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Storia del concilio

Vaticano II
diretta da Giuseppe Alberigo

Volume 2

La formazione della coscienza conciliare


Il primo periodo e la prima intersessione
ottobre 1962 - settembre 1963

Giuseppe Alberigo
Gerald Fogarty
Jan Grootaers
Mathijs Lamberigts
Hilari Raguer
Andrea Riccardi
Giuseppe Ruggieri

Edizione italiana a cura di Alberto Melloni

SOCIETÀ EDITRICE IL MULINO


ISBN 88 15·05654 8

Copyright © 1996 by Società editrice il Mulino, Bologna. È vietata la riproduzione, an


che parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno
o didattico, non autorizzata.
Indice

,J

Premessa, di Giuseppe Alberigo p. 11

Abbreviazioni e fonti 15

I. La tumultuosa apertura dei lavori 21


1. La vigilia. 2. L'apertura. - 3. La straordinaria seconda giornata del
Vaticano II. 4. Le commissioni conciliari. 5. Messaggi, programmi e
piani. - 6. Organi di direzione e funzioni.
[Andrea Riccardt]

II. L'avvio de11' assemblea 87


1. I primi contatti tra i vescovi e tra i teologi. - 2. La crisi dei missili a
Cuba: una iniziativa papale per il mondo. 3. La salute del papa.
[Gerald Fogarty]

III. Il dibattito sulla liturgia 129


1. Introduzione. 2. Verso il rinnovamento liturgico. - 3. I diritti delle
conferenze episcopali e l'uso del volgare. - 4. Comunione sotto le due
specie e concelebrazione. - 5. Sacramenti e sacramentali. - 6. Tensione
tra preghiera e azione. - 7. Una conclusione nel caos. 8. Le altre atti
vità della commissione liturgica. 9. Primi voti.
[Mathijs Lamberigts]

IV. Fisionomia iniziale dell'assemblea 193


1. Composizione dell'assemblea. - 2. Le conferenze episcopali. - 3. For
6 INDICE

mazione di gruppi informali. 4. L'informazione. 5. La sinergia con il


popolo di Dio.
[Hilari Raguer]

V. Il primo conflitto dottrinale p. 259


1. Uno schema contestato. 2. Vigilia di lotta. 3. Discutendo del De
fontibus: la scelta conciliare per la pastoralità della dottrina.
[Giuseppe Ruggien]

VI. Una pausa: i mezzi di comunicazione sociale 295


1. Presentazione dello schema. 2. La discussione in aula. 3 . La riela
borazione in commissione.
[Mathijs Lamberigts]

VII. Il difficile abbandono dell'ecclesiologia controversista 309


1. <<Auctoritas ante omnia et super omnia». 2. «Ce que nous atten
dons et espérons». 3. La giornata melkita. 4. Il futuro del concilio. -
5. Le resistenze del passato.
[Giuseppe Ruggiert]

VIII. Il concilio
. .si gioca nell'intervallo.
. La «seconda preparazio-
ne» e 1 suol avvversar1 385
1. Incertezze e confusione. 2. La commissione di coordinamento. - 3.
Le commissioni conciliari al lavoro. 4. Dal concilio al conclave. - 5.
Dal conclave al concilio. 6. I risultati ottenuti in mezzo alle tensioni.
[Jan Grootaers]

IX. Flussi e riflussi tra due stagioni 559


1. Riflusso a cerchi concentrici. 2. Il movimento ecumenico: un disor
dine promettente. 3.- L'informazione sotto l'effetto boomerang. 4.
Una nuova politica verso l'Est.
[Jan Grootaers]

X. «Imparare da sé». L'esperienza conciliare 613


1. Accettare la preparazione? 2. Alla ricerca di una identità. 3. Dalla
INDICE 7

prima alla seconda preparazione. - 4. Il rodaggio dell'esperienza conci


liare. - 5. Da Giovanni a Paolo. 6. La chiesa in stato di concilio. 7.
Verso quale futuro? - 8. Otto settimane inutili?
[Giuseppe Alberigo]

Indici p. 635
Indice dei nomi. Indice tematico. Indice sommario. Pianta dd
l'Aula conciliare. - Pianta di Roma.
Premessa
Premessa

Con questo volume la Storia del concilio Vaticano II entra nel vivo
dello svolgimento dell'evento conci1iare. Anche i criteri storiografici di
ricostruzione e quelli letterari di esposizione hanno dovuto subire un
profondo adeguamento rispetto a quelli usati per il volume sulla prepa-
razione. Infatti il lavoro pre-conci1iare degli anni 1959-1962 si è svolto
secondo modalità ordinate e quasi schematiche nell'ambito delle singole
commissioni preparatorie e, poi, della Commissione centrale. Invece la
vita della grande assemblea conci1iare è stata caratterizzata da ritmi
complessi, dall'accavallarsi di argomenti, istanze, sentimenti che rimbal-
zavano - talora vorticosamente - tra l'assemblea plenaria, le commissio-
ni, il papa, gli osservatori, i gruppi informali, le grandi residenze dei ve-
scovi, i centri di informazione, la stampa e l'opinione pubblica.
L'impegno di offrire una conoscenza adeguata della composizione di
un fenomeno collettivo di proporzioni del tutto inusuali e la fedeltà allo
svolgimento quotidiano dei lavori conci1iari hanno posto problemi consi-
derevoli. Infatti si è ritenuto di privilegiare l'effettivo dipanarsi dell'espe-
rienza assembleare, anche nelle sue innegabi1i tortuosità, rispetto a una
ricostruzione tematica, sicuramente più lineare, ma anche meno rispetto-
sa della concretezza dell'evento.
Anche per questo volume è stato possibile realizzare un'ampia e fe-
conda collaborazione internazionale sia durante le ricerche preparatorie
e i dibattiti relativi, che nella costruzione della narrazione (anche se,
sfortunatamente, non è stata disponibile una collaborazione tedesca). Le
differenze tra i punti di vista dei collaboratori sono state rispettate e co-
stituiscono un pregio dell'opera.
I singoli capitoli sono dovuti rispettivamente: il I a Andrea Riccardi,
Roma; il II a Gerald Fogarty, Charlottsville (trad. dall'inglese: Simona To-
schi); il III e il VI a Mathijs Lamberigts, Leuven (trad. dall'inglese: Massi-
mo Faggioli); il IV a Hilari Raguer, Montserrat (trad. dal castigliano: Loris
Zanatta); il V e il VII a Giuseppe Ruggieri, Catania; l'VIII e il IX a Jan
Grootaers, Leuven (trad. dal francese: Marcello Malpensa); chi scrive ha
redatto l'ultimo capitolo, oltre a sovraintendere al coordinamento generale.
12 PREMESSA

È continuata l'acquisizione di documentazione inedita sullo svolgi-


mento del concilio, proveniente da numerosi partecipanti - sia padri, sia
periti o osservatori-, documentazione raccolta e classificata presso l'Isti-
tuto per le scienze religiose a Bologna. Nel medesimo tempo sono stati
pubblicati inventari di diversi fondi documentari, mentre è presso che
conclusa la titanica impresa di mons. V. Carbone di edizione delle fonti
ufficiali relative ai lavori nelle congregazioni generali e al funzionamento
degli organi di direzione.
È appunto valorizzando queste nuove occasioni di accesso che è sta-
to possibile trascendere le narrazioni cronachistiche e offrire una cono-
scenza pluridimensionale dell'evento conciliare, sinora impossibile. Una
conoscenza cioè che tiene conto dei molteplici livelli dell'evento stesso.
Accanto all'imponente documentazione relativa alle Congregazioni gene-
rali e agli organi direttivi (presidenza, segretariato per gli affari extra or-
dinem, commissione di coordinamento, moderatori), i diari, i verbali dei
lavori di commissione piuttosto che gli appunti su incontri di gruppi in-
formali, il materiale informativo fatto circolare ai margini del concilio
o la corrispondenza scambiata, soprattutto durante l'intersessione, sono
fonti irrinunciabili (una sommaria informazione a questo proposito è di-
sponibile nell'apposito excursus). Proprio per quanto riguarda la forma-
zione degli orientamenti e la redazione dei testi la disponibilità di tali
fonti è stata decisiva per superare la meccanica rappresentazione del Va-
ticano II come una successione di dibattiti in congregazione generale,
conclusi dalle votazioni delle decisioni ufficiali.
Solo così è possibile seguire passo passo le evoluzioni conciliari, sop-
pesare gli influssi che le hanno determinate, rendersi 1conto dell'enorme
ebollizione di idee che si è verificata non solo durante il periodo di la-
voro dell'assemblea, ma anche - e non meno - durante la lunga e deter-
minante sospensione dell'intersessione.
Il primo volume ha sorpreso qualche lettore per la ininterrotta stori-
cizzazione dell'evento conciliare. Effettivamente ci è parso che la fedeltà
al metodo storico-critico dovesse essere perseguita anche e soprattutto
in un caso come questo, quando cioè oggetto della ricostruzione storica
è un evento che, per sua natura, rivendica una dimensione meta-raziona-
le: l'ispirazione da parte dello Spirito. Siamo convinti che una rigorosa
storicizzazione non contraddica né emargini tale dimensione, anzi - se
mai - la rispetti più e meglio di qualche pia storia «addomesticata».

Il primo volume è apparso in lingua italiana (Il Mulino, Bologna), in


lingua inglese (Orbis Books, Maryknoll), in lingua portoghese (Vozes,
Petropolis); è in stampa l'edizione in lingua tedesca (Griinewald, Mainz)
e in lingua francese (Cerf, Paris), sono in via di definizione l'edizione in
PREMESSA 13

lingua polacca e in lingua spagnola; Peeters di Leuven ha coordinato


tutte le edizioni. L'accoglienza nelle diverse aree culturali e linguistiche
è stata molto cordiale e incoraggiante, a iniziare dalla presentazione
pubblica dell'impresa, svoltasi a Roma il 1° dicembre 1995. Il 2 dicem-
bre, infine, è stato possibile ai collaboratori - accompagnati dagli editori
- fare omaggio del primo volume a Giovanni Paolo II nel corso di
un'udienza privata.
Le ricerche che stanno alla base di questa storia del concilio sono
state finanziate nel corso degli anni dalla. Rothko Cha pel e dalla Menil
Foundation,
. . Houston Tx, e da altri enti ed istituzioni a cui va la più
sincera riconoscenza.

Bologna, 3 giugno 1996

Giuseppe Alberigo
Abbreviazioni e fonti

.')

«AAS» = «Acta Apostolicae Sedis», Città del Vaticano


ACO = Archives du Conseil Oecumenique des Eglises, Géneve
ACUA - Archives of Catholic University of America, Washington
AD I/ = Acta et documenta concilio oecumenico Vaticano II apparandoJ
series I (antepraeparatoria), Typis Pol Vaticanis 1960 1961
AD II/ - Acta et documenta concilio oecumenico Vaticano II apparando,
series II (praeparatoria), Typis Pol. Vaticanis 1964 1995
Agende = A.G. Roncalli, Agende 1936-1963, inedite
AS - Acta Synodalia sacrosancti conci/ii oecumenici Vaticani II, Typis
Pol Vaticanis 1970 1980
Attese = Il Vaticano II fra attese e celebrazione, a cura di G. Alberig<?,
Bologna 1995
BPR Biblioteca de Pesquisa Religiosa CSSR, Sao Paulo do Brasil
CAPRII.E - G. Caprile, Il concilio Vaticano II, 5 vv., Roma 1966 1968
CAVATERRA = E. Cavaterra, Il prefetto del S. O/là.io. Le opere e i giorni del
card. Ottaviani, Milano 1990
ccv = Centrum voor Concilestudie Vaticanum Il, Faculteit der God
geleerdheid, Katholieke Universiteit te Leuven
«CivCat» = «La Civiltà Cattolica», Roma
CLG - Centre «Lumen Gentium» de Théologie, Université Catholi
que de Louvain, Louvain La Neuve
CNPL - Centre N ational de Pastoral Liturgique, Paris
COD = Conciliorum Oecumenicorum Decreta, ed. Istituto per le Scien
ze Religiose, Bologna 1973
«CrSt» = «Cristianesimo nella Storia», Bologna
«DC» - «Documentation Catholique», Paris
Deuxième - Le deuxième conci/e du Vatican (1959-1965), Roma 1989
DMC - Discorsi Messaggi Colloqui del S. Padre Giovanni XXIII, 6 vv.,
Città del Vaticano 1960-1967
DFnt Journal J. Fenton, New York
DFlo = Diario E. Florit, Firenze
DSri = Diario G. Siri, edito in B. Lai, Il papa non eletto. G. Siri cardi
nal di S. Romana Chiesa, Roma Bari 1993, pp. 301 403
DTcc = Diario R. Tucci, Roma
DUrb = Diario G. Urbani, Venezia
16 ABBREVIAZIONI E FONTI

GDA = A.G. Roncalli Giovanni XXIII, Il Giornale dell'anima, a cura


di A. Melloni, Bologna 1989
Glaube im Prozess = Glaube im Prozess. Christsein nach dem II. Vatikanum. Fiir K.
Rahner, hrsg. E. Klinger K. Wittstadt, Freiburg Basel-Wien 1984
«ICI» = «lnformations Catholiques Internationales», Paris
IdP = Insegnamenti di Paolo VI, 16 voli., Città del Vaticano 1964-
1978
Igreia = A Igreia latino-americana às vésperas do concilio. Hist6ria do
Concilio Ecumenico Vaticano 11, a cura di J.O. Beozzo, Sao
Paulo 1993
INDELICATO = A. Indelicato, Difendere la dottrina o annunciare l'evangelo. Il
dibattito nella Commissione centrale preparaton·a del Vaticano
11, Genova 1992 ·
ISR - Istituto per le Scienze Religiose, Bologna
JCng = Joumal Y.M. J. Congar, Paris
JDpt = Journal J. Dupont, Louvain la Neuve
JEdb = Journal N. Edelby, Alep (trad. it. a cura di R Cannelli, Cini-
sello B. 1996)
JLbd = Joumal M.M. Labourdette, Tolouse
Leuven = Les cdmmissions à Vatican II. Colloque de Leuven et Louvain
la-Neuve, a cura di J. Famerée, J. Grootaers, M. Lamberigts,
Cl. Soetens, Leuven 1996
MANSI = Sacrorum Conciliorum amplissima collectio, t. 32, G.D. Mansi
Moscou = Vatican 1I à Moscou. Actes du colloque de Moscou, 1995,
Moscwa Leuven 1996
NChn = M.D. Chenu, Note quotidiane al Concilio. Diario del Vaticano
II. 1962-1963, ed. e intr. di A. Melloni, Bologna 1996
«OssRom» «L'Osservatore Romano»
S/Vl - Storia del Concilio Vaticano II. Voi. 1: Il cattolicesimo verso
una nuova stagione. L'annuncio e la preparazione, dir. G. Albe
rigo, Bologna 1995
S. Paulo = O Concilio vaticano 11: as contribuiç6es das Con/erencias Epi-
scopais latino-americanas e caribenhas às quatro sessoes (1962-
1965) e momentos decisivos da llI sessio do Concilio, volume
III 3 de Cristianismo na America Latina: Hist6ria, Debates,
Perspectivas, Petr6polis 1996
ST Tagebuch O. Semmelroth, Frankfurt a.M.
Storicizzazione Per la storidzzazione del Vaticano 11, a cura di G. Alberigo-A.
Melloni, Bologna 1992
Vatican lI commence = Vatican 1I commence... Approches Francophones, éd. É. Fouil
loux, Leuven 1993
VCND = Vatican II Collection, Theodore M. Hesburg Library at the
University of Notre Dame, Indiana
Veille = A la Veille du Conale Vatican II. Vota et Réactions en Europe
et dans le Catholicisme orientai, edd. M Lamberigts Cl. Soe
tens, Leuven 1992
ABBREVIAZIONI E FONTI 17

Verso il concilio Verso il concilio Vaticano Il (1960-1962). Passaggi e problemi


della preparazione conciliare, a cura di G. Alberigo A. Melloni,
Genova 1993
Vìsperas = Cristianismo e iglesias de Amén'ca Latina en vìsperas del Vati
cano 11, ed. J.O. Beozzo, Costa Rica 1992
Wurzburg = Der Beitrag der deutschsprachigen und osteuropiiischen Iiinder
zum zweiten vatikanischen Konzil, hrsg. K. Wittstadt W. Ver
schooten, Leuven 1996

Le riviste sono indicate secondo la Abkurzungsverzeichnis della Theologische Realen-


zyklopiidie, Berlin New York 1976.

FONTI E ARCHM

Nel corso delle ricerche sulla storia del concilio si sono cercati e ottenuti numerosi ac
cessi a fondi privati dei partecipanti a vario titolo al Vaticano II: queste carte integrano
e completano i documenti deffArchivio del concilio Vaticano II voluto da Paolo VI come
entità distinta dall'Archivio segreto Vaticano ed aperta agli studiosi, per lo zelo di V.
Carbone. Un uso sistematico di tali fonti è stato fatto nei numerosi studi, nelle mono-
grafie e nei colloqui che preparano e corredano questi volumi di «Storia del concilio» -
e di cui si trova un censimento analitico sia in J. FAMERÉE, Vers une histoire du Conci/e
Vaticano 11, in «Rlffi>> 89 (1994), pp. 638 641, sia in A GREILER, Ein internationales
Forschungsprojekt zur Geschichte des Zweitens Vatikanums, in Zeugnis und Dialog. Die
katholische Kirche in der neuzeitlichen Welt und das II. Vatikanische Konzil. Klaus Witt-
stadt zum 60. Geburstag, hrsg. W. WeiB, Wiirzburg 1996, pp. 571-578.

Vengono in particolar modo utilizzati in questo volume i documenti raccolti (ora in ori
ginale, ora in copia) presso gli archivi di alcuni centri di ricercal. Inoltre alcune bibliote
che, case religiose, famiglie hanno dato accesso, con differenti limitazioni, a documenta
zio ne particolarmente preziosa2.

1 Archivi dell'Istituto per le scienze religiose di Bologna; Biblioteca de Pesquisa Re


ligiosa CSSR, Sao Paulo do Brasi!; Centre «Lumen Gentium» de Théologie, Université
Catholique de Louvain, Louvain-La-Neuve; Centrum voor Concilestudie Vaticanum II,
Faculteit der Godgeleerdheid, Katholieke Universiteit Leuven; Vatican II Collection Ar
chives of the Catholic University of America, Washington DC; Vatican II Collection,
Theodore M. Hesburgh Library at the University of Notre Dame, Indiana. Per i rinvii
cfr. l'elenco delle abbreviazioni.
2 Segnatamente sono state utilizzate carte e diari conservati presso: Archivio del-
!'Arcidiocesi di Firenze; Archives de la Prov. de France SJ, Vanves; Berchmanskolleg,
Miinchen; Bibliothèque du Saulchoir, Paris; Civiltà Cattolica, Roma; Couvent St Jac
ques, Paris; Domarchiv, Koln; Erzbischofarchiv, Mainz; Institut Catholique, Paris; Insti-
tut fiir Liturgiewissenschaft der Universitat Innsbruck; Pontificio Collegio Angelicum,
Roma; Pontificium Consi~um pro Laicis, Roma; Sankt Georgen Haus, Frankfurt a.M.
18 ABBREVIAZIONI E FONTI

FONTI INEDITE DIARI

Nelle ricerche si sono altresì resi disponibili vari diari, sui cui caratteri si veda A. MEL-
LONI, I diari nella storia dei condii, in M. D. CHENU, Note quotidiane al Concilio. Diario
del Vaticano II. 1962-1963, Bologna 1996. In modo particolare vengono utilizzati in que
sto volume i diari di alcuni padri e periti3.
I documenti inediti ricavati da fondi privati4 o personali recano prima de1la segnatura o
della identificazione cronologica la lettera F, seguita dal cognome del titolare del fondo
(es.: F-Stransky).
Un elenco della collocazione dei fondi citati si trova in appendice al vol. Verso il Vatica-
no II; una lista aggiornata, curata da G. Turbanti, è a disposizione degli studiosi presso
l'archivio dell'Istituto per le scienze religiose a Bologna ed è in stampa.
Le traduzioni sono segnalate in nota.

3J. Fenton, New York; E. Florit, Firenze; G. Siri, edito in B. LAI, Il papa non elet
to. Giuseppe Siri cardinale di Santa Romana Chiesa, Roma-Bari 1993; R Tucci, Roma;
Y.M.J. Congar, Paris; M.M. Labourdette, Tolouse; J. Jungmann, Innsbruck; N. Edelby,
Alep, edito iti tr. italiana in N. EDELBY, Il Vaticano II nel diario di un vescovo arabo, a
cura di R. Cannelli, Cinisello B. 1996; M. D. Chenu, Paris edito in M. D. CHENU, Notes
quotidiennes au Conci/e, éd. et intr. par A Melloni, Paris 1995; O. Semmelroth, Miin-
chen.
4 Ha utilizzato carte personali J an Grootaers, Bruxelles; la famiglia di G. Urbani ha
consentito l'accesso alle carte dello scomparso cardinale.
Storia del concilio Vaticano II

La formazione
della coscienza conciliare
Capitolo primo

La tumultuosa apertura dei lavori

1. La vigilia

Il concilio era una realtà che non rièntrava più nell'esperienza della
chiesa cattolica. I ricordi del Vaticano I, un'assise così particolare nel
novero dei concili, erano ormai qualcosa di remoto. L'attesa del nuovo
evento era grande quanto l'inesperienza delle dinamiche e della portata
di un concilio. Le memorie dei padri conciliari annotano unanimemente
un diffuso senso di attesa. L'opinione pubblica cattolica vive un'aspetta-
tiva dai contenuti sfumati: le riunioni di preghiera nelle singole diocesi e
i documenti dei vescovi per i loro fedeli confermano la sensazione che
sta per darsi un evento maggiore nella vita della chiesa cattolica. Indi-
pendentemente dal ruolo avuto nella preparazione e dal giudizio sul
prodotto che aveva raggiunto la periferia della chiesa nell'estate, nem-
meno i futuri protagonisti del concilio - circa 2.500 vescovi, che ne
sono membri, decine di teologi, moltissimi addetti dell'informazione1 -
hanno chiaro cosa sta per accadere.
Un cardinale autorevole negli anni di Pio XII, Giuseppe Siri, arcive-
scovo di Genova, vede avvicinarsi l'avvenimento conciliare con preoccu-
pazione: teme la complessità dei lavori e la logica assembleare. Le dina-
miche di un'assemblea così grande gli sembrano rischiose per la loro ca-
pacità di produrre conflitti e confusioni in contrasto con quella chia-
rezza e semplicità che auspica per il cattolicesimo nel mondo moderno.
I vescovi francesi e tedeschi sono tra i maggiori agenti di una possibile
«confusione»: «non hanno mai eliminato del tutto - annota - la pressio-
ne protestantica e la Prammatica Sanzione. Bravissima gente, ma non
sanno di essere portatori di una storia sbagliata». Una visione equilibra-
ta della storia e del futuro si può avere - secondo un'antica tradizione
romana di governo - solo dal centro della chiesa. Infatti il card. Siri

1 Cfr.]. GROOTAERS, Informe/le Strukturen der In/ormation am Vatikanum, in Bioto-


pe der Ho/fnung zu Christentum und Kirche beute, Olton 1988, pp. 268-281.
22 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

pensa che «la parte degli italiani - dei latini -, con quella della Curia,
debba essere dirimente, sia per colmare dei vuoti, sia per correggere er-
rori di rotta». E conclude: «la calma di Roma setvirà».
Ma Roma non è calma e soprattutto non ha una visione unica ri-
guardo allo svolgimento del Vaticano II: per non pochi il concilio è sen-
tito come un__ rischio e il possibile bacino di sviluppo per le pressioni
centrifughe. E la posizione degli uomini di Pio XII, come Siri, eco di
quella assunta nella valutazione di una possibile celebrazione conciliare
studiata alla fine degli anni Quaranta. Ma non tutti condividono questo
timore; alcuni hanno una certa fiducia; altri hanno ricevuto con rispetto
l'iniziativa di Giovanni XXIII e sentono rivivere l'antica tradizione con-
ciliare. Costoro - ed è la posizione di un funzionario, come il segretario
della conferenza episcopale italiana, Castelli - temono un eccesso di
protagonismo della curia, che svuoti la libertà dei padri2. Il clima a
Roma è di incertezza. Al contrario, fin dai lavori preparatori alcuni car-
dinali di curia, tra cui Confalonieri e Cicognani, hanno mostrato la loro
volontà di assecondare l'evento conciliare voluto da Giovanni XXIII.
Per loro, tuttavia, l'imponente numero di pagine di schemi - sia quelli
spediti, che quelli ancora da perfezionare - offre i binari sicuri per uno
svolgimento rapido del Vaticano II e per evitare processi centrifughi.

1.1. Il timore di deludere il mondo

Al conti-ario, fuori dalla cerchia romana, prevale la preoccupazione,


anzi il pessimismo, sul materiale che deve andare al giudizio dei vescovi.
Chenu incontra Kiing e lo trova cupo3; egli stesso è molto negativo. Da-
niélou si esprime in maniera severa contro «gli schemi dottrinali, im pe-
gnati in discussioni di scuola, sprovvisti di ogni prospettiva evangelica e
di ogni senso delle istanze di questo tempo». Il disagio di Congar è
quasi fisico; Rahner non vede nulla di salvabile; per Ratzinger il materia-
le preparatorio non ha alcuna capacità di parlare alla chiesa. Schillebee-
ckx non è meno tenero4 • De Lubac non vede spazi di intervento. Persi-
no Philips, Colombo e Congar, che avevano fatto parte della commissio-
ne teologica, non hanno ancora scelto una via di azione. Non si tratta
solamente della preoccupazione che il Vaticano II sia un concilio ceri-

2DSri 11 ottobre 1962, p. 357.


3Cfr. NChn, p. 64.
4CTr. J.A. BROUWERS, Vreugde en hoopvolle verwachting. V aticanum II. Terugblick
van een ooggetuige, Baam 1989.
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 23

moniale destinato a ratificare quanto è stato fabbricato dalle commissio-


ni, quasi un evento inutile. Il timore è più profondo: il concilio rischia
di impantanarsi in un niente di fatto innanzi alle attese dei fedeli, delle
altre comunità cristiane e dell'opinione pubblica. Anche a partire dal-
1' esperienza delle grandi assemblee parlamentari e costituenti, ci si chie-
de come potrà funzionare un concilio, come potrà produrre documenti,
quale immagine darà al mondo. Il concilio, infatti, è una realtà antica
nella storia della chiesa, ma rappresenta anche un fatto nuovo ed
un'esperienza inedita.
Nell'analisi di Congar la vigilia dell'apertura è segnata dalla «impre-
parazione». Che immagine dare al mondo? I giornalisti sono piuttosto
preoccupati: « ... ci sono 700 giornalisti furiosi, perché si sono preparati
per loro locali épatants, con macchine assai perfezionate, ma non si dice
loro niente» - osserva il teologo francese 5• Mai un evento della chiesa
cattolica, con la sola eccezione della morte o dell'elezione degli ultimi
papi, ha ricevuto tanta attenzione da parte della stampa. Questa atten-
zione è, per molti, l'espressione di un'attesa larg~ rivolta alla chiesa di
Roma e al suo concilio. Non bisogna deluderla. E sicuramente il frutto
del pontificato di Giovanni XXIII e della. rinnovata simpatia verso la
chiesa di Roma. Ma si tratta pure dell'interesse verso un'esperienza, che
la chiesa e il mondo del Novecento non hanno mai vissuto. Dopo anni
pesanti di guerra fredda, mentre si profila una stagione di distensione,
che cosa può significare una riunione di tanti vescovi di ogni parte del
mondo a Roma sotto la guida di questo papa «straordinario», qual è
Giovanni XXIII?
Chenu, cogliendo questa corrente di attesa e di simpatia verso il Va-
ticano II, ipotizza un messaggio del concilio agli uomini:
Mi è venuta l idea che una dichiarazione iniziale del Concilio, un «messaggio» a tut
1

ti gli uomini, cristiani o non, per enunciare gli scopi e l'ispirazione dell'Assemblea, in
una prospettiva missionaria e con la dimensione dei problemi della congiuntura attuale
del mondo, risponderebbe efficacemente all'attesa simpatetica di tutti - che sarebbero
sconcertati da un avvio immediatamente comandato da deliberazioni teoriche e da de-
nunce di tendenze erronee6.

L'idea alla quale egli dà corpo è condivisa e forse ipotizzata in termini


non dissimili anche da altri; ma è Chenu che la carica di un significato
forte. Per lui si stanno manifestando due concezioni del concilio: <<l'ispi-
razione del papa» e «i lavori dottrinali della commissione teologica».

5 ]Cng 10 ottobre 1962, ds p. 68.


6 Cfr. NChn, pp. 60 61.
24 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

1.2. A Roma perché chiamati

In realtà non molti sono consapevoli di questa alternativa. Per la


maggior parte dei padri conciliari si viene a Roma, perché chiamati da
Giovanni XXIII: non esiste l'abitudine a considerarsi protagonisti delle
grandi decisioni della chiesa, come un concilio sembra richiedere a tutti
i suoi membri. Certo alcuni vescovi hanno alle loro spalle l'esperienza
delle conferenze episcopali, una esperienza che oggettivamente accomu-
na l'assemblea dei cardinali e arcivescovi di Francia, la conferenza dei
vescovi tedeschi, gli episcopati più disparati: dal Brasile alla Polonia, da-
gli Stati Uniti al Sud Africa, dall'Argentina alle Filippine. Ma non tutti
condividono questa esperienza e certamente non si è riflettuto sull'ap-
porto che si può dare al concilio.
L'episcopato italiano (quello che circonda la S. Sede, e che costitui-
sce il gruppo più numeroso dell'assemblea conciliare) non si è mai costi-
tuito in conferenza episcopale nazionale, né ha mai tenuto una assem-
blea plenaria; da soli dieci anni i presidenti delle conferenze regionali
italiane si riuniscono periodicamente sotto la direzione del cardinale
Siri. Né funziona come precedente l'esperienza di qualche grande assise
mondiale dei vescovi, come quelle dei congressi eucaristici, dell'Anno
Santo del 1950 o quella tenutasi per la proclamazione dogmatica dell'as-
sunzione di Maria7 .
Grande attesa, grande impreparazione, poca esperienza: e per di più
fra i vescovi è consueto - nonostante l'insofferenza emersa in qualcuno
dei vota - l'atteggiamento di fondo che delega a Roma le causae maiores,
perché si ritiene davvero che a Roma si vedano meglio e con più ampiezza
i problemi generali della chiesa. Eppure è Roma, è il papa che ha voluto
chiamare a concilio i vescovi ...

1.3. Attese dei vescovi e messaggio del papa

Che cosa vuol dire vivere il concilio per un singolo vescovo che giunge
a Roma nella prima decade dell'ottobre 1962? È rilevante il primo impat-
to dei vescovi con gli altri presuli, con una Roma conciliare inedita rispet-
to alle precedenti conoscenze che i padri possono aver avuto della città e
della curia. Un mese prima dell'apertura del Vaticano II, Giovanni XXIII

7 Cfr. A. RrccARDI, Il potere del papa da Pio XII a Giovanni Paolo II, Roma-Bari
1992; sull'episcopato italiano, cfr. F. SPORTELLI, La Conferenza Episcopale Italiana (1952-
1972), Galatina 1994.
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 25

si era rivolto ai fedeli di tutto il mondo con un radiomessaggio. Il papa era


stato stimolato da alcune note molto preoccupate, ricevute da cardinali
spaventati dall'idea di un rapido concilio, molto cerimoniale e di condan-
na8. Nel discorso aveva parlato di «grande aspettazione del concilio ecu-
menico». Per i vescovi che venivano a Roma quel concilio era - secondo
la parola di papa Giovanni - una via per rinnovare la missione della chie-
sa di fronte ai problemi del mondo, di fronte al mondo povero, innanzi al-
!' anelito di pace del mondo. Giovanni XXIII fissava un riferimento stori-
co che trascendeva i confini della cronologia ecclesiastica. Il concilio, sug-
geriva il papa, si apriva a 17 anni dalla fine della seconda guerra mondiale:
<<le madri e i padri di famiglia detestano la guerra: la Chiesa, madre di tut-
ti indistintamente, solleverà una volta ancora la conclamazione che sale
dal fon do dei secoli e da Betlemme... ». ·
Ai vescovi ed ai fedeli dei paesi al margine del teatro internazionale
Giovanni XXIII parlava di una chiesa «madre», secondo uno stereotipo
antico, ma anche di una «Chiesa che è e vuole essere di tutti, e partico-
larmente la Chiesa dei poveri»9 • Queste parole avevano contribuito a
creare un clima di «aspettazione» anche tra i vescovi. Essi erano chia-
mati da Giovanni XXIII a rispondere a questa «aspettazione» e a com-
prendere le nuove prospettive della missione della chiesa nel mondo.
Ma sarebbe stato un fatto creativo o un appoggio ad alcune linee già
chiare in capite? Realizzare questo compito non era semplice soprattutto
per un corpo episcopale così vasto, non aduso a lavorare collegialmente
e in assemblea. La maggior parte dei padri giungeva a Roma con incer-
tezza, senza sapere quale sarebbe stato il proprio ruolo. In genere infatti
si veniva in Vaticano per chiudere le questioni con l'autorità della S.
Sede e dei suoi uffici. Gli stessi nunzi apostolici o delegati, con cui
l'episcopato era in contatto, non avevano un'idea chiara di quello che il
Vaticano II sarebbe stato.

8 DMC IV, pp. 519 528; sulrimportanza di alcune indicazioni del cardinale di Ma
lines-Bruxelles a questo proposito e sullo schema presentato al papa in luglio, cfr. L.-J.
SuENENS, Souvenirs et espérances, Paris 1991, pp. 65 80 e Aux origines du Concile Vati
can II, in «Nouvelle Revue Théologique» 107 (1985), pp. 3 21; per la supplica del cardi
nale canadese, G. ROUTHIER, Les réactions du cardinal Léger à la préparation de Vatican
II, in <<Revue d'histoire de l'Église de France» 80 (1994), pp. 281 301.
9 Per l'uso successivo e la rilevanza di questa affermazione, cfr. D. PELLEITIER, Le
groupe de l'église des pauvres, in Leuven.
26 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

1.4. L'incertezza del!'ultimo minuto

Molti vescovi, dunque, nell'incertezza trovano rifugio nell'atteggia-


mento consolidato di obbedienza non solo verso il papa, ma anche nei
confronti delle congregazioni romane. Non troppi erano quelli che ave-
vano le preoccupazioni chiare nel senso indicato dal card. Siri. Ma non
erano nemmeno molti coloro che giudicavano la preparazione del conci-
lio e le sue prospettive come il p. Chenu. Per i più i problemi generali
della chiesa o quelli di altri paesi erano remoti. Eppure il papa aveva
chiamato tutti i vescovi a Roma per il concilio. Ma come si sarebbe
espressa la loro partecipazione conciliare?
Così, alla vigilia dell'apertura, si intrecciano nel clima romano molti
entusiasmi, alcune incertezze e qualche lucida preoccupazione. Queste
sensazioni vengono accresciute dalle difficoltà organizzative di un' assem-
blea così vasta. La mattina del 10 di ottobre i vescovi si stipano negli
uffici della segreteria generale per ritirare la documentazione necessa-
ria10. Il caos è notevole: le procedure di procura non sono state chiarite,
l'identificazione è complessa. Il card. Urbani annota nel suo diario:
«Diffuso senso di improvvisazione da parte dei romani»11 . Più delicato è
il diffondersi di questa spiacevole sensazione in altre direzioni e il suo
palesarsi in troppe circostanze.

15. Il luogo
L'attesa e gli interrogativi si accompagnano anche ad una certa cu-
riosità sul luogo dove il concilio si sarebbe svolto. L'aula conciliare oc-
cupava per la prima volta la navata centrale della basilica di S. Pietro e
non nel transetto come al Vaticano !1 2• Qualche padre non resiste al-
l'idea di andare a vedere prima come sono state sistemate le bancate da
cui i vescovi e gli altri parteciperanno al Vaticano II. Per qualcuno si
tratta di un'ispezione non dettata dalla curiosità ma da una questione
cerimoniale che tocca la sostanza. Maximos IV Saigh, patriarca melkita
di Antiochia e che si rivelerà tra i protagonisti del concilio, compie una
attenta visita alla basilica vaticana: può constatare - come già sospettava
- che il posto dei patriarchi orientali seguiva quello dei cardinali nell'or-

IO La distribuzione avviene in una laterale di via della Conciliazione, nei pressi del
Vaticano.
11 DUrb 10 novembre 1962.
12 Sulla disposizione dell'aula del Vaticano I, cfr. SIV 1) pp. 500-501.
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 27

dine delle precedenze 13 • Solo un panno verde rendeva la collocazione


dei patriarchi orientali più ragguardevole di quella degli altri padri con-
ciliari. S'era dunque optato per la conservazione del cerimoniale roma-
no, secondo il quale i cardinali precedevano i patriarchi, nei seggi conci-
liari come in tutte le celebrazioni: ma era un passo indietro rispetto a
quanto stabilito al concilio di Firenze.
La questione del posto dei patriarchi appariva alla curia una sotti-
gliezza tipica della mentalità orientale. Erano i cardinali a dover occupa-
re il primo posto come corpo dei consiglieri del papa. E poi cos'era un
patriarca? Anche nella chiesa latina la sede di Venezia, quella di Lisbo-
na e quella di Goa, per motivi storici, erano insignite del titolo patriar-
cale, come le sedi cattoliche d'Oriente. Si trattava di un titolo onorifico
che impreziosiva la dignità episcopale. Inoltre da un punto di vista con-
creto i patriarchi orientali avevano alle loro spalle chiese molto esigue
come numero di fedeli. Un vescovo europeo poteva contare su di un
maggior numero di cattolici di un intero patriarcato orientale. Così la
posizione di Maximos IV, che rivendicava il posto dei patriarchi imme-
diatamente dopo quello del papa di Roma, sembrava la difesa di privile-
gi formalistici privi di sostanza. Più tranquillamente i patriarchi maroni-
ta, caldeo, copto-cattolico, accettavano il posto loro assegnato dopo i
cardinali. Era l'espressione dell'accettazione dell'ottica romana.
Ma per il patriarca Maximos IV Saigh non era così: egli leggeva die-
tro alla questione del posto dei patriarchi il problema dell'Oriente non
cattolico, di quelle chiese ortodosse e non calcedonesi che avrebbero in-
viato i loro osservatori a seguire il concilio. Qual era la proposta che
Roma faceva agli orientali per l'unità dei cristiani? Anche dalla colloca-
zione dei patriarchi orientali sembrava che la S. Sede non vedesse altra
via che quella del puro assorbimento al proprio interno. La chiesa ro-
mana non riconosceva alle chiese patriarcali il loro spazio e la loro iden-
tità propria? La questione del patriarca melkita nascondeva un proble-
ma maggiore, quello dell'ecumenismo e delle relazioni con il mondo or-
todosso.
Il Vaticano II guarda infatti anche agli assenti, cioè ai cristiani non
cattolici. Tuttavia perfino la loro collocazione - fisica, ma anche simboli-
ca - è incerta: il 10 ottobre il segretariato per l'unità non è ancora sicu-
ro in quale posto all'interno della basilica saranno collocati gli osservato-
ri non cattolici14 • La presenza di non cattolici (pur con l'anodino titolo
di osservatori) è un'esperienza del tutto nuova ad un'assemblea concilia-

13 Cfr. ]Edb 9 ottobre 1962, ff. 9-10.


14 Arrighi a Congar, in JCng 10 ottobre 1962, ds p. 68.
28 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

re, il cui significato ecclesiologico è ricco, complesso e inedito 15 . Gli as-


senti rappresentano un riferimento da cui i lavori conciliari non possono
prescindere 16. E se le chiese anglicane e della riforma possono darsi age-
volmente una delegazione, la presenza orientale è più complicata, non
solo per le ripercussioni politico-diplomatiche legate alla venuta di due
ecclesiastici ortodossi russi, con passaporto dell'URSS 17 .
I cattolici orientali, che gli ortodossi chiamano criticamente uniati,
non possono essere insensibili a quel mondo cristiano con cui hanno
tanto in comune. L'episcopato uniate al Vaticano II mostra le sue ambi-
guità: una parte di esso è integrata nel mondo latino anche come menta-
lità, conservando solo il rito liturgico orientale; un'altra parte - ed è il
caso dei melkiti di Maximos IV - crede di dover realizzare una funzione
di ponte tra Roma e quel mondo orientale a cui appartiene almeno par-
zialmente e che vuole ra ppresentare18 . Pare la realizzazione di un sogno
antico, quello di essere ponte tra Roma e l'Oriente ortodosso, destinato
ad infrangersi rapidamente negli anni successivi con il dialogo ecumeni-
co19. Ma quel 10 ottobre il patriarca Maximos è fermo nel rivendicare

l5 G. ALBERIGO, Ekklesiologie i m werden. Bèmerkungen zum "Pastoralkonzil" und


zu den Beobachtern des II. V atikanums, in «Okumenische Rundschau» 40 (1991)/2, pp.
109 128.
l6 Maximos IV, parlando sullo schema De oecumenismo, metterà in luce come il
concilio debba guardare anche all'Oriente non rappresentato in aula: «... quando si par
la dell'Oriente non bisogna pensare solo a coloro che umilmente lo rappresentano in
seno al cattolicesimo romano. Occorre preservare anche il posto dell'Assente. Non biso-
gna limitare il circuito del cattolicesimo a una latinità dinamica e conquistatrice .. ». Cfr.
J. GROOTAERS, I protagonisti del Vaticano II, Cinisello B. 1994, p. 179.
17 Cfr. Moscou, passim.
18 Maximos IV dice al patriarca Athenagoras durante il loro primo incontro a Ge
rusalemme nel 1964: «Posso dirvi che tutte le volte che parlavo al concilio, pensavo a
voi. Volevo portare al concilio il più fedelmente possibile, la testimonianza dell'autentica
tradizione orientale». Ed il patriarca ecumenico gli risponde: «Voi ci rappresentate tut
ti...». Conversazione tra Maximos IV ed Athenagoras, 5 gennaio 1964, in Ach-Chira, 17
marzo 1964, citato in Maximos IV, a cura di E. Inglessis, Paris 1969, p. 72.
19 Nell'aula del Vaticano II uno dei problemi è quindi il posto dell'assente che,
progressivamente, sta divenendo protagonista del concilio. La questione della collocazio
ne dei patriarchi non appare secondaria a Maximos IV: i patriarchi orientali rappresen-
tano le grandi sedi della cristianità del primo millennio dopo quella di Roma. Il ricono
scimento del loro ruolo rappresenta un passo decisivo per stabilire un dialogo. Collocare
i patriarchi uniati dopo i cardinali significa affermare che c'è una sola chiesa, quella di
Roma. Al contrario la pentarchia, cioè la comunione tra le cinque sedi patriarcali del
Mediterraneo, aveva manifestato l'unità nella chiesa del primo millennio. Il concilio di
Firenze aveva riconosciuto al ruolo patriarcale il proprio spazio tradizionale nella chiesa.
Un patriarca d'Oriente non può seguire i cardinali e, durante le cerimonie pontificie,
compiere il rito dell'obbedienza al papa come i cardinali e i vescovi. Un patriarca
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 29

una collocazione adeguata e coerente, perché guarda agli ortodossi: il ri-


fiuto della visibilità comporta il rifiuto da parte del patriarca di prender
part~ alla cerimonia d'inizio.
E una crepa, di cui forse molti non si accorgono nell'euforia dell'ini-
zio e nel grande scenario dell'apertura dei lavori. Ma questa è la norma,
non l'eccezione, in questo inizio, nel corso del quale gli eventi rivelatori
che determinano e costituiscono il tessuto dell'evento restano ignoti alla
maggioranza. L'assenza del più noto patriarca orientale cattolico e la
presenza degli osservatori alla seduta inaugurale erano il segno delle
contraddizioni in cui il Vaticano II si muoveva e che non potevano esse-
re risolte tutte d'un tratto.

1.6. L'attesa della «parola del papa»

Parecchi padri, però, pensano proprio che tutto si potrà e dovrà ri-
solvere con la parola e le indicazioni del papa; il papa dovrà sciogliere
le incertezze ed indicare che cosa fare. Questa abitudine - quasi una
spiritualità - era stata rafforzata negli anni di Pio XII. La parola e le in-
dicazioni di papa Pacelli avevano guidato, anche da un punto di vista
molto concreto, la vita della chiesa. Dal papa di Roma ci si aspettava un
messaggio anche dal contenuto precettivo e non solamente alcune indi-
cazioni di carattere generale. L'attenzione dei padri conciliari si concen-
tra tutta sui primi passi del concilio e sulla parola di Giovanni XXIII,
che avrebbe aperto l'assise conciliare e che avrebbe dato le direttive su
come fare procedere i lavori conciliari, sulla loro durata, sui loro obietti-
vi e sul compito stesso dei vescovi.
I vescovi non avevano un'esperienza ravvicinata delle assemblee par-
lamentari che caratterizzavano la democrazia occidentale. Troppo fresca
era l'esperienza democratica in Italia e in Germania per averne assimila-
to profondamente la lezione; mentre tale esperienza era assente in Spa-
gna, in Portogallo, in Europa orientale, in parecchi paesi dell'America
Latina e nei giovani Stati del Sud del mondo. Anche se il concilio non
era il parlamento della chiesa, la familiarità con i metodi delle votazioni,
con i sistemi democratici, con la formazione di maggioranza e minoran-
za, avrebbe potuto aiutare a concepire le dinamiche di una grande as-

d'Oriente, nonostante le proporzioni ridotte della sua chiesa, rappresenta una chiesa so
rella per quella romana. Si capisce come questa concezione non trovasse posto nd ceri
moniale romano, perché non aveva legittimità nell'ecclesiologia di Roma. La posizione
degli uniati consapevoli di questo loro ruolo era quindi difficile.
30 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

semblea che - secondo la tradizione - era chiamata a scegliere mediante


il voto dei suoi com ponenti. Era con il voto che si doveva esprimere la
volontà dei padri o si doveva solamente aderire alle indicazioni della S.
Sede? Il concilio Vaticano I era stato regolato dal voto dei suoi membri.
La stessa prassi delle congregazioni romane prevedeva il voto dei propri
membri: ma il loro risultato era sottoposto alla decisione del papa. Il
concilio avrebbe dovuto esprimere il suo voto palesemente? 20

2. L'apertura

Lo scenario dell'apertura è grandioso. Le immagini trasmesse dalla


televisione per la prima volta mostrano un concilio - e di quali dimen-
sioni! - al largo pubblico. La televisione di stato italiana, la Rai, fornisce
la diretta in collegamento con alcune TV europee, ma le immagini sono
anche trasmesse negli Stati Uniti dopo le ore 13. L'impatto della visione
è fortissimo e in fondo consente anche agli osservatori più remoti di far-
si un'idea di ciò che sta accadendo, suscitando reazioni f orti21 • La festo-
sa speranza dell'inizio diventa immagine di mondovisione.

2o Il concilio si presenta infatti come una realtà complessa: il clima di aspettativa,


suscitato dalla convocazione si oppone al mancato approdo in un programma. È owio
che il programma più notevole viene rappresentato dagli schemi predisposti nel lavoro
preparatorio in cui si sente il peso determinante dell'esperienza e della visione della cu
ria, inclusa l'idea che la loro accettazione avrebbe consentito la rapidità dei lavori (cfr.
S/V 1, pp. 35 50). D'altronde il dubbio su una «poco edificante» discussione fra i ve
scovi della chiesa cattolica era stato all'origine del rinvio dell'appuntamento conciliare
pensato da Pio XII per il 1950, accantonato non solo, ma anche per non rischiare l'uni
tà della chiesa con una discussione tra i padri; cfr. S/V 1, pp. 61-63.
21 Lo confermano i Carnets del teologo lovaniense, Ch. Moeller, che scrive: «TV
sur le Concile - Pape Jean fatigué, préoccupé et grave - Sa bonté inserite sur le visage.
L'esprit de grace profonde, véritable (?) en toute sa _personne I La courte partie orien-
tale de la cérémonie concrétise l'oecuménicité de l'Eglise. Mais il ne faut pas se cacher
que les structures sont bien "latinement latines" - Les patriarches, par exemple, sont
placés après les cardinaux - Option grave I Discours du Pape: est beau par ses ouver
tures: plutot exposé de la vérité que condamnation; plutot voir les beaux cotés du Man
de Moderne (contre les oiseaux du mauvais augure) que les mauvais seulement I Très
remarquable commentaire de F. Colleye». Sul problema dei media cfr. M. MARAZZITI, I
papi di carta. Nascita e svolta dell'informazione religiosa da Pio XII a Giovanni XXIII,
Genova 1990.
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 31

2.1. La processione e la liturgia

I padri conciliari, che con una lunga processione scendono in corteo


dal palazzo apostolico, per la scala regia, fino alla basilica di S. Pietro,
traversando l'intera piazza al centro, sono circa 2.500. Dopo i fasti di del
mattino, quando si scopre che nelle sale dove si indossavano i paramenti
mancavano le sedie per i cardinali, il corteo è vissuto dai padri con una
certa commozione: per un'ora essi sfilano tra i fedeli che si assiepano in
piazza. Lo sforzo di mantenere una certa concentrazione di spirito non
impedisce di cogliere i commenti e i problemi: gli orientali si accorgono
di essere notati, Wyszytfski ironizza sul modo in cui il suo nome viene
bisbigliato dagli astanti e sulle esclamazioni relative alla magrezza del
cardinale che viene da «oltrecortina»22 •
Entrando in basilica i padri non hanno ancora i posti assegnati e,
quindi, si siedono in ordine spontaneo. Allo stesso modo la tribuna dei
periti si affolla senza alcuna precedenza o prenotazione.
Giovanni XXIII attraversa la piazza in sedia gestatoria tra le accla-
mazioni dei fedeli. Il papa discende dalla sedia davanti all'altare, dove si
inginocchia prima di intonare il Veni Creator. Il decano del S. Collegio,
card. Tisserant, celebra la messa «de Spiritu sancta». Il papa vuole che
sia letto il Vangelo in greco e recitata lJectenia bizantina con la supplica-
tio orientalis in greco, arabo e slavo antico. Le celebrazioni liturgiche
dei giorni successivi nei vari riti, all'apertura dei lavori conciliari, comin-
ciano a familiarizzare la stragrande maggioranza latina dei vescovi con
l'esistenza di altri modi di celebrare la· liturgia ed altre lingue liturgiche.
Congar nota però la pompa trionfalistica che pervade la cerimonia di
apertura 23 •
Dopo la celebrazione del card. Tisserant, si procede all'intronizzazio-
ne del Vangelo (il codice quattrocentesco di Federico da Montefeltro),
un atto che accompagna ogni congregazione conciliare; infine si tiene il
rito dell'obbedienza da parte dei cardinali, dei patriarchi, del segretario
generale, mons. Felici, di due rappresentanti per ogni categoria di padri
conciliari. Il gesto consiste nel fatto che i padri si inginocchiano innanzi

22 Il cardinale Wyszytiski annota nel suo diario l'andamento della cerimonia e l'at-
teggiamento che lo circonda - fatto di venerazione, di pronunce approssimative, di sin
golari accostamenti nei seggi fra il primate americano ed il cardinale dell'Armenia savie
tica, di commenti sulla magrezza che fanno ironicamente «vergognare l'uomo che viene
dal paese materialista», di atti di devozione alla Regina della Polonia, cfr. S. WYSZYNSKI,
By Cz owik pos any od Boga, a fan mu by o na im~ in fan XXIII i }ego dzie o., a cura di
B. Bejze, B. Dziwosza, W. Zi6fka, Warszawa 1972, pp. 41 156, specie 98 99.
23 Per la reazione irritata di Congar cfr. JCng 11 ottobre 1962, ff. 68-71 ds.
32 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

al papa seduto sul suo trono. Alla fine del rito dell'obbedienza, Giovan-
ni XXIII emette la professione di fede ed il giuramento, quest'ultimo ri-
petuto dai padri, mentre il Credo viene cantato dal coro della basilica
nel muto silenzio dei vescovi.
Lo sconcerto dei liturgisti è palpabile, al punto che nessuno nota
che nella professione di fede s'è alla fine utilizzata l'antica formula nice-
no-costantinopolitana, e non quella formula nova di sintesi delle condan-
ne del magistero del Novecento, che il S. Uffizio aveva voluto preparare
e che era rimasta negli schemi preparatori24 • Un esponente di punta del
movimento liturgico, Joseph Jungmann, fa una analisi spietata:
L1 apertura non fu piacevole per me: ancora senza documento d'accredito dovetti
aprirmi la strada in Vaticano con il mio decreto di nomina; senza indicazioni sul luogo e
l'ora. Da qualsiasi parte si domandasse un'informazione, sempre una sola risposta: Non
so! Finalmente, dopo aver errato invano per un'ora, sono arrivato alla basilica e là sono
stato condotto cortesemente da un assignator ai posti riservati per i periti, dove tuttavia
non se ne trovava quasi nessuno {brutto lato nelle gallerie). Fatto sta che qui potei vede-
re bene l'ingresso dei vescovi e ascoltare tutto benissimo. Come azione liturgica era sen
za dubbio accuratamente eseguita: buona musica di chiesa, eccellenti impianti acustici;
ma come concezione d'insieme: stile Leone XIII. Dalla statio orbis a Monaco non si è
imparato niente. Dunque funzione solenne senza distribuzione della comunione. Invece
di integrarvi gli atti di apertura {Vangelo in più lingue, allocuzione del papa, pro/essio /i-
dei, preghiere d'intercessione .. .) tutte queste cose venivano come appendici senza ordine.
Un flectamus genua seguiva la litania! La preghiera non bellissima, Adsumus, indirizzata
allo Spirito Santo {come ho potuto comunicare a Bugnini, viene dallo Pseudo Isidoro)
fu recitata da uno solo e non da tutti insieme. Ma questo certamente sarà piaciuto alla
maggior parte. Forse doveva essere cosi reso visibile il terminus a quo delle cose liturgi
che25.

Il teologo domenicano Labourdette, nel brogliaccio di Souvenirs Ie


session, osserva la cerimonia in compagnia del p. Gagnebet:
Inizio ufficiale a San Pietro ... Attraverso il Museo, raggiungiamo San Pietro. Biso-
gna cercare la nostra tribuna. Finalmente: a sinistra, la più vicina alla Confessione degli
Apostoli, quasi al di sopra dei cardinali, di fronte al San Pietro in bronzo {rivestito degli
ornamenti pontificali). Spettacolo indimenticabile. La cerimonia è di una grandezza reli
giosa impressionante, malgrado alcuni errori per es. il canto polifonico del Credo invece
di far cantare insieme i vescovi. E che bella occasione per una concelebrat.ione.'26

Ma anche un «piccolo» vescovo, come J.B. Musty, ausiliare di Na-


mur, osserva nelle sue Notes sur le Conci/e oecuménique Vatican II:

24 Cfr. A. INDELICATO, La Formula nova pro/essionis /idei nella preparai.ione del Va-
ticano 11, in «CrSt» 7 (1986), pp. 305 320.
25 TJng 11 ottobre 1962.
26 JLbd 11 ottobre 1962.
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 33

11 ottobre: assemblea d> apertura. Grandiosa. Mancanza di partecipazione liturgica.


Tutto in polifonia, compreso il Credo. Niente comunione distribuita. Comunque impres
sionante.

Gli italiani sono piuttosto contenti della cerimonia. Mons. Bartoletti,


nel ricordarla, ha un tono lirico:
Alle 8,30, dai Musei Vaticani, Sala delle Lapidi> comincia la sfilata dei Vescovi. En
triamo in S. Pietro: ecco la chiesa: veramente questa è una Epifania del Mistero Eccle
siale, si svolge davvero come in una grande liturgia. Il Mistero della chiesa è operante, al
suo massimo di visibilità. Non vi è davvero nulla di troppo esteriore o profano. I tempi
moderni hap.no fatto piazza pulita di tutto il barocchismo profano, di cui si compiaceva
il passato. E già buon segno. La preghiera <<Eccoci, Signore, uniti nel tuo nome» sottoli
nea il senso religioso della nostra adunanza e ricorda ad ognuno il peso della propria re
sponsabilità e della propria debolezza27.

Lo stesso card. Lercaro, l'unico vescovo italiano interno al movimen-


to liturgico, tralascia nelle osservazioni stese per i giovani coi quali abita
ogni critica alla cerimonia28 • Ma nel quadro liturgico il momento più at-

27 Molti dei vescovi che scrivono dopo la fine della mattinata sono rapiti dalla reto
rica del cerimoniale e dalla commozione. Enrico Bartoletti è fra questi e nel suo Quader-
no ms il discorso d> apertura del papa e le parole dette la sera «alla luna>> si appaiano:
«Lunedì 11 otto. 1962, Maternità di Maria/ Solenne apertura del concilio ... La profes
sione di fede fatta dal Papa da solo, dinanzi a tutta la Chiesa, è una cosa stupenda! E la
fede il nostro vero vincolo: ed è quella fede che tutti serviamo [. .. ] la Santa Chiesa di
Dio./ Il Papa che dono di Dio per la sua Santa Chiesa! ha parlato con semplicità e
chiarezza. Il suo ottimismo, la sua fiducia nei tempi nuovi, la sua fede nella Chiesa ap
paiono cosa tanto radicata nel suo animo, che ben difficilmente potranno essere sover
chiate dalle voci del concilio. Quella è la linea. O bene, o male, verrà fuori sicuramen-
te./ Bellissime le parole del Papa alla folla riunita in piazza S. Pietro alla sera per la fiac
colata: "Paternità e fraternità sono ugualmente dono di Dio"./ Quest'uomo parla alla
gente come fossero davvero' figli e fratelli suoi, raccolti in casa sua./ Qualunque siano i
lavori e le conclusioni future il concilio ha già dato i suoi frutti. Ha imposto alla consi
derazione degli uomini il mistero della Chiesa nella sua vera luce./ Circolano tante idee
e corrono tanti interrogativi, che non possono non rompere l'indifferentismo e il laici
smo generale./ Dio sa parlare, quando vuole, agli uomini che l'attendono e lo cercano».
28 Cfr. G. LERCARO, Lettere dal concilio, Bologna 1980 (11 ottobre 1962): «Dunque
stamane ci fu l'apertura del concilio; non sto a descrivervi la cerimonia veramente solen
ne, perché penso che l'avete seguita per la T.V.; e poi sarebbe per me piuttosto difficile
e, certo, lungo ripetervi il seguito dei riti svoltisi. Vi dirò invece alcuni pensieri miei. E,
primo, che certo non mi sono mai sentito così immerso nella chiesa di Dio come oggi:
la presenza del Papa, di tutto, o quasi, il S. Collegio, dei Vescovi di tutto il mondo, in
torno all'altare che stava al centro e sul quale prima si celebrò il Sacrificio, poi si collo
cò in trono il Vangelo; lo sguardo del mondo intero fisso sulr avvenimento, come si ren
deva evidente dalla presenza delle delegazioni di tante Nazioni e dalla presenza delle
chiese separate ... ; tutto questo faceva sentire la vitalità della chiesa, la sua unità e varietà
insieme; la sua umanità e divinità; e in me, che me ne sentivo membro investito di fun
34 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

teso è il discorso di Giovanni XXIII, anche se il latino non è certo ben


comprensibile a tutti e la stanchezza è diffusa. Non sono molti quelli
che, come Congar, si lasciano vincere daUa impazienza e lasciano l'aula
verso le 13, prima del discorso.
Questo ultimo atto, nonostante le circa sette ore di spostamenti e
cerimonie che lo harno preceduto, è il nucleo d'una giornata pervasa da
un clima gioioso29 • E senz'altro così per Giovanni XXIII che ha steso di
suo pugno il discorso, tenendo conto deUe sollecitazioni di alcuni dei
protagonisti della preparazione (Bea, Suenens, Léger), m·a esprimendo
tutto con «la farina del suo sacco». Lo è per i padri, che però potranno
accedervi attraverso i giornali del mezzogiorno.

2.2. Gaudet mater ecclesia

Il discorso, effettivamente, era denso e non facile: non si trattava di


un programma, ma nemmeno di un discorso celebrativo di accoglienza
ai padri. La parola di Giovanni XXIII usciva dai modelli in cui si era
espressa fino ad allora l'autorità del papa. Egli non dettava ai padri del
Vaticano II una via da percorrere per uscire dalla confusione e dalle
contraddizioni di queU'inizio; ma la sua operazione era molto più com-
plessa e sarebbe stata il fondamento liberatorio dei lavori conciliari.
L' a1locuzione Gaudet mater ecclesia, rappresenta una delle espressio-
ni più compiute della visione roncalliana del concilio. Il testo del discor-
so è interamente dovuto a Giovanni XXIII3'°, che intende dare una sua

zioni e di poteri qualificati, creava un senso profondo di gioia e di riconoscenza al Si-


gnore. Mi trovavo a sedere nell'aula conciliare tra il Card. Wishinsky (applauditissimo
lungo tutto il corteo e oggetto di simpatia della folla) e il Card. Mc Intyre; avevo davan
ti i Cardinali Spellman, Ruffini e Caggiano (Buenos Aires); poco distante erano il Presi
dente Segni col suo seguito e il Principe Alberto del Belgio; quasi di fronte vedevo
l'abate e un monaco del Monastero Calvinista di Taizé nella Svizzera (abbiamo sentito
l'abate alla T.V. nella 3a trasmissione sul concilio): erano tutti questi segni visibili della
presenza efficiente della chiesa nel mondo. Dawero sentivo il bisogno che lo Spirito
Santo guidi questa impresa da cui tutti attendono tanto; ma la preghiera ripetuta della
immensa assemblea, seguita dalla preghiera di tante anime nel mondo tutto dava garan
zia che lo spirito del Signore sarà con noi in questo lavoro. Voi seguiteci tutti con la
preghiera vostra e ... state buoni! Vi abbraccio e vi benedico».
29 Chenu, che non è stato ammesso all'aula, lo ascolta in piazza, cfr. NChn 68, nota
1: pur essendo procuratore di un vescovo malgascio assente, Chenu non ha il biglietto
d'ingresso; a lavori iniziati verrà annunciato che i procuratori potranno sedere in aula
solo nelle sessioni pubbliche, cfr. AS I/1, p. 343.
30 È stato ampiamente documentato come la rivendicazione di Giovanni XXIII
d'aver scritto il discorso con la «farina del suo sacco» corrisponde alla realtà delle cose:
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 35

personale e autorevole indicazione ai padri del Vaticano II, ria1lacciando


questa assemblea a1la grande tradizione conciliare de1la chiesa. Il cuore
dei lavori conciliari è - per il papa - «il Cristo sempre splendente al
centro de1la storia. e de1la vita». Per testimoniare questo al mondo con-
temporaneo è stato convocato il concilio: «Infatti, con opportuni aggior-
namenti e con saggia organizzazione di mutua co1laborazione la chiesa
farà sì che gli uomini, le famiglie, i popoli volgano realmente l'animo
a1le cose celesti». L'espressione aggiornamento entra nel linguaggio uffi-
ciale del concilio a1la luce di una visione non pessimistica de1l'interesse
del mondo per le «cose celesti». Si connette quindi a questa visione una
forte presa di distanza di papa Giovanni da una lettura catastrofistica
sulla situazione de1la chiesa e del mondo. Non era solo l'espressione di
un generico ottimismo, quanto la manifestazione del distacco da una
cultura de1la paura e del sospetto che faceva compiere prevalentemente
scelte difensive nel governo e ne1la vita de1la chiesa. Questa cultura po-
stulava che la chiesa restasse nel suo isolamento per difendere la sua ve-
rità dai rischi di contaminazioni che l'incontro con gli altri e con il
mondo potevano indurre. Così dice Giovanni XXIII ai padri conciliari,
parlando a quel mondo ecclesiastico preoccupato di un concilio ancora
troppo poco definito:
. Ci feriscono talora l'orecchio insinuazioni di anime, pur ardenti di zelo, ma non far
nite di senso sovrabbondante di discrezione e di misura. Nei tempi moderni esse non
vedono che prevaricazione e rovina; vanno dicendo che la nostra età, in confronto con
quelle passate, è andata peggiorando; e si comportano come se nulla abbiano imparato
dalla storia, che è pure maestra di vita, e come se al tempo dei Concili Ecumenici pre
cedenti tutto procedesse in pienezza di trionfo dell'idea e della vita cristiana, e della giu
sta libertà religiosa. Ma a Noi sembra di dover dissentire da cotesti profeti di sventura,
che annunziano eventi sempre infausti, quasi sovrasti la fine del mondo3 1.

Per il papa non c'è un'età d'oro della chiesa ne1la storia del mondo,
quella de1lo Stato cattolico e del regime cristiano, dopo cui la vita cri-
stiana ha subito una progressiva decadenza. L'ideale quindi per la chiesa
non è la restaurazione di que1la età de11' oro. Una lettura pessimistica del
presente comporterebbe una politica di chiusura ermetica de1la chiesa

di gran parte del testo esiste una serie continua di redazioni ms o ds con correzioni ms
autografe; della parte finale esiste una stesura direttamente in la tino predisposta dai tra
duttori, in ispecie G. Zannoni, che hanno lavorato direttamente col papa, e le cui repor-
tationes sono servite alla preparazione della cosiddetta «traduzione italiana» uscita su
«OssRom». L'insieme delle versioni e l'ed. critica del ms in A. MELLONI, L'allocuzione
Gaudet Mater Ecclesia (11 ottobre 1962), Sinossi critica dell'allocuzione, in Fede Tradizio-
ne Profezia. Studi su Giovanni XXIII e sul Vaticano II, Brescia 1984, pp. 223-283.
31 Cfr. il ms in MELLONI, Sinossi... , cit., pp. 253-254.
36 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

ad un mondo che le è totalmente estraneo, se non avverso. Non è que-


sta la posizione del papa. Anzi gli sembra scorgere un miglioramento
ne1la vita del mondo, <<Un nuovo ordine di rapporti umani» accanto al
perdurare di tanti problemi: «non si può tuttavia negare - dice il papa -
che queste nuove condizioni de1la vita moderna hanno almeno qualche
vantaggio, di aver tolto di mezzo quegli innumerevoli ostacoli, con cui
un tempo i figli del secolo impedivano la libera azione deUa chiesa»32 •
Giovanni XXIII rinvia alla storia dei concili ecumenici, «sovente ce-
lebrati con alternative di gravissime difficoltà e tristezze, per l'indebita
ingerenza de1le autorità civi1i». Queste parole, pronunziate ali' apertura
del Vaticano II, mostrano che almeno nel presente non ci sono ombre o
influenze dei poteri civili: la chiesa è - proclama Giovanni XXIII - «fi-
nalmente libera da tanti ostacoli di natura profana, come avveniva nel
passato ... ». Il che non vuol dire - ma il papa non ne fa cenno - che al-
cuni governi non guardino con grande interesse quanto la chiesa cattoli-
ca sta facendo neUa sua assise ecumenica, anche per le ricadute concrete
sul terreno politico. Ma proprio la celebrazione del conci1io è la manife-
stazione deUa libertà deUa chiesa rispetto ai poteri civili: il disegno con-
ci1iare non è subordinato a nessun interesse politico o di potenza. Le 86
missioni straordinarie inviate per la cerimonia di apertura assistono ri-
spettose ed estranee alle dinamiche conci1iari. I «principi» - ed è una
novità - sono fuori dallo spazio decisionale del concilio.
La chiesa del Vaticano II non ha legami privilegiati con la politica o
con un modeUo di stato, anche se incombe sull'assemblea la questione
de1la posizione da prendere nei confronti del comunismo. L'assenza for-
zata di alcuni padri dell'Europa orientale e dei paesi comunisti33 propo-
ne questo problema con forza. Giovanni XXIII, per chiarire la sua vi-
sione sui rapporti tra conci1io e poteri politici, cita l'episodio dell'incon-
tro di Pietro con il mendicante storpio negli Atti degli Apostoli: che
cosa la chiesa ha da dare al mondo?
«lo non ho né oro né argento: ma ti do quello che ho: nel nome di Gesù Cristo
Nazareno levati e cammina». La chiesa, cioè, agli uomini di oggi non offre ricchezze ca
duche, non promette una felicità solo terrena; ma partecipa ad essi i beni della grazia
divina, che, elevando gli uomini alla dignità di figli di Dio, sono validissima tutela ed
aiuto per una vita più umana34.

32Cfr. il ms in MELLONI, Sinossi... , cit., pp. 257 258.


33Cfr. A. RlCCARDI, Il Vaticano e Mosca, Roma Bari 1992 e G. TURBANTI, Il proble-
ma del comunismo al Vaticano II, in Moscou, pp. 237 286.
34 Cfr. il ms in MELLONI, Sinossi... , cit., pp. 272 273.
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 37

Il conci1io si deve concentrare su que11o che la chiesa può genuina-


mente dare al mondo: è l'antico messaggio del Vangelo. Il Vaticano II è
chiamato a trasmetterlo «senza attenuazioni o travisamenti»:
Il nostro dovere non è soltanto di custodire questo prezioso tesoro, come se ci pre
occupassimo unicamente dell'antichità, ma di dedicarsi con alacre volontà e senza timo-
re a quell'opera, che la nostra età esige... Il punctum saliens di questo concilio non è
dunque una discussione di un articolo o dell'altro della dottrina fondamentale della
chiesa, in ripetizione diffusa dell'insegnamento dei Padri e dei Teologi antichi e moder
ni, quale si suppone sempre ben presente e familiare allo spirito. Per questo non occor
reva un concilio. Ma dalla rinnovata, serena e tranquilla adesione a tutto l'insegnamen
to ... lo spirito cristiano, cattolico e apostolico del mondo intero, attende un balzo innan
zi verso la penetrazione dottrinale e una formazione delle coscienze35.

Il balzo innanzi de11a chiesa nel mondo - e qui si parla anche da un


punto di vista missionario - è possibile solo congiuntamente ad una pe-
netrazione più profonda del Vangelo e del mistero de11a chiesa. Non
una direttiva attivistica, ma una riflessione de1la chiesa sulla rivelazione:
«Altra è la sostanza de11' antica dottrina del depositum /idei, ed altra è la
formulazione del suo rivestimento: ed è di questo che devesi - con pa-
zienza se occorre - tener gran conto, tutto misurando ne11e forme e pro-
porzioni di un magistero [a] carattere prevalentemente pastorale». È
un'indicazione di metodo importante, perché proietta i lavori dei padri
conciJiari nel cuore del messaggio cristiano ma, allo stesso tempo, li
spinge a ripresentarlo al mondo in maniera aggiornata36 •
Il Vaticano II - il papa lo definisce in modo formale - non sarà un
concilio di condanna: non che la chiesa non si opponga agli errori come
sempre. Tuttavia fa parte deU' aggiornamento e de1la riscoperta de11a so-
stanza de11a vita de1la chiesa un nuovo atteggiamento: «Al giorno d'oggi,
tuttavia, la Sposa di Cristo preferisce far uso della medicina della miseri-
cordia piuttosto che della severità: essa ritiene di venir incontro ai biso-
gni di oggi mostrando la validità della sua dottrina piuttosto che con la
condanna». Si trattava di qualcosa di più che di un programma di lavo-
ri: era l'atteggiamento che il papa chiedeva ai padri conciJiari, lasciando
loro la libertà di essere protagonisti del conciJio. Era la richiesta di im-
mergersi nel cuore del messaggio cristiano, ma di presentarlo - d'altra
parte - in maniera rinnovata ad un mondo che appariva ormai diverso.
Con la sua allocuzione il papa compiva un atto primaziale tra i vescovi

35 Cfr. il ms in MELLONI, Sinossi... , cit., pp. 267 269. _


36 Sul concetto di pastoralità cfr. G. RuGGIERI, La discussione sullo schema constitu-
tionis dogmaticae de fontibus revelationù durante la I sessione del concilio Vaticano II, in
Vatican II commence, pp. 315 328.
38 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

cattolici; non manifestava una volontà «sovrana», bensì suggeriva autore-


volmente una via lungo cui lavorare. Il papa era consapevole dell'impor-
tanza della sua allocuzione: «Badavo - confida al segretario Capovilla -
ogni tanto al mio amico di destra (Ottaviani)»37 . Nella sua agenda il
papa annota la «grande gioia»38 , anche se è consapevole che il suo im-
pegno conciliare passerà probabilmente al suo successore. Il discorso di
Giovanni XXIII si colloca su quell'onda lunga delle sue iniziative, a cui
va iscritta soprattutto la convocazione del Vaticano II.

