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N. 2010.

2 L’attualità inattuale di Stampa

Rubrica Louis Althusser.


TEORIA E STORIA DEL
MOVIMENTO OPERAIO MASSIMILIANO PICCOLO
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Perché leggerlo vent’anni dopo
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Una premessa va subito chiarita. La ricerca teorica di
Autore/i Althusser è stata senz’altro uno degli ultimi contributi (in
senso cronologico) veramente innovativi del marxismo. Gli
MASSIMILIANO anni Sessanta e Settanta del Novecento, infatti, hanno visto
PICCOLO un fiorire continuo di letture e riferimenti internazionali alla
Articoli pubblicati sua opera. Pochi intellettuali comunisti hanno esercitato,
per Proteo (1) all’interno del marxismo (potremmo dire, con una parafrasi,
atlantico: cioè europeo-occidentale e americano),
Argomenti correlati un’influenza paragonabile a quella dei grandi classici del
marxismo stesso1; circostanza, questa, che non può che
Nella stessa rubrica mettere il contributo di Althusser in primo piano tra tutti i
compagni, cioè tra chi si pone oggi il problema della
L’attualità inattuale di rivoluzione, del socialismo e del comunismo in occidente,
Louis Althusser. ma senza cedimenti eurocentrici. Nato nel 1918 nei pressi di
MASSIMILIANO Algeri, fu spinto a interessarsi della questione sociale, in
PICCOLO quanto lotta di classe, dalla guerra contro il nazi-fascismo e
dalla Resistenza. Scriverà, infatti, nel 1965: «La storia: si era
impadronita della nostra adolescenza a partire dal Fronte
Popolare e dalla Guerra di Spagna, per darci nella Guerra
Cerca nuda e cruda, l’educazione dei fatti. Ci aveva sorpresi là
dove eravamo venuti al mondo e di quegli studenti di origine
Home borghese o piccolo-borghese che eravamo aveva fatto
Autori uomini consapevoli dell’esistenza delle classi, della loro lotta
Rubriche e della posta in gioco. Dalle evidenze che ci aveva messo
Parole chiave davanti avevamo tratto la nostra conclusione, aderendo
all’organizzazione politica della classe operaia, il partito
comunista. Era l’immediato dopoguerra. Fummo gettati
brutalmente nelle grandi battaglie politiche e ideologiche che
il partito conduceva: dovemmo così valutare la nostra scelta
e assumerne le conseguenze».2

