I FENICI IN ALGERIA
Le vie del commercio tra il Mediterraneo e l’Africa Nera
Direzione Scientifica
Lorenza-Ilia Manfredi e Amel Soltani
Bologna 2011
COMMUNICATING
C U L T U R A L
H E R I T A G E
bradypus.net
BraDypUS s.a.
e Communicating Cultural Heritage
Ministère de la Culture Consiglio Nazionale delle Ricerche
Musée National Istituto di Studi sulle Civiltà
des Antiquités Italiche e del Mediterraneo Antico
Alger Roma
I Fenici in Algeria
Le vie del commercio tra il Mediterraneo e l’Africa Nera
Direzione Scientifica
Lorenza-Ilia Manfredi e Amel Soltani
BraDypUS s.a.
Communicating Cultural Heritage
Bologna 2011
Sotto l’Alto Patronato di
Ministère de la Culture
Ministero degli Affari Esteri
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
International Centre for the Study of the Preservation and Restoration of Cultural Property
(organismo dell’UNESCO)
Comitato d’onore
Giampaolo Cantini
Ambasciatore d’Italia ad Algeri
Zahia Yahi
Chef de Cabinet, Ministère de la Culture
Luciano Maiani
Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche
Gherardo Gnoli
Presidente dell’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente
Louis Godart
Consigliere per la Conservazione del Patrimonio Artistico
della Presidenza della Repubblica Italiana
Roberto Cecchi
Segretario Generale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Rabah Hamdi
Secrétaire Général, Ministère de la Culture
Rachida Zadem
Conseillère de la Ministre de la Culture
Abdelghani Sidi Boumedienne
Conseilleur de la Ministre de la Culture
Roberto De Mattei
Vice Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche
Antonio Agostini
Direttore Generale per il Coordinamento e lo sviluppo della ricerca
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
Fabrizio Tuzi
Direttore Generale del Consiglio Nazionale delle Ricerche
Mounir Bouchenaki
Direttore Generale dell’International Centre for the Study of the Preservation and Restoration of Cultural Property
Mourad Betrouni
Directeur de la Protection légale et de la préservation des biens culturels
Ministère de la Culture
Mourad Bouteflika
Directeur de la Conservation et de la Restauration des biens culturels
Ministère de la Culture
Maria Mautone
Direttore del Dipartimento Patrimonio Culturale
Consiglio Nazionale delle Ricerche
Houria Cherid
Directeur du Musée National des Antiquités d’Alger
Ministère de la Culture
Paola Santoro
Direttore dell’Istituto di Studi sulle Civiltà Italiche e del Mediterraneo Antico
Consiglio Nazionale delle Ricerche
Mehadjia Bouchentouf
Directeur du Palais de la Culture Moufdi Zakaria
Maria Battaglia
Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Algeri
Anna Maria Sgubini Moretti
Soprintendente per i Beni Archeologici dell’Etruria meridionale
Antonino Di Vita
Direttore del Centro di documentazione e ricerche sull’archeologia dell’Africa settentrionale
Università di Macerata
Mohamed Djahiche
Directeur du Musée d’Art Moderne d’Alger
Organizzazione scientifica Progettazione allestimento espositivo
Plastici
Jallal Bouakkaz
Organizzazione editoriale Traduzioni
Naïma Abdelouahab
Antonella Mezzolani
Fiammetta Susanna
Ringraziamenti
Aziza Amamra, Directeur du Musée National des Arts et Chadia Khalfellah, Directeur du Musée National Cirta,
Traditions Populaires; Constantine;
Salah Amokrane, Directeur de l’Office du Parc National Ismail Laaboudi, Sous-Directeur de la coopération
du Tassili; bilatérale, Ministère de la Culture;
M’Barek Assel, Chef de bureau, Ministère de la Culture; Saïd Larbani, Sous-Directeur du budget, Ministère de la
Fatima Azzoug, Directeur du Musée National Bardo; Culture;
Abdelkrim Belarbi, Directeur de l’Institut National Antoinette Le Normand-Romain, Directeur Général de
Supérieur de Musique; l’Institut National de l’Histoire de l’Art, Paris;
Fatma Zohra Benaklouche, Responsable du musée et du Omar Mazari, Directeur de la Culture de la wilāya de
site de Cherchel; Jijel;
Zahia Benkredra, Responsable du musée et du site Aïcha Merazka, Directeur du Musée National de
d’Annaba; Cherchel;
Athmane Beredjdel, Sous-Directeur des moyens, El Hadj Meshoub, Ex-Directeur du Musée National
Ministère de la Culture; Ahmed Zabana, Oran;
Mohamed Boucherlata, Directeur de la Culture de la Rabéa Moussaoui, Directeur de la Culture de la wilāya
wilāya de Aïn Témouchent, d’Oran;
Driss Boudiba, Directeur de la Culture de la wilāya de Mourad Nacer, Directeur de la Culture de la wilāya de
Annaba; Bejaïa;
Mahmoud Chaouche, Responsable du musée et du site de Chérif Riache, Directeur du Musée National de Sétif;
Guelma; Sergio Ribichini, Dirigente di Ricerca, Istituto di Studi
Abdelmadjid Cherbel, Directeur Général du quotidien El sulle Civiltà Italiche e del Mediterraneo Antico, Consiglio
Moudjahid; Nazionale delle Ricerche;
Naoual Dahmani, Sous-Directeur de la protection légale Anissa Saadoune, Responsable du musée et du site de
et de la préservation des biens culturels, Ministère de la Tipasa;
Culture; Nassim Sahli, Sous-Directeur de la promotion du
Martine Denoyelle, Conseillère Scientifique, Patrimoine Culturel, l’Office de Gestion et d’Exploitation
axe “Histoire de l’archéologie et de l’art antique”, des Biens Culturels;
Département des Études et de la Recherche, Institut Sophie Saint-Amans, Pensionnaire, axe “Histoire de
National de l’Histoire de l’Art, Paris; l’archéologie et de l’art antique”, Département des Études
Francesca e Gaetano di Thiene, Castello di Thiene; et de la Recherche, Institut National de l’Histoire de l’Art,
Nadhéra Habbache, Sous-Directeur de la Conservation Paris;
et de la Restauration des biens culturels, Ministère de la Farid Tata, Sous-Directeur de la recherche, Ministère de
Culture; la Culture;
Samia Hadfi, Chef de service de l’administration, Musée Abdelouahab Zekkar, Directeur Général de l’Office de
National Cirta; Gestion et d’Exploitation des Biens Culturels.
Ministère de la Culture Musée National Ministero degli Affari Esteri
République Algérienne des Antiquités Istituto di Studi sulle Civiltà Italiche Repubblica Italiana
Démocratique et Populaire Alger e del Mediterraneo Antico
CNR
Ministero per i Beni International Centre for the Study Istituto Italiano di Cultura
e le Attività Culturali of the Preservation and Restoration Alger
Repubblica Italiana of Cultural Property
E vocare il ricordo di un prestigioso passato antico che ha segnato il nostro
immaginario e modellato la nostra percezione del mondo e della civiltà
costituisce un modo efficace per richiamare la memoria e ravvivare il sentimento
di appartenenza a valori essenziali che trascendono la territorialità geografica.
Si tratta di un’archeologia del senso che non vuole essere una perorazione
della ‘Civiltà’, ma un’esortazione alla conciliazione della Storia con la
geografia terrestre e marittima.
In tutta onestà, devo dire che il titolo non mi convince del tutto (rispetto però
la scelta degli scienziati), nel senso che introduce una nozione che non è né
geografica, né scientifica: quella dell’‘Africa nera’, come se ci fosse un’altra
Africa, che sarebbe, invece, ‘bianca’.
Khalida Toumi
Ministre de la Culture
L a mostra I Fenici in Algeria. Le vie del commercio tra il Mediterraneo e
l’Africa Nera si inserisce nel solco di una tradizione di collaborazione italo-
algerina, in campo archeologico, di lunga data, che risale già agli anni Settanta.
Nel periodo più recente il Ministero degli Affari Esteri ha sostenuto due
progetti realizzati, in collaborazione con il Ministero algerino della Cultura,
dal Consiglio Nazionale delle Ricerche - Istituto per le Civiltà Italiche e
del Mediterraneo Antico (ISCIMA): ‘Catalogazione ed esame del materiale
archeologico conservato nel Museo Nazionale di Algeri, per lo studio
delle monete di Iol-Cesarea nel contesto punico dell’Algeria antica’ e
‘Restituzione della facies punico-numidica dell’Algeria antica attraverso lo
studio del materiale archeologico e numismatico del centro di Iol-Cesarea’.
Giampaolo Cantini
Ambasciatore d’Italia ad Algeri
L a mostra I Fenici in Algeria. Le vie del commercio tra il Mediterraneo
e l’Africa Nera è pensata in funzione di uno sguardo critico e di un
approccio storico rinnovato, allo scopo di garantire quella distanza e quel
distacco necessari riguardo a un argomento che, sin dai tempi più antichi, è
stato oggetto di controversie, d’ideologie e di scuole al servizio di dinastie,
d’imperi e di teologie successive. Questa situazione ha, di fatto, reso illeggibile
e inaccessibile la storia di un popolo caratterizzato dalla stessa lingua, dagli
stessi usi e costumi e insediato sullo stesso territorio, posto a ovest del Nilo, in
una regione che usiamo chiamare oggigiorno ‘Africa del Nord’.
Già nell’antichità più lontana, avvalendosi di una traduzione dei libri punici
del re Iempsale, Sallustio stigmatizza le caratteristiche ‘primitive’ dei popoli
Getuli e Libici «I primi abitanti dell’Africa furono i Getuli e i Libici,
gente rustica e barbara, che si nutriva della carne degli animali selvaggi o
dell’erba dei prati come le greggi» (Bellum Iugurthinum, XVII), segnando la
rottura ‘epistemologica’ tra un mondo selvaggio – escluso dalla storia – e un
mondo civilizzato, attore e autore legittimo della storia degli uomini e della
produzione culturale.
Nel precisare la sua tesi, Camps fa un raffronto – che la scienza non può
avallare – tra un mondo della preistoria, che trae la propria sostanza dalla
memoria geologica, e un evento storico narrato: «Negli ultimi tempi della
preistoria e ancora durante il Neolitico, in effetti, due razze condividevano il
Maghreb, gli uomini di Mechta el-Arbi, la cui estensione è telliana e soprattutto
litoranea, mentre gli uomini delle civiltà capsiane (elementi protomediterranei)
occupano le regioni meridionali che diventeranno successivamente territorio
dei Getuli. L’analogia, però, si ferma a questa bipartizione, in quanto
quest’ultima è una costante della storia del Maghreb (…)» (Camps 1960).
Ecco che cosa scriveva nel 1995 Marcel Otto, studioso di preistoria
all’Université de Liège, nell’introduzione di un articolo intitolato Contacts
transméditerranéens au Paléolithique «Stranamente, non è ritenuto di buon
gusto ammettere senza ritegno gli scambi trans-mediterranei durante il
Paleolitico. Questa ‘allergia intellettuale’ sembra condizionata da correnti
di pensiero imposte da certe scuole della tendenza dominante. Numerosi
elementi di riflessione si oppongono però a quel che tende a diventare dogma
negli ambienti scientifici. Questo scivolamento epistemologico costituisce,
già di per sé, un’incitazione alla controversia, visto che nessun campo
può essere escluso dalla riflessione. La nozione di navigazione paleolitica
solleva automaticamente uno scetticismo fondato su preconcetti inconsci,
e quindi difficilmente superabili. La scienza preistorica vi si è inserita in
un funzionamento circolare che bisogna per lo meno dimostrare, se non
combattere. Il semplice ragionamento logico si oppone a questo modo di
vedere: le attitudini intellettuali attestate dalla tecnicità terrestre bastano
ampiamente a superare le difficoltà rappresentate da un passaggio d’acqua»
(Actes du Colloque “El Mon Mediterrani Despres Del Pleniglacial (18.000–
12.000 BP”), Banyoles 1995).
Mourad Betrouni
Directeur de recerche en préhistoire
Centre National de Recherches Préhistoriques,
Anthropologiques et Historiques (CNRPAH)
I l Musée National des Antiquités e il Ministère de la Culture in
collaborazione con l’Istituto di Studi sulle Civiltà Italiche e del
Mediterraneo Antico (ISCIMA) del Consiglio Nazionale delle Ricerche
di Roma hanno organizzato l’esposizione I Fenici in Algeria. Le vie del
commercio tra il Mediterraneo e l’Africa Nera. La proposta di questa mostra
è stata fatta dal Ministère de la Culture alle due istituzioni, il Museo e
l’ISCIMA, che lavoravano già ad un progetto comune intitolato Monnaies
d’Iol-Caesarea dans le contexte punique de l’Algérie antique; l’esposizione
è il coronamento degli sforzi nati da questo progetto.
Houria Cherid
Directeur du Musée National des Antiquités
N el grande fenomeno dell’espansione fenicia lungo le coste del
Mediterraneo, con la conseguente fondazione di insediamenti
commerciali e coloniali, siamo oggi in grado di riconoscere realtà ben
definite, che si collocano con caratteristiche proprie e con particolare
risalto nel quadro delle vicende dei paesi che si trovano lungo la costa
nordafricana: realtà sempre più certe e ricche di fascino via via che le
scoperte archeologiche e il progresso delle indagini offrono nuovi elementi
di conoscenza e di giudizio.
Nei due anni seguenti, 1970 e 1971, lo studio dalla città si ampliò a quello
del territorio, con una ricognizione topografica puntuale che ha permesso di
individuare una serie di centri fortificati punici lungo la riva destra del fiume
Seybouse, via di penetrazione verso l’interno del paese, base fondamentale
di studio per sostanziare ipotesi su modi e tempi di una strategia insediativa,
in cui Cartagine svolse un ruolo importante.
Nel corso dello studio e dell’esame critico dei materiali archeologici è nata
l’idea di organizzare la mostra I Fenici in Algeria, che intende riproporre
in maniera attuale, attraverso l’esposizione di materiali dei Musei algerini,
la questione della presenza fenicio-punica in Algeria, ma anche quella
dell’influenza che la cultura di Cartagine esercitò sulle popolazioni
indigene. Il progetto scientifico dell’esposizione è stato realizzato in stretta
collaborazione da Lorenza-Ilia Manfredi, Primo Ricercatore del CNR,
e Amel Soltani, Conservatore capo del Musée National des Antiquités
d’Algeri.
Paola Santoro
Direttore dell’Istituto di Studi sulle Civiltà Italiche
e del Mediterraneo Antico del CNR
Sommario
Introduzione
Mediterraneo e dei rapporti tra Oriente e Occidente; la sezione dell’Algeria
fenicio-punica, con i suoi monumenti e reperti; infine la sezione del Sahara.
Il percorso espositivo tiene conto anche delle esigenze dei visitatori più
giovani: per loro e per le scolaresche è stato concepito e sviluppato un
percorso che li aiuti a comprendere gli aspetti fondamentali di questa civiltà
attraverso un linguaggio chiaro, accessibile e attraente.
1
Le rotte di navigazione fenicie nel Mediterraneo antico.
5 Introduzione
I FENICI VERSO L’OCCIDENTE
Sandro Filippo Bondì
1
I l movimento di espansione dei Fenici nel Mediterraneo rappresenta
8 per Nora farebbe intendere la celebre stele con iscrizione fenicia, datata
all’VIII sec. a.C., che menziona un santuario dedicato al dio cipriota Pumay
(di nuovo, come si vede, ritorna accanto a quella fenicia un’altra componente
proveniente dalle regioni orientali del Mediterraneo).
10
1
Isola di Rachghoun, Orano.
11 I Fenici verso l’Occidente
Di tale situazione ci restituisce un vivido quadro un celebre passo biblico,
Sandro Filippo Bondì
quello che nel libro del profeta Ezechiele è dedicato ai commerci di Tiro
(XXVII, 12-24) e che l’analisi di Giovanni Garbini ha permesso di riferire
proprio alla prima metà dell’VIII sec. a.C. e dunque al periodo in cui i
Fenici sono impegnati nella costruzione della loro rete coloniale. L’affresco
contenuto nel passo citato registra la presenza commerciale fenicia
praticamente in tutte le regioni del Vicino Oriente, dall’Armenia all’Arabia
meridionale, dalla Siria-Palestina all’Assiria; e non mancano riferimenti
all’area del Mediterraneo, da Cipro alle isole dell’Egeo.
La seconda rotta muoveva verso il Delta del Nilo e proseguiva poi per Creta
e per Malta. Di qui ci si poteva ricongiungere all’itinerario sopra descritto
ovvero puntare su Cartagine e proseguire lungo il litorale nordafricano
fino alle Colonne d’Ercole e oltre. Spicca in questo quadro la funzione
Sandro Filippo Bondì
Il quadro fin qui tracciato circa le presenze fenicie in Occidente deve essere
necessariamente integrato da un riferimento a un altro tipo di frequentazione,
quella esclusivamente commerciale, che portò i Fenici in bacini diversi da
quelli su cui ci siamo finora soffermati; a Rodi, nel resto dell’area egea,
15
nell’Italia peninsulare, nella Sicilia orientale e nell’Etruria. Da un lato le
fonti letterarie antiche e dall’altro le scoperte archeologiche indicano una
presenza attiva dei commercianti fenici, documentata, per ciò che concerne
l’archeologia, soprattutto dai materiali pregiati di produzione fenicia
tesaurizzati in queste regioni. La bronzistica figurata, le coppe metalliche
istoriate, gli avori, i gioielli ritrovati in vari contesti archeologici ne sono
gl’indicatori più rappresentativi, mentre anche a livello di alcune costumanze
introdotte dai Fenici (per esempio l’uso di bere vino con l’utilizzo di
specifici corredi potori) mostra che l’influenza da loro esercitata non si limitò
all’introduzione di taluni materiali, ma portò in vari casi all’affermazione di
particolari ‘ideologie’ e di status symbols di derivazione orientale.
Bibliografia
Sandro Filippo Bondì
16
FENICI E PUNICI NELL’ALGERIA ANTICA.
considerazioni di geografia
storica
Federico Mazza
2
I l geografo greco Strabone ha scritto: «È soprattutto il mare che disegna i
Federico Mazza
contorni della terra e le dà la sua forma, modellando i golfi, gli oceani, gli
stretti e così anche gli istmi, le penisole e i promontori (…); attraverso queste
caratteristiche naturali noi possiamo formarci una chiara percezione di
continenti, nazioni, favorevoli posizioni di città e di tutti gli altri particolari
che compongono la carta geografica» (Strabone, II, 5,17).
In effetti, sin dai tempi più antichi per i Greci il mare non era soltanto una
‘distesa salata’ (thalassa, als), ma anche un ‘percorso/passaggio’ (pontos)
che, nei mari chiusi allora frequentati (si pensi in particolare all’antico Mar
Nero, significativamente denominato Ponto Eusino), consentiva innanzi
tutto agli uomini di incontrarsi e di commerciare, servendosi delle navi che
ne percorrevano le rotte congiungendo tra loro i vari insediamenti dislocati
lungo i litorali (Od., IX, 127-129).
I Fenici furono ben presto, sin dagli inizi del I millennio, tra i principali
protagonisti delle esplorazioni e delle frequentazioni di entrambe le sponde
dell’estremo Occidente mediterraneo e, al di là di esso, di quelle atlantiche,
esplorazioni nel corso delle quali costeggiarono anche le rive dell’antica
Algeria, istituendo dapprima approdi per la sosta e il rifornimento e
fondando in seguito stabili insediamenti.
20
1
La costa algerina da Tipasa in direzione di Cherchel, l’antica Iol-Caesarea.
21 Fenici e Punici nell’Algeria antica. Considerazioni di geografia storica
alle coste della Penisola Iberica. Si tratta dunque di un fattore che, in linea
Federico Mazza
Questa regione cosiddetta ‘dei Tell’, avamposto del vero e proprio Atlante
sahariano più a sud, determina una costa prevalentemente rocciosa, in cui
sono scarsi i porti naturali o le insenature riparate e nella quale non si aprono
vaste distese pianeggianti, ma piuttosto piccole pianure sul fondo di valli
alluvionali. Tale conformazione non consentiva pertanto, specialmente
nell’antichità, agevoli comunicazioni tra la costa e l’entroterra, come pure tra
le diverse aree dei Tell, anche a causa di una rete idrografica molto frazionata
e con corsi d’acqua di limitate dimensioni, a eccezione del più lungo e
articolato Chéliff.
19, 1), sulla base di non specificate fonti fenicie, riguardo all’antichità della
fondazione della città di Hippo. Infatti, non è possibile stabilire se lo storico
romano si riferisca a Hippo Regius (l’attuale Annaba, appunto in Algeria),
oppure a Hippo Dyarrhitus (l’attuale Biserta in Tunisia): il toponimo è lo
stesso e comunque fino a oggi i ritrovamenti archeologici in entrambi i siti
hanno evidenziato soltanto resti di epoca punica non anteriori al V sec. a.C.
In effetti, è soltanto per una fase cronologica più avanzata che le fonti
tramandano qualche notizia più precisa relativamente alla geografia storica
dell’Algeria. Alcuni dati puntuali sono, in particolare, contenuti nel Periplo
dello Pseudo-Scilace, composto probabilmente intorno al IV sec. a.C. e che
peraltro riflette verosimilmente la situazione corrispondente all’espandersi
della presenza cartaginese e del suo progressivo controllo del litorale
nordafricano. Si tratta tuttavia, ancora una volta, di indicazioni molto limitate
e schematiche, che denunciano la loro discendenza da fonti che avevano
come obiettivo primario la funzione pratica di ausilio agli itinerari marittimi
e che quindi si risolvono in una serie di nomi di località citate in sequenza
e corredate a volte da scarne indicazioni funzionali al riconoscimento dei
luoghi e alla misurazione delle rispettive distanze.
Il Periplo menziona diverse città della costa algerina, ma tra queste più
d’una rimane per noi ancora difficilmente identificabile, come nel caso di siti
quali Hebdomos, Mes, Akion, Chalca o Arylon, che il trattato colloca tra le
ben note Iol e Siga.
Analogo discorso si può fare per i toponimi che iniziano con la ‘I’, lettera
che per i filologi semitici sta a indicare il termine fenicio ’y, significante
25
‘isola’, e che compare come preformativo in alcuni nomi di ben note
località dell’Algeria, come la stessa Algeri (in fenicio ’yksm, dal probabile
significato di ‘Isola dei gufi’, da cui il calco greco Ikosion e latino Icosium),
la località di Jijel (in latino Igilgili, da un possibile etimo fenicio *’y-glgl
‘Isola del teschio’), o ancora Iol-Caesarea, l’attuale Cherchel, che nel primo
nome rivelerebbe anche in questo caso una possibile etimologia fenicia
ricostruibile come ’y-hl, dal significato ‘Isola di sabbia’, con riferimento
all’antico isolotto antistante il porto.
2
Veduta del fiume
Naturalmente, si possono individuare ancora altri toponimi dell’Algeria antica Tafna nei pressi di
Takembrit, l’antica
che lasciano intravedere etimologie spiegabili con una derivazione dalla Siga.
lingua fenicia, come, per es., Cartili, Cartenna o anche la stessa Cirta, nelle
Federico Mazza
3 Bibliografia
Busto di Giuba II
(25 a.C. - 23 d.C.).
Cherchel, Museo.
J. Desanges, Recherches sur l’activité des Méditerranéens aux confins de l’Afrique,
Rome 1978.
A. Peretti, Il Periplo di Scilace, Pisa 1979.
F. Prontera (a cura di), Geografia e geografi nel mondo antico, Roma-Bari 1983.
S. Moscati (dir.), I Fenici, Milano 1988.
S. Gsell, Atlas archéologique de l’Algérie, Alger 1997.
M. Tahar Mansouri (éd.), Le Maghreb et la mer à travers l’histoire, Paris 2000. 27
C. Sintes – Y. Rebahi, Algérie antique (Catatalogue de l’exposition, Arles 26 avril –
17 août 2003), Arles 2003.
S. Lancel, L’Algérie antique. De Massinissa à Saint Augustin, Paris 2003.
J.M. Candau Moron – F.J. Gonzalez Ponce – A.L. Chavez Reino (coords.),
Libyae lustrare estrema. Realidad y literatura en la vision grecoromana de Africa.
Homenaje al Prof. Jehan Desanges, Sevilla 2008.
M.E. Aubet, Tiro y las colonias fenicias de Occidente, Barcelona 20093.
L’algeria fenicio-punica
Lorenza-Ilia Manfredi
3
L a storia della presenza fenicia nell’Algeria antica comincia con gli
L’Algeria fenicio-punica
insediamenti costieri alla fine del VII sec. a.C. e non risulta direttamente
legata alle grandi città dell’Oriente, ma ai centri fenici della Penisola Iberica.
I porti della costa algerina erano, infatti, le principali tappe della rotta
verso Cartagine e l’Oriente delle materie prime e dei prodotti provenienti
dall’estremo Occidente.
A partire dal IV sec. a.C., infatti, Cartagine, ormai divenuta a tutti gli effetti
una potenza radicata sul territorio africano, si impegna nel consolidamento
e nella riorganizzazione delle regioni sotto il suo controllo e non tutte le
antiche fondazioni fenicie sono integrate e mantengono il proprio ruolo
Lorenza-Ilia Manfredi
Polibio (III, 33, 5-16) e Plinio (V, 22) ricordano che i Greci definivano
metagonite le città costiere numide che si estendevano tra i fiumi Ampsaga
(Oued Rhummel) e Molucca (Oued Kelif) e che rappresentarono per
Cartagine il vero ponte tra l’Estremo Occidente, l’Africa e il lontano Oriente.