2.3. L'impatto della allocuzione papale

Che impatto ebbe questo discorso del papa sui lavori conciliari? P.
Congar nota due stravaganti interpretazioni date l'una da «L'Osservato-
re Romano» (Perché gli errori debbono essere repressi) e l'altra di «Le
Monde» (apertura ai «metodi di ricerca del pensiero moderno ... »). Per
il «Corriere della Sera» del 12 ottobre l'allocuzione papale era la pre-
sentazione del programma di pontificato di Giovanni XXIII. Per Wen-
ger di «La Croix» era la «vera carta» del Vaticano II; Fesquet di «Le
Monde» ritornava sul testo qualche giorno dopo notando come fosse
una vera sorpresa per il concilio.
Pochi ne colgono i dati qualificanti: Moeller enuclea, dall'ascolto per
televisione, i nodi essenziali; Chenu nota immediatamente la «sua viva
protesta contro i pessimisti» e il «suo biasimo delle discussioni attorno
alle dottrine acquisite, la cui verità deve essere certo ripetuta, ma formu-
lata per i bisogni del nostro tem po»39 •
Ma l'effetto immediato fu scarso - anche senza arrivare all'idea del
«sabotaggio» che il segretario particolare sente attorno al papa40 - nel
determinare l'orientamento dei padri nella realtà del concilio che in quel
momento si apriva. Il card. Garrone scrisse dopo la fine del Vaticano II
che il discorso inaugurale costituiva uno dei documenti più importanti e
decisivi del dossier conciliare: «La tranquilla sicurezza di papa Giovanni
XXIII stupiva e finiva quasi per irritare ... aspettava che il concilio stesso
traducesse in programma il lavoro che egli considerava urgente» 41 • Ma
questa consapevolezza arrivò più tardi di quell' 11 ottobre.

37 Cfr. A. MELLONI, Giovanni XXIII e il Vaticano II, in Vatican II commence, p. 75.


38 Agende 11 ottobre 1962.
39 NChn, p. 68.
40 Cit. da
MELLONI, Giovanni XXIII. .. , cit., p. 87.
41 G.-M. GARRONE, Témoignage, in Deuxième, p. 5.
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 39

2.4. Un <<fratello diventato padre... »

Infatti, quel giorno, gli osservatori più lucidi vedono attorno a loro
molta incertezza e sentono il peso di una storia molto lunga. Così è per
p. Congar che, proprio quell' 11 ottobre, annota i suoi sentimenti. A suo
avviso la cerimonia di apertura ha svelato il volto costantiniano della
chiesa di Roma.
Vedo il peso, non denunciato, dell'epoca in cui la Chiesa era una signoria, quando
aveva il potere temporale, quando i papi e i vescovi erano dei signori che avevano una
loro corte, proteggevano gli artisti, pretendevano una pompa uguale a quella dei Cesari.
Questo non è mai stato ripudiato dalla Chiesa a Roma. Uscire dall'era costantiniana non
è mai stato il suo programma. Il povero Pio IX, che non ha capito niente del movimen
to della storia, che ha affossato il cattolicesimo francese in un atteggiamento sterile di
opposizione, di conservatorismo, di spirito di Restaurazione... è stato chiamato da Dio
ad intendere la lezione degli avvenimenti, questi maestri che egli ci dà, e a far uscire la
Chiesa dalla miserabile logica della «Donazione di Costantino», a convertirla a un evan
gelismo che le avrebbe permesso di essere meno del mondo e più al mondo. Egli ha fat
to proprio il contrario. Uomo catastrofico, che non sapeva cos'era l'«ecclesia» né cos'era
la Tradizione ... E Pio IX regna ancora. Bonifacio VIII regna ancora: sono stati sovrap
posti a Simon Pietro, l'umile pescatore di uomini!42

Il grande problema che si pone nell'avvenimento straordinario del


concilio, che sfugge alle normali regole della gestione della chiesa, è
come governare questo evento ed i suoi lavori. Il concilio potrà espri-
mersi al di fuori di quella mentalità tipica della scolastica - scrive Con-
gar - che è entrata nel governo della chiesa? La sua fiducia è che l'espe-
rienza di governo pastorale dei singoli vescovi esprima nuove posizioni.
Eppure manca un programma che il papa non ha fornito con la sua al-
locuzione. Giovanni XXIII ha aperto il concilio indicando una strada e
non un programma: per Roncalli 1'11 ottobre non è giornata di pro-
gramma. Questa attitudine è confermata dal suo discorso la sera dell'll
ottobre alla chiusura dell'imponente fiaccolata in piazza S. Pietro, in
memoria di quella manifestazione con cui i cristiani di Efeso salutarono
il terzo concilio ecumenico. La manifestazione vira bruscamente di signi-
ficato per il secondo disc._orso papale, improvvisato dalla finestra per
l'insistenza del segretario. E il famoso discorso «gella luna»: «Si direbbe
che persino la luna si è affrettata questa sera». E un discorso noto per
la spontaneità del saluto del papa alla gente radunata nella piazza:
Tornando a casa troverete i bambini: date loro una carezza e dite: questa è la carez
za del papa. Troverete qualche lacrima da asciugare. Abbiate per gli afflitti una parola

42 JCng 11 ottobre 1962.


40 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

di conforto. Sappiano gli afflitti che il papa è con i suoi figli specialmente nelle ore di
mestizia e di amarezza4.3.

Il discorso «de1la luna» traduce in maniera immediata e popol~re la


coscienza con cui Giovanni XXIII vive lapertura del concilio. E un
messaggio di simpatia e di fiducia. E poi il papa si presenta come un
<<frate1lo» che è «padre»: «è un frate1lo che parla a voi, un frate1lo di-
ventato padre per volontà di Nostro Signore. Ma tutt'insieme paternità
e fr3:_ternità, è grazia di Dio. Tutto! Tutto!»44 .
E l'atteggiamento con cui Giovanni XXIII ha vissuto l'inaugurazione
del Vaticano II, que1lo di <<frate1lo» tra i vescovi, ma divenuto «padre».
Questo frate1lo-padre, il vescovo di Roma, il primate, non detta a1la
chiesa il suo programma per il Vaticano II. Lo dice con semplicità a1la
gente raccolta in piazza san Pietro:
Oggi, può ben dirsi, noi iniziamo un anno che sarà apportatore di insigni grazie. Il
concilio è incominciato e non sappiamo quando finirà. Se non dovesse concludersi pri-
ma di Natale, poiché, forse, non riusciremo, per quella data, a dire tutto, a trattare i di
versi argomenti, sarà necessario un altro incontro... E perciò ben vengano questi giorni:
li aspettiamo in grande letizia45.

Da queste parole, lette come una a1lusione programmatica, s'è rica-


vata l'impressione che il papa intendesse di concludere il concilio in una
sola sessione. Il card. Urbani annota a proposito del discorso del papa:
«Felici parole: solo il cenno che spera per Natale sia finito ... lascia per-
plessi>>46. Certo Giovanni XXIII aveva dato una previsione di tempo sul-
lo svolgimento dei lavori. Tuttavia l'atteggiamento fondamentale del
papa è ignorare quanto tempo sarà necessario. Nelle sue note private -
quelle che egli annota sulla Agenda da tavolo - il papa ripete che sarà il
suo successore a concludere il concilio. Di fronte a1le contraddizioni e
a1la confusione degli inizi il papa non è preoccupato, anzi aspetta i gior-
ni futuri «con grande letizia».
Anche con l'improvvisato discorso serale ci troviamo davanti ad un
testo fortemente espressivo de11' atteggiamento roncalliano di fronte ai
problemi del governo de1la chiesa, dove a1la coscienza del proprio com-
pito da svolgere si aggiunge la serenità di non poter dominare gli eventi,
ma di dover ricorrere a1l'altrui collaborazione - in questo caso ai vesco-
vi in concilio - e di doversi fidare di una guida «provvidenziale» de1la
storia. Non è un caso che in questo discorso il papa riproponga una

4.3 DMC IV, p. 593.


44 DMC IV, p. 592.
45 DMC IV, p. 593.
46 DUrb 11 ottobre 1962, cit. in MELLONI, Les journaux... 1 cit. 1 pp. 44 45.
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 41

de1le sue principali massime di governo: «ne1l'incontro proseguiamo a


cogliere que1lo che unisce, lasciando da parte, se c'è, qualche cosa che
potrebbe tenerci un poco in difficoltà. Fratres sumus!».
Queste parole non delineano certo un regolamento assembleare o
non scandiscono i tempi di lavoro; ma manifestano un atteggiamento di
fon do con cui guardare a1le dinamiche conciliari e al rapporto tra il
concilio, il mondo e i cristiani. A11a fine della prima giornata conciliare,
mentre si addensano le preoccupazioni per l'incertezza degli inizi, lo sta"
to d'animo del papa sembra distanziarsi molto da1la preoccupazione di
alcuni suoi autorevoli co1laboratori:
Ero disposto a rinunziare alla gioia di questo inizio - scrive -. Con la stessa calma
ripeto il Fiat voluntas tua circa il mantenermi a questo primo posto di setvizio per tutto
il tempo e per tutte le circostanze della mia umile vita, e a sentirmi arrestato in qualun
que momento perché questo impegno di procedere, di continuare e di finire passi al
mio successore. Fiat voluntas tua, sicut in coelo et in terrttt7.

2.5. Politici: diplomatici~ giornalt"stt~ osservatori e il papa del concilio

Nel quadro de1l'inizio del concilio, il 12"13 ottobre, Giovanni XXIII


riceve, in tre successive udienze, le 84 missioni straordinarie, i giornalisti
e gli osservatori non cattolici. Pronuncia, ne1le tre occasioni, discorsi
piuttosto diretti che chiariscono la sua posizione su queste importanti
frontiere del concilio, quelle dei politici, del mondo de1la stampa, delle
chiese e comunità cristiane.
Di fronte a1la stampa il papa insiste su1la natura religiosa del conci"
lio: «Voi potrete far comprendere che qui non esistono macchinazioni
politiche». E si presenta: « ... ci basterà che voi possiate scrivere quale
unico titolo di onore per noi: era un sacerdote al cospetto del Signore e
dei popoli; amico delle nazioni». Il tono con cui il papa vuole impostare
i rapporti con i rappresentanti della stampa (che agli inizi del concilio
provavano molte difficoltà per leggere l'avvenimento e trovare canali in-
formativi) è que1lo della simpatia48 •
L'incontro con gli osservatori cristiani assume un aspetto inedito.
Erano infatti presenti a1l'apertura del concilio, per gli ortodossi e le an"
tiche chiese orientali, i rappresentanti del patriarcato di Mosca, del pa-
triarcato copto di Alessandria, di quello siriaco di Antiochia, della chie-
sa etiopica, del catholicosato di Cilicia degli armeni, della chiesa russa

47 Agende 12 ottobre 1962.


48 DMC IV, pp. 599 603.
42 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

dell'emigrazione. Tra i protestanti si trovavano all'inaugurazione i rap-


presentanti dei Vecchi cattolici, della comunione anglicana, della Fede-
razione luterana mondiale, dell'AJleanza presbiteriana mondiale, della
chiesa evangelica tedesca, dei Discepoli di Cristo, dei quaccheri, del
Consiglio mondiale metodista e di quello congregazionalista, del Consi-
glio ecumenico delle chiese di Ginevra, oltre che dell'associazione inter-
nazionale del cristianesimo liberale49 • Era un panorama folto di presen-
ze, anche se mancavano - un vuoto ohe si colmerà successivamente - le
rappresentanze del patriarcato ecumenico di Costantinopoli e delle chie-
se ortodosse slave e mediterranee, oltre che dei riformati. Proprio la
presenza degli osservatori non cattolici era uno dei grandi fatti del Vati-
cano II: si trattava del primo incontro collettivo di esponenti non catto-
lici con il papa di Roma. Il card. Bea, presidente del segretariato per
l'unità dei cristiani,, commenta quell'incontro con un'espressione rivela-
trice della novità: «E un miracolo!»50 • Anche gli osservatori presenti· sen-
tono d'essere stati protagonisti di un passaggio51 • Giovanni XXIII pre-
senta agli osservatori delegati il problema· dell'unità secondo la sua pro-
spettiva personale: c'è una tensione all'unità che non ha ancora trovato
le sue formulazioni pratiche e teologiche.
Vogliate leggere nd mio cuore: vi troverete egli dice qualche cosa di più che
non nelle mie parole: Come potrei dimenticare i dieci anni passati a Sofia? E i dieci
anni passati ad Istanbul e ad Atene? Furono vent1anni felici e ben adoperati nd corso
dei quali ho fatto la conoscenza di molti e venerabili personaggi e di giovani pieni di ge-
nerosità. Li consideravo con amicizia [. .. ] In seguito a Parigi, che è uno dei punti d'in
contro dd mondo [. .. ] ho avuto numerosi contatti con cristiani appartenenti alle diverse
denominazioni. Mai, che io mi ricordi, ci fu tra noi confusione nei principi, o contesta-
zione sul piano della carità nd lavoro comune che le circostanze ci imponevano per assi-
stere quelli che soffrivano. Non abbiamo parlamentato, abbiamo parlato; non abbiamo
discusso, ma çi siamo amati52.

Gli osservatori sono ancora all'inizio dei loro contatti con il grande
universo dei vescovi cattolici e, forse, per la prima volta partecipano
dall'interno ad una riunione di responsabili cattolici. Di fronte ad alcuni

49 DMC IV, pp. 605 610.


50 S. ScHMIDT, Agostino Bea il cardinal.e dell'unità, Roma 1987, p. 496.
51 Cfr. M. LACKMANN, Mit evangelirchen Augen. Beobachtungen eines Lutheraners
auf dem Zweiten Vatikanischen Konzil, Graz 1963; G. RICHARD MOLARD, Un pasteur au
Conci/e, Paris [mai] 1964; D. HoRTON, Vatican Diary 1962. A Protestant Observes the
First Session o/ V atican Council II, Philadelphia Boston 1964; R. Mc.AFEE BROWN, Ob-
seroer in Rome. A Protestant Report on the Vatican Council, New York 1964; K.-V. SEL
GE, Evangelischer Bericht vom Konzil Erste Session, Gottingen 1965.
52 DMC IV, p. 607 con trad. it. p. 609.
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 43

aspetti della partenza del concilio esprimeranno le loro riserve. Tuttavia


questo incontro con il papa è rilevante per il loro rapporto con la Roma
del concilio e con quei cristiani che non sono rappresentati nella basilica
vaticana. Essi possono percepire la maturazione di un atteggiamento di
simpatia e di attenzione della chiesa cattolica verso le loro chiese, anche
se non era ancora chiaro che cosa significasse il lavoro ecumenico per
Roma53 • Dopo l'incontro col papa al quale gli osservatori hanno assistito
silenti54 , essi continueranno ad avere una loro seduta settimanale comu-
ne, ogni martedì55 • Queste sedute del gruppo non cattolico al concilio,
accompagnate da incontri preparatori o ristretti5 6, costituiscono un even-
to significativo: le riunioni del martedì evitano la trasformazione degli
osservatori in «ambasciatori» della propria confessione; scambiando opi-
nioni e, al fondo, amalgamando i pareri, gli osservatori formano una
unità di lavoro e d'intenti capace di esprimere una opinione influente
sullo svolgimento del concilio. Anche per i membri del segretariato le
riunioni del martedì pomeriggio57 sono preziose e inedite: per la prima
volta i cristiani delle diverse chiese non sono gli interlocutori di un dia-
logo puramente bilaterale, nel quale la sottolineatura dei punti di con-
tatto avviene con una parallela sottolineatura dei punti di distanza dagli
altri, ma di uno scambio comune, paritario. Varie volte, nel dibattito,
nella corrispondenza, nei diari, ritornerà la messa a fuoco delle «ragioni
ecumeniche» che impongono ora la cassazione del De /ontibus, ora lari-
considerazione del De ecclesia, ora l'apprezzamento per il De liturgia o il
messaggio al mondo: si poteva maliziosamente vedere in queste «ragioni
ecumeniche>> una dimensione politicistica, una diplomazia spirituale che
evita temi spigolosi e media sui terreni difficili. La testimonianza dei
protagonisti degli incontri del martedì dà invece una chiave di lettu-
ra diversa: «dopo secoli» cristiani diversi si parlano da cristiani. Alla vi-
gilia della prima riunione il sospetto di una noiosa ritualità mondana è
forte: alcuni temono

53 Sui rapporti inviati al CEC1 cfr. M·. VELATI, Una dif/ict1e transit.ione. Il cattolicesi
mo e !)unità cristiana dagli anni Cinquanta a/, Vaticano II, Bologna 1996.
54 In un primo momento era stato chiesto loro un indirizzo di saluto1 affidato a
Sarkissian1 poi cancellato per ragioni di protocollo1 cfr. L. Vischer a Visser't Hooft, 14
ottobre 1962, ACO 6 (Reports)1 1/8, p. 2.
55 Se ne tengono il 15 e 22 ottobre; il 6 1 13 1 20 e 27 novembre; il 4 dicembre. Solo
dal Il periodo ci sarà una verbalizzazione f armale.
5 6 Il 18 c'è anche un ricevimento degli osservatori presso la facoltà valdese1 promosso
dalla Federazione della chiese protestanti d'Italia 1 cfr. rapp. Vischer, 19 ottobre 1962 1 1111
di oltre 1Opagine. Il 24 sera c'è una riunione del lnternationaler Versohnungsbund.
57 Di norma fra le 16,30 e le 18,30.
44 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

una moderna ora del cocktail, che è sicuramente una delle caratteristiche più fastidiose
del nostro mondo semicivilizzato. - esprimendo ciascuno educate banalità al proprio vi-
cino, [...] una effervescente babele di quasi totale mancanza di senso. Ma questo dimo
strò di essere differente, almeno in parte. Subito il cardinal [Bea] prese il suo posto in
fondo alla stanza e lesse in francese un breve messaggio di benvenuto al suo «carissimo
fratello in Cristo». Il calore che abbiamo sentito venire dentro di noi fin dall'inizio qui
non mancava58,

Già alla seconda riunione il clima è talmente buono che Vischer


deve domandare consiglio al CEC per sa pere se la proposta di chiedere
come osservatori un sostegno alla obiezione di coscienza contro il servi-
zio militare, presentata da U1lmann nella riunione preparatoria del 22,
può essere avanzata alla riunione del 2459 • A fine novembre Willebrands
ottiene informazioni sulla situazione in Romania attraverso gli osservato-
ri60. Quando l'anno dopo arriveranno nuovi osservatori di altre chiese
troveranno pressoché «codificato» l'andamento di quella che si definisce
«our briefing session»61 . In novembre un prelato anglicano annota la de-
1us_ione sua e degli altri davanti allo schema sulla chiesa indicando come
soggetto di questo atteggiamento «the observers».

Ma ritorniamo alle prime ore del Vaticano II, nelle quali Giovanni
XXIlI incontra ovviamente anche le missioni dei governi per l'apertura
del concilio. Alla cerimonia inaugurale avevano assistito il presidente
della repubblica italiana Segni e il gran maestro dell'Ordine di Malta.
L'Italia e l'Irlanda avevano fatto guidare la loro missione dai rispettivi
presidenti del consiglio, mentre Germania, Spagna, Francia (oltre quat-
tro paesi minori) avevano inviato il ministro degli Esteri. Alte personali-
tà guidavano le delegazioni del Belgio, Portogallo e Lussemburgo. Tra le
86 delegazioni si notavano quelle dei paesi musulmani (Siria, Egitto,
Giorda~ia, Turchia, Indonesia), parecchie europee occidentali e latino-
americane, il Giappone e l'India, molti stati africani di recente indipen-
denza, gli Stati Uniti, la Cina di Formosa. Totale era l'assenza dei paesi
comunisti62 • Le presenze riflettevano il quadro delle relazioni diplomati-

58 D. HORTON, Vatican Diary, p. 26 (15 ottobre 1962). Anche il rapporto di Vi


scher al CEC del 15 ottobre 1962, ACO 6, I/9, p. 1 mostra apprezzamento per questo
tono e commozione per la presenza di Thils, Hamer e Congar: «how many times have
they been in danger. How much have they been suspected for their activity. [. .. ] There
was a great joy about this meeting»,
59 22/10/62, ACO 6, I/14, p. 1.
60 22/11/62, ACO 6, I/23, p. 3.
61 Mc.AFEE BROWN, Observer, cit., p. 93 (22/10/63).
62 Sull'atteggiamento sovietico, cfr. J. KARI.ov, Secret Diplomacy o/ Moscow and the
Second Vatican Council, in Moscou, pp. 129-136.
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 45

che della S. Sede nel clima della guerra fredda. Giovanni XXIII par la ai
diplomatici dell'impegno della chiesa del concilio per la pace: è in que-
sta prospettiva che colloca il contributo del Vaticano Il Egli dice:
Questa è la gran pace che tutti gli uomini attendono, per la quale essi hanno tanto
sofferto: sarebbe tempo che essa compisse passi decisivi! Per questa pace la Chiesa si è
impegnata: con la preghiera, con il rispetto profondo che essa ha per i poveri. .. e con la
diffusione del suo insegnamento che è dottrina di amore fraterno, perché tutti gli uomi
ni sono fratelli ...

Il concilio lavorerà - secondo le parole del papa - per preparare


questo nuovo clima e far dileguare ogni probabilità di conflitto, special-
mente la guerra, «questo flagello dei popoli», che oggi vorrebbe dire «la
distruzione dell'umanità» 63 •
Con questi incontri, che si aggiungono alla grande inaugurazione del
concilio, il papa vuole manifestare la volontà della chiesa di non ri pie-
garsi su di sé e di collocarsi sulle frontiere dei mondi «altri» rispetto a
quello cattolico. Le parole di Giovanni XXIII, che colpiscono i suoi in-
terlocutori nelle varie sedi in cui sono pronunciate, rivelano l'esistenza
di un chiaro messaggio alla chiesa, ai cristiani ed al mondo. Tuttavia le
personalità ecclesiastiche più attente alle meccaniche del governo della
chiesa si chiedono, in questi momenti, come il concilio potrà esprimere
questa nuova posizione del cattolicesimo.

3. La straordinaria seconda giornata del Vaticano II

La scelta fondamentale all'inizio del concilio è quella del suo auto-


governo. Al compimento di questa scelta convergono la volontà del
papa e l'orientamento di alcuni vescovi. Infatti, dopo la cerimonia inizia-
le dell'll ottobre, sono consegnati ai padri l'elenco dei presenti al con-
cilio, il regolamento64 , altro materiale, tra cui le schede per il voto a
scrutinio meccanografico e le schede per l'elezione dei membri delle
commissioni conciliari. Si trattava di dieci schede, una per ogni commis-
sione, contenenti sedici righe per la designazione dei nomi dei padri.
Viene anche data ai presenti la lista dei vescovi già facenti parte delle
commissioni preparatorie. Naturalmente ogni vescovo aveva la libertà di
trarre altri nomi dal libretto con la lista di tutto l'episcopato cattolico,
ma era facile che venissero ricopiati i nomi dei membri delle commissio-

63 DMC IV, p. 597.


64 AD II/4 1, p. 256.
46 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

ni preparatorie: ogni padre doveva votare per 160 suoi colleghi ed ela-
borare una lista propria su tante opzioni non era possibile. Avrebbe fi-
nito facilmente, in assenza di conoscenze specifiche, per riprodurre più
o meno quella delle commissioni preconciliari. In questo modo si_ sareb-
be stabilita una continuità tra il lavoro preconciliare ed il concilio, che
avrebbe così recepito automaticamente quegli schemi che erano già stati
approntati. Le scelte fatte dalla Curia nella fase preparatoria sarebbero
state così confermate. Parecchie testimonianze su quei primi giorni met-
tono in rilievo l'insoddisfazione di una parte dei vescovi per gli schemi
approntati; ma non si può generalizzare la sensazione. Il card. 'Montini -
secondo la testimonianza del card. Urbani - dice ai suoi colleghi della
direzione della Conferenza Episcopale Italiana che «sarebbe meglio dila-
zionare la seduta del domani perché impreparati»65 •

3 .1. La seduta del 13 ottobre

La prima congregazione generale, tenuta il 13 ottobre ed apertasi


sotto una pioggia torrenziale, avrebbe, dunque, dovuto essere dedicata
alle elezioni delle commissioni. Il card. Florit, arcivescovo di Firenze,
celebra la Messa che la apre il segretario generale del concilio, mons.
Felici, intronizza il V angelo. Il consiglio di presidenza, formato da dieci
cardinali e presieduto dal decano Tisserant, prende posto su di un tavo-
lo davanti al trono papale vuoto. Il segretario generale si appresta a
chiedere ai vescovi di eleggere i membri delle commissioni66 •
Qualche lavoro di concertazione, secondo alcune fonti, era avvenuto
tra francesi, belgi e tedeschi in vista di tale momento: ne vengono messi
a parte sia. i melki ti, sia alcuni africani67 • Larrain e Camara avevano fatto
visita ai due ecclesiastici impegnati nel funzionamento della conferenza
francese, Villot ed Etchegaray, e vengono ascoltati con attenzione68 • Più
operativamente il card. Ottaviani aveva messo fu circolazione una <<lista
fantasma» con una serie di nominativi che sarebbero stati considerati
«sicuri» dal suo dicastero 69 • La voce di questa lista, che corse in vari
ambienti conciliari, preoccupò notevolmente alcuni padri che vi lessero

65 Così le note del vescovo di Volterra, M. BERGONZINI, Diario del condlio Vaticano
II, Modena 199 3, p. 9.
66 AS 1/1, pp. 107 e 207.
67 JEdb 11 ottobre 1962, f. 15.
68 Cfr. H.P. CAMARA, Les conversions d'un éveque, Paris 1977, p. 152.
69 DTcc 13 ottobre 1962, f. 2; la stessa indicazione su una lista del S. Uffizio in
DFnt 13 ottobre 1962.
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 47

il tentativo di pilotare il lavoro delle commissioni. Del resto la personali-


tà del card. Ottaviani - com'è noto - aveva rappresentato un polo mol-
to chiaro all'interno dei lavori, talvolta parecchio tesi, della commissione
centrale preparatoria.
Lo spaesamento nell'aula conciliare fu grande all'annuncio, de man-
dato Praesidis, da parte del segretario generale perché si procedesse sen-
za alcun indugio alla prima votazione pro eligendis sodalibus e quindi
alla costituzione delle commissioni. Era uno spaesamento che non tocca-
va solo i vescovi di periferia. Anche il card. Montini, una delle persona-
lità conciliari più autorevoli, condivideva questo stato d'animo, quando
scriveva ai suoi diocesani: «Nomi e nomi, come conoscerli e come sce-
glierli?»70. Eppure quel 13 ottobre sembrava che la scelta si dovesse
operare immediatamente tra i circa 2.500 prelati. Alcuni si scambiano
messaggi di nascosto tramite i chierici cerimonieri al fine di ricevere in-
dicazioni dai loro colleghi. C'era sconcerto in aula. La procedura per
scrivere 160 nomi avrebbe preso molto tempo, sicuramente più di
un'ora.
Mentre i padri - nonostante tutto - si dispongono a votare docil-
mente, il card. Liénart di Lille si alza e prende la parola dal banco della
presidenza di cui è membro. L'anziano porporato, creato cardinale da
Pio XI, era una figura prestigiosa tra i vescovi. L'intervento - propria-
mente la lettura di una breve mozione d'ordine in latino - chiede che il
voto sia rinviato di qualche giorno perché i padri possano avere il tem-
po di conoscersi e le conferenze episcopali di elaborare le proprie liste.
L'intervento è interrotto da un prolungato applauso71 •
Il card. Frings, anche a nome di Dopfner e Konig, appoggia il passo
del collega francese, parlando anche lui dal tavolo di presidenza72 • Dopo
una qualche concertazione tra il consiglio di presidenza, il card. Tisse-
rant annuncia che la proposta di Liénart è stata accettata e che la vota-
zione è rinviata73 . Non essendoci altri punti all'ordine del giorno, la se-
duta è tolta. La seconda giornata del concilio dura meno di 50 minuti e
si svolge tutta e solo al tavolo di presidenza.

10 CTr. la lettera ai diocesani e altre informazioni sul cardinale in G.B. Montini arci-
vescovo di Milano e il I periodo del Vaticano II, Roma 1988.
71 Cfr. AS 1/1, pp. 207 208.
n AS 1/1, p. 208.
73 Felici annunzia che anche i cardinali possono essere votati nelle commissioni per
rispondere ad alcuni dubbi dei padri, ibidem.
48 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

3 .2. Significato di quel rinvio

Questa strana giornata, con gli interventi di due membri dd consi-


glio di presidenza, fece un effetto molto forte sull'assemblea. Mons.
Edelby annota nel suo diario che la vittoria di Liénart fu considerata
«come un primo fallimento inflitto alla segreteria del concilio, che vole-
va condurre il concilio con la bacchetta». Il card. Siri osserva con pre-
occupazione l'accaduto: «In un'aria di evidente e concitato malessere -
annota - si disperdono i partecipanti». Era chiaro che in maggioranza i
padri conciliari erano soddisfatti di avere più tempo per decidere chi di
loro dovesse partecipare alle commissioni. Insomma il gioco conciliare
sarebbe stato fatto dalle dinamiche assembleari e non al di fuori di esse
da una qualche regia esterna. Tra i padri serpeggiava anche un certo
scontento sull'organizzazione dei lavori e delle segreterie, peraltro piut-
tosto difficile in presenza di un numero imponente di prelati.
Il gesto di Liénart fu interpretato da molti vesq>vi come la protesta
contro la predeterminazione delle scelte conciliari. E significativo che ci
sia un'immediata reazione critica nell'ambiente italiano. Un'ora dopo la
fine della prima congregazione generale, il card. Siri va nel palazzo del
S. Uffizio dove si tiene un incontro informale con il card. Ottaviani,
l'assessore mons. Parente e mons. Vagnozzi, delegato apostolico negli
Stati Uniti. Il problema è preparare un accordo sulla lista con le confe-
renze episcopali più «consone». Mons. Vagnozzi offre il contatto con i
vescovi nord-americani. Sembra che Siri voglia sfuggire a una logica di
blocchi all'interno del concilio, della cui necessità i suoi interlocutori
sono convinti: «Credo infatti che si debba non secondare - se non per
stretta necessità di difesa della Chiesa - una politica di blocchi. E biso-
gna anzitutto non vedere blocchi dappertutto». Così il cardinale di Ge-
nova interpreta quanto è accaduto nella stessa mattinata: «Che qui ci sia
una manovra guidata più oscuramente che coscientemente da una certa
antipatia anticuria, mi pare evidente».
Per il card. Siri la realtà è che «i nordici ce l'hanno con Roma»: da
questo stato d'animo è nata l'iniziativa del card. Liénart. Al s. Uffizio si
è un po' perplessi su questa interpretazione troppo benevola; a loro av-
viso c'è una manovra organizzata molto chiara a cui bisogna reagire col-
legandosi al card. Spdlman e a i vescovi latino-americani. Siri suggerisce
di tener conto anche degli africani, asiatici e dei francescani che fanno
capo a p. Balié74 • Per quei padri che ancora non sapevano che avrebbe-

DSri 13 novembre 1962, p. 361: «Mi rendo conto di quanto equilibrio occorra
74
per non secondare né blocchi, né antiblocchi, annota l'arcivescovo di Genova do
vendo pur far fronte ad una situazione di intese, le quali in fondo procedono dal com-
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 49

ro formato la «minoranza» al Vaticano II, quel secondo giorno fu la


manifestazione palese dell'alleanza nordica che avrebbe orientato i lavori
conciliari.
Ma ci fu una regia così organizzata dietro al gesto del card. Liénart?
Le fonti registrano l'evento come una convergenza e non come un com-
plotto75. Il card. Urbani, fin dal giorno precedente, prevedeva «burra-
schetta nelle acque conciliari»: del resto il patriarca di Venezia aveva ri-
cevuto un cenno da parte del card. Léger su di una eventuale crisi di
carattere procedurale76 . P. Congar insiste sul significato profondo della
prima congregazione generale. Per lui è il primo atto conciliare con un
suo spessore proprio: «rifiuto della stessa possibilità di un fatto prefab-
bricato»77. Nel respingere le elezioni immediate si è voluto evitare che il
concilio sia la continuazione della sua preparazione attraverso la confer-
ma degli stessi membri delle commissioni preconciliari per quelle conci-
liari. Mons. Gantin, vescovç del Benin, ha così considerato quella secon-
da giornata del concilio: «E come se avessero detto a ciascuno di noi:
non sarai più portato, ma tu sarai portatore. È tutt'altra cosa avere le
proprie idee, anziché essere costretti ad accettare le idee degli altri». Ed
ha aggiunto: « ... era un confronto: che ha aperto la via allo spirito di
collegiali tà»78 .
La proposta di Liénart infatti ha valorizzato, nel quadro della grande
e magmatica assemblea conciliare, i corpi intermedi rappresentati dalle
conferenze episcopali le quali ricevono subito il compito di preparare le
liste. Cioè i vescovi non sono più considerati soli nella gran massa dei
padri, quindi costretti a muoversi tra il disagio personale e le direttive
degli organi: il concilio ha corpi ed aree intermedie utili alla formazione
di una volontà comune ed alla chiarificazione delle idee e delle prospet-
tive. Ma siamo ancora all'inizio di un processo che prenderà corpo lun-
go il primo periodo del Vaticano II.

plesso eterno di inferiorità, che i nordici hanno verso Roma. Ma è meglio la carità e la
pace! Mi sento un po' triste perché il diavolo ci ha messo la coda ... ».
75 Chenu, ad esempio, non pare al corrente di una manovra e nota a proposito del
l'intervento di Liénart: «Il fatto di questa spontaneità unanime del corpo episcopale per
prendersi la libertà di fronte al "regolamento", provoca sensazione tra i vescovi ed attor-
no», NChn, p. 70.
76 DUrb 12 ottobre 1962.
77 JCng 13 ottobre 1962, ds p. 7 4.
78 Intervista al card. B. Gantin, in G.F. SVIDERCOSCHI, Inchiesta sul Concilio, Roma
1985, p. 13.
50 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

3.3. I retroscena della iniziativa ùenart

In realtà l'intervento del card. Liénart non è il frutto di un disegno


così articolato, come si pensa alla riunione del S. Uffizio. L'anziano ve-
scovo di Lille non era certo il solo fra i padri che si aspettava una im-
mediata revisione della procedura d'elezione. Secondo alcuni il card.
Tisserant, presidente di turno del consiglio di presidenza, aveva suggeri-
to al segretario generale del concilio di rinviare la votazione e far redi-
gere dalle conferenze episcopali liste proprie. Questo passo del cardinal
decano venne fatto dopo la messa in S. Pietro, nonostante il fatto che il
segretario di Stato, card. Cicognani, consultato in proposito, si fosse di-
chiarato favorevole ad una votazione immediata. Felici si schierò con Ci-
cognani: Tisserant comunicò la posizione di Felici al card. Liénart «che
ne rimase contrariato». Fu dopo questo diniego che il vescovo di Lille
decise di prendere la parola, seguito dal card. F rings, molto legato al-
1' anziano porporato france se. r

Questa cronaca dei fatti - che contiene elementi tutti separatamente


veri - potrebbe essere confrontata con varie decine di racconti analoghi,
tutti parziali non per malafede o per disinformazione. Infatti va tenuto
conto del clima denso di inquietudini e di incertezze, tale da far sentire
ciascuno «parte» delle scelte altrui.
Dietro il gesto del card. Liénart c'è dunque una storia lunga. Non
fu, quel gesto, come alcuni dissero un momento di illuminazione del-
1' anziano cardinale; non c'era nemmeno però una congiura di vaste pro-
porzioni tesa ad umiliare la segreteria generale e, quindi, la curia roma-
na79. L'iniziativa - o meglio l'intervento del card. Liénart - si colloca a
metà strada tra un impegno personale catalizzatore e il disagio di un
gruppo ristretto di vescovi francesi. Egli stesso ha raccontato che si era
diffusa la voce che la segreteria del concilio avrebbe provveduto a dif-
fondere alcune liste di padri da votare. Il cardinale era perplesso sulla
situazione, come altri padri conciliari, e si rese conto che, in assenza di
liste alternative, i padri avrebbero inevitabilmente riconfermato le com-
missioni preconciliari: «noi dovevamo dunque prendere in mano le no-
stre responsabilità e non rimetterci a quanto esisteva prima di noi». La
decisione di intervenire è confortata dal parere del card. Lefebvre che lo
pregò di prendere la parola per scongiurare almeno le elezioni immedia-

79 J.GUI1TON> Paul VI secret> Paris 1979, p. 96 parla di 7 cardinali fra i quali


Montini; CAMARA, Les conversions... , cit., indica Larrain e se stesso in connessione con
Villot ed Etchegaray; Congar sa di Garrone ed Ancd; varie fonti conoscono la funzione
avuta da Martimort, almeno nd tradurre il testo in latino ...
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 51

te e gli fornì una traduzione latina di una istanza che Liénart non era in
grado di improvvisare in quella lingua80 •
Dopo la messa nella basilica, quando il card. Liénart si rese conto
che davvero si sarebbe proceduto subito alla votazione, si rivolse al
card. Tisserant che sedeva alla sua destra al tavolo di presidenza e gli
disse: «Eminenza, è impossibile votare così, senza saper nulla sui candi-
dati più qualificati. Vorrei, se lei permette, prendere la parola». Ed il
decano del S. Collegio: «Non posso dargliela ... perché il programma di
questa seduta non comporta nessuna discussione». A questo punto il ve-
scovo di Lille decise di prendere la parola da solo senza l'autorizzazione
di Tisserant81 • Dopo il suo intervento parlò il card. Frings. Il vescovo di
Lille ha sempre escluso che ci f asse stata un'intesa in precedenza con il
collega tedesco, anche se la stampa interpretò il susseguirsi dei due in-
terventi come l'espressione di un'alleanza franco-tedesca contro la dire-
zione romana del concilio. Il papa venne incontro alla richiesta di Lié-
nart in aula conciliare, concedendo tre giorni in più ai padri conciliari
perché potessero consultarsi. Liénart sostiene che Giovanni XXIII gli
avrebbe detto: «Avete fatto bene a dire il vostro pensiero perché è per
questo che io ho convocato i vescovi al concilio»82 • Nessuna congiura,
ma un diffuso disagio reale che si era fatto iniziativa concreta83 •

80 Lefebvre avrebbe consegnato nelle mani di Liénart il testo latino all'ingresso in


aula il 13 ottobre; lo stesso Tisserant aveva scritto a Felici il 12/10/62 per lamentare la
mancata definizione d'un orientamento in vista delle dezioni delle commissioni, cfr. AD
App. Alt., pp. 330 331.
8 1 Ci sono vaghe indicazioni sul fatto che altri vescovi avrebbero desiderato chiede
re il rinvio delle votazioni (H. Camara, ad es.), ma non si capisce chi avrebbe potuto
dar loro la parola. Va quindi distinto con cura ciò che è la scontentezza di molti davanti
alla procedura, e ciò che è l'organizzazione di una azione procedurale efficace.
82 R. AUBERT, Lo svolgimento del concilio, in La Chiesa del Vaticano II. Storia della
Chiesa, XXV/1, Milano 1994, pp. 229. .
83 Di valorizzare le conferenze episcopali nella preparazione delle liste conciliari
Liénart aveva parlato a mons. Felici fin dal gennaio 1962, ·mentre il francese card. Jul
lien, decano di Rota, si era mosso nello stesso senso qualche mese dopo (anche se in ot
tobre si mostrò critico sulla possibilità di trovare un nuovo sistema di voto); nella seduta
della sottocommissione dd regolamento del 28 maggio 1962 s'era già posto il problema
di sollecitare in anticipo i padri inviando loro insieme agli schemi preparatori un invito
a presentare candidature per le commissioni, cfr. AD App. Alt., pp. 159 170 e G. ALBE
RIGO, La preparazione del regolamento del concilio Vaticano II, in Vatican II commence ... ,
pp. 54 74; inoltre SIV 1, p. 153.
52 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

4. Le commùsioni conciliari

4.1. Un nuovo ruolo per le conferenze episcopali

C'era, nel rinvio del 13, una spinta a valorizzare le conferenze epi-
scopali, che si scontrava però con difficoltà organizzative84 , e per di più
sollevava dubbi di merito: le conferenze, con l'elaborazione delle liste,
non avrebbero espropriato i vescovi della loro libertà di scelta creando
una specie di dirigismo del concilio?
Il dubbio non si sarebbe sciolto se mons. Garrone, coadiutore di
Tolosa, non si fosse applicato da qualche mese ai problemi del Regola-
mento del concilio che trovava piuttosto lacunoso85 • Il futuro cardinale
ne era piuttosto insoddisfatto dopo la lettura fattane nell'agosto 1962 a
seguito della promulgazione86 • Colse subito come il concilio si sarebbe
trovato in difficoltà sul problema dell'elezione delle commissioni conci-
liari. L'art. 39 del regolamento recitava:
Nelle sessioni pubbliche, le congregazioni generali e le commissioni conciliari, è ri-
chiesta una maggioranza dei due terzi dei suffragi dei padri presenti, salvo per le elezio
ni in cui si applica il canone 101, 1, 1 del e.I.e., e se il Sommo Pontefice non decide
altrimenti in pectore suo.

Il canone citato prevedeva la maggioranza assoluta dopo due scrutini


e quella relativa al terzo. Garrone si rese conto dell'influsso che il Rego-
lamento avrebbe avuto sui lavori conciliari. Tra l'altro - per tornare ad
un problema sentito dai melkiti - si stabiliva lordine di precedenza an-
che per gli interventi in aula: i patriarchi seguivano i cardinali. L'art. 28
statuiva che la lingua delle sessioni pubbliche, delle congregazioni gene-
rali, del tribunale amministrativo e degli atti del concilio, fosse il latino.
Solo nei dibattiti delle commissioni erano autorizzati gli interventi anche
nelle lingue «volgari».
Dal suo arrivo a Roma, Garrone volle lavorare sul regolamento e in
particolare sulla questione delle elezioni. Parlò con il card. Jullien che
trovò maldisposto e fece parlare al decano Tisserant, secondo il quale
era impossibile fare qualcosa (in realtà il cardinale francese aveva per-
plessità sul Regolamento e sull'assenza di una commissione ad hoc). Il
card. Liénart condivideva invece le perplessità del suo più giovane colle-

84 L'Annuario Pontificio portava 42 conferenze, di cui solo 7 erano state erette dalla
S. Sede; cfr. G. FELICIANI, Le conferenze epì.rcopali, Bologna 1985.
85 Sulle parallele insoddisfazioni di Dossetti e Jedin, cfr. G. ALBERIGO, La prepara-
zione del regolamento ... , in Vatican II commence ... , pp. 56 62.
86 SIV 1, pp. 349 358.
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 53

ga francese, ma non decise nulla da un punto di vista operativo. Tutta-


via, nella notte tra il 12 ed il 13 ottobre, al seminario francese, mons.
Garrone e mons. Ancel assieme a pochi altri prepararono un testo da
consegnare a Lefebvre perché lo rimettesse a Liénart. Insomma da parte
di qualche padre conciliare si cominciò a manifestare un interesse attivo
alla meccanica del concilio. Non era la mobilitazione di un'area di ve-
scovi, ma l'iniziativa, a diversi livelli, di alcuni prelati sensibili ed attenti
alle dinamiche assembleari87 , al significato delle procedure. Anche in
questo la giornata del 13 ottobre fu importante in sé e per gli effetti
successivi. Un vescovo come Liénart, poteva manifestare la sua opinione
sullo svolgimento dei lavori conciliari e bloccare un'iniziativa della se-
greteria. La proposta di mons. Felici per un'immediata votazione dei
membri delle commissioni conciliari esprimeva invece l'idea di concilio
che si era realizzata nei lavori preconciliari. Il problema era giungere ad
una serie di documenti coerenti e chiari; era molto meno questione di
valorizzare le potenzialità e le spinte dell'assemblea. Il motore del lavoro
sarebbe stata la segreteria e, ulteriormente, la curia romana. L'assemblea
dei vescovi era un passaggio solenne ed obbligatorio, ma non aveva po-
tenzialità profonde da esprimere.
Era un modo di vedere che discendeva da una consapevolezza e da
prassi di governo consolidata propria di taluni ambienti della curia ro-
mana, e che ora veniva applicata al concilio: questa «cultura» aveva for-
giato uno stile di governo ed un personale, che era - pur nelle profonde
e talora laceranti differenze - quello che aveva steso i vota preparatori
delle università romane. Non che si ignorassero i problemi che travaglia-
vano la chiesa, ma ci si sentiva «chiamati» e titolati a risolverli tutti:
mons. Felici rappresentava questa posizione.
Con l'intervento di Liénart si mostrava invece la volontà dei padri
conciliari di autogovernarsi come assemblea. Non era una rivolta contro
il papa, come scrissero alcuni giornali. Non sembrava almeno in rotta di
collisione con la volontà del papa, quale era stata espressa nell' allocuzio-
ne Gaudet mater ecclesia. Non si trattava nemmeno - va detto - dell'ap-
plicazione diretta di quanto Giovanni XXIII aveva detto. C'era il disa-
gio dei vescovi di fronte alle meccaniche elettorali previste per quel 13
ottobre. L'iniziativa puntigliosa di un piccolo gruppo di vescovi più sen-
sibili, diede modo a quel disagio di trovare una sua espressione.
Una conseguenza importante dell'intervento di Liénart era l'ingresso
delle conferenze episcopali nelle dinamiche conciliari. Erano le confe-

87 Cfr. PH. LEVILLAIN, La mécanique politique de V atican II. La majorité et l'unani


mité dans un Conci/e, Paris 1975.
54 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

renze che avrebbero dovuto presentare le liste dei padri alla segreteria
generale entro il 15 ottobre (anche se alcune di esse - come la Spagna
ed il CELAM - non lo fecero). In ogni modo si riconosceva l'esistenza
di corpi intermedi nella grande assemblea con una loro partecipazione
propria alla dinamica conciliare. Non si sceglieva di partecipare al Vati-
cano II per «nazioni» o per <<lingue», ma veniva riconosciuto il ruolo
delle conferenze88 • I vescovi prendevano così coscienza del bisogno di
vivere una corresponsabilità con i loro confratelli più prossimi per par-
tecipare pienamente alla grande assemblea conciliare. La preparazione
delle liste non era che l'inizio di una concertazione che avrebbe raggiun-
to punte molto alte in talune conferenze episcopali. Era ormai chiaro a
molti padri che un vescovo non viveva più il concilio da solo di fronte
alla segreteria ed all'immenso numero di padri a lui ignoti; per uscire
dall'anonimato della grande assemblea, non si dovevano cercare solo ri-
ferimenti nella curia o nella direzione del concilio. Il riferimento più im-
mediato appariva proprio la conferenza episcopale.
Veniva definitivamente a cadere quella pregiudiziale contro le riu-
nioni nazionali dei vescovi, che era stata molto viva durante il concilio
Vaticano 189 • Infatti, nei lavori del Vaticano I, c'era da parte della S.
Sede 1a grande preoccupazione che gli episcopati nazionali - in partico-
lare quello francese e tedesco - giocassero un ruolo troppo autonomo.
Mons. Mar et, vescovo francese e teologo antinfallibilista, lamentava che
i vescovi si presentavano soli alla curia ed al concilio, privi di un raccor-
do tra loro e di una preparazione comune. Ma la posizione di Roma era
contraria alla concertazione tra gli episcopati, tanto che i vescovi della
provincia ecclesiastica torinese rinunciarono ad un previsto incontro in
questa prospettiva90 • Qualcosa di questa diffidenza era rimasto nella cu-
ria, come se la sua memoria collettiva si fosse trasmessa l'eco della resi-
stenza degli episcopati francese, tedesco ed austroungarico alla procla-
mazione della infallibilità e del primato del papa al Vaticano I. Invece,

88 Le liste delle conferenze sono ora edite in AS Vl, pp. 40 75.


89 Il segretario di Stato, card. Antonelli, aveva escluso che gli episcopati nazionali si
occupassero del «concilio generale che rappresenta tutta la chiesa e non già i diversi epi-
scopati nazionali». Allora i vescovi francesi furono autorevolmente consigliati dal segre
tario di Stato perché non si riunissero: «ogni nazionalità sparirà nella ecumenicità del
concilio» (mentre alcuni vescovi intendevano incontrarsi proprio per le elezioni): cfr. G.
ARRIGONI, Giornale del concilio Vaticano I, a cura di M. Maccarrone, Roma 1966, n. 8 e
9. L'avvio di questa edizione era stato dato nel 1962 da Giovanni XXIII al quale era
stato offerto il ms ritrovato da U. Betti.
90 A. RicCARDI, Neogallicanesimo e cattolicesimo borghese. Henri Maret e il Concilio
Vaticano I, Bologna 197 6.
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 55

all'inizio del Vaticano II, le conferenze episcopali trovavano consacrato


il loro ruolo per la formulazione delle liste. P. Congar annota nel suo
diario il 15 ottobre, dopo le riunioni per la formulazione delle liste:
«Uno dei risultati del concilio potrebbe essere la nascita di una collegia-
lità episcopale mondiale, articolata e strutturata»91 •
La realtà delle conferenze episcopali non è uniforme, anzi esistono
parecchie differenze per quanto riguarda il funzionamento, le dimensio-
ni di lavoro e la tradizione. Solo dal 1959 l' «Annuario Pontificio» ripor-
ta le conferenze episcopali funzionanti, riconoscendone il carattere uffi-
ciale anche se solo 7 su 43 avevano uno statuto approvato in via defini-
tiva. Le conferenze sono diverse tra loro. Si va dalla Réunion annuelle
de tEpiscopat de Belgique alla Conferenza episcopale tedesca nata nel
1847 o alla Assemblée des Cardinaux et Archeveques de France, che ha
però a sua disposizione un segretariato molto attivo. Era stata la S.
Sede, negli ultimi decenni, a promuovere la formazione di questi coetus
dei vescovi d'una nazione superando l'antica diffidenza romana verso le
organizzazioni nazionali di vescovi. Il pontificato di Pio XII ha segnato
un particolare impulso in questo senso: nel 1955 ha visto la luce il CE-
LAM come organo di coordinamento delle conferenze episcopali latino-
americane. Brasile, Bolivia, Colombia, Cile, Ecuador, Messico, Perù, Pa-
raguay hanno ricevuto l'approvazione degli statuti delle loro conferenze
proprio da papa Pacelli92 • Infatti nella visione del predecessore di Gio-
vanni XXIII, le conferenze episcopali sono uno snodo importante nel-
l'articolazione unitaria del cattolicesimo.
Papa Roncalli, che aveva conosciuto il funzionamento dell'assemblea
dei cardinali e arcivescovi di Francia e partecipato agli esordi della con-
ferenza italiana, dà nuovi impulsi all'attività collegiale dei vescovi attra-
verso nuovi riconoscimenti statutari di conferenze. Alla vigilia del Vati-
cano II, la materia delle conferenze episcopali si presenta come uno dei
campi da ordinare da un punto di vista legislativo e da qualificare in
una prospettiva teologica. In realtà rappresenterà nei lavori conciliari
uno dei problemi importanti, connesso com'è alla questione della colle-
gialità episcopale. Ma quel 13 ottobre le conferenze episcopali entrano
concretamente come protagoniste nelle prime scelte che i padri concilia-
ri debbono compiere: per la prima volta i segretari delle conferenze epi-
scopali hanno abboccamenti e contatti che prescindono dal controllo e
dalla vigilanza delle congregazioni.

91 JCng 15 ottobre 1962. ds p. 76.


92 Sugli episcopati latino americani cfr. i contributi del colloquio di Houston in Vl-
speras e in S. Paulo.
56 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

4.2. Liste delle conferenze episcopali per le elezioni

Molti vescovi ricordano il susseguirsi di riunioni episcopali per stabi-


lire le liste. Si va formando una lista europea con vescovi tedeschi, fran-
cesi, belgi, austriaci, olandesi, ma con l'esclusione di italiani e spagnoli.
I patriarchi orientali tentano di elaborare una lista comune, ma i maro-
niti si oppongono alla candidatura di mons. Edel by per la commissione
orientale. Così i melkiti finiscono per orientarsi sulla lista nordeuropea,
nordamericana ed africana. Dal S. Uffizio si comunica ai vescovi italiani
e spagnoli una lista per la commissione teologica.
Anche i vescovi italiani, che non avevano mai avuto riunioni pleq_arie
fino a quel momento, sono convocati dal card. Siri in assemblea. E la
prima volta che tutti i vescovi della penisola si riuniscono, infatti le pre-
cedenti riunioni della conferenza episcopale italiana riguardavano solo i
presidenti delle conferenze regionali. L'episcopato italiano è il più folto
al Vaticano Il: si tratta di 430 presuli, a cui si debbono aggiungere altri
vescovi italiani impegnati fuori dal paese in missione o operanti nella
curia romana. Tra questi vescovi e quelli della conferenza episcopale ita-
liana i legami non sono tenui. Il 14 ottobre i vescovi italiani si riunisco-
no tutti insieme alla Domus Mariae. Il card. Montini non esita a defini-
re questo avvenimento come un fatto «storico» ed individua nel concilio
quella maturazione di circostanze che devono attivare relazioni <<feconde
di mutue fOnoscenze, di concordia, di collaborazione per l'Episcopato
italiano». E il frutto delle dinamiche conciliari. Tra i cardinali, parlano
Ruffini di Palermo, Urbani di Venezia e Lercaro di Bologna. Tace il
card. Montini. Dall'assemblea il presidente Siri ottiene «pieno mandato
[. .. ] circa le trattative e circa il criterio». Tuttavia nella conferenza pre-
vale un atteggiamento di rispetto gerarchico, cioè sono i cardinali a de-
terminare l'orientamento. Un vescovo italiano anonimo nota: «Non è
vero che ci è stato detto come votare o che ci si è imposta una linea:
ma c'era un atteggiamento autoritario ... »93 •
Il presidente Siri vuole «fare una lista veramente cattolica». Il card.
Lercaro, impegnato nel movimento liturgico, non compare nell'elenco
italiano per la commissione liturgica, ma trova posto in quella centroeu-
ropea e in quella del Madagascar per cui viene eletto («coi voti degli
stranieri» - egli nota con una certa amarezza) 94 . Il card. Siri si mette a
lavorare alacremente, tenendo i contatti con il delegato apostolico negli
USA e con qualche vescovo spagnolo. Qualche giorno dopo la conf e-

93 R. CAPORALE, Les hommes du Concile, Paris 1965, p. 75.


94 LERCARO, Lettere ... , cit., p. 80.
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 57

renza episcopale italiana, cioè i presidenti delle conferenze episcopali re-


gionali, decide di continuare le riunioni plenarie dell'episcopato italiano,
aprendole anche ai vescovi di lingua italiana nel mondo: pur lasciando
la libertà ad ogni padre - conclude la conferenza episcopale italiana -
«è necessaria una illuminazione vicendevole, per evitare che si formino
gruppi di pressione»95 • La lista italiana escludeva i tedeschi e i francesi,
pur includendo altri nomi non italiani.
Le concertazioni per le liste consentono ai padri di prendere mag-
giormente le proprie misure di fronte alla grande assemblea conciliare.
Alla fine di un intenso lavorio e di molte consultazioni sono presentate
34 liste. La più completa è quella del «Mercato comune», così definita
dal giornalista Fesquet96 : austriaci, belgi, tedeschi, francesi, svizzeri,
olandesi, iugoslavi e scandinavi erano presenti in questa lista che conta-
va 112 nomi per le dieci commissioni. L'Italia, che aveva tentato un col-
legamento con altri paesi specie per la commissione teologica, si presen-
tava alla fine con 62 candidati, forte di un'area di presumibile consenso
di circa 500 vescovi. I vescovi britannici, quelli irlandesi e quelli porto-
ghesi presentavano tre liste distinte con nomi propri, anche se piuttosto
ristrette. Al di fuori dell'Europa, l'episcopato statunitense candidava 27
presuli per 9 commissioni; quello canadese 12 per 10 commissioni; quel-
lo indiano -. unico asiatico a fornire una propria lista - 38 per tutte le
comm1ss1ont.
Dall'Africa solo i vescovi malgasci (3 3 candidati per le 1O commis-
sioni) e quelli nigeriani (14 nomi per 9 commissioni) avevano proposto
liste. I vescovi dell'Oceania si erano mossi insieme: 19 nomi per tutte le
commissioni. Dalle chiese orientali giungevano tre liste. L'America Lati-
na presentava una situazione piuttosto complessa: il CELAM scelse di
non elaborare una sua propria proposta di candidati, mentre gli episco-
pati argentino, cileno, colombiano, venezuelano, peruviano, boliviano,
paraguaiano e uruguaiano, fecero liste proprie seppure di differenti di-
mensioni. Si resta colpiti del fatto che l'importante episcopato brasiliano
non elaborò una sua lista (anche l'Ecuador fece la stessa scelta). I supe-
riori generali presentarono una lista propria. Era poi sempre disponibile
ai padri conciliari l'elenco dei partecipanti alle commissioni preconcilia-
ri, da cui potevano trarre nomi per l'elezione.
La confezione di tanti elenchi fu fatta in gran fretta. Alcuni candida-
ti si trovavano in varie liste - in primis la lunga lista del «Mercato Co-
mune» - mentre membri di altri episcopati non avevano trovato uno

95 Cfr. SPORTELLI, La Conferenza ... , cit., p. 52.


96 H. FESQUET, Diario del concilio, Roma 1966, p. 34.
58 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

spazio97 • Tra i vari poli rappresentati dalle liste, i padri conciliari si po-
tevano orientare seguendo percorsi non facilmente decifrabili, magari
connessi a legami tra chiese del Nord e chiese del Sud, fedeltà a Roma,
appartenenze a congregazioni religiose, colleganze legate agli studi; ma
esisteva come elemento identitaria - fatto che non può essere sottovalu-
tato - l'appartenenza ad una comune conferenza episcopale come prin-
cipale fattore d'orientamento.
La seduta elettorale fissata al 16 ottobre si presenta macchinosa.
Con il voto si sarebbero prodotte circa 24.000 schede con 400.000 pre-
ferenze (il cui spoglio richiese quattro giorni di lavori). Non meraviglia
che la seconda congregazione generale si sia aperta con un dibattito
procedurale: il card. Ottaviani propose di modificare il sistema di com-
puto dei voti, suggerendo che si rinunciasse a richiedere la maggioranza
assoluta, per l'elezione in una commissione, e che comunque ogni padre
potesse cumulare i voti ottenuti in tutte le commissioni in modo da ot-
tenere il seggio di una sola98 • Lo scopo evidente era quello di ridurre le
votazioni ad un solo scrutinio. Certuni sospettarono che questo sistema
avrebbe favorito i candidati italiani. Tuttavia la proposta, secondo alcuni
testimoni, non sembrò dispiacere all'assemblea. Fu un cardinale italiano,
Roberti, presidente del tribunale amministrativo del concilio, a respinge-
re l'idea99 • Di nuovo il consiglio di presidenza fu chiamato a deliberare
come dopo l'intervento del card. Liénart. A nome del consiglio inter-
venne il card. Ruffini, il quale dichiarò che non si poteva mutare il re-
golamento e che la proposta di Ottaviani sarebbe stata sottoposta al
papa. Visibilmente il card. Tisserant mostrò il suo disaccordo con l'idea
di Ottaviani e poi dichiarò a sua volta, come presidente della seduta,
che si sarebbe proceduto lo stesso giorno al voto per le commissioni e si
sarebbe inoltrata solo successivamente al papa la proposta di semplifica-
zione100.
Alla fine prese la parola mons. Felici che informò i padri che le
schede potevano essere compilate a casa, ma dovevano essere consegna-
te manu et non per tabellarlum entro le 18 del pomeriggio. Annunciò
pure che la terza congregazione generale si sarebbe tenuta il 20 ottobre
per iniziare la discussione sullo schema De liturgia. Comunicò che il
papa aveva nominato quattro sottosegretari del concilio. Qualche giorno
dopo sarebbe stata annunziata la nomina del vescovo melkita, mons.
Nabaa, come quinto sottosegretario: sembra che la stessa congregazione

97 Brasile, Messico, e Spagna.


9B AS Vl, pp. 108-109 del verbale; l'intervento di Ottaviani è alle pp. 211-212.
99 AS Vl, p. 212.
100 AS Vl, pp. 213 215.
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 59

orientale, diretta dal card. Testa, lo avesse richiesto al pa pa101 •


Nel suo intervento tecnico il segretario generale aveva dichiarato che
non era necessario firmare il voto. Il card. Ottaviani riprese la parola
per affermare che un voto non firmato era contrario al regolamento del
concilio (aggiunse pure che porre la propria candidatura era interdetto
dalla chiesa). Rispose il card. Liénart. Ottaviani insistette che la sua pro-
posta fosse sottomessa al papa, chiedendo anche che il concilio si espri-
messe con un voto palese a proposito di essa. Il card. Tisserant non ten-
ne conto dell'intervento di Ottaviani e fece procedere alle elezioni delle
commissioni. Del resto tra i padri si era diffuso un certo malcontento e
la sensazione che il concilio non partisse. Dopo la solenne, apertura
dell'l 1 ottobre sembrava che non si fosse concluso niente. E quanto
mons. Edelby sente tra i padri conciliari uscendo dalla basilica quello
stesso giorno. La stessa sensazione è comune a due osservatori delle an-
tiche chiese orientali, il p. Zhakka Iwwas dei siriaci e il p. Sarkissian de-
gli armeni di Cilicia102 •
La fatica dell'elezione e lo spaesamento generato da una meccanica
complessa sono elementi da non sottovalutare. La stessa impostazione
spirituale di molti presenti sembrava contrastare con le battaglie proce-
durali condotte all'inizio. Il card. Florit, nelle sue agende, lamenta che
le proposte di Ottaviani, così «pratiche», non abbiano avuto successo 103 •
Si teme il formalismo del voto e i commenti della stampa sulla divisione
tra i vescovi. I padri del Vaticano II possono presentarsi divisi di fronte
al mondo? Discutere, votare, dividersi fa parte della realtà di tutte le as-
semblee deliberative. Ma sarebbe stato impossibile dissimulare all'opi-
nione pubblica le contrapposizioni e le divisioni, malgrado lo stretto ri-
serbo.
Il 20 ottobre il card. Tisserant avrebbe annunziato che Giovanni
XXIII, su richiesta del consiglio di presidenza, aveva deciso che, dopo

101 Nabaa s'aggiunge a Villot, Morcillo, Krol e Kempf. AS Vl, p. 218: il papa darà
assicurazioni sulla fedeltà di Felici argomentando che il segretario generale sa che il papa
lo ha «salvato» dalle dimissioni proprio attraverso la nomina dei sottosegretari, DTcc 9
febbraio 1963, f. 130: «Al che egli ossetva che mons. Felici è un gran brav'uomo, ma che
ha la mentalità ristretta; sa il latii:io ed anche l'italiano e più o meno è tutto; è vero che
non si è messo lui a quel posto poiché fu proposto da Tardini senza che egli sapesse nul
la; è obbediente e buon lavoratore. Ma il Papa lo ha salvato (con aggiungergli i cinque
sottosegretari) e mons. Felici lo sa e gliene è grato»; pochi mesi prima Giovanni XXIII
aveva ironizzato su Felici, del quale preventivava le dimissioni in analogia con quanto ac-
caduto al Vaticano I, dove il segretario incapace di esprimersi in tedesco aveva dovuto es-
sere rimpiazzato, cfr. Diario di B. Migone, presso la famiglia, Note d'udienza.
102 JEdb 16 ottobre 1962, f. 24.
103 DF1o 16 ottobre 1962.
60 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

gli eletti a maggioranza assoluta sarebbero stati considerati eletti quelli a


maggioranza relativa 104 • In una certa misura si andava nella direzione
(pur senza accoglierla) della proposta procedurale avanzata dal card. Ot-
taviani, ma gli eventi della settimana davano al provvedimento un carat-
tere ben diverso: in realtà il papa recepiva le indicazioni dell'assemblea
per ogni lista. Anche i membri eletti a maggioranza relativa sarebbero
entrati nelle commissioni per ricoprire quei posti non occupati da quelli
(circa 1/3) eletti a maggioranza assoluta. Giovanni XXIII derogava al
regolamento, in particolare ali' art. 3 9 che prevedeva la maggioranza
assoluta: lo scopo della decisione papale era che non si dovessero ripete-
re le votazioni. Si poteva constatare così che il regolamento non era ap-
plicabile, almeno in alcune parti. Il papa avrebbe pure concesso la sa-
natio alle irregolarità incorse nelle elezioni. In questo modo si recepiva-
no gli orientamenti elettorali dei padri conciliari con il voto delle com-
missioni 105 •
Complessivamente la sospensione del voto aveva avuto un notevole
effetto innovativo, permettendo l'introduzione di nuovi padri - come si
vedrà poco oltre - a fianco di quelli che già avevano lavorato sugli sche-
mi preparatori. Se tale sospensione non fosse avvenuta è facilmente pre-
vedibile che si sarebbe avuta una riconferma in toto dei membri delle
commissioni preconciliari, che avrebbero continuato a lavorare con i cri-
teri e le prospettive già adottate. Si era realizzata, con l'autorità ed il
voto del concilio appena aperto, una discontinuità notevole.

43. Le votazioni

I risultati delle elezioni mostrano pure una frattura fra l' effervescen-
za procedurale nella quale si sono svolte e l'esito finale: al fondo l'orga-
nigramma delle commissioni comporta la conservazione di alcuni carat-
teri tipici della fase preparatoria106 • Le commissioni hanno ancora la
suddivisione di competenze ed i titoli (con la sola eccezione terminolo-
gica della commissione dottrinale che rimpiazza la teologica) che aveva-

104 AS 111, p. 223.


105 Anche la surroga di 4 eletti, dovuta a spontanee rinunce avverrà recuperando il
primo dei non eletti: di tali sostituzioni quella di maggior peso è quella del cardinal
Wyszytiski, membro della commissione per l'apostolato dei laici (all'interno della quale
si sarebbe a lungo discussa l'eventualità di una nuova condanna del comunismo): nomi-
nato membro del segretariato extra ordinem il primate polacco rinuncia alla elezione nel
la commissione.
106 AS 111, pp. 225 229.
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 61

no nella fase preparatoria. Ritroviamo perciò le commissioni dottrinale,


dei vescovi e del governo delle diocesi, per la disciplina del clero e del
popolo cristiano, dei religiosi, dei sacramenti, della liturgia, degli studi e
seminari, delle chiese orientali, delle missioni, dell'apostolato dei laici ed
il segretariato per l'unità.
A capo di ciascuna continuiamo a trovare il capo del corrispondente
dicastero, cioè i cardinali Ottaviani, Marella, Ciriaci, Valeri, Aloisi-Ma-
sella, Larraona, Pizzarda, A.G. Cicognani, Agagianian, con l'eccezione
(anche questa in continuità con la fase preparatoria) dei leader della
commissione per l'apostolato dei laici e del segretariato per l'unità, i cui
capi, i cardinali Cento e Bea, hanno una posizione anomala, ma non
ininfluente sulla struttura curiale107 •
La dirigenza e la composizione delle commissioni manteneva intatta
la preponderanza degli europei. Tuttavia non ci si poteva nascondere
che si erano abbozzate due aree di aggregazione. Una era rappresentata
dai cosiddetti <<latini» (cioè italiani e spagnoli); l'altra tendenza era quel-
la della lista «europea» che contava ben 39 eletti, di cui 22 a maggio-
ranza assoluta. La presenza nord e sud americana - quantitativamente
consistente - si amalgamava a queste grosse aggregazioni. Molto corposa
era la presenza dei 22 eletti italiani108 • Altri due episcopati conoscevano
un'affermazione forte: quello tedesco (11 eletti) e quello francese (16), i
quali potevano contare su un rappresentante in tutte le commissioni ec-
cetto quella orientale. I vescovi spagnoli, che non avevano presentato
una loro lista, si trovavano però ad avere 10 eletti nelle commissioni.
I vescovi extraeuropei hanno un peso minore nelle commissioni, an-

107 Questa è dunque la composizione della testa delle commissioni conciliari (alle
quali si aggiungono il segretariato per la stampa e quello per l'unità che vedranno rico-
nosciuta in modi diversi la capacità di elaborazione):
Dottrinale, presieduta da Ottaviani, Browne vp, Tromp sj segretario
Vescovi, presidente Marella, Mclntyre e Bueno y Monreal vp, Governatori segretario
Disciplina, presidente Ciriaci, del Portillo segretario
Religiosi) presidente Valeri, Rousseau orni segretario
Sacramenti, presidente Aloisi Masella, Bidagor sj segretario
Liturgia, presidente Larraona, Giobbe e Jullien vp, Antonelli segretario
Studi e seminari, presidente Pizzarda, de Barros Camara e Staffa vp, Mayer osb segretari
Orientale, presidente A.G. Cicognani, Quiroga y Palacios e Bukatko vp, Welykyj segre
tari o
Missioni, presidente Agagianian, Labandibar vp, Paventi segretario
Apostolato dei laici, presidente Cento, Silva Henriquez e O'Connor vp, Glorieux segre
tari o.
108 In maggioranza votati sulla lista italiana della conferenza episcopale italiana: nel
complesso, però, l'episcopato di origine italiana era presente in tutte le commissioni
conciliari.
62 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

che se è accresciuto rispetto a quelle preconciliari. I presuli latino-ameri-


cani portano nelle commissioni 27 eletti (di cui 7 brasiliani nonostante
non fosse stata presentata una lista dalla loro conferenza episcopale). Il
Nord America conta 26 rappresentanti nelle commissioni conciliari: i ve-
scovi statunitensi sono presenti in tutte le commissioni (è l'unico episco-
pato ad avere una simile posizione accanto a quello italiano). I vescovi
dell'Asia e dell'Oceania possono contare su 16 eletti, di cui ben 6 india-
ni. I presuli africani hanno una scarsa presenza, con 7 eletti, mentre le
chiese orientali ne contano 4 e i religiosi 3. Solo nella commissione sulle
missioni i membri del Sud del mondo sono in maggioranza rispetto al
Nord (9 su 16). Alla commissione orientale il patriarca Maximos IV è
eletto con 1112 voti e mons. Edelby con un centinaio di voti in meno;
al contrario di armeni, copti, siriaci, caldei, non eletti.
I membri eletti nelle commissioni che non .facevano parte di qualche
organismo preparatorio costituiscono una quota che varia sensibilmente
da commissione a commissione. Una prima geografia della tendenza in-
dica che solo il 57o/o d~gli elett~ apparteneva aJla fase preparato~ia. e ~l
43 % era nuovo ed ovviamente ·inesperto del lavoro delle comm1ss1onl.
Alcuni membri delle commissioni preconciliari continuavano ad avere
un ruolo in quelle conciliari, pur cambiando di commissione. Il maggio-
re rinnovamento era avvenuto nelle commissioni della liturgia (56%),
della disciplina dei Sacramenti (59%), degli studi e dei seminari (56%),
delle chiese orientali (50%). Al contrario nella commissione per i vesco-
vi e il governo delle diocesi il rinnovamento era stato minimo: 13 mem-
bri appartenevano alla fase preparatoria e solo 3 erano nuovi. Le altre
avevano avuto almeno un terzo di membri rinnovati1° 9 • In complesso,

109 4 nella c. Dottrinale: van Dodewaard 1537 voti - 4° degli eletti, Dearden 1189,
Charue 1138, McGrath 1116.
3 nella c. Vescovi: Schaufele 1658 voti 2° degli eletti, Mathias 745, Bueno y Mon-
real 722.
5 nella c. Disciplina: Jannsen 1315 - 3° degli eletti, Lommel 1174, Shehan 1135, van
Zuylen 1107, Rossi 1045.
4 nella c. Religiosi: Huyghe 1804 il più votato Reetz 1089, Daly 1040, Cahill 919
11 nella c. Sacramenti: Schneider 1673 2° degli eletti, McGucken 1602, von Streng
1497, Fonturvel 1030, van Cauwelaert 973, Rehnard 963, Fleitas ·946, Puech 931, Reh
890, Arai 854, Lallier 788
8 nella c. Liturgia: Grimshaw 1515 6° degli eletti, Hallinan 1347, van Bekkum
1338, Lercaro 1082, Pichler 1023, Enciso 835, Martin 804, D'Amato 795.
9 nella c. Studi: Hoffner 1462 - 4° degli eletti, Daem 1177, Klepacz 1152, Cody
1123, Bogarìn 94 7, Cazaux 927, Marchetti Zioni 804, Pintonello 802, Paré 7 81.
8 nella c. Orientale: Senyshyn 1432 - 1° degli eletti; Perinciaro 1264, Hoek 1167,
Baraniak 1116, d'Elboux 1009, McEntegart 754, Jansen 753.
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 63

quindi, in 5 commissioni su 10 l'aula rinnovava almeno metà del perso-


nale della fase preparatoria (tenendo anche conto degli spostamenti di
vescovi da un settore all'altro).
Non solo: nelle commissioni dei religiosi, nella orientale e nelle mis-
sioni il primo degli eletti era homo novus rispetto aJla preparazione; nel-
le commissioni dei vescovi, dei sacramenti e dei laici lo era il secondo;
nella disciplina era il terzo; nella dottrinale e negli studi il quarto, e infi-
ne nella commissione liturgica il primo dei membri nuovi inseriti nella
commissione figurava come sesto eletto. Tre nuovi membri - Schneider,
McGucken e Schaufele - avevano raccolto più di 1.600 voti. L'esito del
voto e l'analisi dei consensi indica dunque che esisteva davvero il biso-
gno di assumere in proprio il futuro del concilio: la «manovra» dei sep-
tentrionales portava alla luce una volontà ancor più larga della quota dei
64 «nuovi» che, suo mezzo, entravano negli organismi conciliari.

