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Città e territorio - prof. M.

Orazi Chiara Cavagna

Utopie realizzabili
forse ora sì…

“La profezia è un bagliore nelle tenebre, che subito si richiudono, come sono solite fare. Poi, più nulla,
perché il destino è segnato. La storia è dominante, cioè fatale: ogni volta che “la si rivela” (anzi, ogni
volta che essa “si rivela”) non fa che mostrare l’ineluttabilità del proprio percorso. “Vedere prima”,
“pre-vedere”, significa anche, come dovrebbe risultare da quanto ho detto finora, “vedere attraverso”:
vedere negli avvenimenti mentre si svolgono quel che gli altri non vedono, più di quanto gli altri non
vedano. Ma a questa capacità e forza di penetrazione mentale non corrisponde nessuna sapienza
pratica. Sapere e non potere – questa è la profonda, ineliminabile, straziante tristezza del profeta.”

Novecento, primo, secondo e terzo, Asor Rosa A., 2004, p. 183

1. Introduzione

È inevitabile affermare che, negli anni del secondo dopoguerra, lo scenario mondiale fosse
drammaticamente segnato da un sentimento di completa alienazione. Vi era quindi la necessità, da
parte degli individui, di evadere da quell’imponente condizione di disagio collettivo nella quale ci si era
ritrovati a vivere. Stava così affermandosi, nel contesto architettonico, oltre che nelle altresì discipline
umanistiche, tutta una generazione - che fonda le sue radici nel Movimento Futurista - consapevole
dei limiti e degli errori passati e proiettata verso un pensiero positivista e risolutore nei confronti della
futura struttura sociale.
È in questo stesso panorama che è possibile leggere Utopie realizzabili, pubblicato a Parigi nel 1975 da
Yona Friedman.

Le molteplici teorie trattate nel periodo successivo al conflitto mondiale - di cui gli esponenti del
Movimento Moderno ne sono i principali predicatori - spaziano dal tema dell’habitat, sino alla
ricostruzione dell’identità sociale e culturale della popolazione. All’interno di questo impeto euforico
e idealistico, non viene di certo a mancare anche il tema dell’utopia.
Contrariamente al resto dei suoi contemporanei, però, Friedman affronta l’argomento attraverso un
linguaggio differente. Non si pone agli altri - come molti architetti, filosofi e umanisti suoi e nostri
contemporanei - con la presunzione di chi vuole dare risposta e soluzione al sentimento di
insoddisfazione altrui. Egli stesso affermerà - durante un convegno internazionale di architettura al
Politecnico di Torino nel 1969 - “L’utopia è fatta da chi? L’utopia è fatta per chi? Io non lo so”. Non si addita
il diritto di imporre un suo pensiero visionario, non vuole consigliare. Si pone piuttosto come guida
alla conoscenza e alla consapevolezza del singolo, la sua lingua è quella di chi insegna, di chi lascia
esprimere liberamente, di chi vuole incoraggiare gli altri alla riflessione.
È a partire da queste considerazioni che nasce il manuale, le cui parole chiave saranno linguaggio e
comunicazione.

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Città e territorio - prof. M. Orazi Chiara Cavagna

“Lei è l'orizzonte […]. Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi.
Cammino per dieci passi e l'orizzonte si sposta dieci passi più in là. Per
quanto io cammini, non la raggiungerò mai. A cosa serve l'utopia? Serve proprio a questo: a
camminare.”

Eduardo Galeano

2. La struttura e il linguaggio del libro

Ora, al di là del mero contenuto del libro, ciò che è interessante studiare sono le modalità, la tecnica,
definibile quasi come metodo scientifico, attraverso cui l’autore affronta il tema. La lettura di queste
visioni utopiche, per Yona, non ha nulla a che vedere con quella della maggior parte degli autori dei
più grandi manuali di sociologia o filosofia. La letteratura è già costellata di teorie e dottrine
riguardanti l’argomento in questione, ciò che manca ad esse però - come lui stesso fa emergere - sono
le “regole che ne permettano l’applicazione” 1. La sua mente concepisce il tema utopia in maniera
completamente differente, non vuole ricadere in quel registro poetico classico delle utopie letterarie. Il
fine ultimo della sua analisi è quello di delineare, attraverso un criterio scientifico - servendosi di
leggi, assiomi e postulati - la realtà che lo circonda. Descrive il processo attraverso cui poter rendere
un’utopia realizzabile. Quali sono le condizioni, i limiti entro i quali questa è attuabile.
Nella stesura del volume Friedman non inventa teorie, al contrario, procede passo per passo nel
tentativo di costruirne una - basata su leggi naturali - che descriva, in maniera obiettiva, i fenomeni che
regolano i comportamenti della società. L’insieme dei diversi capitoli è una sorta di narrazione
continua, bisognerebbe forse considerarli simili ad un manuale di istruzioni - come sembra suggerire
l’autore stesso - che permetta a ciascuno di noi, ad ogni individuo di poter riconoscere e rendere
attuabili le utopie, di “trovare una posizione autonoma”. 2
Per facilitarne la lettura e, di maggior importanza, la comprensione da parte dei lettori, poi, nel
susseguirsi delle varie parti del libro ogni cosa torna a riprecisarsi; il tutto segue un filo perfettamente
logico. Inoltre, l’originalità di queste sue riflessioni e constatazioni, sta nel fatto che esse risultino
estremamente basilari: non semplicistiche, quanto piuttosto ridotte a pochi, essenziali elementi che
riflettano - in maniera esemplificativa - tutte quelle che sono le abituali operazioni umane.
Nell’intento di rendere queste riflessioni e questi fenomeni ancor più facilmente leggibili o meglio,
servendosi delle sue stesse parole, comprensibili anche a “un bambino di dodici anni, studente di seconda
media” 3, Friedman adotta un linguaggio semplice, obiettivo. Un linguaggio estremizzato al punto di
diventare un grafo, una vignetta, una didascalia - pubblicherà infatti Come vivere con gli altri senza essere
né servi né padroni, trasposizione a fumetti di Utopie realizzabili -. Ecco, allora, che la vignetta diviene
l’elemento chiarificatore di concetti astratti.
C’è la volontà di comunicare in modo diretto, senza la superflua e limitante discussione di mediazioni

