Vaticano II
diretta da Giuseppe Alberigo
Volume 2
Giuseppe Alberigo
Gerald Fogarty
Jan Grootaers
Mathijs Lamberigts
Hilari Raguer
Andrea Riccardi
Giuseppe Ruggieri
,J
Abbreviazioni e fonti 15
VIII. Il concilio
. .si gioca nell'intervallo.
. La «seconda preparazio-
ne» e 1 suol avvversar1 385
1. Incertezze e confusione. 2. La commissione di coordinamento. - 3.
Le commissioni conciliari al lavoro. 4. Dal concilio al conclave. - 5.
Dal conclave al concilio. 6. I risultati ottenuti in mezzo alle tensioni.
[Jan Grootaers]
Indici p. 635
Indice dei nomi. Indice tematico. Indice sommario. Pianta dd
l'Aula conciliare. - Pianta di Roma.
Premessa
Premessa
Con questo volume la Storia del concilio Vaticano II entra nel vivo
dello svolgimento dell'evento conci1iare. Anche i criteri storiografici di
ricostruzione e quelli letterari di esposizione hanno dovuto subire un
profondo adeguamento rispetto a quelli usati per il volume sulla prepa-
razione. Infatti il lavoro pre-conci1iare degli anni 1959-1962 si è svolto
secondo modalità ordinate e quasi schematiche nell'ambito delle singole
commissioni preparatorie e, poi, della Commissione centrale. Invece la
vita della grande assemblea conci1iare è stata caratterizzata da ritmi
complessi, dall'accavallarsi di argomenti, istanze, sentimenti che rimbal-
zavano - talora vorticosamente - tra l'assemblea plenaria, le commissio-
ni, il papa, gli osservatori, i gruppi informali, le grandi residenze dei ve-
scovi, i centri di informazione, la stampa e l'opinione pubblica.
L'impegno di offrire una conoscenza adeguata della composizione di
un fenomeno collettivo di proporzioni del tutto inusuali e la fedeltà allo
svolgimento quotidiano dei lavori conci1iari hanno posto problemi consi-
derevoli. Infatti si è ritenuto di privilegiare l'effettivo dipanarsi dell'espe-
rienza assembleare, anche nelle sue innegabi1i tortuosità, rispetto a una
ricostruzione tematica, sicuramente più lineare, ma anche meno rispetto-
sa della concretezza dell'evento.
Anche per questo volume è stato possibile realizzare un'ampia e fe-
conda collaborazione internazionale sia durante le ricerche preparatorie
e i dibattiti relativi, che nella costruzione della narrazione (anche se,
sfortunatamente, non è stata disponibile una collaborazione tedesca). Le
differenze tra i punti di vista dei collaboratori sono state rispettate e co-
stituiscono un pregio dell'opera.
I singoli capitoli sono dovuti rispettivamente: il I a Andrea Riccardi,
Roma; il II a Gerald Fogarty, Charlottsville (trad. dall'inglese: Simona To-
schi); il III e il VI a Mathijs Lamberigts, Leuven (trad. dall'inglese: Massi-
mo Faggioli); il IV a Hilari Raguer, Montserrat (trad. dal castigliano: Loris
Zanatta); il V e il VII a Giuseppe Ruggieri, Catania; l'VIII e il IX a Jan
Grootaers, Leuven (trad. dal francese: Marcello Malpensa); chi scrive ha
redatto l'ultimo capitolo, oltre a sovraintendere al coordinamento generale.
12 PREMESSA
Giuseppe Alberigo
Abbreviazioni e fonti
.')
FONTI E ARCHM
Nel corso delle ricerche sulla storia del concilio si sono cercati e ottenuti numerosi ac
cessi a fondi privati dei partecipanti a vario titolo al Vaticano II: queste carte integrano
e completano i documenti deffArchivio del concilio Vaticano II voluto da Paolo VI come
entità distinta dall'Archivio segreto Vaticano ed aperta agli studiosi, per lo zelo di V.
Carbone. Un uso sistematico di tali fonti è stato fatto nei numerosi studi, nelle mono-
grafie e nei colloqui che preparano e corredano questi volumi di «Storia del concilio» -
e di cui si trova un censimento analitico sia in J. FAMERÉE, Vers une histoire du Conci/e
Vaticano 11, in «Rlffi>> 89 (1994), pp. 638 641, sia in A GREILER, Ein internationales
Forschungsprojekt zur Geschichte des Zweitens Vatikanums, in Zeugnis und Dialog. Die
katholische Kirche in der neuzeitlichen Welt und das II. Vatikanische Konzil. Klaus Witt-
stadt zum 60. Geburstag, hrsg. W. WeiB, Wiirzburg 1996, pp. 571-578.
Vengono in particolar modo utilizzati in questo volume i documenti raccolti (ora in ori
ginale, ora in copia) presso gli archivi di alcuni centri di ricercal. Inoltre alcune bibliote
che, case religiose, famiglie hanno dato accesso, con differenti limitazioni, a documenta
zio ne particolarmente preziosa2.
Nelle ricerche si sono altresì resi disponibili vari diari, sui cui caratteri si veda A. MEL-
LONI, I diari nella storia dei condii, in M. D. CHENU, Note quotidiane al Concilio. Diario
del Vaticano II. 1962-1963, Bologna 1996. In modo particolare vengono utilizzati in que
sto volume i diari di alcuni padri e periti3.
I documenti inediti ricavati da fondi privati4 o personali recano prima de1la segnatura o
della identificazione cronologica la lettera F, seguita dal cognome del titolare del fondo
(es.: F-Stransky).
Un elenco della collocazione dei fondi citati si trova in appendice al vol. Verso il Vatica-
no II; una lista aggiornata, curata da G. Turbanti, è a disposizione degli studiosi presso
l'archivio dell'Istituto per le scienze religiose a Bologna ed è in stampa.
Le traduzioni sono segnalate in nota.
3J. Fenton, New York; E. Florit, Firenze; G. Siri, edito in B. LAI, Il papa non elet
to. Giuseppe Siri cardinale di Santa Romana Chiesa, Roma-Bari 1993; R Tucci, Roma;
Y.M.J. Congar, Paris; M.M. Labourdette, Tolouse; J. Jungmann, Innsbruck; N. Edelby,
Alep, edito iti tr. italiana in N. EDELBY, Il Vaticano II nel diario di un vescovo arabo, a
cura di R. Cannelli, Cinisello B. 1996; M. D. Chenu, Paris edito in M. D. CHENU, Notes
quotidiennes au Conci/e, éd. et intr. par A Melloni, Paris 1995; O. Semmelroth, Miin-
chen.
4 Ha utilizzato carte personali J an Grootaers, Bruxelles; la famiglia di G. Urbani ha
consentito l'accesso alle carte dello scomparso cardinale.
Storia del concilio Vaticano II
La formazione
della coscienza conciliare
Capitolo primo
1. La vigilia
Il concilio era una realtà che non rièntrava più nell'esperienza della
chiesa cattolica. I ricordi del Vaticano I, un'assise così particolare nel
novero dei concili, erano ormai qualcosa di remoto. L'attesa del nuovo
evento era grande quanto l'inesperienza delle dinamiche e della portata
di un concilio. Le memorie dei padri conciliari annotano unanimemente
un diffuso senso di attesa. L'opinione pubblica cattolica vive un'aspetta-
tiva dai contenuti sfumati: le riunioni di preghiera nelle singole diocesi e
i documenti dei vescovi per i loro fedeli confermano la sensazione che
sta per darsi un evento maggiore nella vita della chiesa cattolica. Indi-
pendentemente dal ruolo avuto nella preparazione e dal giudizio sul
prodotto che aveva raggiunto la periferia della chiesa nell'estate, nem-
meno i futuri protagonisti del concilio - circa 2.500 vescovi, che ne
sono membri, decine di teologi, moltissimi addetti dell'informazione1 -
hanno chiaro cosa sta per accadere.
Un cardinale autorevole negli anni di Pio XII, Giuseppe Siri, arcive-
scovo di Genova, vede avvicinarsi l'avvenimento conciliare con preoccu-
pazione: teme la complessità dei lavori e la logica assembleare. Le dina-
miche di un'assemblea così grande gli sembrano rischiose per la loro ca-
pacità di produrre conflitti e confusioni in contrasto con quella chia-
rezza e semplicità che auspica per il cattolicesimo nel mondo moderno.
I vescovi francesi e tedeschi sono tra i maggiori agenti di una possibile
«confusione»: «non hanno mai eliminato del tutto - annota - la pressio-
ne protestantica e la Prammatica Sanzione. Bravissima gente, ma non
sanno di essere portatori di una storia sbagliata». Una visione equilibra-
ta della storia e del futuro si può avere - secondo un'antica tradizione
romana di governo - solo dal centro della chiesa. Infatti il card. Siri
pensa che «la parte degli italiani - dei latini -, con quella della Curia,
debba essere dirimente, sia per colmare dei vuoti, sia per correggere er-
rori di rotta». E conclude: «la calma di Roma setvirà».
Ma Roma non è calma e soprattutto non ha una visione unica ri-
guardo allo svolgimento del Vaticano II: per non pochi il concilio è sen-
tito come un__ rischio e il possibile bacino di sviluppo per le pressioni
centrifughe. E la posizione degli uomini di Pio XII, come Siri, eco di
quella assunta nella valutazione di una possibile celebrazione conciliare
studiata alla fine degli anni Quaranta. Ma non tutti condividono questo
timore; alcuni hanno una certa fiducia; altri hanno ricevuto con rispetto
l'iniziativa di Giovanni XXIII e sentono rivivere l'antica tradizione con-
ciliare. Costoro - ed è la posizione di un funzionario, come il segretario
della conferenza episcopale italiana, Castelli - temono un eccesso di
protagonismo della curia, che svuoti la libertà dei padri2. Il clima a
Roma è di incertezza. Al contrario, fin dai lavori preparatori alcuni car-
dinali di curia, tra cui Confalonieri e Cicognani, hanno mostrato la loro
volontà di assecondare l'evento conciliare voluto da Giovanni XXIII.
Per loro, tuttavia, l'imponente numero di pagine di schemi - sia quelli
spediti, che quelli ancora da perfezionare - offre i binari sicuri per uno
svolgimento rapido del Vaticano II e per evitare processi centrifughi.
ti gli uomini, cristiani o non, per enunciare gli scopi e l'ispirazione dell'Assemblea, in
una prospettiva missionaria e con la dimensione dei problemi della congiuntura attuale
del mondo, risponderebbe efficacemente all'attesa simpatetica di tutti - che sarebbero
sconcertati da un avvio immediatamente comandato da deliberazioni teoriche e da de-
nunce di tendenze erronee6.
Che cosa vuol dire vivere il concilio per un singolo vescovo che giunge
a Roma nella prima decade dell'ottobre 1962? È rilevante il primo impat-
to dei vescovi con gli altri presuli, con una Roma conciliare inedita rispet-
to alle precedenti conoscenze che i padri possono aver avuto della città e
della curia. Un mese prima dell'apertura del Vaticano II, Giovanni XXIII
7 Cfr. A. RrccARDI, Il potere del papa da Pio XII a Giovanni Paolo II, Roma-Bari
1992; sull'episcopato italiano, cfr. F. SPORTELLI, La Conferenza Episcopale Italiana (1952-
1972), Galatina 1994.
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 25
8 DMC IV, pp. 519 528; sulrimportanza di alcune indicazioni del cardinale di Ma
lines-Bruxelles a questo proposito e sullo schema presentato al papa in luglio, cfr. L.-J.
SuENENS, Souvenirs et espérances, Paris 1991, pp. 65 80 e Aux origines du Concile Vati
can II, in «Nouvelle Revue Théologique» 107 (1985), pp. 3 21; per la supplica del cardi
nale canadese, G. ROUTHIER, Les réactions du cardinal Léger à la préparation de Vatican
II, in <<Revue d'histoire de l'Église de France» 80 (1994), pp. 281 301.
9 Per l'uso successivo e la rilevanza di questa affermazione, cfr. D. PELLEITIER, Le
groupe de l'église des pauvres, in Leuven.
26 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
15. Il luogo
L'attesa e gli interrogativi si accompagnano anche ad una certa cu-
riosità sul luogo dove il concilio si sarebbe svolto. L'aula conciliare oc-
cupava per la prima volta la navata centrale della basilica di S. Pietro e
non nel transetto come al Vaticano !1 2• Qualche padre non resiste al-
l'idea di andare a vedere prima come sono state sistemate le bancate da
cui i vescovi e gli altri parteciperanno al Vaticano II. Per qualcuno si
tratta di un'ispezione non dettata dalla curiosità ma da una questione
cerimoniale che tocca la sostanza. Maximos IV Saigh, patriarca melkita
di Antiochia e che si rivelerà tra i protagonisti del concilio, compie una
attenta visita alla basilica vaticana: può constatare - come già sospettava
- che il posto dei patriarchi orientali seguiva quello dei cardinali nell'or-
IO La distribuzione avviene in una laterale di via della Conciliazione, nei pressi del
Vaticano.
11 DUrb 10 novembre 1962.
12 Sulla disposizione dell'aula del Vaticano I, cfr. SIV 1) pp. 500-501.
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 27
Parecchi padri, però, pensano proprio che tutto si potrà e dovrà ri-
solvere con la parola e le indicazioni del papa; il papa dovrà sciogliere
le incertezze ed indicare che cosa fare. Questa abitudine - quasi una
spiritualità - era stata rafforzata negli anni di Pio XII. La parola e le in-
dicazioni di papa Pacelli avevano guidato, anche da un punto di vista
molto concreto, la vita della chiesa. Dal papa di Roma ci si aspettava un
messaggio anche dal contenuto precettivo e non solamente alcune indi-
cazioni di carattere generale. L'attenzione dei padri conciliari si concen-
tra tutta sui primi passi del concilio e sulla parola di Giovanni XXIII,
che avrebbe aperto l'assise conciliare e che avrebbe dato le direttive su
come fare procedere i lavori conciliari, sulla loro durata, sui loro obietti-
vi e sul compito stesso dei vescovi.
I vescovi non avevano un'esperienza ravvicinata delle assemblee par-
lamentari che caratterizzavano la democrazia occidentale. Troppo fresca
era l'esperienza democratica in Italia e in Germania per averne assimila-
to profondamente la lezione; mentre tale esperienza era assente in Spa-
gna, in Portogallo, in Europa orientale, in parecchi paesi dell'America
Latina e nei giovani Stati del Sud del mondo. Anche se il concilio non
era il parlamento della chiesa, la familiarità con i metodi delle votazioni,
con i sistemi democratici, con la formazione di maggioranza e minoran-
za, avrebbe potuto aiutare a concepire le dinamiche di una grande as-
d'Oriente, nonostante le proporzioni ridotte della sua chiesa, rappresenta una chiesa so
rella per quella romana. Si capisce come questa concezione non trovasse posto nd ceri
moniale romano, perché non aveva legittimità nell'ecclesiologia di Roma. La posizione
degli uniati consapevoli di questo loro ruolo era quindi difficile.
30 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
2. L'apertura
22 Il cardinale Wyszytiski annota nel suo diario l'andamento della cerimonia e l'at-
teggiamento che lo circonda - fatto di venerazione, di pronunce approssimative, di sin
golari accostamenti nei seggi fra il primate americano ed il cardinale dell'Armenia savie
tica, di commenti sulla magrezza che fanno ironicamente «vergognare l'uomo che viene
dal paese materialista», di atti di devozione alla Regina della Polonia, cfr. S. WYSZYNSKI,
By Cz owik pos any od Boga, a fan mu by o na im~ in fan XXIII i }ego dzie o., a cura di
B. Bejze, B. Dziwosza, W. Zi6fka, Warszawa 1972, pp. 41 156, specie 98 99.
23 Per la reazione irritata di Congar cfr. JCng 11 ottobre 1962, ff. 68-71 ds.
32 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
al papa seduto sul suo trono. Alla fine del rito dell'obbedienza, Giovan-
ni XXIII emette la professione di fede ed il giuramento, quest'ultimo ri-
petuto dai padri, mentre il Credo viene cantato dal coro della basilica
nel muto silenzio dei vescovi.
Lo sconcerto dei liturgisti è palpabile, al punto che nessuno nota
che nella professione di fede s'è alla fine utilizzata l'antica formula nice-
no-costantinopolitana, e non quella formula nova di sintesi delle condan-
ne del magistero del Novecento, che il S. Uffizio aveva voluto preparare
e che era rimasta negli schemi preparatori24 • Un esponente di punta del
movimento liturgico, Joseph Jungmann, fa una analisi spietata:
L1 apertura non fu piacevole per me: ancora senza documento d'accredito dovetti
aprirmi la strada in Vaticano con il mio decreto di nomina; senza indicazioni sul luogo e
l'ora. Da qualsiasi parte si domandasse un'informazione, sempre una sola risposta: Non
so! Finalmente, dopo aver errato invano per un'ora, sono arrivato alla basilica e là sono
stato condotto cortesemente da un assignator ai posti riservati per i periti, dove tuttavia
non se ne trovava quasi nessuno {brutto lato nelle gallerie). Fatto sta che qui potei vede-
re bene l'ingresso dei vescovi e ascoltare tutto benissimo. Come azione liturgica era sen
za dubbio accuratamente eseguita: buona musica di chiesa, eccellenti impianti acustici;
ma come concezione d'insieme: stile Leone XIII. Dalla statio orbis a Monaco non si è
imparato niente. Dunque funzione solenne senza distribuzione della comunione. Invece
di integrarvi gli atti di apertura {Vangelo in più lingue, allocuzione del papa, pro/essio /i-
dei, preghiere d'intercessione .. .) tutte queste cose venivano come appendici senza ordine.
Un flectamus genua seguiva la litania! La preghiera non bellissima, Adsumus, indirizzata
allo Spirito Santo {come ho potuto comunicare a Bugnini, viene dallo Pseudo Isidoro)
fu recitata da uno solo e non da tutti insieme. Ma questo certamente sarà piaciuto alla
maggior parte. Forse doveva essere cosi reso visibile il terminus a quo delle cose liturgi
che25.
24 Cfr. A. INDELICATO, La Formula nova pro/essionis /idei nella preparai.ione del Va-
ticano 11, in «CrSt» 7 (1986), pp. 305 320.
25 TJng 11 ottobre 1962.
26 JLbd 11 ottobre 1962.
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 33
27 Molti dei vescovi che scrivono dopo la fine della mattinata sono rapiti dalla reto
rica del cerimoniale e dalla commozione. Enrico Bartoletti è fra questi e nel suo Quader-
no ms il discorso d> apertura del papa e le parole dette la sera «alla luna>> si appaiano:
«Lunedì 11 otto. 1962, Maternità di Maria/ Solenne apertura del concilio ... La profes
sione di fede fatta dal Papa da solo, dinanzi a tutta la Chiesa, è una cosa stupenda! E la
fede il nostro vero vincolo: ed è quella fede che tutti serviamo [. .. ] la Santa Chiesa di
Dio./ Il Papa che dono di Dio per la sua Santa Chiesa! ha parlato con semplicità e
chiarezza. Il suo ottimismo, la sua fiducia nei tempi nuovi, la sua fede nella Chiesa ap
paiono cosa tanto radicata nel suo animo, che ben difficilmente potranno essere sover
chiate dalle voci del concilio. Quella è la linea. O bene, o male, verrà fuori sicuramen-
te./ Bellissime le parole del Papa alla folla riunita in piazza S. Pietro alla sera per la fiac
colata: "Paternità e fraternità sono ugualmente dono di Dio"./ Quest'uomo parla alla
gente come fossero davvero' figli e fratelli suoi, raccolti in casa sua./ Qualunque siano i
lavori e le conclusioni future il concilio ha già dato i suoi frutti. Ha imposto alla consi
derazione degli uomini il mistero della Chiesa nella sua vera luce./ Circolano tante idee
e corrono tanti interrogativi, che non possono non rompere l'indifferentismo e il laici
smo generale./ Dio sa parlare, quando vuole, agli uomini che l'attendono e lo cercano».
28 Cfr. G. LERCARO, Lettere dal concilio, Bologna 1980 (11 ottobre 1962): «Dunque
stamane ci fu l'apertura del concilio; non sto a descrivervi la cerimonia veramente solen
ne, perché penso che l'avete seguita per la T.V.; e poi sarebbe per me piuttosto difficile
e, certo, lungo ripetervi il seguito dei riti svoltisi. Vi dirò invece alcuni pensieri miei. E,
primo, che certo non mi sono mai sentito così immerso nella chiesa di Dio come oggi:
la presenza del Papa, di tutto, o quasi, il S. Collegio, dei Vescovi di tutto il mondo, in
torno all'altare che stava al centro e sul quale prima si celebrò il Sacrificio, poi si collo
cò in trono il Vangelo; lo sguardo del mondo intero fisso sulr avvenimento, come si ren
deva evidente dalla presenza delle delegazioni di tante Nazioni e dalla presenza delle
chiese separate ... ; tutto questo faceva sentire la vitalità della chiesa, la sua unità e varietà
insieme; la sua umanità e divinità; e in me, che me ne sentivo membro investito di fun
34 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
Per il papa non c'è un'età d'oro della chiesa ne1la storia del mondo,
quella de1lo Stato cattolico e del regime cristiano, dopo cui la vita cri-
stiana ha subito una progressiva decadenza. L'ideale quindi per la chiesa
non è la restaurazione di que1la età de11' oro. Una lettura pessimistica del
presente comporterebbe una politica di chiusura ermetica de1la chiesa
di gran parte del testo esiste una serie continua di redazioni ms o ds con correzioni ms
autografe; della parte finale esiste una stesura direttamente in la tino predisposta dai tra
duttori, in ispecie G. Zannoni, che hanno lavorato direttamente col papa, e le cui repor-
tationes sono servite alla preparazione della cosiddetta «traduzione italiana» uscita su
«OssRom». L'insieme delle versioni e l'ed. critica del ms in A. MELLONI, L'allocuzione
Gaudet Mater Ecclesia (11 ottobre 1962), Sinossi critica dell'allocuzione, in Fede Tradizio-
ne Profezia. Studi su Giovanni XXIII e sul Vaticano II, Brescia 1984, pp. 223-283.
31 Cfr. il ms in MELLONI, Sinossi... , cit., pp. 253-254.
36 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
Che impatto ebbe questo discorso del papa sui lavori conciliari? P.
Congar nota due stravaganti interpretazioni date l'una da «L'Osservato-
re Romano» (Perché gli errori debbono essere repressi) e l'altra di «Le
Monde» (apertura ai «metodi di ricerca del pensiero moderno ... »). Per
il «Corriere della Sera» del 12 ottobre l'allocuzione papale era la pre-
sentazione del programma di pontificato di Giovanni XXIII. Per Wen-
ger di «La Croix» era la «vera carta» del Vaticano II; Fesquet di «Le
Monde» ritornava sul testo qualche giorno dopo notando come fosse
una vera sorpresa per il concilio.
Pochi ne colgono i dati qualificanti: Moeller enuclea, dall'ascolto per
televisione, i nodi essenziali; Chenu nota immediatamente la «sua viva
protesta contro i pessimisti» e il «suo biasimo delle discussioni attorno
alle dottrine acquisite, la cui verità deve essere certo ripetuta, ma formu-
lata per i bisogni del nostro tem po»39 •
Ma l'effetto immediato fu scarso - anche senza arrivare all'idea del
«sabotaggio» che il segretario particolare sente attorno al papa40 - nel
determinare l'orientamento dei padri nella realtà del concilio che in quel
momento si apriva. Il card. Garrone scrisse dopo la fine del Vaticano II
che il discorso inaugurale costituiva uno dei documenti più importanti e
decisivi del dossier conciliare: «La tranquilla sicurezza di papa Giovanni
XXIII stupiva e finiva quasi per irritare ... aspettava che il concilio stesso
traducesse in programma il lavoro che egli considerava urgente» 41 • Ma
questa consapevolezza arrivò più tardi di quell' 11 ottobre.
Infatti, quel giorno, gli osservatori più lucidi vedono attorno a loro
molta incertezza e sentono il peso di una storia molto lunga. Così è per
p. Congar che, proprio quell' 11 ottobre, annota i suoi sentimenti. A suo
avviso la cerimonia di apertura ha svelato il volto costantiniano della
chiesa di Roma.
Vedo il peso, non denunciato, dell'epoca in cui la Chiesa era una signoria, quando
aveva il potere temporale, quando i papi e i vescovi erano dei signori che avevano una
loro corte, proteggevano gli artisti, pretendevano una pompa uguale a quella dei Cesari.
Questo non è mai stato ripudiato dalla Chiesa a Roma. Uscire dall'era costantiniana non
è mai stato il suo programma. Il povero Pio IX, che non ha capito niente del movimen
to della storia, che ha affossato il cattolicesimo francese in un atteggiamento sterile di
opposizione, di conservatorismo, di spirito di Restaurazione... è stato chiamato da Dio
ad intendere la lezione degli avvenimenti, questi maestri che egli ci dà, e a far uscire la
Chiesa dalla miserabile logica della «Donazione di Costantino», a convertirla a un evan
gelismo che le avrebbe permesso di essere meno del mondo e più al mondo. Egli ha fat
to proprio il contrario. Uomo catastrofico, che non sapeva cos'era l'«ecclesia» né cos'era
la Tradizione ... E Pio IX regna ancora. Bonifacio VIII regna ancora: sono stati sovrap
posti a Simon Pietro, l'umile pescatore di uomini!42
di conforto. Sappiano gli afflitti che il papa è con i suoi figli specialmente nelle ore di
mestizia e di amarezza4.3.
Gli osservatori sono ancora all'inizio dei loro contatti con il grande
universo dei vescovi cattolici e, forse, per la prima volta partecipano
dall'interno ad una riunione di responsabili cattolici. Di fronte ad alcuni
53 Sui rapporti inviati al CEC1 cfr. M·. VELATI, Una dif/ict1e transit.ione. Il cattolicesi
mo e !)unità cristiana dagli anni Cinquanta a/, Vaticano II, Bologna 1996.
54 In un primo momento era stato chiesto loro un indirizzo di saluto1 affidato a
Sarkissian1 poi cancellato per ragioni di protocollo1 cfr. L. Vischer a Visser't Hooft, 14
ottobre 1962, ACO 6 (Reports)1 1/8, p. 2.
55 Se ne tengono il 15 e 22 ottobre; il 6 1 13 1 20 e 27 novembre; il 4 dicembre. Solo
dal Il periodo ci sarà una verbalizzazione f armale.
5 6 Il 18 c'è anche un ricevimento degli osservatori presso la facoltà valdese1 promosso
dalla Federazione della chiese protestanti d'Italia 1 cfr. rapp. Vischer, 19 ottobre 1962 1 1111
di oltre 1Opagine. Il 24 sera c'è una riunione del lnternationaler Versohnungsbund.
57 Di norma fra le 16,30 e le 18,30.
44 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
una moderna ora del cocktail, che è sicuramente una delle caratteristiche più fastidiose
del nostro mondo semicivilizzato. - esprimendo ciascuno educate banalità al proprio vi-
cino, [...] una effervescente babele di quasi totale mancanza di senso. Ma questo dimo
strò di essere differente, almeno in parte. Subito il cardinal [Bea] prese il suo posto in
fondo alla stanza e lesse in francese un breve messaggio di benvenuto al suo «carissimo
fratello in Cristo». Il calore che abbiamo sentito venire dentro di noi fin dall'inizio qui
non mancava58,
Ma ritorniamo alle prime ore del Vaticano II, nelle quali Giovanni
XXIlI incontra ovviamente anche le missioni dei governi per l'apertura
del concilio. Alla cerimonia inaugurale avevano assistito il presidente
della repubblica italiana Segni e il gran maestro dell'Ordine di Malta.
L'Italia e l'Irlanda avevano fatto guidare la loro missione dai rispettivi
presidenti del consiglio, mentre Germania, Spagna, Francia (oltre quat-
tro paesi minori) avevano inviato il ministro degli Esteri. Alte personali-
tà guidavano le delegazioni del Belgio, Portogallo e Lussemburgo. Tra le
86 delegazioni si notavano quelle dei paesi musulmani (Siria, Egitto,
Giorda~ia, Turchia, Indonesia), parecchie europee occidentali e latino-
americane, il Giappone e l'India, molti stati africani di recente indipen-
denza, gli Stati Uniti, la Cina di Formosa. Totale era l'assenza dei paesi
comunisti62 • Le presenze riflettevano il quadro delle relazioni diplomati-
che della S. Sede nel clima della guerra fredda. Giovanni XXIII par la ai
diplomatici dell'impegno della chiesa del concilio per la pace: è in que-
sta prospettiva che colloca il contributo del Vaticano Il Egli dice:
Questa è la gran pace che tutti gli uomini attendono, per la quale essi hanno tanto
sofferto: sarebbe tempo che essa compisse passi decisivi! Per questa pace la Chiesa si è
impegnata: con la preghiera, con il rispetto profondo che essa ha per i poveri. .. e con la
diffusione del suo insegnamento che è dottrina di amore fraterno, perché tutti gli uomi
ni sono fratelli ...
ni preparatorie: ogni padre doveva votare per 160 suoi colleghi ed ela-
borare una lista propria su tante opzioni non era possibile. Avrebbe fi-
nito facilmente, in assenza di conoscenze specifiche, per riprodurre più
o meno quella delle commissioni preconciliari. In questo modo si_ sareb-
be stabilita una continuità tra il lavoro preconciliare ed il concilio, che
avrebbe così recepito automaticamente quegli schemi che erano già stati
approntati. Le scelte fatte dalla Curia nella fase preparatoria sarebbero
state così confermate. Parecchie testimonianze su quei primi giorni met-
tono in rilievo l'insoddisfazione di una parte dei vescovi per gli schemi
approntati; ma non si può generalizzare la sensazione. Il card. 'Montini -
secondo la testimonianza del card. Urbani - dice ai suoi colleghi della
direzione della Conferenza Episcopale Italiana che «sarebbe meglio dila-
zionare la seduta del domani perché impreparati»65 •
65 Così le note del vescovo di Volterra, M. BERGONZINI, Diario del condlio Vaticano
II, Modena 199 3, p. 9.
66 AS 1/1, pp. 107 e 207.
67 JEdb 11 ottobre 1962, f. 15.
68 Cfr. H.P. CAMARA, Les conversions d'un éveque, Paris 1977, p. 152.
69 DTcc 13 ottobre 1962, f. 2; la stessa indicazione su una lista del S. Uffizio in
DFnt 13 ottobre 1962.
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 47
10 CTr. la lettera ai diocesani e altre informazioni sul cardinale in G.B. Montini arci-
vescovo di Milano e il I periodo del Vaticano II, Roma 1988.
71 Cfr. AS 1/1, pp. 207 208.
n AS 1/1, p. 208.
73 Felici annunzia che anche i cardinali possono essere votati nelle commissioni per
rispondere ad alcuni dubbi dei padri, ibidem.
48 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
DSri 13 novembre 1962, p. 361: «Mi rendo conto di quanto equilibrio occorra
74
per non secondare né blocchi, né antiblocchi, annota l'arcivescovo di Genova do
vendo pur far fronte ad una situazione di intese, le quali in fondo procedono dal com-
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 49
plesso eterno di inferiorità, che i nordici hanno verso Roma. Ma è meglio la carità e la
pace! Mi sento un po' triste perché il diavolo ci ha messo la coda ... ».
75 Chenu, ad esempio, non pare al corrente di una manovra e nota a proposito del
l'intervento di Liénart: «Il fatto di questa spontaneità unanime del corpo episcopale per
prendersi la libertà di fronte al "regolamento", provoca sensazione tra i vescovi ed attor-
no», NChn, p. 70.
76 DUrb 12 ottobre 1962.
77 JCng 13 ottobre 1962, ds p. 7 4.
78 Intervista al card. B. Gantin, in G.F. SVIDERCOSCHI, Inchiesta sul Concilio, Roma
1985, p. 13.
50 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
te e gli fornì una traduzione latina di una istanza che Liénart non era in
grado di improvvisare in quella lingua80 •
Dopo la messa nella basilica, quando il card. Liénart si rese conto
che davvero si sarebbe proceduto subito alla votazione, si rivolse al
card. Tisserant che sedeva alla sua destra al tavolo di presidenza e gli
disse: «Eminenza, è impossibile votare così, senza saper nulla sui candi-
dati più qualificati. Vorrei, se lei permette, prendere la parola». Ed il
decano del S. Collegio: «Non posso dargliela ... perché il programma di
questa seduta non comporta nessuna discussione». A questo punto il ve-
scovo di Lille decise di prendere la parola da solo senza l'autorizzazione
di Tisserant81 • Dopo il suo intervento parlò il card. Frings. Il vescovo di
Lille ha sempre escluso che ci f asse stata un'intesa in precedenza con il
collega tedesco, anche se la stampa interpretò il susseguirsi dei due in-
terventi come l'espressione di un'alleanza franco-tedesca contro la dire-
zione romana del concilio. Il papa venne incontro alla richiesta di Lié-
nart in aula conciliare, concedendo tre giorni in più ai padri conciliari
perché potessero consultarsi. Liénart sostiene che Giovanni XXIII gli
avrebbe detto: «Avete fatto bene a dire il vostro pensiero perché è per
questo che io ho convocato i vescovi al concilio»82 • Nessuna congiura,
ma un diffuso disagio reale che si era fatto iniziativa concreta83 •
4. Le commùsioni conciliari
C'era, nel rinvio del 13, una spinta a valorizzare le conferenze epi-
scopali, che si scontrava però con difficoltà organizzative84 , e per di più
sollevava dubbi di merito: le conferenze, con l'elaborazione delle liste,
non avrebbero espropriato i vescovi della loro libertà di scelta creando
una specie di dirigismo del concilio?
Il dubbio non si sarebbe sciolto se mons. Garrone, coadiutore di
Tolosa, non si fosse applicato da qualche mese ai problemi del Regola-
mento del concilio che trovava piuttosto lacunoso85 • Il futuro cardinale
ne era piuttosto insoddisfatto dopo la lettura fattane nell'agosto 1962 a
seguito della promulgazione86 • Colse subito come il concilio si sarebbe
trovato in difficoltà sul problema dell'elezione delle commissioni conci-
liari. L'art. 39 del regolamento recitava:
Nelle sessioni pubbliche, le congregazioni generali e le commissioni conciliari, è ri-
chiesta una maggioranza dei due terzi dei suffragi dei padri presenti, salvo per le elezio
ni in cui si applica il canone 101, 1, 1 del e.I.e., e se il Sommo Pontefice non decide
altrimenti in pectore suo.
84 L'Annuario Pontificio portava 42 conferenze, di cui solo 7 erano state erette dalla
S. Sede; cfr. G. FELICIANI, Le conferenze epì.rcopali, Bologna 1985.
85 Sulle parallele insoddisfazioni di Dossetti e Jedin, cfr. G. ALBERIGO, La prepara-
zione del regolamento ... , in Vatican II commence ... , pp. 56 62.
86 SIV 1, pp. 349 358.
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 53
renze che avrebbero dovuto presentare le liste dei padri alla segreteria
generale entro il 15 ottobre (anche se alcune di esse - come la Spagna
ed il CELAM - non lo fecero). In ogni modo si riconosceva l'esistenza
di corpi intermedi nella grande assemblea con una loro partecipazione
propria alla dinamica conciliare. Non si sceglieva di partecipare al Vati-
cano II per «nazioni» o per <<lingue», ma veniva riconosciuto il ruolo
delle conferenze88 • I vescovi prendevano così coscienza del bisogno di
vivere una corresponsabilità con i loro confratelli più prossimi per par-
tecipare pienamente alla grande assemblea conciliare. La preparazione
delle liste non era che l'inizio di una concertazione che avrebbe raggiun-
to punte molto alte in talune conferenze episcopali. Era ormai chiaro a
molti padri che un vescovo non viveva più il concilio da solo di fronte
alla segreteria ed all'immenso numero di padri a lui ignoti; per uscire
dall'anonimato della grande assemblea, non si dovevano cercare solo ri-
ferimenti nella curia o nella direzione del concilio. Il riferimento più im-
mediato appariva proprio la conferenza episcopale.
Veniva definitivamente a cadere quella pregiudiziale contro le riu-
nioni nazionali dei vescovi, che era stata molto viva durante il concilio
Vaticano 189 • Infatti, nei lavori del Vaticano I, c'era da parte della S.
Sede 1a grande preoccupazione che gli episcopati nazionali - in partico-
lare quello francese e tedesco - giocassero un ruolo troppo autonomo.