4.4. I membri di nomina papale e !'«elevazione» del segretariato

È impossibile però rendersi conto della composizione delle commis-


sioni senza considerare i membri nominati da Giovanni XXIII. Avrebbero
dovuto essere otto su 24 per commissione, ma - per decisione del papa -
furono nove, portando il numero dei membri a 25. La motivazione di
questa estensione non fu mai chiarita: la voce che circolava a Roma è che
fosse dovuta alla dimenticanza di nominare mons. Dante, segretario della
congregazione dei riti; la sua aggiunta avrebbe provocato l'innalzamento
del numero dei membri scelti dal papa. Va tuttavia notato che la nomina
di una quota di membri delle commissioni da parte del papa costituiva
un'innovazione del regolamento del Vaticano II rispetto a qudlo del Vati-
cano I. Infatti nel 1869 tutti i membri delle commissioni erano eletti dal-
!' assemblea conciliare senza alcun intervento papale. Nel 1962, 90 padri
furono nominati da Giovanni XXIII nelle commissioni.
Su 90 ben 27 erano it#ani. Solo il 30o/o non aveva mai partecipato
ai lavori preconciliari110 • E difficile discernere le differenti spinte che

8 nella c. Missioni: Zoa 1403 1° degli eletti, Riobé 1229, Escalante. 1062, Pallio
871, Arellano 860, Kerketta 784, Platero 744, Sevrin 706.
4 nella c. Apostolato dei laici: Ménager 1530 2° degli eletti, de Araùjo Sales 832,
Y ii Pin 783, Morris 672.
llO 3 nella dottrinale, 1 nei vescovi, 3 nella disciplina, 3 nei religiosi, 2 nei sacra
menti, 5 nella liturgia, 3 negli studi, 4 nella orientale, 1 nelle missioni e 1 nei laici. AS
non pubblica l'elenco completo dei votati, sicché non è possibile stabilire se i nominati
dal papa avessero raccolto o meno suffragi.
64 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

hanno presieduto alle nomine pontificie. Appare evidente la volontà di


rafforzare la presenza di episcopati sottorappresentati, come quello po-
lacco, svizzero, irlandese e portoghese, oltre che africano. Alcuni paesi
ebbero il loro unico rappresentante dalla nomina papale. D'altra parte
gli episcopati italiano e spagnolo furono quelli che videro crescere il
loro peso nelle commissioni. I presuli spagnoli, con le nomine papali,
riuscirono ad essere presenti in ogni commissione come gli italiani e gli
statunitensi. Con la formazione delle commissioni, riuscita peraltro piut-
tosto equilibrata, il concilio poteva partire. In realtà, a dispetto di quan-
ti vi leggevano una rigida formazione di correnti, le posizioni dei padri
conciliari restavano ancora piuttosto fluttuanti: la loro chiarificazione sa-
rebbe avvenuta con il confronto sui singoli temi.
Ma un'altra decisione notevole del papa veniva ad incidere sull' ar-
chitettura delle commissioni. Il 22 ottobre veniva annunciato in aula che
il papa elevava al rango di commissione il segretariato per l'unità: nasce-
va così formalmente l'undicesima commissione del Vaticano Il1 11 • In
realtà il segretariato s'era occupato della sua sopravvivenza alla fase pre-
paratoria già durante quel medesimo periodo. Il 13 dicembre 1961 Gio-
vanni XXIII aveva deciso che la futura destinazione e competenza del-
1' organo di Bea sarebbe stata disposta dal papa stesso anziché dalla as-
semblea conciliare112 • L'inserimento del segretariato per l'unità negli or-
gani «tecnici» del concilio disposta dal regolamento, però, limitava for-
tissimamente le sue competenze.
111 Durante i lavori del segretariato extra ordinem, tra l'altro, si parla dello statuto
da dare al segretariato per l'unità. Questo organismo non è stato sciolto come le altre
commissioni preconciliari, ma ha conservato la sua funzione secondo il regolamento.
Ora il card. Bea si poneva il problema se la sua funzione fosse limitata all1assistenza agli
osservatori non cattolìci o invece comprendesse, come nella fase preparatoria, anche il
compito di preparare gli schemi. Tuttavia i membri del segretariato per l'unità non era-
no stati eletti come quelli delle altre commissioni condliari: potevano conservare la loro
funzione equiparata a quella di una commissione condliare? Il card. Bea presentò al
papa una richiesta in questo senso chiedendo l'equiparazione del suo segretariato alle al
tre commissioni, cfr. SCHMIDT, Bea ... , cit., p 452. Giovanni XXIII approvò tale richiesta
nell'udienza al card. Cicognani del 19 ottobre, nonostante l'espressa contrarietà del card.
Siri. In questo modo il segretariato per l'unità dei cristiani riceve uno statuto singolare
tra le commissioni conciliari: è runica commissione a vedere confermati tutti i suoi
membri della fase preparatoria nella fase conciliare per espressa volontà di Giovanni
XXIII. È qujndi, paradossalmente, un organo del papa che tiene viva la tensione ecume
nica nel concilio ... Mentre il s. Uffizio perde la sua centralità, come si è visto, il segreta
riato per l1unità vede - nonostante sia un organismo nuovo - accresciuto il suo ruolo. Il
significato di questo gesto è evidente: il problema dei rapporti con le chiese non cattoli
che costituisce una preoccupazione centrale nei lavori del Vaticano II.
112 Udienza del 13 dicembre 1962, cfr. VELATI, Una difficile transizione ... , cit., pp.
317 360.
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 65

Bea ritarda la sua reazione a questa emarginazione fino al momento


della elezione delle commissioni. Inoltre, esclusi dal vivo dei lavori, i ve-
scovi membri del segretariato potevano ambire ad entrare in qualche
commissione, rendendo puramente decorativa la funzione dell'organo
presieduto da Bea. Il cardinale chiese nel merito un intervento diretto
del papa.
L'atto papale 113 è il frutto di una trattativa fra Bea e Cicognani: era
una interpretazione «autentica» dell'art. 7 del regolamento, in virtù della
quale tutte le mansioni esercitate da tutti i segretariati nella fase prepa-
ratoria venivano estese al periodo conciliare. Questa interpretazione si-
gnificava che il segretariato per l'unità conservava la competenza dei
contatti con gli acattolici ed acquisiva quella di presentare schemi propri
in congregazione generale al pari delle altre commissioni. Inoltre il se-
gretariato poteva entrare a far parte di commissioni miste114 •
La specularità commissioni-curia, che si sarebbe voluta tramandare
dalla preparazione al concilio, veniva incrinata non solo dall'immissione
di nuove personalità, ma anche da una decisione che toccava l'architet-
tura istituzionale. Così il card. Bea avrebbe potuto proseguire in conci-
lio quella funzione di stimolo che aveva esercitato dal 1961 in poi115 •
Nella decisione dell'ottobre 1962, però, il papa procede «saltando»
il concilio. Pur essendo chiaro che nessuno sentiva questa equiparazione
dall'alto come una violenza alle prerogative dell'aula, c'è la preoccupa-
zione di evitare che questa nascita dall'alto di un nuovo organo ne pos-
sa in seguito indebolire la funzione. La presenza di quattro nuovi mem-
bri, tutti provenienti dalla ex commissione preparatoria per le chiese
orientali, lascia intendere che il card. Cicognani, segretario di Stato e
presidente di quella commissione, è conquistato all' operazione 116 • Il pro-
blema è che da parte della commissione dottrinale - quella nella quale
stanno i grandi schemi sulla rivelazione e la chiesa - non si possa un
domani obiettare alcunché. E infine c'è l'ostruzionismo della segreteria
generale che prima del 26 ottobre nega ai membri del segretariato che
non erano stati nominati periti nella prima grande infornata quel bigliet-
to che avrebbe consentito loro di assistere in aula ai lavori del mattino:
il fatto che i teologi non periti (Thijssen, Weigel, Lanne, Duprey, Fei-

1 13 La variazione del regolamento in AD II/IV 1, p. 256.


114 Il testo in 4 punti in AS I/1, p. 78.
11 5 SIV l, pp. 236 241.
l16 I. Mansourati, corepiscopo siro cattolico, T. Minisci, archimandrita di Grottafer
rata, A. Katkoff, greco cattolico e A. Prinetto. È perciò inspiegabile - se non nel convul
so clima dell'inizio del Vaticano II - che <<AAS» non pubblichi l'avvenuta nomina per
biglietto papale dei 4 membri.
66 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

ner) aggirino l'ostacolo con la nomina a interpreti, non diminuisce il ri-


lievo del segnale.
È possibile che l'assemblea equivochi sulla «elevazione» del segreta-
riato per l'unità e senta questo atto come riduttivo delle sue responsabi-
lità? E una preoccupazione che appare in una conversazione dell'ecume-
nista americano Th.F. Stransky con la stampa americana: egli ammette
che il provvedimento concernente il segretariato dà al concilio una com-
missione nella quale nessun membro è eletto dall'assemble,a (e non
esclude la possibilità che un voto d'aula sani l' anomalia) 117 • E una so-
pravvalutazione della funzione delle commissioni? In realtà le commis-
sioni non solo continuano ad essere governate da uno staff che riprodu-
ce la preparazione, ma non vengono proprio riunite. La commissione
dottrinale tiene la sua prima seduta il 13 novembre, ma nelle settimane
precedenti Tromp ha continuato a riunire la vecchia commissione teolo-
gica per licenziare gli ultimissimi schemi e - la cosa viene verbalizzata
senza alcuna incertezza - ricorreggere i testi passati al vaglio dei latinisti
della segreteria di Stato, sulla cui precisione il teologo gesuita dubita118 •

45. Come parlare?

Il problema della lingua veicolare al Vaticano II era tutt'altro che


marginale, anche se nei primi giorni del concilio era stato occultato da
quello ben più pressante dell'elezione delle commissioni conciliari. Il re-
golamento prevedeva l'uso del latino, non solo per i documenti finali
del sinodo, ma anche per i dibattiti in aula. Solo un'eccezione era previ-
sta per gli interventi nelle commissioni conciliari, purché fossero subito
tradotti in latino. Questo era infatti la lingua della chiesa, che Giovanni
XXIII aveva recentemente confermato in tale posizione con la lettera
Veterum sapientia 119 • L'uso del latino significava non solo operare una
scelta pratica per la comprensione evitando le traduzioni simultanee, ma
pure l'opzione per una mentalità. Per Roma il latino esprimeva al me-
glio e con la maggiore chiarezza la dottrina cattolica, evitando rischiosi
equivoci, possibili con le lingue moderne. Con il Vaticano II si ripropo-

117 Stransky glissa sul fatto che il papa abbia nominato fra i membri 4 membri del
l'antica commissione preparatoria per le chiese orientali, su cui infra.
118 Verbale CFM, F Florit.
119 Cfr. A. MELLONI, Tensioni e timori aUa vigilia del Vaticano II: la costituzione
apostolica Veterum Sapientia di Giovanni XXIII (22 febbraio 1962), in «CrSt» 11 (1990),
pp. 275 307.
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 67

nevano i legami tra universalità del cattolicesimo e latinità, che avevano


sempre sorretto l'uso di questa lingua, salvo qualche eccezione per la li-
turgia della chiesa orientale.
Ma esistevano numerosi problemi di vario genere. Uno, molto con-
creto, era quello della comprensione del latino. Questa lingua, morta,
veniva parlata con accenti estremamente diversi dai vari padri conciliari,
fino a rendere poco comprensibili i discorsi degli uni agli altri. La pro-
nuncia italiana della lingua ufficiale della chiesa era molto differente da
quella tedesca o inglese: l'esperienza dei padri conciliari dimostrò la dif-
ficoltà di capirsi in latino nella grande aula del concilio. La difficile
comprensione del latino fece sì che gli avvisi pratici vennero ripetuti al-
1' assemblea dei vescovi riuniti in S. Pietro in varie lingue, tra cui l'arabo.
Era un segno evidente della necessità di non usare solo il latino per far-
si ca pire dai vescovi sulle cose concrete.
La questione della lingua conciliare era connessa ad un problema ri-
levante di cui il Vaticano II avrebbe dovuto discutere nella trattazione
dello schema De sacra liturgia, cioè il problema della conservazione del
latino come lingua della liturgia romana. Il movimento liturgico, com'è
noto, militava per l'introduzione delle lingue parlate nelle azioni sacre e
nei sacramenti, com'era avvenuto nella maggior parte delle chiese orien-
tali. La discussione di questo problema era molto prossima nell'ordine
dei lavori conciliari che avrebbero trattato della liturgia subito dopo le
elezioni120 •
Del resto il papa aveva sottolineato più volte l'internazionalità del-
1' assise conciliare, come specchio della cattolicità concreta di una chiesa
che viveva in tanti popoli differenti. Ma tale internazionalità doveva es-
sere espressa nell'uso uniforme di una stessa lingua legata alla storia del-
la chiesa, come il latino, oppure doveva mostrarsi nella pluralità delle
lingue? Era un problema del Vaticano II, connesso alla liturgia ed alla
vita stessa della chiesa. Insistere sul primato della latinità significava af-
fermare il legame privilegiato della chiesa con la cultura classica, con la
mentalità scolastica, con una visione consolidata del diritto e, in fondo,
con alcuni paesi tra cui, prima di tutto, l'Italia. Significava affermare,
inoltre, con l'uso della lingua della curia, che Roma era il punto più alto
di sintesi della cattolicità della chiesa.
L'esigenza di una maggiore rappresentatività internazionale aveva
presieduto pure alla già menzionata nomina dei cinque sottosegretari del
concilio. Così all'italiano Felici, segretario, sono affiancati anche lo spa-
gnolo Mordilo Gonzalez, il tedesco Kempf, l'americano Krol, il francese

120 S/V 1, pp. 236 241.


68 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

Villot e poi l'arabo Naaba: sono le prime nomine dal giorno dell'annun-
cio del concilio che vengono fatte prescindendo dalla analogia fra f un-
zioni conciliari e funzioni in curia ... Pure il consiglio di presidenza del
concilio risponde nella sua composizione a criteri di rappresentatività in-
ternazionale.
Tuttavia l'internazionalizzazione non si estendeva alla lingua concilia-
re nonostante le difficoltà espresse da alcuni. Non tutti i vescovi delle
chiese orientali accettavano la lingua ufficiale della chiesa latina. In par-
ticolare i melkiti, i quali non si sentivano parte del cattolicesimo latino,
portarono avanti questa contestazione, nonostante la maggior parte di
loro conoscesse questa lingua fin dagli studi. Questa esigenza era già
stata fatta presente nella fase preparatoria, ma si era creduto di non do-
ver venire incontro alla richiesta 121 • Il problema veniva posto nuovamen-
te con l'apertura del concilio. Anche alcuni vescovi occidentali erano
contrari all'uso del latino. Taluni, come si è visto nel caso del card. Lié-
nart, non erano capaci di improvvisare in latino e necessitavano di testi
scritti. Il card. Konig, favorevole all'uso delle lingue vive, chiese a mons.
Edelby che il patriarca Maximos IV Saigh parlasse in francese e rifiutas-
se il latino. Il gesto avrebbe aperto la strada all'utilizzazione delle lingue
parlate. Mons. Edelby obiettò che questo gesto avrebbe fatto rischiare al
patriarca una reprimenda da parte del consiglio di presidenza122 •
Il caso degli interventi in francese di Maximos IV e di qualche altro
vescovo melkita sono significativi della volontà di non applicare rigoro-
samente l'uso del latino ma nemmeno di deflettere dalla regola generale.
Infatti il card. Konig e mons. Edelby si accordano per sondare i cardi-
nali del consiglio se un intervento in francese del patriarca sarebbe stato
tollerato. Qualche giorno dopo il card. Tisserant comunicò personal-
mente al patriarca che poteva prendere la parola in francese al concilio
e che il segretariato avrebbe curato la traduzione latina del suo discorso.
Si trattava di un precedente importante. Infatti nella terza congregazione
del 20 ottobre cominciarono a risuonare altre lingue rispetto a quella uf-
ficiale. Il melkita mons. Malouf parlò in francese per un emendamento
sul messaggio al mondo, dopo essersi scusato di non potersi esprimere
in latino né di voler utilizzare l'arabo ignoto alla maggioranza. L'inter-
vento in francese fu applaudito.
Si trattava di una rottura dell'uso prescritto dal regolamento. Ma
con le eccezioni, come nel caso dei melkiti, si cominciava a ridiscutere il
carattere assoluto della norma: in modo ellittico si mostrava però che

Cfr. S/V 1, pp. 225 226.


121
122 In realtà sarà Hakim il primo a farlo, dr. JEdb 17 novembre 1962, f. 68, e
NChn 17 novembre 1962, p. 107.
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 69

non tutta la chiesa era latina, non fosse che per l'esistenza delle chiese
d'Oriente.
Il caso dell'uso della lingua latina e di quelle parlate in concilio evi-
denzia un modo ti pico di Giovanni XXIII di procedere nella direzione
dei lavori. Solo il papa avrebbe potuto innovare sull'uso rigoroso della
lingua di curia, ma non lo fece. Tuttavia risulta che fosse favorevole al-
l'utilizzazione delle lingue nazionali. Non favorì e non impedì l'evolversi
delle dinamiche del Vaticano II: si limitò ad evitare solo che il rigore
smodato del regolamento impedisse quelle eccezioni che avrebbero
aperto crepe. Infatti Giovanni XXIII annota nel suo diario proprio nel
mese di ottobre:
La questione del latino divide senz,altro quanti non sono mai usciti di casa o d'Ita
lia, da quanti appartengono ad altre nazioni, specialmente se in terra missionaria, o che
pur essendo Italiani si trovano a vivere e a sacrificarsi nelle regioni lontane. Su questo
punto del latino nella liturgia occorrerà procedere lento pede e per gradil23.

Fin dai primi passi del Vaticano II, si vedeva come il papa intendes-
se procedere rispetto ai lavori. L'allocuzione iniziale, che non aveva for-
nito un programma, metteva però a parte i padri conciliari della volontà
di Giovanni XXIII di operare per un aggiornamento della chiesa. Tutta-
via il papa non intendeva governare il concilio né tramite la curia o gli
organi conciliari, né direttamente. La sua presenza a fianco dei lavori
conciliari sarebbe stata discreta. Utilizzando parcamente i suoi poteri,
egli avrebbe favorito che il concilio prendesse coscienza delle sue re-
sponsabilità e tracciasse una sua linea con il coinvolgimento dei padri
conciliari.

5. Messaggi: programmi e piani

Il 20 ottobre il Vaticano II approvava un messaggio al mondo, nun-


tius ad omnes homines et nationes 124 • Il testo, piuttosto breve, sembra
muoversi su due registri, uno più attento all'autopresentazione della
chiesa e della sua missione, l'altro teso a mostrare al mondo la solidarie-
tà dei cattolici sui grandi problemi contemporanei. È un passo che
esprime la volontà del concilio di essere attento al mondo: «Il concilio
si sapeva guardato dal mondo - ha notato il vescovo africano Gantin -.

123 Agende, 24 ottobre 1962.


124 AS I/1, pp. 230 232.
70 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONOLIARE

Non stavamo più al chiuso, nelle nostre piccole capanne»125 • Infatti il te-
sto dichiarava:
Rivolgiamo continuamente il nostro animo verso tutte le angosce che affliggono oggi
gli uomini; perciò innanzi tutto le nostre premure si volgono verso i più umili, i più po-
veri, i più deboli; sull'esempio di Cristo sentiamo pietà per la folla che soffre la fame, la
miseria e l'ignoranza; costantemente rivolti verso coloro che, sprovvisti degli aiuti neces
sari, non sono ancora pervenuti ad un modo di vita degno. Per questi motivi nello svol
gimento dei nostri lavori terremo in gran conto tutto quello che compete alla dignità
dell'uomo e quello che contribuisce alla vera fraternità dei popoli.

Era un messaggio di interesse al mondo, in particolare su due aspet-


ti: la pace e la giustizia sociale. La conclusione echeggiava la citazione
degli Atti degli Apostoli, utilizzata da Giovanni XXIII nella Gaudet ma-
ter ecclest'a: «Noi non possediamo né le ricchezze né la potenza terrena;
ma riponiamo la nostra fiducia nella forza dello Spirito ... ».
Viene da chiedersi il significato di questo messaggio all'inizio del
concilio, dopo il discorso. del papa e quando ancora i lavori non si sono
avviati. Il testo è presentato all'assemblea da mons. Felici, come una
proposta del consiglio di presidenza che ha lapprovazione del papa. I
padri hanno la possibilità di fare osservazioni prima di procedere al
voto palese. Ci sono infatti un po' meno di quaranta interventi che co-
stituiscono il primo dibattito del concilio su di un testo.
Significativamente emergono alcune questioni che avrebbero accom-
pagnato il dibattito conciliare. C'è in alcuni la preoccupazione per il
tono troppo orizzontale ed irenico del testo: l'intervento di mons. Pa-
rente del S. Uffizio sviluppa ad esempio la preoccupazione che non si
parli mai della verità cattolica come rimedio ai mali del presente. Anche
mons. Lefebvre lamenta che il messaggio parli troppo del benessere ter-
reno e poco di quello soprannaturale. Altri padri, tra cui il card. Ferret-
to (ma non il card. Wyszyriski), mons. Fiordelli, mons. Heenan, Herma-
niuk ed altri, si dolgono dell'assenza di ogni menzione ai cristiani perse-
guitati. L'ungherese mons. Hamvas prega il concilio di evitare ogni ac-
cenno alla persecuzione per non esasperare una situazione in cui egli
nota alcuni segni di miglioramento 126 • Si comincia a profilare il proble-
ma della condanna del comunismo e della solidarietà con la cosiddetta
chiesa del silenzio che accompagnerà i lavori conciliari sino alla fine. In
realtà questo emendamento non viene nemmeno messo ai voti dal consi-
glio di presidenza, per cui il messaggio agli uomini - ed è già una nota

125 Intervista al card. B. Gantin, in SVIDERCOSCHI, Inchiesta ... , cit., p. 13.


126 AS I/1, pp. 242-243.
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 71

rilevante - non contiene nessuna allusione ad un grave problema della


chiesa contemporanea e del mondo, quello dei regimi comunisti. Questa
soluzione sembra far intravedere la volontà di evitare la condanna del
comunismo da parte del concilio, il che risultava inaccettabile a un co-
spicuo numero di padri127 .
Alcuni padri, d'altra parte, sottolineano l'assenza di un riferimento
alla Vergine Maria (che viene poi inserito su proposta di mons. An-
cel)128. Non mancano le preoccupazioni ecumeniche e quelle per i non
cristiani. Si lamenta pure la fretta con cui si debbono prendere le deci-
sioni riguardo al testo. Maximos IV interviene per ricordare la natura
del messaggio conciliare che non è un trattato di teologia e di spirituali-
tà. Il patriarca nota come esso sia una manifestazione di «spirito nuovo
da lui (Giovanni XXIII) seminato nella Chiesa cattolica, spirito di unità,
di carità e di amore, che, alla fine, può giungere ad unire insieme le
Chiese ... ». Il testo viene approvato con qualche ritocco non come mes-
saggio del concilio, ma dei Patres Conct'lit' ad unt'versos homt'nes - come
precisò mons. Felici dopo la votazione nella quarta congregazione gene-
rale129.
Bisogna dire che il messaggio non ebbe una grande eco sulla stampa
e fu presto dimenticato; tuttavia questo testo rappresenta, l'esigenza di
segnare l'orientamento di simpatia della chiesa ad extra. E quindi, per
certi versi, anche un tentativo di contrastare gli schemi preparati senza
un'apertura al mondo. Questo fu colto anche da chi ignorava la genesi
del documento, come mons. Edelby che lo definì un «testo splendido
d'ispirazione manifestamente francese, che afferma come la chiesa non
vuole dominare nessuno, ma servire tutto il mondo». «Témoignage
chrétien» lo considerò di carattere nettamente «incarnato» e ascrivibile
all'opera di p. Chenu: «i nostri lettori troveranno nel testo i temi che
egli ha difeso qui» 130 . In realtà la genesi del documento è più complessa
e si sviluppa su di un terreno di insoddisfazione per la fase preparatoria
del Vaticano II e di timore che il concilio ne recepisca l'orientamento.
Il testo approvato dal concilio era stato redatto da quattro vescovi
francesi, il card. Liénart, mons. Guerry, Ancel e Garrone: è lo stesso
mons. Guerry, fin dal 1963, a rivendicare la paternità del documento 131 .
Infatti p. Congar non ritrova del tutto nel testo proposto al Vaticano II

127 Cfr. TURBAN11, Il problema del comunismo ... , cit., in Moscou.


12s AS I/1, pp. 243 245.
129 AS I/l, p. 11 e p. 254.
13 0 Cfr. «Témoignage chrétien» 26 ottobre 1962; cfr. inoltre NChn, pp. 53~54.
l3l Cfr. A. DUVAL, Le message au monde, in Vatican II commence, pp. 105-118.
72 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

da mons. Felici quanto aveva elaborato con il p. Chenu. Così annota nel
suo diario:
il segretario annunzia che leggerà un Nuntium ad universos homines mittendum.
Ascolto questo testo, al cui progetto sono stato attivamente coinvolto. Ricopio qui alcu-
ne osservazioni che ho scarabocchiato subito: è più dogmatico del progetto Chenu; al
meno si è fatta prece~ere la parte sociale da una parte kerigmatica cristiana; è più eccle
siastico; più biblico. E troppo lungo. L'interesse agli uomini è un po' espresso nei termi
ni della sollecitudine. C'è un'istanza felice sul rinnovamento della chiesa e della vita cri
stiana, perché siano più conformi a Cristo132.

Solo Congar coglie l'insistenza sul tema del rinnovamento, questione


più larga ed ampia di quanto la destinazione del messaggio non lasciasse
supporre; e comunque nessuno pare notare l'affacciarsi nel corpo del
messaggio agli uomini di alcune tematiche ecclesiologiche che sarebbero
divenute cruciali nel futuro del concilio. Nonostante mancasse ancora
una configurazione teologica della collegialità, l'incipit offre una descri-
zione della chiesa a concilio come adunanza dei «successori degli Apo-
stali» che formano un solo «corpo apostolico» di cui è ca po il «succes-
sore di Pietro» 133 •

5 .1. La bozza Chenu del messaggio al mondo

Chenu, successivamente codiuvato da Congar, infatti, è all'origine


del messaggio conciliare, nonostante mons. Guerry abbia teso a sottoli-
nare come tra il testo approvato e quello proposto dai due domenicani
ci sia una forte discontinuità. Anche p. Tucci osserva: «il testo approva-
to dal Concilio non corrisponde del tutto a quello preparato dal p. Che-
nu: il consiglio di presidenza lo avrebbe modificato in alcuni punti, este-
nuandolo un po'».
In realtà il testo Chenu - ancorché «annegato nell'acqua santa»,
come egli stesso lamenterà134 - ebbe una funzione di grande importanza,
come ha rilevato André Duval: marcare l'espressione di simpatia della
chiesa per il mondo. Parecchi vescovi furono coinvolti nel progetto di
Chenu e, tra questi, il card. Liénart. Il vescovo di Lille si preoccupò che

13 2JCng 20 ottobre 1962, ds p. 81; inoltre A Congar, II/V, Dossier 25, con lettere
fra Chenu e Congar e le risposte all'invio di una prima bozza (18 19/9/1962) provenien
ti da Weber, Liénart, Marty, Suenens, Volk, Alfrink, Montini, Dopfner, Charue; non c'è
traccia di riscontro alla lettera di trasmissione da parte di Ghattas, Frings, Elchinger,
Hurley, Konig.
133 Ur. A. MErLoNI, Ecclesùlogie al Vaticano II (autunno 1962 estate 1963), in Leuven.
134 Cfr. G. ALBERIGO, Le P. Chenu et Vatican II, in stampa.
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 73

il documento potesse entrare nella meccanica conciliare. Un assenso di


massima venne anche dal card. segretario di stato Cicognani; Confalo-
ni eri ne era al corrente la mattina dell'l 1 ottobre e ne fa un cenno a
Siri prima della processione inaugurale135 • Ci furono iniziative parallele
di altri vescovi, come Suenens che rimise al papa una proposta analoga
a quella di p. Chenu. Una certa area di vescovi, che potrebbe identifi-
carsi nella lista europea per la votazione delle commissioni, sentiva l'esi-
genza di una dichiarazione di questo ti po da parte del concilio agli uo-
mini contemporanei.
Ma bisogna cogliere come questa esigenza nascesse anche dall'insod-
disfazione per gli schemi elaborati dalle commissioni preconciliari e dal-
la conseguente volontà di raddrizzarne l'orientamento. Questo atteggia-
mento è chiaro in p. Chenu che ne scrive in una lettera a Rahner il 4
settembre 1962 136 • Per il teologo francese nei testi «prevale una linea ri-
gida di enunciati astratti e teorici, mentre il concilio ha suscitato la spe-
ranza d'una considerazione pastorale». In questo modo - osserva Chenu
- «il concilio diviene un'operazione di polizia intellettuale, nelle mura
chiuse della Scuola». Per contrastare questo orientamento egli propone:
Sarebbe necessario che le decisioni del Concilio siano aperte da un'ampia dichiara-
zione, in cui, con lo stile del Vangelo, nelle prospettive profetiche dell'Antico e del
Nuovo Testamento, sarà proclamàto il disegno di salvezza [...] Dichiarazione rivolta ad
un'umanità in cui, grandezza e miseria sono, tra errori e falJimenti, un'aspirazione alla
luce del Vangelo... Dichiarazione che proclama l'unità fraterna degli uomini, al di sopra
delle frontiere, razze, regimi, nel rifiuto di soluzioni violente, nell'amore per la pace, test
del Regno di Dio. Che così la Comunità dei cristiani partecipi pubblicamente alle spe-
ranze degli uomini137.

Dall'insoddisfazione per l'orientamento degli schemi, matura la pro-


posta di p. Chenu: un analogo atteggiamento di altri vescovi sorregge la
sua idea che trova forma - nel mese di settembre - in un testo, destina-
to ad essere ripreso dal concilio. Certo la modifica sostanziale che viene
introdotta risponde all'esigenza di equilibrare il presunto «orizzontali-
smo» del testo originario; ma restano nel documento conciliare l'interes-
se e la simpatia per il mondo con cui si voleva aprire il Vaticano Il. Il

135 Il card. Confalonieri sembra d'accordo con l'idea di un messaggio al mondo e


parla a Siri di un «testo» di «due paginette»: «ci voleva poco a buttarle giù». Siri com
menta: « Io avrei voluto chiedere che cosa dire al mondo nelle due paginette. Ma ho
giudicato meglio non continuare il discorso. Esso dimostra che taluni non hanno un'idea
molto elevata di un concilio ecumenico e questo mi fa pena», DSri 11 ottobre 1962, p.
358.
136 NChn, pp. 59-60.
137 Cfr. DUVAL, Le message... , cit., p. 110.
74 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

card. Siri coglie il significato profon do della proposta di messaggio, ma


non lo trova opportuno: «Noi non dovremmo guardare al mondo per
offrirgli qualche emozione gradita, ma solo a nostro Signore».
P. Chenu, qualche giorno dopo la promulgazione del testo, sostiene
su «Témoignage chrétien» che «il messaggio conciliare domanda ai cri-
stiani di prendersi cura, nella costruzione del mondo, delle domande de-
gli uomini - domande cariche di angoscia e di speranza - alla pace, alla
fraternità, alla promozione dei poveri». Tra queste domande, veri «ideali
della natura», e i «doni della grazia» c'è un legame molto stretto 138 •

5.2. Piani e programmi

Mentre viene elaborato il messaggio al mondo, due diversi documen-


ti affrontano le questioni dell'orientamento generale dell'assise concilia-
re: non si tratta in questo caso di atti pubblici portati davanti all'assem-
blea, ma di lettere indirizza te al papa e al segretario di Stato Cicognani,
nelle sue funzioni di leadership del segretariato per gli affari straordina-
ri, organo le cui competenze si estendono a tutto ciò che non è all'ordi-
ne del giorno; le lettere, datate 15 e 18 ottobre, vengono da due delle
figure di spicco della assemblea: Bea e Montini. Entrambi condividono
la necessità di definire chiaramente i fini e il programma del concilio,
ma lo intendono in modo piuttosto divergente.
Bea lascia al papa un pro-memoria nel quale difende e riprende le
formule della Gaudet. il concilio deve rispondere ad un oggi, e deve
perciò adottare quel registro pastorale per il quale la pura ripetizione
delle condanne risulta non solo inopportuna, ma insufficiente rispetto a
quella che è la vocazione storica del Vaticano 11139 • Proceduralmente
questo comporta, secondo Bea, la riduzione degli schemi dottrinali e la
loro riscrittura, in coerenza coi propositi enunciati nel discorso d'aper-
tura del concilio, che il cardinale gesuita sente con l'ardore di chi vi ha
trovato istanze proprie. Nell'affanno dell'inizio, Bea propone una via
che valorizza le tematiche proposte dal papa e dal messaggio al mondo:
è una pianificazione dell'attività conciliare che rinuncia a qualsiasi tratta-
tiva con gli organi preparatori e che in ultima analisi candida il segreta-
riato per l'unità ad un ruolo maieutico generalissimo. Non è forse senza

. 138 Questa interpretazione sarà confermata da Paolo VI, il 29 settembre 1963, nel
suo discorso di apertura al secondo periodo del Vaticano II, il primo dopo la sua elezio
ne a papa. Cfr. IdP I, pp. 166 185.
139 Cfr. ALBERIGO, Concilio acefalo? L'evoluzione degli Organi direttivi del Vaticano
II, in Attese, pp. 196 198, il testo del pro memoria pp. 219 224.
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 75

significato che il pro-memoria consegnato al papa il 15 ottobre venga da


questi trasmesso al card. Cicognani, insieme ad una nota sulla estensione
delle funzioni dell'organo presieduto da Bea140 •
Montini, invece, enuncia un progetto che risente fortemente del Plan
di Suenens dell'estate; ma nel merito costituisce una offerta di mediazio-
ne davanti alla prospettiva di naufragio degli schemi preparatori la cui
imminenza non può sfuggire a chi, come Montini, abbia una sufficiente
conoscenza della realtà delle cose. L'arcivescovo di Milano, che non
aveva accettato di sottoscrivere la supplica di Léger a settembre 14 1, capi-
sce che l'irrigidimento sugli schemi, che il gruppo della commissione
teologica preparatoria ritiene necessario, è una scelta perdente. Egli pro-
pone una «ridistribuzione» della materia conciliare attorno ad un asse
concettuale unitario - quello della chiesa - ca pace di sorreggere l' insie-
me delle istanze preparatorie e le necessarie integrazioni. Il giudizio del
cardinale di Milano sugli schemi preparati è negativo, ma soprattutto
egli sente che non è garantita una direzione organica al Vaticano II:
«nessuna forma organica viene a rispecchiare le grandi finalità che il
Santo Padre ha prefisso ...». Manca un progetto per il concilio ed una
direzione che lo metta in pratica; il che può causare - denuncia il cardi-
nale - pericolose o deludenti fluttuazioni.
Le analisi di Bea e di Montini divergono su molti aspetti: entrambe
però individuano un deficit di leadership e condividono l'idea che toc-
chi a Cicognani (dopo o prima del papa a seconda delle visioni) prende-
re una iniziativa. Forse, al di là delle osservazioni dei due cardinali,
emerge in questi primi passi del Vaticano II, l'esigenza di individuare
un cammino comune per i vescovi, tale da consentire loro di svolgere
quella funzione a cui papa Giovanni li ha chiamati.

6. Organi di direzione e funzioni

La direzione del concilio nella visione di papa Giovanni non è molto


ben definita. Quali sono gli organi deputati dal papa a guidare i lavori

140 Il rescritto papale verrà trasmesso da Cicognani ai membri delrextra ordinem in


sieme alla lettera del 18 ottobre di Montini; apparentemente non verrà mai pubblicato
in AS (ma il verbale della CG IV del 22/10/1962, che riferisce la lettura all'aula di un
rescritto papale ex audientia del segretario di Stato in AS I/1, p. 112, parla espressamen
te della aequiparatio). Ora in appendice col DSri, pp. 350 351.
14 1 Cfr. SIV 1, pp. 445A46 e la testimonianza di Suenens in Giovanni Battista Mon
tini Arcivescovo di Milano e il Concil~o Ecumenico Vaticano II. Preparazione e Primo Pe-
n'odo, Brescia 1985, pp. 178 187.
76 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

della grande assemblea, a proporre gli schemi, a ordinare i dibattiti, a


convogliare le spinte provenienti dalle diverse parti?

6.1. Chi dirige?

All'inizio sembra che Giovanni XXIII affidi questo compito direttivo


al consiglio di presidenza. Il suo ruolo sembra notevole: anche se non si
era mai riunito prima dell'inizio del Vaticano II, quest'organo rigetta al-
cuni emendamenti al messaggio al mondo durante la discussione del te-
sto. Del resto il card. Liénart poté intervenire ed influire sulla seconda
giornata del Vaticano II perché era seduto al tavolo dei presidenti.
Il consiglio di presidenza - a norma dell'art. 4 del regolamento - era
composto da dieci cardinali nominati dal papa, con il compito di dirige-
re le discussioni dei padri e la condotta del concilio. Il 6 settembre
«L'Osservatore Romano» aveva reso noto i nomi dei cardinali compo-
nenti, tutti vescovi residenziali, eccetto il decano del S. Collegio, card.
Tisserant. Il consiglio contava un solo membro italiano, l'arcivescovo di
Palermo, card. Ruffini (era il porporato che da anni, tra gli altri, aveva
coltivato l'idea della celebrazione di un concilio ecumenico}. Vi erano
rappresentati gli episcopati più rilevanti del mondo, con la volontà di
sottolineare l'internazionalità della chiesa: così accanto al patriarca
orientale (siro-cattolico} Tappouni, compariva un australiano, Gilroy, il
nordamericano Spe1lman e il sudamericano Caggiano (Buenos Aires}.
L'Europa era fortemente rappresentata (4 membri}: il decano dei cardi-
nali francesi, Liénart, con lo spagnolo Pla y Deniel, con l'arcivescovo
Frings di Colonia e con l'olandese Alfrink. Rompendo la simmetria con
gli equilibri del co1legio cardinalizio (nel quale gli italiani e i curiali era-
no molto più numerosi} si puntava scientemente a mettere alla direzione
del concilio un gruppo rappresentativo di un'assemblea composta in lar-
ga parte da vescovi residenziali? Comunque si mostrava molto concreta-
mente che la direzione del concilio era altra cosa rispetto al governo
della curia romana.
Il consiglio di presidenza aveva visto aumentare i suoi membri dai
sette previsti originariamente a dieci per volontà del papa, che aveva
modificato il progetto di regolamento sottopostogli: «ciò avrebbe verosi-
milmente consentito una più articolata rappresentanza, ma contribuì an-
che ad appesantire la funzionalità del Consiglio stesso e perciò la sua
idoneità a· dirigere adeguatamente i lavori conciliari»142 • Significativa-

142 Cfr. ALBERIGO, La prepara1.ione del regolamento... , cit., in Vatican II commence,


p. 68.
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 77

mente, dopo l'esperienza del primo periodo, il consiglio verrà accanto-


nato con la nomina di quattro moderatori per dirigere i lavori conciliari.
Giovanni XXIII aveva inteso sottolineare, con la larga composizione
del consiglio, il fatto che la direzione dei lavori fosse affidata ai vescovi
del mondo, prima che agli esponenti di curia. Al contrario le commis-
sioni conciliari erano tutte guidate da ca pi-dicastero. Ma il papa, per
una maggiore funzionalità della direzione conciliare, aveva aggiunto alla
bozza di regolamento un Secretariatus de concilù' negotiis extra ordinem
con il compito di vagliare le proposte avanzate dai padri. Sembra che il
segretario generale Felici fosse stato contrario alla creazione del segreta-
riato extra ordinem, interpretandola come una duplicazione del consiglio
di presidenza ed un'interferenza nella meccanica conciliare143 • La com-
posizione del segretariato era molto significativa: lo presiedeva il card.
segretario di Stato, Cicognani, collegandolo così, al massimo livello, con
l'organo più autorevole della curia. Inoltre il segretario di Stato, tra i
cardinali, aveva la funzione di rappresentare immediatamente la volontà
del papa sia per il suo ufficio sia per l'accesso costante che egli aveva
con il pontefice144 • I membri del segretariato extra ordinem erano tra i
più autorevoli membri del S. Collegio: Siri, Montini, Suenens, Dopfner,
Confalonieri (segretario della congregazione concistoriale con competen-
za sulla scelta dei vescovi) e lo statunitense Meyer. A questi carainali,
nominati il 6 settembre 1962, il papa aggiunge il card. Wyszyriski, l'uni-
co porporato dell'Est europeo a Roma durante il concilio145 • La nomina
esprime non solo la simpatia di Giovanni XXIII per il primate polacco
ma anche l'attenzione alle chiese dell'Est. Tutte le posizioni presenti al
concilio sono rappresentate ad un alto livello, come manifestano chiara-
mente le presenze di Siri, Montini e Dopfner. Il segretariato può diveni-
re, anche per questo, un'importante camera di compensazione e di me-
diazione tra le differenti spinte conciliari.

6.2. I partiti romani

La curia romana è molto meglio rappresentata nel segretariato per


gli affari straordinari che nel consiglio di presidenza; tuttavia è espressa

143 Cfr. V. CARBONE, Il segretario generale del concilio ecumenico, in Il cardinal Peri-
cle Felici, Roma 1992, p. 70.
144 Su Cicognani che assomma le funzioni di segretario di stato, presidente del se
gretariato extra ordinem e della commissione per le chiese orientali manca uno studio
approfondito.
14 5 Su di lui cfr. C. WYSZYNSKI, Un éveque au service du peuple de Dieu, Paris
1968.
78 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

attraverso personalità autorevoli e particolari. Porporati autorevoli -


come Confalonieri e Cicognani - manifestano subito la volontà di assu-
mere una posizione mediana nei lavori del Vaticano II: essi riducono lo
spazio per il «partito romano» che ha nel card. Ottaviani il suo espo-
nente più battagliero. Era stato Giovanni XXIII a valorizzare sia Cico-
gnani sia Confalonieri all'interno della curia.
Il primo era stato nominato segretario di Stato nel 1961 dopo la
morte del card. Tardini, collaboratore non facile per Giovanni XXIII
nella preparazione del Vaticano II: delegato apostolico negli Stati Uniti
dal 1933 al 1958, era estraneo alla visione maturata lungo questi anni
nella curia ed in particolare al clima da baluardo contro il comunismo e
sulle questioni italiane. Il segretario di Stato voleva innovare rispetto ai
metodi di governo del suo predecessore, seppure in maniera discreta.
Aveva confidato ad un importante ecclesiastico italiano di «preferire
l'opera persuasiva presso i singoli responsabili che non gli interventi cla-
morosi», aggiungendo: <<la differenza di metodi di Pio XII e del card.
Tardini era giustificata dalla diversità delle situazioni e delle esperien-
ze». Ed a p. Lombardi che lo invita ad agire con decisione contro il co-
munismo, il cardinale aveva risposto: «noi possiamo dire solo qualche
buona parola»146 • Questa posizione moderata era stata notata nei lavori
della commissione centrale, quando egli aveva sottolineato le ricadute di
una eventuale condanna del comunismo sui cattolici dell'Est o rischi di
una dichiarazione sull'ebraismo per le relazioni con i musulmani. Del
resto il pro-nunzio ad Ankara, mons. Lardane, collaboratore segreto dei
primi passi di papa Roncalli verso l'Est, era un uomo di Cicognani, da
lui introdotto in diplomazia147 • Complessivamente il cardinale segretario
di Stato aveva mostrato la volontà di decomprimere l'atteggiamento del-
1' amministrazione centrale della chiesa da quella carica di contrapposi-
zione, che era invece la ricetta che il card. Ottaviani proponeva per il
governo della chiesa. Alcune esigenze di rinnovamento, specie quelle
avanzate dai vescovi residenziali, andavano prese in seria considerazione:
questa era la posizione del card. Cicognani. Il segretario di Stato era un
collaboratore del papa molto più discreto rispetto a Tardini. Infatti il
papa annota nel suo diario a proposito di Cicognani: con lui «mi inten-
do sempre assai bene»148 • Papa Roncalli non aveva un personale eccle-
siastico a lui legato da introdurre nell'amministrazione centrale della

l46 Cit. da G. ZIZOLA1 Il microfono di Dio. P. Riccardo Lombardi, Milano 1990, pp.
440.
147 RICCARDI 1 Il Vaticano II..., cit., pp. 233 264.
148 Agende 3 novembre 1962.
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 79

chiesa, come avrebbe fatto più tardi Paolo VI con un progetto di rifor-
ma e di cambiamento dei ranghi. Giovanni XXIII valorizzava gli eccle-
siastici disposti ad assumere una posizione equilibrata.
Non è un caso - ad esempio - che egli chiami a succedere al card.
Mimmi alla testa della congregazione concistoriale proprio il card. Con-
falonieri, antico segretario di Pio Xl. Del resto Giovanni XXIII è un
estimatore della tradizione di governo di Pio XI e, in un- certo senso,
del personale a lui legato. Nella commissione centrale preparatoria il
card. Cicognani mostra un atteggiamento sensibile. alle esigenze dei ve-
scovi residenziali e non schierato con le posizioni di Ottaviani149 •
Infatti Ottaviani, Ruffini, Siri e Browne formano nei lavori conciliari
un asse piuttosto impegnato: un collegamento fatto per resistere alle
pressioni, secondo il cardinale di Genova. Quest'asse esercitava un'attra-
zione su altri esponenti della curia romana e su vari vescovi del mondo
legati alle istituzioni romane come il Laterano. Era un vero «partito ro-
mano», che ribadiva la teologia tradizionale e credeva che a Roma si po-
tessero vedere i problemi della chiesa con una profondità e una sicurez-
za che altrove non era possibile. Quest'area aveva la coscienza di inter-
pretare il punto di vista romano in concilio; non si trattava di una cor-
rente o di un partito nella vasta assemblea del Vaticano II, ma di qual-
cosa di più. Non per nulla l'elemento di punta era il card. Ottaviani, se-
gretario della suprema congregazione del s. Uffizio, che non solo era il
primo dicastero della curia romana ma aveva il compito della difesa del-
la fede. Questa posizione faceva del gruppo romano, per tradizione e
collocazione, non una parte del Vaticano II ma l'anima di esso: a tale
funzione si sentivano chiamati specie in un momento giudicato di con-
fusione dottrinale. Tale funzione era stata esercitata di fatto nella fase
preparatoria con l'approntamento degli schemi dottrinali.
Il s. Uffizio (e quell'area di cardinali e vescovi «romani») intendeva
esercitare una funzione orientativa nel corso del Vaticano II e nel gover-
no della chiesa. Lo si vede bene non solo dai ripetuti interventi del se-
gretario di questa congregazione nei dibattiti conciliari, ma pure dalla
sua reazione alla riforma della curia che toglieva il rango di «suprema
congregazione» al s. Uffizio e dava alla segreteria di Stato il primo posto
tra i dicasteri vaticani. Ottaviani avrebbe osservato, dopo il ridimensio-
namento della sua congregazione:

149 Del resto sarebbe stato Confalonieri a presentare l'ordine del giorno del 14 no
vembre che concludeva la discussione sullo schema liturgico e recepiva l'esigenza di ren
dere «le varie parti della liturgia stessa più vitali e formative per i fedeli, conformemente
alle odierne esigenze pastorali>>.
80 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

finora il supremo principio di governo della Chiesa era stata la dottrina rivdata, la cui
custodia e retta interpretazione nella Chiesa era stata affidata in primo luogo al Papa,
che si serviva di questa congregazione, la quale perciò era suprema. Ora non so quale
sarà il criterio ispiratore del governo della Chiesa, ma temo che prevarrà quello diplo-
matico e contingente.

In concilio, attraverso le maglie delle preoccupazioni pastorali e del"


l'ecumenismo, sembrava - nella logica dei «romani» - che il «contingen-
te» prendesse il posto della difesa della verità rivelata 150 • Il card. Otta-
viani, fin dai lavori della commissione teologica, è mosso da una preoc-
cupazione da difensore intransigente della verità che, per sua forza in-
trinseca, è destinata ad imporsi. Sulle sue posizioni si ritrovano oltre i
cardinali sopra citati - con diversa frequenza - anche Pizzarda, Marella,
Aloisi Masella. Inoltre ci sono i discepoli di questa scuola romana pro-
mossi all'episcopato.
Questa posizione rigorosa, che vuole chiamare il papa ad intervenire
con fermezza anche nei lavori conciliari, non viene condivisa da tutti i
cardinali di curia. Importanti curiali, come il card. Cicognani e il card.
Confalonieri, sono convinti che una logica di contrapposizione sarebbe
sbagliata: la loro posizione è di mediazione, talvolta infastidita del rigore
di Ottaviani. Tuttavia anche i «romani» non indulgono del tutto a colti-
vare la logica dei blocchi, anche perché pensano che la loro funzione sia
quella di una guida centrale nel concilio e non di un partito tra i partiti.
Dopo la seconda giornata del Vaticano II, malgrado Ottaviani - come si
vede nel diario di Siri - avesse avanzato l'idea di un'organizzazione co-
ordinata tra i padri, Siri mostra la sua contrarietà ad una mentalità da
blocchi. Il card. Ruffini si trova d'accordo con le posizioni di Ottaviani,
ma è contrario all'idea di un'organizzazione del consenso tra i padri.
Nota il card. Urbani: «Non senza qualche difficoltà del card. Ruffini si
conviene nell'opportunità di tenersi a contatto e di dare qualche indica-
zione all'episcopato italiano» 151 •
Anche mons. Castellano, un vescovo di Pio Xli, «raccomanda di
non creare blocchi». Del resto alla riunione plenaria della conferenza
episcopale italiana, il 14 ottobre, la lunghezza d'onda della sensibilità di
Ruffini appare diversa da quella di Siri, pur condividendo entrambi
complessivamente le stesse preoccupazioni. Ciò si nota in pubblico ed
ha un effetto un poco disorientante per i vescovi legati a loro 152 • Lo si
vede già nella congregazione del 16 ottobre, in cui tre cardinali dalla
sensibilità simile tra di loro, si muovono in pubblico in maniera contra-

150 CAVATERRA, p. 85.


151 DUrb 14 ottobre 1962.
152 Ibidem.
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 81

stante. Ottaviani fa una proposta per il conteggio dei voti; Roberti, a


nome del tribunale amministrativo, la dichiara contraria al diritto cano-
nico; Ruffini la respinge a nome della presidenza. I maggiori dirigenti
della curia o quelli ad essi collegati, insomma i romani, non sentono di
dover scendere sul piano della lotta fra «correnti»: c'è in loro una fidu-
cia nella propria autorità e nel richiamo alla forza della tradizione. Non
sarebbe bastata l'autorità del s. Uffizio per orientare i padri nelle loro
scelte, soprattutto quelle di carattere teologico?

6.3. La guida e gli orientamenti del concilio

Il Consiglio di presidenza avrebbe dovuto esercitare una funzione di


guida dei lavori conciliari: la sua autorevolezza era garantita non solo
dal mandato del papa, ma anche dalla sua ampia composizione. Tuttavia
la presidenza - lo si nota il 13 ottobre - non appare un organo efficace
di mediazione. Non si era mai riunita prima dell'inizio del concilio. Il
primo incontro avviene dopo la tumultuosa seconda giornata del conci-
lio, quando, dopo lo scioglimento della seduta, si discute dei compiti e
dei diritti del consiglio (ad esso partecipa anche il segretario generale
Felici). Per il card. Urbani si è visto già che la «presidenza è imprepara-
ta»153.
Nel secondo incontro, il 15 ottobre 1962, si pongono alcuni proble-
mi fondamentali, in primis come ordinare i lavori conciliari, se cioè se-
guire l'ordine degli schemi inviati ai padri nell'estate o anteporre la trat-
tazione di quello sulla liturgia. Il consiglio si divide tra una maggioranza
favorevole alla discussione della liturgia (Tisserant, Liénart, Frings, Ruf-
fini, Alfrink) ed una minoranza contraria (Gilroy, Caggiano, Spellman,
Pia y Deniel). In questa stessa seduta il consiglio decide di affidare al
card. Liénart la preparazione del testo del messaggio «agli uomini», di
proibire gli applausi, di dare gli avvisi tecnici in aula anche in lingue na-
zionali (segno dell'incomprensibilità del latino per molti padri). Il giudi-
zio di Giovanni XXIII sul consiglio di presidenza, a quanto annota nel
suo diario, non è negativo: l'adunanza gli risulta essere stata «felice» 154,
probabilmente per la decisione di discutere sulla liturgia.
Ma resta il problema di quale sia l'organo di direzione del concilio.
Con la creazione del segretariato extra ordinem il papa aveva già ricono-
sciuto che il consiglio di presidenza non poteva essere l'unico organo di-

153 DUrb 15 ottobre 1962.


154 Agende 15 ottobre 1962.
82 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

rettivo del Vaticano Il Fin dalla terza riunione del consiglio di presi-
denza, si profila un conflitto di competenze tra questo e il segretariato
extra ordinem. In questa riunione il decano Tisserant legge il verbale del
segretariato extra ordinem, già approvato da Giovanni XXIII, sulle nor-
me per la disciplina del concilio 155 . Alle riunioni del segretariato extra
ordinem non partecipa il segretario generale Felici, che non è nemmeno
il tramite dei rapporti tra quest'organo e il consiglio di presidenza. Una
nota di Felici, a margine dei processi verbali del consiglio di presidenza,
osserva: «erat autem discrimen frequens inter Concilium Presidentiae et
Secretariatum de N egotiis extra ordinem: quod res saepe confusas f e-
cit»156. Il card. Ruffini denuncia le confusioni tra i due organismi; infat-
ti, nella terza riunione del consiglio, <<Vehementer postulat» di stabilire
bene le competenze per evitare conflitti. Il consiglio è però destinato a
vedersi ridurre il ruolo; infatti tiene solo due riunioni dopo questo terzo
incontro (una per discutere una proposta analoga a quella approvata dal
segretariato, l'altra per recepjre la volontà di Giovanni XXIII che si
trattasse dello schema De revelatione). Dopo il 19 novembre non sembra
vi sia più nessun'altra riunione del consiglio.
In realtà il segretariato ha un ruolo principale nella direzione del
concilio. Per esempio la riunione del 16 ottobre si tiene alla presenza
del papa nella sua biblioteca. Parecchi temi si accavallano, come la pro-
posta di Suenens e Dopfner di abolire la Messa prima della sessione
(che trova appoggio in Montini) e di non portare abiti prelatizi. Dopo
l'incontro con il papa si fa un'altra riunione alla presenza del segretario
di Stato. La testimonianza di Siri in mancanza dei verbali è preziosa:
I soliti Suenens e Dopf ner - annota vogliono subito una adunanza: sono famelici
di influenzare il concilio. Cicognani non sa dire di no alla improvvisa pretesa ed io con
chiara malavoglia scendo cogli altri nella sala delle adunanze presso il segretario di Sta
to. Altra valanga di richieste: regolamenti, regolamento spirituale (Suenens: bella ma
nia!), di bel nuovo abolizione della S. Messa in apertura, salvo il lunedì. Montini vor
rebbe che questo si decidesse subito. Fortunatamente il presidente svia e ci si accorda
solo su richiedere maggior ordine nelle adunanze. Confalonieri è incaricato di stendere
qualcosa ad hoc157.

155 Ora edite col DSri, pp. 348 355.


156 AS V/1, p. 21.
157 Cfr. DSri 17 ottobre 1962, p. 364. Siri risponde anche al memorandum Bea del
15 ottobre 1962 con una nota conservata dal papa, su cui cfr. VELATI, Una difficile tran-
sizione.. ., cit., pp. 368 369.
LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 83

6.4. Dinamiche di un inizio concilt'are senza progetto?

La dinamica del dibattito conciliare agita il segretariato extra ordi-


nem fin dalle sue prime riunioni. Il 19 ottobre, mentre il papa approva
la richiesta di Bea, il segretario di Stato comunica ai cardinali riuniti che
le richieste di Suenens e Dopfner, rispetto agli abiti prelatizi ed alla
Messa, sono state respinte. Erano esigenze piuttosto periferiche rispetto
alla decisione di porre l'ecumenismo (con un organo conciliare che se
ne occupava) come problema del Vaticano Il. Nei lavori del segretariato
extra ordinem rifluisce l'esigenza di dare un piano armonico al Vaticano
II, che si è vista espressa prima nel memorandum Bea e poi nella lettera
del card. Montini al segretario di Stato. Il card. Siri respinge i tentativi
dell'arcivescovo di Milano e di altri cardinali in questo senso:
Cicognani se ne va e io assumo la presidenza. Con buone parole sistemo tutto ed
arrivo al punto voluto: niente di decisivo. Faccio osservare che solo di tesi brevi il con-
cilio potrà dare un giudizio. Non capisco come non intendano che non si possono fare
piani di mutazioni a concilio incominciato.

Il card. Siri si oppone al progetto di trasformare il segretariato in un


organismo direttivo del concilio e di preparare un progetto per i suoi la-
vori158. Per i cardinali europei il Vaticano II non deve lavorare supina-
mente sugli schemi preparati dalle commissioni sotto il controllo della
curia e, così, si deve trovare un nuovo punto di concentrazione proget-
tuale.
Per il cardinale genovese, è invece un successo il «nulla di decisivo»
nella riunione del segretariato. Il concilio è importante, ma bisogna se-
condare i lavori preparatori e non enfatizzare eccessivamente un ruolo
direttivo esterno. Tuttavia il 21 ottobre, in udienza da Giovanni XXIII,
il card. Siri capisce quale posto abbia il segretariato extra ordinem nella
visione del papa. lnfatti Giovanni XXIII, dopo essersi detto «edificato»
dell'opposizione del cardinale genovese alla richiesta di Suenens, Dopf-
ner e Montini per l'abolizione della Messa prima delle sedute conciliari,
spiega la sua visione del segretariato nella meccanica del Vaticano Il:
Ho capito che egli intende il «Segretariato grane» come il cervello del concilio, per
ché si rende conto che il consiglio di presidenza è troppo fritto misto. Ma l'ho avvertito
che il segretariato nostro è fatto di due pezzi, il che mette in guardia e ho consigliato un
piccolissimo gruppo di sua consulenza personaleI59.

158 ALBERIGO, Concilio acefalo ... , cit., pp. 202 204.


159 DSri 21 ottobre 1962, p. 366.
84 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

Giovanni XXIII dà la sua fiducia al segretariato extra ordinem, for-


mato dai cardinali significativi delle più importanti tendenze conciliari.
Per il card. Siri - ma anche per Ottaviani ed altri - i padri concilia-
ri, con rapidità e concisione, avrebbero dovuto secondare la grande cor-
rente della tradizione teologica e di governo della chiesa. Roma e la cu-
ria erano i migliori interpreti di questa tradizione. Al massimo i padri
avrebbero dovuto, con la loro autorità e esperienza, chiarificare e ripro-
porre. Così l'attività di alcuni leader conciliari, come una parte dei
membri del segretariato extra ordinem, è vista come la volontà di com-
piere un'azione di «pilotaggio» della massa dei padri. C'è l'impressione
di un procedere in ordine sparso dei «romani».
Il card. Urbani, ad un settimana dall'apertura del Vaticano II, nota
come i primi passi del Vaticano II abbiano registrato alcuni errori nella
conduzione dei lavori da parte della regìa curiale. La reazione sul voto
delle commissioni conciliari era abbastanza prevedibile, secondo il por-
porato. Del resto chi conosceva i vota dei padri poteva notare come. gar-
batamente ricorressero espressioni di difficoltà da parte dei vescovi resi-
denziali per il governo della curia romana ed il suo impatto nelle realtà
locali. Il patriarca di Venezia scrive: 1.;

il Papa stupendo nei suoi discorsi - specialmente agli osservatori acattolici e ai giornali-
sti e alle rappresentanze; la segreteria generale impreparata e disorientata, incapace di
dominare l'assemblea, e affatto sostenuta da1la presidenza, questa priva di qualunque co-
esione e formata da persone notoriamente contrastanti - Ruffini-Alfrink. Primo delinear-
si de1le correnti. Ingenuità nel credere che i Vescovi sarebbero venuti a mettere lo spol
vero su quanto preparato da altri. Errori psicologici nel proporre i nomi precedenti per
le commissioni e nel far girare le liste preparate dalle congregazioni romane. Impressio-
ne prevalente in molti padri che il concilio fuori del Papa non abbia una testa responsa-
bile - il co1legio di presidenza naviga al buio che non vi sia un piano definito un
programma preciso - si vive alla giornata. La scelta per· la liturgia come primo argomen
to, motivandola come la più facile, lascia supporre o il timore d'affrontare i temi di fon
do o la volontà d'ostruzionismo... La nomina dei sottosegretari prima quattro, poi un
quinto appare un ottimo correttivo - come la nomina del card. polacco ne1la extra ordi-
nemI60.

Il card. Urbani, successore di papa Giovanni al patriarcato di Vene-


zia, conosce bene la curia romana perché ha lavorato per vari anni nella
capitale. La sua posizione è estremamente moderata, ma egli non può
non notare la confusion e in cui si muovono i primi passi del concilio. Il
papa - egli sostiene - è l'unico riferimento; ma questo, non basta a det-
tare tutte le meccaniche dello svolgimento dei lavori. E l'assemblea che

160 DUrb 18 novembre 1962.


LA TUMULTUOSA APERTURA DEI LAVORI 85

si è conquistata il diritto di far sentire il suo orientamento. Tuttavia, tra


i pa,dri, si vanno progressivamente delineando due differenti orientamen-
ti. E lo stesso Urbani a notarlo: «Si delineano già le correnti: curia e
non curia, integralisti conservatori o riformisti progressisti: finora le pa-
role sono soltanto sui giornali ma si sente nell'aria che non sono del tut-
to invenzioni». Lo stesso card. Siri aveva osservato nel suo colloquio
con Giovanni XXIII come nel segretariato extra ordinem esistano due
«blocchi» con una visione differente del concilio.
Tutto questo rappresenta uno spettacolo disdicevole per il mondo
che segue con un certo interesse i lavori del Vaticano II? Se - come
pare - il concilio non si concluderà con una solo sessione, se i padri
vorranno far sentire la loro voce in aula questo provocherà, in breve, di-
scussioni e contrapposizioni; l'opera conciliare, allora, è in buona parte
da compiere, affidata com'è alle dinamiche assembleari. Chi terrà le fila?
Il papa rappresenta il punto di riferimento per i lavori del Vaticano
Il, anche se non ha alcuna intenzione di fungere da regista della mecca-
nica conciliare. Giovanni XXIII aveva orientato la sua presenza alla te-
sta della S. Sede in una maniera tale da non essere il segretario di Stato
di se stesso, come qualcuno aveva definito il suo predecessore, Pio XII.
Nel governo ordinario della chiesa, papa Roncalli aveva dato un orienta-
mento generale e valorizzato le forze dirigenti alla testa del cattolicesi-
mo. Si era concentrato sul governo straordinario, che aveva il suo atto
più alto nella convocazione del concilio. Giovanni XXIII credeva nel
concilio e nella funzione che i vescovi del mondo potevano svolgere as-
sieme al papa nella dinamica delle assemblee. Non fa mancare, come si
è visto nell'allocuzione iniziale, l'espressione del suo orientamento pro-
fondo e, soprattutto, vuol mettere i padri in grado di esprimersi libera-
mente.
Il card. Montini, pur consapevole di questa presenza del papa nella
vita del concilio, aveva lamentato nella sua lettera al segretario di Stato,
Cicognani, l'assenza di un progetto coerente di lavori. Un progetto, for-
se, c'era, ed era il materiale preparato dalle commissioni sotto la direzio-
ne della curia. Questo materiale appariva inadatto al cardinale di Milano
e a molti altri padri; così Montini proponeva un progetto per produrre
dei testi espressivi del rinnovamento della chiesa. Papa Giovanni non ha
la stessa cultura del progetto del suo immediato successore; non ha
nemmeno lo stesso senso del governo della chiesa che già Montini aveva
mostrato durante la sua permanenza in segreteria di stato. Il papa ha al-
cune ide~ ed aspirazioni, ma poi crede di dover lasciar fare al lavoro dei
vescovi. E l'attitudine che aveva espresso nella riunione della commissio-
ne centrale e delle sottocommissioni del sinodo di Roma: «Non sempre
le possibilità di agire corrispondono ai propri desideri e alla propria vo-
86 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

lontà. Egli però si confortava, pensando che aveva sempre tenuto fede a
questo programma di vita; lasciar fare, dar da fare, far fare» 161 •
Fare un concilio era stato il grande atto di papa Giovanni. Agli inizi
dei lavori conciliari egli aveva tracciato la prospettiva profonda in cui i pa-
dri si sarebbero dovuti muovere ed aveva operato perché potessero fare
loro stessi il concilio e perché fossero lasciati alle loro responsabilità. Così
il concilio si era mosso abbozzando, fin dai primi passi, una dialettica in-
terna tra diverse posizioni che si andavano delineando. Quella romana,
che aveva nel card. Ottaviani il suo punto di riferimento, non era più ege-
monica, ma rappresentava una di quelle presenti nell'aula conciliare. Gio-
vanni XXIII non aveva imposto, dall'alto, un progetto conciliare, ma ave-
va creduto che tra i padri ci fossero idee, problemi, prospettive, conflitti,
esperienze che dovevano venire alla luce in una dialettica che avrebbe
dato i suoi frutti. I vescovi si dovevano anche conoscere tra di loro, per-
ché non esisteva nella loro esperienza alcuna traccia di collegamento al di
fuori del loro paese. I diari e le memorie dei padri sono ricche dei segni di
questa mutua conoscenza. Nelle pagine dei ricordi di mons. Edelby sono
annotati i passi di questa conoscenza: ad esempio, il 18 ottobre, il prelato
greco-cattolico prende parte alla riunione dei vescovi africani che gli pon-
gono numerose domande sulla liturgia bizantina, che a loro era completa-
mente sconosciuta. Sono conoscenze non prive di ricadute quando si sta
per discutere sullo schema De lt'turgia 162 •
Le dinamiche del Vaticano II cominciano anche senza essere guidate.
La stessa recezione dell'allocuzione del papa è molto variabile. Giovanni
XXIII stesso sa che una parte dei vescovi «ama tacere» a proposito della
sua allocuzione. Ma il papa non ha voluto imporre niente, solo dare la li-
bertà e i motivi per cui parlare e pensare: «chi tace di più debbo essere io
stesso» - annota. Questa è la sua linea. Per il papa la chiesa è una realtà
complessa - un «mistero», si potrebbe dire in termini teologici-, che non
può essere ridotta ad una sola visione tradizionale, fosse pure molto auto-
revole e, nemmeno, alla visione del papa. Così nel suo diario, ad un mese
dall'inizio dei dibattiti conciliari, Giovanni XXIII annota:
Anche oggi ascolto interessante di tutte le voci. In gran parte sono di critica agli
schemi proposti (card. Ottaviani), che preparati da molti insieme, rivelano però la fissa
zione un po' prepotente di uno solo e il permanere di una mentalità che non sa divinco-
larsi dal tono della lezione scolastica. La semicecità di un occhio è ombra sulla visione
d'insieme. Naturalmente la reazione è forte, talora troppo forte. Ma penso che la buona
intesa finirà per prevalere163.

