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CAPITOLO 1 APPROCCIO METODOLOGICO DELL’ANTROPOLOGIA

DELLA VIOLENZA

Introduzione alla disciplina, definizione e approccio osservativo.

In qualsiasi contesto socioculturale, l’uomo è soggetto a continui stimoli esterni che forgiano un
proprio schema normativo e valoriale. Egli è inserito in un ambiente sociale, in cui la cultura è il
risultato di un patrimonio di idee, categorie di riferimento che modellano conseguenti azioni
ritenute corrette e giuste, orientando il principio secondo il quale ciò per cui è culturalmente attivo
e presente è anche utile e necessario. Un presente e un passato caratterizzati da diverse categorie
culturali: famiglia, lavoro, eduzione, sport, amicizie, alimentazione e molte altre, tra cui quella
dell’agire violentamente. Il pensare di potere utilizzare la violenza quale strumento di
prevaricazione, dominio potere e di punizione, attraverso le sue moltiplici modalità, esprime
un’azione che racchiude in sè un’esperienza collettiva che è tramandata e leggittimanta dal sistema
sociale di appartenza. Antropologicamente, la violenza precede lo stato clinico dell’agito
criminogenetico, in quanto il suo manifestarsi è frutto di un processo di riconoscimento, di
inserimento, di integrazione all’interno di uno spazio culturale condiviso. Il pensare di colpire e di
esercitare una forma di violenza nei confronti di un altro individuo presuppone un costrutto
cognitivo di giustezza e di opportunità: la condotta violenta è frutto quindi di una convinzione di
equità e di giusta conseguenza di un torto, disagio subito o di una azione fronte alla quale non si
riteniene possa corrispondere una sanzione. La risposta violenta è quindi una categoria culturale
che proviene da un sistema sociale che include la violenza quale forma di espressione consensuale
opportuna ed edificante per l’assetto culturale di quel sistema.
L’agire violentemente è quindi una modalità esplicativa culturale che si alimenta all’interno di un
sistema sociale culturalmente orientato. E’quindi un prodotto culturale che viene acquisito,
impartito, assimilato e restituito attraverso un processo circolare in cui il discente apprende
l’esercizio della violenza (fisica o psicologica che sia) quale conferma di un valore societario
acquisito perché culturalmente/collettivamente normato. Potremmo quasi affermare, spingendoci un
pò oltre, che trattasi di un illecito silenziosamente condonato.
Se si esercita violenza in quanto possibile opzione comportamentale, ci si interroga chi abbia fornito
suddetta scelta di agire. Ed è qui che si ritiene di condurre una semantica della violenza all’interno
di categoria culturale e sociale, forgiata da un ambiente, composto da individui che accettano,
sostenendo e attuando, tali agiti all’interno di un quadro comportamentale collettivamente
condiviso. L’espistemiologia consensuale favorisce un messaggio i cui contenuti vengono
categorizzati e introiettati all’interno di un forma educativa, religiosa e culturale.
Ed è qui che entra in gioco uno studio a carattere antropologico; proprio perché

