esempio, Nairobi, che alla lettera vuol dire ‘città del sole’!) dove, in soli due

metri quadrati, ‘dormono’ oltre dieci persone! Allora, vuol dire che la situazione è già

sfuggita a qualsiasi controllo, e che è impossibile porvi rimedio. E men che meno vi

potranno provvedere gli europei o gli americani (questi ultimi finiranno per affogare nel

loro grasso perché uno su due è obeso!), massima espressione di una società

profondamente malata.

Può sembrare un atteggiamento cinico il mio (e non lo è), ma l’Africa, il Centro e il Sud

America usciranno dal baratro in cui l’uomo bianco li ha cacciati, quando quest’ultimo

si ritirerà in buon ordine, lasciando in pace territori e popolazioni che ha inteso

colonizzare. I popoli cosiddetti civilizzati, e il sistema capitalistico, hanno prodotto

danni tali che rendono il recupero del pianeta, a mio avviso, praticamente impossibile.

È ormai troppo tardi!

È questo il motivo per cui, alla fine delle mie conferenze, io lancio a ragion veduta e in

maniera provocatoria il grido: ‘si salvi chi può’, sperando che almeno qualcuno lo

raccolga!

Cap. 5 – Il fondamento della salute

Il pragmatismo è la virtù sociale di quei


necrofili nati vecchi che si rivestono d’oro

19
e di gloria e sposano bambole di plastica (Walter Pierpaoli)

E proprio per rispondere al ‘si salvi chi può’, ed entrando quindi nel vivo della nostra

conversazione, ti chiedo: qual è la base della salute?

Moltissimi anni fa, sul National Geographic Magazine (sono abbonato dal 1956!), lessi

un interessante articolo sulle popolazioni longeve, ricavandone la convinzione che vive

più a lungo chi riesce a mantenere una vita molto vicina e in linea con la natura.

Si tratta in genere di popolazioni che abitano in montagna (Ande peruviane, Nepal,

Caucaso ecc.), e presentano tutte la medesima caratteristica, quella di seguire i cicli

della natura: camminano molto, vanno a dormire al calare del sole e si alzano

prestissimo al mattino, avvertono e subiscono le variazioni climatiche delle stagioni,

mangiano quanto offre loro l’ambiente circostante ecc. (mi torna in mente la storia di

un vecchietto di 104 anni che tutti i giorni prendeva un bagno in un torrente gelato di

montagna!).

Noi, popoli civilizzati, invece, che facciamo? Ci proteggiamo dal sole, dal freddo, ci

prendiamo cura del giardino, però coprendoci le mani con guanti spessi, per non

ferirci: ci separiamo, in sostanza, dalla natura, e non ci rendiamo conto che, così

facendo, infliggiamo grande sofferenza al nostro corpo, che avrebbe piuttosto bisogno

del contatto diretto con i cicli della natura, con l’umidità, la temperatura esterna, la luce

del sole e tanti altri fattori ambientali.

Resta però il fatto che i cicli naturali sono fondamentali per il mantenimento della

salute! Per non parlare poi dell’alimentazione, che oggi costituisce un vero e proprio

incubo, dato che non sappiamo più dove sia possibile reperire cibi sani, a causa delle

sostanze tossiche che inondano abbondantemente tutte le derrate alimentari (anche

quelle provenienti da coltivazione biologica) attraverso le piogge e il vento.

20
Che fare allora? E in particolare, qual è stato il percorso della ricerca scientifica che ti

ha portato alle conclusioni di oggi?

È stato un percorso lento e accidentato, tutt’altro che facile. Dopo essermi infatti

occupato per tantissimi anni di ormoni, di immunità e di risposte immunitarie, e dopo

aver contribuito alla formulazione della neuroimmunomodulazione (NIM), coltivata oggi

da migliaia di ricercatori, il punto d’arrivo è stato lo studio della ghiandola pineale.

Ora, nella pineale esistono delle molecole che sono importantissime per regolare il

sistema endocrino; si tratta di sostanze che esercitano la loro azione anche a molta

distanza rispetto alla cellula che le ha prodotte, e la cui ciclicità è assicurata dal

Sistema Nervoso Centrale, cioè dal cervello. Tale ciclicità fa capo a varie strutture che

generano impulsi ritmici, tra le quali, per esempio, il Nucleo Soprachiasmatico (SCN)

e altre ancora.

La questione che mi assillava allora era però rappresentata dal pensiero che doveva

pur esserci un regolatore dei regolatori, per così dire; qualcosa in sostanza che io sono

solito paragonare al ragno e alla sua tela, in grado cioè di percepire immediatamente

tutto ciò che si verifica nel suo territorio. Per anni, mi sono quindi messo alla ricerca del

‘ragno’: essendo infatti il sistema endocrino una ‘tela di ragno’ estremamente raffinata

e complessa, l’unico che ne conosce il funzionamento effettivo è il ‘ragno’ stesso.

Fuor di metafora, e venendo alla ciclicità ormonale, io sono convinto di aver individuato

il direttore dell’orchestra, o il ‘ragno’, nella ghiandola pineale.

Devo confessare a questo proposito che mi c’è voluto parecchio tempo per capire che

la pineale, tramite le sue connessioni con tutto il sistema endocrino, e attraverso la

percezione della luce, dei ritmi, dell’umidità, della temperatura, dei campi magnetici

ecc., è alla base del sistema che regola tutta la ciclicità ormonale, in ogni istante della

vita. Essa ci tiene così collegati in perfetta sincronia al mondo esterno, tramite i nostri

occhi e la nostra pelle (siamo infatti soltanto un involucro acquoso protetto da una

membrana!); se ciò non avvenisse, se cioè questo sistema non sottoponesse a

monitoraggio costante tutte le variabili del mondo esterno, noi moriremmo all’istante. È

questa la magia!

21
La pineale non è infatti una ghiandola che opera direttamente, ma agisce invece come

la bacchetta del direttore d’orchestra, che in ogni momento dà istruzioni all’oboe, al

contrabbasso, al violino, ai piatti, ai timpani ecc. Tenendo presente inoltre che la

pineale ha una funzione diversa a seconda dell’età evolutiva dell’individuo: è infatti un

organo di sviluppo, con funzioni diverse nel bambino, nell’adulto e nell’anziano.

Di per sé però la pineale non svolge nessuna attività specifica: se non fosse collegata

con le altre ghiandole (come ipofisi, ipotalamo) e i nuclei nervosi dell’ipotalamo

responsabili dell’impulso nervoso (nucleo soprachiasmatico), rimarrebbe inattiva.

Funge piuttosto da ammortizzatore in maniera da mantenere inalterati tutti i ritmi, e

costituisce un vero prodigio inventato da madre natura; originariamente un ‘terzo

occhio’, ancora oggi però, nonostante le trasformazioni, ugualmente sensibile alla luce

attraverso gli occhi.

Come sei giunto a questa conclusione?

Attraverso un percorso costellato di tali inenarrabili difficoltà, che mi è perfino

impossibile riassumerlo in breve. Naturalmente, io sono uno sperimentatore, e i

topolini, che io considero i miei maestri, mi hanno sempre fornito le risposte che

cercavo. Un lavoro costato tempo, denaro, fatica, e addirittura impensabile in assenza

della proverbiale pazienza di Giobbe da parte del ricercatore. Alla conclusione, infatti,

che oggi vorrei tutti potessero conoscere, sono giunto attraverso intuizioni e

successive dimostrazioni; ma la vera chiave di volta per capire il meccanismo

dell’aging clock, dell’orologio cioè che scandisce i tempi della crescita, della fertilità e

poi dell’invecchiamento è rappresentata dal trapianto di pineale.

Avevo già compreso infatti che la melatonina, una delle molecole secrete dalla pineale,

è in grado di prolungare la vita; ma soltanto il trapianto di pineale (da un topolino

giovane a uno anziano), mi ha fornito la certezza che responsabile del prolungamento

della vita in realtà è la pineale stessa.

22
Cap. 6 - Il trapianto di pineale

Occupiamoci quindi di questo passaggio fondamentale della tua ricerca: il trapianto

cioè della ghiandola pineale da un topolino giovane a uno vecchio.

Questa è stata infatti la vera scoperta. Il trapianto di pineale è una mia invenzione

esclusiva, resa possibile da una lunga esperienza maturata nel campo dei trapianti e

della microchirurgia.

I primi trapianti si sono rivelati molto difficoltosi; bisogna infatti tener presente che le

dimensioni della ghiandola pineale, se nell’uomo sono quelle di un pisello, nel topolino

risultano paragonabili piuttosto alla punta (la punta, non la capocchia!) di uno spillo.

In un primo tempo pensai di trapiantare la pineale nel timo, che è alla base del sistema

immunitario e ha, inoltre, una buona vascolarizzazione. L’idea era valida; infatti, anche

il timo si atrofizza durante l’invecchiamento; trapiantandovi quindi una pineale giovane,

avrei potuto osservare se il numero di cellule come timociti e linfociti, importantissimi

per regolare la resistenza alle infezioni, avrebbe subìto delle variazioni nel tempo,

oppure no.

E quale fu in sostanza la vera scoperta?

Che una pineale giovane, trapiantata in un organismo anziano, prolungava la vita

dell’animale molto più a lungo di quanto non avvenisse con la somministrazione di

semplice melatonina. Fra l’altro, la pineale trapiantata, privata com’era delle proprie

connessioni, e immessa in un organo diverso, si vascolarizzava, ma non era più in

grado, ovviamente, di produrre melatonina.

A essere quindi responsabile del prolungamento della vita non poteva che essere la

pineale stessa. Ciò però che ancora oggi definisco come semplicemente pazzesco, fu

il risultato del trapianto incrociato di pineale, dal topo vecchio cioè a quello giovane;

23
che dimostrò, al di là di qualsiasi aspettativa, che la pineale vecchia, trapiantata nel

topo giovane, lo faceva rapidamente invecchiare. Era semplicemente stupefacente!

Questi risultati sono stati pubblicati sul Volume pubblicato dalla New York Academy of

Sciences nel 1994 dopo la Terza Conferenza di Stromboli sul Cancro e

l’Invecchiamento nel 1993, e sui prestigiosi Proceedings of the National Academy of

Sciences degli USA, pure nel 1994: è stato così dimostrato inequivocabilmente non

solo che la pineale giovane allunga la vita del topo anziano, ma anche che una pineale

vecchia, trapiantata in un topo giovane, ne provoca rapidissimamente

l’invecchiamento.

Questo risultato è stato sconvolgente, e io non lo avevo affatto messo in conto. D’altra

parte, esso dimostra come la logica della natura ci sfugga totalmente. È infatti di una

tale semplicità ed eleganza, che nonostante abbiamo la soluzione sotto il naso, non

riusciamo a vederla.

Questi risultati sono oramai universalmente accettati in ambito scientifico, oppure

sussistono ancora delle resistenze?

In linea generale, fatte le dovute eccezioni, non solo non vengono accettati, ma

addirittura guardati con perplessa incredulità. Semplicemente.

Infatti, quando i risultati dei miei esperimenti furono pubblicati nel 1994 dalla più

prestigiosa rivista scientifica degli USA, il Proceedings of the National Academy of

Sciences (l’Accademia Americana delle Scienze), io mi aspettavo (legittimamente) che

la notizia facesse velocemente il giro del mondo, per essere quindi ripresa dai giornali

più prestigiosi: era stata infatti trovata una volta per tutte la chiave dell’invecchiamento!

Invece, niente! Non accadde un bel niente, te ne rendi conto?

La scoperta era talmente sconvolgente che finì per ammutolire letteralmente tutti. E se

essa ha scatenato una reazione, questa è stata del tutto negativa. Che sciocco fui:

naturalmente, avrei dovuto aspettarmelo!

24
Mi pare però che tu non abbia desistito, ma ti sia anzi dato da fare per far sì che la

notizia circolasse.

Sì, e su due fronti: quello della comunità scientifica, e quello della gente comune. Sul

primo versante, venne organizzata la terza Conferenza di Stromboli su Cancro e

Invecchiamento, cui parteciparono, su mio invito, quaranta fra i più importanti studiosi

della materia. Il tema della conferenza era appunto: The Aging Clock (l’orologio

dell’invecchiamento). Oltre ad avere un enorme successo, la conferenza rappresentò

per la New York Academy of Sciences, che ne pubblicò gli atti, un bestseller storico

(ormai addirittura introvabile, perché esaurito).

Per portare invece la notizia al grande pubblico, ho scritto un libro, insieme al mio

amico William Regelson e con Carol Colman: The Melatonin Miracle (tradotto in Italia

da Rizzoli con il titolo La fonte della giovinezza), che si è rivelato un bestseller, tradotto

in diciassette lingue.

Ma, per dare ancora maggiormente l’idea di quale fosse la portata della scoperta,

vorrei aggiungere che la melatonina è in grado di rendere del tutto inutili almeno il 90%

dei farmaci attualmente in circolazione. Lascio a te e al lettore ‘intelligente’ immaginare

quale accoglienza potesse avere una notizia del genere, da parte del mondo

accademico e soprattutto dell’industria farmaceutica!

Cap. 7 - La sperimentazione animale

Prima di andare avanti a raccontare questa storia affascinante, e inquietante allo

stesso tempo, vorrei che mi chiarissi il ruolo che hanno svolto i tuoi topolini nelle

sperimentazioni da te condotte, e che continui ancora oggi a portare avanti.

Premetto che, senza la sperimentazione animale, non saprei nulla di quanto ho via via

scoperto. È la base della ricerca biomedica, dell’immunologia e dell’endocrinologia.

25
Per questo motivo ritengo pura follia pensare di poter realizzare qualche progresso in

medicina umana, senza servirsi dell’indispensabile contributo degli animali.

Detto questo, tutto dipende ovviamente da quale uso si fa di questa pratica necessaria.

Io non ho mai esercitato nessun atto di violenza sui topolini, o comunque niente che

possa essere definito come crudeltà gratuita e inutile. Anzi, li amo, li accudisco, non li

stresso, e loro forniscono sempre risposte chiare e inequivocabili alle mie domande,

che non sono necessariamente quelle che mi aspetterei, però hanno il vantaggio di

essere nette: sì o no.

E se ciò non si dovesse verificare, non ho che da ripetere nuovamente la

sperimentazione, cambiando condizioni e variabili, fino a raggiungere la certezza.

D’altra parte, fin dall’inizio della mia carriera di ricercatore in biofisica, grazie a una

borsa di studio dell’Atomic Energy Commission (l’Agenzia americana per l’energia

atomica), nel 1961; oppure, quando ho cominciato a lavorare per il CNR italiano, io mi

ero subito reso conto che non sarei venuto mai a capo di niente, né con la biofisica e

neppure con la biochimica (di allora): cercavo risposte al cancro, all’invecchiamento

ecc., ma soltanto gli animali erano in grado di dirmi se stavo andando nella direzione

giusta.

Ricordo che già nell’Istituto di Patologia Generale all’Università di Milano, all’inizio degli

anni sessanta, il leggendario professor Enrico Ciaranfi aveva provveduto ad

approntare uno stabulario moderno, in modo che noi assistenti potessimo avere a

disposizione dei roditori, per poterne osservare e studiare i comportamenti e le

reazioni.

I roditori infatti sviluppano le stesse malattie dell’uomo, e sono quindi indispensabili ai

fini della ricerca nel campo delle più svariate patologie. Del resto, sarebbe impossibile

sperimentare alcunché sull’uomo, senza prima conoscerne la reazione sull’animale;

tenuto conto, fra l’altro, che in moltissimi casi non si tratta di sperimentazione, ma

piuttosto di semplici osservazioni.

Esistono, per esempio, ceppi di topi che sviluppano spontaneamente il cancro, oppure

alcune malattie autoimmunitarie, o ancora l’obesità e il diabete; malattie spontanee,

che non c’è quindi alcun bisogno di indurre nell’animale. In altre parole, per restare al

26
campo che ci interessa più da vicino, io credo che, essendo l’uomo un mammifero,

sarebbe impossibile capire cos’è l’invecchiamento utilizzando, che so, un verme o una

mosca, che sono due specie profondamente diverse dai mammiferi.

Come sarebbe d’altra parte molto più complicato usare altre specie di mammiferi, il

maiale per esempio, che essendo d’intelligenza superiore, andrebbe più facilmente

soggetto a stress di varia natura. Al contrario, il topolino è tranquillo, non ricorda

quanto ha vissuto in precedenza, e quindi non nutre rancore. Per me personalmente,

oltretutto, è stato sempre un buon compagno, ormai da oltre quarant’anni, e io non mi

sono mai sognato di esercitare su di esso nessuna crudeltà o violenza.

A parte i trapianti di pineale, ovviamente, che immagino cruenti…

Ahimè, sì. E tuttavia, anche in questo caso, se viene praticata un’anestesia profonda,

com’è sempre il caso nel nostro laboratorio, all’animale vengono evitate inutili

sofferenze. E anche quando si rendesse inevitabile il ‘sacrificio’ dell’animale, è sempre

tuttavia possibile procedere in modo indolore.

Cap. 8 – Funzione della pineale e invecchiamento

Ovviamente, nell’uomo non è possibile effettuare (almeno al momento!) un trapianto di

pineale giovane in una persona anziana; ti chiedo: com’è possibile ovviare a questo

‘inconveniente’, per beneficiare ugualmente appieno delle tue scoperte?

Soltanto qualche anno fa la risposta che sto per darti sarebbe stata diversa, perché

nessun ricercatore aveva eseguito esperimenti in questo senso.

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Come ho dimostrato in precedenza, e anche recentemente in un lavoro che è apparso

negli Stati Uniti (Journal of Anti-Aging Medicine, vol. 4, n. 1, 2001), il trapianto di una

pineale molto vecchia in un animale molto giovane, e viceversa, è stato possibile per il

fatto che i topolini utilizzati per la sperimentazione erano di ceppo puro, geneticamente

identici, quasi come gemelli, quindi, per cui non esisteva il problema del rigetto.

Nell’uomo, invece, questa operazione non sarebbe possibile, perché la nuova pineale

sarebbe immediatamente rigettata; a meno che… (ma questo è argomento di un

prossimo libro sui trapianti, e ne parleremo quindi in un’altra occasione!).

In ogni caso, e per tornare all’esperimento in questione, io non avrei mai potuto

immaginare che la pineale vecchia potesse far invecchiare rapidamente un topolino

giovane che, bada bene, conserva la sua pineale giovane, oltre a quella vecchia che

gli viene impiantata!

Avevo già provato infatti a sostituire, con il trapianto crociato già descritto, la pineale

giovane con una pineale vecchia; in questo caso però il ricevente non conservava la

propria pineale giovane.

Cosa sarebbe, invece, accaduto nel caso in cui avessimo trapiantato una pineale

vecchia in un topolino giovane, che conservava però (in più) anche la sua pineale

giovane?

La mia idea era che non saremmo approdati a niente. Com’è pensabile, infatti, che una

pineale, grande come una punta di spillo, e per di più vecchia, trapiantata in un

animale giovane, possa influenzare il corso della vita di quest’ultimo?

Miracolo dei miracoli, si è verificato un evento incredibile: la pineale vecchia,

trapiantata nel topo giovane, che, ripeto, conserva la sua pineale giovane, fa

invecchiare rapidamente l’animale.

È la dimostrazione inconfutabile che la ghiandola pineale è dotata di un programma di

invecchiamento che supera qualsiasi ostacolo; fino al punto di ignorare addirittura il

‘segnale’ proveniente da una pineale più giovane, e che va nella direzione opposta,

prevalendo su di esso. La pineale vecchia, cioè, porta in sé un programma talmente

determinato e inarrestabile, da impartire all’organismo ancora giovane (attraverso un

meccanismo che posso soltanto intuire) l’ordine di invecchiare. Ciò vuol dire che il

28
messaggio del programma di invecchiamento insito nella pineale vecchia è

potentissimo e praticamente incontrastabile.

Veniamo adesso alla domanda che mi hai posto: sulla base di questi dati, quali

benefici può averne l’uomo, ed eventualmente, in che modo?

L’idea è questa (ma è molto più di una semplice ipotesi, dato che siamo già in

possesso di sufficienti dati): la pineale, quando invecchia, fa invecchiare l’intero

organismo, dato che contiene in sé un preciso programma di invecchiamento; ne

consegue allora che, se la si asporta, quando inizia a mettere in atto il programma di

invecchiamento, sarebbe possibile ritardare il processo d’invecchiamento fino

addirittura ad arrestarlo. Questa è la premessa teorica. Partendo da questa, sono

quindi passato alla fase operativa, procedendo in laboratorio (con il mio collaboratore

Daniele Bulian) a una serie interminabile di pinealectomie su gruppi di topi di tre,

cinque, sette, nove, dodici, quattordici, sedici e diciotto mesi. Lo scopo era di

osservare a che età, asportando la pineale, l’animale ne ricavava un beneficio in

termini di invecchiamento e di durata della vita.

Ed ecco il risultato stupefacente: la semplice rimozione della pineale vecchia, fa vivere

più a lungo l’animale. Ma ciò avviene solamente se si asporta la pineale quando

questa comincia ad attivare il processo d’invecchiamento (nel topolino a 14 mesi

d’età), impartendo il comando programmato di invecchiare; non prima, né dopo!

Ciò, almeno ipoteticamente, sarebbe un intervento possibile anche sull’uomo (con i

metodi moderni e le mostruose macchine a disposizione che bombardano questa o

quella parte del corpo). Almeno teoricamente quindi, nel momento in cui si percepisce

che la pineale ci sta facendo invecchiare, sarebbe possibile bombardarla e

distruggerla.

In sostanza, noi adesso sappiamo (nell’animale già in via sperimentalmente

documentata, nell’uomo ovviamente in via soltanto ipotetica) quando sarebbe il caso di

intervenire per rimuovere la pineale e ritardare così l’invecchiamento.

29
Cap. 9 – La ghiandola pineale e la melatonina

Il messaggio invernale all’ozio


è un invito naturale alla salute.
Evitate lo stress invernale.
Non scuotete inutilmente
il vostro corpo ibernante! (Walter Pierpaoli)

Tuttavia, a me sembra, almeno nel caso dell’uomo, che la rimozione della ghiandola

pineale si configuri come una extrema ratio. Mentre riterrei più ‘umano’, per così dire,

un intervento antietà costante nel tempo, grazie all’opera graduale che una molecola

come la melatonina, o altre allo studio, sono in grado di svolgere.

È chiaro che la melatonina protegge la pineale dall’invecchiamento: su questo non c’è

alcun dubbio. La pineale in questo caso invecchia meno rapidamente, rallentando tutto

il programma di deterioramento dell’organismo.

Non è quindi indispensabile rimuovere la pineale, se si vuole ritardare

l’invecchiamento: meglio fare uso della melatonina, non è così?

Direi che la rimozione della pineale non è proprio indispensabile; e non tanto perché è

sufficiente già la potente azione antietà della melatonina sulla pineale (specie se si

inizia ad assumerla a un’età ancora relativamente giovane, come vedremo), ma

perché io ho già scoperto un modo più elegante per risolvere il problema.

Come? Grazie a una nuova molecola naturale, a cui sto lavorando da parecchi anni,

con risultati incredibili sull’animale, che ha il ruolo di pilota nel mantenimento dei ritmi

ormonali, e che permetterà di sostituire, per così dire, la pineale vecchia, senza che

essa possa dare l’ordine perentorio di invecchiare. Insomma, una sorta di

neutralizzazione strategica del programma invecchiamento!

30
Ma anche questo sarà argomento di un nostro prossimo libro. Il problema è comunque

di sapere fino a che punto la melatonina, per ritornare a questa molecola

fondamentale, può ritardare il programma d’invecchiamento.

Non lo so con esattezza. Posso però averne una qualche idea, confortata, per

esempio, dall’esperienza di un signore di 95 anni, che ha iniziato ad assumere

melatonina all’età di 89 anni, e che ancora oggi gode di ottima salute.

Senza dubbio però, la persona che da più anni assume melatonina (ho iniziato a

preparargliela io stesso a partire dal 1986), e che, a 95 anni, sta adesso benissimo,

dopo essersi liberata totalmente del Parkinson che l’affliggeva, è la madre della mia

prima moglie, la cara Emmy Hügly, di Lucerna. Sta bene a tal punto che, ormai da ex-

parkinsoniana, ha ripreso addirittura a suonare il pianoforte; di tanto in tanto vado a

trovarla, osservo e registro i suoi movimenti, e così trascorriamo qualche momento in

allegria! Ritengo che sarebbe lusingata se qualche giornalista le chiedesse di poterla

intervistare, e credo che gli concederebbe oltre all’intervista, persino un walzer!

Tuttavia, non esistono studi clinici in proposito: certo che se fra dieci anni questo

signore, e la nonna Emmy, e altri anziani che seguo, saranno ancora in buona salute,

ne sapremo certamente di più.

Come si inserisce, però, la molecola della melatonina nel tema che tu stai sviluppando

in questa conversazione? Finora abbiamo infatti parlato principalmente di ghiandola

pineale, la maggiore responsabile, se capisco bene, del nostro inesorabile (almeno

fino a oggi) invecchiamento.

La melatonina è un agente misterioso, su cui da anni ormai si accapigliano molti miei

colleghi ricercatori; i quali ne cercano disperatamente il meccanismo d’azione, senza

però venirne a capo. La maggior parte di loro affermano (ma io sostengo che ciò

avvenga unicamente per partito preso, e comunque non certo per ragioni sostenute da

argomentazioni scientifiche) che nelle mie scoperte sulla melatonina e

l’invecchiamento non ci sia nulla di vero! Ciononostante, tutti continuano a studiare la

31
melatonina per scoprire perché e come funziona (mi riferisco per esempio a Russel

Reiter, e ad altri pinealologi di fama). Pensa che in Francia si è addirittura costituito un

Melatonin Club, cui aderiscono ricercatori d’ogni sorta. A me sembra, e lo dico più con

divertimento che con malignità, che i miei colleghi di giorno parlino male della

melatonina, ma la sera poi la assumano prima di andare a dormire.

Ho comunque le mie buone ragioni per ritenere che nessuno sappia veramente quali

funzioni sia chiamata a svolgere la melatonina; il cui meccanismo d’azione, come

abbiamo già detto, rimane oltretutto ancora sconosciuto. Io invece so per certo che si

tratta di una molecola naturale, che madre natura si è inventata nel corso di milioni di

anni per adempiere a svariate funzioni. Così come sono certo che il suo meccanismo

d’azione non è di natura chimica, né biochimica, né recettoriale, né ormonale.

A mio avviso, ma questa è però una semplice opinione che mi piacerebbe tanto poter

verificare, si tratta di un meccanismo biofisico: la melatonina è infatti una sostanza

ubiquitaria che penetra dappertutto, e protegge le cellule dallo stress (tanto per usare

un termine molto abusato), a livello però più di cariche elettroniche, che di recettori

chimici. Mette quindi in sicurezza le cellule, e allo stesso modo agisce anche sulla

ghiandola pineale, che provvede a secernerla durante le ore notturne.