È nel 1965, dunque, con le raccolte di saggi Per Marx e


Leggere il Capitale, che s’impone all’attenzione del mondo
intellettuale marxista. Ebbene: Althusser è stato un punto di
riferimento importante, a volte criticato ma anche, spesso,
ragione di vivificato entusiasmo nell’elaborazione di un punto
di vista altro sul mondo; inoltre, come conseguenza coerente
della sua ambizione di legare indissolubilmente il marxismo
politico alla teoria, alla filosofia (e alla scienza), la
successiva crisi del marxismo stesso (crisi teorica ma
anche pratica: come insegna la sconfitta del socialismo nei
paesi dell’Europa dell’est) ne ha determinato il parziale
oblio. Specularmente, quindi, affermare l’attualità (sebbene
inattuale e sul cui significato si tornerà) dell’opera
althusseriana equivale a riaffermare la giustezza del
marxismo ora e qui; vale a dire: la sua forza penetrante, la
sua capacità di lettura in profondità della realtà ed anche la
necessità del socialismo non come forma di una necessità
teleologica, ma come una presenza costante che abita la
natura materiale della realtà (una necessità della
contingenza nella storia cui Althusser giunge, come scrive
Balibar3, grazie al particolare uso dell’idea di struttura). E
proprio il suo convincimento della centralità della teoria per
la lotta di classe continua a farne, oggi, il punto di riferimento
importante cui si accennava: «Senza
teoria/oggettivamente/rivoluzionaria non si dà
Movimento/oggettivamente/rivoluzionario» - scriveva, infatti,
Lenin - e poiché, secondo Althusser, la «scienza è l’indice
dell’oggettività», rivendicava per sé e per la sua opera non
solo il diritto di parlare di una scienza rivoluzionaria che
partiva già in Marx, ma anche il dovere di contribuire alla
costruzione di un modello via via sempre più adeguato di
essa. La prima regola per riuscire in questa battaglia
culturale è quella, però, di non introiettare la sconfitta che il
movimento comunista ha conosciuto in Europa (siamo oggi,
infatti, davanti a un’evidente, ma non definitiva, egemonia
del pensiero borghese), altrimenti non si porrà mai
effettivamente il tema delle prospettive alternative. Una
battaglia culturale e teorica che è, quindi, imprescindibile
anche per organizzare quella nuova soggettività politica che,
per Althusser, doveva essere capace di porsi come
concreta “pratica agente” della trasformazione del mondo;
nuova soggettività che i tempi della crisi attuale del
capitalismo rende sempre più impellente, accelerando la
necessità storica di una forma organizzata dei comunisti che
si faccia trovare attrezzata all’appuntamento con i punti posti
oggi all’ordine del giorno. E la soggettività politica di
un’organizzazione comunista non può non porsi, infatti, il
problema dei rischi dell’assoggettamento ideologico e
culturale che, inevitabilmente, si producono all’interno del
sistema capitalista e che pongono l’accento sui modi (e sui
tempi) dell’acquisizione di un reale ed efficace punto di vista
radicalmente altro, di una prospettiva differente. Ecco,
inoltre, perché è molto importante la distinzione operata da
Althusser tra congiuntura e contingenza (distinzione che si
trova a fondamento dell’osservazione, sopra accennata, di
Balibar). La congiuntura nella quale si opera (si è sempre,
infatti, all’interno di una determinata congiuntura) non è una
semplice contingenza: le leggi delle crisi cicliche del modo
di produzione capitalistico, sono sì tendenziali ma, proprio
per questo, durano; sono, cioè, rapporti stabili che vanno
indagati e, poi, aggrediti4. Se la congiuntura data è, infatti, il
Modo di Produzione Capitalistico, il piano della contingenza
è, invece, quello vertenziale della rivendicazione che si
articola nelle singole battaglie della quotidianità e che va
vissuto con la consapevolezza che è il piano congiunturale il
vero terreno di scontro dove si gioca la partita per la
‘transizione’, cioè per il superamento delle crisi. Perdere di
vista questa differenza rischia di mutare il senso stesso delle
battaglie quotidiane: equivocare contingenza e congiuntura
(dal punto di vista marxiano che Althusser riprende e
difende) significa sviare la lotta del movimento operaio dalla
prospettiva del socialismo e del comunismo e farla
sussumere dal Modo di Produzione Capitalistico;
sterilizzandola, quindi, come leva del cambiamento
rivoluzionario e nutrendola, invece, come àncora di salvezza
dell’esistente. Rischiando, in altre parole, di rafforzare la
presunta alternativa keynesiana che si fonda, ovviamente,
sulla necessità d’istituire un nuovo patto sociale; e con cui,
una volta tendenzialmente sussunta la classe operaia, essa
può essere definitivamente considerata elemento semplice
del tutto (quindi anche parte delle crisi cicliche del Modo di
Produzione Capitalistico) e non, invece, motore del
cambiamento, spinta verso la soluzione reale delle crisi.
Ragione sufficiente per interrogarsi, com’è avvenuto nel
marxismo francese, sui meccanismi di produzione del
sapere da parte del potere. Non è, infatti, casuale che siano
state le questioni economiche a suscitare, nel dibattito
marxista, considerazioni e approfondimenti epistemologici:
circostanza, questa, che ha ulteriormente convinto Althusser
