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Durante
la
visita
pre-‐applicativa
o
una
seduta
di
controllo
LaC
è
opportuno
verificare
ogni
potenziale
dettaglio
che
possa
compromettere
la
“salute
oculare”,
il
comfort
e
la
performance
visiva.
Tra
queste
osservazioni
non
deve
passare
inosservata
la
verifica
della
presenza
di
depositi
sedimentati
sulla
superficie
anteriore
della
LaC.
È
da
considerare
che
l’eventuale
presenza
di
depositi
potrebbe
condizionare
la
performance
visiva
della
lente
rendendo
una
probabile
sovracorrezione
miopica
(in
questo
caso
sarà
opportuno
verificare
lo
stato
refrattivo
senza
la
lente
in
vivo),
o
comunque
semplicemente
rendendo
meno
trasparente
la
superficie
del
mezzo
ottico
considerato;
potrebbe
condizionare
il
comfort
rendendo
la
lente
più
spessa,
meno
bagnabile
e
con
coefficiente
di
frizione
maggiore.
Inoltre
molte
potrebbero
essere
le
conseguenze
tali
da
mettere
a
repentaglio
la
salute
oculare:
dalla
semplice
infiammazione,
alle
svariate
forme
di
infezioni
virali
o
batteriche
e
di
congiuntivite
(prime
fra
tutte
CPLC
e
CGP).
Le
tecniche
comunemente
usate
nella
nostra
attività
per
l’analisi
dei
depositi
sulle
LaC
prevedono
l’uso
di
Lampada
a
Fessura
(LaF)
e
il
normale
esame
visivo.
1) DEPOSITI
ORGANICI:
a. PROTEICI
b. LIPIDICI
c. JELLY
BUMPS
d. PIGMENTI
2) DEPOSITI
INORGANICI:
a. CALCIO
(carbonato
di
calcio,
fosfato
di
calcio)
b. FERRO
c. CALCOLI
1
1)
DEPOSITI
ORGANICI
Le
lenti
idrofile
tendono
a
contaminarsi
più
velocemente
rispetto
alle
lenti
dure
in
quanto
la
presenza
di
acqua
intrisa
nel
materiale
può
essere
un
veicolo
per
l’accumulo
dei
depositi:
i
gruppi
reattivi
che
si
trovano
sulla
superficie
esterna
della
lente
(aventi
carica
variabile),
non
solo
favoriscono
l’interazione
con
l’acqua
ma
anche
con
tutte
le
molecole
di
struttura
similare
come
quelle
presenti
nel
film
lacrimale
o
nelle
soluzioni.
Molti
monomeri
utilizzati
con
l’intento
di
aumentare
la
bagnabilità
superficiale
della
lente
a
contatto
hanno
carica
negativa,
formando
così
l’attrazione
elettrostatica
con
le
componenti
lacrimali
aventi
carica
positiva
(come
ad
esempio
il
Lisozima,
ma
non
solo),
contribuendo
così
ad
una
più
rapida
formazione
di
depositi
(in
particolare
di
tipo
proteico).
Proteine
Esistono
due
principali
tipi
di
depositi
proteici:
uno,
più
comune,
consiste
in
uno
strato
opaco
che
ricopre
tutta
o
parte
della
LaC
(tipico
del
lisozima);
in
condizioni
normali
poco
visibile,
se
non
limitando
l’ammiccamento
spontaneo
per
far
disidratare
la
LaC.
In
questo
caso
è
osservabile
in
LaF
a
medio-‐alti
ingrandimenti
la
superficie
della
lente
ancora
tendenzialmente
trasparente,
ma
con
delle
stratificazioni
superficiali
insolite.
L’altro
tipo
è
caratterizzato
da
una
struttura
proteica
più
ramificata,
tipica
delle
proteine
denaturate
o
in
via
di
denaturazione,
che
rendono
la
lente
non
più
trasparente,
con
tendenza
ad
opacizzarsi
all’osservazione
in
LaF.
Questi
depositi,
quando
denaturati,
producono
riduzione
di
acuità
visiva,
irritazione,
iperemia
e
complicazioni
più
serie
come
CPLC
e
CGP.
Quest’ultima
è
caratterizzata
da
una
maggior
produzione
di
muco,
da
una
forte
sensazione
di
prurito
e
da
una
ridotta
tolleranza
alle
LaC,
nonché
dalla
presenza
di
papille
giganti
sulla
congiuntiva
tarsale
superiore.
Se
il
deposito
è
piuttosto
diffuso,
si
hanno
anche
probabilmente
alterazioni
nei
parametri
della
lente,
in
primis
l’idratazione
e
la
trasmissibilità.
La
superficie
della
LaC
può
diventare
idrofobica
ed
essere
un
eccellente
substrato
per
ulteriori
depositi
sia
di
natura
organica
(lipidi)
che
inorganica
(fosfati
di
calcio).