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l’Antropologia in quanto studio del genere umano e delle sue più totali manifestazioni è una
disciplina e un campo di studi attraverso il quale lo studioso si pone l’obiettivo di comprendere
eventuali comportamenti, retaggi, prodotti culturali nella loro storicità passata e nel loro valore
presente posti su di uno specifico contesto e ambiente socio-naturale. Un approccio, quello
antropologico, che richiama immediatamente ad una necessità; quella di analizzare qualsiasi tipo di
sistema attraverso uno studio multifattoriale e interdisciplinare. Comprendere e osservare un
fenomeno richiede quindi una conoscenza globale di tutti quegli elementi, anche quelli più
insignificanti, che concorrono alla delineazione di un quadro descrittivo, analitico e puntuale.
L’analisi, quindi di ogni singolo elemento, contestualizzato nella sua dimensione spazio-temporale,
rappresenta un processo di minuzione, paziente e attenta osservazione sistemica. L’analisi sistemica
quindi si pone l’obiettivo di studiare lo spazio e i soggetti ivi compresi nella loro globalità, unicità e
totalità. Ogni singolo elemento compone il quadro e, attraverso un processo a catena di
interdipendenza offre, una visione particolareggiata. E’ impensabilie pretendere di procedere alla
comprensione dei fenomeni e dei prodotti culturali dell’umano senza aver chiaro tutti i processi e le
ricadute collaterali entro le quali la cultura, il patrimonio di ogni cultura, civiltà si è gorgiato. Il
metodo quindi sistemico rappresenta una procedura di analisi multifattoriali che lavori su diversi
piani: quello deduttivo e quello descrittivo. L’antropolgo quindi è chiamato ad analizzare anche gli
elementi più insignificanti che possono determinare azioni, connotare contesti e valutare esiti e
traguardi. Non è ammesso nessun atteggiamento di trascuratezza, ma l’analisi deve essere
minuziosamente composta, forgiata, studiata e osservata. E’ opportuno quindi approcciarsi allo
studio dei fenomeni e dei prodotti culturali con accurate osservazione minuziosa. Comprendere che
qualsiasi elemento all’interno del sistema genera e completa un quadro descrittivo e che, qualsiasi
cambiamento, può generare la nascita un nuovo sistema.

Le differenze culturali, alterità, l’altro.

Nell’espoca post-globale in cui ci troviamo, ma anche storicamente, l’uomo, per natura è portato in
quanto essere sociale ad aggregarsi a gruppi che condividano il proprio patrimonio cognitivo
culturale. La differenza dell’altro rappresenta una nuova visione di arrichimento culturale, in cui
all’interno di diversi spazi, anche medesimi, l’uomo può cogliere un valore e una connotazione
antropologica di valori e di rappresentazioni simboliche. L’altro quindi, è diverso e oggigiorno il
diverso è temuto. Colui il quale non si conforma al norme collettive viene considerato anomalo e
come tale espulso dal sistema di accettazione. L’altro è il diverso e il diverso, proprio per la sua
differenza culturale viene percepito quale elemento destabilizzante, deviante. Il diverso se collocato
lontano, è indifferente, quasi primitivo e forme primitive di sapere culturali e sociali, connotano
una visione di alterità e supremazia culturale. Il primivitismo è fonte di disordine, di pericolo, di
involuzione. Forme considerate primivitive rappresentanto una minaccia alla cultura occidentale
dominante. L’uomo moderno attribuisce al valore di cultura un significato aulico, prezioso, da
condividere e proteggere. Eventi culturali, prodotti culturali vengono percepiti come realizzazioni
umani di alto valore, da rispettare e degni di apprezzamento. Ciò che non è culturale quindi si
deprezza, non lo si considera all’altezza e si infrange contro un muro di stereoptipi e di
egocentrismi pericolosi e tutto ciò che non appartiene alla nostra cultura si afferma per essere posto
a livello inferiore, primitivo, incomprensibile, assurdo e pericoloso. Il diverso è quindi pericoloso, è