Nel caso in cui però la melatonina venga somministrata dall’esterno, la pineale non ha

più bisogno di produrla, risparmiandosi così una fatica non indifferente; e se non

produce melatonina, potrà starsene a riposo, e adempiere così più facilmente ad altre

importantissime funzioni, ritardando il momento in cui fa scattare il programma

d’invecchiamento.

Sostanzialmente, è quanto avviene nel nostro organismo. Quanto poi ai modi, alle

metodologie, ai dosaggi, questi sono tutti aspetti totalmente empirici, nel senso che

vengono determinati sulla base dell’esperienza riferita a quanto riferiscono i pazienti.

Chi ne fa uso non deve però darsene pensiero, perché grazie a Dio è dimostrato che la

melatonina non presenta effetti tossici (neppure se venisse somministrata a

cucchiaiate!), ed è poi lo stesso organismo a trattenere la dose sufficiente, eliminando

con le urine quanto dovesse risultare in sovrappiù.

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Tu dici: non conosciamo il meccanismo d’azione della melatonina; e tuttavia, esistono

evidenze certe sui suoi effetti antietà, ben documentati da studi e ricerche.

Certamente. Sono stati eseguiti tantissimi studi in proposito, in tutti questi anni; e non

soltanto da me, ma da molti altri ricercatori. Durante l’atroce (non saprei come definirlo

diversamente) periodo che ho trascorso ad Ancona, presso la fondazione Biancalana

Masera per l’Anziano Operato; e dopo che l’indimenticabile Nino Masera morì

inopinatamente, lasciandomi all’INRCA in balìa di personaggi più o meno discutibili, ho

condotto con pochi validi colleghi, come risulta dalla bibliografia allegata a questo libro,

vari studi sull’azione combinata di zinco e melatonina.

Bisogna sapere, a questo proposito, che uno dei parametri dell’invecchiamento è,

appunto, la carenza di zinco. Come si sa, lo zinco è un importante elemento della

crosta terrestre primordiale. I terreni vulcanici ne sono infatti ricchissimi. Esso entra a

far parte di molti sistemi enzimatici fondamentali; l’uomo però, invecchiando, non

riesce a ritenerne abbastanza, tanto che il saldo, tra assunzione e consumo, è sempre

negativo, se ne perde cioè più di quanto si riesca a immagazzinarne. La carenza di

zinco, che nel sangue può essere determinata con precisione, è espressione di

invecchiamento metabolico. Ci siamo quindi preoccupati (assumendo la carenza di

zinco come parametro di invecchiamento) di verificare se la melatonina possa avere

effetti sui livelli di zinco nei topi anziani, dato che lo zinco entra a far parte della

composizione di oltre duecento enzimi. Mi riferisco a lavori già pubblicati da me e da

altri (pioniere in questo campo, è stato Nicola Fabris) su riviste scientifiche (vedi

bibliografia). Abbiamo così scoperto che la melatonina normalizza i livelli di zinco

nell’età avanzata, restaurando quindi l’immunità con tutto ciò che ne consegue!

Tuttavia, io non credo che la melatonina, di per sé, abbia la funzione di innalzare i

livelli di zinco; è vero però che, mantenendo integri sistema neuroendocrino, ormoni e

sistema immunitario, automaticamente si normalizza anche lo zinco, ma non solo.

Quando si assume infatti melatonina, ogni parametro risulta migliorato, dall’A alla Z.

33
Si può affermare, in sostanza, che la melatonina, in un certo senso, fa tutto e niente

allo stesso tempo; in quanto ‘si limita’ fondamentalmente a proteggere la ghiandola

pineale, restaurando così indirettamente i ritmi ormonali giovanili. Ne consegue anche

un enorme potenziamento delle difese immunitarie.

La melatonina è secreta di notte soltanto dalla ghiandola pineale?

È rilasciata anche da altre cellule e tessuti, ma non durante la notte. Il picco della

melatonina però emerge di notte; la sua carenza, o un consistente affievolimento

rappresenta un importante segnale di invecchiamento: quando il livello di melatonina

diminuisce, si invecchia; se manca del tutto, si va incontro a morte certa.

Che cos’è per te la melatonina?

Per me, Walter Pierpaoli, la melatonina è una molecola naturale presente ovunque (nei

vegetali, nel riso, nei pomodori, nel latte, in tutti gli esseri viventi). È una sostanza

assolutamente innocua, come ha dimostrato un mastodontico studio eseguito in

Olanda, in cui a migliaia di donne sono stati somministrati per anni ben 300 mg di

melatonina ogni sera (cento volte quindi la dose da me consigliata), nel tentativo di

evidenziarne gli effetti anticoncezionali. Personalmente, non condivido questo

approccio, che tende a inibire l’ovulazione in donne giovani, somministrando

melatonina a dosi da cavallo; però devo riconoscere che questo studio ha avuto, se

non altro, il merito di stabilire una volta per tutte l’assoluta innocuità della melatonina.

Ma la melatonina può essere considerata un ormone?

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Assolutamente, no. In passato, si è fatto ricorso a questa definizione perché, in realtà,

in maniera simile a quanto accade per gli ormoni, la melatonina produce effetti a

distanza nell’organismo, ed è comunque prodotta da una ghiandola endocrina.

Assimilare però la melatonina a un ormone si è purtroppo rivelato, lo riconosco, un

errore micidiale, frutto semplicemente di una frettolosa semplificazione.

Tant’è vero che la melatonina non ha nessuna delle caratteristiche degli ormoni. Infatti:

1. viene sintetizzata dall’organismo, oltre che nella pineale, anche in numerosi altri

organi e tessuti come, per esempio, la retina, la mucosa intestinale, i megacariociti, le

piastrine, tutti tessuti che non possono essere definiti come tipiche ‘ghiandole

endocrine’.

2. Dopo la pinealectomia (cioè l’asportazione chirurgica della ghiandola pineale) la

melatonina circolante non scompare, come avviene quando vengono rimosse le

ghiandole endocrine (ipofisi, tiroide, surrenali, gonadi).

3. Non esiste alcun ‘fattore di rilascio’ (releasing factor) per la melatonina, come invece

si verifica per tutti gli ormoni classici.

4. Recettori con maggiore o minore affinità per la melatonina sono stati evidenziati e

trovati in una tale varietà di cellule (su membrane e nel citoplasma) e tessuti del corpo,

che la loro natura di recettori ormonali specifici per la melatonina su cellule bersaglio

ben definite è impossibile da dimostrare.

5. La melatonina, anche somministrata a dosi enormi (nell’ordine addirittura di grammi

al giorno!) per via orale, non ha mai provocato alcun danno o effetti collaterali

immediati o ritardati; al contrario, qualsiasi altro vero ormone (come il cortisone o la

tiroxina, per esempio) avrebbe prodotto sicuramente la morte, o quantomeno danni

gravi e irreparabili (vedi lo studio sulle donne olandesi già citato).

6. L’inibizione della sintesi endogena di melatonina, dopo somministrazione orale, non

sembra dipendere, come accade per gli ormoni classici, dall’inibizione della sintesi dei

fattori trofici (gonadotropine, tireotropina, corticotropina ecc.), ma da una semplice

inibizione retroattiva prodotta dalla stessa melatonina in una sequenza biosintetica; per

questo motivo, la somministrazione prolungata di melatonina non può indurre atrofia

della pineale!

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7. La melatonina, presente nella carne e nei vegetali, è assorbita rapidamente dal

tratto gastrointestinale. I livelli di melatonina circolante possono essere influenzati (in

eccesso o per difetto) da una dieta che contenga alti o bassi livelli di melatonina; nulla

di simile può verificarsi con gli ormoni classici.

In realtà, la sua funzione di mediatore chimico universale del mondo biologico è tuttora

sconosciuta. Allo stesso modo, però, anche il meccanismo d’azione della penicillina

non era conosciuto quando fu scoperta (e, in quel caso, non si trattava certo di una

sostanza endogena!). E in ogni caso, visto che la penicillina era ritenuta ‘necessaria’,

nessuno si sarebbe mai sognato di proibirne l’uso, come purtroppo accade invece oggi

in molti Paesi con la melatonina!

Non è un ormone, quindi, e ciò mi tranquillizza. Ma, in realtà, cosa c’è poi di tanto

pericoloso negli ormoni? Perché fanno paura?

Gli ormoni si sono fatti una brutta fama soprattutto per via del cortisone. Io sono solito

affermare che ne ha ammazzati più il cortisone che i nazisti ad Auschwitz. Il cortisone

ha azione antinfiammatoria, ma produce effetti collaterali semplicemente micidiali. Lo

stesso si può dire della prolattina, tanto che elevati livelli di questo ormone nel sangue,

sono segno certo della presenza di un cancro già in atto o in formazione. Ciò vale

anche per l’ormone della crescita. In realtà, non tutti gli ormoni producono i medesimi

danni; però tutti, somministrati in quantità elevate e per lunghi periodi (compresi gli

estrogeni, i cerotti medicati ecc.), inducono effetti collaterali pericolosi. La melatonina,

invece, no, anche a dosi molto elevate; e proprio perché non è un ormone!

Cap. 10 – I parametri clinici dell’invecchiamento

L’adipe sottocutaneo invernale,


la ricerca della tana, il profondo
godimento di una vita passiva,
la contemplazione della Natura in letargo,
il piacere della completa inattività fisica,

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sono gli elementi che fanno gioiosi inverni e sane primavere. (Walter Pierpaoli)

Torniamo a parlare adesso di invecchiamento nell’uomo. Ti chiedo: è possibile

stabilire, a livello clinico, parametri certi dell’invecchiamento biologico?

I primi segni dell’invecchiamento, a una ricognizione sommaria, vengono percepiti

visivamente, e sono soprattutto di carattere, diciamo, estetico; e coinvolgono: la pelle,

la vista, i capelli, l’accresciuta crescita di peli all’interno delle orecchie e del naso,

l’accumulo di lipidi nella sclera (l’occhio assume la tipica colorazione giallognola) ecc.

Esistono poi parametri di diversa natura: vascolari, metabolici, enzimatici. Parlavamo

prima dello zinco e della carenza di questo minerale che è una caratteristica della

persona anziana; ebbene, ciò avviene perché l’organismo dell’anziano non riesce ad

assimilare lo zinco dalla dieta (supposto che sia presente in maniera adeguata), e

quindi a inglobarlo negli enzimi e a metabolizzarlo.

È solo un esempio, ma di parametri come questo ne esistono tanti altri: valutazioni

enzimatiche, numero dei linfociti nel sangue, livelli misurabili del sistema immunitario

(atrofia del timo, diminuzione di determinate categorie di linfociti) ecc.; esistono quindi

mille modi per valutare l’invecchiamento. A mio avviso però, il criterio più adeguato è

quello della Sindrome metabolica X, detta anche ‘quartetto mortale’.

Fammi capire, con parole semplici, se possibile, di cosa si tratta.

Cercherò di adottare un linguaggio comprensibile a tutti; però ti avverto che, così

facendo, sono costretto a sintetizzare e a semplificare al massimo i concetti.

La Sindrome metabolica X è tipica dell’invecchiamento metabolico dell’uomo, e

conduce generalmente alla morte.

Il cosiddetto ‘quartetto mortale’ comprende: 1. iperglicemia (il glucosio non viene

metabolizzato correttamente; da qui: aumento della resistenza all’effetto

ipoglicemizzante dell’insulina e conseguente iperinsulinemia); 2. ipercolesterolemia

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(mutazione del metabolismo dei lipidi, per varie ragioni che sarebbe troppo lungo

spiegare in questa sede); 3. ipertensione (i vasi si irrigidiscono, soprattutto a livello

renale, con conseguente innalzamento della pressione sanguigna nei valori massimi e

minimi); 4. adiposità viscerale, la tipica ‘pancetta’ che deforma la nostra silouette!

La Sindrome metabolica X è quindi l’espressione tipica dell’invecchiamento e, nella

mia interpretazione, essa fa capo al sistema neuroendocrino.

In sostanza, perché invecchiamo? Perché il sistema neuroendocrino invecchia

secondo il programma genetico iscritto, come abbiamo già detto, nel complesso

pinealico; di conseguenza, diminuisce la ciclicità ormonale, tutto si desincronizza, e

vengono quindi a mancare i meccanismi ormonali di controllo del metabolismo lipidico.

È un processo di una semplicità e un’ovvietà incredibile, oltre che perfettamente

documentabile.

Ci si può chiedere inoltre perché, nella fase di invecchiamento, aumentino i tumori.

Quando viene meno la sorveglianza sulla replicazione delle cellule tumorali, ciò

avviene perché l’organismo non riesce più a distinguerle; si tratta dell’alterazione

immunologica delle cellule linfocitarie e di altre ancora (natural killer, L, K ecc.), che

controllano le cellule tumorali, in modo che esse rimangano circoscritte e non si

moltiplichino; sono infatti sempre presenti nel nostro organismo, anche se hanno

caratteristiche di membrana un po’ diverse, e l’organismo riesce quindi a controllarle.

Ed è appunto quando viene meno questo controllo, perché a monte il sistema

neuroendocrino non funziona più, che cominciano i guai, e tutto si dissesta e si

desincronizza, dando luogo al cancro, oppure all’arteriosclerosi o, in forma ancora più

micidiale e insidiosa, alle malattie autoimmunitarie.

Queste ultime, fra l’altro, sono, se non erro, le tue ‘preferite’…

Sì, e per un motivo molto semplice: perché sono l’espressione più tipica della perdita di

controllo del sé da parte dell’organismo, il che rappresenta il vero invecchiamento.

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Qui però entriamo nel campo affascinante delle transferrine, di cui, come ho già

anticipato parleremo in un prossimo libro.

In questa sede vorrei accennare appena al cuore del problema, giusto per stimolare la

curiosità tua e del lettore: noi invecchiamo perché, in realtà, non riconosciamo più i

nostri tessuti, e quindi li rigettiamo, in una sorta di inconsapevole suicidio. È in

sostanza un’estinzione progressiva della capacità di confrontarsi con il mondo esterno;

e, infatti, non è tipico dell’invecchiamento la perdita della consapevolezza e del

controllo di se stessi, insieme alla mancata percezione spazio-temporale? E non è

forse l’invecchiamento un progressivo rigetto di se stessi? Non c’è dubbio! Tutto ciò è

documentabile clinicamente. Tanto che negli Stati Uniti esistono delle strutture

mediche che, sulla base di precisi parametri, sono in grado di stabilire l’età biologica di

una persona: ne hai cinquanta, ma la tua età biologica è effettivamente di ottant’anni;

oppure, il contrario. Può esserci infatti un invecchiamento accelerato, ma anche, a

volte, ritardato; sempre di invecchiamento però si tratta! In altre parole, si invecchia in

ogni caso.

Puoi negarlo?

Io dico soltanto che, adesso, questo processo non è più ineluttabile, e che può essere

addirittura evitato. È questa la grande sfida che io intendo lanciare.

Come?

Semplicemente, mediante la riprogrammazione del sistema ormonale, responsabile

dell’invecchiamento.

Tu dici: adesso possediamo la chiave per superare le malattie degenerative,

normalmente associate all’invecchiamento.

Le malattie degenerative cui faccio riferimento sono: quelle cardiovascolari, il cancro,

le malattie autoimmunitarie.

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Intanto, non è affatto vero che cancro, malattie autoimmunitarie e malattie

cardiovascolari siano patologie diverse fra loro; hanno infatti la medesima radice (molti

miei colleghi dissentiranno, me ne rendo conto, ma non posso farci nulla!), perché alla

base di esse c’è sempre un’alterazione dei ritmi ormonali, che porta alla distorsione

dell’immunità, alla genesi di autoanticorpi, all’emergenza di cellule neoplastiche ecc.

Ho maturato l’assoluta certezza che, se si restaurano i ritmi biologici endogeni

circadiani ormonali, risulta impossibile per l’organismo sviluppare malattie

degenerative! È un’asserzione forte, che a qualcuno forse potrà apparire addirittura

arrogante, ma è esattamente quello che penso e di cui sono assolutamente certo.

Ed è proprio in questo senso che va anche quell’altra tua affermazione, secondo cui gli

effetti positivi della melatonina risultano ben documentati: sostiene, cioè, la funzione

immunitaria, abbassa i livelli di colesterolo nel sangue, protegge dagli effetti negativi

dello stress, ripristina i ritmi del sonno, aiuta a difendersi contro il cancro e le malattie

cardiache…

Sono affermazioni tutte ampiamente documentate. Esistono inoltre studi clinici che

dimostrano, anche se indirettamente, la validità di ciò che sostengo da anni. Su

Lancet, per esempio, e su Nature, sono stati pubblicati lavori scientifici, grazie ai quali

si è potuto documentare come persone colpite da ictus (emorragia cerebrale) e infarti,

mostrassero livelli di melatonina prossimi allo zero.

Intendiamoci, la melatonina non è il toccasana, però è il meglio di cui possiamo

attualmente disporre. Per essere ancora più schietto, io non credo che soltanto con la

melatonina riusciremo a impedire il verificarsi di patologie come quelle che ho appena

citato; e non tanto per la melatonina in sé, quanto piuttosto a causa dello stile di vita

che la popolazione conduce!

Cap. 11 – La menopausa, classico segno d’invecchiamento biologico

Chi vive sognando, sognerà morendo,


e nel suo ultimo sogno vivrà mille anni di più. (Walter Pierpaoli)

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Se dunque l’invecchiamento è clinicamente documentabile, si può dire altrettanto della

sua eventuale regressione? E in che modo, in questo caso?

È appunto il problema che ci siamo posti quando abbiamo deciso di effettuare presso

la clinica Madonna delle Grazie di Velletri, in collaborazione con il dottor Giulio

Bellipanni e i suoi collaboratori, uno studio clinico, grazie al quale abbiamo potuto

constatare come nelle donne in premenopausa, menopausa e postmenopausa che

hanno accettato di sottoporsi allo studio, si siano ripristinate le condizioni ormonali

antecedenti il fenomeno della menopausa (la ricerca è stata pubblicata sulla rivista

Experimental Gerontology (36, 2001, 297-310) .

Raccontami come è stato possibile mettere in piedi uno studio clinico di questo

genere. Quante donne sono state arruolate per la sperimentazione; quali sostanze

sono state impiegate; per quanto tempo; con quali risultati?

Lo studio costituisce la chiave di volta per poter comprendere e dimostrare che la

melatonina è in grado non soltanto di bloccare, ma addirittura di invertire

l’invecchiamento. Questo è il punto fondamentale che la nostra ricerca è riuscita a

mettere in evidenza in maniera incontrovertibile.

Ciò detto, chi non intende accettare i risultati ottenuti dalla nostra èquipe (visto che

accade anche questo), e che sono in ogni caso da tutti controllabili, non ha che da

ripetere lo studio clinico.

Noi, in sostanza, avevamo bisogno di raggiungere su questo argomento una prova

certa a livello clinico. Sull’animale, infatti, i dati riguardanti l’inversione della tendenza

verso l’invecchiamento erano ormai noti da anni in laboratorio. Così, dopo vari

infruttuosi tentativi in Svizzera, e grazie anche a modesti aiuti offerti dall’American

Academy of Anti-Aging Medicine di Chicago, e da alcuni amici tedeschi, è stato

possibile stabilire una collaborazione con Giulio Bellipanni, chirurgo e ginecologo di

41
prim’ordine, oltre che mio carissimo amico, con il quale abbiamo, con immensa fatica,

portato finalmente a compimento la ricerca.

Permettimi di bloccarti un attimo, per una domanda di tipo, diciamo, metodologico.

Perché è stata scelta la donna (e quindi la menopausa) per la sperimentazione

clinica? Voglio dire, sarebbe stata la stessa cosa anche con gli uomini (e quindi con

l’andropausa)?

La scelta è caduta sulla menopausa perché questo evento costituisce il segnale certo

dell’invecchiamento della donna. Quando infatti la donna va incontro alla menopausa,

entra in nuova una fase della sua vita, che segna drasticamente la fine dei ritmi

riproduttivi. Ha termine quindi il ciclo ovulare e quello mestruale, più o meno

rapidamente; fanno la loro apparizione disturbi di vario genere, aumentano le

gonadotropine ecc.: per un ricercatore non esiste quindi modello più interessante ed

elegante di invecchiamento, che la menopausa nella donna.

Ciò vuol dire, in sostanza, che se, per ipotesi, attraverso la somministrazione di

melatonina, si riuscisse a ripristinare i ritmi ormonali antecedenti la menopausa (come

puoi notare il concetto di ritmo è una costante che torna, per così dire, ciclicamente, a

permeare anche la nostra conversazione), non potremmo avere prova migliore e più

certa, che la melatonina riesce a bloccare e a invertire il processo di invecchiamento.

E, infatti, ciò è puntualmente accaduto, come volevasi, appunto, dimostrare.

Tu stai parlando, per intenderci, dei parametri dell’invecchiamento di cui abbiamo

discusso nel capitolo precedente; e che nella sperimentazione clinica, se capisco

bene, si sono modificati a tal punto nelle donne sottoposte a trattamento con

melatonina, che ne è addirittura risultata invertita la tendenza ‘programmata’

all’invecchiamento.

42
Esattamente. In sostanza, è stato stilato un protocollo di studio clinico, per passare poi

successivamente alla fase attuativa. Una volta data notizia della sperimentazione che

volevamo compiere, al Ministero della sanità italiano, come prescritto, lo studio, che è

stato purtroppo funestato da un numero incredibile di incidenti anche tragici (fra cui la

morte di due fra i collaboratori di Bellipanni, uno dei quali, il giovane e bravissimo

chirurgo Pierluigi Bianchi teneva le fila dell’intero studio clinico), ha finalmente avuto

inizio, e si è concluso dopo sei mesi.

Va subito precisato che si è trattato di un lavoro pilota, che ha bisogno quindi

sicuramente di ulteriori approfondimenti. Infatti, i problemi metodologici da risolvere

erano parecchi, a partire dall’età delle donne da arruolare per la sperimentazione, le

quali non dovevano ovviamente essere né troppo anziane, né troppo giovani.

Alla fine, il criterio adottato ha favorito la selezione di donne fra i 42 e i 62 anni. Oggi

possiamo affermare che questa scelta è stata vincente. Grazie infatti a questa

selezione, il nostro studio è riuscito a dimostrare con certezza che la melatonina è in

grado di ’invertire il processo di invecchiamento’; che ciò si verifica più celermente

nelle donne più giovani che in quelle più anziane; che la sua attività è più marcata

quando la donna è in premenopausa o in menopausa, piuttosto che in post-

menopausa da anni.

Inoltre, per nostra fortuna, una società americana, di Seattle, si è talmente

appassionata alla nostra ricerca che ci ha fornito gratuitamente i kits per misurare i

livelli salivari di melatonina nelle donne in questione. Ha addirittura provveduto a

inviare a Roma il personale dell’azienda con le valige piene di kits per la misurazione

della melatonina nella saliva. Siamo così riusciti, in maniera quasi rocambolesca (i

prelievi venivano fatti di notte e di giorno, e i tamponi dovevano poi essere spediti negli

Stati Uniti per la rilevazione dei livelli di melatonina), a disporre anche dei livelli di

melatonina notturna nella saliva delle donne; aspetto molto importante, perché è stato

possibile così osservare se esisteva una correlazione fra gli effetti della melatonina

esogena (somministrata cioè dall’esterno, tutte le sere alla dose di 3 mg), e i livelli

della melatonina endogena (prodotta cioè dall’organismo stesso). Ciò vuol dire, in altre

parole, che se il livello di melatonina risulta basso, la somministrazione esogena

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rimpiazza la carenza di melatonina; se il livello endogeno (già presente cioè

nell’organismo) di melatonina risulta invece alto, la somministrazione di ulteriore

melatonina non sortisce nessun effetto: viene semplicemente eliminata con le urine.

Quali sono stati i risultati più significativi della ricerca?

Devo intanto notare che siamo andati incontro a parecchie sorprese. È risultato, per

esempio, stupefacente scoprire che la melatonina è stata in grado di restaurare la

funzione tiroidea nelle donne (molte donne, infatti, in questa fase della vita, presentano

ipotiroidismo, una circostanza che finora non era affatto nota!).

Questo dato, da solo, avrà conseguenze profilattiche e terapeutiche di enorme

rilevanza. In pratica, nonostante la ricerca debba essere considerata come un lavoro

pilota, e lo ribadisco, e nonostante sia stata costellata di mille difficoltà, ha consentito

in ogni caso di dimostrare che la melatonina serve, eccome!, nella donna in

premenopausa, menopausa e post-menopausa, tanto da essere in grado di invertire in

modo evidente e oggettivo il processo di invecchiamento.

La nostra ricerca, randomizzata e in doppio cieco, che ha riguardato 72 donne in

premenopausa, perimenopausa e in menopausa, ha dimostrato, in maniera

inequivocabile, che la somministrazione notturna di melatonina è in grado di indurre,

da sola, una significativa inversione del processo di invecchiamento, evidenziato

anche dalla ‘rinascita’ della fertilità e quindi del ciclo mestruale. È stato in sostanza

dimostrato che la melatonina ‘da sola’, e in soli sei mesi, è riuscita a far ringiovanire, in

tutti sensi, donne di età variabile fra i 42 e i 62 anni.

Tuttavia, tornando alle donne che sono state reclutate per la sperimentazione, quali

valutazioni preventive sono state eseguite su di loro? E quali requisiti dovevano

avere?

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Che non assumessero ormoni; che non presentassero patologie in atto; che non

stessero seguendo terapie con farmaci; che fossero disponibili alla rilevazione della

melatonina salivare mediante il kit da noi fornito; che accettassero di assumere la

melatonina (o il placebo, naturalmente senza saperlo) tutte le sere; che accettassero di

presentarsi dopo tre mesi per i controlli e i prelievi, e poi ancora dopo sei mesi. Inoltre,

ognuna di loro si è sottoposta ad esami ormonali, ematologici ecc., e si è impegnata a

compilare delle schede di valutazione, come avviene in tutte le sperimentazioni

scientifiche cliniche, degne di questo nome.

Qual è stata, con il senno di poi, la scoperta più sensazionale della ricerca? Forse

quella, per esempio, che alcune fra le partecipanti hanno notato con sorpresa il ritorno

delle mestruazioni?

Certamente, questo è stato un avvenimento inatteso, e perciò tanto più significativo.

Ma quella che io considero la vera scoperta è che la melatonina è in grado, in soli sei

mesi, di ripristinare la funzione tiroidea. Gran parte infatti delle donne in

perimenopausa mostrano segni di insufficiente secrezione degli ormoni tiroidei (T3 e

T4). Questo particolare era sconosciuto prima; già da sola quindi questa circostanza è

una scoperta tutt’altro che indifferente. Tale osservazione si ricollega a quanto riportato

da altri ricercatori. Era stato infatti accertato che la melatonina, fra l’altro, facilita la

deiodazione, vale a dire la perdita di un atomo di iodio dalla T4 (tiroxina, ormone

inattivo di per sé), con formazione di T3 (triiodotironina, l’ormone tiroideo attivo).

Cioè? Fammi capire, in parole povere, cosa succede.

Ci provo. T4 è un ormone prodotto dal nostro organismo (quattro molecole di iodio);

questo ormone, però, per poter essere attivo, deve cedere una molecola di iodio

(deiodazione); diventa così T3 (triiodotironina), che è l’ormone tiroideo attivo, appunto.