Onde
evitare
le
problematiche
sollevate
da
questi
depositi,
occorre
in
prima
istanza
(in
base
al
tipo
di
lente
ed
ai
tempi
di
sostituzione)
prevenirne
la
formazione
con
l’uso
regolare
di
prodotti
enzimatici
per
la
rimozione
delle
proteine
(sia
quelle
denaturate
che
quelle
in
via
di
denaturazione,
nella
fase
iniziale).
È
da
considerare
che
i
trattamenti
enzimatici
rimuovono
solamente
i
depositi
di
tipo
proteico.
Lipidi
Caratterizzati
da
esteri
di
colesterolo,
colesterolo,
cere
e
trigliceridi,
formano
uno
strato
diffuso
o
localizzato
otticamente
trasparente
e
con
un
andamento
tipicamente
oleoso
tale
da
determinare
un
umettamento
superficiale
imperfetto.
Disfunzioni
lacrimali,
residui
di
cosmetici
o
creme
possono
portare
l’accumulo
di
cere
o
grassi,
e
si
legano
facilmente
ai
depositi
proteici
idrofobi
(più
esterni).
La
caratteristica
dei
lipidi
è
quella
di
rendere
la
lente
idrofobica
(quindi
all’ammiccamento
non
verrà
correttamente
reidratata)
e
di
ridurne
la
trasparenza
compromettendo
l’acutezza
visiva.
Si
rimuovono
piuttosto
facilmente
mediante
il
rubbing,
con
soluzioni
a
base
di
tensioattivi.
2
Pigmenti
I
pigmenti
tendono
ad
accumularsi
nel
polimero
e,
per
effetto
della
polimerizzazione
di
alcuni
amminoacidi
presenti
nel
film
lacrimale,
fanno
assumere
alla
LaC
una
colorazione
che
può
variare
dal
giallo
-‐
marroncino
al
rossiccio.
Sono
caratteristici
nelle
lenti
a
lunga
durata
e
causati
da
nicotina,
melanina,
residui
dell’uso
di
farmaci
assunti
per
lungo
tempo
per
via
sistemica
o
locale…
Negli
stadi
avanzati
i
pigmenti
tendono
ad
ossidarsi,
rendendo
la
lente
meno
flessibile
e
talvolta
modificandone
le
caratteristiche
geometriche.
Jelly bumps
Sono
degli
agglomerati
di
depositi
misti
e
principalmente
lipidi
e
proteine.
All’inizio
sono
asintomatici
e
appaiono
come
piccoli
puntini
grigiastri
che
tendono
ad
ingrandirsi
nel
tempo.
La
loro
dimensione
massima
non
supera
il
millimetro
di
diametro
e
in
questi
casi
(i
più
avanzati)
possono
generare
fastidio
e
sensazione
di
corpo
estraneo.
La
visione
solitamente
rimane
inalterata.
In
genere
si
formano
più
facilmente
su
materiali
idrogel
ad
alto
contenuto
idrico
e
ionici
(IV
gruppo
FDA).
2) DEPOSITI INORGANICI
Questi
depositi
sono
composti
da
materie
di
natura
insolubile,
non
cristallina.
Si
tratta
di
carbonato
e
fosfato
di
calcio,
ferro
ed
altri
metalli;
possono
insorgere
a
seguito
dell’impiego
di
acqua
del
rubinetto
per
il
risciacquo
della
lente
a
contatto.
In
LaF
si
nota
la
superficie
ruvida
e
granulosa,
irreversibilmente
danneggiata
da
questi
depositi
che
penetrano
nella
matrice
del
polimero,
trascinandosi
appresso
anche
proteine.
La
presenza
di
lipidi
rende
la
lente
idrofobica
e
quindi
facilmente
affine
anche
ai
depositi
organici.
A
livello
oculare
gli
effetti
generati
da
questi
depositi
sono
piuttosto
simili
a
quelli
generati
dalle
proteine.
La
lente
presenta
dei
puntini
biancastri
associati
a
depositi
proteici,
si
formano
mentre
che
la
lente
è
in
uso
e,
se
continuate
a
portare,
si
trasformano
in
calcio
fosfato
insolubile
ed
assumono
l’aspetto
di
calcoli.
Visibili
come
puntini
lattiginosi,
si
formano
quando
sono
presenti
elevate
quantità
di
calcio,
ma
non
provocano
danni
all’occhio.
Questi depositi appaiono come piccole macchie localizzate di colore ruggine.
In
genere
provocati
da
inquinamento
atmosferico
delle
aree
industriali,
industrie
metalmeccaniche
o
nei
soggetti
che
spesso
viaggiano
in
treno.
Calcoli
Fosfati
di
calcio,
proteine
e
lipidi
possono
precipitare
dando
origine
a
calcoli.
Appaiono
come
una
struttura
cristallina
(sembra
per
l’alta
concentrazione
di
lipidi)
e
si
presentano
come
formazioni
ad
anello.
Fintanto
che
le
loro
dimensioni
rimangono
esili
non
destano
alcun
sintomo,
quando
invece
aumentano
di
volume
causano,
per
la
loro
ruvidità
e
durezza,
irritazione
palpebrale
(lid
wiper
e/o
azione
meccanica:
Grading
Scales,
zona
1,2,3
congiuntiva
Tarsale
superiore),
rendendo
la
lente
intollerabile.
