LA VITA
Italo Svevo (pseudonimo che serve per esplicitare i legami sia con l'Italia= Italo che con la
Germania=Svevo) nacque a Trieste, in una agiata famiglia borghese ebraica, le sue doppie
nazionalità favorirono una formazione legata a entrambe le tradizioni culturali.
Svevo ricevette un'istruzione primaria bilingue.
In seguito al fallimento dell'industria di famiglia, Svevo trovò impiego nella filiale triestina
della Banca Union di Vienna, dove rimase per diciotto anni. Nello stesso periodo iniziò una
collaborazione con il giornale "L'indipendente", scrivendo, sotto lo pseudonimo di E. Samigli,
recensioni teatrali e articoli di argomento letterario e filosofico.
Dopo la pubblicazione del suo primo romanzo, Una vita, che non ebbe successo, sposò la
cugina Livia Veneziani. Due anni dopo la nascita della figlia Letizia, lasciò la banca e diventò
direttore della fabbrica del suocero, un'industria di vernici per imbarcazioni. La nuova
occupazione portò Svevo ad abbandonare le pubblicazioni, anche se continuò a scrivere e a
coltivare la sua passione per il violino. Anche dopo la pubblicazione del suo secondo
romanzo, Senilità, la critica lo ignorò completamente.
Costretto a frequenti spostamenti all'estero per motivi di lavoro, Svevo ebbe necessità di
migliorare il suo inglese e per questo si rivolse a James Joyce. Tra i due nacque una
sincera amicizia; Joyce, dopo aver letto i suoi romanzi, lo invitò a riprendere l'attività
letteraria.
Lo scoppio della prima guerra mondiale pose un freno all'attività della fabbrica di vernici;
Svevo ebbe pertanto l'opportunità di dedicarsi all'approfondimento della psicoanalisi e di
collaborare con un nuovo giornale triestino, "La Nazione". Dopo la guerra riprese a scrivere
un nuovo romanzo, La coscienza di Zeno; dopo un iniziale silenzio della critica, la nuova
opera si impose all'attenzione del pubblico grazie a Eugenio Montale che aveva avuto modo
di leggere i tre romanzi di Svevo e ne era rimasto entusiasta, tanto che gli dedicò il saggio
Omaggio a Italo Svevo.
Svevo morì per le lesioni riportate in seguito a un incidente stradale.
I romanzi
Una vita
Il primo romanzo di Italo Svevo, il cui titolo originario era Un inetto, viene pubblicato nel
1892 a spese dell’autore. Si tratta della narrazione in terza persona del fallimento
dell’intellettuale Alfonso Nitti che, venuto dalla campagna a Trieste, giunge al suicidio
dopo molti tentativi falliti di superare la propria condizione e affermarsi nel mondo.
lo porta alla disperazione. Alfonso non si pone come modello positivo, perché reagisce
con passività. I suoi propositi non sono mai perseguiti fino in fondo ed egli non riesce a
comunicare con il prossimo. Questo antieroe moderno è immerso in una grigia realtà
quotidiana. Dal punto di vista stilistico la lingua è priva di preziosismi e si adegua alla
realtà tetra che descrive, fino all’asprezza e alla scorrettezza grammaticale: riprende
molte strutture dalla lingua tedesca, molto usata a Trieste, e spesso si dimostra incerto ad
esempio sull’accordo dei verbi o sulle grafie di alcune parole. In realtà tutto questo rientra
nello stile di Svevo ed è una caratteristica oltre che della sua scrittura, anche dei suoi
personaggi. Dobbiamo infatti ricordare che all’interno della scrittura letteraria, a differenza
degli altri tipi di scrittura, l’errore grammaticale è spesso possibile e anzi rientra in una figura
retorica che si chiama anacoluto, quello che comunemente si dice “licenza poetica”. Molti
critici contemporanei di Svevo non capirono questo e si scagliarono contro di lui per
il suo stile.
Senilità
1898 e subito dopo in volume e, come il precedente, fu del tutto ignorato dalla critica e dal
intellettuale fallito di 35 anni, che conduce una vita da impiegato, vive un rapporto con
presentano e in ritardo sul presente. Si costruisce dei modelli ideali, non sa vivere il
Altri personaggi del romanzo sono lo scultore Stefano Balli, sicuro e spregiudicato,
delle convenzioni, riservata e rinunciataria, che viene sconvolta fino alla follia e alla morte
dall’amore segreto per Balli. L’altro personaggio femminile, Angiolina, donna del popolo,
rappresenta la vitalità libera e aperta, la salute e l’energia. Emilio vorrebbe godere della sua
vitalità, ma riesce a vivere il rapporto con lei solo attraverso intermediari. Più la donna è
estranea e distante, più Emilio è preso dall’amore per lei. Nel finale Emilio incontra per
l’ultima volta Angiolina, quasi contemporaneamente alla morte di Amalia, e l’immagine della
donna sembra trasfigurarsi in una lontananza simbolica, come l’immagine della giovinezza
vista da un vecchio.