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Della libertà di espressione, della stampa, dell’informazione pluralistica e di altre urgenze

Hannah Arendt, chiamava la “modesta verità dei fatti” come fondamento della libertà
di espressione.
Questa affermazione rappresenta un punto di partenza per comprendere quale sia il
ruolo degli organi di informazione nelle società, per la conoscenza e, soprattutto, per la
comprensione dei fatti storici, dove per “storici” intendiamo fatti reali. Per Hannah Arendt è
essenziale comprendere che la libertà di espressione si basa e deriva da una verità dei fatti.
La formazione dell’opinione avviene nel contesto di una dimensione “pubblica” in cui anche
chi ascolta viene coinvolto nella formazione di un’opinione oltre, ovviamente, a chi parla (il
media o il giornalista). Questo processo di elaborazione deve, inoltre, basarsi su fatti
condivisi ed indiscutibili: le opinioni “vere”, fondate, possono prevalere solo se i fatti a cui si
riferiscono sono conosciuti; altrimenti le false idee saranno ef caci quanto quelle vere, se
non più ef caci. I fatti, dunque, informano le opinioni e sono alla base della formazione di
queste ultime; i fatti, anche quando non sono tangibili, devono essere sempre ben
identi cabili: nessuno potrebbe negare l’esistenza della forza di gravità pur in assenza di un
elemento solido da toccare con mano. Qualsiasi teoria, anche la più astratta, deve basarsi su
dei fatti e sulla loro conoscenza, basata sulla comune conoscenza.
Le diverse opinioni devono confrontarsi, dialogare, scontrarsi, modi carsi: sappiamo
bene come funzionano gli algoritmi di Facebook e di altri social e come tendano a proporre
agli utenti solo le opinioni che coincidono con quelle già preferite dall’utente stesso,
soffocando sul nascere qualsiasi possibilità di apertura e di dialogo con nuove idee. Il fatto
che la classe dirigente sia sempre meno disposta a vedersi messa in discussione la dice molto
lunga sulla nostra abitudine a dialogare. Sempre più spesso un’opinione contraria viene letta
come un insulto ad personam piuttosto che come un’occasione di ampliamento dei propri
orizzonti: stiamo perdendo la capacità di accettare la diversità di idee, dando per scontato
che esista solo la nostra.
Il mercato delle idee, il pluralismo, non si può, dunque, semplicemente sintetizzare in
una sorta di free speech senza limiti, in una liberté de s’exprimer che consista in pesudo-
opinioni basate su elementi di conoscenza ef meri e che nisca con il pretendere di
sostituirsi a fatti speci ci. In poche parole non bisogna confondere i fatti con le opinioni:
realtà, questa, ben rappresentata dalla spesso irrazionale circolazione di pensieri liberi, tipica
dei social media e delle piazze.
A che punto siamo nella scala del pluralismo dell’informazione in Svizzera ed in
Ticino in particolare? Il ruolo dei giornalisti è ancora quello di fornire dati, fatti oggettivi e di
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contribuire alla costruzione di opinioni fondate? Da uno studio del Forschungsinstitut


Öffentlichkeit und Gesellschaft (Fög) (Istituto di ricerca per la sfera pubblica e la società)
dell’Università di Zurigo, inclusa nell’annuale report “Qualität der Medien – Schweiz”,
dedicato allo stato di salute dell’informazione in Svizzera emerge che più del 53% di
persone tra i 16 e i 29 anni sono news-deprived, ovvero hanno accesso solo ad informazioni
di bassa qualità proveniente essenzialmente dai social. La Svizzera sta seguendo il trend
delle redazioni centralizzate, trend che porta alla pubblicazione di informazioni sempre più
simili tra loro: il 54% degli articoli appare simultaneamente in almeno 2 dei 19 giornali
esaminati. I “fatti” di cui si parlava poc’anzi sono sempre i medesimi e da narrare sempre
nella medesima maniera o dobbiamo sperare che il ruolo del giornalismo sia ancora
determinante nell’informazione e nel dibattito?
Un recente studio dell’UE segnala un deterioramento generale della libertà di
informazione in tutta Europa così come un deterioramento delle condizioni economiche e
della stessa sicurezza dei giornalisti con diverse segnalazioni di attacchi sici, molestie
online, minacce.
In Svizzera i media locali versano in uno stato di notevole dif coltà che sta portando
alla chiusura di diverse testate locali che potrebbero contribuire al pluralismo
dell’informazione di qualità che, da sola, non garantisce, certamente, la uniforme diffusione
di fatti oggettivi, ma che resta essenziale nella formazione di opinioni fondate su elementi
oggettivi. Dal 2003 sono scomparsi più di 70 giornali locali che, probabilmente, fanno fatica
a competere con l’informazione semplice, poco strutturata, naïf e gratuita dei social media.
Questo è ancora più vero in Canton Ticino dove sembra mancare un reale confronto di
spessore e dove è sempre più dif cile ascoltare le poche voci fuori dal coro.
Con la nuova Legge Federale su un pacchetto di misure in favore dei media, si
potrebbe contribuire a salvare i media locali e a garantire una maggiore pluralità di
informazione. I contrari alla Legge sostengono che ulteriori contributi ai media
arricchirebbero ulteriormente già ricchi gruppi mediatici e che un’informazione “sostenuta”
da contributi pubblici si trasformi in un’informazione di Stato e che distorca il mercato.
A tal proposito, e contro quest’opinione, bisogna pur osservare che un’informazione
af data solo al libero mercato non può, realisticamente, funzionare se non in presenza di
alcuni elementi che sono dif cilmente realizzabili in concreto. Sarebbe, innanzi tutto,
necessario, essere in presenza di una cittadinanza e quindi di una utenza di notevole cultura
generale tale da creare una forte domanda per un’informazione autorevole ed attendibile: lo
studio dei dati di realtà dimostrano che le persone si informano, o meglio, credono di
informarsi, sui meme di Facebook anziché su quotidiani, anche esteri, su saggi o su riviste
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specializzate. Sarebbe, inoltre, necessario un mercato orido, che possa generare delle
risorse economiche tali da rendere i media del tutto indipendenti: anche questo elemento è
dif cilmente presente e, probabilmente, non lo è mai stato.
Entrambi questi elementi mancano in quasi tutto il mondo e un nanziamento
pubblico è, probabilmente l’unica soluzione, se pur di compromesso, per sostenere i media
e per garantire un’informazione solida alla popolazione: questo è ancora più importante in
un Paese come la Svizzera in cui il ruolo della democrazia diretta è così importante.
Nell’attuale e frenetico mercato delle idee, ciò che manca non sono le informazioni
di parte ma l’apertura al confronto e la forza di contrastare le disinformazione. Ciò che
manca è, ne siamo convinti, è una corretta informazione nell’ambito del complesso dibattito
sui rapporti Svizzera-UE, informazione che dia la possibilità ai cittadini di valutare,
comprendere, scegliere con con cognizione di causa.
Ancora la nostra Hannah Arendt, nel suo saggio Verità e Politica, scrive,
profeticamente: “la libertà d’espressione diventa una farsa se l’informazione sui fatti non è
garantita e se i fatti stessi vengono messi in discussione”.

Cristiano Poli Cappelli


Tiziano Dabbeni
Membri del comitato Movimento Europeo Svizzera, sezione Ticino
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