Tali centri, in particolare, dovettero svolgere durante la seconda guerra
punica un ruolo particolarmente attivo nell’ambito della politica di Cartagine.
La perdita della Sicilia nel 241 a.C., della Sardegna nel 238 a.C. e delle
Baleari nel 217 a.C., rese la costa algerina di vitale importanza nella politica
internazionale della metropoli. È in relazione a questo periodo, infatti, che le
fonti classiche parlano di spostamenti e stanziamenti di truppe e di ostaggi
(Polibio, III, 33, 5-16; Tito Livio, XXI, 21, 11-13; XXI, 22) nelle città
L’Algeria fenicio-punica
a.C. si possa ricostruire tra la costa nordafricana e quella spagnola una rete
economica di notevole spessore come documentato dalla distribuzione
delle anfore (di grande interesse il ritrovamento a Hippo Regius, Annaba,
di un’anfora iberico-punica del V sec. a.C.) e delle monete puniche di
epoca annibalica. Particolare rilevanza fu raggiunta durante la seconda
guerra punica dai porti posti tra Gunugu (Sidi Brahim, Gouraya) e Saldae
(Bejaia). Qui gli scali regolari, che distano l’uno dall’altro circa 30-40 km,
presentano una documentazione archeologica che non è più antica del IV
sec. a.C. e si concentra soprattutto nel III sec. a.C. Cartagine, pur avendo
importanti interessi economici in queste città metagonite, non sembra aver
esercitato su di esse un dominio sistematico di tipo territoriale. La presenza
cartaginese nella zona pare, infatti, esprimersi essenzialmente attraverso il
potenziamento di alcuni capisaldi.
32
1
Veduta di Capo Bourgourun.
33 L’Algeria fenicio-punica
L’adozione della iconografia Iside/tre spighe evidenzia, da un lato, l’aspetto
Lorenza-Ilia Manfredi
Per quanto riguarda il toponimo, attestato anche nella sua forma numidica
kirtat,
. gli studiosi si dividono su una sua origine libica o fenicia. Il centro,
povero di resti archeologici inglobati e trasformati in un abitato rimasto
fulcro della regione nel corso dei secoli, deve la sua fortuna economica
alla posizione strategica. Il particolare status di Cirta si rispecchia in modo
evidente nella monetazione neopunica del II sec. a.C., le cui leggende
riportano il nome della città e la formula di datazione dove compaiono i
nomi dei due magistrati municipali che hanno ordinato l’emissione, i sufeti.
L’Algeria fenicio-punica
L’indicazione risulta di grande interesse dal punto di vista amministrativo,
in quanto colloca Cirta tra le città sufetali a prevalente popolazione libica,
governata almeno alla fine del III sec. a.C. da personaggi con nomi e cariche
cartaginesi. L’ipotesi trova conferma nel rinvenimento nel tofet neopunico
di 850 stele, che rendono la città il secondo centro religioso di tradizione
punica del Nord Africa. Questo non implica necessariamente una fondazione
o una forte concentrazione etnica punica e probabilmente Cirta è sempre
rimasta una città numida retta da una comunità di cittadini cartaginesi con a
capo i sufeti. Tale impianto istituzionale trova continuità nel ruolo di capitale
svolto successivamente da Cirta nel regno numida e nell’assetto mantenuto
dalla confederazione di Cirta in epoca romana.
36
2
Veduta del sito di Guelma, l’antica Calama, dal teatro romano.
37 L’Algeria fenicio-punica
e i Mauri – stanziati, secondo Strabone (XVII, 3, 2), nella regione nord-
Lorenza-Ilia Manfredi
D’altro canto, notevole fu anche l’ingerenza numida negli affari dello stato
di Cartagine. Sono le élites numide, durante la rivolta dei mercenari del
241 a.C., a organizzare le popolazioni libiche presenti all’interno dello stato
punico, sostenendo le loro rivendicazioni sociali e facendo dell’‘africanità’
(termine da intendersi non in senso etnico ma come ‘altro’ rispetto al punico),
un valore politico in opposizione a Cartagine. La definitiva sconfitta della
metropoli nel 146 a.C., trova proprio in Massinissa, re dei Numidi, uno
dei principali fautori, ma, al contempo, il sovrano sarà anche l’erede e il
continuatore della tradizione istituzionale e amministrativa di Cartagine, colui
che riuscirà a portare a termine il processo di ‘africanizzazione’ delle strutture
statali fenicie al quale si era strenuamente opposta l’oligarchia cartaginese.
Tra il IV e il III sec. a.C. si possono individuare tre entità politiche, tre
confederazioni di comunità tribali più che regni: a ovest il regno dei Mauri
(dall’Atlantico al fiume Molucca); il regno dei Massesili (dal Molucca
all’Ampsaga, oggi Oued el-Kebir), il regno dei Massili fino al confine con
Cartagine. Tuttavia, ancora durante la prima guerra punica i capi numidi
che approfittano dell’arrivo dei Romani per appropriarsi delle terre puniche
sono Numidi senza re, vale a dire popolazioni organizzate in comunità
38 controllate da principi o capi tribù (il dato potrebbe trovare conferma nelle
iscrizioni del tofet di Cirta, nelle quali sembrano essere stati individuati
personaggi appartenenti a clan o a tribù, nonché capi di tribù non ancora
unificate in regni).
Soltanto con la seconda guerra punica (219-201 a.C.) si hanno notizie certe
del regno dei Massesili e del suo re Siface, che nel 205 a.C. sconfigge il
giovane principe massilio Massinissa annettendone il territorio. Fino al
203 a.C. il regno ha due capitali, a ovest Siga e a est Cirta. Con la sconfitta
di Siface alleato del generale Asdrubale nei pressi di Cirta, Massinissa
riconquista la città e nel 202 a.C., dopo la battaglia di Zama e la
distruzione dell’esercito cartaginese, Siface viene portato in esilio in Italia
dove morirà esule. Il regno dei Massesili non scomparirà completamente,
ma non potrà più competere con quello di Massinissa che si estenderà fino
L’Algeria fenicio-punica
alla Tripolitania.
Nel 206 a.C. l’incontro a Siga, alla corte di Siface, tra il generale
Asdrubale proveniente da Cadice e Scipione proveniente da Cartagena,
sancisce l’apertura del regno numida alla politica internazionale. La
conclusione della seconda guerra punica segna anche la fine dell’influenza
cartaginese sulle città metagonite e l’impedimento imposto da Roma a
Cartagine, dopo la sconfitta di Zama del 201 a.C., di stringere alleanze
senza il consenso romano, libera i Numidi dal rapporto privilegiato con
i Punici e li proietta in uno scenario politico mediterraneo rivolto anche
alle città greche. In tale mutato contesto, diventa strategico il controllo
della costa che permette prima a Massinissa e successivamente a suo figlio
Micipsa di diventare i maggiori fornitori di prodotti cerealicoli a Roma.
Tuttavia, i regni numidi e mauri, che si aprono alla romanizzazione dopo
la distruzione di Cartagine del 146 a.C., sono fortemente punicizzati e
rimarranno tali fino all’epoca imperiale.
nella capacità di coagulare due realtà differenti: quella delle tribù e delle
comunità rurali delle pianure interne e quella delle città e delle aree
suburbane. I re numidi riuscirono a unificare i due aspetti sviluppando
un’ideologia regale basata sulla natura divina del sovrano e mantenendo
le strutture amministrative di tradizione cartaginese ampiamente radicate,
soprattutto nei centri urbani dove la punicizzazione era più profonda. Il
regno numida, infatti, sviluppa un duplice sistema fiscale che rispecchia
la dualità del regno stesso: da un lato, le tribù libiche che conservano una
loro autonomia dal potere centrale e che pagano un tributo di cui non si
può definire né la natura né la regolarità, ma che sicuramente comprendeva
quote dei prodotti agricoli, pastorali e contingenti di mercenari; dall’altro,
le città, nelle quali il sistema di prelievo fiscale prevede l’organizzazione
del territorio in circoscrizioni amministrative sottoposte al controllo
di funzionari regi, scelti tra i notabili delle città e che, come si è già
evidenziato, sono fortemente punicizzati.
Bibliografia
Jean-Pierre Laporte
4
N el corso degli anni ’50, sulla base della presunta incapacità della
Jean-Pierre Laporte
44
2
Veduta aerea degli scavi nell’isola di Rachgoun.
45 La punicizzazione dei territori numidi in Algeria
e culturale nel mare di Alboran, la ‘cultura dello Stretto’. L’Algeria centrale
Jean-Pierre Laporte
era a sua volta ben situata per commerciare direttamente con Cartagena e
le isole del Mediterraneo occidentale. In entrambi i casi, la punicizzazione
sembra essersi limitata ad alcuni scali lungo la costa, senza nessuna
apparente conseguenza per l’entroterra. La costa manifestò così un’impronta
punica nei suoi toponimi principalmente libici, con i prefissi punici Rus-
(capo) e I- (isola).
L’Est algerino evidenzia una facies sensibilmente diversa, derivante dalla sua
46 grande prossimità al territorio cartaginese, sia via mare sia via terra. Questa
regione ha conosciuto una punicizzazione molto più profonda, sia sulla
costa che all’interno, per intensità e durata. In un territorio indiscutibilmente
numidico, per esempio, si nota una località chiamata Macomades (in punico
‘mercato nuovo’), vicino all’attuale Oum el-Bouaghi. La ripartizione delle
iscrizioni evidenzia concentrazioni d’iscrizioni puniche in mezzo a zone dove
le iscrizioni libiche sono numerose. Inoltrandosi sempre più verso est, si nota
a N’Gaous, durante il III sec. d.C., e cioè ben quattro secoli dopo la caduta
di Cartagine, l’espressione molchomor ad indicare il sacrificio di una pecora
a Saturno su diverse stele con dediche latine. La sopravvivenza della lingua
punica è ormai ben attestata in diversi luoghi (Ippona, Fussala, Madaure,
3 Macomades, Calama ecc.) fino all’epoca di Sant’Agostino (inizio V sec. d.C.)
Il sito di Mersa
Madakh. e probabilmente oltre.
L’origine, le modalità e la natura esatta di questa
Bibliografia
Ritual and Sacrifice in the Ancient Near East. Colloque de Louvain (= Orientalia
Lovanensia Analecta, 55), Leuven 1991, pp. 125-133.
S. Lancel, Algérie: V. Krings (éd.), Civilisation phénicienne et punique, Leiden-
New York-Köln 1995 (spec. cap. 14: S. Lancel, Algérie, pp. 786-795).
A. Krandel-Ben Younes, La présence punique en pays numide, Tunis 2002.
G. Sennequier – C. Colonna, L’Algérie au temps des royaumes numides (Catalogue
de l’exposition, Rouen 16 mai - 17 oct.), Rouen 2003.
C. Lepelley, Témoignages de Saint Augustin sur l’ampleur et les limites de l’usage
de la langue punique dans l’Afrique de son temps: C. Briand-Ponsart (éd.),
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(Algérie): C. Briand-Ponsart (éd.), Identités et culture dans l’Algérie antique,
Rouen-Havre 2005, pp. 35-43.
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(éd.), Carthage et les autochtones de son empire du temps de Zama (Colloque
International, Siliana -Tunis du 10 au 13 mars 2004) = Hommage à Mhamed
Hassine Fantar, Tunis 2010, pp. 379-393.
48
IL MARE E LA NAVIGAZIONE
5
U n ben noto brano della Bibbia, la profezia di Ezechiele, che prevede
Piero Bartoloni
50 l’attuale Stella Polare, che forma l’estremità della coda della costellazione
dell’Ursa Minor e che alla fine del secondo millennio era ben distante dal
polo celeste a causa del movimento di rotazione dell’asse terrestre, noto con
la denominazione di ‘precessione degli equinozi’. L’astro più vicino al nord
astronomico era invece la stella Kochab, che rappresenta la zampa anteriore
sinistra della stessa costellazione dell’Ursa e che era comunemente nota nel
mondo antico con il nome significativo di Stella Phoenicia.
Dice Erodoto: «Neco re d’Egitto (...) mandò dei Fenici su navi ordinando
loro che al ritorno, passando attraverso le colonne d’Ercole, navigassero
fino al Mare Boreale e per questa via ritornassero in Egitto. I Fenici (...)
partiti dal Mar Rosso navigavano sul Mare Australe (...) ogni volta che
sopraggiungeva l’autunno approdavano e seminavano la terra e aspettavano
là la mietitura (...) in modo che, trascorsi due anni, al terzo, doppiate le
Colonne d’Ercole, giunsero in Egitto. E raccontavano per me cose non
credibili, ma per qualche altro sì, cioè che circumnavigando la Libia avevano
il sole a destra» (IV, 42, 2-4).
Ci si è spesso chiesti quali rotte seguissero i Fenici nel loro percorso verso
Occidente e il perché di tali scelte. Potrà sembrare strano, ma è probabile che
51
i Fenici seguissero soprattutto le vie naturali del tonno. Certo, la ricerca dei
metalli preziosi costituiva il primo motore delle loro straordinarie imprese,
ma la imprescindibile necessità di cibo, sia nelle città della madrepatria sia
durante la navigazione e in zone ostili o comunque deserte, deve averli spinti
a cercare anche nel mare il loro sostentamento. A questo proposito si ricordi
il già citato periplo del continente africano, con le soste stagionali effettuate
per la mietitura. 1
Ricostruzione
di una
imbarcazione
Tornando alle vie del tonno, non esistono al momento prove dirette di questo cartaginese
assunto, ma un insieme di indizi porta a credere nella sua ragionevolezza. di piccolo
cabotaggio.
Dapprima gioca a favore la grande tradizione dell’industria conserviera del III sec. a.C.
pescato che avevano i Fenici. Si pensi per es. al famoso garum gaditanum,
Piero Bartoloni
salsa nota nel mondo antico prodotta soprattutto a Cadice con pesce azzurro,
quindi anche con il tonno, e tanto importante nell’economia della città che
questo pesce era addirittura effigiato sulle sue monete. Inoltre, si pensi a città
di fondazione fenicia, scomparse fin dall’età romana, quali per es. Tunisa,
presso Ras Zebib, e Missua, presso Ras el-Ahmar, località in cui fino agli
anni Sessanta del secolo scorso erano ancora attive le tonnare, ormai assai
distanti dagli abitati contemporanei di riferimento.
anche nella marineria greca, era di forma conica allungata e, per aumentarne
la consistenza e la capacità di penetrazione, era appuntito e fasciato con
lamine di bronzo. Un altro tipo, entrato poi largamente in uso nella marineria
cartaginese e romana, secondo l’antica tradizione letteraria era nato nei
cantieri etruschi. Questo rostro si presentava con una massa bronzea fornita
di tre cuspidi allineate verticalmente. Il rostro di tipo orientale, adottato in
genere fino al IV sec. a.C., penetrava facilmente nella carena avversaria,
ma era maggiormente soggetto a danneggiamenti, come vedremo in seguito
anche dalla sorte delle navi focee di Alalia; quello di origine etrusca invece,
utilizzato soprattutto nel Mediterraneo occidentale e, dall’età ellenistica, in
tutto il bacino, doveva sfondare la carena senza penetrare all’interno, ma
poiché una delle cuspidi era situata sotto la linea di galleggiamento, per l’urto
apriva una falla difficilmente riparabile nel fasciame della nave avversaria.
Dando inizio alla breve rassegna, si tratterà delle navi da guerra. Visto che
lo scopo primario animatore dei fatti d’arme era quello di neutralizzare la
nave nemica mettendola in condizione di
non nuocere e, quindi, preferibilmente
di affondarla, il tipo più elementare di
nave da battaglia era certamente quello
rappresentato da una imbarcazione
aperta, cioè senza ponte di coperta, mossa
esclusivamente dalla forza dei rematori
e dunque senza l’ausilio della vela. Se
per le navi da carico era fondamentale
un’ampia carena, atta a contenere un
carico quanto più cospicuo possibile, a
discapito della velocità e dell’agilità, per
le navi da guerra era invece indispensabile
la rapidità di manovra, alla quale era
affidata sostanzialmente la loro salvezza. Quindi, l’imbarcazione destinata
al combattimento doveva essere non solo più lunga che larga, come si
conveniva e ovviamente si conviene a ogni tipo di natante, ma la lunghezza
era esasperata appunto per ospitare il maggior numero possibile di rematori
e fendere l’acqua come una freccia.
56 guerra utilizzati dalle città fenicie nel corso della loro storia ed è interessante
notare come le partigiane fonti greche e latine attribuiscano pur di mala
voglia alla marineria fenicia l’invenzione di alcuni tipi di questi natanti.
Ovviamente, resta da stabilire a quale dei popoli rivieraschi del Mediterraneo
orientale siano da attribuire, visto che costoro erano sempre accomunati dal
nome di Phoinikes.
Il tragitto ordinario delle navi avveniva solo con l’ausilio della velatura,
mentre, durante i fatti d’arme, l’albero, il pennone e la vela venivano
ammainati e, come già ricordato, in molti casi addirittura sbarcati, affinché
non costituissero un ostacolo nel combattimento. Così, durante la battaglia il
moto della nave era garantito esclusivamente dai rematori, mentre la scelta
della direzione era assicurata dai due timoni, o meglio, dai due remi di
governo che erano assicurati ai giardinetti di dritta e di sinistra. La velocità
di queste navi durante l’andatura a vela era di circa 3 nodi, pari a circa 5
km all’ora, mentre, con l’ausilio aggiuntivo dei remi, poteva agevolmente
raggiungere i 6 nodi, pari a poco più di 10 km all’ora.
È attorno al 701 a.C. che comparve in Fenicia, raffigurata sui rilievi assiri
del palazzo di Sennacherib, la famosissima ‘diera di Luli’. Luli, re di Tiro
noto anche con il nome greco di Elulaios, assediato dal sovrano assiro, fuggì
È con gli inizi del VII sec. a.C. che apparentemente iniziò a navigare quella
che, almeno fino all’età ellenistica, fu la regina incontrastata del mare,
ancorché la critica storica abbia ampiamente dimostrato che l’utilizzo diffuso
in linea della trireme probabilmente non sia anteriore alla seconda metà del
VI sec. a.C. Era una nave – la trireme o triera – che, nelle sue dimensioni
canoniche, raggiungeva la lunghezza di circa 35 m e la larghezza di poco
L’equipaggio era composto da 170 rematori divisi su tre file per ogni lato,
ma, mentre le due file inferiori erano composte da 27 rematori ciascuna,
quella superiore, sfruttando la maggiore lunghezza dello scafo a quel livello,
ne allineava 31. Sulla sommità del fasciame era collocato il cosiddetto
‘posticcio’; si trattava di una struttura pensile e aggettante esternamente dove
remavano i thranitai, cioè i rematori della fila superiore; nelle altre due file,
intermedia e inferiore, remavano, rispettivamente gli zygitai (54 in totale) e i
thalamitai (54 in totale). Le cubie di remeggio di queste due file di rematori
si aprivano lungo la carena ed erano protette dalle onde con delle guaine di
cuoio. I remi superiori erano di lunghezza non inferiore ai 4,5 m, per 4
Sezione
superare la distanza tra il posticcio e il pelo dell’acqua, mentre assonometrica
della parte
quelli inferiori erano appena più corti. Oltre ai 170 uomini anteriore di
ai remi, la trireme aveva un equipaggio di 30 una pentera
cartaginese.
uomini, con funzione di graduati, di fanti di III sec. a.C.
Con questo tipo di nave furono combattute la battaglia di Salamina così come
tutte le guerre sui mari condotte durante la Guerra del Peloponneso e nei
fatti d’arme connessi in cui furono coinvolte le satrapie persiane, sotto le cui
insegne militavano le marinerie delle città fenicie. Del resto, occorre tenere
presente che, quando si menzionano le flotte persiane, in realtà sarebbe più
corretto parlare di flotte fenicie, poiché erano le città della costa libanese a
Piero Bartoloni
Passando ai tipi di nave in uso nella prima età ellenistica, lo stesso Aristotele
e Plinio il Vecchio (Nat. Hist., VII, 207) attribuiscono ai Cartaginesi
l’invenzione della tetrera nel IV sec. a.C. L’invenzione era costituita dal
ritorno all’utilizzo di una sola fila di remi per ogni lato, ma all’applicazione
di ben 4 rematori in linea, cioè uno accanto all’altro, per ciascun remo. Ciò
rendeva il remeggio abbastanza lento ma certamente più costante e duraturo.
Ogni tetrera aveva 25 remi per lato e quindi un equipaggio di 200 rematori,
ai quali andavano aggiunti circa 30/40 marinai di coperta e fanti di marina.
Immediatamente prima delle Guerre Puniche vide la luce quella che era
5
Ricostruzione
considerata la regina dei mari dell’età ellenistica: la pentera. Era una nave
di una pentera da battaglia lunga circa 40 m e larga circa 6, armata con i consueti 25 remi,
cartaginese.
III sec. a.C. ai quali venivano applicati 5 rematori per ciascuno. Gli scafi erano dotati di
un ponte di coperta praticabile per tutta la larghezza e avevano due castelli,
eretti rispettivamente a prua e a poppa. Su quello di prua trovavano posto
le catapulte o i mangani che lanciavano pietre o frecce infuocate sulle navi
avversarie. Davanti al castello di prua veniva eretta l’insegna simbolica o
una statua della divinità sotto la cui specifica protezione era posta la nave. In
altri casi si trattava di riproduzioni di animali marini, quali per es. i delfini,
60 che potevano alludere probabilmente alla velocità stessa della nave, oppure
di una immagine apotropaica, quale una protome mostruosa di demone o di
animale feroce, destinata in questo caso a incutere timore nel nemico.
In ogni caso, ritengo sia opportuno premettere che, sia per la cronologia
dello scontro sia per il naviglio da guerra in circolazione in quel periodo, è
praticamente certo che le navi di tutti i contendenti appartenessero alla classe
delle pentecontere. Per quanto riguarda la flotta focea, infatti, non sembrano
sorgere problemi, poiché lo stesso Erodoto ci informa della tipologia del
naviglio che la componeva. Per le flotte alleate etrusco-cartaginesi, invece,
lo storico non fornisce notizie più ampie, ma è praticamente certo che il
loro nerbo fosse costituito anch’esso da pentecontere, anche se non si può
escludere a priori che alla battaglia abbiano partecipato anche alcune triere.
Infatti, nel periodo del conflitto (come già detto probabilmente il 535 a.C.),
le navi di questo tipo si avviavano a essere abbastanza diffuse ed entro i
decenni successivi sarebbero divenute la classe navale dominante di tutte le
flotte del Mediterraneo.
che tutte le strutture portanti delle navi convergevano appunto nel rostro,
il quale, a sua volta, null’altro era se non l’estremità prodiera della chiglia,
asse portante dell’intera imbarcazione. La composizione e il numero degli
equipaggi delle pentecontere focee partecipanti alla battaglia di Alalia hanno
costituito lo spunto per tentare una ricostruzione del numero degli abitanti
dell’antica città. Il presupposto di questo computo è stato che ai remi fossero
applicati tutti uomini liberi e che tutti fossero dei capi-famiglia. Tuttavia, se
il primo assunto è certamente corretto, per quanto riguarda il secondo, ciò
avrebbe implicato un numero esorbitante di cittadini. Infatti, se ci si limita
al conteggio del personale imbarcato, 80 capi-famiglia (50 rematori più 30
marinai combattenti) per 60 pentecontere avrebbe implicato la presenza
ad Alalia di 4.800 famiglie e quindi, considerando un numero minimo di
4 persone per ogni nucleo familiare, di circa 20.000 abitanti, cioè di una
cifra improponibile per l’epoca e per una città fondata non più di trent’anni
prima del fatto d’arme. Oltre al resto, il trasporto via mare di una tale
quantità di persone, tra cui donne e bambini, utilizzando le pentecontere, che
notoriamente avevano poco spazio a bordo, avrebbe implicato l’uso di una
flotta di enormi proporzioni.
Dunque, è possibile che i Focei di Alalia, quali rematori per le loro navi,
non abbiano impiegato esclusivamente dei capi-famiglia, come suggerito
da M. Gras (1985), ma più membri per ciascun nucleo familiare, così come
per il trasporto degli abitanti dopo la battaglia siano state utilizzate non le
pentecontere bensì alcune olkades, navi onerarie simili al gauloi fenici,
certamente più capienti e senza dubbio più confortevoli per il trasporto delle
donne e dei bambini.
Bibliografia
L. Basch, Phoenician Oared Ships: Mariner’s Mirror, 55, 2-3 (1969), pp. 139-162,
227-245.
G. F. Bass (a cura di), Navi e civiltà. Archeologia marina, Milano 1974.
P. Xella, Un’uccisione rituale punica: Saggi Fenici-I (= Collezione di Studi Fenici,
6), Roma 1975, pp. 23-27.