1 Utopie realizzabili, Yona Friedman, 2003, p. 201


2 Ibidem, p. 234
3 Ibidem, p. 43
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culturali; non per imporre a noi tutti la sua visione delle cose, piuttosto per dare un senso e una
trasmissibilità al suo modo di percepire la realtà visibile. Difatti, è proprio alla visione che l’autore
attribuisce l’essenza della nostra conoscenza, che non è in grado di acquisire più informazioni
contemporaneamente, ovvero di percepire la totalità nell’immediato, ma solo di assimilarle
prolungando la percezione di queste nell’arco di un determinato tempo - che poi è proprio
l’approccio metodico del libro stesso -. E se la visione funziona come il linguaggio, una sequenza
continua, allora esso dovrà essere ridotto a codice, così da poter trasmettere, in maniera più accurata,
la sequenza corrispondente alla nostra esperienza visiva del mondo. Il linguaggio, per cui, deve essere
semplice e mirato, così da poter rendere la comunicazione e l’interazione con il pubblico più dirette
possibili, senza il rischio di scontrarsi con il problema del rumore.

Ecco, dunque, che si ribalta completamente, nella nostra percezione mentale, il significato di utopia.
Da aspirazione ideale pressoché irraggiungibile, diviene un progetto mirato alla risoluzione
dell’insoddisfazione umana e che, solo attraverso un consenso collettivo, diviene realizzabile.
Yona, difatti, asserisce che “L’utopia è necessariamente il risultato di un’invenzione collettiva” 4 ed è proprio per
questo motivo che le utopie letterarie, fino ad allora formulate, sono rimaste non realizzabili. Non
erano l’opera collettiva di un gruppo di individui, bensì, le “creazioni letterarie di un solo e unico individuo” 5.

Il manuale, poi, vuole focalizzarsi sull’analisi di un fenomeno in particolare, ovvero quello delle utopie
sociali, che troveranno il loro massimo riconoscimento nel concetto di città - utopia urbana egualitaria per
eccellenza -. Difatti, il libro è più che la formulazione di una teoria dell’utopia, non ci elenca
esclusivamente gli elementi che ci sono necessari per la sua realizzazione, ma è soprattutto un’analisi
del comportamento umano, un’illustrazione dei principi dell’organizzazione economica e sociale, che
ha come fine ultimo quello di migliorare la qualità della vita degli individui.

3. L’attualità del pensiero di Friedman

Nella lettura del volume, Utopie realizzabili, è inevitabile rendersi conto di quanto le riflessioni e
constatazioni dell’autore, rispetto il concetto di società - in quanto organizzazione sociale -, politica,
economia siano tutt’ora estremamente attuali. La capacità delle sue affermazioni di poter vivere
anche nell’attuale presente, non sta solo nel modo e nel linguaggio - che comunque non peccano
tutt’ora di originalità - attraverso i quali decide di esporle, ma anche nella trattazione di specifiche
tematiche, protagoniste ancora oggi del dibattito odierno. Si pensi solo alla questione dell’utopia
immobilista del movimento ecologico, al tema di Internet e del problema della comunicazione globale o, ancora,
al discorso dell’influenza di determinati individui rispetto ad altri - il fenomeno degli influencers nei
social network, scoppiato soprattutto nell’ultimo decennio -.
Inoltre, nella parte conclusiva del libro, Friedman espone tutta una serie di attualissimi suggerimenti e
proposte concrete, che possano porsi in contrasto con quello che è il fenomeno della globalizzazione e
della mancanza totale di comunicazione tra politica (Stato), media e individui - “Il fallimento di queste

4 Ibidem, p. 25
5 Ibidem, p. 25
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due generose utopie, la democrazia e la “comunicazione globale” tra gli uomini, comporta logicamente il formarsi di
mafie che agiscono in nostro nome, contro i nostri interessi” 6.
È possibile affermare che, dato la sviluppo delle nuove tecnologie e la profonda trasformazione che la
società sta vivendo attualmente, le proposte presentate all’interno del volume risultano oggi dei
modelli applicabili, se non addirittura necessari.

Per concludere, riassumendo brevemente quello che, di fondo, è l’obiettivo dello scrittore - più volte
esplicitato all’interno del libro - è possibile constatare che, partendo da un’ipotesi, senza la troppa
preoccupazione di dare prova o trovare qualcosa di preciso, egli si diverte nell’esplorazione di
possibili conseguenze di quella stessa ipotesi. I progetti teorici di Yona sono realizzati all’interno di un
quadro di ricerca imprevedibile, incapace di prevedere un risultato finale definitivo. È un lavoro di
continua esplorazione, un’esperienza sperimentale, partecipativa che nell’indeterminazione e nella
condivisione sociale trova i suoi più profondi fondamenti.

6 Ibidem, pag. 235


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