della necessità d’indagare la cesura tra il Capitale e i
Manoscritti. D’altra parte, le classi non possono essere
considerate con facilità agenti storici del presente, allo
stesso modo di come possono esserlo le organizzazioni o
gli individui; esse non prendono, in quanto classe, decisioni
immediate: la classe è l’insieme delle forze, definite dalla
collocazione economica, che agiscono per mezzo di
tendenze, in modo collettivo, ma non sempre in maniera
completa. La sfida per il marxismo è, allora, l’elaborazione
dello specifico agente di classe; non solo, dunque,
l’appartenenza alla classe stessa, ma la sua collocazione
nella lotta fra le classi. Nelle crisi, dunque, l’elemento
congiunturale rende manifesto il contenuto stabile e
(ideologicamente) latente di quei rapporti e la ragione (cui,
come marxisti, dobbiamo sempre appellarci) mostra di farsi
carico della complessità della realtà e di porsi come
soluzione, proprio quando si colloca nel momento fecondo
della crisi. Così scriveva l’epistemologo francese (non
marxista) Bachelard (al quale deve tanto l’opera di
Althusser) a proposito delle trasformazioni che, all’inizio del
Novecento, erano in atto nei modelli scientifici tradizionali:
«Alcuni prendono a pretesto i radicali cambiamenti del
pensiero matematico e sperimentale per disperare della
ragione, e cercano la conoscenza nelle esperienze più
dirette, più intuitive. Altri considerano, al contrario,
superficiali e passeggere queste crisi e sperano, con palese
ottimismo, che ritorni il tempo della chiarezza e della
semplicità. Gli uni e gli altri non vedono quanto c’è di
organicamente sano in questa crisi dell’organizzazione
razionale della conoscenza scientifica»5. Marx, e cambiamo
piano, individuava proprio nelle crisi, infatti, ciò che
consentiva alla contraddizione tra forze produttive e relazioni
di produzione6 di prospettare una realtà alternativa: «queste
catastrofi si ripetono regolarmente con ampiezza sempre
maggiore e infine conducono al suo violento rovesciamento»
(Grundrisse). Che le «catastrofi» descritte da Marx, in altre
parole la caduta tendenziale del tasso medio di profitto, si
ripetano regolarmente è sotto gli occhi di tutti; così come (è
pure sotto gli occhi di tutti) che il loro «rovesciamento»,
proprio perché situato nel processo di una caduta
tendenziale e non necessaria, richiede un elemento
soggettivo. Il lavoro teorico di Althusser volto a comprendere
con uno sforzo di razionalità la crisi della razionalità stessa
(e conseguentemente della nozione classica di soggetto) è,
dunque, importante per definire una soggettività diversa e
capace d’incidere sulla realtà. Le crisi, infatti, tanto in un
paradigma teorico quanto nella dialettica effettuale delle
cose, determinano le condizioni oggettive per il loro
superamento, ma da sole non sono sufficienti. Ebbene: la
presa di coscienza (della necessità) dell’elemento
soggettivo come ragione di trasformazione avviene sempre,
anche nel caso della transizione a un modo di produzione
diverso (e qui veniamo al cuore del problema), all’interno di
un processo d’assoggettamento. Per Althusser la filosofia
non vive in un luogo separato dal mondo reale, da quello
effettuale, laddove, cioè, avvengono le cose (anche per
questo citava spesso il Kampfplatz, la kantiana definizione
della filosofia come “campo di battaglia”): è il caso
dell’interpretazione della rivoluzione bolscevica come
superiorità del marxismo attraverso Lenin6, dimostrazione,
cioè, della superiorità scientifica delle categorie
interpretative marxiste, come quel grande laboratorio
galileiano che è il «continente-storia» aveva chiaramente
mostrato al mondo intero nel ’17. Ed è proprio l’aver
allontanato dal marxismo ogni residuo teleologico-
metafisico, incrostato nella concezione ancora idealistica
del progresso come linea retta ed evolutiva, che ci consente
di leggere, oggi, nel crollo dell’URSS e dei Paesi del campo
socialista, una sconfitta del socialismo ma non il suo
fallimento. Se i fatti hanno un peso (e l’hanno!) anche questi
ultimi non possono che essere interrogati con il rigore
teorico dell’analisi marxista e non pochi sono i temi della
filosofia di Althusser che vale la pena ricordare perché utili,
oggi a vent’anni dalla sua morte (avvenuta il 22 ottobre del
1990), come cartina di tornasole sul presente e come
bussola rispetto al dibattito critico che deve svilupparsi
all’interno di un’organizzazione comunista. Nel 1976
Althusser annotava: «Viviamo in un periodo storico in cui il
marxismo, la teoria marxista e la filosofia marxista fanno
parte della nostra cultura. Dire che il marxismo fa parte della
nostra cultura, non vuol dire che sia integrato in essa. Al
contrario, il marxismo incalza la nostra cultura, essendo forza
ed elemento di divisione. Non stupisce che il marxismo sia
oggetto di conflitto, che sia difeso dagli uni e violentemente
attaccato, falsificato o deformato dagli altri, perché il
marxismo, la sua teoria e la sua filosofia pongono
direttamente sul tappeto la lotta di classe. Tutti sanno bene
che il marxismo dà luogo a posizioni teoriche dietro le quali
ci sono posizioni politiche e lotte politiche, di classe»7.