3
3)
MICROORGANISMI
La
congiuntiva
è
solitamente
popolata
da
germi
che
in
condizioni
normali
si
riproducono
poco.
Sono
soprattutto
saprofiti
non
patogeni,
ma
anche
alcuni
di
tipo
patogeno.
Tra
i
batteri
più
comunemente
frequenti
troviamo
gli
Streptococchi:
possono
essere
portati
dalla
saliva,
dalle
secrezioni
nasali,
dall’acqua,
dalle
soluzioni
con
le
quali
entra
in
contatto
la
lente.
La
contaminazione
da
Streptococco
porta
al
danneggiamento
irreversibile
della
superficie
della
lente
a
contatto.
Altri
batteri,
in
genere
meno
frequenti,
sono:
Pseudomonas,
Staffilococco,
Acanto
ameba
(piuttosto
raro,
quanto
estremamente
aggressivo).
Quest’ultimo,
che
si
diffonde
attraverso
l’acqua
stagnante,
è
particolarmente
doloroso
e
spesso
porta
alla
cecità
in
quanto
va
a
danneggiare
la
base
delle
cellule
nervose
corneali,
penetrando
sempre
più
in
profondità.
L’85%
dei
casi
di
contaminazione
da
Acanto
ameba
è
correlato
all’uso
di
lenti
a
contatto.
Considerando
che
ciò
è
quasi
completamente
evitabile
(88%)
attraverso
i
recenti
sistemi
di
manutenzione,
ciò
ci
fa
riflettere
sulla
poco
corretta
procedura
di
pulizia
e
manutenzione
che
viene
eseguita,
non
rispettando
le
regole
di
“compliance”.
Anche
i
virus,
come
i
batteri,
possono
trovarsi
a
livello
congiuntivale
e
quando
il
sistema
immunitario
non
è
in
grado
di
contrastarli,
essi
generano
un’infezione
di
tipo
virale,
con
sintomi
di
iperemia,
bruciore,
lacrimazione
e
fotofobia
(a
differenza
delle
infezioni
batteriche,
solitamente
non
c’è
eccessiva
secrezione
di
muco).
Altri
microorganismi
che
possono
danneggiare
la
superficie
della
lente
sono
i
funghi
(Candida
albicans,
Aspergillus
niger
e
Penicellium).
L’invasione
micotica
è
favorita
dalla
presenza
di
depositi
proteici
e
il
danneggiamento
che
la
lente
subisce
è
spesso
irreversibile;
inoltre
non
si
riescono
ad
eliminare
del
tutto
in
modo
definitivo
dalla
superficie
della
lente.
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Ass.
13,
28-‐34.
4
5
6
7
8
SISTEMI
DI
MANUTENZIONE
DELLE
LENTI
A
CONTATTO
edoardo
franceschi
La
scelta
del
sistema
di
manutenzione
che
il
contattologo
prescrive
e
ne
chiarisce
le
modalità
di
utilizzo
è
determinante
nell’uso
sicuro
e
confortevole
delle
lenti
a
contatto.
Le
soluzioni
per
lenti
a
contatto
per
le
quali
è
previsto
il
contatto
con
l’occhio
ed
una
interazione
biochimica
con
l’ambiente
oculare
debbono
essere
isotoniche
e
tamponate
ad
uno
specifico
valore
di
pH.
Le
differenze
tra
le
proprietà
delle
varie
soluzioni
permettono
al
contattologo
di
individuare
quella
più
adatta
ed
opportuna
alle
necessità
del
portatore.
La
pulizia
delle
lenti
a
contatto
ha
lo
scopo
di
prevenire
o
ridurre
la
formazione
di
depositi
sulla
superficie
della
lente:
in
tal
modo
non
verrà
compromessa
la
bagnabilità
della
lente
e
la
qualità
della
visione;
il
processo
di
disinfezione
della
lente
sarà
più
efficace;
ed
infine
i
preservanti
presenti
nelle
soluzioni,
che
potrebbero
legarsi
con
i
depositi
proteici,
non
rimarranno
sulla
lente
e
dunque
non
avranno
contatto
prolungato
e
tossico
con
le
cellule
dell’epitelio
corneale.
Per le loro formulazioni sono usualmente considerate alcune caratteristiche fisico-‐chimiche come:
§ FORZA
TAMPONE:
permette
di
stabilizzare
la
concentrazione
degli
ioni
di
idrogeno.
Una
soluzione
fortemente
tamponata
resiste
al
cambiamento
di
pH
dei
vari
ambienti
(ad
esempio
quando
la
lente
passa
dal
contenitore
al
contatto
con
l’occhio)
riducendo
la
sensazione
di
fastidio
una
volta
nell’ambiente
oculare.
Di
solito
gli
elementi
tampone
utilizzati
sono
sali
inorganici
(borati,
bicarbonati,
fosfati).