Mons. Mar et, vescovo francese e teologo antinfallibilista, lamentava che
i vescovi si presentavano soli alla curia ed al concilio, privi di un raccor-
do tra loro e di una preparazione comune. Ma la posizione di Roma era
contraria alla concertazione tra gli episcopati, tanto che i vescovi della
provincia ecclesiastica torinese rinunciarono ad un previsto incontro in
questa prospettiva90 • Qualcosa di questa diffidenza era rimasto nella cu-
ria, come se la sua memoria collettiva si fosse trasmessa l'eco della resi-
stenza degli episcopati francese, tedesco ed austroungarico alla procla-
mazione della infallibilità e del primato del papa al Vaticano I. Invece,
spazio97 • Tra i vari poli rappresentati dalle liste, i padri conciliari si po-
tevano orientare seguendo percorsi non facilmente decifrabili, magari
connessi a legami tra chiese del Nord e chiese del Sud, fedeltà a Roma,
appartenenze a congregazioni religiose, colleganze legate agli studi; ma
esisteva come elemento identitaria - fatto che non può essere sottovalu-
tato - l'appartenenza ad una comune conferenza episcopale come prin-
cipale fattore d'orientamento.
La seduta elettorale fissata al 16 ottobre si presenta macchinosa.
Con il voto si sarebbero prodotte circa 24.000 schede con 400.000 pre-
ferenze (il cui spoglio richiese quattro giorni di lavori). Non meraviglia
che la seconda congregazione generale si sia aperta con un dibattito
procedurale: il card. Ottaviani propose di modificare il sistema di com-
puto dei voti, suggerendo che si rinunciasse a richiedere la maggioranza
assoluta, per l'elezione in una commissione, e che comunque ogni padre
potesse cumulare i voti ottenuti in tutte le commissioni in modo da ot-
tenere il seggio di una sola98 • Lo scopo evidente era quello di ridurre le
votazioni ad un solo scrutinio. Certuni sospettarono che questo sistema
avrebbe favorito i candidati italiani. Tuttavia la proposta, secondo alcuni
testimoni, non sembrò dispiacere all'assemblea. Fu un cardinale italiano,
Roberti, presidente del tribunale amministrativo del concilio, a respinge-
re l'idea99 • Di nuovo il consiglio di presidenza fu chiamato a deliberare
come dopo l'intervento del card. Liénart. A nome del consiglio inter-
venne il card. Ruffini, il quale dichiarò che non si poteva mutare il re-
golamento e che la proposta di Ottaviani sarebbe stata sottoposta al
papa. Visibilmente il card. Tisserant mostrò il suo disaccordo con l'idea
di Ottaviani e poi dichiarò a sua volta, come presidente della seduta,
che si sarebbe proceduto lo stesso giorno al voto per le commissioni e si
sarebbe inoltrata solo successivamente al papa la proposta di semplifica-
zione100.
Alla fine prese la parola mons. Felici che informò i padri che le
schede potevano essere compilate a casa, ma dovevano essere consegna-
te manu et non per tabellarlum entro le 18 del pomeriggio. Annunciò
pure che la terza congregazione generale si sarebbe tenuta il 20 ottobre
per iniziare la discussione sullo schema De liturgia. Comunicò che il
papa aveva nominato quattro sottosegretari del concilio. Qualche giorno
dopo sarebbe stata annunziata la nomina del vescovo melkita, mons.
Nabaa, come quinto sottosegretario: sembra che la stessa congregazione
101 Nabaa s'aggiunge a Villot, Morcillo, Krol e Kempf. AS Vl, p. 218: il papa darà
assicurazioni sulla fedeltà di Felici argomentando che il segretario generale sa che il papa
lo ha «salvato» dalle dimissioni proprio attraverso la nomina dei sottosegretari, DTcc 9
febbraio 1963, f. 130: «Al che egli ossetva che mons. Felici è un gran brav'uomo, ma che
ha la mentalità ristretta; sa il latii:io ed anche l'italiano e più o meno è tutto; è vero che
non si è messo lui a quel posto poiché fu proposto da Tardini senza che egli sapesse nul
la; è obbediente e buon lavoratore. Ma il Papa lo ha salvato (con aggiungergli i cinque
sottosegretari) e mons. Felici lo sa e gliene è grato»; pochi mesi prima Giovanni XXIII
aveva ironizzato su Felici, del quale preventivava le dimissioni in analogia con quanto ac-
caduto al Vaticano I, dove il segretario incapace di esprimersi in tedesco aveva dovuto es-
sere rimpiazzato, cfr. Diario di B. Migone, presso la famiglia, Note d'udienza.
102 JEdb 16 ottobre 1962, f. 24.
103 DF1o 16 ottobre 1962.
60 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
43. Le votazioni
I risultati delle elezioni mostrano pure una frattura fra l' effervescen-
za procedurale nella quale si sono svolte e l'esito finale: al fondo l'orga-
nigramma delle commissioni comporta la conservazione di alcuni carat-
teri tipici della fase preparatoria106 • Le commissioni hanno ancora la
suddivisione di competenze ed i titoli (con la sola eccezione terminolo-
gica della commissione dottrinale che rimpiazza la teologica) che aveva-
107 Questa è dunque la composizione della testa delle commissioni conciliari (alle
quali si aggiungono il segretariato per la stampa e quello per l'unità che vedranno rico-
nosciuta in modi diversi la capacità di elaborazione):
Dottrinale, presieduta da Ottaviani, Browne vp, Tromp sj segretario
Vescovi, presidente Marella, Mclntyre e Bueno y Monreal vp, Governatori segretario
Disciplina, presidente Ciriaci, del Portillo segretario
Religiosi) presidente Valeri, Rousseau orni segretario
Sacramenti, presidente Aloisi Masella, Bidagor sj segretario
Liturgia, presidente Larraona, Giobbe e Jullien vp, Antonelli segretario
Studi e seminari, presidente Pizzarda, de Barros Camara e Staffa vp, Mayer osb segretari
Orientale, presidente A.G. Cicognani, Quiroga y Palacios e Bukatko vp, Welykyj segre
tari o
Missioni, presidente Agagianian, Labandibar vp, Paventi segretario
Apostolato dei laici, presidente Cento, Silva Henriquez e O'Connor vp, Glorieux segre
tari o.
108 In maggioranza votati sulla lista italiana della conferenza episcopale italiana: nel
complesso, però, l'episcopato di origine italiana era presente in tutte le commissioni
conciliari.
62 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
109 4 nella c. Dottrinale: van Dodewaard 1537 voti - 4° degli eletti, Dearden 1189,
Charue 1138, McGrath 1116.
3 nella c. Vescovi: Schaufele 1658 voti 2° degli eletti, Mathias 745, Bueno y Mon-
real 722.
5 nella c. Disciplina: Jannsen 1315 - 3° degli eletti, Lommel 1174, Shehan 1135, van
Zuylen 1107, Rossi 1045.
4 nella c. Religiosi: Huyghe 1804 il più votato Reetz 1089, Daly 1040, Cahill 919
11 nella c. Sacramenti: Schneider 1673 2° degli eletti, McGucken 1602, von Streng
1497, Fonturvel 1030, van Cauwelaert 973, Rehnard 963, Fleitas ·946, Puech 931, Reh
890, Arai 854, Lallier 788
8 nella c. Liturgia: Grimshaw 1515 6° degli eletti, Hallinan 1347, van Bekkum
1338, Lercaro 1082, Pichler 1023, Enciso 835, Martin 804, D'Amato 795.
9 nella c. Studi: Hoffner 1462 - 4° degli eletti, Daem 1177, Klepacz 1152, Cody
1123, Bogarìn 94 7, Cazaux 927, Marchetti Zioni 804, Pintonello 802, Paré 7 81.
8 nella c. Orientale: Senyshyn 1432 - 1° degli eletti; Perinciaro 1264, Hoek 1167,
Baraniak 1116, d'Elboux 1009, McEntegart 754, Jansen 753.
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 63
8 nella c. Missioni: Zoa 1403 1° degli eletti, Riobé 1229, Escalante. 1062, Pallio
871, Arellano 860, Kerketta 784, Platero 744, Sevrin 706.
4 nella c. Apostolato dei laici: Ménager 1530 2° degli eletti, de Araùjo Sales 832,
Y ii Pin 783, Morris 672.
llO 3 nella dottrinale, 1 nei vescovi, 3 nella disciplina, 3 nei religiosi, 2 nei sacra
menti, 5 nella liturgia, 3 negli studi, 4 nella orientale, 1 nelle missioni e 1 nei laici. AS
non pubblica l'elenco completo dei votati, sicché non è possibile stabilire se i nominati
dal papa avessero raccolto o meno suffragi.
64 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
117 Stransky glissa sul fatto che il papa abbia nominato fra i membri 4 membri del
l'antica commissione preparatoria per le chiese orientali, su cui infra.
118 Verbale CFM, F Florit.
119 Cfr. A. MELLONI, Tensioni e timori aUa vigilia del Vaticano II: la costituzione
apostolica Veterum Sapientia di Giovanni XXIII (22 febbraio 1962), in «CrSt» 11 (1990),
pp. 275 307.
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 67
Villot e poi l'arabo Naaba: sono le prime nomine dal giorno dell'annun-
cio del concilio che vengono fatte prescindendo dalla analogia fra f un-
zioni conciliari e funzioni in curia ... Pure il consiglio di presidenza del
concilio risponde nella sua composizione a criteri di rappresentatività in-
ternazionale.
Tuttavia l'internazionalizzazione non si estendeva alla lingua concilia-
re nonostante le difficoltà espresse da alcuni. Non tutti i vescovi delle
chiese orientali accettavano la lingua ufficiale della chiesa latina. In par-
ticolare i melkiti, i quali non si sentivano parte del cattolicesimo latino,
portarono avanti questa contestazione, nonostante la maggior parte di
loro conoscesse questa lingua fin dagli studi. Questa esigenza era già
stata fatta presente nella fase preparatoria, ma si era creduto di non do-
ver venire incontro alla richiesta 121 • Il problema veniva posto nuovamen-
te con l'apertura del concilio. Anche alcuni vescovi occidentali erano
contrari all'uso del latino. Taluni, come si è visto nel caso del card. Lié-
nart, non erano capaci di improvvisare in latino e necessitavano di testi
scritti. Il card. Konig, favorevole all'uso delle lingue vive, chiese a mons.
Edelby che il patriarca Maximos IV Saigh parlasse in francese e rifiutas-
se il latino. Il gesto avrebbe aperto la strada all'utilizzazione delle lingue
parlate. Mons. Edelby obiettò che questo gesto avrebbe fatto rischiare al
patriarca una reprimenda da parte del consiglio di presidenza122 •
Il caso degli interventi in francese di Maximos IV e di qualche altro
vescovo melkita sono significativi della volontà di non applicare rigoro-
samente l'uso del latino ma nemmeno di deflettere dalla regola generale.
Infatti il card. Konig e mons. Edelby si accordano per sondare i cardi-
nali del consiglio se un intervento in francese del patriarca sarebbe stato
tollerato. Qualche giorno dopo il card. Tisserant comunicò personal-
mente al patriarca che poteva prendere la parola in francese al concilio
e che il segretariato avrebbe curato la traduzione latina del suo discorso.
Si trattava di un precedente importante. Infatti nella terza congregazione
del 20 ottobre cominciarono a risuonare altre lingue rispetto a quella uf-
ficiale. Il melkita mons. Malouf parlò in francese per un emendamento
sul messaggio al mondo, dopo essersi scusato di non potersi esprimere
in latino né di voler utilizzare l'arabo ignoto alla maggioranza. L'inter-
vento in francese fu applaudito.
Si trattava di una rottura dell'uso prescritto dal regolamento. Ma
con le eccezioni, come nel caso dei melkiti, si cominciava a ridiscutere il
carattere assoluto della norma: in modo ellittico si mostrava però che
non tutta la chiesa era latina, non fosse che per l'esistenza delle chiese
d'Oriente.
Il caso dell'uso della lingua latina e di quelle parlate in concilio evi-
denzia un modo ti pico di Giovanni XXIII di procedere nella direzione
dei lavori. Solo il papa avrebbe potuto innovare sull'uso rigoroso della
lingua di curia, ma non lo fece. Tuttavia risulta che fosse favorevole al-
l'utilizzazione delle lingue nazionali. Non favorì e non impedì l'evolversi
delle dinamiche del Vaticano II: si limitò ad evitare solo che il rigore
smodato del regolamento impedisse quelle eccezioni che avrebbero
aperto crepe. Infatti Giovanni XXIII annota nel suo diario proprio nel
mese di ottobre:
La questione del latino divide senz,altro quanti non sono mai usciti di casa o d'Ita
lia, da quanti appartengono ad altre nazioni, specialmente se in terra missionaria, o che
pur essendo Italiani si trovano a vivere e a sacrificarsi nelle regioni lontane. Su questo
punto del latino nella liturgia occorrerà procedere lento pede e per gradil23.
Fin dai primi passi del Vaticano II, si vedeva come il papa intendes-
se procedere rispetto ai lavori. L'allocuzione iniziale, che non aveva for-
nito un programma, metteva però a parte i padri conciliari della volontà
di Giovanni XXIII di operare per un aggiornamento della chiesa. Tutta-
via il papa non intendeva governare il concilio né tramite la curia o gli
organi conciliari, né direttamente. La sua presenza a fianco dei lavori
conciliari sarebbe stata discreta. Utilizzando parcamente i suoi poteri,
egli avrebbe favorito che il concilio prendesse coscienza delle sue re-
sponsabilità e tracciasse una sua linea con il coinvolgimento dei padri
conciliari.
Non stavamo più al chiuso, nelle nostre piccole capanne»125 • Infatti il te-
sto dichiarava:
Rivolgiamo continuamente il nostro animo verso tutte le angosce che affliggono oggi
gli uomini; perciò innanzi tutto le nostre premure si volgono verso i più umili, i più po-
veri, i più deboli; sull'esempio di Cristo sentiamo pietà per la folla che soffre la fame, la
miseria e l'ignoranza; costantemente rivolti verso coloro che, sprovvisti degli aiuti neces
sari, non sono ancora pervenuti ad un modo di vita degno. Per questi motivi nello svol
gimento dei nostri lavori terremo in gran conto tutto quello che compete alla dignità
dell'uomo e quello che contribuisce alla vera fraternità dei popoli.
da mons. Felici quanto aveva elaborato con il p. Chenu. Così annota nel
suo diario:
il segretario annunzia che leggerà un Nuntium ad universos homines mittendum.
Ascolto questo testo, al cui progetto sono stato attivamente coinvolto. Ricopio qui alcu-
ne osservazioni che ho scarabocchiato subito: è più dogmatico del progetto Chenu; al
meno si è fatta prece~ere la parte sociale da una parte kerigmatica cristiana; è più eccle
siastico; più biblico. E troppo lungo. L'interesse agli uomini è un po' espresso nei termi
ni della sollecitudine. C'è un'istanza felice sul rinnovamento della chiesa e della vita cri
stiana, perché siano più conformi a Cristo132.
13 2JCng 20 ottobre 1962, ds p. 81; inoltre A Congar, II/V, Dossier 25, con lettere
fra Chenu e Congar e le risposte all'invio di una prima bozza (18 19/9/1962) provenien
ti da Weber, Liénart, Marty, Suenens, Volk, Alfrink, Montini, Dopfner, Charue; non c'è
traccia di riscontro alla lettera di trasmissione da parte di Ghattas, Frings, Elchinger,
Hurley, Konig.
133 Ur. A. MErLoNI, Ecclesùlogie al Vaticano II (autunno 1962 estate 1963), in Leuven.
134 Cfr. G. ALBERIGO, Le P. Chenu et Vatican II, in stampa.
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 73
. 138 Questa interpretazione sarà confermata da Paolo VI, il 29 settembre 1963, nel
suo discorso di apertura al secondo periodo del Vaticano II, il primo dopo la sua elezio
ne a papa. Cfr. IdP I, pp. 166 185.
139 Cfr. ALBERIGO, Concilio acefalo? L'evoluzione degli Organi direttivi del Vaticano
II, in Attese, pp. 196 198, il testo del pro memoria pp. 219 224.
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 75
143 Cfr. V. CARBONE, Il segretario generale del concilio ecumenico, in Il cardinal Peri-
cle Felici, Roma 1992, p. 70.
144 Su Cicognani che assomma le funzioni di segretario di stato, presidente del se
gretariato extra ordinem e della commissione per le chiese orientali manca uno studio
approfondito.
14 5 Su di lui cfr. C. WYSZYNSKI, Un éveque au service du peuple de Dieu, Paris
1968.
78 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
l46 Cit. da G. ZIZOLA1 Il microfono di Dio. P. Riccardo Lombardi, Milano 1990, pp.
440.
147 RICCARDI 1 Il Vaticano II..., cit., pp. 233 264.
148 Agende 3 novembre 1962.
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 79
chiesa, come avrebbe fatto più tardi Paolo VI con un progetto di rifor-
ma e di cambiamento dei ranghi. Giovanni XXIII valorizzava gli eccle-
siastici disposti ad assumere una posizione equilibrata.
Non è un caso - ad esempio - che egli chiami a succedere al card.
Mimmi alla testa della congregazione concistoriale proprio il card. Con-
falonieri, antico segretario di Pio Xl. Del resto Giovanni XXIII è un
estimatore della tradizione di governo di Pio XI e, in un- certo senso,
del personale a lui legato. Nella commissione centrale preparatoria il
card. Cicognani mostra un atteggiamento sensibile. alle esigenze dei ve-
scovi residenziali e non schierato con le posizioni di Ottaviani149 •
Infatti Ottaviani, Ruffini, Siri e Browne formano nei lavori conciliari
un asse piuttosto impegnato: un collegamento fatto per resistere alle
pressioni, secondo il cardinale di Genova. Quest'asse esercitava un'attra-
zione su altri esponenti della curia romana e su vari vescovi del mondo
legati alle istituzioni romane come il Laterano. Era un vero «partito ro-
mano», che ribadiva la teologia tradizionale e credeva che a Roma si po-
tessero vedere i problemi della chiesa con una profondità e una sicurez-
za che altrove non era possibile. Quest'area aveva la coscienza di inter-
pretare il punto di vista romano in concilio; non si trattava di una cor-
rente o di un partito nella vasta assemblea del Vaticano II, ma di qual-
cosa di più. Non per nulla l'elemento di punta era il card. Ottaviani, se-
gretario della suprema congregazione del s. Uffizio, che non solo era il
primo dicastero della curia romana ma aveva il compito della difesa del-
la fede. Questa posizione faceva del gruppo romano, per tradizione e
collocazione, non una parte del Vaticano II ma l'anima di esso: a tale
funzione si sentivano chiamati specie in un momento giudicato di con-
fusione dottrinale. Tale funzione era stata esercitata di fatto nella fase
preparatoria con l'approntamento degli schemi dottrinali.
Il s. Uffizio (e quell'area di cardinali e vescovi «romani») intendeva
esercitare una funzione orientativa nel corso del Vaticano II e nel gover-
no della chiesa. Lo si vede bene non solo dai ripetuti interventi del se-
gretario di questa congregazione nei dibattiti conciliari, ma pure dalla
sua reazione alla riforma della curia che toglieva il rango di «suprema
congregazione» al s. Uffizio e dava alla segreteria di Stato il primo posto
tra i dicasteri vaticani. Ottaviani avrebbe osservato, dopo il ridimensio-
namento della sua congregazione:
149 Del resto sarebbe stato Confalonieri a presentare l'ordine del giorno del 14 no
vembre che concludeva la discussione sullo schema liturgico e recepiva l'esigenza di ren
dere «le varie parti della liturgia stessa più vitali e formative per i fedeli, conformemente
alle odierne esigenze pastorali>>.
80 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
finora il supremo principio di governo della Chiesa era stata la dottrina rivdata, la cui
custodia e retta interpretazione nella Chiesa era stata affidata in primo luogo al Papa,
che si serviva di questa congregazione, la quale perciò era suprema. Ora non so quale
sarà il criterio ispiratore del governo della Chiesa, ma temo che prevarrà quello diplo-
matico e contingente.
rettivo del Vaticano Il Fin dalla terza riunione del consiglio di presi-
denza, si profila un conflitto di competenze tra questo e il segretariato
extra ordinem. In questa riunione il decano Tisserant legge il verbale del
segretariato extra ordinem, già approvato da Giovanni XXIII, sulle nor-
me per la disciplina del concilio 155 . Alle riunioni del segretariato extra
ordinem non partecipa il segretario generale Felici, che non è nemmeno
il tramite dei rapporti tra quest'organo e il consiglio di presidenza. Una
nota di Felici, a margine dei processi verbali del consiglio di presidenza,
osserva: «erat autem discrimen frequens inter Concilium Presidentiae et
Secretariatum de N egotiis extra ordinem: quod res saepe confusas f e-
cit»156. Il card. Ruffini denuncia le confusioni tra i due organismi; infat-
ti, nella terza riunione del consiglio, <<Vehementer postulat» di stabilire
bene le competenze per evitare conflitti. Il consiglio è però destinato a
vedersi ridurre il ruolo; infatti tiene solo due riunioni dopo questo terzo
incontro (una per discutere una proposta analoga a quella approvata dal
segretariato, l'altra per recepjre la volontà di Giovanni XXIII che si
trattasse dello schema De revelatione). Dopo il 19 novembre non sembra
vi sia più nessun'altra riunione del consiglio.
In realtà il segretariato ha un ruolo principale nella direzione del
concilio. Per esempio la riunione del 16 ottobre si tiene alla presenza
del papa nella sua biblioteca. Parecchi temi si accavallano, come la pro-
posta di Suenens e Dopfner di abolire la Messa prima della sessione
(che trova appoggio in Montini) e di non portare abiti prelatizi. Dopo
l'incontro con il papa si fa un'altra riunione alla presenza del segretario
di Stato. La testimonianza di Siri in mancanza dei verbali è preziosa:
I soliti Suenens e Dopf ner - annota vogliono subito una adunanza: sono famelici
di influenzare il concilio. Cicognani non sa dire di no alla improvvisa pretesa ed io con
chiara malavoglia scendo cogli altri nella sala delle adunanze presso il segretario di Sta
to. Altra valanga di richieste: regolamenti, regolamento spirituale (Suenens: bella ma
nia!), di bel nuovo abolizione della S. Messa in apertura, salvo il lunedì. Montini vor
rebbe che questo si decidesse subito. Fortunatamente il presidente svia e ci si accorda
solo su richiedere maggior ordine nelle adunanze. Confalonieri è incaricato di stendere
qualcosa ad hoc157.
il Papa stupendo nei suoi discorsi - specialmente agli osservatori acattolici e ai giornali-
sti e alle rappresentanze; la segreteria generale impreparata e disorientata, incapace di
dominare l'assemblea, e affatto sostenuta da1la presidenza, questa priva di qualunque co-
esione e formata da persone notoriamente contrastanti - Ruffini-Alfrink. Primo delinear-
si de1le correnti. Ingenuità nel credere che i Vescovi sarebbero venuti a mettere lo spol
vero su quanto preparato da altri. Errori psicologici nel proporre i nomi precedenti per
le commissioni e nel far girare le liste preparate dalle congregazioni romane. Impressio-
ne prevalente in molti padri che il concilio fuori del Papa non abbia una testa responsa-
bile - il co1legio di presidenza naviga al buio che non vi sia un piano definito un
programma preciso - si vive alla giornata. La scelta per· la liturgia come primo argomen
to, motivandola come la più facile, lascia supporre o il timore d'affrontare i temi di fon
do o la volontà d'ostruzionismo... La nomina dei sottosegretari prima quattro, poi un
quinto appare un ottimo correttivo - come la nomina del card. polacco ne1la extra ordi-
nemI60.
lontà. Egli però si confortava, pensando che aveva sempre tenuto fede a
questo programma di vita; lasciar fare, dar da fare, far fare» 161 •
Fare un concilio era stato il grande atto di papa Giovanni. Agli inizi
dei lavori conciliari egli aveva tracciato la prospettiva profonda in cui i pa-
dri si sarebbero dovuti muovere ed aveva operato perché potessero fare
loro stessi il concilio e perché fossero lasciati alle loro responsabilità. Così
il concilio si era mosso abbozzando, fin dai primi passi, una dialettica in-
terna tra diverse posizioni che si andavano delineando. Quella romana,
che aveva nel card. Ottaviani il suo punto di riferimento, non era più ege-
monica, ma rappresentava una di quelle presenti nell'aula conciliare. Gio-
vanni XXIII non aveva imposto, dall'alto, un progetto conciliare, ma ave-
va creduto che tra i padri ci fossero idee, problemi, prospettive, conflitti,
esperienze che dovevano venire alla luce in una dialettica che avrebbe
dato i suoi frutti. I vescovi si dovevano anche conoscere tra di loro, per-
ché non esisteva nella loro esperienza alcuna traccia di collegamento al di
fuori del loro paese. I diari e le memorie dei padri sono ricche dei segni di
questa mutua conoscenza. Nelle pagine dei ricordi di mons. Edelby sono
annotati i passi di questa conoscenza: ad esempio, il 18 ottobre, il prelato
greco-cattolico prende parte alla riunione dei vescovi africani che gli pon-
gono numerose domande sulla liturgia bizantina, che a loro era completa-
mente sconosciuta. Sono conoscenze non prive di ricadute quando si sta
per discutere sullo schema De lt'turgia 162 •
Le dinamiche del Vaticano II cominciano anche senza essere guidate.
La stessa recezione dell'allocuzione del papa è molto variabile. Giovanni
XXIII stesso sa che una parte dei vescovi «ama tacere» a proposito della
sua allocuzione. Ma il papa non ha voluto imporre niente, solo dare la li-
bertà e i motivi per cui parlare e pensare: «chi tace di più debbo essere io
stesso» - annota. Questa è la sua linea. Per il papa la chiesa è una realtà
complessa - un «mistero», si potrebbe dire in termini teologici-, che non
può essere ridotta ad una sola visione tradizionale, fosse pure molto auto-
revole e, nemmeno, alla visione del papa. Così nel suo diario, ad un mese
dall'inizio dei dibattiti conciliari, Giovanni XXIII annota:
Anche oggi ascolto interessante di tutte le voci. In gran parte sono di critica agli
schemi proposti (card. Ottaviani), che preparati da molti insieme, rivelano però la fissa
zione un po' prepotente di uno solo e il permanere di una mentalità che non sa divinco-
larsi dal tono della lezione scolastica. La semicecità di un occhio è ombra sulla visione
d'insieme. Naturalmente la reazione è forte, talora troppo forte. Ma penso che la buona
intesa finirà per prevalere163.
L'avvio dell'assemblea
Con una consapevolezza carica della secolare storia del genere lette-
rario dei Gravamina natt'onù germanicae nei quali, a partire dal 1455,
veniva espresso il malcontento tedesco contro la conduzione romana
della chiesa, Semmelroth nella nota del 10 novembre del suo diario an-
nota di aver lavorato «faticosamente [... ] alla redazione dei gravamina
contro il primo schema, messi assieme da Rahner». Ma, già prima di
Rahner, altri si erano accinti allo stesso compito. A differenza dei futuri
schemi alternativi, queste «annotazioni» agli schemi preparati dalla com-
missione teologica preparatoria non presentavano un progetto positivo,
ma avevano lo scopo di dare ai vescovi uno strumento per rendersi con-
to dell'inammissibilità degli schemi stessi.
Sin dalla fine del 1961 il card. Konig aveva fatto ricorso a Rahne.r,
chiedendogli di esaminare i testi che via via la commissione centrale
preparatoria - di cui egli era membro - licenziava perché fossero sotto-
posti al concilio 13 • Il 4 gennaio 1962 il teologo gesuita in via al cardinale
Semmelroth del 6 novembre). Possibile che Frings non gli abbia comunicato la decisio
ne del Consiglio e· che i tedeschi non sapessero nulla? Oppure ciò è il segno di una to
tale assenza di regìa in questa fase?
11 Nella sua Relatio Secretarii Commissionis Conciliaris "de doctrina /idei et morum",
del 16 dicembre 1962, Tromp afferma di aver ricevuto solo il 26 ottobre il testo che. era
stato inviato ai latinisti, assieme al De b.M. virgine, che quindi è stato fatto un ultimo
esame (da chi?) sulle correzioni introdotte da costoro e che il tutto è stato ._inviato agli
inizi di novembre alla segreteria generale perché venisse dato alle stampe. E vero però
che ancora nel giugno 1962 la sottocommissione per gli emendamenti inviava i suoi sug
gerimenti alla commissione teologica per il De ecclesia e per il De b.M. virgine. Sembra
da escludere quindi qualsiasi tattica dilatoria nella pubblicazione del testo.
12 In data 26 ottobre il segretariato dei vescovi africani trasmette al consiglio di
presidenza il voto secondo cui, dopo la liturgia, il primo schema da esaminare doveva
essere quello De ecclesia, LEVILLAIN, La mécanique... , cit., p. 234; JCng, 21 ottobre, do
cumenta l'analogo desiderio dei vescovi brasiliani.
13 Cfr. S/V 1, p. 477.
L'AVVIO DELL'ASSEMBLEA 91
14 "Karl Rahner in seiner murrischen, aber herzlichen Art''. Kardinal Konig uber sei-
nen Konzilsberater, <<Entschluss» 43 (1988/6), pp. 4 34 dove sono editi parecchi docu
menti, sia pure per estratto. I testi sono stati editi successivamente a cura di H. Vorgri
mler in Karl Rahner. Sehnsucht nach dem Geheimnisvollen Gott. Pro/i/, - Bildert Texte,
Freiburg 1990, pp. 95 165 e discussi da R. Siebenrock nella relazione su Meine schlimm-
sten Erwartungen sind weit ubertro/fen, in Wurzburg, pp. 121 139.
15 Copia in ISR.
16 Lettera a Vorgrimler del 12 novembre 62: giorno della distribuzione del testo
stesso («heute Nachmittag bekommen es alle deutschen Bischofe»). Ma si tratta solo di
una indicazione iniziale. Nella nota del 17 novembre, il diario di Semmelroth parla di
altre 500 copie («noch einmal»: ancora un'altra volta) 1 su richiesta soprattutto dei vesco
vi americani. Nei giorni della discussione accesa del De fontibus cresce cioè il numero
dei vescovi che vogliono capire meglio. ·
17 Per il contenuto dottrinale di questa Disquisitio v. il successivo cap. V.
18 Cfr. J. VAN LAARHOVEN In medio ecclesiae... Al/rink op het Tweede Vaticaans
1
Concilie, Al/rink en de Kerk 1951-1976, Baarn 1976, pp. 12 33 e J. GROOTAERS, Une re-
stauration de la théologie de /' épiscopat. Contribution du card. Al/rink à la préparation de
Vatican II, in Glaube im Prozess, p. 812.
92 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
23 È la terza premessa del testo latino che, stranamente, manca nel testo inglese.
24 Il testo latino differenzia la rivelazione «realis» dalla rivelazione <<Verbalis». I let-
tori del testo inglese erano invece più faci1itati dalla dizione che opponeva «revelation
in word» a «revelation-in reality».
94 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
27 Cfr. ST, nota del 14 novembre a proposito dei mutamenti dei vescovi canadesi.
28 Cfr. JCng, pp. 166 e 170, che parla del cambiamento dei vescovi americani in se
guito ai contatti con i teologi. Dapprima è l'esegeta R. Brown, poi «deux pretres améri
cains, théologiens d'éveques», che gli parlano di questo cambiamento e sottolineano so~
prattutto il ruolo delle conferenze che il passionista ed esegeta B. Ahern ha tenuto loro.
Il caso non è isolato. I contatti dei vescovi tedeschi sono programmati con scadenze set
timanali. Ma va soprattutto messo in conto l'attivismo degli episcopati delle chiese
d'America Latina, d'Africa e di Asia.
2 9 JCng, p. 51.
30 JCng 4 novembre 1962. Significativo, in questo contesto, è l'atteggiamento dei
96 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
lovaniensi come Cerfaux e Philips. Fin dall'inizio Tromp si preoccupa che essi facciano
parte dei lavori di preparazione. E non sembra che essi abbiano manifestato una qual
che opposizione di fondo nella fase preparatoria. Ma già diverso è il loro atteggiamento
nel primo periodo conciliare. Philips in particolare agisce ormai come un «agente opera
tivo» di SueneIJs. Cerfaux si attiva costituendo un suo piccolo centro indipendente di
studio sul De /ontibus e per questo fa venire a Roma J. Dupont e B. Rigaux, QDpt 3
novembre 1962).
31 RB. KAISER, Pope, Council and World: the Story o/ Vatican II, New York 1963,
p. 120.
32 «OssRom» 31 ottobre 1962, citato in CAPRILE, I, p. 67.
33 Ibidem Boland a «Vostra Eccellenza», Roma, 25 ottobre 1962.
34 X. RYNNE, Vatican Council II, New York 1968, p. 70.
L'AVVIO DELL'ASSEMBLEA 97
35 C. FALCONI, Pope John and the Ecumenica/ Council: A Diary o/ the Second Vati-
can Council September-December, 1962, trad. M. Gindrod, Cleveland 1964, p. 189.
36 ACUA, F-Primeau, «Domus Mariae» 11, 13, 20 novembre 1962.
3 7 Già il 27 settembre un giovane teologo di Tubinga, allora appena emergente,
Hans Kiing, si reca a far visita al p. Congar a Parigi per guadagnarlo ad una strategia ri
gida nei confronti dei 4 schemi dogmatici (quello sulla chiesa non era ancora noto). Se
condo Kiing, d'accordo in questo con parecchi teologi tedeschi, «è necessario rigettarli e
non correggerli. Corretti, resteranno sostanzialmente ciò che essi sono. Ora essi esprimo-
no una teologia di scuola, quella delle scuole romane. Per il pubblico, e praticamente
anche per la media del clero, le loro costituzioni passeranno per definizioni di fede. Sarà
un indurimento in diversi sensi, che non offre vere possibilità di dialogo con il pensiero
dei contemporanei. Per darsi delle chances favorevoli al rigetto, dice Kiing, occorre evi
tare che questi schemi dogmatici siano proposti per primi: in tal caso rischierebbero di
essere affrontati in condizioni cattive, in maniera affrettata. Occorrerebbe quindi ottene
re che il concilio cominci con schemi più pratici». Congar reagisce alla proposta espri
mendo il proprio timore per una iniziativa isolata dei teologi, inevitabilmente destinata a
98 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
41 ST 15 settembre 1962.
42 Si può supporre che, nella strategia volta a guadagnare alla politica dell'episcopa
to tedesco il blocco francese, un «monopolio» tedesco nella stesura degli schemi alterna-
tivi poteva sembrare inopportuno.
43 ST, nota del 21 ottobre: «Quindi io ho pressato il vescovo Volk perché anche lui
elaborasse il suo schema. Lo avrei tradotto io in latino. Nel suo schema infatti alcuni
punti sono espressi meglio che in quello di Congar. Soprattutto tutto il suo schema è
più kerigmatico».
44 Tra le ricostruzioni di questa riunione, quella più completa è fornita dal resocon-
to di Congar che integra il diario di Semmelroth.
100 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
l'avviso: 1) di far constatare all'assemblea, con interventi molto vigorosi di vescovi dei
principali paesi, che gli schemi non corrispondono affatto al fine pastorale definito dal
papa ancora nella sua allocuzione d'apertura, che deve essere come la charta del conci
lio; 2) in seguito a ciò di far decidere una ripresa degli schemi esistenti, in una prospet
tiva kerygmatica e pastorale. Sarà bene avere allora un testo da proporre48.
48 «En gros, les Allemandes seraient d'avis: 1°) de rejeter simpliciter les schémas
dogmatiques proposés (mais il ne s'agit que des quatre actuellement distribués: pas de
ceux De Ecclesia); 2°) de rédiger un proemium de contenu et d'allure kérygmatiques, as
sez dans le style de ce qu'a projeté Mgr Volk; 3°) de le présenter par l'intermédiaire de
la Commission des affaires extraordinaires Les Français (Garrone, Guerry, Ancel) se
raient plutot d'avis: 1°) par l'intervention très vigoureuse d'éveques des principaux pays
faire constater par l'assemblée que les schémas ne répondent pas du tout au but pasto
ral du concile défini par le pape encore dans son discours d'ouverture, qui doit etre
comme la charte du concile; 2°) à la suite de cela, qu'on fosse admettre une reprise des
schémas existant, dans une perspective kérygmatique et pastorale. Il sera bon d' avoir
alors un texte à proposem, JCng 19 ottobre 1962.