Porre, dunque, in quegli anni (soprattutto tra la fine dei


Sessanta e i primissimi Settanta) questioni teoriche e
critiche, rispetto alla tradizione del marxismo, poteva
apparire viziato da un’eccedenza teoricista (tanto da indurlo
alla famosa Autocritica8 del 1974); mentre, oggi,
paradossalmente, Althusser sembra ri-trovare la propria
attualità. Oggi perché, dopo la sconfitta che il movimento
comunista internazionale ha subito in Europa, diviene
centrale riflettere sull’infiltrazione dell’ideologia borghese
nella teoria e nella pratica comunista e, più in generale, sul
senso di una concezione marxista (e non solo marxiana)
della storia. Temi questi classicamente tutti presenti nella
sua opera. Come per le sue considerazioni sul XX
Congresso del PCUS: non pensava, infatti, che fosse da
mettere in dubbio, ovviamente, la legittimità delle critiche a
Stalin, tutt’altro; quanto, piuttosto, l’angolatura che si assume
e che deve, invece, rimanere rigorosamente comunista,
marxista, una prospettiva che si ha solo posizionandosi a
sinistra. Al contrario, il “culto della personalità” con il quale si
volle liquidare l’intera epoca in questione appariva, ad
Althusser, un cedimento al pensiero borghese. Una
categoria interpretativa che non trovava spazio, infatti, nel
patrimonio teorico del movimento operaio e comunista ma
che si nutriva nell’ideologia borghese, lì trovava alimento e
che impediva un’analisi effettivamente marxista dei processi
in corso dentro l’URSS. Elaborazione teorica, quella di
Althusser, utile anche perché significa riappropriarsi,
sebbene in modo critico e mai dogmatico, della propria
storia; senza, dunque, essere animati da istanze liquidatrici
rispetto alla tradizione del socialismo. Come spesso
accade, invece, nella sinistra italiana, dove ciò che risalta
politicamente e culturalmente nelle tesi di molti compagni
non è il riferimento ideale a Marx (ovvio), bensì l’esclusione
del resto. Un resto che è spesso irriducibile alla sola
riflessione marxiana e, molte volte, così legato all’opera di
Engels da rendere quella di quest’ultimo non includibile
nell’identità di Marx. Sarebbe opportuno, allora, ribaltare un
luogo comune: cos’è “album di famiglia”, citare, ad esempio,
Gramsci come ossequio rituale o, al contrario, farsi carico
responsabilmente dei significati che tal eredità lascia?
Questo è il punto: farsene carico, vuol dire fare uscire il
marxismo dalla storia delle idee in cui si vorrebbe
sterilmente e ideologicamente irreggimentarlo (come se la
storia delle idee fosse altra cosa rispetto ai processi reali)
per riagganciarlo alla storia dell’umanità che esso ha
modificato sostanzialmente a partire da Lenin e dalla
Rivoluzione d’Ottobre. Altrimenti, fuori di questa relazione, di
Gramsci, rimane solo l’icona. Questo è un insegnamento di
Althusser9 che va al cuore del problema, perché il
riferimento a Lenin è decisivo: significa la traduzione nella
prassi politica concreta di un patrimonio d’idee e di lotte che
lì hanno conosciuto il senso del misurarsi con la storia,
interrompendo le drammatiche sconfitte che il movimento
operaio aveva conosciuto con le prime due Internazionali.
Questo spinse Gramsci a definire “moderno principe” il
partito di Lenin: riuscire a mettere in atto ciò che la realtà del
tempo chiedeva; determinare, cioè, il passaggio dalla
potenza all’atto. Infondere nuovo senso alla storia è una
grandezza, sia consentito, incommensurabile rispetto a tanti
altri esempi; o, almeno, stabilisce un’inconfutabile priorità
dalla quale non si può prescindere. Quando Lenin sosteneva
la teoria dell’anello debole non pensava solamente alla
natura internazionale dello sfruttamento capitalistico (e,
quindi, alla conseguente possibilità che potessero emergere
paesi che, nonostante le condizioni arretrate di sviluppo
interno del modo di produzione capitalistico, fossero in
grado di orientare in senso rivoluzionario la funzione che lo
stesso paese svolgeva all’interno della totalità del sistema
capitalistico); pensava anche alla necessità di opporre
un’adeguata resistenza nella battaglia culturale e ideologica
tra la borghesia e il movimento operaio e comunista. Così,
nel giugno del 1972, Althusser scriveva: «Volevo difendere il
marxismo contro le minacce reali dell’ideologia borghese:
bisognava mostrare la sua novità rivoluzionaria; bisognava
dunque “provare” che il marxismo è antagonistico
all’ideologia borghese e che esso ha potuto svilupparsi in
Marx e nel Movimento operaio solo a condizione di una
rottura radicale e continua con l’ideologia borghese e di una
lotta incessante contro gli attacchi di questa ideologia»10.