§ PH:
idealmente
dovrebbe
essere
simile
a
quello
delle
lacrime
(circa
7,4)
ad
occhio
aperto.
Ad
ogni
modo
per
mantenere
una
situazione
di
comfort
i
valori
di
pH
dovrebbero
essere
compresi
tra
6,6
e
7,8.
Raramente
in
alcune
soluzioni
può
capitare
di
trovare
un
valore
di
pH
al
di
fuori
di
questi
valori,
con
lo
scopo
di
aumentare
l’efficacia
e/o
la
stabilità
di
alcuni
principi
attivi
contenuti
nella
soluzione.
In
genere
però
quando
i
valori
di
pH
sono
alterati
ciò
è
conseguenza
di
una
scarsa
capacità
tamponante
della
soluzione.
§ OSMOLARITÀ:
indispensabile
per
non
alterare
lo
stato
di
deturgescenza
della
cornea.
Una
soluzione
è
considerata
isotonica
se
ha
concentrazione
di
cloruro
di
sodio
compreso
tra
0,9%
(simile
alla
concentrazione
delle
lacrime
nelle
ore
di
sonno)
e
0,95%
(simile
alla
concentrazione
delle
lacrime
nelle
ore
di
veglia)
.
§ BAGNABILITÀ:
indica
la
capacità
della
soluzione
di
distribuirsi
uniformemente
sulle
superfici
delle
lenti
a
contatto.
È
misurata
in
termini
di
angolo
di
contatto
ed
i
valori
sono
espressi
in
gradi
angolari.
§ VISCOSITÀ:
indica
lo
strato
di
attrito
che
incontrano
le
molecole
all’interno
di
un
corpo.
In
contattologia
è
misurata
in
“Poise”(1P
=
0,1Ns/m2).
La
viscosità
è
una
peculiarità
delle
soluzioni
umettanti:
valori
più
alti
indicano
un
più
consistente
effetto
“cuscinetto”
tra
lente
e
cornea
e
quindi
il
comfort
all’applicazione.
§ SOSTANTIVITÀ:
indica
il
tempo
che
un
liquido
permane
sulla
superficie
della
lente
a
contatto.
In
genere
valori
di
sostantività
più
alti
corrispondono
a
bassi
valori
di
angolo
di
contatto
(ovvero,
in
condizioni
di
alta
bagnabilità).
9
MANUTENZIONE
DELLE
LENTI
RGP
DETERGENTI
Nello
specifico:
la
parte
lipofila
(non
polare)
del
tensioattivo
si
lega
al
lipide
(che
ha
carica
opposta),
mentre
la
parte
idrofila
rimane
orientata
verso
l’esterno
(a,
b).
Successivamente
il
tensioattivo
avvolge
completamente
il
lipide
stesso
in
un
involucro
carico
negativamente
(c),
determinando
una
repulsione
elettrostatica
tra
gli
involucri
stessi
e
la
superficie
della
lente.
In
seguito
al
risciacquo
essi
vengono
poi
rimossi
definitivamente.
Dal
punto
di
vista
chimico
i
tensioattivi
si
distinguono
in
anionici
(con
ioni
negativi),
cationici
(con
ioni
positivi)
e
non-‐ionici
(con
carica
neutra).
Poiché
i
materiali
RGP
sono
pressoché
inerti,
tendenzialmente
possono
essere
utilizzati
detergenti
di
ogni
tipologia,
anche
se
i
non-‐ionici
risultano
i
più
compatibili
(meno
irritanti)
con
l’ambiente
oculare.
Spesso
vengono
impiegati
Cloruro
di
Benzalconio
e
Clorexidina
(conosciute
per
le
loro
capacità
germicida
ed
in
genere
utilizzate
come
preservanti)
che,
a
diverse
concentrazioni,
posseggono
anche
proprietà
tensioattive.
Esistono
poi
detergenti
a
base
alcoolica
(alcool
isopropilico,
fenol
etossilato,
etc.)
più
idonei,
in
quanto
meno
aggressivi,
per
materiali
ad
elevato
DK,
tendenzialmente
meno
inclini
alla
stabilità
dimensionale.
Per
contro
esistono
anche
tensioattivi
più
aggressivi,
notevolmente
più
efficaci
nella
rimozione
dei
depositi
e
caratterizzati
dalla
presenza
di
microgranuli
abrasivi.
In
questo
caso
l’azione
fisico-‐chimica
del
tensioattivo
è
potenziata:
questa
azione
abrasiva
ha
effetto
sia
sui
depositi
lipidici
che,
in
parte,
quelli
di
natura
proteica.
Tuttavia
la
marcata
azione
di
questi
elementi
può
indurre
variazioni
nei
parametri
nelle
lenti
in
fluoro-‐silicone-‐acrilato.
Sono
inoltre
disponibili
delle
sostanze
pulenti
ad
azione
potenziata
composti
da
un
insieme
di
tensioattivi
(Boston
cleaner,
etc.)
che
possono
essere
utilizzati
sia
quotidianamente,
sia
dal
contattologo
per
i
processi
straordinari
di
pulizia
profonda
per
rimuovere
i
depositi
più
ostinati.