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il nemico, rappresentante una minaccia allo stato evoluto in cui la cultura occidentale dominante
invece, si autodefinisce superiore, avanzata, colta e progressista. Un cultura però fondata su nuovi
valori, una società fluida scevra da ancoraggi e punti di riferimento stabili e preziosi e per questo
anche liquida. Attribuzione di valori e di importanze su eventi, oggetti, comportamento che rendono
l’uomo frivolo, blando sedotto da pericolosi populismo che pregiudicano processi di arrichimento,
di conoscenza e di integrazione, quale valore aggiunto per una cultura cosmopolita.
Ruolo dell’Antropologo specializzato nei quadri culturali violenti.
L’Antropologo quindi è un sistemista, un esperto che analizza gli elementi all’interno di un insieme,
che può mutare al mutare di uno di questi. La conoscenza, l’analisi, l’osservazione di questi
elementi costituisce un prezioso punto di punto dipartenza affinchè di possa giungere ad una
conclusione avvallata da tutti quesgli componeneti di descrittori tipici, proprio di quel sistema.
L’approccio sistemico non è solo osservare accuratamente, ma significa conoscere e comprendene
l’esistenza. L’intrastoria degli elementi, il loro percorso, la loro evoluzione, la loro sopravvivenza
costituisce un interessante patrimonio cognitivo-culturale tale da consentire lo studioso ad
approcciarsi alla meta con profonda consapevolenzza e visione di insieme. Osservare si, ma
doveroso è anche capire e comprendere.
L’abdicazione a griglie interopretatitive precostituite comporta una visione di insieme e di lettura
dei fenomeni più oggettiva e più fedele. Vero è che l’alienazione al proprio background culturale,
alle informazioni ricevute, non necessariamente conducono all’analisi dei fenomeni culturali con
imparziale prospettiva. Essi vengono inevitabilmente condizionati, vissuti, anche dalle esperienze
proprie sul campo, dai rapporti di solidarietà con cui lo studioso instaura nelle sue indagini. Si
avvalorano processi, si negoziano, si ridiscutono dal punto di vista dello studioso. Tuttavia il
confronto, a prescindere dal contesto in cui si è chiamati ad operare. L’espistemiologia consensuale
su cui i fenomeni sociali e culturali si basano costituisce quindi un interesse terreno di approfimento
nel riconoscimento e classificazione di una eziogenesi culturale che tenga conto dei numerosi
elementi che la compongono, scevra da pregiudizi stereotipati e o frettolose banalizzazioni e
improprie generalizzazioni. E‘ quindi giunto il momento di comprendere e declinare l’origine e
l’oggetto di studio su cui questa disciplina è chiamata a pronunciarsi.

L’approccio antropologico

L’approccio antropologico quindi si manifesta attraverso un’esperienza diretta, vissuta, integrata


all’interno di un particolare contesto, oggetto di studio. E’ un periodo esperienziale costruito
attraverso un processo di partecipazione lenta, graduale e discreta. La presenza dello studioso,
durante lunghe permanenze, può sicuramente alterare comportamenti abituali che possono essere
invece registrati come corretti e abituali. Si tratta quindi di attuare un approccio di studio che
preveda un diretto contatto empatico con l’oggetto della ricerca attraverso un processo di ascolto,
raccolta dati, di repertamento anche di documenti iconografici. Tale investigazione dovrà prevedere
quindi un’osservazione dei fatti, degli eventi e della raccolta informazioni prevede quindi un livello
di partecipazione attivo, integrato attraverso uno studio dei fenomeni sociali e culturali mimetico.
L’osservazione partecipante quindi è una tecnica di rilevazione e raccolta dati compiuta dallo
studioso mediante un periodo di permanenza di indagine tale da ricavare osservazioni e dati in

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modo obbiettivo e dettagliato.
Tale raccolta dati può però essere acquisita da un processo di dipendenza e di contaminazione.
L’esperienza di indagine va programmata, preparata e documentata. Lo studioso è quindi un
soggetto che ha acquisito informazioni su background personale costituito da risultati pregressi di
ricerca. L’obiettivo dell’indagine deve essere chiaro e puntuale. Tuttavia il rapporto che si instaura
tra l’intervistatore e l’intervistato avviene attraverso una posizione assimetrica. L’antropologo, per
conoscenze pregresse, è già influenzato da quello che sa e che crede di sapere. La conclusion dei
suoi lavori potrebbe quindi risentire di una posizione pregiudizievole viziata da contesti,
ifnormazioni e fonti pre e sistenti. L’antropologo, chiamato a relazionare e ricavare informazioni
difficilmente potrà totalmente integrarsi e rappresentarsi tra gli individui.
Il concetto di netrualità affettiva incova la condizione psicologica entro la quale lo studioso può
agire per evitare qualsiasi forma di dipendenza e griglia interpretative pre costituite. Significa
sganciarsi da pre-conoscenze ma anche presuppone un atteggiamento scientifico, immune dalla
presenza di stimoli condizionanti. Tali stimoli però possono nascere anche durante i colloqui, le
interviste: forme di consenso, mimiche facciali di approvazione possono condizionare l’evoluzione
dei discorsi e dei resoconti.

Etnocentrismo ed Entropia culturale nell’osservazione delle azioni culturali violente.