Ma, allora, perché Althusser appare inattuale? E perché


utilizzare quindi, anche in questa sede, una categoria
nietzschana, qual è quella dell’inattualità, con la quale si
voleva indicare la strada che lo Ubermensch11 ha da
percorrere per preservarsi dalla corruzione dei tempi nuovi
nei quali era costretto a muoversi dalle contingenze
storiche? Ecco perché: perché essere inattuali oggi significa
mantenere una differenza irriducibile all’omologazione che
l’ideologia dominante produce. Non perché, cioè, si è contro
la modernità; al contrario perché si è veramente moderni
quando si è capaci di mostrare (come faceva Althusser) il
nuovo che affiora o che può affiorare tra le maglie del
presente. E neanche perché Althusser apparirebbe tale
essendo in realtà altro: perché egli è compiutamente
inattuale, senza alcuna separatezza tra il piano degli effetti di
superficie e quello di una presunta essenza nascosta.
Perché Althusser è il suo discorso; e il discorso di Althusser
oppone la materialità del conflitto, della contraddizione, dei
risultati della scienza, del lavoro, del rigore teorico, alla
metafisica dogmatica del mondo delle compatibilità. Utopisti
o ideologici nel chiedere questo oggi? Condizione questa
che ben rappresenta lo strano paradosso (ma comprensibile
se teniamo, appunto, a mente l’assoggettamento culturale e
ideologico al pensiero dominante) di chi, partendo dallo
stesso Marx e attraversando tutta la grande tradizione del
marxismo, ha voluto, invece, costruire una scienza,
attraverso rotture difficili ma necessarie con le precedenti
teorie di un socialismo vagamente umanitario o comunitario.
Un paradosso per tutti i compagni che sentono sulle loro
spalle il peso della sconfitta sul piano, evidente,
dell’oggettività, ma anche su quello della capacità soggettiva
di formulare una controffensiva. Ma è naturale che il
marxismo sia ostacolato anche attraverso la sua
mistificazione (sebbene «i marxisti non parlano mai al
vento»12 - scriveva, appunto, Althusser); fa parte anche
questo della battaglia politica e della lotta di classe ed è,
appunto, ideologico (nel senso marxiano), perché funzionale
a occultare e a dominare la lotta di classe che, invece, c’è,
nella società come nella teoria. Questa, adesso, è una
questione centrale: la lotta di classe è, oggi, combattuta con
consapevolezza di parte, essenzialmente dalle classi
dominanti e, proprio per questo, per “invertire l’invertito
corso del mondo”, bisogna ribaltare il tavolo e, partendo
dall’elaborazione teorica e culturale, prospettare un punto di
vista irriducibilmente antagonistico. Ancora e concludendo:
«Non è un dibattito tra filologi! - ammoniva Althusser
pensando alle condanne e alle passioni suscitate dalle
formulazioni di Marx ed Engels, di Lenin e di Mao - Il
mantenimento o l’eliminazione di queste parole, la loro
difesa o il loro annientamento, sono la posta in gioco di
autentiche lotte, il cui carattere ideologico e politico è
manifesto. Non è esagerato dire che ciò che oggi è in
causa, dietro la questione di queste parole è il leninismo tout
court»13. Analogamente, per noi, la posta in gioco non è
l’opera di Althusser, ma (anche attraverso essa) il
riconoscimento dell’esistenza e del ruolo di un’autonoma
teoria marxista e soprattutto della sua necessaria e concreta
fusione con il Movimento operaio.