Quando
i
depositi
sono
estremamente
tenaci
il
contattologo
può
trovare
efficace
l’uso
del
polish
(di
solito
utilizzato
dal
costruttore
per
ritoccare
e
perfezionare
i
bordi
ed
apportare
modifiche
ai
parametri
delle
lenti
dure):
con
l’aiuto
di
un
cotton
fioc
imbevuto
di
polish
vengono
sfregate
dolcemente
le
superfici
della
lente
per
circa
30”
per
poi
essere
rimosso
con
un
semplice
detergente.
Talvolta
per
la
pulizia
profonda
delle
lenti
vengono
utilizzati
sistemi
ad
ultrasuoni
ma,
per
quanto
siano
comunque
efficaci,
risultano
meno
soddisfacenti
dei
mezzi
sopra
citati.
10
Anfifilico
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Una molecola anfifilica (o anfipatica) contiene sia un gruppo idrofilo che idrofobo. Queste caratteristiche
molecolari fanno sì che se le molecole anfipatiche vengono immerse in un liquido acquoso tendono a
formare spontaneamente un doppio strato, nel quale le teste idrofile sono rivolte verso l'esterno e le code
idrofobe verso l'interno.
Questa particolare composizione dà origine, ad esempio, alla membrana cellulare formata dai fosfolipidi,
ovvero molecole anfipatiche. Esistono anche un altro tipo di molecole anfipatiche caratterizzate da una sola
coda idrofoba (apolare) che tendono a formare le micelle.
La parte idrofoba consiste generalmente di una lunga catena carboniosa del tipo: CH3(CH2)n con 4 < n < 16.
La parte idrofila ricade in una di queste categorie:
1) Composti ionici
• Anione, esempi ne sono:
i. Acidi grassi: RCO2-Na+;
ii. Solfati: RSO4-Na+;
iii. Solfonati: RSO3-Na+.
• Catione, in genere battericidi.
2) Molecole anfotere. Ne sono esempio i fosfolipidi, maggiore costituente delle membrane biologiche.
3) Molecole non cariche. Un piccolo polimero è innestata ad un segmento idrofobo.
4) Blocco di copolimeri.
Voci correlate
Tensioattivi Sapone
Ultima modifica per la pagina: 14:57, 29 mar 2012. Il testo è disponibile secondo la licenza Creative Commons
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TRATTAMENTI ENZIMATICI
Sebbene
i
detergenti
possano
avere
grande
efficacia
nella
rimozione
dei
depositi
lipidici,
la
loro
azione
nei
confronti
dei
depositi
proteici
risulta
essere
del
tutto
modesta.
Gli
enzimi
rimuovono
sia
i
depositi
proteici,
sia
i
depositi
conglomerati
di
più
elementi
(jelly
bumps)
ed
il
loro
utilizzo
è
consigliato
in
genere
ogni
1-‐4
settimane,
a
discrezione
della
prescrizione
del
contattologo.
Sono
molto
efficaci
contro
le
proteine
denaturate
che
si
formano
in
particolare
modo
sui
materiali
RGP
in
silicone-‐acrilato
privi
di
fluoro.
Infatti,
in
questi
polimeri
generalmente
è
aggiunto
un
agente
idrofilo
(acido
metacrilico,
etc.)
con
lo
scopo
di
rendere
più
bagnabile
la
superficie
della
lente.
Contemporaneamente
l’aggiunta
di
questi
monomeri
porta
inevitabilmente
ad
incrementare
la
carica
di
superficie
negativa
della
lente
stessa,
rendendola
quindi
molto
affine
alle
proteine
presenti
nelle
lacrime.
La
presenza
di
fluoro
nei
materiali
RGP
riduce
notevolmente
l’incidenza
dei
legami
proteici,
garantendo
al
contattologo
la
possibilità
di
prescrivere
il
trattamento
enzimatico
con
cadenze
temporali
più
lunghe.
11
Gli
enzimi
sono
dei
catalizzatori
che
accelerano
delle
reazioni
chimiche:
essi
hanno
la
capacità
di
alterare
il
legame
tra
i
depositi
e
la
superficie
della
lente
generando
sostanze
a
più
basso
peso
molecolare
e
più
solubili.
L’uso
di
tensioattivi
(detergenti)
prima
del
trattamento
enzimatico
favorisce
l’efficacia
del
trattamento
enzimatico
stesso.
Terminato
il
processo
è
in
genere
consigliato
il
risciacquo
delle
lenti
con
soluzione
fisiologica
tamponata
allo
0,9%
(sol.
salina)
prima
di
immergerle
nella
soluzione
conservante
e
disinfettante.
DISINFEZIONE
Le
lenti
rigide
vengono
disinfettate
prevalentemente
con
soluzioni
a
base
di
sostanze
chimiche
antisettiche.