49 I componenti del gruppo erano Rahner, Daniélou, Ratzinger, Congar. Ma non si
trattava di una delimitazione rigida. Come abbiamo visto Rahner invita alla fine Labour
dette e, qualche giorno dopo, Semmelroth. E sembrava scontato che anche il vescovo
Volk dovesse far parte di questo gruppo: ST, 21 ottobre 1962.
50 La notizia del p. Congar, a parte la paternità del card. Konig attribuita al pro~
getto alternativo agli schemi dottrinali, concorda con quella del p. Semmelroth.
102 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
55 Notizie ricavate dal paragrafo Dietro le quinte del dibattito condliare della ricerca
di M. PAIANO, Genesi storica della costituzione condliare Sacrosanctum concilium, in cor
so di pubblicazione.
56 ACU A, F Hallinan, McManus a Hallinan, Roma, non datato, ma sembra
precedente al 22 ottobre 1962.
57 LERCARO, Lettere ... , cit., pp. 78~ 79.
104 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
65 ST 4 novembre 1962.
66 JCng 4 novembre 1962.
L'AVVIO DELL'ASSEMBLEA 107
Non solo, ma l'uomo veniva valorizzato oltre che nella sua individualità,
anche nella sua socialità costitutiva, «in forza della quale il genere uma-
no, uno a partire dal suo principio e dalla sua radice, sviluppatosi per
ordinamento divino nella differenza dei sessi e dei popoli, lungo la sua
storia si consocia progressivamente, per riunirsi alla fine nel regno eter-
no di Dio». A partire da questa visione antropologica, la storia veniva
colta come luogo di una onnipresente manifestazione di Dio, anche se
implicita. Inoltre, con una dicitura che cercava di combinare il dinami-
smo rahneriano dell'uomo, sempre aperto all'ascolto della Parola, e l'an-
tropologia del Vaticano I ruotante attorno alla strutturale dipendenza
della ragione umana dalla Verità increata, si cercava di combinare con il
vecchio schema neoscolastico la visione «immanente» della rivelazione
cristiana: «L'uomo quindi fin dall'inizio è stato creato in maniera tale da
essere un soggetto idoneo alla rivelazione divina, in maniera tale anche
da poter prestare ascolto alla Parola di Dio e prestarle un ossequio ra-
gionevole».
A partire da tale impostazione generale, non solo si affermava la
presenza della grazia e quindi della salvezza al di fuori dei limiti del cri-
stianesimo, ma si insinuava una posizione che in qualche modo ricalcava
la teologia rahneriana dei cristiani anonimi, senza che la categoria f asse
tuttavia esplicitamente nominata:
Il fine al quale tende la storia del genere umano è già presente nell'uomo Cristo
Gesù. [...] Ogni azione e ogni locuzione divina che attraversa questa storia tratta quindi
segretamente di lui, tende a lui, trova in lui il suo compimento. Quindi quando si obbe
disce alla voce di Dio, anche se parla in maniera occulta, sono presenti lui e la salvezza
da lui operata e viceversa, quando c'è lui, quando si crede esplicitamente in lui che par
la, e si vive di lui, non si perde alcun elemento di verità mai data al genere umano o da
esso raggiunta, ma piuttosto la si porta alla sua luce piena.
68 <<llli piene Ecclesiae societati incorporantur, qui Spiritum Christi habentes ... »
(LG 14).
L'AVVIO DELL'ASSEMBLEA 111
69Cf. S/V 1, pp. 470 482. Per quanto riguarda gli ordini religiosi, i Gesuiti avevano
24 rappresentanti, 17 i Domenicani, 9 l'Ordine dei Frati Minori, 4 l'Ordine dei Frati
Minori Conventuali, 6 i Benedettini, 2 i Basiliani di San Josafat, 2 gli Agostiniani, 2 i
Carmelitani Scalzi, 2 i Redentoristi, 4 gli Oblati Maria Immacolata, 4 i Calenziani, 2 gli
Oratoriani e 2 i Salesiani. Le altre congregazioni religiose avevano un solo rappresentan
te, CAPRILE, I, 15.
°
7 K.H. NEUFELD, Vescovi e teol.ogi al Concilio Vaticano Il, in Vaticano II: bilancio e
prospettive, venticique anni dopo (1962-1987), a cura di R. Latourelle, Roma 1987, I, 92.
71 Per più di un decennio egli aveva attaccato John Courtney Murray, sj, per avere
sostenuto la libertà religiosa. Quando Murray smise di scrivere nel 1955, Fenton e i suoi
seguaci spostarono i loro attacchi contro gli studiosi della Bibbia e riuscirono a dividere
il corpo docente della Catholic University; G.P. FoGARTY, American Catholic Biblica!
Scholarship: A History /rom the Early Republic to Vatican II, San Francisco 1989, pp.
260, 281 285, 287 298, 301 310.
72 DFnt 9 ottobre 1962, dattiloscritto, p. 9. L'originale di questo testo è attuahnen-
te allo studio di Joseph Komonchak, che mi ha gentilmente autorizzato ad utilizzarlo.
112 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
dedicò tutto il suo tempo a far circolare tra i suoi amici nella gerarchia
la lista dei candidati di Ottaviani che il cardinale sperava potessero esse-
re «spinti avanti ai candidati del Blocco» (come il cardinale definiva
l'opposizione che vedeva nell'episcopato francese e tedesco). Fenton era
molto esplicito riguardo alle proprie riserve: «Ho sempre pensato che
questo concilio fosse pericoloso. E stato iniziato senza motivi sufficienti.
Si è parlato troppo dei risultati che questo concilio dovrebbe consegui-
re. Adesso temo si presenteranno problemi seri»73 •
Il diario di Fenton fornisce buoni spunti per analizzare la mentalità
dei conservatori. Oltre ad annotare tutti i nomi dei ristoranti nei quali
cenava, Fenton riporta anche i contatti avuti con Ottaviani, Antonino
Romeo e F. Spadafora, questi ultimi docenti presso l'università del Late-
rano e impegnati in un attacco contro il Pontificio istituto biblico. Ro-
meo a un certo punto informò Fenton che Raymond Dulac, un francese
conservatore che non era perito, «stava mettendo troppa enfasi sul lati-
no (nella liturgia), e in tal modo arrecava danno alla causa dell'integri-
smo». Per gli uomini di Ottaviani, «integrismo» era un termine positivo,
un ritorno alla crociata anti-modernista finita con Benedetto XV. Il
commento di Fenton allo schema sulla liturgia era che coloro che aveva-
no redatto tale schema «erano sufficientemente stupidi» da asserire che
<<la chiesa è "simul humanam et divinam, visibilem et invisibilem"». Du-
lac lo invitò a usare la sua influenza con l'arcivescovo Egidio Vagnozzi,
il delegato apostolico negli USA, perché la gerarchia statunitense prepa-
rasse una replica ai vescovi francesi, i quali intendevano «proporre che
il concilio passi sopra a tutti gli schemi dottrinali e si dedichi a questio-
ni "pastorali"»74 •
Mentre Ottaviani, secondo Fenton, era preoccupato dal «blocco
franco-tedesco», Fenton stesso era il responsabile della creazione di tale
blocco non solo tra i vescovi ma anche tra i periti, i quali costituivano il
gruppo che lavorava per la presentazione al concilio di proposte alterna-
tive.
Il fervore di attività tra i periti attrasse l'attenzione di Felici, segreta-
rio generale del concilio, il quale il 31 ottobre, durante l'undicesima
congregazione generale, annunciò che «per ordine della presidenza, i
padri conciliari venivano invitati a non distribuire nella sala conciliare
circolari private agli altri padri senza l'autorizzazione della presidenza
del concilio»75 • Il giorno successivo Fenton si recò in visita da Ottaviani
e lo trovò «scosso» per il fatto che Alfrink avesse interrotto il suo inter-
vento allorché aveva superato il limite di tempo: <<Sembrava essere una
delle azioni più villane di A», era stato il commento di Fenton. Quando
era entrato nell'appartamento del cardinale, Fenton aveva trovato Otta-
viani a colloquio con Bernard Haring, teologo morale e uno dei due pe-
riti redentoristi, «un uomo cattivo», era stato il commento di Fenton,
«ma O. sembra saperlo». Ottaviani consegnò a Fenton una copia in in-
glese della Animadversiones di Schillebeeckx e gli chiese di farne delle
copie e di scriverne un commento critico. Fenton osservò che l'autore
«non sa scrivere in inglese, (e) sembra essere completamente all'oscuro
circa lo scopo della costituzione dottrinale conciliare». Per Fenton il
modello di costituzione dottrinale era l'introduzione alla Pastor aeternus
del Vaticano I, mentre Schillebeeckx «mostra che sta parlando sulla
base di ciò che considera la teologia degli ultimi trenta anni»76•
Durante la settimana successiva Fenton incontra gli alleati di Otta-
viani. Il cardinale è «in cattiva forma», annota Fenton e sia l'arcivescovo
Dino Staffa, segretario della congregazione dei seminari e delle universi-
tà, sia l'arcivescovo Parente riferivano che «era stato loro imposto di
non parlare». Staffa era «assai scoraggiato»77 •
In queste fasi iniziali del concilio, comunque, i padri dovevano fron-
teggiare un pericolo ben più grande di quello constituito dalla curia e
dai suoi alleati conservatori. Una settimana dopo rinizio del concilio, si
verificò l'eventualità di dover prorogare il concilio e rimandare tutti i
padri a casa.
75 AS 112, p. 56. BROUWERS Derniers préparati/s ... , cit., nota (p. 359) che quando
Felici comunicò la proibizione «giacché i vescovi olandesi non erano stati direttamente
implicati nella composizione e nella diffusione delle Animadversiones, non avevano alcu
na difficoltà ad approvare in silenzio». È abbastanza difficile seguire la <<logica» di que
sta osservazione.
76 DFnt 31 ottobre 1° novembre 1962, pp. 21 23.
77 Ibidem 9 novembre 1962, p. 24.
114 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
78 AS Vl, p. 256.
79 «The New York Times», 19 ottobre 1962, 1:6.
80 Ibidem, 23 ottobre 1962, 1:8 e 18:2. Il testo di questo messaggio e altri impor
tanti documenti concernenti la crisi dei missili a Cuba sono contenuti in L. Chang e P.
Kornbluh (a cura di), The Cuban Missile Crisis, 1962: A National Security Archive Rea-
der, New York 1992, pp. 150 154.
8 1 «Life», 53 (2 novembre 1962), pp. 26-33. La storia del blocco navale inizia a
p. 34.
L'AVVIO DELL'ASSEMBLEA 115
82 Per un riassunto delle motivazioni del Cremlino, cfr. M. TATU, Power in the
Kremlin: From Khrushchev to Kosygin, New York 1974, pp. 230 297.
8 3 In una lettera all'autore Sorensen ricordava solo di avere parlato con Cousins
dopo la crisi e non ricordava alcun intervento papale durante la crisi; Sorensen a Fogar
ty, NY, 1° dicembre 1994.
84 N. COUSINS, The Improbable Triumvirate: John Fiti.gerald Kennedy, Pope John,
Nikita Khrushchev, New York 1972, pp. 13 18. Comunque Cousins scrive in modo ine
satto che la data del messaggio televisivo con cui Kennedy annunciava il blocco navale
era il 21 ottobre 1962.
116 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
Cfr. le memorie postume di R.F. KENNEDY, Thirteen Days: A Memoir o/ the Cu-
85
ban Missile Crisis, New York 1969, pp. 65 66, 106-109.
86 CHANG e KORNBLUH, The Cuban Missile Crisis ... , cit., p. 81.
87 KAISER, Inside the Council..., cit., p. 50.
L'AVVIO DELL'ASSEMBLEA 117
88 CAPRILE, II, p. 28. Il testo in inglese è in «The New York Times», 6 ottobre
1962, 3:1.
89 G.C. ZIZOLA, L'Utopia di Papa Giovanni, Assisi 1973, pp. 167-168.
90 L.F. CAPOVILLA, Giovanni XXIII: Lettere, 1958-1963, Roma 1978, p. 337.
91 Giovanni XXIII a Kruscev, 26 novembre 1961, ibidem, p. 336.
118 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
92 TH. F. STRANSKY, The Foundation o/ the Secretariat /or Promoting Christian Uni-
ty, in A. STACPOOLE (a cura di), Vatican 11 by those who where there, London 1986, pp.
79 80. Cfr. SIV 1, pp. 427 428.
93 DMC IV, pp. 860-861.
94 «The New York Times», 26 ottobre 1962, p. 1; il testo integrale si trova a p. 20.
L'AVVIO DELL'ASSEMBLEA 119
trasmissione fuori programma della Radio Vaticana, egli ha detto che le sue parole veni
vano dal profondo di un cuore preoccupato e rattristato.
«Ancora una volta», ha detto il Papa, «nubi minacciose si stanno accumulando sul
l'orizzonte del mondo, suscitando paura in innumerevoli milioni di famiglie». Per questo
Papa Giovanni XXIII ha ripetuto il suo appello agli uomini di Stato (il messaggio che
aveva consegnato alle missioni straordinarie inviate per l'apertura del concilio): «Che la
loro ragione si illumini, che ascoltino il grido di sofferenza eh~ sale al Cielo da ogni an
golo della terra, dai bambini innocenti e dagli anziani, dai singoli e da tutta l'umanità:
"Pace, Pace"».
«Oggi - ha detto noi ripetiamo l'appello del nostro cuore e invochiamo i capi di
Stato affinché non siano indifferenti al grido dell'umanità. Che essi facciano tutto ciò
che è in loro potere per mantenere la pace. In tal modo essi salveranno l'umanità dagli
orrori della guerra, i cui spaventosi effetti nessuno può prevedere. Che essi si avviino
sulla strada dei negoziati».
«Accettare negoziati ad ogni livello e in qualunque luogo, essere ben disposti verso
tali negoziati e avviarli - questo sarebbe un segno di saggezza e di cautela che sarebbe
benedetto in cielo e in terra»95.
La Casa Bianca era adesso molto confusa a causa delle due lettere.
Dopo lunghe discussioni, il 27 ottobre, Kennedy decise di risponde-
re solo alla prima lettera e di ignorare la richiesta che i missili Jup iter
venissero rimossi dalla Turchia - un'azione che Kennedy stesso aveva in
realtà proposto molti mesi prima, poiché tali armamenti erano obsoleti e
potevano essere sostituiti con sottomarini Polaris. Se le rampe missilisti-
che fossero state rimosse da Cuba, scrisse il presidente, gli Stati Uniti
avrebbero revocato il blocco e fornito garanzie che l'isola non sarebbe
stata occupata 101 • Il 28 ottobre Kruscev accettò i termini stabiliti da
Kennedy, ma non senza avere fornito una lunga lista delle lamentele dei
cubani nei confronti degli Stati Uniti. Il comunicato non era amichevole,
ma non conteneva alcun riferimento ai missili dislocati in Turchia. Ken-
nedy ricevette il messaggio e i negoziati poterono essere avviati nell' am-
bito delle Nazioni Unite 102 • Sebbene per tutto il mese di novembre la
tensione tra le due superpotenze rimanesse elevata a causa dei tentativi
statunitensi di ottenere, contro la volontà dei cubani, la rimozione sia
dei bombardieri sovietici, sia delle rampe missilistiche dislocate a Cuba,
la crisi era finita. Il mondo era tornato indietro dopo avere sfiorato
l'abisso della guerra nucleare.
L'appello di Giovanni XXIII a negoziare non aveva avuto effetti evi-
denti negli Stati Uniti. Mentre i documenti finora declassificati non for-
niscono alcuna prova che Kennedy rispondesse all'appello del papa,
sembra che egli abbia ringraziato il papa attraverso l'ambasciata ameri-
cana a Roma103 • Tuttavia l'iniziativa del papa ebbe effetto su Kruscev.
ioo Ibidem, pp. 197 199. Sono grato a William Burgess per avermi fornito l'inter
pretazione secondo cui l'invito a negoziare era una deviazione rispetto alla politica sovie-
tica e anche per avermi fornito le traduzioni della <<Prawda».
101 Kennedy a Kruscev, 27 ottobre 1962, ibidem, pp. 223 225.
10 2 Kruscev a Kennedy, 28 ottobre 1962, ibidem, pp. 226 229; Kennedy a Kruscev,
28 ottobre 1962, ibidem, pp. 230 232.
103 ZIZOLA, L'Utopia ... , cit., pp. 13 22. I tentativi di trovare informazioni su questo
episodio nelle carte di Kennedy non hanno avuto successo. È probabile che tale comu
nicazione all'ambasciata a Roma fosse una comunicazione orale, della quale non venne
fatta alcuna registrazione scritta.
122 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
scopo cosl importante prima di morire. Il suo scopo, come lei ha detto, è la pace. È il
più importante scopo in questo mondo. Se non abbiamo pace e le bombe atomiche ini
ziano a cadere, che differenza fa essere comunisti, o cattolici o capitalisti o cinesi o russi
o americani? Chi potrebbe dividerci? Chi sopravviverebbe per distinguerci?
Passando poi alla crisi dei missili Kruscev ricordò: <<l'appello del
papa fu un vero raggio di luce. Gliene fui molto grato. Mi creda, quelli
furono giorni molto pericolosi>>107 •
Tuttavia Cousins scoprì ben presto che il problema del rilascio di
Slipyi era molto più delicato. Kruscev parlò lungamente della situazione
religiosa in Ucraina prima del 194 7, specialmente della rivalità tra la
chiesa cattolica ucraina e la chiesa ortodossa e delle lotte di potere inte-
stine a tali chiese. Le circostanze della morte del predecessore di Slipyi,
l'arcivescovo Szeptitsky, indicavano, secondo Kruscev, che «la sua dipar-
tita da questa terra poteva essere stata in qualche modo accelerata».
Sebbene non dicesse che Slipyi era direttamente implicato nella morte
del suo predecessore, il premier sovietico asserì che il metropolita era in
prigione a causa della sua collaborazione con i nazisti. Inoltre Kruscev
temeva che Slipyi potesse essere usato per scopi propagandistici per mo-
strare il duro trattamento che il governo sovietico gli aveva riservato.
Quando Cousins ricordò a Kruscev che Giovanni XXIII non aveva con-
dannato né lui né il suo governo, il premier offrì di prendere in consi-
derazione la possibilità del rilascio di Slipyi. Cousins e Kruscev successi-
vamente affrontarono altre questioni di interesse per il Vaticano, tra cui
il modo in cui gli ebrei venivano trattati in Unione Sovietica108•
Cousins concluse il suo colloquio con Kruscev con una conversazio-
ne concernente la proposta che Stati Uniti e Unione Sovietica negozias-
sero un trattato per la messa al bando degli esperimenti nucleari. Men-
tre Cousins si accingeva a partire, Kruscev andò alla propria scrivania
per scrivere gli auguri di buon natale per Kennedy e Giovanni XXIII.
Mentre al presidente Kennedy e alla moglie inviò dei s~mplici auguri di
buone feste, al papa Kruscev scrisse: <<ln occasione dei San ti Giorni di
Natale, prego di accettare questi voti e congratulazioni di un uomo che
augura a voi salute e energia per i vostri continuati sforzi in favore della
pace e per la felicità e il benessere di tutta l'umanità»109 •
Una volta tornato a Roma, Cousins consegnò personalmente al papa
i saluti del premier. Alcuni giorni dopo Giovanni rispose alla nota di
Kruscev:
Vive grazie del cortese messaggio augurale. Lo ricambiamo di cuore con le stesse
parole venuteci dall'alto: Pace in terra agli uomini di buona volontà.
Portiamo a vostra conoscenza due documenti natalizi di quest'anno invocanti il con-
solidamento della giusta pace tra i popoli
Che il buon Dio ci ascolti e risponda all'ardore e alla sincerità dei nostri sforzi e
delle nostre preghiere. Fiat pax in virtute tua, et abundantia in turribus tuls.
Augurio lieto di prosperità per il popolo russo e per tutti i popoli del mondo 110 .
sull'unità con la chiesa orientale, che pure era stato bocciato. Questa era
la sua ultima apparizione davanti ai vescovi che aveva riuniti in concilio.
Il concilio era iniziato con sfarzo, ma in una grande confusione.
Come Ratzinger osservò, solo la molteplicità dei documenti era suffi-
ciente a spaventare i più diJigenti vescovi e teologi. Ma era il contenuto
e l'orientamento di tali documenti che molti vescovi trovarono offensivo.
Era molto diverso dal concilio pastorale che il papa aveva annunciato.
Mentre le commissioni conciliari, ad eccezione di quella sulla liturgia,
non svolsero molto lavoro durante la prima sessione, l'interazione tra ve-
scovi e teologi fu significativa, non solo perché rese la partecipazione
dei vescovi al concilio più attiva, ma anche perché preparò le basi per le
future sessioni. Suenens e altri ritennero che il concilio dovesse affronta-
re la chiesa ad intra e ad extra. Sebbene il concilio non facesse formale
menzione della crisi dei missili a Cuba, la minaccia di una guerra nu-
cleare rese necessario che il concilio non si limitasse ad affrontare pro-
blemi dottrinali. Doveva essere una voce per la pace tra tutte le nazioni.
I vescovi e i teologi sembrarono rendersi conto di questo allorché assun-
sero il controllo del concilio e svilupparono i loro schemi. Entrambi i
gruppi fornirono un buon esempio della collaborazione che avrebbe do-
vuto esistere tra di loro. Essi avevano raggiunto risultati superiori alle
aspettative, poiché il concilio e la chiesa potevano adesso voltare pagina.
Tuttavia, quando si riunirono di nuovo, lo fecero sotto la guida di un
nuovo papa.
Capitolo terzo
1. Introduzione
5 Bugnini aveva, al tempo, altri problemi da risolvere; Cfr. BUGNINI, La nforma ... ,
cit., p. 40, n. 4.
6 È possibile che anche Ottaviani abbia awto un ruolo nella rimozione di Bugnini;
dr. M. PAIANq Les travaux de la commission liturgique conciliaire, in Leuven, p. 6.
7 Cfr. J. WAGNER, Mein Weg zur ·Liturgiere/onn (1936-1988). Erinnerungen, Frei
burg Basel 1993, p. 61, secondo il quale Antonel1i rappresentava una buona scelta.
s Cfr. A. VERHEUL, De !eden van de conciliaire commissie voor de liturgie, in «Tijd
schrift voor liturgie» 47 (1963 ), pp. 88 90, p. 89.
9 Cfr. W.M. BEKKERS, Het concilie over de liturgie, in «Tijdschrift voor Liturgie» 47
(1963), pp. 81 87, p. 81.
10 Per la discussione che precedette questa decisione, vedere AS V/l, pp. 17 18;
cfr. anche A.G. MARTIMORT, La constitution sur la liturgie de Vatican II, in <<La Maison
Diem> 157 (1984), pp. 33 52, p. 43; dello stesso autore, Les débats liturgiques lors de la
première période du conci/e Vatican II (1962), in Vatican II commence, pp. 297 298; ve-
dere anche, per esempio, G.L. DIEKMANN, La Constituzione sulla Sacra Liturgia, in J.H.
MILLER (a cura di), La teologia dopo il Vaticano II. Apporti internazionali e prospettive
per il futuro in una interpretazione ecumenica, Brescia 1967, pp.19 36.
11 Il card. Larraona fu nominato presidente della commissione conciliare per la li
turgia da Giovanni XXIII il 4 settembre.
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 131
12 AS 1/1, p. 304.
13 AS 1/1, pp. 305 306.
14 Schema constitutioni.r De sacra liturgia, in Schemata constitutionum et decretorum
ex quibus argumenta in Concilio disceptanda seligentur, Città del Vaticano 1962, pp. 155
201; ristampato in AS 1/1, pp. 262 303.
132 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
15 Cfr. Schema De sacra liturgia, pp. 159 174; AS I/l, pp. 264 279.
16 AS I/1, p. 307.
11 Cfr. AS I/1, pp. 307-309.
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 133
orali di 253 padri, mentre altri 297 interventi furono rimessi per iscritto.
Alcuni dei padri presero la parola in più di una occasione: al card. Ruf-
fini di Palermo si devono ben sei interventi1 8 • La maggioranza degli in-
terventi vennero dall'Europa (148), ma anche le Americhe diedero buo-
na prova di sé (49)19 • Asia e Africa intervennero rispettivamente 37 e 17
volte. In Europa furono soprattutto italiani e spagnoli che trovarono ne-
cessario intervenire con regolarità, 46 e 30 volte rispettivamente, ma an-
che la Francia guadagnò il podio abbastanza frequentemente (19 volte).
Sebbene la maggioranza dei discorsi fosse pronunciata da vescovi (154),
a causa dei regolamenti conciliari, è un fatto singolare, dal punto di vi-
sta delle percentuali, che cardinali e arcivescovi abbiano preso la parola
con relativa frequenza (rispettivamente 36 e 55 volte)2°. Se esaminiamo
la situazione in maniera più dettagliata, elemento per elemento, possia-
mo notare che durante i primi due giorni si ebbero sul testo nella sua
globalità 29 interventi (22-23 ottobre) 21 • Il 23 ottobre era già possibile
spostare la discussione all'introduzione e al primo capitolo sui principi
generali, una discussione che si protrasse fino al 29 ottobre: parlarono
88 padri. Alla discussione sul capitolo II (eucaristia) fu dedicato parec-
chio tempo, dal 29 ottobre al 6 novembre, quando l'esaminarono 79 pa-
dri. Lentamente ma inesorabilmente divenne chiaro che sarebbe stato
impossibile dedicare così tanto tempo a un solo documento22 • Il papa
aveva già avvisato i membri della curia di non lasciarsi coinvolgere nei
dibattiti23 • Inoltre, il 6 novembre il papa accordò alla presidenza il pote-
re di proporre alla congregazione generale la conclusione di una discus-
sione, nel caso in cui fosse emerso che, dal punto di vista del contenuto,
nwla si poteva aggiungere sull' argomento24 : i padri rimanevano liberi di
accettare o respingere la proposta della presidenza. Il voto, per alzata e
seduta, approvò la conclusione della discussione; i padri impediti a par-
lare a causa di questo sistema erano invitati a presentare i loro testi per
iscritto. Da questo momento in poi i lavori procedettero più agevolmen-
25McQuaid parlò a nome dei vescovi irlandesi il 24 e il 30 ottobre (AS I/1, p. 414;
I/2, p. 94); il vescovo Kobayashi prese la parola per conto dei suoi colleghi giapponesi il
27 ottobre (AS I/1, p. 525). Il 5 novembre il vescovo Bekkers espose la posizione della
conferenza episcopale dei Paesi Bassi cosi come quella dei vescovi indonesiani, molti dei
quali erano di origine olandese (AS I/2, p. 129). Due giorni più tardi, Djajasepotetra in
tervenne per conto dello stesso episcopato indonesiano (AS I/2, p. 311). Perraudin pre
se la parola a nome della conferenza episcopale del Rwanda Burundi il 5 novembre (AS
I/2, p. 122). Infine, Lebrun Moratinos parlò per conto de1la conferenza episcopale del
Venezuela il 6 novembre (AS I/2, p. 177).
26 Cfr. AS I/1, pp. 333; 419; 526 527; I/2, p. 94.
27 Cfr. la ricerca di LAURENTIN, L}enjeu du conci/e ... , cit., pp. 56~57.
2s Cfr. AS I/1, p. 441.
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 13 5
Dall'inizio del dibattito, fu notevole il fatto che così tanti padri, an-
che quelli che venivano dalle missioni, assumessero una posizione favo-
revole nei confronti dello schema proposto29 • Alcuni furono anche tanto
sinceri da descrivere lo schema come il migliore tra quelli ricevuti30 ; il
suo carattere pastorale31 ricevette molti elogi per la moderazione e
l' equilibrio32 • Lo schema si sviluppava secondo una ben studiata via di
mezzo tra un rinnovamento secondo criteri soggettivi e senza rispetto
per la tradizione, da una parte33 , e, dall'altra, il carattere inalterabile dei
riti3 4 • Esso preservava l'essenza della liturgia facendo posto a cambia-
menti nella sua forma, benché tali cambiamenti dovessero essere fatti
con la massima cura e prudenza35 • Stabiliva, inoltre, una profonda rela-
Bologna 1984, pp. 73 78; per una interpretazione di questo discorso, dr. G. ALBERIGO,
LJesperienza conciliare di un vescovo, ibidem, pp. 14-15. Sul rapporto tra l'enciclica Me
diator Dei e la costituzione, dr. Y. CONGAR, L"'Ecclesia» ou communauté chrétienne sujet
intégral de lJaction liturgique, in J.-P. }OSSUA Y. CONGAR, La liturgie après Vatican II, Pa
ris 1967, pp. 268-276.
44 Un apprezzamento del livello teologico del testo si può trovare anche, per esem
pio, nel discorso di Hervàs y Benet (AS I/1, p. 339).
45 Con chiarezza Lercaro aggiunse a questo puntb: «non enim ex sterili archeologi
smo aut ab insano novitatis pruritu illae promanant, sed ab instantia quotidiana pasto
rum et ab exigentiis pastoralibus, cum participatio actuosa S. Liturgiae sit, iuxta memo-
randa verba S. Pii X, prima et insubstituibilis fons spiritus christiani>>; AS I/1, p. 313.
4 6 «Liturgia nempe pro hominibus est instituta, non homines pro liturgia», A~ I/1,
p. 315.
47 Cfr. MARTIMORT, Les débats liturgiques ... , cit., p. 293, n. 7.
48 Queste lagnanze ritornano spesso: Dopfner (22 ottobre), il vescovo S. Mendez
Arceo (23 ottobre), Jenny (27 ottobre), Spiilbeck (29 ottobre): cfr. AS I/1, p. 321 (se
condo Martimort 319-320), 359, 513, 576; vedere anche ScHMIDT, La costituzione ... , cit.,
pp. 120-121.
138 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
49 «Libros liturgicos infra paucos annos esse retractandos scilicet a Sancta Sede pe
ritis ex universo orbe adhibitis»; Schema constitutionis de sacra liturgia, n. 16; la rimozio-
ne della nota in questione fu ripetutamente richiesta; cfr., per esempio, J. Le Cordier,
vescovo ausiliare di Parigi (AS I/1, p. 476).
50 «Sit vero conferentiae episcopalis in singulis regionibus, etiam, si casus ferat,
consilio habito cum episcopis finitimarum regionum eiusdem linguae, limites et modum
linguae vernaculae in Liturgiam admittendae statuere, actis a Sancta Sede recognitis (cf.
can. 291)». AD II/3,2, p. 21. Il card. Silva Henriquez riteneva necessario sottolineare
l'importanza di garantire una speciale autorità alle conferenze episcopali; infatti chiese
con una certa urgenza «Ut vitetur illa sic dieta exaggerata "centraJizatio" quae pastora
lem laborem debiJitat», AS I/1, p. 324; cfr. anche Tatsuo Doi, AS I/1, p. 323.
51 «Sit vero conferentiae episcopalis in singuJis regionibus, etiam si casus ferat, con
silio habito cum episcopis finitimarum regionum eiusdem linguae, limites et modum lin-
guae vernaculae in Jiturgiam admittendae Sanctae Sedi proponere», AS I/1, p. 272.
52 Dante, AS I/1, pp. 330 331.
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 139
Qualcuno avvertì anche che vi era una eccessiva enfasi sulla partecipa-
zione dei fedeli53 .
Lo schema, si notò, era piuttosto «verbosus»; più poetico e ascetico
che teologico: più un trattato liturgico che un documento conciliare; a
livello teologico, formulazioni vaghe e mancanza di precisione crearono
qualche disagia54• Si avvertiva, perciò, che la parte dottrinale dello sche-
ma avrebbe dovuto essere sottoposta alla commissione dottrinale prima
di essere presentata ai padri per la decisione55 . Alla luce di ciò, Ottavia-
ni intervenne per una completa revisione dell'intera costituzione: a suo
giudizio era stato dato troppo peso alla liturgia56 • Anche idee come
quella della comunione sotto le due specie e della concelebrazione anda-
vano messe da parte57 • Si avanzò la richiesta di esaminare i testi biblici
citati nello schema, per accertare se erano stati impiegati secondo il loro
significato scritturi~ticc5 8 • Altre critiche si appuntarono sul fatto che lo
schema non faceva alcun accenno ad una riforma del culto dei santi o
delle cause di beatificazione e canonizzazione, delle reliquie e del culto
ad esse legato59, ai riti orientali e alla necessità di una loro riforma60 •
Mons. D'Avack (Camerino, Italia) giudicò che lo schema non spiegasse
a sufficienza il rapporto tra il sacrificio sulla croce, il sacrificio della
messa e la vita quotidiana dei cristiani61 • Un'ultima e legittima critica del
livello teologico si soffermò sulla insufficiente attenzione dello schema
per lo Spirito Santo; tale critica non era però in alcun modo una con-
danna dello schema nel suo insieme62 •
Nel pomeriggio dello stesso 22 ottobre, si tenne la seconda riunione
della commissione liturgica. Già in quel giorno i membri della commis-
sione ebbero la sensazione di perdere il loro tempo: non era facile com-
prendere Larraona e non era ancora chiaro il modus operandi della com-
missione, sebbene i membri fossero ansiosi di cominciare a lavorare63 •
Su iniziativa di Martimort, tuttavia, fu proposto di creare una commis-
sione incaricata di redigere un regolamento interno. La sua proposta fu
accettata. La sottocommissione, formata dallo stesso Martimort insieme
con Jullien, Bonet e McManus, produsse cinque pagine di una Ratio
procedendi commùsionis conciliaris de sacra liturgia 64 , che avrebbe dato
prova della sua utilità anche in altre commissioni.
63 Cfr. F-Jenny, scatola 8, fondo 5 (CNPL); vedere anche MARTIMORT, Les débats
liturgiques ... , cit., p. 3 07.
64 Cfr. F Jenny, scatola 8, fondo 5 (CNPL; carte Bekkers, documento 390 (Archivi
diocesani di s'Hertogenbosch); cfr. MARTIMORT, Les débats liturgiques.. ., cit., p. 308; cfr.
anche CAPRILE I/2, pp. 98 100.
65 È notevole in questo contesto il fatto che la maggioranza delle obiezioni alle va-
rie modifiche venissero da ex membri della curia o da membri ancora attivi di essa.
Voci critiche si sentirono provenire anche da rappresentanti del mondo anglofono.
66 R.B. KAISER, Inside the Council. The Story o/ Vatican Il, London 1963, p. 126 .
. 67 A questo proposito cfr. Fares, AS I/1, p. 354, per esempio, che fece appello per
l'uso di una sola lingua, cioè il latino·, ma aggiunse immediatamente che si sarebbero po-
tute dare spiegazioni supplementari in lingua volgare, dando cosl prova di non aver af
ferrato la questione, cioè la promozic;me dell'attiva pa~ecipazione aµa liturgia.
IL DIBATilTO SULLA LITURGIA 141
sci che l'unità della fede presupponeva una liturgia e una lingua94 . Se il
concilio stava per adottare una linea differente, questa non sarebbe an-
data contro la tradizione? 95 L'uso del latino non trascendeva i limiti del-
la nazionalità, così rivelando la neutralità della chiesa sul fronte politico?
Allo stesso modo, fu fatto un riferimento alla superiorità, a livello intel-
lettuale, del latino: nessun'altra lingua poteva costituire un mezzo così
chiaro, preciso e categorico per la formulazione del magistero della chie-
sa96. Continuare nell'uso del latino, in questa materia, avrebbe conserva-
to il senso di mistero della liturgia97 . I sostenitori dell'uso del latino era-
no consapevoli che esso non era compreso da tutti: la soluzione da essi
proposta consisteva nel fornire messali che contenessero una adeguata
traduzione del testo latino 98 . Ma non tutti la considerarono una soluzio-
ne desiderabile. Bacci, per esempio, era dell'opinione che, dato il basso
livello intellettuale di molti fedeli, e dato il pericolo di tentazioni nasco-
ste in certi racconti biblici, non avrebbe avuto senso un impegno per le
traduzioni99 . Anche gli aspetti ecumenici trovarono poca comprensione
all'interno di questo gruppo: alcuni padri fecero esplicito riferimento
alla situazione delle chiese protestanti nelle quali la lingua volgare era
già in uso. Era loro opinione che ciò aveva condotto a una incessante
frammentazione 100 , e che in realtà a fatica tale uso poteva essere consi-
derato un successo, data la bassa frequenza e lo scarso senso di apparte-
nenza che caratterizzavano le chiese protestanti101 • Si rivendicò anche
che, da una prospettiva occidentale ( ! ), l'introduzione del volgare nelle
missioni avrebbe implicato problemi, a causa della molteplicità delle lin-
gue e delle "tribù" in quei territori102 •
94 L'arcivescovo Fares (Catanzaro, Italia), AS I/1, pp. 354-355; cfr. anche Mclntyre,
AS I/1, p. 370.