L’approccio culturale allo studio della violenza deve evitare forme di intolleranza, giudizi,
apostasie volte a criticare, svalutare, rifiutare culture differenti (attitudine etnocentrica). La
diversità deve essere concepita come un valore aggiunto, come una risorsa e nuove fonti di
informazioni che non devono essere viste come anomalie del sistema di appartenenza. Forme
religiose, culturali, sociali e morali, benché diverse, devono svincolarsi da giudizi e griglie
interpretative pregiudizievoli e arroganti. L’approccio antropologico deve prescindere da una visione
entropica culturale in cui, ciò che è diverso dalla propria cultura, viene visto e considerato come
inferiore. Ernesto De Martino affermava giustamente la neccesittà di comprendere noi stessi prima
di poter in qualche modo giudicare un contenuto o un aspetto antropoligico altro. Se l’Ethnos era
quindi riferibile ad un mondo non occidentale, ben presto la convinzione che il diverso potesse
costituire un avvaloramento qualitativo fu subito abbandonata dai primi studi compiuti dagli
evoluzionisti i quali imposero un paradgma primitivistico in cui la culturale diversa era infantile,
inquieta, incompiuta intelletualmente, un’evoluzione culturale inadeguata, lacunosa, intessuta di
forme di ingnoranza e rappresentazione del rale. Soggetti asociali, dominati da un Sistema di cultura
primordiale, selvaggio, predisposti a modelli di comportamento imitativi anzichè creativi e
decisionali.
Nacque lo studio dell’etnologia in cui etnonimo della parola Etnia ha evocato una nuova
etnosemantica basata su concetti di individualismo, l’individualità di una popolazione con
l’autoidentificazione dei membri appartenenti. L’etnonimo della parola evoca essa stessa in cui
all’interno di gruppo culturale vi sia una coscienza collettiva, sociale, linguistica che è condivisa
non solo nel tempo ma anche territorialmente in cui l’etnia si identifica su di una unità di gruppo e
spaziale. Un territorio che può ospitare diverse etnie e quindi definibile multietnico oppure una
etnia può essere compresa all’intero di una pluralità di spazi. Da qui, l ‘esperienza osservativa

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etnografica che prevede la raccolta di dati di informazioni sul campo. L’Etnografia presume un
lavoro descrittivo in cui mediante un’osservazione che implica la trascrizione dei dati, di azioni, di
fatti umani la cui classificazione rappresenta un prezioso contributo alla comprensione dei modelli
e Sistema socioculturali che caratterizzano una società.
L’etnografia è un’esperienza di vivere sul campo, si impara vivendo. Da questo punto di vista è una
pratica, è un vivere con, è un coinvolgimento emotivo, percettivo, affettivo e cognitivo. Come
etnografia viene definita internalization o etnografia incorporata. Questo tipo di etnografia è simile,
teorizzare cose simili, non si riduce solo alla scrittura, c’è un movimento, una percezione sensoriale,
un modo di poter vivere la propria autobiografia, il proprio vissuto all’interno di questi contesti.
Una nuova antropologia critica, dialogica, riflessiva. Un’antropologia ermeneutica più a carattere
interpretativo e l’etnodisciplina, le etnoscienze, che si occupano più di folklore e conoscenze
popolari. il rischio è quello dell’ incliccaggio: inserirsi in un contesto ed esporsi all’interno di una
fazione. L’etnoscienza vede una visione attraverso lo sguardo di un osservatore; mentre
l’ermeneutico attraverso un dialogo culturale, fonde i due sguardi e costruendo significati e
simboli.
E’ necessario un apprendistato, bisogna imparare vivendo sul campo. Si diventa attori, testimoni al
punto da qcquisire lo status di straniero simpatizzante, un narratore, un consulente che attua un
processo di mascheramento; deve trarre delle conclusioni ed ipotizzare delle teorie che possono
essere confermate, confutate o procedere a nuovi sguardi attraverso un colloquio che è uno
strumento privilegiato per il raccoglimento dei dati, un incontro interculturale, un approccio
epistemologico al colloquio, mettere a proprio agio le persone.
Anche i dati scritti sono molto importanti, sono complementari e preziosi elementi informativi.
Quindi un’interazione può essere astratta o concreta. Attraverso un processo di verbalizzazione,
concettualizzazione, autovalutazione, dialogo interculturale si fissano degli indicatori affinché le
osservazioni possono essere osservabili. Una volta raccolti i dati il rischio è quello di giungere ad
un livello di saturazione, ovvero la sicurezza empirica che una categoria risulti satura, seppur
validata dai dati. E’ importante sempre orientarsi all’interno di un gruppo sociale testimone che può
essere anche ridotto ad un gruppo strategico. Vari possono essere gli elementi di disturbo:
l’incliccaggio, far parte di una fazione e rischiare di essere espulsi o ricondotti ad un atteggiamento
di ostilità nei confronti di altri; entrare in contatto diretto mediante un rapporto intersoggettivo con
l’interlocutore, una maggiore collaborazione; il problema della validità dei dati, dei metodi,
dell’attendibilità e del fatto che sia generalizzabile in presenza di pochi fatti specifici.
L’antropologia della violenza è una disciplina che presuppone un’ermeneutica libera, flessibile, non
strutturata in cui i dati risultano essere spontanei, una scienza empirica sociale che va
contestualizzata. E’ opportuno indicare un nuovo itinerario di ricerca che non deve essere fissato
su delle parole, su delle costruzioni tecniche con le quali diamo un significato o un concetto ma che
punti e si finalizzi al raggiungimento della conoscenza di determinati significati attraverso strade
alternative, come l’empatia, la condivisione umana di esperienze umane, la partecipazione affettiva-
emotiva. Il sentimento è il percorso su cui dobbiamo interrogarci La cultura occidentale spesso
tende a decodificare le emozioni con i pensieri. L’invito è quello ad andare oltre quello che è
l’approccio delle parole e cercare di costruire, interagire attraverso quelle dinamiche quotidiane
naturali, di pressione, di amore, perdita di lavoro, gravidanza, vecchiaia, pressione, liti, sconforto, di
gestione del potere. Osservare significa guardare ciò che per noi può essere anche irrilevante,