L’efficacia
di
questi
prodotti
matura
durante
la
fase
di
conservazione
della
lente
(le
lenti
dovrebbero
rimanere
immerse
per
un
periodo
non
inferiore
alle
4
ore
a
completamento
del
ciclo
di
disinfezione),
garantendo
auspicabilmente
anche
un
ridotto
potenziale
di
tossicità
oculare
e
una
buona
capacità
di
mantenere
idratate
le
superfici
della
lente.
PRESERVANTI:
le
stesse
sostanze
antisettiche
utilizzate
per
la
disinfezione,
vengono
spesso
utilizzate,
in
concentrazioni
assai
ridotte,
come
conservanti
e
preservanti.
Questa
attività
è
mirata
a
prevenire
la
crescita
di
microrganismi
che
possono
entrare
in
contatto
con
la
soluzione.
Oltre
ai
composti
antisettici
già
descritti
ve
ne
sono
altri
utilizzati
esclusivamente
per
la
loro
azione
batteriostatica
nelle
soluzioni,
come
ad
esempio
l’acido
sorbico
e
l’etilendiamminotetracetico
(EDTA).
Questi
elementi,
a
basse
concentrazioni,
e
quindi
meno
citotossici,
sono
agenti
chelanti
ed
hanno
il
compito
di
facilitare
l’azione
del
principio
attivo
della
soluzione.
12
UMETTANTI:
gli
agenti
umettanti
sono
dei
composti
polimerici
idrofilici,
tali
da
migliorare
l’adesione
e
la
distribuzione
del
liquido
lacrimale
sulle
superfici
delle
lenti;
inoltre
tendono
a
formano
un
cuscinetto
lubrificante
grazie
alla
loro
viscosità,
tale
da
minimizzare
il
fastidio
iniziale
dell’applicazione.
Questi
agenti
li
troviamo
commercializzati
sottoforma
di
sostituti
lacrimali,
copolimeri
nei
materiali
costruttivi
di
lenti
a
contatto,
in
aggiunta
alle
soluzioni
disinfettanti
e
conservanti.
Tra
i
più
noti
troviamo
l’alcool
polivinilico
(PVA),
derivati
solubili
della
cellulosa,
l’acido
ialuronico,
etc.
La
fase
di
risciacquo
è
d’obbligo
eseguirla
dopo
il
rubbing
mediante
detergenti
o
altre
soluzioni
antisettiche.
La
composizione
di
queste
soluzioni
è
caratterizzata
da
soluzione
fisiologica,
detta
anche
soluzione
salina,
composta
da
sodio
cloruro
(NaCl),
isotonica
(0,9%)
e
tamponata
(ovvero
con
pH
stabile).
Possono
essere
utilizzate
anche
soluzioni
fisiologiche
non
tamponate,
ma
con
molta
probabilità
potrebbero
risultare
meno
confortevoli
all’impatto
con
l’occhio.
Sono
commercializzate
sia
in
confezioni
monouso
(privi
di
preservanti)
o
in
flaconi
(in
forma
preservata).
In
passato
era
uso
comune,
in
modo
particolare
nelle
lenti
dure,
eseguire
la
fase
di
risciacquo
sotto
il
getto
dell’acqua
corrente.
Oggi
l’uso
di
soluzioni
specifiche
ha
praticamente
annullato
o
ridotto
ai
minimi
termini
il
rischio
di
incidenza
di
infezioni
microbiche,
in
particolare
da
Acantamoeba,
e
la
formazione
di
depositi
di
tipo
inorganico
sulle
superfici
delle
lenti.
SOLUZIONI MULTIPURPOSE
Le
soluzioni
multifunzione
riuniscono
in
una
tutte
(o
quasi
tutte)
le
funzioni
necessarie
alla
manutenzione
della
lente.
Includono
dunque
agenti
con
funzioni
antisettiche
(EDTA),
un
sistema
tampone,
un
agente
viscosante
e/o
umettante
ed
elementi
con
capacità
tensioattive.
L’utilizzo
di
queste
soluzioni
ha
lo
scopo
di
facilitare
la
compliance
e
semplificare
le
procedure
di
manutenzione;
tuttavia
la
loro
efficacia
risulta
ridotta
rispetto
all’uso
di
soluzioni
specifiche
per
ogni
singola
fase
della
manutenzione.
13
MANUTENZIONE
DELLE
LENTI
MORBIDE
La
presenza
di
acqua
nei
materiali
idrogel
e
silicone
idrogel
(SiHy)
rappresenza
un
potenziale
rischio
di
contaminazione
microbica,
maggiore
con
lente
in
situ
per
effetto
dell’aumento
di
temperatura
generato
dall’ambiente
oculare.
L’accurata
manutenzione
è
dunque
indispensabile,
salvo
nelle
lenti
“usa
e
getta”,
per
non
alterare
la
flora
batterica
e
virale
non
patogena
presente
nel
sacco
congiuntivale,
prevenendo
infezioni.