95 Cfr. il card. Bacci, AS I/1, pp. 408 409. Il cardinale fece notare che l'uso della
lingua volgare nell'eucaristia era già stato condannato nella persona di Rosmini ed era,
inoltre, diametralmente opposto alle decisioni del concilio di Trento, citate nella Media-
tor Dei e nella Veterum sapientia.
96 Mclntyre, AS Il, p. 370.
97 Cfr. Parente, AS I/1, p. 426.
98 Cfr. il card. Spellman, AS I/l, p. 318. Spellman era favorevole ad una maggiore
libertà nell'uso del volgare nell'amministrazione dei sacramenti e fece notare che ciò sta
va già accadendo nella pratica; Dante, AS I/l, p. 331, insistette per limitare l'uso del
volgare alla preghiera e alla catechesi.
99 Bacci, AS I/1, p. 409.
100 Mclntyre, AS I/l, p. 370
101 Godfrey (Westminster), AS 1/1, p. 374.
102 Godfrey (Westminster), AS I/l, p. 373. Godfrey riteneva che la questione do
vesse essere rimessa alle conferenze episcopali.
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 145
112 Feltin, AS I/l, p. 368. Secondo Feltin, talvolta ci si avvaleva del latino come
scusa per non prendere sul serio la fede.
113 AS I/l, p. 415.
114 Cfr. Gracias, Descuffi: AS I/l, pp. 402, 415.
l 15 TI card. Tisserant portò esempi dalla storia della chiesa per la discussione, AS I/
1, pp. 399 400. Insieme a quelli del card. Bea, gli esempi di Tisserant furono molto ap
prezzati; cfr. Koslowiecki, arcivescovo di Lusaka, Rhodesia, AS I/l, p. 422.
116 AS I/1, p. 422. Un buon riassunto degli argomenti in favore della lingua nazio
nale si può trovare nell'intervento di L. La Ravoire Morrow, vescovo di Krishanagar (In-
dia), che presentò un'istanza per il volgare, basata su ragioni pastorali ed ecumeniche,
AS I/l, pp. 467-469. F. Simons, vescovo di Indore (India) fece un intervento simile, AS
I/1, pp. 586 587.
11 7 AS I/l, p. 508. TI suo elogio dell'Armenia fu molto apprezzato da Ruffini, che
era presidente di turno in quel giorno, cfr. p. 507.
11s AS I/1, pp. 377-380.
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 147
obbligata a pregare in una lingua che non comprendeva: una chiesa viva
non sa che farsene di una lingua morta. La lingua della c::hiesa, dal mo-
mento che è lo strumento dello Spirito Santo, dovrebbe essere una lin-
gua viva. Propose che l'espressione <<linguae latinae usus in liturgia occi-
dentali servetur» fosse sostituita, per esempio, da «lingua latina est lin-
gua originalis et officialis ritus romani»; inoltre propose che le conferen-
ze episcopali avessero il diritto di definire il limite di utilizzo di una lin-
gua viva nella liturgia. Maximos IV concluse il suo discorso chiedendo
se fosse possibile fornire ai padri conciliari traduzioni simtÙtanee, pro-
prio perché chi proveniva dall'oriente non era obbligato a conoscere il
latino 119.
Nell'ultima parte del suo intervento il patriarca aveva toccato un
punto sensibile; molti vescovi, per i quali il latino non era un mezzo di
comunicazione, non comprendevano cosa veniva detto in concilio. An-
che le questioni procedurali minori venivano seguite solo se le proposte
erano tradotte. Si poteva affermare senza esagerazione che gli osservato-
ri, ai quali era fornita una traduzione, potevano seguire il dibattito mol-
to meglio di molti vescovi.
A causa del numero di ripetizioni, il dibattito sull'introduzione e il I
capitolo poté essere concluso solo il 27 ottobre: ancora 7 capitoli aspet-
tavano di essere affrontati.
Durante questo dibattito, la commissione continuò i propri lavori,
ma, come fu sottolineato in modo pertinente da Lercaro il 23 ottobre,
senza avere la sicurezza che fosse giusto iniziare la discussione di uno
schema, che non aveva ancora ricevuto nel suo insieme l'approvazione
del concilio. Larraona replicò dicendo che, essendo cominciata la di-
scussione sull'introduzione e sul capitolo I, lo schema era stato de facto
accettato. In altre parole, la commissione poteva cominciare il proprio
lavoro. Il resto della seduta fu impiegato per discutere il modo in cui la
commissione doveva operare, in conformità con i regolamenti concilia-
ri120.
Nella riunione del 26 ottobre Larraona annunciò che aveva formato
una sottocommissione teologica, diretta da R. Gagnebet121 • La maggio-
ranza dei membri della sottocommissione erano dogmatici, tutti di pro-
122Cfr. le risposte sottoposte a Jenny, che si riferiscono al fatto che nell'aula si par
lò della istituzione di una commissio mixta, F Jenny, scatola 8 (CNPL).
123 CTr. F-Jenny, scatola 8 (CNPL).
124 Infatti il documento descriveva semplicemente argomenti che erano de facto già
operanti; Jenny notò con acutezza a margine della pagina 2, che la commissione non
aveva ancora fatto nulla! F-Jenny, scatola 8 (CNPL).
125 F Jenny, scatola 8 (CNPL).
126 Ciò si può dedurre dal minimo numero di note sulla copia del documento di
mons. Jenny, F-Jenny, scatola 8 (CNPL). Sembra che sia stato dedicato più tempo al
modo in cui trattare i testi provenienti dall'esterno; cfr. le note scritte a p. 3 della copia
di Jenny. _
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 149
127 All'inizio della riunione Felici annunciò i nomi di coloro che il papa aveva desi-
gnato come membri delle varie commissioni.
128 AS I/1, p. 597.
129 Le animadversiones in schema constitutionù De sacra liturgia. Caput II. De sacro-
sancto Euchan'stiae Mysterio consistevano in 218 pagine ciclostilate· cfr. F van den Eynde
(CCV). '
130 La richiesta di Felici, che pregava i padri di non ripetere quanto già detto in ri
ferimento alla lingua latina, chiari che stava aumentando l'impazienza della presidenza
per la lentezza delle discussioni; cfr. AS I/1, p. 563.
, ~31 .«Hoc viam latam aperire videri omni generi innovationum», AS III, p. 598. Si
puo Incidentalmente notare che un numero significativo di oratori espresse riserve circa
l'introduzione di questo capitolo. Alcuni notarono che il carattere sacrificale dell' eucari-
stia. ~o.n era stato sottolin~ato a sufficienza, mentre altri lamentarono una poco chiara
defm1z1on~ delle due parti della messa, liturgia della parola e liturgia eucaristica. Altri
ancora obiettarono che la distinzione tra sacramento e sacrificio non era stata sufficien-
temente elaborata; cfr., per esempio, Bea, Br_owne, Florit, ,T rinidade Salgueiro: AS I/2,
pp. 22, 26-27, 28, 39. .
13 2 Il card. Bea fece la stessa osservazione, AS I/2, p. 22.
133 «Nùnc, num revolutio quaedam fieri vult de tota Missa?», AS I/2, p. 18.
150 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
134 Ibidem.
135 Cfr. AS I/2, p. 20; era una pratica normale interrompere gli oratori che avevano
superato il loro tempo, ma Ottaviani, per la sua posizione, non era un oratore normale;
dr. CAVATERRA, p. 70.
136 Cfr. AS I/2, p. 13. Nello stesso giorno, per puro caso, un vescovo cinese doveva
chiedere l'inclusione di S. Giuseppe nella preghiera eucaristica, dr. AS I/2, p. 31.
137 Comunque, Spellman e Ottaviani non erano i soli ad essere convinti che la
struttura della messa non dovesse essere modificata, e che la partecipazione attiva dei fe-
deli avrebbe solo portato confusione. Cfr. rarcivescovo A. Fares (Catanzaro, Italia) che
fece appello al concilio di Trento, AS I/2, p. 116. L'ignoranza dei vescovi sui fatti assu-
me talvolta dimensioni scioccanti: secondo mons. C. Saboia Bandeira de Mello (Palmas,
Brasile), per esempio, il rito romano risaliva allo stesso Pietro, e questa era una delle ra
gioni per cui non doveva essere modificato (AS I/2, p. 117).
13 8 Un apprezzamento di questo fatto fu espresso in modo intelligente dall'arcive-
scovo F. Melendro il 30 ottobre, AS I/2, pp. 30 31.
139 Cfr., a questo proposito, il ben documentato intervento di Laszl6, AS I/2, pp.
112-113; il 31 ottobre Elchinger notò sottilmente, in riferimento alla cosiddetta «rivolu-
zione», che se la Declaratio sul numero 3 7 fosse stata aggiunta al testo, invece di essere
eliminata, si sarebbe evitato tutta questa grande inutile agitazione: «Haec declaratio ete
nim nobis proponit non revolutionem sed tantum evolutionem evolutionem pastora-
lem et quidem sanam et prudentem», AS I/2, p. 80; dr. anche rintervento di Jenny
del 5 novembre, AS I/2, pp. 121 122, che fu, perfino nella scelta delle parole, un attac-
co frontale al discorso di Ottaviani del 30 ottobre.
140 Cfr. Elchinger, AS I/2, pp. 80 81.
IL DIBATIITO SULLA LITURGIA 151
gli elementi nuovi fossero scarsi151 , merita una menzione speciale l'inter-
vento del 31 ottobre dell'arcivescovo Hallinan (Atlanta), che parlò a
nome di un significativo numero di vescovi statunitensi. Hallinan non
portò nessun elemento realmente nuovo nella discussione, ma il suo in-
tervento fu importante perché diede un'indicazione all'assemblea: figure
come Spellman e Mclntyre non avevano parlato per l'intera chiesa ame-
ricana e, infatti, un cospicuo numero di padri degli Stati Uniti non era
d'accordo con loro 152 •
Come già abbiamo notato, grande attenzione fu tributata alla comu-
nione sotto le due specie153 • I favorevoli presentarono vari argomenti.
Secondo Alfrink la comunione sotto entrambe le specie era propriamen-
te biblica, dato che il mangiare ed il bere appartengono alla vera essen-
za della cena 154 • Il Signore stesso l'aveva comandato e in ambito evange-
lico e apostolico quella era stata una prassi normale. La chiesa primitiva
aveva rispettato questa tradizione 155 ·e nella più recente storia della chie-
sa si avevano sufficienti esempi del permanere di tale pratica in alcune
chiese, anche dopo Trento 156 • Nelle chiese di rito orientale la comunione
sotto entrambe le specie rimaneva a tutt'oggi la norma157 e la sua ripresa
in Occidente avrebbe perciò favorito l' ecumenismo 158 • Certamente i so-
stenitori della reintroduzione della comunione sotto le due specie non
erano ciechi di fronte ai possibili problemi pratici che questo avrebbe
potuto comportare e erano consapevoli che in circostanze in cui la gen-
te fosse stata troppo numerosa una tale pratica avrebbe potuto essere
impossibile, ma ritenevano che tali difficoltà non potessero costituire un
ostacolo di principio.
151 CTr. G. Dwyer (Leeds, Inghilterra); Mclntyre (contro l'uso della lingua naziona
le), AS I/2, pp. 38, 108. Da mons. Zauner venne un notevole intervento di apprezza
mento del lavoro fatto dalla commissione preparatoria sulla liturgia, con un appello per
l'introduzione della lingua nazionale basato sulla propria esperienza personale, AS I/2,
pp. 151 152.
152 Cfr. AS I/2, pp. 75 76; vedere anche T.J. SHELLEY, Paul]. Hallinan. First Arch-
bishop o/ Atlanta, Wilmington, 1989, pp. 167 168.
153 Più di 60 interventi toccarono questo punto in discussione: cfr. Animadversio-
nes... Caput II, pp. 139 172; 44 padri erano favorevoli a concedere il permesso per la
comunione sotto le due specie, sebbene vada notato che 11 di essi avevano scarsa sim
patia per l'idea di estendere il permesso al laicato; cfr., per esempio, Iglesias Navarri
(Urgel, Spagna), AS I/2, pp. 62-63.
154 AS I/2, pp. 16 17.
155 Edelby, AS I/2, pp. 85-86.
156 Bea, AS I/2, pp. 23-24.
157 Edelby, AS I/2, p. 85.
158 Cfr. Alfrink, Bea, Weber: AS I/2, pp. 17, 24-25, 79 80.
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 153
159 Cfr. il card. Ruffini, AS I/1, pp. 600 601; il card. Bea si oppose a questo argo
mento il 30 ottobre con un richiamo ad alcune concessioni accordate dal papa a molte
province tedesche nel 1564, AS I/1, pp. 23 24.
l60 Ibidem. Qualcuno potrebbe chiedersi allora perché i vescovi fossero a Roma.
161 AS I/2, p. 11.
162 AS I/2, p. 20.
163 Cfr., per esempio, Ruffini, AS I/l, p. 601; Gracias, AS I/2, p. 12.
164 Godfrey, AS I/2, p. 11.
165 Il card. Gracias notò anche che in India bere vino era illegale, AS I/2, p. 13.
166 Godfrey, AS I/2, p. 11.
167 Godfrey, McQuaid (a nome dei vescovi irlandesi): AS I/2, pp. 11, 44.
168 Godfrey, AS I/2, pp. 10 11.
169 C Helmsing (Kansas City), per esempio, era della stessa opinione, AS I/2, p.
45. La posizione di Léger era appoggiata anche da S. Kleiner, abate generale dei Cister-
censi, che parlò a nome dei suoi colleghi abati, AS I/2, p. 47; cfr. anche Ramanantoani
na (a nome dei vescovi africani), AS I/2, p. 267.
154 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
papa e approvati nelle Normae del settembre 1961 178 • Secondo Confalo-
nieri lo schema, così come era stato trasmesso ai padri conciliari secon-
do i desideri del papa, era il risultato delle osservazioni fatte dalla com-
missione centrale, insieme con le risposte della commissione liturgica
preparatoria a quelle osservazioni. Dove erano presenti discrepanze tra
le osservazioni e le risposte, la sottocommissione aveva preso una deci-
sione autonoma sulla base di argomentazioni motivate e solo dopo at-
tenta considerazione delle risposte ricevute. Oggetto della discussione
erano gli schemi ora sul tavolo, non i testi precedenti179 .
Lentamente ma inesorabilmente la noia e la fatica cominciarono a
pesare: i vescovi e i periti stavano trovando la strada verso il caffè con
sempre maggiore velocità e frequenza. Fortunatamente il papa interven-
ne il 6 novembre e accordò alla presidenza la facoltà di concludere la
discussione di un particolare capitolo, nel caso in cui la materia avesse
già ricevuto sufficiente trattazione. Il messaggio del papa arrivò alle 10
del mattino, e il dibattito fu immediatamente concluso!
Nel frattempo i lavori della commissione, che non aveva in effetti an-
cora iniziato a discutere il testo vero e proprio, proseguirono balbettant~
gradualmente affiorò l'impressione che alcuni stessero tentando di perde-
re tempo. Per di più, la nomina papale di Dante il 29 ottobre fornì a Lar-
raona un collaboratore per le sue tattiche ostruzionistiche. Sembra che lo
stesso Larraona fosse molto confuso e senza un metodo di lavoro180 • Alla
luce del fatto che la discussione sull'introduzione del capitolo I si era
protratta fino al 29 ottobre e che la segreteria non era ancora pronta per
le osservazioni, previste per la riunione programmata per il 31 ottobre181 ,
non fu possibile cominciare i lavori prima del 5 novembre alle ore 17 182 ,
sulla base di un dossier disponibile il 3 novembre 183 . In quel giorno i
membri della commissione i;_icevettero gli interventi dei padri sull'intero
schema e sull'introduzione. E evidente che in quello stesso giorno prose-
ghetti, P.A. Frutaz e J. Wagner). Si deve notare, a questo punto, che le sottocommissio
ni dalla nona alla tredicesima non si riunirono durante il primo periodo.
187 Cfr. Relatio exhibita a 1I I subcommirsione circa animadversiones genera/es tn
schema constitutionir de s. liturgia, 3 pagine; F van den Eynde (CCV).
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 157
5. Sacramenti e sacramentali
192 Andrebbe notato che il card. Tappouni, che presiedette le discussioni del 6 no
vembre, prese saldamente le redini dei lavori e talvolta furono interrotti abbastanza bru
scarnente alcuni interessanti oratori: cf r. AS I/2, pp. 190 192.
193 Molti di coloro che intervennero lo fecero a nome dei loro colleghi: Hengsbach
(Essen); Ali Lebrùn Moratinos (Valencia, Venezuela); Botero Salazar (Medellin, Colom
bia); A. Djajasepoetra (Djakarta, Indonesia); Bekkers (Hertogenbosch, Paesi Bassi); Ma-
lula (LeopoldviJle, Zaire); Romo Gutierrez (Torreòn, Mexico).
194 CTr. AS I/2, p. 291. .
195 Cfr. Bekkers, mons. H. Sansierra (vescovo ausiliare di San Juan de Cuyo, Ar
gentina), mons. J. Sibomana (Ruhengeri, Rwanda, che innanzitutto si compiaceva per il
fatto che il numero 49 dava il permesso di introdurre elementi locali nel rito deJla ini
ziazione), mons. J. Malula (Leopoldville): AS I/2, pp. 313, 302, 309, 323.
196 Cfr. gJi interventi di mons. Bekkers e di mons. Jager, AS I/2, pp. 314, 369; en
tram bi evidenziarono giustamente che il sacramento dell'eucaristia era già stato trattato
nel capitolo II e che il titolo del capitolo III avrebbe dovuto quindi essere De ceteris sa-
cramentis.
197 CTr. Ruffini, A. Del Pino Gòmez (Lerida, Spagna): AS I/2, pp. 162, 306 307.
198 A questo proposito cfr., per esempio, gli interventi di P.M. Pham Ngoc Chi
(Quinhon, Vietnam), M. Maziers (Lione); T. Botero Salazar, A. Barbero (Vigevano, Ita
Jia): AS I/2, pp. 172-173, 174, 178, 187 188. Cfr. AS I/2, p. 168.
199 Cfr., per esempio, il card. Browne, AS I/2, p. 165.
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 159
200 . Cfr.A~. I/2, pp. 318 319; .nel suo intervento D'Souza pronunciò una implicita
ma tagliente critica della congregazione romana, spesso intransigente in questa materia.
201 Vedere, per esempio, mons. J. Arneri (Sibenik, Yugoslavia), AS I/2, p. 168.
202 Cfr. mons. Garkovié (Zadar, Yugoslavia), AS I/2, pp. 185-186.
203 Hengsbach, AS I/2, p. 167.
. 204 Cfr. A. !'ave~i (Tivoli, Italia), A. Djajasepoetra (Djakarta, Indonesia), I. F enoc
ch10 (Pontremoli, Italia): AS I/2, pp. 303, 312, 363 365; vedere anche, comunque, mons.
T. Botero, AS I/2, p. 178, contraddetto da mons. Isnard, cfr. AS I/2, p. 300.
205 Vedere, per esempio, A. Scandar (Assiut, Egitto), AS I/2, p. 379.
160 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
giorni festivi vi era troppo poco tempo a causa di altre pressanti attività206 •
Altri erano propensi a amministrare il sacramento in forma collettiva, nel
caso fossero coinvolti grandi numeri di persone207 • Alcuni vescovi latino-
americani considerarono invece eccellente la proposta dell' amministrazio-
ne durante la messa208 • Era chiaro, comunque, che su questo punto si era-
no scontrate tra loro condizioni pratiche e considerazioni teologiche.
La discussione sul sacramento dell'unzione degli infermi comprese
anche un appunto del card. Browne, che si rammaricava che l'espressio-
ne «extrema unctio», che poteva vantare una lunga tradizione riccamen-
te attestata, fosse stata modificata in «unctio infirmorum»209 • Allo stesso
tempo, l'arcivescovo D. Capozi avvertì che il sacramento meritava di es-
sere richiesto e amministrato raramente2 10 • Kempf (Limburg, Germania)
era del tutto contrario alla possibilità che il sacramento dell'unzione de-
gli infermi fosse ripetuto, come proposto dal numero 60211 : in questo
era sostenuto da Ruffini, che notò essere contro la tradizione ripetere
l'unzione. Ruffini non capiva, a tale riguardo, perché alcuni desiderasse-
ro reintrodurre la unzione frequente e suggerì che la vera consolazione
si poteva trovare, piuttosto, nella confessione frequente 212 •
Le ragioni contrarie furono suggerite, tra gli altri, da P. Rougé
(coad. Nimes, Francia), che mise in evidenza come il cambiamento del-
1'espressione «estrema unzione» in <<Unzione degli infermi» fosse sempre
in linea con la libertà offerta dal concilio di Trento. Inoltre un cambia-
mento tale era fedele alla tradizione evangelica e alla prassi della chiesa
primitiva, nella quale vi era una stretta relazione tra questo sacramento,
il ministero di amore di Cristo per il povero e la missione degli apostoli,
prassi che anche Trento aveva chiaramente confermato213 • Fu notato an-
206 Cfr., per esempio, E. De Carvalho (Angra, Portogallo), L. Cabrera Cruz (Luis
Potosi, Messico): AS 112, pp. 180, 181182. Vedere anche gli interventi scritti di V.
Bryzgys (Kaunas, Lituania) e di L. Da Cunha Marelim (Caxias do Maranhao, Brasile),
AS 112, p. 349, 355.
207 F. Romo Gutierrez (Torreòn, Messico), AS 112, p. 324; cfr. anche D.M. G6mez
Tamayo (Popayàn, Colombia), AS 112, p. 366, il quale desiderava che il rito fosse abbre
viato per la scarsità di sacerdoti e si ponesse attenzione alla durata della funzione per i
bambini.
208 Cfr. mons. C.L. Isnard (Nova Friburgo, Brasile), AS 112, p. 300.
2(f) AS 112, p. 164.
210 AS 112, p. 170.
- 2 11 AS 112, p. 297 (supportato da una completa spiegazione scritta alle pagine 297-
300); dr. anche altre proteste provenienti da vescovi tedeschi, come L. Jager (Pader
born) e H. Volk (Mainz): AS 112, pp. 369-370, 381 382.
212 Cfr. AS 112, p. 162.
213 Vedere AS 112, pp. 292-293 (scientificamente fondato); idee simili si udirono da
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 161
Botero, per esempio, che parlò a nome dei vescovi colombiani; cfr. anche D. Capozi: AS
112, pp. 170, 179.
214 Rougé, AS 112, p. 293.
215 Vedere, per esempio, F. Angelini, A. Mistrorigo (Treviso, Italia), A. Tagle Co
varrubias (Valparaiso, Cile): AS 112, pp. 294 295, 305, 326.
216 AS 112, p. 293; cfr. Botero, per esempio, che espresse pensieri simili, AS 112, p.
179.
211 Rougé, AS 112, p. 293.
21s AS 112, p. 171.
2 19 Il principio della preghiera col breviario e dell'ufficio corale non fu mai messo
in discussione. Il testo stesso fu elogiato pienamente e in modo convincente da Dopfner,
per esempio, cfr. AS 112, p. 401; cfr. anche J. Weber (Strasburgo, che parlò a nome di
un consistente numero di suoi colleghi francesi), AS 112, p. 409.
162 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
vo Testamento peso maggiore di quello che aveva avuto finora220 era do-
vuta in gran parte a tali scelte. Non si può negare, tuttavia, che non
solo il gran numero di osservazioni dettagliate 221 , ma anche la discussio-
ne che si era riaccesa sulla questione della lingua non contribuiva a
mantenere in tema il dibattito222 • Prima di tutto grandissima attenzione
fu dedicata alle questioni relative all'obbligo di recitare l'ufficio divino.
Chi vi era obbligato e in qual misura? Vi era la necessità, di una revisio-
ne del breviario223 ?
La discussione fu aperta il 7 novembre dal card. Frings224 , il cui di-
scorso fornì molte delle linee guida che sarebbero state seguite durante
il dibattito. Frings chiese innanzitutto una versione latina dei salmi, che
fosse conforme al linguaggio dei padri della chiesa225 • Inoltre, propose
un più intenso uso nel breviario di tutta la Scrittura e dei padri della
chiesa, e chiese che fosse ristabilito un equilibrio tra i salmi e la Scrittu-
ra nelle letture del mattutino. Frings concluse il suo discorso con una
istanza a nome dei vescovi tedeschi, com presi quelli in terra di missione,
perché fosse permesso loro di dispensare dalla recita dell'ufficio in lati-
220 Cfr. Bacci, J. Corboy (Monze, Rhodesia), F. Garda Martinez (Spagna): AS V2,
pp. 409, 423, 439. Le stesse proposte si scontrarono con una certa resistenza da parte
del benedettino Prou, per esempio, cfr. AS V2, p. 446. Deve anche essere menzionata la
richiesta di una riduzione della lunghezza dei testi patristici, che si accompagnava ad un
appello per un maggiore rispetto delle spiegazioni autentiche offerte da questi testi; ve
dere, per esempio, Corboy, AS V2, p. 424.
221 Fu in parte per questo motivo che l'intera discussione di questo capitolo risultò
tediosa e prolissa; vedere l'appropriato commento del card. Bea, AS V2, pp. 411 413;
cfr. anche l'amaro commento di JCng, pp. 131-132.
222 Non meno di 38 interventi trattarono dell'uso del latino nell'ufficio divino.
22 3 56 padri intervennero unicamente sulla questione dell'obbligo. Il dossier intito-
lato Animadversiones... Caput IV De Officio divino (nn. 68 78) (F van den Eynde,
CCV), che la competente sottocommissione fu obbligata ad esaminare, consisteva in più
di 200 pagine in totale. Abbastanza sorprendentemente, nessuno dei padri ebbe da
obiettare sul numero 75, che trattava della partecipazione dei laici all'ufficio divino.
224 Altri oratori spesso si riferirono a questo e all'intervento di Léger con lodi entu
siastiche. Vedere, per esempio, A.M. Aguirre, che parlò a nome di molti vescovi dell' Ar
gentina, Uruguay e Paraguay, cfr. AS V2, p. 427.
225 Chi parlava ricevette appoggio su questo punto da molte parti; cf r. Bacci, Prou
(a nome di alcuni ordini monastici), Guano (Livorno, Italia), Carli (Segni, Italia): AS V
2, pp. 410, 445 446, 458, 463. La traduzione esistente dei salmi convinceva pochissimi e
aveva portato a un impoverimento della liturgia; cfr. J. SCHIPHORST, Eensgezindheid over
de noodi.aak van brevier, in Het concilie. le periode (1962) («Ken uw tijd», 12), 1963, p.
61. Vi erano comunque anche interessanti voci contrarie al cambiamento; cfr. V. Co
stantini, AS V2, p. 472.
IL DIBATIITO SULLA LITURGIA 163
no, alla luce del fatto che la conoscenza del latino era chiaramente in
declino tra le giovani generazioni226 .
Una richiesta di ordine pastorale, tesa ad assicurare che ogni rinno-
vamento dell'ufficio divino tenesse conto della situazione attuale del cle-
ro, fu avanzata, tra gli altri, dal card. Spellman 227 . È anche comprensibi-
le che gli interventi sul numero 68 (cursus horarum) mettessero ripetuta-
mente in evidenza che quanti erano impegnati in attività pastorali sareb-
bero stati impossibilitati ad ottemperare a questo obbligo. Fu proposto,
quindi, che la struttura dell'ufficio divino fosse adeguata alla vita pasto-
rale quotidiana228 , almeno per quanto riguarda le horae minores229 •
Oltre ai già menzionati miglioramenti del Salterio, alcuni insistettero
sul fatto che, ove l'ufficio fosse recitato in lingua volgare, i cosiddetti
salmi imprecatori fossero accantonati, poiché le suore e certamente i lai-
ci non avevano una preparazione sufficiente per comprendere il loro
esatto significato230 .
La discussione per precisare esattamente l'obbligo per la recita del-
!' ufficio fu assai prolungata, in parte a causa delle differenti attese nei
confronti di un sacerdote con funzioni pastorali. Secondo il card. Léger,
che elogiò lo spirito di rinnovamento presente nel numero 73, era suffi-
ciente, per coloro che non erano obbligati a recitare l'ufficio corale, re-
citare le lodi, i vespri e la lectio divina, come era previsto nel numero
71. A difesa di ciò egli sostenne che per i sacerdoti impegnati nel mini-
stero pastorale, diversamente che per i monaci, era impossibile pregare
tutto il giorno 231 . Riconoscendo chiaramente questo fatto, il cardinale
sottolineò che nella preghiera si doveva preferire la qualità alla quanti-
tà232. Altri posero in rilievo la necessità di linee guida chiare, che tenes-
sero conto dell'attuale situazione pastorale233 . B. Yago (arcivescovo di
Abdijan, Costa d' Avorio) 234 sostenne che ogni revisione del breviario do-
veva essere tale da stimolare l'inclinazione del clero alla preghiera235 .
Certamente, non tutti erano entusiasti all'idea di una riduzione del-
l'ufficio divino. Il card. Wyszynski elogiò il breviario e non vedeva mol-
te ragioni per apportare modifiche; era sconvolto dal fatto che fosse sta-
to utilizzato l'argomento del tempo, un fatto che considerava essere uno
schiaffo ad ogni sacerdote buono e pio. Egli sottolineò, inoltre, che
l'azione senza preghiera non poteva portare frutto 236 . Un vescovo spa-
gnolo, accantonata ogni questione di natura pastorale, riteneva che l' ob-
bligo del breviario dovesse rimanere invariato, e che chi non vi ottempe-
rava commettesse peccato grave237 .
Per quanto riguarda la lingua, figure significative come Léger propo-
sero che al clero fosse permesso, con l'approvazione delle conferenze
episcopali, l'uso del volgare anche nella recita individuale, al fine di evi-
tare il formalismo derivante dalla ignoranza della lingua238 . Dopf ner non
si lasciò sfuggire l'occasione per sottolineare con acutezza che, su questo
punto preciso del testo originale, era stato proposto di lasciare alle con-
ferenze episcopali il diritto, in conformità col numero 24, di promulgare
norme circa l'uso della lingua, nei casi in cui la conoscenza del latino
fosse scarsa e non vi fosse la speranza di vedere migliorare tale cono-
scenza239. Il card. Meyer, mentre esprimeva la convinzione che le caren-
ze circa il latino fossero in parte da attribuire all'odierno appello per
l'uso del volgare, rimarcò, comunque, che era prima di tutto una que-
234 Yago parlò a nome dei suoi colleghi dell'Africa occidentale, AS 112, p. 467.
235 Cfr. «La Croix» 13 novembre 1962; vedere anche AS 112, p. 466; l'indiano Gra
cias era chiaramente sulla stessa lunghezza d'onda, cfr. <illokumente» dicembre 1962, p.
442.
236 Cfr. AS 112, p. 393; cfr. anche Godfrey, Lefebvre, J. Flores (Barbastro, Spagna),
Cadi: AS 112, pp. 395, 396, 436, 463.
237 Cfr. AS 112, p. 468.
23 8 «Ut [. .. ] mente intelligant quod labiis pronuntiant», AS 112, p. 336; cfr. anche
Weber, Reuss: AS 112, pp. 409; 448. In questo fu appoggiato nominatim da Dopfner,
che fece riferimento anche al discorso di Frings (cfr. AS 112, p. 399); cfr. anche Garro-
ne, AS 112, pp. 454 455. Spellman propose anche che ognuno fosse libero di scegliere,
cosa che destò una certa sorpresa tra i presenti, data la sua rumorosa difesa dell'uso del
latino nell'eucaristia, cfr. AS 112, p. 392; vedere anche sullo stesso argomento V.A.
YZERMANS, American Participation in the Second Vatican Council, New York 1967, p.
136. Il fatto che i vescovi americani non avessero a cuore la questione del latino quando
si arrivò a trattare del breviario risulta evidente anche dall'intervento di Connare, St. Le
ven (vescovo ausiliare di San Antonio, U.S.A.), J. Marling (Jefferson City, U.S.A.): AS Il
2, pp. 415-416, 452-453' 455 456.
239 AS 112, pp. 398-399.
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 165
2 41 AS 112 pp. 463 464; Costantini segtÙ una linea simile a questa, AS 112 p. 473.
1 1
2 42 AS 112 p. 394.
1
2 46 AS 112 p. 474.
1
166 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
247Cfr. F-Jenny, scatola 8 (CNPL); sembra che questa nota fosse veramente inviata;
dr. l'annuncio del segretario durante la riunione del 12 novembre, F Jenny, scatola 8
(CNPL).
248 Cfr. F-Jenny, scatola 8 (CNPL).
249 Cfr. F Jenny, scatola 8 (CNPL).
250 Il consiglio de1la sottocommissione Lercaro fu seguito anche ne1le rimanenti
questioni.
251 MARTIMORT, Les débats liturgiques ... , cit., p. 307, riferisce de1la reazione rabbio
sa di Malula durante la settima riunione della commissione: secondo la relazione tenuta
da Jenny ai vescovi francesi in S. Luigi il 10 novembre, sia Rossi sia Spiilbeck espressero
il loro evidente scontento per la lentezza dei lavori; dr. F Jenny, scatola 8 (CNPL). Ve
dere anche il pro memoria di Lercaro, cfr. infra.
252 Cfr. SHELLEY, Hallinan ... , cit., p. 168.
253 HaJlinan propose che ogni volta che la congregazione generale avesse trattato
un partico]are capitolo, la commissione procedesse nel seguente modo: in primo luogo,
ogni articolo di una specifica sezione sarebbe stato trattato da1la commissione secondo
un ordine, su1la base della relazione de1la sottocommissione. Se per uno specifico artico-
lo si proponevano pochi o nessun cambiamento, allora la commissione l'avrebbe accetta
to come definito ne1lo schema. Nel caso di proposte di cambiamenti in riferimento ad
un articolo o di correzioni significative, allora la commissione avrebbe votato, nel modo
solito, su ogni modifica. Nel caso di votazione a favore di una particolare modifica o
correzione, a1lora la commissione avrebbe accettato la versione corretta de1l'articolo; nel
caso di voto contrario, la commissione avrebbe trasmesso la materia alla congregazione
generale, insieme ad uno schema corretto, contenente sia l'articolo originale che le cor-
rezioni proposte dai padri ma respinte dalla commissione. In questo caso la congregazio-
ne generale doveva votare solamente per risolvere il problema. Una volta che la sezione
fosse stata corretta, sarebbe stata presentata, attraverso il segretario generale, ai padri
per il loro voto. Il nuovo testo avrebbe incluso: 1) l'articolo per il quale non vi erano
proposte; 2) g1i articoH che erano stati corretti e approvati dalla commissione; 3) le spe
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 167
cifiche proposte dei padri che non avevano ricevuto l'approvazione della commissione.
Ha1linan a suffragio di questa proposta portò questi argomenti: 1) la procedura proposta
era in linea con i regolamenti conciliari e della commissione; 2) era necessaria una pro
cedura ordinaria, dato che i voti specifici su una particolare sezione meritavano di trova
re posto ne1la discussione su quella sezione, e ciò tanto jn concilio quanto in commissio
ne; 3) da un punto di vista psicologico avrebbe avuto più senso combjnare la funzione
legislativa dei padri durante le votazioni con la funzione deliberativa degli stessi durante
le discussioni in aula; 4) votazioni organizzate singolarmente avrebbero razionalizzato e
Jimitato le discussioni conciliari. Cfr. F Calewaert, scatola 4, documento 8 (Archivi della
diocesi di Ghent); F~Jenny, scatola 5 (CNPL); F Bekkers, documento 780 (Archivi deJla
diocesi di s'Hertogenbosch).
254 Grimshaw, Van Bekkum, Zauner, Rossi, Calewaert, Jenny, Spiilbeck, Malula, Pi
chler, Rau, Jop e Martin: cfr. SHELLEY, Hallinan .. ., cit., p. 321.