L. Casson, Navi e marinai dell’antichità, Milano 1976.
P. Bartoloni, Le figurazioni di carattere marino rappresentate sulle più tarde stele
63
IL MARE E LA NAVIGAZIONE
5
F ino alla fine del II millennio a.C., le popolazioni dell’Africa
Il porto di Tipasa è situato sul lato est della necropoli punica orientale, non
lontano dai resti della basilica di Sainte-Salsa. L’entrata del porto antico
era protetta da due isolotti, che si trovavano di fronte; la costruzione dei
moli, dei frangiflutti e delle banchine tra le due isolette e le rive permette di
supporre che il porto avesse due entrate, una a est, l’altra a ovest. Le tracce
del sistema costruttivo sono ancora visibili sotto la superficie del mare.
Porti fluviali
Il sito di uno scalo era considerato ideale quando era situato sulle sponde
di un fiume e vicino a una foce abbastanza profonda per permettere la
navigazione delle imbarcazioni. Questo tipo di porto non richiedeva una
grande protezione e aveva bisogno solo di banchine sulla riva: se ne trovano
esempi a Lixus, il kouass sulla costa dell’Atlantico in Marocco, e a Leptis
Magna in Libia.
Porti artificiali
La categoria dei porti scavati direttamente nella roccia fu una delle grandi
peculiarità dei naviganti fenici e numerose installazioni portuali puniche
furono conosciute sotto il nome di cothon. In realtà, non si trovano esempi di
questo tipo in Algeria, ma se ne trovano altrove, in altre grandi città: i porti
di Cartagine ne rappresentano la migliore esemplificazione, con le due parti,
Mohamed Elkheir Orfali
Come si vede, è anche grazie ai loro porti che gli insediamenti fenici e
poi quelli punici riuscirono a prosperare durante tutto il I millennio a.C.,
lungo l’itinerario marittimo destinato al commercio tra le due sponde del
Mediterraneo. La maggior parte di queste installazioni, dapprima puramente
navali, si sviluppò poi in città come Cherchel, Skikda, Bejaïa, Annaba,
Jijel e Algeri: molte di esse, infine, non hanno smesso di svilupparsi e
d’ingrandirsi fino ad oggi. La città di Algeri rappresenta, a questo riguardo,
il migliore esempio.
Bibliografia
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l’Afrique septentrionale (tr. M.G. De Slane), Alger 1918.
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d’Archéologie Marocaine, 7 (1967), pp. 369-406.
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du Maghreb, 8 (1968), pp. 34-35.
G. Vuillemot, Siga et son port fluvial: Antiquités Africaines, 5 (1971), pp. 39-86.
68
IL MARE E LA NAVIGAZIONE
5
L ’abitudine a connotare in modo definitivo e rigido un ethnos con
Ida Oggiano
a Biblo, dal quale emerge che le attività economiche della città erano
amministrate da almeno due settori imprenditoriali: uno palatino, all’interno
del quale il re di Biblo aveva il ruolo di capo di una ‘azienda palatina’ che
controllava il territorio e le sue risorse; un altro privato, rappresentato da
‘ditte’che svolgevano attività regolari lungo la rotta che legava la costa 1
Carta della
orientale del Mediterraneo all’Egitto. L’evidente vivacità dei traffici nel antica Fenicia.
tratto di mare compreso tra Cipro, la costa siro-palestinese e l’Egitto
Ida Oggiano
Il IX sec. a.C. rappresenta per l’area compresa tra Siria, Fenicia e Palestina
il momento di affermazione e consolidamento di un sistema politico ed
economico nuovo e del passaggio a una nuova fase culturale. La città di
Tiro svolse un ruolo di primo piano, divenendo la più importante potenza
economica e politica della costa.
statale, ma anche per gli sfarzosi cerimoniali di corte. Proprio la ricerca dei
pregiati metalli portò i Fenici a riprendere e/o consolidare antichi contatti
con popolazioni che abitavano in aree ricche di risorse minerarie, per es.
la Sardegna, e a spingersi verso nuove regioni, come quella tartessica nel
sud-ovest della Penisola Iberica. Si andavano così ponendo le basi di quella
diaspora mediterranea che portò alla fondazione di centri lungo le coste
dell’intero bacino mediterraneo.
Una prima fase esplorativa portò le navi fenicie già nella parte finale del IX
sec. a.C. nell’area egea, a Cipro, a Rodi, a Creta (a Kommos si trova forse
una sorta di emporio legato a un luogo di culto con elementi di chiara origine
fenicia), in Sardegna (dove residenti fenici sono attestati a Sant’Imbenia,
un villaggio nuragico nei pressi di ricche aree metallifere), nella Penisola
Iberica (dove mercanti tirii entrarono in contatto con le locali aristocrazie
Oltre alle rotte che collegavano le sponde orientali con quelle occidentali
del Mediterraneo, esisteva una serie di circuiti commerciali regionali
di raggio più limitato. Uno per es., all’interno del Mediterraneo centro-
occidentale, collegava Cartagine, Mozia e Pithekoussai (da cui i prodotti
raggiungevano i centri indigeni, tra i quali si ricorda Pontecagnano), il
Latium Vetus e l’Etruria. Un altro circuito aveva nella Sardegna il punto
di snodo di contatti tra Cartagine, Mozia e le popolazioni medio-tirreniche
della Penisola Italiana. All’interno di questo circuito, un ruolo importante
ebbe la commercializzazione del vino sardo, che raggiunse le aristocrazie
dei villaggi agricoli della bassa valle tiberina insieme a preziosi servizi da
banchetto e ad altri beni di lusso importati dall’Oriente. Le colonie sarde
furono anche particolarmente attive nei rapporti con l’Etruria meridionale,
dove a Cerveteri è attestata la presenza di una ristretta comunità di mercanti
e artigiani che, al loro seguito, si trasferirono nel centro etrusco per lavorare
avori, gioielli e metalli.
La storia dei rapporti tra Oriente e Occidente non era tuttavia finita.
L’affermarsi del dominio persiano sulla Fenicia determinò una ripresa
economica sorprendente, di cui sono testimonianaza i resti archeologici dei
maggiori centri urbani, in particolare Sidone, che parlano della vivacità dei
Bibliografia
5
S ulla base delle più recenti ricerche è possibile affermare che i
82
1
Veduta aerea della penisola di Cadice.
83 I commerci nell’estremo occidente del Mediterraneo e nell’Atlantico
Massimo Botto
84
4
Due uova di struzzo tagliate
‘a maschera’ da Cartagine.
V sec. a.C.
5
Uovo di struzzo tagliato ‘a
coppa’ da Ibiza.
V-IV sec. a.C.
6
Uovo di struzzo tagliato a tre
quarti da Villaricos.
VI sec. a.C.
complesse risultano le relazioni fra Cartagine e le colonie fenicie della
Massimo Botto
Penisola Iberica. Per il V e per buona parte del IV sec. a.C. infatti i rapporti
dovettero essere essenzialmente commerciali, cioè legati alla conoscenza e
all’apertura di nuovi mercati, come sottolineato da Erodoto e dalle imprese
di Annone e Imilcone. Un impegno militare cartaginese in Spagna è
verosimile solo con la seconda metà del IV e soprattutto con il III sec. a.C.,
in relazione ai preparativi per la seconda guerra punica. In questa fase si
intensificano anche le rotte di collegamento lungo le coste del Nord Africa,
con la creazione e il potenziamento di alcuni scali strategici fra cui Rusaddir,
la moderna Melilla, come sottolineato dalle più recenti ricerche.
Bibliografia
89
IL MARE E LA NAVIGAZIONE
5
L a nostra conoscenza del fatto che gli Etruschi, nei loro rapporti
Bibliografia
J.-P. Morel, La céramique à vernis noir du Maroc: une révision: Lixus. Actes du
colloque (Larache 1989), Rome 1992, pp. 217-233.
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PRODUZIONE E MANIFATTURA
6
L a produzione, l’uso e la commercializzazione dei metalli furono
Lorenza-Ilia Manfredi
Tuttavia, dopo il IV sec. a.C. e soprattutto nel III sec. a.C. il controllo delle
miniere e della produzione del metallo sembra sganciarsi da questo sistema
per essere inserito in un più vasto e globale piano di ristrutturazione delle
risorse economiche, che probabilmente prevedeva la gestione monopolistica
di alcune di esse, quali i metalli, il sale e la produzione della porpora, il
garum, in alcuni casi in concessione anche a imprese di carattere privato.
Dalla fine del III-inizi II sec. a.C., si registra una struttura economica
1
articolata, che vede il potenziamento o la creazione di centri punici o Fasi di
punicizzati nei distretti minerari, in particolare nella Penisola Iberica, molti coniazione
delle monete
dei quali coniarono monete autonome a leggenda neopunica. antiche.
Giacimenti di piombo, zinco, ferro e rame coltivati in epoca antica sono stati
individuati nella regione di Hippo Regius (Annaba), a Kef Oum Téboul;
miniere di piombo e rame nella Bassa Kabilia tra l’antica Igilgili (Jijel) e
Saldae (Béjaïa), nella regione di Setif e nei monti dell’Houdna; di ferro
(magnetite ed ematite) nel massiccio dell’Edough (Mokta el-Hadid) e nella
zona di Chullu (Collo).
È difficile dire, infine, se gli oggetti in metallo rinvenuti nei contesti punici
algerini siano di produzione locale. Con ogni probabilità lo sono le armi in
ferro provenienti da Rachgoun e Bethioua e quelle conservate nei Musei di
Annaba e Costantina. Gli amuleti in bronzo conservati a Orano di tradizione
egittizzante sono probabilmente di importazione (Cat. nn. 177-182),
mentre di possibile fattura locale è l’amuleto femminile del
Museo di Costantina (Cat. n. 176).
Bibliografia
98
PRODUZIONE E MANIFATTURA
6
I n occasione di numerose visite di lavoro presso i principali musei algerini,
Amel Soltani
Nel corso di più d’un secolo, otto conservatori si sono avvicendati alla guida
del Musée National des Antiquités, arricchendolo con importanti collezioni
archeologiche. Per quanto riguarda la numismatica, si tratta, da un lato, di
monete provenienti da diverse città dell’Algeria rinvenute in occasione di
scavi, a partire dalla seconda metà del XIX sec. fino all’ inizio del XXI;
dall’altro lato, di collezioni provenienti da donazioni ed eredità offerte al
Museo, oppure da acquisti (come la Collezione Beugnot de Saint Seine),
o ancora da sequestri effettuati nell’ambito della tutela del patrimonio
archeologico contro il traffico illecito.
100
La politica di acquisizione, successiva alla creazione del Museo, ha offerto
un reale apporto alla composizione generale del fondo; in questo modo,
importanti tesoretti scoperti in varie città algerine hanno via via arricchito
il medagliere di Algeri. Per la mancanza di cataloghi o per registrazioni
imprecise, oggi è però molto difficile valutare con esattezza la provenienza
di certe collezioni o di taluni lotti monetali.
1
Moneta dal
tesoro di
Bougie. Tra le collezioni preromane importanti, è opportuno citare anzitutto quelle
Fine III-II sec.
a.C.
di Beugnot de Saint Seine, di Charrier, di Fayolle, la collezione St. Gsell, di
Algeri, Musée Joly ecc.: tutte raccolte private entrate a far parte del Museo generalmente in
National des
Antiquités. seguito ad acquisti.
Le collezioni monetali hanno cominciato a costituirsi fin dai primi anni
101
102 alla prima guerra punica che si distribuiscono fino alla seconda metà del II
sec. a.C. Una parte molto importante di questo medagliere è rappresentata
dalla monetazione della Numidia e della Mauretania: si tratta di 1.388
esemplari che comprendono alcuni pezzi di Siface, di Giuba I e di suo figlio
Giuba II, e poi centinaia di monete di Massinissa e dei suoi successori,
tutte provenienti da Costantina e dintorni. La monetazione delle città, per
altro verso, è costituita da 104 esemplari, rispetto ai quali Cirta si classifica
evidentemente al primo posto, seguita da Iol, Ippona e Utica.
3
Moneta da Al confronto con il medagliere di Algeri, la collezione di Cirta è composta
Cirta.
II-I sec. a.C.
da monete provenienti da siti conosciuti, mentre quella di Algeri, all’infuori
Costantina, dei tesoretti sopra citati, soprattutto da monete che provengono da collezioni
Musée National
Cirta. private e delle quali, in grande maggioranza, s’ignora la precisa provenienza.
Musée National Ahmed Zabana – Orano (ex Musée L. Demaeght)
Prima di vedere tutta la raccolta, era per noi quasi ovvio che il Museo fosse
in possesso di una grande quantità, altamente rappresentativa, di coniazioni
di Siface, tenuto conto anche dell’esistenza di una zecca molto importante
non lontano dall’attuale Orano, nonché di coniazioni mauritane di Giuba II
e di Tolomeo. Quella di Siga fu per molto tempo la seconda zecca in Africa
settentrionale a battere valuta locale; interruppe bruscamente la produzione
alla fine del regno di Micipsa, nel 118 a.C.
Bibliografia
104
PRODUZIONE E MANIFATTURA
6
N ell’ambito della categoria dei ‘metalli’ si comprendono in genere i
Naïma Abdelouahab
Frammento di rasoio
Nel suo studio sui rasoi punici, E. Acquaro (1971) ha ben evidenziato
che Cartagine non era né la sola necropoli né la sola regione dell’Africa
1 settentrionale ad avere restituito dei rasoi. Scrive a questo proposito che
Frammento di
rasoio punico l’esistenza di rasoi punici è stata segnalata in un gran numero di necropoli
in bronzo.
IV sec. a.C. ca. della Tunisia, particolarmente in quelle di Thapsus, di Hadrumetum di
Algeri, Musée Bou Hadjar, di Djebel Mlezza e di Utica. Per quel che riguarda l’Algeria,
National des
Antiquités. lo studioso menziona soltanto una necropoli: quella punica di Gouraya,
dove F. Missonnier aveva avviato degli scavi nel 1932. Tra il materiale
Campanella
Bibliografia
108
PRODUZIONE E MANIFATTURA
6
N ihil est utilius sale et sole («nulla è più utile del sale e del sole»: Plinio,
Giuseppe Garbati
Nat. Hist., XXXI, 102, 9). Il sale costituiva senza dubbio uno degli
elementi fondamentali dell’alimentazione e dell’economia delle antiche
popolazioni mediterranee. Basilare per la dieta individuale, necessario alla
produzione e alla conservazione degli alimenti, utile alla lavorazione delle
pelli e dei tessuti, e anche efficace nelle pratiche mediche, l’‘oro bianco’ era
un prodotto assai richiesto, ai fini del suo stesso consumo o come preziosa
merce di scambio. La sua importanza, del resto, è più volte ricordata
dalle fonti classiche; basti pensare che Omero ne fa uno dei prodotti che
distinguono le popolazioni civili (Od., XI, 122-125).
insediamenti, nonché la loro forte proiezione verso il mare; Luciano, per es.,
ricorda che i mercanti fenici raggiungevano il Mar Morto per il commercio
del pesce salato (Tox., 4), mentre Strabone (III, 5, 11), in relazione ai traffici
organizzati nelle estreme regioni occidentali del Mediterraneo, ci informa
che navi fenicie, forse da Cadice, scambiavano il sale con le pelli, lo stagno
e il piombo prodotti dagli indigeni delle Cassiteridi (da identificare con le
isole britanniche).
112 un’eco nelle serie monetali), è plausibile che in Occidente la gestione del
monopolio, con l’imposizione di Cartagine, abbia assunto gradualmente
una veste statale (forse ancor più centralizzata con l’avvento dei Barcidi,
Sulla base dei dati archeologici, la regione del Mediterraneo fenicio che
costituì uno dei punti più importanti per l’approvvigionamento, l’uso
e il commercio dell’‘oro bianco’ è quella dello Stretto di Gibilterra;
nell’area il reperimento della materia era profondamente legato alla
ricordata, fiorente, industria della trasformazione e del traffico del
pescato, fondamentale anche per l’intrattenimento delle relazioni
culturali e mercantili con le popolazioni locali. Peraltro, la zona, e in
particolare l’arcipelago delle Canarie, doveva mostrarsi particolarmente
favorevole allo scopo, grazie alle migrazioni stagionali di alcune specie
marine, il tonno in primis, necessarie alla realizzazione di prodotti molto
richiesti, quali il garum. Non a caso, le ricerche più recenti hanno messo
in evidenza l’esistenza di importanti stabilimenti punici di salagione
sia sulle coste meridionali della Spagna, in particolare nel territorio
gaditano (per es., presso il Teatro Andalucía nell’isola di Erytheia), sia,
pur con minore rilevanza archeologica, in quelle del Marocco atlantico
(Kouass, Lixus).
Una delle fabbriche meglio conosciute è quella iberica di Las Redes (Puerto
de Santa María, Cadice), utilizzata tra l’ultimo trentennio del V e la fine
del III sec. a.C. L’impianto era costituito da un ampio edificio pressoché
quadrangolare, suddiviso internamente in cinque ambienti, ognuno
adibito a una funzione specifica nel processo del trattamento del pescato.
Particolarmente interessante è la pertinenza al complesso di un magazzino,
113
nel quale erano conservati gli strumenti e le attrezzature per la salagione e
per la pesca.
114
PRODUZIONE E MANIFATTURA
6
N ell’immagine dei Fenici trasmessaci dall’antichità ampio risalto ha
Tatiana Pedrazzi
Nel mondo antico, i Fenici erano a tal punto rinomati per la lavorazione
della porpora da derivare il proprio nome collettivo – nella forma ad esso
attribuita dai Greci – dal vocabolo indicante il ‘rosso’ (phoinix, in greco).
Del resto, anche l’etnonimo ‘Cananei’, che a partire almeno dall’età del
Bronzo Medio designava la popolazione residente nell’area siro-palestinese,
traeva probabilmente origine, a sua volta, da una radice avente un analogo
significato, se è corretta la derivazione del nome ‘Canaan’ da un termine
accadico indicante il ‘rosso-porpora’ (kinakhkhu).
116 riportano termini relativi ai materiali impiegati nella tessitura (lana, lino)
e al personale addetto (tosatori, filatori, tessitori, follatori). Inoltre sono
presenti termini riferibili alle tinture (porpora di due gradazioni di colore
azzurro-violetto, iqnu, e rosso intenso, phm) e ai materiali da cui i pigmenti
sono estratti (conchiglie di vario tipo e una pianta identificata con la Rubia
Tinctorum). Gli annali assiri ricordano, fra i tributi provenienti dalla Siria e
dalla Fenicia, vesti e tessuti variopinti.
In Algeria, nella zona dei golfi di Orano e di Arzew, sono attestate attività
connesse alla lavorazione della porpora. In particolare, nel sito romano
di Portus Magnus, sono state ritrovate vasche che potrebbero essere
state utilizzate per la macerazione dei murici o la tintura dei tessuti, o in
alternativa per la salagione del pescato. A Les Andalouses, oltre a resti di
installazioni per la produzione dell’olio di oliva, sono attestati anche cumuli
Tatiana Pedrazzi
120
di murici, che testimoniano il coinvolgimento degli abitanti nell’industria
della porpora.
Il primato inventivo dei Fenici nella lavorazione della porpora è messo oggi
in discussione dalle scoperte archeologiche in area cretese, poiché proprio
nel mondo minoico sembra essersi sviluppata la più antica produzione
della porpora, a partire dalla metà del II millennio a.C. Tuttavia, i Fenici
contribuirono più di tutti gli altri a rendere la porpora nota e richiesta in
tutto il Mediterraneo, fino al IV sec. d.C., momento a partire dal quale
iniziò il declino irreversibile del pigmento di origine marina. Benché
ancora all’epoca di Carlo Magno vi siano notizie dell’importazione della
porpora dal Libano, in età medievale questo pregiato colorante smette
ormai definitivamente di essere prodotto, lasciando il posto ad altri tipi di
pigmento. Il colore ‘rosso-porpora’, tuttavia, resterà segno di distinzione e di
rango, in ambito religioso e regale, fino alle soglie dell’età contemporanea.
Bibliografia
M.C. Astour, The Origin of the Term “Canaan”, “Phoenician”, and “Purple”:
Journal of Near Eastern Studies, 24 (1965), pp. 346-350.
121
J.E. Doumet, Études sur la pourpre ancienne, Beyrouth 1980.
S. Ribichini – P. Xella, La terminologia dei tessili nei testi di Ugarit, Roma 1985.
P. McGovern – R.H. Michel, Royal Purple Dye. Its Identification by
Complementary Physicochemical Techniques: MASCA Papers, 7 (1990), pp. 69-76.
S.M. Cecchini, Tessitura: M.G. Amadasi Guzzo et alii (a cura di), Dizionario della
Civiltà Fenicia, Roma 1992, pp. 208-209.
P. Xella, Porpora: M.G. Amadasi Guzzo et alii (a cura di), Dizionario della Civiltà
Fenicia, Roma 1992, pp. 167-170.
R.R. Stieglitz, The Minoan Origin of Tyrian Purple: Biblical Archaeologist, 57
(1994), pp. 46-54.
J.E. Doumet, De la teinture en pourpre des Anciens par l’extraction du produit
colorant des Murex Tronculus, Brandaris et des Purpura Haemastoma: National
Museum News, 9 (1999), pp. 10-18.
A. Mederos Martín – G. Escribano Cobo, Mare purpureum. Producción y
Tatiana Pedrazzi
122
ASPETTI DELLA SOCIETà
E DELLA VITA QUOTIDIANA
7
L a società punica era prevalentemente guidata da un’aristocrazia
Lorenza-Ilia Manfredi
124 di Costantina, in una stele del tofet di Cirta (Costantina) del II sec. a.C.
e in una più tarda iscrizione di Gadiaufala (Ksar Sbehi), un importante
centro nell’area della produzione cerealicola in connessione con Thibilis
e Cirta stessa. Se si ritiene plausibile che la carica dei ‘magistrati’ sia la
romanizzazione del sufetato, la magistratura è anche documentata a Calama
(Guelma) e Cirta fino al III sec. d.C.
A partire dal II sec. a.C. e fino al II sec. d.C. i sufeti, come supremi
magistrati civili, sono attestati in quarantuno centri distribuiti in tutto
il territorio nordafricano, dalla Tripolitania alla regione dello stretto di
Gibilterra. La persistenza della carica fino in epoca imperiale, attribuita a
personaggi che portano ancora nomi punici e libici, solleva l’interrogativo
sulla natura giuridica della magistratura in epoca romana. Tali notabili
locali sono probabilmente da intendersi come gli ultimi depositari della
Bibliografia
7
L e testimonianze dell’antica cultura fenicio-punica
Paolo Xella
Bibliografia
131
ASPETTI DELLA SOCIETà
E DELLA VITA QUOTIDIANA
7
S empre problematica a causa del carattere lacunoso e parziale delle fonti,
Numidi e Getuli.
Malgrado il loro armamento (ma anche quello getulico non doveva differire
di molto) si componesse esclusivamente di un piccolo scudo rotondo, di
alcuni giavellotti e probabilmente non di una spada, bensì del temibile
coltello berbero, malgrado montassero cavalli senza morso né briglie,
i Numidi erano in grado il più delle volte di avere la meglio anche su
cavallerie pesanti assai meglio armate. La loro particolare tattica ha colpito
gli autori latini al punto da alimentare uno dei falsi stereotipi sulla crudeltà di
Annibale e da far nascere un hapax proverbiale in seno alla letteratura latina.
C. Ardant du Picq, Études sur le combat. Combat antique et combat moderne, Paris
19147.
E.H. Warmington (ed.), Remains of Old Latins, I, Cambridge 19674.
E.W.B. Fentress, Numidia and the Roman Army. Social, Military and Economic
Aspects of the Frontier Zone (= BAR, 53), Oxford 1979.
H.G. Horn – C.B. Rüger (hrsg.), Die Numider. Reiter und Könige nördlich der
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E.W.B. Fentress, Tribe and Faction: the Case of the Gaetuli: MEFRA, 94 (1982),
pp. 325-334.
S.F. Bondì, I Fenici in Erodoto: AA.VV., Hérodote et les peuples non Grecs, Genève
1990, pp. 255-286.
A. Luisi, Getuli, dei popoli libici il più grande (Strab. 17, 826): M. Sordi (a cura di),
Autocoscienza e rappresentazione dei popoli nell’antichità (= CISA, 18), Milano
1992, pp. 145-151.
G. Brizzi, L’armée et la guerre: V. Krings (éd.), La civilisation phénicienne et
punique. Manuel de récherche, Leiden-New York-Köln 1995, pp. 303-315.
G. Brizzi, Une coutume de guerre des Numides: réflexions d’après quelques
épisodes des campagnes d’Hannibal: Bullétin archéologique du C.T.H.S., nouv.sér.,
Afrique du Nord, 24 (1997), pp. 53-58.
A.C. Fariselli, I mercenari di Cartagine, La Spezia 2002.
138
IL TOFET
8
N el territorio algerino si trova una documentazione ricca e varia
Paolo Xella
Tra gli altri centri algerini, sicuri o probabili sedi di luoghi di culto punici,
va menzionata Iol/Caesarea, attuale Cherchel. All’origine semplice scalo
commerciale, Iol divenne poi capitale prima del regno di Mauretania
successivamente della provincia di Mauretania Cesariense. Seconda città
africana dopo Cartagine, non ha potuto essere oggetto di un’indagine
archeologica sistematica, ma i ritrovamenti effettuati testimoniano, pur dopo
la romanizzazione, una forte persistenza del culto di Saturno con un tempio
a lui dedicato (di dislocazione ignota), sicuro indizio di un precedente
culto a Baal Hammon, confermato anche da una stele rinvenuta nella parte
occidentale della città, proprio là da dove provengono le stele votive d’epoca
romana. Quanto al restante materiale epigrafico, da Cherchel provengono
alcune epigrafi funerarie, la celebre iscrizione per il re Micipsa e un cimbalo
141
votivo iscritto.