Le
fasi
salienti
del
processo
di
manutenzione
in
questi
tipi
di
lenti
sono
caratterizzate
dalla
pulizia
e
dalla
disinfezione.
Con
le
procedure
di
pulizia
(tensioattivi,
enzimi)
vengono
rimossi
i
depositi,
i
detriti
ed
il
biofilm
microbico
sedimentati
sulle
lenti;
mentre
la
fase
di
disinfezione
(con
mezzi
fisici,
chimici
e
ossidanti)
è
atta
a
rimuovere
eventuali
presenze
di
microrganismi
patogeni.
PULIZIA
DISINFEZIONE
o DISINFEZIONE
CHIMICA
(Sol.
uniche
o
multifunzione):
gli
elementi
antisettici
utilizzati
in
passato
nelle
soluzioni
disinfettanti
per
la
manutenzione
delle
lenti
morbide
come
la
Clorexidina
e
il
Thimerosal,
ritenuti
altamente
intolleranti
per
la
loro
tossicità,
sono
stati
nel
tempo
sostituiti
da
soluzioni
multifunzionali
che
utilizzano
agenti
antisettici
a
bassa
tossicità.
Il
Biguanide
(o
derivati)
infatti,
nonostante
sia
un
derivato
della
Clorexidina,
rispetto
ad
essa
possiede
un
peso
ed
una
dimensione
molecolare
maggiore,
tale
da
penetrare
(ovvero
di
essere
assorbiti)
con
più
difficoltà
nei
tessuti
degli
annessi
oculari
e
del
segmento
anteriore
oculare.
Gli
elementi
rappresentativi
e
tipici
che
una
soluzione
unica
per
lenti
morbide
deve
contenere
sono:
ü Agente
antisettico
e
preservante
ü Tensioattivo
ü Agente
chelante
(EDTA)
che
rinforza
l’azione
antisettica
del
principio
attivo
ü Agente
tampone
per
mantenere
stabile
il
pH
14
Definizione
del
principio
di
chelazione:
legame
forte
che
si
genera
tra
un
elemento
e
specifiche
molecole
(ad
esempio
metalli)
che,
nel
nostro
caso,
rende
più
forte
ed
efficace
l’azione
antisettica
del
principio
attivodella
soluzione.
o SISTEMI
OSSIDANTI:
i
più
comuni
sono
a
base
di
perossido
di
idrogeno
(caratterizzata
da
una
molecola
di
acqua
a
cui
è
legato
un
atomo
di
ossigeno)
utilizzato
come
disinfettante,
a
concentrazioni
comprese
tra
0,6%
e
3%.
Il
tempo
necessario
per
la
disinfezione
è
variabile
in
funzione
della
percentuale
di
perossido
presente
nella
soluzione
ed
esse
necessitano
di
essere
neutralizzate
prima
di
essere
inserite
nell’ambiente
oculare,
poiché
il
perossido
di
idrogeno
è
irritante
al
contatto
dei
tessuti
oculari.
I
sistemi
catalizzatori
più
comuni
usati
per
la
neutralizzazione
sono
a
base
di:
ü Reattivi
chimici
di
ossido-‐riduzione
(Oxysept).
Il
processo
di
neutralizzazione
avviene
per
decomposizione
del
perossido
ed
il
tempo
necessario
varia
in
funzione
della
concentrazione
e
della
temperatura
ambiente.
ü Catalizzatori
metallici
(Aosept)
in
grado
di
scindere
l’acqua
dall’ossigeno
che
si
libera
in
aria.
In
passato
venivano
utilizzati
anche
catalizzatori
enzimatici
(di
natura
bovina),
abbandonati
nel
tempo
a
seguito
dei
vari
pandemoni
virali
delle
specie
bovine
(“la
mucca
pazza”).
Il
perossido
ha
grande
capacità
disinfettante,
ma
la
sua
efficacia
dipende
dalla
capacità
dell’azione
di
neutralizzazione,
al
fine
di
eliminare
ogni
residuo
di
perossido,
potenzialmente
tossico
per
l’epitelio
corneale
e
congiuntivale.
Da
un
punto
di
vista
prestazionale
i
catalizzatori
metallici
potrebbero
avere
meno
efficacia,
non
tanto
nella
neutralizzazione,
ma
piuttosto
perché
nel
tempo
potrebbero
liberare
residui
metallici
altrettanto
tossici
e
resi
disciolti
nel
liquido
nel
quale
è
immersa
la
lente
per
la
disinfezione.
Se
vengono
applicate
lenti
a
contatto
non
correttamente
neutralizzate
del
perossido
si
verificherà
una
reazione
a
livello
oculare
di
dolore,
bruciore,
forte
iperemia,
fotofobia
e
disepitelizzazione
corneale;
i
sintomi
potrebbero
perdurare
per
1-‐2
giorni.
I
sistemi
di
neutralizzazione
possono
essere
monofasici
o
bifasici:
nonostante
anche
i
primi
ottengano
standard
qualitativi
elevati
nel
processo
di
disinfezione,
i
secondi
risultano
ancor
più
efficaci.