255 Hallinan fece le seguenti proposte: al fine di evitare di appesantire il lavoro del
concilio con discussioni minuziose e prolungate, i padri firmatari, membri della commis
sione per la liturgia, richiedono: 1) che immediatamente, cioè alfinizio della riunione
odierna, la commissione per la liturgia voti le proposte uscite da1la sottocommissione
Lercaro; 2) che quindi, dopo la relazione de1la sottocommissione circa I' jntroduzione e
una breve discussione su ogni correzione, durante la quale i membri e, se richiesti, i pe
riti in ordinem possano avere la parola, la commissione passi alla votazione; 3) che le
correzioni riferite dalle rispettive sottocommissioni, dopo una breve discussione e il voto
su1le sezioni di ogni capitolo, siano inviate, senza indugio, alla segreteria; 4) che, al fine
di evitare futuri ritardi e per soddisfare i desideri dei padri conci]iari, questa proposta
sia messa ai voti: F Calewaert, scatola 4, fondo 1, documento 11 (Archivi della diocesi
di Ghent).
256 Cfr. SHELLEY, Hallinan .. ., cit., p. 170.
168 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
Tali proposte misero in luce lo sforzo dei paesi del terzo mondo per
dare alla chiesa caratteristiche non avulse dalla realtà locale.
Inoltre, alcuni padri si espressero in favore di una maggiore sempli-
cità e sobrietà nella celebrazione dell'anno liturgico, mentre altri chiese-
ro che fosse attribuito un maggiore peso a feste come l'Epifania o
l'Ascensione, che nei territori di missione erano spesso celebrate in gior-
ni lavorativi, e che quindi non potevano ricevere la dovuta attenzione 270 .
L'arcivescovo di Siena l.M. Castellano notò, non senza ragioni, che
il capitolo VI avrebbe potuto essere legato al capitolo VIII, dal momen-
to che entrambi trattavano de facto della stessa materia271 • Riguardo al
capitolo VI - e al capitolo VIIl272 - venne regolarmente proposto che,
in conformità con gli spiacevoli abusi già notati nell'introduzione, la li-
turgia fosse caratterizzata da una maggiore semplicità evangelica, senza
per questo negare che il culto, come atto rivolto a Dio, debba essere
bello273 • Il vescovo cileno E. Larrain Errazuriz274 ricordò ai presenti che
la liturgia è celebrazione del mistero pasquale di Cristo e che il solo
modo di rendere giustizia alla liturgia è rispettare la povertà lodata nel
Vangelo; il Vangelo, in questa materia, doveva essere proclamato al po-
vero. Secondo le parole di s. Agostino, notò, la liturgia non celebra lo
splendor divitiarum ma piuttosto lo splendor veritatis, la rivelazione in
Cristo dell'amore di Dio. La chiesa era tenuta, perciò, a mostrare nelle
parole e nelle opere la propria scelta del povero, mentre nello stesso
tempo doveva assicurarsi che le sue ricchezze non recassero offesa nei
luoghi dominati dalla povertà275 • Era una questione di sensibilità pasto-
rale: una chiesa che predica la povertà non può dare l'impressione di
ricchezza e pomposità nelle sue celebrazioni liturgiche, quando queste
sono spesso il solo modo per i non credenti di avvicinarsi alla conoscen-
za del cristianesimo; bisogna piuttosto prendere come esempio il bambi-
no di Betlemme276 • Si affermò, inoltre, che nella liturgia bellezza genuina
più volte: cfr. J. Urtasun (Avignone, Francia), H. Golland Trinidade (Botucatù, Brasile):
AS I/2, pp. 632, 645. Una voce discorde si può trovare, per esempio, in P. Zelanti, AS
I/2, pp. 640 641, che introdusse, quanto alla sobrietà, una distinzione tra condizione
personale e tradizioni liturgiche.
277 Cfr. Golland Trinidade, P. Baudoux (S. Bonifacio, Canada), Ancel (vescovo au
siliare di Lione, Francia): AS I/2, pp. 645, 666 667, 682-683.
218 AS I/2, pp. 630 631.
21 9 Cfr. AS I/2, p. 651.
28 0 Seitz parlò a nome dei vescovi vietnamiti.
281 AS I/2, pp. 661-662.
282 Cfr. AS I/2, p. 669.
283 AS I/2, pp. 623-625.
284 Cfr. AS I/2, p. 639.
28 5 Cfr. A. Fustella (Todi, Italia), C. D'Amato, H. Volle (che sottolineò che ciascu
no doveva poter partecipare al canto e si espresse a favore dei canti in volgare), Badoux,
M. Darius Miranda y G6mez (Città del Messico, che giudicò il tono dello schema inibi
172 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
torio nei confronti di un progresso nel campo della musica): AS I/2, pp. 636, 636 637,
662 664, 66 7, 669 6 70.
286 Cfr. J. De Smedt, AS I/2, pp. 697-700.
287 AS I/2, p. 664.
288 AS I/2, pp. 588 589; W. Kempf (Limburg, Germania) pronunciò un intervento
simile, AS 112, p. 659.
289 AS I/2, pp. 592-593. Nel suo inteivento scritto rivolse un appello simile circa
l'arte sacra. Raymond rivolse, dalla prospettiva indiana, richieste analoghe, AS I/2, pp.
616-617.
290 Il 5 novembre, Cousineau (Haiti) si appellò all'istanza di più di 500 persone e
istituti in favore di s. Giuseppe; cfr. anche l'intervento di P. Cule (Mostar, Yugoslavia),
A. Tedde (Ales, Italia): AS I/2, pp. 479 480, 483. Altri presero in giro i «josefologi»; cfr.
l'amaro cinismo di Ruffini, che presiedeva l'assemblea il 10 novembre: disse a P. Coule:
«Rogo te, exc.me Domine, ut concludas sermonem tuum piisim um! Certiorem te facio
nos devotissimos esse· erga S. loseph», AS I/2, p. 480. Tedde fu saggiamente avvertito
che non si predica ai predicatori (e i vescovi lo sono), AS I/2, p. 483. Altri santi aveva
no zelanti sostenitori tra i padri; cfr. gli interventi di J. Marling (Jefferson City, U.S.A.)
in favore del beato Eimardo es. Gaspare del Bufalo, AS I/2, pp. 598 599.
2 91 Non tutti i liturgisti furono :ugualmente soddisfatti della proposta; Cfr.
SCHMIDT, La Costituzione ... , cit., pp. 150.
292 AS I/2, p. 644; su quèsto stesso argomento vedere R. LAURENTIN, Bilan de la
première session, Paris 1963, p. 108; H. F'EsQUET, Diario del Concilio, Milano 1967, pp.
104"-105; WENGER, Vatican II. Première session ... , cit., pp. 95-96.
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 173
293 Cfr. LAURENTIN, Bilan ... , cit., p. 27. Congar, «ICI», 1° dicembre 1962.
294 Cfr. JCng, p. 13 7.
295 La proposta di Dante di introdurre nello schema una sezione sul processo di
canonizzazione non fu seguita; cfr. F·Jenny, scatola 8 (CNPL).
296 Ibidem.
297 La relazione constava 6 pagine in tutto; cfr. carte F. C. De Clercq, CCV.
29 s Ibidem, pp. 1 3. Per esempio, le critiche all'uso dei termini instaurare, instaura·
tio venivano confutate con l'ausilio di numerosi documenti papali e non.
299 Cfr. ibidem, p. 3, ove la proposta di molti padri di eliminare dal capitolo III.25
26 la frase «dum declarat se in praesenti constitutione nihil velle dogmaticae definire»
fu accettata, dopo le dovute considerazioni, sulla base del consiglio del card. Silva, che
aveva parlato a nome dei vescovi cileni, i cui argomenti erano stati molto ben recepiti; il
suo consiglio fu seguito anche a proposito del capitolo Il, parr. 29·33.
300 Nella prima parte della prima riunione fu discusso il compito specifico della
sottocommissione teologica: parere teologico e revisione dei testi della Scrittura; cfr. la
relazione di Gagnebet, p. 1 (F van den Eynde, CCV).
301 Ibidem, p. 2. Furono minime le altre modifiche di questa sottocommissione al
l'introduzione; cfr. anche le note di Jenny, membro della sottocommissione: F Jenny,
scatola 8 (CNPL), dalle quali. appare che la sottocommissione considerava come un sue
cesso il movimento di rinnovamento: <<instaurare est consacré».
174 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
Dato il numero dei padri che aveva espresso opinioni piuttosto ne-
gative sullo schema, si attendevano i voti con una certa tensione. Era
dopo tutto il primo voto del concilio. Grande fu la sorpresa quando la
dal momento che alcune erano nuove modifiche di punti già modifica-
ti.321. Inoltre, fu portata di nuovo in discussione l'aggiunta di «sacrifi-
cium>> a I,2,1.25, aggiunta che era stata proposta dalla sottocommissione
mista del 15 novembre «ut magis completa sit doctrina»322 . In ultima
analisi il testo fu approvato.
Mons. Grimshaw allora prese la parola e lesse la relazione della sot-
tocommissione sui numeri I,10-15;32-36. Fu evidente che la sottocom-
missione Grimshaw non aveva avuto molte difficoltà con la parte del te-
sto ad essa affidata, dal momento che si era riunita solo una volta; la
stessa relazione non sollevò gravi problemi, anche se doveva essere di-
scussa brevemente il 21 e 23 novembre323 . Il 21 novembre vi fu una lun-
ga discussione 324 sullo spazio della liturgia nella formazione teologica nei
seminari e nelle facoltà teologiche (I,11)3 25 , una discussione che, in ulti-
ma analisi, finì per accettare la proposta di Antonelli di considerare la
liturgia «necessaria» nella formazione dei seminari e «importante» nel-
l'istruzione universitaria326 . Il resto del testo sembra esser stato approva-
to senza altre difficoltà; comunque, l'approvazione del capitolo II fu ri-
tardata fino alla conclusione della discussione sulle conferenze episcopa-
li, discussione che riguardava il lavoro della sottocommissione Calewa-
ert.
Considerando il tempo impiegato nella discussione di punti minori,
come quelli appena citati, non sorprende che, il 19 novembre, Hallinan,
ora accompagnato da Grimshaw, avesse presentato un nuovo documen-
to intitolato De modo -procedendi. Il documento chiedeva che si potesse
evitare di discutere all'interno della sottocommissione competente le dif-
ficoltà teologiche e le nugacitates latt'nae, e che il presidente di una par-
ticolare sottocommissione non dovesse essere responsabile della chiarez-
za della formulazione, nella presentazione di una specifica parte di un
Durante gli ultimi giorni del primo periodo la commissione poté de-
dicarsi alla relazione della sottocommissione Enciso con buona coscien-
za. Questo gruppo, a cui era stata affidata la revisione del capitolo II
sul mistero dell'eucaristia, si riunì con una certa regolarità. Nella prima
riunione del 15 novembre trattò le osservazioni relative all'intero testo e
stabili quali fossero di sua competenza3 47 . Durante la seconda riunione
del 17 novembre la sottocommissione concentrò l'attenzione sulle osser-
vazioni relative all'introduzione al capitolo II e suggeri alcune modifiche
allo sçopo di dare un quadro più chiaro del mistero della croce, morte e
risurrezione nel contesto dell'eucaristia348. Il 20 novembre discusse le os-
servazioni al numero 37 (sul rinnovamento della struttura della messa),
esprimendo l'opinione che non si dovesse tenere conto delle già citate
critiche a questo numero. Dopo le dovute considerazioni, si decise di
inserire la proposta del card. Bea, che tendeva a semplificare i riti e ad
eliminare le ripetizioni sedimentatesi col tempo e le parti che non erano
sufficientemente comprensibili349. Il 22 novembre la sottocommissione si
dedicò ai numeri 38-40. Dopo un esame delle osservazioni, il numero 38
rimase immutato; circa il numero 39, che trattava dell'omelia, la sotto-
commissione seguì i desideri di molti padri e confermò la necessità della
predica nelle domeniche e nei giorni di festa. Per quanto riguardava la
preghiera dei fedeli, la scelta cadde su una formulazione che, secondo la
richiesta di Pildain, rendeva giustizia ai bisogni di tutti, anche dei pove-
ri350. I numeri 41-43 351 furono discussi il 24 novembre. Dopo aver sop-
pesato tutti gli argomenti a favore e contro l'uso della lingua volgare, fu
scelta la proposta di Léger, nella quale si dichiarava che la lingua volga-
re doveva essere usata nelle letture e in alcune preghiere e inni. Nello
stesso tempo, fu aggiunto che si doveva prestare attenzione nell'aiutare i
fedeli a cantare con maggiore scioltezza gli inni in latino della messa352 .
Circa la comunione sotto le due specie (n. 42), dopo attenta riflessione,
si decise infine, nonostante le molte obiezioni, di optare per una accet-
tazione degli argomenti a favore di tale pratica - con un richiamo espli-
cito al concilio di Trento353 • Nello stesso tempo, la sottocommissione era
conscia delle varie considerazioni pratiche (per esempio, il caso di gran-
di gruppi di fedeli) e offrì alcuni suggerimenti sulle occasioni appropria-
te per la distribuzione della comunione sotto le due specie354 • Le discus-
sioni sul capitolo II furono concluse il 26 novembre con il vaglio dei
numeri 44-46. Per i numeri 45-46 nulla cambiò; tuttavia, fu inclusa nel
testo del numero 44 la proposta di Léger in favore della promozione
della concelebrazione, alla luce del suo uso come espressione di unità.
Contestualmente la sottocommissione ritornò al testo originario della
commissione preparatoria, nel quale si proponeva la concelebrazione per
le messe conventuali e per le messe parrocchiali più im portanti355 • Nel
fare ciò la sottocommissione aveva chiaramente optato di far proprie le
idee del movimento liturgico.
I suggerimenti della sottocommissione furono seguiti quasi in tegral-
mente dalla commissione356, anche se durante il primo periodo non si
pervenne ad un voto357 •
353 Cfr. la proposta della commissione teologica, datata 25 novembre, p. 23; F-van
den Eynde (CCV).
354 L'assai strano «sublato fidei pericolo» fu eliminato, come richiesto da molti pa
dri.
355 Cfr. la relazione di Enciso, p. 17.
356 Cfr. la relazione Enciso insieme alla Commirsio conciliarir de sacra liturgia. Ca-
put II Schematis: De sacrosancto Eucharirtiae mysterio. T extus a Subcommirsione, iuxta dz"..
sceptationem in Commirsione habitam, emendatus (carte Lercaro, ISR, Bologna). Secondo
la relazione di Bonet la sottocommissione giuridica sembra che non abbia fatto difficoltà
alla commissione di Enciso: relazione Bonet, pp. 10 11; cfr. F-van den Eynde, CCV.
357 L'Ordo agendorum del 4 dicembre riporta che nella riunione continuava la di-
scussione della relatio di mons. Enciso; cfr. anche la Ratio agendi in commissione conci-
liari de Sacra liturgia congregationibus generalibus conct1z'i oecumenici vacantibus, idest a
die 8 dee. 1962 ad diem 8 sept. 1963, p. 1: F Jenny, scatola 8 (CNPL, Paris); F-C. De
Clercq (CCV). Poiché l'ottava sottocommissione di Hallinan riuscì a concludere soltanto
all'ultimo minuto, dopo le riunioni del 27 e 29 novembre e del 2, 3 e 5 dicembre, le di
scussioni sul capitolo ID, i padri ricevettero una copia della relazione solo prima di ri
partire. Perciò, a questo punto, può essere tralasciata.
184 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
9. Primi voti
36l 14 padri votarono contro questo numero, mentre 11 espressero voto non valido.
362 Contrari 26, non validi 1.
363 Contrari 21, non validi 7.
364 Contrari 10, non validi 3.
365 Inoltre, 1a commissione era dell'opinione che 1a definizione di liturgia, come for
mulata nel documento ora all'esame, fosse sufficiente, e che quindi non dovesse essere
precisata ulteriormente, specialmente per il fatto che una definizione specifica molto
esatta non avrebbe potuto ottenere un largo accordo tra gli esperti in quel momento.
366 Precisamente in 111 e 112; cfr. AS 113, p. 703.
367 Cfr. AS 111, p. 703.
368 È abbastanza possibile che 1a connotazione troppo scolastica della parola causa
abbia avuto un ruolo in questa modifica, Cfr. BUGNINI, La riforma ... , cit., p. 44. La pa
rola «sacramenti>> nel numero 6 fu divisa in «per sacrificium et sacramenta», al fine di
dare più importanza all'eucaristia, cfr. AS 113, p. 704.
369 Cfr. AS 113, p. 696.
186 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
370 Come motivazione per queste modifiche formali Martin richiamò il fatto che
molti padri avevano chiesto che lo schema includesse le varie distinzioni presenti nella
Media/or Dei. Inoltre un significativo numero di padri aveva espresso riserve circa l'uso
di «et explicatur». Nel fare ciò, lo schema aveva dato l'impressione che le parole di Cri
sto nelle Scritture e l'omelia che seguiva fossero sullo stesso piano, cosa che era ovvia
mente falsa. Infine, un cospicuo numero di padri aveva suggerito cambiamenti circa il
sacrificio della messa. Per tutte queste ragioni, era stato deciso di scrivere un nuovo te
sto che riflettesse lo spirito della Media/or Dei e che desse il giusto spazio al sacrificio
della messa. Cfr. AS V3, p. 705.
3 7l La frase che si riferiva alla presenza personale di Cristo nella spiegazione delle
Scritture fu eliminata «essendo uno sviluppo dottrinale non sufficientemente avanzato
per un documento conciliare»; BUGNINI, La riforma ... , cit., p. 44.
372 Cfr. AS V3, p. 697. Al paragrafo successivo fu aggiunto il seguente passaggio:
«(Ecclesiam... sibi semper consociat), quae Dominum suum invocat et per ipsum aeterno
Patri cultum tribuit». La ragione di ciò era di fare menzione del culto di Cristo di cui
non si parlava in nessun altro luogo.
373 Cfr. AS V3, pp. 697-698.
374 Il testo al n. 10 era il seguente: «Attamen liturgia est culmen ad quod actio ec
clesiae tendit et simul fons unde omnis eius virtus emanat».
375 AS V3, p. 706; cfr. anche BUGNINI, La riforma ... , cit., p. 44. Le altre modifiche
a questo numero furono semplicemente delucidatorie.
376 Cfr. AS V3, pp. 699 700. Con l'aggiunta della frase introduttiva «Vita tamen
spiritualis non unius sacrae liturgiae partecipatione continetur» il numero 12 attribuì
maggiore peso al significato della pietà personale del fedele.
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 187
la vera unanimità sugli altri paragrafi (solo 1,10,7 ricevette una simile
reazione negativa, con 101 padri contrari)3 77 •
Mons. Grimshaw prese la parola il 3 dicembre per presentare le mo-
difiche al capitolo I (14-20) durante la trentaduesima congregazione ge-
nerale. Solo due di queste modifiche sembravano a Grimshaw degne di
menzione, essendo Il:) altre di natura delucidatoria o letteraria378 • Grazie
all'aggiunta di «vi baptismatis» il numero 14 conferì grande enfasi al fat-
to che l'attiva partecipazione di tutti i fedeli si fonda nel battesimo e
non in una autorizzazione della chiesa379 • Il numero 16 insisteva sul fatto
che la liturgia dovesse essere compresa nell'elenco delle materie obbliga-
torie in seminario e nei collegi degli ordini e congregazioni religiose3 80 •
Anche queste limitate modifiche furono accettate dai padri con una
maggioranza schiacciante3 81 •
Mons. Calewaert presentò le modifiche al capitolo I (21-40) alla tren-
taquattresima congregazione generale il 5 dicembre. Evidentemente i pa-
dri non erano rimasti ai loro posti durante i precedenti turni di voto, dato
che nella sua introduzione Felici chiese espressamente che i partecipanti
rimanessero ai loro posti durante le votazioni3 82 • Calewaert, sottolineando
il fatto che stava parlando a nome di tutti i membri della commissione3 83 ,
aprì la assai approfondita relatio384 con un richiamo alle linee guida per la
realizzazione del rinnovamento liturgico, che era infatti l'argomento prin-
cipale di questa parte dello schema. Poiché essa era stata sostanzialmente
modificata, Calewaert dapprima si preoccupò di rilevare i fattori che ave-
vano spinto la commissione ad optare per una nuova stesura. Perché non
rimanessero nascoste al lettore materie di grande importanza, notò il com-
mentatore, le norme relative alla liturgia come azione della gerarchia e
377 Il risultato negativo più vicino a questo si registrò per il paragrafo I,5,1: presen
ti 2.145; favorevoli 2.096; contrari 41; voti non validi 8.
378 Vedere AS I/4, p. 170.
379 Cfr. AS I/ 4, p. 167, unitamente alla chiarificazione di Grimshaw alle pp. 170
171.
380 AS I/4, p. 167.
381 Il risultato del voto sul paragrafo I/14 fu il seguente: favorevoli 2.096; contrari
10; voti non validi 7. Sul paragrafo I/16: favorevoli 2.051; contrari 52; non validi 6; ve
dere AS I/4, p. 213.
38 2 AS I/4, p. 266.
383 È notevole nella relazione di Calewaert la regolarità con cui le osservazioni dei
padri e le critiche sono menzionate e seguite da una reazione positiva o negativa.
384 Cfr. AS I/4, pp. 278 290; circa l'agitazione causata dal fatto che il testo emen
dato era relativamente lungo, vedere, per esempio, SHELLEY, Hallinan ... , dt., pp. 175-
176.
188 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
385 Il precedente titolo Normae ex natura communitaria et hierarchica liturgiae ora di-
ventava Normae ex indole liturgiae utpote actionis hierarchicae et communitariae propriae.
386 All'interno delle varie suddivisioni del testo alcuni singoli numeri furono anche
spostati. Mentre prima il numero 28 dello schema («Solius hierarchiae est aliquid in Li
turgia mutare»), per esempio, si trovava tra i criteri derivanti dalla natura comunitaria e
gerarchica della liturgia, ora era collocato al primo posto tra le norme generali (n. 22),
definendo in tal modo chiaramente la legittima autorità circa la liturgia, cfr. AS I/4, pp.
278 279.
387 Cfr. AS I/4, p. 279.
388 Vedere supra, p. 188.
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 189
389 Calewaert aggiunse che, poiché l'espressione «ex potestate a iure concessa» non
implicava definizioni giuridiche o teologiche, si era lasciato spazio sufficiente per un
eventuale futuro completamento del testo; cfr. AS I/ 4, p. 280.
390 Cfr. ASI/ 4, p. 270; cfr. anche la motivazione della commissione a p. 281.
391 Cfr. AS I/4, p. 270 insieme al commento di Calewaert a p. 282.
392 Cfr. AS I/ 4, p. 271.
393 Cfr. AS I/4, p. 271.
394 Furono proposte le vigilie delle feste maggiori, alcuni giorni feriali del tempo
d'avvento e della quaresima, insieme alle domeniche e ai giorni festivi.
395 Cfr. AS I/4, p. 273.
396 Ancora una volta si dedicò grande attenzione a questo punto; cfr. AS I/4, pp.
285-288. Nessun altro articolo ricevette eguale attenzione.
190 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
commissione aveva optato, per la via mediana, come i padri avevano ri-
chiesto, cioè per una soluzione che attribuiva la dovuta importanza al-
l'uso sia del latino sia del volgare. Il nuovo numero 36 (prima 24) era
stato molto modificato. Nel primo paragrafo, in cui lo schema originario
aveva parlato di liturgia occidentale, ora si stabiliva che il latino doveva
essere la lingua dei riti latini: questa modifica non solo venne incontro
al desiderio, tra gli altri, dei vescovi africani, che avevano chiesto l' elimi-
nazione di «occidentalis», ma, con l'uso del plurale «riti» si riconobbe
che, oltre al rito romano, altri riti, come quello ambrosiano, hanno dirit-
to di cittadinanza nella chiesa cattolica romana. Dal momento che Roma
aveva già permesso, in passato, celebrazioni liturgiche in lingua volgare
in alcune chiese locali, venne inserita la frase «salvo particulari iure»397 •
Nel paragrafo 2 fu specificato, inoltre, che l'uso del volgare poteva esse-
re estremamente utile per i fedeli, specialmente per le letture, le esorta-
zioni ed alcune preghiere e inni, per un uso conforme ai criteri in mate-
ria, predisposti separatamente nei capitoli successivi398 • In conformità
con larticolo 22 § 2, la frase (assai sprezzante) del paragrafo 3, in cui si
permetteva alle autorità ecclesiastiche locali solo di avanzare proposte
alla S. Sede, fu corretta in modo da attribuire alle stesse autorità il dirit-
to di decidere sull'uso della lingua volgare e sul limite di tale uso. In tal
modo la commissione soddisfece il desiderio di alcuni padri di conferire
maggiore potere alle conferenze episcopali399 • Si aggiunse, tuttavia, che
le decisioni adottate avrebbero dovuto essere approvate dalla S. Sede:
«approvate» in tale contesto sembrava avere il significato di «conferma-
te»400. In contrasto col termine «recognitis» del testo dello schema - ter-
mine che era stato considerato troppo ambiguo - la nuova scelta divo-
caboli conferì alle autorità locali maggiore potere decisionale e maggiore
spazio di manovra, senza violare i diritti delle istanze superiori401 .
Nel quarto paragrafo, completamente nuovo, fu proposto, per la tra-
duzione dei testi liturgici latini in lingua volgare, di affidarne la respon-
sabilità alle autorità territoriali menzionate al numero 36 § 3: ciò per
evitare una proliferazione di traduzioni402 .
403 Al numero 37, nel quale era già stata riconosciuta la dignità delle tradizioni lo
cali, fu aggiunta una integrazione, secondo cui queste tradizioni sarebbero entrate a far
parte della liturgia nella misura in cui fossero compatibili con i principi basilari del vero
e genuino spirito liturgico. Il numero 39, che trattava dei limiti dell'adattamento, subì
una profonda revisione a livello formale da parte della commissione, AS V4, p. 289.
L'introduzione al numero 40 (sull'adattamento della liturgia) venne riscritta per esigenze
di chiarezza e per venire incontro alla volontà di alcuni padri: cfr. AS V4, pp. 274 e
290; la citazione della congregazione dei riti fu eliminata dal terzo paragrafo di questo
numero per lasciare al papa completa libertà per la scelta del modus operandi.
404 Seguiamo l'ordine con cui i testi emendati furono presentati. I risultati furono
questi: I,25: favorevoli 2.087, contrari 14, non validi 9; I,37: favorevoli 2.083, contrari
21, non validi 10; I,39: favorevoli 2.044, contrari 50, non validi 15; I,36: favorevoli
2.033, contrari 36, non validi 5; I,36: favorevoli 2.011, contrari 44, non validi 17; I,36:
favorevoli 2.016, contrari 56, non validi 10; I,36: favorevoli 2.041, contrari 30, non validi
8; I,35: favorevoli 1.903, contrari 38, non validi 145; I,27: favorevoli 2.054, contrari 22,
non validi 6; I,22: favorevoli 2.037, contrari 37, non validi 4; I,32: favorevoli 2.023, con
trari 31, non validi 4. Il numero dei voti non validi per il paragrafo I,35 si spiega col
fatto che molti padri avevano già lasciato l'aula per la preghiera de1I'Angelus col papa,
reduce da un paio di giorni di malattia; CTr. BUGNINI, La riforma ... , cit., p. 44.
4o5 AS V 4, p. 326.
406 Notò che era stata eliminata la frase in cui si affermava che battesimo, cresima,
prima comunione, matrimonio e funerale avrebbero potuto svolgersi al di fuori della
propria parrocchia solo per validi motivi (vecchio numero 33, ora numero 42): infatti
una tale regola sarebbe stata difficile da applicare e non aveva fondamento nel diritto.
Una modifica fu apportata anche al numero 44 (prima n. 34) che trattava dell'istituzione
di commissioni liturgiche nazionali. Ancora una volta, in conformità con l'articolo 22 §
2, si decise di sostituire la frase «In singulis conferentiis episcopalibus nationalibus» con
«a competenti auctoritate ecclesiastica territoriali», dal momento che non era ancora
chiaro quale status giuridico sarebbe stato accordato alle conferenze episcopali. Infine,
192 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
E non a caso si è iniziato con lo schema de sacra Liturgia: i rapporti dell'uomo con
Dio. Cioè il piu alto ordine di rapporti che occorre stabilire sul solido fondamento della
Rivelazione e del magistero apostolico, per procedere in bonum animorum, con ampiez
za di vedute che nulla vuol mutuare dalla superficialità e dalla fretta che, talora, caratte
rizzano i rapporti di semplici uomini tra di loro411.
1. Composizione dell'assemblea
6 Regolamento del concilio ecumenico Vaticano II, art. 1, n. 2, il quale cita il cano
ne 223, n. 1 · del Codice di diritto canonico ed il canone 168, n. 1 del Codice di diritto
orientale.
7 Sei mesi prima di inaugurare il concilio, con il motu proprio Cum gravissima, del
15 aprile 1962, Giovanni XXIII dispose che tutti i cardinali fossero investiti della digni
tà episcopale, di modo che tutti coloro che non ne godevano furono consacrati vescovi.
8 Si riferiva all'abate primate della confederazione benedettina, creata nel 1893 da
Leone XIII con l'intenzione di unificare in parte le diverse congregazioni dell'ordine di
s. Benedetto e centralizzarne la relazione con la S. Sede.
196 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
16 Calcolo realizzato dall'autore sulla base dei dati dell'Istituto per le scienze reli
giose di Bologna.
17 Si vedano la statistica ed il grafico di R. LAURENTIN, Bzlan ... 1 cit. 1 pp. 56 57.
200 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
. l8Decreto della S.C. della discipJina dei sacramenti del 4 ottobre 1962, «OssRom»
dello stesso giorno dell'inaugurazione, 11 ottobre 1962.
19 Intervista al card. MorciJlo, «Ecclesia» (Madrid), 27 ottobre 1962.
20 23 ottobre 1962, V congregazione generale.
FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 201
molto vicino a noi, ai nostri fianchi, noi proviamo che il Cristo è assente! Ecco l'anima
del Concilio 21.
Mai un concilio era stato tanto numeroso, mai era stato così vincola-
to ai problemi dell'umanità, mai l'umanità era stata tanto interessata da
un concilio.
Il salto quantitativo del Vaticano II rispetto a tutti i Concili ecume-
nici precedenti comportava al tempo stesso un cambiamento qualitativo.
Probabilmente non è mai esistita un'altra assemblea deliberante, sia ec-
clesiastica sia civile, così numerosa (salvo, forse, l'assemblea popolare ci-
nese, più acclamatoria che deliberante). Nella prima votazione concilia-
re, il 16 ottobre, per eleggere i 160 membri delle dieci commissioni,
l'elevato numero, tanto dei votanti, quanto dei posti da coprire fece sì
che si dovessero controllare più di 400.000 nomi, ciò che costrinse a so-
spendere le congregazioni fino al giorno 20. Nel corso dell'eucarestia ce-
lebrata con rito ambrosiano dal card. Montini, il 4 novembre, il papa
pronunciò nell'aula conciliare un'omelia nella quale definiva l'avveni-
mento come «insuperato nella storia dei secoli passati, e difficilmente
superabile nell'avvenire», e si compiaceva della presenza di «questo vo-
stro coro immenso di duemila e cinquecento»23 • Secondo quanto comu-
nicato all'assemblea dal segretario generale, Felici, durante la XXXV
congregazione generale (6 dicembre), nel primo periodo avevano parlato
587 padri conciliari ed altri 523 avevano presentato per iscritto le loro
osservazioni agli schemi. Era evidente che il metodo di lavoro dòveva
essere molto diverso da quello adottato nei concili precedenti, se si vole-
va salvare tanto il legittimo protagonismo dei vescovi e la loro libertà di
intervenire quanto l'efficacia del lavoro da realizzare. La procedura di
esame degli schemi, scrutini, iter' nelle congregazioni generali e studio di
schemi ed emendamenti nelle commissioni, stabilita negli articoli dal 31
che che si siano affezionati a noi. È uno dei grandi benefici del concilio il permettere
tutti questi contatti tra i vescovi del mondo intero. Per noi Orientali, in particolare, co-
m'è importante far conoscere la nostra chiesa! Nessuno ce l'ha con noi, ma veniamo
ignorati !25
Più avanti i melchiti potranno fare affidamento sul sostegno dei nor-
damericani nella difesa dei diritti del loro patriarcato. Per la prima volta
da secoli, essi si sentivano importanti. Alla vigilia delle votazioni sulle
commissioni, nel pieno della febbre causata dagli scambi di liste, annota
Edelby:
Abbiamo ricevuto non meno di cinquanta visite. I quattro vescovi e i due segretari
che circondano il Patriarca non si sono ferma ti dal ricevere, introdurre e accompagnare.
I vescovi francesi, africani e brasiliani ci domandano la lista dei nostri candidati. Con
Sua Beatitudine presentiamo la candidatura di sei dei nostri. [. ..] Avvertiamo sempre più
simpatia attorno a noi26,
suoi monaci: «Come trascorrono la giornata i padri del concilio?», e rispondeva: «In-
nanzitutto, e questo certo non vi sorprenderà, i Cardinali, i Vescovi, i Prelati, gli Abati,
i Superiori Generali, in una parola, i duemilacinquecento Padri del concilio devono al
zarsi di buon'ora per arrivare in orario a San Pietro. Le sessioni cominciano alle nove.
L'orario non è certo mattutino, ma c'è la messa da celebrare, benché coloro che lo desi
derino possano celebrarla alla sera. Bisogna tenere conto degli imbottigliamenti del traf
fico, pensare alla telefonata indiscreta che arriverà all'ultimo minuto (quello in cui si
prende il cappello), aspettarsi quei minuscoli, piccoli niente che impediscono di partire
in orario, pensare al confratello che prende posto sulla stessa macchina e che ha la bril
lante idea di accorgersi, una volta sistemato, di aver dimenticato lo zucchetto [.. .] Gio-
vedì 11 ottobre, per la prima volta nella storia della Chiesa, tutti i vescovi dell'universo
si alzavano alla stessa ora, lo stesso giorno, si vestivano nello stesso modo, meditavano
sullo stesso pensiero, prima di andare alla stessa assemblea con lo stesso programma.
Dal risveglio, i Padri conciliari erano "uno" [ .. .] Poco a poco e passo dopo passo, da
soli o in gruppi, i Padri conciliari entrano e i posti si riempiono uno ad uno. Tutti vesti
ti di viola, di porpora, dell'abito del loro Ordine religioso, gli Orientali, di nero. Porta-
no sulla veste il rocchetto di pizzo ricoperto dalla mantelletta dello stesso colore della
veste, sulla quale si staglia la croce pettorale. Un'aria liturgica è di moda al parlamento
di Dio. Alcuni Prelati, quelli che hanno preso l'abitudine di essere in orario da sempre e
ovunque, arrivano giusto alle nove, né un minuto prima, né un minuto dopo; quelli che
sono abituati a non essere esatti anche questa è un'abitudine che si prende - "si siste
mano senza far rumore" in un posto rimasto libero; sembrano più a loro agio, soprattut
to se, per caso, si trova vicino all'entrata... [. .. ] Esattamente alle nove, una campanella
rintocca, la Santa Messa comincia. È celebrata da un Arcivescovo o un Vescovo su un
piccolo altare posto di fronte all'uditorio, un poco prima della tomba di San Pietro, in
mezzo alla navata centrale. Dopo che è terminata, Monsignor Felici, segretario Generale
del .concilio, o un altro, porta solennemente il famoso Evangeliario, il manoscritto Vat.
Urbinate lat. n. 10 del XV secolo, e lo posa sull'altare tra due ceri, sullo stesso pulpito
che serviva a mostrarlo durante il Vaticano I. L'esposizione dura per tutta la riunione.
Così la Parola di Dio presiede alla parola degli uomini e la guida. Dopo questo, il Car
dinale Presidente della riunione conciliare recita la preghiera "Adsumus... " redatta nel
619 da san t'Isidoro di Siviglia per il concilio svoltosi in quella città. Alcune volte le ses-
sioni sono durate poco, i giornali ve l'hanno detto. Ma se le Congregazioni durano poco
a San Pietro, ci sono in seguito diverse riunioni in luoghi differenti, dove si lavora duro
e per delle ore si sa sempre l'ora in cui queste cominciano, ma mai quando finiranno.
