Esplora E-book
Categorie
Esplora Audiolibri
Categorie
Esplora Riviste
Categorie
Esplora Documenti
Categorie
Scienza e metafisica
La filosofia di Bergson è profondamente radicata nella situazione storica e nei problemi del tempo. Egli si
rifiuta di assumere un atteggiamento "reazionario" nei confronti della scienza e della civiltà industriale,
anche se di entrambe coglie i limiti e i rischi di pericolose involuzioni. Bergson critica soprattutto lo
scientismo positivista, la sua pretesa di porre la scienza come unico e privilegiato approccio alla realtà.
Sostiene l'insufficienza della scienza moderna nel dare risposta alle esigenze di comprensione del mondo in
cui viviamo e afferma, pertanto, la necessità di far ricorso alla filosofia. Mentre la scienza si limita a
descrivere la "superficie" dei fatti, la filosofia ci consente di intendere i processi profondi della realtà.
Comunque, Bergson pensa a una filosofia che proceda in collaborazione con la scienza, tiene conto delle
ricerche compiute nei più diversi campi scientifici.
Però, collaborare non significa ignorare le differenze che esistono tra scienza e filosofia: la prima si pone un
fine utilitaristico; l'altra, invece, intende giungere all'intuizione diretta dell'essere e della realtà. La scienza si
ferma al relativo, la metafisica arriva all'assoluto. La scienza applica l'analisi, la metafisica l'intuizione. Per
lui, compito della nuova metafisica, è quello di calarsi dentro la realtà, dunque di comprendere il divenire.
Un diverso metodo: quello della filosofia.
Vi sono due modi profondamente diversi di conoscere la realtà. L'uno comporta il "girare intorno alla cosa",
l'altro, invece, implica "entrare nella cosa". Il primo è il modo di conoscere proprio della scienza, l'altro
quello della metafisica. La scienza "dipende dal punto di vista da cui ci si mette" e usa simboli. La
metafisica conosce invece ciò che una cosa propriamente è, la sua essenza, ciò che essa interiormente è. Non
usa simboli, anzi per essere costruita esige che si rompa con i simboli'. Ci fa coincidere con la cosa stessa,
fornendo di essa una conoscenza assoluta — e non relativa a un punto di vista, come fa la scienza. Il modo
conoscitivo della scienza conviene alla materia, l'altro invece allo spirito.
Mentre partendo dal concetto non si giunge a conoscere la cosa in se stessa, è possibile fare il percorso
inverso: dalla cosa afferrata per intuizione si possono ricavare i concetti della realtà. Il primo percorso è
tipico della scienza, il secondo della metafisica. Il primo tipo di conoscenza è frutto di analisi, mentre il
secondo è frutto dell'intuizione. L'analisi divide l'oggetto, lo scompone riportandolo a elementi conosciuti.
Questa conoscenza, pertanto, si sviluppa mediante simboli. L'intuizione è invece "la simpatia per cui ci si
trasporta all 'interno della cosa", il modo di coincidere con ciò che essa ha di unico e, conseguentemente, di
inesprimibile. Pertanto la metafisica può essere considerata un "simpatizzare con la realtà". Scienza e
metafisica sono dunque in opposizione? Esse operano con intenti e strumenti diversi, ma su un punto si
incontrano: sull'intuizione.
1 di 4
Tempo e memoria
Il problema del tempo è al centro della riflessione di Bergson. In una prima fase egli studia il tempo
all'interno della mente, della coscienza, considerandolo come una dimensione del tutto diversa da quella
"trattata" dagli scienziati. In una seconda fase, estende la propria analisi del tempo all’intera realtà,
considerandolo in una prospettiva cosmologica.
Nel suo primo scritto, il filosofo analizza, distingue e contrappone due diverse concezioni del tempo: da una
parte un tempo omogeneo e quantitativo, che è il tempo della scienza, dall'altra una durata eterogenea e
qualitativa, che è il tempo della coscienza.
Il tempo della scienza è un tempo spazializzato, considerato come una successione di istanti e descrivibile
attraverso una linea costituita da una serie infinita di punti. Questa riduzione e rappresentazione "spaziale"
del tempo ha, però, un valore pratico, perché del tutto funzionale alle necessità della vita sociale. Si approda
così al tempo della coscienza, che è il tempo vissuto, la durata, un tempo non spazializzato e "quantitativo",
ma qualitativo, irreversibile. In esso infatti scienza, percezioni, idee, sentimenti, ricordi, non sono esterni
l'uno all'altro, ma si fondono. Con la durata si abbandona l'io superficiale, per raggiungere l'io profondo, "l'io
fondamentale". Nella sua natura più autentica e profonda, l'io è durata, flusso unitario di stati: "durata vuol
dire che l'io vive il presente con la memoria del passato e l'anticipazione del futuro".