Come si vede, non pochi erano i santuari punici d’Algeria in attività nel
periodo compreso tra il III sec. a.C. e il II d.C. Il loro numero è suscettibile
di crescita se si pensa che altre località, oltre a quelle qui menzionate, hanno
lasciato testimonianze epigrafiche puniche, anche se non esplicitamente di
carattere sacrificale, come nei casi di Guelat bou Sba; Aïn el-Kebch, nella
2 regione di Ippona; Aïn Joussef; Henchir Bou Atfan; Kef Bezioun (Zattara,
Stele anepigrafe dal
tofet di El-Hofra. a 20 km a sud est di Guelma); Kef Smaar (Columnata, a 25 km a nord-
II sec. a.C. est di Tiaret); Khallik; Qalaat Abi s-Siba; Souk Ahras, Thagaste (patria di
Costantina, Musée
National Cirta. Sant’Agostino); Takembrit (Siga) e Tipasa di Numidia (Tiffech).
Ma chi era Baal Hammon, titolare dei santuari e predecessore di Saturno
In quanto dio ancestrale e custode delle tradizioni più sacre, Baal Hammon,
dio della cappella (domestica), segue i Fenici nella loro colonizzazione
ed è titolare del culto celebrato nei vari santuari-tofet, incentrato su temi
fondamentali quali il benessere individuale e sociale, la famiglia, la fecondità
e la fertilità.
Quanto ai caratteri del dio, in larga misura trasmessi a Saturno Africano (che
prende il suo posto dopo la scomparsa di Cartagine), deduciamo qualche
aspetto attingendo ai testi, all’iconografia e alle notizie degli scrittori in
lingua greca e latina: dio anziano e regale, paterno, benevolo, progenitore di
dèi e uomini, protettore della tradizione, della famiglia, della discendenza.
Se Melqart è il dio dell’espansione, che fonda colonie e apre nuovi orizzonti,
Baal Hammon è invece colui che, solo o insieme a Tanit/Tinnit, tutela le
origini, la tradizione, i valori fondamentali alla base della cultura fenicia e
punica. Significativa a vari livelli è la sua identificazione con il greco Kronos
e il latino Saturno, che non a caso diventa il dio panafricano per eccellenza,
simbolo della cultura indigena, punto di riferimento ineludibile per le
comunità africane, popolare presso tutti i ceti sociali ma particolarmente
amato dai più poveri.
144
IL TOFET
8
A seguito di un dono, nel mese di settembre del 2007, una stele dedicata
Amel Soltani, Naïma Abdelouahab
146 stato messo sul coronamento. Queste stele, scoperte sul pianoro e sul fianco
est dell’altura, sono state rimosse dalla loro collocazione originaria per
essere reimpiegate in costruzioni di epoca tarda.
delle ricerche, appare una sola volta a Tiddis, raffigurato sulla stele 30.
Al pari del toro e del leone, anche il montone è uno degli animali dedicati al
dio Saturno; da qui la sua significativa presenza su quasi la metà delle stele
di Tiddis. Così, su un certo numero di stele (8, 11, 18, 19, 24, 25, 27, 29, 30,
31 e 41), il dedicante pone la mano oppure versa incenso sulla testa di un
montone posto su un altare; tale cerimonia rappresenta il momento finale del
sacrificio. Tra gli altri simboli presenti sulle stele di Tiddis, si possono notare
anche la palma e la scala.
Le stele di Tiddis sono databili a vari periodi: alcune sono del I sec. a.C. –
I d.C.; altre del I sec. d.C.; le ultime, infine, del II-III sec.: la nuova stele,
dunque, presentando le stesse caratteristiche di quelle del II-III sec., può
essere agevolmente collocata in questo stesso arco temporale.
Bibliografia
8
Lazare Costa e il Musée Cirta di Costantina
Naïma Abdelouahab
I l Musée National Cirta (un tempo Musée Gustave Mercier, poi Musée
Cirta), è uno dei più importanti musei algerini in materia di archeologia
preromana. L’idea della creazione di un museo a Costantina si deve
essenzialmente alla Société Archéologique, fondata nel 1852 da L. Renier,
dal Colonnello del Genio Creully e da A. Cherbonneau. Un anno dopo la
sua creazione, nel 1853, la Société Archéologique, allo scopo di riunire la
piccola collezione già raccolta, riuscì ad avere un piccolo locale, al centro
della città, nella Place des Chameaux (in fondo alla Place du Caravansérail).
Ben presto, però, in seguito all’importanza assunta dalla collezione
archeologica, si rese necessario trovarle assolutamente un locale molto
più grande. È questo il momento in cui intervenne Lazare Costa, il quale
permise l’incremento delle collezioni determinando l’urgenza di trasferire
il museo in un edificio più grande, che fu denominato da Costa Cabinet
d’antiquités africanes. Invero il cabinet si poté costituire solo dopo una
dozzina d’anni di incessante e tenace lavoro di questo amante delle antichità:
Costa infatti percorse tutta la regione e perlustrò tutti i cantieri di costruzione
o di sterro al solo scopo di acquistare oggetti archeologici risalenti ai periodi
punico, numidico e romano.
La Collezione Costa
È dello stesso Lazare Costa la considerazione che gli oggetti raccolti sul
suolo di Costantina rappresentino un indubbio patrimonio locale. Scrive
in proposito: «È un tesoro vero e proprio e del più alto valore, soprattutto
Naïma Abdelouahab
1
Rielaborazione
grafica di uno stralcio
della lettera con firma
autografa di Lazare
Costa, indirizzata
a Ph. Berger il 27
settembre 1876.
Parigi, Académie des
Inscriptions et Belles-
Lettres, Archives du
Cabinet du Corpus
Inscriptionum
Semiticarum.
152
L a singolare figura di Lazare Costa, italiano residente a Costantina e
di professione antiquario, come più volte riportato negli elenchi dei
membri titolari della Société Archéologique de Constantine (un’eccezione
a questa informazione sulla professione del nostro connazionale è quella di
Chabot 1916, p. 242, che definisce Costa pharmacien italien), acquista in
questa sede una maggiore rilevanza, vista l’importanza della sua collezione
di stele puniche, che ancor oggi è ospitata presso il Dipartimento delle
Antichtà Orientali del Museo del Louvre.
La collezione Costa al Dipartimento delle Antichità Orientali del Museo del Louvre
particolare cura per le testimonianze della cultura punica.
La sua collezione di stele puniche prese, però, altre vie. Infatti, nonostante
da più parti ci si augurasse che le stele puniche della nuova collezione
Costa restassero in Algeria, incrementando magari il numero delle antichità
raccolte nel Museo di Costantina, la raccolta fu acquisita dal Museo del
Louvre. Ancora nel 1877 le stele erano in Algeria, a disposizione degli
studiosi locali, come V. Reboud, che ad esse dedicò una nota preliminare, e
J. Carbonnel, che fornì i disegni al tratto di almeno 35 esemplari.
154 della Pubblica Istruzione e delle Belle Arti il 16 febbraio 1881 (Archives des
Musées Nationaux, A6 1881 – Ordinanza del 16 febbraio 1881), cui segue
una serie di comunicazioni pratiche sulla consegna della collezione a Frin,
Ispettore dell’Accademia a Costantina, perché provvedesse all’imballaggio e
alla spedizione dei manufatti antichi.
La collezione Costa al Dipartimento delle Antichità Orientali del Museo del Louvre
Carbonnel, nei pressi di Costantina, e provenienti dalla successione
Costa (Archives des Musées Nationaux, A6 1881, 3 juin – Lettera del
Sottosegretario di Stato al Ministero delle Belle Arti all’Amministratore
dei Musei Nazionali, con allegata copia della lettera inviata da Frin il 29
maggio 1881).
Nota biografica
Lazare (Lazzaro) Costa dovrebbe essere nato nel 1814 nell’odierna Santa
Margherita Ligure, secondo quanto si apprende dal suo atto di morte,
che ne certifica la dipartita al 30 aprile 1877 all’età di 63 anni (Archives
Nationales d’Outre-mer, Base IREL, Costantina 1877, n. 224); nello stesso
atto viene riportata la menzione della professione di antiquaire. Nel registro
parrocchiale di San Giacomo della Corte, in Santa Margherita Ligure, però,
155
è menzionato un Lazarus Bernardus Costa, figlio di Francesco Costa e
Maddalena Verdura, battezzato il 21 agosto 1811.
professione e per il suo zelo nel controllo delle attività di costruzione dalle
quali avrebbero potuto emergere strutture e manufatti antichi fu accolto nella
Société Archéologique de Constantine, dove il suo nome come membro
titolare compare dal 1868.
Da quanto traspare dalle note dell’epoca, Lazare Costa non solo era ben
conosciuto dagli archeologi per la sua azione di ricerca delle antichità.
ma sembrava anche avere un ruolo di riferimento per i componenti della
comunità italiana residenti a Costantina, tanto che, proprio in occasione dei
rinvenimenti del tofet di El-Hofra a lui si rivolsero i braccianti italiani che
scoprirono le prime stele.
Infatti, mentre gli Italiani che si spostarono in Algeria nella prima metà
del XIX secolo appartenevano per lo più a classi di élite, tra le quali si
annoveravano esuli politici e, spesso, anche disertori (da ricordare che nel
1833 la Legione straniera in Algeria contava un battaglione di Italiani),
con una emigrazione tutto sommato ridotta nei numeri e non unitaria (nel
1852, il numero degli Italiani presenti in Algeria è di 7.607), nella seconda
parte dello stesso secolo l’emigrazione italiana in Algeria si configura
numericamente in maniera più incisiva (nel primo censimento ufficiale del
1866, gli italiani sono 16.665), ma con una estrazione di tipo proletario, tanto
9
N ell’ambito delle culture mediterranee, l’Egitto antico fu un polo di
Sempre a Orano, si trova anche una figurina di Ptah (Cat. n. 181), raffigurato
nella maniera tradizionale, mummiforme, mentre stringe lo scettro uas;
persa è la sommità del capo con la calotta che doveva caratterizzarlo. Infine,
nello stesso sito, abbiamo anche un torello, immagine di Api (Cat. n. 179).
Giuseppina Capriotti Vittozzi
160 venivano riprodotte, inserite all’interno della cultura fenicia. Non si può
certo supporre che esistesse qui un culto specificamente egizio, ma le stesse
divinità egizie venivano riconosciute e identificate come proprie; così come
fu adottato l’uso funerario dei sarcofagi antropoidi, che in Algeria può essere
testimoniato da un frammento lapideo (Cat. n. 42) a Tiddis.
Per comprendere la dea delle monete di Iol, bisogna sottolineare il nesso tra
Iside e Hathor, che progressivamente si sovrapposero, e quello tra Hathor
e Astarte. Hathor era dea dalle complesse connotazioni, legata alla piena
e dunque alla fertilità; fin dai tempi più antichi, fu considerata dagli Egizi
come preposta ai beni preziosi reperibili fuori dalla valle del Nilo: Signora
di Biblo, ma anche Signora della turchese nell’area mineraria del Sinai e
Signora della galena nelle miniere prossime al Mar Rosso; la dea vigilava,
nelle sue forme feline, sulle piste che si addentravano nel deserto verso
le miniere e le cave. Signora della gioia, fu riconosciuta dai Greci come
Afrodite e fu presente, non a caso, a Cipro, isola del rame.
Bibliografia
164
MITI, DèI, SACERDOTI E FEDELI
9
A d calceum Herculis, «alla scarpa di Ercole»: così era chiamata una posta
Sergio Ribichini
Anche se quest’ipotesi non fosse quella più corretta, per spiegare l’origine
del toponimo, essa rende bene l’importanza che avevano, tra gli abitanti
dell’antica terra algerina, le tradizioni sull’eroe viaggiatore e conquistatore
per eccellenza della mitologia classica, quell’Ercole che i Greci chiamavano
Eracle e che i Fenici identificavano con il grande dio di Tiro, Melqart. Le
notizie su di loro spesso si confondevano e s’influenzavano l’un l’altra, al
punto che vari scrittori, come Erodoto nel V sec. a.C., Cicerone al tempo
di Cesare e Filone di Biblo all’epoca di Adriano, ritennero importante
sottolineare tutte le differenze e le analogie tra l’Eracle fenicio – venerato
a Tiro da tempi lontani, ritenuto figlio di Demarunte e di Astarte/Asteria,
considerato signore dell’espansione colonizzatrice in Occidente, celebrato
con una grande festa in memoria della sua ‘resurrezione’ dopo una morte
nel fuoco – e l’Eracle/Ercole di Greci e Romani, creduto figlio di Zeus e di
Alcmena, eroe infaticabile, scomparso nel rogo di una pira e quindi accolto
fra gli dèi immortali.
Procopio presenta poi anche altre notizie, altri racconti sull’arrivo in tempi 1
Stele libica da Abizar.
remoti di genti orientali in terra algerina. E afferma che ancora al suo tempo, III-II sec. a.C.
su due stele di marmo bianco poste presso la fontana principale di Tigisis, Algeri, Musée
National des
si poteva leggere un testo fenicio che dichiarava i Mauri discendenti di Antiquités.
gruppi fenici fuggiti dalla Palestina al momento della migrazione degli Ebrei
Sergio Ribichini
168 ‘resurrezione’ del dio Melqart più sopra ricordata: una liturgia che è citata
anche da fonti letterarie con riferimento al re Hiram, primo celebrante
del rito a Tiro, nel IX sec. a.C. Nel caso algerino, è certo problematico
affermare che il significato originario della carica sia rimasto inalterato;
sembra comunque possibile ipotizzare che il titolo abbia conservato, anche
in ambiente numidico, l’importanza e il prestigio che secoli di cerimonie in
onore del dio avevano attribuito a tale funzione sacerdotale.
Si tratta, secondo le diverse ipotesi, d’un dio dai caratteri agrari e ctonii,
identificabile con il Plutone africano (e forse per questo equiparabile al
dio Baal Hammon), o piuttosto d’una divinità interpretata con
il nome e le caratteristiche del dio latino Mercurio.
Stando alle nostre fonti, insomma, Abaddir venne usato sia come nome
comune, per indicare al plurale i betili, cioè le pietre sacre della religione
fenicia e punica, cui si chiedevano anche responsi oracolari, sia come nome
proprio, al singolare, per designare un dio particolare, venerato specialmente
nelle regioni magrebine e qui corredato di racconti mitici attinti anche alla
tradizione classica.
D’altro canto, il nome di Astarte è ben poco attestato in tutto il Nord Africa,
con l’eccezione di Cartagine e di qualche località minore, sicché l’assenza
di testimonianze dirette potrebbe non essere particolarmente significativa. È
parimenti importante sottolineare la presenza, anche nella documentazione
algerina, del culto di Venere Ericina, nota da iscrizioni di Madaura, Thibilis e
Cirta, che richiama senz’altro la venerazione per la dea che in Sicilia i Fenici
identificarono appunto con Astarte.
Si deve infine rilevare l’importanza del culto di Tanit, quale paredra di Baal
Hammon nel santuario-tofet di Costantina. Questa dea presenta caratteri in
comune con l’Astarte della tradizione vicino-orientale, al punto che nelle
forme del culto per Venere e Giunone nell’Africa romanizzata è difficile
Di quanti, nella religione punica, s’occupavano del servizio divino in parte s’è già
detto, con le menzioni del miqim elim, dell’associazione dei cultores di Abaddir
e del sacerdote di Melqart che lasciò la sua dedica nel santuario di Cirta. Altre
iscrizioni votive da questo stesso luogo sacro confermano l’esistenza di classi
sacerdotali specifiche, organizzate anche con una scala gerarchica.
Tra le molte dediche figurano infatti quelle dei ‘Gran sacerdoti’ Hannibaal
e Abdeshmun, dei ‘sacerdoti’ Himilkat, Abdmelqart, Hanno, Azarbaal,
Nel primo si legge che un certo Lico, re della Libia e figlio di Ares, aveva
l’abitudine di sacrificare gli stranieri a suo padre. Accadde che Diomede, di
ritorno da Troia, fece naufragio sulla costa, fu preso e destinato al sacrificio.
S’innamorò però di lui Calliroe, figlia di Lico, che lo salvò; ma Diomede,
ingrato, fuggì, senza ricambiare quell’amore. E la fanciulla abbandonata
3 s’impiccò. Il secondo episodio sarebbe accaduto invece al tempo della
Particolare di una
stele funeraria di
spedizione di Attilio Regolo in Africa: il comandante romano Calpurnio
tradizione punica. Crasso, inviato contro i Massili, fu fatto prigioniero e destinato al sacrificio
I sec. a.C.
Tipasa, Museo. per Kronos; sfuggì però alla morte grazie all’amore di Bisaltia, figlia del re,
che tradì la sua gente. Anche Calpurnio, come Diomede, s’allontanò dalla
Bibliografia
9
I paesi africani sono molto presto venuti a contatto con le altre culture
Dèi poliadi
Gli dèi ctonî, frugiferi, conobbero in Africa un successo clamoroso, perché erano
particolarmente attenti alle popolazioni legate alla terra che aspettavano da loro
piogge benefiche, sinonimo di buoni pascoli e di ricche messi (Cat. n. 28).
1
In primo piano, troneggiava Saturno (Fig. 1), dio supremo, padrone del Stele votiva a
Saturno.
mondo e del tempo, principe della terra feconda e dell’aldilà astrale II sec. d.C.
promesso agli iniziati, dio salvatore, figura autenticamente africana Algeri, Musée
National des
che unisce l’Oriente e l’Occidente. Sin dalla metà del I secolo a.C., Antiquites.
l’assimilazione tra Saturnus, antica divinità agraria italica identificata col
Nacéra Benseddik
176 Uno dei numerosi geni venerati dagli Africani proteggeva particolarmente
la terra d’Africa: il Genius Terrae Africae (Cat. n. 39). Tale dea misteriosa
leontocefala si umanizzò in epoca romana, poiché fu allora raffigurata
con una testa umana, corredata da un leone e sormontata da una spoglia
di elefante: la Dea Africa. Onorata a Lambesi dalla III Augusta, godette
nel contempo di un culto ufficiale, il cui santuario dell’Aqua Septimiana
a Timgad è l’esempio più spettacolare, e di un culto privato attestato dalle
numerose statuette rinvenute in diversi siti.
del periodo romano) alle quali è del resto spesso associato, cioè ancor prima
della venerazione di Saturno-Crono, il culto di Plutone avrebbe assorbito gli
aspetti ctonî, e quindi fecondanti, di un Baal punico. Tale aspetto del padrone
del mondo sotterraneo, da cui vigilava sulla fecondità del
suolo, non è stato di poco conto in Africa, dove le sue
tracce si concentrano nella Proconsolare e in Numidia,
in particolare nelle aree agricole dove i suoi fedeli,
i suoi sacerdoti, i magistrati municipali o le persone
semplici, portano nomi di assonanza punica. Si è del
resto notato che Plutone è un dio dal potere fecondante in
Africa, ma non lo è in nessun’altra parte dell’Occidente
latino. Se Saturno africano, dio cosmico, è il padrone
del cielo e della terra, così come dell’aldilà infernale e
spesso assimilato a Giove, Plutone, padrone del mondo
sotterraneo, è potuto sembrare più idoneo a far crescere il
grano e a raccoglierlo.
Dio della guerra, dei soldati e genio di colonie di veterani quali Cuicul
(Djemila), Marte può anche, grazie alle sue relazioni con Saturno, essere
paragonato al fenicio Baal Hadad. Questa probabile assimilazione,
insieme al suo duplice aspetto, guerriero e agrario nello stesso tempo –
appare a volte corazzato ma col capo coperto
dal modius – potrebbe spiegare il successo di
Marte in Africa.
Dèi guaritori
fusione tra il dio importato e il dio fenicio, sia quello della mescolanza tra
il primo e i geni ‘berberi’ provvisti di poteri guaritori, sia ancora un misto
dei tre, là dove l’Eshmun punico assume direttamente l’eredità di credenze
anteriori al suo arrivo.
181
LA CITTà DEI MORTI
Antonella Mezzolani
10
A ttestazioni di rilievo della cultura fenicia e punica in Algeria ci sono
Tra le pratiche da porre in rilievo è quella dell’uso funerario del rosso, che
ricorre in tutte le necropoli puniche d’Algeria, fatta eccezione per Rachgoun,
sotto forma di offerta in piccoli contenitori di vario genere (Chullu, Tipasa,
Gunugu, Les Andalouses) o come pittura sulle ossa dei cadaveri (Igilgili);
tale pratica trova riscontro in molte necropoli del Sahel tunisino e del Capo
Bon, mentre solo casi sporadici sono attestati a Cartagine e Utica, così da
giustificare l’idea di una sua origine autoctona. Sempre in relazione ai rituali
183
di deposizione, si può ricordare la presunta scarnificazione dei defunti,
attestata in misura non cospicua nelle necropoli di Chullu, Gunugu, Les
Andalouses e generalmente posta in connessione con il sostrato libico.
La regione di Siga
Rachgoun
Sulla piccola isola di origine vulcanica di Rachgoun (l’antica Akra in
Pseudo-Scilace, 111), situata a circa 2 km di distanza dalla costa, di fronte
all’imboccatura dell’oued Tafna, dopo i preliminari sondaggi del 1953
sono state effettuate due campagne di scavo che hanno posto in luce
un’area abitativa e un settore funerario, riconducibili all’orizzonte culturale
fenicio-punico.
Mentre l’abitato di età fenicia è stato individuato nel settore sud dell’isola,
nei pressi della Maison de l’ancienne douane, la necropoli si estende nella
parte nord dell’isola, nel punto più alto (64 m s.l.m.) del pianoro sommitale
e a ovest del faro moderno; le sepolture, tutte di tipo individuale, occupano
un’area all’incirca quadrata di 40 m di lato e si presentano sotto forma di
depositi cinerari a poca profondità rispetto al livello di calpestio, spesso
conservati in urne, ma anche deposti in semplici cavità naturali della roccia.
Anche alcuni casi di inumazione sono stati individuati, ma in misura molto
ridotta (9 inumazioni a fronte di 101 incinerazioni): un elemento di interesse,
però, risiede nel fatto che tale pratica funeraria pare riservata ai bambini.
184 con risalto, ovoidi, a spalla obliqua e, almeno in due casi, del tipo à
chardons, ma modellate a mano); i vasi, generalmente disposti su un lato,
avevano l’imboccatura chiusa o da una coppetta o da una pietra e, in qualche
caso, risultavano protetti da una grossolana cista litica, quadrangolare o
circolare. Oltre ai resti dell’individuo incinerato, le urne hanno restituito, in
alcuni casi, oggetti di corredo personale, come gioielli in bronzo o argento,
amuleti, scarabei egittizzanti e anche armi, in particolare punte di lancia del
tipo foliato a nervatura centrale.
Più numerosi sono i depositi a incinerazione non in urna (68), che consistono
nella maggior parte dei casi in un accumulo lenticolare di ceneri a diretto
contatto con la roccia, con possibile cremazione diretta del defunto nella
sepoltura, come sembrano indicare le tracce di fuoco rilevate; anche in
questi depositi compaiono oggetti del corredo personale, come per i casi di
Les Andalouses
Le rovine della città punica di Les Andalouses occupano una fertile piana
costiera, a 30 km a ovest di Orano e a est dell’oued Sidi Hamadi. Mentre
per la fase romana la città potrebbe corrispondere ai Castra Puerorum
dell’Itinerarium Antonini, i resti di epoca preromana potrebbero riportare
alla mente alcuni toponimi menzionati in Pseudo-Scilace 111: Arylon, Mes
o, in considerazione della presenza di un’isola nella baia (Île Plane), la città
di Psamathos, descritta appunto come «un’isola nel golfo con un porto».
Sul sito vari sondaggi furono effettuati da P. Cintas, ma solo dal 1953
gli scavi furono condotti da G. Vuillemot in maniera più estesa, e
portarono all’identificazione di un abitato e di una necropoli preromana e
185
all’esplorazione dei tumuli funerari sul Djebel Lindlès, che hanno restituito
materiale punico anche di fase arcaica, a testimonianza di un rapporto stretto
tra territori interni e aree costiere.
Per il materiale rinvenuto, oltre alle urne cinerarie tra cui spiccano
recipienti dipinti di tipo iberico, si possono ricordare, come corredo di
accompagnamento, anfore, brocche, unguentari, fiasche del pellegrino e
vasi ‘biberon’, ma anche ceramica campana d’importazione e d’imitazione e
vasellame modellato a mano. Non mancano, poi, amuleti, scarabei, gioielli e
frammenti di uova di struzzo.
Oltre alle camere ipogee, sono state rinvenute anche sepolture di diverso
188 tipo: in una fossetta rettangolare scavata si è trovata una cassetta monolitica
con coperchio a doppio spiovente contenente i resti cremati di un adulto
e di un bambino; altre due tombe di bambino sono state esplorate da F.