[.. .] Inoltre ci sono gli incontri. Certi giorni sono talmente carichi che è difficile trovare
il tempo di guardare il calendario per sapere in che giorno del mese si vive. Nessuno, a
meno di desiderarlo, ha il tempo di non lavorare o di andare a passeggio. [. .. ] Dopo la
messa, Monsignor Felici dà inoltre l'ordine "extra omnes". Solo i Padri, i periti, gli uffi
ciali e gli Osservatori delegati possono restare nella Basilica. Tutti gli altri devono usci
re». La vie du Conci/e, Forcalquier 1966, pp. 31 33.
FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 205
39 Hébert Roux, citato da FOUILLOUX, Des observateurs non catholiques... , cit., pp.
244 245.
40 Congar, in «ICI» 1° novembre 1962. Nel suo diario personale, si esprimeva più
apertamente: «Eccolo qui l'evento. "Loro" sono a Roma, ricevuti da un cardinale e da
un organismo consacrato al dialogo; e Chrétiens désunir è apparso 25 anni fa».
4 1 Nonostante ciò, Lucas Vischer si lamentava con Tucci per il fatto che si diceva e
scriveva troppo a proposito della soddisfazione e dell'entusiasmo degli osservatori, senza
che si chiarisse che ciò riguardava solamente l'accoglienza e non la dottrina proposta nel
concilio. «Cercherò di avvertire i nostri giornalisti e magari procurare un loro incontro
con L. Vischer stesso, dato che egli vi sarebbe disposto» (DTcc, 13 novembre 1962).
FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 209
43 Regolamento, art. 2.
44 Regolamento, art. 3.
45 Regolamento, art. 20, 2° e artt. 28 e 29.
46 L'art. 54, 3° del regolamento indica chi celebrerà la messa iniziale dello Spirito
Santo.
47 Presieduta dal card. Testa e presenti i cardd. Quiroga y Palacios, Montini, Ri
chaud, Dopfner, Traglia e Di Jorio, oltre a mons. Dante per la commissione per il ceri
moniale, Felici in qualità di segretario generale e i sottosegretari Casaroli, Guerri e Igino
Cardinale.
210 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
tificale, «ma sarebbe più pratico iniziare le altre adunanze col solo canto
del Veni Creator, col relativo Oremus, invece della messa, sia pure let-
ta». Dante obiettò che la commissione per il cerimoniale aveva già deci-
so di cominciare sempre con la messa, ma Testa gli replicò dicendo che
«questo comitato non stabilisce niente, perché tutto sarà sottoposto al
Santo Padre con il parere di questi Em.mi». Traglia espresse il suo ti-
more che «possa fare cattiva impressione se tutte le sedute non comin-
ciano con la celebrazione della s. Messa, come fu al concilio Vaticano
I», ma il card. Montini (che aveva pubblicato delle belle lettere pastorali
sulla spiritualità liturgica) fece notare che «gli oratori del prossimo con-
cilio saranno ben più numerosi di quelli dei precedenti, è importante as-
sicurare ad essi la possibilità di parlare, essendo la parola una espressio-
ne essenziale del concilio, il che non sarebbe agevole se si dovesse sot-
trarre ogni giorno un'ora di tempo per la celebrazione della s. Messa»,
dopo di che «i cardinali accedono al parere del presidente»48 • Fortuna-
tamente il papa bocciò questa innovazione e si attenne al piano iniziale
della commissione per il cerimoniale, con la messa all'inizio di ogni con-
gregazione generale49 •
La prima fisionomia riflessa dalla liturgia conciliare non risultava
troppo positiva. A parte il fatto che ancora non esisteva la possibilità
della concelebrazione, la partecipazione dei padri conciliari non raggiun-
geva neppure quel livello che le cosiddette <<messe partecipate» o «dia-
logate» avevano ottenuto in numerose parrocchie sensibilizzate dal mo-
vimento liturgico. I prelati più pii dedicavano quel tempo a recitare il
breviario, o il santo rosario. Altri conversavano con i vicini seduti alla
loro destra o sinistra. Si sentiva un diffuso rumore, al quale contribuiva-
no i commessi della segreteria che approfittavano dell'occasione per di-
stribuire la documentazione conciliare ai presenti. Le proteste di un
gruppo di vescovi, spinti in tal senso dai liturgisti che li accompagnava-
no in qualità di esperti, ottennero che quest'ultimo abuso venisse rapi-
damente corretto, ma la liturgia conciliare, più che un modello, era una
clamorosa testimonianza della necessità della riforma. I canti della Ca p-
pella Sistina, diretti dal m. 0 Bertolucci, apportavano ricchezza estetica,
ma erano completamente avulsi dall'atto liturgico. Il giorno successivo
all'apertura del concilio, in un ricevimento presso l'ambasciata francese,
O. Cullmann diceva al p. Congar, a proposito del modo in cui si era
48Methodus servanda in prima sessione Sacri Conci/ii Oecumenici Vaticani II, seduta
della commissione tecnico organizzativa, 7 giugno 1962, ISR, F-Lercaro.
49 Il problema era stato posto anche al segretariato per gli affari extra ordinem il
16 ottobre 1962, come annota Siri (DSri, pp. 363 364); sulla liturgia nel concilio si veda
SCHMIDT, La costitu1.ione... , cit., pp. 130 136.
FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 211
to segretario della commissione per la concelebrazione), ma con quello imposto dai ceri
monieri pontifici tradizionali: Dante, Capoferri, ecc. (nota del p. Adalbert Franquesa, al
legata alla lettera al papa del dicembre 1962: Archivo de Montserrat, ArxLit c. 009, doc.
37). Sulle attività del p. Franquesa, cfr. A. G. MARTIMORT, Les débats liturgiques ... , in
Vatican II commence, p. 300.
53 JCng, 11 ottobre 1962.
54 DV 10, COD, p. 975.
55 JCng, 11 ottobre 1962.
FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSE:MBLEA 213
plausi agli interventi di segno più favorevole all'apertura, così come i se-
gnali di disaccordo verso le dichiarazioni di tono conservatore, provenis-
sero in special modo da quella zona dell'aula conciliare, dove non si fa-
ceva troppo caso alle ripetute osservazioni del presidente di turno che
ricordava come tali reazioni fossero proibite.
Un autentico ecumenismo avrebbe dovuto cominciare con una mag-
giore attenzione verso i cattolici orientali in comunione con Roma. Stan-
do al regolamento conciliare, i patriarchi venivano relegati dietro i cardi-
nali, compresi i cardinali diaconi. Ai prelati orientali, molto sensibili al
valore della storia e dei simboli, appariva offensivo che a quelle venera-
bili sedi di tanta tradizione, tra cui alcune ritenute di origine apostolica,
venissero anteposti i cardinali, che in origine non erano altro che clero
domestico del vescovo di Roma, benché in epoca moderna si fossero
convertiti in «principi della chiesa» e godessero della prerogativa di
eleggere il papa. Questa sgradevole situazione non poteva risultare trop-
po incoraggiante al cospetto dei delegati delle chiese separate ed al cli-
ma ecumenico che si cercava di creare.
2. Le con/erenze episcopali
cui statuti furono approvati fin dal 1922) e la Catholic Wel/are Organiza-
tion delle Isole Filippine.
Già nei primi giorni del concilio, Congar pronostica va che il suo più
sicuro e promettente risultato sarebbe stato senza dubbio la mise en pia-
ce di un episcopato strutturato ed articolato. Un concilio è, essenzial-
mente, un'assemblea di vescovi, ma ci si aspettava che i prelati formas-
sero una grande massa amorfa, che la curia avrebbe rettamente orienta-
to, presumibilmente in nome del papa. La necessità dei cosiddetti corpi
intermedi, senza i quali l'individuo rimane privo di protezione di fronte
allo Stato, è stata un punto molto importante dell'insegnamento sociale
della chiesa contro il liberalismo classico. Ma questa dottrina non veniva
applicata all'evento conciliare, in seno al quale le conferenze episcopali,
avvii corpi ecclesiali intermedi tra la diocesi e la chiesa universale, non
erano previste e sorsero come per generazione spontanea. L'ipotesi di
lavoro di Rock Caporale nel suo studio sociologico sul Vaticano II -
ipotesi verificata dalla sua approfondita ricerca - fu che il concilio aveva
posto le basi di una intensificazione senza precedenti, e perfino di una
modifica strutturale, dello schema di comunicazione tra i vescovi, e che
questo cambiamento rappresentava la fonte di molti altri cambiamenti
che iniziavano a comparire nella chiesa. Egli riteneva che le conferenze
preconciliari fossero prive di un solido fondamento teologico, e che il
modello di conferenza postconciliare non assomigliasse molto a quello
preconciliare. Un'importante differenza è data dal fatto che dopo il con-
cilio tutti i vescovi partecipap.o all'assemblea, cosa che prima spesso non
accadeva. Un altro progresso è costituito dalla frequenza delle riunioni.
Prima del concilio, delle 39 conferenze su cui è stata condotta la ricer-
ca, 21 si riunivano una volta all'anno, 6 due volte, 5 ogni due o più
anni (cioè meno di una volta all'anno), 1 non si era mai riunita e 6 non
fornivano dati. Durante il concilio, 5 si riunivano due volte ogni setti-
mana, 1 una volta alla settimana e 12 quando ve ne era bisogno, senza
regolarità56 •
Quando, nelle prime settimane di dibattito, di fronte all'impasse dei
lavori a causa delle ripetizioni degli oratori, i padri conciliari furono
esortati a permettere che uno di essi parlasse a nome di un gruppo di
padri dello stesso parere, ne risultarono incoraggiati gli interventi in
nome delle conferenze episcopali. Ma forse il loro primo riconoscimento
ufficiale fu rappresentato dalle norme emanate dal papa per l'interses-
sione, comunicate all'assemblea da Felici durante la XXXV congregazio-
ne (6 dicembre), nelle quali si annunciava che il testo degli schemi sa-
70 Dei 78 vescovi spagno]i, 64 erano stati nominati dopo il 1936, vale a dire in base
al diritto di presentazione riconosciuto dalla S. Sede al generale Franco.
71 Conversazione de1l'autore con Martin Descalzo, Madrid, 12 novembre 1990. Se
condo questo sacerdote, la disobbedienza di Iribarren a Morci1lo nell'incidente in que
stione ne causò l'allontanamento da1la direzione de1la rivista «Ecclesia», organo ufficiale
dell'Azione cattolica spagnola ed ufficioso dell'episcopato. Cfr. J. lRIBARREN, Papeles y
memorias. Medio siglo de relaciones Iglesia~Estado en Espaiia, Madrid 1992.
72 Il fenomeno dei gruppi nel concilio è stato oggetto dello studio già menzionato
di Salvador G6mez de Arteche y Catalina, ad esso dovremo più volte riferirci in questa
sez1one.
FISIONO:MIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 221
che citare una copiosa letteratura, tra gli autori che si sono occupati del
Vaticano II, che legittima l'applicazione, per il suo studio, della metodo-
logia della scienza politica e della sociologia dei gruppi. Di più: tra gli
stessi protagonisti del concilio non mancano testimonianze di riferimenti
al modello delle istituzioni politiche secolari. Per esempio, Juliàn Men-
doza, segretario generale del CELAM, spiegava che questo importante
organismo si era strutturato prendendo come modello l'articolazione in
dipartimenti autonomi adottata dall'Organizzazione degli stati americani.
E Martimort ha potuto cominciare il suo minuzioso racconto del lavoro
della commissione liturgica comparandola con la pratica parlamentare73 .
Applicando la metodologia elaborata dalla scuola sociologica, o psi-
cosociologica, nordamericana Rock Caporale ritiene che la formazione
di questi gruppi ha un triplice significato. In primo luogo richiama l' at-
tenzione sulla necessità di' una struttura di gruppo più ristretta, in cui la
partecipazione sia più facile ed efficace, come reazione contro le grandi
sessioni generali in aula. In secondo luogo, offre ai leader di maggiore
valore un vasto campo d'azione per canalizzare e sfruttare le loro ener-
gie allo scopo di esercitare un influsso maggiore sul concilio. In terzo
luogo, tali gruppi apportarono coesione e sostegno, dal momento che i
loro membri erano omogenei e sostenitori di posizioni abbastanza simili.
In tal modo si evitò una rapida disintegrazione delle minoranze che con
la loro opposizione obbligarono la maggioranza a approfondire e chiari-
re le sue stesse posizioni74 •
73 MARTIMORT, Les débats liturgiques ... , in Vatican II commence, pp. 291 314, so
prattutto p. 291.
74 CAPORALE, Les hommes ... , cit., p. 90.
222 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
75 G6MEZ DE ARTECHE, Grupos extra aulam ... cit., II/3, p. 241, elenca queste carat-
1
teristiche sulla base di citazioni di interventi conciliari di Siri (XIX congregazione gene
rale, 14 novembre 1962), Franic (.XXIII c.g., 20 novembre 1962), De Proença (XXIII
c.g., 20 novembre 1962), Lefebvre (.XXXI c.g., 1° dicembre 1962), Ruffini (XXXfV c.g.,
5 dicembre 1962), Ruffini (XXXVIII c.g., 1° dicembre 1963 ), Franic (XXXVIII c.g., 1°
dicembre 1963), ecc.
76 Nel suo archivio si può vedere l'affettuosa corrispondenza mantenuta con Plinio
Corréa de Oliveira e con Georges Bidault, ex ministro degli esteri della Francia, un de
mocratico cristiano che aveva iniziato la sua carriera politica abbastanza a sinistra ma
che era finito all'estrema destra, insieme ai militari golpisti della O.A.S., ed aveva dovu-
to esiliarsi in Brasile. In una lettera di G. Bidault a Proença Sigaud, Belo Horizonte, 22
aprile 1963, il primo si autodefinisce proscrit, ringrazia Sigaud per l'accoglienza riservata
gli nel palazzo arcivescovile di Diamantina e per i libri con dedica che gli ha inviato.
ISR, F Sigaud.
77 Datata Jacarézinho, 22 agosto 1962, AD II/VII, pp. 180 195. Minuta originale
presso l'Istituto per le scienze religiose, F-Sigaud.
78 «Raro sacerdos qui Revolutionem impugnat ad Episcopatum evehitur; frequenter
ii qui ei favent».
79 «In societate revolutionaria Deus animas piscat hamo. In societate christiana ani
mae piscantur retibus».
FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 223
80 Nel suo archivio personale si può vedere la lista dei vescovi di tutto il mondo
che firmarono questa petizione. Il gruppo principale è quello italiano (104), seguito da
quello della Cina (30 vescovi espulsi).
81 Sul promettente momento vissuto dalla chiesa del Brasile alla vigilia del concilio,
cfr. J.O. BEOZZO, Vida cristiana y sociedad en Brasi/, in Vz'speras, pp. 49 81.
82 Sigaud a Joao Pereira Venancio, vescovo di Leiria, Diamantina, 15 febbraio
1963, ISR, F-Sigaud.
83 WILTGEN, The Rhine... , cit., Il ed., Devon 1979, p. 89.
84 Vescovo titolare di Sinnada di Frigia, già arcivescovo di Dakar (Senegal), trasferi-
to il 23 gennaio di quello stesso 1962, con titolo personale di arcivescovo, al vescovado
francese di Tulle, finirà per guidare il gruppo scismatico che non avrebbe accettato le
decisioni del Vaticano II e più concretamente il messale postconciliare di Paolo VI.
224 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
della congregazione del Verbo Divino (alla quale, come già abbiamo ri-
cordato, apparteneva Proença Sigaud), il quale sarebbe stato in seguito
il relatore dello schema De actt'vitate missionaria ecclesiae.
In quanto al sostegno più esterno, occorrerebbe menzionare l'univer-
sità del Laterano (in cui si era formato Carli) e il seminario romano. Più
lontana, ma con un influsso notevole sugli intellettuali francesi più rea-
zionari, ricordiamo «La cité catholique», che fin dall'inizio appoggiò il
Coetus ed i suoi membri. Per le sue campagne fu utile anche l'agenzia
di stampa della congregazione del Verbo Divino, Divine Word News
Service, poiché il fondatore di questa agenzia, il più volte citato Wiltgen,
apparteneva, come Proença Sigaud, a quella congregazione religiosa, e
entrambi risiedevano nella casa generalizia dei Verbiti. Erano altresì noti
i vincoli del Coetus con organizzazioni politiche di destra alla ricerca di
una copertura ideologica religiosa, come il movimento «Proprietà, Fami-
glia e Tradizione», originario del Brasile ma radicatosi negli ambienti
più conservatori e controrivoluzionari di tutta l'America Latina ed anche
della Spagna90 , che aveva in Proença Sigaud il suo mentore. Il gruppo
aveva inoltre accesso alla commissione di coordinamento del concilio,
attraverso il card. Siri, e al consiglio di presidenza, attraverso il card.
Ruffini. Il fatto che il segretario generale, Felici, fosse originario di Se-
gni, diocesi di Carli, spiega la loro stretta relazione.
106 G6MEZ DE ARTECHE, Grupos "extra aulam"... , cit., II/4, pp. 9 10.
101 AS V4, pp. 204-205.
108 Questo è il titolo dell'opera, qui così spesso citata, di WILTGEN, The Rhine
f/ows into the Tiber. Secondo quanto lo stesso autore ha spiegato (nella prefazione al
l'edizione inglese), il titolo si è ispirato alla Satira III di Giovenale, il quale per esempli
ficare l'influenza delrellenismo di Antiochia a Roma dice che l'Orante è sfociato nel Te
vere. Il p. Congar, commentando il libro di Wiltgen, scriveva che in realtà il Reno era
quell'ampia corrente di solida teologia e scienza pastorale che si era messa in movimento
nei primi anni '50 e, relativamente alla materia liturgica e alle fon ti bibliche, anche pri
ma di allora.
109 Cfr. J. PERARNAU, Lovaniense I o Vaticanuum II?, in «AnalTar» 41 (1968), pp.
173 179.
110 WILTGEN, The Rhine ... , cit., pp. 53 54.
232 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
111 Ibidem.
112 G6MEZ DE ARTECHE, Grupos "extra aulam»... , cit., II/4, p. 14.
ll3 Ibidem, II/4, p. 15, che si basa su Levillain. G6mez de Arteche sostiene che
questa universalizzazione del blocco comporta un salto di qualità (qualitativer Umsch
lag), che lo differenzia dallo statuto degli altri gruppi o sottogruppi e ne fa «un rivale di
fatto di un organismo formale, la commissione di coordinamento», ed arriva ad afferma
re che «se la riunione dei Delegati avesse avuto un'influenza sull'ordine del giorno pro
porzionale a quella avuta nella designazione dei candidati alle commissioni, il Blocco
centroeuropeo, opposizione anticuriale, si sarebbe convertito, in virtù della sua egemonia
in seno alla alleanza, in uno shadow Cabinet, e la riunione dei delegati, in uno shadow
Parliament», II/4, p. 16 e p. 15 n. 13.
FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 233
La Conferenza di Delegati
117 G6MEZ DE ARTECHE, Grupos "extra aulam» ... , cit., IV4, p. 29.
FISIONOMJA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 235
118 Il mercoledì, secondo G6MEZ DE ARTECHE, Gru[XJs "extra aulam» ... , cit., IV4, p.
36; il martedì secondo WILTGEN, The Rhine ... , cit., p. 130.
119 Si veda la lista dei 21 delegati che parteciparono alla prima riunione, e dei 22
della prima riunione di segretari di conferenze episcopali, in J.A. BROUWERS, Derniers
préparati/s... , in Vatican II commence, pp. 367 368.
236 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
Area curiale
120 Seguiamo, come essenzialmente in tutto il paragrafo sui gruppi conciliari, la ri-
cerca di G6mez de Arteche. Benché durante il concilio si parlasse molto de1la curia, e
nelle cronache contemporanee e negli studi storici posteriori si sia continuato ad allu-
dervi abbondantemente, questo autore precisa che, in primo luogo, l'insieme dei dicaste
ri della S. Sede non rappresenta una corporazione con personalità giuridica propria; in
secondo luogo, che vi erano tra i loro membri due settori, di tendenza opposta e di im-
portanza diseguale, che G6mez de Arteche definisce «fazioni», nel senso che a questa
parola dà Max Weber. Nonostante ciò, ricordando la vecchia distinzione tra cardinali
i.elanti, i quali perseguivano obiettivi puramente religiosi, e politicanti, attenti agli obiet-
tivi politici, questo autore ritiene che entrambe le fazioni curiali meritavano di essere
considerate i.elanti.
121 C. FALCONI, I Perché del concilio, Milano 1962, p. 174.
122 LXIII IV c.g., 8 novembre 1963, AS 11/4, p. 627.
123 G6mez de Arteche cita a questo proposito gli interventi di mons. Vagnozzi (IV
c.g., dibattito sullo schema liturgico, AS Vl, pp. 325 326) e del card. Ottaviani (X c.g.,
nel corso dello stesso dibattito, sull'ordo mirsae, AS V2 18-20).
124 Intervento di mons. Ferrero di Cavallerleone nell'VIII c.g., 28 ottobre 1962, nel
corso del dibattito generale sullo schema litugico (AS Vl, pp. 551-552).
125 Interventi di Ottaviani (CXXX c.g. del 17 novembre 1965) e di Dante (CXXXII
c.g. del 21 novembre 1965) entrambe durante il dibattito sulla libertà religiosa.
126 G6MEZDE ARTECHE, checitaX. RYNNE, The ThirdSession, New York 1965, p. 277.
127 Intervento di mons. Van Lierde (VI c.g., 24 ottobre 1962, AS Vl, pp. 412-414).
128 G6MEZ DE ARTECHE, Grupos "extra aulam" ... , cit., 11/4, p. 52. Un dispaccio del-
FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 237
abbiamo appena delineato, e cercò quindi con tutti i mezzi a sua dispo-
sizione di impedirne la celebrazione, o almeno di ritardarla e frenarla.
Se, nonostante gli sforzi dell'area curiale zelante, il concilio fosse ugual-
mente iniziato, allora essa avrebbe cercato di minimizzarlo132 • Sintomo
di questo atteggiamento fu un silenzio che contrastava con l'entusiasmo
di tutto il resto della chiesa e con la viva simpatia di tutta l'umanità.
Quali padri conciliari possono essere considerati membri importanti
di questa area? Una lista, puramente indicativa, può essere ottenuta
combinando tre criteri principali: importante ruolo nei dicasteri romani,
interventi in aula in senso conservatore e dimostrata autorità al di fuori
di essa 133 • Anzitutto i cardinali membri di congregazioni, tribunali e uffi-
ci e prima di tutti, gli italiani, «gli unici degni di fiducia illimitata e del
comune appellativo di curiali»134 ; ma anche consiglieri e segretari delle
congregazioni135 e consultori136 • La Tipografia poliglotta vaticana lavora-
va per il concilio agli ordini della segreteria generale, ma fu utilizzata
anche da alcuni curiali zelanti per la loro documentazione privata. Dalla
Poliglotta vaticana uscirono alcune circolari, di sostegno delle tesi con-
132 G6MEZ DE .ARTECHE (Grupos "extra aulam') ... , cit., Il/4, pp. 56 57) riferisce che
un prelato, il cui nome non può rivelare, afferma che il card. Tardini disse a mons. Feli-
ci, quando questi cominciava il suo lavoro: «Non fare un concilio, fare un concilietto».
133 Ibidem, 11/4, pp. 65 68.
134 Tra i prefetti, proprefetti e segretari dei dicasteri, vi sarebbero i cardinali Piz
zardo (Seminari e Università), Ciriaci (concilio), Ottaviani (S. Uffizio), Aloisi Masella,
cardinale camerlengo (Sacramenti), Confalonieri (Concistoriale), Marella (Fabbrica di S.
Pi_etro) e, a partire dal secondo periodo, Antoniutti (che subentrò nella congregazione
per i Religiosi a Valeri, che si era opposto a questa tendenza). Tra i semplici membri di
dicasteri: Micara, vicario generale di Roma, Bacci e Ferretto. Per quanto riguarda i car-
dinali stranieri, cita i prefetti Agagianian (Propaganda fide), Tisserant, decano (Cerimo-
niale) e Larraona (successore ai Riti di Cicognani). Un semplice membro era Browne.
Tra questi ultimi, due non italiani, lo spagnolo Larraona e l'irlandese Browne, erano
considerati più zelanti degli zelanti.
135 Si possono includere in questa tendenza gli italiani Parente (S. Uffizio, il quale,
però, sarebbe stato relatore e difensore della collegialità nell'LXXXIV c.g. del 21 set-
tembre 1964, AS III/2, pp. 205 211)), Carpino (Concistoriale), Sigismondi (Propaganda
fide), Staffa (Seminari e Università), Dante (Riti), Scapinelli di Leguigno (Orientale) e
Palazzini (Concilio), più il non italiano Coussa (chiesa orientale). Tra i sostituti: Civardi
(Concistoriale) e Giovannelli (Orientale).
136 Gli italiani Piolanti, rettore dell'università Lateranense, Garofalo, Ciappi, o.p.,
Tondini (segretario dei brevi ai Principi), Antonelli, o.f.m., ed i non italiani Balié, o.f.m.,
Tromp, s.j., Martin O'Connor, rettore del collegio nordamericano e segretario della
commissione pontificia per il cinema, la radio e la televisione, Hudal, Bidagor, s.j.,
Goyeneche, c.f.m. e Gagnebet, o.p. Infine ancora mons. Romeo, ufficiale della congrega-
zione per gli studi, che si distinguerà per i suoi attacchi alla maggioranza conciliare e al-
l'Istituto biblico.
FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 239
servatr1c1, che furono distribuite tra i padri conciliari e anche tra altre
persone e entità. D'altra parte, grazie al controllo sulla Tipografia poli-
glotta vaticana, «mons. Felici poté influire direttamente, nel senso di-
struttivo già menzionato, sull'andamento del concilio impedendo o ritar-
dando la distribuzione dei testi»13 7 •
Come alleati permanenti o occasionali fornivano sostegno a questa
area alcuni gruppi nazionali. Logicamente, il più significativo, per la di-
namica conciliare dell'area curiale zelante, era quello italiano, che ne
costituiva <<l'hinterland geografico ed il prolungamento storico, la più
vicina e fedele clientela amministrativa ed il principale beneficiario del-
lo spoi·t system 138 vaticano, perlomeno sotto forma di stages nei dicasteri
in vista di trasferimenti verso sedi importanti»139. I due grandi prelati
italiani che più si segnalavano per la loro adesione alla curia, e che ne
trascinarono molti altri, erano il card. G. Siri, arcivescovo di Genova,
ed il card. E. Ruffini, arcivescovo di Palermo. Quest'ultimo dette una
pubblica testimonianza della sua stima per la curia nella XVI congrega-
zione generale (10 novembre 1962), che egli stesso presiedette, e nel
suo intervento nella LXIII (8 novembre 1963), in cui ringraziò il pa-
triarca di Cilicia degli armeni, Ignace Pierre Batanian, per avere parlato
in favo re della curia il giorno precedente. Bisogna citare anche il card.
Giovanni Urbani, successore di Roncalli nella sede patriarcale di Vene-
zia e presidente della conferenza episcopale italiana, ed il segretario di
quest'ultima, mons. Alberto Castelli. Tra i pochi vescovi italiani che
erano consultori delle congregazioni romane, menzioniamo l'arcivescovo
di Camerino Giuseppe D' Avack (Seminari) e quello di Firenze, Erme-
137 G6MEZ DE ARTECHF., Grupos "extra aulam'' ... , cit., IV4, p. 93, ricorda, come
esempi di questa tattica, i testi delle proposizioni del voto di principio sulla collegialità,
lo schema di dichiarazione sulle relazioni con gli ebrei o la dichiarazione sulla libertà re
ligiosa. Ma la manipolazione più grave si produsse a proposito della expensio modorum
del capitolo III dello schema De ecclesia. Per non suscitare l'allarme della maggioranza,
la clausola che specificava che la votazione di quei modi doveva farsi alla luce della Nota
explicativa praevia, venne omessa dal posto in cui doveva apparire e fu pubblicata alla
fine come errore di stampa. Il p. Balié, consultore del S. Uffizio e presidente della Pon-
tificia accademia internazionale mariana, a cui era stato assegnato il compito di redarre
il testo sulla vergine Maria (dapprima come schema a parte, anche se in seguito si con-
vertirà in un capitolo della costituzione sulla chiesa), durante la LII congregazione gene-
rale distribul ai padri, proprio nell'aula conciliare, un opuscolo in cui esponeva i suoi
personali commenti allo schema proposto, stampato nella stessa tipografia vaticana che
pubblicava i documenti ufficiali del concilio.
138 Spoil System: nel gergo politico nordamericano questo termine definisce quella
pratica in base alla quale il partito vincitore nelle elezioni distribuisce a suo piacere le
cariche pubbliche, con i loro emolumenti e vantaggi.
139 G6MEZ DE ARTECHE, Grupos "extra aulamJJ ... , cit., II/4, p. 100.
240 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
Gruppo francese
Gruppo latinoamericano
I concili classici di Lima e di Città del Messico, nei secoli XVI-XVIII,
ed il concilio plenario latinoamericano celebrato nel 1899, sotto il pontifi-
l46CAPORALE, Les hommes ... , cit., II, p. 41, n. 3. «Le Monde» 17 ottobre 1962 ci-
tato dallo stesso Caporale. Cfr., in proposito, anche A WENGER, Vatican II. Première
session, Paris 1963, pp. 59 60.
FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSE~IBLEA 243
14 7 Informazione basata sulla risposta del colombiano mons. Juliàn Mendoza Guer
rero, segretario generale del CELAM, all'inchiesta di G6MEZ DE ARTECHE, Grupos "extra
aulam') ... , cit., Apéndice L p. 91, e su BEOZZO (a cura di), Cristianismo e iglesias ... , cit.
148 Quest'ultimo ha informato quotidianamente un gruppo di suoi corrispondenti
in Brasile sul concilio; questa interessante corrispondenza è in via di pubblicazione a
cura di L.C. Marques. A sua volta L. Barauna sta conducendo una ricerca complessiva
sul contributo dell'episcopato brasiliano al Vaticano II.
l49 Informazione basata sulla risposta del p. Aniceto Fernandez, maestro generale
dell10rdine dei predicatori e vicepresidente dell'unione romana dei superiori religiosi, al-
l'inchiesta di G6MEZ DE ARTECHE, Grupos "extra aulam') ... , cit., Apéndice I, pp. 202-204.
244 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
l51 Informazione basata sulla risposta di mons. Tarcisio Enrico Giuseppe van Va
lenberg, ofm Cap., vescovo titolare di Comba ed ex vicario apostolico di Pontianak
(Borneo olandese), nel gennaio 1966, all'inchiesta di G6MEZ DE ARTECHE, Grupos "extra
aulam" ... , cit., Apéndice I, pp. 215 218. ·
246 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
4. L'informazione
«Di sua natura - ha scritto Philips - il concilio è piuttosto un even-
to che un'istituzione» 152 • Tuttavia, mai un concilio ecumenico era stato
152 La Chiesa e il suo mistero nel Concilio Vaticano II, t Milano 1967, p. 262.
248 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
153 J.L. Prensa y Concilio. Del "muro del secreto') a las ''puertas
MARTfN DESCALZO,
abiertas" en el Concilio Vaticano II, pp. 4 5. Si tratta di una tesina inedita, non datata,
ma scritta certamente prima della fine del conciJio, probabHmente a metà del 1963.
L'autore, benché afflitto da una grave malattia che ne causò la morte pochi mesi più
tardi, mi concesse gentilmente una lunga intervista il 24 ottobre 1990, e mi permise di
fotocopiare il suo lavoro. La sua nutrita bibJioteca sul Vaticano II si trova attua1mente
presso la Casa de escritores dei PP. Gesuiti di Madrid.
l54 «CivCat» 2697 3/11/62, p. 270, la quale cita il n. 1870 deJla stessa rivista, I, p.
356.
FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 249
rettive emanate dalla curia; usando i termini del p. Congar, si può dire
che si intendeva minimizzare la relazione orizzontale perché prevalesse
quella verticale, naturalmente dall'alto verso il basso.
Per rispondere alle necessità informative del concilio fu creato un
Comitato per la stampa, presieduto da Martin John O'Connor, arcive-
scovo titolare di Laodicea di Siria e presidente della commissione ponti-
ficia per la cinematografia, la radio e la televisione, assistito da quattor-
dici vescovi di diverse nazionalità e continenti, tra cui nessun italiano,
con Fausto Vallainc come segretario. Con carattere più operativo il 5 ot-
tobre fu creato l' «ufficio stampa», il cui direttore era il già ricordato
Vallainc, affiancato da sette responsabili di altrettante sezioni linguisti-
che: Gerhard Fittkau, tedesco; Edward Heston, nordamericano, segreta-
rio della congregazione per i religiosi; F rançois Bernard, francese, corri-
spondente di «La Croix»; Cipriano Calderòn, spagnolo, perito concilia-
re; Francesco Farusi, SI, italiano; Paulo Almeida, SI, portoghese (in se-
guito Bonaventura Kloppenburg, OFM, brasiliano); infine Stefano We-
soly, polacco. Diversamente dai membri del Comitato per la stampa, i
quali erano tutti padri conciliari, quelli dell'Ufficio stampa non lo erano,
e in linea di principio non avevano diritto (a meno che non fosse ad al-
tro titolo) ad assistere alle congregazioni generali sulle quali in seguito
avrebbero dovuto informare tutto il mondo.
Naturalmente, l'uomo chiave di tutta questa organizzazione era Fau-
sto Vallainc, un italiano di Champorcher, nella zona francofona della
Valle d'Aosta, di 46 anni, buon conoscitore delle principali lingue e do-
tato di qualche esperienza giornalistica come direttore della «Settimana
del clero» e consigliere dell'ufficio stampa dell'Azione cattolica italia-
na159. Questi dipendeva direttamente dal segretario generale del concilio,
Felici, e doveva risolvere una contraddizione insanabile: quella tra il do-
vere dirigere l'informazione mondiale sul concilio secondo i criteri di
Felici, e al tempo stesso trasmettere alla stampa internazionale una sen-
sazione di trasparenza e libertà. «L'Ufficio Stampa si trova schiacciato
tra il "martello" della stampa mondiale e !"'incudine" del segreto conci-
liare imposto dalle forze conservatrici della Curia romana»160 . Pare che
l59 Cfr. F. VALLAINC, Images du Conci/e, Roma 1966. Edizioni simultanee inglese,
Images o/ council, tedesca Bilder von Konz.il e italiana Immagini del concilio. Opera pre-
parata per incarico di Paolo VI. Edizione fuori commercio, spedita ai padri conciliari
nel dicembre 1966. Cfr. anche E.L. HEsTON, The Press and Vatican II, Notre Dame
1967 e PH. LEVILLAIN, Il ·Vaticano II e i mez.z.i di comunicai.ione sociale, in La chiesa del
Vaticano II (1958-1978), I, Milano 1994, pp. 524 532.
l60 J. GROOTAERS, L'informatt'on relig,t'euse au début du Conci/e. Instances o/ficielles
et réseaux in/ormels, in Vatican II commence, p. 218.
FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 251
Grootaers, che non solo fu giornalista al concilio, ma anche coordinatore degli informa-
tori: L'information religieuse au début du Conci/e: instances o/ficielles et réseaux infor-
mels, in Vatican II commence, pp. 211 234. In chiusura egli pubblica la lista dei tredici
centri funzionanti, con i loro indirizzi e i nomi dei responsabili.
172 «La Croix», 16 ottobre 1962.
173 «La Croix», 20 ottobre 1962.
174 CAPRILE Il, p. 61.
FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 255
pagnarli, poiché molte riviste si limitarono a pubbJicare grandi fotografie con note stri-
minzite.
I75 Il p. Robert Rouquette, altro grande cronista del Vaticano II, è d'accordo con
questo giudizio: «Una delle debolezze degli italiani consiste nel volere sempre vedere
un'intenzione politica dietro agli atti religiosi» (El Concilio Vaticano II, in PLICHE MAR
TIN, Hùtoria de la Iglesia, vol XXVIII dell'ed. spagnola, Valencia 1978, p. 153). Bisogna
però chiedersi se questa tentazione, che non è esclusiva degli italiani, non consista tanto
nel vedere un significato politico negli atti religiosi, quanto nell'attribuirglielo.
17 6 Su questa linea fiduciosa, pienamente condJiare, successivamente si segnalarono
in particolare i commenti di Raniero La Valle su «L'Avvenire d'Italia».