In sostanza, abbiamo con certezza dimostrato che la melatonina, che potrebbe avere

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anche altri effetti che sono ancora tutti da studiare, produce un miglioramento della

funzione tiroidea.

Ecco perché le donne, assumendo melatonina, ‘resuscitano’! Sfido io: grazie alla

melatonina, scompare infatti la depressione, le gonadotropine (che fanno capo alla

sintesi degli estrogeni e dei progestinici) diminuiscono, migliora la tiroide, la donna

riacquista la fertilità; mi domando se è lecito pretendere di più…

Quale sarebbe invece, a questo proposito, anzi, qual è, il processo fisiologico, in

assenza cioè di somministrazione esogena (cioè dall’esterno) di melatonina, come

normalmente avviene per la stragrande maggioranza delle donne?

Tieni presente che le ovaie in genere sono teoricamente in grado di produrre circa

duecentomila uova. La donna però, nel corso della sua vita sessuale, ne porta a

maturazione soltanto due o tremila, mentre le altre si atrofizzano, in base a un preciso

programma che le porta all’atrofia. Questo è il processo fisiologico (che in realtà poi

tanto fisiologico non è; è, anzi, piuttosto patologico!).

Ora, per sopperire all’insensibilità delle ovaie all’ovulazione, come accade in

menopausa, l’ipofisi produce progressivamente, con l’avanzare dell’età, una quantità

sempre maggiore di gonadotropine (LH e FSH) che stimolano la produzione di

estrogeni e progesterone. In sostanza, in presenza di una minore sensibilità centrale e

periferica, l’organismo in cerca di una compensazione, accresce la secrezione di

gonadotropine, e questo processo è un segno tangibile di invecchiamento; l’aumento

costante delle gonadotropine coincide cioè con l’inizio del decadimento del tratto

riproduttivo della donna. La melatonina ha mostrato di essere in grado di invertire

questo processo.

La somministrazione è stata di soli 3 mg?

46
Esattamente, di 3 mg, alla sera, per sei mesi. C’è da aggiungere che alcune donne

hanno continuato ad assumere melatonina anche dopo la fine dello studio clinico; si è

così verificato il caso che almeno sette donne, già in menopausa, dopo la fine della

nostra sperimentazione, hanno potuto constatare la ripresa del ciclo mestruale!

Oggi poi, al momento cioè di scrivere questo libro, le donne in menopausa che vedono

il ripristino del loro ciclo mestruale, grazie alla somministrazione di melatonina, sono

moltissime, e il loro numero cresce di giorno in giorno. Per non parlare delle tantissime

signore, con disturbi mestruali di ogni tipo e irregolarità del ciclo, che riacquistano il

perfetto ‘ritmo lunare’ di 28 giorni, creato da Madre Natura!

A questo punto io mi auguro che il lavoro che siamo riusciti a portare a termine noi, pur

fra mille difficoltà, possa essere ripreso e possibilmente ampliato da altri ricercatori,

oltre che studiato adeguatamente dai ginecologi, dagli oncologi, dai sociologi, dai

filosofi ecc.

Capisco i sociologi, che sono sempre attenti a ogni stormir di fronda, ma scomodare

addirittura i filosofi… Non ti pare un po’ eccessivo?

Nient’affatto! Cosa cambia, infatti, grazie alla nostra scoperta? Che la donna diventa

inevitabilmente artefice del proprio destino biologico, sociale, culturale ecc. Se potrà

infatti gestire finalmente la propria fertilità, sarà lei a decidere quando andare in

menopausa, quando avere figli…

Se il suo sistema ormonale si manterrà infatti in condizioni giovanili, non avrà più limiti

(o almeno non li conosciamo ancora) per portare a termine senza problema una

gravidanza. La donna si libera così dai condizionamenti imposti dalla menopausa, che

hanno pesantemente contrassegnato il suo destino per migliaia di anni.

A mio avviso, si tratta di una grande rivoluzione, su cui mi permetto di richiamare

l’attenzione non soltanto delle donne, ma di tutta l’umanità senza alcuna distinzione,

compresi gli scrittori e i filosofi. Così come io ritengo che questo sia un bellissimo e

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meraviglioso messaggio che la scienza può oggi lanciare alle donne, che acquisiscono

il grande e nuovo potere di decidere in piena libertà della propria età fertile!

Oltre alle difficoltà per portare a termine la ricerca, cui tu hai accennato in precedenza,

è pensabile, vista anche la posta in gioco, che siano state avanzate delle riserve e

delle obiezioni da parte di qualcuno. Quali sono le principali, sempre che ce ne siano

state?

Premetto che il lavoro scientifico è stato pubblicato sulla rivista Experimental

Gerontology; quindi una delle riviste scientifiche di gerontologia più prestigiose a livello

mondiale. Come avviene in questi casi, il lavoro è stato sottoposto a uno screening

preliminare e, superato questo primo sbarramento, e ritenuto degno d’attenzione, è

stato quindi inviato a tre ricercatori del settore per il consueto review.

Sono state successivamente avanzate da parte dell’editore alcune richieste di

precisazione su punti ben precisi del lavoro, che noi abbiamo accolto, provvedendo ad

apportare le integrazioni e gli adeguamenti richiesti, e alla fine il lavoro è stato

accettato definitivamente dalla redazione.

Dico ciò per fugare, in via preliminare, le obiezioni di chi, in buona o cattiva fede,

intendesse inficiare la validità della ricerca da noi condotta. Chi ha infatti un minimo di

dimestichezza con la ricerca scientifica, sa bene che prima di accedere alla

pubblicazione di un lavoro scientifico, l’autore deve sottoporsi al vaglio di revisori

(leggi: colleghi) nient’affatto benevoli, che vanno a cercare il cosiddetto ‘pelo nell’uovo’,

figuriamoci! Essi mantengono l’anonimato e possono stroncarti o accettarti.

Se quindi la nostra ricerca è stata pubblicata, è segno, vista anche la portata

rivoluzionaria dei risultati, che i dati erano talmente coerenti (e sconvolgenti!) che non

si è potuto fare a meno di pubblicarli!

Detto questo, è chiaro che dal mondo cosiddetto scientifico ci sono state avanzate

delle critiche: sulla metodologia, sui parametri utilizzati e quant’altro. Io rispondo

semplicemente, come del resto è prassi in campo scientifico: «cari colleghi, ripetete

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l’esperimento adottando la metodologia più sofisticata di cui siete o sarete capaci;

arriverete in ogni caso al medesimo risultato raggiunto dalla nostra équipe!».

Possiamo comunque accennare a qualcuna di queste obiezioni?

Perché no? Una di queste riguarda il calcolo delle gonadotropine, così come da noi

effettuato. Obiettivamente, il calcolo si presentava piuttosto complesso: seguendo un

metodo accettato dagli esperti di statistica, abbiamo notato che (a seguito della

somministrazione di melatonina) nelle donne più giovani le gonadotropine LH

diminuivano in maniera più pronunciata; il che sta a significare che la melatonina è più

efficace quando si inizia ad assumerla in un’età non troppo avanzata, dato che il

sistema è ancora abbastanza duttile e flessibile, e può quindi essere modificato.

Questa costituisce, fra l’altro, un’ulteriore significativa constatazione, che indica quanto

sia importante iniziare l’assunzione di melatonina quando il sistema riproduttivo è

ancora giovane a tal punto da riuscire a invertire la corsa verso l’invecchiamento. Una

scoperta che è stata possibile grazie al vasto range d’età delle donne esaminate (da

42 a 62 anni), aspetto, quindi, anche questo criticato a torto.

Ribadisco il concetto: chi non accetta i nostri dati, non ha che da ripetere la

sperimentazione! Noi non potremmo che esserne onorati, dato che si tratta di un

lavoro storico: è infatti il primo studio clinico che dimostra come la menopausa è

reversibile!

D’altra parte, chi vuole capire, capisca: credo che ciascuno abbia almeno un’idea del

fiume di denaro che scorre a fianco degli ormoni e della menopausa! È facile quindi

immaginare quali ostilità susciti la notizia secondo cui, in effetti, basterebbe l’umile,

poco costosa e, soprattutto, non brevettabile melatonina, per portare serenità alle

donne, fino addirittura a invertire il processo di menopausa!

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Proviamo però adesso a girare la frittata, per così dire, ponendo la questione che

abbiamo discusso finora in un altro modo: una donna in menopausa, che non assume

melatonina, ma fa ricorso alla terapia sostituiva ormonale, normalmente proposta dai

ginecologi, a quali problemi va incontro?

La somministrazione ormonale ci riconduce necessariamente alla famosa tela di ragno

di cui abbiamo parlato all’inizio della nostra conversazione. Se tiri uno dei fili, tutta la

tela traballa, e lo stesso avviene se si interviene su un altro punto della costruzione.

L’unico in grado di controllare la tela nel suo insieme (cioè, fuor di metafora, gli

ormoni), è il ‘ragno’ (cioè la ghiandola pineale). Se si somministrano progestinici ed

estrogeni ecc. di sintesi, attivi ma strutturalmente diversi dalle molecole naturali, che

(ed è stato ormai definitivamente accertato) nel tempo risultano, fra l’altro, essere

cancerogeni, al massimo si può correggere alla periferia uno degli squilibri, ma non

tutta la situazione compromessa nel suo insieme; soltanto la ri-sincronizzazione a

livello centrale (pineale-ipotalamo-ipofisi) può porre rimedio a tutti i problemi nel loro

complesso! Diversamente, si finirebbe per mettere inevitabilmente la classica ‘pezza’,

senza però risolvere la questione centrale. Ciò non vuol dire che estrogeni e

progestinici non possano essere utilizzati temporaneamente per mantenere un certo

ritmo nella donna; ma, a lungo andare, non è possibile continuarne la

somministrazione, perché gli ormoni non sarebbero più gestibili e diventerebbero

addirittura pericolosi.

Per quale motivo allora, è lecito chiedersi, la terapia sostitutiva ormonale è diventata il

classico rimedio ai disturbi che accompagnano solitamente la menopausa?

Bisognerebbe girare la domanda ai ginecologi, ai medici di famiglia, oppure, più

fruttuosamente, alle industrie farmaceutiche che producono ormoni. Io posso soltanto

dire che la terapia sostitutiva ormonale non è, e non può essere, la soluzione del

problema. Sarebbe come somministrare permanentemente cortisone a una paziente

50
che è portatrice di una malattia autoimmunitaria; il cortisone toglie semmai

l’infiammazione, ma la malattia resta lì, e il problema è tutt’altro che risolto! Inoltre, e

ne puoi capire la ragione, si usano soprattutto estrogeni e progestinici di sintesi

chimicamente diversi dai naturali, invece di quelli naturali, disponibili ma…economici!

Anche qui la chimica ed il profitto hanno preso il sopravvento sulla Natura.

Tuttavia, per tornare alla melatonina, è proprio vero che la sua somministrazione pone

efficacemente rimedio a tutti i disturbi riferiti dalle donne in menopausa?

Vampate di calore, nervosismo, irritabilità, insonnia, depressione mattutina, sono tutti

disturbi neurovegetativi che scompaiono grazie alla somministrazione della semplice

melatonina. E ciò avviene, non tanto per l’azione della melatonina in sé, quanto

piuttosto per gli effetti protettivi, a livello centrale, esercitati dalla melatonina sul

sistema neuroendocrino.

Cap. 12 – La conferenza di Berkeley e la melatonina

Il lavoro non vi mantiene giovani.


Colui che pretende di non faticare lavorando,
soffrirà morendo. Il lavoro della maggior parte
degli uomini non è né imposto né benedetto da Dio. (Walter Pierpaoli)

Su invito di Organi Amministrativi del governo degli Stati Uniti, nel 1996, tu hai

partecipato alla conferenza di Berkeley, che ha praticamente deciso il destino della

melatonina negli Stati Uniti. Come sono andate le cose?

Sì, sono stato gentilmente invitato, e ricordo con quanta perplessità e talvolta con

irritazione mi guardavano gli altri convitati. Credo si chiedessero da dove arrivava

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l’intruso. Alla conferenza infatti partecipavano i membri della FDA (Food and Drug

Administration), l’agenzia governativa degli Stati Uniti per i farmaci e l’alimentazione,

alcuni ricercatori e specialisti come me, il mio amico William Regelson, dirigenti e

ricercatori della più importante istituzione degli USA per lo studio dell’invecchiamento

(National Institute on Aging, National Institutes of Health), per un totale di diciotto

persone.

La conferenza era stata organizzata per decidere cosa fare della melatonina, se

consentirne cioè, o no, la libera vendita negli Stati Uniti. C’era stato infatti già in

precedenza un tentativo di escludere la melatonina dal mercato.

La reazione da parte dei consumatori era stata però talmente violenta che, così

almeno mi fu riferito (ma non sono in grado di confermare se le cose siano andate

realmente così), in poco tempo vennero raccolte oltre quaranta milioni di firme a

favore della libera vendita della melatonina. Com’è noto, infatti, il popolo americano

insorge in modo drammatico quando qualcuno vuole impedire una qualsiasi

espressione della libertà di scelta.

In quella occasione, la melatonina scampò al pericolo di interdizione per due motivi

concomitanti: la determinazione dei produttori di ogni sorta di integratori alimentari, che

negli Stati Uniti, contrariamente a quanto avviene in Europa, sono altrettanto potenti

quanto le industrie farmaceutiche; e l’impossibilità di accertare un solo effetto negativo

attribuibile all’assunzione di melatonina.

Fu così che la FDA ne decretò definitivamente la libera vendita. In ogni caso, la

conferenza si rivelò la sede più qualificata per una qualsiasi decisione in merito, in un

senso o nell’altro. Erano infatti presenti tutti quelli che decidono della salute degli

americani, e per me è stata una grande lezione positiva di civiltà e di democrazia (la

stessa cosa non si può purtroppo affermare per l’Europa). Ed è proprio grazie alla

positiva presa di posizione di FDA e NIH negli USA, che anche in Europa è stato

possibile, non soltanto continuare la sperimentazione scientifica, ma rendere anche

disponibile la melatonina a beneficio della popolazione; quantomeno in Italia!

Mi sia consentito, a questo proposito, di affermare che, almeno in questa occasione,

mi sento felice di essere italiano! Però, se gli Stati Uniti non avessero fatto da

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battistrada, e se non fosse stato pubblicato, appunto negli USA, il mio libro Il Miracolo

Melatonina, che ne sarebbe stato della melatonina? Lascio a te immaginarlo.

Chi era contrario alla libera vendita della melatonina, in quella circostanza?

Chiaramente l’industria farmaceutica. È infatti risaputo che la melatonina è in grado di

sostituire egregiamente (e senza rischio alcuno!) le benzodiazepine e tutto il fruttuoso

e sterminato campo di psicofarmaci, tranquillanti, ansiolitici e sonniferi, il consumo dei

quali ha ormai assunto proporzioni gigantesche. Molti dei mie pazienti, prima di

rivolgersi a me, ne facevano uso da oltre trent’anni!

Ti porrò adesso una domanda, che avrei dovuto farti per la verità all’inizio, e che

riguarda la melatonina come sostanza; ma vorrei che tu mi parlassi della sua

origine e della sua scoperta, oltre che del nome stesso che le è stato attribuito. Mi

rendo conto che la questione è trita e ritrita; tuttavia, parliamone ugualmente a

beneficio di chi ti legge per la prima volta.

La melatonina ha un ruolo fondamentale nella biologia di tutti gli esseri viventi, animali

o vegetali che siano. È presente non soltanto nell’uomo, ma anche negli anfibi, nei

pesci, nelle piante ecc. Il nome le è stato attribuito per il noto fenomeno che ne fa una

sostanza in grado di indurre delle mutazioni nei cromatofori, cioè le cellule (melanociti)

che trasportano il pigmento responsabile della colorazione della pelle, per esempio.

Cerco di spiegare meglio: l’ipofisi intermedia produce una sostanza, MSH (melanocyte

stimulating hormone), che provoca la diffusione dei melanofori sulla pelle, quelli cioè

che ci consentono di abbronzarci se ci esponiamo al sole; vengono richiamati dai raggi

ultravioletti e portano il pigmento.

Queste cellule pigmentate sono anche sulla pelle degli anfibi; anzi, per alcuni di loro

rappresentano una sorta di salvavita, perché rendono possibile un rapido mimetismo,

attraverso un istantaneo cambiamento di colore che rende praticamente invisibile

l’animale.

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Sulla pelle della rana, per fare un esempio, la natura ha dislocato delle sostanze che

muovono le cellule deputate al trasporto dei pigmenti; si tratta dell’MSH, che è un

ormone molto interessante dell’ipofisi intermedia, che produce un allargamento, cioè

un’espansione dei melanofori. La melatonina agisce invece in senso contrario; fa cioè

aggregare i melanofori, causando così uno sbiancamento della pelle della rana che

assume quindi un colorito pallido.

Le prime osservazioni sulla melatonina hanno semplicemente messo in evidenza che

un estratto di pineale produce un effetto schiarente sulla pelle della rana. La

melatonina è stata poi isolata da Lerner, negli anni cinquanta, che la identificò, dandole

il nome che oggi tutti conosciamo. Aggiungo che, subito dopo la scoperta di Lerner,

sono stati eseguiti moltissimi lavori clinici che hanno messo in luce come la

melatonina, somministrata anche in dosi enormi (addirittura per settimane, in grammi,

non milligrammi!), nell’uomo, non dava luogo a effetti collaterali.

In realtà, non si conosceva quale potesse essere la sua funzione (a parte l’effetto sulla

pelle della rana!); risultava però assolutamente innocua. Tuttavia, come la storia della

ricerca scientifica ci insegna, la natura non crea una molecola per adempiere

esclusivamente a una sola funzione (in questo caso, schiarire la pelle della rana).

Come era solito affermare Sir Peter Medawar, Nobel per la medicina nel 1959, che

ebbi la fortuna di incontrare durante una conferenza a Cernobbio, purtroppo i tecnologi

tralasciano le osservazioni più ovvie. Le molecole che la natura si è ‘inventata’ (gli

ormoni, per esempio) nel tempo, non cambiano la loro struttura durante il corso

dell’evoluzione, però possono acquisire nuove funzioni.

Un buon esempio in questo senso è costituito proprio dalla melatonina, che svolge

tantissime funzioni, di cui neppure una è (almeno al momento) conosciuta fino in

fondo.

L’ormone della crescita, o Growth Hormone, altro esempio, è una mostruosa molecola

ricca di tanti aminoacidi, che non è affatto destinato unicamente a favorire la nostra

crescita; ricopre invece un’infinità di altre funzioni, acquisite nel corso dell’evoluzione

delle varie specie animali (questo è anche il motivo per cui bisogna fare molta

attenzione a somministrarlo come supplemento nutrizionale: oltre infatti a favorire la

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crescita, purtroppo anche delle cellule tumorali!, induce la formazione di colesterolo

LDL, quello cattivo!, e ha a che fare con l’insulina ecc).

Questo è anche il motivo per cui bisogna essere molto cauti nell’assumere ormoni,

perché la loro supplementazione risulta sempre pericolosa. Le molecole di cui ci si può

invece fidare sono quelle innocue e senza effetti collaterali, e che non rientrano nella

categoria degli ormoni, anche se poi nel corso dell’evoluzione della specie, ma molto

più tardi, hanno anche acquisito la funzione di regolare certe ghiandole, com’è appunto

il caso della melatonina. Ma ciò avviene comunque in maniera indiretta, e con un

meccanismo completamente diverso. È la natura che si è inventata tutto; noi invece

brancoliamo nella chimica, e diamo definizioni ridicole di molecole di cui sappiamo

poco o niente. Vedi il caso della prolattina, simile al Growth Hormone (ormone della

crescita), che qualcuno ha battezzato versatilina, dato che fa di tutto, a tutti i livelli.

Cap. 13 – Melatonina e invecchiamento

Gli uomini politici, i dottori della legge, i medici


e i professori universitari soffrono (in gran parte)
della ‘sindrome di Seneca’. I loro atteggiamenti moralistici
e virtuosi portano l’impronta gerontomorfica e necrofila
che distrugge la nostra gioventù, la nostra gioia di vivere,
il senso dell’amore e della bellezza, e conduce la
società all’estinzione. (Walter Pierpaoli)

Scoperta la melatonina, iniziano gli studi per capirci qualcosa sulle funzioni e le

proprietà di cui essa sembra portatrice. Quando se ne rileva poi la funzione, per così

dire, antietà?

Che la melatonina abbia a che fare con l’invecchiamento, è una scoperta di cui

rivendico la paternità. Io però, in precedenza, mi ero preso la briga di leggermi una

mole enorme di documentazione scientifica.

Alla fine degli anni settanta, lavoravo agli ormoni, all’ipofisi, ai trapianti; ho iniziato a

documentarmi sulla ghiandola pineale, la ciclicità e altri argomenti di questo genere.

55
Leggevo, per esempio, che la produzione di melatonina decresce con

l’invecchiamento.

Reiter aveva osservato invece che la melatonina, somministrata ad alte dosi, ma con

una ciclicità inversa rispetto a quella fisiologica (di giorno, quindi, e non di notte),

portava all’atrofia dei testicoli nel criceto. Collegando insieme osservazioni diverse

(picco notturno della melatonina; diminuzione nell’invecchiamento; effetti

antigonadotropi nel criceto ecc.), cominciai a mettere in atto una serie di esperimenti

(gran parte dei quali pubblicati su riviste scientifiche internazionali).

A quel tempo mi occupavo di immunologia, e il mio primo esperimento fu quindi

orientato in quella direzione. Visto che la produzione di melatonina viene inibita dalla

luce, con conseguente neutralizzazione della funzione della pineale, e sapendo che il

timo e tutto il sistema immunitario dipendono dagli ormoni, mi sono chiesto che cosa

sarebbe accaduto se avessi tenuto costantemente sotto la luce di una lampada in

laboratorio, coppie di topolini (maschi e femmine) perché si riproducessero.

L’interrogativo cui intendevo rispondere attraverso l’esperimento era il seguente: se,

come risultava dalle osservazioni di altri ricercatori, la produzione di melatonina

decresce nel corso della vita, fino a scomparire del tutto nell’invecchiamento, ed essa

è inoltre inibita dalla luce, quale effetto avremmo potuto aspettarci se avessimo inibito

costantemente (attraverso un’illuminazione costante) il picco notturno di melatonina,

cioè la sua produzione da parte della ghiandola pineale?

In teoria, privi del picco notturno di melatonina, i topi avrebbero dovuto invecchiare

rapidamente. Si trattava di un esperimento semplicissimo, che però nessuno aveva

mai condotto in precedenza. La prima e la più ‘strana’ osservazione fu che cambiava

l’odore che i topolini emanavano; credo si verificasse una mutazione del sistema

ormonale (probabilmente a livello di gonadotropine, e con il coinvolgimento di qualche

feromone); inibendo, infatti, la produzione di melatonina, che antagonizza appunto le

gonadotropine, queste ultime aumentano.

Era comunque un odore molto particolare, di cui, da qualche parte nel mio cervello, mi

è rimasto ancora il ricordo. Gli animali si accoppiavano sotto la luce, generavano sotto

la luce, vivevano sotto la luce, giorno e notte. Stesso trattamento riceveva la prole, fino

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alla seconda, alla terza e alla quarta generazione. Risultato? Le prime tre generazioni

apparivano del tutto normali; la quarta generazione, invece, mostrò seri problemi di

crescita (timo atrofico, risposta immunitaria assente, in una parola, invecchiamento

accelerato).

Quale conclusione traesti allora da quel risultato?

Devi sapere che una delle mie intuizioni, che considero fondamentale, è stata la

scoperta che la ciclicità sta alla base della vita (1977). E, guarda caso, cosa era venuto

a mancare nell’esperimento in questione? Proprio la ciclicità dei ritmi circadiani

(giorno/notte; sonno/veglia), con il conseguente arresto della crescita, e quindi della

vita stessa.

C’erano volute però ben quattro generazioni per poter eradicare il segnale della

ciclicità: esso risulta quindi iscritto profondamente nella genetica del mammifero topo

e, estrapolando, anche nell’uomo (i risultati furono pubblicati nel 1981 su

Psychoneuroimmunology, un volume dell’Academic Press di New York).

L’invecchiamento precoce, nell’esperimento che hai appena ricordato, era quindi da

attribuire alla perdita dei ritmi circadiani; e la melatonina, però? S’è persa nel

frattempo per strada?

Giusta osservazione. Infatti, proseguendo nella ricerca, mi sono chiesto: non sarà stato

per caso il venir meno della produzione di melatonina a causare l’accelerazione

dell’invecchiamento? Per dare una risposta a questo interrogativo, non c’era altro fare

che provare. Così, nel 1985, cominciai l’esperimento decisivo, ormai ampiamente

documentato e replicato numerose volte e poi pubblicato vedi foto nelle ultime

pagine di questo libro, grazie al quale giunsi alla conclusione che la

somministrazione notturna di melatonina allungava effettivamente la vita dei topi.

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Ma non è tutto; nel 1987 infatti scoprimmo che la melatonina ha anche un potente

effetto immunostimolante. Seguì un periodo molto intenso di ricerca, durante il quale,

oltre a occuparmi di brevetti e di altro ancora, vennero replicati tutti gli esperimenti

eseguiti in precedenza, che confermarono quanto fino ad allora era stato da me

scoperto. In questo senso poi, la seconda Conferenza di Stromboli su Cancro e

Invecchiamento (1990) che ebbe come argomento «Physiological senescence and its

postponement: theoretical approaches and rational interventions» (cioè, Come

ritardare l’invecchiamento fisiologico: approccio teorico e interventi razionali),

rappresentò il coronamento di tutti gli sforzi compiuti fino a quel momento.

Fra l’altro, proprio in quegli anni avevo sposato la mia seconda moglie; mi preme

sottolineare questo avvenimento, perché senza di lei non avrei mai potuto portare a

termine una mole così impegnativa di lavoro: la sua presenza al mio fianco è stata per

me la salvezza; mi ha infatti dato la cura, l’amore, la tenerezza, l’attenzione e la serena

intelligenza di cui avevo assoluto bisogno. Con ciò non rinnego affatto la mia prima

famiglia, con la quale ho iniziato, e continuo a costruire, una meravigliosa Comunità

Umana.

Tuttavia, nonostante ciò che avevi scoperto fosse di fondamentale importanza,

immagino tu non ti sia fermato lì: qual è stato il passaggio successivo, sulla strada

dell’inversione dell’invecchiamento?

In realtà, io continuavo a domandarmi se era realmente la melatonina a ritardare

l’invecchiamento. Da qui l’idea di eseguire un esperimento in grado di eliminare ogni

ragionevole dubbio. Dato che la melatonina è prodotta soprattutto dalla ghiandola

pineale, che è quindi responsabile del suo picco notturno, decisi di procedere al

trapianto di pineale da topo giovane a topo vecchio (per la verità, data la mia

dimestichezza con i trapianti, questo era un esperimento cui avrei dovuto far ricorso

prima, ma è andata così!).