161 RrCCARIH, Il potere del papa... , cit., p. 181.


162 JEdb 18 ottobre 1 %2, ff. 26-28.
163 Agende 19 novembre 1962.
Capitolo secondo

L'avvio dell'assemblea

1. I primi contatti tra i vescovi e tra i teologi

Prima dell'inizio del concilio, i vescovi avevano ricevuto schemi pre-


liminari concernenti la liturgia, l'unità della chiesa e le comunicazioni
sociali, schemi preparati rispettivamente dalle commissioni sulla liturgia
e sulla chiesa orientale e dal segretariato per la stampa e lo spettacolo.
Inoltre, essi avevano ricevuto altri quattro schemi proposti dalla com-
missione teologica sulle fon ti della rivelazione, la conservazione del de-
posito della fede, l'ordine morale, castità, verginità, matrimonio e fami-
glia1.
Più di un partecipante al concilio rilevò che la quantità di materiale
che ciascuno avrebbe dovuto leggere era eccessiva. Joseph Ratzinger
successivamente commentò che mentre <<le commissioni preparatorie
avevano indubbiamente lavorato molto, [. .. ] la loro diligenza era in un
certo senso causa di sofferenza. Erano stati prodotti settanta schemi per
complessive 2.000 pagine». All'inizio, egli notava, «c'era un certo timore
che l'intera impresa potesse ridursi a niente di più di un mero ratificare

1 Schemata Constitutionum et Decretorum de quibus disceptabitur in Conci/ii sessioni


bus. Series prima (sub secreto), Città del Vaticano 1962; cfr. SIV 1, pp. 433 441. Nel pri-
mo periodo sarà discussa, delle quattro costituzioni «dogmatiche» presenti in questo pri
mo volume, solo la prima, sulle Fonti della rivelazione, mentre saranno discussi tutti e
tre gli altri documenti non «dogmatici» (sulla liturgia, sugli strumenti di comunicazione
sociale e sull'unità della chiesa). Un secondo volume di schemi sarà distribuito ai padri
conciliari solo il 23 novembre 1962: Schemata Constitutionum et Decretorum de quibus
disceptabitur in Conci/ii sessionibus. De ecclesia et de beata Maria virgine. Series secunda
(Sub secreto), Città del Vaticano 1962. Qui le righe di presentazione portavano la data
del 1O novembre. Come già viene suggerito dal frontespizio, nel II volume le costituzio
ni dogmatiche erano due: De ecclesia; De beata Maria virgine matre Dei et matre homi-
num. Di esse nel primo periodo sarà discussa solo quella sulla chiesa. Dal 14 novembre
alla fine del I periodo, i dibattiti «dottrinali» verteranno quindi sui progetti delle costi
tuzioni De fontibus revelationis e De ecclesia, nonché del decreto De ecclesiae unitale.
88 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

decisioni già prese, finendo con l'impedire anziché favorire il rinnova-


mento di cui la chiesa cattolica abbisognava»2 •

1.1. Inquietudini iniziali

Quanti, in tutta la chiesa, avevano atteso con grande speranza


l'evento conciliare, avevano provato un senso di smarrimento di fronte
agli esiti del lavoro deJle commissioni preparatorie, soprattutto di fronte
agli schemi dottrinali. L'invio de11a prima serie degli schemi di cui oc-
correva discutere in concilio aveva suscitato infatti molte delusioni. Il
clima di insoddisfazione era diffuso soprattutto negli ambienti centro
europei e, in qualche modo in connessione con essi, presso molti vesco-
vi de11e missioni. «Molti», come poi ammetterà lo stesso card. Ottaviani
ne11a sua relazione introduttiva al De fontibus, erano stati infatti coloro
che, già ne11'estate precedente gli inizi dei lavori conciliari3, avevano ma-
nifestato la loro reazione negativa agli schemi dottrinali distribuiti, rifa-
cendosi soprattutto a11a carenza di pastoralità. E, riflettendo un siffatto
clima di insoddisfazione, «Etudes» nota già - ad esempio - come
a giudizio di numerosi vescovi, gli schemi teologici non corrispondono affatto allo spiri
to di aggiornamento che Giovanni XXIII ha preconizzato nel suo discorso di apertura
del concilio. In particolare quello che tratta del rapporto tra scrittura e tradizione [. .. ]
Ma occorre confessare che la maggior parte dei vescovi non si interessa a questi proble-
mi; se non sono teologi di mestiere, fanno fatica a coglierne l'importanza. In queste con
dizioni sarebbe desiderabile che questi schemi fossero almeno rinviati ad un'altra sessio
ne4.

Esiste cioè, aJl'inizio, un desiderio diffuso non solo tra i vescovi, ma


altresì tra i teologi, di non volersi misurare subito con gli schemi dottri-
nali inviati all'inizio deJl'estate. Il desiderio era tuttavia variegato. So-
prattutto in ambito tedesco prende presto corpo il progetto di sostituire
in blocco i quattro schemi preparati dalla commissione teologica con
uno schema alternativo. Le reazioni dei vescovi e dei teologi francesi,

2 J. RATZINGER, Die erste Sitzungsperiode des Zweiten Vatikanischen Konzils. Ein


Ruckblick, Koln 1963, pp. 7-8.
3 Cfr. S/V 1, pp. 441 451. In questa fase il tema della pastoralità era stato fatto
proprio dal blocco tedesco olandese francese con significative adesioni latino americane
e di vescovi «missionari». Questo non significa che fossero già chiari i termini del pro
blema. Sarebbe stata la Gaudet mater ecclesia a offrire i riferimenti per una comune con-
cezione della «pastorale», almeno nel primo periodo dei lavori conciliari.
4 Ottobre 1962, p. 262.
L'AVVIO DELL'ASSEMBLEA 89

anche se negative, erano tuttavia meno rigide. Molti vescovi, soprattutto,


ma non solo, extraeuropei, erano poi infastiditi del fatto che que11o che
a loro sembrava essere il punto centrale del concilio, e cioè la dottrina
sulla chiesa e sui poteri dei vescovi, non appariva a11' ordine del giornc5.
E non si trattava, a tal proposito, di opinione secondaria. Dentro il se-
gretariato per gli affari extra ordinem, che avrebbe assunto ben presto
un ruolo centrale, anche se subito non percepito da tutti, ne11a condu-
zione dei lavori conciliari6 , chi si faceva portatore deJla tematica eccle-
siologica come punto di raccordo di tutto il lavoro conciliare era il card.
Suenens7 , seguito con crescente convinzione dal card. Montini. Si era
però consapevoli che non era possibile «a11o stato de1le cose, tradurre
un simile piano secondo l'ordine dovuto» 8 • Ancora dopo due settimane
dall'inizio del concilio, lo stesso segretariato non poteva che esprimere il
desiderio che lo schema sulla chiesa fosse distribuito ai padri9 • Ma ciò
avverrà solo dopo il 1O novembre. La decisione che il primo degli sche-
mi dottrinali da discutere, dopo lo schema sulla liturgia, fosse que11o
sulle fonti de11a rivelazione, era già stata comunicata in data 7 novem-
bre10. E giacché, seppure inspiegabilmente, il testo del De ecclesia risul-

5 JCng il 21 ottobre riporta gli umori dei vescovi brasiliani.


6 G. ALBERIGO, Concilio acefalo? L)evolui.ione degli Organi direttivi del Vaticano II,
in Attese, pp. 193 238.
7 Sulla sua visione, cfr. L. J. SUENENS, Aux origines du conci/e Vatican II, in «Nou-
velle Revue Tkéologique» 107 (1985), pp. 3 21, e la sua testimonianza in Giovanni Batti-
sta Montini arcivescovo di Milano e il Condlio Ecumenico Vaticano II. Preparai.ione e pri
mo periodo, Brescia 1985, pp. 178-187.
8 DSri, 19 ottobre 1962, p. 349.
9 26 ottobre 1962: «Circa l'ordine di discussione degli schemi, gli Em.mi, richia
mandosi alla già avvertita necessità di seguire lo svolgimento dei lavori su un piano or
ganico e logico, hanno formulato la proposta che venga quanto prima distribuito ai pa
dri conciliari lo schema relativo alla chiesa, i cui argomenti costituiscono, su tale piano,
il tema primo e centrale delle varie discussioni», DSri, p. 351.
10 AS V2, p. 291. La decisione era stata presa dal consiglio di presidenza già il 15
ottobre 1962, sulla base della prima serie degli schemi inviati ai padri. Si trattò di una
decisione combattuta. Motivando la loro convinzione con il fatto che la discussione sulla
liturgia avrebbe incontrato minori difficoltà («quia schema expeditioris discussionis vide
batur»), Tisserant, Liénart, Frings, Ruffini, Alfrink (5 voti) costituirono una risicata mag
gioranza contro Gilroy, Caggiano, Spellman e Pla y Deniel (4 voti) per cui si arrivò alla
decisione di iniziare la discussione non secondo l'ordine del volume stampato e inviato
ai padri, ma mettendo al primo posto la liturgia e «deinde discutietur schema de fonti
bus Revelationis»: AS V/1, pp. 17 18. Si noti che era assente un membro del consiglio,
il card. Caggiano. E si noti ancora la strana adesione del card. Ruffini all'opinione del
blocco centro europeo. Un'altra cosa strana è che questa decisione fino al 7 novembre
resta praticamente sconosciuta. Ancora il 6 novembre, il vescovo Volk ritiene più proba
bile che invece del De fontibus, dopo la liturgia si discuta il De ecclesia (cfr. la nota di
90 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

tava ancora latitante 11 , era inevitabile che venissero disattesi i desideri


dei vescovi che così si vedevano quasi costretti a cimentarsi invece con
una discussione, quella sulle fon ti della rivelazione, piuttosto tecnica12 •

1.2. I «gravamina» dei teologi

Con una consapevolezza carica della secolare storia del genere lette-
rario dei Gravamina natt'onù germanicae nei quali, a partire dal 1455,
veniva espresso il malcontento tedesco contro la conduzione romana
della chiesa, Semmelroth nella nota del 10 novembre del suo diario an-
nota di aver lavorato «faticosamente [... ] alla redazione dei gravamina
contro il primo schema, messi assieme da Rahner». Ma, già prima di
Rahner, altri si erano accinti allo stesso compito. A differenza dei futuri
schemi alternativi, queste «annotazioni» agli schemi preparati dalla com-
missione teologica preparatoria non presentavano un progetto positivo,
ma avevano lo scopo di dare ai vescovi uno strumento per rendersi con-
to dell'inammissibilità degli schemi stessi.

1.3. Le osservazioni di K. Rahner

Sin dalla fine del 1961 il card. Konig aveva fatto ricorso a Rahne.r,
chiedendogli di esaminare i testi che via via la commissione centrale
preparatoria - di cui egli era membro - licenziava perché fossero sotto-
posti al concilio 13 • Il 4 gennaio 1962 il teologo gesuita in via al cardinale

Semmelroth del 6 novembre). Possibile che Frings non gli abbia comunicato la decisio
ne del Consiglio e· che i tedeschi non sapessero nulla? Oppure ciò è il segno di una to
tale assenza di regìa in questa fase?
11 Nella sua Relatio Secretarii Commissionis Conciliaris "de doctrina /idei et morum",
del 16 dicembre 1962, Tromp afferma di aver ricevuto solo il 26 ottobre il testo che. era
stato inviato ai latinisti, assieme al De b.M. virgine, che quindi è stato fatto un ultimo
esame (da chi?) sulle correzioni introdotte da costoro e che il tutto è stato ._inviato agli
inizi di novembre alla segreteria generale perché venisse dato alle stampe. E vero però
che ancora nel giugno 1962 la sottocommissione per gli emendamenti inviava i suoi sug
gerimenti alla commissione teologica per il De ecclesia e per il De b.M. virgine. Sembra
da escludere quindi qualsiasi tattica dilatoria nella pubblicazione del testo.
12 In data 26 ottobre il segretariato dei vescovi africani trasmette al consiglio di
presidenza il voto secondo cui, dopo la liturgia, il primo schema da esaminare doveva
essere quello De ecclesia, LEVILLAIN, La mécanique... , cit., p. 234; JCng, 21 ottobre, do
cumenta l'analogo desiderio dei vescovi brasiliani.
13 Cfr. S/V 1, p. 477.
L'AVVIO DELL'ASSEMBLEA 91

di Vienna una prima serie di appunti critici e di proposte. Lo scambio


prosegue per tutto il primo semestre di quell'anno, anzi dall'aprile Ko-
nig chiede a Rahner di essere teologo conciliare non solo suo, ma del-
1'episcopato ai:istriaco e di quello tedesco 14 • Abitualmente Rahner espri-
me punti di vista molto severi sugli schemi, mettendo in guardia Konig.
Non appena è deciso che il concilio esamini il De /ontibus Rahner
prepara una Dùquisitio brevis de Schemate «De /ontibus revelationù» 15 •
E difficile valutare quale diffusione abbia avuto questo testo. Rahner
parla di 400 esemplari1 6 • A differenza del futuro schema alternativo, qui
ci si preoccupa di usare una teologia accessibile ai vescovi. La disquisitio
è articolata in tre parti: una introduzione sulla natura delle decisioni
conciliari e in particolare di un concilio pastorale; osservazioni generali
e osservazioni particolari.
I gravamina di Rahner, a differenza di quelli di Schillebeeckx, invita-
vano esplicitamente i padri conciliari a mettere da parte lo schema («si
Patribus videtur thema tale simpliciter omitti posse») o a sostituirlo17 •

1.4. Le «animadversiones» di Schillebeeckx

A sua volta in Olanda il card. Alfrink aveva già coinvolto un gruppo


di teologi nell'esame dei testi sottoposti alla Commissione centrale18 • Il
17 settembre 1962, 16 vescovi missionari di lingua olandese si riunisco-
no a s'Hertogenbosch, presso l'episcopio di mons. Bekkers, assieme a

14 "Karl Rahner in seiner murrischen, aber herzlichen Art''. Kardinal Konig uber sei-
nen Konzilsberater, <<Entschluss» 43 (1988/6), pp. 4 34 dove sono editi parecchi docu
menti, sia pure per estratto. I testi sono stati editi successivamente a cura di H. Vorgri
mler in Karl Rahner. Sehnsucht nach dem Geheimnisvollen Gott. Pro/i/, - Bildert Texte,
Freiburg 1990, pp. 95 165 e discussi da R. Siebenrock nella relazione su Meine schlimm-
sten Erwartungen sind weit ubertro/fen, in Wurzburg, pp. 121 139.
15 Copia in ISR.
16 Lettera a Vorgrimler del 12 novembre 62: giorno della distribuzione del testo
stesso («heute Nachmittag bekommen es alle deutschen Bischofe»). Ma si tratta solo di
una indicazione iniziale. Nella nota del 17 novembre, il diario di Semmelroth parla di
altre 500 copie («noch einmal»: ancora un'altra volta) 1 su richiesta soprattutto dei vesco
vi americani. Nei giorni della discussione accesa del De fontibus cresce cioè il numero
dei vescovi che vogliono capire meglio. ·
17 Per il contenuto dottrinale di questa Disquisitio v. il successivo cap. V.
18 Cfr. J. VAN LAARHOVEN In medio ecclesiae... Al/rink op het Tweede Vaticaans
1

Concilie, Al/rink en de Kerk 1951-1976, Baarn 1976, pp. 12 33 e J. GROOTAERS, Une re-
stauration de la théologie de /' épiscopat. Contribution du card. Al/rink à la préparation de
Vatican II, in Glaube im Prozess, p. 812.
92 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

lui e al vescovo Bluyssen 19 • Persuasi che l'accoglimento degli schemi


preparatori sarebbe stato fatale per il concilio e la chiesa, cercano un
mezzo per entrare in contatto diretto con l'episcopato mondiale, convin-
ti che sarebbe stato inutile inviare le loro critiche e i loro suggerimenti
alla segreteria generale del concilio. Decidono perciò di chiedere al teo-
logo domenicano E. Schillebeeckx un commento critico agli schemi da
diffondere presso i padri conciliari, una volta arrivati a Roma. A fine
settembre Schillebeeckx ha già approntato le sue annotazioni che sono
tradotte in latino e in inglese e ciclostilate anonime, senza nemmeno es-
sere riviste per mancanza di tempo 20 • Comunque, incoraggiati dall'allo-
cuzione di apertura di Giovanni XXIII che «fece rinascere la speranza
di un esito favorevole del concilio»21 , gli olandesi distribuiscono grazie
all'efficacia di Jan Brouwers, segretario della Conferenza episcopale, cir-
ca 2.600 copie delle Animadversiones in «primam seriem schematum con-
stitutionum et decretorum de quibus. disceptabitur in Condlii sessioni-
bus»22.
Schillebeeckx si limitava alle questioni più importanti. Preliminar-
mente poneva un'affermazione di metodo e cioè essere desiderabile che
il concilio, «seguendo l'esempio del Tridentino, si astenga dal dirimere
questioni ancora discusse tra i teologi, eviti un modo di trattare e di
parlare che sappia di scuola e proclami la buona novella "bono animo

l9 Si veda J.A. BROUWERS, Derniers préparati/s et première session. Activités conci-


liaires en coulisse, in Vatican II commence, pp. 353 368.
20 Si deve forse a questa fretta che esse non siano «del tutto corrette», come nota
Semmelroth nel suo diario (11 novembre 1962). Con ogni probabiHtà Semmelroth si ri-
ferisce all'affermazione secondo cui, sulla questione deUe «due fonti», l'enciclica Humani
generis seguirebbe il Tridentino. Ciò non è vero perché l'enciclica parla invece esplicita
mente delle <<fonti deUa rivelazione» (DS 3 883).
21 BROUWERS, Derniers préparattfs ... , cit., p. 356.
22 Cfr. S/V 1, pp. 447 448. Nella traduzione latina il testo si estende per 47 pagine.
La traduzione inglese, che non combacia esattamente con la traduzione latina e appare
più accurata, comprende 57 pagine. La differenza tuttavia è dovuta principalmente ai
caratteri impiegati. Jan A. Brouwers procedette poi alla distribuzione, spesso in taxi, alle
varie residenze dei vescovi. Egli trovò molto interesse presso i vescovi europei e, ancora
di più, presso gli africani e gli americani. Talvolta la risposta alla visita di Brouwers fu
più ambigua. Al Collegio irlandese il vescovo che vi risiedeva disse che non voleva avere
niente a che fare con «scritti modernisti». Alcuni giorni più tardi un vescovo irlandese si
recò al Collegio olandese per richiedere trentatré copie del testo per i suoi coUeghi.
Poco dopo Brouwers ricevette richieste simili da parte dei polacchi, degli australiani, dei
neozelandesi e dei vescovi missionari dell'Oceania. Brouwers aveva anche stabilito con-
tatti con le conferenze episcopali italiana, spagnola e portoghese, con le chiese cattoliche
orientali e con i vescovi del Giappone, deUa Corea, di Formosa, del Vietnam e della
Thailandia, BROUWERS, Derniers préparati/s ... , cit., pp. 355 358.
L'AVVIO DELL'ASSEMBLEA 93

ac positive"»23 • Queste saranno parole d'ordine comuni a tutti gli inter-


venti critici sullo schema che echeggeranno nell'aula conciliare. Per quel
che riguarda lo schema sulle Fonti, Schillebeeckx lamentava anzitutto
l'omissione di una trattazione previa «sulla rivelazione pubblica e sulla
fede cattolica» e la mancanza di qualsiasi accenno, a differenza di quan-
to aveva invece fatto la competente commissione preparatoria per lo
schema sulla liturgia, ai desiderata dei vescovi e delle università, legitti-
mando in questa maniera il sospetto di parzialità. Ad avviso di Schille-
beeckx inoltre la teoria delle due fonti, sposata dallo schema, era fun-
zionale all'affermazione che esistono verità rivelate che non si trovano
nella scrittura, ma solo nella tradizione orale, affermazione a sua volta
possibile solo partendo dal presupposto che la rivelazione non sia altro
che una «comunicazione di verità concettuali». Coerente con questo
presupposto era l'altro assunto implicito nello schema e cioè il privilegio
quasi esclusivo accordato alla rivelazione «in parole» a tutto scapito del-
la rivelazione che si ha «nella realtà» stessa24 • Non a caso lo schema li-
mitava la stessa tradizione alla predicazione, alla fede dei credenti e alla
prassi della chiesa, ignorando la tradizione delle realtà vive della salvez-
za e suggerendo una separazione assoluta tra scrittura e tradizione.
Le osservazioni di Schillebeeckx non escludevano che in sé il testo
potesse essere emendato. L'analisi dello schema De deposito /idei pure
custodiendo era la più diffusa. Essa ne rifiutava l'impostazione esclusiva-
mente concettuale, che equiparava arbitrariamente «obiettività» a «astra-
zione e universalità». Deformazione che viziava anche maggiormente il
terzo schema De ordine morali christiano; lo schema avrebbe dovuto es-
sere riscritto «ab initio usque ad finem». A proposito del De castitate,
matrimonio, /amilia, virgin#ate, Schillebeeckx, pur riconoscendo che il
concilio avrebbe potuto interessarsi della castità, aggiungeva che vi sa-
rebbero state altre questioni ben altrimenti gravi, come quella della
guerra, che pure non erano tematizzate. Al De liturgia il teologo dome-
nicano riservava le uniche - peraltro incondizionate - lodi. Infine, per il
De instrumentis communicationù auspicava un linguaggio e un tono
meno altisonanti e per il De unitale ecclesiae Schillebeeckx, pur apprez-
zando che fosse affrontata la questione ecumenica, si doleva che ciò fos-
se fatto esclusivamente nella direzione delle chiese orientali.
L'efficacia e la capacità di mettere a fuoco i punti deboli degli sche-

23 È la terza premessa del testo latino che, stranamente, manca nel testo inglese.
24 Il testo latino differenzia la rivelazione «realis» dalla rivelazione <<Verbalis». I let-
tori del testo inglese erano invece più faci1itati dalla dizione che opponeva «revelation
in word» a «revelation-in reality».
94 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

mi preparatori erano innegabili. Pur non potendosi rendere conto di


tutte le sfumature, i vescovi che leggevano le Animadversiones dello
Schillebeeckx, distribuite del resto con la chiara anche se non ufficiale
approvazione dell'episcopato olandese, non potevano restare insensibili
alla forza degli argomenti né al suggerimento che i lavori conciliari ini-
ziassero con lo schema De liturgia. Inoltre esso fu senz'altro il testo più
diffuso 25 •

1.5. Contatti tra i vescovi


Sin dai primi giorni dell'arrivo dei vescovi a Roma, viene a crearsi
una possibilità di scambio vicendevole, la cui importanza non può esse-
re sottovalutata nel processo che poi porterà all'equilibrio dottrinale
nuovo del Vaticano Il I protagonisti non hanno ancora la possibilità di
«misurare» questa nuova consapevolezza comune che costituirà l'ele-
mento più importante dell'evento conciliare. Predominano anzi il senso
di una fatica immane, quasi impossibile, la frustrazione, il senso di soli-
tudine e, a volte, di confusione. Materialmente il fatto è tuttavia più for-
te del suo riverbero progressivo sulla coscienza dei padri conciliari. Si
trattava infatti anzitutto di una possibilità, mai prima sperimentata, di
contatti e di incontri. Bisogna quindi mettere in conto, per la carbura-
zione in qualche modo accelerata che si ha nel nrimo periodo, il fatto
stesso dell'evento conciliare nella sua materialità. E quanto mons. Marty
confessava già nell'aprile precedente: <<Abbiamo perso molto, da decen-
ni, a non vederci. Dovremmo avere incontri regolari. E mons. Marty
pensa che noi entriamo in un'era conciliare»26 • Questa conciliarità, que-
sto convenire, che i teologi amano spiegare nel suo spessore proprio
come una presenza privilegiata dello Spirito, agisce nei fatti liberando
come da un senso di frustrazione e rivela ai vescovi la possibilità di gesti
che essi mai avrebbero osato dopo quasi un secolo di frantumazione vi-
cendevole, dove ognuno si riferiva a Roma, ma non aveva avuto la pos-
sibilità di percepire il legame orizzontale che lo legava agli altri vescovi;
tale legame poi sarebbe stato teologicamente determinato dal concilio
nella sua( consistenza costitutiva della struttura ecclesiale come il legame
della collegialità. Come noteranno nei loro diari personaggi particolar-
mente accorti alle dimensioni profonde della chiesa, quali i già citati
Congar e Semmelroth, diventa immediatamente operativa la collegialità

25 BROUWERS, Derniers préparati/s ... , cit., pp. 359·360.


26 JCng, p. 29.
L'AVVIO DELL'ASSEMBLEA 95

episcopale prima ancora che essa venga formulata. I vescovi scoprono


che, stando assieme e comunicando, si creano atteggiamenti prima im-
pensati, inediti27 •
Ma non si trattava solo di questo, giacché contemporaneamente av-
veniva una «reimmersione» dei vescovi nel sentire del popolo di Dio. Le
prime settimane del concilio hanno offerto ad alcuni episcopati, se non
alla maggioranza, l'occasione per un «recupero» che è più esatto chia-
mare «recezione»: molti pastori hanno cioè l'occasione di rendersi conto
del cammino che ha operato nella chiesa un certo modo di avvicinarsi
alla scrittura, gli effetti del nuovo approccio alla Bibbia che tra i cattoli-
ci era diventato sempre più comune. Ma non soltanto: i vescovi si fanno
aggiornare dai loro teologi sul progresso generale degli studi teologici,
dalla cristologia all' ecclesiologia28 •
Il discorso di una «evoluzione» non va riferito solo ai vescovi, ma va
esteso anche ai teologi. Questo è riprovato dalla consapevolezza-rimorso
di un uomo come Congar: egli durante la fase preparatoria non si era
reso conto, e lo confessa candidamente, di che cosa fosse effettivamente
possibile fare. Per un verso si vedeva «bloccato» dal consenso che i vota
antepreparatori dei vescovi sembravano manifestare. Così a proposito
del testo del De beata Maria virgine discusso il 22 novembre 1961, nota
che esso contiene di fatto «il minimo possibile [. .. ] dato che così tanti
vescovi hanno chiesto anche la definizione della corredenzione di Maria
Mediatrice, Maria Regina ecc.!»29 • Per altro verso le ripetute notazioni
del suo Journal sull'importanza del «milieu», sul mutamento decisivo del
«climat général» tra fase preparatoria e concilio, non sono riferiti solo ai
vescovi, ma valgono in primo luogo per lo stesso Congar: «Il clima ge-
nerale fa molto: clima pastorale, clima di libertà, clima di dialogo, clima
di apertura. Allora c'era il clima del "Sant'Uffizio" e dei pulpiti dei col-
legi romani. Si era neutralizzati da un codice tacito ma potente, da una
pressione sociale fortissima e contro la quale non si reagiva fino al pun-
to in cui sarebbe stato necessario rimettere tutto in questione»30•

27 Cfr. ST, nota del 14 novembre a proposito dei mutamenti dei vescovi canadesi.
28 Cfr. JCng, pp. 166 e 170, che parla del cambiamento dei vescovi americani in se
guito ai contatti con i teologi. Dapprima è l'esegeta R. Brown, poi «deux pretres améri
cains, théologiens d'éveques», che gli parlano di questo cambiamento e sottolineano so~
prattutto il ruolo delle conferenze che il passionista ed esegeta B. Ahern ha tenuto loro.
Il caso non è isolato. I contatti dei vescovi tedeschi sono programmati con scadenze set
timanali. Ma va soprattutto messo in conto l'attivismo degli episcopati delle chiese
d'America Latina, d'Africa e di Asia.
2 9 JCng, p. 51.
30 JCng 4 novembre 1962. Significativo, in questo contesto, è l'atteggiamento dei
96 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

I vescovi capirono rapidamente che il metodo suggerito da Liénart


per nominare i membri delle commissioni era un metodo efficace per
preparare le congregazioni generali. Gli spagnoli aprirono la strada in
tale direzione. Dopo aver compilato la loro lista per le commissioni, essi
votarono per convocare riunioni regolari e nominarono tre vescovi che
svolgessero il ruolo di collegamento con le altre conferenze episcopali31 .
La gerarchia italiana tenne il suo secondo incontro il 27 ottobre alla
Domus Mariae. Sotto la presidenza del cardinale di Genova Giuseppe
Siri, i sei cardinali e circa trecento arcivescovi e vescovi riconobbero <<la
grande utilità di tali riunioni» e votarono per incontrarsi settimanalmen-
te32. Altre gerarchie nazionali stavano procedendo allo stesso modo. La
collegialità episcopale era chiaramente sull'agenda dei padri, anche se
non era ancora oggetto di discussione.
Il 21 ottobre i vescovi americani si incontrarono al Collegio nord-
americano e approvarono formalmente la creazione del comitato genera-
le. Una settimana dopo l'arcivescovo di Newark, Thomas A. Boland,
presidente del comitato di presidenza, convocò una riunione dell' episco-
pato americano. Krol parlò delle procedure seguite al concilio; Hallinan
riassunse il lavoro della commissione; e padre McManus riassunse i do-
cumenti papali per dimostrare che lo schema liturgico era in accordo
con gli insegnamenti del pa pa33 • Successivamente gli americani si incon-
trarono in pratica ogni settimana. Nonostante il fatto che si stessero
chiaramente organizzando e che sfruttassero la presenza di esperti, essi
intervennero poco durante il primo periodo. Essi continuavano ad esse-
re dominati dall'influenza negativa del card. Spellman, uno dei dieci
presidenti del concilio, e del cardinale di Los Angeles, James F. Mcln-
tyre. Uno dei pochi che iniziò ad emergere come voce libera da questa
influenza conservatrice di Spellman fu Hallinan, il quale parlò con forza
in favore dello schema sulla liturgia34 •
Contemporaneamente altre conferenze stavano adottando strutture

lovaniensi come Cerfaux e Philips. Fin dall'inizio Tromp si preoccupa che essi facciano
parte dei lavori di preparazione. E non sembra che essi abbiano manifestato una qual
che opposizione di fondo nella fase preparatoria. Ma già diverso è il loro atteggiamento
nel primo periodo conciliare. Philips in particolare agisce ormai come un «agente opera
tivo» di SueneIJs. Cerfaux si attiva costituendo un suo piccolo centro indipendente di
studio sul De /ontibus e per questo fa venire a Roma J. Dupont e B. Rigaux, QDpt 3
novembre 1962).
31 RB. KAISER, Pope, Council and World: the Story o/ Vatican II, New York 1963,
p. 120.
32 «OssRom» 31 ottobre 1962, citato in CAPRILE, I, p. 67.
33 Ibidem Boland a «Vostra Eccellenza», Roma, 25 ottobre 1962.
34 X. RYNNE, Vatican Council II, New York 1968, p. 70.
L'AVVIO DELL'ASSEMBLEA 97

organizzative simili. Nel caso dell'Africa, ad esempio, le quindici confe-


renze che già esistevano o vennero create allo scopo di suggerire nomi
per le commissioni formarono un segretariato pan-africano sotto la pre-
sidenza del card. L. Rugambwa35 • Tale organizzazione implicava che in
seno alle congregazioni generali un vescovo potesse essere designato per
parlare a nome di un gruppo nazionale o. di membri di un gruppo na-
zionale. In tal modo i vescovi assumevano la responsabilità di guidare le
procedure del concilio.
Parallelamente alla creazione da parte di numerose conferenze epi-
scopali di organi di coordinamento in vista della partecipazione al conci-
lio, alcune conferenze episcopali venivano creando legami l'una con l'al-
tra. Il 9 novembre un gruppo di rappresentanti delle conferenze episco-
pali iniziò una serie di incontri alla Domus Mariae (residenza peraltro di
un certo numero di vescovi brasiliani, tra cui Helder Camara, segretario
della conferenza dei vescovi latino-americani). Queste riunioni erano un
momento di incontro tra vescovi latino-americani, africani, asiatici, cana-
desi, europei e, talvolta, anche statunitensi36 •

1.6. Incontri para-conciliari

Pur nel comune disagio di fronte all'inadeguatezza dei quattro sche-


mi dottrinali, tra i teologi in Germania e in Francia vengono a svilup-
parsi atteggiamenti che, se non possono essere considerati opposti, non
possono nemmeno essere considerati identici e che quindi hanno impe-
dito che il fronte del rifiuto fosse, fino all'ultimo, compatto37 •

35 C. FALCONI, Pope John and the Ecumenica/ Council: A Diary o/ the Second Vati-
can Council September-December, 1962, trad. M. Gindrod, Cleveland 1964, p. 189.
36 ACUA, F-Primeau, «Domus Mariae» 11, 13, 20 novembre 1962.
3 7 Già il 27 settembre un giovane teologo di Tubinga, allora appena emergente,
Hans Kiing, si reca a far visita al p. Congar a Parigi per guadagnarlo ad una strategia ri
gida nei confronti dei 4 schemi dogmatici (quello sulla chiesa non era ancora noto). Se
condo Kiing, d'accordo in questo con parecchi teologi tedeschi, «è necessario rigettarli e
non correggerli. Corretti, resteranno sostanzialmente ciò che essi sono. Ora essi esprimo-
no una teologia di scuola, quella delle scuole romane. Per il pubblico, e praticamente
anche per la media del clero, le loro costituzioni passeranno per definizioni di fede. Sarà
un indurimento in diversi sensi, che non offre vere possibilità di dialogo con il pensiero
dei contemporanei. Per darsi delle chances favorevoli al rigetto, dice Kiing, occorre evi
tare che questi schemi dogmatici siano proposti per primi: in tal caso rischierebbero di
essere affrontati in condizioni cattive, in maniera affrettata. Occorrerebbe quindi ottene
re che il concilio cominci con schemi più pratici». Congar reagisce alla proposta espri
mendo il proprio timore per una iniziativa isolata dei teologi, inevitabilmente destinata a
98 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

1.6.1. Iniziative tedesche

Fin dai primi giorni di permanenza a Roma, prende corpo, all'inter-


no dell'episcopato tedesco, soprattutto con l'avallo di mons. Volk da
una parte e del card. Frings dall'altra, una strategia ispirata dal teologo
Karl Rahner, esperto dei cardinali Konig di Vienna e Dopfner di Mona-
co. Rahner è ospite a Roma del collegio Germanico, dove abita anche il
teologo di mons. Volk, il p. Otto Semmelroth38 . Il 12 ottobre Rahner
espone a Volk e a Semmelroth le linee generali della strategia che è
quella di «sostituire con un nuovo schema gli schemi attuali della com-
missione teologica. Egli ha in mente quattro parti, di cui due dogmati-
che e due teologico-morali. In una certa misura lo schema deve include-
re tematiche presenti negli schemi attuali. Ma il tutto deve essere abbre-
viato e presentato in maniera totalmente differente, più positiva ed orga-
nica»39. Nella stesura materiale del progetto, per la parte morale, si fan-
no i nomi di ]. Fuchs, H. Haring, ]. Hirschmann. In seguito tuttavia
sarà coinvolto soprattutto il p. Schii11er di Francoforte che, a tale scopo,
farà diversi viaggi a Roma, mentre su11e prime il coinvolgimento di teo-
logi francofoni sembra arduo40 •
Ma il 15 ottobre mattina, quando oltre a Volk, Rahner e
Semmelroth, presso il collegio Germanico, partecipa alla discussione per
questo nuovo progetto alternativo anche il teologo del card. Frings, Jo-
seph Ratzinger, si scopre che costui ha già «elaborato in latino un primo

suscitare <<l'impressione di un para-concilio dei teologi, volto ad influenzare il vero con


cilio dei vescovi». Comunque prepara assieme a Kiing il testo di una lettera da indirizza
re ai vescovi. L'iniziativa tuttavia non ha seguito, JCng 27 settembre 1962.
38 Il suo diario, tra quelli accessibili, resta la fonte migliore per la ricostruzione de
gli avvenimenti legati alla strate._gia tedesca, proprio per la sua vicinanza fisica a Rahner
da una parte e Volk dall'altra. E infatti Volk che concretamente coordina il lavoro «teo
logico» tedesco e i contatti dei tedeschi con vescovi e teologi centroeuropei.
39 ST 12 ottobre 1962. A questa data, tra gli schemi «teologici», non è stato ancora
distribuito quello sulla chiesa. Gli schemi che quindi i tedeschi vorrebbero riassumere in
uno, con due parti, rispetJivamente dogmatica e morale, sono: De fontibus revelationt'.r)·
De deposito fi'dei pure custodiendo)· De ordine morali christiano)· De castitate) matrimonio,
familia, virginitate. La strategia tedesca rimaneva quindi fin dal principio scoperta rispet-
to allo schema sulla chiesa. Il ritardo sarà recuperato con la stesura di un progetto alter
nativo, redatto da A. Grillmeier, K. Rahner e J. Ratzinger e distribuito nel dicembre
1962.
40 Il p. De Lubac, nella sua conferenza del 13 ottobre a Santa Marta, alla presenza
di otto vescovi francesi, su iniziativa del vescovo coadiutore di Digione, mons. André de
la Brousse, li mise in guardia dalla dispersione delle critiche e dall'elaborazione di mol
teplici controschemi che entrassero in conflitto tra di loro.
L'AVVIO DELL'ASSEMBLEA 99

capitolo fondamentale di un nuovo schema che ci è piaciuto molto. Oc-


corre assolutamente usarlo come parte iniziale. Rahner, che ha elaborato
anche il suo, ne farà delle copie dattiloscritte, in maniera tale che ne
possiamo discutere domani o posdomani. Il vescovo Volle ha inoltre il
desiderio forte che vengano ripresi il motivo dell'umanità redenta nel
mondo (pace, gioia, speranza) e la dimensione escatologica»41 • Emergo-
no quindi due progetti tedeschi: il primo, nel quale si fonderanno le ri-
flessioni di Rahner e Ratzinger, il secondo che dovrebbe essere un proe-
mio a tutti gli schemi dottrinali, di cui appare come autore lo stesso
Vo1k. Di questi due progetti, quello di Volle ben presto «cede», forse
per motivi «politici»42 • Egli lo espone alla prima riunione comune con
un gruppo di francesi; Semmelroth desidererebbe ad un certo punto
che esso fosse addirittura preferito al proemio dello schema di Rahner/
Ratzinger, preparato da Congar 43, ma di fatto non esce dalle salette de-
gli incontri ristretti. Comunque da questo momento il progetto Rahner,
diventa il progetto Rahner/Ratzinger.
Il 19 ottobre il progetto tedesco cerca di guadagnarsi uno spazio di
ascolto più ampio. Mons.Volk infatti organizza presso la casa Mater Dei
una riunione allargata soprattutto, ma non esclusivamente, ai vescovi e
ai teologi francesi 44•

1.6.2. Incontri franco-tedeschi

Erano presenti i vescovi: Volk, Reuss, Bengsch, Elchinger, W eber,


Schmitt, Garrone, Guerry, Ancel; i teologi: Rahner, Lubac, Daniélou,
Grilhneier, Semmelroth, Rondet, Labourdette, Congar, Chenu, Schille-
beeckx, Feiner, Ratzinger, Philips, Fransen, Kiing. Il gruppo era suffi-
cientemente aperto. Infatti Rahner mentre si preoccupa della presenza
del domenicano Labourdette anche nel gruppo di lavoro più ristretto

41 ST 15 settembre 1962.
42 Si può supporre che, nella strategia volta a guadagnare alla politica dell'episcopa
to tedesco il blocco francese, un «monopolio» tedesco nella stesura degli schemi alterna-
tivi poteva sembrare inopportuno.
43 ST, nota del 21 ottobre: «Quindi io ho pressato il vescovo Volk perché anche lui
elaborasse il suo schema. Lo avrei tradotto io in latino. Nel suo schema infatti alcuni
punti sono espressi meglio che in quello di Congar. Soprattutto tutto il suo schema è
più kerigmatico».
44 Tra le ricostruzioni di questa riunione, quella più completa è fornita dal resocon-
to di Congar che integra il diario di Semmelroth.
100 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

che sarà formato per eseguire in concreto le direttive45 , si guarda bene


dall'aprire verso il gruppo del S. Uffizio, escludendo di proposito H.
Schauf46 • E, per quanto riguarda la rappresentatività, oltre a fiamminghi
Schillebeeckx e Fransen, c'è l'importante presenza del teologo lovanien-
se G. Philips, il quale, in accordo con il card. belga Suenens, sta già la-
vorando al rifacimento del non ancora distribuito De ecclesia, il cui
schema egli tuttavia possiede, anche se non nella versione definitiva, in
quanto membro della commissione preparatoria. Comunque per la pri-
ma volta si trova riunito, in alcuni suoi rappresentanti decisivi, il gruppo
pensante dell'episcopato centro europeo.
In una discussione di tre ore ovviamente si danno tutta una serie di
sfumature, noterà il p. Congar. Ma non si tratta solo di sfumature.
Mons. Volk apre leggendo una specie di progetto di dichiarazione che
presenta la situazione del cristiano nel mondo d'oggi ed una visione del-
la storia della salvezza, centrata sul Cristo, con il suo valore antropologi-
co, sociale, cosmologico. Quindi essa viene completata da una proposta
del p. Daniélou, in gran parte simile. Nella discussione che segue si arri-
va ad un risultato concreto comune: la decisione cioè di redigere dei te-
sti che potessero servire da ricambio agli schemi ufficiali: Nonostante
questa conclusione, le strategie risultano tuttavia molto diverse e ultima-
mente restarono tali.
Congar differenzia così le posizioni:
Per sommi capi i tedeschi sarebbero dell'avviso: 1) di rigettare simpliciter gli schemi
dogmatici proposti (ma si tratta solo dei 4 attualmente distribuiti: non quello De Eccle
sia); 2) di redigere un proemio di contenuto e andamento kerygmatico, abbastanza nello
stile di ciò che ha progettato mons. Volk; 3) di presentarlo attraverso la Commissione
degli affari straordinari47. I francesi (Garrone, Guerry, Ancel) sarebbero piuttosto del

45 JCng 19 ottobre 1962: «.Au dernier moment, Rahner invite Labourdette». La no


tizia va tuttavia combinata con quella presente nel diario di Chenu, al 19 ottobre, dove
si dice che «è Garrone che ha chiesto espressamente che venga il P. Labourdette». A
sua volta Labourdette manifesta il suo disagio per essere stato inserito in una iniziativa
che mette in gioco la sua lealtà verso il «cercle tout autre» di cui fa parte e immagina
per sé il compito di <<faire des liens» OLbd, nota del 19 ottobre 1962).
46 Cfr. la lettera di Rahner a Vorgrimler del 19 ottobre, dove invece l'assenza di
Schmaus è motivata dal fatto che «è partito per la Germania», in Rahner verstehen, cit.
47 Ovviamente ci si preoccupa di inserirsi nelle pieghe dell'ordinamento conciliare,
per fare ammettere un progetto alternativo che, molto problematico già dal semplice
punto di vista procedurale, non rientrava comunque nell'universo mentale comune dei
vescovi, nemmeno di quelli francesi che invece si preoccuperanno di una linea più mor
bida. È interessante la nota del diario Tucci che testimonia come, ancora fin dopo la ca
duta dello schema De /ontibus, la sera del 21 novembre 1962, Congar manifesta la sua
convinzione che «si poteva rivedere a fondo lo schema De fontibus con risultato soddi
sfacente per tutti» (DTcc 21 novembre 1962).
L'AVVIO DELL'ASSEMBLEA 101

l'avviso: 1) di far constatare all'assemblea, con interventi molto vigorosi di vescovi dei
principali paesi, che gli schemi non corrispondono affatto al fine pastorale definito dal
papa ancora nella sua allocuzione d'apertura, che deve essere come la charta del conci
lio; 2) in seguito a ciò di far decidere una ripresa degli schemi esistenti, in una prospet
tiva kerygmatica e pastorale. Sarà bene avere allora un testo da proporre48.

Alla fine si decide di formare un gruppo ristrettissimo di teologi per


preparare dei testi di ricambio da discutere poi in una cerchia più am-
pia49. Dalla riunione emerge quindi, accanto ad un possibile proemio di
Volle, anche uno simile di Daniélou. Ma non saranno né Volle, né Da-
niélou a scrivere questo proemio.
Quando il gruppo ristretto si riunisce il 21 ottobre, si ritrovano
Congar, Labourdette, Daniélou, da parte francese, e il vescovo Volle,
Rahner, Semmelroth e Ratzinger da parte tedesca. Congar presenta uno
schema di proemio e quindi, annota lo stesso Congar, «si discute per sa-
pere quale adottare: quello di mons. V olle, quello del p. Daniélou o il
mio. Finalmente si prende il mio e mi si incarica di redigerlo in una
quindicina di pagine, entro domenica prossima. A loro volta Ratzinger e
Rahner redigono di nuovo la tematica dei quattro schemi dottrinali, per
incarico del card. Konig; il P. Daniélou lo fa, per conto di mons. Veuil-
lot»50. Da questo momento, all'interno del gruppo centro europeo, ven-
gono gestiti due documenti alternativi: un proemio del p. Congar, che
avrebbe dovuto per così dire chiarire lo spirito e il contesto dei docu-
menti dottrinali del Vaticano II, e uno schema dottrinale comprensivo
dei 4 schemi (ma per adesso solo dei due primi, dogmatici) presentati
dalla commissione preparatoria.

48 «En gros, les Allemandes seraient d'avis: 1°) de rejeter simpliciter les schémas
dogmatiques proposés (mais il ne s'agit que des quatre actuellement distribués: pas de
ceux De Ecclesia); 2°) de rédiger un proemium de contenu et d'allure kérygmatiques, as
sez dans le style de ce qu'a projeté Mgr Volk; 3°) de le présenter par l'intermédiaire de
la Commission des affaires extraordinaires Les Français (Garrone, Guerry, Ancel) se
raient plutot d'avis: 1°) par l'intervention très vigoureuse d'éveques des principaux pays
faire constater par l'assemblée que les schémas ne répondent pas du tout au but pasto
ral du concile défini par le pape encore dans son discours d'ouverture, qui doit etre
comme la charte du concile; 2°) à la suite de cela, qu'on fosse admettre une reprise des
schémas existant, dans une perspective kérygmatique et pastorale. Il sera bon d' avoir
alors un texte à proposem, JCng 19 ottobre 1962.
49 I componenti del gruppo erano Rahner, Daniélou, Ratzinger, Congar. Ma non si
trattava di una delimitazione rigida. Come abbiamo visto Rahner invita alla fine Labour
dette e, qualche giorno dopo, Semmelroth. E sembrava scontato che anche il vescovo
Volk dovesse far parte di questo gruppo: ST, 21 ottobre 1962.
50 La notizia del p. Congar, a parte la paternità del card. Konig attribuita al pro~
getto alternativo agli schemi dottrinali, concorda con quella del p. Semmelroth.
102 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

Non tutto era tuttavia chiaro. I problemi scoperti erano soprattutto


quelli legati alla procedura: in che modo far accettare dal concilio come
base di discussione questi documenti «esterni»; in che modo, in secondo
luogo, gestire una linea di «ultima trincea», qualora il progetto fosse f al-
lito. E c'era altresì un ulteriore, forse il più importante, problema di cui
questo gruppo ristretto in qualche modo non si fa carico: quello del ri-
facimento dello schema ecclesiologico. Di fatti qui emergerà, come ve-
dremo, runica tattica effettivamente vincente: quella di Suenens-Philips
che per un verso sarà sempre portata a conoscenza di questo gruppo,
coinvolgendovi inoltre il teologo del card. Montini, Carlo Colombo51 e,
d'altra parte, non inseguirà progetti alternativi, ma un riaggiustamento
dello schema ecclesiologico accettabile da tutti. La proposta che, per
quanto riguarda i riflessi più generali sul programma, era già stata impli-
citamente presentata il 19 ottobre da Suenens e Montini alla riunione
del segretariato, sul piano più tecnico del rifacimento di uno schema ec-
clesiologico più presentabile di quello ufficiale, era stata già anticipata
da Philips a Congar in data 18 ottobre52 •
La annotazione del p. Congar del 21 ottobre, sopra riportata, inoltre
fa com prendere, con il suo accenno all'azione indi pendente di Daniélou,
che nessuno, tranne i tedeschi, ha dato vere deleghe al gruppo coordi-
nato da mons. Volk. Quando il 24 ottobre si radunano i vescovi francesi
nei locali di S. Luigi dei Francesi, la discussione si svolge su altre lun-
ghezze d'onda. Si fronteggiano due linee. Una più rigida che, pur por-
tando avanti la prospettiva «pastorale» di Giovanni XXIII, pretende tut-
tavia di partire dagli schemi proposti e l'altra, più possibilista, espressa
da mons. Villot, secondo cui tutto era possibile, anche il rigetto degli
schemi proposti dalla commissione teologica53 •
Il dibattito sulla liturgia sarebbe iniziato il 22 ottobre, ma qualche
tempo prima, il 16 ottobre, Wagner, Pascher, Jungmann e Martimort -
cioè alcuni tra i più autorevoli membri della commissione liturgica pre-
paratoria - si ritrovano per preparare dei miglioramenti allo schema De
liturgia54 • Da parte sua Jungmann aveva fatto avere a K. Rahner una me-
moria che proponeva correzioni allo stesso schema. Parallelamente, ma
indipendentemente, Martimort aveva fatto circolare proprie Observatio-
nes, riprendendo punti di vista già avanzati nella commissione prepara-

5l Si può dire che il tandem Philips-Colombo, a livello di teologi, fa da supporto


all'azione Suenens Montini all'interno del segretariato per gli affari straordinari.
52 JCng, dove è esposto anche il piano di insieme di Phili ps.
53 C'è qui contraddizione tra il JCng e la notizia riportata da LEVILLAIN, La mécani
que ... , cit., p. 242.
54 1Jng 17 ottobre 1962.
L'AVVIO DELL'ASSEMBLEA 103

toria. Infine, il 18 ottobre iniziano a incontrarsi a villa Mater Dei, su


iniziativa del vescovo francese Elchinger, alcuni vescovi e esperti, soprat-
tutto centro-europei. Per i vescovi si va dal berlinese Bengsch agli olan-
desi Bekkers e Bluyssen ai tedeschi Volk, Nordhues, Reuss e Schaufele
ai francesi Martin e Pailleur; tra i teologi intervengono: Jungmann, Wa-
gner, Pascher, Martimort, Gy, Jenny, De Jong, Semmelroth e Schillebee-
ckx55. Contemporaneamente, Frederick McManus, professore di diritto
canonico alla Catholic University of America, membro della commissio-
ne preparatoria sulla liturgia e perito della commissione conciliare, in-
forma della situazione l'arcivescovo di Atlanta Paul Hallinan, unico
nord-americano della commissione. Josef Jungmann si era rivolto a Mc-
Manus per conto di Aimé Georges Martimort e Jean Wagner per sotto-
porgli due questioni. In primo luogo essi volevano avere «un portavoce,
preferibilmente un cardinale, dai vari paesi sull'ufficio divino in lingua
volgare». McManus stava già esaminando la possibilità di far affrontare
la questione al cardinale di Boston Richard Cushing o al cardinale di
New York Francis J. Spellman. Ma gli europei nutrivano una seconda e
maggiore preoccupazione. Essi sottolineavano che la commissione era
sotto una presidenza diversa rispetto alla fase preparatoria e non vi era-
no periti dai paesi di missione. Essi temevano «a meno che la congrega-
zione (dei Riti) non cambiasse rispetto al passato, di dover far appello a
consulenti come individui anziché come corpo, commissione o altro».
McManus stava anche facendo pressioni su Hallinan affinché organizzas-
se dei contatti «con i gruppi dell'Austria, della Germania, della Francia,
della Polonia ecc.». Almeno un vescovo americano aveva mostrato a
McManus uno «schema alternativo» che, come si vedrà, stava allora cir-
colando. Indicando il cardinale di Vienna F. Konig come il «migliore
contatto», McManus pensava di fornire agli americani qualche assaggio
dei «punti di vista europei non-italiani»56 .
L'episcopato brasiliano da parte sua chiede al card. Lercaro di illu-
strare la portata dello schema liturgico in un incontro che ha luogo nel-
la Domus Mariae il 19 ottobre57 .
Le Animadversiones di Schillebeeckx e anche la Disquisitio di Rah-
ner hanno avuto un grande peso nell'orientamento dell'opinione pubbli-
ca conciliare nelle primissime settimane, ma non si può ignorare la con-

55 Notizie ricavate dal paragrafo Dietro le quinte del dibattito condliare della ricerca
di M. PAIANO, Genesi storica della costituzione condliare Sacrosanctum concilium, in cor
so di pubblicazione.
56 ACU A, F Hallinan, McManus a Hallinan, Roma, non datato, ma sembra
precedente al 22 ottobre 1962.
57 LERCARO, Lettere ... , cit., pp. 78~ 79.
104 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

siderevole quantità di altre analisi suscitate in vari ambienti dagli schemi


distribuiti nell'estate. Sono appunti di estensione, autorevolezza e valore
diseguali di cui è arduo avere persino una informazione completa58 ; e
tuttavia sono significative testimonianze dell'interesse suscitato dal conci-
lio, un interesse orientato a una partecipazione informata e attiva.

1.7. Schemi alternativi?

La collaborazione tra vescovi e teologi permise di strappare con la


forza il concilio al controllo di Ottaviani. Nonostante le differenze di
tattica, francesi e tedeschi convergevano nel desiderio di perseguire lo
scopo per cui il papa aveva convocato il concilio. L'enfasi posta dal
papa su1la natura pastorale dell'assemblea era chiaramente in contrasto
con l'orientamento esclusivamente dogmatico dello schema proposto
dalla commissione teologica preparatoria. Il gruppo francese e il gruppo
tedesco stavano creando una struttura parallela rispetto alle commissioni
ufficiali, che avrebbe finito con il prevalere in seno al concilio. Ma la
realizzazione della tattica dell'episcopato francese di mobilitazione dei
vescovi implicava la ricerca del sostegno, tra gli altri, degli americani, i
quali stavano appena iniziando a prendere consapevolezza teologica del-
le motivazioni che stavano a fondamento della loro esperienza come
conferenza episcopale. Ma la notizia di tale crescente opposizione aveva
già raggiunto il S. Uffizio. Parlando il 24 di ottobre contro lo schema
sulla liturgia, l'arcivescovo Pietro Parente, assessore del S. Uffizio, fece
riferimento a se stesso e ai suoi colleghi come i «martiri del S. Uffi-
zio»59.
Nello stesso tempo in cui tenevano i loro incontri, i teologi tedeschi
e francesi estendevano la loro influenza al di fuori dell'Europa. Agli oc-
chi di Congar il vescovo Helder Pessoa Catnara, ausiliare di Rio de Ja-
neiro e segretario della conferenza episcopale latino-americana, era l'uo-
mo che aveva ciò che a Roma mancava: <<Visione». I brasiliani e molti al-
tri vescovi latino-americani erano anch'essi a favore del ripudio degli
schemi dottrinali e sostenevano un approccio più pastorale60 • Successiva-
mente Helder Camara, durante l'omelia della messa che celebrò per i
giornalisti, osservò che «gli incontri non ufficiali ai quali i vescovi di tut-

58 Si possono ricordare alcuni appunti di M. D. Chenu, ora editi in Notes quoti-


diennes au Concile, a cura di A Melloni, Paris 1995, e altri di G. Dossetti, destinati a
Lercaro.
59 AS I/l, p. 425.
60 JCng 21 ottobre 1962.
L'AVVIO DELL'ASSEMBLEA 105

ti i continenti si incontrano fraternamente e parlano» avevano la stessa


importanza delle discussioni formali in S. Pietro61 • Ciononostante, alcu-
ne gerarchie nazionali erano ancora lente nello sfruttare i loro teologi.
Mentre tedeschi, olandesi, spagnoli e, in una certa misura, i vescovi bel-
gi tenevano sessioni f armali per consultare i loro teologi, i francesi non
seguirono tale esempio. Gli americani, sebbene avessero una struttura in
seno alla quale condurre discussioni teologiche, erano ancora sotto l'in-
fluenza conservatrice di Spellman.
Il 25 ottobre all'Angelicum, Philips presenta al gruppo ristretto la
sua strategia. Sono presenti oltre a Congar, Rahner, Ratzinger e
Semmelroth, anche mons. McGrath, il p. Lécuyer e mons. C. Colombo.
Al centro del disegno di Philips c'è la dottrina sui vescovi, attorno alla
quale egli vuole recuperare tutto il materiale ecclesiologico62 • Da questa
riunione, il testo Philips subisce qualche lieve aggiustamento e approda
al segretariato di Bea, dove incontra la feroce resistenza del p. Boyer,
soprattutto nella questione sui membri della chiesa63 •
Sempre il 25 ottobre il progetto tedesco, questa volta ad un livello
più alto, esce allo scoperto alla ricerca di un riconoscimento più largo.
E Frings che si assume la responsabilità dell'iniziativa di far entrare i ve-
scovi nel disegno dei teologi e invita oltre a K6nig, Alf rink, Liénart,
Suenens, e D6pfner, anche Siri e Montini, cioè due cardinali italiani che
sono membri del segretariato per gli affari straordinari e di indubbio
prestigio. La riunione si svolge a S. Maria dell'Anima. F rings, dopo che
la conversazione per un po' si sofferma sulla necessaria ispirazione pa-
storale e sulla necessità di rivedere in profondità gli schemi, soprattutto
il De fonti bus, fa introdurre Ratzinger per esporre le linee di uno sche-
ma alternativo. Ratzinger legge, con ogni probabilità, lo stesso testo pre-
sentato a Volk, Rahner e Semmelroth il 15 ottobre e che poi confluirà
nello schema Rahner/Ratzinger. La reazione generale, a dire del card.
Siri, è entusiasta. Ma si preoccupa lui di raffreddare l'entusiasmo, per
uno schema che a suo avviso potrebbe essere sì buono come una ulte-
riore lettera pastorale, su1lo stile della Lettera a Diogneto, ma non è cer-
tamente degno di essere equiparato a un documento conciliare. Anche
Montini deve essersi mostrato scettico, se Siri annota che «si è diportato
bene ed ha concorso a smontare, dicendo che ora bisogna lavorare in
quello che c'è ed è già ben preparato»64 •

6l Citato in P. l-IEBBLE11IWAITE, Giovanni XXIII il Papa del concilio, Milano 1989,


p. 652.
62 ST 25 ottobre 1962 e JCng stessa data.
63 ST 31 ottobre 1962, confrontata con quella di Congar del 28 ottobre.
64 Cfr. DSri, pp. 369-371.
106 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

L'iniziativa di F rings serve a far uscire dalla semiclandestinità il pro-


getto tedesco, ma non sembra che riesca a sortire il suo effetto, se que-
sto era quello di trovare un modo per far approdare il progetto in con-
cilio, tramite il segretariato per gli affari straordinari. Siri e Montini, pur
avendo in mente strategie opposte, non avalleranno certamente un tale
ribaltamento dei lavori preparatori. Semmai l'iniziativa di Frings contri-
buisce indirettamente a rafforzare la strategia di Suenens e Montini.
La domenica 28 ottobre Congar presenta il suo Proemio in stesura
completa al gruppo ristretto, riunito presso l'abitazione di mons. Volk al
Gianicolo. L'accoglienza è buona. La bozza preparata da Rahner e Rat-
zinger per il progetto alternativo degli schemi dogmatici sembra invece
sì coerente a Congar, soprattutto nella presentazione dei rapporti tra
chiesa-scrittura-tradizione, ma un po' troppo avanzata per quanto dice
sul rapporto con le religioni. Ma la confusione aumenta perché anche
Daniélou, che pure partecipa alla riunione, continua a far valere una
«sua» proposta. E come far passare questi schemi alternativi? Congar
continua a mostrarsi scettico sulla strategia tedesca:
Ammetto certo che occorra preparare soluzioni di ricambio, resta da fare del lavoro
a1la fine inutile. Ma mi sembra praticamente impossibile tenere conto così poco del la
voro già fatto e dove c'è del buono e de1l'utile. Giochiamo a «Perrette et le Pot au lait»
[.. .] Daniélou, che prepara altri schemi e rifà un po' tutto il concilio, su questo punto la
pensa come me. Vede tutti, parla dappertutto, dice di lavorare su richiesta di 4 o 5 ve
scovi. Quid? Su domanda del cardinal DOpfner, si aggiungerà Fritz Hofmann al nostro
gruppo; su que1la di mons. de Provenchères, il P. Cottier.

Il gruppo ristretto quindi tende a sfilacciarsi. Ancora il 4 novembre


esso si raduna (vi compare Miiller di Erfurt, accanto a Cottier) e si tro-
va nell'impasse di vedere adesso tre proposte, quelle di Congar, Rahner/
Ratzinger e Daniélou, ben definite e che il vescovo Volk, desidererebbe
inutilmente «riunire in uno schema utilizzabile>>65 . Congar è ancora più
duro: «Ci si ingarbuglia [ ... ] lo subodoro un po' di spirito di rivalsa in
questi teologi che non facevano parte della commissione teologica pre-
paratoria»66. Rahner del progetto Daniélou dice, scrivendo il giorno
dopo a Vorgrimler, che «ha tentato di cucire un vestito nuovo con le
toppe degli schemi ufficiali».
Da questo momento difatti il gruppo sullo schema alternativo non si
riunisce più assieme. I tedeschi con ogni probabilità decidono di far da
soli.

65 ST 4 novembre 1962.
66 JCng 4 novembre 1962.
L'AVVIO DELL'ASSEMBLEA 107

Sia il testo di Rahner/Ratzinger, che pretendeva rimpiazzare i due


schemi dogmatici sulle fonti della rivelazione e sul deposito della f~de,
sia il proemio di Congar che avrebbe dovuto servire da documento in-
troduttivo a tutti i testi conciliari67 , a parte la debolezza della strategia
procedurale per il loro inserimento effettivo nell'agenda conciliare, non
erano esenti da gravi obiezioni.

1. 7 .1. La proposta tedesca

Il testo tedesco era senz'altro un testo compatto. Si suddivideva in


tre capitoli e prevedeva un possibile brevissimo proemio. In questo si
chiariva che, senza pretendere di offrire soluzioni ai problemi della so-
cietà umana, tuttavia l'annuncio del Vangelo era atto ad inserire anche
in questo mondo i «germina novae vitae». Inoltre la chiesa, mossa da
una preoccupazione pastorale, non intendeva proporre un sistema teolo-
gico e tanto meno formulare nuovi dogmi, quanto porre semplicemente
<<lumen Evangelii super candelabrum [. .. ] ut eius serena lux omnibus ef-
fulgeat». C'era qui un chiaro richiamo alla Gaudet mater ecclesia. Il bre-
ve proemio veniva esposto in appendice, forse perché gli estensori erano
consapevoli di aggiungere in questo modo un doppione al proemio di
Congar. Comunque i tre capitoli del documento vero e proprio erano,
in maniera appena mitigata, una sintesi della teologia di Rahner: nel pri-
mo capitolo si parlava della vocazione divina dell'uomo, nel secondo
della presenza nascosta di Dio nella storia dell'uomo e nel terzo della
presenza rivelata di Dio nella predicazione della chiesa. La vocazione so-
prannaturale era da una parte gratuita, ma dall'altra parte, in quanto
<<fine obbligante, tocca sempre l'uomo e pervade tutta la sua natura, per
cui questi, nel concreto ordinamento storico, non può essere compreso
adeguatamente nella sua totalità senza di essa». Venivano così ripresi i
motivi dell'apologetica dell'immanenza che, a partire da Blondel, aveva-
no rinnovato l'antropologia teologica nella prima metà del Novecento,
ma anche la reinterpretazione di un tomismo dinamico che da Rousselot
e Maréchal in poi aveva sottolineato la «naturalità» del desiderio della
visione di Dio. Ne risultava una concezione dinamica e profondamente
unitaria dell'uomo, giacché Dio «ha costituito la natura dell'uomo in
maniera tale da potergli dare nell'amore il libero dono di se stesso».

67 Ambedue sono adesso pubblicati in Glaube im Prozeft, pp. 33 50 (Rahner Ratzin-


ger), pp. 51 64 (Congar). Una traduzione italiana del testo Rahner-Ratzinger è stata pub
blicata in D. FAVI, Vaticano II. Cronaca della I sessione, Vicenza 1963, pp. 197 221.
108 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

Non solo, ma l'uomo veniva valorizzato oltre che nella sua individualità,
anche nella sua socialità costitutiva, «in forza della quale il genere uma-
no, uno a partire dal suo principio e dalla sua radice, sviluppatosi per
ordinamento divino nella differenza dei sessi e dei popoli, lungo la sua
storia si consocia progressivamente, per riunirsi alla fine nel regno eter-
no di Dio». A partire da questa visione antropologica, la storia veniva
colta come luogo di una onnipresente manifestazione di Dio, anche se
implicita. Inoltre, con una dicitura che cercava di combinare il dinami-
smo rahneriano dell'uomo, sempre aperto all'ascolto della Parola, e l'an-
tropologia del Vaticano I ruotante attorno alla strutturale dipendenza
della ragione umana dalla Verità increata, si cercava di combinare con il
vecchio schema neoscolastico la visione «immanente» della rivelazione
cristiana: «L'uomo quindi fin dall'inizio è stato creato in maniera tale da
essere un soggetto idoneo alla rivelazione divina, in maniera tale anche
da poter prestare ascolto alla Parola di Dio e prestarle un ossequio ra-
gionevole».
A partire da tale impostazione generale, non solo si affermava la
presenza della grazia e quindi della salvezza al di fuori dei limiti del cri-
stianesimo, ma si insinuava una posizione che in qualche modo ricalcava
la teologia rahneriana dei cristiani anonimi, senza che la categoria f asse
tuttavia esplicitamente nominata:
Il fine al quale tende la storia del genere umano è già presente nell'uomo Cristo
Gesù. [...] Ogni azione e ogni locuzione divina che attraversa questa storia tratta quindi
segretamente di lui, tende a lui, trova in lui il suo compimento. Quindi quando si obbe
disce alla voce di Dio, anche se parla in maniera occulta, sono presenti lui e la salvezza
da lui operata e viceversa, quando c'è lui, quando si crede esplicitamente in lui che par
la, e si vive di lui, non si perde alcun elemento di verità mai data al genere umano o da
esso raggiunta, ma piuttosto la si porta alla sua luce piena.

La sintesi poteva considerarsi ben riuscita. Essa tuttavia per un verso


diceva troppo poco (come notava Semmelroth), giacché ometteva di
precisare alcune questioni che stavano a cuore a molti, come la questio-
ne della verità della scrittura e della storicità dei Vangeli. Per altro verso
racchiudeva la dottrina dentro una precisa sintesi teologica (prevalente-
mente quella rahneriana) che, prima ancora di essere accettata, risultava
abbastanza estranea ai vescovi, che avrebbero dovuto quindi fare una
notevole fatica per innamorarsi di un testo che già proceduralmente ri-
sultava «esterno» al concilio.
L'AVVIO DELL'ASSEMBLEA 109

1.7.2. Un proemio globale

Né d'altra parte il «proemio» di Congar, oltre tutto non distribuito


in quella fase e quindi sconosciuto, in se stesso sembrava essere merite-
vole di miglior sorte. Esso era costruito di per sé come un simbolo, una
confessione di fede conciliare. Forse c'era ib. questo la preoccupazione
di dare una risposta all'esigenza di quanti avevano durante la fase pre-
paratoria spinto per una riformulazione della professione di fede. Lette-
rariamente tuttavia non era molto felice. Tra le proposizioni che formal-
mente si proponevano come confessione di fede («Noi crediamo che ... »)
si aprivano esplicazioni in forma descrittiva che appesantivano il tutto. Il
testo partiva dall'esigenza di non separare l'esposizione delle verità con-
cernenti il mistero di Dio da quelle sulla «condizione» umana nel mon-
do. Quindi si sottolineava, come primo aspetto del mistero di Dio,
l'identità di questo mistero con l'amore che si è manifestato come «ele-
vatissimo e vicinissimo». L'amor di Dio uno e trino si riflette nell'uomo
creato ad immagine di Dio non solo individualmente, ma nella natura
umana stessa che, restando una, esiste tuttavia nelle persone molte e di-
verse, chiamate a condurre la vita in società. La natura così come di fat-
ti è sperimentata nelle condizioni attuali contiene tuttavia sia il principio
dell'unità·· che il germe della divisione. E dalla divisione solo Cristo ci li-
bera. E infatti Cristo è venuto per liberarci dalla schiavitù del peccato e
richiamarci sia alla verità della nostra natura che di quella di Dio. È lui,.
vero Dio e vero uomo, la nostra pace, che con la sua morte ha istituito
una nuova alleanza, eterna, tra Dio e l'uomo e, risuscitato, ci ha lasciato
un'eredità che non sarà distrutta e che permane grazie ad una «quasi
duplici et indissolubili vicaria actione, Spiritus scilicet sui intus, et Ec-
clesiae foris». Comunque, in questa visione che poneva al suo centro
l'analisi della condizione umana intrecciata con il mistero di Dio, Con-
gar molto felicemente ribadisce ciò che Cristo ci ha rivelato su Dio e
sull'uomo, e cioè la vera libertà, quella pasquale, che è superamento del
peccato e amore agli altri e, quindi, pace. L'esigenza portata avanti da
più parti (da Volk quando aveva esposto il «suo» proemio, da Bea nel
suo documento al segretariato per gli affari straordinari), e cioè che le
condizioni dell'uomo contemporaneo e soprattutto l'aspirazione alla
pace dovessero essere prese in considerazione nell'agenda conciliare, tro-
va va qui una presentazione forte, ancorata ad una visione dogmatica del
mistero cristiano nel suo centro stesso.
La visione della chiesa che veniva coerentemente sviluppata nel
proemio di Congar, era quella del «sacramento di salvezza» per tutti gli
uomini, con il lodevole tentativo di sviluppare una concezione del mini-
stero episcopale che fosse organica alla dottrina della verità cristiana. I
110 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

vescovi vi appaiono quindi come gli eredi dell'ufficio apostolico di


«congregare ed edificare» il popolo di Dio nell'economia della nuova al-
leanza, testimone del Vangelo per tutti gli uomini. E si cerca altresì di
superare una visione ristretta della annosa questione sull'appartenenza
ecclesiale, distinguendo tra una professione esterna della fede e una co-
munione con la chiesa gerarchica come condizione «sufficiente» per
mantenere la qualità di membro della chiesa per un verso, da una con-
dizione «piena» per altro verso, giacché «nec piene Ecclesia Dei extat
nisi in veris fidelibus, Evangelio conversis». C,era qui l'abbozzo di una
soluzione che avrebbe poi, dopo innumerevoli dibattiti, portato alla for-
mulazione finale della Lumen gentium, di una incorporazione «piena»
che, come prima condizione, prima ancora dei legami visibili, poneva il
dono dello Spirito68 • Il problema della salvezza dei non cristiani, che per
«ignoranza» della chiesa o anche di Cristo, si trovano all'esterno della
chiesa stessa, veniva affrontato in maniera più tenue e tradizionale al
tempo stesso, di quanto non avvenisse nella compatta visione rahneria-
na. Comunque la missione della chiesa veniva configurata come quella
di raccogliere nell,unità «omnia quae sunt Christi» con una estensione
ecumenica che si riferisce non solo alle persone ma a tutti gli «elementi
del sacramento ecclesiale», anche a quelli che, fuori dell'unità visibile,
«communiones dissidentes christianas constituunt». Il tutto nella pro-
spettiva escatologica del regno di Dio costituito dal popolo, congregato
dai quattro «Venti» della Didachè (X,5), nella quale lo spettacolo di divi-
sione dei cristiani veniva considerato anche come scandalo per i non cri-
stiani. Infine ci si preoccupava di distinguere dalla missione ecclesiale la
finalità propria al «mondo»: anche se la chiesa ha una finalità distinta,
quella della salvezza eterna, essa tuttavia contribuisce anche agli scopi
propri all'attività umana nel mondo, giacché porta al mondo la speranza
Cli Cristo. L'ultima «consummatio mundi», non può infatti essere otte-
nuta grazie al dinamismo delle potenze immanenti al mondo, ma solo
grazie al potere di Cristo che non cessa di promuovere nei nostri cuori
la verità, la giustizia e la pace, fino a quando non consegnerà tutto al
Padre e Dio sarà tutto in tutte le cose.
Nonostante la loro diversità, i documenti «alternativi» di Congar e
di Rahner/Ratzinger avevano qualcosa in comune. In maniera più disar-
ticolata il primo e in maniera più compatta il secondo, cercavano di sal-
dare la presentazione del messaggio cristiano con le esigenze dell'uomo
contemporaneo, includendo nella presentazione del mistero una presen-

68 <<llli piene Ecclesiae societati incorporantur, qui Spiritum Christi habentes ... »
(LG 14).
L'AVVIO DELL'ASSEMBLEA 111

tazione dell'uomo all'interno della storia umana. Il documento di Rah-


ner/Ratzinger raggiungeva maggiormente alcune istanze del pensiero
contemporaneo, quello di Congar quelle più drammatiche della divisio-
ne e della pace. Il concilio procederà per un'altra strada, dividendo per
così dire le considerazione «ad intra» da quelle «ad extra», con il ri-
schio, visibile soprattutto in quella che sarà poi la costituzione Gaudium
et spes, di una caduta teologica. Ma era anche vero che tutta la maniera
in cui era stato affrontato il materiale preparatorio impediva questa sal-
datura e che, durante la prima fase almeno, era utopico pensare a un' as-
similazione veloce da parte dei vescovi di una visione più unitaria.
Nel frattempo, anche i periti si stavano dando una struttura organiz-
zativa. Un buon numero aveva già partecipato alla preparazione del con-
cilio. Essi coprivano un ampio spettro del panorama teologico69 • Quan-
do il concilio inizia le prime riunioni i periti si dividono in due gruppi
principali. Uno, composto soprattutto da coloro che avevano lavorato
nelle commissioni preparatorie, cercava in vari modi di preservare gli
schemi redatti da quelle commissioni. L'altro iniziò a incontrarsi con
gruppi di vescovi per rifiutare quegli schemi e prepararne di alternati-
·10
V1 •
Un esponente significativo del gruppo che cercava di conservare gli
schemi delle commissioni preparatorie era mons. Joseph C. Fenton della
Catholic University of America di Washington, principale alleato del
card. Ottaviani negli Stati Uniti71 • L'8 ottobre, quando aveva prestato
giuramento per divenire perito del concilio, si era lamentato osservando
che «è un delitto che non prestiamo il giuramento anti-modernista»72 •
Dopo l'intervento di Liénart alla prima congregazione generale, Fenton

69Cf. S/V 1, pp. 470 482. Per quanto riguarda gli ordini religiosi, i Gesuiti avevano
24 rappresentanti, 17 i Domenicani, 9 l'Ordine dei Frati Minori, 4 l'Ordine dei Frati
Minori Conventuali, 6 i Benedettini, 2 i Basiliani di San Josafat, 2 gli Agostiniani, 2 i
Carmelitani Scalzi, 2 i Redentoristi, 4 gli Oblati Maria Immacolata, 4 i Calenziani, 2 gli
Oratoriani e 2 i Salesiani. Le altre congregazioni religiose avevano un solo rappresentan
te, CAPRILE, I, 15.
°
7 K.H. NEUFELD, Vescovi e teol.ogi al Concilio Vaticano Il, in Vaticano II: bilancio e
prospettive, venticique anni dopo (1962-1987), a cura di R. Latourelle, Roma 1987, I, 92.
71 Per più di un decennio egli aveva attaccato John Courtney Murray, sj, per avere
sostenuto la libertà religiosa. Quando Murray smise di scrivere nel 1955, Fenton e i suoi
seguaci spostarono i loro attacchi contro gli studiosi della Bibbia e riuscirono a dividere
il corpo docente della Catholic University; G.P. FoGARTY, American Catholic Biblica!
Scholarship: A History /rom the Early Republic to Vatican II, San Francisco 1989, pp.
260, 281 285, 287 298, 301 310.
72 DFnt 9 ottobre 1962, dattiloscritto, p. 9. L'originale di questo testo è attuahnen-
te allo studio di Joseph Komonchak, che mi ha gentilmente autorizzato ad utilizzarlo.
112 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

dedicò tutto il suo tempo a far circolare tra i suoi amici nella gerarchia
la lista dei candidati di Ottaviani che il cardinale sperava potessero esse-
re «spinti avanti ai candidati del Blocco» (come il cardinale definiva
l'opposizione che vedeva nell'episcopato francese e tedesco). Fenton era
molto esplicito riguardo alle proprie riserve: «Ho sempre pensato che
questo concilio fosse pericoloso. E stato iniziato senza motivi sufficienti.
Si è parlato troppo dei risultati che questo concilio dovrebbe consegui-
re. Adesso temo si presenteranno problemi seri»73 •
Il diario di Fenton fornisce buoni spunti per analizzare la mentalità
dei conservatori. Oltre ad annotare tutti i nomi dei ristoranti nei quali
cenava, Fenton riporta anche i contatti avuti con Ottaviani, Antonino
Romeo e F. Spadafora, questi ultimi docenti presso l'università del Late-
rano e impegnati in un attacco contro il Pontificio istituto biblico. Ro-
meo a un certo punto informò Fenton che Raymond Dulac, un francese
conservatore che non era perito, «stava mettendo troppa enfasi sul lati-
no (nella liturgia), e in tal modo arrecava danno alla causa dell'integri-
smo». Per gli uomini di Ottaviani, «integrismo» era un termine positivo,
un ritorno alla crociata anti-modernista finita con Benedetto XV. Il
commento di Fenton allo schema sulla liturgia era che coloro che aveva-
no redatto tale schema «erano sufficientemente stupidi» da asserire che
<<la chiesa è "simul humanam et divinam, visibilem et invisibilem"». Du-
lac lo invitò a usare la sua influenza con l'arcivescovo Egidio Vagnozzi,
il delegato apostolico negli USA, perché la gerarchia statunitense prepa-
rasse una replica ai vescovi francesi, i quali intendevano «proporre che
il concilio passi sopra a tutti gli schemi dottrinali e si dedichi a questio-
ni "pastorali"»74 •
Mentre Ottaviani, secondo Fenton, era preoccupato dal «blocco
franco-tedesco», Fenton stesso era il responsabile della creazione di tale

7.3DFnt 12 ottobre 1962, p. 12.