Missonnier e consistevano in due fosse all’incirca rettangolari scavate a
poca profondità rispetto al livello di calpestio, contenenti ossa infantili
parzialmente combuste.
Tipasa (Tipaza)
Vicino all’odierna Tipaza, a circa 70 km a est di Algeri, sorgeva in antico il
centro di Tipasa, che probabilmente ebbe nelle sue prime fasi una funzione
di scalo per i viaggiatori che percorrendo il tratto di mare tra Icosium e Iol,
vi sostavano prima di doppiare il Djebel Chenoua. La posizione del sito non
era meno favorevole per quanto riguardava il possibile percorso costiero, che
consentiva ai viaggiatori di riposarsi dopo aver aggirato all’interno le pendici
scoscese del Djebel Chenoua e di riprendere da questo punto il percorso
costiero verso Icosium.
Nel corso di due anni, 1944-1945, P. Cintas indagò un settore funerario posto
a est del porto moderno, dove ancora oggi troneggia una sepoltura punica
che è stata risparmiata dalle attività di estrazione di blocchi litici: la tomba,
che presenta l’apertura sul lato superiore coperta da lastre in pietra, era
scavata nella roccia, con una apertura di poca ampiezza sul lato sud.
La mancanza di oggetti rinvenuti in contesto non ha consentito un
inquadramento cronologico preciso, anche se l’analogia con monumenti
della necropoli preromana orientale può indurre a pensare al periodo tra IV
e II sec. a.C.
Procedendo da questo settore verso est, P. Cintas mise in luce, oltre ad alcune
Antonella Mezzolani
Nel ventennio successivo, tra 1964 e 1965, con una successiva estensione
del settore indagato nel dicembre 1968 (tomba del II sec. a.C. pubblicata
da L. e M. Bouchenaki), fu esplorata un’area a ovest del promontorio di
Ras bel Aïch, dove si suppone fosse lo stanziamento della città punica, al
di fuori della cinta muraria del II sec. d.C.: in tale settore si individuarono
un primo complesso funerario (Y-Z) e un insieme più numeroso di tombe.
In un primo livello si sono individuate sepolture superficiali di inumati
adulti (fosse terragne) e bambini (deposizioni in anfora), mentre rare
sono le attestazioni di incinerazioni. A un livello inferiore, poi, è stato
individuato un notevole complesso di fosse di grandi dimensioni, scavate
nella roccia e coperte da lastre di arenaria, con orientamento nord-sud e
disposizione su tre allineamenti pressoché regolari. Tali sepolture sono
riconducibili in base ai materiali ceramici rinvenutivi a una fase che va
dalla fine del VI sec. a.C. (frammenti di coppa ionica a vasca profonda)
al I sec. a.C.
190
3
Tomba punica nel
porto moderno di
Tipasa.
191 La città dei morti
Le fosse indagate hanno rivelato differenze nella loro morfologia, tant’è che
ritroviamo fosse a profilo rettangolare, ricoperte da lastre litiche e ad accesso
diretto, ma anche fosse con copertura a lastre che fungono da vestibolo a
un vano ipogeo e, ancora, fosse precedute da una sorta di pianerottolo di
accesso, con copertura in lastre litiche e sovrastruttura a profilo rettangolare
e alzato ad assise di pietra disposte a gradoni, secondo un modello che
troverà attestazione più tarda, con qualche cambiamento nella tecnica di
apparato, sempre a Tipasa, nelle sepolture di II sec. d.C. della necropoli della
Porta di Caesarea, e a Iol/Caesarea (Cherchel) nel gruppo di tombe site su un 4
Necropoli orientale di
pianoro a sud della città, oltre la cinta muraria romana. Tipasa.
Gli esemplari di questo tipo con sovrastruttura a tronco di piramide sono
Antonella Mezzolani
Nel complesso delle ceramiche puniche, oltre a tipi usuali come le brocche
a orlo trilobato o a orlo circolare espanso, i piatti e le coppette, si possono
ricordare le anfore, rare ma verosimilmente riportabili a produzioni
spagnole (Ibiza e Villaricos), i vasi à chardon, con esemplari che
morfologicamente riprendono modelli dal V sec. a.C. alla fine del II sec.
a.C., gli askoi zoomorfi (un esemplare a forma di montone e due a forma di
volatile).
La regione di Cirta
Igilgili (Jijel)
Menzionata da Polibio (III, 33, 12-13) tra le città del Metagonium in cui nel
219/218 a.C. Annibale coscrisse un contingente di fanteria, la città di Jijel
ha restituito già dal XIX sec. indicazioni sulla sua fase punica attraverso i
rinvenimenti di aree sepolcrali. Sebbene un’area di necropoli sia sommariamente
La città dei morti
descritta da H. Fournel, nel 1849, che la identifica come romana, e da C. Féraud,
nel 1870, sarà il capitano Delamare a rappresentare due diversi nuclei sepolcrali
in una sua tavola (1850, pl. 13), come ci conferma S. Gsell nel suo Texte
explicatif des planches del 1912, che ascrive le tombe al tipo punico a pozzo e
camera e a quello a fossa tagliata nella roccia e ne indica il settore di pertinenza
(Pointe Noire per le prime, Rocher Picouleau per le seconde).
Tuttavia in seguito nella stessa zona, così come nel settore della Pointe Noire
e in quello detto della Mundet Africa, scavi di maggiore impegno furono
intrapresi da J. Alquier e P. Alquier, per essere poi proseguiti, circa dieci anni
dopo, da M. Astruc. Il numero delle sepolture indagate è notevole: circa 200
tombe nell’area del Rocher Picouleau, dalle 200 alle 300 alla Pointe Noire,
29 nell’area della Mundet Africa.
Tra le pratiche diffuse, la pittura rossa sulle ossa, letta o come procedura
successiva alla scarnificazione o alla riesumazione del defunto o, in
alternativa, come colorazione applicata al momento della deposizione su
alcune parti del corpo (in particolare sulla testa) e assorbita dalla pelle e dalle
ossa dopo la decomposizione.
Quanto al corredo deposto nelle sepolture, solo le tombe della Mundet Africa
hanno avuto la sorte di sfuggire alla depredazione, consentendo così di
apprezzarne i contesti e di considerarne la pertinenza cronologica: a fianco
della ceramica ordinaria, che comprende anfore, urne, brocche, piatti e
coppette, sono presenti anche vasi di importazione, per lo più in ceramica
a vernice nera, su cui talvolta compaiono graffiti, e ceramica modellata a
mano, un alabastron e perle in pasta vitrea, lucerne con relativi supporti e
gioielli modesti. Due sole le monete in bronzo rinvenute in questo lotto di
sepolture, entrambe forate e impiegate quindi in funzione amuletica: in una
delle due, con al D/testa barbata con copricapo conico e al R/Scilla, si è
riconosciuta una coniazione dell’Italia meridionale del III-I sec. a.C.
Ventidue furono le sepolture esplorate dal solerte militare, che pure nel
suo rapporto di scavo si dichiara convinto della presenza di un numero ben
più cospicuo di camere funerarie: le tombe rinvenute sono nella maggior
parte dei casi del tipo a corridoio e camera ipogea, con deposizioni plurime,
mentre solo in due casi si sono individuate tombe a fossa scavata nel
terreno roccioso. La necropoli di Collo pare caratterizzarsi, rispetto alle
coeve aree sepolcrali puniche in Algeria, per la presenza di un corridoio
di accesso, in genere a piano inclinato, in luogo del più usuale dromos
corredato da scale di discesa; un’ulteriore caratteristica risiede, poi, nella
disposizione di due camere ipogee in sequenza, riscontrata in quasi tutti i
depositi funerari indagati.
Tra i materiali sono anche da ricordare anche alcuni gutti a vernice nera, uno
dei quali configurato a piede che calza un sandalo, piatti e coppette a vernice
nera con graffiti (spesso singoli caratteri punici), ma anche amuleti egittizzanti,
talvolta in più esemplari a costituire una collana. Le monete rinvenute, infine,
contribuiscono a chiarire la cronologia delle sepolture che vanno dall’epoca
punica (monete di Cartagine con D/ testa di Core, R/ protome di cavallo) a
quella neopunica (monete di Massinissa, Micipsa, Giugurta).
Sempre a Collo, nel 1927 a Redjat el-Koudiat, S. Gsell e P. Alquier
identificarono una serie di sepolture datate al III sec. a.C., in un contesto in
cui comparivano anche tombe romane, ma la violazione già perpetrata ai
danni di tutti i depositi funerari non permise di rinvenire molti materiali.
Bibliografia
11
L a grandiosa politica architettonica funeraria, esplicatasi nel Maghreb
I mausolei cilindro-troncoconici
200
1
Mausoleo reale
del Medracen
e particolari
architettonici.
da due pietre da taglio, disposte l’una sull’altra. Seguendo un corridoio
2
A 14 km a sud-est di Costantina, la Soumâa du Khroub doveva essere Mauseleo reale
ben visibile, sulla sua collina, con i suoi 30 m di altezza. Su una base di El-Khroub,
prima del
quadrangolare di 10,50 m di lato per 2,80 m di altezza, terminante con tre restauro.
Nacéra Benseddik
202
5
Mauseleo reale detto ‘Tomba della Cristiana’ e particolare architettonico della ‘falsa porta’.
203 Alessandria e Cartagine: l’architettura principesca numidica
gradoni, uno zoccolo modanato regge
Nacéra Benseddik
Qualunque sia il tipo sepolcrale preso in esame, non si può prescindere dal
sottolineare l’esistenza di uno stretto intrecciarsi tra il sostrato libico-berbero
e gli apporti fenici o ellenistico-punici. I monumenti funerari principeschi
vengono quindi considerati quali prodotti di una società numida la cui élite
fu sensibile alle mode e alle correnti culturali del tempo. Se l’ellenismo alla
romana costituì il modello culturale all’epoca dei re del II e I sec. a.C., fu la
cultura punica a prevalere al momento della costruzione dei grandi mausolei,
tenendo conto che «l’aggettivo punico si applica al proficuo incontro tra i
dati fondamentali africani – libici, numidi o berberi – e gli apporti culturali
orientali propriamente fenici o veicolati dai navigatori del Levante» (Camps
1995, p. 247).
(hrsg.), Die Numider. Reiter und Könige nördlich der Sahara, Köln-Bonn 1979, pp.
119-171.
F. Coarelli – Y. Thébert, Architecture funéraire et pouvoir: réflexions sur
l’hellénisme numide: Mélanges de l’ École Française de Rome (Archéologie), 100
(1988), pp. 761-818.
G. Camps, Modèle hellénistique ou modèle punique? Les destinées culturelles de la
Numidie. Actes du IIIe Congrès Intern. des Études Phéniciennes et Puniques (Tunis
1991), Paris 1995, pp. 235-248.
Y. Aïbeche, Le mausolée royal de la Soumâa: L’Algérie au temps des royaumes
numide. Djazaïr, une année de l’Algérie en France, Paris 2003, pp. 97-100.
206
VIAGGIATORI, ESPLORATORI, MILITARI
E ARCHEOLOGI ALLA SCOPERTA DEI
MAUSOLEI PREROMANI D’ALGERIA
Antonella Mezzolani
12
I grandi monumenti funerari antichi che punteggiano i territori del
Antonella Mezzolani
Nel corso degli anni, però, diverso è stato l’approccio adottato nei confronti
di questi monumenti: se, infatti, la documentazione dei secoli XVI-XVIII
non sembra andare al di là della descrizione dei complessi architettonici,
della menzione di qualche notazione toponomastica e della rappresentazione
paesaggistica delle antichità in voga all’epoca, nella fase successiva, quella
cioè che nel XIX secolo vede la Francia conquistare l’Algeria e creare
nel 1839 la Commission d’exploration scientifique d’Algérie, progetto
enciclopedico di conoscenza del nuovo territorio ormai annesso, attribuirà
particolare importanza all’archeologia e all’architettura antica.
Cambieranno gli attori, cambierà la motivazione: non più viaggiatori che nel
corso delle loro esplorazioni territoriali si impegnano a descrivere le rovine,
sospinti al riconoscimento dei luoghi antichi dalla loro consuetudine con
le fonti classiche, ma architetti e militari, inseriti in una missione ufficiale,
voluta fortemente dalle Istituzioni. Non più la volontà di fare colta letteratura
di viaggio e rappresentazioni pittoresche, bensì l’impiego di professionisti
che, con la loro maestria nella proiezione spaziale e territoriale, la loro
descrizione metodica e l’applicazione di vari livelli di lettura ai monumenti
antichi, ne faranno elementi di riferimento per lo studio del territorio e della
sua gestione in antico, nell’evidente prospettiva di costruire il presente
coloniale, come scritto in maniera inequivocabile da A. Ravoisié (1846, p.
IV): «L’exploration architecturale de l’Algérie ne devait pas avoir pour unique
208 objet des antiquités, soit puniques, soit romaines. Se refermer exclusivement
dans le champ de l’érudition, c’eût été n’atteindre qu’imparfaitement le but
qui lui était assigné; elle devait avoir aussi un caractère d’actualité pratique,
en fournissant des indications et des matériaux aux sciences qui s’occupent
du passé, elle devait s’appliquer aux besoins présents, et demander des
enseignements à l’expérience et au génie des populations modernes».
Viaggiatori, esploratori, militari e archeologi alla scoperta dei mausolei preromani d’Algeria
maggiori dell’esercito fu, comunque, spesso sollecitata a livello ufficiale.
1
Tomba a
bazina di
Tiddis.
In seguito, a Th. Shaw, cappellano del Consolato d’Inghilterra ad Algeri,
Antonella Mezzolani
si deve una lunga nota sul monumento nel suo Travels or Observations
Relating to Several Points of Barbary and the Levant (Oxford 1738): in tale
annotazione egli riporta il nome attribuito alla tomba dai Turchi (Maltapasy)
e la identifica con quella menzionata da Mármol, fornendo anche un
disegno non proprio accurato. Per le inesattezze nella descrizione e nelle
citazioni, nonché per le omissioni relative ad alcune parti del monumento,
A. Berbrugger ha ipotizzato che in realtà Shaw non l’abbia visto, almeno a
distanza ravvicinata. Nei confronti di un altro viaggiatore anglosassone si
rivolgono gli strali ironici di A. Berbrugger, anch’esso colpevole secondo il
nostro di una eccessiva sicumera nelle sue affermazioni di tipo archeologico
e non; si tratta di James Bruce di Kinnaird, nobile inglese che dal 1763 al
1765 fu Console d’Inghilterra ad Algeri e che in seguito, nella migliore
tradizione dei viaggiatori-esploratori dell’epoca, fece un lungo viaggio alla
ricerca delle sorgenti del Nilo, come chiaramente spiegato nel suo resoconto
Travels to Discover the Source of the Nile, in the years 1768, 1769, 1770,
1771, 1772 and 1773 (London 1790).
Viaggiatori, esploratori, militari e archeologi alla scoperta dei mausolei preromani d’Algeria
che A. Berbrugger pubblicò nella Revue Africaine tra 1866 e 1867, da
mettere in evidenza è la documentazione che di questo complesso egli
poté fornire: oltre ai rilievi fatti da O. Mac Carthy, la fotografia venne in
aiuto dell’infaticabile indagatore, che grazie all’opera di John Greene poté
documentare passo a passo i suoi interventi, dimostrandone la non invasività.
John Beasley Greene, fotografo-archeologo americano appassionato di
egittologia, aveva già avuto modo di lavorare su materiale di Cherchel e
seguì come volontario Berbrugger perché interessato alle tracce di influenza
egizia sulla cultura numidica; il giovane americano eseguì con la tecnica
della calotipia una serie di vedute, conservate in un album della Bibliothèque
de l’Institut de France, che mostrano in maniera progressiva l’andamento dei
lavori e i dettagli della decorazione architettonica, senza alcun cedimento
ad effetti paesaggistici o folcloristici, resi impossibili dal tempo di posa assai
lungo che non consentiva la riproduzione di persone.
Nel corso del XVIII sec., oltre ad una rapida citazione di Th. Shaw che ricorda
2
il monumento comparandolo con la Tomba della Cristiana, il medico J.-A. Oggetti del
Peyssonel, recatosi per ordine reale nel 1724 e 1725 in Algeria per effettuare corredo
funerario
osservazioni sulla storia naturale, la geografia, le antichità e i costumi degli rinvenuto nel
Mausoleo reale
abitanti del luogo, fornì una prima descrizione del mausoleo, attribuendogli di El-Khroub.
il nome di Metachasem, come si riscontra nell’edizione curata nel 1838 da
Dureau de la Malle (Voyages dans les régences de Tunis et Alger).
Viaggiatori, esploratori, militari e archeologi alla scoperta dei mausolei preromani d’Algeria
si limitarono a riprendere i dati pubblicati da Brunon, ripetendone, sovente,
gli errori; si dovrà arrivare esattamente ad un secolo dopo, per disporre di
un’analisi più dettagliata e corretta del mausoleo con G. Camps, che dopo una
serie di brevi sopralluoghi effettuati nel 1969 e nel 1970 ne riprese lo studio
che risulta ancor oggi fondamentale, proponendo un’attribuzione cronologica
alla fine del IV - inizi del III sec. a.C. Negli stessi anni, precisamente tra 1973
e 1975, una missione di restauro italo-algerina, diretta da M. Bouchenaki e
A. Di Vita, vide all’opera due architetti italiani, Paola Jervis e Paolo Donati,
che eseguirono rilievi accurati dell’intero monumento, evidenziando anche i
dettagli relativi alla messa in opera.
214
4
Mausoleo reale di Beni Rhenane.
215 Viaggiatori, esploratori, militari e archeologi alla scoperta dei mausolei preromani d’Algeria
veduta generale, la planimetria del podio e dettagli della decorazione
Antonella Mezzolani
Viaggiatori, esploratori, militari e archeologi alla scoperta dei mausolei preromani d’Algeria
A. Ravoisié, Exploration scientifique de l’Algérie. Beaux-Arts, architecture et
sculpture, I, Paris 1846.
H.G. Horn – C.B. Krüger (hrsg.), Die Numider. Reiter und Könige nördlich der
Sahara, Köln-Bonn 1979.
S. Stucchi, L’architettura funeraria suburbana cirenaica in rapporto a quella della
chora viciniore ed a quella libica ulteriore, con speciale riguardo all’età ellenistica:
Cirene e i Libyi (= Quaderni di archeologia della Libya, 12), Roma 1987, pp. 249-377.
A. Arnaud-Portelli, L’exploration archéologique de l’Afrique du Nord des premiers
voyageurs au XVIIème siècle à l’Indépendance des Nations (Maroc, Algérie), d’après
les documents publiés, II. L’Algérie (thèse de doctorat), Lille 1992.
B. Lepetit, Missions scientifiques et expéditions militaires: remarques sur les
modalités d’articulation: M.-N. Bourguet – B. Lepetit – D. Nordmand – M.
Sinarellis (éds.), L’invention scientifique de la Méditerranée: Égypte, Morée,
Algérie, Paris 1998, pp. 97-116.
M. Dondin-Payre, L’entrée de l’Algérie antique dans l’espace méditerranéen: M.-N.
Bourguet – D. Nordmand – V. Payotopoulos – M. Sinarellis (éds.), Enquêtes en
Méditerranée. Les expéditions françaises d’Égypte, de Morée et d’Algérie. Actes de
colloque (Athènes-Nauplie, 8-10 juin 1995), Athènes 1999, pp. 179-191.
N. Oulebsir, La définition du paysage architectural dans les expéditions
scientifiques de Morée et d’Alger: M.-N. Bourguet – D. Nordmand – V.
Payotopoulos – M. Sinarellis (éds.), Enquêtes en Méditerranée. Les expéditions
françaises d’Égypte, de Morée et d’Algérie. Actes de colloque (Athènes-Nauplie,
8-10 juin 1995), Athènes 1999, pp. 293-314.
M. Dondin-Payre, L’Afrique face à l’Algérie romaine: enjeux idéologiques et
contraints pratiques d’une œuvre scientifique au XIXe siècle: M. Khanoussi – P.
Ruggeri – C. Vismara (a cura di), Geografi, viaggiatori, militari nel Maghreb: alle
origini dell’archeologia nel Nord Africa. Atti del XIII Convegno internazionale di
studi sull’Africa Romana (Djerba, 10-13 dicembre 1998), Roma 2000, pp. 725-745.
M. Dondin-Payre, Le premier reportage photographique archéologique en Afrique
du Nord: les fouilles du Tombeau de la Chrétienne en 1855-56: M. Khanoussi – P.
Ruggeri – C. Vismara (a cura di), Lo spazio marittimo del Mediterraneo occidentale:
geografia storica ed economia. Atti del XIV Convegno internazionale di studi
217
sull’Africa Romana (Sassari, 7-10 dicembre 2000), Roma 2002, pp. 2119-2146.
M. Dondin-Payre, La découverte de l’Afrique antique: l’influence des acteurs et de
l’idéologie sur l’élaboration de l’histoire: Pallas, 68 (2005), pp. 35-48.
F. Prados Martínez, Arquitectura púnica. Los monumentos funerarios (= Anejos de
AEspA, 44), Madrid 2008.
CONCLUSIONI
Antonino Di Vita
A mel Soltani del Musée National des Antiquités di Algeri e Lorenza-Ilia
Conclusioni
Manfredi dell’Istituto di Studi sulle Civiltà Italiche e del Mediterraneo
Antico del Consiglio Nazionale delle Ricerche (le due istituzioni promotrici
dell’impresa), curatrici di questo volume – completo e incisivo apparato
scientifico di una Mostra di grande significato per la conoscenza del passato
fenicio-punico dell’Algeria – mi hanno chiesto una pagina di conclusioni e
io ho aderito tanto più volentieri in quanto, stenderla, mi riporta a un mondo
che, con il lungo correre degli anni, nella mia memoria è divenuto mitico.
In Algeria v’era la fattoria fortificata del Nador fra Tipasa e Caesarea che,
credevamo, conservasse le stratigrafie più tardo-antiche, dato che tarda era
l’iscrizione sul portale d’ingresso che ne proclamava proprietari il flamen
Augusti M. Cincius Hilarianus e la moglie Vetridia Impetrata. In Algeria poi,
presso Siga, si trovava il confronto più vicino ai Mausolei A e B di Sabratha,
quello di Beni Rhenane, affermazione grandiosa della potenza dei re numidi,
studiato agli inizi degli anni Sessanta dal Vuillemot.
Baghli però condizionava lo scavo del Nador all’impegno che avrei diretto
in prima persona una missione italiana che avesse posto mano al restauro
del Medracen – restauro, diceva Baghli, che i Francesi non avevano voluto
affrontare –, uno dei monumenti numidi più grandiosi e simbolo dell’antica
Algeria, posto nella lontana wilāya di Batna. Era un impegno che – essendo,
220 fra l’altro, Preside della Facoltà di Lettere di Macerata – avrei potuto
assumere solo se dei tecnici di alto profilo, idonei al compito, fossero stati
disposti a trasferirsi per molti mesi in Algeria e, naturalmente, se avessi
trovato i fondi necessari all’impresa. Trovammo gli uni e gli altri. Il lavoro
fu affidato all’arch. Paola Donato Jervis e al marito Paolo Donato, eccellente
capo cantiere e rilevatore-disegnatore, mentre per la consulenza strutturale
potei fruire, nel 1973, dell’opera dell’ing. Romanelli, figlio del grande
archeologo africanista Pietro.
L’impegno era per tre anni e da parte algerina ci sarebbe stata collaborazione
di archeologi e messa a disposizione di operai mentre, per il Medracen,
venivano assicurati i mezzi per lo spostamento dei blocchi e soprattutto,
fornita dalla wilāya di Batna, una gru con braccio tanto lungo da raggiungere
221
il ‘cuore’del monumento. La pubblicazione sarebbe dovuta avvenire nel
Bulletin d’Archéologie Algérienne.
Conclusioni
Medracen è tornato alla ribalta, proprio quando la collega Lorenza Manfredi
mi faceva parte della rinata collaborazione archeologica con l’Algeria,
nonostante la mancanza di risorse che affligge la ricerca di base nelle
Università e nei Centri a ciò deputati nell’Italia di oggi. A lei avevo subito
dato la mia disponibilità a riaprire il dossier Medracen, quando le ampie
relazioni di Mounir Bouchenaki mi permettevano di tornare a incontrare
dopo quasi quattro decenni l’arch. Paola Jervis (il marito Paolo non è più),
con la quale abbiamo rivisto tutto il materiale disponibile e progettato,
viribus unitis, finalmente l’edizione del Medracen.
Nel frattempo sono assai lieto che in occasione di questa importane Mostra
ad Algeri sul mondo fenicio-punico di Numidia e Mauretania i curatori
abbiano accettato di presentare alcune foto e due rilievi eseguiti al Medracen
fra il 1972 ed il 1974.
223
I Fenici in Algeria
Le vie del commercio tra il Mediterraneo e l’Africa Nera
catalogo
Statuaria
1. Statua
Souk Ahras.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3C P 134).
h: 20 cm; l max.: 15 cm.
Statua in calcare raffigurante un personaggio maschile seduto in trono,
che indossa il tipico gonnellino egizio pieghettato.
Ai lati, due sfingi passanti, coronate da due alte piume che rappresentano
il dio Tutu. Nella parte posteriore della statuetta, forse un elemento
architettonico, ampia cavità per l’inserimento.
IV-I sec. a.C.