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La risposta fu sorprendente: la ghiandola pineale giovane, trapiantata nel topo vecchio

(dove non può più produrre melatonina perché non ha innervazione e non può quindi

adempiere oltre a questa funzione, anche se vascolarizzata, e quindi vitale), non solo

ritardava l’invecchiamento, ma ne invertiva il processo!

Il ‘miracolo’ non era quindi da attribuire tanto alla melatonina (prodotta in condizioni

normali dalla pineale), ma alla pineale stessa!

Questa ulteriore scoperta si è rivelata quindi fondamentale per comprendere il

meccanismo dell’invecchiamento. Ma, ancora una volta, che fine fa la melatonina? Se

infatti non è la diretta responsabile della giovinezza o dell’invecchiamento, perché

somministrarla (al topo e, quindi, all’uomo)?

Per la semplice ragione che la melatonina ha la funzione di proteggere e mantenere

giovane la pineale, che è quella che impartisce l’ordine di invecchiare. Per spiegarmi

meglio, io ricorro al ragionamento che farebbe qualsiasi persona semplice: se si

inonda di notte l’organismo con la melatonina, per la cui produzione occorre innescare

vari, ‘dispendiosi’ e complicati meccanismi, la pineale si astiene dal produrla.

E cosa fa, in questo caso, la pineale?

Dorme e si riposa, ti sembra poco? In sostanza, assumendo melatonina, si mette a

riposo la pineale; di conseguenza, quest’ultima non ha bisogno di sottoporsi alla sforzo

di produrla, e può adempiere con maggiore vigore ad altre funzioni, producendo in

primis altre sostanze, per esempio il TRH, che io vado studiando da parecchio tempo,

e che, come ho già anticipato, sarà l’oggetto del nostro prossimo libro.

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Se però una pineale giovane fa ringiovanire il topolino decrepito su cui è stata

trapiantata, che succede se si esegue l’operazione contraria? So bene che questo

argomento lo abbiamo già affrontato in precedenza in questo libro, tuttavia a me

sembra molto utile tornarci su, data l’importanza della questione.

La risposta la si può facilmente trovare nel trapianto crociato: da topo vecchio a topo

giovane, cioè, e viceversa, che noi abbiamo infatti eseguito.

Risultato? Mentre il topo vecchio ringiovanisce, nel giovane si attiva un processo di

rapido invecchiamento; e, cosa ancora più sorprendente, anche nel caso in cui esso,

oltre alla pineale vecchia che gli è stata impiantata, conservi anche la sua pineale

giovane.

Ciò può avere soltanto un significato: che cioè l’ordine d’invecchiare, impartito dalla

pineale vecchia, ha il sopravvento assoluto; fino a rendere nullo il messaggio della

pineale giovane che vorrebbe invece ritardare l’invecchiamento, perché il suo orologio

biologico non segna ancora l’ora d’invecchiare.

Infatti, grazie all’ultimo lavoro (e guarda quanti anni sono dovuti passare!), abbiamo

potuto dimostrare come il trapianto di pineale vecchia fa invecchiare in modo drastico il

topo giovane, anche se esso conserva la propria pineale. [Pierpaoli-Bulian, Journal of

Anti-Aging Medicine, vol. 4, n.1, 2001: «The Pineal Aging and Death Program. I.

Grafting of Old Pineals in Young Mice Accelerates Their Aging». Vedi in appendice].

Ciò era assolutamente impensabile prima. Chi avrebbe infatti mai potuto soltanto

sospettare che una pineale vecchia, di un animale di 22 mesi (un topo vecchissimo,

quindi) separata dalle sue connessioni nervose, e trapiantata nel timo o sotto la

capsula renale di un animale giovane (4 mesi), potesse farlo invecchiare tanto

rapidamente?

A me pare tuttavia che questo esperimento tu l’avessi già eseguito in precedenza,

quando avevi trapiantato la pineale dal giovane al vecchio, cui avevi lasciato però la

sua pineale vecchia.

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Infatti, ricordi bene. Ma allora non avevamo eseguito l’operazione inversa, da vecchio

a giovane cioè, lasciando la pineale al proprio posto. Nella pinealectomia crociata,

infatti, poteva sussistere il dubbio che il topo giovane invecchiasse per un danno subìto

durante l’intervento chirurgico, e non quindi perché la pineale vecchia che gli era stata

impiantata gli ordinasse d’invecchiare.

Per questo motivo, l’esperimento di cui abbiamo appena parlato costituisce una novità

assoluta; sono poi in grado di anticipare che un altro lavoro, di prossima pubblicazione,

dirà in quale momento della vita la pineale dà l’ordine d’invecchiare. Abbiamo infatti

realizzato una serie di esperimenti, grazie ai quali è stato possibile stabilire l’età critica

in cui la pineale decide che è giunto il momento. E la cosa sorprendente è che,

asportando la pineale in quel preciso momento, l’animale vive più a lungo. Infatti, il

programma genetico di invecchiamento e morte, insito nel sistema neuroendocrino, è

molto preciso; allo stesso modo in cui un individuo cresce, si sviluppa, raggiunge la

maturità sessuale, si riproduce. È un programma insito nella genetica di ogni specie.

Anche l’invecchiamento è quindi programmato; e se noi riusciamo a individuare gli

agenti deputati all’attuazione del programma (e io penso naturalmente al sistema

ormonale che decade, vedi la menopausa, per esempio), possiamo intervenire su di

essi, riprogrammando il processo d’invecchiamento e morte. L’uomo ha dunque di

fronte a sé nuove frontiere.

Cap. 14 – Come mantenersi in buona salute, a contatto con la natura

Gli incantevoli occhi ridenti di un vecchio


che ha vissuto bene, esprimono, meglio di mille
descrizioni letterarie, l’accumulo di vita che continua,
e il messaggio che l’invecchiamento è soltanto un fenomeno
evolutivo e sociale, piuttosto che un’ineluttabile legge di Natura. (Walter Pierpaoli)

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Nei tuoi scritti, e ciò si è ripresentato più volte in questa nostra conversazione, tu parli

spesso dei ritmi naturali e della ciclicità che li accompagna. Ti chiedo: quanto è

importante per l’uomo di oggi conservare, nonostante tutto, il contatto con la natura?

Io sono solito ripetere a me stesso uno slogan, che potrà far sorridere, a cui credo però

fermamente, ed è questo: «Chi molto si è graffiato, nei secoli si è salvato».

‘Chi molto si è graffiato!’, capisci? Tento di spiegare ciò che intendo dire. Io sono

convinto che il midollo osseo è al centro della morfostasi, ed è il ‘cervello’ del

mantenimento dell’integrità biologica.

Compiendo, infatti, sperimentazioni di epatectomia (rimozione chirurgica parziale o

totale del fegato) sui topolini, per studiare la rigenerazione epatica, mi resi conto che il

midollo reagiva molto prontamente, non solo alla resezione di parte del fegato, ma

anche alla laparotomia (incisione chirurgica della parete addominale e del peritoneo).

Misi in atto allora altri esperimenti, e scoprii così che l’alterazione della compattezza

dell’epidermide aveva una diretta relazione con il midollo osseo.

In pratica, è il nostro mondo nascosto nelle ossa e nei miliardi di nicchie che vi si

annidano (l’ecosistema delle cellule del midollo osseo è un mondo fantastico di una

complessità incredibile!), a regolare la nostra vita.

In ogni caso, c’è una connessione diretta fra il mondo esterno (la pelle), e il mondo

interno (il midollo osseo). Da questo concetto è venuta la scoperta delle transferrine e

tutto quanto concerne il mondo dei trapianti (di cui parleremo in un altro libro!).

Ho scoperto cioè che quando si graffia la pelle (ed ecco perché gli interventi chirurgici

sono un avvenimento importante, anche soltanto per la semplice incisione della cute

con il bisturi, cosa a cui i chirurghi non pensano minimamente!), nel nostro organismo

si scatena un vero putiferio.

Ora, l’uomo di una volta, il cacciatore cioè, o il contadino, si graffiava, ed era sempre

esposto a ogni genere di intemperie: questo è un concetto importantissimo. Gran parte

degli uomini vivevano all’aperto; soffrivano il caldo e il freddo; si procuravano ferite alla

pelle mentre faticavano a raccogliere bacche o altro. Tutto questo era positivo per la

loro salute.

62
Viene, ovviamente, da chiedersi: perché?

Perché un graffio alla pelle stimola le risorse immunitarie, che sono in grado di

rigenerare la nostra vitalità. I barbieri, un tempo, praticavano il salasso; e perché?

Perché ci si era accorti che l’unico modo per rigenerare la capacità di resistere alle

infezioni era ricorrere a questa pratica; e, infatti, quando uno stava male, non

sapevano come intervenire diversamente.

Un graffio sulla pelle scatena quindi una reazione immediata a livello del midollo

osseo? È questo che vuoi dire?

Esattamente. E ciò avviene perché il sistema nervoso e le linfomonochine che si

liberano dall’epitelio e dal derma, stimolano il midollo osseo, attraverso meccanismi

nervosi (esiste, in sostanza, una connessione nervosa diretta; è lo stesso principio su

cui si basa infatti l’agopuntura o il massaggio plantare ecc.). È un fatto positivo,

evolutivo; quando, infatti, eravamo scimmie o scimmie per metà, o che so io, noi

eravamo esposti a micro o macro drammi della pelle.

Il midollo contiene però elementi potentissimi per la sua rigenerazione. Se quindi ci si

graffia la pelle, si innesca una ‘conversazione’ tra pelle e midollo che porta a un nuovo

stato di salute.

Veniamo adesso al ragionamento che ci interessa: l’uomo moderno sta mettendo in

atto, letteralmente, il proprio suicidio; noi non siamo più degli uomini; siamo piuttosto

dei molluschi, degli invertebrati! Gi americani stanno affogando nel loro grasso!

Inoltre, automobile, televisione ecc., tutti questi aggeggi ci danneggiano fin dalla

nascita; i bambini sono superprotetti; per non parlare poi dei farmaci, degli antibiotici e

delle vaccinazioni! Non esiste più la selezione naturale, e ciò rappresenta, dal punto di

vista biologico, un danno gravissimo.

63
L’uomo deve esporsi alla natura; se non lo fa, accelera il proprio invecchiamento. Il

rinnovamento, infatti, del midollo e delle risorse immunitarie dipende in larga misura

dal contatto con la natura: se prendi una doccia fredda, se ti ferisci, se ti graffi, se

lavori e affondi le mani nella terra, se senti il freddo, il cambiamento delle stagioni…

Purtroppo, chi vive in città, questi aspetti del vivere li ha dimenticati del tutto. E i

prodotti chimici, l’aria che respiriamo, l’alimentazione, i telefoni cellulari e le linee ad

alta tensione: è una catastrofe!

Siamo immersi in un sistema che ci sta distruggendo. Per mantenere uno stato

ottimale di salute, dobbiamo adottare uno stile di vita in cui, per fare un esempio, non

ci si mette addosso tre cappotti o tre paia di calze d’inverno; bisogna invece cercare di

‘sentire’ se fa freddo o se fa caldo, se è primavera o estate, inverno o autunno.

Non si può tuttavia pensare di tornare al lume a petrolio o alla stufa a legna.

Si può però regolare il riscaldamento sui 18, piuttosto che sui 24 °C e non devastare la

pineale con luce intensa, magari anche notturna. Ciò vale anche per l’alimentazione e

l’igiene personale, attraverso l’adozione di abitudini intelligenti, con esclusione di

prodotti chimici dannosissimi (creme, shampoo, tinture per capelli, detersivi e

deodoranti compresi). Ma la Natura, sempre più sopraffatta dalla chimica,

inevitabilmente si vendica sempre, e quando uno meno se lo aspetta! I bambini che

crescono oggi nei Paesi Occidentali ricchi ne saranno la triste evidenza.

Cap. 15 - Me l’ha prescritto il medico! Attività sessuale e sistema immunitario

64
L'ottimismo, l'idealismo, la curiosità
della natura e l'intenso amore per la vita,
combinati alla capacità di gioire nel fare errori,
sono tutti elementi che hanno il sapore di Venere e di Eros. (Walter Pierpaoli)

Caro Walter, tu dici che l’interesse sessuale non conosce età o limiti temporali. Lo
confermi, e perché? Inoltre, qual è il significato di questo interesse a livello,
diciamo, fisiologico?

L’aspetto più drammatico nelle vicende che riguardano il sesso, diciamo negli ultimi
duemila anni della civiltà occidentale, è la manipolazione che è stata messa in atto
da parte dei gruppi dominanti di potere; i quali, avendone compreso appieno la
forza vitale dirompente, hanno di volta in volta spinto il sesso verso obiettivi di
comodo, ora sublimandolo, ora comprimendolo, fino a sopprimerlo; il tutto condito
da malefatte di incredibile raffinatezza.
Si è inteso, in sostanza, privare l’uomo della libertà di godere del sesso, facendone
oggetto di peccato e di colpa, e introducendo limitazioni e distinguo, in modo da
assoggettare l’individuo alla necessità impellente di ottenere, da chi ha appunto il
potere di accordarlo, il perdono dalla colpa!
Si è tentato di soggiogare in tutti i modi l’uomo, facendo dell’insopprimibile forza
vitale del sesso, uno strumento di controllo, e quindi di potere da gestire a
discrezione dell’autorità, che, solo lei, può assolvere o dannare; degradando così
quello che nella natura delle cose è un anelito verso la gioia e l’immortalità, nella
più turpe delle attività dell’uomo.

Da una parte quindi, se capisco bene, l’insopprimibile forza vitale del sesso;
dall’altra, qualcuno che, taglieggiandola, ne fa uno strumento di potere; forse è una
ricostruzione un po’ semplicistica ma, tant’è, non è di questo che ci occupiamo in
questo capitolo. Mi interessa però comprendere quanto è importante il sesso ai fini
del nostro stato fisiologico, e quindi della nostra salute in generale. Quanto conta
insomma il sesso nella nostra vita?

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Mi sembra pressoché ovvio affermare che il sesso rappresenta il mezzo, conscio o
inconscio che sia, con il quale l’uomo tende all’immortalità, e la realizza. Per questo
motivo la spinta sessuale è di una inaudita e, direi, irrefrenabile violenza. Se noi
riuscissimo, per un momento, a liberarci da tutti i condizionamenti culturali di cui ho
appena parlato, non potremmo non convenire sul fatto che il sesso è la forza vitale
più decisiva nella nostra condizione umana.
Del resto, tutto nella nostra vita ruota attorno al sesso, ne sono profondamente
convinto, e motiva gran parte delle nostre azioni, se non tutte; ed è
incessantemente presente nell’uomo dalla nascita fino alla morte; al punto che
quando si estingue, viene meno la vita stessa.
Già soltanto da questa semplice osservazione, ci si può rendere conto del
significato del sesso per la nostra salute. Tu mi chiedi se è importante il sesso: e io
ti dico che immunità e sesso sono inscindibili, ti basta?.
Vista dal biologo, la situazione si presenta in questi termini: immunità e ormoni
sessuali sono parte di un solo sistema di identità. Le molecole che regolano le
funzioni sessuali sono, infatti, le stesse che governano la resistenza immunitaria
contro infezioni virali, batteriche, micotiche e parassitarie.
Sono i fattori di ‘rilascio’ ipotalamici (come LH-RH) delle gonadotropine, le
gonadotropine stesse (LH e FSH), gli estrogeni, il progesterone, il testosterone, e
così via. La natura poi non fa distinzione tra riproduzione sessuale e resistenza alle
infezioni, anche se dà ovviamente la priorità alla riproduzione, perché l’individuo
diventa inutile una volta che si è riprodotto. Basti ricordare la drammatica storia del
salmone del Pacifico, che muore di morte acuta ‘ormonale’, subito dopo aver
fecondato!
In questo senso, la resistenza immunologica è importante solamente in quanto
concede all’individuo il tempo necessario a divenire adulto, e quindi a procreare
per immortalare la specie. Da questo punto di vista, la natura non bada proprio a
spese! Ottiene i suoi scopi evolutivi attraverso misure e metodi dispendiosi e
complessi, ma infallibili, e statisticamente vincenti; per questo motivo bisogna
guardarsi bene dall’intralciarne i disegni, come purtroppo oggi avviene con la
rottura degli equilibri biologici prodotta dall’uomo e dalle sue dissennate misure di
protezione (vedi vaccinazioni a tappeto). La conseguenza non potrà che essere
una nuova ‘selezione naturale’, che già peraltro osserviamo nel proliferare
dell’AIDS e nel dilagare della droga, che uccide chi è psichicamente labile e ne
diventa dipendente e schiavo.

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In ogni caso, tornando all’interesse sessuale, da cui siamo partiti, si tratta di un
sistema che si genera con la vita e si estingue con la morte; e non può e non deve
mai essere messo da parte! Accade, per esempio, che alla donna in menopausa il
sesso non interessi ormai più così tanto, mentre il partner è di tutt’altra opinione: lei
rassegnata, lui, di conseguenza, frustrato (bella coppia!).
Sono invece convinto che la vita in comune, a parte la spiritualità condivisa,
l’affinità elettiva ecc., è basata sul mantenimento costante di una buona relazione
sessuale. Non sto dicendo, me ne guardo bene, che non debba esistere anche la
solidarietà e l’amore, come espressione di affinità spirituale in caso di gravi
problemi che impediscono l’attività sessuale; normalmente, però, ritengo sia molto
più salutare che la coppia abbia sempre una vita sessuale attiva, perché lo vuole la
natura.

Però, per esprimersi al meglio, l’attività sessuale necessita di una certa sintonia di
coppia (quale che sia), cioè di quello stato di grazia che tu chiami ‘spirito’, e anche
‘santo’.

Nella vita dell’uomo non c’è niente di più sublime dell’affinità di coppia che
consente a due persone di comprendersi, di toccarsi e di accarezzarsi
amorevolmente, vivendo espressioni di indescrivibile bellezza e raffinatezza: è il
raggiungimento di uno stato di beatitudine. Che però, me ne rendo conto, è negato
purtroppo alla stragrande maggioranza delle persone; ci sono infatti mille ragioni
perché tutto ciò accada soltanto di rado. Quando però si concretizza, esprime uno
stato di gioia tale, che più sublime non è dato sperimentare; ecco perché io lo
chiamo ‘spirito santo’.

Che cosa rappresenta questo ‘spirito santo’ a livello immunologico?

Le molecole che regolano le funzioni sessuali, l’ho già detto, sono le stesse
identiche molecole che presiedono anche ai processi immunitari. I cicli ormonali
sovrintendono all’immunità, alla funzione timica (cioè del timo), all’espressione e
alla funzionalità di vari tipi di cellule T (quelle che governano e sono preposte
all’immunità da trapianto, alla difesa contro i virus).
Quando una persona subisce una cocente delusione amorosa, viene a crearsi nel
suo intimo una situazione di disastro psicologico, di angoscia, direi ‘agonica’, che
si riflette sia sulle funzioni sessuali, sia sull’immunità.

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Sono arciconvinto che gran parte dei gravi problemi che portano all’alterazione
dell’immunità, hanno un’origine emotiva e psicologica. Quando si è soggetti a uno
stress negativo (perché ne esistono anche di positivi!), si verifica un trauma che si
riflette sul controllo dei cicli ormonali, fino a compromettere l’immunità di una
persona.
Il trauma emotivo persistente porta poi alla depressione e all’odio di se stessi; a
una situazione, cioè, autodistruttiva, fino al desiderio di morte, e talvolta alla
concreta realizzazione del suicidio. Tutto ciò è stato ampiamente dimostrato da
psiconeuroimmunologia, neuroendocrinologia, neuroimmunologia,
neuroimmunomodulazione, attraverso numerosi studi e sperimentazioni.
A seguito di un evento traumatico, l’entità psicoorganica si altera: la conseguenza
è, per esempio, che una persona depressa non fa sesso, perché non ne ha voglia,
in quanto i suoi ritmi ormonali risultano compromessi. Il depresso è quindi esposto
alle malattie infettive, a quelle autoimmunitarie, al cancro. Gran parte infatti di
queste malattie (fatti salvi i casi di incidenza da agenti tossici inquinanti, chimici e
ambientali), se si va a scavare in profondità, hanno come substrato comune uno
squilibrio psicosomatico grave.
Al contrario, la relazione amorosa, equilibrata, serena, allegra e gioiosa costituisce
la migliore salvaguardia nei confronti delle malattie in genere, e di quelle
autoimmunitarie in particolare. Purtroppo, sono veramente pochi a rendersene
conto; mentre si fa una gran confusione tra sesso e amore, riducendo tutto alle
trivialità di cui si fa dappertutto una continua ostentazione.
Tutto ciò per dire che sistema immunitario e sistema ormonale colloquiano fra di
loro, e sviluppano una relazione crociata. È quindi ovvio che se si alterano i ritmi
sessuali, risulterà di conseguenza alterata anche l’immunità.

Le tue affermazioni sono molto interessanti e, come sempre, illuminanti. Tuttavia,


come vanno prese? Voglio dire, sono delle tue, diciamo così, ipotesi, o hanno
invece un valore scientifico incontrovertibile, frutto di studi e sperimentazioni
scientifiche?

Esiste in proposito un’amplissima documentazione scientifica. Le mie personali


ricerche (ho iniziato a pubblicare su questa materia sulla rivista scientifica Nature a
partire dagli anni sessanta) sugli effetti prodotti sul sistema immunitario e sul timo
dalla ablazione delle gonadi, e come il timo regoli lo sviluppo sessuale, per
esempio, mi hanno permesso di dimostrare in passato come le funzioni ormonali,
legate all’ipofisi o alle gonadi, sono in grado di alterare profondamente l’immunità.

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Più recentemente, la farmacologia molecolare ha dimostrato (mi riferisco in
particolare ai validissimi lavori di Bianca Marchetti, titolare della cattedra di
Farmacologia Clinica, all’Università di Sassari) come le molecole che regolano il
rilascio delle gonadotropine dall’ipofisi (LHRH = luteinizing hormone releasing
hormone, fattore di liberazione delle gonadotropine) hanno un’importanza
determinante a livello immunitario. In sostanza, la sfera sessuale è una forza vitale
che fa capo all’altra forza vitale presente in noi, che è l’immunità.

Adesso io vorrei porti delle domande che ti potranno far sorridere; com’è noto,
però, di sesso si parla a iosa, ma alla fine non tutti hanno le idee chiare, e
sull’argomento girano spesso credenze degne delle più incredibili leggende
metropolitane. Per esempio: come fare sesso, con quale frequenza, con quanta
libertà? Ti chiedo: quanto influiscono queste modalità sulla ‘funzione immunitaria’
dell’attività sessuale?

Io credo che ognuno debba godere (è il verbo che in questo caso casca proprio a
fagiolo!) della massima libertà in questo campo, e comportarsi come meglio crede;
purché, a livello di relazione (etero o omosessuale che sia, non ha importanza),
l’attività sessuale sia comunque appagante. Questo è d’altronde il regno della
fantasia più sfrenata: basti pensare alle tradizioni orientali, al numero infinito di libri
che sono stati scritti sull’argomento, alle descrizioni più maliziose e scollacciate...
Tutti divertissements che, a dire la verità, personalmente io reputo noiosi oltre ogni
limite; se non sono infatti accompagnati da una profonda emotività, rischiano di
trasformarsi in puri e semplici esercizi ginnici! Di cui peraltro mi guardo bene dal
negare l’esistenza, convinto come sono che almeno l’80% delle relazioni sessuali
sia proprio di tipo ‘ginnico’.
Ritengo invece che la relazione amorosa coinvolga in maniera profonda, se non
addirittura drammatica e lacerante, l’emotività di due persone, che si incontrano e
si conoscono a un livello sublime, vale a dire, a mio avviso, spinti dall’incoscia e
anche straziante pulsione all’immortalità (mi viene in mente la storia di Orfeo ed
Euridice, così drammaticamente espressa da Monteverdi!). Fermo restando che,
come del resto in tutto ciò che è umano, anche l’esperienza sessuale conosce
differenti modulazioni, a seconda dell’intensità del piacere e del grado di
comunicazione fra le persone coinvolte.

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Ci sono, nell’attività umana, altre esperienze tanto ‘sconvolgenti’ e intense, da
poter essere paragonate al piacere sessuale, così come lo hai appena descritto?

Io credo che l’unica attività umana che possa essere accostata al trasporto che
provano due persone che si amano teneramente e vivono una comunione
spirituale, ma anche sessuale ed emozionale, sia la creatività scientifica o artistica.
L’emozione legata a una scoperta scientifica, o alla creazione artistica, è infatti
talmente grande, da potere essere (forse) paragonata all’erotismo e allo stato di
beatitudine che scaturisce da una appagante relazione amorosa (ma la stessa
cosa ritengo si possa dire dell’estasi sperimentata da alcuni dei ‘santi’ della
tradizione cristiana, o di altre religioni). Non mi convince invece del tutto l’amore
cosiddetto platonico, che senz’altro è in grado di creare una tensione erotica, però
lascia un po’ la bocca amara; mentre io sono dell’opinione che le situazioni erotiche
vadano agite e concluse, per ricominciarle semmai nuovamente con maggiore
coinvolgimento.

Spiegami però bene: il sesso che ‘fa bene’ è quello in cui si manifesta il
sentimento; ma allora che ne facciamo di quello ‘ginnico’, che tu dici essere la
condizione ‘normale’ dell’80% dei rapporti sessuali? Voglio dire, i processi che
‘proteggono’ l’immunità sono tutti uguali, nell’un caso e nell’altro, o no?

A livello fisiologico, è chiaro che i processi e le reazioni ormonali hanno luogo


sempre e comunque in tutti e due i casi. D’altra parte, non bisogna neppure portare
alle estreme conseguenze le riflessioni che abbiamo fatto fin qui. L’esperienza
sessuale può essere infatti vissuta in maniera ‘alta’, anzi ‘altissima’, ma soltanto se
si è predisposti a che ciò avvenga; è mia opinione che questo atto sublime sia
riservato a pochi.
Ciò però non vuol dire affatto che l’esercizio ginnico-sessuale, per così dire,
purché, ovviamente, abbia luogo in condizioni di ‘normalità’, non sia di per sé
sufficiente a raggiungere lo scopo che la natura ha assegnato al sesso: vale
soprattutto per le persone che io chiamo ‘poco differenziate’ (e che sono,
purtroppo, la maggioranza!), che riescono ad avere soltanto un tipo di rapporto, per
così dire, diminuito. Se non altro, scaricano così quell’emotività che, diversamente,
se non incanalata cioè nella giusta direzione, potrebbe provocare seri danni alla
salute; chi infatti non traduce in pratica la propria carica sessuale, è depresso,
pieno di problemi, va soggetto a malattie, il suo organismo vive una sorta di
autocastrazione, con conseguente alterazione del sistema immunitario.

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Quali conseguenze potrebbero verificarsi in questo caso? Che prezzo ha
l’astinenza, a livello immunitario?