14 Ibidem 19 ottobre 1962, pp. 15·16. Fenton inoltre si lamentava che «dalla morte
di Pio X la chiesa è stata guidata da papi deboli e liberali, che hanno riempito la gerar
chia di uomini indegni e stupidi. Il presente concilio rende tutto ciò ancora più eviden
te>>. Ciò che egli confidava al proprio diario durante il concilio era coerente con i suoi
precedenti attacchi contro i biblisti. Mentre dichiarava di aderire al magistero, egli
ometteva qualunque riferimento alla Divino a/llante Spiritu di Pio XII. Per lui il magi-
stero papale era cessato con Pio X. Inoltre egli non lasciava dubbi riguardo all'opinione
che aveva dei colleghi periti statunitensi. Un amico, <<l'unico membro intelligente e fede
le del segretariato di Bea», era stato lasciato fuori dalla lista, mentre «idioti come Gohn
S.) Quinn e quello spregevole (Frederick) McManus sono stati inclusi. (George) Tavard
vi figura come un americano, Dio ci assista». Per l'omissione da parte di Fenton della
Divino a/llante Spiritu e la lettera della Commissione biblica al cardinale Suhard, cfr.
FOGARTY, American Catholic Biblica!... , cit., pp. 183-184.
L'AWIO DELL'ASSEMBLEA 113

blocco non solo tra i vescovi ma anche tra i periti, i quali costituivano il
gruppo che lavorava per la presentazione al concilio di proposte alterna-
tive.
Il fervore di attività tra i periti attrasse l'attenzione di Felici, segreta-
rio generale del concilio, il quale il 31 ottobre, durante l'undicesima
congregazione generale, annunciò che «per ordine della presidenza, i
padri conciliari venivano invitati a non distribuire nella sala conciliare
circolari private agli altri padri senza l'autorizzazione della presidenza
del concilio»75 • Il giorno successivo Fenton si recò in visita da Ottaviani
e lo trovò «scosso» per il fatto che Alfrink avesse interrotto il suo inter-
vento allorché aveva superato il limite di tempo: <<Sembrava essere una
delle azioni più villane di A», era stato il commento di Fenton. Quando
era entrato nell'appartamento del cardinale, Fenton aveva trovato Otta-
viani a colloquio con Bernard Haring, teologo morale e uno dei due pe-
riti redentoristi, «un uomo cattivo», era stato il commento di Fenton,
«ma O. sembra saperlo». Ottaviani consegnò a Fenton una copia in in-
glese della Animadversiones di Schillebeeckx e gli chiese di farne delle
copie e di scriverne un commento critico. Fenton osservò che l'autore
«non sa scrivere in inglese, (e) sembra essere completamente all'oscuro
circa lo scopo della costituzione dottrinale conciliare». Per Fenton il
modello di costituzione dottrinale era l'introduzione alla Pastor aeternus
del Vaticano I, mentre Schillebeeckx «mostra che sta parlando sulla
base di ciò che considera la teologia degli ultimi trenta anni»76•
Durante la settimana successiva Fenton incontra gli alleati di Otta-
viani. Il cardinale è «in cattiva forma», annota Fenton e sia l'arcivescovo
Dino Staffa, segretario della congregazione dei seminari e delle universi-
tà, sia l'arcivescovo Parente riferivano che «era stato loro imposto di
non parlare». Staffa era «assai scoraggiato»77 •
In queste fasi iniziali del concilio, comunque, i padri dovevano fron-
teggiare un pericolo ben più grande di quello constituito dalla curia e
dai suoi alleati conservatori. Una settimana dopo rinizio del concilio, si
verificò l'eventualità di dover prorogare il concilio e rimandare tutti i
padri a casa.

75 AS 112, p. 56. BROUWERS Derniers préparati/s ... , cit., nota (p. 359) che quando
Felici comunicò la proibizione «giacché i vescovi olandesi non erano stati direttamente
implicati nella composizione e nella diffusione delle Animadversiones, non avevano alcu
na difficoltà ad approvare in silenzio». È abbastanza difficile seguire la <<logica» di que
sta osservazione.
76 DFnt 31 ottobre 1° novembre 1962, pp. 21 23.
77 Ibidem 9 novembre 1962, p. 24.
114 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

2. La crisi dei missili a Cuba: una iniziativa papale per il mondo

Il messaggio approvato il 20 ottobre finiva con la preghiera che «su


questo mondo che è ancora così lontano da1la pace desiderata per la mi-
naccia derivante da11o stesso progresso scientifico, progresso meravig1io-
so, ma non sempre ossequiente alla superiore legge della moralità,
splenda la luce della grande speranza in Gesù Cristo unico nostro Salva-
tore»78.
I padri resero noto il loro messaggio agli uomini nel momento in cui
il mondo sfiorava, come mai era accaduto durante la guerra fredda, il
confronto diretto tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Da alcuni mesi i so-
vietici avevano dislocato aerei da caccia a Cuba. Il 18 ottobre un contin-
gente di aerei da caccia della marina statunitense era stato dislocato nel-
la parte meridionale della Florida, da dove poteva facilmente attaccare
le basi cubane79 . Nei giorni successivi la tensione aumentava. Il 16 otto-
bre il presidente John Fitzgerald Kennedy veniva informato che i sovie-
tici avevano installato rampe missilistiche offensive a Cuba, i cui missili
avrebbero potuto facilmente raggiungere città neg1i Stati Uniti e in
America Latina. Il presidente comunque decise di rimandare la rivela-
zione della presenza di rampe missilistiche a Cuba finché non avesse
avuto prove più concrete. Il 22 ottobre eg1i si rivolse al popolo deg1i
Stati Uniti mostrando foto delle basi missilistiche scattate ad alta quota
e annunciando l'inizio di un blocco navale nei confronti di ogni nave di-
retta a Cuba80 . Il popolare settimanale statunitense «Life» aveva prepa-
rato un servizio speciale sul concilio, corredato di numerose fotografie.
Invece sulla copertina compariva una foto di una nave americana che
puntava contro una fregata sovietica, con la relativa storia all'interno,
subito dopo le foto dell'apertura del concilio81 . La giustapposizione di
immagini e storie così contrastanti esprimeva perfettamente le emozioni
del momento.
Il vero scopo dell'Unione Sovietica era il ritiro deg1i alleati da Ber1i-
no, che era ormai da un anno djvisa in due parti dal muro. I missili a
Cuba erano una manovra tattica per mettere alla prova il coraggio del

78 AS Vl, p. 256.
79 «The New York Times», 19 ottobre 1962, 1:6.
80 Ibidem, 23 ottobre 1962, 1:8 e 18:2. Il testo di questo messaggio e altri impor
tanti documenti concernenti la crisi dei missili a Cuba sono contenuti in L. Chang e P.
Kornbluh (a cura di), The Cuban Missile Crisis, 1962: A National Security Archive Rea-
der, New York 1992, pp. 150 154.
8 1 «Life», 53 (2 novembre 1962), pp. 26-33. La storia del blocco navale inizia a
p. 34.
L'AVVIO DELL'ASSEMBLEA 115

giovane presidente americano alla vigilia delle elezioni per il congresso.


Inoltre, il premier sovietico Nikita Kruscev aveva bisogno di dimostrare
agli oppositori interni la propria forza nel fronteggiare l'Occidente82 •
Mentre Kennedy e Kruscev iniziavano le loro schermag1ie diplomati-
che, un gruppo di accademici e giorna1isti sovietici e statunitensi si riu-
niva alla Phillips Exeter Academy di Andover, in Massachusetts, per la
terza di una serie di discussioni sui rapporti tra Est e Ovest. I gruppi
stavano iniziando a conoscersi quando la conferenza venne interrotta
per assistere al messaggio televisivo di Kennedy del 22 ottobre. Nono-
stante la tensione tra i due paesi, accademici e giorna1isti votarono a fa-
vore della continuazione dei lavori A questo punto padre Fe1ix Mor-
Hon, op, rettore dell'Università Pro Deo di Roma, si unì al gruppo, non
come partecipante, ma come osservatore. Egli propose la possibilità di
un intervento del papa nella crisi Incoraggiato dai membri delle due
delegazioni con cui si consultò, Mor1ion contattò telefonicamente il Va-
ticano e fu informato che il papa era molto preoccupato a causa della
crisi, ma voleva essere certo che il suo intervento fosse gradito. In parti-
colare, venne chiesto a Morlion di informarsi se la cessazione dell'invio
di materiale militare da parte dell'Unione Sovietica avrebbe determinato
la fine del blocco navale dichiarato dag1i Stati Uniti. Norman Cousins,
capo della delegazione statunitense, telefonò al consig1iere del presidente
Theodore Sorensen, il quale più tardi ricontattò Gousins per informarlo
che Kennedy giudicava positivamente l'offerta di un intervento da parte
del papa, ma sottolineava che ai fini della revoca del blocco era essen-
ziale che non solo cessassero i rifornimenti di materiale militare a Cuba,
ma che le rampe dislocate sull'isola venissero rimosse83 • Mor1ion trasmi-
se queste informazioni al Vaticano. Successivamente un membro della
delegazione sovietica telefonò a Mosca e riferì che Kruscev era pronto
ad accettare la proposta del papa di porre fine all'invio di aiuti militari
a Cuba, ma solo se g1i Stati Uniti revocavano il blocco84 •
Contemporaneamente venivano condotti negoziati diretti a vari Hvelli
tra Washington e Mosca. Parallelamente ai contatti ufficiali, Robert

82 Per un riassunto delle motivazioni del Cremlino, cfr. M. TATU, Power in the
Kremlin: From Khrushchev to Kosygin, New York 1974, pp. 230 297.
8 3 In una lettera all'autore Sorensen ricordava solo di avere parlato con Cousins
dopo la crisi e non ricordava alcun intervento papale durante la crisi; Sorensen a Fogar
ty, NY, 1° dicembre 1994.
84 N. COUSINS, The Improbable Triumvirate: John Fiti.gerald Kennedy, Pope John,
Nikita Khrushchev, New York 1972, pp. 13 18. Comunque Cousins scrive in modo ine
satto che la data del messaggio televisivo con cui Kennedy annunciava il blocco navale
era il 21 ottobre 1962.
116 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

Kennedy, ministro della giustizia e fratello del presidente, incontrò nu-


merose volte l'ambasciatore sovietico Dobrynin, che egli considerava un
amico85 • Negli stessi giorni il capo del KGB a Washington Aleksandr
Fomin incontrava John Scali, un corrispondente della ABC News che
aveva contatti personali al Dipartimento di stato. Tutti questi incontri
ufficiosi dimostravano chiaramente l'intenzione dei sovietici di evitare
uno scontro diretto con gli Stati Uniti86 •
Uno dei principali problemi per Giovanni XXIII era che la S. Sede
non intratteneva relazioni diplomatiche con nessuna delle due grandi
potenze. Le relazioni con l'amministrazione statunitense erano stretta-
mente informali. Kennedy, il primo presidente cattolico nella storia degli
Stati Uniti, aveva dovuto rinunciare pubblicamente durante la propria
campagna elettorale all'intenzione di instaurare relazioni diplomatiche
con il Vaticano e, una volta eletto, aveva dovuto agire con estrema cau-
tela nei confronti del papa. Comunque nel marzo del 1962 sua moglie
aveva avuto un'udienza privata dal papa. Inoltre, il 7 settembre 1962 il
vice-presidente americano Lyndon B. Johnson aveva fatto visita a Gio-
vanni XXIII, recandogli in dono un fermacarte di argento. Il fermacarte
rappresentava il satellite americano per le comunicazioni Telstar e reca-
va sulla base una citazione di una frase del papa:
Oh, quanto desideriamo che queste imprese assumano il significato di un omaggio
reso a Dio creatore e supremo legislatore. Questi eventi storici che verranno iscritti negli
annali della conoscenza scientifica del cosmo diventeranno cosl espressione di vero, pa-
cifico e solido progresso verso la fratellanza umana.

Citando tale iscrizione il corrispondente di «Time» Robert Kaiser


commentava che «ironicamente e a vergogna dei consiglieri di Johnson
queste parole non erano quelle pronunciate dal papa quando il satellite
statunitense Telstar venne lanciato in orbita», ma erano tratte dal mes-
saggio radiofonico del papa del 12 agosto in occasione del volo orbitale
simultaneo di due cosmonauti sovietici87 • Peraltro i consiglieri di John-
son potrebbero non avere commesso alcun errore, ma piuttosto avere
scelto tale iscrizione intenzionalmente, come un'espressione informale
dell'apprezzamento americano per i successi sovietici e come una reite-
razione delle precedenti aperture di Kennedy in vista di una cooperazio-
ne tra Stati Uniti e Unione Sovietica in campo aerospaziale.

Cfr. le memorie postume di R.F. KENNEDY, Thirteen Days: A Memoir o/ the Cu-
85
ban Missile Crisis, New York 1969, pp. 65 66, 106-109.
86 CHANG e KORNBLUH, The Cuban Missile Crisis ... , cit., p. 81.
87 KAISER, Inside the Council..., cit., p. 50.
L'AVVIO DELL'ASSEMBLEA 117

Nonostante la necessità di muoversi con cautela nei rapporti con il


Vaticano, Kennedy si unì agli altri capi di stato nell'inviare i suoi auguri
a Giovanni XXIII alla vigilia del concilio. Il mondo intero, osservava il
presidente americano, aveva trovato «rinnovata fiducia e coraggio»
quando il papa nel suo messaggio radiofonico dell' 11 settembre aveva
annunciato che il concilio si sarebbe occupato dei «gravi problemi eco-
nomici e sociali» che minacciavano in modo particolare <<le nazioni eco-
nomicamente sottosviluppate». Kennedy aveva poi manifestato la spe-
ranza che le decisioni del concilio avrebbero «promosso in modo signifi-
cativo la causa della pace e della comprensione internazionale»88 •
Il rapporto tra Giovanni XXIII e Kruscev era più complesso e in
una certa misura sorprendente per gli occidentali. Da più di un anno
Kruscev aveva compiuto aperture nei confronti del papa. Nel settembre
del 1961, solo un mese dopo la costruzione del muro di Berlino, il papa
aveva lanciato un appello per la pace e il disarmo volto a sostenere un
appello simile lanciato dalla prima conferenza dei paesi non-allineati riu-
nitasi a Belgrado. Kruscev lodò tale iniziativa papale con un discorso
che venne poi distribuito alla «Pravda», all'«Izvestia» e alla TASS89 •
Successivamente, il 25 novembre 1961, Kruscev inviò gli auguri al papa
in occasione del suo ottantesimo compleanno e lo lodò per il suo contri-
buto «al conseguimento della pace sulla terra e alla soluzione dei pro-
blemi internazionali attraverso pubblici negoziati»90 • Il papa, suscitando
non poca costernazione tra i propri consiglieri, ringraziò Kruscev per gli
auguri ed espresse «da parte sua, anche a tutto il popolo russo voti ad
incremento e consolidamento della pace universale, attraverso felici inte-
se di umana fraternità» 91 • Di questi scambi di saluti e auguri tra il papa
e. il preniier sovietico «L'Osservatore Romano» non fece alcuna men-
z1one.
Infine, l'ultimo contatto in ordine di tempo tra il Cremlino e il Vati-
cano si era verificato alla vigilia del concilio. Già un po' di tempo prima
della riunione del concilio, il neonato segretariato per l'unità dei cristia-
ni aveva avviato negoziati con gli ortodossi affinché inviassero osservato-
ri. Il 27 settembre mons. Jan Willebrands si era recato a Mosca per ve-
dere se il patriarcato russo avrebbe accettato l'invito. Solo il giorno di
inizio del concilio il segretariato ricevette un telegramma con cui i russi
annunciavano l'invio di due osservatori: l'arciprete Vitalij Borovoij e

88 CAPRILE, II, p. 28. Il testo in inglese è in «The New York Times», 6 ottobre
1962, 3:1.
89 G.C. ZIZOLA, L'Utopia di Papa Giovanni, Assisi 1973, pp. 167-168.
90 L.F. CAPOVILLA, Giovanni XXIII: Lettere, 1958-1963, Roma 1978, p. 337.
91 Giovanni XXIII a Kruscev, 26 novembre 1961, ibidem, p. 336.
118 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

l'archimandrita Vladimir Kotliarov. Essi furono gli unici rappresentanti


della chiesa ortodossa durante la prima sessione92 • Dunque Giovanni
XXIII aveva già alcuni segnali di un mutato atteggiamento del Cremlino
nei confronti della chiesa. Adesso aveva bisogno di un'opportunità per
intervenire nella crisi.
Dopo avere ricevuto, attraverso la riunione di Andover, assicurazio-
ne che sia Kennedy sia Kruscev avrebbero gradito il suo intervento,
Giovanni si accinse a stendere il proprio discorso. In primo luogo pre-
parò il terreno. Il 24 ottobre, al termine di un discorso rivolto a un
gruppo di pellegrini portoghesi, il papa aggiunse una specie di postilla:
Il papa parla sempre bene di tutti gli uomini di Stato i quali si occupano, di qui di
là, di su di giù, a incontrarsi per evitare, in realtà, la guerra, e procurare un poco di
pace all'umanità. Tuttavia, ben si comprende, solo lo spirito del Signore può compiere
questo miracolo, giacché, evidentemente, là dove non c'è la sostanza, la vera vita spiri
tuale, non si possono immaginare né ottenere molte cose93.

Questo era il primo segnale ai due leader. Mentre sosteneva il biso-


gno di «vita spirituale» il papa elogiava anche «tutti gli uomini di Stato»
che cercavano di evitare la guerra ricorrendo ai negoziati. Il passo suc-
cessivo compiuto dal papa fu il messaggio ufficiale consegnato in antici-
po alle ambasciate sovietica e statunitense a Roma.
Il 25 ottobre, a mezzogiorno, durante un messaggio straordinario in
lingua francese, il papa non menzionò i nomi di Kennedy e Kruscev, ma
si rivolse a «tutti gli uomini di buona volontà» affinché avviassero nego-
zia ti per porre fine al conflitto. Un resoconto del messaggio compariva
il giorno suceessivo stÙ «New York Times», esattamente sotto la foto-
grafia dell'ambasciatore statunitense alle Nazioni Unite Adlai Stevenson
che mostrava al consiglio di sicurezza prova fotografica dell'esistenza di
basi missilistiche a Cuba. Anche il «TimeS>> riportava per intero il testo
del discorso del papa94 •
Il medesimo giorno la «Pravda» pubblicava nelle pagine dedicate
alla politica estera il seguente resoconto:
Salvate il mondo
Messaggio del Papa Giovanni XXIII
Vaticano, 25 ottobre (TASS) Papa Giovanni XXIII ha lanciato da Roma un appello per
la difesa della pace, <<A Tutti gli Uomini di Buona Volontà». Parlando oggi durante una

92 TH. F. STRANSKY, The Foundation o/ the Secretariat /or Promoting Christian Uni-
ty, in A. STACPOOLE (a cura di), Vatican 11 by those who where there, London 1986, pp.
79 80. Cfr. SIV 1, pp. 427 428.
93 DMC IV, pp. 860-861.
94 «The New York Times», 26 ottobre 1962, p. 1; il testo integrale si trova a p. 20.
L'AVVIO DELL'ASSEMBLEA 119

trasmissione fuori programma della Radio Vaticana, egli ha detto che le sue parole veni
vano dal profondo di un cuore preoccupato e rattristato.
«Ancora una volta», ha detto il Papa, «nubi minacciose si stanno accumulando sul
l'orizzonte del mondo, suscitando paura in innumerevoli milioni di famiglie». Per questo
Papa Giovanni XXIII ha ripetuto il suo appello agli uomini di Stato (il messaggio che
aveva consegnato alle missioni straordinarie inviate per l'apertura del concilio): «Che la
loro ragione si illumini, che ascoltino il grido di sofferenza eh~ sale al Cielo da ogni an
golo della terra, dai bambini innocenti e dagli anziani, dai singoli e da tutta l'umanità:
"Pace, Pace"».
«Oggi - ha detto noi ripetiamo l'appello del nostro cuore e invochiamo i capi di
Stato affinché non siano indifferenti al grido dell'umanità. Che essi facciano tutto ciò
che è in loro potere per mantenere la pace. In tal modo essi salveranno l'umanità dagli
orrori della guerra, i cui spaventosi effetti nessuno può prevedere. Che essi si avviino
sulla strada dei negoziati».
«Accettare negoziati ad ogni livello e in qualunque luogo, essere ben disposti verso
tali negoziati e avviarli - questo sarebbe un segno di saggezza e di cautela che sarebbe
benedetto in cielo e in terra»95.

Il fatto che la «Pravda», cioè il giornale ufficiale del partito comuni-


sta sovietico, dedicasse un articolo all'apertura compiuta dal papa era si-
gnificativo; Kruscev aveva ascoltato con attenzione e approvato le parole
del papa.
Negli Stati Uniti il «New York Times» notava brevemente che
l'agenzia di stampa sovietica T ASS aveva distribuito un dispaccio con il
messaggio papale, il cui significato sembrava essere sfuggito alla stampa
statunitense96 • Contemporaneamente, per inciso, il giornale americano ri-
portava che i cinque cardinali statunitensi SpeUman di New York,
Mclntyre di Los Angeles, Cushing di Boston, Joseph E. Ritter di Saint
Louis e Albert G. Meyer di Chicago, insieme ali' arcivescovo di
Washington O'Boyle, avevano lanciato un appello ai cattolici americani
affinché osservassero la domenica successiva, festa di Cristo Re, come
«un giorno di preghiera per implorare la benedizione di Dio sul nostro
presidente e sulla nostra amministrazione»97 • Nel frattempo i tre prelati
cubani partecipanti al concilio - il vescovo di Pinar del Rio Manuel Ro-
driguez Rozas, il vescovo di Camaguey Carlos Riu Angles e il vescovo di
Matanzas J osè Dominguez y Rodriguez - smentivano un articolo di
«Paese Sera» secondo il quale essi avevano fatto o intendevano fare una
dichiarazione sulla crisi98 .
Nelle discussioni che si tennero in quei giorni alla Casa Bianca e nei

95 «Pravda», 26 ottobre 1962, p. 5.


96 «The New York Times», 26 ottobre 1962, p. 20.
97 Ibidem.
98 ACUA, NCWC News Service (Foreign), 29 ottobre 1962, p. 3.
120 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

resoconti che di quelle discussioni sono stati successivamente scritti, non


vi è alcun riferimento al discorso del papa, né alla reazione della «Pra-
vda». La risposta di Kruscev, comunque, potrebbe riflettere l'influsso
dell'appello del papa. U Thant, allora segretario generale delle Nazioni
Unite, aveva lanciato un appello con cui invitava gli Stati Uniti a non
interferire sul traffico marittimo pacifico e l'Unione Sovietica a non ten-
tare di inviare armamenti a Cuba. Il 26 ottobre Kruscev inviò una lette-
ra personale a Kennedy. Dichiarandosi d'accordo in linea di principio
con l'appello di U-Thant a negoziare, Kruscev chiedeva a Kennedy ga-
ranzie che né gli Stati Uniti, né alcuna altra nazione avrebbero tentato
di invadere Cuba. Inoltre egli proponeva l'avvio di più generali discus-
sioni sul disarmo99 • Ma ben presto la posizione sovietica sembrò irrigi-
dirsi.
Il 27 ottobre Kruscev inviava a Kennedy una seconda lettera, il cui
contenuto veniva reso noto da Radio Mosca prima che il presidente
americano la ricevesse. Adesso Kruscev introduceva la questione dei
missili Jupiter dislocati in Turchia, «letteralmente accanto a noi». Men-
tre ancora elogiava la decisione di Kennedy di accettare la mediazione
di U-Thant, il premier sovietico proponeva uno scambio tra la rimozio-
ne dei missili dalla Turchia e la rimozione delle rampe missilistiche so-
vietiche da Cuba. Successivamente Unione Sovietica e Stati Uniti avreb-
bero dovuto impegnarsi «in seno al Consiglio di sicurezza» a rispettare
la sovranità e i confini rispettivamente della Turchia e di Cuba. Mentre
questa seconda lettera sembrava rappresentare più la posizione dei «fal-
chi» all'interno del Cremlino che quella di Kruscev, vi erano però alcu-
ne indicazioni secondo le quali il premier sovietico risultava molto recet-
tivo nei confronti dell'appello del papa. In particolare, Kruscev dichiara-
va che:
Naturalmente per questo dovremmo raggiungere un accordo con voi e specificare
un tempo limite. Accordiamoci per un periodo di tempo, ma senza ritardi non necessari
diciamo tra due o tre settimane, non più di un mese [... ] Se Lei è d'accordo con que
sta mia proposta, signor Presidente, allora noi invieremo i nostri rappresentanti a New
York, negli Stati Unit~ e daremo loro istruzioni affinché un accordo possa essere rag
giunto più rapidamente. Se anche Lei sceglierà i suoi rappresentanti e fornirà loro istru-
zioni analoghe, allora questa questione potrà essere risolta rapidamente.
Perché dovrei volere questo? Perché il mondo intero è adesso angosciato e aspetta
azioni sensate da parte nostra. La più grande gioia per tutti i popoli sarebbe l'annuncio
di un nostro accordo e reliminazione della controversia che adesso ci divide. Ritengo
che questo accordo potrebbe avere grande importanza nella misura in cui esso potesse

99 Kruscev a Kennedy, 26 ottobre 1962, in CHANG e KoRNBLUH, The Cuban Missile


Crisis ... , cit., pp. 185 188.
L'AVVIO DELL'ASSEMBLEA 121

servire come un buon inizio e potesse in particolare facilitare il raggiungimento di un


accordo per la messa al bando degli esperimenti nucleari. La questione degli esperimenti
potrebbe essere risolta in maniera simile, senza collegare l'una all'altra perché si tratta di
problemi diversi. Comunque è importante che si raggiunga un accordo su entrambe le
questioni, in modo da offrire all'umanità un bellissimo dono, e anche in modo da ralle-
grarla con la notizia che è stato raggiunto un accordo per la cessazione degli esperimenti
nucleari e di conseguenza l'atmosfera non sarà più avvelenata. La nostra e la vostra posi
zione su questa questione sono molto vicinelOO.

La Casa Bianca era adesso molto confusa a causa delle due lettere.
Dopo lunghe discussioni, il 27 ottobre, Kennedy decise di risponde-
re solo alla prima lettera e di ignorare la richiesta che i missili Jup iter
venissero rimossi dalla Turchia - un'azione che Kennedy stesso aveva in
realtà proposto molti mesi prima, poiché tali armamenti erano obsoleti e
potevano essere sostituiti con sottomarini Polaris. Se le rampe missilisti-
che fossero state rimosse da Cuba, scrisse il presidente, gli Stati Uniti
avrebbero revocato il blocco e fornito garanzie che l'isola non sarebbe
stata occupata 101 • Il 28 ottobre Kruscev accettò i termini stabiliti da
Kennedy, ma non senza avere fornito una lunga lista delle lamentele dei
cubani nei confronti degli Stati Uniti. Il comunicato non era amichevole,
ma non conteneva alcun riferimento ai missili dislocati in Turchia. Ken-
nedy ricevette il messaggio e i negoziati poterono essere avviati nell' am-
bito delle Nazioni Unite 102 • Sebbene per tutto il mese di novembre la
tensione tra le due superpotenze rimanesse elevata a causa dei tentativi
statunitensi di ottenere, contro la volontà dei cubani, la rimozione sia
dei bombardieri sovietici, sia delle rampe missilistiche dislocate a Cuba,
la crisi era finita. Il mondo era tornato indietro dopo avere sfiorato
l'abisso della guerra nucleare.
L'appello di Giovanni XXIII a negoziare non aveva avuto effetti evi-
denti negli Stati Uniti. Mentre i documenti finora declassificati non for-
niscono alcuna prova che Kennedy rispondesse all'appello del papa,
sembra che egli abbia ringraziato il papa attraverso l'ambasciata ameri-
cana a Roma103 • Tuttavia l'iniziativa del papa ebbe effetto su Kruscev.

ioo Ibidem, pp. 197 199. Sono grato a William Burgess per avermi fornito l'inter
pretazione secondo cui l'invito a negoziare era una deviazione rispetto alla politica sovie-
tica e anche per avermi fornito le traduzioni della <<Prawda».
101 Kennedy a Kruscev, 27 ottobre 1962, ibidem, pp. 223 225.
10 2 Kruscev a Kennedy, 28 ottobre 1962, ibidem, pp. 226 229; Kennedy a Kruscev,
28 ottobre 1962, ibidem, pp. 230 232.
103 ZIZOLA, L'Utopia ... , cit., pp. 13 22. I tentativi di trovare informazioni su questo
episodio nelle carte di Kennedy non hanno avuto successo. È probabile che tale comu
nicazione all'ambasciata a Roma fosse una comunicazione orale, della quale non venne
fatta alcuna registrazione scritta.
122 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

Sebbene sia impossibile determinare se l'appello del papa effettivamente


influenzasse la risposta di Kruscev a Kennedy, sicuramente tale appello
dette avvio ad una serie di eventi che portarono il papa e l'Unione So-
vietica a contatti più diretti. Durante la riunione di Andover presieduta
da Cousins, p. Morlion propose ai delegati sovietici di condurre contatti
esplorativi tra il Vaticano e Mosca. Morlion informò i sovietici che Cou-
sins era bene accetto al Vaticano come persona che avrebbe potuto in-
traprendere i primi contatti e domandò se poteva essere accettabile an-
che per Mosca. Successivamente, sempre nel mese di novembre, Cousins
ricevette una telefonata dall'ambasciatore Dobrynin, il quale lo informa-
va che Kruscev desiderava discutere la proposta con lui il 14 dicembre.
Cousins ricevette l'approvazione di Kennedy per la visita e incontrò il
presidente prima della partenza per Roma, da dove poi si sarebbe reca-
to a Mosca. A Roma Cousins non riuscì ad incontrare Giovanni XXIII,
convalescente da una crisi della malattia che gli avrebbe presto tolto la
vita. Comunque Cousins riuscì ad incontrare l'arcivescovo Angelo Del-
1'Acqua della segreteria di Stato e il card. Bea104 .
La visita di Cousins coincideva con un delicato problema che Bea
dovette affrontare. Il 22 novembre numerosi giornali, incluso «La
Croix», avevano pubblicato il progetto di una dichiarazione di quindici
vescovi dell'Ucraina partecipanti al concilio, i quali manifestavano la
loro disapprovazione per il fatto che la chiesa ortodossa russa potesse
avere osservatori al concilio mentre il metropolita Josyf Slipyi, arcivesco-
vo di Lvov, era tenuto prigioniero in Siberia. Willebrands dovette ricor-
rere ad una conferenza stampa per ridurre l'effetto di questa doccia
fredda sugli osservatori russi 105 • Ma la questione di Slipyi rimaneva. Egli
aveva allora settanta anni e Giovanni XXIII lo aveva nominato cardinale
in pectore. Bea suggerì a Cousins di tentare di ottenere la liberazione di
Slipyi come segno del desiderio sovietico di migliorare i rapporti con
l'Occidente. Bea e Dell'Acqua inoltre proposero che Cousins discutesse
con Kruscev il miglioramento delle condizioni religiose all'interno del-
l'Unione Sovietica, non solo per i cattolici ma per tutti i credenti106•
A Mosca il 13 dicembre Cousins ebbe un incontro cordiale con Kru-
scev, il quale sottolineò le somiglianze tra se stesso e Giovanni XXIII:
Proveniamo entrambi da famiglie di contadini; abbiamo entrambi vissuto vicino alla
terra; entrambi amiamo farci una bella risata. Vi è qualcosa che suscita in me grande
emozione in questo uomo che combatte nonostante la sua malattia per raggiungere uno

104 COUSINS,The improbab/e ... , cit., pp. 20 29.


105 WENGER, Les trois Rome ... , cit., p. 174; cfr. W. DUSHNYCK, The Ukrainian-Rite
Catholic Church at the Council 1962-1965, Winnipeg 196 7.
106 CousINs, The improbable ..., cit., pp. 29 31.
L'AVVIO DELL'ASSEMBLEA 123

scopo cosl importante prima di morire. Il suo scopo, come lei ha detto, è la pace. È il
più importante scopo in questo mondo. Se non abbiamo pace e le bombe atomiche ini
ziano a cadere, che differenza fa essere comunisti, o cattolici o capitalisti o cinesi o russi
o americani? Chi potrebbe dividerci? Chi sopravviverebbe per distinguerci?

Passando poi alla crisi dei missili Kruscev ricordò: <<l'appello del
papa fu un vero raggio di luce. Gliene fui molto grato. Mi creda, quelli
furono giorni molto pericolosi>>107 •
Tuttavia Cousins scoprì ben presto che il problema del rilascio di
Slipyi era molto più delicato. Kruscev parlò lungamente della situazione
religiosa in Ucraina prima del 194 7, specialmente della rivalità tra la
chiesa cattolica ucraina e la chiesa ortodossa e delle lotte di potere inte-
stine a tali chiese. Le circostanze della morte del predecessore di Slipyi,
l'arcivescovo Szeptitsky, indicavano, secondo Kruscev, che «la sua dipar-
tita da questa terra poteva essere stata in qualche modo accelerata».
Sebbene non dicesse che Slipyi era direttamente implicato nella morte
del suo predecessore, il premier sovietico asserì che il metropolita era in
prigione a causa della sua collaborazione con i nazisti. Inoltre Kruscev
temeva che Slipyi potesse essere usato per scopi propagandistici per mo-
strare il duro trattamento che il governo sovietico gli aveva riservato.
Quando Cousins ricordò a Kruscev che Giovanni XXIII non aveva con-
dannato né lui né il suo governo, il premier offrì di prendere in consi-
derazione la possibilità del rilascio di Slipyi. Cousins e Kruscev successi-
vamente affrontarono altre questioni di interesse per il Vaticano, tra cui
il modo in cui gli ebrei venivano trattati in Unione Sovietica108•
Cousins concluse il suo colloquio con Kruscev con una conversazio-
ne concernente la proposta che Stati Uniti e Unione Sovietica negozias-
sero un trattato per la messa al bando degli esperimenti nucleari. Men-
tre Cousins si accingeva a partire, Kruscev andò alla propria scrivania
per scrivere gli auguri di buon natale per Kennedy e Giovanni XXIII.
Mentre al presidente Kennedy e alla moglie inviò dei s~mplici auguri di
buone feste, al papa Kruscev scrisse: <<ln occasione dei San ti Giorni di
Natale, prego di accettare questi voti e congratulazioni di un uomo che
augura a voi salute e energia per i vostri continuati sforzi in favore della
pace e per la felicità e il benessere di tutta l'umanità»109 •
Una volta tornato a Roma, Cousins consegnò personalmente al papa

107 Citato in COUSINS, The improbable... , cit., pp. 44-45.


108 Ibidem, pp. 48 50.
109 Ibidem, pp. 53-57; la traduzione inglese del messaggio di Kruscev a Giovanni
XXIII è a p. 78. Una traduzione italiana è data da CAPOVII.LA, in Lettere 1958 1963 ... ,
cit., p. 439.
124 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

i saluti del premier. Alcuni giorni dopo Giovanni rispose alla nota di
Kruscev:
Vive grazie del cortese messaggio augurale. Lo ricambiamo di cuore con le stesse
parole venuteci dall'alto: Pace in terra agli uomini di buona volontà.
Portiamo a vostra conoscenza due documenti natalizi di quest'anno invocanti il con-
solidamento della giusta pace tra i popoli
Che il buon Dio ci ascolti e risponda all'ardore e alla sincerità dei nostri sforzi e
delle nostre preghiere. Fiat pax in virtute tua, et abundantia in turribus tuls.
Augurio lieto di prosperità per il popolo russo e per tutti i popoli del mondo 110 .

Se fosse stata resa nota al momento, questa corrispondenza tra il papa


e il leader comunista avrebbe probabilmente sorpreso un mondo ancora
impegnato nella guerra fredda. Tale corrispondenza dette avvio ad una
serie di eventi che avrebbero dato frutti concreti solo trenta anni dopo.
Nel frattempo diplomatici italiani e americani stavano lavorando per
il rilascio di Slipyi. Sebbene Cousins non avesse fatto alcun riferimento
alla preoccupazione di Kennedy per il metropolita, poco prima della sua
partenza da Roma egli ricevette dalle mani di mons. Igino Cardinale un
omaggio natalizio per il presidente che, come disse il segretario del papa
Loris Ca povilla, era «un segno di gratitudine» per la cooperazione del
presidente nel rilascio di Slipyi 111 • Il 25 gennaio 1963 l'ambasciatore so-
vietico in Italia Semeion Kozyrev consegnò al presidente del consiglio
italiano Amintore Fanfani un messaggio con cui Kruscev annunciava il
prossimo rilascio di Slipyi. Il 10 febbraio Slipyi, accompagnato da Wille-
brands, arrivava da Mosca a Roma 112 • Il suo rilascio era una segno im-
portante che le relazioni tra la Santa Sede e il Cremlino stavano inizian-
do a migliorare. Poco tempo dopo Kruscev faceva in modo che suo ge-
nero Alexis Adjubej venisse designato corrispondente da Roma del-
1'«lzvestia». Il 7 marzo Giovanni XXIII, in occasione del conferimento
del premio Balzan per la pace, ricevette Alexis e sua moglie Rada in
udienza privata 113 • Era l'inizio di un lungo rapporto. Quando nel giugno
di quell'anno Giovanni XXIII morì, le navi della marina sovietica nel
porto di Genova abbassarono le bandiere a mezz'asta 114 • Il «papa buo-
no» aveva avuto impatto anche sul mondo comunista.

110CAPOVILLA, Lettere ... , cit., p. 438.


lllCOUSINS, The improbable ... , cit., p. 66; CAPOVILLA, Lettere, cit., p. 273n.
112 ZIZOLA, L'Utopia ... , cit., pp. 200 206; cfr. G. CHOMA, Ston·a della liberazione del
metropolita Josy/ Slipyj dalla pn'gionia sovietica, in Intrepido Pastori, Roma 1984, pp. 323
347.
llJ CAPOVILLA, Lettere ... , cit., pp. 254-455. Cfr. RlCCARDI, 11 Vaticano e Mosca, cit.,
pp. 225, 249-250.
114 «The New York Times», 6 giugno 1963, p. 18.
L'AVVIO DELL'ASSEMBLEA 125

La volontà di Giovanni XXIII di accettare i rischi e di andare oltre i


canali di comunicazione usuali era molto simile alla volontà dei vescovi
partecipanti al concilio che egli aveva convocato. È difficile determinare
in quale misura il ruolo svolto dal papa fu decisivo, ma il suo appello a
negoziati pacifici, in seno ad un concilio che egli aveva concepito come
pastorale, dette l'impressione di essere stato il catalizzatore necessario
per prevenire un probabile olocausto nucleare. Ma il trionfo della sua
visione in seno al concilio fu messo in ombra dalle crescenti voci di una
sua malattia letale.

3. La salute del papa

Il 29 novembre «L'Osservatore Romano» informava che Giovanni


XXIII avrebbe dovuto, su suggerimento dei medici, cancellare le pro-
prie udienze, poiché «i sintomi di disturbo gastrico stavano peggioran-
do; la dieta seguita dal santo padre così come le cure cui egli ha dovuto
sottoporsi lo hanno portato a uno stato di grave anemia» 115 • In realtà,
questa era solo una parte della verità. Il 23 settembre il papa aveva rice-
vuto i risultati di una serie di esami radiografici e clinici. Il 9 ottobre il
segretario del papa mons. Loris Capovilla ricordava:
Sono passati quindici giorni da quando abbiamo avuto notizia dell'inaspettata e pre
occupante malattia che affligge il Pontefice. Egli ha seguito un programma intenso di at
tività, interrotto solo da consultazioni con eminenti medici Sembra calmo quando chie-
de chiarimenti riguardo ai problemi intestinali di cui soffre o riguardo alle radiografie.

Giovanni aveva fatto molto di più che rimanere calmo. Il 4 di otto-


bre si era recato in pellegrinaggio a Loreto e ad Assisi. «Stette in piedi
per tutto il viaggio», scriveva Capovilla, «quasi come se avesse dimenti-
cato il dolore che lo accompagnò dalla mattina presto fino al suo ritor-
no a Roma in tarda serata». Il 9 ottobre il papa intendeva celebrare in
S. Pietro, anziché nella Cappella Sistina, la messa di suffragio in occasio-
ne del quarto anniversario della morte di Pio XII. Capovilla osservava
che «coloro che iniziano a indovinare qualcosa riguardo alla sua malattia
hanno sottolineato il suo pallore e la sua aria affaticata. Ma questi erano
solo gli effetti di essersi alzato alle 3,3 O del mattino!» Dopo una lunga
giornata consegnò una nota al segretario di Stato nella quale esprimeva

115 Citato in 1-IEBBLETHWAITE, Giovanni XXIII..., cit., p. 647.


126 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

la propria proccupazione su come ricevere i vescovi cinesi e, qualora


fossero venuti, i <<Vescovi dal silenzio» 116•
Il 16 novembre il papa parlò con il professor Pietro Valdoni e con il
suo nuovo specialista, il dottor Pietro Mazzoni, i quali lo informarono
che era affetto da un tumore maligno 117 • Circa due settimane dopo
«L'Osservatore Romano» fece riferimento per la prima volta in modo
ufficiale alle condizioni di salute del papa. I padri conciliari subito gli
inviarono un messaggio in cui esprimevano la loro preoccupazione. Il
primo di dicembre, durante la trentunesima congregazione generale, Fe-
lici annunciò con «grande gioia» che le notizie sulla convalescenza del
papa lasciavano spazio per un certo ottimismo e che il papa stesso
avrebbe impartito la benedizione apostolica il giorno successivo 118 • Il 5
dicembre il papa sembrava avere trovato nuove forze e poté rivolgersi
dalla finestra del suo studio privato ai vescovi e ai fedeli raccoltisi in
piazza S. Pietro.
Figliuoli - disse - la provvidenza ci accompagna. Come vedete, da un giorno all'al
tro un progresso: non nel cadere, ma nel risorgere piano piano. Malattia, convalescenza:
siamo alla convalescenza. La gioia della presente accolta è motivo di letizia; accenno del
la forza e robustezza che tornano.
Spettacolo nuovo oggi: la chiesa radunata nella sua piena rappresentanza. Ecco
l'episcopato [.. .] La famiglia al completo, qui presente: dunque: la famiglia di Cristo. Fi-
gliuoli miei, benediciamo il Signore di questa gioia e in questa unità. Vogliamo conti
nuare ad aiutarci a vicenda, ciascheduno proseguendo, quindi, nel suo cammino.
Siamo nella novena della Immacolata. Non voglio lasciarvi in questo giorno, senza
richiamarvi tutti insieme alla nostra cara madre; e con voi invocarla ancora quale poten-
te avvocata, e celeste vivificatrice di tutta la nostra attività.
Il concilio si sospende per qualche tempo: ma noi porteremo sempre nel nostro
cuore le dolcezze, la soavità di così perfetta unione di tutti; e non semplicemente quali
rappresentanti del clero e del popolo, ma rappresentanti delle diverse stirpi umane, del
mondo intero, poiché tutto il mondo fu redento ed è redento dal nostro Signore Gesù
Cristo. A Lei, dunque, la nostra madre, raccomandiamo la santa chiesa, le nostre fami
glie, le nostre vite, la nostra sanità, perché anche questa ci aiuta a ben servire il Signo
re119.

L'invocazione del papa alla vergine Maria potrebbe essere stato un


gesto di pacificazione nei confronti di Ottaviani, il cui schema su Maria,
madre di Dio e madre degli uomini, era stato recentemente bocciato.
L'enfasi sull'unità potrebbe anche essere stata un'allusione allo schema

11 6 L.F. CAPOVILLA, Reflections on the Twentieth Anniversary, in STACPOOLE, Vati-


can II by those... , cit., pp. 108-109.
117 Z IZOLA, L'U!opta . ... , Clt.,
. p. 23 .
118 CAPRILE, II, p. 238.
119 DMC V, pp. 19 20.
L'AVVIO DELL'ASSEMBLEA 127

sull'unità con la chiesa orientale, che pure era stato bocciato. Questa era
la sua ultima apparizione davanti ai vescovi che aveva riuniti in concilio.
Il concilio era iniziato con sfarzo, ma in una grande confusione.
Come Ratzinger osservò, solo la molteplicità dei documenti era suffi-
ciente a spaventare i più diJigenti vescovi e teologi. Ma era il contenuto
e l'orientamento di tali documenti che molti vescovi trovarono offensivo.
Era molto diverso dal concilio pastorale che il papa aveva annunciato.
Mentre le commissioni conciliari, ad eccezione di quella sulla liturgia,
non svolsero molto lavoro durante la prima sessione, l'interazione tra ve-
scovi e teologi fu significativa, non solo perché rese la partecipazione
dei vescovi al concilio più attiva, ma anche perché preparò le basi per le
future sessioni. Suenens e altri ritennero che il concilio dovesse affronta-
re la chiesa ad intra e ad extra. Sebbene il concilio non facesse formale
menzione della crisi dei missili a Cuba, la minaccia di una guerra nu-
cleare rese necessario che il concilio non si limitasse ad affrontare pro-
blemi dottrinali. Doveva essere una voce per la pace tra tutte le nazioni.
I vescovi e i teologi sembrarono rendersi conto di questo allorché assun-
sero il controllo del concilio e svilupparono i loro schemi. Entrambi i
gruppi fornirono un buon esempio della collaborazione che avrebbe do-
vuto esistere tra di loro. Essi avevano raggiunto risultati superiori alle
aspettative, poiché il concilio e la chiesa potevano adesso voltare pagina.
Tuttavia, quando si riunirono di nuovo, lo fecero sotto la guida di un
nuovo papa.
Capitolo terzo

Il dibattito sulla liturgia

1. Introduzione

Già prima della discussione dello schema De sacra liturgia1 in aula


(cosa che doveva impegnare 21 congregazioni generali nel periodo tra il
21 ottobre e il 7 dicembre), la commissione conciliare per la liturgia, pro-
prio il 21 ottobre tenne il primo incontro, durante il quale fu deciso che
le successive riunioni avrebbero avuto luogo ogni giorno lavorativo alle
17 2 • In questa prima riunione il card. Larraona nominò vicepresidenti il
card. Giobbe e mons. Jullien3 . La designazione destò una certa sorpresa,
specialmente per il fatto che entrambi erano membri della curia; nello
stesso tempo, il card. Lercaro, che era il solo cardinale eletto direttamen-
te dalla congregazione generale e che godeva di ottima stima come spe-
cialista di liturgia, era stato ignorato4 • Ma Larraona aveva in serbo un'al-
tra sorpresa: mentre le altre commissioni conciliari avevano designato il
segretario della rispettiva commissione preparatoria perché continuasse a

1 Per la genesi di questo testo vedere, per esempio, H. SCHMIDT, La Costituzione


sulla Sacra Liturgia. Testo, Genest~ C,ommento, Documentazione, Roma 1966, pp. 77 123;
A. BUGNINI, De sacra liturgia in prima periodo Conci!# Oecumenici Vaticani II, in «Ephe
merides Liturgicae» 77 (1963), pp. 3-18; dello stesso autore, La riforma liturgica (1948-
1975), Roma 1983, pp. 14-28; La constitution liturgique de sa préparation à sa mise en
application, in «La Maison Dieu» 39 (1983), nn. 155-156; M. PAIANO, Il n"nnovamento
della liturgia: dai movimenti alla chiesa universale, in Verso il concilio, Genova 1993, pp.
78-86; J.A. KOMONCHAK, La lotta per il Concilio durante la preparazione, in SIV 1, pp.
219-224.
2 F Jenny, scatola 8, fondo 5 (CNPL).
3 Oltre a ciò, la commissione aveva già iniziato a discutere il suo compito preciso.
Nello stesso tempo, vi era qualche indecisione sul da farsi circa le proposte scritte per lo
schema sulla liturgia. Sembrò possibile trovare un accordo sul seguente adagio: «Il est
mieux de faire les corrections entre nous et ne pas laisser à tout le concile d'en discu
ter»; dr. F Jenny, scatola 8, fondo 5 (CNPL).
4 A questo proposito, cfr. per esempio, A. BUGNINI, La riforma liturgica (1948-
1975), Roma 1983, p. 40.
130 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

coordinare i lavori della nuova commissione, Larraona rimpiazzò A. Bu-


gnini con il francescano Ferdinando Antonelli, della congregazione dei
riti5 • Questa sostituzione fu evidentemente il risultato del fatto che il capo
della congregazione dei riti giudicava Bugnini troppo progressista e lo ri-
teneva responsabile dello spirito dello schema sulla liturgia6 . La scelta era
ancor più sorprendente, dato che Antonelli non aveva preso parte diret-
tamente ai lavori della commissione preparatoria7 , anche se bisogna ag-
giungere che egli non era impreparato nel campo liturgico8 • Nel suo lavo-
ro era assistito da Carlo Braga e Rinaldo F alsini.
Nonostante i periti fossero ufficialmente autorizzati ad intervenire
solo quando interpellati, il presidente fin dalla prima riunione accordò
loro il permesso di intervenire ogni volta che lo ritenessero necessario9 •
Questioni di natura giuridica furono al centro dell'attenzione durante le
prime sei sedute.
Le discussioni riguardanti lo schema sulla liturgia iniziarono il gior-
no seguente, alla quarta congregazione generale del 22 ottobre 196210 •
Lo schema sulla liturgia costituiva infatti un banco di prova utile per
mettere a fuoco il modo in cui il concilio avrebbe lavorato: le regole
conciliari furono impiegate e le procedure per le discussioni applicate
con l'intenzione di superare le eventuali difficoltà. Nella sua introduzio-
ne Larraona11 , spagnolo, cardinale di curia e prefetto della congregazio-
ne dei riti, che era anche presidente della commissione liturgica prepa-
ratoria e della commissione conciliare per la liturgia, mise l'accento sul-

5 Bugnini aveva, al tempo, altri problemi da risolvere; Cfr. BUGNINI, La nforma ... ,
cit., p. 40, n. 4.
6 È possibile che anche Ottaviani abbia awto un ruolo nella rimozione di Bugnini;
dr. M. PAIANq Les travaux de la commission liturgique conciliaire, in Leuven, p. 6.
7 Cfr. J. WAGNER, Mein Weg zur ·Liturgiere/onn (1936-1988). Erinnerungen, Frei
burg Basel 1993, p. 61, secondo il quale Antonel1i rappresentava una buona scelta.
s Cfr. A. VERHEUL, De !eden van de conciliaire commissie voor de liturgie, in «Tijd
schrift voor liturgie» 47 (1963 ), pp. 88 90, p. 89.
9 Cfr. W.M. BEKKERS, Het concilie over de liturgie, in «Tijdschrift voor Liturgie» 47
(1963), pp. 81 87, p. 81.
10 Per la discussione che precedette questa decisione, vedere AS V/l, pp. 17 18;
cfr. anche A.G. MARTIMORT, La constitution sur la liturgie de Vatican II, in <<La Maison
Diem> 157 (1984), pp. 33 52, p. 43; dello stesso autore, Les débats liturgiques lors de la
première période du conci/e Vatican II (1962), in Vatican II commence, pp. 297 298; ve-
dere anche, per esempio, G.L. DIEKMANN, La Constituzione sulla Sacra Liturgia, in J.H.
MILLER (a cura di), La teologia dopo il Vaticano II. Apporti internazionali e prospettive
per il futuro in una interpretazione ecumenica, Brescia 1967, pp.19 36.
11 Il card. Larraona fu nominato presidente della commissione conciliare per la li
turgia da Giovanni XXIII il 4 settembre.
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 131

l'importanza di adattare le cerimonie ai bisogni dei singoli popoli e na-


zioni12.
F. Antonelli prese la parola in seguito e fece una breve presentazio-
ne dello schema De sacra liturgia. Nella sua introduzione Antonelli pro-
pose che una costituzione sulla liturgia dovesse essere l'obbiettivo dei la-
vori del concilio, e questo per le due ragioni seguenti: la necessità di
migliorare e adattare i libri liturgici, testi e riti da una parte, e le esigen-
ze pastorali dei tempi dall'altra. Con riferimento a questo secondo pun-
to Antonelli fece presente che i cristiani stavano gradualmente diventan-
do silenziosi spettatori, invece che partecipanti attivi. Tuttavia, il rinno-
vamento e nutrimento della vita cristiana sarebbero derivati in grande
misura da un ritorno alle fonti della grazia, che erano chiaramente pre-
senti nella liturgia, radicate in una attiva e personale partecipazione alla
stessa liturgia. In tale ottica Antonelli si riferì ai desideri di Pio X circa
il ruolo del movimento liturgico, al contributo di Pio XII con l'istituzio-
ne della commissione papale nel 1948, ai risultati conseguiti da questa
commissione, concretizzatisi nel concilio desiderato da Giovanni XXIII,
e alla commissione preparatoria per la liturgia istituita nel 1960 13 • Nel-
l'elaborazione dello schema la commissione aveva presente queste priori-
tà: una grande sollecitudine per la preservazione del patrimonio liturgi-
co della chiesa; l'enunciazione dei principi guida per la realizzazione del
prossimo generale rinnovamento della liturgia; la elaborazione di riti e
rubriche pratiche basate su un fondamento dottrinale; la cura perché i
chierici, grazie ad una più approfondita istruzione, fossero sempre più
immersi nello spirito liturgico, così da poter prendere il loro posto di
maestri e guide tra i fedeli; uno sforzo per condurre il fedele verso una
sempre più attiva partecipazione alla liturgia.
Lo schema14 consisteva in una introduzione generale, nella quale era
presente una sommaria spiegazione dell'importanza della liturgia per la
vita della chiesa, seguita da 8 capitoli: il capitolo I centrato sui principi
generali per la promozione e il rinnovamento della liturgia; il capitolo II
sul mistero dell'eucaristia; il capitolo III su sacramenti e sacramentali; il
capitolo N sull'ufficio divino; il capitolo V sull'anno liturgico; il capito-
lo VI sulle sacre suppellettili, il capitolo VII sulla musica sacra e, infine,
il capitolo VIII sull'arte sacra. Antonelli fece notare che, degli otto capi-

12 AS 1/1, p. 304.
13 AS 1/1, pp. 305 306.
14 Schema constitutioni.r De sacra liturgia, in Schemata constitutionum et decretorum
ex quibus argumenta in Concilio disceptanda seligentur, Città del Vaticano 1962, pp. 155
201; ristampato in AS 1/1, pp. 262 303.
132 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

tali, il primo era il più pregnante e il più importante15 , poiché contene-


va i fondamenti dottrinali della liturgia, e perché trattava i principi ge-
nerali che sarebbero stati determinanti per i temi trattati nei capitoli se-
guenti.
Il segretario spiegò inoltre che il primo capitolo era stato suddiviso
in cinque sezioni. La prima trattava l'essenza della liturgia e il suo signi-
ficato per la vita della chiesa; in questa sezione erano discussi i fonda-
menti teologici della liturgia, mentre si prestava attenzione al particolare
ruolo della liturgia sia nelle attività esterne della chiesa, sia nella vita
spirituale dei fedeli, sia nelle altre forme di pietà dei fedeli al di fuori
dell'ambito propriamente liturgico. La seconda sezione trattava la for-
mazione liturgica di sacerdoti e laici, insieme ali' attiva partecipazione di
questi ultimi, e proponeva alcuni provvedimenti per raggiungere questi
scopi. La terza sezione discuteva il rinnovamento aella liturgia; Antonelli
accennò a questo come «peculiaris sane momenti» 16• Continuò poi evi-
denziando i cinque principi fondamentali che sarebbero diventati le ne-
cessarie linee guida per la realizzazione del rinnovamento: 1) evitare la
mancanza di chiarezza nello sviluppo dei riti; 2) rispetto delle tradizioni
liturgiche di pari passo con un legittimo progresso; 3) adattamento ai
bisogni del tempo, specialmente nei territori di missione; 4) alla luce
della natura pastorale e catechetica della liturgia, tener conto nello svi-
luppo dei riti delle capacità intellettuali dei fedeli, così da evitare il bi-
sogno di ulteriori spiegazioni; a causa del suo carattere pedagogico, inte-
grare i riti con elementi didattici basati sulle Scritture; 5) promuovere la
partecipazione attiva dei fedeli dato il carattere gerarchico e comunitario
della liturgia e delle sue particolari dinamiche17 •
La quarta sezione trattava la promozione della vita liturgica nelle
diocesi e parrocchie. Si dava rilievo all'aumento della consapevolezza
della comunità con un occhio al progresso della /amilia Dei.
La quinta ed ultima sezione aveva come scopo la promozione del-
1' azione liturgica e allo stesso tempo suggeriva gli strumenti per questo
fine. Un posto primario era riservato alle commissioni liturgiche nazio-
nali e diocesane, insieme alle commissioni per la musica e l'arte. Dopo
una osservazione finale sul capitolo IV la scena era pronta per l'inizio
della discussione.
Il dibattito sulla liturgia durò fino al 13 novembre. Durante questo
periodo si tennero 15 congregazioni generali, che videro 328 interventi

15 Cfr. Schema De sacra liturgia, pp. 159 174; AS I/l, pp. 264 279.
16 AS I/1, p. 307.
11 Cfr. AS I/1, pp. 307-309.
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 133

orali di 253 padri, mentre altri 297 interventi furono rimessi per iscritto.
Alcuni dei padri presero la parola in più di una occasione: al card. Ruf-
fini di Palermo si devono ben sei interventi1 8 • La maggioranza degli in-
terventi vennero dall'Europa (148), ma anche le Americhe diedero buo-
na prova di sé (49)19 • Asia e Africa intervennero rispettivamente 37 e 17
volte. In Europa furono soprattutto italiani e spagnoli che trovarono ne-
cessario intervenire con regolarità, 46 e 30 volte rispettivamente, ma an-
che la Francia guadagnò il podio abbastanza frequentemente (19 volte).
Sebbene la maggioranza dei discorsi fosse pronunciata da vescovi (154),
a causa dei regolamenti conciliari, è un fatto singolare, dal punto di vi-
sta delle percentuali, che cardinali e arcivescovi abbiano preso la parola
con relativa frequenza (rispettivamente 36 e 55 volte)2°. Se esaminiamo
la situazione in maniera più dettagliata, elemento per elemento, possia-
mo notare che durante i primi due giorni si ebbero sul testo nella sua
globalità 29 interventi (22-23 ottobre) 21 • Il 23 ottobre era già possibile
spostare la discussione all'introduzione e al primo capitolo sui principi
generali, una discussione che si protrasse fino al 29 ottobre: parlarono
88 padri. Alla discussione sul capitolo II (eucaristia) fu dedicato parec-
chio tempo, dal 29 ottobre al 6 novembre, quando l'esaminarono 79 pa-
dri. Lentamente ma inesorabilmente divenne chiaro che sarebbe stato
impossibile dedicare così tanto tempo a un solo documento22 • Il papa
aveva già avvisato i membri della curia di non lasciarsi coinvolgere nei
dibattiti23 • Inoltre, il 6 novembre il papa accordò alla presidenza il pote-
re di proporre alla congregazione generale la conclusione di una discus-
sione, nel caso in cui fosse emerso che, dal punto di vista del contenuto,
nwla si poteva aggiungere sull' argomento24 : i padri rimanevano liberi di
accettare o respingere la proposta della presidenza. Il voto, per alzata e
seduta, approvò la conclusione della discussione; i padri impediti a par-
lare a causa di questo sistema erano invitati a presentare i loro testi per
iscritto. Da questo momento in poi i lavori procedettero più agevolmen-

18 Per un'interessante indagine vedere, per esempio, R. LAURENTIN, L'enjeu du con-


ci/e. Bilan de la première session, Paris 1963, p. 125.
19 I padri provenienti da Stati Uniti e Canada furono autori di 14 interventi, men
tre i rimanenti 3 5 vennero dal Centro e Sud America.
20 I patriarchi intervennero in due occasioni, i superiori religiosi in nove.
2 1 Il 22 ottobre 22 padri parlarono su quest'argomento, g]i altri 7 il giorno 23.
22 In alcune lettere si possono trovare ripetute lagnanze suJla durata delle discussio~
ni; vedere, per esempio, la lettera di Laurentin a Delhaye, datata 29 ottobre 1962 (F
Delhaye n. 160, CLG).
23 Secondo MARTIMORT, Les débats liturgiques ... , cit., p. 301, n. 34, questa era una
conseguenza degli «interventi controproducenti>> di Dante, Parente, e soprattutto Staffa.
24 AS I/2, pp. 159 161.
134 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

te. La discussione sul capitolo III, che affrontava sacramenti e sacra-


mentali, terminò in meno di due giorni (6 e 7 novembre), senza che la
presidenza dovesse proporre di interrompere; intervennero 41 padri. Si
concentrò l'attenzione sul capitolo IV (ufficio divino) nei giorni 7, 9 e
10 novembre, con interventi di 42 padri: in questa occasione la discus-
sione si chiuse su proposta della presidenza. I capitoli dal quinto fino
all'ottavo (accessori delle chiese, mobili, decorazioni; musica e arte sa-
cra) furono trattati nello spazio di tre giorni (dal 10 al 13 novembre),
durante i quali presero la parola 49 padri. Anche questa discussione fu
conclusa per intervento della presidenza.
Bisogna notare, a questo punto, che la maggioranza degli intervenuti
parlò a nome della conferenza episcopale cui apparteneva25 , e talvolta
anche per conto di un intero continente: il card. Rugambwa e i vescovi
Ramantoamina, Thiandoum e van· Cauwelaert, per esempio, presero po-
sizione rispettivamente a nome di tutti i loro colleghi africani26 •
La discussione dello schema sulla liturgia impegnò uno spazio di
tempo rilevante; molte ripetizioni e dispute a favore e contro rischiaro-
no di condurre la discussione fuori strada. Infatti, il dibattito fu fin
troppo dominato dalle ripetizioni. Il fatto che il regolamento garantisse
a ogni padre conciliare l'opportunità di parlare sull'intero schema o su
una sua parte fu la causa primaria delle lunghe e talvolta inappropriate
deviazioni dalla questione vera e propria. Non sorprende che più di 100
padri fossero regolarmente assenti dalle discussioni e che il numero dei
presenti alle congregazioni generali decrescesse, anche se in maniera non
spettacolare, man mano che una particolare discussione si trascinava27 •
Inoltre, secondo il vescovo Bekkers di s'Hertogenbosch, ci si può giu-
stamente chiedere se coloro che intervenivano, specialmente nel caso di
critiche allo schema, parlavano sempre a nome loro o per conto di un
gruppo28 •

25McQuaid parlò a nome dei vescovi irlandesi il 24 e il 30 ottobre (AS I/1, p. 414;
I/2, p. 94); il vescovo Kobayashi prese la parola per conto dei suoi colleghi giapponesi il
27 ottobre (AS I/1, p. 525). Il 5 novembre il vescovo Bekkers espose la posizione della
conferenza episcopale dei Paesi Bassi cosi come quella dei vescovi indonesiani, molti dei
quali erano di origine olandese (AS I/2, p. 129). Due giorni più tardi, Djajasepotetra in
tervenne per conto dello stesso episcopato indonesiano (AS I/2, p. 311). Perraudin pre
se la parola a nome della conferenza episcopale del Rwanda Burundi il 5 novembre (AS
I/2, p. 122). Infine, Lebrun Moratinos parlò per conto de1la conferenza episcopale del
Venezuela il 6 novembre (AS I/2, p. 177).
26 Cfr. AS I/1, pp. 333; 419; 526 527; I/2, p. 94.
27 Cfr. la ricerca di LAURENTIN, L}enjeu du conci/e ... , cit., pp. 56~57.
2s Cfr. AS I/1, p. 441.
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 13 5

Prima di addentrarsi nel dettaglio dei singoli interventi, è bene ricor-


dare i punti che maggiormente occuparono i padri durante il dibattito:
lingua latina o lingua volgare; concelebrazione, sì o no; comunione sotto
le due specie; adattamento; potere dei vescovi nella riforma liturgica; ri-
forma del breviario, del messale e del rituale e, infine, l'unzione degli
infermi.

2. Verso il rinnovamento liturgico

Dall'inizio del dibattito, fu notevole il fatto che così tanti padri, an-
che quelli che venivano dalle missioni, assumessero una posizione favo-
revole nei confronti dello schema proposto29 • Alcuni furono anche tanto
sinceri da descrivere lo schema come il migliore tra quelli ricevuti30 ; il
suo carattere pastorale31 ricevette molti elogi per la moderazione e
l' equilibrio32 • Lo schema si sviluppava secondo una ben studiata via di
mezzo tra un rinnovamento secondo criteri soggettivi e senza rispetto
per la tradizione, da una parte33 , e, dall'altra, il carattere inalterabile dei
riti3 4 • Esso preservava l'essenza della liturgia facendo posto a cambia-
menti nella sua forma, benché tali cambiamenti dovessero essere fatti
con la massima cura e prudenza35 • Stabiliva, inoltre, una profonda rela-

29 Per esempio, i cardinali J. Fdngs (Colonia, Germania), G. Lercaro (Bologna, lta


Ha), R. Silva Henriquez (Santiago, Cile), che parlarono per conto di un certo numero di
altri colleghi; il card. L. Rugambwa (Bukoba, Tanganyika), il vescovo A. Devoto (Goya,
Argentina) che parlarono per conto di quattro coJleghi; il vescovo H. Vo1k (Mainz, Ger-
mania); l'arcivescovo J. Landàzuri Ricketts (Lima, Perù); il patriarca Maximos IV Saigh
(Antiochia, Siria): AS I/1, pp. 309, 311 313, 323, 333, 355-356, 375, 377, 524.
°
3 Cfr. il card. J. Dopfner (Monaco, Germania): «Libenter assentiens ex corde com-
mendo constitutionem de sacra Liturgia nobis propositam, quippe quae inter schemata
nobis oblata optimum laboris Conci1iaris praebet exordium», AS I/l, p. 319; cfr. anche
Hurley (Durban, Sud Africa), AS I/l, p. 327.
31 Cfr., per esempio, i cardinali G.B. Montini (Milano, Italia) e R. Silva Henriquez:
AS I/1, pp. 313-314 e 323.
32 Cfr. Montini, AS I/1, p. 314.
33 Montini si richiama al rito ambrosiano in due occasioni, la seconda de1le quali
contiene una esplicita dichiarazione su1la conservazione de1le tradizioni: «Ii qui ritum
ambrosianum sequuntur, peculiari ratione, ad hoc quod attinet, se fideles praebere cu
piunt», AS I/1, p. 314; per il rispetto della tradizione, vedere anche Hervàs y Benet, AS
I/1, p. 339.
34 Dopfner, per esempio, poneva in ri]ievo la moderazione de1lo schema (AS I/1,
pp. 319 e 321).
35 AS I/1, pp. 313 314.
136 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

zione tra liturgia e fede36 , indicando chiaramente che la liturgia come


tale è il vero cuore della vita della chiesa e la comunione mistica tra Dio
e l'umanità37 •
I rappresentanti del terzo mondo espressero compiacimento circa il
fatto che lo schema desse un'opportunità alle culture non occidentali di
celebrare la liturgia e di insegnare secondo i propri usi. Il card. Rugam-
bwa, per esempio, era entusiasta che alle conferenze episcopali si offris-
se la possibilità di apportare i necessari cambiamenti nel culto, cambia-
menti che avrebbero meglio garantito la conformità tra questo e le tra-
dizioni dei vari popoli38• Nella stessa disposizione d'animo, i vescovi ci-
leni espressero la loro soddisfazione per lo spazio lasciato all'uso della
lingua volgare. Infatti essi rilevarono che la chiesa non aveva insistito
sulla conservazione dell'aramaico o del greco quando tali lingue non
erano più comprese dal popolo39 • Vi furono molte lodi per l'impatto bi-
blico dello schema40 e gioia per il fatto che portava un importante con-
tributo alla promozione di una attiva partecipazione alla liturgia41 • Infi-
ne, in alcuni circoli fu espressa soddisfazione per l'incoraggiamento dato
agli studi sulla liturgia42 •
Fin dall'inizio, i proponenti lo schema erano ben consci che vi sa-
rebbero state alcune inevitabili opposizioni. Il card. Lercaro, ad esem-
pio, nel suo discorso anticipò che qualcuno avrebbe avanzato critiche
allo schema per un'apparente mancanza di fondamenti teologici; sottoli-
neò il fatto che i principi teologici alla base della costituzione erano
chiaramente presenti nell'introduzione e nel capitolo I. Aggiunse, co-
munque, che i padri non dovevano attendersi un trattato teologico sco-
lastico, ma piuttosto una salda base per il rinnovamento e l'avanzamento
della liturgia. Lercaro inoltre mise in evidenza che lo schema offriva
solo una summa dei principi teologici, in altre parole, una descrizione
dell'essenza della liturgia: con questo approccio, lo schema seguiva la
procedura dell'enciclica Mediator Dei43 • Il cardinale notò, inoltre, che le

36Cfr. il vescovo Fares (Catanzaro, Italia), AS 1/1, p. 353.


