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Indice

1 Vita 2

2 Critica ad Hegel 2

3 Angoscia 3

4 Disperazione 3

5 Stadi dell’esistenza 4
5.1 Vita estetica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
5.2 Vita etica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
5.3 Malattie per la morte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
5.4 Vita religiosa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5

Sommario
Oltre a Schopenhauer, l’altro grande antihegeliano è Kierkegaard. La
sua teoria si basa sugli stadi esistenziali: la vita estetica e quella etica,
pervase da angoscia e disperazione, e l’approdo alla vita religiosa, nel-
l’abbandono a Dio. L’essenza è nella relazione e tutta la sua riflessione
scaturisce dall’infinità di possibilità e scelte cui l’uomo si trova davanti.

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Kierkegaard (1813-1855)

Pietro Grassi
Dicembre 2021

Cattolico antihegeliano radicale, criticò l’universalismo del vero come intero


in quanto inaccettabile annullamento dell’individualità. Per K., infatti, vale
l’esatto contrario: l’esistenza singola è l’obiettivo filosofico ed essa si realizza in
relazione alle infinite possibilità. Da tali innumerevoli opzioni aut-aut derivano
poi angoscia e disperazione, superabili solo nella fede e nell’abbandono a Dio.

1 Vita
Nato a Copenaghen da una famiglia agiata e numerosa, riceve una rigida edu-
cazione religiosa pietista ed esperisce grandi sofferenze infantili, in particolare
la morte di molti fratelli e i relativi sensi di colpa del padre legati all’operosità
e alla punizione divina, da cui il giovane futuro filosofo trae l’angoscia per e la
consapevolezza dell’importanza delle scelte.
Nel 1837 quasi abbandona gli studi teologici intrapresi a motivo dell’incontro
con Regina Olsen. Tuttavia, i sensi di colpa lo assalgono alla morte del padre
e si laurea nel 1840, in concomitanza con un’ingiustificata rottura con Regina,
che lo segnerà per la vita intera, causandogli la condizione di inadeguatezza e
inettitudine. Si ritira perciò a una vita solitaria, purché restio a quella pastorale:
si sente incompreso, consapevole del suo distacco dal mondo, ed è fortemente
critico contro la rigidità della Chiesa danese.

2 Critica ad Hegel
La critica si basa sul concetto di modello olistico, da cui deriva l’annullamento
dell’individualità e della scelta, fortemente contrapposto all’affermazione di sin-
golarità e possibilità. Per K., inoltre, non vi è alcuna riconciliazione finale della
singola esistenza col tutto dello spirito assoluto.
«La vera conoscenza deve avere come oggetto la singola esistenza», risolvere
i problemi delle persone. Da questa riflessione si colloca Kierkegaard tra i pa-
dri dell’esistenzialismo, la corrente filosofica che studia l’uomo come esistenza
concreta.
Quest’ultima è l’insieme delle possibilità, che pongono l’uomo di fronte a
delle scelte, di cui K. analizza gli aspetti negativi: le scelte differiscono in qualità,

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non sono et-et hegeliani ma aut-aut, cioè si escludono tra loro, ogni scelta ne
preclude altre, e presentano intrinsecamente il rischio e la minaccia del nulla,
poiché non sono solo possibilità «che sì», ma anche «che no».
«Nel possibile tutto è possibile, il possibile implica tutto»
La scelta – aut-aut – crea dilemmi, per la necessità di voler scegliere il giusto:
le infinite opzioni sono terribili e paralizzanti: da qui scaturisce la riflessione kier-
kegaardiana, dall’istante di consapevolezza di dover fare una scelta, paralizzante
e angoscioso, il «punto zero».
La possibilità porta a due esiti, che sono stati esistenziali di sofferenza
caratterizzanti l’uomo e che gli permettono il salto verso la Provvidenza divina.

3 Angoscia
Questo sentimento è tipico del rapporto dell’uomo col mondo, che è possibilità:
deriva dalla vertigine delle troppe possibilità, dal punto zero, dalla struttura
esistenziale umana che è fatta di possibilità che necessitano una scelta.
L’angoscia differisce dalla paura, temporanea e limitata a un oggetto, poiché
è legata alla condizione umana di possibilità, scelta e incertezza dell’esito: è
frutto della possibilità del nulla e riguarda l’indeterminatezza del futuro.
È caratteristica definiente dell’uomo saggio, distinto per essa dalle bestie,
dagli uomini superficiali e dagli angeli, che sono in mano di Dio, il garante delle
possibilità.
L’angoscia ricopre – in definitiva – un ruolo umanizzatore, esplicitato in
Cristo che sprona Giuda a tradirlo per far sì che si compia quanto prima ciò che
attende.