Un esempio tipico, drammatico, è l’artrite reumatoide deformante, in forma grave,


tipica di certi periodi storici (quello vittoriano, per esempio, fra l’Ottocento e l’inizio
del Novecento), in cui a dominare era l’ipocrisia che portava, soprattutto le donne,
a soffrire di profonde frustrazioni sessuali.
Per non parlare poi di molte altre malattie autoimmunitarie che sono, sì, scatenate
da virus, ma in una condizione di immunosoppressione (psichica, somatica ecc.);
che a sua volta è frutto di una sorta di autocastrazione da insoddisfazione
sessuale, conscia o inconscia che sia.
In altri termini, l’organismo si punisce mettendo in atto un’autodistruzione:
l’immunità esercitata nel rigettare batteri, virus, parassiti ed elementi percepiti come
estranei, e quindi altro da sé, finisce per rivolgersi contro lo stesso organismo, alla
cui tutela la funzione immunitaria è preposta. Sono convinto che anche molti tipi di
tumori siano originati da problemi psicosessuali, in particolare i tumori del tratto
sessuale e riproduttivo dell’uomo e della donna.

Un capitolo a parte meriterebbe la condizione di chi intenda, per scelta o per


necessità, ‘sublimare’ la propria sessualità. Quali sono i pericoli che può
comportare un atteggiamento del genere?

Esistono persone portate spontaneamente alla spiritualità: ignoro se questa


tendenza possa essere messa in relazione con un’eventuale carenza di ormoni
sessuali, oppure no; da un punto di vista medico, non dispongo di elementi per
affermare alcunché nell’uno o nell’altro senso.
In ogni caso, se la forza vitale costituita dal sesso viene ‘volontariamente’
sublimata, purché con gioia e serenità, e indirizzata verso situazioni e modi di
essere comunque appaganti, escludo che ne possa risultare un danno per la
salute.

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Molto più difficile sarebbe, semmai, accertare fino a che punto la scelta personale
sia effettivamente libera, e non piuttosto condizionata dalle convenzioni culturali e
sociali, magari contrabbandate come ‘chiamata’ alla sublimazione. La forza vitale
però, cioè la vitalità sessuale prorompente, quella che tutto travolge, è sempre lì:
può essere anche indirizzata verso obiettivi diversi dall’appagamento sessuale, ma
ugualmente vissuta ed espressa, serenamente e gioiosamente in maniera
completa (onestamente, però, credo che il verificarsi di queste condizioni sia più
l’eccezione che la regola).
Se, invece, essa fosse artatamente manipolata, cioè repressa a viva forza,
sarebbero guai a livello ormonale! addio difese immunitarie! L’espressione di una
tale deplorevole (per l’individuo, ma anche per la società) situazione, è
rappresentata in maniera molto significativa dalle malattie autoimmuni e dal cancro.
Che cos’è infatti il cancro? La presenza di un elemento negativo, da cui
l’organismo non si difende, perché non riesce a identificarlo come diverso da sé, e
quindi dannoso; e perché avviene ciò? Semplicemente perché l’organismo è
alterato nei suoi ritmi, cioè non è nella pienezza delle sue facoltà. Tutto si ricollega
quindi al concetto di biologia di base, secondo cui la sfera sessuale è parte
integrante del sistema che presiede al mantenimento della salute.

Tu dici di provare pena per chi è non è capace d’amare, e confonde il sesso con
l’amore. Perché tanta pena, di grazia?

Provo pena per chi non riesce ad andare in profondità nelle proprie emozioni,
negandosi in tal modo esperienze esaltanti. Provo pena per chi è costretto a vivere
una vita ‘ridotta’, in un certo senso; menomata. Per me, invece, che sono un
idealista, l’amore è il raggiungimento di un’intensa armonia di coppia, tale da
‘toccare il cielo con un dito’, in una sorta di vibrazione all’unisono, la cui forza
estatica distrugge quasi chi è in grado di acquisirne la consapevolezza.
È l’illuminazione che fa partecipe la coppia del significato eterno dell’amore, e
quindi della raggiunta immortalità (anche se poi, sfortunatamente, questa non va
intesa in senso strettamente personale!), che ne consegua o no una nuova vita.
Credo che l’amore, unito al sesso, sia un dono di Dio, che non solo lascia per
sempre una traccia, ma costituisce la vita stessa. Il mantenimento sine die di sesso
e amore, e la freschezza delle emozioni e dei sentimenti a essi legati, sono la base
stessa della vita; se si estinguono, come nella gran parte dei matrimoni, non resta
che la rarissima arte della sublimazione spirituale, o il più infernale castigo della
noia e del tedio

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Caro Walter, sia chiaro, e adesso lo posso dire, che ti ho intenzionalmente guidato
attraverso questo percorso a ostacoli, ponendoti delle questioni apparentemente
peregrine, allo scopo principale di poterti, alla fine, interrogare sul ruolo che gioca
la nostra semplicissima e modestissima melatonina sull’attività sessuale: la
rafforza, la inibisce, o non ha niente a che vedere?

La melatonina, alla dose fatidica di tre milligrammi, alla sera prima di dormire,
mette a riposo la ghiandola pineale e, di conseguenza, mantiene e sostiene la
funzione sessuale. In persone sessualmente ‘stanche’, per esempio, o che
sperimentano un calo del desiderio e dell’erotismo, la messa a riposo della pineale,
grazie alla somministrazione di melatonina, risincronizza i ritmi ormonali giovanili.
Di conseguenza, i ritmi ormonali mantengono l’immunità! Qui sta il ‘miracolo
melatonina’, il cui significato profondo è finora sfuggito a molti. La melatonina che
assumiamo alla sera mantiene i ritmi ormonali che controllano totalmente il sesso!

Tuttavia, in questo campo esiste qualche confusione; vediamo quindi di fare


chiarezza. Per esempio, è vero o no che la somministrazione di melatonina
inibisce la funzione sessuale?

Assolutamente no, anzi avviene proprio il contrario! Ribadisco che la melatonina,


alla dose massima di 3 mg, e somministrata alla sera, normalizza l’attività
sessuale.
Attenzione, però: la somministrazione deve avvenire alla sera, prima di dormire; se
infatti la melatonina venisse somministrata durante il giorno, altererebbe il ritmo,
con conseguente alterazione anche delle funzioni sessuali. Assumendola invece di
notte, non si fa che assecondare la natura, mettendo soltanto a riposo la pineale
(che non deve sforzarsi per produrla), e permettendole quindi di risincronizzare i
ritmi del sistema ormonale. La melatonina serve, in sostanza, a proteggere, a
tempo indeterminato, la funzione sessuale sia nell’uomo che nella donna.

Quindi, non è neppure vero che la melatonina possa inibire la produzione di


testosterone?

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Questa è un’altra delle fandonie messe in circolazione da gente disinformata e
ignorante. Io stesso ho dimostrato e pubblicato che la melatonina mantiene la
produzione di testosterone nei roditori senescenti, cioè nei topolini anziani! Essa
aumenta la spermatogenesi!
La melatonina può effettivamente inibire la produzione di testosterone, ma soltanto
a due condizioni: primo, se viene somministrata a dosi abnormi (500 mg, per
esempio); secondo, se viene assunta di giorno, anziché di notte, con conseguente
scombussolamento dei ritmi.
La stessa cosa si può dire degli ormoni femminili. Se si assumessero dosi
massicce di melatonina, com’è accaduto nel famoso studio olandese, di cui
abbiamo parlato in altra parte di questo stesso libro, dove alle donne in trattamento
(1500) sono stati somministrati 300 mg di melatonina al giorno, allo scopo di fare
della melatonina un’anticoncezionale (a quelle dosi avrebbe una funzione inibitoria
sulle gonadotropine), allora potrebbero entrare in gioco fattori di inibizione
dell’attività sessuale; ma soltanto in casi limite come quello citato.

Se mantiene integra la funzione sessuale, vuol dire che la melatonina aiuta a


conservare una normale attività sessuale; anche in caso di deprecabili
defaillances, faccio per dire? In sostanza, come il Viagra, per intenderci?

Sia chiaro per tutti che l’assunzione di melatonina, alle dosi consigliate, mantiene in
perfetto stato le funzioni sessuali dell’uomo e della donna; ma, attenzione, non è un
afrodisiaco! Anche se mantiene il desiderio in condizioni ‘normali’ per la persona
che l’assume (in considerazione cioè dell’età, delle condizioni generali di salute, di
malattie pregresse ecc.).

A sentirti parlare, mi vengono in mente almeno due altri esempi che hanno a che
fare con il tuo modo di intendere il piacere derivante dall’attività sessuale;
soprattutto per l’esercizio di quell’arte che è la seduzione, esercitata in maniera
gioiosa, e dell’erotismo che ne consegue. Mi riferisco in particolare al candore
ineffabile con cui il Boccaccio ci delizia con i suoi racconti (‘metti lo diavolo tuo nel
mio ninferno’…); e alla ‘mistica’ celebrazione della carne del regista
cinematografico Tinto Brass, che è stato definito il più erotomane dei registi e il più
regista fra gli erotomani. Quanto ti senti in realtà personalmente vicino a questi due
personaggi?

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Purtroppo, non ho visto i film di Tinto Brass; me ne rammarico e faccio pubblica
ammenda per questa manchevolezza (li hai visti tu, però, e quindi condivido il
giudizio che ne dai).
Quanto a Boccaccio, ne apprezzo appieno lo spirito: le storie sessuali, allegre,
gioiose che racconta mettono in mostra una società molto meno ipocrita della
nostra. Non solo infatti a quei tempi amavano parlare, apprezzare e godere
simpaticamente di ogni situazione erotica (l’erotismo altro non è se non il tentativo
di anticipare e mantenere un sottile stato di orgasmo), ma ne sapevano anche
ridere in allegria. E io trovo che se uno non è in grado di apprezzare il sesso in
modo gioioso, con la spensieratezza di un bambino, è meglio che non se ne curi
proprio, perché qualcosa non funziona!
Ho sempre ammirato poi l’assoluta libertà e semplicità dei Greci e dei Romani
nell’affrontare gli argomenti legati al sesso. Da questo punto di vista, noi stiamo
appena venendo fuori (forse!) da secoli bui, contrassegnati da una visione bigotta,
che ha pesantemente condizionato in maniera gravissima, perniciosa e micidiale,
l’esistenza di tantissime generazioni.
A dire il vero neppure oggi vedo però una grande letizia. Manca quella
spensieratezza che invece avverto nella musica di un Monteverdi, per esempio,
che mi fa sprofondare in quel mondo arcaico, in un certo senso così familiare,
popolato da ninfe e da fauni.
Io sono per la giocosità anche un po’ orgiastica e sfrenata, perché no, che, se
viene a mancare, è segno che siamo già mezzi morti; ed è quindi opportuno
affrettarsi a riscoprire, prima che sia troppo tardi!

Cap. 16 – La ricerca scientifica e la medicina pratica

Che ironia! La crescita e l’invecchiamento


sono strettamente abbinati e camminano fianco a fianco.
Infatti, gli ormoni che regolano la nostra crescita sono gli stessi
che stabiliscono anche il momento della nostra morte. (Walter Pierpaoli)

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Caro Walter, tu sei un ricercatore, ma anche un medico. Hai dedicato tutta la vita

alla ricerca, ma oggi, correggimi se sbaglio, tu hai imboccato una strada diversa.

In sostanza, hai deciso di evitare ed eludere i vari controlli che sono richiesti

quando si mette a punto una sostanza rivelatasi utile nell’uomo, rivolgendoti

direttamente al paziente; ricostituendo, per così dire, la tua funzione di medico. È

corretta questa ricostruzione dei fatti?

Sostanzialmente, sì. Dopo quarant’anni di attività di ricerca, ho deciso di trasferirne

direttamente ai pazienti i risultati.

La domanda, allora, è la seguente: ma non è pericoloso questo salto, che ti porta a

tralasciare un passaggio ritenuto indispensabile dalla comunità scientifica (oltre che

dalle autorità sanitarie dei vari paesi)? Quali sono le garanzie che tu sei in grado di

offrire? A me pare infatti che tu non sei lo scienziato pazzo che dice: ‘beh, ho

somministrato questa sostanza ai topi, adesso passo a darla all’uomo’… A te la

parola.

Il mio percorso è così particolare, che la tua domanda semplicemente mi diverte. Per

prima cosa, io sono un medico: a suo tempo, ho avuto anch’io il mio bravo studio

medico, con numerosi pazienti; inoltre, per diversi anni ho svolto la professione medica

in vari ospedali. Essendomi poi dedicato alla ricerca, anche perché non credevo molto

alla medicina che veniva praticata quarant’anni fa, la mia formazione attuale risulta

essere, sì, di carattere medico, ma basata sull’aggiornamento costante in

endocrinologia, immunologia, oncologia, oncocrinologia e quan’altro.

Posso quindi affermare che adesso sono ‘finalmente’ pronto a dedicarmi alla medicina

pratica. Per quanto riguarda poi il discorso che facevi a proposito di evitare certi aspetti

burocratici, io non eludo e non ignoro proprio niente, per la semplicissima ragione che

non uso farmaci. Non ho quindi la necessità di giustificare i miei interventi, come se

adoperassi un farmaco tossico, oltretutto non testato; neppure per idea! Io non utilizzo

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neanche un farmaco, ma soltanto molecole naturali i cui effetti e la cui innocuità sono

molto ben conosciuti.

L’unica differenza sta, semmai, nel fatto che le impiego in maniera diversa dal solito,

perché le applico sulla base delle mie scoperte, o della mia osservazione, che mi ha

permesso di capire il funzionamento dell’orologio biologico che esiste in noi, e come lo

si possa mantenere in ordine.

Su questo fondamentale principio biologico io baso le mie terapie e i miei interventi.

Semmai, ho quindi eluso, non tanto la comunità scientifica, quanto piuttosto il tentativo,

che sarebbe stato fallimentare, di convincere qualcuno del significato di ciò che metto

in opera. Se, infatti, dovessi trascorrere i prossimi venti anni a convincere la comunità

scientifica internazionale a venire dalla mia parte, starei fresco!

Tenuto conto poi, che delle mie osservazioni, io continuo però a informare la comunità

scientifica, e infatti pubblico i risultati delle mie ricerche su ottime riviste scientifiche.

Mentre quindi, da una parte, vado avanti nel mio percorso scientifico, dall’altra, applico

già i risultati ai miei pazienti, cioè alle persone che mi chiedono aiuto.

Sia chiaro, fra l’altro, che io non sono certo a caccia di pazienti, né tantomeno svolgo

opera di persuasione verso di loro. Semmai, sono gli eventuali buoni risultati constatati

dai pazienti stessi, a rendere manifesta la validità delle mie terapie. Questo discorso è

tanto più vero in quanto, laddove io dovessi scoprire (come infatti è il caso) delle

sostanze che hanno tutte le caratteristiche dei farmaci, non esiterei un istante a

sottometterne l’eventuale impiego clinico a chi di dovere, per gli indispensabili test e le

autorizzazioni richieste per legge dagli organismi internazionali.

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Si può quindi affermare che la tua attività in questo momento è duplice: da una parte

tutto ciò che riguarda il campo di sostanze, come la melatonina, che non hanno

bisogno di alcuna registrazione, perché non sono farmaci, ma molecole naturali;

dall’altra, delle sostanze che, configurandosi appunto come farmaci, e quindi nella

piena ufficialità, sono affidate alla specifica competenza di industrie farmaceutiche del

settore.

Esattamente. Queste industrie si occupano dei vari test clinici, farmacologici,

tossicologici ecc., fino all’eventuale registrazione del farmaco.

Tornando però al primo aspetto, sull’impiego cioè di sostanze naturali ben conosciute,

come la melatonina, il fatto nuovo è che il ricercatore esce dal laboratorio, e decide di

passare alla clinica; sei d’accordo?

Direi che il mio è un caso addirittura unico. Ed è per me una grande gioia, perché sono

medico e posso quindi permettermi di adottare questa linea di condotta! È stato

l’inevitabile, direi quasi involontario, traguardo a cui sono pervenuto, e me ne rallegro,

proprio perché non l’ho cercato. Come sempre, mi sento ‘teleguidato’ e seguo il mio

destino. Continuo, come direbbe il mio amico Bill Regelson, a seguire la mia vocazione

di “maverick”, vale a dire di animale che sfugge al branco e se ne va per i fatti suoi.

Non potrei fare altrimenti.

Tuttavia, perché tu, per anni, sei rimasto al chiuso del tuo laboratorio, e hai deciso di

non curare più nessuno per un lunghissimo periodo? Mentre invece, recentemente,

hai cambiato rotta, per così dire, per occuparti nuovamente di pazienti, e non soltanto

quindi più di topolini?

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Semplicemente, perché in precedenza non ero pronto a occuparmi di pazienti.

Sarebbe stato per me imbarazzante, applicare principi terapeutici della cui validità io

stesso per primo non ero convinto. Così come, d’altronde, non ero pronto neppure con

la melatonina, soltanto cinque anni fa.

Perché c’è da dire che io ho scoperto moltissimi e interessantissimi aspetti sull’uso

della melatonina, a partire da cinque anni a questa parte. E in ogni caso, prima di

impiegare alcunché su un paziente, anche se, ripeto, in totale sicurezza, ne osservo su

me stesso gli effetti, o su una ristretta cerchia di amici o famigliari.

Puoi farmi l’esempio di una nuova osservazione sugli effetti della melatonina?

Ho notato, per esempio, che nelle donne in menopausa, la melatonina è in grado di

invertire la tendenza verso l’osteoporosi; si assiste cioè a un progressivo restauro della

sintesi dell’osso. È chiaro che, in questo caso, io applico i miei principi alle donne in

menopausa, senza che ci sia alcuna necessità di sottoporre questa ‘terapia’ al giudizio

della comunità scientifica internazionale; la melatonina non presenta infatti tossicità o

effetti collaterali di sorta, e questo è un fatto universalmente riconosciuto a livello

scientifico. E poi, ancora una volta, tu hai idea di quanto denaro muova oggi

l’osteoporosi? Pensa inoltre che le applicazioni farmacologiche normalmente

impiegate, non risolvono il problema alla radice, come invece avviene se si ristabilisce

l’equilibrio neuroendocrino, che è, lo ribadisco ancora una volta, la base biologica della

salute.

Cap. 17 – Odisseo, chi era costui?

Esistono tre categorie di uomini: quelli che piantano alberi;


quelli che contemplano gli alberi; e quelli che abbattono gli alberi.
Questi tre esemplari di uomini sono incompatibili fra loro. Tuttavia,
possono esistere rari esemplari di uomini che piantano, contemplano e
abbattono gli alberi. Sono dei semidei, e la loro esistenza è dura e faticosa.
Le loro tracce sono perenni e infondono il coraggio di vivere. (Walter Pierpaoli)

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Caro Walter, da quanto sei venuto dicendo fin qui, affiora come l’impressione che non

deve essere stato facile per te battere la strada del ricercatore solitario, preso dalle

proprie intuizioni, e non sempre in sintonia con le ‘richieste del mercato’, per usare un

eufemismo. Con quali difficoltà hai dovuto confrontarti per poter affermare le tue idee?

Al ‘sabotaggio’ delle mie idee mi sono abituato fin da quando ero studente in medicina,

all’Università di Milano; spesso infatti sono entrato in rotta di collisione con certe figure

cosiddette razionali, che vedevano in me un personaggio quantomeno ‘strano’ o

comunque fuori dai canoni tradizionali.

Naturalmente, ho incontrato anche persone positive; però, per andare avanti, ho

dovuto eludere, in un certo senso, costantemente la sorveglianza che qualcuno

pretendeva di esercitare su di me. Mi sono sempre considerato, infatti, come una sorta

di clandestino, che però è sempre riuscito a mettere in atto frequenti sortite nel mondo

dell’ufficialità (ne dovevo tenere conto per non perire!), per dire la propria e ancorarla

con stratagemmi ai canoni ‘scientifici moderni’; per poi tornare al romitorio sicuro fra i

boschi e i monti della Svizzera, o anche realizzando ‘scoop’ su una sperduta isola del

Mediterraneo, come nelle Conferenze di Stromboli sul Cancro e l’Invecchiamento,

eventi memorabili e irripetibili. Sempre con enormi fatiche, e fuori dai gruppi di potere.

Li ho… gabbati!

Tu dici di essere un ‘clandestino’ che di tanto in tanto viene alla ribalta per lanciare

un’idea e provare scientificamente una propria intuizione. Puoi fare qualche esempio,

relativamente alla ricerca scientifica?

Nel campo della neuroimmunologia, i miei primi lavori hanno anticipato almeno di

trent’anni la constatazione della stretta interdipendenza fra lo sviluppo del sistema

neueroendocrino e quello del sistema timo-immunitario; così come ho sostenuto che

tutti gli ormoni che ho studiato (ormone della crescita, tiroxina, insulina, prolattina,

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cortisone, ormone tireotropo, gonadotropine, e così via) sono essenziali ai fini dello

sviluppo e del mantenimento di un’efficiente immunità.

I miei lavori, come per esempio quello intitolato «Lymphocytes as messengers to the

brain», si scontravano allora con la fiera opposizione delle redazioni delle riviste di

immunologia, e venivano rifiutati. E tutto ciò, nonostante fosse assolutamente chiaro

che i linfociti erano in grado di comunicare con il cervello (riuscii comunque a

pubblicare nel 1972 un articolo su Experientia, in cui le mie idee erano espresse molto

chiaramente).

Vedi, la matematica non suscita interesse in me; semplicemente non la capisco; da

questo punto di vista sono, se vuoi, ‘irrazionale’. Al contrario, mi è spesso accaduto di

entrare in una sorta di trance: improvvisamente il mio cervello conosce già la soluzione

di un determinato problema. Negli anni settanta mi sono accanito a studiare

determinate molecole che mi hanno portato a scoprire come sarebbe stato possibile

effettuare i trapianti d’organo, evitando il rischio di rigetto; c’è voluto uno sforzo

disumano per venirne a capo, ma io la soluzione l’avevo già intuita molto tempo prima

di poterla dimostrare scientificamente!

Questa è, fra l’altro, la ragione per cui mi sono rifugiato in Svizzera, a Davos,

segregato per dieci anni in un piccolo istituto di ricerca a 1600 metri di altitudine. In

effetti, un’inenarrabile odissea, un percorso di guerra, insieme a pochi personaggi di

rilievo, uomini e donne che mi sono stati vicini.

Ti ho già posto questa domanda, ma te la ripeto, non si sa mai che riesca a coglierti in
flagrante contraddizione: perché Walter Pierpaoli, a 66 anni, ed essendosi laureato in
medicina nel lontano 1960, quindi ben dopo quarant’anni, decide improvvisamente di
riprendere in mano i ferri del mestiere, e ritorna a esercitare la professione di medico,
pur senza abbandonare del tutto la ricerca?

Perché mi sono reso conto che la mia vita è cambiata, grazie al rinnovato contatto con

i pazienti. In un certo senso, non ho più bisogno dei miei topolini, perché in due o tre

mesi vedo già i risultati a livello clinico, sulle persone che curo, specialmente nelle

malattie autoimmunitarie.

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D’altra parte, dopo una serie di incredibili vicissitudini, sul piano scientifico e personale,

che mi hanno portato, negli anni settanta, a rifiutare anche posizioni di prestigio negli

Stati Uniti o altrove (a Minneapolis, per esempio, su richiesta del professor Robert

Good, o a Melbourne su invito di Gus Nossal), posso certamente escludere che io

ritorni oggi alla pratica clinica per ambizione, avidità o vanità. Si tratta semmai del

desiderio, ricorrente per la verità nella mia vita, di voler raggiungere a tutti i costi scopi

apparentemente impossibili da realizzare.

Tornando per un attimo al passato, qual è stato l’aspetto più difficile da sostenere, e
cos’è che eventualmente ti ha consentito di sopportarne il peso?

Via via che mi andavo confrontando con le varie redazioni delle riviste scientifiche

‘accreditate’ (dirette da vere e proprie lobbies di potere, e che spesso soltanto

malvolentieri sono state costrette dalle evidenze scientifiche a pubblicare i miei lavori),

maturavo la convinzione di essere sempre ‘troppo avanti’.

Ai tempi di Davos, per esempio, quindi fra il 1972 e il 1977, io avevo sviluppato un

modello sperimentale che dimostrava come il self (self-identity) fosse da ricercare nel

cervello, piuttosto che nel sistema immunitario. Il lavoro, pubblicato dalla rivista

americana Cellular Immunology nel 1977, era probabilmente troppo rivoluzionario per

essere apprezzato, e infatti all’epoca non fece notizia. Se lo leggi adesso, è

stupefacente. È solo un esempio, ma fa capire bene come la maggior parte dei miei

lavori risultasse non pubblicabile, a causa della necessità di integrare rapidamente le

conoscenze acquisite in una concezione più completa, senza aspettare che lo staff

editoriale delle riviste scientifiche egemoni pronunciasse il suo placet, controvoglia.

Questa era la situazione quando tu avesti la fortuna di incontrare un personaggio


decisivo per la tua carriera di ricercatore.

Il riferimento non può che essere al Dr. Jean Choay, farmacologo, filosofo e Presidente

dell’Istituto Choay di Parigi, istituto allora di punta nella produzione di eparina e derivati

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anticoagulanti, che io incontrai per la prima volta a Parigi; ne nacque una fruttuosa

collaborazione, durata ben undici anni, fino cioè alla sua scomparsa.

Ed è proprio grazie allo spirito umano e visionario di Jean Choay, uno straordinario

connubio di filosofia, sapienza e intuizione scientifica, se io sono riuscito a

sopravvivere e a lavorare a Zurigo; senza di lui non mi sarebbe stato possibile vivere in

quel rude, freddo, ferocemente ostile (anche adesso!) e pragmatico Paese, chiamato

Svizzera.

Mi ha dato infatti comprensione e affetto incondizionato, oltre a fornirmi, in base alle

possibilità della sua Società, il necessario per proseguire la mia attività di ricerca e

sviluppare idee completamente nuove. Tuttavia, i ‘nemici’ e i denigratori invidiosi non si

contano! La cosa mi lusinga!

Ascoltandoti, verrebbe da dire che anche i ricercatori hanno un’anima. Nel tuo caso
specifico, comunque, perché è stato così determinante il clima adeguato, in grado cioè
di creare un ambiente capace di comprenderti e di sostenerti?

In ogni fase della ricerca, almeno nel mio caso (dall’Aging Clock alla concezione del

‘cervello morfostatico e alla costruzione del self’), è importante sottolineare le due

condizioni che rendono possibile una ‘scoperta’.

La prima consiste nella capacità di stare da soli, di lavorare da soli, di sopportare in

solitudine profonde umiliazioni, frustrazioni, offese, senza tuttavia perdere la fiducia e il

rispetto di se stessi. Ciò costituisce l’aspetto basilare di una vera ‘scoperta’, nel senso

che non è possibile risultare originali, senza essere realmente ‘diversi’ dagli altri, e

senza mantenere inalterata la propria visione e individualità a dispetto delle situazioni

più ostili.

La seconda condizione è che ci siano almeno una o due persone, possibilmente

amiche, e che si pongano come degli interlocutori dal punto di vista intellettuale, della

stessa categoria di un Jean Choay, per intenderci, oppure di un Bill Regelson e di

pochi altri, come il grandissimo Vladimir Dilman, oppure Novera Spector e Maurice

Landy, con i quali sia possibile discutere e mantenere così il senso della realtà. Che ti

rassicurino, cioè, di tanto in tanto che non sei del tutto pazzo, nonostante le tue idee

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così fuori dal comune (come si è verificato, per esempio, durante la messa a punto

dell’aging clock.)