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qualcosa che vada al di fuori del nostro io. Possiamo approcciarci con un metodo etico basato su
quelle categorie che cerchiamo di applicare all’interno del nostro contesto, oppure adottando un
approccio emico, cioè mediante la costruzione di nuove categorie in base al gruppo sociale di
appartenenza. Dobbiamo abbandonare qualsiasi forma di idea preconcetta, senza griglie
interpretative precostituite. Dobbiamo vivere i fenomeni, non dobbiamo solo assisterli, dobbiamo
integrarci, creare questa risonanza, comunanza affettiva in cui gli spazi devono essere definiti.
Dobbiamo sperimentare le gioie e le sofferenze. Attivismo attivo ed emotivo, insistendo per quanto
possibile verso una condivisione di esperienze emotive. Le parole, in questa azione, rappresentano
modalità per evocare un contesto, e non solo una sequenza di tecnicismi: per corstruire un nuovo
percorso atto alla decodificazione a di significati.
Dopo l’esperienza etnografica subentra la conoscenze e l’azione etnologica quale sintesi dei dati
raccolti. L’Etnologia elabora i dati raccolti dagli etnografi, li analizza, li interpreta, li classifica, li
sintetizza. E’lo studio delle Etnie, dell’Altro. Rappresenta il lavoro inizialmente compiuto dagli
etnologi nei confronti delle popolazioni primitive. L’Antropologia si afferma quale disciplina che
postula le generalizzazioni teoriche comparative sintetizzate dagli etnologi. Essa si occupa di
generare un dibattito teorico, definendo effetti e idee e avviando metodi di ricerca sul campo.

Si definisce quindi sopralluogo scientifico etnografico il lavoro compiuto dall’antropologo nella


raccolta di dati informazioni e sintesi direttamente sul campo a contatto con la realtà oggetto di
studio. E’ una presenza, la sua, talora ingombrante, disturbante per la vita quotidiana di quella
gente. La sua presenza deve essere recepita senza percezione di invasione eccessiva sia negli spazi
sia nei momenti di intima riservatezza.