37AS 1/1, p. 309; cfr. anche Dopfner, AS 1/1, p. 319; Hurley, AS 1/1, p. 328.
38Cfr. AS 1/1, pp. 333 334; anche, per esempio, il card. P. Tatsuo Doi (Tokio,
Giappone), AS 1/1, p. 323.
39 AS 1/1, p. 324.
40 Cfr. per esempio Dopfner, AS 111, p. 321: aggiunta scritta a questo discorso;
Hervàs y Benet, AS 1/1, p. 339.
41 Vedere, per esempio, Dopfner e Doi, AS 1/1, pp. 319 e 323.
42 Cfr. Hervàs y Benet, AS 1/1, p. 339.
43 AS 1/1, pp. 311-313. Per l'intervento di Lercaro, cfr. Per la /ori.a dello Spirito.
Discorsi conciliari del card. Giacomo Lercaro, a cura dell'Istituto per le Scienze Religiose,
Il. DIBATTITO SULLA LITURGIA 137

norme generali (nn. 16-31) erano la conseguenza logica delle predette


basi culturali, e che ciò che si diceva circa l'adattamento della liturgia
alle caratteristiche nazionali e alle tradizioni dei vari popoli era del tutto
in linea con quanto affermato dai papi a partire da Benedetto XV. Si
era in un tempo in cui i popoli della terra stavano lottando per il pro-
gresso culturale e civile, un progresso che doveva essere realizzato senza
riserve44 •
Lercaro continuò dicendo che la concretizzazione delle norme dei
capitoli dal II al VIII era certamente aperta a commenti e correzioni;
suggerì, comunque, di procedere in linea con la sede apostolica, special-
mente da Pio XII in avanti. Effettivamente ciò che lo schema proponeva
era in completo accordo con il rinnovamento che era stato non soltanto
approvato, ma persino incoraggiato dalla S. Sede. Gli adattamenti pro-
posti erano necessari anche per una più consapevole, attiva e feconda
partecipazione dei fedeli ai sacri misteri45 • Il tenore dell'apprezzamento,
come notò il card. Montini, era basato sul fatto che la liturgia esiste per
il popolo, e non il contrario46 •
Un certo numero di oratori, che valutavano favorevolmente lo sche-
ma, criticarono tuttavia il fatto che al testo fossero state apportate delle
modifiche, modifiche che attraverso un elenco di Martimort (che espo-
neva le differenze tra l'originale e il testo ufficiale) erano diventate sem-
pre più di pubblico dominio47 • Innanzitutto, fu ripetutamente chiesto
che il testo che era stato inviato alla commissione centrale dalla commis-
sione preparatoria fosse ristampato con le Declarationes chiarificatorie,
così che si potesse chiarire quanto sembrava astratto e indefinito48 • Vi fu

Bologna 1984, pp. 73 78; per una interpretazione di questo discorso, dr. G. ALBERIGO,
LJesperienza conciliare di un vescovo, ibidem, pp. 14-15. Sul rapporto tra l'enciclica Me
diator Dei e la costituzione, dr. Y. CONGAR, L"'Ecclesia» ou communauté chrétienne sujet
intégral de lJaction liturgique, in J.-P. }OSSUA Y. CONGAR, La liturgie après Vatican II, Pa
ris 1967, pp. 268-276.
44 Un apprezzamento del livello teologico del testo si può trovare anche, per esem
pio, nel discorso di Hervàs y Benet (AS I/1, p. 339).
45 Con chiarezza Lercaro aggiunse a questo puntb: «non enim ex sterili archeologi
smo aut ab insano novitatis pruritu illae promanant, sed ab instantia quotidiana pasto
rum et ab exigentiis pastoralibus, cum participatio actuosa S. Liturgiae sit, iuxta memo-
randa verba S. Pii X, prima et insubstituibilis fons spiritus christiani>>; AS I/1, p. 313.
4 6 «Liturgia nempe pro hominibus est instituta, non homines pro liturgia», A~ I/1,
p. 315.
47 Cfr. MARTIMORT, Les débats liturgiques ... , cit., p. 293, n. 7.
48 Queste lagnanze ritornano spesso: Dopfner (22 ottobre), il vescovo S. Mendez
Arceo (23 ottobre), Jenny (27 ottobre), Spiilbeck (29 ottobre): cfr. AS I/1, p. 321 (se
condo Martimort 319-320), 359, 513, 576; vedere anche ScHMIDT, La costituzione ... , cit.,
pp. 120-121.
138 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

un riferimento alla contraddizione tra la nota introduttiva dello schema,


nota che de facto poneva tutto il potere decisionale nelle mani della S.
Sede, e il numero 16, secondo cui la revisione dei libri liturgici doveva
essere opera di specialisti di ogni parte del mondo, invitati dalla S.
Sede49 • Fu anche notato, dal card. Frings per esempio, che nei passaggi
del testo relativi alla lingua della liturgia, testo approvato dalla commis-
sione centrale, era stato riservato alle conferenze episcopali locali, in ac-
cordo con vescovi delle regioni vicine, il diritto di determinare il modo
di introdurre la lingua volgare e definirne i limiti, mentre la S. Sede
avrebbe semplicemente verificato le decisioni già prese50• Ora nello sche-
ma tutto era stato ridotto alla presentazione di proposte, la cui determi-
nazione era nelle mani della S. Sede51 • Da questa protesta risultava chia-
ro che, tra le altre cose, certi ambienti si sentivano tagliati fuori da que-
sta aggiunta centralizzatrice e deploravano l'assenza delle declarationes.
Owiamente un certo numero di oratori non poté nascondere criti-
che allo schema, che a loro parere si spingeva troppo lontano. Mons.
Dante della congregazione dei riti dichiarò coraggiosamente che il con-
cilio avrebbe dovuto solo occuparsi dei principi generali, lasciando la
concreta realizzazione degli stessi a esperti liturgisti. Egli approfittò del
suo intervento per puntualizzare che le conferenze episcopali o singoli
vescovi dovevano limitarsi a formulare proposte; decisioni in proposito e
approvazioni di ogni modifica spettavano alla S. Sede52 • Mentre l'inter-
vento di Dante mise a fuoco, in un certo senso, una «questione di pro-
cedura», altri chiamarono in causa il contenuto vero e proprio dello
schema: evidenti erano le critiche su quello che si giudicava un eccessi-
vo abbandono allo spirito di rinnovamento, critiche che indicavano i ri-
schi che questo atteggiamento comportava per il clero e per il popolo.

49 «Libros liturgicos infra paucos annos esse retractandos scilicet a Sancta Sede pe
ritis ex universo orbe adhibitis»; Schema constitutionis de sacra liturgia, n. 16; la rimozio-
ne della nota in questione fu ripetutamente richiesta; cfr., per esempio, J. Le Cordier,
vescovo ausiliare di Parigi (AS I/1, p. 476).
50 «Sit vero conferentiae episcopalis in singulis regionibus, etiam, si casus ferat,
consilio habito cum episcopis finitimarum regionum eiusdem linguae, limites et modum
linguae vernaculae in Liturgiam admittendae statuere, actis a Sancta Sede recognitis (cf.
can. 291)». AD II/3,2, p. 21. Il card. Silva Henriquez riteneva necessario sottolineare
l'importanza di garantire una speciale autorità alle conferenze episcopali; infatti chiese
con una certa urgenza «Ut vitetur illa sic dieta exaggerata "centraJizatio" quae pastora
lem laborem debiJitat», AS I/1, p. 324; cfr. anche Tatsuo Doi, AS I/1, p. 323.
51 «Sit vero conferentiae episcopalis in singuJis regionibus, etiam si casus ferat, con
silio habito cum episcopis finitimarum regionum eiusdem linguae, limites et modum lin-
guae vernaculae in Jiturgiam admittendae Sanctae Sedi proponere», AS I/1, p. 272.
52 Dante, AS I/1, pp. 330 331.
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 139

Qualcuno avvertì anche che vi era una eccessiva enfasi sulla partecipa-
zione dei fedeli53 .
Lo schema, si notò, era piuttosto «verbosus»; più poetico e ascetico
che teologico: più un trattato liturgico che un documento conciliare; a
livello teologico, formulazioni vaghe e mancanza di precisione crearono
qualche disagia54• Si avvertiva, perciò, che la parte dottrinale dello sche-
ma avrebbe dovuto essere sottoposta alla commissione dottrinale prima
di essere presentata ai padri per la decisione55 . Alla luce di ciò, Ottavia-
ni intervenne per una completa revisione dell'intera costituzione: a suo
giudizio era stato dato troppo peso alla liturgia56 • Anche idee come
quella della comunione sotto le due specie e della concelebrazione anda-
vano messe da parte57 • Si avanzò la richiesta di esaminare i testi biblici
citati nello schema, per accertare se erano stati impiegati secondo il loro
significato scritturi~ticc5 8 • Altre critiche si appuntarono sul fatto che lo
schema non faceva alcun accenno ad una riforma del culto dei santi o
delle cause di beatificazione e canonizzazione, delle reliquie e del culto
ad esse legato59, ai riti orientali e alla necessità di una loro riforma60 •
Mons. D'Avack (Camerino, Italia) giudicò che lo schema non spiegasse
a sufficienza il rapporto tra il sacrificio sulla croce, il sacrificio della
messa e la vita quotidiana dei cristiani61 • Un'ultima e legittima critica del
livello teologico si soffermò sulla insufficiente attenzione dello schema
per lo Spirito Santo; tale critica non era però in alcun modo una con-
danna dello schema nel suo insieme62 •
Nel pomeriggio dello stesso 22 ottobre, si tenne la seconda riunione
della commissione liturgica. Già in quel giorno i membri della commis-

53 Spe1lman. AS 1/1, pp. 316 317.


54 Vagnozzi (nunzio apostolico negli USA), AS 1/1, pp. 325-326; cfr. anche l'arcive-
scovo P. Parente. AS 1/1, p. 423.
55 Cfr. Vagnozzi. AS 1/1, p. 326.
56 AS 1/1, pp. 349 350.
57 Cfr. Dante. AS 1/1, p. 331.
58 Cfr. Fares. AS 1/1, p. 354.
59 Dante. AS 111, p. 331; dr. anche mons. Garda Martinez. AS l/l, p. 332.
60 Dante, AS 1/1, p. 331. Va notato qui che le norme genera1i per la liturgia così
come si trovavano nello schema erano considerate applicabili ai riti orientali e che anche
questi riti necessitavano di rinnovamento liturgico e di adattamento. È evidente. comun-
que, che l'osservazione di G. Amadouni (esarca degli Armeni, Francia) a tal proposito
implicava qualcosa di diverso da quello che intendeva Dante; dr. AS 1/1, pp. 361-362.
6I AS 1/1, p. 359 361. D'Avack invocò anche una revisione delle preghiere della
messa da1l'offertorio a1la comunione.
62 Silva Henriquez, AS 1/1, p. 324, il quale chiese anche che la costituzione offrisse
una sintesi dell'insegnamento biblico e patristico su1 sacerdozio spirituale dei fede1i.
140 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

sione ebbero la sensazione di perdere il loro tempo: non era facile com-
prendere Larraona e non era ancora chiaro il modus operandi della com-
missione, sebbene i membri fossero ansiosi di cominciare a lavorare63 •
Su iniziativa di Martimort, tuttavia, fu proposto di creare una commis-
sione incaricata di redigere un regolamento interno. La sua proposta fu
accettata. La sottocommissione, formata dallo stesso Martimort insieme
con Jullien, Bonet e McManus, produsse cinque pagine di una Ratio
procedendi commùsionis conciliaris de sacra liturgia 64 , che avrebbe dato
prova della sua utilità anche in altre commissioni.

3. I diritti delle conferenze episcopali e l'uso del volgare

Dopo i commenti sull'intero schema, nella congregazione del 23 ot-


tobre, la discussione si spostò sull'introduzione e sul capitolo I. Prima
di procedere, comunque, il segretario annunciò a quei padri che per un
serio motivo (ad es. impegni pastorali) intendevano lasciare il concilio,
che sarebbe stato sufficiente un semplice messaggio alla segreteria.
Nella discussione che seguì la maggiore attenzione fu dedicata ai nu-
meri 16 (revisione dei libri liturgici) e 24 (lingua latina o lingua volgare),
nonostante i numeri da 20 a 22, che trattavano dell'adattamento della li-
turgia alle tradizioni locali, suscitassero alcune reazioni contrarie65 • Sia il
numero 16 che il numero 24 rappresentavano una sorta di test nella lot-
ta tra i sostenitori e gli avversari del decentramento dell'autorità e del-
l'uso della lingua volgare66, anche se il primo di questi due elementi di
scontro appariva molto più sfumato del secondo67 •
Prima di esaminare più attentamente gli interventi, forse vale la pena
notare che un certo numero di questi continuò a presentare critiche di

63 Cfr. F-Jenny, scatola 8, fondo 5 (CNPL); vedere anche MARTIMORT, Les débats
liturgiques ... , cit., p. 3 07.
64 Cfr. F Jenny, scatola 8, fondo 5 (CNPL; carte Bekkers, documento 390 (Archivi
diocesani di s'Hertogenbosch); cfr. MARTIMORT, Les débats liturgiques.. ., cit., p. 308; cfr.
anche CAPRILE I/2, pp. 98 100.
65 È notevole in questo contesto il fatto che la maggioranza delle obiezioni alle va-
rie modifiche venissero da ex membri della curia o da membri ancora attivi di essa.
Voci critiche si sentirono provenire anche da rappresentanti del mondo anglofono.
66 R.B. KAISER, Inside the Council. The Story o/ Vatican Il, London 1963, p. 126 .
. 67 A questo proposito cfr. Fares, AS I/1, p. 354, per esempio, che fece appello per
l'uso di una sola lingua, cioè il latino·, ma aggiunse immediatamente che si sarebbero po-
tute dare spiegazioni supplementari in lingua volgare, dando cosl prova di non aver af
ferrato la questione, cioè la promozic;me dell'attiva pa~ecipazione aµa liturgia.
IL DIBATilTO SULLA LITURGIA 141

carattere generale68 , suggerendo, per esempio, che il testo fosse abbre-


viato, reso più chiaro e formulato in modo più efficace69 ; qualcuno rite-
neva che lo schema mancasse di una precisa definizione della liturgia
come tale70 , mentre altri lamentavano che tale definizione non sempre
trattasse la natura della liturgia in maniera logica; altri ancora argomen-
tavano circa una insufficiente esplicitazione della relazione tra liturgia e
vita spirituale71 • Sorsero problemi legati all'uso di termini quali instaura-
re, instauratio e così via: essi davano la falsa impressione che, in tema di
liturgia, n concilio fosse obbligato a rinnovare tutto in maniera definiti-
va72. Questi rilievi erano in linea con le critiche espresse da Dante e da
Ottaviani circa l'intero schema; inoltre, essi furono sostenuti dall'inter-
vento di Staffa che, tra gli altri, dichiarò che l'incoraggiamento dato dal-
lo schema ad uno spirito ecumenico non poteva procedere a costo della
verità e della fede73 , H cui contenuto, come era chiaro per tutti, egli ave-
va ben compreso.
Un gruppo di padri, invece, era chiaramente compiaciuto per H fatto
che l'introduzione dichiarasse espressamente di non avere alcuna inten-
zione di definire alcunché a livello dogmatico, dal momento che mirava
a dare priorità al rinnovamento della vita liturgica come tale, al di fuori
da ogni discussione teologica74 • Molti oratori sottolinearono inoltre che
l'introduzione affermava in modo assai preciso che la liturgia era e do-
veva essere pastorale per sua stessa natura75 , e che i sacramenti erano
per il popolo76 • Per i cambiamenti liturgici proposti, si sarebbe dovuto

68 Esse provenivano infatti da persone che si possono considerare di orientamento


assai conseivatore; vedere F.M. STABILE, Il cardinal Ruffini e il Vaticano II. Le lettere di
un «intransigente», in «CrSt» 11 (1990), pp. 83 176.
69 Ruffini in riferimento a I/1 3, 5·6, dr. AS I/1, p. 364.
70 Godfrey (Westminster), AS I/1, p. 37 4.
71 P. van Lierde (Roma), AS I/1, p. 412.
72 Cfr. Ruffini, AS I/l, p. 364.
73 AS I/1, pp. 428-429. L'intervento si concludeva con l'insidiosa proposta che l'in
tero De liturgia fosse rinviato a una commissione mista tra la dottrinale. la liturgica e
quella per i sacramenti. Se la proposta fosse stata accolta la riforma liturgica sarebbe
stata rinviata sine die e sarebbe rientrata sotto la competenza della commissione di Otta
viani. Se ne avvide tempestivamente il card. Montini, il quale suggerì mediante C. Co
lombo che si proponesse un voto di approvazione generale dello schema, cfr. M. PA
IANO, Genesi storica della costituzione conciliare Sacrosanctum concilium, in corso di pub
blicazione.
74 Tra gli altri, J. de Barros Camara (Rio de Janeiro), W. Godfrey (Westminster).
V. Gracias (Bombay), W. Bekkers (s'Hertogenbosch): AS I/1, pp. 367, 373, 400 401,
441.
7 5 Cfr., per esempio, Léger, AS I/l, p. 371.
76 Léger, AS I/1, p. 371.
142 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

dare priorità a quelli basati su argomenti pastorali piuttosto che storici77 ;


l'eucaristia era considerata per eccellenza la via attraverso la quale la pa-
rola di Cristo e la voce della chiesa avrebbero potuto essere udite78 .
Le discussioni affrontarono il numero 16, che trattava la revisione
dei testi liturgici, revisione che avrebbe dovuto essere operata da parte
di un gruppo internazionale di specialisti in vista di una nuova pubbli-
cazione. Alcuni oratori ritenevano che questo numero richiedesse una
integrazione, in quanto la congregazione dei riti doveva mantenere la re-
visione sotto il proprio controllo79 . Infatti, nel suo discorso del 24 otto-
bre Parente si dolse del modo in cui alcuni oratori si erano riferiti al S.
Uffizio e nello stesso tempo non tralasciò di battezzare coloro che ri-
chiedevano il rinnovamento come «novatores»80 •
Altri insistevano sulla necessità di consultare le conferenze episcopali
a proposito della revisione dei libri liturgici81 , e sulla necessità di mette-
re in pratica rapidamente, per esigenze pastorali, tutte le decisioni adot-
tate in materia82 . Dai territori di missione, che avevano recepito positiva-
mente questa parte del testo poiché veniva incontro ai loro bisogni pa-
storali83, si richiese anche che il gruppo di specialisti che avrebbe dovu-
to realizzare la revisione dei libri liturgici fosse formato da conoscitori
della cultura locale84 . In più, si ritenne che anche persone provenienti
dai territori di missione dovessero far parte in questo gruppo, dato che
essi, più di chiunque altro, conoscevano i bisogni peculiari di quei luo-
ghi. Nella loro prospettiva era vitale integrare ogni particolare cultura
nel patrimonio universale della chiesa; infatti era dovere della chiesa, in
linea con la sua tradizione, integrare la diverse culture nel suo patrimo-
nio universale85 .
Fuochi d'artificio furono ali' ordine del giorno, quando la discussione
pervenne ai numeri 20-22, che conferivano ai vescovi locali e alle confe-

77Godfrey (Westminster), AS 111, p. 374.


78 Léger, AS 111, p. 371.
79 Cfr. Ruffini, Parente, AS 111, pp. 365 e 425.
so AS 111, p. 425.
81 Cfr. mons. W. Bekkers (s'Hertogenbosch), AS 112, p. 387. Il suo contributo è il
perfetto esempio di un intetvento frutto di una larga consultazione e di una profonda ri
flessione all'interno di una particolare conferenza episcopale, in questo caso dei Paesi
Bassi. CTr. le carte Bekkers, Archivi diocesani di s'Hertogenbosch, numeri 375 378.
82 Léger, Vielmo (Cile), D'Agostino (Italia): AS 111, pp. 372, 553, 590.
83 Cfr. per esempio, V. Gracias (Bombay), AS 111, pp. 400 401.
84 Cfr. Ramanantoanina (Madagascar), AS 111, p. 419. Ramanantoanina parlò a
nome dell'intero episcopato africano, compresi i vescovi del Madagascar e delle altre
isole (300 vescovi).
85 Cfr. Ramanantoanina, AS 111, pp. 419 420.
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 143

renze episcopali nazionali una maggiore giurisdizione sull' amministrazio-


ne dei sacramenti, dei sacramentali, sulla lingua della liturgia e via di-
cendo86; per Ruffini era molto chiaro che ciò risultava semplicemente
non appropriato87 . La sola via da seguire era rimanere in linea con la S.
Sede88 .
In contrasto con questi, altri giudicarono positiva la libertà riconosciu-
ta dallo schema, proprio perché conferiva alle conferenze episcopali locali
sufficiente potere per affrontare i loro compiti in maniera adeguata89.
Le discussioni riguardanti l'uso della lingua liturgica erano semplice-
mente senza fine: non meno di 80 interventi affrontarono questa mate-
ria90. Non sarà facile dimenticare che i vescovi africani chiesero la rimo-
zione dello sgradito aggettivo «occidentali» dall'espressione «in liturgia
occidentali», a causa dello stretto legame di questa parola con la cultura
e la storia occidentale; la sua rimozione avrebbe in parte risposto alle
aspirazioni dell'Africa all' emancipazione91 .
Le argomentazioni a favore del mantenimento dell'uso del latino nel-
la liturgia furono numerose e mostrarono preoccupazione e timore,
come nel caso del card. Mclntyre che propose: «Sacra missa debet re-
manere ut est. Graves mutationes in liturgia introducunt graves mutatio-
nes in dogmata»92 . Vi era anche il timore che l'uso delle lingue volgari
potesse mettere a rischio l'unità dei popoli cristiani, unità simboleggiata
dall'unità della liturgia93 : infatti, qualcuno chiese se i padri fossero con-

86 Circa la base teologica di questa tensione, vedere, per esempio, R. ROUQUETTE,


La fin d'une chrétienté. Chroniques, Paris 1968, pp. 236-237.
87 Ruffini trovò insufficiente la restrittiva frase «actis a Sancta Sede recognitis», dal
momento che la giurisdizione in questa materia apparteneva interamente al papa. I ve-
scovi, quindi, non avevano assolutamente alcun diritto di prendere decisioni per conto
proprio, AS I/l, p. 366; cfr. anche card. Browne, AS I/1, p. 377. Il card. Landàzuri Rie
ketts evidenziò i pericoli che una tale libertà avrebbe potuto creare per l'unità del rito,
AS I/l, p. 375.
88 Godfrey (Westminster), AS I/l, p. 374; vedere anche Bacci, AS I/l, p. 410.
89 Cfr. Gracias (Bombay), AS I/l, p. 401.
90 Cfr. AS I/l, p. 285. Per un più ampio panorama della discussione, vedere, per
esempio, A. WENGER, Vatican II. Première session, Paris 1963, pp. 86 89.
91 Cfr. AS I/l, p. 420.
92 Cfr. AS I/l, p. 371. Abbastanza sorprendentemente, si può notare che secondo
Mclntyre sia nei primi tempi, sia nel quarto secolo i concili avevano fissato le dottrine e
i dogmi della chiesa in precise formulazioni in lingua latina! (Cfr. AS I/l, p. 369). Il
card. Spellman era, sotto ogni punto di vista, un entusiasta alleato di questo suo collega
americano, cfr. AS I/l, p. 318.
93 Ruffini, Mclntyre, Bacci, Calewaert (membro della commissione liturgica): AS I/
1, pp. 366, 369, 409 410, 474.
144 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

sci che l'unità della fede presupponeva una liturgia e una lingua94 . Se il
concilio stava per adottare una linea differente, questa non sarebbe an-
data contro la tradizione? 95 L'uso del latino non trascendeva i limiti del-
la nazionalità, così rivelando la neutralità della chiesa sul fronte politico?
Allo stesso modo, fu fatto un riferimento alla superiorità, a livello intel-
lettuale, del latino: nessun'altra lingua poteva costituire un mezzo così
chiaro, preciso e categorico per la formulazione del magistero della chie-
sa96. Continuare nell'uso del latino, in questa materia, avrebbe conserva-
to il senso di mistero della liturgia97 . I sostenitori dell'uso del latino era-
no consapevoli che esso non era compreso da tutti: la soluzione da essi
proposta consisteva nel fornire messali che contenessero una adeguata
traduzione del testo latino 98 . Ma non tutti la considerarono una soluzio-
ne desiderabile. Bacci, per esempio, era dell'opinione che, dato il basso
livello intellettuale di molti fedeli, e dato il pericolo di tentazioni nasco-
ste in certi racconti biblici, non avrebbe avuto senso un impegno per le
traduzioni99 . Anche gli aspetti ecumenici trovarono poca comprensione
all'interno di questo gruppo: alcuni padri fecero esplicito riferimento
alla situazione delle chiese protestanti nelle quali la lingua volgare era
già in uso. Era loro opinione che ciò aveva condotto a una incessante
frammentazione 100 , e che in realtà a fatica tale uso poteva essere consi-
derato un successo, data la bassa frequenza e lo scarso senso di apparte-
nenza che caratterizzavano le chiese protestanti101 • Si rivendicò anche
che, da una prospettiva occidentale ( ! ), l'introduzione del volgare nelle
missioni avrebbe implicato problemi, a causa della molteplicità delle lin-
gue e delle "tribù" in quei territori102 •

94 L'arcivescovo Fares (Catanzaro, Italia), AS I/1, pp. 354-355; cfr. anche Mclntyre,
AS I/1, p. 370.
95 Cfr. il card. Bacci, AS I/1, pp. 408 409. Il cardinale fece notare che l'uso della
lingua volgare nell'eucaristia era già stato condannato nella persona di Rosmini ed era,
inoltre, diametralmente opposto alle decisioni del concilio di Trento, citate nella Media-
tor Dei e nella Veterum sapientia.
96 Mclntyre, AS Il, p. 370.
97 Cfr. Parente, AS I/1, p. 426.
98 Cfr. il card. Spellman, AS I/l, p. 318. Spellman era favorevole ad una maggiore
libertà nell'uso del volgare nell'amministrazione dei sacramenti e fece notare che ciò sta
va già accadendo nella pratica; Dante, AS I/l, p. 331, insistette per limitare l'uso del
volgare alla preghiera e alla catechesi.
99 Bacci, AS I/1, p. 409.
100 Mclntyre, AS I/l, p. 370
101 Godfrey (Westminster), AS 1/1, p. 374.
102 Godfrey (Westminster), AS I/l, p. 373. Godfrey riteneva che la questione do
vesse essere rimessa alle conferenze episcopali.
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 145

Oltre coloro che non avrebbero appoggiato nessun cambiamento,


qualunque esso fosse, vi era anche un gran numero di oratori che chie-
deva invece un uso più esteso del volgare nella liturgia, senza per questo
sminuire l'importanza del latino. Questi padri proposero vari livelli di
uso del volgare, dalla via media103 al completo abbandono del latino.
Furono presentati alcuni significativi argomenti circa la priorità dell'inte-
resse pastorale; in conformità con lo spirito del documento, si ritenne
che l'introduzione del volgare nelle parti della liturgia previste per l' as-
semblea avrebbe portato ad una partecipazione più attiva dei fedeliW 4 •
La maggioranza delle persone, certamente nei territori di missione ma
anche in qualunque altra parte del mondo 105 , non aveva familiarità col
latino106 ; il latino era anche considerato un ostacolo per la vita di pre-
ghiera del clero107 • Per i fedeli delle missioni vi era anche un problema
supplementare, dato che essi non avevano assolutamente nessuna confi-
denza con la lingua latina 108 • Un paese come il Giappone, o addirittura
un intero continente, come nel caso dell'Africa, espressero riserve sulla
continuazione dell'uso del latino. Se non comprendevano il latino le éli-
tes intellettuali, per non parlare delle donne e degli uomini della strada,
non era un grave errore mantenerlo nella liturgia? 109 L'episcopato africa-
no chiese espressamente che fosse accordato alle autorità locali il diritto
non solo di avanzare proposte sull'uso del volgare, ma anche di decide-
re in materia, e che ciò fosse aggiunto come conclusione del numero 24
dello schema110 • Altri interventi sottolinearono che fin dall'antichità la li-
turgia era stata il luogo per eccellenza della catechesi111 e che quanti de-
sideravano dare ai fedeli un ruolo più attivo nella liturgia o volevano
nutrirli con la grazia di Dio mediante la liturgia, dovevano costantemen-

103 Cfr. il card. A. Meyer (Chicago), il vescovo P. Barrachina Estevan, Bekkers! AS


I/1, pp. 411, 584, 442.
104 Vedere, per esempio, Feltin, Ramanantoanina, AS I/l, pp. 369, 420. Anche Bac
ci, p~r coloro che ritenevano inaccettabile l'uso del volgare nell'eucaristia, propose inve
ce di adottarlo per la preghiera, la catechesi, i sacramenti e i sacramentali, AS I/1 p,
410. ,
105 G.J. Descuffi (Smirne) notò, per esempio, che anche la chiesa occidentale si tro
vava in molte realtà in una situazione missionaria, AS I/1, p. 416.
106 Vedere, per esempio, Feltin, Descuffi, AS I/1, pp. 368, 415.
107 Vedere, per esempio, Feltin, AS I/1, p. 369.
108 Feltin, Gracias: AS I/1, pp. 368, 402-403.
109 Cfr. SCHMIDT, La Costituzione... , cit., pp 163-165; «La Croix», 30 ottobre 1962.
1 ~ 0 _«Sit vero confe~entiae episcopalis in singulis regionibus, etiam, si casus ferat,
[ .. .] hm1tes et modum hnguae vernaculae in liturgiam admittendae statuere (invece di
proponere) ... », AS I/1, p. 420.
111 Cfr. Feltin, AS I/l, p. 368.
146 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

te confrontarsi con l'impedimento della lingua112 • A tal proposito, l'arci-


vescovo Descuffi si chiese perché il permesso di usare il volgare nell' am -
ministrazione dei sacramenti, accordato in alcuni territori, non poteva
essere esteso così da includere tutte le nazioni113 • Era un dato di fatto
che la liturgia veniva già celebrata in volgare in molti luoghi, col con-
senso di Roma 114 • Alcuni padri presentarono argomentazioni tratte dalla
storia della chiesa, che conoscevano meglio di altri, in favore della tra-
duzione dei libri liturgici in volgare115 • L'argomento secondo cui l'intro-
duzione del volgare nella liturgia avrebbe messo in pericolo l'unità di
espressione della chiesa, argomento sollevato di frequente, era altrettan-
to frequentemente messo in discussione: l'arcivescovo Koslowiecki osser-
vò che una eccessiva attenzione all'uso della lingua latina nella liturgia
avrebbe potuto offendere le altre lingue liturgiche, aggiungendo che era
possibile essere ottimi cristiani anche senza l'uso del latino nella liturgia;
la vera unità, infatti, stava nella coscienza che siamo tutti membri di un
solo corpo, e non in una questione di lingua116•
Il problema della comprensibilità non era ristretto al rito latino. Il
vescovo armeno Zohrabian mise in evidenza che il suo popolo era diffu-
so in tutto il mondo, e che quella parte che risiedeva fuori dall'Armenia
non comprendeva più la lingua armena; chiese perciò che le conferenze
episcopali nazionali adottassero i provvedimenti necessari per rendere
intelleggibili i testi liturgici grazie a traduzioni117 •
Nel suo discorso in francese del 23 ottobre, il patriarca Maximos IV
Saigh offrì una sintesi degli argomenti portati da quanti sostenevano
l'introduzione del volgare nella liturgia118 • Il patriarca riteneva strano,
nella prospettiva del rito orientale, che chi presiedeva la liturgia usasse
una lingua diversa da quella della propria assemblea liturgica, che era

112 Feltin, AS I/l, p. 368. Secondo Feltin, talvolta ci si avvaleva del latino come
scusa per non prendere sul serio la fede.
113 AS I/l, p. 415.
114 Cfr. Gracias, Descuffi: AS I/l, pp. 402, 415.
l 15 TI card. Tisserant portò esempi dalla storia della chiesa per la discussione, AS I/
1, pp. 399 400. Insieme a quelli del card. Bea, gli esempi di Tisserant furono molto ap
prezzati; cfr. Koslowiecki, arcivescovo di Lusaka, Rhodesia, AS I/l, p. 422.
116 AS I/1, p. 422. Un buon riassunto degli argomenti in favore della lingua nazio
nale si può trovare nell'intervento di L. La Ravoire Morrow, vescovo di Krishanagar (In-
dia), che presentò un'istanza per il volgare, basata su ragioni pastorali ed ecumeniche,
AS I/l, pp. 467-469. F. Simons, vescovo di Indore (India) fece un intervento simile, AS
I/1, pp. 586 587.
11 7 AS I/l, p. 508. TI suo elogio dell'Armenia fu molto apprezzato da Ruffini, che
era presidente di turno in quel giorno, cfr. p. 507.
11s AS I/1, pp. 377-380.
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 147

obbligata a pregare in una lingua che non comprendeva: una chiesa viva
non sa che farsene di una lingua morta. La lingua della c::hiesa, dal mo-
mento che è lo strumento dello Spirito Santo, dovrebbe essere una lin-
gua viva. Propose che l'espressione <<linguae latinae usus in liturgia occi-
dentali servetur» fosse sostituita, per esempio, da «lingua latina est lin-
gua originalis et officialis ritus romani»; inoltre propose che le conferen-
ze episcopali avessero il diritto di definire il limite di utilizzo di una lin-
gua viva nella liturgia. Maximos IV concluse il suo discorso chiedendo
se fosse possibile fornire ai padri conciliari traduzioni simtÙtanee, pro-
prio perché chi proveniva dall'oriente non era obbligato a conoscere il
latino 119.
Nell'ultima parte del suo intervento il patriarca aveva toccato un
punto sensibile; molti vescovi, per i quali il latino non era un mezzo di
comunicazione, non comprendevano cosa veniva detto in concilio. An-
che le questioni procedurali minori venivano seguite solo se le proposte
erano tradotte. Si poteva affermare senza esagerazione che gli osservato-
ri, ai quali era fornita una traduzione, potevano seguire il dibattito mol-
to meglio di molti vescovi.
A causa del numero di ripetizioni, il dibattito sull'introduzione e il I
capitolo poté essere concluso solo il 27 ottobre: ancora 7 capitoli aspet-
tavano di essere affrontati.
Durante questo dibattito, la commissione continuò i propri lavori,
ma, come fu sottolineato in modo pertinente da Lercaro il 23 ottobre,
senza avere la sicurezza che fosse giusto iniziare la discussione di uno
schema, che non aveva ancora ricevuto nel suo insieme l'approvazione
del concilio. Larraona replicò dicendo che, essendo cominciata la di-
scussione sull'introduzione e sul capitolo I, lo schema era stato de facto
accettato. In altre parole, la commissione poteva cominciare il proprio
lavoro. Il resto della seduta fu impiegato per discutere il modo in cui la
commissione doveva operare, in conformità con i regolamenti concilia-
ri120.
Nella riunione del 26 ottobre Larraona annunciò che aveva formato
una sottocommissione teologica, diretta da R. Gagnebet121 • La maggio-
ranza dei membri della sottocommissione erano dogmatici, tutti di pro-

119 Cfr. AS I/1, pp. 377 379.


12 0 Poiché gli argomenti discussi in questa riunione trovano spazio nella Ratio pro-
cedendi di Martimort, non ne trattiamo qui.
121 Non tutti erano egnalmente entusiasti dell'inclusione di Gagnebet nella commis
sione; cfr. la lettera di Jenny a Delhaye, datata 2 novembre 1962: «Et à la commission,
on nous a mis Gagnebet et Masi comme experts: on a peur de style trop "biblique", pas
assez scholastique» (F Delhaye, n. 161, CLG).
148 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

venienza romana. Oltre a Gagnebet, furono nominati anche Masi e van


den Eynde, e poi la commissione fu rafforzata con Vagaggini e Marti-
mort. Era evidente dietro la mossa di Larraona la volontà di evitare la
formazione di una commissione mista122• Come vedremo poi, furono isti-
tuite in totale 13 sottocommissioni, ognuna formata da undici membri.
Appare chiaro che i membri della commissione non erano ancora si-
curi del modo in cui avrebbero dovuto procedere. Questo risulta, per
esempio, dalla discussione sulle conferenze episcopali: mentre Larraona
era dell'opinione che queste non fossero definite in modo chiaro a livello
giuridico, Martimort notò che, in effetti, esse esistevano già nella giuri-
sprudenza. Larraona, evasivamente, replicò che quello non era il luogo
adatto per trattare di leggi, mentre Wagner ribatté che la cornmissione
avrebbe dovuto formulare un testo che, comunque, chiamava in causa le
conferenze 123 • Il giorno seguente Martimort mise sul tavolo il documento
della commissione ad hoc, che delineava la procedura di lavoro. La pri-
ma parte trattava della struttura della commissione e includeva, tra l'al-
tro, la definizione dello specifico compito della commissione e le compe-
tenze del presidente e del segretario124 • Il testo discuteva anche il ruolo
del relatore e la possibilità di formare sottocommissioni. La seconda par-
te spiegava il modo in cui la commissione avrebbe dovuto organizzare i
lavori. Parlando in generale, 1a commissione doveva procedere nella di-
scussione degli emendamenti e delle osservazioni dei padri sulla base di
una relazione. Ogni membro aveva il diritto di contribuire alla discussio-
ne, che si sarebbe conclusa con una votazione. Il testo corretto sarebbe
stato poi presentato alla congregazione generale, durante la quale il rela-
tore avrebbe spiegato i criteri seguiti dalla commissione per le correzioni.
Dopo un voto nella congregazione generale, le modifiche approvate sa-
rebbero state incluse nel testo e quelle rigettate sarebbero tornate alla
commissione, e l'intera procedura si sarebbe ripetuta ancora una volta.
La stessa procedura doveva essere seguita per i modt125 • A quanto pare il
testo di Martimort fu approvato senza ulteriori difficoltà126• La commis-

122Cfr. le risposte sottoposte a Jenny, che si riferiscono al fatto che nell'aula si par
lò della istituzione di una commissio mixta, F Jenny, scatola 8 (CNPL).
123 CTr. F-Jenny, scatola 8 (CNPL).
124 Infatti il documento descriveva semplicemente argomenti che erano de facto già
operanti; Jenny notò con acutezza a margine della pagina 2, che la commissione non
aveva ancora fatto nulla! F-Jenny, scatola 8 (CNPL).
125 F Jenny, scatola 8 (CNPL).
126 Ciò si può dedurre dal minimo numero di note sulla copia del documento di
mons. Jenny, F-Jenny, scatola 8 (CNPL). Sembra che sia stato dedicato più tempo al
modo in cui trattare i testi provenienti dall'esterno; cfr. le note scritte a p. 3 della copia
di Jenny. _
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 149

sione aveva un proprio regolamento, ma non aveva lavoro, a causa delle


prolungate discussioni sull'uso del volgare nella liturgia o sullo status
giuridico delle conferenze episcopali.

4. Comunione sotto le due specie e concelebrazione

Il 29 ottobre127 , dopo aver dato lettura all'assemblea della risposta


del papa a un telegramma inviatogli dai padri conciliari128 , quella che
doveva essere una prolissa129 discussione sul capitolo II: Il mistero della
santa eucaristia, prese una strada sotterranea. Nel dibattito su questo ca-
pitolo fecero la parte del leone la comunione sotto le due specie (n. 42
dello schema) e la concelebrazione (nn. 44-46) 130 :
Come era ormai normale, la discussione fu aperta da alcuni «pesi
massimi», vale a dire Spellman, Ruffini e Léger. Spellman protestò im-
mediatamente contro il proposito di rivedere la struttura della messa
formulata nel numero 37: a suo parere questa formulazione avrebbe
aperto la porta ad ogni tipo di innovazioni131 . Il giorno seguente Otta-
viani ritornò a tale paragrafo che egli considerava fin troppo vago132:
con smarrimento si chiese se i padri non volessero progettare una rivo-
luzione133. A suo parere, il proposito di rivedere la struttura della messa,
nel suo insieme come nelle singole parti, doveva essere ritirato dallo
schema. Il fedele, che aveva acquisito familiarità con la struttura dell' eu-
caristia grazie al movimento liturgico, sarebbe altrimenti stato indotto a

127 All'inizio della riunione Felici annunciò i nomi di coloro che il papa aveva desi-
gnato come membri delle varie commissioni.
128 AS I/1, p. 597.
129 Le animadversiones in schema constitutionù De sacra liturgia. Caput II. De sacro-
sancto Euchan'stiae Mysterio consistevano in 218 pagine ciclostilate· cfr. F van den Eynde
(CCV). '
130 La richiesta di Felici, che pregava i padri di non ripetere quanto già detto in ri
ferimento alla lingua latina, chiari che stava aumentando l'impazienza della presidenza
per la lentezza delle discussioni; cfr. AS I/1, p. 563.
, ~31 .«Hoc viam latam aperire videri omni generi innovationum», AS III, p. 598. Si
puo Incidentalmente notare che un numero significativo di oratori espresse riserve circa
l'introduzione di questo capitolo. Alcuni notarono che il carattere sacrificale dell' eucari-
stia. ~o.n era stato sottolin~ato a sufficienza, mentre altri lamentarono una poco chiara
defm1z1on~ delle due parti della messa, liturgia della parola e liturgia eucaristica. Altri
ancora obiettarono che la distinzione tra sacramento e sacrificio non era stata sufficien-
temente elaborata; cfr., per esempio, Bea, Br_owne, Florit, ,T rinidade Salgueiro: AS I/2,
pp. 22, 26-27, 28, 39. .
13 2 Il card. Bea fece la stessa osservazione, AS I/2, p. 22.
133 «Nùnc, num revolutio quaedam fieri vult de tota Missa?», AS I/2, p. 18.
150 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

confondersi134• Il cardinale aveva così tanti dubbi anche sull'intero capi-


tolo, che superò il tempo concesso e dovette essere interrotto dal card.
Alfrink che quel giorno presiedeva, affiancato da Villot. L'interruzione
di Alfrink e l'imponente applauso che seguì lasciarono Ottaviani così fu-
rente che non si fece vedere alle congregazioni generali per due intere
settimane135 • Mentre Ottaviani aveva portato scompiglio, il precedente
intervento del card. Gracias di Bombay aveva fatto una profonda im-
pressione sui padri: egli aveva espresso la preoccupazione sua e di altri
71 suoi colleghi per la situazione politica del suo paese, e si era chiesto
se i vescovi non avrebbero dovuto essere con la loro gente in quel mo-
mento, in cui l'India era sotto la minaccia di una invasione cinese136 •
Sebbene Spellman e Ottaviani avessero espresso un numero signifi-
cativo di riserve137 , va detto che il rilievo dato dallo schema alla parteci-
pazione attiva dei fedeli fu, nel complesso, piuttosto ben recepito 138 . Il
processo di rinnovamento era già ben radicato, in parte sotto l'impulso
di Roma, e doveva continuare in conformità con i desideri del papa139 •
Questo processo era assolutamente necessario se la chiesa doveva fare
appello ai giovani attraverso la liturgia140 • Rusch (Innsbruck) citò la pro-

134 Ibidem.
135 Cfr. AS I/2, p. 20; era una pratica normale interrompere gli oratori che avevano
superato il loro tempo, ma Ottaviani, per la sua posizione, non era un oratore normale;
dr. CAVATERRA, p. 70.
136 Cfr. AS I/2, p. 13. Nello stesso giorno, per puro caso, un vescovo cinese doveva
chiedere l'inclusione di S. Giuseppe nella preghiera eucaristica, dr. AS I/2, p. 31.
137 Comunque, Spellman e Ottaviani non erano i soli ad essere convinti che la
struttura della messa non dovesse essere modificata, e che la partecipazione attiva dei fe-
deli avrebbe solo portato confusione. Cfr. rarcivescovo A. Fares (Catanzaro, Italia) che
fece appello al concilio di Trento, AS I/2, p. 116. L'ignoranza dei vescovi sui fatti assu-
me talvolta dimensioni scioccanti: secondo mons. C. Saboia Bandeira de Mello (Palmas,
Brasile), per esempio, il rito romano risaliva allo stesso Pietro, e questa era una delle ra
gioni per cui non doveva essere modificato (AS I/2, p. 117).
13 8 Un apprezzamento di questo fatto fu espresso in modo intelligente dall'arcive-
scovo F. Melendro il 30 ottobre, AS I/2, pp. 30 31.
139 Cfr., a questo proposito, il ben documentato intervento di Laszl6, AS I/2, pp.
112-113; il 31 ottobre Elchinger notò sottilmente, in riferimento alla cosiddetta «rivolu-
zione», che se la Declaratio sul numero 3 7 fosse stata aggiunta al testo, invece di essere
eliminata, si sarebbe evitato tutta questa grande inutile agitazione: «Haec declaratio ete
nim nobis proponit non revolutionem sed tantum evolutionem evolutionem pastora-
lem et quidem sanam et prudentem», AS I/2, p. 80; dr. anche rintervento di Jenny
del 5 novembre, AS I/2, pp. 121 122, che fu, perfino nella scelta delle parole, un attac-
co frontale al discorso di Ottaviani del 30 ottobre.
140 Cfr. Elchinger, AS I/2, pp. 80 81.
IL DIBATIITO SULLA LITURGIA 151

pria esperienza personale, testimoniando quanto frutto aveva portato il


permesso, accordato nel 1942, per l'uso della «messa dialogata» e delle
letture in lingua volgare141 .
Si dimostrò molto interesse per l'omelia, trattata al numero 3 9 dello
schema142 . Quasi tutti ritennero che dovesse essere non solo raccoman-
data, come una parte significativa della liturgia, ma prescritta143 , special-
mente nelle domeniche e nei giorni festivi 144 . Qualcuno notò che, in un
clima di crescente ignoranza145, l'omelia era il momento per eccellenza
per l'istruzione del popolo 146 . Le discussioni non si limitarono all'omelia
come tale, ma si concentrarono anche sul suo contenuto: predicare do-
veva essere sistematicamente e teologicamente fondato 147 . Erano pochi, e
su posizioni lontane tra loro, coloro che ritenevano che l'omelia dovesse
essere breve per ragioni pratiche148 o che il suo uso, per quanto racco-
mandato, dovesse essere ridotto nelle regioni afflitte da mancanza di sa-
cerdoti149.
Relativamente pochi oratori si sentirono di intervenire sull' argomen-
to della preghiera dei fedeli; per questo motivo l'intervento di Pildain
del 6 novembre, nel quale esaminò la questione nella sua interezza e
fece un appello assai motivato e caldo per una preghiera a nome dei po-
veri, fu il piu notevole di tutti150 .
La discussione sull'uso della lingua volgare in alcune parti della mes-
sa, sollevò ancora una volta la spinosa questione della lingua. Sebbene

141 AS I/2, p. 35.


142 Almeno 34 vescovi trovarono necessario intervenire su questo punto, Anima
dversiones ... Caput lI, pp. 98-110. A giudicare dal notevole numero di ripetizioni, alcuni
dei padri erano chiaramente determinati a rimanere fedeli al testo da loro preparato.
143 Cfr. Bea, Florit, A. Fernandes (vescovo ausiliare di New Delhi, India): AS I/2,
pp. 23, 28, 45.
144 Su questo punto si può notare che le varie «tendenze» mostravano ognuna il
loro particolare accento; cfr., per esempio, Spellman, AS I/1, p. 599; F. Jop (che inter
venne piuttosto come giurista), J.C. Aramburu (Tucumàn, Argentina; contro la comunio
ne sotto le due specie), C. Himmer (Tournai, Belgio), A. Gianfranceschi (Cesena, Italia):
AS I/2, pp. 60 61, 89, 92, 228.
145 Uno tra i tanti, cfr. F. Tortora (Santa Lucia del Mela, Italia), AS I/2, p. 277.
14 6 Cfr. A. Franco Cascon (San Cristobal, Venezuela), AS V2, p. 224.
147 Helmsing, AS 1/2, p. 46.
148 Cfr. Godfrey, AS I/2, p. 10.
149 Cfr. A. Rage, superiore generale dei Basiliani di S. Giovanni Battista, AS V2,
pp. 231 232.
150 Cfr. AS I/2, pp. 157 158. L'intervento di Pildain durante il dibattito sulla litur-
gia consistette in una suppJica a nome dei poveri nella chiesa. Abbastanza stranamente,
tuttavia, provocò poche reazioni tra i commentatori del tempo.
152 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

gli elementi nuovi fossero scarsi151 , merita una menzione speciale l'inter-
vento del 31 ottobre dell'arcivescovo Hallinan (Atlanta), che parlò a
nome di un significativo numero di vescovi statunitensi. Hallinan non
portò nessun elemento realmente nuovo nella discussione, ma il suo in-
tervento fu importante perché diede un'indicazione all'assemblea: figure
come Spellman e Mclntyre non avevano parlato per l'intera chiesa ame-
ricana e, infatti, un cospicuo numero di padri degli Stati Uniti non era
d'accordo con loro 152 •
Come già abbiamo notato, grande attenzione fu tributata alla comu-
nione sotto le due specie153 • I favorevoli presentarono vari argomenti.
Secondo Alfrink la comunione sotto entrambe le specie era propriamen-
te biblica, dato che il mangiare ed il bere appartengono alla vera essen-
za della cena 154 • Il Signore stesso l'aveva comandato e in ambito evange-
lico e apostolico quella era stata una prassi normale. La chiesa primitiva
aveva rispettato questa tradizione 155 ·e nella più recente storia della chie-
sa si avevano sufficienti esempi del permanere di tale pratica in alcune
chiese, anche dopo Trento 156 • Nelle chiese di rito orientale la comunione
sotto entrambe le specie rimaneva a tutt'oggi la norma157 e la sua ripresa
in Occidente avrebbe perciò favorito l' ecumenismo 158 • Certamente i so-
stenitori della reintroduzione della comunione sotto le due specie non
erano ciechi di fronte ai possibili problemi pratici che questo avrebbe
potuto comportare e erano consapevoli che in circostanze in cui la gen-
te fosse stata troppo numerosa una tale pratica avrebbe potuto essere
impossibile, ma ritenevano che tali difficoltà non potessero costituire un
ostacolo di principio.

151 CTr. G. Dwyer (Leeds, Inghilterra); Mclntyre (contro l'uso della lingua naziona
le), AS I/2, pp. 38, 108. Da mons. Zauner venne un notevole intervento di apprezza
mento del lavoro fatto dalla commissione preparatoria sulla liturgia, con un appello per
l'introduzione della lingua nazionale basato sulla propria esperienza personale, AS I/2,
pp. 151 152.
152 Cfr. AS I/2, pp. 75 76; vedere anche T.J. SHELLEY, Paul]. Hallinan. First Arch-
bishop o/ Atlanta, Wilmington, 1989, pp. 167 168.
153 Più di 60 interventi toccarono questo punto in discussione: cfr. Animadversio-
nes... Caput II, pp. 139 172; 44 padri erano favorevoli a concedere il permesso per la
comunione sotto le due specie, sebbene vada notato che 11 di essi avevano scarsa sim
patia per l'idea di estendere il permesso al laicato; cfr., per esempio, Iglesias Navarri
(Urgel, Spagna), AS I/2, pp. 62-63.
154 AS I/2, pp. 16 17.
155 Edelby, AS I/2, pp. 85-86.
156 Bea, AS I/2, pp. 23-24.
157 Edelby, AS I/2, p. 85.
158 Cfr. Alfrink, Bea, Weber: AS I/2, pp. 17, 24-25, 79 80.
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 153

Gli argomenti opposti, in parte teologici in parte pratici, furono la


prova della creatività degli oppositori. Prima di tutto fu notato che se il
concilio avesse acconsentito alla richiesta della comunione sotto le due
specie sarebbe andato contro una tradizione di molti secoli; e in più,
contro il concilio di Costanza, contro la bolla di Leone X che condan-
nava Lutero e, da ultimo, contro le definizioni del concilio di Trento159 •
Ruffini evidenziò, inoltre, che qualsiasi decisione di cambiamenti in ma-
teria non spettava ai padri conciliari, ma piuttosto al papa160• Il card.
Godfrey, consapevole della presenza della chiesa anglicana nel suo pae-
se, riteneva che l'introduzione della comunione sotto le due specie po-
tesse dare l'impressione che la chiesa avesse sbagliato nel passato161 • Ot-
taviani fece notare, per di più, che sarebbe stato difficile introdurre que-
sta pratica, dal momento che la proposta era già stata quasi unanime-
mente respinta dalla commissione centrale162 • La comunione sotto le due
specie, si riteneva, sarebbe stata pericolosa da amministrare e forse an-
che non igienica163 , specialmente in un momento in cui era di moda il
rossetto164 ; altri notarono che i padri non avevano tenuto sufficientemen-
te conto del fatto che era molto difficile disporre del vino in certe parti
del mondo 165 • Cosa sarebbe accaduto là dove la gente non beveva
vino166, e quanto vino sarebbe stato necessario nel caso in cui grandi fol-
le avessero dovuto comunicarsi? 167 Questa pratica, qualcuno obiettò,
avrebbe senza dubbio allungato i tempi della messa168•
All'inizio della seduta del 29 ottobre il card. Léger era intervenuto a
favore dell'introduzione dell'argomento della concelebrazione: il suo di-
scorso, fu in primis una richiesta di reintrodurre gli elementi positivi in
favore della concelebrazione, presenti nello schema originario169 •

159 Cfr. il card. Ruffini, AS I/1, pp. 600 601; il card. Bea si oppose a questo argo
mento il 30 ottobre con un richiamo ad alcune concessioni accordate dal papa a molte
province tedesche nel 1564, AS I/1, pp. 23 24.
l60 Ibidem. Qualcuno potrebbe chiedersi allora perché i vescovi fossero a Roma.
161 AS I/2, p. 11.
162 AS I/2, p. 20.
163 Cfr., per esempio, Ruffini, AS I/l, p. 601; Gracias, AS I/2, p. 12.
164 Godfrey, AS I/2, p. 11.
165 Il card. Gracias notò anche che in India bere vino era illegale, AS I/2, p. 13.
166 Godfrey, AS I/2, p. 11.
167 Godfrey, McQuaid (a nome dei vescovi irlandesi): AS I/2, pp. 11, 44.
168 Godfrey, AS I/2, pp. 10 11.
169 C Helmsing (Kansas City), per esempio, era della stessa opinione, AS I/2, p.
45. La posizione di Léger era appoggiata anche da S. Kleiner, abate generale dei Cister-
censi, che parlò a nome dei suoi colleghi abati, AS I/2, p. 47; cfr. anche Ramanantoani
na (a nome dei vescovi africani), AS I/2, p. 267.
154 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

Nei giorni seguenti fu ripetutamente elogiata la rivalutazione della


concelebrazione; in un notevole intervento mons. Elchinger sottolineò
che nella Mediator Dei il papa aveva dato una giustificazione teologica
alla pratica della concelebrazione, che nella chiesa orientale era la nor-
ma170. L'arcivescovo maronita J. Khoury (Libano) espresse il suo apprez-
zamento per il fatto che il concilio desiderava promuovere la concelebra-
zione; dichiarò tuttavia il suo dispiacere perché il testo era molto limitan-
te, e aggiunse che, da una prospettiva teologica e storica, questa maniera
di celebrare l'eucaristia era da preferirsi171 . Anche le comunità monasti-
che volevano una rivalutazione della concelebrazione172 ; parlando a nome
di 262 vescovi, J. van Cauwelaert (lnongo, Zaire) concluse sottolineando
che, nelle culture in cui la comunità era un aspetto importante, la conce-
lebrazione era assai stimata come concreta espressione di unità173 .
Com'è ovvio, nella discussione non mancavano voci critiche. Ruffini,
per esempio, si aggrappò subito alla regola <<Ull sacerdote una messa» e
propose che qualora fosse impossibile la messa quotidiana a causa della
sovrabbondanza di sacerdoti, la messa fosse celebrata ogni due giorni174 .
Si obiettò anche che una eccessiva enfasi sulla concelebrazione poteva
dare l'impressione che la messa privata fosse in qualche modo inferiore 175 .
Le critiche si appuntarono, allo stesso tempo, sul problema delle offerte:
se un fedele destinava un'offerta per una messa faceva ciò per motivi per-
sonali e si aspettava che la messa fosse celebrata da un solo sacerdote176 •
Dal momento che molti padri si erano lamentati perché il testo in
discussione era stato alterato, il card. Confalonieri si sentì obbligato ad
intervenire il 5 novembre con una dichiarazione ufficiale in materia, per
smentire le proteste e le voci. Sottolineò che la commissione centrale
aveva adempiuto, in conformità al motu proprio Superno Dei nutu (5
giugno 1960) 177, i propri doveri, che, infatti, erano stati confermati dal

110AS 112, p. 82.


171 AS 112, p. 83 85; l'arcivescovo melchita Edelby dopo Khoury espresse il proprio
completo accordo con il collega maronita, ibidem.
172 Cfr. B. Gut, abate primate O.S.B., che parlò a nome dell'intera famiglia dei Be
nedettini, AS 112, p. 127.
173 Cfr. AS 112, pp. 94 95.
174 AS 111, p. 601.
175 Ottaviani, AS 112, p. 20.
l76 Godfrey, AS 112, p. 11. Ottaviani notò assai cinicamente che se il clero avesse
considerato le implicazioni finanziarie della concelebrazione, il desiderio di essa sarebbe
scomparso in fretta, AS 112, p. 20.
177 Cfr. AD 111, pp. 93 98; «DC» 52 (1960), pp. 433 437; «DC» 57 (1960), pp.
706-710.
IL DIBAITITO SULLA LITURGIA 155

papa e approvati nelle Normae del settembre 1961 178 • Secondo Confalo-
nieri lo schema, così come era stato trasmesso ai padri conciliari secon-
do i desideri del papa, era il risultato delle osservazioni fatte dalla com-
missione centrale, insieme con le risposte della commissione liturgica
preparatoria a quelle osservazioni. Dove erano presenti discrepanze tra
le osservazioni e le risposte, la sottocommissione aveva preso una deci-
sione autonoma sulla base di argomentazioni motivate e solo dopo at-
tenta considerazione delle risposte ricevute. Oggetto della discussione
erano gli schemi ora sul tavolo, non i testi precedenti179 .
Lentamente ma inesorabilmente la noia e la fatica cominciarono a
pesare: i vescovi e i periti stavano trovando la strada verso il caffè con
sempre maggiore velocità e frequenza. Fortunatamente il papa interven-
ne il 6 novembre e accordò alla presidenza la facoltà di concludere la
discussione di un particolare capitolo, nel caso in cui la materia avesse
già ricevuto sufficiente trattazione. Il messaggio del papa arrivò alle 10
del mattino, e il dibattito fu immediatamente concluso!
Nel frattempo i lavori della commissione, che non aveva in effetti an-
cora iniziato a discutere il testo vero e proprio, proseguirono balbettant~
gradualmente affiorò l'impressione che alcuni stessero tentando di perde-
re tempo. Per di più, la nomina papale di Dante il 29 ottobre fornì a Lar-
raona un collaboratore per le sue tattiche ostruzionistiche. Sembra che lo
stesso Larraona fosse molto confuso e senza un metodo di lavoro180 • Alla
luce del fatto che la discussione sull'introduzione del capitolo I si era
protratta fino al 29 ottobre e che la segreteria non era ancora pronta per
le osservazioni, previste per la riunione programmata per il 31 ottobre181 ,
non fu possibile cominciare i lavori prima del 5 novembre alle ore 17 182 ,
sulla base di un dossier disponibile il 3 novembre 183 . In quel giorno i
membri della commissione i;_icevettero gli interventi dei padri sull'intero
schema e sull'introduzione. E evidente che in quello stesso giorno prose-

178 AD II/1, pp. 424 425.


179 Cfr. AS 112, pp. 106 108; cfr. anche BUGNINI, La nforma ... , cit., pp. 37-38.
180 Jenny si lamentò di questo con gli amici fin dal 26 ottobre; cfr. JCng, p. 98.
18l Vedere la lettera di Antonelli ai membri della commissione datata 30 ottobre; F
C. De Clercq (CCV).
182 Andrebbe sottolineato, tuttavia, che il segretario Antonelli, i suoi assistenti e un
convento di suore francescane avevano svolto una gran mole di lavoro fino a quel mo
mento. In un breve periodo di tempo avevano dattilografato gli interventi, ne avevano
fatto copie, e le avevano fornite alla commissione per un ammontare di 12 volumi. Du
rante la riunione del 5 novembre erano disponibili gli interventi sul capitolo I.
183 TI dossier includeva gli interventi sullo schema nel suo complesso e sull'introdu
zione. Vedere la lettera di Antonelli ai membri della commissione; F C. De Clercq
(CCV).
156 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

guirono formando le sottocommissioni. Furono istituite in tutto 13 sotto-


commissioni, 3 delle quali si occuparono di questioni generali: una teolo-
gica, una giuridica e la terza incaricata di esaminare i commenti generali.
La sottocommissione giuridica, che, come quella teologica, aveva un ruo-
lo consultivo nei confronti delle altre sottocommissioni, era presieduta da
E. Bonet184 • Il card. Lercaro presiedeva la sottocommissione che si occu-
pava dei commenti generali185• Gli otto capitoli dello schema furono affi-
dati alle altre sottocommissioni, di modo che, mentre il primo capitolo
veniva trattato da non meno di tre sottocommissioni, ognuno degli altri
capitoli fu affidato ad una sottocommissione186•
La sottocommissione Lercaro, che doveva occuparsi dei commenti
generali, si riunì il 6 novembre alle 16,30 alla Domus Mariae; lavorando
fino alle 19 ,45 fu in grado di preparare una relazione da presentare alla
commissione il giorno seguente187 • I cinque membri erano dell'idea che

184 Questa sottocommissione comprendeva anche F. McManus, A. Stickler, C. De


Clercq e J. Fohl.
185 Gli altri membri erano A. Pichler, N. Ferraro, J. Wagner e A. Bugnini.
l86 La quarta sottocommissione, sotto la guida di A. Martin (assistito da H. Rau, P.
Salmon, M. Righetti e A. Dirks), esaminò i commenti all introduzione e al capitolo I, 1-
1

9. La quinta sottocommissione, presieduta da F. Grimshaw (assistito da J. Malula, C.


Egger, H. Cecchetti e J. Nabuco), si occupò dei commenti al capitolo I, 10 15.32 36. La
sesta sottocommissione, guidata da C. Calewaert, trattò i numeri da 16 a 31 dello stesso
primo capitolo (con la collaborazione di B. Fey Schneider, A.G. Martimort, A. Stickler,
G. Martinez de Antoiiana). Il capitolo II sul mistero dell eucaristia fu oggetto di studio
1

della settima sottocommissione, con J. Enciso al timone (membri: H. Jenny, J. Jung


mann, J. 0 1Connel, D. van den Eynde). Il capitolo III su sacramenti e sacramentali fu
affidato all'ottava sottocommissione, guidata da P. Hallinan (assisitito da F. J op, R.
Masi, F. McManus, C. Vagaggini). Il capitolo IV sull1ufficio divino competeva alla nona
sottocommissione, guidata da A. Albareda (membri: W. Bekkers, P. Salmon, C. Egger,
P.A. Frutaz). L anno liturgico, argomento del capitolo V, fu studiato dalla decima sotto
1

commissione, sotto la guida di F. Zauner (assistito da P. Schweiger, H. Cecchetti, J.


Wagner e C. De Clercq). Il capitolo VI sulle suppellectilia fu sottoposto all1undicesima
sottocommissione, presieduta da O. Spiilbeck. Spiilbeck era abbastanza scontento della
sua nomina a presidente e durante la seduta del 7 novembre fece notare piuttosto bru-
scamente che aveva da fare cose più importanti che discutere questo particolare argo
mento (cfr. F Jenny, scatola 8, CNPL). Membri della sottocommissione erano R. Ma-
snou, N. Ferraro, A. Bugnini e A. Dirks. Il capitolo VII sulla musica sacra fu affidato a
C. D Amato che presiedeva la dodicesima sottocommissione (assistito da J. Prou, H. An
1

glès, J. Overath e J. Wagner). Infine, la tredicesima sottocommissione si occupò del ca-


pitolo VIII sull arte sacra, sotto la guida di C. Rossi (membri: W. Van Bekkum, M. Ri
1

ghetti, P.A. Frutaz e J. Wagner). Si deve notare, a questo punto, che le sottocommissio
ni dalla nona alla tredicesima non si riunirono durante il primo periodo.
187 Cfr. Relatio exhibita a 1I I subcommirsione circa animadversiones genera/es tn
schema constitutionir de s. liturgia, 3 pagine; F van den Eynde (CCV).
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 157

la nota iniziale del testo dovesse essere eliminata188; ritenevano anche


che si dovesse acconsentire alla richiesta dei padri di includere nel testo
le Declaratt'one s esplicative. Circa il coordinamento del materiale oggetto
di discussione nelle altre commissioni, si seguf il consiglio della sotto-
commissione giuridica: distribuzione di tutti gli schemi ai padri; coordi-
namento, da parte della presidenza del concilio, degli schemi che si so-
vrapponevano; contatti informali tra le commissioni, come quelle per le
chiese orientali, le missioni o il segretariato per l'unità dei cristiani. Nel-
lo stesso tempo, la sottocommissione Lercaro propose che, data la diver-
sità delle opinioni dei padri189 , si votasse il testo esistente. Inoltre non
concordava con la proposta di inserire i principi liturgici, ritenendo che
il testo li esprimesse già con chiarezza sufficiente. Circa la richiesta di
una revisione teologica del testo, si ritenne che questa dovesse essere af-
fidata alla sottocommissione teologica. Sulla questione delle conferenze
episcopali la sottocommissione propose che queste fossero intese come
«coetus episcoporum totius nationis»190 • In altre parole, la sottocommis-
sione riteneva che si dovesse rispettare il giudizio largamente positivo
sullo schema, che fossero seriamente prese in considerazione le proteste
dei padri circa la nota iniziale e le declaratt'ones scomparse, che ogni cri-
tica sulla teologia dello schema dovesse essere trattata all'interno della
commissione, e che, interpretando le conferenze episcopali come assem-
blee di vescovi all'interno di un dato paese, le riserve espresse circa il
loro status giuridico sarebbero state superate.
Dalla discussione fu chiaro che era stato molto enfatizzato il diritto
dei padri ad avere a disposizione le Declaratt'ones. Le sottocommissioni
teologica e giuridica191 sostennero questa posizione, sebbene Larraona
continuasse ad esprimere riserve.