2. Statua
Arzew.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. I.S. 102).
h:120 cm; diam.: 30 cm.
Statua in calcare a tutto tondo raffigurante un personaggio interpretato
come Baal Hammon-Giove Ammone per le corna ritorte intorno alle
orecchie. Tra le mani, appena abbozzate con leggeri segni incisi, un
oggetto non identificato.
III-II sec. a.C.
3. Statua
Cherchel, area urbana.
Cherchel, Musée
(N. Inv. S 84).
h: 80 cm; diam.: 23 cm.
Statua in arenaria a tutto tondo raffigurante un personaggio deforme,
probabilmente Ptah Pateco, con copricapo a corona di piume; gambe
corte e ricurve; piedi piccoli e torti; braccia sottili, accennate e
appoggiate sul ventre prominente; il seno e gli attributi maschili appena
abbozzati.
III-II sec. a.C.
P. Gauckler, Musée de Cherchel, Paris 1895, pp. 87-88, pl. II; N. Ferhat – E.
Delpont ( éds.), L’Algérie en héritage, art et histoire (Catalogue de l’exposition,
IMA 7 octobre 2003 - 25 janvier 2004), Paris 2003, p. 188.
-I-
Statuaria
4. Statua
Cherchel, area urbana.
Cherchel, Musée
(N. Inv. S 75).
h: 45 cm; l: 16 cm.
Statua acefala in basalto di Petobasti, gran sacerdote di Ptah a Menfi,
raffigurato con le braccia lungo il corpo, lunga veste e pelle di leopardo
sulle spalle.
III-II sec. a.C.
5. Statua
Cherchel, area urbana.
Cherchel, Musée
(N. Inv. S 74).
h: 40 cm; l: 21 cm.
Statua frammentaria in basalto di Thutmosi I, in origine collocata in
Abido.
Metà II millennio a.C., riutilizzo III-II sec. a.C.
- II -
Stele
6. Stele votiva
Costantina, santuario di El-Hofra.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3C P 460).
h: 38 cm; l: 17 cm.
Stele in arenaria a sommità triangolare. In alto è raffigurato un crescente
al di sotto del quale compare un simbolo di Tanit, affiancato a destra dal
caduceo.
Nella parte inferiore, all’interno di un campo rettangolare, è incisa
un’iscrizione punica.
III sec. a.C.
A. Berthier – A.R. Charlier, Le sanctuaire punique d’El-Hofra à Constantine,
I-II, Paris 1952-1955.
7. Stele votiva
Costantina, santuario di El-Hofra.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3C P 468).
h: 34 cm; l: 23,5 cm; spess.: 13 cm.
Stele in arenaria a sommità triangolare. In alto è raffigurato un disco
solare sotto il crescente lunare rivolto in basso. Al di sotto di questi
elementi, in un campo rettangolare, compare un’iscrizione punica di tre
linee.
Sotto l’iscrizione sono rappresentati il simbolo di Tanit, il caduceo ed una
mano benedicente.
III sec. a.C
A. Berthier – A.R. Charlier, Le sanctuaire punique d’El-Hofra à Constantine,
I-II, Paris 1952-1955.
8. Stele votiva
Costantina, santuario di El-Hofra.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3C P 472).
h: 30 cm; l: 25 cm.
Stele in calcare frammentaria a sommità triangolare, anepigrafe. Sotto
il disco solare, con falce lunare volta in alto, doppia raffigurazione del
simbolo di Tanit in posizione simmetrica rispetto al caduceo centrale.
III sec. a.C.
- III -
Stele
9. Stele votiva
Costantina, santuario di El-Hofra.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3C P 521)
h: 30 cm; l: 20 cm.
Stele in calcare frammentaria a sommità triangolare, anepigrafe. Il
simbolo di Tanit con lunga e ampia veste è al di sotto di un caduceo.
III sec. a.C.
- IV -
Stele
12. Stele votiva
Guelma.
Guelma, Musée
(N. Inv. s.n.)
h: 50 cm; l: 21 cm.
Stele in calcare a sommità arrotondata. Nella sommità è raffigurato un
volatile con un frutto. Al centro, nel campo rettangolare, personaggio
maschile seduto su un agnello; nella mano sinistra un grappolo d’uva e
nella destra un pane votivo.
III sec. a.C.
M.F. De Pachtère, Musée de Guelma, Paris 1909, pp. 5-6; M. Leglay, Saturne
Africain. Monuments, I, Paris 1966, pp. 386-388.
-V-
Stele
15. Stele libica
Sétif, Kherbet Zembia.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. I.S. 140).
h: 74 cm; l: 47 cm.
Stele in calcare di forma trapezoidale, non figurata,
sulla quale è incisa un’iscrizione libica di tre linee.
III-II sec. a.C.
17. Stele
Abizar.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. I.S. 136).
h: 125 cm; l: 110 cm; spess.: 11 cm.
Stele in arenaria rappresentante un guerriero barbato a cavallo, visto
frontalmente. Nella mano sinistra tiene uno scudo tondo e tre giavellotti,
la destra è sollevata in segno di saluto e protezione. Nel campo a destra
sono raffigurati un cane e un volatile. A sinistra, sul dorso del cavallo un
personaggio di dimensioni minori e, nel campo, un’iscrizione libica.
III-II sec. a.C.
C. Doublet, Musée d’Alger, Paris 1890, pp. 72-73, pl. VI; J.-P. Laporte,
Datation des stèles libyques figurées de Grande Kabylie: L’Africa romana. 9,
1992, pp. 389-433; G. Camps, s.v. Abizar: Encyclopédie Berbère, I, Aix-en-
Provence 1984, pp. 84-86.
- VI -
Stele
18. Stele votiva
Costantina, santuario di El-Hofra.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3C P 675).
h: 87,5 cm; l: 19 cm; spess.: 11,5 cm.
Stele in calcare a sommità triangolare su tre registri. Nel registro
superiore, personaggio divino barbato, all’interno di un tempio il cui
ingresso è affiancato da due colonne doriche. Il dio, con corona di piume
e tunica tenuta da una fibula sotto il collo, presenta il braccio sinistro
lungo il corpo e il destro alzato con un caduceo. Al centro compare
un’iscrizione punica. Nel registro inferiore è scolpito il simbolo di Tanit
tra mano benedicente e caduceo.
Fine III-II sec. a. C.
A. Berthier – A.R. Charlier, Le sanctuaire punique d’El-Hofra à Constantine,
I-II, Paris 1952-1955, pp. 29-31, n. 28, pl. II-A-B.; H.G. Horn – C.D. Rüger
(hrsg.), Die Numider, Köln-Bonn 1979, p. 560, taf. 97, n. 1; G. Sennequier –
C. Colonna (éds.), L’Algérie au temps des royaumes numides (Catalogue de
l’exposition, Rouen 16 mai - 17 octobre 2003), Rouen 2003, p.115, n. 97.
- VII -
Stele
21. Stele votiva
Costantina, santuario di El-Hofra.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3C P 816).
h: 35 cm; l: 18 cm.
Stele in calcare frammentaria a due registri. Nel superiore, simbolo di
Tanit e caduceo. Nel registro inferiore, un agnello passante a sinistra.
Sotto al riquadro centrale, iscrizione punica su due linee.
II sec. a.C.
- VIII -
Stele
24. Stele votiva
Annaba, area del santuario.
Annaba, Musée
(N. Inv. s.n.).
h: 30 cm; l: 19 cm.
Stele in calcare a sommità arrotondata. All’interno di una nicchia
modanata che riprende la forma della stele compare un personaggio
maschile con tunica; nella mano sinistra, grappolo d’uva; nella destra,
pane votivo. A sinistra, compaiono un animale accovacciato e una palma.
II-I sec. a.C.
M. Leglay, Saturne Africain. Monuments, I, Paris 1966, pp. 386-388.
- IX -
Stele
27. Stele magica
Takembrit.
Orano, Musée National Ahmed Zabana
(N. Inv. I. 9).
h: 59 cm; l: 46 cm.
Stele magica in arenaria con iscrizione e segni ornamentali vegetali
molto stilizzati, contenuti all’interno di un campo rettangolare.
I sec. a.C.
G. Vuillemot, Siga et son port fluvial: Antiquités Africaines, 5 (1979), pl. 6, n.
46 f; H.G. Horn – C.B. Rüger (hrsg.), Die Numider, Köln-Bonn 1979, p. 586.
-X-
Stele
30. Stele votiva
Tiddis, santuario.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3J P 309).
h: 65 cm; l: 36 cm.
Stele in arenaria con frontone ad acroteri, decorato da cinque rosette
ad incisione, sotto il quale è ricavato un inquadramento a sommità
triangolare. All’interno è raffigurato un personaggio su piedistallo; nella
mano sinistra un pane votivo, nella destra un grappolo d’uva. A sinistra
compare una losanga e a destra una scala a sei pioli.
I sec. a.C. - I sec. d.C.
- XI -
Altari votivi
33. Altare votivo
Tiddis.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3J Pt 205).
h: 13,3 cm; l: 8,5 cm.
Altare votivo in arenaria con facciate costituite da otto colonne e quattro
pilastri angolari.
La base è costituita da una piattabanda modanata. La sommità è formata
da un’altra piattabanda modanata con al centro una cavità con tracce di
bruciato, utilizzata probabilmente per la combustione di incenso.
II sec. a.C.
- XII -
Terrecotte figurate
36. Statuetta votiva
Gouraya, necropoli punica.
Cherchel, Musée
(N. Inv. R.I. 122).
h: 13,2 cm; l: cm 3,4.
Figurina fittile femminile, con tratti sessuali evidenziati: i seni applicati,
il sesso marcato da linee incise. Le braccia non sono modellate e tronche.
III-II sec. a.C.
P. Gauckler, Musée de Cherchel, Paris 1895, p. 76.
- XIII -
Terrecotte figurate
39. Medaglione
Timgad.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. I.C. 57).
diam.: 18 cm.
Disco in terracotta con bordo modanato a due cordoli. Al centro vi è
raffigurata la dea Africa, vista frontalmente, vestita con lunga tunica
drappeggiata, sulla testa zanne di elefante. Nella mano destra, un’insegna
con iscritto AFR (Africa); nella sinistra, cornucopia; sotto, l’iscrizione
EX OF/ICINA/TAM/VGAD/ENS/IVM, che ne identifica la provenienza
di produzione dalla bottega di Timgad.
II sec. d.C.
- XIV -
Urna, enchytrismos e sarcofago
40. Urna, coperchio e resti umani
Cherchel.
Cherchel, Musée
(N. Inv. s.n.)
h: 40 cm.
Urna in argilla bianco rosata con orlo estroflesso a sezione triangolare. È
conservata assieme al suo coperchio e a resti umani.
III sec. a.C.
N. Ferhat – E. Delpont ( éds.), L’Algérie en héritage, art et histoire (Catalogue
de l’exposition, IMA 7 octobre 2003 - 25 janvier 2004), Paris 2003, p. 179, n.
79; C. Sintes – Y. Rebahi ( éds.), Algérie antique (Catalogue de l’exposition,
Arles 26 avril -17 août 2003), Arles 2003, p. 108, n. 42.
- XV -
Ceramica punica
43. Coppetta
Orano.
Orano, Musée National Ahmed Zabana
(N. Inv. s.n.).
h: 6 cm; diam.: 9 cm.
Vaschetta superiore di un bruciaprofumi in argilla rosa-camoscio, con
parete carenata, orlo estroflesso e base svasata.
V sec. a.C.
45. Anfora-secchiello
Tipasa, necropoli preromana.
Tipasa, Musée
(N. Inv. C. B4. 44)
h: 25 cm; diam. base: 7 cm.
Anfora biansata e manico da attingitoio in argilla ocra scura, con
ingubbiatura bianca sulla parte superiore del vaso. Decorazione dipinta a
bande rosse e linee verticali brune.
Inizio IV sec. a.C.
- XVI -
Ceramica punica
46. Vaso ‘à chardon’
Tipasa, necropoli preromana.
Tipasa, Musée
(N. Inv. A2 10).
h: 27 cm; diam.: 18 cm.
Vaso ‘à chardon’ in argilla rosa con bordo a sezione triangolare.
Decorazione a bande rosse alternate a linee brune, distribuite
ordinatamente su tutto il corpo del vaso.
Inizio IV sec. a.C.
48. Brocchetta
Tipasa (?).
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. s.n.).
h: 18 cm.
Brocchetta in argilla rosata ben depurata e lisciata con collo e orlo a
tromba, ansa a nastro sormontata e pancia ovoidale. Decorata da linee e
fasce a colori alternati bianco, rosso e bruno.
IV sec. a.C.
- XVII -
Ceramica punica
49. Olla
Provenienza sconosciuta.
Orano, Musée National Ahmed Zabana
(N. Inv. BC 45).
h: 13; diam.: 10 cm.
Olla in argilla rossa dall’impasto grossolano, a fondo concavo,
orlo estroflesso e piatto. Priva di segni di bruciature e di utilizzo,
probabilmente usata per il solo contesto funerario.
IV sec. a.C.
M. Vegas, Eine archaische Keramikfullung aus einem Haus am Kardo XIII in
Karthago: Römische Mitteilungen, 106 (1999), p. 428, fig. 20, 187.
51. Bacino
Guelma.
Guelma. Musée
(N. Inv. s.n.).
h: 15 cm; diam.: 40 cm.
Bacino in argilla camoscio a decorazione impressa con beccuccio
versatoio. Tesa ripiegata esternamente con decorazione stampigliata a
palmette.
IV sec. a.C.
- XVIII -
Ceramica punica
52. Fiasca del pellegrino
Les Andalouses, necropoli punica.
Orano, Musée National Ahmed Zabana
(N. Inv. AN C 92).
h: 17 cm; diam. orlo: 2 cm.
Fiasca a corpo lenticolare in argilla rosa chiara con ingubbiatura
biancastra e due anse; orlo a sezione triangolare leggermente svasato.
Decorazione a cerchi concentrici su tutto il corpo.
Fine IV sec. a.C.
G.Vuillemot, Reconnaissances aux échelles puniques d’Oranie, Autun 1965, p.
194, fig. 74, n. 62; p. 348, T. XXI.
54. Attingitoio
Tipasa.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. s.n.).
h: 15 cm.
Attingitoio piriforme in argilla rosa.
IV-III sec. a.C.
- XIX -
Ceramica punica
55. Olpe
Annaba.
Annaba, Musée
(N. Inv. s.n.).
h: 8 cm.
Piccola olpe in argilla scura poco depurata e non lisciata. Orlo a nastro e
corpo piriforme.
IV-III sec. a.C.
57. Anforetta
Gouraya, necropoli punica.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. I.C. 366).
h: 20 cm.
Anforetta biansata in argilla rosata e ingubbiatura bianca. Corpo globulare,
collo cilindrico e piede circolare. Le anse sono differenti, una ritorta e l’altra
a nastro. Decorazione pittorica di colore rosso-bruno, ad elementi lineari e
vegetali alternati. Una serie di pennellate trasversali sottolineano il cordolo
alla fine del collo sulla spalla.
III sec. a.C.
S. Gsell, Fouilles de Gouraya, Paris 1903, p. 30, fig. 16; P. Cintas, Céramique
punique, Paris 1950, pl. XXVIII, 328.
- XX -
Ceramica punica
58. Anfora
Gouraya, necropoli punica.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. I.C. 164).
h: 23 cm; diam. collo: 9,5 cm.
Anfora in argilla rosa con ingubbiatura bianca. Collo cilindrico e
costolatura sotto l’orlo. Anse a bastoncello. Sulla spalla decorazione con
palmette alternate a simboli a forma di scala, sotto due linee color bruno.
III sec. a.C.
59. Anfora
Gouraya, necropoli punica.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. s.n.).
h: 20 cm.
Anfora in argilla rosata con ingubbiatura bianca. Anse a nastro, orlo
rigonfio. Decorazione dipinta a linee e motivi vegetali stilizzati,
probabilmente palmette, di color bruno.
III sec. a.C.
- XXI -
Ceramica punica
61. Brocca trilobata
Gouraya, necropoli punica.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. s.n.).
h: 25 cm.
Brocca in argilla camoscio con superficie esterna rifinita e lisciata a
stecca. Orlo trilobato, collo cilindrico e pancia ovoide con spalla molto
espansa, ansa verticale a nastro.
III sec. a.C.
- XXII -
Ceramica punica
64. Brocca trilobata
Gouraya, necropoli punica.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. s.n.).
h: 20 cm; diam.: 8 cm.
Brocca trilobata in argilla rossa con ingubbiatura bianca e ansa a nastro
sormontante. Sulla spalla motivi lineari verticali che terminano su linee
orizzontali sulla pancia.
III sec. a.C.
- XXIII -
Ceramica punica
67. Coperchio
Gouraya, necropoli punica.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. I.C. 143).
diam.: 15 cm.
Coperchio in argilla rosata, lisciata in superficie, decorato a cerchi
concentrici dipinti in rosso a metà della tesa e intorno alla presa.
III sec. a.C.
68. Bacino
Cherchel.
Cherchel, Musée
(N. Inv. s.n.).
h: 15 cm; diam.: 35 cm.
Bacino in argilla rosa-marrone ad ampia tesa con versatoio.
III sec. a.C.
69. Piatto
Cherchel.
Cherchel, Musée
(N. Inv. s.n.).
diam.: 9 cm.
Piatto in argilla rosa ben lisciata con due fori passanti sulla tesa.
III sec. a.C.
- XXIV -
Ceramica punica
70. Coperchio
Tipasa.
Tipasa, Musée
(N. Inv. s.n.).
diam.: 7 cm.
Coperchio probabilmente pertinente ad una pentola.
III sec. a.C.
71. Olpe
Cherchel.
Cherchel, Musée
(N. Inv. s.n.).
h: 10 cm.
Olpe monoansata in argilla rosata con ingubbiatura rossa lucidata. Orlo
trilobato e pancia a pareti diritte. Decorazione a fascia rosso-bruna e una
palmetta.
III-II sec. a.C.
- XXV -
Ceramica punica
73. Olpe
Cherchel.
Cherchel, Musée
(N. Inv. s.n.).
h:10 cm.
Olpe in argilla rosso-rosata poco depurata e non lisciata, a pareti verticali
e con larga imboccatura.
II sec. a.C.
74. Coppa
Les Andalouses, necropoli punica.
Orano, Musée National Ahmed Zabana
(N. AN C 355).
diam.: 10 cm.
Coppa carenata in argilla rosa chiaro con orlo dritto e assottigliato, piede
distinto. Prodotto di imitazione di ceramica ‘campana A’.
II sec. a.C.
- XXVI -
Anfore puniche
75. Anfora
Les Andalouses, necropoli punica.
Orano, Musée National Ahmed Zabana
(N. Inv. AN C 50).
h: 80 cm.
Anfora in argilla rosa-rossa a siluro di tipo africano con orlo
interno rientrante, senza spalla, corpo allungato e anse piccole ad
orecchio.
Fine III-II sec. a.C.
76. Anfore
Jijel, necropoli punica di Rabta.
Jijel, Musée
(N. Inv. s.n.).
h: 90 cm; h: 60 cm.
Due anfore puniche in argilla rosata a siluro di produzione africana, con
orlo rientrante, senza spalla, corpo allungato.
Fine III-inizi II sec. a.C.
77. Anfora
Gouraya, necropoli punica.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. I.C. 1721).
h: 110 cm; l: 25 cm.
Anfora in argilla rosata di provenienza ibicenca, forma biconica con
carenatura accentuata nella parte mediana del corpo; spalla ribassata con
piccole anse ad orecchio.
Fine III-II sec. a.C.
S. Gsell, Fouilles de Gouraya, Paris 1903, p. 31, fig. 18; J. Ramon Torres,
Las ánforas púnicas de Ibiza, Eivissa 1991, pp. 153-167, fig. 32 e 33, tipo
T-8.1.3.1.
- XXVII -
Anfore puniche
78. Anfora
Aïn Témouchent.
Aïn Témouchent, Musée
(N. Inv. s.n.).
h: 25 cm.
Frammento di anfora punica in argilla bianco-crema con orlo a tromba e
parte del collo.
II sec. a.C.
- XXVIII -
Askoi
79. Askos
Tipasa, necropoli preromana.
Tipasa, Musée
(N. Inv. A.3.19).
h: 4,5 cm; l: 18,5 cm; spess.: 0,4 cm.
Askos zoomorfo in argilla giallo-ocra a forma di ariete. Ansa
orizzontale e foro per riempimento sul dorso. Decorazione ad
applicazione e modellazione per le corna e gli occhi, mentre gli altri
particolari sono resi con la pittura; linee verticali sottolineano il vello
sulla pancia.
IV sec. a.C.
80. Askos
Tipasa (?).
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. I.C. 51).
h: 16 cm; l: 9 cm.
Askos ornitomorfo con foro per riempimento sul dorso vicino alla coda.
IV sec. a.C.
81. Askos
Tipasa, necropoli preromana.
Tipasa, Musée
(N. Inv. s.n.).
h: 17 cm.
Askos ornitomorfo in argilla rosa-gialla, con possibile ingubbiatura
bianca. Foro versatoio sulla testa; sul dorso, imboccatura a tromba per il
foro di riempimento, unito alla testa da un’ansa a bastoncello.
IV sec. a.C.
S. Lancel, Tipasitana III: Bulletin d’Archéologie Algérienne, 3 (1968), p. 143,
fig. 140.
- XXIX -
Askoi
82. Askos
Tipasa, necropoli.
Cherchel, Musée
(N. Inv. M 50).
h: 16 cm; l: 18 cm.
Askos in argilla beige con ingubbiatura rossa, a forma di gallo su
un piede distinto circolare. Becco che funge da versatoio e cresta
sommariamente abbozzata; sul dorso, foro per riempimento collegato alla
coda con piccola ansa a nastro.
IV-III sec. a.C.
83. Askos
Cherchel, necropoli.
Cherchel, Musée
(N. Inv. RI 7).
h: 9 cm; l: 13,5 cm.
Askos ornitomorfo in argilla rosa-gialla con ingubbiatura
bruna, su piede distinto; foro versatoio sulla testa e foro per
riempimento sul dorso.
IV-III sec. a.C.
84. Askos
Gouraya, necropoli punica.
Tipasa, Musée
(N. Inv. s.n.).
h: 9 cm; l: 10 cm.
Frammento di askos zoomorfo in argilla rosata, a forma di ariete, con
testa ben modellata e resa chiaramente nei particolari. Sul naso il foro per
far passare i liquidi.
III sec. a.C.
- XXX -
Askoi
85. Askos
Sigus.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3N Ce 54).
h: 17 cm; l: 10,3 cm.
Askos zoomorfo in argilla camoscio di forma equina, beccuccio versatoio
sul muso del cavallo e foro per riempimento sul dorso; ai lati, applicate e
modellate, due giare.
III sec. a.C.
86. Askos
Tipasa, necropoli.
Cherchel, Musée
(N. Inv. s.n.).
h: 16 cm.
Frammento di askos ornitomorfo in argilla rosa-bianca. Il becco
versatoio, i bargigli e la cresta consentono di interpretarlo come gallo.
Decorazioni applicate sul corpo.
III-II sec. a.C.
- XXXI -
Ceramica configurata
87. Rhyton
Costantina.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3N Ce 50).
L: 24 cm.
Rhyton in argilla rosa-camoscio, terminante con una testa di ariete a
corna ritorte. Un foro nella bocca serviva come versatoio.
IV sec. a.C.
- XXXII -
Ceramica configurata
90. Brocca configurata
Collo.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3N Ce 51).
h: 27,2 cm; diam.: 12,3 cm.
Brocca trilobata in argilla rosa-beige con ingubbiatura di colore rosso bruno
su piede distinto e modellato a tre listelli. Sul collo è raffigurato un volto
femminile, con capigliatura realizzata con applicazioni in argilla disposte su
due file. Sulla spalla, a rilievo, sono evidenziati i seni, attorno ai quali sono
applicate sottili braccia con le mani aperte al di sotto a sostenerli.
Fine IV-III sec. a.C.
Hélo, Notice sur la nécropole liby-phénicienne de Collo: Bulletin Archéologique
du Comité des Travaux Historiques et Scientifiques, 1895, pl. XII-XIII, 1;
P. Cintas, Céramique punique, Paris 1950, pl. LVIII, n. 21; G. Sennequier –
C. Colonna (éds.), L’Algérie au temps des royaumes numides (Catalogue de
l’exposition, Rouen 16 mai - 17 octobre 2003), Rouen 2003, pp. 64-66, n. 54 b.
- XXXIII -
Ceramica configurata
94. Vaso tripode
Tiddis, necropoli.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3J Ce 241).
h: 30 cm; diam.: 32 cm.
Vaso tripode in argilla rosa a calotta, con pareti ben tornite e lisciate. La
vasca ampia e profonda è sorretta da tre piedi con volti maschili. Il naso
e le orecchie sono resi plasticamente, mentre occhi e bocca sono appena
delineati.
III-II sec. a.C.
P.A. Février, Art de l’Algérie antique, Paris 1971, pl. VII; A. Berthier, Tiddis,
cité antique de Numidie, Paris 2000, p. 322; G. Sennequier – C. Colonna (éds.),
L’Algérie au temps des royaumes numides (Catalogue de l’exposition, Rouen 16
mai - 17 octobre 2003), Rouen 2003, p. 36, n. 1.