La durata è novità incessante e inesauribile. In quanto creatività infinita, la coscienza è libertà, ma una
libertà che deve continuamente impegnarsi per la propria realizzazione. Nell'individuo, infatti, esiste un io
parassitario che rischia sempre di sovrapporsi all'io fondamentale ostacolandolo. E la libertà si afferma solo
prevalendo su quelle tendenze frenanti. Dato il dominio esercitato sugli uomini dal tempo spazializzato,
sono in particolare gli artisti, liberi in quanto tali da interessi pratici, a poter far emergere l'io profondo e
dargli voce.
Bergson affronta la questione cruciale esistente fra "spirito" e "corpo", "coscienza" e "cervello". Bergson
nega che le funzioni psichiche più elevate (come il pensiero e la memoria) possano essere spiegate come
prodotto di funzioni cerebrali, con una mera "localizzazione" in zone del cervello. Egli non contesta che vi
sia un legame tra stati di coscienza e cervello; questo, però, non comporta un parallelismo fra gli uni e
l'altro, né, tanto meno, una dipendenza. Il cervello è solo un tramite della coscienza, uno strumento di
mediazione con la realtà esterna e non la sua matrice originaria. Secondo Bergson, la preminenza fra
operazioni del cervello e stati della coscienza varia a seconda di atteggiamenti psicologici dell'individuo.
Quando questi si concentra sulla propria vita interiore, avverte una dilatazione della coscienza. Quando,
invece, l'individuo si rivolge all'esterno, allora è il cervello ad assumere un ambito di iniziativa maggiore
rispetto alla coscienza: esso innesta l'iniziativa di quell'individuo in un determinato contesto, attraverso gesti
o atti adeguati agli scopi specifici che si prefigge.
2 di 4
La memoria
Il cervello è l'organo che si occupa della percezione. La percezione è l'azione possibile del corpo sulle cose.
Essa, dunque, ha un ruolo pratico e non teoretico. Finché abbiamo a che fare con la percezione, lo spirito
non è in atto, perché prevalgono le esigenze pratiche della vita. Lo spirito appare, appunto, quando cessa la
preoccupazione pratica per la vita e si presenta un bisogno di conoscenza disinteressata. La percezione opera
attraverso immagini. L'oggetto della percezione non è altro che un'immagine, ma un'immagine esistente.
L'immagine è dunque "una certa esistenza”.
La percezione non contiene la totalità delle immagini, ma solo quelle che servono al vivente in quanto gli
garantiscono la possibilità di agire. Nella coscienza, invece, vi è infinitamente di più di quello che passa nel
cervello. A questo punto entra in gioco la memoria. Essa è la dimensione fondamentale della coscienza,
mediante cui si stabilisce effettivamente la connessione fra corpo e spirito: senza di essa, che collega il
passato con il futuro, non vi può essere né tempo interiore, né coscienza.
Bergson nega che la memoria sia una percezione "illanguidita" , cioè più debole. Ritiene, piuttosto, che vi
sia una differenza di natura fra memoria e percezione. La percezione, infatti, vive nel presente , mentre la
memoria raccoglie e conserva tutto ciò che sin dall'infanzia l'individuo ha "sentito, pensato, voluto". Nella
percezione il cervello guarda soprattutto al presente: quindi, utilizza del passato solo ciò che serve al
momento e limita, in tal senso, la vita dello spirito. Ma il passato non è cancellabile.
Pertanto, è possibile identificare due livelli della memoria, due modi di sopravvivere del passato. II livello
della memoria meccanica consiste nella ripetizione di movimenti, nella memorizzazione di meccanismi con
i quali reagiamo agli stimoli. Sono le abitudini, cioè le reazioni meccaniche di fronte a certe sollecitazioni
dell'ambiente, che consentono all'uomo di adattarvisi e di sopravvivere. Diverso è il livello della memoria
spirituale, quella spontanea, profonda. Essa registra tutti gli avvenimenti della vita di ogni individuo nel loro
continuo svolgersi. Nella memoria spirituale il passato vive continuamente nel presente. È la memoria
spirituale, coestensiva alla coscienza, a determinare nel mondo l'identità di un individuo. Bergson parla di
immagine nel caso della memoria meccanica e di ricordo puro a proposito della memoria spirituale.