Tu sostieni di non esserti mai adattato affatto all’ambiente di Zurigo, tuttavia vi sei
rimasto dalla fine del 1976 al 1988.

Infatti. In primo luogo per necessità di famiglia, essendo mia moglie svizzera, una

donna di eccezionale valore e profonda onestà, e avendo due figli che amavo e che

non potevo certo abbandonare. Per la verità, non è che fosse tutto così negativo. Il

dottor Gonzague Kistler, per esempio, che mi aveva proposto di raggiungerlo

all’Università di Zurigo, era un grande e onesto gentiluomo; e anche la sua équipe era

accettabile e, in qualche occasione, addirittura eccellente.

E in ogni caso, fu proprio in quegli anni cupi ed infelici (mi ricordano Cagliostro…) che

cominciò a farsi strada in me l’idea dell’importanza della ciclicità circadiana per la

maturazione dell’immunità. Fu proprio in quel periodo che realizzai infatti l’esperimento

con i topolini sottoposti costantemente alla luce, per osservare se ciò potesse avere

qualche effetto sul loro sistema immunitario, e infatti ne ha avuto, eccome! Come ho

già riferito nel corso di questa conversazione, alla quarta generazione i topi si sono

ammalati, la loro crescita si è bloccata, e sono quindi tutti morti prematuramente.

L’abrogazione dei ritmi circadiani (luce-buio) accelerava infatti l’invecchiamento! Ho

capito quindi che la vita stessa e il mantenimento della salute dipendono dai cicli

circadiani ormonali!

Quale conclusione fosti indotto allora a trarre dalla ‘tragica’ fine dell’esperimento?

La conclusione, che è ormai nota da tempo, non poteva che essere una: il venir meno

dei ritmi circadiani ha effetti devastanti sul sistema immunitario.

Ciò che mi preme sottolineare in questo contesto è che uno studio, iniziato allora con

topolini geneticamente nudi (senza pelo) e senza timo, che aveva avuto inizio nel

1977, si è concluso con la pubblicazione sulla rivista International Journal of

Neurosciences soltanto nel 1993! Ciò è forse appena sufficiente a far comprendere a

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un profano, quanto sia difficile e complicato muoversi nel campo della ricerca

scientifica, specialmente, come è sempre accaduto al sottoscritto, se non si dispone di

appoggi politici e finanziamenti pubblici. Questo è d’altronde il durissimo scotto che si

deve pagare per conservare la propria libertà, non solo di ricercatore, ma di pensatore.

È soltanto un esempio delle difficoltà che si è costretti a sostenere quando la nostra

mente semplicemente partorisce un’idea che non va nel senso dell’ortodossia; non

parliamo poi di ciò che comporta il tentativo di supportarla scientificamente e di

difenderla! Un vero calvario, costellato di mortificazioni: ma evidentemente, almeno nel

mio caso, è stato necessario!

Senza voler sminuire le tue fatiche, credo però che tutti gli scienziati ‘innovatori’
abbiano dovuto fare i conti con l’incomprensione e la stupidità umana, non ti pare?

È vero, ma la circostanza non mi è, onestamente, di grande conforto. E spero che se

ne possa comprendere appieno il perché.

Si deve, per esempio, soltanto alla mia immaginazione, unita alla capacità di attingere

e procedere a delle estrapolazioni da un numero incredibile di esperimenti e

osservazioni durante molti anni di duro lavoro passati in laboratorio, se l’idea che

esista un aging clock in grado di scandire la durata della nostra vita, ha preso corpo.

In altre parole, ciò che ha reso possibile il trattamento di topolini con melatonina per

mesi e anni, è stata la mia convinzione, basata sull’esperienza, che doveva esistere un

orologio dell’invecchiamento situato soltanto nel cervello, e che era da escludere che

questo potesse trovarsi a livello di corteccia, o di nucleo soprachiasmatico, di area

preottica, di ipofisi, di ipotalamo.

Evidenze nel corso dell’evoluzione e della maturazione dell’embriogenesi indicano

molto chiaramente infatti che deve esistere un regolatore in grado di favorire

l’adattamento di ogni singolo elemento ai cambiamenti costanti dell’ambiente; e questo

regolatore non può che essere la ghiandola pineale, grazie al suo ruolo di "modulatore

dei regolatori" cui l'ha destinata l'evoluzione del cervello in milioni di anni.

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Noi invecchiamo semplicemente perché lo crediamo, così come ci è stato inculcato da

piccoli che dobbiamo morire. Io sono invece convinto che noi possiamo rimanere

giovani fino al momento in cui moriamo.

Al contrario, sono profondamente convinto che mentre, da una parte, l’uomo tenda a

divenire sempre più giovane nel corso dell’evoluzione della specie, come sostiene il

grande antropologo americano e mio amico Ashley Montagu nel suo libro Growing

Young (Crescere Giovani), dall’altra è condizionato psicologicamente e socialmente in

maniera tale che il suo cervello cominci a pensare di sentirsi vecchio e

conseguentemente a diventare veramente vecchio!

Ma noi possiamo restare giovani per un tempo lunghissimo, e mi dispiace di averlo

scoperto soltanto quando avevo già cinquant’anni, e non prima, nonostante io abbia

innato l’istinto (piuttosto che l’intuizione) di ‘sentire’ qualcosa di fondamentale con un

anticipo di decine d’anni rispetto agli altri!

Ed è forse anche questo il motivo per cui nella mia vita ho scelto il più pericoloso e

disperante dei lavori, quello dello ‘scienziato freelance’ piuttosto che quello del

Professore Emerito o qualcosa di simile! E in ogni caso non ne sono affatto pentito.

Del resto, forse che Paracelso non è dovuto fuggire di notte da Basilea, per sottrarsi

all’ira dei medici invidiosi, salvando così la pelle? In fondo, a me è andata anche

abbastanza bene! E, sicuramente, molto meglio che a Paracelso!

Cap. 18 – Le Conferenze di Stromboli su Cancro e Invecchiamento

Veniamo adesso a un argomento che ti sta molto a cuore. Ti chiedo: che cosa

rappresenta per te l’isola di Stromboli?

Stromboli non è soltanto un’isola, ma l’unico vulcano sempre attivo del Mediterraneo.

Vi sono sbarcato la prima volta nel 1960, e da allora è per me l’emblema perenne della

vita che si rinnova, grazie alle ceneri che rifertilizzano il ciclo vitale del territorio.

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Stromboli è quindi un simbolo della forza vitale che, spingendo il magma in superficie

da una profondità di duecento chilometri, rinnova costantemente la vita dell’isola. Ho

attinto anch’io a questa forza, ed è nata così l’idea di organizzare una Conferenza

periodica su Cancro e Invecchiamento. Da molti punti di vista non esiste infatti luogo

più adatto al mondo, per trattare questo tema da un’angolazione, diciamo così,

filosofica.

Quante se ne sono tenute finora, di queste conferenze?

Con grandissime difficoltà, sono riuscito a realizzarne tre: nel 1987, nel 1990 e nel

1993. Come puoi constatare dai tre volumi che ne raccolgono gli atti (l’ultimo, quello

sulla scoperta dell’Aging Clock, è addirittura esaurito), pubblicati dalla New York

Academy of Sciences, che è la più grande e più antica organizzazione scientifica

americana, le conferenze hanno avuto un successo strepitoso (a parte il fatto che gli

scienziati, quando arrivano a Stromboli ‘impazziscono’, o danno letteralmente i

numeri).

Qual era la tua idea di fondo quando hai pensato a un’impresa di questo genere?

Avevo l’ambizione di creare delle conferenze internazionali, alle quali invitare i più

prestigiosi studiosi al mondo sul cancro e sull’invecchiamento, allo scopo di fare il

punto sulla ricerca in questo campo. Oggi posso affermare che, ripeto, nonostante

enormi difficoltà, ci sono riuscito. Sono stato sponsorizzato per ben due volte dalla

NATO; inoltre, anche la SIGMA-TAU mi ha fornito un grande aiuto in un’altra

occasione, e così pure l’INRCA di Ancona. Alla conferenza si partecipa su invito, e

sono previsti in genere dai 35 ai 40 invitati. L’intenzione è di riprendere la serie di

conferenze, magari con cadenza biennale, purché si riescano a mettere insieme gli

aiuti economici necessari. Ma i soldi della gente, delle banche, dei donatori privati, i

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fondi pubblici e quelli delle industrie farmaceutiche vanno sempre nelle tasche dei soliti

lobbisti che si spartiscono la torta e pure i premi scientifici. E’ sempre stato così.

Cos’è che rende queste conferenze un ‘unicum’ che altrove sarebbe difficilmente

realizzabile?

Per definire il clima che si crea a Stromboli, io uso un’espressione che mi piace molto,

e che tutti comprendono facilmente: quando si arriva sull’isola magica, anche lo

scienziato più illustre lascia cadere la propria maschera: di ricercatore, di uomo

politico, di intellettuale ecc. Già, al cospetto del vulcano in continua eruzione, ci si

sente un po’ tutti ‘nudi’; il resto lo fanno il sole, il mare e le pietanze della Sirenetta,

oppure la polvere del vulcano; fatto sta che ci si sente liberi. Si subisce una specie di

metamorfosi, e il cervello cambia e ritrova gioie e sensazioni dimenticate, oltre a

generare idee che rendono la Conferenza un evento indimenticabile dal punto di vista

scientifico. Ho la sensazione che ormai, pur di partecipare alla Conferenza di

Stromboli, gli scienziati sarebbero disposti a raggiungere l’isola a nuoto.

Dal punto di vista invece più strettamente scientifico, quali sono stati i risultati delle

conferenze che si sono tenute finora?

Intanto, sono state tutte coronate da un grandissimo successo. Oltre, infatti, alla

partecipazione di più di un candidato degno di un premio Nobel, sono stati molti gli

scienziati che sono venuti a portare il loro contributo. Chi ha un minimo di

dimestichezza con le questioni scientifiche, potrà poi consultare utilmente i tre volumi

degli atti pubblicati negli Stati Uniti, per rendersi conto della qualità degli interventi

presentati. Tieni presente inoltre che alle conferenze è sempre stato presente un

delegato inviato dalla New York Academy of Sciences, che si è occupato della raccolta

dei contributi scientifici, che sono stati quindi elaborati dalla stessa Accademia e

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pubblicati poi a sue spese, circa un anno dopo. La NY Academy of Sciences ha

contribuito inoltre allo svolgimento della conferenza con una propria rilevante

sponsorizzazione.

A questo proposito, qual è la posizione della New York Academy of Sciences nel

panorama scientifico internazionale?

È la più antica accademia americana delle scienze, che conta oltre quarantamila

membri, di cui molti stranieri. Come sanno bene gli addetti ai lavori, si tratta di una

benemerita accademia che pubblica un prestigioso periodico (The Sciences),

distribuito ai soci. Inoltre, l’accademia dà alle stampe moltissimi volumi scientifici,

relativi a conferenze, organizzate per iniziativa propria, ma anche, come nel caso delle

Conferenze di Stromboli, da altri enti o singoli ricercatori.

In quest’ultimo caso, se l’argomento è ritenuto interessante dall’organizzazione, non

solo ne vengono pubblicati gratuitamente gli atti, raccolti in volume, ma si può arrivare

anche al sostegno dell’iniziativa con un contributo economico, come è avvenuto

appunto nel nostro caso. Tieni presente che il volume relativo all’ultima conferenza di

Stromboli è stato in assoluto il libro più venduto nella storia della NY Academy of

Sciences. E infatti il volume sull’Aging Clock è da tempo esaurito.

Cap. 19 – Il diabete

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Tutte le tue ricerche e le tue scoperte sono finalizzate allo studio e alla risoluzione dei

problemi del nostro tempo, allo scopo di scongiurare le malattie più gravi e frequenti, e

che sono, fra l’altro, responsabili o quantomeno concomitanti (nel senso che spesso e

volentieri l’accompagnano), con la senescenza. Mi piacerebbe quindi passare in

rassegna con te i principali flagelli della nostra società. Primo fra tutti: il diabete. Qual

è la tua visione di questa patologia?

Vorrei qui precisare che esistono due tipi di diabete, quello molto comune, detto

‘senile’, gestibile con dieta e ipoglicemizzanti, che è espressione della ‘Sindrome

Metabolica X’ (vedi sopra, Capitolo X), e quello grave, detto anche ‘giovanile’, insulino-

dipendente, dovuto a mancata o non sufficiente produzione di insulina da parte delle

isole di Langerhans, del pancreas, che necessita quindi di costante supplementazione

d’insulina.

Non vorrei che ti mi giudicassi arrogante o, peggio, cinico, se affermo, e sono

pienamente consapevole di ciò che dico, che ambedue le forme di diabete, nell’attuale

contesto internazionale, significano soprattutto enormi profitti.

Ciò detto, aggiungo che il diabete grave, insulino-dipendente, non è una malattia, ma

semplicemente una catastrofe. Senza insulina, l’organismo umano non può funzionare;

e, infatti, di diabete, tempo addietro, semplicemente si moriva. Dopo che Banting e

Best scoprirono l’insulina, l’estratto di pancreas in grado di ‘curare’ il diabete (una

storia affascinante i cui protagonisti risultano essere, come sempre, non grandi

ricercatori, ma personaggi piuttosto stravaganti), l’industria farmaceutica si è

praticamente impadronita dei diabetici (mi riferisco al diabete insulinico inguaribile, e

non al cosiddetto ‘diabete senile’), e ha finito così per creare un problema sociale

gravissimo e di enorme portata.

Affermazioni piuttosto ‘forti’, che mi auguro vorrai supportare con adeguate

argomentazioni…

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La realtà è sotto gli occhi di tutti, ma non ci si prende la briga di osservarla con un

certo distacco.

Infatti, il diabetico che una volta moriva, ovviamente creava un lutto nella società; però

non generava figli; al contrario, il diabetico che adesso non muore più ma continua a

vivere, sopravvivendo (mi rendo conto che il discorso potrà apparire spietato, ma

occorre stare ai fatti!), genera altri diabetici.

In Danimarca, per fare esempio, il diabete rappresenta una piaga nazionale: se il trend

continuerà a progredire con l’intensità attuale, al massimo fra cento anni, gran parte

della popolazione danese risulterà inesorabilmente affetta da diabete.

Anche in questo caso quindi, come sempre del resto, è facile dimostrare che dove

l’uomo mette mano per correggere la natura, riesce soltanto a creare un disastro.

Il problema è: cosa facciamo con i diabetici? Sono destinati a morte certa? Li lasciamo

al loro destino?

Ovviamente, è impensabile impedire loro di generare figli. Una decina di fa, lessi che

negli Stati Uniti, un dollaro, su sette spesi in cure mediche, era assorbito dal diabete

(all’epoca, cento miliardi di dollari l’anno!, se non ricordo male).

Ora, è appena il caso di ricordare che l’insulina non cura il diabete, ma permette al

paziente unicamente di sopravvivere. Inoltre, il diabetico ha bisogno di terapie di tutti i

tipi: sviluppa infatti malattie cardiovascolari, alterazioni degenerative dei vasi, perde la

vista (retinopatia diabetica) ecc.; torno a ripetere, non vorrei sembrare cinico, ma per

l’industria farmaceutica, questo stato di cose si traduce in un profitto fantastico.

Dove sta allora la soluzione? A mio avviso, il problema si può risolvere soltanto in un

modo: facendo, cioè, ricorso soprattutto alla prevenzione e alla cura precoce e rapida,

in modo da mettere il sistema immunitario in grado di invertire il processo di

autoimmunità che porta inevitabilmente alla distruzione delle isole beta del pancreas; è

poi fondamentale che ciò avvenga durante la fase florida di autodistruzione delle isole

di Langerhans.

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Fammi capire meglio.

L’eziopatogenesi, cioè la causa dell’insorgenza del diabete, non fa riferimento a un

solo elemento, ma è piuttosto variabile. In ogni caso, però, il risultato è la distruzione

delle isole beta del pancreas che producono insulina.

Di conseguenza, si innalza improvvisamente la glicemia, e si riscontra glucosio

nell’urina: è insorto il diabete. (Come ho detto sopra, esiste poi il diabete senile, ma in

questo contesto non ne parlo, perché è tutt’altra cosa: qui ci occupiamo del diabete da

carenza d’insulina, il vero diabete, quello ‘cattivo’).

In una situazione del genere, per prima cosa occorre capire perché è sopraggiunto il

diabete. Io, un’idea me la sono fatta: a seguito dell’attacco di un virus anche banale

(che però di per sé, come tutti i virus, provoca una immunosoppressione), si scatena

un’infezione; il virus, che in altre situazioni non produrrebbe danni gravi, attacca invece

le cellule beta delle isole di Langerhans del pancreas, e induce la comparsa di

autoantigeni, che a loro volta stimolano la produzione di autoanticorpi. Si stabilisce

così un circolo vizioso e perverso, che è tipico delle malattie autoimmunitarie (o

autodistruttive).

Il paziente inizia quindi a produrre anticorpi contro determinate cellule del proprio

organismo, che irrimediabilmente vengono distrutte. Il mio suggerimento è di

provvedere, al primo accenno di autoaggressione da parte del sistema immunitario, a

un’immediata inversione di rotta. Si tratta di una profilassi e di una terapia del diabete

non ancora in fase irrimediabile, quello stato cioè in cui le cellule beta non sono state

ancora distrutte. Aggiungo però subito, per non ingenerare facili e inutili speranze, che

in genere non si riesce a intervenire in tempo in questa direzione, perché la rilevazione

è in genere tardiva; d’altra parte, il processo degenerativo è molto veloce (oltre al fatto

che esistono forme di diabete quasi ereditario). In conclusione, ecco ciò che si verifica

nella maggioranza dei casi: l’organismo non produce più insulina.

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Che fare in questo caso?

Quando la situazione è irrimediabile, l’unica soluzione praticabile, a mio avviso, rimane

il trapianto: fra specie diverse (per esempio, maiale-uomo), oppure uguali (cioè, fra due

esseri umani).

Io lavoro da molti anni al diabete, anzi è il problema che preferisco. Ciò che ti

sorprenderà è che ho già trovato la soluzione, nonostante abbia dovuto accantonare

momentaneamente la ricerca in questa direzione, per il semplice motivo che i fondi a

disposizione della mia Fondazione biomedica, per questa come per altre ricerche, si

sono esauriti da tempo.

Ho lavorato per ben cinque anni al trapianto di isole di Langerhans, dal ratto al topo,

due specie quindi diverse; lavori basati sul principio secondo cui noi (Walter Pierpaoli e

collaboratori, cioè) siamo in grado di bloccare il rigetto di isole di Langerhans

provenienti da un animale di altra specie (ma ciò vale ovviamente per qualsiasi genere

di trapianto eterologo, grazie alla scoperta delle transferrine, cui ho già accennato in

precedenza).

Quanto poi all’intervento in sé e per sé, si tratta della cosa più semplice di questo

mondo: dal pancreas del maiale, per esempio, si estraggono le isole di Langerhans

che vengono poste in una provetta; le si inietta quindi nella vena porta del diabetico, il

cui organismo è stato in precedenza ‘istruito’ a non rigettare le cellule provenienti dal

maiale donatore (grazie al mio ‘trucco’ basato sulla scoperta delle transferrine). Da qui

raggiungono il fegato e lo colonizzano; iniziano quindi a produrre insulina.

Il diabetico è guarito. Si automatizza poi la regolazione autonoma dei livelli di insulina

prodotta dalle isole di Langerhans del maiale, che sono state trapiantate nel fegato del

diabetico, e l’operazione è conclusa.

Tutto qui?

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Tutto qui. Eh già!, lo so che esistono importantissimi istituti che da anni lavorano per

trovare una soluzione al diabete, senza che ne siano mai venuti a capo.

Tuttavia, nonostante la cronica carenza di fondi che grava sul lavoro della mia

Fondazione, lo studio scientifico su questo argomento è già stato pubblicato, ormai da

qualche anno (1998), e costituisce la grande scoperta nel campo dei trapianti, perché

elimina alla radice qualsiasi rischio di rigetto (Cell Transplantation, «Overcoming the

histocompatibility barrier. Transferrins as carriers and modulators of immunogenic

identity», vol. 7, n. 6, 1998).

Puoi ben capire come io sia ansioso di poter riprendere al più presto la ricerca sul

diabete. Ribadisco che tutto si basa sull’azzeramento del rischio di rigetto nei trapianti,

frutto di una mia scoperta.

In sostanza Il problema del diabete nell’uomo potrebbe trovare facile soluzione, se non

esistesse l’handicap del rigetto (per il quale però io ho già il rimedio!). Dato infatti che

le isole di Langerhans sono di origine epiteliale, provocano nel trapiantato una

violentissima risposta immunitaria di rigetto.

Spiegami perché.

Le cellule di origine epiteliale sono tutte provviste di antigeni sulla membrana, in grado

di evocare, questo è il loro compito, un’inevitabile risposta violenta di rigetto. Un

problema insolubile, quindi.

Non per me, però. Infatti, e lo sottolineo per dar conto qui dell’importanza della mia

scoperta, nei nostri esperimenti, alcuni topolini diabetici, dopo il trapianto di isole di

Langerhans, morivano non tanto per un problema di rigetto (da tempo ormai da noi

superato), ma per un’eccessiva produzione di insulina, la cui assoluta carenza aveva

dato in precedenza origine al diabete! Ti basta?

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Fammi capire bene, però: tu mi stai dicendo in sostanza che, grazie alla scoperta delle

transferrine, che consentono di evitare il rigetto nel trapianto, avresti già trovato il

sistema di risolvere il problema del diabete? Attraverso, per esempio, un trapianto di

isole di Langerhans dal maiale all’uomo, senza nessun problema di rigetto?

Esattamente. Se riuscissi a portare a termine le mie ricerche, passando dall’animale

all’uomo, il problema del diabete grave (insulino-dipendente) potrebbe dirsi risolto, non

solo teoricamente, cioè in laboratorio, ma anche sull’uomo, senza difficoltà alcuna.

Ho cercato disperatamente fondi per proseguire gli studi, ma non ho ottenuto nulla!

Anzi, a questo proposito, mi sembra molto opportuno che, almeno i diabetici, lo

sappiano!

Per non parlare poi del fatto che lo stesso principio vale per i trapianti di qualsiasi

organo e tessuto! Questa incredibile storia è talmente complessa e affascinante, che

merita un libro tutto per sé.

Nel frattempo, avendo io ottenuto il brevetto definitivo, sia negli USA che in Europa, un

gruppo di amici, in un prestigioso Centro degli USA dove collaboro da 20 anni, sta

comunque sviluppando la ricerca sui meccanismi che sono alla base della mia

scoperta. Ancora una volta, però, il problema è di natura politica e socioeconomica,

piuttosto che scientifica! Ho infatti subito sabotaggi da ogni parte, recentemente anche

in Italia, come posso documentare. Ho brevetti e pubblicazioni, ma i soldi li hanno gli

altri! Nessuno ha interesse a risolvere il problema del diabete, solo i diabetici, ma non

lo sanno!

Cap. 20 – AIDS

Un’altra patologia che occupa molte pagine dei giornali, e che costituisce certamente

un problema sociale, è l’AIDS. Qual è la tua posizione su questo cosiddetto flagello?

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L’AIDS (così come, d’altronde, il ‘morbo della mucca pazza’) è sempre esistito. Non è

stato infatti ‘scoperto’ nessun nuovo virus; si tratta invece di virus che si trasformano, e

che passano da uomo a uomo, da uomo a scimmia, da scimmia a uomo.

L’origine resta quindi piuttosto incerta. È un virus che, in situazioni di

immunodeficienza, e in una popolazione che non è più sottoposta a selezione naturale

(come accadeva in passato; a partire invece dalla fine della seconda guerra mondiale,

molti si sono salvati, per esempio, soltanto grazie agli antibiotici), e quindi appunto

immunodeficiente, si installa e si sviluppa a dismisura.

Inoltre, aldilà delle persone che conducono una vita, per così dire, stravagante, e che

sono di per sé immunodeficienti, ne esistono altre che sono solo apparentemente

‘normali’, in senso immunitario: in questi casi il virus ha decisamente il sopravvento. Se

esso dovesse, invece, venire a contatto con una persona robusta, dal punto di vista

immunitario, non riuscirebbe a mettere in difficoltà il suo organismo.

È quindi una questione di capacità immunologica. Il virus, di per sé, non dovrebbe

destare nessuna preoccupazione. E ciò dimostra chiaramente come tutta la storia

dell’AIDS, così come viene proposta, non sta neppure in piedi. Alla base di tutto c’è,

infatti, la più grande menzogna che sia mai stata proferita, quella cioè di pretendere di

curare l’AIDS con i vaccini e gli antivirali: l’idea più illogica e assurda che mente umana

abbia mai potuto concepire!

Parole pesanti. Spiegami bene perché e dove sta l’errore.

Semplicemente nel fatto che non si può curare una patologia, vaccinando una persona

che è immunodeficiente. Non potrà in alcun modo reagire al vaccino! Non produrrà

infatti anticorpi, dato che è immunoincompetente; inoltre, se per prevenire che sviluppi

l’AIDS, a un paziente portatore del virus HIV vengono somministrati farmaci antivirali, i

vantaggi li avvertiranno solamente le industrie farmaceutiche. Nella migliore delle

ipotesi, infatti, sarà possibile al massimo prolungare in modo precario la vita del

paziente.

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Ma, in questo caso, perché non potrebbe funzionare il farmaco antivirale?

Perché servirebbe soltanto a mitigare l’aggressività del virus, ma a costi elevatissimi.

L’antivirale potrebbe, semmai, servire in una fase iniziale; nel caso, per esempio, di

una persona sana e robusta che si sia infettata accidentalmente; e non è poi neppure

detto che questo trattamento sortisca necessariamente un qualche risultato.

Qual è invece la tua proposta terapeutica?

Come al solito, io vado nella direzione opposta a ciò che comunemente viene

proposto.

Per curare le popolazioni infettate dal virus, in Africa o altrove, non c’è bisogno di

antivirali: è sufficiente, da sola, la melatonina!

Ovviamente, do per scontato che molti lettori storceranno il naso a questa mia

affermazione; ma io ho il vantaggio di riferire fatti documentati, e non ipotesi o teorie,

tutte da verificare.

Prendiamo il caso dell’Africa: dato che la melatonina funziona tanto meglio quanto più

ci si avvicina all’Equatore, il dr. Linus K. Ndungu di Nairobi, Kenya, uno straordinario

personaggio esperto di amministrazione ospedaliera, ha voluto attivare una

sperimentazione con la melatonina su malati di AIDS.

Ebbene, i risultati, dopo due anni dall’inizio dello studio, eseguito sotto controllo

medico, sono sconvolgenti, e non possono essere in alcun modo smentiti.

Ovviamente, la drammatica situazione locale e l'isolamento del mio amico non ha

permesso finora di condurre ricerche in doppio cieco controllate con placebo (sarebbe

oltretutto una vera beffa per i malati destinati a ricevere soltanto il placebo, visto che la

melatonina non farebbe loro che bene, essendo del tutto priva di tossicità e di effetti

collaterali!).