4 Disperazione
Deriva dalla relazione dell’io con sé stesso e dalla responsabilità che esso ha delle
proprie scelte: «rapporto che si rapporta a sé stesso».
L’essenza è dunque individuata nella relazione.
La fase di disperazione presenta tre possibili esiti:

1. Non voler essere sé stessi: l’uomo si riconosce peccatore e si concentra sui


propri aspetti negativi, è cosciente della propria miseria e non vede alcuna
ragione per vivere. Si trova dunque in una fase di scacco: vuole liberarsi
e disfarsi di sé, ma ciò è impossibile;
2. Voler essere sé stessi: l’uomo rifiuta la propria condizione peccaminosa,
fino a non riconoscere la necessità del perdono divino. È di nuovo in
scacco: si ritiene autosufficiente, erroneamente però, giacché solo Dio lo è;
3. Rifiuto improprio del cristianesimo: per mantenere la propria autosuffi-
cienza, l’uomo rifiuta Dio e va sotto scacco credendosi esso stesso Dio.

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Ogni situazione di scacco porta alla malattia per la morte: l’impossibilità di
scegliere, di vivere e di morire.
L’io vuole pertanto scindere il rapporto con sé stesso. Tale volontà è però
irrealizzabile: l’io coincide col rapporto stesso.
In definitiva, la disperazione deriva dal guardarsi dentro, nonché dall’assenza
di possibilità.

5 Stadi dell’esistenza
In “Aut-aut” K. presenta le alternative esistenziali, gli esiti delle scelte: la vita
estetica o quella etica.

5.1 Vita estetica


È la forma esistenziale più immediata, la dimensione ontologica: l’uomo come
è. I modelli sono don Giovanni e Faust, le ispirazioni il carpe diem, l’edonismo
e l’ubriachezza della vita, nel rifiuto della banalità e ripetitività, per ricercare
l’eccezione.
Nel volere tante scelte, l’esteta non sceglie mai: non è all’altezza della scelta
né della vita, vive nella pochezza e nella mediocrità la sua noia esistenziale, il
tedium vitæ. Tenta di evitare l’angoscia, privandosi così dell’umanità e della
possibilità di compiere il salto verso la vita religiosa.
Il passaggio allo stadio etico avviene quando l’uomo sceglie l’angoscia, rifiu-
tando la propria schiavitù dalle azioni, tipica della vita estetica, in cui è altro a
scegliere per sé.

5.2 Vita etica


L’uomo sceglie di scegliere sé stesso nella «validità eterna» e si fa uniforme a
un modello unico e immutabile, quello del marito, acquisendo una dimensione
deontologica: l’uomo come dovrebbe essere.
Predilige la ripetitività all’eccezionalità ed è libero.
È tuttavia responsabile della scelta di sé stesso, si accorge degli aspetti più
duri della propria condizione umana, si riconosce peccatore, perciò prova ango-
scia e disperazione, dalle quali deriva il pentimento, ultimo atto della vita etica,
col quale si può giungere alla vita religiosa.

5.3 Malattie per la morte


Quando l’uomo è disperato per l’impossibilità di disfarsi di sé e morire, è come
un malato terminale: è sfiancato dalla morte, ma non riesce a morire.
È in uno stato di totale assenza di speranza, compresa la speranza della e
nella morte, è un morire eternamente e contemporaneo non morire: l’uomo si
trova a morire la morte, la esperisce in anticipo e perciò nullifica la morte stessa.

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Si trova in un profondo tormento e disperazione: non può morire e dunque
non può liberarsi di sé. Quando la vita è un pericolo più grande della morte – so-
stiene K. – l’uomo spera di morire, ma incontra la disperazione nell’impossibilità
di farlo.

5.4 Vita religiosa


L’unica salvezza è nella fede, come atto intimo che origina dalla stessa dispera-
zione: la fede è l’unico modo di rapportarsi a sé senza disperarsi, poiché si gode
del perdono di Dio, dunque non si vuole disfarsi di sé, e ci si abbandona a Dio,
riconoscendo di non essere autosufficienti. È così instaurato un rapporto sereno
con sé, grazie alla mediazione divina: Dio è l’unico futuro privo di angoscia e
disperazione, in quanto è l’unico futuro certo, in cui la possibilità e la necessità
coincidono senza alcun aut-aut.
La fede scaturisce dalla consapevolezza dell’uomo di non bastarsi da solo
e di doversi dunque abbandonare a Dio. La scelta più importante della vita
dell’uomo – per K. – è quella di farsi scegliere da Dio, una scelta-non scelta, da
cui deriva lo «scandalo», il salto irrazionale verso Dio.
L’uomo può ora riposare nel principio stabile di ogni possibilità et-et, senza
angoscia né disperazione.
Il modello di questo stadio ultimo è Abramo nel sacrificio di Isacco, come
simbolo dell’assurdità della fede, l’affidamento al disegno di Dio che fa presa-
gire la grandezza divina. La fede è la fiducia irrazionale scandalosa, e perciò
grandiosa.
Kierkegaard, infine, sancisce la responsabilità nel riconoscere di credere, poi-
ché è un atto irrazionale. Pone dunque la fede come fondamento della ragione
per comprendere Dio.

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