Il ricordo immagine ha una funzione pratica, poiché di esso si serve il cervello do deve reagire agli stimoli
dell'ambiente. Il ricordo puro ha caratteri di spontaneità, integralità, originalità: riporta za passata unica e
irripetibile, un passato che non agisce più.
Vi è quindi una sorta di connessione tra inconscio e coscienza.
In quello che è considerato il capolavoro di Bergson, L’evoluzione creatrice, il filosofo mira ad una
concezione che fa completamente cadere la divisione tra “coscienza e natura”, “materia e spirito” e vuole
mostrare la realtà come unica e, soprattutto, come interamente dominata dalla “durata”. Cerchiamo di
seguire il ragionamento di Bergson: la vita, sia quella biologica sia quella spirituale, deriva da un’unica forza
che lui chiama “energia vitale”. Quest’ultima, in modo assolutamente libero e imprevedibile, si espande in
tutto l’universo e dà origine a tutto ciò che esiste, creando le differenze tra i vari esseri e le varie specie (ed
in particolare dando origine ai vegetali e agli animali).
3 di 4
Per chiarire questo concetto, il filosofo ci mostra l’esempio di una mano che affonda in una limatura di
ferro: il movimento dell’arto (invisibile) è l’energia vitale, mentre le varie disposizioni dei grani di ferro
rappresentano gli esseri e le specie. Non c’è dunque alcun motivo, né alcuna necessità in ciò che è stato
creato: noi avremmo potuto essere altro, e ciò che siamo è il risultato di qualcosa che è stato. Quell’unica
energia spirituale, infatti, nella sua continua espansione si è ramificata in molti modi possibili, generando la
vita materiale. Analizzando il processo evolutivo, Bergson nota come gli uomini e gli animali (e gli insetti in
particolare) abbiano via via affinato due caratteristiche differenti: l’istinto e l’intelligenza.
Mentre il primo consiste nel sapersi servire di qualcosa di cui disponiamo naturalmente (l’olfatto, il tatto
ecc.), il secondo è la capacità di creare e utilizzare oggetti.
Istinto e intelligenza non possono mai esistere l’uno senza l’altro, ma l’uomo, all’inizio della sua storia,
aveva sopperito ai suoi limiti naturali potenziando la sua intelligenza. Ciò, secondo Bergson, ha dato origine
alla scienza che, se è padrona nel campo delle cose materiali, risulta totalmente incapace di comprendere il
movimento e il flusso continuo della vita.
L’uomo potrà cogliere ciò che di più intimo esiste nella realtà e il suo continuo fluire, abbandonando
l’atteggiamento della scienza e avvicinandosi, invece, alla metafisica. Questa deve procedere non con la
ragione ma attraverso l’intuizione: procedere dunque oltre e senza le parole ma servirsi di immagini,
dell’arte, che è la sola disciplina in grado di non segmentare la realtà ma di coglierla nella sua unicità.
In tal senso, Bergson scende in campo con una chiara opzione a favore del vitalismo, cioè della tesi che
considera i fenomeni della vita essenzialmente spirituali, dunque irriducibili a quelli chimico-fisici del
corpo, collegandosi al dibattito accesosi in Francia tra Ottocento e Novecento. Egli sottolinea che "in una
coscienza umana c'è infinitamente di più che nel cervello corrispondente" È l'intuizione, invece, fornendo
un'idea libera e creativa della vita, a darci una visione nuova e diversa della realtà e della stessa evoluzione.
Spiritualismo e Bergson:
Il filosofo rifiuta l’idea che l’unica forma di conoscenza della realtà sia quella scientifica. Che cos’ha l’uomo
di irriducibile e non assimilabile al resto della natura? Che ruolo riveste la filosofia? Che tipo di conoscenza
esiste oltre a quella basata sui “fatti”? Sono questi gli interrogativi a cui cercherà di rispondere il filosofo.
Bergson viene considerato il più grande rappresentante dello spiritualismo francese. Tale corrente filosofica,
infatti invita a concentrarsi sull’interiorità degli individui, sullo “spirito”, sulla coscienza: una realtà diversa
e non assimilabile a quella dominata dallo studio dei fatti naturali; riconosce alla filosofia il peculiare
compito di indagare tale realtà, differenziandosi dal metodo e dall’oggetto propri della scienza.
4 di 4