L’Osservazione richiesta è quella definita partecipante se si vuole raccogliere silenziosamente dati


informazioni qualificate ma anche integrata qualora si voglia partecipare attivamente, qualora ne
sia consentia e autorizzata, integrandosi in quell’esperienza che solo mediante l’accettazione del
suo essere, può consentire di costruire una esperienza partecipativa e arrichevole. Una presenza
Mimetica invisibile quale modalità di reperimento di informazioni mediante modelli di sopralluogo
neutrali e silenziosi ma attenti al raccoglimento dei dati.

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APPENDICE PRIMO CAPITOLO

Definizione e riflessioni sul Campo di Indagine e azione culturale


Il termine Antropologia deriva dal greco Antrophos, “genere umano” e Logos, “discorso”
pensiero. Ne deriva una definizione riconducibile allo studio del genere umano, dei suoi
comportamenti, del suo divenire, del suo essere, del suo manifestarsi.
Tali manifestazioni riconducono quindi ad una dimensione interculturale in cui l’antropologo è
colui il quale si occupa di studiare scientificamente l’uomo nella sua complessità, nei sistemi sociali,
culturali in cui è inserito mediante un approccio sistemico comparativo.
Il Sistema comparativo, proprio della metodologia della ricerca antropologica culturale, si pone
l’obbiettivo di individuare, mediante uno studio complesso dell’uomo, l’elaborazione di teorie e
leggi strutturali che caratterizzano, disciplinano, vivono nell’essere umano.
La cultura quindi è la manifestazione di qualsiai sazione, idea, comportamento, prodotto umano
nel suo essere e nel tempo in cui è circoscritto. La cultura muta, cambia, si adatta, si trasferisce, si
modella. Il concetto di cultura può trovare riferimento all’interno di diverse interpretazioni, che
assieme, ne completano la definizione. Essa è lo spazio in cui l’uomo vive e agire, attraverso una
quotidiana azione collettivamente accettata e normata in cui l’uomo tende ad agisce attraverso un
sistema valoriale condiviso e utile. Tylor considera il concetto di cultura quell’insieme di
conoscenze, di idee, di espressioni umane che l’uomo acquisisce all’interno della società.
Culturalmente l’uomo si pone all’interno della società, si inserisce, si costruisce il suo posto e il suo
ruolo. Tylor definisce antropologicamente il concetto di cultura mediante una influenza filosofico-
scientifica del tempo in cui è cresciuto e si è formato “ l’antropologia evoluzionistica”. Per Tylor
“la cultura o civiltà è quell’insieme complesso che include conoscenze, credenze, arte, morale
diritto costume o qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro della
società”. Il Termine cultura abbraccia sicuramente un‘ idea di umanità con tutte le sue
manifestazioni proprie di quella civiltà circoscritta in quel tempo; essa è intesa come realizzazione
di particolari predisposizioni umane.
Il Naturalista inglese Charles Robert Darwin nel suo libro “L’origine delle Specie” del 1859
postulava l’idea di cultura mediante un approccio evoluzionistico e cumulativo. La cultura, secondo
Darwin è la manifestazione naturale dell’uomo per la sopravvivenza del più adatto.
Un’evolzione culturale comune a tutte le civiltà attraverso un processo temporale uniforme e unico
per tutti: dallo stato selvaggio, a quello barbaro fino a quello moderno. Non importa quando: prima
o poi tutte le culture indistintamente arriveranno allo stadio culturale successivo sino a giungere a
quello moderno, presieduto da un’organizzazione sociale e culturale superiore fondato dal progresso
e dalla ricerca sicentifica. Anche Manlinosky descrive il concetto di cultura come quell’insieme di
valori, abitudini, tecniche, arti, sapere che vengono trasmessi. Egli ritiene però che la produzione
culturale sia la risposta ad alcuni bisogni dell’uomo ovverro introducendo il concetto di utilità. Tali
bisogni si dividerebbero in primari (biologici) e legati alla sopravvivenza e quelli derivati ovvero
culturali. Quindi la cultura è una risposta ad un bisogno ad una esigenza. In questo segmento egli
riflette anche sul ruolo della Religione, quale prodotto culturale specifico di un proprio ambiente e
contesto in grado di svolgere la funzione di un consolidamento sociale. La Religione, proprio
perché di dignità culturale, propone soluzioni di crisi, di salvezza; essa è in grado di penetrare
l’idnviiduo e nelel sfere pià intime ed emotive nonché psichiche. Ha quindi un ruolo sociale. Per