188 Lo Schema constitutionir De sacra liturgia, in Schemata constitutionum et decreto


rum ex quibus argumenta in Concilio disceptanda seligentur, Città del Vaticano 1962, p.
155. Si tratta della nota che limitava lo scopo della costituzione alle sole proposte, de
mandando l'esecuzione alla S. Sede: AS I/1, p. 263. Lo stesso consiglio pervenne dalla
commissione giuridica che si riunì lo stesso 6 novembre, sebbene poco prima (alle
15.30) e questa volta nel palazzo della congregazione dei riti; cfr. la relazione di E. Bon
net, p. l; F van den Eynde (CCV).
189 Alcuni trovarono il testo troppo lungo, altri troppo breve, altri ancora eccellen
te; cfr. Relatio ... , cit., p. 2.
190 Alcuni punti minori furono trattati dopo questo; cfr. Relatio ... , cit., p. 3.
191 Cfr. le relazioni di Gagnebet, p. 1 e di Bonnet, p. 2: F van den Eynde (CCV).
158 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

5. Sacramenti e sacramentali

Evidentemente, il permesso accordato dal papa stava cominciando a


dare i suoi effetti: le discussioni sul capitolo III, relativamente lungo,
che trattava i sacramenti e i sacramentali, richiesero meno di due giorni
(6-7 novembre)1 92 • Quarantuno padri preseFo la parola193 , ma alcuni che
desideravano parlare rinunciarono a farlo. E chiaro che, da quando Feli-
ci aveva annunciato, il 7 novembre, che i capitoli V e VIII sarebbero
stati discussi insieme, anche la presidenza si era disposta a velocizzare i
lavori194 • Le discussioni su questo capitolo destarono poco interesse, sal-
vo forse per il rito della confermazione e l'unzione degli infermi a pro-
posito delle quali era evidente una reale differenza di opinioni. I restanti
interventi, alcuni dei quali pieni di elogi195 , si limitarono a richiedere un
titolo più preciso per il capitolo196 o una più attenta formulazione di
questo o quel paragrafo. Alcuni richiesero una distinzione più chiara tra
sacramenti e sacramentali 197 • In una prospettiva pastorale, altri chiesero
che ogni revisione dei riti fosse breve e ben mirata, e che le dimensioni
sociali di tali riti non fossero trascurate. Inoltre, alcuni proposero di in-
trodurre una distinzione tra riti per gli adulti e riti per i bambini198• In-
fine, alcuni padri ammonirono che, nel caso di ogni cambiamento, si
doveva mantenere la necessaria prudenza199 •
L'intervento di D'Souza (Nagpur, India), nel quale chiese di precisa-

192 Andrebbe notato che il card. Tappouni, che presiedette le discussioni del 6 no
vembre, prese saldamente le redini dei lavori e talvolta furono interrotti abbastanza bru
scarnente alcuni interessanti oratori: cf r. AS I/2, pp. 190 192.
193 Molti di coloro che intervennero lo fecero a nome dei loro colleghi: Hengsbach
(Essen); Ali Lebrùn Moratinos (Valencia, Venezuela); Botero Salazar (Medellin, Colom
bia); A. Djajasepoetra (Djakarta, Indonesia); Bekkers (Hertogenbosch, Paesi Bassi); Ma-
lula (LeopoldviJle, Zaire); Romo Gutierrez (Torreòn, Mexico).
194 CTr. AS I/2, p. 291. .
195 Cfr. Bekkers, mons. H. Sansierra (vescovo ausiliare di San Juan de Cuyo, Ar
gentina), mons. J. Sibomana (Ruhengeri, Rwanda, che innanzitutto si compiaceva per il
fatto che il numero 49 dava il permesso di introdurre elementi locali nel rito deJla ini
ziazione), mons. J. Malula (Leopoldville): AS I/2, pp. 313, 302, 309, 323.
196 Cfr. gJi interventi di mons. Bekkers e di mons. Jager, AS I/2, pp. 314, 369; en
tram bi evidenziarono giustamente che il sacramento dell'eucaristia era già stato trattato
nel capitolo II e che il titolo del capitolo III avrebbe dovuto quindi essere De ceteris sa-
cramentis.
197 CTr. Ruffini, A. Del Pino Gòmez (Lerida, Spagna): AS I/2, pp. 162, 306 307.
198 A questo proposito cfr., per esempio, gli interventi di P.M. Pham Ngoc Chi
(Quinhon, Vietnam), M. Maziers (Lione); T. Botero Salazar, A. Barbero (Vigevano, Ita
Jia): AS I/2, pp. 172-173, 174, 178, 187 188. Cfr. AS I/2, p. 168.
199 Cfr., per esempio, il card. Browne, AS I/2, p. 165.
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 159

re come doveva essere interpretata la frase «ritualia particularia, singula-


rum regionum necessitatibus aptata, a conferentiis episcopalibus», non
passò inosservato. La frase significava che le conferenze episcopali
avrebbero ricevuto il potere di adattare l'intera liturgia sacramentale, o
che la loro competenza era limitata all'introduzione della lingua volgare?
D'Souza stesso propose che alle conferenze episcopali fosse attribuita
un'ampia competenza, sia riguardo l'adattamento della liturgia che per
l'uso della lingua volgare; per giustificare il suo appello puntò sul fatto
che l'amministrazione dei sacramenti nel suo paese, tra gli altri, non era
correttamente compresa dai fedeli, e che le sensibilità locali erano, quin-
di, da tenere in considerazione. D'Souza notò, inoltre, che se si partiva
dal fatto che i sacramenti erano destinati al benessere spirituale dei fe-
deli, allora dovevano essere amministrati nella loro lingua. Se ciò non
fosse avvenuto, i sacramenti non avrebbero avuto alcun effetto spirituale
sui fedeli200 . Altri oratori espressero la stessa sollecitudine pastorale2°1 e
non ebbero timore di riferire le proprie esperienze in materia202 .
La maggior parte dell'attenzione dei padri, comunque, fu riservata ai
sacramenti della confermazione e dell'unzione degli infermi.
Per quanto riguarda la confermazione, fu notato che vi era un rap-
porto tra questo sacramento e l'apostolato dei laici, e che, quindi, era
essenziale una interazione tra le due commissioni competenti in queste
materie203 . Qualcuno chiese un aumento dell'età della confermazione, in
modo che chi riceve il sacramento possa essere pienamente in grado di
assumersi la responsabilità di essere cristiana2°4 • Altri, comunque, erano
dell'opinione che si dovesse lasciare libertà di amministrare il sacramen-
to a persone molto giovani, come nel rito orientale, dal momento che i
tre sacramenti, battesimo, confermazione e eucaristia, formavano un tut-
t'uno205.
I vescovi dell'America Latina, per lo piu non erano favorevoli all'am-
ministrazione del sacramento durante l'eucaristia, ma ritenevano invece
che ciò sarebbe avvenuto in maniera più appropriata durante una' visita
pastorale. Essi sottolinearono, inoltre, che nelle domeniche e negli altri

200 . Cfr.A~. I/2, pp. 318 319; .nel suo intervento D'Souza pronunciò una implicita
ma tagliente critica della congregazione romana, spesso intransigente in questa materia.
201 Vedere, per esempio, mons. J. Arneri (Sibenik, Yugoslavia), AS I/2, p. 168.
202 Cfr. mons. Garkovié (Zadar, Yugoslavia), AS I/2, pp. 185-186.
203 Hengsbach, AS I/2, p. 167.
. 204 Cfr. A. !'ave~i (Tivoli, Italia), A. Djajasepoetra (Djakarta, Indonesia), I. F enoc
ch10 (Pontremoli, Italia): AS I/2, pp. 303, 312, 363 365; vedere anche, comunque, mons.
T. Botero, AS I/2, p. 178, contraddetto da mons. Isnard, cfr. AS I/2, p. 300.
205 Vedere, per esempio, A. Scandar (Assiut, Egitto), AS I/2, p. 379.
160 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

giorni festivi vi era troppo poco tempo a causa di altre pressanti attività206 •
Altri erano propensi a amministrare il sacramento in forma collettiva, nel
caso fossero coinvolti grandi numeri di persone207 • Alcuni vescovi latino-
americani considerarono invece eccellente la proposta dell' amministrazio-
ne durante la messa208 • Era chiaro, comunque, che su questo punto si era-
no scontrate tra loro condizioni pratiche e considerazioni teologiche.
La discussione sul sacramento dell'unzione degli infermi comprese
anche un appunto del card. Browne, che si rammaricava che l'espressio-
ne «extrema unctio», che poteva vantare una lunga tradizione riccamen-
te attestata, fosse stata modificata in «unctio infirmorum»209 • Allo stesso
tempo, l'arcivescovo D. Capozi avvertì che il sacramento meritava di es-
sere richiesto e amministrato raramente2 10 • Kempf (Limburg, Germania)
era del tutto contrario alla possibilità che il sacramento dell'unzione de-
gli infermi fosse ripetuto, come proposto dal numero 60211 : in questo
era sostenuto da Ruffini, che notò essere contro la tradizione ripetere
l'unzione. Ruffini non capiva, a tale riguardo, perché alcuni desiderasse-
ro reintrodurre la unzione frequente e suggerì che la vera consolazione
si poteva trovare, piuttosto, nella confessione frequente 212 •
Le ragioni contrarie furono suggerite, tra gli altri, da P. Rougé
(coad. Nimes, Francia), che mise in evidenza come il cambiamento del-
1'espressione «estrema unzione» in <<Unzione degli infermi» fosse sempre
in linea con la libertà offerta dal concilio di Trento. Inoltre un cambia-
mento tale era fedele alla tradizione evangelica e alla prassi della chiesa
primitiva, nella quale vi era una stretta relazione tra questo sacramento,
il ministero di amore di Cristo per il povero e la missione degli apostoli,
prassi che anche Trento aveva chiaramente confermato213 • Fu notato an-

206 Cfr., per esempio, E. De Carvalho (Angra, Portogallo), L. Cabrera Cruz (Luis
Potosi, Messico): AS 112, pp. 180, 181182. Vedere anche gli interventi scritti di V.
Bryzgys (Kaunas, Lituania) e di L. Da Cunha Marelim (Caxias do Maranhao, Brasile),
AS 112, p. 349, 355.
207 F. Romo Gutierrez (Torreòn, Messico), AS 112, p. 324; cfr. anche D.M. G6mez
Tamayo (Popayàn, Colombia), AS 112, p. 366, il quale desiderava che il rito fosse abbre
viato per la scarsità di sacerdoti e si ponesse attenzione alla durata della funzione per i
bambini.
208 Cfr. mons. C.L. Isnard (Nova Friburgo, Brasile), AS 112, p. 300.
2(f) AS 112, p. 164.
210 AS 112, p. 170.
- 2 11 AS 112, p. 297 (supportato da una completa spiegazione scritta alle pagine 297-
300); dr. anche altre proteste provenienti da vescovi tedeschi, come L. Jager (Pader
born) e H. Volk (Mainz): AS 112, pp. 369-370, 381 382.
212 Cfr. AS 112, p. 162.
213 Vedere AS 112, pp. 292-293 (scientificamente fondato); idee simili si udirono da
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 161

che che la prassi di amministrare il sacramento solo in punto di morte


era il motivo per cui i malati e le loro famiglie spesso non desideravano
che fosse ripetuta214 • Una risposta positiva sul cambiamento di nome si
udì dai settori sensibili agli aspetti pastorali215 • In una osservazione sul
numero 60, lo stesso Rougé puntò sul fatto che l'unzione degli infermi
era tradizionalmente un evento ripetuto e che l'attuale permesso di ripe-
terla era più che difendibile216 •
Molti oratori chiesero che l'istituzione del rito dell'unzione degli in-
fermi fosse lasciata alle conferenze episcopali, alla luce delle differenti
tradizioni e delle variabili condizioni di coloro che dovevano ricevere il
sacramento. Una volta definito dai vescovi, il rito sarebbe stato sottopo-
sto all'approvazione della S. Sede217 •
Infine, a proposito della revisione dei sacramentali, Kozlowiecki, ar-
civescovo di Lusaka (Rhodesia), chiese il permesso di impiegare i laici,
specialmente catechisti, per amministrare i sacramentali dove vi era scar-
sità di sacerdoti. Egli vedeva in questo l'occasione di integrare l' espe-
rienza con la fede, assicurando perciò alla fede la possibilità di permeare
l'intera vita di una persona218 •

6. Tensione tra preghiera e azione

Chi aveva sperato che le discussioni ora giungessero rapidamente a


conclusione era destinato a restare deluso. Vi furono un certo numero
di interventi a proposito del capitolo IV sull'ufficio divino, capitolo che
era il risultato di particolari scelte spirituali e redazionali. Non costituirà
una sorpresa che i sacerdoti fossero ripetutamente richiamati a pregare
col breviario con la massima diligenza219 • Anche l'istanza di dare al nuo-

Botero, per esempio, che parlò a nome dei vescovi colombiani; cfr. anche D. Capozi: AS
112, pp. 170, 179.
214 Rougé, AS 112, p. 293.
215 Vedere, per esempio, F. Angelini, A. Mistrorigo (Treviso, Italia), A. Tagle Co
varrubias (Valparaiso, Cile): AS 112, pp. 294 295, 305, 326.
216 AS 112, p. 293; cfr. Botero, per esempio, che espresse pensieri simili, AS 112, p.
179.
211 Rougé, AS 112, p. 293.
21s AS 112, p. 171.
2 19 Il principio della preghiera col breviario e dell'ufficio corale non fu mai messo
in discussione. Il testo stesso fu elogiato pienamente e in modo convincente da Dopfner,
per esempio, cfr. AS 112, p. 401; cfr. anche J. Weber (Strasburgo, che parlò a nome di
un consistente numero di suoi colleghi francesi), AS 112, p. 409.
162 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

vo Testamento peso maggiore di quello che aveva avuto finora220 era do-
vuta in gran parte a tali scelte. Non si può negare, tuttavia, che non
solo il gran numero di osservazioni dettagliate 221 , ma anche la discussio-
ne che si era riaccesa sulla questione della lingua non contribuiva a
mantenere in tema il dibattito222 • Prima di tutto grandissima attenzione
fu dedicata alle questioni relative all'obbligo di recitare l'ufficio divino.
Chi vi era obbligato e in qual misura? Vi era la necessità, di una revisio-
ne del breviario223 ?
La discussione fu aperta il 7 novembre dal card. Frings224 , il cui di-
scorso fornì molte delle linee guida che sarebbero state seguite durante
il dibattito. Frings chiese innanzitutto una versione latina dei salmi, che
fosse conforme al linguaggio dei padri della chiesa225 • Inoltre, propose
un più intenso uso nel breviario di tutta la Scrittura e dei padri della
chiesa, e chiese che fosse ristabilito un equilibrio tra i salmi e la Scrittu-
ra nelle letture del mattutino. Frings concluse il suo discorso con una
istanza a nome dei vescovi tedeschi, com presi quelli in terra di missione,
perché fosse permesso loro di dispensare dalla recita dell'ufficio in lati-

220 Cfr. Bacci, J. Corboy (Monze, Rhodesia), F. Garda Martinez (Spagna): AS V2,
pp. 409, 423, 439. Le stesse proposte si scontrarono con una certa resistenza da parte
del benedettino Prou, per esempio, cfr. AS V2, p. 446. Deve anche essere menzionata la
richiesta di una riduzione della lunghezza dei testi patristici, che si accompagnava ad un
appello per un maggiore rispetto delle spiegazioni autentiche offerte da questi testi; ve
dere, per esempio, Corboy, AS V2, p. 424.
221 Fu in parte per questo motivo che l'intera discussione di questo capitolo risultò
tediosa e prolissa; vedere l'appropriato commento del card. Bea, AS V2, pp. 411 413;
cfr. anche l'amaro commento di JCng, pp. 131-132.
222 Non meno di 38 interventi trattarono dell'uso del latino nell'ufficio divino.
22 3 56 padri intervennero unicamente sulla questione dell'obbligo. Il dossier intito-
lato Animadversiones... Caput IV De Officio divino (nn. 68 78) (F van den Eynde,
CCV), che la competente sottocommissione fu obbligata ad esaminare, consisteva in più
di 200 pagine in totale. Abbastanza sorprendentemente, nessuno dei padri ebbe da
obiettare sul numero 75, che trattava della partecipazione dei laici all'ufficio divino.
224 Altri oratori spesso si riferirono a questo e all'intervento di Léger con lodi entu
siastiche. Vedere, per esempio, A.M. Aguirre, che parlò a nome di molti vescovi dell' Ar
gentina, Uruguay e Paraguay, cfr. AS V2, p. 427.
225 Chi parlava ricevette appoggio su questo punto da molte parti; cf r. Bacci, Prou
(a nome di alcuni ordini monastici), Guano (Livorno, Italia), Carli (Segni, Italia): AS V
2, pp. 410, 445 446, 458, 463. La traduzione esistente dei salmi convinceva pochissimi e
aveva portato a un impoverimento della liturgia; cfr. J. SCHIPHORST, Eensgezindheid over
de noodi.aak van brevier, in Het concilie. le periode (1962) («Ken uw tijd», 12), 1963, p.
61. Vi erano comunque anche interessanti voci contrarie al cambiamento; cfr. V. Co
stantini, AS V2, p. 472.
IL DIBATIITO SULLA LITURGIA 163

no, alla luce del fatto che la conoscenza del latino era chiaramente in
declino tra le giovani generazioni226 .
Una richiesta di ordine pastorale, tesa ad assicurare che ogni rinno-
vamento dell'ufficio divino tenesse conto della situazione attuale del cle-
ro, fu avanzata, tra gli altri, dal card. Spellman 227 . È anche comprensibi-
le che gli interventi sul numero 68 (cursus horarum) mettessero ripetuta-
mente in evidenza che quanti erano impegnati in attività pastorali sareb-
bero stati impossibilitati ad ottemperare a questo obbligo. Fu proposto,
quindi, che la struttura dell'ufficio divino fosse adeguata alla vita pasto-
rale quotidiana228 , almeno per quanto riguarda le horae minores229 •
Oltre ai già menzionati miglioramenti del Salterio, alcuni insistettero
sul fatto che, ove l'ufficio fosse recitato in lingua volgare, i cosiddetti
salmi imprecatori fossero accantonati, poiché le suore e certamente i lai-
ci non avevano una preparazione sufficiente per comprendere il loro
esatto significato230 .
La discussione per precisare esattamente l'obbligo per la recita del-
!' ufficio fu assai prolungata, in parte a causa delle differenti attese nei
confronti di un sacerdote con funzioni pastorali. Secondo il card. Léger,
che elogiò lo spirito di rinnovamento presente nel numero 73, era suffi-
ciente, per coloro che non erano obbligati a recitare l'ufficio corale, re-
citare le lodi, i vespri e la lectio divina, come era previsto nel numero
71. A difesa di ciò egli sostenne che per i sacerdoti impegnati nel mini-
stero pastorale, diversamente che per i monaci, era impossibile pregare
tutto il giorno 231 . Riconoscendo chiaramente questo fatto, il cardinale
sottolineò che nella preghiera si doveva preferire la qualità alla quanti-
tà232. Altri posero in rilievo la necessità di linee guida chiare, che tenes-
sero conto dell'attuale situazione pastorale233 . B. Yago (arcivescovo di

226 Cfr. AS V2, pp. 327-328.


227 AS V2, p. 391.
22 8 Vedere, per esempio, il card. M. Gonçalves Cerejeira (Lisbona, Portogallo), AS
V2, pp. 390 391.
229 Cfr. Dopfner, AS V2, p. 398; nello stesso contesto, il card. Landàzuri Ricketts
alluse alla (omessa) Declaratio, che conteneva un chiaro riferimento alla situazione pasto
raie, cfr. AS V2, p. 408.
2 30 Cfr. Ruffini (quest'ultimo intervento fu non proprio apprezzato dai presenti, che
riempirono l'aula di mormorii di disapprovazione non appena questi prese la parola; cfr.
JCng, p. 125); cfr. anche Bacci, J. Corboy: AS V2, pp. 329-330, 409, 423. Fu possibile
sentire voci contrarie, per esempio, da Prou, AS V2, p. 446.
231 Cfr. il suo intervento sul numero 68, AS V2, pp. 334 335; su una linea simile
gli interventi di Weber, Reuss (Mainz, Germania) e Garrone: AS V2, pp. 409, 448, 455.
232 Cfr. AS V2, pp. 335 336.
233 Vedere, per esempio, Gonçalves Cerejeira, AS V2, p. 391.
164 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

Abdijan, Costa d' Avorio) 234 sostenne che ogni revisione del breviario do-
veva essere tale da stimolare l'inclinazione del clero alla preghiera235 .
Certamente, non tutti erano entusiasti all'idea di una riduzione del-
l'ufficio divino. Il card. Wyszynski elogiò il breviario e non vedeva mol-
te ragioni per apportare modifiche; era sconvolto dal fatto che fosse sta-
to utilizzato l'argomento del tempo, un fatto che considerava essere uno
schiaffo ad ogni sacerdote buono e pio. Egli sottolineò, inoltre, che
l'azione senza preghiera non poteva portare frutto 236 . Un vescovo spa-
gnolo, accantonata ogni questione di natura pastorale, riteneva che l' ob-
bligo del breviario dovesse rimanere invariato, e che chi non vi ottempe-
rava commettesse peccato grave237 .
Per quanto riguarda la lingua, figure significative come Léger propo-
sero che al clero fosse permesso, con l'approvazione delle conferenze
episcopali, l'uso del volgare anche nella recita individuale, al fine di evi-
tare il formalismo derivante dalla ignoranza della lingua238 . Dopf ner non
si lasciò sfuggire l'occasione per sottolineare con acutezza che, su questo
punto preciso del testo originale, era stato proposto di lasciare alle con-
ferenze episcopali il diritto, in conformità col numero 24, di promulgare
norme circa l'uso della lingua, nei casi in cui la conoscenza del latino
fosse scarsa e non vi fosse la speranza di vedere migliorare tale cono-
scenza239. Il card. Meyer, mentre esprimeva la convinzione che le caren-
ze circa il latino fossero in parte da attribuire all'odierno appello per
l'uso del volgare, rimarcò, comunque, che era prima di tutto una que-

234 Yago parlò a nome dei suoi colleghi dell'Africa occidentale, AS 112, p. 467.
235 Cfr. «La Croix» 13 novembre 1962; vedere anche AS 112, p. 466; l'indiano Gra
cias era chiaramente sulla stessa lunghezza d'onda, cfr. <illokumente» dicembre 1962, p.
442.
236 Cfr. AS 112, p. 393; cfr. anche Godfrey, Lefebvre, J. Flores (Barbastro, Spagna),
Cadi: AS 112, pp. 395, 396, 436, 463.
237 Cfr. AS 112, p. 468.
23 8 «Ut [. .. ] mente intelligant quod labiis pronuntiant», AS 112, p. 336; cfr. anche
Weber, Reuss: AS 112, pp. 409; 448. In questo fu appoggiato nominatim da Dopfner,
che fece riferimento anche al discorso di Frings (cfr. AS 112, p. 399); cfr. anche Garro-
ne, AS 112, pp. 454 455. Spellman propose anche che ognuno fosse libero di scegliere,
cosa che destò una certa sorpresa tra i presenti, data la sua rumorosa difesa dell'uso del
latino nell'eucaristia, cfr. AS 112, p. 392; vedere anche sullo stesso argomento V.A.
YZERMANS, American Participation in the Second Vatican Council, New York 1967, p.
136. Il fatto che i vescovi americani non avessero a cuore la questione del latino quando
si arrivò a trattare del breviario risulta evidente anche dall'intervento di Connare, St. Le
ven (vescovo ausiliare di San Antonio, U.S.A.), J. Marling (Jefferson City, U.S.A.): AS Il
2, pp. 415-416, 452-453' 455 456.
239 AS 112, pp. 398-399.
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 165

stione di crescita nella grazia di Dio240 • A dispetto di questo, si dovette


assistere ancora ad appelli per l'uso del latino nei seminari e nelle pre-
ghiere ufficiali. Cadi, che si riferì chiaramente al discorso di Dopfner,
non era persuaso dall'accenno al fatto che i candidati al sacerdozio, for-
mati tielle scuole pubbliche, non conoscessero più il latino. Egli sosten-
ne che quegli stessi candidati non conoscevano neppure la filosofia cri-
stiana e la teologia e nessuno pensava di ordinarli prima che avessero
completato in maniera soddisfacente i loro studi in queste materie; esor-
tò tali candidati, che avrebbero dovuto essere di esempio per i laici, a
imparare il latino come i laici imparavano una lingua straniera. Non era
forse giusto che i sacerdoti studiassero il latino per poter attingere alle
ricche fonti della chiesa latina? 241 Inoltre, Wyszynski sottolineò che, se
fosse caduto l'obbligo di pregare in latino, vi sarebbe stato il pericolo
che scomparissero le motivazioni ad imparare quella lingua, che costitui-
va un vincolo unificante242 • Il card. Godfrey notò, per di più, che lo stu-
dio della lingua latina avrebbe dovuto essere incoraggiato, in conformità
con la Veterum sapientia2-43 •
Come appariva dagli interventi scritti su questo capitolo, il dibattito
avrebbe potuto proseguire per molti giorni ancora. In sostanza, l'intera
discussione ruotò attorno a questi punti: apertura al cambiamento, adat-
tamento alla situazione pastorale contemporanea, concezione del sacer-
dozio e spazio per il latino nella vita spirituale del clero244 • Fortunata-
mente la presidenza intervenne il 10 novembre. Ruffini245 notò, a nome
della presidenza, che nessun elemento nuovo era stato portato come
contributo alla discussione, e ne annunciò la chiusura246•
Non solo i padri ma anche i membri della commissione liturgica
avevano la sensazione di perdere tempo. Larraona, che aveva già avanza-
to riserve sull'inclusione delle declarationes nelle relazioni da presentare
ai padri, il 9 novembre ritornò sull'argomento, avendo chiesto il consi-
glio di Confalonieri, che evidentemente gli disse che le note esplicative
non avevano alcun valore ufficiale. Dopo qualche discussione fu deciso,

240 AS 112 p. 404.


1

2 41 AS 112 pp. 463 464; Costantini segtÙ una linea simile a questa, AS 112 p. 473.
1 1

2 42 AS 112 p. 394.
1

243 Cfr. AS 112 p. 395.


1

2 44 Infatti, la discussione si incentrò, in fondo, sul corretto rapporto tra sacerdote


come pastore e sacerdote come uomo di preghiera.
245 Poiché vi erano spesso applausi, talvolta, quando la curia era bersagliata dalle
critiche, Ruffini ritenne necessario, all'inizio della seduta, mettere fine sia agli applausi
che alle critiche, al fine di evitare spaccature durante i lavori, AS 112 p. 436.
1

2 46 AS 112 p. 474.
1
166 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

comunque, che un votum formulato positivamente sarebbe stato sotto-


posto alla presidenza il giorno seguente247 • Il resto della riunione fu in
parte occupato dalla richiesta di Egger di una rilettura dello schema da
una prospettiva latina248 • Nello stesso tempo, dopo alcune discussioni249 ,
si decise, in linea con l'avviso della sottocommissione Lercaro, di sosti-
tuire il termine «occidentalis» con <<latinus», mentre fu seguita, nono-
stante alcune esitazioni, anche la proposta del cambiamento di nome ri-
guardante le conferenze episcopali. In quello stesso giorno, in parte sot-
to la spinta della mozione di Hallinan (che esamineremo dettagliatamen-
te piu avanti), fu possibile andare al voto250 •
Nel frattempo stava crescendo il malessere a proposito della lentezza
dei lavori della commissione251 • L'arcivescovo Hallinan, per esempio, ir-
ritato dalle manovre di Larraona252 , elaborò una proposta da presentare
alla riunione del 7 novembre, nella speranza che in quel giorno i lavori
potessero veramente iniziare253.

247Cfr. F-Jenny, scatola 8 (CNPL); sembra che questa nota fosse veramente inviata;
dr. l'annuncio del segretario durante la riunione del 12 novembre, F Jenny, scatola 8
(CNPL).
248 Cfr. F-Jenny, scatola 8 (CNPL).
249 Cfr. F Jenny, scatola 8 (CNPL).
250 Il consiglio de1la sottocommissione Lercaro fu seguito anche ne1le rimanenti
questioni.
251 MARTIMORT, Les débats liturgiques ... , cit., p. 307, riferisce de1la reazione rabbio
sa di Malula durante la settima riunione della commissione: secondo la relazione tenuta
da Jenny ai vescovi francesi in S. Luigi il 10 novembre, sia Rossi sia Spiilbeck espressero
il loro evidente scontento per la lentezza dei lavori; dr. F Jenny, scatola 8 (CNPL). Ve
dere anche il pro memoria di Lercaro, cfr. infra.
252 Cfr. SHELLEY, Hallinan ... , cit., p. 168.
253 HaJlinan propose che ogni volta che la congregazione generale avesse trattato
un partico]are capitolo, la commissione procedesse nel seguente modo: in primo luogo,
ogni articolo di una specifica sezione sarebbe stato trattato da1la commissione secondo
un ordine, su1la base della relazione de1la sottocommissione. Se per uno specifico artico-
lo si proponevano pochi o nessun cambiamento, allora la commissione l'avrebbe accetta
to come definito ne1lo schema. Nel caso di proposte di cambiamenti in riferimento ad
un articolo o di correzioni significative, allora la commissione avrebbe votato, nel modo
solito, su ogni modifica. Nel caso di votazione a favore di una particolare modifica o
correzione, a1lora la commissione avrebbe accettato la versione corretta de1l'articolo; nel
caso di voto contrario, la commissione avrebbe trasmesso la materia alla congregazione
generale, insieme ad uno schema corretto, contenente sia l'articolo originale che le cor-
rezioni proposte dai padri ma respinte dalla commissione. In questo caso la congregazio-
ne generale doveva votare solamente per risolvere il problema. Una volta che la sezione
fosse stata corretta, sarebbe stata presentata, attraverso il segretario generale, ai padri
per il loro voto. Il nuovo testo avrebbe incluso: 1) l'articolo per il quale non vi erano
proposte; 2) g1i articoH che erano stati corretti e approvati dalla commissione; 3) le spe
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 167

Dal momento che Hallinan volle presentare il caso direttamente al


segretario di stato Cicognani, non poté partecipare alla riunione, e per
questo motivo aveva affidato a Grimshaw il suo testo. Grimshaw, tutta-
via, non lesse la proposta, ma la mostrò a Larraona prima della riunio-
ne, causando cosi qualche agitazione. Comunque, durante la seduta ple-
naria del 9 novembre Hallinan ebbe contatti con 13 membri della com-
missione254 e riuscì a convincerli a firmare una petizione che proponeva
una procedura più veloce per i suoi lavori255 .
La proposta fu accettata e vi furono perfino tre votazioni nel mede-
simo giorno sulla relazione della sottocommissione Lercaro. Larraona,
comunque, non si rassegnò. Affermò che non vi era alcuna fretta di in-
viare i risultati al segretario generale e pertanto i padri non avrebbero
dovuto votare le varie modifiche fino alla completa revisione dell'intero
schema da parte della commissione; per riaffermare la propria autorità
annunciò che il giorno seguente la commissione non si sarebbe riuni-
ta256. Ma Hallinan non era sul punto di arrendersi: il io novembre inviò
una lettera a Cicognani nella quale sottolineava che i vescovi erano vera-
mente pronti per votare. Nello stesso tempo lamentò che, mentre il

cifiche proposte dei padri che non avevano ricevuto l'approvazione della commissione.
Ha1linan a suffragio di questa proposta portò questi argomenti: 1) la procedura proposta
era in linea con i regolamenti conciliari e della commissione; 2) era necessaria una pro
cedura ordinaria, dato che i voti specifici su una particolare sezione meritavano di trova
re posto ne1la discussione su quella sezione, e ciò tanto jn concilio quanto in commissio
ne; 3) da un punto di vista psicologico avrebbe avuto più senso combjnare la funzione
legislativa dei padri durante le votazioni con la funzione deliberativa degli stessi durante
le discussioni in aula; 4) votazioni organizzate singolarmente avrebbero razionalizzato e
Jimitato le discussioni conciliari. Cfr. F Calewaert, scatola 4, documento 8 (Archivi della
diocesi di Ghent); F~Jenny, scatola 5 (CNPL); F Bekkers, documento 780 (Archivi deJla
diocesi di s'Hertogenbosch).
254 Grimshaw, Van Bekkum, Zauner, Rossi, Calewaert, Jenny, Spiilbeck, Malula, Pi
chler, Rau, Jop e Martin: cfr. SHELLEY, Hallinan .. ., cit., p. 321.
255 Hallinan fece le seguenti proposte: al fine di evitare di appesantire il lavoro del
concilio con discussioni minuziose e prolungate, i padri firmatari, membri della commis
sione per la liturgia, richiedono: 1) che immediatamente, cioè alfinizio della riunione
odierna, la commissione per la liturgia voti le proposte uscite da1la sottocommissione
Lercaro; 2) che quindi, dopo la relazione de1la sottocommissione circa I' jntroduzione e
una breve discussione su ogni correzione, durante la quale i membri e, se richiesti, i pe
riti in ordinem possano avere la parola, la commissione passi alla votazione; 3) che le
correzioni riferite dalle rispettive sottocommissioni, dopo una breve discussione e il voto
su1le sezioni di ogni capitolo, siano inviate, senza indugio, alla segreteria; 4) che, al fine
di evitare futuri ritardi e per soddisfare i desideri dei padri conci]iari, questa proposta
sia messa ai voti: F Calewaert, scatola 4, fondo 1, documento 11 (Archivi della diocesi
di Ghent).
256 Cfr. SHELLEY, Hallinan .. ., cit., p. 170.
168 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

papa e i vescovi desideravano veramente un aggiornamento, ben poco di


questo spirito e sollecitudine erano all'opera nella sua commissione257 .
La situazione cambiò solo 1'11 novembre, quando Lercaro inviò al
segretario di stato una nota in cui evidenziava le difficoltà258 . Pare anche
che Cicognani affrontasse col papa i problemi procedurali della commis-
sione. Felici era parimenti interessato alla questione, e l'insieme dei vari
interventi produsse qualche risultato259 • Il giorno dopo, 12 novembre, i
membri della commissione ricevettero un Ordo agendi260 e da questo
momento in poi i lavori cominciarono a procedere più velocemente.
Questo era veramente desiderabile, dal momento che il dibattito sullo
schema stava per volgere al termine.

7. Una conclusione nel caos

Dopo l'intervento della presidenza, in quello stesso 10 novembre l'as-


semblea passò a discutere dei capitoli V-VIII2 61 • Durante questa e le due
seguenti congregazioni generali (12 e 13 novembre) la discussione si in-
centrò soprattutto sull'anno liturgico (cap. V), anche se numerosi inter-
venti riguardarono i vasi e gli arredi liturgici (cap. VI), la musica sacra
(cap. VII) e l'arte sacra (cap. VIII) 262 . Poiché i capitoli V-VIII furono di-
scussi tutti assieme contemporaneamente, il già prolungato dibattito263 ora
divenne assai caotico264 . L'indagine che segue rappresenta un tentativo di
dare un ordine a tale caos, esaminando gli interventi capitolo per capitolo.

257 Ibidem, pp. 170, 321.


258 Nel pro-memoria del cardinale edito da G. Alberigo in Per la forza dello spiri-
to... , cit. 1 pp. 16-17, si può trovare un eccellente esame dei problemi: molte riunioni, po
chi risultati. Altri, compreso Martimort, fecero sforzi simili ma senza successo; MAR11
MORT, Les débats liturgiques... , cit., p. 307.
259 Cfr. SHELLEY, Hallinan ... , cit. 1 p p. 170 171.
2 60 Cfr. F-Calewaert1 scatola 4, fondo 1, documento 13 (Archivi della diocesi di
Ghent); F.-C. De Clercq (Archivi Vaticano II, Facoltà di Teologia, K.U. Leuven).
26l I capitoli V-VIII furono recepiti, nd complesso, abbastanza positivamente e non
emersero serie controversie su questo punto; cf r. A. Plaza (La Plata 1 Argentina), L. Ray
mond (Allahabad, India): AS I/2, pp. 477, 616; cfr. anche pp. 645, 647.
2 62 Si deve notare che quasi ogni numero di questi ultimi quattro capitoli può van
tare almeno un intervento.
263 Il 13 novembre Felici ritenne necessario ricordare ai padri di parlare brevemen
te e attenendosi alr argomento, cfr. AS I/2, p. 631.
264 È notevole il fatto che i «grossi nomi», salvo poche eccezioni, non presero la
parola in questo dibattito. Erano ben rappresentati, comunque, i vescovi americani, afri
cani e asiatici.
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 169

Circa l'anno liturgico, il breve ma affabile intervento del card. Spell-


man aprì i lavori: rivedere tutto ciò che avrebbe autenticamente giovato
al ministero pastorale265 • Nello stesso tempo, il cardinale riteneva che
stabilire una data fissa per la Pasqua, richiesto nel numero 85, in parte
per motivi ecumenici, andasse contro la tradizione della chiesa cattolica
romana, e non vedeva ragioni per cambiare questa tradizione2 66 • Mons.
Ph. Nabaa (Beirut, Libano), invece, sosteneva manifestamente la richie-
sta di una data fissa per la Pasqua, vedendovi una opportunità per pro-
muovere l'unità della chiesa; nello stesso tempo sottolineava che l'odier-
na divisione tra i cristiani costituiva uno scandalo per i non credenti, e
perciò cattolici e non cattolici dovevano con urgenza arrivare ad un mu-
tuo accordo sulla questione della Pasqua267 • Nabaa era appoggiato in
questo passo dal card. Feltin che, sebbene d'accordo sul fatto che cele-
brare la Pasqua in una data fissa fosse contro la tradizione, tuttavia evi-
denziò che la gente non com prendeva il motivo per cui un evento stori-
co fosse celebrato tutti gli anni in giorni diversi. Inoltre, Feltin vide van-
taggi sia pastorali sia sociali nella scelta di una data fissa; concluse soste-
nendo la proposta di Nabaa, cioè che la questione fosse ulteriormente
discussa in una commissione mista268 •
Anche i rappresentanti dei territori di missione formularono molte
proposte interessanti circa l'anno liturgico. Mons. S. Hoa Nguyen-van
Hein (Dalat, Vietnam), per esempio, chiese a nome dei vescovi vietna-
miti che fosse concesso alle conferenze episcopali di introdurre feste li-
turgiche in concomitanza con alcune feste civili, al fine di dare ad esse
una dimensione cristiana e per testimoniare ai non credenti il rispetto
dei cristiani per le tradizioni ancestrali. Nello stesso tempo propose di
celebrare la nascita di alcuni martiri orientali con feste liturgiche, per
farne modelli per i fedeli e stimolare il sentimento religioso cristiano269 •

2 65 Per quanto riguarda l'introduzione di un calendario liturgico fisso vedere anche,


per esempio, Bafile (nunzio, Germania), A. Baraniak (Poznan, Polonia), C. Zohrabian:
AS I/2, pp. 593 596, 599 600, 607 608. A livello di contenuto, vi fu la richiesta di dare
maggiore importanza liturgica all'avvento e al tempo di Natale. Vedere A. Jannucci,
(Penne-Pescara, Italia), e L. Bereciartua Balerdi (Siguenza-Guadalajara, Spagna). Fu an-
che avanzata una richiesta per un riconoscimento della dimensione sociale del peccato
cfr. S. Hoa Nguyen-van Hien (Dalat, Vietnam): AS I/2, pp. 608 609, 612, 614.
266 Cfr. AS I/2, p. 475.
261 Cfr. AS I/2, pp. 475 477.
268 Cfr. AS I/2, pp. 590-591; tra gli altri proponenti di una data fissa per la Pa
squa, che condividevano le preoccupazioni ecumeniche espresse nel testo, vi erano J.
Khoury (Tiro dei Maroniti, Libano), A. Sapelak (vicario aposto1ico per gli Ucraini in Ar
gentina): AS I/2, pp. 604 605, 660. Vedere comunque anche mons. L. Raymond (Allaha-
bad, India), AS I/2, pp. 616 617.
269 AS I/2, pp. 613-614.
170 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

Tali proposte misero in luce lo sforzo dei paesi del terzo mondo per
dare alla chiesa caratteristiche non avulse dalla realtà locale.
Inoltre, alcuni padri si espressero in favore di una maggiore sempli-
cità e sobrietà nella celebrazione dell'anno liturgico, mentre altri chiese-
ro che fosse attribuito un maggiore peso a feste come l'Epifania o
l'Ascensione, che nei territori di missione erano spesso celebrate in gior-
ni lavorativi, e che quindi non potevano ricevere la dovuta attenzione 270 .
L'arcivescovo di Siena l.M. Castellano notò, non senza ragioni, che
il capitolo VI avrebbe potuto essere legato al capitolo VIII, dal momen-
to che entrambi trattavano de facto della stessa materia271 • Riguardo al
capitolo VI - e al capitolo VIIl272 - venne regolarmente proposto che,
in conformità con gli spiacevoli abusi già notati nell'introduzione, la li-
turgia fosse caratterizzata da una maggiore semplicità evangelica, senza
per questo negare che il culto, come atto rivolto a Dio, debba essere
bello273 • Il vescovo cileno E. Larrain Errazuriz274 ricordò ai presenti che
la liturgia è celebrazione del mistero pasquale di Cristo e che il solo
modo di rendere giustizia alla liturgia è rispettare la povertà lodata nel
Vangelo; il Vangelo, in questa materia, doveva essere proclamato al po-
vero. Secondo le parole di s. Agostino, notò, la liturgia non celebra lo
splendor divitiarum ma piuttosto lo splendor veritatis, la rivelazione in
Cristo dell'amore di Dio. La chiesa era tenuta, perciò, a mostrare nelle
parole e nelle opere la propria scelta del povero, mentre nello stesso
tempo doveva assicurarsi che le sue ricchezze non recassero offesa nei
luoghi dominati dalla povertà275 • Era una questione di sensibilità pasto-
rale: una chiesa che predica la povertà non può dare l'impressione di
ricchezza e pomposità nelle sue celebrazioni liturgiche, quando queste
sono spesso il solo modo per i non credenti di avvicinarsi alla conoscen-
za del cristianesimo; bisogna piuttosto prendere come esempio il bambi-
no di Betlemme276 • Si affermò, inoltre, che nella liturgia bellezza genuina

210 J. Cheng Tien-Siang (Formosa), AS V2, p. 668.


211 Si tratta dei capitoli De sacra supellectile e De arte sacra. Cfr. AS V2, p. 619;
cfr. anche p. 630. P. Gouyon (Bayonne, Francia) propose anche che i capitoli VII (De
musica sacra) e VIII fossero trattati assieme, AS V2, p. 628.
272 Gli interventi su entrambi i capitoli sono trattati insieme.
273 Cfr. l'appropriato commento di Gouyon in AS V2, p. 626.
274 Larraìn Erràzuriz parlò a nome di alcuni vescovi sudamericani, cfr. AS V2, p.
621. Egli diede esplicitamente all'inizio il benvenuto agli osservatori, come aveva fatto
anche Soares de Resende (Mozambico), cfr. AS V2, p. 600. L'autenticità· della sua testi
monianza. fu suffragata
. dal fatto che aveva trasformato il suo palazzo episcopale in una
casa per 1 poveri.
215 AS V2, pp. 621-623.
2 76 Cfr. Gouyon, AS V2, pp. 627 628. Il tema della sobrietà liturgica ritorna più e
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 171

e vera semplicità erano perfettamente conciliabili e che tale combinazio-


ne spesso portava ai migliori risultati277 .
L'intervento di Yoshigoro Taguchi, vescovo di Osaka, non può esse-
re tralasciato278: egli evidenziò che lo splendore dei vasi liturgici costitui-
va un affronto in Giappone, proprio a causa dell'amore dei giapponesi
per la semplicità, raffinatezza e colori discreti. Notò, inoltre, che questo
popolo non com prendeva alcune cose, come il mettere e levare la mitra,
inginocchiarsi a baciare l'anello del vescovo, e cose sitnili: questi erano
elementi occidentali, sconosciuti in Oriente. Propose, per di più, di ag-
giungere un passaggio al capitolo VI (al numero 88), che stabilisse che
le vesti liturgiche si adattassero ai costumi e alle sensibilità della comu-
nità locale. Concluse, con un riferimento al numero 99, avvertendo che
adattamento non doveva significare una blanda imitazione dell'arte loca-
le279. I rilievi di L. Seitz (Kontum, Vietnam) seguirono linee simili280 .
L'arte sacra, fece notare, era al servizio della liturgia del popolo di Dio,
e doveva possedere le seguenti caratteristiche: semplicità, integrità e po-
vertà281. Dal punto di vista della sensibilità asiatica, alcuni padri mostra-
rono che l'arte indigena poteva esprimere il sacro in un modo autentico
e degno 282 . Mons. Gasbarri (Velletri, Italia), tra gli altri, attirò l'attenzio-
ne sull'importanza dell'arte moderna nell'esperienza del sacro283 . Si rile-
vò, infine, che si sarebbero potute istituire scuole per la promozione
delrarte sacra284 .
Circa la musica sacra (capitolo VIII), i padri erano unanimemente
concordi nel credere alla necessità di dare ai laici (e al clero) l'opportu-
nità di parteciparvi attivamente, cosa che implicava che essi compren-
dessero ciò che cantavano285. Fu chiesto anche che si tenesse conto dei

più volte: cfr. J. Urtasun (Avignone, Francia), H. Golland Trinidade (Botucatù, Brasile):
AS I/2, pp. 632, 645. Una voce discorde si può trovare, per esempio, in P. Zelanti, AS
I/2, pp. 640 641, che introdusse, quanto alla sobrietà, una distinzione tra condizione
personale e tradizioni liturgiche.
277 Cfr. Golland Trinidade, P. Baudoux (S. Bonifacio, Canada), Ancel (vescovo au
siliare di Lione, Francia): AS I/2, pp. 645, 666 667, 682-683.
218 AS I/2, pp. 630 631.
21 9 Cfr. AS I/2, p. 651.
28 0 Seitz parlò a nome dei vescovi vietnamiti.
281 AS I/2, pp. 661-662.
282 Cfr. AS I/2, p. 669.
283 AS I/2, pp. 623-625.
284 Cfr. AS I/2, p. 639.
28 5 Cfr. A. Fustella (Todi, Italia), C. D'Amato, H. Volle (che sottolineò che ciascu
no doveva poter partecipare al canto e si espresse a favore dei canti in volgare), Badoux,
M. Darius Miranda y G6mez (Città del Messico, che giudicò il tono dello schema inibi
172 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

recenti progressi di una educazione musicale sempre piu diffusa, dovuti


sia alle scuole, sia alla radio e alla televisione, e che la chiesa, nella sua
liturgia, desse a questi fenomeni una adeguata risposta286 . L'arcivescovo
Volk ricordò all'assemblea che il canto della comunità era una parte es-
senziale della liturgia per i fratelli separati e che la liturgia cattolica do-
veva trarre esempio da ciò287. Inoltre, il card. Barros Camara (Rio de Ja-
neiro) sottolineò che la musica era parte integrante della liturgia e si do-
veva perciò provvedere all'educazione musicale dei candidati al sacerdo-
zio288. Nello stesso tempo, il card. Rugambwa, tra gli altri, chiese che
fosse permesso integrare la musica sacra con le musiche indigene africa-
ne, che giocavano un ruolo importante nella vita dei fedeli, per un mi-
gliore rapporto tra la liturgia e le caratteristiche peculiari del popolo
africano; chiese anche che le commissioni per la musica sacra includes-
sero persone che conoscevano la musica africana289 .
Durante il dibattito del 13 novembre, il giorno prima del voto sul-
l'intero schema, il card. Cicognani annunciò che il papa aveva deciso, su
richiesta di molti padri290 , di introdurre il nome di s. Giuseppe nella
preghiera eucaristica immediatamente dopo il nome di Maria. Era desi-
derio del papa che il concilio onorasse cosi il suo patrono291 . La decisio-
ne arrivò a sorpresa292 e lasciò a qualcuno l'impressione che il concilio

torio nei confronti di un progresso nel campo della musica): AS I/2, pp. 636, 636 637,
662 664, 66 7, 669 6 70.
286 Cfr. J. De Smedt, AS I/2, pp. 697-700.
287 AS I/2, p. 664.
288 AS I/2, pp. 588 589; W. Kempf (Limburg, Germania) pronunciò un intervento
simile, AS 112, p. 659.
289 AS I/2, pp. 592-593. Nel suo inteivento scritto rivolse un appello simile circa
l'arte sacra. Raymond rivolse, dalla prospettiva indiana, richieste analoghe, AS I/2, pp.
616-617.
290 Il 5 novembre, Cousineau (Haiti) si appellò all'istanza di più di 500 persone e
istituti in favore di s. Giuseppe; cfr. anche l'intervento di P. Cule (Mostar, Yugoslavia),
A. Tedde (Ales, Italia): AS I/2, pp. 479 480, 483. Altri presero in giro i «josefologi»; cfr.
l'amaro cinismo di Ruffini, che presiedeva l'assemblea il 10 novembre: disse a P. Coule:
«Rogo te, exc.me Domine, ut concludas sermonem tuum piisim um! Certiorem te facio
nos devotissimos esse· erga S. loseph», AS I/2, p. 480. Tedde fu saggiamente avvertito
che non si predica ai predicatori (e i vescovi lo sono), AS I/2, p. 483. Altri santi aveva
no zelanti sostenitori tra i padri; cfr. gli interventi di J. Marling (Jefferson City, U.S.A.)
in favore del beato Eimardo es. Gaspare del Bufalo, AS I/2, pp. 598 599.
2 91 Non tutti i liturgisti furono :ugualmente soddisfatti della proposta; Cfr.
SCHMIDT, La Costituzione ... , cit., pp. 150.
292 AS I/2, p. 644; su quèsto stesso argomento vedere R. LAURENTIN, Bilan de la
première session, Paris 1963, p. 108; H. F'EsQUET, Diario del Concilio, Milano 1967, pp.
104"-105; WENGER, Vatican II. Première session ... , cit., pp. 95-96.
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 173

stesse sciupando il suo tempo293 . Altri giudicarono la materia infausta


per l'ecumenismo o per lo meno del tutto superflua294 .
Nella riunione del 12 novembre la commissione concluse la discus-
sione della relazione di Lercaro29' e designò lo stesso Lercaro come rela-
tore per il dibattito generale. Sebbene vi fossero alcune obiezioni circa·
la decisione di sottopore al voto questa relazione, Wagner, tra gli altri,
evidenziò la necessità di conoscere il pensiero dei padri sull'intera que-
stione296. A questo punto furono ascoltate le relazioni della IV sottocom-
missione (Martin) e quelle delle sottocommissioni teologica e giuridica
riguardanti l'introduzione. La relazione di Martin chiari che la sua sotto-
commissione, riunitasi 1'8 novembre297 , aveva legittimamente respinto le
più importanti obiezioni298 all'introduzione, senza dimenticare di portar-
vi le migliori correzioni2 99 . Subito dopo parlò Gagnebet dando relazione
della sottocommisssione teologica, che si era riunita il 6 e novembre rs
all'Angelicum300 . Sebbene avesse esaminato richieste di piccole modifi-
che fatte da alcuni critici dello schema, come Parente, Browne e Staffa,
la sottocommissione, tuttavia, scelse di usare il termine <<instauranda»,
ponendosi al riparo di alcuni documenti papalP 01 . Dopo Gagnebet, se-
guì la relazione di Bonet, della sottocommissione giuridica, nella quale
non erano apparentemente sorte difficoltà. Entrambe le relazioni furono
brevemente discusse, senza che fossero sollevate differenze di opinio-

293 Cfr. LAURENTIN, Bilan ... , cit., p. 27. Congar, «ICI», 1° dicembre 1962.
294 Cfr. JCng, p. 13 7.
295 La proposta di Dante di introdurre nello schema una sezione sul processo di
canonizzazione non fu seguita; cfr. F·Jenny, scatola 8 (CNPL).
296 Ibidem.
297 La relazione constava 6 pagine in tutto; cfr. carte F. C. De Clercq, CCV.
29 s Ibidem, pp. 1 3. Per esempio, le critiche all'uso dei termini instaurare, instaura·
tio venivano confutate con l'ausilio di numerosi documenti papali e non.
299 Cfr. ibidem, p. 3, ove la proposta di molti padri di eliminare dal capitolo III.25
26 la frase «dum declarat se in praesenti constitutione nihil velle dogmaticae definire»
fu accettata, dopo le dovute considerazioni, sulla base del consiglio del card. Silva, che
aveva parlato a nome dei vescovi cileni, i cui argomenti erano stati molto ben recepiti; il
suo consiglio fu seguito anche a proposito del capitolo Il, parr. 29·33.
300 Nella prima parte della prima riunione fu discusso il compito specifico della
sottocommissione teologica: parere teologico e revisione dei testi della Scrittura; cfr. la
relazione di Gagnebet, p. 1 (F van den Eynde, CCV).
301 Ibidem, p. 2. Furono minime le altre modifiche di questa sottocommissione al
l'introduzione; cfr. anche le note di Jenny, membro della sottocommissione: F Jenny,
scatola 8 (CNPL), dalle quali. appare che la sottocommissione considerava come un sue
cesso il movimento di rinnovamento: <<instaurare est consacré».
174 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

ni3°2 • Il 14 novembre Antonelli era pronto per esporre il testo corretto,


che fu poi approvato, dopo alcune modifiche minori. All'inizio di questa
riunione fu annunciato che era pronta la relatio di Lercaro sugli inter-
venti generali: dopo un breve scambio di opinioni sul valore e sul con-
tenuto della relatio si decise di presentarla in aula303 • A questo punto, fu
ascoltata la relazione di Martin: la sottocommissione non aveva tenuto
conto delle lamentele di alcuni padri circa l'insufficiente chiarezza del
linguaggio degli articoli da 1 a 9, poiché non erano stati proposti con-
creti miglioramenti. Essa mostrò riserve circa le altre proposte di modi-
fica, perché non sufficientemente motivate304 • Dopo Martin, Gagnebet
parlò a nome della sottocommissione teologica, che si era riunita per 3
ore il 10 e il 13 novembre per discutere il capitolo I/1-9305 • Alla prima
riunione fu già deciso che le proposte di modifica radicale di questa se-
zione dovessero essere respinte, in parte perché una tale revisione non
rientrava nei compiti della sottocommissione, in parte perché ciò non
pareva necessario306 • Circa il capitolo I/1-19, dopo una lunga discussione
si propose di sostituire il termine causa con instrumentum, un termine
che poteva contare su una ricca tradizione e che aveva trovato ricono-
scimento tra i teologi, anche se rimaneva qualche discussione sul suo
preciso contenutc3°7 • I commenti sui numeri 1 e 2 si accentrarono dap-
prima su dettagli, sebbene anche questa sottocommissione concordasse
sulla scelta di citare lo Spirito Santo al numero 2,1.20308 • Gagnebet riferì
anche che la sua sottocommissione aveva dedicato molto tempo alla di-
scussione di I/3 ,11.16-25, che trattava delle varie forme della presenza
di Cristo309 • Per venire incontro ai desideri dei padri, era stato elaborato
un nuovo testo che dava una descrizione più chiara delle varie forme
della presenza di Cristc3 10 • Circa il punto I/4-6 furono apportate solo
modifiche minori, al fine di migliorare la comprensibilità del testo311 •
Poi prese la parola Bonet e presentò la relazione della sua sottocommis-

È notevole la brevità delle relazioni di entrambi; cfr. F-Jenny, scatola 8 (CNPL).


30 2
Cfr. F-Jenny, scatola 8 (CNPL). Per la relatio vera e propria, cfr. infra.
303
304 Fu comunque seguita la proposta di dare spazio allo Spirito Santo all'interno
del capitolo 1,1 (1,16) e I,2 (1,15). Tale proposta era stata appoggiata anche dalla sotto
commissione teologica; cfr. la relazione di Gagnebet, p. 1 (F-van den Eynde, CCV).
305 Vedere le relazioni F C. De Clercq (CCV).
306 Cfr. la relazione di Gagnebet, p. 6.
307 Cfr. ibidem, p. 3.
308 Cfr. ibidem, p. 7.
309 Cfr. ibidem, pp. 10-11.
310 Cfr. la motivata relatio di Martin, infra, p. 192.
311 Ibidem, pp. 12-13.
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 175

sione. Circa H capitolo I, insistette sulla estrema importanza giuridica di


definire attentamente, in materia liturgica, l'autorità dei vari organi ec-
clesiali312. La riunione poi passò alla discussione, ma in quel giorno non
andò oltre il paragrafo I/2,1-25.
Quando il 14 novembre giunse il momento del voto la situazione era
la seguente: un piccolo gruppo era al lavoro per respingere sistematica-
mente ogni riforma importante. Questo gruppo includeva persone che
erano state (per esempio Ruffini) o continuavano ad essere membri atti-
vi della congregazione del S. Uffizio, della congregazione dei riti o della
congregazione dei seminari. Nello stesso tempo, il gruppo comprendeva
una parte dell'episcopato anglofono, del quale Spellman, Mclntyre e
Godfrey erano buoni esempi. Un secondo gruppo abbastanza numeroso
era favorevole a un moderato adattamento ai tempi. Un terzo gruppo,
composto soprattutto da vescovi del terzo mondo, che erano forse i più
radicali tra i padri conciliari, chiedeva un più completo ed essenziale
adattamento dei riti alle situazioni e mentalità locali: quest'ultimo grup-
po godeva di uno straordinario appoggio da parte dei liturgisti3 13 •
Tisserant propose che l'assemblea si avviasse al voto314 ; ai padri fu
presentata una mozione, il cui testo era stato elaborato sotto la direzio-
ne di Confalonieri3 15 . La prima parte recitava:
Il concilio ecumenico Vaticano Il, avendo visto ed esaminato lo schema sulla sacra
liturgia, ne approva i criteri direttivi che, con la dovuta prudenza e conoscenza, tendono
a rendere le varie parti della liturgia maggiormente vitali e formative per i fedeli, in con
formità con i bisogni pastorali dei nostri giorni.

La seconda parte affermava:


Gli emendamenti proposti nella discussione conciliare, non appena saranno stati
esaminati e redatti nella dovuta forma dalla commissione conciliare sulla liturgia, saran-
no subito sottoposti al voto della congregazione generale, in modo che i voti dei padri
possano servire per la preparazione del testo definitiva316,

Dato il numero dei padri che aveva espresso opinioni piuttosto ne-
gative sullo schema, si attendevano i voti con una certa tensione. Era
dopo tutto il primo voto del concilio. Grande fu la sorpresa quando la

312 Subcommissio iuridica-Continuatio, (F van den Eynde, CCV).


313 Cfr. ROUQUETTE, La fin d'une chretienté... , pp. 235-236.
314 AS 113, pp. 10 11.
315 Cfr. MARTIMORT, Les débats liturgiques ... , cit., p. 304.
316 AS 113, p. 10; il testo fu letto ad alta voce in latino, spagnolo, inglese, francese,
tedesco e arabo.
176 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

mozione fu approvata da 2162 padri su un totale di 2215: si ebbero


solo 46 voti contrari e 7 nulli. Dietro tutte quelle voci discordi, che ave-
vano rigettato lo schema, proposto radicali modifiche, o che avrebbero
voluto passarlo alla commissione teologica a causa della presenza di er-
rori teologici o pastorali, vi era appena il 3 % dei padri. Fu giustamente
sottolineato che era emersa una larga maggioranza che non si riconosce-
va più in una liturgia non in sintonia coi tempi.3 17 • I padri avevano fatto
una chiara scelta per un modo diverso, più vero di vivere la liturgia. Gli
stessi interventi non lasciavano dubbi sulla reale sollecitudine pastorale
alla base di tale scelta.

8. Le altre attività della commùsione liturgica

Si decise, tuttavia, che la sottocommissione teologica e la sottocom-


missione di Martin si incontrassero il giorno seguente alle 10 per esami-
nare il testo dal paragrafo 1,2, 1.25 al paragrafo 1,9. È evidente dalla
dettagliatissima relazione di Gagnebet3 18 che. ancora una volta molto
tempo fu dedicato alla questione della presenza di Cristo. Si decise di
adottare le modifiche già proposte dalla sottocommissione Gagnebet.
Inoltre, van den Eynde aveva apparentemente qualche diffcoltà con
l'espressione «sub signis sensibilibus, ea quae significant sui cuiusque
modo efficientibus» (p. 160, l.30), poiché ciò implicava più di quanto
veniva effettivamente operato nei sacramenti, sacramentali e altre attività
liturgiche. Su proposta di Vagaggini, quindi, il testo fu modificato per
rendere maggiormente chiaro il modo in cui i segni sensibili operavano
la santificazione della persona319 • Le restanti modifiche furono proposte
solo con intento di chiarificazione.
La commissione si riunì nuovamente il 16 novembre, dedicando tut-
to il tempo ad un'ulteriore discussione del numero 1,2-9; comunque non
fu avanzata nessuna obiezione essenziale alle proposte della sottocom-
missione320. Martin si trovò, quindi, nella posizione di poter presentare
alla seduta del 19 novembre il testo completamente rivisto, nel quale
erano state inserite le osservazioni dei latinisti. Tuttavia le modifiche
proposte al latino del testo non incontrarono l'approvazione dei padri,

317 Cfr. KAISER, lnside the Council..., cit., pp. 86 87.


318 Cfr. GAGNEBET, Relatio a subcommissione theologica et de Cap. I (nn. 1-9) una
simul concinnata, 5 pp. (F C. De Clercq, CCV).
319 Ibidem, p. 3.
320 Cfr. F Jenny, scatola 8 (CNPL).
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 177

dal momento che alcune erano nuove modifiche di punti già modifica-
ti.321. Inoltre, fu portata di nuovo in discussione l'aggiunta di «sacrifi-
cium>> a I,2,1.25, aggiunta che era stata proposta dalla sottocommissione
mista del 15 novembre «ut magis completa sit doctrina»322 . In ultima
analisi il testo fu approvato.
Mons. Grimshaw allora prese la parola e lesse la relazione della sot-
tocommissione sui numeri I,10-15;32-36. Fu evidente che la sottocom-
missione Grimshaw non aveva avuto molte difficoltà con la parte del te-
sto ad essa affidata, dal momento che si era riunita solo una volta; la
stessa relazione non sollevò gravi problemi, anche se doveva essere di-
scussa brevemente il 21 e 23 novembre323 . Il 21 novembre vi fu una lun-
ga discussione 324 sullo spazio della liturgia nella formazione teologica nei
seminari e nelle facoltà teologiche (I,11)3 25 , una discussione che, in ulti-
ma analisi, finì per accettare la proposta di Antonelli di considerare la
liturgia «necessaria» nella formazione dei seminari e «importante» nel-
l'istruzione universitaria326 . Il resto del testo sembra esser stato approva-
to senza altre difficoltà; comunque, l'approvazione del capitolo II fu ri-
tardata fino alla conclusione della discussione sulle conferenze episcopa-
li, discussione che riguardava il lavoro della sottocommissione Calewa-
ert.
Considerando il tempo impiegato nella discussione di punti minori,
come quelli appena citati, non sorprende che, il 19 novembre, Hallinan,
ora accompagnato da Grimshaw, avesse presentato un nuovo documen-
to intitolato De modo -procedendi. Il documento chiedeva che si potesse
evitare di discutere all'interno della sottocommissione competente le dif-
ficoltà teologiche e le nugacitates latt'nae, e che il presidente di una par-
ticolare sottocommissione non dovesse essere responsabile della chiarez-
za della formulazione, nella presentazione di una specifica parte di un

321 Vedere le note di Jenny al Textus capitis I, nn.1-9. Emendationes a commùsione


et a peritis linguae Latinae propositae, 5 pp.; F-Jenny (CNPL).
322 Vedere le note di Jenny, ibidem, p. 2.
32 3 Cfr. l'Ordo agendorum per questi tre giorni, F-C. De Clercq (CCV).
324 Jenny annotò laconico: «On passe une heure sur le nr. 11», F-Jenny, scatola 8
(CNPL).
325 Una parte relativamente ampia di tempo fu dedicata alla sostituzione di «inter
disciplinas principales» (p. 163) con <<inter disciplinas necessarias et potiores», modifica
che a parere di Grimshaw avrebbe conferito maggiore peso allo studio della liturgia,
senza per questo collocarlo allo stesso livello del dogma; cfr. la relazione di Grimshaw,
p. 1, F C. De Clercq (CCV).
326 Dai voti è evidente che 19 padri appoggiarono la parte I (liturgia nei seminari)
e 21 padri la parte II (liturgia nelle facoltà teologiche); cfr. F Jenny, scatola 8 (CNPL).
178 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

testo. Al fine di snellire i lavori, il documento propose anche che le cor-


rezioni di una sottocommissione fossero sottoposte alla commissione sol-
tanto dopo una revisione, operata dalle sottocommissioni competenti
per il linguaggio, l'aspetto teologico e giuridico. Inoltre, il testo doveva
essere presentato in maniera tale da poter consentire alla commissione
di votare immediatamente secondo la prassi del placet/non placet. Solo
dopo che fosse emersa una chiara maggioranza sfavorevole alla modifica,
la materia avrebbe potuto essere discussa. Al termine di tutto questo, il
segretario della commissione avrebbe preparato un testo in tre colonne:
colonna I: il testo originale
colonna Il: tutte le correzioni presentate dalla sottocommissione alla
commissione, approvate o meno dalla commissione
colonna III: un nuovo testo secondo le decisioni della maggioranza
della commissione327 •
Nello stesso tempo, e al fine di aumentare la pressione, Hallinan
scrisse un breve testo in cui sottoHneava che i vescovi degli Stati Uniti
d'America volevano votare sul capitolo I dello schema ancora durante il
primo periodo. I vescovi Tracy (Baton Rouge, Louisiana) e Connare
avevano raccolto, durante la riunione del 26 novembre, un numero di
voti sufficiente per appoggiare questa proposta. 132 vescovi firmarono
la petizione, mentre Mclntyre e Hurley di St. Augustine rifiutarono328 • Il
giorno seguente la petizione fu trasmessa a Spellman, che doveva conse-
gnarla alla presidenza del concilio. Spellman probabilmente non lo fece
mai329.
Nella commissione anche un altro era ansioso di pervenire a un
voto. Il 23 novembre, Jenny propose di completare quanto più veloce-
mente possibile la discussione sul capitolo I, così che fosse possibile
presentarlo nella sua interezza per il voto, che doveva tenersi prima
dell'8 dicembre. Se questo non fosse accaduto, i vescovi sarebbero tor-
nati a casa a mani vuote, una situazione che non avrebbe giovato alla
reputazione del concilio o della chiesa330 • In quel momento l'atmosfera
non sembrava delle migliori: durante la riunione si scambiarono recipro-
camente colpi bassi Pichler e Larraona, quest'ultimo accusato di non
fare il proprio dovere331 • Comunque, questa riunione e quelle che segui-

3.27 Vedere F Calewaert, scatola 4, documento 19 (Archivi della diocesi di Ghent).


328 SHELLEY, Hal/inan ... , cit., pp. 173, 321.
329 Ibidem, pp. 175, 322.
330 F-Jenny, scatola 8 (CNPL).
331 SHELLEY, Hallinan ... , cit., pp. 173, 321.
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 179

rono (24, 26, 27, 28 e 30 novembre) dovevano affrontare il più delicato


dei punti· in discussione: il potere delle conferenze episcopali e l'uso
della lingua volgare.
La relazione della sesta sottocommissione fu letta da mons. Calewa-
ert. Essa si era riunita nei giorni 15, 18, 19 e 22 novembre, ma, in effetti,
aveva portato a termine il suo compito solo il giorno prima332 • Nella pri-
ma riunione ci si era accordati, su suggerimento di Martimort, per una
modifica della struttura del capitolo I, 16-3 l3 33• Al posto del precedente
ordine, vale a dire A (norme generali), B (criteri per l'adattamento della
liturgia alle particolari caratteristiche e tradizioni dei popoli), e (criteri
derivati dalla natura didattica e pastorale della liturgia), D (norme basate
sulla natura comunitaria e gerarchica della liturgia), la sottocommissione
optò per il nuovo ordine A, D, C, B. L'introduzione rimase al suo posto,
come ovvio. In aggiunta, il numero 28, che trattava dell'autorità in tema
di liturgia, ebbe un posto di rilievo tra le norme generali e fu suddiviso in
tre paragrafi334 • Infine, nonostante alcune esitazioni, al numero 16 fu ag-
giunto un passaggio, relativo all'istituzione di un codice liturgico335 •
Quando la sottocommissione si incontrò per la seconda volta il 18 no-
vembre, disponeva dei pareri delle sottocommissioni giuridica e teologica,
che si erano riunite rispettivamente il 16 e il 17336 • Alla luce del fatto che
la sottocommissione aveva deciso di lasciare per il momento le dibattute
questioni dei numeri 20-22 e 24, la riunione passò a discutere il numero
28 (ora 16), all'interno del paragrafo 2 del testo inserito dalla sottocom-

332 La dettagliatissima relazione constava di un totale di 22 pagine; cfr. F-C. De


Clercq (CCV).
333 Il suggerimento originariamente venne da mons. Vielmo; cfr. MARTIMORT, Le s
débats liturgiques... , cit., p. 310.
334 I paragrafi 1 e 3 contenevano il testo originale, ma ora diviso. Fu interpellata la
sottocommissione giuridica per il paragrafo 2, nel quale era opportuno inserire una for
mulazione giuridica.
335 Cfr. la relazione Calewaert, pp. 2 3.
336 Il consiglio della sottocommissione giuridica circa il numero 28, paragrafo 2, era
il seguente: «Ex potestate a iure concessa, rei liturgicae moderatio, intra limites statutos,
pertinet quoque ad competentes varii generis territoriales episcoporum coetus legitime
constitutos»; dr. relazione Bonet, p. 7; F C. De Clercq (CCV). La sottocommissione
consigliò anche di modificare il numero 24, 11.16-19 nel seguente modo: «Sit competen-
tis auctoritatis ecclesiasticae territorialis, etiam, si casus ferat, consilio habito cum episco-
pis finitimarum regionum ...». Gli altri suggerimenti riguardavano dettagli. Anche i sug
gerimenti della sottocommissione teologica trattavano questioni minori e non offrivano
alcuna proposta sui malfamati numeri 20 22 e 24; cfr. la relazione Gagnebet, p. 3; F C.
De Clercq (CCV).
180 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

missione giuridica337 , e i numeri 18-19 (minime variazioni). Durante la


congregazione generale l'art. 16 (revisione dei testi liturgici) aveva provo-
cato grande agitazione, perché qualcuno riteneva che desse l'impressione
che il concilio si stesse imponendo sul papa. La sottocommissione decise,
tuttavia, di lasciare il testo così come era, eccezion fatta per la modifica di
alcuni termini di poca im portanza338 •
Anche le modifiche agli altri numeri erano minime, e così permisero
a1la commissione di proseguire con la discussione dei numeri 20-22, ai
quali era stata aggiunta una frase che offriva l'opportunità di integrare
nella liturgia gli elementi della cultura locale339 • Inoltre, il numero 2 lb
fu mutato in un nuovo numero nel quale si dava alle autorità locali l'op-
portunità di prescrivere adattamenti («adaptationes statuere»). Il termine
conferenze episcopali fu cambiato, per di più, in «a competenti auctori-
tate ecclesiastica territoriali» (cfr. 22, 1-2).
Il 22 novembre la sottocommissione si avviò a discutere della lingua
della liturgia. Considerando la varietà dei punti di vista in proposito, la
sottocommissione optò per la via media, che aveva ricevuto anche molto
appoggio in aula. In risposta alle richieste dei vescovi africani, tra gli al-
tri, la parola «occidentali» nel primo paragrafo era stata sostituita con
«in liturgia latina»; con l'aggiunta di «salvo particulari iure legitime vi-
gente» si sottolineava l'attenzione nei confronti di coloro che già cele-
bravano la liturgia in lingua volgare con il permesso della S. Sede340 •
Come per il secondo paragrafo, non fu seguita la proposta o di limitare
chiaramente, o di permettere senza limiti l'uso della lingua volgare, e il
testo rimase immutato, con l'eccezione di alcuni chiarimenti minori. Il
termine «conferenze episcopali» nel paragrafo 3 fu sostituito con
l'espressione sopra citata. Si stabilì che i vescovi locali potessero emana-
re disposizioni circa l'uso della lingua volgare, sebbene queste dovessero
essere confermate dalla S. Sede. Infine, si propose l'inserimento di un
nuovo paragrafo secondo il quale la traduzione dei testi latini in lingua
volgare doveva essere approvata dalla competente autorità locale341 •
La commissione liturgica doveva seguire le linee generali tracciate

337 La sottocommissione propose di modificare «solius hierarchiae est aliquid in li


turgia mutare» in «auctoritas competens in liturgia moderanda>>.
338 L'aggiunta di «episcopis» veniva ad includere i vescovi, mentre la modifica di
«ex universo orbe» in «ex diversis orbis regionibuS>> tendeva a garantire che la chiesa
presente in tutti i continenti avesse un suo ruolo nella revisione; cfr. la relazione Calewa
ert, p. 6.
339 Ibidem, p. 13.
340 Cfr. ibidem, pp. 16 17.
341 Cfr. ibidem, pp. 20 23 ..
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 181

dalle proposte delle sottocommissioni. Ci furono alcune proteste in rife-


rimento al numero 16 (la revisione dei testi liturgici), poiché sembrò che
la congregazione dei riti venisse esclusa da tale operazione, ma Larraona
sottolineò che era evidente che questa congregazione avrebbe dovuto es-
sere coinvolta nella revisione342 • Su suggerimento di Larraona la frase
«actis ab Apostolica Sede recognitis», nel dibattuto numero 21, fu sosti-
tuita da «actis ab Apostolica Sede probatis seu confirmatis»343 • Per la
riunione del 27 novembre rimaneva la discussione sulla questione della
lingua, che, come già abbiamo potuto notare, continuò il 28 novembre.
A dispetto della resistenza, tra gli altri, di Dante - che dovette essere
zittito da Larraona a causa delle sue rumorose proteste344 - contro l'uso
della lingua volgare nell'eucaristia, la prima bozza elaborata dalla com-
missione Calewaert uscì indenne dalle discussioni345 • Dopo aver letto ed
approvato, il 30 novembre, la Relatio ad Patres (per lo più lavoro di
Martimort)3 46 con alcune modifiche minori, la commissione fu in grado
di mandare tutto alle stampe. La relazione di Grimshaw sui numeri 41-
46 (prima 32-36) fu approvata rapidamente e, dopo aver letto il 3 di-
cembre la Relatio ad Patres, anche questa parte era pronta per andare
alla stampa. La commissione era riuscita a completare almeno un capito-
lo e perciò aveva soddisfatto i desideri di molti dei propri membri; nel
complesso, i lavori della commissione avevano acquistato maggiore effi-
cienza dopo l'intervento di Lercaro dell' 11 novembre e dopo il conse-
guente cambiamento di atteggiamento di Larraona. La sottocommissione
teologica, che all'inizio era stata percepita come una specie di «cane da
guardia», aveva cooperato molto costruttivamente; la sottocommissione
giuridica, i cui commenti furono brevi e puntuali, non mostrò di voler
dare una impostazione giuridica ai lavori. Le varie sottocommissioni ave-
vano lavorato con celerità o, nel caso della sottocommissione di Calewa-
ert, avevano preparato il dossier in maniera tanto accurata che anche sui
punti di scontro, come le competenze delle conferenze episcopali o l'uso
della lingua volgare nella liturgia, si raggiunse il consenso in tempi rela-
tivamente rapidi.