Ciò
che
li
contraddistingue
sta
nei
tempi
di
immersione
nel
perossido
prima
che
si
attivi
la
neutralizzazione:
mentre
nei
sistemi
monofasici
la
neutralizzazione
inizia
lentamente
sin
dai
primi
minuti
(poiché
l’agente
neutralizzante
è
presente
in
immersione
sin
dal
momento
in
cui
vengono
inserite
le
lenti
nel
contenitore
contenente
perossido);
nei
processi
bifasici
l’efficacia
disinfettante
è
totale
sino
al
momento
in
cui
non
viene
aggiunto
l’elemento
neutralizzante.
Il
processo
bifasico
è
particolarmente
indicato
per
i
portatori
occasionali
(uso
flessibile)
di
lenti
a
contatto
morbide
di
ricettazione
(non
disposable).
o ALTRI
SISTEMI
DI
DISINFEZIONE:
esistono
altri
sistemi
di
disinfezione
meno
comuni
o
addirittura
abbandonati
perché
complessi,
meno
efficaci
o
inadeguati
ai
nuovi
e
più
attuali
materiali
costruttivi
per
lenti
a
contatto
morbide.
In
particolare
rammentiamo:
l’asettizzazione
termica
e
trattamenti
di
rigenerazione,
l’esposizione
germicida
a
raggi
ultravioletti,
l’ozonizzazione
e
altri
sistemi
di
disinfezione
chimica
a
base
di
cloro
o
sodio
perborato.
La
loro
trattazione
sarà
probabilmente
approfondita
nei
corsi
di
studio
successivi.
15
DA
CONSIDERARE:
v La
maggior
parte
delle
soluzioni
per
la
manutenzione
di
lenti
morbide
può
essere
utilizzata
anche
per
la
manutenzione
delle
lenti
rigide
o
RGP,
pur
non
essendo
ottimizzate
per
questo
utilizzo.
Non
è
consigliabile
tuttavia
l’uso
prolungato
di
soluzioni
al
perossido
di
idrogeno
nelle
lenti
dure
in
quanto
potrebbe,
nel
tempo,
ammorbidire
le
superfici
della
lente
compromettendone
la
stabilità
dimensionale
(oltre
che
più
fragili,
tenderanno
ad
appiattire
il
BOZR).
v La
contaminazione
del
contenitore
portalenti
rappresenta
una
delle
maggiori
fonti
di
rischio
per
lo
sviluppo
di
colture
batteriche,
probabili
cause
di
infezioni
corneali
e/o
congiuntivali.
Il
contenitore
dovrebbe
venire
risciacquato
quotidianamente
con
la
soluzione
disinfettante
utilizzata
per
la
manutenzione
delle
lenti
e/o
con
soluzione
fisiologica
e
lasciato
asciugare
aperto,
in
un
luogo
idoneo,
proteggendolo
da
polvere.
La
sostituzione
del
contenitore
deve
essere
programmata
dal
contattologo
e
generalmente
dovrebbe
avvenire
ogni
1-‐2
mesi.
v Anche
i
flaconi
delle
soluzioni
o
dei
sostituti
lacrimali
possono
rappresentare
fonte
di
contaminazione
batterica
se
lasciate
impropriamente
aperte
dopo
l’uso.
Il
“beccuccio”
infatti,
a
contatto
con
l’aria,
attrae
a
se
tutto
ciò
che
è
disperso
nell’ambiente.
In
questi
casi,
nonostante
l’azione
germicida
più
o
meno
efficace
delle
varie
soluzioni,
il
rischio
di
infezioni
oculari
aumenta
in
modo
esponenziale.
Il
consiglio
dunque
è
quello
di
chiudere
sempre
le
soluzioni
dopo
il
loro
utilizzo
e
di
rispettare
le
scadenze
sia
del
prodotto
integro,
che
del
prodotto
aperto
(una
volta
aperta,
infatti,
qualsiasi
soluzione
entra
in
contatto
con
l’aria
perdendo
la
propria
sterilità.
Da
lì
in
poi,
l’efficacia
dei
principi
attivi
dei
liquidi
sarà
sempre
minore,
fino
a
diventare
nel
tempo,
inefficaci).
v Da
non
sottovalutare
l’efficacia
dei
prodotti
monouso
(in
particolare
per
i
sostituti
lacrimali)
in
termini
di
interazione
fisiologica
e
biologica
con
l’ambiente
oculare.
La
presenza
di
elementi
preservanti
e
conservanti
nelle
soluzioni
è
vero
che
garantisce
una
barriera
protettiva
contro
gli
agenti
contaminanti,
tuttavia
però
è
altrettanto
vero
che
si
tratta
sempre
e
comunque
di
elementi
carichi
di
una
certa
(seppur
minima)
tossicità
che,
protratta
con
l’uso
nel
tempo,
potrebbero
portare
a
fenomeni
cronici
di
sensibilizzazione
corneo-‐congiuntivale,
allergici
e
repulsivi
all’uso
di
lenti
a
contatto.
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