93. Sostegno
Tiddis.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3E Ce 373).
h: 15 cm; diam.: 14 cm.
Sostegno in argilla rossa ben depurata, con cinque volti a rilievo con
capigliatura a grappoli realizzata con l’applicazione di globetti di argilla. I
tratti somatici sono definiti con incisioni, il naso è dritto, gli occhi tondi, le
sopracciglia a dischetti fittili applicati l’uno affianco all’altro su due archi
congiunti.
III sec. a.C.
A. Berthier, Tiddis, cité antique de Numidie, Paris 2000, p. 344; C. Sintes – Y.
Rebhai ( éds.), Algérie antique (Catalogue de l’exposition, Arles 26 avril -17
août 2003), Arles 2003, p. 232, n. 110.
- XXXIV -
Ceramica iberica
95. Brocca trilobata
Arzew.
Orano, Musée National Ahmed Zabana
(N. Inv. BC H 303 ).
h: 25 cm; diam.: 8 cm.
Brocca di tradizione iberica in argilla depurata di colore beige con
ingubbiatura rossa. Orlo trilobato con ansa a nastro verticale. Pancia decorata
con raffigurazione di uccello dal becco corto, inserito in una campitura di
linee parallele di colore rosso-bruno. Sotto l’animale, una fascia con motivo
geometrico.
IV-III sec. a.C.
M.-M. Vincent, Vase ibérique du cimetière est de Portus Magnus, St-Leu
(Département d’Oran): Libyca, 1 (1953), pp. 13-23; G. Sennequier – C. Colonna
(éds.), L’Algérie au temps des royaumes numides (Catalogue de l’exposition, Rouen 16
mai - 17 octobre 2003), Rouen 2003, p. 72, n. 69.
96. Urna
Les Andalouses, necropoli punica.
Orano, Musée National Ahmed Zabana
(N. Inv. AN 26).
h: 33 cm; diam.:17 cm.
Urna ad ampia bocca, in argilla rosso intenso. Orlo estroflesso, corpo
troncoconico con carena bassa, anse a nastro, fondo piatto. L’orlo è decorato
da un motivo a falsa spirale. La decorazione occupa due registri: nel primo,
motivi a linee orizzontali a zig-zag alternati a linee ondulate orizzontali; nel
secondo, semicerchi concentrici divisi da linee ondulate verticali.
III sec. a.C.
G. Vuillemot, Céramique ibérique trouvée aux Andalouses: Comptes-rendus de
l’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres, 1956, pp. 163-168; G. Vuillemot,
Reconnaissances aux échelles puniques d’Oranie, Autun 1965, pp. 362-363, T.
XLIV; G. Sennequier – C. Colonna (éds.), L’Algérie au temps des royaumes numides
(Catalogue de l’exposition, Rouen 16 mai - 17 octobre 2003), Rouen 2003, p. 70.
97. Urna
Les Andalouses, necropoli punica.
Orano, Musée National Ahmed Zabana
(N. Inv. AN 13).
Urna globulare in argilla rosso intenso con orlo leggermente estroflesso,
fondo piatto e poco distinto. Decorazione a motivi geometrici rosso-bruni
che si sviluppa su tre registri. Sotto l’orlo motivi a linee concentriche
disposte diagonalmente; nel secondo registro, linee semicircolari
concentriche su due ordini, divise da linee ondualte (a zig-zag) verticali. Nel
terzo, decorazione geometrica.
III sec. a.C.
G. Vuillemot, Céramique ibérique trouvée aux Andalouses: Comptes-rendus de
l’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres, 1956, pp. 163-168; G. Vuillemot,
Reconnaissances aux échelles puniques d’Oranie, Autun 1965, pp. 341-342, T.
IX; G. Sennequier – C. Colonna (éds.), L’Algérie au temps des royaumes numides
(Catalogue de l’exposition, Rouen 16 mai - 17 octobre 2003), Rouen 2003, p. 70.
- XXXV -
Ceramica iberica
98. Urna
Les Andalouses, necropoli punica.
Orano, Musée National Ahmed Zabana
(N. Inv. AN C 82).
h: 31 cm; diam. orlo: 27 cm.
Urna di forma globulare in argilla rosata ben depurata, ma mal cotta.
Collare che si imposta sopra la spalla e racchiude all’interno l’orlo,
circondato da un cordolo rigonfio. L’orlo del collare è a fascia con motivi
digitali. Nel collare vicino all’orlo dell’imboccatura, quattro fori. Sulla
spalla, due anse orizzontali ritorte. Fondo con piede distinto.
II sec. a.C.
99. Anfora
Les Andalouses, necropoli punica.
Orano, Musée National Ahmed Zabana
(N. Inv. BC 303).
h: 25 cm; diam.: 8 cm.
Anfora in argilla beige di produzione ibicenca, biansata, senza piede e
con coperchio. Sulla spalla incisioni a stecca.
II sec. a.C.
- XXXVI -
Lucerne, bracieri e bruciaprofumi
100. Lucerna bilicne
Provenienza sconosciuta.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. C 250).
h: 4 cm; diam.: 10 cm.
Lucerna a conchiglia in argilla rossa con due beccucci con tracce di
bruciato.
VI-V sec. a.C.
P. Cintas, Céramique punique, Paris 1950, p. 521, pl. XL, n. 5; J. Bussière, Les
lampes phénico-puniques d’Algérie: Antiquités Africaines, 25 (1989), pp. 50-51;
G. Sennequier – C. Colonna (éds.), L’Algérie au temps des royaumes numides
(Catalogue de l’exposition, Rouen 16 mai - 17 octobre 2003), Rouen 2003, p.
79, n. 92.
101. Bruciaprofumi
Costantina, necropoli di Coudiat-Aty
(trovato nel sarcofago in piombo n. 31).
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3 N CE 52).
h: 14 cm; diam. max.: 9,2 cm; diam. orlo: 4,5 cm.
Bruciaprofumi a coppetta in argilla rosa ben depurata con ingubbiatura
bianca. Orlo articolato in quattro elementi lanceolati come a riprodurre
delle foglie. Sulla pancia due registri decorativi con rosette e ovuli. Sul
coperchio decorato a foglie sono presenti i fori per far passare i fumi
odorosi.
IV-III sec. a.C.
M. Arguel, Catalogue du Musée archéologique de Constantine: Recueil
des notices et mémoires de la Société Archéologique du Département de
Constantine, 18 (1876-1877) [1878], p. 262, n. 27; G. Doublet – P. Gauckler,
Musée de Constantine, Paris 1892, p. 110, pl. XII, 5; G. Sennequier – C.
Colonna (éds.), L’Algérie au temps des royaumes numides (Catalogue de
l’exposition, Rouen 16 mai - 17 octobre 2003), Rouen 2003, p. 42, n. 22.
102. Braciere
Annaba.
Annaba, Musée
(N. Inv. 0156).
h: 12 cm; l: 15 cm.
Frammento di braciere ad impasto. Sulla presa è raffigurato un
sileno con orecchie appuntite e lunga barba crespa.
III-II sec. a.C.
E. Pompianu, Bracieri ellenistici dall’area della necropoli di Sulky
(Sant’Antioco di Sulcis): L’Africa romana. 17, 2008, p. 1608, fig. 2.
- XXXVII -
Lucerne, bracieri e bruciaprofumi
103. Braciere
Gouraya, necropoli punica
(scavi Gsell 1900, tomba n. 2).
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. I.C. 149).
h: 24 cm ; diam.: 20 cm.
Braciere in argilla rosa ben depurata su alta base cilindrica con due
aperture. Decorazione a rosette applicate.
Fine III-II sec. a.C.
S. Gsell, Fouilles de Gouraya, Paris 1903, pp. 33-34, fig. 19; P. Cintas, Céramique
punique, Paris 1950, p. 187, pl. XLIX, n. 78; G. Sennequier – C. Colonna (éds.),
L’Algérie au temps des royaumes numides (Catalogue de l’exposition, Rouen 16
mai - 17 octobre 2003), Rouen 2003, p. 59, n. 42.
104. Lucerna
Tipasa, necropoli punica.
Tipasa, Musée
(N. Inv. s.n.).
h: 12 cm ; diam.: 15 cm.
Lucerna ad impasto grigio, buccheroide, di forma circolare senza ansa. Il
becco è corto, stretto e strozzato nella parte mediana, sul bacino compare
una decorazione a tratti angolari incisi.
II sec. a.C.
- XXXVIII -
Lucerne, bracieri e bruciaprofumi
106. Lucerne monolicni
Annaba.
Annaba, Musée
(N. Inv. s.n.).
diam.: da 5 a 10 cm.
Lucerne monolicni. La lucerna con il becco più pinzato è di
epoca leggermente posteriore. Sono state tutte utilizzate in
quanto presentano tracce di bruciato sul becco.
II-I sec. a.C.
- XXXIX -
Ceramica di produzione locale
107. Vaso cosiddetto ‘Missonnier’
Gouraya, necropoli punica.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. I.C. 132).
h: 14,3 cm; diam. orlo: 5,7 cm.
Vaso caliciforme in argilla rosa e ingubbiatura bianca, con orlo e pareti
dritte. La decorazione è articolata con spirali, linee curve, bande e triangoli.
IV-III sec. a.C.
- XL -
Ceramica di produzione locale
110. Vaso caliciforme
Tiddis.
Algeri, Musée National Bardo
(N. Inv. s.n.).
h: 16 cm; diam. orlo: 13 cm.
Vaso caliciforme in argilla rosa, con un’ingubbiatura bianca distribuita lungo
un’unica fascia mediana del vaso come base per la decorazione dipinta. Ha
un orlo dritto, pancia espansa e fondo piatto.
Nel primo registro sono dipinti in rosso dei segni interpretati come uccelli
stilizzati, nel secondo registro un motivo a treccia.
III sec. a.C.
- XLI -
Ceramica di produzione locale
113. Attingitoio
Provenienza sconosciuta.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. s.n.).
h: 11 cm; diam.: 13,5 cm.
Vaso attingitoio in argilla rosa-rossa, poco depurata, con beccuccio
versatoio, ansa orizzontale e colino con fori per filtrare il liquido
contenuto all’interno.
III sec. a.C.
114. Ciotola
Provenienza sconosciuta.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. s.n.).
h:10 cm; diam.: 8 cm.
Ciotola in argilla grossolana ad impasto non depurata. Forma
approssimativamente modellata con beccuccio versatoio e colino.
III sec. a.C.
- XLII -
Ceramica di produzione locale
116. Piatto
Costantina.
Algeri, Musée National Bardo
(N. Inv. PPH. X. 180).
h: 2,5 cm; diam.: 13 cm.
Piatto in argilla rosa, molto grossolana con orlo estroflesso, con
consistenti residui di ocra.
- XLIII -
Ceramica d’importazione
117. Coppa a figure rosse
Tipasa, necropoli preromana.
Tipasa, Musée
(N. Inv. A. 3.17).
h: 3,5 cm; diam: 20 cm.
Coppa attica a figure rosse in argilla rosa intenso, con vernice nera
ben stesa, leggermente evanida in alcuni punti. Vasca circolare, orlo
leggermente rientrante, due anse quadrate orizzontali e basso piede.
Nel medaglione centrale un giovane atleta con il braccio destro
disteso e in mano una spugna all’interno di una rete di filo.
Primo quarto IV sec. a.C.
118. Hydria
Provenienza sconosciuta.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. I.C. 894).
h: 30,5 cm; diam. pancia: 21,5 cm; diam. base: 10,9 cm;
diam. collo: 13,5 cm.
Hydria attica a figure rosse, con ansa verticale che collega il collo
alla pancia e due piccole anse orizzontali. Sulla pancia, in un riquadro
delimitato in alto e in basso da fregi a ovoli, raffigurazione di una
grande testa femminile di profilo a sinistra, con i capelli coperti da un
kekruphalos e ornamento a voluta sotto al mento. Davanti alla grande
testa, figura femminile stante, con peplo e capelli raccolti sulla nuca.
Primo quarto IV sec. a.C.
119. Hydria
Provenienza sconosciuta.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. I.C. 891).
h:16,8 cm; diam. pancia: 12,8 cm; diam. base: 6,5 cm; diam. collo: 8,2
cm ; spess. collo: 2,5 cm.
Hydria a vernice nera, con imboccatura espansa a bordo modanato, collo
largo con incisioni circolari alla base, un’ansa verticale e due piccole
anse orizzontali, piede a disco. La pancia è interamente decorata da
baccellature, mentre in corrispondenza delle prese orizzontali una larga
fascia verticale liscia è decorata da linee incise.
Secondo quarto IV sec. a.C.
J.-P. Morel, Céramique campanienne. Les formes, Roma 1981, n. 3521 a3; G.
Sennequier – C. Colonna (éds.), L’Algérie au temps des royaumes numides
(Catalogue de l’exposition, Rouen 16 mai - 17 octobre 2003), Rouen 2003, p.
67, n. 55.
- XLIV -
Ceramica d’importazione
120. Lekythos
Jijel, necropoli.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3C Ce 160).
h: 8,5 cm; diam. orlo: 3,5 cm.
Lekythos a vernice nera in argilla color rosa intenso, abbastanza depurata.
Orlo piatto estroflesso, pancia molto espansa e fondo piatto. Ansa
verticale ad anello. La vernice nera che ricopre la superficie è lucida, ma
mancante in più punti. Una linea scanalata traccia l’inizio dell’espansione
della pancia sotto la spalla all’altezza dell’attacco d’ansa.
Seconda metà IV sec. a.C.
J.-P. Morel, Céramique campanienne. Les formes, Roma 1981, n. 5451 b1; G.
Sennequier – C. Colonna (éds.), L’Algérie au temps des royaumes numides
(Catalogue de l’exposition, Rouen 16 mai - 17 octobre 2003), Rouen 2003, p.
61, n. 49.
121. Kantharos
Collo.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3C Ce 155).
h: 9,8 cm; diam. orlo: 8,3 cm.
Kantharos a vernice nera in argilla rossa con orlo leggermente
estroflesso, anse modellate che uniscono l’orlo direttamente con
la pancia espansa. Piede distinto.
IV sec. a.C.
- XLV -
Ceramica d’importazione
123. Coppetta
Costantina, Sidi M’Cid.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3C Ce 289).
h: 6,9 cm; diam. orlo: 15 cm.
Coppetta a vernice nera di imitazione in argilla rosa chiaro con orlo
rientrante e piede circolare. Vernice nera molto evanida soprattutto verso
l’orlo.
Fine III sec. a.C.
J.-P. Morel, Céramique campanienne. Les formes, Roma 1981, nn. 2787, 2788
a1; P. Bernardini – R. D’oriano – P. G. Spanu (a cura di), Phoinikes b Shrdn. I
Fenici in Sardegna: nuove acquisizioni, Oristano 1997, nn. 485-487.
124. Coppetta
Tipasa.
Tipasa, Musée
(N. Inv. s.n.).
h: 7 cm; diam: 8 cm.
Coppetta a vernice nera in argilla rosa intenso a pareti concavo-convesse.
La vernice nera è in più punti evanida.
III-II sec. a.C.
125. Guttus
Provenienza sconosciuta.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. s.n.).
h: 12 cm; diam.: 8 cm.
Guttus a vernice nera, a corpo discoidale chiuso, con il becco molto
corto a forma di testa di leone e piccola ansa ad anello. Non presenta
particolari decorazioni e la superficie è coperta completamente da vernice
nera, conservata in maniera piuttosto uniforme e lucida.
Fine III-inizi II sec. a.C.
- XLVI -
Ceramica d’importazione
126. Coppa
Tipasa, necropoli preromana.
Tipasa, Musée
(N. Inv. s.n.).
h: 10 cm; diam.: 12 cm.
Coppa apoda a vernice nera del tipo ‘campana A’ in argilla rosso scuro.
Vasca profonda a pareti dritte. Il fondo interno è decorato con linee
concentriche a risparmio.
II sec. a.C.
127. Tazza
Tipasa.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. I.C. 78).
h: 6,2 cm; diam.: 7 cm.
Tazza monoansata carenata a pareti sottili in argilla fine rossa, con
ingubbiatura arancio decorata su tutta la superficie da linee verticali di
puntini a rilievo, alternate a linee verticali di elementi appuntiti.
II sec. a.C.
- XLVII -
Anfore da trasporto d’importazione
128. Anfora massaliota
Takembrit.
Aïn Témouchent
(N. Inv. s.n.).
h: 30 cm.
Parte superiore di anfora vinaria massaliota con orlo a mandorla e collo
breve.
Fine V-IV sec. a.C.
- XLVIII -
Anfore da trasporto d’importazione
131. Anfore italiche e anfora rodia
Costantina, mausoleo di Soumâa du Khroub.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3C Ce 432; 3C Ce 433; 3C Ce 434).
h: 80 e 90 cm.
Anfore italiche del tipo Dressel 1A e Lamboglia 2: orlo breve e
triangolare, lungo collo cilindrico, spalla bassa e arrotondata, corpo
affusolato e lunghe anse dritte. Anfora rodia con orlo a breve fascia
arrotondata, collo cilindrico, corpo ovoidale affusolato e anse a gomito.
Su una delle anse è presente il bollo Menothemis.
II sec. a.C.
C.B. Rüger, Die Keramik des Grabes von Es Soumâa bei El Khroub: H.G.
Horn – C.B. Rüger, (hrsg.), Die Numider, Köln-Bonn 1979, pp. 339-344, abb.
204-206.
- XLIX -
Unguentaria
133. Unguentarium
Costantina, necropoli di Coudiat-Aty.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3C Ve 213).
h: 8,3 cm; diam. orlo 3,2 cm; diam. base 2,5 cm; spess. 0,06 cm.
Unguentarium in pasta vitrea policroma, blu scuro, giallo e turchese.
Modellazione su nucleo. Bocca con orlo a disco orizzontale, alto collo cilindrico
e base a disco. Filamento bianco che corre tutto intorno al corpo formando un
motivo ‘a piume’ sul corpo e a linee orizzontali sul collo e sulla base.
III sec. a.C.
134. Unguentarium
Costantina, necropoli di Coudiat-Aty.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3 C Ve 225).
h: 13 cm; diam.: 3,4 cm.
Unguentario a forma di alabastron in pasta vitrea policroma, blu chiaro e
bianco, modellato su nucleo con orlo a disco orizzontale, alto collo cilindrico,
corpo cilindrico, piccole anse forate. Filamento bianco che corre tutto intorno
al corpo formando su tutta la superficie un motivo a spina di pesce.
III sec. a.C.
135. Unguentarium
Tipasa.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. I.V. 049).
h: 9,2 cm; diam.: 2,8 cm.
Unguentario a forma di alabastron in pasta vitrea policroma, blu scuro e
bianco, modellato su nucleo con orlo a disco orizzontale, collo cilindrico,
corpo biconico, piccole anse. Filamento bianco che corre tutto intorno al
corpo formando un motivo ‘a piume’ sul corpo e a linee diagonali sul collo.
III sec. a.C.
P. Cintas, Fouilles puniques à Tipasa: Revue Africaine, 92 (1948), pp. 293-295, fig. 9.
-L-
Unguentaria
136. Unguentarium
Collo, necropoli.
Constantine, Musée National Cirta
(N. Inv. 3C Ve 328).
h: 11,5 cm; diam.: 2,5 cm.
Unguentario a forma di alabastron in pasta vitrea policroma, blu scuro,
giallo e bianco, modellato su nucleo con orlo a disco orizzontale, alto collo e
corpo cilindrico, piccole anse. Filamenti bianchi e gialli corrono tutto intorno
al corpo formando nella zona centrale una fascia a zig-zag.
III sec. a.C.
137. Unguentarium
Costantina.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3C Ve 327).
h: 8,5 cm; diam. max.: 2,4 cm; diam. orlo: 2,2 cm.
Unguentario a forma di alabastron in pasta vitrea policroma, blu scuro, giallo,
modellato su nucleo con orlo a disco orizzontale, alto collo cilindrico, corpo
cilindrico, piccole anse forate. Filamento giallo che corre tutto intorno al
corpo formando un motivo ‘a piume’ sul corpo e a linee orizzontali sul collo.
III sec. a.C.
138. Unguentarium
Costantina, necropoli di Coudiat-Aty.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3C Ve 375).
h: 5,8 cm; diam: 3,9 cm.
Unguentarium in vetro bianco opaco con orlo estroflesso, corpo globulare e
alto collo cilindrico.
III-II sec. a.C.
- LI -
Unguentaria
139. Unguentarium
Costantina, necropoli di Coudiat-Aty.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3C Ve 374).
h: 8,8 cm; diam.: 5,4 cm.
Unguentarium in vetro opaco simile per forma a quelli in ceramica:
corpo globulare con base piatta, collo cilindrico e orlo svasato.
III-II sec. a.C.
140. Unguentarium
Costantina, necropoli di Coudiat-Aty.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3C Ve 339).
h residua: 8 cm.
Parte superiore di un amphoriskos in pasta vitrea blu scura e gialla. Orlo
leggermente svasato, collo lungo e stretto, anse in vetro giallo. Filamento
giallo che corre tutto intorno al corpo.
II-I sec. a.C.
- LII -
Vetri
141. Vasetto porta essenze
Costantina.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3C Ve 39).
h: 7,6 cm; diam.: 12,8 cm.
Vasetto porta essenze in vetro dal corpo globulare, collo corto e fondo
piatto. Un’ansa si attacca al collo del vasetto.
I sec. d.C.
142. Coppa
Costantina.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3C Ve 32).
h: 6,8 cm; diam: 12,8 cm.
Coppa in vetro carenata con decorazione delle pareti a scanalature.
I-II sec. d.C.
143. Bottiglia
Costantina.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3C Ve 24).
h: 17 cm; diam. pancia: 6 cm.
Bottiglia in vetro con lungo collo, pareti verticali e fondo piatto.
II-III sec. d.C.
- LIII -
Ushabti
144. Ushabti
Orano.
Orano, Musée National Ahmed Zabana.
(N. Inv. INC S 21.).
h: 9,5 cm; l: 4,5 cm; spess.: 2,4 cm.
Ushabti in argilla rossastra di produzione egiziana con braccia incrociate
sul petto.
VII-IV sec. a.C.
145. Ushabti
Orano.
Orano, Musée National Ahmed Zabana.
(N. Inv. INC S 20).
h: 9,5 cm; l: 4,5 cm; spess.: 2,4 cm.
Ushabti in faïence di produzione egiziana con braccia incrociate sul
petto.
VII-IV sec. a.C.
146. Ushabti
Orano.
Orano, Musée National Ahmed Zabana.
(N. Inv. INC S 22).
h: 9,5 cm; l: 4,5 cm; spess.: 2,4 cm.
Ushabti egittizzante in argilla con mani al petto e simboli evanidi.
V-IV sec. a.C.
- LIV -
Ushabti
147. Ushabti
Annaba.
Annaba, Musée
(N. Inv. 0001).
h: 13,5 cm; l: 3,6 cm.
Ushabti in terracotta rappresentante Osiride mummiforme con corona
atef e scettri; sul corpo, cartiglio con il nome in geroglifico del faraone
Ramses II. La statuetta è spezzata in due parti.
II-I sec. a.C.
- LV -
Avori e ossi
148. Cucchiaini
Cherchel.
Cherchel, Musée
(N. Inv. s.n.).
diam.: 1,5 cm e 3 cm.
Due cucchiaini da trucco in osso, di cui uno decorato con incisioni a
cerchielli in corrispondenza del manico.
IV-III sec. a.C.
N. Ferhat – E. Delpont (éds.), L’Algérie en héritage, art et histoire
(Catalogue de l’exposition, IMA 7 octobre 2003 - 25 janvier 2004), Paris 2003,
n. 270.
150. Zanne
Provenienza sconosciuta.
Tipasa, Musée
(N. Inv. s.n.)
Frammenti di zanne di cui una incisa su una parte per un utilizzo come
elemento profilattico.
- LVI -
Avori e ossi
151. Vertebre
Provenienza sconosciuta.
Orano, Musée National Ahmed Zabana
(N. Inv. S.D. 49).
diam.: 1,5 cm.
Due vertebre (tonno?) lavorate e regolarizzate, per uso oracolare o
profilattico.
- LVII -
Uova di struzzo
152. Uovo di struzzo
Tebessa.
Algeri, Musée National Bardo
(N. Inv. s.n.).
Uovo di struzzo apparentemente non dipinto, frammentato in tre
parti, con foro di svuotamento superiore.
- LVIII -
Gioielli e paste vitree
155. Pendenti e medaglioni
Rachgoun, necropoli fenicia.
Orano, Musée National Ahmed Zabana
(N. Inv. RB 01; RB 02; RB 03; RB 04; RB 05).
diam.: da 1 a 3 cm.
Pendenti e medaglioni in argento e bronzo. Due
medaglioni circolari umbonati, due piastrine
rettangolari, una con raffigurato un idolo a bottiglia
in filigrana.
V sec. a.C.
157. Orecchini
Rachgoun, necropoli fenicia.
Orano, Musée National Ahmed Zabana
(N. Inv. RB 131; RB 133; RB 134).
Due paia di orecchini ad anello in oro, leggermente
ingrossati nella parte inferiore.
V sec. a.C.
- LIX -
Gioielli e paste vitree
158. Orecchini
Rachgoun, necropoli fenicia.
Orano, Musée National Ahmed Zabana
(N. Inv. RB 132; RB 08).