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Weber, la cultura è il senso e il significato che l’uom, in quanto essere culturale, attribuisce ad ogni
evento del mondo. E’una rappresentazione della realtà concepita dall’uomo in base al suo contesto e
al suo momento storico.
Se l’antropologia quindi è lo studio del genere umano, nelle sue manifestazioni culturali e sociali, si
tratta quindi di definire la seconda parte della disciplina oggetto di studio in questo manuale: cosa è
la cultura? La cultura è, in primis, il risultato dell’agire e del pensiero umano mediante parole,
azioni e pensiero. La cultura è la manifestazione dell’agire umano; la cultura è l’essenza
dell’uomo, del suo divenire.

La cultura assume modelli comportamentali e di valori che si estrinsecano mediante processi di


assimilazione e selezione. La diffusione di comportamenti culturali che vengano tramandati e
acquisiti. Ma non tutto viene recepito. Il contesto muta e la civiltà opera un’ azione di selezione dei
modelli culturali trasmessi, compatibili con il contesto storico che adotta i nuovi.
La cultura è un prodotto storico in un certo tempo e spazio composta da prestiti, selezioni
cessioni. E’ viva e dinamica, in continuo mutamento. Essa non deve essere intesa come un
processo culturale casuale di acquisizione di prestiti e o trasformazioni bensì essa risponde a
una dialettica di dinamica interna e una dinamica esterna ( Balander, 1973). Essa è un processo
in continuo dinamismo complesso di idee e di comportamenti ( Fabietti, 2004).
La cultura non può che essere viva e operativa. L’uomo agisce in base ai suoi precisi istinti e i
modelli comportamentali agiscono in funzione all’esigenza di sopravvivenza quotidiana. La
cultura e qualsiasi altro modello ad essa riconducibile diviene un modello dinamico operativo
finalizzato ad uno scopo. Qualsiasi azione umana è riconducibile ad una finalità, ad uno scopo.
L’utilità di alcuni processi culturali a scapito di altri costituisce uno scenario di interessanti
confronti epistemologici: quali ambiti culturali si trasmettono e quindi assimilabili e quali
invece non vengono acquisiti dalle nuove culture. Se nei primi, quelli a carattere tecnico –
strumentale, il passaggio culturale può essere intuibilmente trasmissibile qualora permanga e
sopravviva il requisito di utilità, nei secondi, quelli a carattere religioso-filosofico, comprendono
ambiti culturali trascendenti dal tempo e dallo spazio. Oggigiorno, l’uomo si comporta, si veste, si
alimenta secondo abitudini, usi e costumi che ha assorbito attraverso processi di acquisizione
istintiva. L’azione quotidiana è frutto di modelli comportamentali che sono statai tramandati nel
tempo e recepiti nel presente, attraverso canali di educazione famigliare, sociale, religiosa ed
educativa, tali da rispondere a due principali requisiti: il primo requisito è quello dell’utilità. Il
prestito culturale, postulato da un processo di diffusionismo culturale, rappresenta un processo di
acculturazione che viene trasmesso nel tempo, viene acquisito in quanto ritenuto utile per quel
determinato sistema socio-culturale in cui l’individuo è inserito.
Il prestito culturale quindi risponde ad una precisa prerogativa di opportunismo e utilità volto a
soddisfare un preciso bisogno. Ogni comportamento è finalizzato al raggiungimento di un obiettivo
e pertanto, leggittimanto dall‘indiviudio e dalla collettività. Il processo quindi acculturazione e
assimilazione dei contenuti culturali avviene mediante la corresponsione di determinati principi di
soddifazione e utilità. L’acquisizione o meno del suddetto bagaglio intraculturale avviene
inconsciamente e comunque sempre rapportato a un principio di adattamento culturale proprio del
sistema in cui la trasmissione avrebbe luogo. Il prestito, proprio perché in forza di questo filtro, può
essere riconfigurato e riadattato sulla base dei principi sopra esposti. Se quindi il prestito culturale è

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concepito come fenomeno di acculturazione, esso può essere assimilato e trasmesso nella sua
completezza e totalità oppure trasmesso frammentariamente. Nella sua trasmissione esso può essere
soggetto a:
- Perdita parziale di alcuni tratti: in questo caso, il prodotto culturale viene
assimilato solo in parte;
- Aggiunto, ovvero si elabora e si adatta in base al contesto ove si
sviluppa;
- Riconfigurato, ovvero rielaborato nella sua totalità.