1 Molto grande è stata la sua influenza, ad esempio, nel


continente sud-americano. Cfr.: le conversazioni con
Fernanda Navarro (professoressa di filosofia in contatto con
Mauricio Malamud, professore anch’esso di filosofia ma
soprattutto militante comunista argentino e amico personale
di Althusser perseguitato e imprigionato per diciotto mesi
nel 1975), svoltesi tra il 1984 e il 1987 e pubblicate in
Messico nel 1988 con il titolo Filosofia y Marxismo (Siglo
XXI Editores).

2 L. Althusser, Prefazione oggi, in Per Marx, Mimesis,


Milano, 2008, pp. 23-24.

3 In Introduzione alla riedizione del 1996 di Pour Marx.

4 Cfr. L. Althusser, Sul materialismo aleatorio, Mimesis,


Milano 2006, p. 62. Aggiunge Althusser: «In innumerevoli
passaggi Marx, e sicuramente non è un caso, ci spiega che
il modo di produzione capitalistico è nato dall’“incontro” tra il
“proprietario di denaro” e il proletario sprovvisto di tutto,
salvo della propria forza lavoro. “Capita” che questo incontro
abbia avuto luogo, e abbia “fatto presa”, il che vuol dire che
non si è dissolto non appena avvenuto, ma è durato ed è
diventato un fatto compiuto, il fatto compiuto di questo
incontro, che provoca dei rapporti stabili e una necessità il
cui studio fornisce delle “leggi”, beninteso tendenziali: le
leggi dello sviluppo del modo di produzione capitalistico
(legge del valore, legge dello scambio, legge delle crisi
cicliche, legge delle crisi e della scomposizione del modo di
produzione capitalistico, legge del passaggio - transizione -
al modo di produzione socialista sotto la legge della lotta
delle classi ecc.)»

5 G. Bachelard, L’impegno razionalista, Jaka Book, Milano


2003, p. 45.

6 Cfr. L. Althusser, Lenin e la filosofia.

7 L. Althusser, Conferenza di Granada: La trasformazione


della filosofia, in Sulla filosofia, Unicopli, Milano 2001, p.
125.

8 «Beninteso, questa autocritica, di cui sviluppo qui la


“logica”, e gli argomenti interni, quali hanno attirato la nostra
riflessione, non è un fenomeno meramente interno. Essa può
essere compresa solo come l’effetto di una ben diversa
“logica” esterna, quella degli eventi politici [...] Il lettore
stabilirà da sé il rapporto necessario fra queste due
“logiche”, senza perdere di vista il primato della pratica sulla
teoria, cioè il primato della lotta di classe nell’economia e
nella politica sulla lotta di classe nella teoria.» (L. Althusser,
Elementi di autocritica, Feltrinelli, Milano 1975, p. 5).

9 Cfr. L. Althusser, Machiavelli e noi, Manifestolibri, Roma


1999.

10 L. Althusser, Elementi di autocritica, cit., p. 7.

11 Il superuomo o oltre-uomo.

12 Cfr. Risposta a John Lewis, in I marxisti non parlano mai


al vento, Mimesis, Milano 2005.

13 L. Althusser, Elementi di autocritica, cit., p. 15.

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