Due orecchini in elettro.
V sec. a.C.
159. Orecchini
Tipasa, necropoli preromana.
Tipasa, Musée
(N. Inv. s.n.).
l: 2 cm.
Coppia di orecchini in lamina d’oro semilunati con
decorazione a granulazione a disegno triangolare
(simbolo di Tanit?)
Inizio IV sec. a.C.
160. Orecchini
Provenienza sconosciuta.
Orano, Musée National Ahmed Zabana
(N. Inv. s.n.).
Cinque orecchini a filo ingrossato di forma ellittica in
argento.
IV-III sec. a.C.
- LX -
Gioielli e paste vitree
161. Pendente
Provenienza sconosciuta.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. I.V. 042).
h: 3 cm.
Pendente in pasta vitrea marrone a forma di oinochoe, decorata da linee
bianche.
III sec. a.C.
162. Pendente
Provenienza sconosciuta.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. I.V. 043).
h: 1,2 cm.
Pendente in pasta vitrea ocra a forma di anforetta miniaturizzata ad
un’ansa e base appuntita.
III sec. a.C.
- LXI -
Gioielli e paste vitree
164. Elementi di collana
Cherchel.
Cherchel, Musée
(N. Inv. s.n.).
Dodici vaghi globulari in corniola, cristallo di
rocca e pasta vitrea policroma con motivo ‘a
occhi’; uno globulare baccellato, uno globulare
nerastro, uno a tubetto nero con filamenti bianchi.
III sec. a.C.
- LXII -
Gioielli e paste vitree
168. Medaglione
Batna, Ain Ksar.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3C Ag 147).
h: 9,5 cm; diam: 3,5 cm.
Medaglione circolare in argento con quattro catenelle
pendenti (ne rimangono solo tre), terminanti con un
elemento a lamina. Anello passante per la catena. Al
centro raffigurazione del volto di Baal Hammon o
Giove Ammone.
III-II sec. a.C.
- LXIII -
Gioielli e paste vitree
170. Medaglione
Sétif.
Sétif, Musée National
(N. Inv. A.BJX. 60).
h: 10,5 cm; diam: 4,7 cm.
Medaglione circolare in argento con cornice a doppio nastro e
bordo in rilievo, con quattro catenelle pendenti terminanti con
un elemento a lamina. Anello passante per la catena. Al centro,
un personaggio con gli occhi esorbitanti e le orecchie a forma di
corna di ariete, probabilmente Baal Hammon o Giove Ammone.
III-II sec. a.C.
172. Collana
Tipasa, necropoli punica.
Tipasa. Musée
(N. Inv. A 4 24 b).
Collana composta da trentanove vaghi in pasta vitrea di forme,
dimensioni e colori diversi: blu, turchese, verde, bianco con e
senza decorazioni ‘a occhi’.
II sec. a.C.
- LXIV -
Scarabei e amuleti
173. Anelli con castone e scarabeo
Rachgoun, necropoli fenicia.
Orano, Musée National Ahmed Zabana
(N. Inv. anelli RB 105; RB 04; RB 104 .
N. Inv. scarabei: RB 139; RB 30; RB 31).
L: 1,2-1,7 cm.
Due anelli in bronzo a castone mobile ed uno in argento a castone fisso
(RB 04). Due scaraboidi in steatite, uno scarabeo in diaspro verde. Sul
retro di quelli in steatite sono incisi motivi geroglifici semplificati; uno dei
due presenta, al centro, un probabile cartiglio reale stilizzato con tre dischi.
Sul retro dello scarabeo in diaspro (RB 139) è inciso un animale acquatico.
VI-V sec. a.C.
174. Scarabeo
Tipasa, necropoli.
Tipasa, Musée
(N. Inv. A4 24 c).
L: 1,5 cm.
Scarabeo in cornalina appena delineato. Le ali sono indicate da
un’incisone a ‘T’. Sul retro è raffigurata una composizione orizzontale,
forse una iena accovacciata vicino ad un cestino. L’animale è attaccato da
un personaggio con la mano sinistra levata in aria.
V-III sec. a. C.
175. Scarabeo
Tipasa, necropoli.
Tipasa, Musée
(N. Inv. A4 24 a).
L: 1,5 cm.
Scarabeo in pasta silicea biancastra con tracce di smalto verde. Lo
scarabeo è appena delineato, attraverso la resa delle ali indicate
da un’incisone a ‘T’ molto profonda. Sul retro è raffigurata una
composizione orizzontale, forse un cavaliere volto a destra che brandisce
un pugnale nella mano destra e nella sinistra tiene le redini. Il cavaliere
affronta un grifone.
IV-III sec. a.C.
- LXV -
Scarabei e amuleti
176. Amuleto
Costantina, Sidi M’Cid.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3C Pb 143).
h: 7,5 cm; l. spalle: 4 cm.
Amuleto in piombo (?). La figura femminile sembra indossare un indumento
a pieghe all’altezza delle spalle e molti gioielli, tra cui si distinguono una
collana di perle e due grandi orecchini ad anello e, verosimilmente, sulla
testa un diadema. Le mani sono aperte sul ventre all’altezza dei fianchi. In
evidenza vengono messi i seni formati da due sfere.
IV-III sec. a.C.
- LXVI -
Scarabei e amuleti
179. Amuleto (?)
Provenienza sconosciuta.
Orano, Musée National
Ahmed Zabana
(N. Inv. INC. S 1).
h: 4,1 cm; l: 4,3 cm.
Amuleto in bronzo
rappresentante un bovide (Api?).
180. Amuleto
Collo.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3C Ce 146).
h: 3,5 cm; l: 1,4 cm.
Amuleto in ceramica rappresentante Arpocrate (?), stante con dito sulla
bocca ammantato e con cornucopia al braccio sinistro.
III sec. a.C.
181. Amuleto
Provenienza sconosciuta.
Orano, Musée National Ahmed Zabana
(N. Inv. INC 181).
h: 11,7 cm.
Amuleto in bronzo raffigurante Ptah.
- LXVII -
Scarabei e amuleti
182. Amuleto
Orano.
Orano, Musée National Ahmed Zabana
(N. Inv. INC S 18).
h: 6 cm.
Amuleto raffigurante Pateco accovacciato, integralmente nudo. Le due mani
sono poste sul ventre. La testa con tiara egizia è leggermente girata verso
sinistra.
- LXVIII -
Metalli
184. Campanella votiva
Orano.
Orano, Musée National Ahmed Zabana
(N. Inv. BD 135).
h: 10 cm.
Campanella votiva in bronzo, munita alla sommità di ampio anello per
sospensione.
V-IV sec. a.C.
185. Rasoio
Provenienza sconosciuta.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. I.MI. 328).
L: 13 cm ; l: 2 cm ; spess.: 0,2 cm.
Frammento di rasoio in bronzo. La parte superiore è sottile e a forma di
collo di cigno.
IV sec. a.C.
186. Campanella
Orano.
Orano, Musée National Ahmed Zabana
(N. Inv. BD 135).
h: 15 cm; l: 8 cm.
Campanella in bronzo votiva a sommità arrotondata e pareti diritte. Un
anello largo e piatto è fissato alla sommità.
IV sec. a.C.
- LXIX -
Metalli
187. Cimbali
Orano.
Orano, Musée National Ahmed Zabana
(N. Inv. SD 52, 53, 133, 134).
diam.: da 5 a 4,5 cm.
Cimbali in bronzo di forma circolare bombata e muniti di un foro centrale.
IV-III sec. a.C.
189. Disco
Gouraya, necropoli punica.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. I.MI. 001).
diam.: 8 cm.
Disco in bronzo realizzato per fusione a matrice. Da un lato vi sono
raffigurate due teste di ariete affrontate; dall’altro è incisa un’iscrizione in
etrusco retrograda su due linee.
III sec. a.C.
- LXX -
Metalli
190. Campanella
Gouraya, necropoli punica.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. I.MI. 058).
h: 6,8 cm; diam.: 5 cm.
Campanella in bronzo di forma troncoconica munita di un anello di
sospensione frammentario.
III sec. a.C.
191. Specchio
Costantina, Sidi M’Cid.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3C Br 41).
h: 12,6 cm; diam.: 9,5 cm.
Specchio in bronzo e in argento di forma circolare e munito di manico.
Una delle facce è liscia, l’altra è ornata da circoli concentrici.
III sec. a.C.
G. Doublet – P. Gauckler, Musée de Constantine, Paris 1892, p. 46; G.
Sennequier – C. Colonna (éds.), L’Algérie au temps des royaumes numides
(Catalogue de l’exposition, Rouen 16 mai - 17 octobre 2003), Rouen 2003, p.
44, n. 29.
192. Specchio
Costantina, Sidi M’Cid.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3C Br 369).
h: 21,3 cm; diam.: 16,5 cm.
Specchio in bronzo di forma circolare munito di un manico, senza
decorazione.
III sec. a.C.
- LXXI -
Metalli
193. Montatura di specchio (?)
Costantina, Sidi M’Cid.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3C Pl 149).
h: 9,7 cm; diam.: 9 cm.
Montatura di specchio in piombo (?) di forma circolare, vuoto al centro e
munito di un manico. La montatura presenta su tutta la circonferenza delle
protuberanze ed è ornata da otto medaglioni con teste e simboli.
III-II sec. a.C.
G. Doublet – P. Gauckler, Musée de Constantine, Paris 1892, pp. 47-48; G.
Sennequier – C. Colonna (éds.), L’Algérie au temps des royaumes numides
(Catalogue de l’exposition, Rouen 16 mai - 17 octobre 2003), Rouen 2003,
p. 230, n. 195.
194. Coppetta
Gouraya, necropoli punica
(scavi Gsell 1900, tomba n. 2).
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. I.MI. 541).
h: 7 cm; diam. orlo: 5 cm.
Recipiente conico in piombo a spalla bassa per profumi o belletti.
Fine III-II sec. a.C.
195. Corno
Costantina, mausoleo di Soumâa du Khroub.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3C Ag 462).
L: 9,5 cm; diam.: 3,5 cm.
Corno in argento con decorazioni a sbalzo.
II sec. a.C.
- LXXII -
Metalli
196. Medaglione
Costantina, mausoleo di Soumâa
du Khroub.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3C Ag 476).
diam.: 6,6 cm.
Medaglione in argento che rappresenta una testa di cervo a rilievo.
II sec. a.C.
H.G. Horn – C.B. Rüger (hrsg.), Die Numider, Köln-Bonn 1979, p. 604, taf.
121; G. Sennequier – C. Colonna (éds.), L’Algérie au temps des royaumes
numides (Catalogue de l’exposition, Rouen 16 mai - 17 octobre 2003), Rouen
2003, p. 128, n. 126; N. Ferhat – E. Delpont (éds.), L’Algérie en héritage, art
et histoire (Catalogue de l’exposition, IMA 7 octobre 2003 - 25 janvier 2004),
Paris 2003, p. 205, n. 137.
197. Medaglione
Costantina, mausoleo di Soumâa
du Khroub.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3C Ag 477).
diam.: 9,7 cm.
Medaglione in argento che rappresenta il dio Nettuno seduto in trono. Il
dio tiene nella mano sinistra un tridente, nella destra una patera.
II sec. a.C.
E. Künzl, Zum hellenistischen Silber des Grabes von Es Soumâa bei El Khroub:
H.G. Horn – C.B. Rüger (hrsg.), Die Numider, Köln-Bonn 1979, pp. 288-
295; p. 596, taf. 116; G. Sennequier – C. Colonna (éds.), L’Algérie au temps
des royaumes numides (Catalogue de l’exposition, Rouen 16 mai - 17 octobre
2003), Rouen 2003, p. 129, n. 127; N. Ferhat – E. Delpont (éds.), L’Algérie en
héritage, art et histoire (Catalogue de l’exposition, IMA 7 octobre 2003 - 25
janvier 2004), Paris 2003, p. 205, n. 136.
198. Pisside
Costantina.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3C Pb 363).
h: 6,2 cm; diam.: 8 cm.
Pisside in piombo di forma cilindrica.
I sec. d.C.
- LXXIII -
Metalli
199. Portaprofumi
Costantina.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3C Br 364).
h: 12, 6 cm; diam.: 5,3 cm.
Piccolo vaso in bronzo a fondo piatto con due anse e coperchio decorato;
il collo corto si allarga in una imboccatura a orlo alto, delimitato da due
bastoncelli. Utilizzato come portaprofumi.
I-II sec. d.C.
- LXXIV -
Armi
200. Elmo
Costantina, mausoleo di Soumâa du Khroub.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3C Fe 461).
h: 25 cm; diam.:19,3 cm.
Elmo in ferro a forma conica, riferibile a tipologie orientali, ben
modellato e con riproduzione particolareggiata dell’orecchio.
II sec. a.C.
G. Waurik, Die Schutzwaffen in numidischen Grab von Es Soumâa: H.G. Horn
– C.B. Rüger (hrsg.), Die Numider, Köln-Bonn 1979, pp. 305-317; p. 608, taf.
123; G. Sennequier – C. Colonna (éds.), L’Algérie au temps des royaumes
numides (Catalogue de l’exposition, Rouen 16 mai - 17 octobre 2003), Rouen
2003, pp. 126-127, n. 120.
201. Spada
Costantina, mausoleo di Soumâa du Khroub.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3C Fe 459).
L: 72 cm; l: 5,4 cm.
Lunga spada in ferro.
II sec. a.C.
G. Ulbert, Das Schwert und die eisernen Wurfgeschoßspitzen aus dem Grab von
Es Soumâa: H.G. Horn – C.B. Rüger (hrsg.), Die Numider, Köln-Bonn 1979,
pp. 333-338; p. 608, taf. 125, n. 1; G. Sennequier – C. Colonna (éds.), L’Algérie
au temps des royaumes numides (Catalogue de l’exposition, Rouen 16 mai - 17
octobre 2003), Rouen 2003, p. 127, n. 123.
- LXXV -
Armi
203. Giavellotto
Costantina, mausoleo di Soumâa du Khroub.
Costantina, Musée National Cirta
(N. Inv. 3C Fe 470).
L: 18,3 cm; l: 1 cm.
Giavellotto in ferro.
II sec. a.C.
G. Ulbert, Das Schwert und die eisernen Wurfgeschoßspitzen aus dem Grab
von Es Soumâa: H.G. Horn – C.B. Rüger (hrsg.), Die Numider, Köln-
Bonn 1979, pp. 333-338; pp. 614-615, taf. 126, n. 5.
- LXXVI -
Monete puniche
204. Moneta
Provenienza sconosciuta.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. 3491)
Zecca di Cartagine.
Bronzo.
2,94 g; 15 mm; 1 mm; 12 h.
D/Testa di Core a sinistra.
R/Cavallo stante a destra;
dietro, albero di palma.
Contorno circolare netto.
400-350 a.C.
SNG. The Royal Collection of Coins and Medals, Danish National Museum, 42, North
Africa. Syrtica-Mauretania, Copenhagen 1969, n. 109; L.-I. Manfredi (a cura di), Raccolte
italiane di monete puniche: Rivista di Studi Fenici, 33 (2005) suppl., p. 19, nn. 7-14; J.
Alexandropoulos, Les monnaies de l’Afrique antique, Toulouse 20072, pl. I, 18.
205. Moneta
Provenienza sconosciuta.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. 818).
Zecca di Cartagine.
Bronzo.
4,42 g; 19 mm; 1 mm; 9 h.
D/Albero di palma.
R/Protome equina a destra.
Contorno circolare netto.
350-250 a.C.
SNG. The Royal Collection of Coins and Medals, Danish National Museum, 42, North
Africa. Syrtica-Mauretania, Copenhagen 1969, n. 103; L.-I. Manfredi (a cura di), Raccolte
italiane di monete puniche: Rivista di Studi Fenici, 33 (2005) suppl., pp. 56-57, nn. 41-45;
J. Alexandropoulos, Les monnaies de l’Afrique antique, Toulouse 20072, pl. I, 20.
206. Moneta
Provenienza sconosciuta.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. 804).
Zecca di Cartagine.
Bronzo.
5 g; 19 mm; 2 mm; 6 h.
D/Testa di Core a sinistra.
R/Protome equina a destra; nel campo a destra, albero di palma.
Contorno circolare netto.
300-264 a.C.
SNG. The Royal Collection of Coins and Medals, Danish National Museum, 42, North
Africa. Syrtica-Mauretania, Copenhagen 1969, n. 173; L.-I. Manfredi (a cura di), Raccolte
italiane di monete puniche: Rivista di Studi Fenici, 33 (2005) suppl., p. 31, nn. 15-20; J.
Alexandropoulos, Les monnaies de l’Afrique antique, Toulouse 20072, pl. I, 57.
- LXXVII -
Monete puniche
207. Moneta
Provenienza sconosciuta.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. 779).
Zecca di Cartagine.
Elettro, statere.
2,96 g; 15 mm; 1 mm; 12 h.
D/Testa di Core a sinistra.
R/Cavallo stante a destra su linea d’esergo, dietro, albero di palma.
Contorno circolare netto.
290-270 a.C.
G.K. Jenkins – R.B. Lewis, Carthaginian Gold and Electrum Coins, London 1963, group
VI, nn. 341-343; J. Alexandropoulos, Les monnaies de l’Afrique antique, Toulouse 20072,
pl. I, 14.
208. Moneta
Provenienza sconosciuta.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. 2050)
Zecca di Cartagine.
Bronzo, shekel.
6,64 g; 20 mm; 1 mm; 12 h.
D/Testa di Core a sinistra.
R/Cavallo passante retrospiciente a destra; nel campo a destra, lettera punica bet.
Contorno circolare netto.
221-210 a.C.
SNG. The Royal Collection of Coins and Medals, Danish National Museum, 42, North
Africa. Syrtica-Mauretania, Copenhagen 1969, n. 305; L.-I. Manfredi, Monete puniche.
Repertorio epigrafico e numismatico delle leggende puniche (= BNum, Monografia 6),
Roma 1995, p. 251, n. 54.
209. Moneta
Provenienza sconosciuta.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. 2238).
Zecca di Cartagine.
Bronzo, shekel.
7,63 g; 22 mm; 2mm; 12 h.
D/Testa di Core a sinistra.
R/Cavallo stante retrospiciente a destra; sopra, astro a sette raggi; nel campo a destra
lettera punica alef.
Contorno circolare netto.
215-201 a.C.
SNG. The Royal Collection of Coins and Medals, Danish National Museum, 42, North
Africa. Syrtica-Mauretania, Copenhagen 1969, n. 316; L.-I. Manfredi, Monete puniche.
Repertorio epigrafico e numismatico delle leggende puniche (= BNum, Monografia
6), Roma 1995, p. 250, n. 46; J. Alexandropoulos, Les monnaies de l’Afrique antique,
Toulouse 20072, pl. I, 88 J.
- LXXVIII -
Monete numidiche
210. Moneta
Provenienza sconosciuta.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. 3584).
Zecca di Massinissa o Micipsa.
Bronzo.
7,69 g; 25 mm; 2 mm; 12 h.
D/Testa laureata a sinistra. Contorno perlinato.
R/Cavallo al galoppo a sinistra. Contromarca con testa di Ammone.
203-118 a.C.
211. Moneta
Provenienza sconosciuta.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. 3600).
Zecca di Massinissa o Micipsa.
Bronzo.
13,83 g; 26 mm; 3 mm; 12 h.
D/ Testa laureata a sinistra. Contorno perlinato.
R/ Cavallo al galoppo a sinistra, sotto il ventre, un globetto.
203-118 a.C.
SNG. The Royal Collection of Coins and Medals, Danish National Museum, 42, North
Africa. Syrtica-Mauretania, Copenhagen 1969, n. 505; J. Alexandropoulos, Les monnaies
de l’Afrique antique, Toulouse 20072, pl. II, 18 a.
212. Moneta
Provenienza sconosciuta.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. 01).
Zecca di Giuba I.
Argento, denario.
3,80 g; 19 mm ; 1,5 mm; 12 h.
D/REX IVBA. Busto di Giuba a destra, sopra la spalla destra, un caduceo.
R/sywb‛y hmmlkt. Tempio a otto colonne, al centro un globetto.
60-46 a.C.
SNG. The Royal Collection of Coins and Medals, Danish National Museum, 42, North
Africa. Syrtica-Mauretania, Copenhagen 1969, n. 523; L.-I. Manfredi, Monete puniche.
Repertorio epigrafico e numismatico delle leggende puniche (= BNum, Monografia
6), Roma 1995, p. 313, n. 35; J. Alexandropoulos, Les monnaies de l’Afrique antique,
Toulouse 20072, pl. II, 29.
- LXXIX -
Monete numidiche
213. Moneta
Provenienza sconosciuta.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. 02).
Zecca di Giuba I.
Bronzo.
12,50 g; 28 mm; 2 mm; 12 h.
D/Testa di Ammone rivolto a destra.
R/sywb‛y hmmlkt. Elefante passante a destra, su linea d’esergo.
60-46 a.C.
SNG. The Royal Collection of Coins and Medals, Danish National Museum, 42, North
Africa. Syrtica-Mauretania, Copenhagen 1969, n. 529; L.-I. Manfredi, Monete puniche.
Repertorio epigrafico e numismatico delle leggende puniche (= BNum, Monografia
6), Roma 1995, p. 315, n. 41; J. Alexandropoulos, Les monnaies de l’Afrique antique,
Tolouse 20072, pl. II, 35.
- LXXX -
Monete mauretane
214. Moneta
Provenienza sconosciuta.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. 14).
Zecca di Giuba II.
Argento, denario.
2,79 g; 18 mm; 1,5 mm; 6 h.
D/REX IVBA. Busto rivolto a destra con leontè e mazza. Contorno perlinato.
R/RXXXXI. Capricorno a destra, con un globo tra le zampe. Timone e cornucopia.
Contorno perlinato.
25 a.C.- 24 d.C.
SNG. The Royal Collection of Coins and Medals, Danish National Museum, 42, North
Africa. Syrtica-Mauretania, Copenhagen 1969, n. 587; J. Alexandropoulos, Les monnaies
de l’Afrique antique, Toulouse 20072, pl. II, 164.
215. Moneta
Provenienza sconosciuta.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. 32).
Zecca di Giuba II.
Bronzo.
11,65 g; 28 mm; 3 mm; 12 h.
D/REX IVBA. Busto con diadema e drappeggio a destra; sulla spalla, mazza.
Contorno perlinato.
R/ΒΑCΙΛΙССΑ ΚΛΕОΠΑΤΡΑ. Copricapo isiaco, fiancheggiato da spighe e
sormontato da un crescente e globetto.
Contorno perlinato.
25 a.C.- 24 d.C.
J. Alexandropoulos, Les monnaies de l’Afrique antique, Toulouse 20072, pl. II, 209 a.
- LXXXI -
Monete delle città autonome
216. Moneta
Algeri.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. s.n.).
Zecca di Ikosim.
Piombo.
14,39 g; 23 mm; 2 mm; 6 h.
D/Testa di Iside velata e con corona di piume (?) a sinistra. Nel campo a sinistra,
Vittoria che tiene nella mano una ghirlanda a corona.
R/wyksm. Divinità maschile stante a sinistra, piede sinistro leggermente flesso;
indossa una corona a tre punte, con mano destra aperta e la sinistra che tiene una
pisside.
Fine III sec. a.C.
SNG. The Royal Collection of Coins and Medals, Danish National Museum, 42, North
Africa. Syrtica-Mauretania, Copenhagen 1969, n. 678; J. Alexandropoulos, Les monnaies
de l’Afrique antique, Toulouse 20072, pl. III, 140.
217. Moneta
Provenienza sconosciuta.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. 48).
Zecca di Gunugu.
Bronzo.
4,90 g; 21 mm; 1,5 mm; 12 h.
D/gngn. Testa maschile con barba e corona radiata a destra; nel campo a destra
sopra la spalla, caduceo. Contorno perlinato.
R/Testa di Bacco a destra, nel campo a destra lettere neopuniche gn.
Contorno perlinato.
Seconda metà I sec. a.C.
L.-I. Manfredi, Monete puniche. Repertorio epigrafico e numismatico delle leggende
puniche (= BNum, Monografia 6), Roma 1995, p. 287, n. 116.
218. Moneta
Provenienza sconosciuta.
Algeri, Musée National des Antiquités
(N. Inv. 3511).
Zecca di Hippo Regius.
Bronzo, asse.
7,60 g; 24 mm; 1 mm; 12 h.
D/TI. CAESAR DIVI AVGVSTI F. AVGVSTVS. Testa di Tiberio a destra; nel
campo, lituus e simpulum. Contorno perlinato.
R/L. APRONIVS HIPPONE LIBERA. Testa del proconsole Apronius a destra.
Contorno perlinato.
19-22 d.C.
M. Amandry – A. Burnett – P.P. Ripollés, Roman Provincial Coinage, I. From the Death
of Caesar to the Death of Vitellius (44 B.C.-A.D. 69), London-Paris 1992, n. 713.
- LXXXII -
Referenze fotografiche della parte trattatistica:
Le fotografie sono di Luciano D’Angelo
ad eccezione di quelle alle pagine: 25, 32-33, 100, 101, 106,
107, 147, 187, 193, 195, 209, che sono di
Idriss Benkouider.
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I Fenici in Algeria.
Le vie del commercio tra il Mediterraneo e l’Africa Nera
nel mese di
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