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Oggi possiamo quindi affermare con certezza che la somministrazione di un particolare

tipo di melatonina (purissima e con aggiunta di zinco e selenio), somministrata a

pazienti con AIDS conclamato, estremamente esausti, debilitati e anoressici, con o

senza malattie opportunistiche, ha permesso di osservare rapidissimi miglioramenti;

molti hanno ripreso la normale attività lavorativa. Tieni presente che ciò che affermo è

ampiamente documentato, ed è a disposizione di chi volesse prenderne visione.

Tuttavia, si può parlare di vere ‘guarigioni’ da AIDS conclamato…? Possiamo riportare

qui dei casi concreti?

Io non so se la melatonina (e lo zinco) guariscano l’AIDS; certamente però

restituiscono peso corporeo, vitalità e salute ai malati di AIDS. A me non sembra

affatto una questione di poco conto!

Quanto ai casi clinici, posso intanto fare riferimento a quelli che seguono, tutti coronati

da ottimi risultati : 1. J.A., uomo di 47 anni, moglie morta di AIDS; 2. F.W., donna, 41

anni; 3. J.C.K., uomo, 45 anni; 4. J.K., uomo, 32 anni, moglie morta di AIDS; 5. R.K.,

donna, 30 anni, marito morto di AIDS; 6. A.W., donna, 50 anni; 7. P.C., donna, 39 anni.

Questo è soltanto un piccolo campione fra i 1126 pazienti che assumono giornalmente

melatonina con zinco, ormai da oltre 14 mesi.

I dossier sono conservati presso Linus K. Ndungu, e i pazienti sono tutti rintracciabili al

loro indirizzo, in Kenya!

Dato che stiamo parlando di argomenti molto delicati, e anche per non cadere nella

tentazione di abbandonarci a facili entusiasmi, vorrei che tu fossi più preciso nel riferire

i miglioramenti finora riscontrati in pazienti con AIDS conclamato, che hanno assunto

melatonina con zinco per periodi prolungati.

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Il recupero a seguito di somministrazione di melatonina con zinco, alla dose di 3/6 mg

giornalieri, si riferisce a: debolezza; anoressia; impotenza; peso corporeo; macchie

della pelle estese al volto e alle aree genitali; distrofia cutanea al volto, alle mani e ai

piedi; nausea; vomito; infezioni varie batteriche, virali e da miceti; bronchite essudativa;

anemia; adenopatie; diarrea; costipazione; apatia; depressione; insonnia; riguarda

inoltre molti altri problemi comuni ai malati di AIDS.

I sette pazienti di cui ho appena detto, hanno recuperato da 5 fino a 12 chilogrammi di

peso corporeo; passando, da uno stato disperato e quasi terminale di AIDS, alle loro

abituali occupazioni, quelle cioè che svolgevano prima dell’insorgenza della malattia.

Chiunque può visitarli e constatare il loro stato di salute!

I risultati che si evidenziano in questi pazienti lasciano pensare che la

somministrazione di un particolare tipo di melatonina sia in grado, da sola, di

ricostituire rapidamente l’integrità biologica del malato di AIDS in fase avanzata, se

non addirittura terminale, tanto da riportarlo alla vita normale!

Quali altri casi di AIDS sono venuti, direttamente o indirettamente, alla tua

osservazione?

Un trattamento analogo a quello cui ho appena accennato viene attualmente condotto

su malati di AIDS anche nell’ospedale di Lugalo, che è il maggior ospedale militare

della Tanzania.

C’è da dire, a questo proposito, che le forze armate della Tanzania hanno stabilito una

collaborazione con una società del Sud Africa, allo scopo di effettuare uno studio

clinico su malati di AIDS trattati con una sostanza chiamata Exumit.

In effetti, questo farmaco azzera quasi del tutto la carica virale; tuttavia, i pazienti

risultano così deboli, magri e debilitati che non si può certo dire che il farmaco possa

funzionare efficacemente!

Al contrario, grazie al trattamento con melatonina e zinco, i pazienti guadagnano

rapidamente appetito e peso, e i loro linfociti CD4 aumentano in maniera assai

99
consistente. Sarebbe opportuno quindi che i pazienti da trattare con Exumit, si

sottoponessero prima alla terapia con zinco-melatonina; una volta recuperate le forze,

e soltanto allora, sarebbero quindi in grado di sopportare la micidiale azione antivirale

di Exumit!

Questo è quanto mi ha riferito direttamente il Dr. Ndungu; gli interessati sono invitati a

rivolgersi direttamente a lui. Credo che sia rimasto bloccato dalla completa assenza di

ogni aiuto finanziario locale o internazionale. Infatti, chi può avere interesse in una

molecola che non è brevettabile, come la melatonina? Solo, eventualmente, i malati!

Tutto questo vale però all’Equatore, dove l’effetto della melatonina risulta fortemente

potenziato per via della latitudine; ma altrove, invece? Penso all’Europa, agli Stati Uniti

ecc.

L’effetto è sostanzialmente identico. Se la melatonina viene somministrata in tempo

utile, diciamo in una fase non proprio terminale, il malato di AIDS può avere un buon

recupero. Nello stadio iniziale della patologia, il paziente potrà ricostituire rapidamente

l’immunità, e contare quindi ragionevolmente su una totale guarigione; è possibile che

si porti ancora dietro il virus, che non lo abbia eliminato cioè del tutto, e che accusi dei

danni secondari; però, non andrà ulteriormente incontro a malattie opportunistiche,

virali o parassitarie.

In quanto tempo?

Nel giro di due o tre mesi, il paziente è già fuori pericolo.

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Esiste, a questo proposito, anche una casistica riferita a pazienti europei? Italiani, per

esempio?

Purtroppo, non ancora. Ciò non toglie nulla però a quanto ho appena affermato sulla

certezza del recupero da parte dei pazienti con AIDS, trattati con melatonina e zinco.

Aggiungo che, già una decina di anni fa, in un ospedale italiano venne somministrata

melatonina a pazienti con AIDS; per quanto ne so, i pazienti recuperavano talmente in

fretta appetito e peso, che, trattandosi in genere di tossicodipendenti con una vita

piuttosto allo sbando, abbandonavano improvvisamente l’ospedale, per tornare alla

vita di sempre, senza lasciare ovviamente alcun recapito che permettesse di

rintracciarli! Il problema era che, avendo recuperato le forze, non si preoccupavano di

assumere ulteriormente la melatonina.

Per ritornare però, per così dire, agli aspetti più scientifici delle tue ricerche, su quale

fondamento teorico si basa la terapia che tu proponi con melatonina e zinco nei

confronti dell’AIDS?

Questa è una storia molto interessante. Nel corso degli ultimi quarant’anni, si è

sviluppata la disciplina scientifica che, a suo tempo, il mio amico Novera Spector

aveva battezzato come neuroimmunomodulazione (NIM), e che ora raccoglie migliaia

di ricercatori.

Grazie a questa particolare branca della medicina, risulta ormai dimostrato che il

sistema immunitario, che ci difende da infezioni e cancro, e mantiene l’integrità

biologica, dipende strettamente dal controllo centrale, nei centri nervosi del cervello, di

una miriade di ormoni e fattori endogeni; la cui sintesi e secrezione ciclica (il ciclo

circadiano giorno/notte, l’avvicendarsi delle stagioni), vengono appunto regolate dai

ritmi luce/buio e dalle variazioni della temperatura.

Abbiamo inoltre dimostrato che il mantenimento dei cicli e dei ritmi endocrini, grazie

alla protezione esercitata sulla ‘ghiandola madre’ del cervello (la pineale), attraverso la

101
somministrazione notturna di melatonina (la stessa che la pineale produce nel corso

della notte), porta a una straordinaria inversione dell’invecchiamento.

Tornando però all’AIDS e al rafforzamento del sistema immunitario?

Applicando all’AIDS i principi che ho appena esposto, si può affermare senza dubbio

alcuno che la base della salute e della resistenza immunologica risiede nella

salvaguardia dei ritmi periodici circadiani (giorno/notte) ormonali, coordinati appunto

dalla ghiandola pineale e dalle sue connessioni con il cervello e l’ipofisi.

Gli studi condotti in questo senso, da me e dai miei collaboratori (alcuni già pubblicati,

altri in via di pubblicazione), sono quindi serviti a promuovere un nuovo metodo per il

controllo dello stato di salute, basato sul mantenimento dei ritmi biologici ormonali

vedi grafico nelle ultime pagine di questo libro.

È ormai provato, in altre parole, in modo inconfutabile, che la salute psichica e fisica di

ognuno di noi è gestibile mediante l’assunzione di molecole naturali che non

presentano né tossicità, né effetti collaterali. Queste molecole, alcune delle quali già

identificate, sono in grado di operare una drastica inversione del processo di

deterioramento psicosomatico che va sotto il nome di senescenza.

Ci si potrebbe opportunamente chiedere, a questo punto, perché le notizie che mi hai

finora riferito non vengano portate a conoscenza del pubblico, e soprattutto dei

pazienti colpiti da AIDS. Ma lasciamo da parte questo argomento… C’è però ancora

una domanda che vorrei porti, e riguarda la somministrazione di melatonina con zinco;

perché questa combinazione?

Perché negli stessi anni in cui conducevo le ricerche sulla melatonina, all’INRCA di

Ancona (istituto di ricerche gerontologiche Nino Masera), i ricercatori Nicola Fabris,

Eugenio Mocchegiani e colleghi, da anni impegnati nello studio degli effetti

102
immunostimolanti e antiinvecchiamento dello zinco, nel contesto di una teoria

sull’origine e il corso della senescenza, realizzavano una ricerca su malati di AIDS.

Fecero così la straordinaria osservazione che lo zinco, somministrato per via orale, era

in grado, da solo, di prevenire in gran parte le cosiddette malattie opportunistiche di

varia natura (virale, micotica, batterica e parassitaria) che colpiscono infallibilmente i

malati di AIDS, fortemente immunodepressi. Tali importanti lavori sono stati pubblicati

sulle riviste mediche Journal of the American Medical Association (JAMA) nel 1988, e

sul Journal of Nutrition nel 2000.

La conclusione è stata quindi logica: lo zinco è in grado di prevenire le malattie

opportunistiche nell’AIDS; e la melatonina?

Nella prima metà degli anni novanta, io stesso ed altri avevamo condotto degli studi,

poi pubblicati su riviste specializzate, nei quali avevamo osservato come la melatonina,

da sola, sia in grado di ricostituire i livelli di zinco nel sangue di animali senescenti.

Risultava quindi chiara l’esistenza di una relazione diretta tra zinco e melatonina;

inoltre, la loro azione si manifestava come sinergica nella ricostituzione dell’immunità

in corso d’invecchiamento! È infatti noto che la carenza di zinco è un sicuro parametro

d’invecchiamento (i suoi livelli decrescono costantemente nel corso degli anni).

Sulla base di tali entusiasmanti risultati sperimentali e clinici, che riguardavano la

rapida ricostituzione dell’immunità con il binomio zinco-melatonina, passai quindi alla

formulazione di un’associazione tra melatonina e zinco.

Nella fase successiva, vale a dire quella relativa alle prove cliniche sull’uso della

melatonina, associata a un composto organico dello zinco, quello orotato (che ha il

vantaggio di essere assorbito meglio nei processi organici, in cui lo zinco è parte

essenziale di oltre duecento enzimi), identificai nei pazienti africani di AIDS il terreno

ideale per la valutazione di tale associazione di elementi, privi di tossicità e di effetti

collaterali, anche per il basso costo della melatonina, e in considerazione dello stato di

estrema povertà delle popolazioni africane.

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Cap. 21 – Le patologie

Il cosiddetto allenamento, la corsa, il jogging,


il culturismo, e comportamenti simili, ossessivi e imposti,
ci conducono tutti a un invecchiamento precoce; a meno che i loro
effetti deleteri e nocivi non siano in qualche modo equilibrati da una
benefica gratificazione psicosociale, e purché siano praticati a contatto
con la Natura. (Walter Pierpaoli)

Passiamo adesso in maniera sistematica un certo numero di patologie che oggi si

presentano particolarmente problematiche. Per prima: l’Alzheimer.

Premetto che, in linea generale, tutti i miei interventi terapeutici sono basati sulla

risincronizzazione del sistema neuroendocrino e, di conseguenza, del sistema

immunitario: il restauro quindi dell’integrità biologica dell’organismo, consistente nei

cicli e nei ritmi ormonali e nella risposta immunitaria.

Quest’ultima ha che fare con il timo, i linfociti T, il rigetto, e costituisce la cosiddetta

‘immunità ritardata’. Perché il nostro organismo non accetta il trapianto di un organo?

Perché combatte tutto ciò che non riconosce come self, cioè come suo proprio. Se

infatti venisse meno l’immunità ritardata, noi non rigetteremmo più, come estraneo, un

organo trapiantato da un altro uomo o da un animale; non solo, ma non saremmo più

neppure in grado di combattere e sconfiggere un virus. La lotta contro il virus è infatti

basata su una complessa azione immunitaria che fa capo, sia alla sintesi di anticorpi

che si formano contro il virus, sia all’attivazione di cellule che distruggono il virus (al

contrario di quanto accade nel caso dell’HIV, dove è il virus a distruggere le cellule,

Human Immunodeficiency Virus). In altre parole, l’AIDS colpisce una persona quando

questa è immunodeficiente. Mentre, a mio avviso, non è affatto vero che se il virus HIV

attacca una persona sana, inevitabilmente questa ammalerà di AIDS.

Venendo all’Alzheimer, questa patologia è da assimilare, quanto a esito, alla demenza

senile, anche se da questa viene generalmente distinta. Nella demenza senile le

arteriole del cervello si chiudono, e si formano dei veri e propri buchi di necrosi.

Nell’Alzheimer, invece, si evidenziano della placche di proteine amorfe che

104
distruggono le cellule, invadendo i tessuti (ho eseguito molti studi sull’amiloidosi

sperimentale, suggerendone anche l’eziopatogenesi).

L’origine dell’Alzheimer è misteriosa; probabilmente, è composita: c’è una componente

genetica, ma anche alimentare, virale, immunitaria. Il risultato però è sempre lo stesso:

l’invasione dei tessuti nobili del cervello o di altri organi e tessuti, come i reni o i

muscoli, da parte di masse di proteine (amiloidi e ialinoidi), con conseguente, più o

meno precoce, distruzione degli stessi. A mio avviso, l’A. non è curabile; però lo si può

prevenire ed eventualmente bloccare.

In che modo?

Il mio principio è sempre lo stesso. Qualsiasi patologia l’individuo sviluppi, questa farà

sempre capo al degrado e alla caduta del sistema di controllo dell’organismo

(immunitario e ormonale). Tutte le malattie degenerative ‘cattive’ (compreso il cancro),

sono infatti riconducibili ai medesimi meccanismi. Dipende poi da tanti altri cofattori

(famiglia d’origine, alimentazione, condizioni ambientali, età ecc.) se a svilupparsi sarà

una patologia piuttosto che un’altra.

Applicando questi principi, io ho elaborato una strategia terapeutica, che applico già a

parecchi pazienti, sia in fase iniziale ma anche in casi di gravità estrema, che sembra

dare buoni frutti; fermo restando che la finalità è quella di rendere gestibile la patologia.

Anche se poi, essendo io sempre superottimista, non perdo mai del tutto la speranza

(e infatti la totale remissione del Parkinson di mia suocera ultranovantenne mi dà

ragione!).

Così come credo fermamente nella rigenerazione dei neuroni o perlomeno ai contatti

tra di loro, grazie alla quale è possibile, con il tempo, senza fretta però, ricostituire il

colloquio fra gli stessi neuroni, che permetta di mantenere quantomeno un’esistenza

accettabile. Staremo a vedere. Allo stato attuale della ricerca, posso poi aggiungere

che sto studiando una molecola naturale che ha mostrato, per adesso soltanto in

laboratorio, un incredibile potere di rigenerazione.

105
Con la solita avvertenza però, che occorre sfatare la mentalità farmacologica corrente,

per cui tutto si può risolvere con una pillola: bisogna invece aver pazienza e sapere

prendersi cura della ricostituzione del proprio equilibrio biologico, dando tempo al

tempo!

C’è poi un aspetto più crudele, di cui nessuno parla: la condizione in cui sono costretti

a vivere i famigliari del paziente. In questo caso, la somministrazione di melatonina

serale a tutti i membri della famiglia, o almeno alla persona di riferimento del paziente,

è indicatissima.

Hai citato il Parkinson, ed è quindi il caso che ce ne occupiamo.

A mio avviso, il Parkinson va gestito nello stesso modo dell’A. Perché si manifesta la

malattia? A causa di un’alterazione di una parte del cervello (la substantia nigra).

È possibile, in una prima fase, ricorrere ai farmaci per alleviare i sintomi, che però

portano con sé effetti collaterali non trascurabili. Coloro che si occupano di Parkinson,

sanno bene che i farmaci non curano la malattia; la mitigano soltanto e, con l’andar del

tempo, diventano addirittura del tutto inefficaci.

Il migliore esempio della mia terapia del Parkinson, ce l’ho in famiglia. Come ho già

avuto modo di dire, grazie alle mie prescrizioni, mia suocera, che ha 95 anni, non solo

oggi non mostra più alcun sintomo, ma ha ripreso a suonare il pianoforte come faceva

un tempo! Non attendo altro se non di poter festeggiare il suo centesimo compleanno

Parkinson-free!

Sono inoltre in grado di annunciare che la più grande fondazione europea per la cura

del Parkinson, una delle più importanti al mondo, che ha sede a Milano, ha mostrato

interesse a eseguire uno studio clinico con melatonina, applicando i miei principi. Tieni

presente, giusto per dare un’idea dell’imponenza del fenomeno, che la benemerita

fondazione, che non ha fini di lucro, annovera ogni anno ben 1200 nuovi pazienti!

106
Un’altra patologia che ha notevole rilevanza sociale, e che purtroppo si diffonde

sempre di più, è l’asma.

L’asma è scatenata da uno stato psichico, ma anche da condizioni ambientali e

climatiche. Esistono quindi due componenti: la psiche e gli allergeni. In ambedue i casi

è opportuno intervenire mirando soprattutto al riequilibrio dell’intero sistema. Va detto,

fra l’altro, che la desensibilizzazione agli allergeni è impresa difficile, lunga e costosa.

Il mio principio è invece diverso, e consiste nella ricostituzione della capacità di non

reagire agli allergeni. È come per le malattie autoimmunitarie: la soluzione del

problema sta nella ricostituzione dell’immunità, per cui l’organismo è messo in

condizione di non reagire contro se stesso (o contro gli allergeni, nel caso dell’asma).

È un’impresa non facile, anche perché, nell’asma, entrano in gioco fattori diversi, ivi

compresa la situazione emotiva che il soggetto asmatico vive.

Avresti voluto occuparti anche di bambini Down…

Sì, ma senza successo. E non tanto perché la melatonina non funziona in questo caso,

tutt’altro; ma semplicemente perché ho dovuto scontrarmi con la diffidenza verso una

sostanza assolutamente innocua, come la melatonina.

Già comunque a partire dagli anni ottanta, avevo maturato la convinzione che la

sindrome di Down altro non è che una forma di invecchiamento precoce. Chi viene al

mondo affetto da questa patologia, infatti, invecchia rapidamente.

Guarda caso i bambini Down risultano, inoltre, estremamente vulnerabili allo stress,

sono molto nervosi, presentano difficoltà con il sonno (mancano della fase REM),

accusano problemi alla tiroide, tutte problematiche che grazie alla somministrazione di

melatonina potrebbero essere facilmente alleviate.

La melatonina infatti ricostituisce l’immunità, migliora la funzione tiroidea, normalizza il

sonno. Tuttavia, queste mie considerazioni restano allo stato solamente teorico;

107
nonostante io abbia infatti proposto, in circostanze diverse, l’impiego della melatonina

per questa gravissima patologia, il suggerimento non è stato purtroppo accolto.

Non sarà però che la diffidenza si basa su elementi concreti che indurrebbero alla

prudenza sull’uso della melatonina? Mi riferisco in particolare all’articolo di Reppert e

Weaver pubblicato su Cell (vi si insinua che la melatonina potrebbe provocare

addirittura il cancro!), e a quello di Turek su Nature, che ne sconsiglia semplicemente

l’uso in assenza di dati clinici certi.

L’articolo di Reppert e Weaver, due ricercatori che conosco molto bene, si basa su un

falso di laboratorio, come ho preteso che fosse rettificato da Cell, purtroppo senza

successo, in risposta al loro lavoro. L’assunto dell’articolo era che, cambiando il ceppo

di topi utilizzati da me in laboratorio, con la somministrazione di melatonina non solo

non si allungherebbe la vita degli animali, ma addirittura la si abbrevierebbe,

inducendo anche qualche tumore. Ciò è semplicemente falso. L’equivoco nasce da

un lavoro del giapponese Goto, successivamente smentito perché appunto falso, il

quale intendeva dimostrare che il ceppo di topi da me utilizzato non produrrebbe

autonomamente melatonina, perché la ghiandola pineale non disporrebbe degli enzimi

per produrla: questa notizia, ed è stato dimostrato, è assolutamente falsa.

Ripeto, si tratta di un banale errore di laboratorio, una svista da parte di Goto, che ha

seminato un numero incredibile di notizie false, tutte puntualmente smentite.

Fra le causae mortis più frequenti, pare ci siano le malattie cardiache e circolatorie

(arteriosclerosi locale o generalizzata, infarti, occlusioni vasali, trombosi, ictus

cerebrale ecc.).

108
Torniamo alla Sindrome metabolica X, che abbiamo già evocato nel corso di questa

conversazione: il famoso ‘quartetto mortale’, cioè, costituito da ipercolesterolemia,

iperglicemia, ipertensione, obesità viscerale (il grasso che non si vede, all’interno della

pancia). Esso rappresenta in sostanza il decadimento del metabolismo ossidativo. Se

la tiroide non assolve alla sua funzione di controllo sul metabolismo dei lipidi, in

maniera sufficiente (ipotiroidismo), si avrà necessariamente ipercolesterolemia. Stesso

discorso vale anche per l’iperinsulinemia: l’insulina aumenta perché l’organismo

‘brucia’ male il glucosio. Il meccanismo diventa allora rigido, perde la sua flessibilità,

tutto si sclerotizza. Le ghiandole endocrine funzionano male, e niente è più in

equilibrio.

Il mio principio, applicato all’ictus, alla trombosi, all’infarto, alle occlusioni arteriose,

all’arteriosclerosi cerebrale, quando ne riscontro i segni premonitori, oppure quando gli

eventi si sono già sfortunatamente verificati, è quello di tenere sotto controllo i livelli di

ormoni come prolattina o cortisolo. Prendo soprattutto in considerazione la tiroide,

perché se è presente un’alterazione nascosta della tiroide, si possono assumere tutte

le pillole che si vuole, ma la situazione resta fortemente compromessa. Se non si

ricostituiscono i ritmi ormonali, la situazione non potrà mai tornare alla normalità. Alla

base di una situazione di questo tipo c’è poi in sostanza uno stato d’invecchiamento

vero e proprio, come alterazione del metabolismo.

Ora, questa situazione è riconducibile alla constatazione che, nel nostro cervello, i

meccanismi di feed-back, di reattività e di controllo dei ritmi, diventano rigidi; l’esempio

classico è quello della menopausa: le ovaie si irrigidiscono e diventano restie alle

sollecitazioni di LH e FSH ipofisarie; di conseguenza, queste ultime aumentano, come

abbiamo dimostrato (vedi capitolo sulla menopausa), al fine di mantenere estrogeni e

progesterone a livelli normali per favorire così l’ovulazione; lentamente, questo

processo non si verifica più, fino a che le ovaie finiscono per atrofizzarsi del tutto; è la

fine del programma, arriva la vecchiaia; si tratta in fondo di un programma

neuroendocrino fisiologico, che ha esaurito la sua carica, che ci faccia piacere o no.

109
Per tornare quindi al metabolismo dei lipidi, dal quale eravamo partiti…?

L’esempio della menopausa mi è servito per dire che, mentre la donna invecchia per la

fine del ciclo, che è un meccanismo di feed-back che viene a mancare, così è anche

per il metabolismo dei lipidi: se non funziona la tiroide, e si altera il congegno centrale,

per cui il cervello si irrigidisce e non reagisce più agli stimoli periferici, oppure reagisce

ma in maniera spropositata, avviene una sorta di ‘iperadattamento’, cioè l’iperadattosi

di cui parlava il grande Vladimir Dillman. È un tentativo di compensazione e di

adattamento a una situazione che non è più normale.

Le conseguenze sono: iperglicemia, iperinsulinemia (l’insulina è micidiale: troppa fa

male; se scarseggia, è ugualmente fonte di altri guai), tipiche della Sindrome

Metabolica X, e quindi dell’arteriosclerosi, dell’ictus ecc., e di tutto ciò che costituisce

alterazione vasale.

Passiamo adesso a un altro argomento che desumo da alcune lettere che ti sono state

inviate, a proposito della degenerazione maculare.

La macula è il punto della retina in cui si focalizza la visione. Le maculopatie più

ricorrenti (la maculopatia può avere le origini più disparate) sono legate

all’invecchiamento. La degenerazione maculare mostra quindi delle analogie con la

malattia di Alzheimer, anche perché neppure in questo caso esistono cure ‘efficaci’; fra

l’altro, la cecità senile è un fenomeno destinato a diffondersi sempre di più.

Sono però fiducioso che, grazie a un’adeguata profilassi, si possa riuscire a evitare

che la retina degeneri. Anche perché, guarda caso, la retina produce in situ (cioè a

livello locale) melatonina. Ignoro quale sia la funzione prodotta dalla melatonina nella

retina, ma ipotizzo che si tratti sempre di quel meccanismo protettivo di cui abbiamo

parlato a proposito della ghiandola pineale; la melatonina è prodotta, cioè, dove serve

a proteggere un organo o un apparato.

110
Sia come sia, sta di fatto che, almeno in un caso (quello di un mio amico che aveva la

retina letteralmente a pezzi, per capirci, e successivamente dichiarato ‘clinicamente

guarito’ da un luminare di Milano, a seguito di un trattamento con melatonina), la

somministrazione di melatonina sembra abbia fatto sì che la retina si cicatrizzasse, fino

al recupero della visione (con conseguente restituzione della patente di guida al

paziente!).

Aggiungo che attualmente, in Cina, con la collaborazione del governo cinese, e a cura

del dottor Changxian Yi, che è stato fra i miei più validi collaboratori presso il

laboratorio che dirigo, è in corso una sperimentazione clinica su retinopatie e

melatonina. E io ho comunque fiducia nella forza rigeneratrice della natura, di cui non

mi preoccupo affatto a fornire spiegazioni in termini ‘scientifici’: mi limito piuttosto a

constatarne l’evidenza.

Hai dedicato molta parte della tua ricerca alle malattie autoimmunitarie.

