Dopo la conquista spagnola gli scribi maya redassero due testi molto
importanti per comprendere il loro pensiero ed i loro rituali:
Entrambe le opere parlano dei miti relativi alla creazione della natura e
dell’uomo.
1. vi sia un’unica civiltà e/o religione dalla quale tutte le altre sono
derivate;
2. la mente di tutta l’umanità ha una comune impronta genetica, che
la porta a sviluppare i ragionamenti secondo una stessa logica: quella
che, per spiegare il mondo, le sue origini e i fenomeni naturali, si rivolge
ad una dimensione religiosa.
Per i credenti, questa impronta comune nei diversi popoli altro non è, se non
la scintilla divina che il Creatore ha infuso negli uomini, rendendoli assimilabili
a Lui.
MAYA
La civiltà Maya, sviluppatasi nella penisola dello Yucatan, in Guatemala, in
Honduras e nelle regioni limitrofe fiorì tra il IV e XV secolo d.C..
1. la creazione
2. il diluvio universale;
3. I gemelli divini,
4. Il sacrificio dell’Innocente
5. Il culto solare.
Tale archetipi sono riportati nel Popul Vuh (la Bibbia dei Maya degli altipiani).
LA CREAZIONE
Al centro del mondo c’era una grande ceiba che congiungeva, con i suoi rami
e le sue radici, il mondo sotterraneo a quello superiore.
Si pensava anche che la terra fosse sostenuta da quattro rettili che con i loro
movimenti davano luogo a cataclismi e terremoti.
Dopo aver creato la terra gli dei creano poi gli animali, però, giacché gli
animali non lodavano gli dei, li condannarono a mangiarsi l’un l’altro.
Gli dei creano quindi gli uomini di fango, ma il tentativo non riuscì perché le
creature si rivelarono prive d’intelligenza e di sentimenti, incapaci di parlare
ed onorare gli dei. Le divinità, deluse, le sciolsero nell’acqua.
Provarono poi a formarli con il legno, ma anche questo tentativo fallì perché
erano poco intelligenti, privi di sentimento e ignoravano i loro creatori:
I GEMELLI DIVINI
La seconda parte del Popol Vuh narra dei gemelli divini. Anche questo
archetipo è presente in tante civiltà asiatiche ed europee.
In questo libro l’archetipo dei gemelli divini forma un unicum narrativo con
l’archetipo del sacrificio dell’Innocente e comprende anche l’archetipo della
discesa dell’eroe agli inferi.
Infine, dopo aver governato saggiamente il loro popolo, gli eroi gemelli
ascendono al cielo.
La terza parte del Popol Vuh parla della creazione definitiva degli uomini,
che gli dei forgiano da una pannocchia di mais con cui formarono quattro
uomini (i primi 4 re).
Gli dei crearono per loro 4 spose ed essi resero omaggio agli dei, che lo
gradirono e così li lasciarono sopravvivere.
IL CULTO SOLARE
Un altro archetipo è il culto solare. Per i Maya il dio del sole e del cielo
benché non disponesse di poteri immediati e concreti, era molto amato. Lo
raffiguravano spesso nelle costruzioni e negli scritti. Senza di lui, la creazione
del mondo non sarebbe stata possibile.
Il dio Sole era venerato sia nell’aspetto diurno che in quello notturno, quando
l’astro scendeva nel mondo nei morti. In questo caso veniva rappresentato
come un giaguaro.
IL PANTHEON MAYA
Il pantheon Maya nonostante abbia in comune qualche figura divina con le
altre civiltà precolombiane è in massima parte diverso. Ciò si spiega col fatto
che i contatti, e quindi le possibilità di influenzarsi furono assai scarsi, a
causa delle grandi distanze che li separavano (in particolare tra Messico e
Perù intercorrevano migliaia di chilometri).
Per i Maya:
il creatore del mondo era Hunabku (Hunab = uno; Ku = dio), essere
supremo venerato nello Yucatán, che aveva creato gli dei Chiracan-
Ixmucane, i quattro dèi che crearono il mondo, ciascuno dei quali si
scisse in due creando altre quattro divinità femminili;
Alom, dio del cielo, uno di quelli che parteciparono alla creazione;
Bacab: erano dei che sorreggevano il mondo dai quattro angoli
Balam è il dio del mondo sotterraneo;
La luna raffigurata come donna giovane è rappresentata con un coniglio tra le braccia,
perché essendo stata una moglie infedele il Sole, suo marito, l‘aveva colpita lanciandole
un coniglio sul viso ed oscurato in tal modo il suo splendore.
La luna a volte era anche rappresentata come donna anziana
Huracan (da cui deriva la parola “uragano”), è il dio del tuono e della
tempesta;
I Maya facevano continue guerre, non tanto per conquistare nuove terre,
quanto per la necessità di procurarsi prede umane da offrire alle loro divinità,
che si nutrivano di sangue umano per vivere.
Esso veniva portato a termine nel tempio che si trova in cima alla piramide,
situata nel centro della città.
La piramide era una costruzione molto grande, alta anche più di sessanta
metri, a gradinate, simbolo delle sfere celesti, ed una larga e ripida scala
centrale che portava in cima alla costruzione. In cima vi era la piattaforma
dove sorgeva il tempio, una costruzione a tre o più vani; di fronte al tempio
sorgevano delle stele rettangolari alte fino a quattro metri avanti ad esse era
posto l’altare in pietra di forma convessa, dove veniva uccisa la vittima.
I Maya, come si è già detto, non combattevano per uccidere i nemici, ma per
catturarli vivi ed offrirli agli dei. Il sovrano o il nobile sconfitto veniva spogliato
delle insegne, condotto nella città del vincitore, qui torturato e sacrificato nel
rito pubblico.
Nel sacrificio non c’era odio verso la vittima, al contrario essa era circondata
da grande rispetto e dopo la morte era considerata santa ed accolta nel
paradiso.
Vi sono racconti storici di prigionieri che rifiutarono la salvezza e decisero
spontaneamente di essere immolati.
Il blu era il colore del sacrificio ed infatti anche i sacerdoti preposti al rito, di
rango inferiore rispetto a quelli che studiavano gli astri, indossavano vesti
della stessa tinta. Anche l’ara veniva dipinta di blu.
Il re vittorioso, se il prigioniero era di sangue reale, dopo la vittoria acquistava
grande prestigio ed aggiungeva al suo nome per tutta la vita quello del vinto,
e dopo la morte si faceva raffigurare con grande magnificenza e con la vittima
in ginocchio o prostrato sotto i suoi piedi.
Nel primo caso la vittima, uomo o donna che fosse, dopo aver partecipato ad
una danza sacra collettiva veniva legata e colpita prima dal sacerdote con la
lancia e poi uccisa con le frecce, scagliate dai danzatori sul suo cuore.
Nel secondo caso, in un grande pozzo a Chichén Itzá dedicato al dio Chac,
largo sessanta metri e profondo quaranta, venivano gettate nel pozzo alcune
donne nobili che dovevano implorare la divinità e chiedergli un’annata
favorevole.
Le poche donne che sopravvivevano riferivano le risposte avute ed erano
venerate come creature prescelte dagli dei.