256 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
l'edizione centrale, più altri 17.000 per «La Croix du Nord», per cui il
giornale aumentò la tiratura del 60 % . Per commentare le prime congre-
gazioni anche «La Croix», come il resto della stampa, dovette attenersi
agli scarni bollettini ufficiali, ma a partire dalla settima congregazione
essa cominciò a pubblicare cronache con nomi e contenuti concretissimi
degli interventi dei padri, «al punto da potere essere certi che il suo
cronista sedesse abitualmente nell'aula conciliare, o che qualcuno dei
periti francesi fosse stato espressamente delegato dalla gerarchia di quel
paese per informare questo giornale». Martin Descalzo si chiede: «"La
Croix", fu un giornale indiscreto? Tutti i difensori ad oltranza del segre-
to conciliare lo pensavano, poiché, vista l'informazione de "La Croix", il
segreto era sparito del tutto». Ma poi conclude:
Se dovessi dare W1 giudizio personale sui fatti e sui frutti, assolverei pienamente
«La Croix» da questo «peccato», immensamente utile per vescovi e informatori nei mesi
trascorsi a Roma, e di utilità decisiva per tutti coloro che oggi scrivono la storia del pri
mo periodo conciliare. Darei invece una risposta diversa se mi si chiedesse ragione della
strana situazione di privilegio in cui queste informazioni, di cui solo «La Crono> dispo-
neva, ponevano i suoi giornalisti in relazione agli altri giornalisti francesi e stranieri, col
pevoli dell'unico delitto di scrivere per giornali neutrali, o per giornali cattolici vicini a
gerarchie che sul segreto avevano posizioni diverse. Ogni monopolio è ingiusto, e lo è
anche quello della notizia allorché una data posizione esclusiva non è frutto dell'abilità o
dello sforzo di colui che informa ma della situazione privilegiata in cui le circostanze o i
pregiudizi lo pongono. Si comprende in tal modo come «La Croix» fosse una piccola
isola nel mezzo di quel mondo fatto di cameratismo e aiuto reciproco sorto tra i giorna
listi conciliari.
2 Un primo elenco, ancora incompleto, delle conferenze dei teologi durante quelle
settimane era già contenuto in X. RYNNE, Letters /rom Vatican City. Vatican Coundl II
(First Session). Background and Debates, London 1963, pp. 130 139, 170 173, 185-187,
211 213, 235-239. Tra i più attivi occorre certamente ricordare Congar, Kiing, Chenu e
Daniélou. Ma latinoamericani e nordamericani hanno i <<loro» teologi (Mejia, Ahern
ecc.), mentre le conferenze episcopali asiatiche e africane sono più eclettiche. Occorre
altresì ricordare gli interventi «esterni» di Bea che riscuotono sempre un grosso ascolto
e, da parte non cattolica, la forte impressione suscitata nei contatti con i due monaci di
Taizé presenti tra gli osservatori: Roger Schutz e Max Thurian.
3 Cfr. SIV 1, pp. 327 329.
262 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
4 Remarques sur la première série de schémas, p. 56; una copia in F-Léger, 610.
5 Animadversiones in schemata voluminis I, p. 13; una copia in F-Léger, 614. Ma
nello stesso fondo sono presenti una serie di pareri sugli schemi sotto il nome di altri
vescovi francofoni (il canadese Maurice Baudoux; il francese Jean Julien Weber, ecc.),
per i quali è lecito supporre qualche teologo di loro fiducia. La presenza in uno stesso
archivio di un numero notevole di questi pareri, dimostra anche come essi venissero
scambiati tra i vari vescovi, per lo meno tra i più attenti e autorevoli.
6 Con una consapevolezza carica della secolare storia del genere letterario dei Gra-
vamina nationù germanicae nei quali, a partire dal 1455, veniva espresso il malcontento
tedesco contro la conduzione romana della chiesa, Semmelroth nella nota del 10 novem-
bre del suo diario annota: «Oggi abbiamo lavorato faticosamente alla redazione dei gra-
vamina, messi assieme da Rahner, contro il primo schema». Si tratta della Disquisitio,
cit. supra, p. 99, da distinguere dallo schema alternativo Rahner/Ratzinger. Mentre que
sto ebbe la funzione di mostrare come fosse possibile pensare in maniera diversa dalla
teologia tradizionale, i gravamina servirono a mostrare la debolezza interna dello schema
preparatorio e svolsero forse un ruolo ancora più determinante.
IL PRIMO CONFLITIO DOITRINALE 263
7 Anche su questo punto i lettori del testo latino e quelli del testo inglese non era-
no ugualmente informati. Nel testo inglese infatti si contrappongono non Volgata e Set
tanta da una parte e testi originali dall'altra, ma la sola Volgata ai testi originali e alla
traduzione dei Settanta.
8 Cfr. la Relatio Secretarii Commùsionù Conciliaris «de doctrina /idei et morum>>, re-
datta da S. Tromp, al n. 4. Copia di questa relazione (prot. 15/62:19 della commissione
teologica) è presso l'archivio dell'ISR di Bologna. In seguito sarà semplicemente citata
come Relatio di Tromp.
9 Vedi sopra p. 270.
264 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
liari aveva proclamato essere accessibile alla mentalità degli uomini del
nostro tempo. Si condannino quindi pure gli errori, ma solo quelli che
si impongono ai cuori e alle menti dei fedeli e che non siano limitati ad
alcuni studiosi. Questioni che hanno bisogno di spiegazioni complicate
si lascino pure al magistero ordinario e alle encicliche dei papi. Infine
non si poteva pretendere che i padri si fidassero soltanto della com pe-
tenza della commissione preparatoria, tanto più che questa, a differenza
di quella liturgica, non aveva voluto collegare la dottrina presentata nel-
lo schema con i «desideri dei vescovi e delle università», ingenerando
così il sospetto di ubbidire a preoccupazioni di scuola10 •
Nelle osservazioni generali la disquisitio di Rahner lamentava quattro
punti. Anzitutto si criticava l'estensione eccessiva dello schema e la sua
presunzione di voler decidere anche sulle questioni controverse.
In secondo luogo si denunciava la carenza di indole pastorale, la
quale appariva già dal linguaggio scolastico. Questo non significava op-
tare per il linguaggio «pio», cioè «iuxta modum piae ex suggestu con-
cionis». Tra il linguaggio pio e quello scolastico si apriva infatti un vasto
campo nel quale aveva posto un linguaggio che conciliasse la necessità
della precisione dottrinale con la preoccupazione pastorale, attenta alla
mentalità dell'uomo contemporaneo. Né era sufficiente per raggiungere
una dimensione pastorale citare passi della scrittura come «dieta pro-
ban tia». La scrittura infatti così viene ridotta a supporto di una dottrina
già nota e certa a partire da un altro luogo, «non come la sorgente dalla
quale sgorga in primo luogo la verità da enunciare» 11 •
In terzo luogo si criticava la mancanza di vero spirito ecumenico. La
verità va certamente proclamata senza ambiguità o reticenze anche ai
fratelli separati. Ma questo va fatto in maniera tale da non destare il so-
spetto che si voglia mettere in discussione quanto di vero e legittimo
essi sostengono. Questo valeva soprattutto per quanto riguardava la sa-
cra scrittura, per la quale era invece da preferirsi lo schema preparato
10Era l'osservazione già fatta da Schi1lebeeckx. In questo modo sia Rahner sia
Schi1lebeeckx mettevano in luce l'iter diverso de1la costituzione liturgica rispetto ag1i
schemi de1la commissione dottrinale. Que11a rifletteva la consapevolezza raggiunta da1la
chiesa, questi invece si ponevano al di fuori de1la chiesa del proprio tempo.
11 « ... tamquam fons, ex quo profluit primo ipsa veritas enuntianda». Si noti il lap
sus sottile per cui qui la scrittura viene chiamata <dons». Ovviamente Rahner l'avrebbe
potuto spiegare dicendo che si tratta di una sorgente per quanto riguarda la conoscenza
che l'uomo ha de1la verità rivelata e non di una sorgente in senso assoluto. Ma il lapsus
serve a cogliere che il problema non era di vocabolario in quanto tale, ma riguardava il
diverso peso sostanziale che, ne1lo schema preparatorio, veniva attribuito a1la tradizione
«orale» e alla conseguente relativizzazione de1la normatività de1la scrittura.
IL PRIMO CONFLITIO DOTIRINALE 265
Mentre è più facile accettare che la tradizione orale possa rendere più
esplicita una verità contenuta solo implicitamente nella scrittura. Meglio
quindi non entrare in questa questione controversa.
Sulla natura dell'ispirazione, riprendendo sostanzialmente la stessa
osservazione di Schillebeeckx, la disquisitio precisava come nessuno dei
«teologi prudenti» («inter cordatos theologos») avesse mai messo in
dubbio l'ispirazione come carisma personale dell'agiografo, ma che al
tempo stesso era vero che costui aveva scritto come membro della chie-
sa e al servizio del popolo credente. Solo se si tiene presente questo f at-
to, appare il nesso tra ispirazione e storia della salvezza.
Insufficiente era inoltre la parte che lo schema dedicava all'inerran-
za. Infatti non si teneva conto adeguato dell'indicazione dell'enciclica
Divino affla,nte Spiritu di Pio XII sull'importanza dei generi letterari.
Ora questi generi letterari non si lasciano individuare facilmente e gran-
de è stato in questo campo, rispetto alla vecchia esegesi, il progresso
dell'esegesi moderna. Per quanto riguarda l'inerranza assoluta della
scrittura in argomenti profani sarebbe meglio se il concilio si fermasse
allo status quo dell'insegnamento ordinario della chiesa, senza definire
alcunché o dare una qualificazione teologica più alta alle affermazioni
contenute in quell'insegnamento. Molto infatti restava da precisare nel
dibattito esegetico. Lo stesso termine di «errore» impiegato dallo sche-
ma non possedeva un significato così evidente15 •
Lo schema non era sufficientemente circospetto anche nella questio-
ne della storicità della scrittura. Esso infatti sembrava presupporre una
concezione univoca di storicità. Ma la storicità dei sinottici non era la
stessa di quella del IV Vangelo. E così il genere letterario «storico» del-
le narrazioni dell'infanzia di Gesù non era lo stesso di quello delle nar-
razioni della morte e della resurrezione. Inoltre il linguaggio puramente
negativo di condanna dei numeri 21 e 22 dello schema16, non corrispon-
deva all'allocuzione inaugurale di Giovanni XXIII e a quanto ivi si af-
ferma va sulla medicina della misericordia da preferire alle armi della se-
verità.
Lo schema ancora sembra interrompere la storia della salvezza in
quel periodo che va dal peccato di Adamo ali' economia dell'Antico Te-
stamento. Dio non ha cessato di operare la salvezza dell'uomo anche
prima dei «patres nostri» che ricevettero i «prophetica oracula» della re-
denzione.
L'ultima e ottava osservazione infine suggeriva di sostituire il capito-
lo V dedicato alla scrittura nella chiesa, con quanto invece insegnava lo
schema De verbo Dei preparato dal segretariato per l'unità.
I gravamina di Rahner, a differenza di quelli di Schillebeeckx, espli-
citamente invitavano i padri conciliari a mettere da parte lo schema («se
i padri ritengono che un siffatto argomento possa semplicemente essere
omesso») o a sostituirlo.
Difficile quantificare con esattezza l'impatto che essi ebbero rispetto
a quelli di Schillebeeckx. Comunque sia le osservazioni olandesi che
quelle tedesche diedero strumenti precisi e puntuali a quanti si dichiara-
vano insoddisfatti dello schema preparatorio. Questo è un dato f acil-
mente riscontrabile attraverso gli interventi che si ebbero durante la di-
scussione in aula. Praticamente tutti gli argomenti presenti nei docu-
menti di Schillebeeckx e Rahner saranno impiegati.
Inoltre gli argomenti critici di Schillebeeckx e Rahner trovavano un
riscontro non solo nei teologi che in quei giorni determinavano il clima
di molti incontri di aggiornamento dei vescovi, ma risultavano altresì in
sintonia con la linea portata avanti dal segretariato per l'unità dei cri-
stiani. Già nel periodo preparatorio questo aveva approvato la relazione
della sottocomissione XIll1 7 , «Sulla tradizione e la scrittura», riassunta
in un voto finale in otto punti18 e quindi inviata alla commissione teolo-
22 Su questi esperti si ha una notizia nel diario di Siri (nota del 22 ottobre: DSri, p.
367): <<Alle 16 ho convocato in sede CEI mons. Vagnozzi e il piccolo gruppo di collabo-
ratori teologi, mons. Fares, mons. Calabria. Arriva pure mons. Peruzzo e lo faccio veni
re. Si stabilisce la natura del gruppo che è semplice strumento consultivo della presiden-
za per preparare il lavoro in sede CEI e che rimane confidenziale. Si stabiliscono i rap
porti col gruppo americano, disposto a lavorare per la buona riuscita del concilio. Essi
sono sul piano semplice delle conversazioni amichevoli. A loro si faranno pervenire no
stre eventuali veline». Si tratta quindi non di effettivi «esperti», di teologi che collabora-
vano con la conferenza episcopale italiana, ma di un gruppetto di vescovi in confidenza
con Siri che, tramite mons. Vagnozzi, delegato apostolico negli USA, cerca di entrare in
contatto con un «gruppo» di vescovi statunitensi dello stesso indirizzo.
23 F-Florit, 335. Nella nota relativa al 12 novembre (DSri, p. 380), il diario di Siri
riporta: <<ln ufficio completo le note redatte dagli esperti teologi sullo schema De Fonti-
bus Revel. Infatti al punto 13 del ca p. I mi pare ci siano due grossi equivoci. In tal
modo domani le note possono camminare e fare». Il parere degli «esperti» è quindi an
che quello di Siri ed è ovviamente impossibile distinguere le diverse mani. Inoltre ap
prendiamo anche la data della diffusione tra i vescovi italiani del documento: il 13 no
vembre, giorno della riunione dell'episcopato italiano in vista della discussione sullo
schema De fontibus.
IL PRIMO CONFLITIO DOITRINALE 271
2. Vigilia di lotta
25 ST, nota del 13 novembre 1962. LEVILLAIN, La mécanique... , cit., p. 246, ritiene
esagerato parlare di «veillée d'armes». Ma del 13 novembre egli sembra conoscere solo
la riunione degli episcopati nazionali, della quale riferiremo più avanti
26 TROMP, Relatio n. 5.
27 Ibidem.
28 Lo stralcio del diario di H. Schauf, nella nota del 15 novembre 1962, pubblicato
dallo stesso in Auf dem W ege zu der Aussage der dogmatùchen Konstitution iiber die got-
tliche Offenbarung "Dei Verbum'' n. 9 ... , in Glaube im Prozeft, p. 67, riferendo la testi
monianza di Tromp, attribuisce alla responsabilità congiunta di Ottaviani e Parente il
cattivo andamento della riunione: «Tromp mi ha riferito sulla prima seduta della com
missione teologica dell'altro ieri [...] Egli (Tromp) doveva fare anche una relazione sullo
schema. Tuttavia il cardinale (Ottaviani), senza che Tromp ne sapesse nulla, designò Pa-
rente. Parente sparò talmente forte, da gelare r atmosfera... Questo e quello è eretico
[ .. .] Quindi fu Tromp a fare la sua esposizione. Il card. Santos in seguito si complimen
tò con lui».
2 9 Secondo la testimonianza di Garrone a Congar (cfr. JCng, 14 novembre), Paren
te dice che questo secondo documento è scritto in inglese, ma è stato redatto da un
IL PRIMO CONFLITIO DOTI1UNALE 273
francese, perché parte dai fatti e non dai principi. Parente si riferisce cioè alla versione
inglese del documento di Schillebeeckx, che alcuni pensano tuttavia essere stato redatto
da Congar. Nella sua Relatio, Tromp scrive che il 12 novembre «pervenerunt duo Sche
mata» alla segreteria della commissione teologica. Il primo era quello diffuso dalle con~
ferenze austriaca, belga, francese, tedesca e olandese (schema Rahner/Ratzinger). Il se
condo «continebat lingua latina novam redactionem novem capitulorum Schematis De
Ecclesia, tunc temporis nondum inter Patres Concilii distributi, et videtur confectum in
stigantibus quibusdam Episcopis Belgii». Questo secondo è ovviamente lo schema che
stava preparando Philips. Il documento Schillebeeckx era quindi pervenuto a Ottaviani
e Parente per altra via.
30 Testimonianza di Garrone a Congar, che la riporta nel suo JCng al 14 novembre.
31 Gli interventi di Garrone, Léger e Peruzzo sono anche qui riportati secondo le te
stimonianze di Garrone e di McGrath, raccolte da Congar nel suo diario il 14 novembre.
32 Cfr. TuoMP, Relatio n. 5. Si trattava evidentemente della proposta, maturata nel
segretariato per gli affari straordinari, di procedere ad una drastica riduzione della
estensione dei documenti preparatori.
274 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
33Helder Camara, XXXI Circular del 13 novembre 1962, copia in ISR F-Camara.
34F-Etchegaray, 1.2. Su questo gruppo, cfr. J. GROOTAERS, Une forme de concerta-
tion épiscopale au Conci/e Vatican II. La "Con/erence des Vingt-deux" (1962-1963), in
<<Rl-IE» 91 (1996), pp. 66-112.
35 F-Etchegaray, cit.
36 Si decise di affidare la presidenza di questi incontri a Helder Camara e di usare
come lingue l'inglese e il francese. Sarebbe stato lo stesso Camara a fungere da tradutto-
re. Cfr. Camara, XXVIII Circular del 9/10 novembre 1962.
37 F-Etchegaray 1.3.
IL PRIMO CONFLITTO DOTTRINALE 275
38 Cfr. LEVILLAIN, La mécanique ... , cit., p. 245, che aggiunge ancora: «Ora, questa
procedura non era prevista dal regolamento conciliare e verrà introdotta soltanto nel set-
tembre 1963 in seguito alla constatazione di un certo numero di lacune nel regolamento
conciliare del 1962. Utilizzata il 14 novembre per chiudere la discussione dello schema
sulla liturgia, la procedura del voto orientativo era a discrezione del Consiglio di Presi
denza. Orbene, proprio lo stesso giorno, nel corso di una riunione del Consiglio di Pre
sidenza, la proposta avanzata da alcuni di un voto orientativo, nei termini degli interven
ti di fondo, per determinare il rifiuto o la accettazione del De /ontibus, suscitò un' oppo
sizione irriducibile del card. Ruffini, che impedi l'esame della questione». Nei Processus
verbales del consiglio di presidenza, riportati in AS V/1 non c'è traccia di questa riunio
ne a cui fa cenno il Levillain, che tuttavia non cita la sua fonte. Se ci fu opposizione di
Ruffini ad un voto orientativo, essa in ogni caso verrà superata più avanti, nella riunione
del consiglio di presidenza del 19 novembre.
39 LEVILLAIN, La mécanique... , cit., pp. 245-246.
40 DTcc, 18 novembre 1962.
276 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
41DTcc, 24 novembre, che riporta la stessa testimonianza di Guano. Una fonte più
dettagliata per la ricostruzione della riunione della CEI, è costituita dalla nota di Dos
setti del 15 novembre, presente tra le carte di Chenu, ma che sembra risaJire alla stessa
fonte e cioè a Guano (cfr. NChn, p. 111). Difatti nel suo intervento del 14 novembre in
aula conciliare, a questo proposito, Siri sembra aver forzato la portata di un consenso
che non era stato espresso. Il testo pronunciato da Siri infatti ha: «Circa ea quae dixi,
scio mecum consentire plurimos ad minus episcopos Italiae, quos omnes heri audiv.i>>; il
testo scritto ha: «scio mecum consentire plurimos et fere omnes Ita1iae episcopos»: AS
113, pp. 38-39. Il diario di Urbani così commenta la riunione italiana del 13 novembre,
tacendo totalmente del proprio intervento. <<Al pomeriggio adunanza Ep. It. - Lungo fu-
tervento pesante di Ruffini. Lunga disquisizione di Fares. Adunanza inconcludente per
ché non si permette il dialogo. Eppure basterebbe tanto poco!»
42 La presentazione, oltretutto formale, somigliante più ad un indice degli argomen
ti toccati che ad una effettiva esposizione, abbraccia nella relazione di Garofalo appena
25 righe.
43 AS 1/3, pp. 27-28.
IL PRIMO CONFLITTO DOTIRINALE 277
44 Le osservazioni scritte al .I volume degli schemi, inviate già prima dell'inizio del
concilio, sono ora edite in AS App., pp. 69-350.
45 La fatica era effettiva, ma Ottaviani glissava sui contrasti che l'avevano segnata e
sulla spregiudicatezza con la quale erano stati affrontati proprio da lui e dalla commis-
sione teologica. Su questa spregiudicatezza gli rinfrescheranno la memoria sia il card.
Dopfner (AS V3, pp. 124-125) sia, dopo il tentativo di difesa dello stesso Ottaviani (AS
V3, pp. 131-132), l'arcivescovo di Durban, Dionisio Hurley (AS I/3, p. 199): «In com
missione centrali, uti nunc video, quando de indole non pastorali schematum quereba-
mur, voces eramus clamantium in deserto». Per una documentazione di questi contrasti
si vedano INDELICATO e SIV 1, pp. 321-339.
278 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
46 AS I/3, p. 30.
47 Ibidem, p. 31. Sullo scopo e sulla natura di un'affermazione conciliare, sulla sua
particolare «dignità», non si affermava formalmente nulla di diverso da quanto detto nei
gravamina. Solo che questi coglievano la contraddizione nel fatto che lo schema si ser
visse di un linguaggio scolastico, mentre i difensori dello schema ritenevano proprio la
precisione scolastica conforme allo scopo e alla natura delle affermazioni conciliari.
48 Si trattava di quel brano della Gaudet mater ecclesia in cui il papa motivava la
sua scelta per una medicina della misericordia piuttosto che della severità (cfr. A. MEL
LONI, ll. 878 ss.). Qui appare esplicitamente la chiara alternativa allo spirito dello sche-
ma De fontibus. La relazione di Garofalo sembrava voler suggerire ai padri conciliari un
modo possibile per aggirare l'ostacolo costituito dalla Gaudet.
49 Ibidem.
50 AS I/3, pp. 34-35 e 139.
IL PRIMO CONFLI1TO DOTI1UNALE 279
51 Cfr., anche per indicazioni sulle principali voci del dibattito, JR. GEISELMANN,
Die Heilige Schrzft und die Tradition, Freiburg 1962. Di H LENNERZ, basti qui rimanda
re soprattutto a Scriptura sola?, in «Gregorianum» 40 (1959), pp. 38-53.
52 AS I/3, pp. 132-135.
53 Analogo l'equilibrio degli interventi scritti. Tra questi, notevole per acutezza
quello di Volk (AS I/3, pp. 364-365).
280 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
57 Cfr. ad esempio il card. Garibi y Rivera (17 novembre: AS I/3, pp. 122-124).
IL PRIMO CONFLITTO DOTIRINALE 281
getto dello schema. I cardd. che il 14 novembre si espressero a favore furono invece
nell'ordine, a parte Ottaviani nella sua introduzione, Ruffini, Siri, Quiroga y Palacios.
C'era una evidente sproporzione e questo spiega come le note dei diari della parte con
traria allo schema siano tutte esultanti alla fine del primo giorno. Il secondo giorno della
discussione, il 16 novembre, la proporzione tuttavia si rovescia: tra i cardinali solo Tisse-
rant, Lefebvre, Silva Henriquez parlarono contro lo schema, mentre a favore si espresse
ro Gonçalves Cerejeira, De Barros Camara, Mclntyre, Caggiano, Rufinus I. Santos, Ur
bani e Browne. In qualche modo erano i cardinali che davano il tono agli wnori e que
sto spiega gli alti e i bassi dei vicendevoli commenti, secondo le posizioni di partenza.
Sempre il 15 novembre, ma questo non era un fatto noto, il card. Dòpfner, inviava un
votum al segretariato generale del concilio per chiedere la rielaborazione dello schema:
cfr. il testo in H. SAUER, Erfahrung und Glaube... , cit., p. 222, n. 3.
65 Cfr. DSri, p. 382. Difficile dire se gli errori del testo (Siri non sembra essere sta-
to un cattivo conoscitore del latino!) siano dovuti a refusi, oppure debbano essere presi
come segno di una forte commozione. La nota di quel giorno porta tuttavia la formula
di un votum, nel quale si cerca di immaginare le misure idonee a combattere il «moder
nismo» come errore serpeggiante: «Necesse est magnum momentum tribuere studiis de
"Propedeutica historica" non tamen solummodo sicut invenitur e.g. in Benigni, sed ad
ditis considerationibus de pathologia in studiis teologicis inserta ope variarum methodo-
logiarum ex idealismo, historicismo, rationalismo. Etenim serpit modernismus et hic ful
citur cum criticismo historico, qui certo ruit si apte efficiuntur, quae supra scripta sunt».
Non si può non cogliere il nesso oggettivo di questo votum con la lettera «contro gli er-
rori e le deviazioni del nostro tempo», firmata da 19 cardinali (tra cui ovviamente Siri) e
inviata al papa il 24 novembre ad 'avvenuta istituzione della commissione mista. Ma è
impossibile stabilirne un eventuale nesso letterario.
284 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
seguire.
Né maggiore lucidità c'era nell'episcopato del centro Europa. Già il
14 novembre si era radunato l'episcopato francese nella maggioranza dei
suoi membri: due terzi circa sono per il rigetto dello schema, un terzo
per una soluzione mediana, di correzione dello schema esistente73 •
Il 18 novembre 74 si ha una riunione strategica, indetta da Volk, alla
quale partecipano esponenti molto in vista dell'episcopato e della teolo-
gia francese e tedesca. Si ipotizza, nel caso di un'accettazione dello sche-
ma, un gruppo formato da teologi di diverse tendenze e nazionalità per-
ché prepari un testo da distribuire ai padri, per aiutarli in maniera det-
tagliata nella correzione dello schema. Garrone propone anche lui l'idea
della commissione mista, sulla quale poi interverrà l'indomani 19 no-
vembre, in aula. Rahner da parte sua si era già messo al lavoro per pre-
parare una petizione, che in caso di sconfitta, scongiurasse i padri per lo
meno a non definire l'esistenza di verità di fede che in qualche modo
non siano contenute nella scrittura. Nella riunione si stabilisce inoltre
che, sempre in caso di sconfitta, sia lui a determinare punto per punto
quei casi in cui non era possibile una transazione.
Grande incertezza dunque sul fronte della futura maggioranza che
non ha avuto ancora la possibilità di contarsi. Del resto come era possi-
bile misurare il peso del consenso per l'uno o l'altro atteggiamento? I
vescovi erano infatti ancora in movimento. Solo il 21 novembre, a svolta
consumata, ad esempio, Congar apprende che un tale movimento d'opi-
nione si sta verificando nell'episcopato nordamericano. Gli interventi in
aula invece non permettevano di comprendere quale fosse l'effettivo
orientamento del concilio. Era oltretutto un orientamento in fieri.
Nei giorni del dibattito sul De /ontibus si intensificano le riunioni
dei vescovi fuori dell'aula conciliare, spesso per ascoltare i teologi. Il 14,
nonostante fosse stato invitato alla riunione dei vescovi francesi, Congar
preferisce parlare ai vescovi argentini sulla tradizione75 • Sempre lo stesso
Congar il 16 novembre ha un incontro di lavoro con alcuni vescovi
francesi sullo stesso argomento76 • La conferenza episcopale francese ave-
va infatti creato dei gruppi di lavoro, di cui uno era appunto dedicato
al rapporto tra scrittura e tradizione. Ancora il 16 il teologo Mejia, con-
tinuando la sua serie di incontri con un gruppo di vescovi argentini,
parla della storicità delle narrazioni bibliche77 • Nel suo diario il card. Ur-
bani, in data 16 novembre, annota come la riunione dei vescovi italiani
del Triveneto di quel giorno, non fosse arrivata a formulare un atteggia-
mento unanime sullo schema. Il 19 l'esegeta passionista Ahern continua
con le sue conferenze al North American College, parlando dei generi
letterari e suscitando le critiche del delegato apostolico Vagnozzi78 • Ma i
vescovi americani sembrano ormai guadagnati, in grande maggioranza,
alle nuove tendenze esegetiche79 • Non è questo un elenco completo degli
incontri e delle attività fuori dell'aula. Ma esso è sufficiente a farei com-
prendere come gli episcopati, dall'Argentina al Veneto italiano, dalla
Francia agli Stati Uniti, si fossero sottoposti ad un training abbastanza
intenso e come maturassero velocemente nuovi equilibri. La nota di Ur-
bani sulla indecisione dell'episcopato triveneto parla da sé e rivela come,
se è lecito parlare di blocchi, è altrettanto importante notare come que-
sti blocchi al loro interno fossero in movimento.
La commissione teologica sembra, in questo clima, praticamente as-
sente. La relatio di Tromp, dopo la riunione del 13, non ricorda altre
sedute comuni durante il I periodo. Evidentemente Ottaviani non riten-
ne opportuno convocarla dopo quella tumultuosa esp__erienza. J. Fenton80
parla tuttavia nel suo diario di una strana iniziativa. E Schauf, un fedele
di Tromp, a invitarlo per una riunione il pomeriggio del 17 novembre
presso la palazzina S. Marta. Essa è riservata ai «membri fedeli della
della discussione del cap. II della costituzione 1iturgica, il papa aveva concesso al consi
g1io di presidenza la «faculté de proposer à la congrégation générale la dature d'une di
scussion lorsque l' objet de cette discussion aura été, au moins suffisamment exposé et
élucidé.» (AS I/2, p. 159). Si deve supporre quindi che la decisione del consiglio di pre-
sidenza abbia fatto semp1icemente uso di questa facoltà e che, proprio per questo, sia
stata eliminata la parte del quesito che esplicitava la riformulazione de1lo schema?
86 Anche se non è giusto affermare che gli schemi fossero stati «approvati» dal
papa, era proprio questa l'interpretazione dei difensori del1o schema, i quali facevano
appunto leva su questo argomento per sostenere l'inammissibiHtà di un rifiuto globa1e
degli schemi preparatori trasmessi in aula per la discussione. Cfr. gli interventi di Ruffini
(AS I/3, p. 37), Quiroga y Palacios (p. 39), De Barros Camara (p. 68), Fares (p. 85) ecc.
Si trattava di una argomentazione forse efficace per molti, ma priva di qua1siasi fonda
mento. Infatti il benestare del papa non si riferiva al contenuto degli schemi, ma soltan-
to alla loro trasmissione per la discussione in au1a. È quanto giustamente sotto1ineava in
quei giorni un appunto prodotto nell'ambiente di Lercaro, che ricordava il precedente
del Vaticano I e la lettera apostolica del 27 novembre 1869, Multiplices inter, in cui Pio
IX precisava come gli schemi redatti dai teologi e dai canonisti in precedenza, fossero
stati riservati, «nulla Nostra approbatione munita, integra integre Patrum cognitioni»:
archivio ISR, F Alberigo II/5.
IL PRIMO CONFLITIO DOTIRINALE 291
Stato e che, facendosi forte anche del consenso dei cardd. Frings e Lié-
nart, abbia fatto arrivare il suo parere al papa tramite il segretario di
Stato stesso87 • Chi invece vide direttamente il papa fu il card. Léger che,
prendendo spunto da una udienza concessa ai vescovi canadesi la sera
del 20 novembre, chiese e ottenne di poter parlargli in privato88 • In
quella udienza il cardinale canadese presentò con ogni probabilità una
richiesta scritta, che poi il papa ricorderà come «lettera» e gli parlò
<<francamente della situazione». Léger riceve tuttavia l'impressione che il
papa non sia deciso a intervenire, nonostante ritenesse che la maggio-
ranza, espressasi nel voto di rifiuto dello schema, interpretasse fedel-
mente il suo pensiero. Infatti il papa gli ribadisce che il suo messaggio
di apertura era stato abbastanza chiaro: se il concilio di Trento e il Vati-
c~no I avevano fissato l'oggetto di fede, era invece compito del Vaticano
II presentare il messaggio cristiano al mondo moderno e a quello di do-
mani. Non si trattava di elaborare un manuale, ma porre le indicazioni
(jalons) di una scienza teologico pastorale. Léger suggerisce la creazione
di una commissione permanente del concilio che, nell'intersessione, con-
trolli la rielaborazione dei documenti, idea che sembra piacere al papa89 •
Comunque, anche se è impossibile ricostruire, allo stato attuale delle
nostre conoscenze, il modo esatto in cui alcuni personaggi influirono
sulla decisione di Giovanni XXIII90, è certo che, nelle ore successive, il
papa superò le perplessità e l'indomani il card. segretario di Stato, du-
rante la celebrazione della messa con la quale aveva inizio la congrega-
9l La circostanza viene qui riportata in base al nitido ricordo di chi scrive queste
pagine che, dal suo angolo di osservazione, immediatamente alle spalle del tavolo dei se
gretari, poté osservare la sorpresa di Felici, appartatosi a confabulare a lungo con il se-
gretario di Stato. L'iniziativa colse di sorpresa un po' tutti, anche e soprattutto il presi
dente di turno, card. Ruffini che ricevette da Felici la comunicazione portata dal segre-
tario di Stato solo alla fine della messa e con voce strozzata gli diede la parola. Anche
Cicognani aveva cercato di opporsi alla decisione davanti al papa: secondo la testimo
nianza di L.F. Capovilla il segretario di stato «avrebbe espresso al papa le sue perplessi-
tà sull'opportunità dell'intervento, ma Giovanni XXIII aveva decisamente replicato:
"Eminenza, vada pure a comunicarlo. Ho molto pregato e ci ho pensato tutta la notte.
Facciamolo tranquillamente"», cfr. S. SCHMIDT, Agostino Bea cardinale dell'unità, Roma
1987, p. 458.
92 AS 1/3, p. 259.
IL PRIMO CONFLITTO DOTTIUNALE 293
sto che non esisteva più, e comunque solo a futura memoria. Gran par-
te dei presenti si riversò tuttavia nelle navate laterali, del tutto indiffe-
rente a quanto veniva detto, per commentare e scambiarsi le impressio-
ni. Era visibile l'entusiasmo anche degli osservatori. Qualche vescovo
amico si recò alla loro tribuna per dire un amichevole e ironico «vive le
papeh>. Il concilio aveva, senza ancora metterlo per iscritto, fatto forse
uno dei mutamenti più importanti della evoluzione dottrinale della chie-
sa cattolica: l'opzione per la «pastoralità» della dottrina. Se questa era
formulata con nettezza negli interventi del papa, non era tuttavia detto
che fosse altrettanto chiara a tutti. Bea ne aveva dato una interpretazio-
ne autorevole. Hurley, uno dei più lucidi sul nodo effettivo del dibatti-
to, interverrà ancora sull'argomento in occasione della discussione sul
De ecclesia. Comunque cominciava un'era tutta nuova.
Cosa implicava infatti la decisione del papa, una decisione certamen-
te personale e tuttavia perfettamente in linea con la maggioranza del-
1' episcopato, fino a smentire il dettato del «proprio» regolamento, pur
di mettersi in sintonia con esso? Due erano almeno gli elementi che vi
erano contenuti. Uno toccava l'esercizio stesso del primato e l'altro toc-
cava l'equilibrio dottrinale più vasto. Si dava cioè espressione chiara, da-
vanti alla chiesa cattolica abituata da secoli a ben altro stile, e davanti ai
rappresentanti delle altre chiese cristiane, ad una modalità del ministero
primaziale che ne esaltava non solo la capacità di iniziativa, ma ancor
prima quella dell'ascolto. In termini ancora più pertinenti si può dire
che trovava espressione concreta la natura sinodale del primato petrina.
L'altro elemento implicito nella svolta conciliare, confermata dall'in-
tervento di Giovanni XXIII, è dato dal fatto che formule dottrinali co-
dificatesi nell'epoca postridentina, diventavano oggetto di discussione.
Non si trattava di formule di poco conto, ma di alcune formule (quelle
dei rapporti tra scrittura e tradizione) che, sulla spinta della teologia
controversista, avevano per secoli fissato l'identità confessionale cattolica
ed erano state fatte proprie da quello che, a partire dagli anni Sessanta
dell?Ottocento, veniva chiamato magistero ordinario. Era certo possibile
mostrare ai più attenti che si trattava proprio così di ristabilire invece
formule più fedeli allo stesso Tridentino e soprattutto, al di là delle for-
mule, di ritrovare la prospettiva più tradizionale. Ma era questa una
possibilità che fino allora non aveva fatto breccia e che per lo più era
stata guardata con sospetto.
