Non fai nulla, non macchini nulla, non progetti nulla
che io non solo sento ma anche vedo e comprendo appieno. Ripercorri dunque con me quella famosa notte passata; capirai immediatamente che con ben maggior zelo io veglio sulla salvezza dello stato di quanto tu sulla sua rovina. Dico che tu la notte scorsa sei giunto nella via dei fabbricanti di falci – che io non faccio segretamente – nella caso di Marco Leca; dico che giunsero in quel medesimo luogo parecchi complici di quella stessa follia e di quello stesso crimine. Forse che osi negare ? Perché taci ? lo proverò, se neghi. Vedo infatti che qui nel Senato ci sono alcuni che furono insieme a te. O dei immortali! Tra quali genti mai siamo ? che stato abbiamo? In quale città viviamo? Sono qui, qui tra le nostre file, senatori, in questo organo decisionale più sacro e fondamentale di tutta la terra, individui tali da macchinare la morte di tutti noi. Io, il console, li vedo e gli chiedo un parere sulla repubblica e quelli che sarebbe stato opportuno uccidere con la spada, quelli io li ferisco ancora neppure con la voce. Dunque tu eri presso Leca quella notte, Catilina, distribuivi parte dell’Italia, decidevi dove volevi che ognuno andasse, hai deciso chi lasciare a Roma, che portare con te, hai assegnato le parti della città da incendiare, hai dimostrato che avevi ancora un po’ d’indugio, e hai detto che anche poche hai un po’ d’indugio, visto che io sono ancora vivo. Sono stati scoperti due cavalieri romani che ti avrebbero liberato da questa preoccupazione e che promisero che mi avrebbero ucciso quella stessa notte nel mio letto poco prima dell’alba. Io ho accertato tutto ciò anche non appena è terminata la vostra riunione; ho rafforzato e fortificato la mia abitazione con maggiori corpi di guardia, e ho lasciato fuori quelli che tu mi hai inviato di mattina a porgermi il saluto, poiché erano venuti proprio quelli che io avevo già detto a molti ed eccellenti uomini che sarebbero venuti da me in quel momento.