Procedere in questa analisi, ci permette di comprende il secondo principio del prestito culturale.
Quello della sua leggitimazione. Se un fenomeno culturale si trasmette, abbiamo detto che ciò
avviene in primis in quanto ritenuto utile farlo e acquisirlo. Tuttavia il processo di trasnfert
culturale avviene anche in quanto leggittimato dalla comunità e collettività. Una tradizione si
tramanda, un costume si adotta non solo perché serve a qualcosa ma perchè lo si considera giusto.
Il principio di giustezza del prestito leggittima la sua trasmissione e acqusizione. Tale acquisizione,
che può essere conscia o inconscia, si rivela utile e corretta. Vestirsi in un determinato modo,
andare in chiesta alla domencia, sono precetti tramandati in quanto si ravvisa non solo un
tornaconto, ma perché è bene e opportuno perpetrarli.
Certo che qualsiasi prestito culturale non necessariamente viene tramandato nel suo interesse e
completezza, esso spesso si riconfigura o lo si adatta in base a delle prospettive socio-culturali che
tendono a modellare il principio culturale sulla base delle esigenze e sulla loro condivisione e
dell’accettazione. Il processo di acculturazione avviene attraverso canali di comunicazione
intrafamigliare, religiosa o istituzionale (norme, scuola) e religiose.
L’uomo agisce nella sua vita quotidiana al fine di dominare la realtà che lo circonda, attribuire un
senso alle sue azioni e alla realtà che lo circonda; si impegna a costruire la sua identità attraverso un
processo di appartenza al gruppo, di coesione con il gruppo, di identificazione con il gruppo e di
interiorirzzazione dei sistema valoriali. All’interno del gruppo l’uomo apprende le norme e le
interiorizza (Mongardini, 1983) al fine di attuare comportamenti di aspettative che il gruppo ha nei
suoi confronti. L’uomo agisce in gruppo e per il gruppo e ciò che gli altri pensano rafforza il suo
ruolo all’interno della società. Per fare ciò l’uomo deve acquisire quegli strumenti di socializzazione
primaria che gli consentono di fare parte di un gruppo e di vivere in quel determinato comntesto
sociale (Cesareo, 1998). L’antropologo quindi agisce su contesti all’interno dei quali tutti gli
individi fanno parte di quel sistema, interiorizzando il sistema valoriale, con l‘atribuzione di un
preciso ruolo e aspettative. Il ruolo di ogni individuo in quel sistema garantisce stabilizzazione e
una coscienza collettiva che si muove e si adopera all’interno di quadri gerarchici, di potere,
dominio, controllo e subordinazione.

Trasmissione.

La cultura è trasmessa mediante segni, parole e azioni coinvolgendo il concetto di universalità


semantica e di produttività infinita. La cultura esiste mediante segni riconducibili, o meglio
riconosciuti dalla collettività. Il segno, sia esso un agito linguistico o meno, comprende un

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di fuori degli scopi didattici.
messaggio universale, la nostra cultura tende ad associare un comportamento o un messaggio
derivante da esso. Oggi ho fame fa sì che l’azione che segua la produzione culturale del messaggio
sia quella di andare a mangiare. Il nostro modello culturale è dinamico e creativo e comporta l’atto
creativo di numerosi messaggi e valori semantici in esso contenuti. Il linguaggio umano può creare
messaggi e collocarli in qualsiasi asse temporale nel tempo e nello spazio: qualsiasi concetto può
essere espresso in qualsiasi lingua dando alla capacità comunicativa un valore universale.

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di fuori degli scopi didattici.

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