Comunque, la consueta pausa del giovedì, alla ripresa dei lavori nel-
la XXV congregazione generale di venerdì 23 novembre, contribuisce ad
aiutare i vescovi a superare lo choc della votazione del lunedì preceden-
te, e del successivo intervento del papa, dato che iniziano l'esame di un
progetto minore, dove erano del tutto assenti questioni di principio.
Capitolo sesto
1 Cfr. SIV l, pp. 218 e 388 389 e E. BARAGLI, L'Inter Mirifica. Introduzione - Sto
ria - Dircussione - Commento - Documentazione, Roma 1969, è probabilmente lo studio
più approfondito dedicato al decreto syi media. Per questa fase del dibattito vedere pp.
119-136. Vedere anche, per esempio, E. GABEL, Le schema sur les moyens de communi-
cations sociale, in Y.M.-J. CONGAR, Vatican II. Le Conci/e au jour le jour, Paris 1963, pp.
135 138.
2 Cfr. Cento, introduzione alla riunione del 23 novembre 1962, AS 1/3, p. 417.
3 Cfr. AS I/3, pp. 374-375.
4 AS I/3, pp. 377 388.
296 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
5 AS pp. 3 89-394.
1/3,
6 AS 113pp. 39 5 400.
I
7 AS pp. 401-415.
113,
s AS p. 416.
113,
9 AS pp. 418-423.
113,
10 Stampa: 8.000 giornali (300 milioni neJla circolazione quotidiana), 22.000 altri
giornali (200 milioni nella circolazione quotidiana); cinema: 2.500 film all'anno, 17.000
sale, 17 miliardi di spettatori annui; radio: 6.000 stazioni (400 milioni di ascoltatori); te-
levisione: 1.000 stazioni (120 milioni di spettatori).
I MEZZI DI COMUNICAZIONE SOCIALE 297
gli occhi sui limiti e i pericoli presentati dalle varie dimensioni dei mezzi
di comunicazione sociale. Tre questioni importanti avevano impegnato
coloro che erano stati incaricati dell'elaborazione dello schema: la chiesa
come maestra 11 , la chiesa come madre 12 e il ruolo di coordinamento del-
la chiesa su tre livelli: internazionale, nazionale e diocesano. A tale pro-
posito Stourm richiese l'istituzione di una «Domenica delle comunica-
zioni», nella quale attribuire, in ogni parte del mondo, la dovuta atten-
zione a tali importanti questioni.
Come apparve chiaro dalla sua anticipata apologia, Stourm era con-
scio del fatto che lo schema avrebbe potuto essere oggetto di critiche a
più livelli. Alcuni padri conciliari, per esempio, ritenevano che fosse
troppo lungo e che contenesse troppe ripetizioni. Circa la lunghezza
dello schema, l'arcivescovo notò che essa si doveva al fatto che ben po-
che persone avevano familiarità con la materia e alla necessità di una
specifica riflessione teologica. Quanto alle ripetizioni, per Stourm era
evidente che queste sarebbero state eliminate13 •
In conclusione, l'arcivescovo fece riferimento ancora una volta al-
1' enorme potenziale presente nei vari mezzi di comunicazione sociale e
alla sfida tecnologica, sfida che si presentava all'intera chiesa, nel suo
compito di proclamare il Vangelo da un capo all'altro del mondo mo-
derno.
2. La discussione in aula
11 Con questo intendeva il ruolo educativo della chiesa in relazione all'uso della
stampa e degli altri mezzi di comunicazione, AS 113, pp. 420 421.
12 Con l'aiuto delle persone di buona volontà, la chiesa come madre si propone di
mostrare l'importanza dei vari mezzi di comunicazione per la proclamazione del messag
gio cristiano, AS 113, p. 421.
13 L'arcivescovo avverti, tuttavia, che ciò che ad una prima lettura poteva apparire
una ripetizione, poteva in realtà non esserlo, AS 113, pp. 421 422.
14 Altri 43 membri del concilio presentarono interventi scritti, AS 113, pp. 563 609.
15 5 oratori erano latinoamericani e 3 nordamericani. Sia Tagle (Cile) che Fernan-
dez Feo Tinoco (Venezuela) parlarono a nome degli altri vescovi dei rispettivi paesi.
l6 Va notato che sia Nwedo (Nigeria) che Perraudin (Rwanda) parlarono il 24 no
298 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
curia si limitarono a tre interventi. Inoltre, solo a fatica si può dire che
gli stessi interventi siano stati degni di nota, o che a questi sia stata data
molta attenzione dalla stampa - il vero oggetto della discussione, che
era già stata infarmata dello schema il 21 novembre 17 • La mancanza di
attenzione è tanto più sorprendente se si considera che, oltre all'onni-
presente card. Ruffini, altre figure importanti, quali Spellman, Bea, Sue-
nens, Godfrey e Léger, ritennero necessario manifestare il loro pensiero
in materia. Rimase tuttavia l'impressione che l'argomento in discussione
si fosse in qualche modo smarrito tra l'emotivo dibattito sulla rivelazio-
ne, la discussione del decreto sull'unità della chiesa, la formulazione del-
la costituzione su Maria e la costituzione sulla chiesa, che Felici aveva
annunciato il 23 novembre, prima della presentazione del decreto. Dato
il generale interesse che circondava queste materie più «tradizionali», è
difficile immaginare che si attribuisse molta attenzione ad una questione
in cui la chiesa cattolica romana aveva ben poca esperienza e alla quale
molti, con poche notevoli eccezioni18 , guardavano con alterigia19 • Nello
vembre a nome dell'intero episcopato africano: AS 1/3, pp. 468 469, 476 478. Sebbene
le fonti da me consultate non diano spiegazione del perché entrambi abbiano parlato a
nome dell'episcopato africano, ciò fu probabilmente dovuto alla divisione dei vescovi
africani in due gruppi, tra francofoni e anglofoni. Nwedo plausibilmente parlò a nome
dei vescovi anglofoni e Perraudin per i vescovi francofoni. Dal punto di vista del conte
nuto entrambi gli interventi sono chiaramente dello stesso tenore.
17 Nella conferenza stampa tenuta da E. Baragli nella sala del concilio. Cfr.
«OssRom», 23 novembre 1962. Lo studio Konzilschronik in Das Zweite Vatikanische
Konzil, vol. III, in «L TK», pp. 632 633 è assai rivelatore a questo proposito. Oltre a un
breve comunicato del 23 novembre e una citazione alla fine del dibattito il 26 novem
bre, non vi sono altri riferimenti alla discussione. Bisogna comunque aggiungere subito
che mons. F. Vallainc, capo del servizio stampa ufficiale del concilio, non era esattamen
te innamorato della stampa. Cfr. R. KAISER, Inside the Council..., cit., p. 180. Secondo
Kaiser, Vallainc aveva scritto ad un giornalista pochi mesi prima del concilio: «Non ab-
biamo bisogno della stampa». Quest'atteggiamento in realtà non si accordava con i com
piti dell'ufficio stampa; dr. Pro memoria sull'Ufficio Stampa; carte De Vet (Archivi epi-
scopali di Breda), non numerato; non datato.
18 KAISER, Inside the Council..., cit., pp. 180 181 cita il segretario del papa Capovil
la, il segretario di Stato Cicognani e mons. I. Cardinale, oltre al papa stesso.
19 Il fatto che V allainc non fosse l'unico responsabile degli insufficienti rapporti
con la stampa è evidente da R. LAURENTIN, L information au conci/e, in Deuxième, pp.
1
20 Cfr. GABEL, Le schema sur /es moyens... , cit., p. 136. TI 24 novembre, per esem
pio, molti oratori sottolinearono che l'importanza dello schema non avrebbe dovuto es
sere sottovalutata; per esempio Léger, AS 113, p. 460. A questo proposito è di primario
interesse losservazione sulla necessità di non ridurre l'importanza dei mezzi di comuni
cazione in vista di una loro possibile funzione di diffusione della fede.
2 1 Vedere, per esempio, Spellman; Ruffini; il vescovo A. Sanschagrin (Amos, Cana
da); il vescovo H. Bednorz (Katowice, Polonia); V. Bryzgys (vescovo ausiliare di Kaunas,
Lituania); Suenens; larcivescovo A. Perraudin (Kabgayi, Rwanda, a nome dell'intero epi-
scopato africano); il vescovo A. Nwedo (Umuahia, Nigeria, anch'egli a nome dell'intero
episcopato africano): AS 113, pp. 423, 424, 427, 433, 449, 462, 468, 476.
22 TI vescovo L. Lommel (Lussemburgo) notò che la stampa e gli altri mezzi di co-
municazione erano apprezzabili, indipendentemente dalle opportunità che offrivano alla
chiesa cattolica romana. Propose che questo valore intrinseco fosse adeguatamente mes
so in evidenza nell'introduzione del documento, AS 113, p. 497. Cfr. anche Spellman
(New York), AS 113, p. 423.
23 Léger, AS 113, p. 461.
24 E. D'Souza (Nagpur, India), AS 113, p. 440.
25 Cfr. il vescovo H. Bednorz (Katowice, Polonia), AS 113, p. 434.
26 Cfr. i vescovi A. de Castro Mayer (Campos, Brasile); A. Renard (Versailles, Fran
cia): AS 113, pp. 445, 469 470.
21 AS 113, p. 460.
28 TI card. Ruffini; il vescovo G. Beck (Salford, Inghilterra): AS 113, pp. 424, 429.
Secondo il card. Suenens, era anche necessario che lo schema fosse pastorale e che per
questo si distinguesse dagli schemi dottrinali, che richiedevano un diverso approccio, AS
113, p. 462.
300 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
Esso si era guadagnato un proprio legittimo spazio nei lavori del conci-
lia29, specialmente perché i media erano divenuti la via principale per la
diffusione delle informazioni in tempo reale3°. Vi fu anche la richiesta
dell'istituzione di una agenzia di stampa vaticana31 • Per lo meno ci si
doveva impegnare per sviluppare la commissione pontificia esistente in
una organizzazione internazionale, nazionale e diocesana, efficiente nel-
1' area dei mezzi di informazione e di formazione della pubblica opinio-
ne32. Venne cortesemente aggiunto, comunque, che agli schemi come
quelli sulla liturgia e sulla chiesa era stata riconosciuta a ragione un'im-
portanza maggiore3 3 •
Globalmente si può dire che lo schema ricevette un'accoglienza po-
sitiva. Sebbene un commento di questo genere fosse più l'eccezione che
la regola, un membro del segretariato De scriptis prelo edendis et de
spectaculis moderandis fece notare ancora che il concilio, dati gli stretti
limiti di tempo a disposizione, stava perdendo tempo discutendo su
questa materia, nonostante il grado di approfondimento con cui era sta-
ta esaminata durante il periodo preparatorio34 • Un'altra eccezione è rap-
presentata dalla domanda di W. Godfrey, arcivescovo di Westminster,
sull'opportunità della presenza dello schema in un concilio ecumenico; a
suo parere avrebbe dovuto piuttosto essere pubblicato in un documento
separa to35 •
Benché i commenti critici rappresentassero l'eccezione, va rilevata,
peraltro, qualche ambiguità nelle stesse approvazioni. Alcuni, per esem-
pio, apprezzarono lo schema poiché, al di là della predicazione del Van-
36 Ruffini, AS I/3, p. 424. Vanno citate anche le critiche di Castro Mayer sull'indif
ferenza morale della stampa e delle organizzazioni cinematografiche cattoliche. Anche i
cinema cattolici proiettavano film non proprio edificanti, AS I/3, p. 446. Léger, per par
te sua, trovò che, ove si trattava di costumi, le questioni erano presentate troppo negati
vamente, AS I/3, p. 461.
37 «... quae nimis longa apparent, res particulares ninris evolvunt, et repetionibus
abundant», AS I/3, p. 424. Si possono trovare sia richieste di abbreviazione dello sche
ma sia critiche sulla sua prolissità nei seguenti interventi: Ruffini, Beck (Salford, Inghil
terra), Bednorz (Katowice, Polonia), F. Charrière (Ginevra-Losanna-Friburgo), E. Fer
nandez Conde (Cordoba, Spagna), D'Souza (Nagpur, India), A. de Castro Mayer (Cam-
pos, Brasile), W. Godfrey (Westminster, Inghilterra), Léger e Suenens: AS I/3, pp. 424,
430, 434,436, 437,440,445, 459, 461, 462.
38 Vedere anche, per esempio, gli interventi dei vescovi V. Enrique y Taranc6n
(Solsona, Spagna), J. Heuschen (vescovo ausiliare di Liegi, Belgio), A. Fernandez Feo
Tinoco (San Cristobal, Venezuela, a nome dei propri colleghi): AS I/3, pp. 425, 447,
522 523.
39 Vedere Enrique y Taranc6n, AS I/3, p. 425.
40 Anche nella riunione del 24 novembre 1962.
4l AS I/3, p. 426: «Sed etiam in hoc sensu apostolico necessarium duco patefacere
hanc actionem aptiorem laids quam sacerdotibus esse»; cfr. anche Léger, Suenens e Mé
nager: AS I/3, pp. 462, 464l 467.
3 02 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
42 AS I/3, p. 391.
43 J. Heuschen (vescovo ausiliare di Liegi), AS I/3, p. 447. Questo vescovo aveva
ben poco entusiasmo per la creazione di una istituzione cattolica: «Penetrare debemus
in istituta existentia, non nova creare. Secus plerumque confiteri debebimus: notitiae no
strae serius advenerunt. In hac materia mora unius diei aequivalet praedio deperdito».
Vedere anche, per esempio, Suenens, Ménager, Kozlowiecki: AS I/3, pp. 464, 467-468,
512. Il vescovo Ona de Echave (Lugo, Spagna) chiese che vi fosse una precisa demarca
zione tra l'ambito dei sacerdoti e quello dei laici; notò quindi che il compito proprio
della chiesa, di proclamare il messaggio, era affidato in prima persona ai vescovi e ai sa
cerdoti, e che era perciò necessario assicurare ai sacerdoti la necessaria formazione in
materia, AS I/3, pp. 486 488.
44 A tal proposito vedere anche gli interventi del vescovo J. Hoffner (Miinster,
Germania), AS I/3, pp. 505-506; il vescovo S. Moro Briz (Avila, Spagna) sottolineò an
che che il documento parlava molto dei diritti della chiesa «dum et contra silet de eccle
siae officiis», AS I/3, p. 508.
45 D'Souza (Nagpur, India), AS I/3, pp. 440 442; il vescovo Bryzgys (Kaunas, Li
tuania) e l'arcivescovo Albert Soegijapranata (Semerang, Indonesia), AS I/3, pp. 450,
452, vedevano opportunità positive per la chiesa.
46 AS I/3, pp. 441 442.
47 Con accenti simili, F. Simons (Indore, India) notò che mentre la chiesa cattolica
rivendicava i propri diritti da un capo all'altro del mondo, essa, quando erano in suo
possesso, 1i negava agli altri, AS I/3, pp. 523 524.
4 8 AS I/3, p. 461; Léger fu appoggiato, tra gli altri, da Bea, da J. Menagér (Meaux),
L. Bernacki (ausiliare di Gniezno, Polonia), A. Sana (Akra, Irak): cfr. AS I/3, pp. 465,
467, 471, 521. A. Civardi riteneva che nella parte I,l si fosse dedicata troppo poca at-
I MEZZI DI COMUNICAZIONE SOCIALE 303
Molti erano convinti che le varie forme dei media sarebbero state uno
splendido strumento per la chiesa. Spellman, per esempio, sulla base
della propria esperienza negli Stati Uniti, vedeva nei mezzi di comunica-
zione un'opportunità di cooperazione tra cattolici e non cattolici, con
un occhio alla santificazione dell'umanità e della società intera 49 • Secon-
do Wyszyriski, la radio e la televisione offrivano la sola possibilità di
proclamare il messaggio cristiano a coloro che erano indifferenti alla
messa, soprattutto in un tempo in cui era diminuita l'abitudine alla let-
tura50.
Alcuni oratori lamen tarano anche le carenze dello schema circa la
denuncia dei pericoli connessi ai mezzi di comunicazione51 • Ritenevano
che lo schema avrebbe dovuto dare un più chiaro avvertimento contro il
disordinato e ampio uso dei media (non a caso aleggiarono termini
come «naturalismus» e «sensualismus») e che gli addetti ai lavori avreb-
bero dovuto essere meglio preparati a resistere alle tentazioni52 • I fedeli
si attendevano chiaramente che il concilio fornisse efficaci regole per
questa complessa materia53 . Nello stesso tempo, lo schema era evidente-
mente troppo ottimistico, dato che trattava un oggetto che frequente-
mente serviva fini meno onorevoli e spesso degenerati54 • Alcuni non ve-
devano come i cattolici potessero avvantaggiarsi dall'acquisizione di
esperienza circa il cinema e la televisione55 . Il clero, ovviamente, doveva
tenzione al dovere della chiesa di parlare de1lo svago in connessione con i mezzi di co
municazione. Mentre riteneva che i media avessero spesso una influenza perniciosa sugli
utenti manteneva ancora un atteggiamento largamente positivo nei confronti dello sche
ma, Às I/3, pp. 503-504; cfr. anche, per esempio, Del Pino G6mez (Lerida, Spagna),
AS I/3, pp. 518-519.
49 J. Hoffner (Miinster, Germania) fece un rilievo simile, AS Il?, pp. ~18-519 . . .
50 AS I/3, p. 458. Il cardinale si riferiva qui a IV,3: «De radiophoma et televis10
ne», AS, I/3, pp. 410 413. Anche Suenens indicò che i mezzi di comunicazione poteva-
no talvolta avere, a causa della passività, un effetto negativo sul fedele; nello stesso tem
po il cardinale richiese una chiara affermazione .del .fatto che il diritt~ a1l'informazione
non doveva intaccare la sfera privata; A. Kozlow1eck1 (Lusaka, Rhodesia del Nord), per
esempio, espresse un desiderio simile: AS I/3, pp. 463-464, 511. .
51 «Nemo non videt quaestiones ordinis moralis quae ex usu horum mstrumento
rum communicationis derivantur>>: Fernandez Conde di Cordova, AS I/3, p. 436; dr.
anche R. Boudon, AS I/3, p. 453. Circa i pericoli legati ai film, vedere, per esempio, M.
Llopis Ivorra, vescovo di Coria-Caceres (Spagna), AS I/3, p. 432.
52 Cfr. de Castro Mayer, AS I/3, p. 446.
53 Cfr. Fernandez-Conde; G. D,Avack (Camerino, Italia): AS I/3, pp. 436, 439 440.
54 J. D'Avack, AS I/3, p. 438; cfr. anche il suggestivo intervento di A. de Castro
Mayer, AS I/3, p. 445.
55 D,Avack, AS I/3, p. 439.
304 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
56 Cfr. AS 1/3, p. 439; L. De Uriarte Bengoa (San Ramon, Perù), per esempio, si
scagliò contro il fatto che spesso i sacerdoti mancassero ai propri doveri pastorali a cau
sa del cinema e della televisione, AS 1/3, p. 490.
57 D'Avack, AS 1/3, p. 439. Secondo Bryzgys (Kaunas, Lituania), i media avevano
sull'educazione dei figli un impatto maggiore che non sui loro genitori, AS 1/3, p. 450;
Hoffner sottolineò l'importanza di una scelta ragionata nell'uso dei media, AS 1/3, p. 505.
58 Cfr. Charrière, AS 1/3, p. 435.
59 Trattato al numero 21, AS 1/3, p. 382.
60 Cfr. Suenens, AS 1/3, p. 463.
6l Sebbene si fosse tenuta nella sala stampa del concilio, la conferenza stampa del
protestante O. Cullman del 23 novembre fu riportata da «OssRom» solo il 25 novem
bre, e solo a pagina 4, sotto il poco stimolante titolo In margine al Concilio. Dichiarazio-
ni di un «Osservatore» valdese. Ci si poteva aspettare di più da un concilio ecumenico.
62 Cfr. AS 1/3, pp. 427 429.
63 Cfr. AS 1/3, pp. 427-429. Per illustrare questo punto Sanschagrin fece notare
come il termine «socializatio» nella Mater et magistra fosse stato talvolta usato dalla
stampa per benedire il socialismo, mentre i vescovi scoprirono solo settimane dopo il
vero contenuto dell'enciclica.
I MEZZI DI COMUNICAZIONE SOCIALE 305
3. La rielaborazione in commissione
r esercizio della propria autorità magisteriale, doveva interessarsi della materia, AS V3,
p. 613.
76 È evidente da questo che i padri conciliari fecero propria la richiesta del segreta
riato conciliare preparatorio per la stampa e l'informazione, e che chiesero al papa di
estendere l'autorità della commissione papale per la radio, il cinema e la televisione a
tutti i mezzi di comunicazone sociale, compresa la stampa.
77 Questa commissione si riunì per la seconda volta solo il 26 novembre; dr. la let
tera di Cento ai membri della commissione, Carte De Vet (Archivi episcopali di Breda),
non numerata.
78 BARAGLI, L'Inter Mirifica. Introduzione... , cit., pp. 137-138; esiste un testo mano
scritto di De Vet per una conferenza stampa (Utrecht, 18 marzo 1963 ), in riferimento a
questa revisione.
3 08 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
4) I laici
5) La perfezione evangelica (proposta a tutti i cristiani). I religiosi
6) Ecumenismo
Soltanto dopo questi capitoli che riguardano l'essere cristiano, l'interno del cristia
nesimo, (verrebbero) i capitoli preparati sulla chiesa e lo stato, la tolleranza ecc ... ».
Si trattava quindi dell'ordinamento, caro à Suenens, del materiale di discussione in
concilio, attorno alla distinzione tra chiesa ad intra e chiesa ad extra. Si può notare come
sui contenuti effettivi Philips fosse di fatto molto reticente. Espressioni come «assestare»
(«aménager») lo schema Tromp sulla questione dei membri della chiesa, certamente cen
trale per l'equilibrio del tutto, denotano una volontà minimale di cambiamento effettivo.
Per la ricostruzione delle varie fasi non del tutto chiare dello schema Philips, in questo
periodo, sono utili J. A. KoMONCHAK, The initial debate about the Church, in Vatican II
commence, pp. 329-3 52 e A. MELLONI, Ecclesiologie al Vaticano II, in Leuven.
4 L. J. SUENENS, Souvenirs et Espérances, Paris 1991, p. 114. E infatti, prima ancora
di iniziare il suo lavoro, Phili ps si fa rilasciare una specie di benestare da parte di Otta-
viani. In F-Philips (P.015.02), si trova infatti un biglietto di Tromp a Philips, datato il
10 ottobre 1962, che dice: <<l-Io appena parlato con sua Eminenza. Giacché la costituzio
ne de Ecclesia non sarà trattata prima di Natale, egli ha ritenuto che Lei possa agire a
sua discrezione». Evidentemente, ancora in tale data (1 O ottobre), né Ottaviani, né
Tromp erano in grado di valutare tutta la forza di aggregazione che avrebbe avuto, nel
campo «avversario», l'iniziativa di Suenens-Philips. Gli eventi delle prime settimane por
ranno ai loro occhi in una luce ben diversa gli aggiustamenti proposti.
5 Con una reazione abbastanza risentita degli «esclusi» domenicani abitanti all'An
gelicum, come Gagnebet e Labourdette: JLbd, 26 ottobre 1962.
312 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
dello schema, già presentato a Congar sei giorni prima, scegliendo uno
dei temi meno spinosi, quello sul quale la mediazione recepita dalla sot-
tocommissione per gli emendamenti (essere cioè dipendente dal vescovo
di Roma solo l'esercizio del potere di giurisdizione) sembrava offrire
una via di accordo praticabile. Sulla base di questa riunione Philips ap-
porta ulteriori correzioni e prende contatto con il card. Bea. Costui, se-
condo Philips, non apporta che correzioni di dettaglio 6 , mentre appare
molto preso dalla questione, centrale per l'ecumenismo, dell' appartenen-
za alla chiesa. Di fatto è questo l'argomento che agita in questo periodo
il segretariato, il quale ha a che fare, come già con il problema dei rap-
porti tra scrittura e tradizione, con una opposizione interna rappresenta-
ta soprattutto dal p. Charles Boyer7 • Philips continua a tessere così la
sua tela, stabilendo rapporti preziosi per formare un consenso, mentre è
il card. Suenens che si preoccupa dell'iter procedurale. Ad un Congar
abbastanza scettico egli dice di aver in progetto di «introdurre il testo
rivisto, congiuntamente al testo ufficiale, seguendo la strada della com-
missione degli affari straordinari»8 • Il 12 novembre comunque Philips fa
pervenire a Tromp il testo corretto del De ecclesia, il quale annota di
non averlo ricevuto dalla commissione preparatoria, «ma da estranei»9 •
Prima di capire in che senso esso poteva tuttavia costituire un'alternati-
va allo schema ufficiale, è bene analizzare quest'ultimo.
Il testo ufficiale 10 , permetteva finalmente agli scontenti di fissare l'av-
6 Bea comunica nello stesso tempo a Philips la strategia del segretariato sulla que
stione de membris, volta a bloccare «rentètement du p. Tromp»: evitare di parlare di
<<membres» e limitarsi ad una descrizione positiva, in ordine discendente, delle diverse
maniere di partecipare alla vita della chiesa: pienamente e secondo tutti gli elementi per
i cattolici santi. in maniera incompleta per i cattolici peccatori, ecc. Q"Cng, 28 ottobre)
7 ST al 31 ottobre 1962: « Ho lavorato su un testo per il vescovo Volk, come com
pletamento di ciò che mi aveva mostrato ieri. Egli aveva scritto qualcosa per il segreta
riato Bea sulla chiesa come frutto della salvezza ed istituzione della salvezza. La provo-
cazione era stata data da una discussione nel segretariato per l'unità dei cristiani, sulla
questione delr appartenenza alla chiesa che si era accesa sul nuovo schema De ecclesia
preparato da Philips. Soprattutto Boyer deve aver fatto opposizione nella questione dei
membri della chiesa. Ciò che ha preparato il vescovo Volk è molto pertinente, ma ha la
difficoltà di offrire un linguaggio desueto e troppo diverso da quello a cui sono abituati
i teologi. E c'è inoltre la difficoltà che i due aspetti della chiesa non sono sufficiente
mente collegati. Io ho scritto per lui in aggiunta qualcosa che va in questa direzione. Si
tratta, a ben guardare, della sostanza dell'intervento di Volk in aula, durante la discus-
sione sul De ecclesia».
B JCng, nota del 6 novembre 1962.
9 TROMP, Relatio n. 4.
10 Il testo apparve come series secunda degli Schemata Constitutionum et decretorum
de quibus dt'sceptabitur in Concilit' sessio'nibus assieme al De beata Maria Virgine. Qui ci-
L'ABBANDONO DELL'ECCLESIOLOGIA CONTROVERSIST A 313
versario. I suoi tratti erano precisi: primato della visibilità (e quindi del-
la figura corporis), determinazione dell,appartenenza ecclesiale sulla base
del riconoscimento dell,autorità del romano pontefice, carattere «fonta-
le» di questa autorità per ogni altra giurisdizione nella chiesa, estensione
massimale dell'oggetto del magistero autentico e infallibile, salvaguardia
rigida del principio di autorità, minimalismo ecumenico nei rapporti con
le altre confessioni cristiane, aggressività sociale nei confronti di ogni al-
tra esperienza religiosa. E c'era poi una esplicita volontà di tutto ab-
bracciare, con la convinzione sottintesa che spettasse appunto alla com-
missione teologica il privilegio e il compito esclusivo di determinare i
principi dottrinali dell'insegnamento conciliare, mentre a tutto «il resto
del mondo» spettava solo di occuparsi degli aspetti disciplinari e pratici.
Si. spiegavano così anche le parti aedicate ai religiosi, ai laici, all'ecume-
ntsmo.
Il testo era articolato in 11 capitoli per complessive 82 pagine a
stampa. Inoltre, accanto alle note, sia il capitolo sui laici sia quello sul
magistero avevano un commentart'us che illustrava le intenzioni dei redat-
tori in un linguaggio ancora più tecnico e scolastico di quello già pesan-
temente impiegato nel testo stesso. L'unità della struttura globale non
era facile da percepire. Mentre infatti i primi capitoli procedevano dalla
determinazione della natura della chiesa (I) e dell'appartenenza alla chie-
sa (Il), alla considerazione dell'episcopato (lii), dei vescovi residenziali
in particolare (IV), degli stati di perfezione (V) e dei laici (VI), al cap.
VII si ritornava, per così dire, indietro, per par lare del magistero della
chiesa (VII), dell'autorità e dell'obbedienza (VIII). Infine nei tre capitoli
finali si parlava dei rapporti tra chiesa e stato, della necessità dell'annun-
cio del Vangelo a tutti i popoli e dell'ecumenismo, senza una chiara suc-
cessione logica, giacché sarebbe stato più ovvio l'ordine inverso.
Il capitolo I, dedicato alla natura della chiesa militante, e quindi con
una precisa scelta che appariva funzionale ad una delimitazione giuridi-
co-societaria dell'argomento, poneva la ragione della istituzione ecclesia-
le nella volontà di Dio di redimere gli uomini non solo singolarmente,
«ma in quanto chiamati da una moltitudine», i quali nella energia (virtu-
te) del capo Cristo fossero non solo «redenti, ma redentori». Cristo tut-
tavia non santifica e governa da solo il popolo di Dio, bensì «mediante
uomini preposti scelti da lui», che ha istituito e ornato degli «uffici del-
1' annunciatore, del sacerdote, del re, da esercitare sotto Pietro». La chie-
teremo da questa edizione. La data del benestare del papa era il 1O novembre 1962. Lo
schema si trova anche in AS V 4, pp. 12 91. Per la ricostruzione delle ultime fasi del te-
sto, prima della sua pubblicazione, cfr. MELLONI, Ecclesiologie... , dt.
314 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
sa non appare cioè come turba dispersa, ma come «schiera serrata» (ut
con/ertum agmen) nell'unità della fede, nella comunione dei sacramenti e
nell'apostolicità del governo. A questo scopo e per questa ragione, per
la chiarezza con cui esprime la dimensione sociale assieme a quella mi-
stica, fra tutte le figure con cui Cristo e gli apostoli hanno rappresentato
la chiesa, è l'immagine del corpo che acquista un privilegio assoluto:
«principem locum figura corporis tenet». L'ecclesiologia societaria e
controversistica di bellarminiana memoria diventava quindi il criterio di
un'ermeneutica biblica capace di far emergere una immagine su tutte le
altre. Il testo si impegnava altresì in una «analisi (enucleatio) della figura
del corpo»: visibilità (oculis cernitur); connessione tra membra disuguali
(e quindi dimensione socio-giuridica); vitalità (raffigurata anche nell'im-
magine della vite e dei tralci); unità mistico-personale (con accenni quasi
monofisitici, per cui Cristo è il capo e lo Spirito è l'anima della chiesa);
intangibilità della santità essenziale, costituita dai mezzi di grazia ogget-
tivamente posseduti dalla chiesa, nonostante il peccato dei singoli. La
chiesa veniva quindi assimilata per analogia al Verbo incarnato, giacché
la dimensione societaria visibile e il corpo mistico di Cristo non costitui-
scono due realtà, ma una soltanto «che si mostra in sembianza umana e
divina». E che l'identificazione tra chiesa cattolica romana e corpo mi-
stico di Cristo fosse l'intenzione ultima del testo, veniva sancito attraver-
so la formula definitoria finale del capitolo: il concilio «insegna e pro-
fessa solennemente che non esiste se non l'unica, vera chiesa di Gesù
Cristo, cioè quella che nel simbolo esaltiamo come una, santa, cattolica
e apostolica [... ] e che (Cristo) dopo la sua risurrezione affidò al gover-
no di S. Pietro e dei suoi successori; perciò il nome di chiesa spetta di
diritto solo a quella cattolica romana».
Il II capitolo collegava la questione dei membri della chiesa militan-
te alla necessità di questa per la salvezza. Nessuno può salvarsi se non è
membro della chiesa o se non è ordinato ad essa <<Voto». «V ere et pro-
prie>> sono membri della chiesa soltanto i battezzati che professano la
vera fede, riconoscono l'autorità del papa e non si sono separati dal cor-
po mistico a causa di delitti gravissimi (cioè, sembra intendere, quei de-
litti che meritano la scomunica). «Sono orientati col desiderio» (ordinan-
tur voto) alla chiesa non solo i catecumeni, ma tutti coloro che cercano
sinceramente la volontà di Dio. Così la condizione dei catecumeni veni-
va equiparata a quella dei non cristiani. La condizione dei cristiani «se-
parati» veniva invece qualificata con notevole ambiguità: «coloro che
non professano la vera fede o (vel) l'unità di comunione sotto il romano
pontefice, ma la (ea) bramano anche se con desiderio inconsapevole>>11 •
11 Il testo non è chiaro. Difficile stabilire infatti se quell' «ea» rappresenti un refuso
L'ABBANDONO DELL'ECCLESIOLOGIA CONTROVERSISTA 315
nenti, perché coloro che osservano questa legge costituissero «uno stato
per acquistare la perfezione e una porzione eletta del corpo mistico di
Cristo». Lo stato di pet.fezione non è uno stato intermedio tra la condi-
zione clericale e quella laicale, ma può essere comune ad ambedue. Ma
soprattutto veniva sottolineato come fosse la consistenza pubblica del le-
game a determinare la qualità dello stato di perfezione. Infatti l'osser-
vanza dei consigli per sua natura è migliore se fatta in forza di un voto
invece che di una promessa, con un impegno perpetuo anziché tempo-
raneo. Perciò viene condannata la posizione di quanti vogliono sminuire
l'obbligo assunto davanti a Dio e alla chiesa, o sostengono che lo stato
di perfezione impedisce o sminuisce la formazione della personalità. E
così come spetta alla gerarchia giudicare le modalità della vita consacra-
ta alla perfezione, anche il papa, in forza del suo primato universale,
può sottrarre alla giurisdizione dei vescovi qualsiasi istituto di perfezione
e i suoi singoli membri. In questa maniera il documento intendeva codi-
ficare per sempre, legandola ad una visione universalistica e centralizzata
della chiesa, la concezione che della vita religiosa si era sviluppata nella
chiesa latina a partire dalla riforma gregoriana dell'XI secolo.
Dopo i religiosi, in un progressivo allontanamento dal centro gerar-
chico, il capitolo VI veniva dedicato ai laici. Si trattava forse del capito-
lo nel quale, pur con tutte le carenze, venivano maggiormente recepite
le istanze della maturazione ecclesiale del XX secolo. Si sottolineava la
responsabilità e il dovere di tutti i fedeli per la realizzazione del propo-
sito divino di salvezza nel mondo. Si faceva menzione del sacerdozio
universale dei fedeli, anche se si accentuava che nel corpo di Cristo ci
sono sacerdoti «con titolo specifico» (proprit' nominis), i quali offrono al
popolo i mezzi di salvezza e in persona Chrtsti proferiscono le parole
della consacrazione eucaristica. Restava cioè alla fine una visione forte-
mente dicotomica e negativa della condizione comune dei cristiani, che
non sono stati chiamati né all'ordine gerarchico, né ad uno stato religio-
so sancito dalla chiesa. Come risultato della riflessione teologica e del-
1' esperienza dei decenni passati si ribadiva tuttavia il valore dell'impegno
mondano: i laici erano coloro che, pur non essendo né chierici, né reli-
giosi, debbono tuttavia raggiungere la santità cristiana «anche mediante
le attività secolari», anzi con la loro vocazione cristiana santificano, per
così dire, il mondo dal di dentro. Il numero 23 enumerava anche i dirit-
ti e i doveri dei laici, in una prospettiva soprattutto sacramentale che
costituiva la parte più felice del documento. L'apostolato proprio ai laici
veniva inoltre determinato soprattutto nella sua matrice religiosa, come
modo specifico di evangelizzazione e santificazione. Veniva accennato
fugacemente alla vicendevole santificazione dei coniugi «per la forza del
sacramento». Inoltre, come compito specifico dei laici, veniva richiamata
318 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE
Nella nota relativa si rimandava alla formulazione che dell'oggetto secondario del
12
magistero autentico aveva fatto il vescovo Gasser al Vaticano I: MANSI 52, p. 1226. Il ri-
mando era tuttavia poco preciso, perché si ometteva di ricordare una precisazione di
Gasser. Definendo in quel modo l'oggetto secondario del magistero infallibile, egli infat
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