Le malattie autoimmunitarie sono di gran lunga le mie preferite’, e ciò per molte

ragioni. Intanto, il principio stesso che sottende l’invecchiamento è

l’autoannientamento, semplicemente perché non ci si autoriconosce più. Ciò si verifica

anche dal punto di vista psichico, intellettivo e culturale. La persona anziana si

disinteressa all’ambiente esterno, le sue emozioni si affievoliscono, si abbandona alla

pigrizia… Questo atteggiamento rappresenta il distacco dal mondo; si esce dalla realtà

della natura, per tornare a essere polvere inorganica, com’è scritto nei sacri testi.

Al contrario, noi siamo ‘organici’, in quanto entità fine a se stessa: siamo self, siamo

noi stessi. L’immunità mantiene appunto questa condizione, e ci permette di

distinguere noi stessi da quanto ci circonda.

Di conseguenza, se a una persona si trapianta qualcosa che non le appartiene, lo

rigetta immediatamente. Ciò è semplice da spiegare. Infatti, il virus cos’è? Qualcosa

che non appartiene all’organismo; ecco perché vengono prodotti anticorpi per

debellarlo. Quando però, a causa di vari fattori, non si riconosce più se stessi,

111
producendo quindi anticorpi contro il proprio stesso organismo, subentra una delle

tantissime (costituiscono l’80% di tutte le patologie che ci uccidono) malattie

autoimmunitarie.

Perché si verifica ciò? A mio avviso, molte malattie autoimmunitarie sono determinate,

all’origine, da un virus. E' possibile che si tratti di un virus banale (una tonsillite, un

adenovirus ecc.), in grado di provocare un’infezione in un organo o in un tessuto,

magari in forma silente. Può darsi che alteri un po’ le caratteristiche delle cellule,

inducendo magari un’immunosoppressione, responsabile dei danni che si

succederanno a cascata. Il risultato finale è che il sistema immunitario non riconosce il

corpo come suo proprio, e produce anticorpi per distruggerlo. Si instaura allora la

malattia autoimmunitaria.

Ora, a me sembra ovvio, ma basta guardarsi in giro per capire che poi tanto ovvio pare

non essere, che per porre rimedio a una situazione di questo genere, la prima cosa da

fare è di ristrutturare l’immunità ‘normale’. Per debellare quindi le malattie

autoimmunitarie (che sono tantissime e devastanti) non c’è altro mezzo che ricostituire

l’integrità immunologica perduta. Ed è esattamente quello che io tento di realizzare.

Che fa invece la cosiddetta medicina moderna? La cosa più pazza che si possa

immaginare: somministra cortisone e immunosoppressori!.

Ci sarà ben un motivo, per questo comportamento, che sembra autolesionista anche a

un profano come me!

Infatti, non c’è spiegazione! Giudica tu stesso: il cortisone blocca l’infiammazione e i

sintomi, ma non cura un bel niente; e gli immunosoppressori distruggono addirittura

l’immunità, fai un po’ te!

Io mi comporto invece esattamente all’opposto: non somministro cortisone, né

tantomeno immunosoppressori, ma stimolo invece l’immunità; la sprono a ricostituirsi e

a rigenerarsi.

112
E, siccome l’immunità dipende dai cicli ormonali (e vedi bene che il mio ragionamento

qui non fa una piega), se ricostituiamo la ciclicità ormonale, rimetteremo a nuovo la

famosa tela, che il ragno sarà felice di tenere nuovamente sotto controllo; dopodiché,

gli anticorpi semplicemente scompaiono! Questa è la chiave che io ho scoperto per

ricostituire l’immunità naturale, e di ciò che affermo ho le prove inconfutabili, anche

perché sono state già pubblicate su riviste scientifiche di prim’ordine.

C’è da chiedersi come sia possibile che tutto ciò avvenga nella cosiddetta medicina

scientifica, senza che nessuno dia perlomeno l’allarme.

Per lo stesso semplicissimo motivo che si cerca di far fuori il cancro, e non di

ricostituire il paziente. A mio avviso non si deve distruggere il cancro (e con esso,

spesso anche il paziente!), ma ricostituire piuttosto la capacità dell’individuo di tenere il

cancro sotto controllo. Ecco perché le malattie autoimmunitarie non mi fanno più

paura.

Fra le malattie autoimmunitarie viene annoverata anche la sclerosi multipla.

Una patologia che colpisce oltre cento milioni di persone nel mondo. Si produce

un’alterazione autoimmunitaria che attacca il cervello (invece che una qualsiasi

articolazione, oppure la tiroide, o il fegato, e così via).

Il processo iniziale è di tipo infiammatorio autoimmunitario, su cui si innestano poi

depositi di sostanze (autoanticorpi, anticorpi) che formano delle placche. Queste, a

loro volta, spingono e distruggono la corteccia e vari centri del cervello. È un processo

devastante oltre che progressivo.

Anche se rischio di ripetermi fino alla nausea, c’è una sola cosa da fare: ricostituire

l’immunità! Perché, se il corpo prosegue sulla strada della produzione di anticorpi

113
contro le placche che si sono formate, il processo degenerativo finirà per andare avanti

da solo, senza neppure più bisogno di anticorpi da combattere.

Si crea, in sostanza, una situazione analoga a quella della cirrosi epatica: il tessuto

connettivale sostituisce il tessuto nobile, con la conseguenza che il fegato si riduce a

una palla fibrosa che non funziona più (si muore, se non si provvede celermente a un

trapianto!). Nel caso della sclerosi multipla, invece, la reazione connettivale si verifica

nel cervello, con l’innesco di un processo divenuto ormai aspecifico.

Cap. 22 – Domande ricorrenti (FAQ, Frequent Asked Questions)

Caro Walter, ti porrò adesso delle domande ricorrenti che esigono da parte tua una

risposta breve e concisa, in modo che il lettore possa trovarvi notizie sintetiche che, se

lo vorrà, potrà approfondire in altra sede. La prima domanda, dunque: la melatonina è

un farmaco?

Assolutamente no! È una molecola naturale (è prodotta di notte dalla ghiandola pineale

del nostro organismo), non tossica e priva di qualsiasi effetto collaterale. Non è affatto

un ormone e, somministrata anche per lunghissimi periodi di tempo, ad alte dosi

(nell’ordine addirittura di centinaia di milligrammi, come nel già citato studio clinico

olandese), non ha mai prodotto alcun danno. La sua funzione sembra essere la

protezione della ghiandola pineale, anche se però non siamo in grado di stabilirne il

meccanismo d’azione a livello molecolare. Tieni presente inoltre che nonostante, negli

Stati Uniti, la melatonina sia ormai in vendita liberamente da oltre sei anni, non è mai

stato riferito un solo caso di effetti indesiderati.

Qualcuno dice però che chi assume melatonina potrebbe andare incontro al rischio di

una ‘frammentazione del sonno’.

114
La melatonina c’entra con il sonno, mi si passi l’espressione, come i cavoli a merenda.

È utile al sonno unicamente in quanto, migliorando i ritmi biologici, fa sì che ci si

addormenti più facilmente. Ma, altrettanto facilmente, può far sì che si resti svegli,

specialmente nei primi periodi in cui la si assume.

In che senso? Tutti ne parlano come di un sostitutivo dei sonniferi…

Ed è assolutamente falso! La melatonina infatti rimette ‘soltanto’ in moto un sistema

che risulta essere alterato nei suoi ritmi. Prima però che tutto possa tornare in

equilibrio, possono passare addirittura dei mesi! Infatti, non essendo né un farmaco né

un sonnifero, la melatonina non agisce di colpo. Con il risultato che, gente che per

vent’anni ha assunto benzodiazepine, dopo aver provato per due notti la melatonina,

pretende chissà quale risultato miracoloso; e se ciò non avviene, ne trae

immediatamente la conclusione che la melatonina non funziona. Sfido io, in questo

modo non può funzionare di certo!

Una persona che ha acquistato il tuo precedente libro, La fonte della giovinezza, ti ha

scritto: «Ho preso la melatonina, ma con risultati deludenti; ho trascorso una notte

agitata, piena di risvegli e assopimenti, e con sogni vividissimi. Il mattino seguente mi

sono ritrovato completamente intontito e tale sgradevole sensazione è durata fino al

giorno seguente. Ho lasciato quindi trascorrete cinque giorni, dopo l’ho ripresa; solita

storia.» Qual è la risposta da dare in questi casi?

Non c’è altro sistema che continuare ad assumere 3 mg di melatonina alla sera,

immediatamente prima di dormire. Il risultato è assicurato, si tratta di saper attendere!

Un effetto immediato, senza che prima sia stato ricostituito il ciclo biologico alterato,

sarebbe infatti semplicemente impensabile. Inoltre, che tipo di melatonina ha usato,

questo signore? Se essa non viene infatti prodotta con il sistema GMP (Good

115
Manufacturing Practise), che dà la garanzia assoluta che la compressa finale contiene

esattamente quanto viene dichiarato, io non la darei neppure al mio vecchio cane!

Un altro lettore, questa volta si tratta di un medico, scrive: «Lei consiglierebbe la

melatonina a una persona di 75 anni e più? E se sì, a quale posologia? E questa va

applicata a una donna di 75 anni che pesa 45 chilogrammi, per esempio, allo stesso

modo che a un uomo della stessa età, che pesa però 90 chili?»

Ancora una volta, non essendo la melatonina un farmaco, il peso corporeo è

ininfluente agli effetti della dose; se ne può assumere infatti anche in eccesso, senza

che si registrino effetti indesiderati. In effetti, per saturare durante la notte l’organismo

con la melatonina, ne basterebbe molto meno dei canonici 3 mg; sarebbero sufficienti

uno o due milligrammi. Tuttavia, dato che risulterebbe impossibile determinare

l’assorbimento gastrointestinale di ogni singolo individuo, se ne consigliano

prudenzialmente 3 mg, per essere certi che ce ne sia abbastanza in circolazione

durante la notte. La melatonina in eccesso va poi a finire comunque nei reni, e viene

semplicemente eliminata con le urine.

Sempre lo stesso medico chiede se sia stata determinata o no per la melatonina la

DL50 [la dose letale, cioè che, in un esperimento da laboratorio, porta alla morte il

50% degli animali trattati con la sostanza che si intende testare].

Semplicemente, per la melatonina non esiste e non può esistere una dose letale 50

(DL50). Nessun ricercatore è infatti mai riuscito a far morire un topolino di laboratorio,

neppure somministrando dosi altissime della sostanza.

116
Assumendo melatonina esogena (dall’esterno, cioè), non si corre il rischio che si

atrofizzi la pineale, visto che questa finisce per produrne sempre meno?

E invece succede proprio il contrario! Siccome la melatonina non è un ormone, e il

meccanismo di sintesi che la riguarda è molto diverso da quello degli ormoni, appunto,

accade l’inverso di quanto ci si potrebbe aspettare. Il processo attraverso il quale dalla

serotonina si passa alla melatonina, con l’acetiltransferasi e gli HIOMT

(idrossimetiltransferasi), è abbastanza complesso e laborioso. Ora, se si somministra

la melatonina dall’esterno, semplicemente gli enzimi non si attivano per produrla. In

realtà quindi non c’è nessun meccanismo di inibizione retroattiva, come accade invece

se si continua a somministrare, per esempio, cortisone o tiroxina in eccesso a un

paziente, massacrando così la sua ipofisi e producendo l’atrofia del fattore di rilascio,

l’ormone corticotropo (ACTH). In questi casi, lo stimolo alla produzione parte

dall’ipofisi, e il processo viene inibito se noi somministriamo troppa tiroxina o troppo

cortisone, o un altro ormone dall’esterno; gli ormoni infatti hanno tutti un releasing

factor (cioè delle cellule deputate alla produzione) molto ben definito, per cui se si

somministra l’ormone dall’esterno se ne blocca la produzione endogena. Ma questo

non è affatto il caso della melatonina, perché non esiste un releasing factor della

melatonina nella ghiandola pineale, e quindi anche quando la si somministra

dall’esterno, non si provoca un danno irreparabile, come nel caso degli ormoni, ma

avviene semmai il contrario. Semplicemente, la somministrazione di melatonina

dall’esterno mette a riposo la pineale. Di conseguenza, quando cessa la

somministrazione di melatonina, la produzione endogena riprende come prima, anzi

meglio di prima. In sostanza, quando si assume melatonina non soltanto non si va

incontro al rischio che la produzione endogena (cioè interna) si atrofizzi ma, al

contrario, manteniamo integra una delle funzioni della pineale; la quale, liberata da

questa incombenza, potrà quindi dedicarsi utilmente ad altro. Diverso è il discorso

degli ormoni, la cui somministrazione esogena rischia di compromettere lo specifico

fattore di produzione, in maniera più o meno irreversibile (questo è il motivo per cui

sono contrario a qualsiasi somministrazione di cortisone, per esempio!).

117
Tu parli spesso (e anche in questa conversazione l’argomento ritorna o meglio aleggia

su quanto esponi), di cultura della vita e di cultura della morte.

Sono le due ‘culture’ che segnano nel profondo il mondo in cui viviamo. Alcuni

prosperano sulla cultura del dolore, del peccato e della morte. A mio avviso, si tratta di

organizzazioni, che non esiterei a definire criminali, che hanno tolto all’uomo il bene

più prezioso: la gioia di vivere. È la cultura più necrofila che si possa immaginare! Io

professo invece la cultura della vita e della gioia, e non quella della morte e del dolore.

Ciò non vuol dire che io intenda negarne l’esistenza, tutt’altro! Si tratta piuttosto di un

atteggiamento psicologico, come la storia del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto.

Ho fatto un’osservazione interessantissima nei malati terminali di cancro che

assumono melatonina. All’incirca sei anni fa venne da me una signora: presentava

metastasi al cervello; un caso disperato (le avevano dato un mese di vita), anche

perché nessuno può predire come potranno comportarsi in un caso del genere le

metastasi. Feci per lei quanto era nelle mie facoltà, somministrandole un cocktail di

melatonina con altre sostanze naturali, sotto stretta sorveglianza medica. Visse ancora

per altri tre mesi, poi morì. Stava bene fino all’ultimo momento, e la cosa mi apparve

strabiliante. Inoltre, è morta senza né dolore né sofferenze! Voglio dire, anche con un

cancro che non lascia nessuna speranza, si può morire, soffrendo in maniera indicibile,

oppure, spegnendosi lentamente e in maniera dolce. Anche un cancro incurabile va

quindi gestito; non è che non si muoia, intendiamoci! Però è possibile giungere alla

morte senza sofferenza (e senza dosi enormi di morfina ecc.). Attualmente, io seguo

alcuni malati che si trovano in quella fase in cui normalmente si dice che una persona

potrebbe o dovrebbe morire; e io non dico che quelle persone non moriranno: spero

piuttosto di farle morire bene!

118
Un’altra delle frasi che ami ripetere è che fino all’ultimo respiro tu crederai, con tutte le

tue forze, di essere ‘immortale’. Siamo ‘immortali’ fino all’ultimo momento, e fino a

prova contraria, quindi?

Certamente. Io ho modificato la mia visione della vita e della morte da quando ho

capito che si tratta di un programma ormonale. Prima o poi, qualcuno (non io, non

credo di fare in tempo, non sono così sciocco o arrogante) riuscirà forse a sollevare la

cortina fumogena che circonda di pregiudizi la vita e la morte; però dubito molto che

ciò possa accadere in tempi ragionevolmente brevi. La nostra società infatti, che ci

piaccia o no, sembra strutturata per sfruttare per i propri interessi il dolore e la morte

dell’uomo, e si guarda quindi bene dal pensare all’immortalità. Pensa soltanto che un

improvviso allungamento di soli cinque anni della speranza di vita della popolazione,

sarebbe ritenuta una vera catastrofe! Se io potessi domani dimostrare che i miei

topolini vivono fino a quattro anni (che corrispondono a circa duecento anni nell’uomo),

e si diffondesse la notizia che tutti potranno arrivare a quell’età, crollerebbero seduta

stante e in un sol colpo Wall Street e le borse di tutto il mondo; non solo, ma

cesserebbero d’esistere le assicurazioni e quant’altro, te ne rendi conto? E tieni

presente che stiamo navigando non nella fantascienza, ma in una dimensione

scientifica! E, infatti, è proprio questo a fare ancora più paura.

Questo discorso è, ovviamente, molto affascinante; e tuttavia, non c’è una

contraddizione fra l’affermazione ‘l’uomo è immortale’, come tu sostieni, e la scoperta,

da te realizzata, del programma biologico che attiene appunto alla vita ma anche alla

morte?

Esiste un programma biologico, esattamente come tu dici, e che io ho la presunzione

di aver scoperto. Però, l’aspetto più interessante è che il programma biologico è

assolutamente riprogrammabile! Prendiamo il caso di un arzillo vecchietto di 120/125

anni, come capita di trovarne in certi luoghi sperduti della terra: sta bene, non accusa

119
nessun disturbo, non presenta Alzheimer, la sua pressione è perfetta ecc.; un bel

giorno lo trovano morto nel suo letto. Che strano, il giorno prima stava bene, godeva di

buona salute, eppure soltanto il giorno dopo è morto. Come è potuto accadere? È

semplicemente scattato un meccanismo programmato. Quest’uomo ha fatto il suo

corso, ha vissuto tutta intera la sua vita senza fastidi di sorta, però, a un bel momento

è partito un messaggio (dalla tiroide, dalla pineale, dall’ipofisi, forse un giorno lo

sapremo) il cui significato era: è arrivato il momento di morire, quindi adesso muori!

Cosa avviene allora concretamente che fa mutare drasticamente la situazione?

Scende la temperatura corporea e sopraggiunge uno stato di ipotermia cui consegue

la morte; semplicemente ci si spegne, si va in ibernazione. Si tratta di un meccanismo

che oserei definire banale. Noi capiremo perché si muore quando saremo riusciti a

comprendere perché la pineale fa invecchiare. In altre parole, è la pineale a dare il

segnale al sistema neuroendocrino, che il programma è già scaduto. Non c’è niente di

misterioso in ciò. Io non credo negli errori del DNA o nelle cellule che non si possono

replicare; ritengo invece che persino i neuroni si possano replicare, così come le

miocellule cardiache: tutto sta a sbloccare i meccanismi che ne impediscono la

proliferazione.

Tu dici: quando avremo scoperto perché si muore, saremo anche in grado di

riprogrammare l’orologio della vita attraverso una risincronizzazione neuroendocrina.

In che consiste questa risincronizzazione di cui parli?

L’invecchiamento è una desincronizzazione ormonale. Durante la notte, scende la

temperatura corporea, si abbassa la tiroxina, aumenta l’ormone della crescita, il

cortisolo diminuisce, e così via: tutto si svolge su base ciclica. È la famosa tela di

ragno che ho tirato in ballo parecchie volte in questa conversazione, nel senso che tutti

questi impulsi sono collegati e sincronizzati.

Il problema sorge quando il programma, per una malattia o per qualsiasi altra

concausa co-invecchiamento o co-cancerogena ecc, risulta alterato. Una donna viene

120
colpita da cancro della mammella: qual è la causa? L’alterazione violenta dell’equilibrio

ormonale, in risposta a uno stress psichico (e mettiamoci poi pure dentro che esiste

una base genetica, perché anche la mamma, a sua volta, ha avuto lo stesso

problema).

A mio avviso, il tumore o la malattia cardiovascolare sono sempre preceduti da

un’alterazione del sistema ormonale, cioè da una desincronizzazione dell’equilibrio. È

come se il ragno cercasse di riparare in continuazione la tela che viene strappata in più

punti, fino a che esso stesso non ne viene avviluppato, e casca giù perché privo di

sostegno.

D’altra parte, esiste una logica in tutto questo; noi viviamo infatti in una sincronia: i ritmi

lunari, quelli planetari, il giorno, la notte ecc.; tutto è ritmo. Se le scansioni vengono

rispettate, si vive a lungo; diversamente, si vivrà poco e male. Oggi poi, gli insulti a

questo equilibrio provengono da più fattori: alimentari, psichici, genetici, da stress ecc.

Affermi: la melatonina funziona in quanto ricarica l’orologio fisiologico.

La melatonina, secondo me, non ha alcuna azione diretta o specifica (nel senso del

recettore e dell’ormone, per intenderci); non credo poi che essa svolga azione

antiossidante. Se noi dovessimo pensare che l’effetto antiinvecchiamento della

melatonina sia da mettere in relazione alla sua azione antiossidante, dovremmo

assumere ogni sera almeno un chilogrammo di melatonina! Quella dell’azione

antiossidante della melatonina è una pura invenzione di un professore americano, che

pure conosce molto bene la ghiandola pineale. Fra l’altro, gli antiossidanti, anche a

dosi da cavallo, non hanno mai fatto vivere nessuno un minuto di più; anzi, producono

addirittura danni! La melatonina, che nessuno sa come funziona, lo ripeto, tutela la

pineale e ne è la guardia del corpo, preoccupandosi del solo fatto che non invecchi.

121
Un’altra tua affermazione è la seguente: «si pensava che la senescenza fosse

condizione inevitabile degli ultimi anni di vita: questa idea deve essere riconsiderata».

Riconsiderata totalmente. Se noi fossimo in grado di mantenere il controllo

neuroendocrino, non vedo perché dovremmo invecchiare. È chiaro però che

mantenere un controllo perfetto della situazione è pressoché impossibile: si tratta

piuttosto di tentativi un po’ alla cieca (perché non possiamo averne la verifica

immediata nell’uomo, è ovvio); però ciò non vuol dire che non siano tentativi

‘intelligenti’. Se, cioè, io e te fra dieci anni, faccio per dire, godremo delle stesse

condizioni di salute di adesso, allora potremo dire di aver visto giusto: avremo vinto!

Nel frattempo, avrò magari escogitato altre strategie per invertire ulteriormente

l’invecchiamento: ci sto già studiando, e ti garantisco che quanto ho trovato è

semplicemente strabiliante. Per adesso, devi credermi sulla parola: ne parleremo

diffusamente nel nostro prossimo libro.

Nel tuo precedente libro (La fonte delle giovinezza) tu parlavi anche di proprietà

anticancro della melatonina, che sarebbero state scoperte da Starr parecchi anni fa.

Chiariamo subito che la melatonina non è un anticancro. Quando la si somministra a

un paziente colpito da cancro, ci si può soltanto aspettare che venga ricostituita

l’immunità biologica, in grado di reagire nei confronti del cancro, per tenerlo sotto

controllo. Ma la melatonina in sé non ha direttamente nessuna azione anticancro, nel

senso che non è una sostanza in grado di eliminare le cellule tumorali. Tutto quello che

si può fare è sperare di poter ricostituire il sistema di sorveglianza immunologica,

grazie anche alla melatonina; questo sì. Così com’è molto utile, a fini preventivi,

assumerne tutte le sere 3 mg, prima di spegnere la luce e dormire.

122
Tu ti sei occupato, e continui a occuparti di neuroimmunomodulazione; sei anzi

considerato fra i fondatori di questa disciplina. Come la si può definire? E qual è stato

il tuo ruolo effettivo nell’enuclearla e approfondirla?

La neuroimmunomodulazione è la possibilità di modulare l’immunità (al primo

congresso di Stromboli era presente chi ha coniato il termine, con il quale fondammo

nel 1984, insieme a Spector, Fabris, Jankovich, questa disciplina medica integrativa),

mediante agenti ormonali in grado di far maturare, sviluppare e rendere funzionali le

cellule immunitarie (i linfociti, per esempio). Ho cominciato a occuparmi di

immunomodulazione a partire dagli anni 1963/64. Scrissi il primo lavoro ‘storico’ su

Nature nel 1967, in cui, per primo, ho potuto dimostrare che esiste una relazione fra

timo e ipofisi: un sistema cioè bidirezionale di colloquio tra il cervello e il sistema

ormonale da una parte, e quello immunitario dall’altra. Prima di questa scoperta, per gli

immunologi, gli ormoni non esistevano neppure!

Cos’è cambiato da quegli anni, nella ricerca? Quali sono state le implicazioni a livello

terapeutico, per esempio?

Sono cambiate soprattutto le condizioni generali. Inoltre, si è arrivati alla scoperta di

linfochine, monochine ecc., e gli ormoni sono stati usati per migliorare le condizioni

immunitarie. D’altra parte, se noi siamo in presenza di un malato di AIDS, e vogliamo

ricostituire la sua immunità, dobbiamo far sì che l’organismo riprenda il controllo

dell’immunità. È proprio ciò che fa la melatonina, mettendo in moto tutti gli ormoni che

regolano l’immunità. Diversamente, si fa soltanto un buco nell’acqua! Su questo non

ho alcun dubbio, e sono pronto a sfidare chiunque a livello clinico.

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Donne affette da cancro della mammella presentano spesso livelli di estrogeni più alti

rispetto alla norma; tu però sostieni che la melatonina aiuta a mantenerli in condizioni

accettabili.

Io sono convinto che nel caso di un tumore mammario, in fase non ancora

eccessivamente avanzata, la melatonina riesca, migliorando le condizioni endocrine, a

rendere molto più incisiva la terapia del cancro mammario. Le donne possono quindi

servirsi di questo ottimo supporto. Purtroppo, esse si lasciano prendere dal panico

quando si accorgono di avere dei noduli al seno: entrano in un tale stato di

depressione e di ansia che può portarle letteralmente alla tomba! D’altra parte, tutto il

sistema necrofilo che ruota attorno all’oncologia fa sì che la donna si deprima; e la

depressione e l’ansia provocano una violenta immunodepressione psichica. E' ciò che

avviene a uno studente sotto esame, che appare del tutto immunosoppresso. Questo

stato è molto pericoloso: ciò è stato ampiamente dimostrato.

Le donne rischiano di morire di paura; non di tumore, quindi, ma di paura di morire di

tumore! Inoltre, spesso l’insorgenza del tumore è preceduta da gravi stress a livello

famigliare; ciò provoca una tale alterazione del controllo ormonale da sfociare nel

cancro o in una delle tante malattie autoimmunitarie.

Come si può contrastare questo trend negativo?

Eseguendo un’improvvisa retromarcia, alle prime avvisaglie che qualcosa comincia a

non funzionare più come prima: cambiare stile di vita, alimentazione ecc. Sono invece

contrario alle ‘manomissioni’. Sono decisamente contrario poi alla mastectomia,

perché nella gran parte dei casi è inutile, fermo restando che ogni situazione va

esaminata e valutata con cura e responsabilmente!

È interessante notare, a proposito del cancro, che in laboratorio, ceppi di topolini

(C3H/He) che sviluppano spontaneamente il cancro, quando vengono privati della

pineale, non si ammalano più di cancro. Sono topi che presentano alti livelli di

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prolattina (che, tra parentesi, è un ormone killer, tant’è che ne richiedo per tutti i miei

pazienti la misurazione, anche per gli uomini; alti livelli di prolattina, infatti, fanno

propendere per l’insorgenza di un cancro); ora, dato che a controllare la prolattina è la

pineale, è pensabile che nel ceppo di topolini di cui sopra esista un’alterazione della

pineale che non controlla più i livelli di prolattina. Conclusione: asportando la pineale,

non insorge più il cancro! (vedi lavoro riportato nella bibliografia in appendice,

pubblicato su Journal of Neuroimmunology, 108 (2000), 131-135).

Si può quindi concludere che alterazioni neuroend