342 Cfr. F Jenny, scatola 8 (CNPL).


il 4 di-
343 Cfr. MARTIMORT, Les déhats liturgiques ..., cit., p. 312. Il fatto che Dante,
cembre, continuasse ad esprimere la sua insoddisfazione per questa formula, prova che
non tutti ne erano soddisfatti; cfr. le F-Jenny, scatola 8 (CNPL); MARTIMORT, Les déhats
liturgiques... , cit., p. 313.
344 Dante pareva sollevare obiezioni aJ, fatto che una questione tanto delicata era
stata affidata al concilio e non alla sua congregazione dei riti, cfr. SHELLEY, Hallinan ... ,
cit., p. 174.
345 Cfr. F-Jenny, scatola 8 (CNPL).
346 Cfr. MARTIMORT, Les déhats liturgiques ... , cit., p. 312.
182 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

Durante gli ultimi giorni del primo periodo la commissione poté de-
dicarsi alla relazione della sottocommissione Enciso con buona coscien-
za. Questo gruppo, a cui era stata affidata la revisione del capitolo II
sul mistero dell'eucaristia, si riunì con una certa regolarità. Nella prima
riunione del 15 novembre trattò le osservazioni relative all'intero testo e
stabili quali fossero di sua competenza3 47 . Durante la seconda riunione
del 17 novembre la sottocommissione concentrò l'attenzione sulle osser-
vazioni relative all'introduzione al capitolo II e suggeri alcune modifiche
allo sçopo di dare un quadro più chiaro del mistero della croce, morte e
risurrezione nel contesto dell'eucaristia348. Il 20 novembre discusse le os-
servazioni al numero 37 (sul rinnovamento della struttura della messa),
esprimendo l'opinione che non si dovesse tenere conto delle già citate
critiche a questo numero. Dopo le dovute considerazioni, si decise di
inserire la proposta del card. Bea, che tendeva a semplificare i riti e ad
eliminare le ripetizioni sedimentatesi col tempo e le parti che non erano
sufficientemente comprensibili349. Il 22 novembre la sottocommissione si
dedicò ai numeri 38-40. Dopo un esame delle osservazioni, il numero 38
rimase immutato; circa il numero 39, che trattava dell'omelia, la sotto-
commissione seguì i desideri di molti padri e confermò la necessità della
predica nelle domeniche e nei giorni di festa. Per quanto riguardava la
preghiera dei fedeli, la scelta cadde su una formulazione che, secondo la
richiesta di Pildain, rendeva giustizia ai bisogni di tutti, anche dei pove-
ri350. I numeri 41-43 351 furono discussi il 24 novembre. Dopo aver sop-
pesato tutti gli argomenti a favore e contro l'uso della lingua volgare, fu
scelta la proposta di Léger, nella quale si dichiarava che la lingua volga-
re doveva essere usata nelle letture e in alcune preghiere e inni. Nello
stesso tempo, fu aggiunto che si doveva prestare attenzione nell'aiutare i
fedeli a cantare con maggiore scioltezza gli inni in latino della messa352 .

347 Cfr. la relazione di Enciso, pp. 1-2, F C. De Clercq (CCV).


348 L'influenza della commissione teologica è evidente, a livello formale, forse nel
testo presentato alla fine alla commissione, ma a livello di contenuto è difficile indivi
duare una modifica; cfr. la relazione Gagnebet, p. 14, insieme al testo corretto sottopo
sto alla commissione (F-van den Eynde). Bisogna peraltro notare a questo punto che
nelle sue discussioni la sottocommissione teologica apportò, sulla base degli interventi
dei padri, poche modifiche di contenuto.
34 9 Ibidem, pp. 7 8.
350 Cfr. la relazione di Enciso, p. 11.
3 51 Si deve ricordare che i numeri 41 (lingua volgare) e 42 (comunione sotto le due
specie) causarono qualche reazione durante le sedute in aula.
352 Cfr. la relazione di Enciso, p. 14. L'aggiunta veniva incontro, tra gli altri, ai de-
siderata di Bea, Florit e Calewaert.
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 183

Circa la comunione sotto le due specie (n. 42), dopo attenta riflessione,
si decise infine, nonostante le molte obiezioni, di optare per una accet-
tazione degli argomenti a favore di tale pratica - con un richiamo espli-
cito al concilio di Trento353 • Nello stesso tempo, la sottocommissione era
conscia delle varie considerazioni pratiche (per esempio, il caso di gran-
di gruppi di fedeli) e offrì alcuni suggerimenti sulle occasioni appropria-
te per la distribuzione della comunione sotto le due specie354 • Le discus-
sioni sul capitolo II furono concluse il 26 novembre con il vaglio dei
numeri 44-46. Per i numeri 45-46 nulla cambiò; tuttavia, fu inclusa nel
testo del numero 44 la proposta di Léger in favore della promozione
della concelebrazione, alla luce del suo uso come espressione di unità.
Contestualmente la sottocommissione ritornò al testo originario della
commissione preparatoria, nel quale si proponeva la concelebrazione per
le messe conventuali e per le messe parrocchiali più im portanti355 • Nel
fare ciò la sottocommissione aveva chiaramente optato di far proprie le
idee del movimento liturgico.
I suggerimenti della sottocommissione furono seguiti quasi in tegral-
mente dalla commissione356, anche se durante il primo periodo non si
pervenne ad un voto357 •

353 Cfr. la proposta della commissione teologica, datata 25 novembre, p. 23; F-van
den Eynde (CCV).
354 L'assai strano «sublato fidei pericolo» fu eliminato, come richiesto da molti pa
dri.
355 Cfr. la relazione di Enciso, p. 17.
356 Cfr. la relazione Enciso insieme alla Commirsio conciliarir de sacra liturgia. Ca-
put II Schematis: De sacrosancto Eucharirtiae mysterio. T extus a Subcommirsione, iuxta dz"..
sceptationem in Commirsione habitam, emendatus (carte Lercaro, ISR, Bologna). Secondo
la relazione di Bonet la sottocommissione giuridica sembra che non abbia fatto difficoltà
alla commissione di Enciso: relazione Bonet, pp. 10 11; cfr. F-van den Eynde, CCV.
357 L'Ordo agendorum del 4 dicembre riporta che nella riunione continuava la di-
scussione della relatio di mons. Enciso; cfr. anche la Ratio agendi in commissione conci-
liari de Sacra liturgia congregationibus generalibus conct1z'i oecumenici vacantibus, idest a
die 8 dee. 1962 ad diem 8 sept. 1963, p. 1: F Jenny, scatola 8 (CNPL, Paris); F-C. De
Clercq (CCV). Poiché l'ottava sottocommissione di Hallinan riuscì a concludere soltanto
all'ultimo minuto, dopo le riunioni del 27 e 29 novembre e del 2, 3 e 5 dicembre, le di
scussioni sul capitolo ID, i padri ricevettero una copia della relazione solo prima di ri
partire. Perciò, a questo punto, può essere tralasciata.
184 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

9. Primi voti

Prima dell'inizio delle votazioni non solo ai padri conciliari fu antici-


pata una spiegazione da parte dei presidenti delle sottocommissioni, ma
ricevettero anche 11 fascicoli contenenti il vecchio testo e il testo corret-
to, affiancati su due colonne358 . Inoltre, ai padri furono consegnate le
Declarationes dall'originario schema sulla liturgia: era certamente nell'in-
teresse dei padri che questi fascicoli contenessero anche le discussioni
dei molti rilievi e osservazioni, anche quando questi erano stati definiti-
vamente soppressi dalla commissione. I padri furono così in possesso di
un quadro relativamente valido del lavoro della commissione.
Per il voto sulle proposte di correzione i padri potevano esprimere il
loro accordo (placet) o disaccordo (non placet) in forma scritta. Va detto
che nessuna singola correzione fu respinta da una maggioranza. Per il
voto sui singoli ca pitali i padri avevano una terza possibilità (placet iuxta
modum). ·
Le modifiche basate sulle osservazioni generali furono presentate dal
card. Lercaro alla diciannovesima congregazione generale il 14 novem-
bre359. Dopo Lercaro, Martin illustrò gli emendamenti all'introduzione
(1-4)3 60• Il risultato della votazione rivelò che i padri erano soddisfatti

358 Emendationes a Patribus conciliaribus postulatae a commirsione conciliari de sacra


Liturgia examinatae et propositae; i cinque fascicoli distribuiti nel primo periodo sono in
AS 1/3, pp. 114 115 e 693-701; AS 1/4, pp. 166 170, 266-277, 322-326.
359 Il cardinale aprl la sua presentazione notando che la richiesta di alcuni padri di
avere a disposizione le declarationes era stata accolta d'intesa tra la commissione e il
consiglio di presidenza. La relazione di Lercaro è collocata da AS (111, p. 132 e Il 3, pp.
116 119) al 17 novembre, ma in realtà fu anticipata al 14 (LERCARO, Lettere... , cit., pp.
115 116). Per quanto riguarda le differenze tra la presentazione ufficiale di Lercaro alla
congregazione generale, come pubblicata in AS 113, pp. 116-119, e un'altra redazione,
vedere PAIANO, Les travaux de la commission ... , cit., pp. 9.:10.
360 Per evitare confusione, va notato che nel testo presentato a questo livello anche
l'introduzione era stata numerata (1 4) e che si era anche scelta una numerazione conti
nua. In pratica ciò significò che 111 era divenuto 115. I nostri riferimenti seguiranno l'ul
tima numerazione: cfr. AS 1/3, p. 695. Per quanto riguarda le correzioni, bisogna dire
questo: non appena si affrontò il numero 1 si dovette apportare la più importante modi
fica, con la sostituzione di <<fratelli separati>> con «tutti i credenti in Cristo». Nel numero
2 l'espressione «visibile e invisibile» fu sostituita da <<Visibile e dotata di realtà invisibili».
A questo punto l'assai piatta espressione «chiesa attiva e contemplativa>> riceveva un ca
rattere più dinamico con la formulazione: <<fervente nell'azione e dedita alla contempla-
zione». Fu eliminata la frase con cui al numero 3 si dichiarava che il concilio non inten
deva formulare dichiarazioni dogmatiche in questa costituzione. I riferimenti ai riti occi
dentali ed orientali furono cambiati in riferimenti al rito romano e a tutti gli altri riti;
cfr. AS 113, pp. 114 115; anche SCHMIDT, La costitut.ione ... , cit., p. 158.
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 185

per la gran parte del lavoro della commissione. Il numero 1 ricevette, su


2.206 padri presenti, 2.181 placet361 , il numero 2 fu approvato da 2.175
dei 2.204 padri presenti362 , il numero 3 da 2.175 dei 2.203 presenti3 63 , e
il numero 4 da 2.191 su 2.204364 • Durante la trentesima congregazione
generale del 30 novembre, Martin presentò le modifiche al capitolo I (1-
9, ora 5-13), notando nella sua introduzione che la commissione aveva
ritenuto che non fosse necessaria una approfondita revisione del testo.
La commissione giudicò anche inopportuno formulare il testo, dal pun-
to di vista dottrinale, in modo troppo vicino all'enciclica Mediator Dei:
diverso il genere letterario di un un documento conciliare da quello di
un' enciclica365 • La commissione aveva preso in considerazione il suggeri-
mento di attribuire un'importanza maggiore allo Spirito Santo, e a que-
sto proposito aveva inserito tre aggiunte366 • Prima di addentrarsi nei det-
tagli sulle modifiche al testo, Martin evidenziò che questa sezione aveva
ricevuto 59 modifiche, 9 delle quali erano di una qualche importanza,
40 avevano natura stilistica o linguistica, mentre le rimanenti 10 non
avevano nulla a che fare col contenuto, ma rendevano in qualche modo
più chiaro lo spirito del testo. Propose, per motivi di tempo, che solo 9
modifiche importanti fossero sottoposte al voto367 • La modifica più im-
portante al numero 5 riguardava la sostituzione del termine causa, nella
frase «ipsius humanitas fuit causa salutis nostrae», col termine instru-
mentum, alla luce del fatto che questa idea era già presente tra i padri
ed era accettata da tutti i teologi3 68 • A1la fine del numero 6 furono ag-
giunte le parole «per virtutem Spiritus Sancti», esaltando ancora una
volta il ruolo dello Spirito369• Il numero 7, che trattava della presenza di
Cristo nell'eucaristia, fu sottoposto ad una vasta operazione chirurgica,

36l 14 padri votarono contro questo numero, mentre 11 espressero voto non valido.
362 Contrari 26, non validi 1.
363 Contrari 21, non validi 7.
364 Contrari 10, non validi 3.
365 Inoltre, 1a commissione era dell'opinione che 1a definizione di liturgia, come for
mulata nel documento ora all'esame, fosse sufficiente, e che quindi non dovesse essere
precisata ulteriormente, specialmente per il fatto che una definizione specifica molto
esatta non avrebbe potuto ottenere un largo accordo tra gli esperti in quel momento.
366 Precisamente in 111 e 112; cfr. AS 113, p. 703.
367 Cfr. AS 111, p. 703.
368 È abbastanza possibile che 1a connotazione troppo scolastica della parola causa
abbia avuto un ruolo in questa modifica, Cfr. BUGNINI, La riforma ... , cit., p. 44. La pa
rola «sacramenti>> nel numero 6 fu divisa in «per sacrificium et sacramenta», al fine di
dare più importanza all'eucaristia, cfr. AS 113, p. 704.
369 Cfr. AS 113, p. 696.
186 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

ma, a livello di contenuto, il nuovo testo rimase tale e quale il preceden-


te37o.
Le varie forme della presenza di Cristo erano descritte nel nuovo te-
sto come segue: Cristo è personalmente presente nell'eucaristia sia nella
persona del sacerdote che· sotto la forma dell'eucaristia. Egli è anche
personalmente presente nella forza dei suoi sacramenti e nella parola,
dal momento che è il Cristo che parla quando la chiesa proclama le Sa-
cre Scritture3 71 . Infine, Cristo è personalmente presente ogni volta che la
chiesa prega o canta372 . Le novità al numero 8 si limitavano a due modi-
fiche linguistiche373 . La frase «est tamen in suo centro, quod est divinum
eucharistiae sacrificium, culmen ad quod omnia tendere debent, et simul
f ons a quo omnia procedunt» fu spostata dal numero 9 al numero 10 in
una forma differente374 . Lo spostamento diede a questo importante pas-
saggio un peso maggiore, dato che ora veniva a trovarsi nel numero che
trattava specificamente del sacrificio eucaristico come fonte di vita per
la chiesa375 . Le modifiche ai numeri da 11 a 13 non ebbero quasi nessun
effetto ai fini del contenuto376 . Anche qui l'approvazione dei testi corret-
ti parve abbastanza unanime; è comunque sorprendente che il numero
6,3 abbia ricevuto 150 voti negativi, cosa assai notevole, se si considera

370 Come motivazione per queste modifiche formali Martin richiamò il fatto che
molti padri avevano chiesto che lo schema includesse le varie distinzioni presenti nella
Media/or Dei. Inoltre un significativo numero di padri aveva espresso riserve circa l'uso
di «et explicatur». Nel fare ciò, lo schema aveva dato l'impressione che le parole di Cri
sto nelle Scritture e l'omelia che seguiva fossero sullo stesso piano, cosa che era ovvia
mente falsa. Infine, un cospicuo numero di padri aveva suggerito cambiamenti circa il
sacrificio della messa. Per tutte queste ragioni, era stato deciso di scrivere un nuovo te
sto che riflettesse lo spirito della Media/or Dei e che desse il giusto spazio al sacrificio
della messa. Cfr. AS V3, p. 705.
3 7l La frase che si riferiva alla presenza personale di Cristo nella spiegazione delle
Scritture fu eliminata «essendo uno sviluppo dottrinale non sufficientemente avanzato
per un documento conciliare»; BUGNINI, La riforma ... , cit., p. 44.
372 Cfr. AS V3, p. 697. Al paragrafo successivo fu aggiunto il seguente passaggio:
«(Ecclesiam... sibi semper consociat), quae Dominum suum invocat et per ipsum aeterno
Patri cultum tribuit». La ragione di ciò era di fare menzione del culto di Cristo di cui
non si parlava in nessun altro luogo.
373 Cfr. AS V3, pp. 697-698.
374 Il testo al n. 10 era il seguente: «Attamen liturgia est culmen ad quod actio ec
clesiae tendit et simul fons unde omnis eius virtus emanat».
375 AS V3, p. 706; cfr. anche BUGNINI, La riforma ... , cit., p. 44. Le altre modifiche
a questo numero furono semplicemente delucidatorie.
376 Cfr. AS V3, pp. 699 700. Con l'aggiunta della frase introduttiva «Vita tamen
spiritualis non unius sacrae liturgiae partecipatione continetur» il numero 12 attribuì
maggiore peso al significato della pietà personale del fedele.
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 187

la vera unanimità sugli altri paragrafi (solo 1,10,7 ricevette una simile
reazione negativa, con 101 padri contrari)3 77 •
Mons. Grimshaw prese la parola il 3 dicembre per presentare le mo-
difiche al capitolo I (14-20) durante la trentaduesima congregazione ge-
nerale. Solo due di queste modifiche sembravano a Grimshaw degne di
menzione, essendo Il:) altre di natura delucidatoria o letteraria378 • Grazie
all'aggiunta di «vi baptismatis» il numero 14 conferì grande enfasi al fat-
to che l'attiva partecipazione di tutti i fedeli si fonda nel battesimo e
non in una autorizzazione della chiesa379 • Il numero 16 insisteva sul fatto
che la liturgia dovesse essere compresa nell'elenco delle materie obbliga-
torie in seminario e nei collegi degli ordini e congregazioni religiose3 80 •
Anche queste limitate modifiche furono accettate dai padri con una
maggioranza schiacciante3 81 •
Mons. Calewaert presentò le modifiche al capitolo I (21-40) alla tren-
taquattresima congregazione generale il 5 dicembre. Evidentemente i pa-
dri non erano rimasti ai loro posti durante i precedenti turni di voto, dato
che nella sua introduzione Felici chiese espressamente che i partecipanti
rimanessero ai loro posti durante le votazioni3 82 • Calewaert, sottolineando
il fatto che stava parlando a nome di tutti i membri della commissione3 83 ,
aprì la assai approfondita relatio384 con un richiamo alle linee guida per la
realizzazione del rinnovamento liturgico, che era infatti l'argomento prin-
cipale di questa parte dello schema. Poiché essa era stata sostanzialmente
modificata, Calewaert dapprima si preoccupò di rilevare i fattori che ave-
vano spinto la commissione ad optare per una nuova stesura. Perché non
rimanessero nascoste al lettore materie di grande importanza, notò il com-
mentatore, le norme relative alla liturgia come azione della gerarchia e

377 Il risultato negativo più vicino a questo si registrò per il paragrafo I,5,1: presen
ti 2.145; favorevoli 2.096; contrari 41; voti non validi 8.
378 Vedere AS I/4, p. 170.
379 Cfr. AS I/ 4, p. 167, unitamente alla chiarificazione di Grimshaw alle pp. 170
171.
380 AS I/4, p. 167.
381 Il risultato del voto sul paragrafo I/14 fu il seguente: favorevoli 2.096; contrari
10; voti non validi 7. Sul paragrafo I/16: favorevoli 2.051; contrari 52; non validi 6; ve
dere AS I/4, p. 213.
38 2 AS I/4, p. 266.
383 È notevole nella relazione di Calewaert la regolarità con cui le osservazioni dei
padri e le critiche sono menzionate e seguite da una reazione positiva o negativa.
384 Cfr. AS I/4, pp. 278 290; circa l'agitazione causata dal fatto che il testo emen
dato era relativamente lungo, vedere, per esempio, SHELLEY, Hallinan ... , dt., pp. 175-
176.
188 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

come azione comunitaria (in precedenza D, ora B)385 , unitamente a quelle


relative alla natura didattica e pastorale della liturgia (che rimaneva C), fu-
rono collocate prima dei criteri per il loro adattamento alla particolare si-
tuazione e tradizione dei popoli. In tal modo si forni vano criteri cornice
per r adattamento, all'interno dei quali le modifiche potevano concretiz-
zarsi «ut nullum dubium de iis moveri possit»386 . I numeri seguenti tratta-
vano da una parte del rispetto della tradizione e dell'apertura ad un legit-
timo progresso, e dall'altra dello spirito biblico del rinnovamento (in pre-
cepenza numeri 18 e 19, ora numeri 23 e 24). Solo a questo punto trovia-
mo il numero che affronta la revisione dei libri liturgici (prima numero
16, ora numero 25). Nella sezione B, il vecchio numero 17, che riguardava
il bisogno di dedicare speciale attenzione al ruolo dei fedeli, si trovava
adesso nelle rubriche (ora numero 31). Situando il numero 27 (sull'attiva
partecipazione dei fedeli) dopo i numeri 28-29 (sulla collocazione di ogni
persona all'interno della celebrazione comunitaria), la commissione intese
dare ai nuovi numeri 30 e 31 una certa coerenza, proprio perché entrambi
riguardavano il laicato. La sezione C rimase più o meno invariata, salvo il
fatto che il vecchio numero 24 (sulla lingua della liturgia) era situato ora
dopo la sezione sulla lettura delle Scritture, la predica e la catechesi litur-
gica (senza una reale motivazione per lo spostamento). Quella che era la
sezione B ora divenne la sezione D senza alcuna modifica alla sequenza
dei numeri387 .
Calewaert poi si soffermò sulle singole sezioni. Sottolineò che il vec-
chio numero 28 era stato anticipato al numero 22. Lo spostamento si
era reso necessario per il fatto che il rinnovamento liturgico doveva, per
lo più, essere realizzato dai vescovi nei loro paesi e sulla base di una va-
rietà di differenti condizioni. Inoltre molti padri avevano manifestato le
proprie difficoltà nei confronti dell'espressione «conferenze episcopa-
li»388. Su suggerimento dei canonisti della commissione, allora, fu ag-
giunto un paragrafo del tutto nuovo a questa sezione, nel quale si di-
chiarava che r ordinamento della liturgia con i Hmiti definiti rientrava

385 Il precedente titolo Normae ex natura communitaria et hierarchica liturgiae ora di-
ventava Normae ex indole liturgiae utpote actionis hierarchicae et communitariae propriae.
386 All'interno delle varie suddivisioni del testo alcuni singoli numeri furono anche
spostati. Mentre prima il numero 28 dello schema («Solius hierarchiae est aliquid in Li
turgia mutare»), per esempio, si trovava tra i criteri derivanti dalla natura comunitaria e
gerarchica della liturgia, ora era collocato al primo posto tra le norme generali (n. 22),
definendo in tal modo chiaramente la legittima autorità circa la liturgia, cfr. AS I/4, pp.
278 279.
387 Cfr. AS I/4, p. 279.
388 Vedere supra, p. 188.
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 189

nell'autorità delle varie conferenze episcopali che erano state legalmente


istituite (n. 22 § 2)389. Al numero che trattava della revisione dei libri li-
turgici fu aggiunto un passaggio nel quale si affermava che tale revisione
avrebbe dovuto essere curata da esperti, che si sarebbero consultati con
i vescovi390. Inoltre, pur senza obbligarsi a una data precisa, la commis-
sione affermava che la revisione avrebbe dovuto avvenire il più presto
possibile3 91 • Era chiaro che i vari spostamenti di parti del testo, le ag-
giunte e le modifiche avevano dato maggiore importanza al contributo
dei vescovi per la realizzazione del rinnovamento liturgico.
La terza parte dei commenti esplicativi di Calewaert affrontò le nor-
me derivate dalla natura della liturgia come azione della gerarchia e
come azione della comunità. Al numero 27 era stata aggiunta una frase
che enfatizzava il valore pubblico e sociale dell'eucaristia e della fre-
quenza ai sacramenti3 92 . In più, era stata eliminata dal numero 32 la fra-
se «salvis consuetudinibus ab ordinario loci approbandis», che indeboli-
va il concetto della fondamentale eguaglianza di tutti i fedeli nella parte-
cipazione alla liturgia393 . Le altre modifiche furono minori e non tocca-
rono materie di fondamentale importanza.
A questo punto furono motivati i criteri derivati dalla natura didatti-
ca e pastorale della liturgia: anche qui le modifiche ebbero per la mag-
gior parte un fine esplicativo, ben poco spettacolare. Al numero 35 (pri-
ma n. 25), comunque, fu inserito un paragrafo in cui si esprimeva il de-
siderio che, nei luoghi caratterizzati da una mancanza di sacerdoti, per
specifiche occasioni3 94 fossero organizzate celebrazioni della parola di
Dio395.
Sebbene impegnato a parlare di una parte della sezione C, tra i
commenti esplicativi di Calewaert una sezione separata fu dedicata alla
questione della lingua, discussione interminabile, che probabilmente era
ancora fresca nei ricordi dell'uditorio396. Calewaert sottolineò che la

389 Calewaert aggiunse che, poiché l'espressione «ex potestate a iure concessa» non
implicava definizioni giuridiche o teologiche, si era lasciato spazio sufficiente per un
eventuale futuro completamento del testo; cfr. AS I/ 4, p. 280.
390 Cfr. ASI/ 4, p. 270; cfr. anche la motivazione della commissione a p. 281.
391 Cfr. AS I/4, p. 270 insieme al commento di Calewaert a p. 282.
392 Cfr. AS I/ 4, p. 271.
393 Cfr. AS I/4, p. 271.
394 Furono proposte le vigilie delle feste maggiori, alcuni giorni feriali del tempo
d'avvento e della quaresima, insieme alle domeniche e ai giorni festivi.
395 Cfr. AS I/4, p. 273.
396 Ancora una volta si dedicò grande attenzione a questo punto; cfr. AS I/4, pp.
285-288. Nessun altro articolo ricevette eguale attenzione.
190 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

commissione aveva optato, per la via mediana, come i padri avevano ri-
chiesto, cioè per una soluzione che attribuiva la dovuta importanza al-
l'uso sia del latino sia del volgare. Il nuovo numero 36 (prima 24) era
stato molto modificato. Nel primo paragrafo, in cui lo schema originario
aveva parlato di liturgia occidentale, ora si stabiliva che il latino doveva
essere la lingua dei riti latini: questa modifica non solo venne incontro
al desiderio, tra gli altri, dei vescovi africani, che avevano chiesto l' elimi-
nazione di «occidentalis», ma, con l'uso del plurale «riti» si riconobbe
che, oltre al rito romano, altri riti, come quello ambrosiano, hanno dirit-
to di cittadinanza nella chiesa cattolica romana. Dal momento che Roma
aveva già permesso, in passato, celebrazioni liturgiche in lingua volgare
in alcune chiese locali, venne inserita la frase «salvo particulari iure»397 •
Nel paragrafo 2 fu specificato, inoltre, che l'uso del volgare poteva esse-
re estremamente utile per i fedeli, specialmente per le letture, le esorta-
zioni ed alcune preghiere e inni, per un uso conforme ai criteri in mate-
ria, predisposti separatamente nei capitoli successivi398 • In conformità
con larticolo 22 § 2, la frase (assai sprezzante) del paragrafo 3, in cui si
permetteva alle autorità ecclesiastiche locali solo di avanzare proposte
alla S. Sede, fu corretta in modo da attribuire alle stesse autorità il dirit-
to di decidere sull'uso della lingua volgare e sul limite di tale uso. In tal
modo la commissione soddisfece il desiderio di alcuni padri di conferire
maggiore potere alle conferenze episcopali399 • Si aggiunse, tuttavia, che
le decisioni adottate avrebbero dovuto essere approvate dalla S. Sede:
«approvate» in tale contesto sembrava avere il significato di «conferma-
te»400. In contrasto col termine «recognitis» del testo dello schema - ter-
mine che era stato considerato troppo ambiguo - la nuova scelta divo-
caboli conferì alle autorità locali maggiore potere decisionale e maggiore
spazio di manovra, senza violare i diritti delle istanze superiori401 .
Nel quarto paragrafo, completamente nuovo, fu proposto, per la tra-
duzione dei testi liturgici latini in lingua volgare, di affidarne la respon-
sabilità alle autorità territoriali menzionate al numero 36 § 3: ciò per
evitare una proliferazione di traduzioni402 .

397 Cfr. AS V4, p. 286.


398 Il commentario della commissione mostra molto bene il modo in cui, durante le
discussioni, maturò l'adesione alla via media.
399 Cfr. AS V 4, p. 288.
400 « ... de usu et modo linguae vernaculae statuere, actis ab Apostolica Sede proba
tis seu confirmatis»; AS V 4, p. 273.
401 Cfr. AS V 4, p. 288.
402 Cfr. ibidem.
IL DIBATTITO SULLA LITURGIA 191

Calewaert concluse trattando dei criteri per l'adattamento della litur-


gia alle peculiari caratteristiche e tradizioni dei popoli403 . In questa occa-
sione i voti, che si protrassero per due giorni, non provocarono difficol-
tà404.
Il giorno seguente spettò ancora una volta a Grimshaw presentare le
correzioni al capitolo I, 32-36 (ora capitolo I, 41-46), nel quale veniva
discussa la promozione della vita liturgica nelle diocesi e nelle parroc-
chie, insieme alle attività pastorali-teologiche. Grimshaw evidenziò che,
sebbene questa sezione contenesse una gran parte della discussione sui
compiti dei vescovi, la commissione non aveva preso in considerazione i
vari suggerimenti offerti dai padri per tale questione, considerando che
ciò rientrasse nella sfera del diritto canonico o che fosse stato discusso
altrove. Notò, inoltre, che si trattava di principi generali e che pertanto
questo non era il luogo per addentrarsi in eccezioni o aspetti particola-
ri405. A questo punto diede una breve spiegazione delle tre correzioni406 .

403 Al numero 37, nel quale era già stata riconosciuta la dignità delle tradizioni lo
cali, fu aggiunta una integrazione, secondo cui queste tradizioni sarebbero entrate a far
parte della liturgia nella misura in cui fossero compatibili con i principi basilari del vero
e genuino spirito liturgico. Il numero 39, che trattava dei limiti dell'adattamento, subì
una profonda revisione a livello formale da parte della commissione, AS V4, p. 289.
L'introduzione al numero 40 (sull'adattamento della liturgia) venne riscritta per esigenze
di chiarezza e per venire incontro alla volontà di alcuni padri: cfr. AS V4, pp. 274 e
290; la citazione della congregazione dei riti fu eliminata dal terzo paragrafo di questo
numero per lasciare al papa completa libertà per la scelta del modus operandi.
404 Seguiamo l'ordine con cui i testi emendati furono presentati. I risultati furono
questi: I,25: favorevoli 2.087, contrari 14, non validi 9; I,37: favorevoli 2.083, contrari
21, non validi 10; I,39: favorevoli 2.044, contrari 50, non validi 15; I,36: favorevoli
2.033, contrari 36, non validi 5; I,36: favorevoli 2.011, contrari 44, non validi 17; I,36:
favorevoli 2.016, contrari 56, non validi 10; I,36: favorevoli 2.041, contrari 30, non validi
8; I,35: favorevoli 1.903, contrari 38, non validi 145; I,27: favorevoli 2.054, contrari 22,
non validi 6; I,22: favorevoli 2.037, contrari 37, non validi 4; I,32: favorevoli 2.023, con
trari 31, non validi 4. Il numero dei voti non validi per il paragrafo I,35 si spiega col
fatto che molti padri avevano già lasciato l'aula per la preghiera de1I'Angelus col papa,
reduce da un paio di giorni di malattia; CTr. BUGNINI, La riforma ... , cit., p. 44.
4o5 AS V 4, p. 326.
406 Notò che era stata eliminata la frase in cui si affermava che battesimo, cresima,
prima comunione, matrimonio e funerale avrebbero potuto svolgersi al di fuori della
propria parrocchia solo per validi motivi (vecchio numero 33, ora numero 42): infatti
una tale regola sarebbe stata difficile da applicare e non aveva fondamento nel diritto.
Una modifica fu apportata anche al numero 44 (prima n. 34) che trattava dell'istituzione
di commissioni liturgiche nazionali. Ancora una volta, in conformità con l'articolo 22 §
2, si decise di sostituire la frase «In singulis conferentiis episcopalibus nationalibus» con
«a competenti auctoritate ecclesiastica territoriali», dal momento che non era ancora
chiaro quale status giuridico sarebbe stato accordato alle conferenze episcopali. Infine,
192 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

Con la conclusione di questi commenti esplicativi era giunto il momento


dell'inizio delle votazioni: come prima, una maggioranza schiacciante
votò a favore delle correzioni proposte407 .
Parlando a nome della presidenza, il 6 dicembre Felici propose che,
alla luce della maggioranza di voti a favore delle modifiche all'introdu-
zione e al capitolo I, l'intero testo corretto fosse votato il giorno seguen-
te408. I padri accettarono la sua proposta, così l'introduzione e l'intero
capitolo I furono votati il 7 dicembre. 2.118 padri presero parte al voto:
1. 992 diedero il proprio placet, 11 considerarono questa sezione merite-
vole del non placet, mentre non meno di 180 padri votarono placet iuxta
modum. Solo 5 padri espressero voto non valido409 . Questo risultato
piuttosto positivo diede una sicura base ai principi fondamentali del rin-
novamento liturgico del concilio410 . Anche il papa espresse la propria
soddisfazione per questo risultato. iniziale:

E non a caso si è iniziato con lo schema de sacra Liturgia: i rapporti dell'uomo con
Dio. Cioè il piu alto ordine di rapporti che occorre stabilire sul solido fondamento della
Rivelazione e del magistero apostolico, per procedere in bonum animorum, con ampiez
za di vedute che nulla vuol mutuare dalla superficialità e dalla fretta che, talora, caratte
rizzano i rapporti di semplici uomini tra di loro411.

poiché le commissioni interdiocesane di cui si parlava al numero 45 (prima numero 35)


non avevano status giuridico ma erano solo organismi consultivi, furono aggiunti i termi
ni «coJlatis consiliis», con l'intento di rendere chiara l'attuale assenza di tale status giuri-
dico: cfr. AS I/4, pp. 324 e 326-327.
407 I,42: favorevoli 1.916, contrari 115, non validi 6; I,44: favorevoli 1.981, contrari
22, non validi 11.
408 Cfr. AS I/4, pp. 361-362.
409 Cfr. AS I/ 4, p. 384.
410 Cfr. SCHMIDT, La costituzione... , cit., pp. 198 202.
411 AS I/4, pp. 643 649, la cit. è a p. 645.
Capitolo quarto

Fisionomia iniziale dell'assemblea

Il bilancio del periodo prepara torio era risultato francamente delu-


dente per le speranze conciliari.
Non si tradisce alcun segreto avrebbe scritto in seguito Hans Kiing dicendo che
alla vigilia dell'apertura del Vaticano II lo stato d'animo dominante non era dappertutto,
Roma compresa, il migliore. Non si coglieva alcun ottimismo. Vi erano ovunque proble
mi, preoccupazioni, interrogativi: come si svilupperanno le elezioni? Che accoglienza in-
contreranno gli schemi? Non vi è forse tra i 2.000 vescovi appena un'infima minoranza
di spiriti aperti? Che cosa si potrà ottenere? Non è stato forse deciso tutto in anticipo
da questa preparazione che è stata tutto meno che soddisfacente? Il fantasma del sinodo
diocesano si aggirava e si parlava di un concilio lampo, senza discussione seria 1.

Scrive uno dei più autorevoli cronisti del concilio, descrivendo la


processione inaugurale:
Non tutti i vescovi sorridevano quando passavano. Molti credevano che il concilio
fosse stato convocato semplicemente per avallare documenti precedentemente preparati.
Alcuni vescovi statunitensi avevano lasciato intendere che avrebbero fatto atto di presen
za per due o tre settimane e quindi sarebbero ritornati a casa. E tutti i vescovi del Para
guay erano stati informati da un'alta carica ecclesiastica che ogni cosa era stata preparata
a Roma e che il concilio sarebbe presto finito2 .

Se prendiamo i vota dei vescovi come radiografia dell'episcopato


universale, l'immagine che ne risulta è quella di padri del concilio pre-
occupa ti - ammesso che qualcosa li preoccupasse - per piccolezze, che
non avevano preso coscienza dei profondi problemi della chiesa e della
società contemporanea3• Il lavoro delle commissioni preparatorie, stretta-
mente controllato dalla curia, non aveva fatto altro che consolidare que-
sta impressione generale. Le voci di dissenso che si erano pronunciate in
una direzione di rinnovamento erano importanti, ma rarissime, e si era-

1 H. KONG, Le Conci/e, épreuve de l'Église, Paris 1963, p. 65.


2 R.M. WILTGEN, The Rhine fiows into the Tiber, Chawleigh 1967, p. 13.
3 Si veda lo studio dei vota in S/V 1, pp. 71-176 e le analisi ivi citate.
194 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

no mosse su un terreno di stretta riserva che non traspariva pubblica-


mente. Al card. Dopfner, che gli aveva- domandato su quanti vescovi ita-
liani si potesse contare, il card. Montini aveva risposto appena una tren-
tina, su 344. E secondo la testimonianza dell'allora vescovo ausiliare di
Barcellona, il futuro card. Jubany, i vescovi spagnoli favorevoli al rinno-
vamento conciliare erano, all'inizio, esattamente 11 su 78. Tuttavia,- non
appena, con i primi sviluppi conciliari, quella moltitudine di vescovi
giunti da tutto il mondo comincia a prendere coscienza di se stessa,
l'opinione generale che si cristallizza e l'immagine che di conseguenza
offre l'assemblea risultano radicalmente differenti, fino al punto che le
nozioni di maggioranza e minoranza cambiano significato in brevissimo
tempo 4• Il consolidamento delle due posizioni si produce in occasione
della discussione sull'introduzione della costituzione liturgica, a proposi-
to dell'introduzione della lingua volgare e delle facoltà attribuite alle
conferenze episcopali, piuttosto che alle congregazioni romane. J oseph
Ratzinger disse durante l'intersessione che «il grande, sorprendente e ge-
nuinamente positivo risultato del primo periodo» era quello di non es-
sersi potuto approvare alcun documento, ciò che dimostrava «la forte
reazione contro lo spirito che stava dietro al lavoro preparatorio»; era
questa, a suo giudizio, «la caratteristica del primo periodo del concilio
che faceva davvero epoca»5 • ...
Come si produce questo rovesciamento di posizioni e di forze? E
questo l'interesse centrale del presente capitolo. Dopo avere analizzato
la composizione dell'assemblea, vedremo il ruolo svolto da alcuni gruppi
ai quali il regolamento del concilio non attribuiva competenza alcuna:
prima di tutto le conferenze episcopali, ma anche alcuni gruppi infor-
mali. Vedremo anche l'ambiente dei mezzi di informazione, che non fu-
rono semplicemente degli informatori sull'evento conciliare con un'am-
piezza di cui nessun concilio aveva mai goduto in precedenza, ma che,
agendo nella direzione opposta, influirono anche sugli stessi padri conci-
liari. Dovremo parlare anche del popolo di Dio, che non fu semplice
spettatore, ma che attraverso i mezzi di comunicazione agì come cassa
di risonanza con innegabili ripercussioni. Ma senza dubbio la chiave del

4 Già aJl'inizio della discussione sullo schema liturgico, il vescovo melchita,


Néophytos Edelby, si rese conto che le proporzioni si erano invertite: «Si sente nelras~
semblea una duplice corrente: una corrente conservatrice, rappresentata soprattutto da
gli italiani e dai nordamericani, e una corrente riformatrice, ma moderata, rappresentata
dal resto degli europei e dai vescovi missionari. Questa seconda corrente sembra dover
prevalere» (JEdb 22 ottobre 1962). A dire il vero, i termini «maggioranza» e «minoran
za», nel senso qui usato, appariranno nei commenti soltanto più avanti.
5 Cit. da WILTGEN, The Rhine ... , cit., p. 59.
FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 195

rovesciamento di posizioni tra maggioranza e minoranza fu la persona di


Giovanni XXIII, che agì come grande catalizzatore dei pochi vescovi
rinnovatori e seppe entusiasmare il popolo di Dio e l'opinione mondiale
con il suo progetto, il quale, a sua volta, in questa simpatia universale
suscitata dalla sua persona e dal suo concilio, trovò la forza morale per
vincere l'opposizione che dominava nella curia all'idea di un concilio
rinnovatore.

1. Composizione dell'assemblea

La prima caratteristica, ed anche la più visibile dall'esterno, del Vati-


cano II fu il gran numero di partecipanti; la seconda fu la loro varietà.
In questo paragrafo, oltre a fornire taluni dati statistici, ci soffermeremo
su alcuni particolari, estratti dalla nutrita anedottica conciliare, i quali,
al di là della loro curiosità, confidiamo che possano servire per disegna-
re l'immagine offerta dall'assemblea. Vediamo prima di tutto quali per-
sone ne facevano parte.

1.1. Padri conciliari

Il regolamento non introduceva novità riguardo ai convocati, ma si


rimetteva al codice di diritto canonico ed al codice di diritto orientale6 •
La normativa del codice del 1917 per i concili ecumenici (che non era
stata ancora applicata), contenuta nei canoni 222-229, stabiliva che sa-
rebbero stati convocati, con diritto al voto deliberativo: 1) i cardinali,
anche qualora non fossero vescovi7; 2) i patriarchi, primati, arcivescovi e
vescovi residenziali, compresi quelli non ancora consacrati; 3) gli abati o
prelati nullius; 4) l'abate primate8 , gli abati superiori di congregazioni
monastiche ed i superiori generali degli ordini esenti, con esclusione
esplicita, a meno che il papa nella convocazione non si esprimesse diver-

6 Regolamento del concilio ecumenico Vaticano II, art. 1, n. 2, il quale cita il cano
ne 223, n. 1 · del Codice di diritto canonico ed il canone 168, n. 1 del Codice di diritto
orientale.
7 Sei mesi prima di inaugurare il concilio, con il motu proprio Cum gravissima, del
15 aprile 1962, Giovanni XXIII dispose che tutti i cardinali fossero investiti della digni
tà episcopale, di modo che tutti coloro che non ne godevano furono consacrati vescovi.
8 Si riferiva all'abate primate della confederazione benedettina, creata nel 1893 da
Leone XIII con l'intenzione di unificare in parte le diverse congregazioni dell'ordine di
s. Benedetto e centralizzarne la relazione con la S. Sede.
196 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

samente, di quelli delle altre congregazioni religiose (vale a dire, le non


clericali e le non esenti). In quanto ai vescovi titolari, sembra che Pio
IX, che nella conduzione del Vaticano I si rivelò meno autoritario di
quanto si afferma di solito9 , fosse stato in dubbio se convocarli al conci-
lio, benché alla fine si fosse deciso in senso affermativo; egli chiamò an-
che i superiori religiosi maggiori, avendo in mente l'abate Prospér
Guéranger, fondatore di Solesmes e ultramontano preminente10• Il codi-
ce del 1917 faceva sua, con qualche reticenza, questa prassi, anche se la-
sciava aperta la possibilità contraria, disponendo che «i vescovi titolari,
se sono convocati, avranno anche diritto al voto deliberativo, a meno
che nella convocazione non si preveda diversamente». Infine prevedeva
l'invito a teologi o canonisti, ma con voto solamente consultivo.
La bolla di convocazione del Vaticano 1111 si attenne agli stessi crite-
ri, convocando con pieni diritti i vescovi titolari, anche se non attribuiva
ai periti il rango di membri del concilio, neppure con voto consultivo:
«... tutti i nostri cari figli cardinali, i venerabili fratelli patriarchi, prima-
ti, arcivescovi e vescovi, ora residenziali, ora solamente titolari, ed inol-
tre tutti coloro che hanno diritto e dovere di assistere al concilio». Il re-
golamento del concilio, nel suo art. 1, 3°, escludeva esplicitamente i
«teologi, canonisti ed altri esperti» dall'insieme dei padri conciliari, non
riconoscendo loro neppure il voto consultivo, e li relegava alla funzione
di <<aiutanti» dei padri, più o meno come il personale ausiliare: «notai,
promotori, scrutatori, segretari, archivisti, lettori, interpreti, traduttori,
tachigrafi e tecnici». Secondo l'art. 10, 1°, potevano assistere alle congre-
gazioni generali, ma avrebbero potuto parlare solamente se interpellati;
di fatto hanno assistito, ma non una sola volta un perito è stato invitato
a parlare nell'aula conciliare. Tuttavia, il lavoro di questi collaboratori fu
molto importante; e non solo quello dei periti conciliari propriamente
detti, ma anche degli esperti che gli episcopati o alcuni vescovi per pro-
prio conto avevano portato con sé. Le conferenze o tavole rotonde a cui
numerose conferenze episcopali o centri di studi ecclesiastici li invitava-
no erano occasioni di incontro e dialogo dei padri conciliari, in cui mol-
ti iniziarono a cambiare mentalità teologica.
I periti «progressisti» erano molto più richiesti dei «conservatori»,
forse perché questi ultimi non dicevano nulla di nuovo che non fosse
già contenuto nei testi che i vescovi avevano studiato da tempo. Il p.

9 Cfr. R. RÉMOND, prologo a PH. LEVILLAIN, La mécanique politique de Vatican II.


La majorité et l'unanimité dans un Conci/e, Paris 1975, p. 10.
10Cfr. R. AUBERT, Il pontificato di Pio IX, Torino 1964, p. 476.
11 Costituzione apostolica Humanae salutis, 25 dicembre 1961; AS 54 (1962), pp. 5-
13; «OssRom» 26 27 dicembre 1961.
FISIONOMJA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 197

Congar, nel suo diario, si lamenta di dovere, nonostante la sua precaria


salute, rispondere ad infinite richieste, a cui gli duole negarsi. I testi di
quelle conferenze, riprodotti in numerose copie, venivano distribuiti nel-
le residenze dei diversi gruppi di vescovi, passavano di mano in mano e
venivano commentati. Perfino alcuni vescovi conservatori erano curiosi
di sapere che cosa esattamente dicessero Schillebeeck.x, Rahner o Con-
gar. Un esperto chiamato dall'episcopato spagnolo, il p. Adalbert Fran-
quesa, monaco benedettino di Montserrat, riferisce nel suo diario delle
riunioni quasi giornaliere che durante la discussione dello schema litur-
gico tenevano i liturgisti convocati dall'episcopato spagnolo; in esse ve-
nivano decisi i vota che a loro parere andavano presentati e proposti e
quali vescovi avrebbero potuto sostenerli. Racconta inoltre le importanti
riunioni da essi tenute presso l'Hotel Columbus con i principali liturgi-
sti di altri episcopati (Martimort, Gy, Wagner, ecc.), nelle quali si deci-
deva la strategia comune da adottare.
Un anno più tardi (6 luglio 1963) Paolo VI estese il diritto di parte-
cipare al concilio, con voto deliberativo, ai prefetti apostolici, benché
non godessero della dignità episcopale. Erano circa 80.
Circa 2.500 vescovi1 2 e altri padri conciliari parteciparono al primo
periodo conciliare, senza contare i periti, gli osservatori ed il personale
ausiliario. Si pensi che il primo dei concili ecumenici, quello riunito a
Nicea nel 325, veniva tradizionalmente chiamato il «grande e santo sino-
do dei 318 padri», anche se in realtà questi superarono appena i 220. E
l'ultimo che era stato celebrato, il Vaticano I,· benché fossero allora di-
sponibili mezzi di trasporto molto avanzati rispetto ai secoli precedenti,
riunì nella sessione inaugurale, 1'8 dicembre 1869, solamente 642 prelati
con diritto di voto, ciò che comunque faceva esclamare al vescovo Ulla-
thorne: «Mai prima di oggi il mondo ha visto un'assemblea di prelati
come questa». Secondo un'informazione ufficiale vaticana, i membri di
diritto del primo periodo del Vaticano II furono 2.904, sebbene quelli
effettivamente presenti furono soltanto 2.449 (89,34 % )13 • Secondo alcu-
ne statistiche ufficiose che all'epoca circolarono tra gli informatori14, i

12 Secondo un documento ciclostilato distribuito a Roma, i vescovi che dovevano


essere convocati erano 2.681; secondo il computo del Bilan du Monde erano invece
2.693.
13 I Padri presenti al Concilio Ecumenico Vaticano II, a cura della Segreteria genera
le del concilio (Roma, 1966 ). Sulla base dei dati dell'ISR i partecipanti al primo periodo
furono 2.443.
14 J.L. MARTIN DESCALZO, Un periodista en el Concilio} Primera etapa, Madrid
1963, pp. 107-114. Questo documento romano viene utilizzato anche nel dossier pubbli
cato dal numero speciale di «ICI» sul concilio del 1° ottobre 1962.
198 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

convocati al concilio erano stati 2.778. Di essi 87 erano cardinali e pa-


triarchi (3,4 %); 1.619 arcivescovi o vescovi residenziali (58,2%); 975 ve-
scovi titolari o ausiliari (35%); e 97 superiori generali di ordini o con-
gregazioni religiose. Vi erano 939 religiosi (38%), il resto apparteneva al
clero secolare. Provenivano da 116 Stati diversi: 849 dall'Europa occi-
dentale; 601 dall'America Latina; 332 dall'America del Nord; 256 dal
mondo asiatico; 250 dall'Africa nera; 174 dal blocco comunista; 95 dal
mondo arabo; 70 dall'Oceania. L'Europa occidentale, con il 33,70% dei
cattolici del mondo, aveva il 31,6 % dei padri conciliari, mentre l'Ameri-
ca Latina, con il 35 ,53 % dei cattolici del mondo, ne aveva solo il
22,3 3 % . Erano relativamente sovrarappresentate l'Africa nera con il
4,08% dei cattolici del mondo e il 9,30% dei padri; il mondo arabo,
con lo 0,51 % dei cattolici e il 3 ,53 % dei padri; Asia ed Oceania, con il
6,71 % dei cattolici ed il 12,10% dei padri e l'America del Nord, con
1'8,69% dei cattolici e il 12,36% dei padri conciliari.
In quanto all'età, sulla base della statistica appena citata, J.L. Martin
Descalzo ha calcolato che il 60% dei padri non arrivava ai 62 anni, il
blocco più numeroso era nato nel primo decennio del secolo, ed il
59,12% di essi era nato tra il 1900 ed il 1920, ed avevano quindi tra i
42 ed i, 62 anni, come si può osservare dalla seguente distribuzione sulla
base della data di nascita:
Prima del 1871 9
Tra il 1871 ed il 1880 124
Tra il 1881 ed il 1890 418
Tra il 1891 ed il 1900 521
Tra il 1901 ed il 1910 981
Tra il 1910 ed il .1920 604
Dopo il 1920 2415

Nonostante ciò, non è il caso di precipitarsi a trarre conseguenze da


questa distribuzione per età. Il card. Ottaviani, energico leader del set-
tore conservatore, aveva 71 anni quando iniziò il concilio, ed uno dei
padri conciliari più carismatici si rivelò un anziano di 84 anni: il patriar-
ca di Antiochia dei melchiti, Maximos IV Saigh.
Era prevedibile che, soprattutto tra quel 40% di padri conciliari
che avevano oltrepassato i 60 anni, si producessero delle assenze sia
per morte sia per malattia, mentre si aggiungevano nuovi vescovi appe-
na nominati. L'arcivescovo emerito di Salisbury (Rhodesia) e titolare di
Velebusdo, Aston Chichester sj, morì improvvisamente nello stesso

15 MARTIN DESCALZO, Un periodista ... , cit., p. 109.


FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 199

atrio della basilica un'ora prima dell'inizio della VI congregazione ge-


nerale, il 24 ottobre. L'italiano Alfonso Carinci, vescovo titolare di Se-
leucia di Isauria, che quando era un bambino di sette anni aveva servi-
to come chierichetto durante il Vaticano I, compì 100 anni il 9 novem-
bre, e quando, lui assente, il card. Frings annunciò questa notizia du-
rante la congregazione generale di quel giorno, fu molto applaudito da
tutti i padri conciliari levatisi in piedi; alla fine della giornata mons.
Felici lesse il telegramma col quale il concilio si felicitava con lui augu-
randogli di vivere ancora molti anni; assistette alla maggior parte delle
congregazioni del primo periodo e ad alcune del secondo, ma morì il 6
novembre 1963, di modo che non poté partecipare al terzo e al quarto
periodo. Il più giovane, di 34 anni, era il peruviano Alcides Mendoza
Castro, vescovo di Abancay, che era solito andare a prendere l' anzian~
Carinci presso la sua residenza per recarsi insieme a lui in Vaticano. E
stato difficile stilare la lista definitiva di tutti i padri conciliari, perfino
per la documentazione ufficiale, ma l'informatizzazione dei dati com-
piuta dall'Istituto per le scienze religiose di Bologna permette di conta-
re con tutta sicurezza in 3.054 il loro numero totale, anche se alcuni lo
sono stati solo all'inizio ed altri solo alla fine. Di questi 3 .054 del cen-
simento complessivo, parteciparono al primo periodo 2.443 padri, men-
tre solo 1.897 presero parte a tutti e quattro i periodi16. Il computo
dei voti non ammette dubbi: durante il primo periodo, l'assistenza alle
congregazioni generali scese dai 2.381 padri presenti alla II congrega-
zione generale del 16 ottobre, giorno in cui vennero elette le commis-
sioni, fino ai 2 .086 della XXXV congregazione generale, il 6 dicem-
bre17.
A proposito di queste cifre sui partecipanti in. uno o più periodi, va
tenuto presente che non pochi vescovi, pur partecipando, non rimasero
a Roma per tutto il periodo, ma, soprattutto gli europei, le cui diocesi
non si trovavano molto distanti, andavano e ritornavano. Dopo tutto ciò
che avevano detto e scritto ai loro fedeli durante il periodo preparatorio
sull'importanza del concilio, non potevano abbandonarlo; ma quando si
resero conto che sarebbe durato molto più di quanto si erano aspettati,
dovettero prendere delle misure per il buon governo delle loro diocesi.
In alcuni casi, coloro che avevano vescovi ausiliari da cui erano stati ac-
compagnati a Roma, li fecero rientrare perché vegliassero sulla diocesi,
mentre essi rimanevano nella città eterna. Anticipando gli eventi, la S.

16 Calcolo realizzato dall'autore sulla base dei dati dell'Istituto per le scienze reli
giose di Bologna.
17 Si vedano la statistica ed il grafico di R. LAURENTIN, Bzlan ... 1 cit. 1 pp. 56 57.
200 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

Sede aveva concesso ai vescovi che si fossero recati al concilio la facoltà


di delegare le loro funzioni per quanto riguardava l'amministrazione del
sacramento della confermazione18 • La stessa S. Sede comunicò ai nunzi,
perché trasmettessero la disposizione ai rispettivi episcopati, che non
conveniva abbandonare le grandi città per lunghi periodi, e che, dove vi
era più di un prelato, era opportuno che, almeno per periodi lunghi, vi
rimanesse qualche vescovo 19 •
L'art. 41 del regolamento faceva proprio, alla lettera, il canone 225
del CIC ed il 170 del CIO, secondo i quali non si poteva abbandonare
il concilio se non con licenza del suo presidente. Si trattava di una nor-
ma pensata nell'eventualità - assolutamente inconcepibile nel 1962 - che
qualche gruppo di vescovi boicottasse la celebrazione conciliare. Nel
caso invece in cui non si fosse abbandonato il concilio, ma semplice-
mente non si assistesse a qualcuna delle sue sessioni pubbliche o con-
gregazioni generali, non occorreva richiedere il permesso, ma in base al-
i' art. 42 del regolamento, sarebbe stato sufficiente indicare il motivo del-
!' assenza al consiglio di presidenza, attraverso il segretario generale. Ciò
.fu ricordato ai padri conciliari dallo stesso segretario generale, Felici,
pochi giorni dopo l'inizio del concilia2°, con la precisazione che non ci
sarebbe stato bisogno di attendere una risposta.
Dopo il numero, ciò che per prima cosa si notava, osservando l'as-
semblea, era la sua varietà. Le immagini dell'avvenimento, le cronache
dei giornalisti ed i ricordi di quanti furono presenti, coincidono nel de-
scrivere lo spettacolo di vescovi di tutte le parti del mondo. Ma al di là
degli aneddoti pittoreschi o delle impressioni superficiali, questo fatto
costituiva un'autentica esperienza spirituale di una intensità fino ad allo-
ra sconosciuta. Già prima dell'apertura lo aveva proclamato mons. Gar-
rone:
La Chiesa fa oggi quella che si potrebbe chiamare l'esperienza fisica della sua uni-
versalità. Noi ci crediamo fino qui, noi la proclamiamo nel nostro Credo; ormai, aura
verso molteplici cause, noi la realiv.iamo sensibiJmente. PopoJi lontani, che per noi non
erano che nomi su una carta, un'espressione nella nostra memoria, prendono spesso un
volto e diventano vicinissimi: era un paese, ora sono degli uomini. Comprendiamo bru
scarnente e brutalmente ciò che questo significa, che il Cristo è il re dell'universo, poi-
ché questo universo è là, sotto i nostri occhi. Ma nello stesso tempo la Chiesa misura
con una sorta di stupore i confini effettivi di questo regno: Haiti, Goa, il Katanga, il
Kuwait non sono più sempJici idee, sono uomini per i quali il Cristo è morto e, tuttavia,

. l8Decreto della S.C. della discipJina dei sacramenti del 4 ottobre 1962, «OssRom»
dello stesso giorno dell'inaugurazione, 11 ottobre 1962.
19 Intervista al card. MorciJlo, «Ecclesia» (Madrid), 27 ottobre 1962.
20 23 ottobre 1962, V congregazione generale.
FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 201

molto vicino a noi, ai nostri fianchi, noi proviamo che il Cristo è assente! Ecco l'anima
del Concilio 21.

Al tempo stesso questo spettacolo non rappresentava una manifesta-


zione trionfalista di una chiesa ripiegata su se stessa, ma viceversa il di-
spiegamento di mass-media intorno al concilio le ricordava la realtà del-
l'umanità, che è la ragione d'essere della chiesa. Scriveva il p. Congar
alla vigilia dell'inaugurazione:
Il Vangelo deve essere annunciato oggi ad un mondo nel quale un uomo su quattro
è cinese, due uomini su tre non mangiano secondo la loro fame, un uomo su tre vive in
un regime comunista, un cristiano su due non è cattolico22.

Mai un concilio era stato tanto numeroso, mai era stato così vincola-
to ai problemi dell'umanità, mai l'umanità era stata tanto interessata da
un concilio.
Il salto quantitativo del Vaticano II rispetto a tutti i Concili ecume-
nici precedenti comportava al tempo stesso un cambiamento qualitativo.
Probabilmente non è mai esistita un'altra assemblea deliberante, sia ec-
clesiastica sia civile, così numerosa (salvo, forse, l'assemblea popolare ci-
nese, più acclamatoria che deliberante). Nella prima votazione concilia-
re, il 16 ottobre, per eleggere i 160 membri delle dieci commissioni,
l'elevato numero, tanto dei votanti, quanto dei posti da coprire fece sì
che si dovessero controllare più di 400.000 nomi, ciò che costrinse a so-
spendere le congregazioni fino al giorno 20. Nel corso dell'eucarestia ce-
lebrata con rito ambrosiano dal card. Montini, il 4 novembre, il papa
pronunciò nell'aula conciliare un'omelia nella quale definiva l'avveni-
mento come «insuperato nella storia dei secoli passati, e difficilmente
superabile nell'avvenire», e si compiaceva della presenza di «questo vo-
stro coro immenso di duemila e cinquecento»23 • Secondo quanto comu-
nicato all'assemblea dal segretario generale, Felici, durante la XXXV
congregazione generale (6 dicembre), nel primo periodo avevano parlato
587 padri conciliari ed altri 523 avevano presentato per iscritto le loro
osservazioni agli schemi. Era evidente che il metodo di lavoro dòveva
essere molto diverso da quello adottato nei concili precedenti, se si vole-
va salvare tanto il legittimo protagonismo dei vescovi e la loro libertà di
intervenire quanto l'efficacia del lavoro da realizzare. La procedura di
esame degli schemi, scrutini, iter' nelle congregazioni generali e studio di
schemi ed emendamenti nelle commissioni, stabilita negli articoli dal 31

21 «ICI», 1° febbraio 1962.


22 «Le Monde», 6 settembre 1962.
23 «OssRom», 5-6 novembre 1962.
202 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

al 70 del regolamento, si rivelò insufficiente, e bisognò appellarsi al mo-


dello della moderna pratica parlamentare e, più in generale, al metodo
di lavoro di congressi ed assemblee con un numero di membri inferiore
a quello del concilio.
L'attività dei padri conciliari non si esauriva nell'assistenza ai dibatti-
ti. I contatti tra vescovi di uno stesso paese e con altri episcopati, spesso
nel bar annesso all'aula, furono molto importanti al fine dei risultati, e
le conversazioni che si tenevano negli spazi laterali che restavano liberi,
nella stessa basilica, su entrambi i lati della navata centrale su cui si er-
gevano le gradinate, portarono qualcuno a definire scherzosamente tali
colloqui con il nome di «Lateranense VI».
Le diverse residenze, specie i collegi nazionali o sovranazionali - in
totale una novantina24 - in cui alloggiavano i padri, risultarono a loro
volta decisive nel riunire volontà, elaborare testi o modi e decidere voti.
Ma in esse la convivenza non era rigorosamente in base alle nazionalità
dei padri. Un esempio, a prima vista aneddotico, ma sicuramente illu-
strativo, è quello che ci offre il diario di un giovane prelato (aveva 41
anni quando iniziò il concilio), mons. Néophytos Edelby, dei basiliani
aleppini, vescovo titolare di Edessa di Osroene e consigliere patriarcale
di Antiochia dei melchiti. Nel «Salvator Mundi», dove egli risiedeva in-
sieme al patriarca Maximos IV ed agli altri vescovi melchiti, essi si in-
contrarono, oltre che con altri gruppi di diverse nazionalità, con una
dozzina di prelati nordamericani della provincia ecclesiastica di Mil-
waukee, per molti aspetti assai diversi dagli arabi, ma con i quali essi
fraternizzarono meravigliosamente. Uno di questi, William Patrick
O'Connor, vescovo di Madison, celebrò il 18 ottobre sia il suo comple-
anno che il giubileo sacerdotale, e gli fu offerta una festa.
Raramente ho visto un vescovo cosl allegro e cosl buono. Tutte le volte che ci in
contra riferisce - ci ricopre con effusioni di amabilità nel poco francese che conosce.
Il patriarca e lui si abbracciano almeno una volta al giorno, e si danno vigorose pacche
sulle spalle.

I vescovi melchiti si unirono alla festa cantando in coro l'inno «Eis


polla éti». Mons. Nabaa rivolse al festeggiato alcune parole in arabo, e
mons. Hakim altre in ebraico, che il nordamericano non com prese, ma
che lo emozionarono visibilmente. La festa terminò con una grande cena
in cui americani ed· arabi finirono per cantare tutti insieme l'«Happy
birthday to you», mentre il festeggiato tagliava una buona torta.
Siamo molto toccati dalla semplicità e dalrallegria dei vescovi americani. Credo an

24 CAPRILE II, p. 287.


FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 203

che che si siano affezionati a noi. È uno dei grandi benefici del concilio il permettere
tutti questi contatti tra i vescovi del mondo intero. Per noi Orientali, in particolare, co-
m'è importante far conoscere la nostra chiesa! Nessuno ce l'ha con noi, ma veniamo
ignorati !25

Più avanti i melchiti potranno fare affidamento sul sostegno dei nor-
damericani nella difesa dei diritti del loro patriarcato. Per la prima volta
da secoli, essi si sentivano importanti. Alla vigilia delle votazioni sulle
commissioni, nel pieno della febbre causata dagli scambi di liste, annota
Edelby:
Abbiamo ricevuto non meno di cinquanta visite. I quattro vescovi e i due segretari
che circondano il Patriarca non si sono ferma ti dal ricevere, introdurre e accompagnare.
I vescovi francesi, africani e brasiliani ci domandano la lista dei nostri candidati. Con
Sua Beatitudine presentiamo la candidatura di sei dei nostri. [. ..] Avvertiamo sempre più
simpatia attorno a noi26,

Quando Giovanni XXIII prese la storica decisione di rifiutare lo


schema sulle fonti della rivelazione, Edelby descriveva come segue l' am-
biente imperante in quella residenza: «Alla Salvator Mundi tutti sono
nella gioia, perché bisogna dire che in questa pensione siamo tutti pro-
gressisti d'avanguardia: americani, tedeschi, africani e orientali»27 •
Le congregazioni generali duravano dalle 9 alle 12,15. Prima di esse,
i vescovi e gli altri padri conciliari celebravano la messa, generalmente
nelle cappelle delle loro rispettive residenze, a volte in altari provvisori e
assistenaosi reciprocamente nel servizio, poiché ancora non esisteva la
concelebrazione. I pomeriggi ed i fine settimana rimanevano liberi per il
riposo, la corrispondenza, lo studio, la redazione o revisione dei docu-
menti conciliari, i contatti e gli incontri, l'assistenza a conferenze o con-
ferenze stampa, e servivano anche per effettuare visite di preghiera o
culturali a chiese e monumenti della città eterna o delle sue vicinanze.
Il viaggio dalle residenze a S. Pietro ed il ritorno avvenivano per
mezzo di autobus speciali, noleggiati dall'organizzazione conciliare pres-
so due imprese romane, i quali percorrevano tragitti prestabiliti che in-
cludevano tutte le residenze. I cardinali si muovevano a bordo di lus-
suose automobili targate SCV, Stato della Città del Vaticano, le quali
erano Mercedes a cui l'acuta malizia romana aveva applicato il detto
evangelico «iam receperunt mercedem suam». Anche alcuni vescovi, ma
pochi, disponevano di un'automobile propria28 •

25 JEdb, 18 ottobre 1962.


26 JEdb, 12 ottobre 1962.
27 JEdb, 21 novembre 1962. Cfr. infra, pp. 300-301.
28 Già nei primi giorni l'abate gen. dei Premonstratensi, N. Calmels, scriveva ai
204 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

1.2. Osservatori non cattolici e ospiti

Benché non fossero padri conciliari, non possiamo dimenticare la


presenza di osservatori di altre chiese. Essi non furono spettatori rassivi
Clell' awenimento conciliare, ed anzi influirono positivamente su testo

suoi monaci: «Come trascorrono la giornata i padri del concilio?», e rispondeva: «In-
nanzitutto, e questo certo non vi sorprenderà, i Cardinali, i Vescovi, i Prelati, gli Abati,
i Superiori Generali, in una parola, i duemilacinquecento Padri del concilio devono al
zarsi di buon'ora per arrivare in orario a San Pietro. Le sessioni cominciano alle nove.
L'orario non è certo mattutino, ma c'è la messa da celebrare, benché coloro che lo desi
derino possano celebrarla alla sera. Bisogna tenere conto degli imbottigliamenti del traf
fico, pensare alla telefonata indiscreta che arriverà all'ultimo minuto (quello in cui si
prende il cappello), aspettarsi quei minuscoli, piccoli niente che impediscono di partire
in orario, pensare al confratello che prende posto sulla stessa macchina e che ha la bril
lante idea di accorgersi, una volta sistemato, di aver dimenticato lo zucchetto [.. .] Gio-
vedì 11 ottobre, per la prima volta nella storia della Chiesa, tutti i vescovi dell'universo
si alzavano alla stessa ora, lo stesso giorno, si vestivano nello stesso modo, meditavano
sullo stesso pensiero, prima di andare alla stessa assemblea con lo stesso programma.
Dal risveglio, i Padri conciliari erano "uno" [ .. .] Poco a poco e passo dopo passo, da
soli o in gruppi, i Padri conciliari entrano e i posti si riempiono uno ad uno. Tutti vesti
ti di viola, di porpora, dell'abito del loro Ordine religioso, gli Orientali, di nero. Porta-
no sulla veste il rocchetto di pizzo ricoperto dalla mantelletta dello stesso colore della
veste, sulla quale si staglia la croce pettorale. Un'aria liturgica è di moda al parlamento
di Dio. Alcuni Prelati, quelli che hanno preso l'abitudine di essere in orario da sempre e
ovunque, arrivano giusto alle nove, né un minuto prima, né un minuto dopo; quelli che
sono abituati a non essere esatti anche questa è un'abitudine che si prende - "si siste
mano senza far rumore" in un posto rimasto libero; sembrano più a loro agio, soprattut
to se, per caso, si trova vicino all'entrata... [. .. ] Esattamente alle nove, una campanella
rintocca, la Santa Messa comincia. È celebrata da un Arcivescovo o un Vescovo su un
piccolo altare posto di fronte all'uditorio, un poco prima della tomba di San Pietro, in
mezzo alla navata centrale. Dopo che è terminata, Monsignor Felici, segretario Generale
del .concilio, o un altro, porta solennemente il famoso Evangeliario, il manoscritto Vat.
Urbinate lat. n. 10 del XV secolo, e lo posa sull'altare tra due ceri, sullo stesso pulpito
che serviva a mostrarlo durante il Vaticano I. L'esposizione dura per tutta la riunione.
Così la Parola di Dio presiede alla parola degli uomini e la guida. Dopo questo, il Car
dinale Presidente della riunione conciliare recita la preghiera "Adsumus... " redatta nel
619 da san t'Isidoro di Siviglia per il concilio svoltosi in quella città. Alcune volte le ses-
sioni sono durate poco, i giornali ve l'hanno detto. Ma se le Congregazioni durano poco
a San Pietro, ci sono in seguito diverse riunioni in luoghi differenti, dove si lavora duro
e per delle ore si sa sempre l'ora in cui queste cominciano, ma mai quando finiranno.
[.. .] Inoltre ci sono gli incontri. Certi giorni sono talmente carichi che è difficile trovare
il tempo di guardare il calendario per sapere in che giorno del mese si vive. Nessuno, a
meno di desiderarlo, ha il tempo di non lavorare o di andare a passeggio. [. .. ] Dopo la
messa, Monsignor Felici dà inoltre l'ordine "extra omnes". Solo i Padri, i periti, gli uffi
ciali e gli Osservatori delegati possono restare nella Basilica. Tutti gli altri devono usci
re». La vie du Conci/e, Forcalquier 1966, pp. 31 33.
FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 205

definitivo di diversi documenti conciliari. «L'ecumenismo - comunicava


al proprio ministro l'ambasciatore spagnolo presso il Vaticano - è senza
dubbio la nota caratteristica di questo concilio e dell'atteggiamento del
papa»29. <<La présence des trente-sept observateurs des communions
chrétiennes non catholiques romaines - affermava il p. Congar - est un
des éléments majeurs de la conjoncture conciliaire»30.
L'arrivo al concilio degli osservatori non cattolici è il frutto di una
storia complicata e sorprendente31 , ma l'avvenimento consisteva nel fatto
che essi vi si trovassero. In un'unica tribuna speciale, nell'aula vaticana,
sedevano 54 non cattolici, 46 dei quali erano «osservatori» propriamente
detti, cioè delegati ufficialmente dalle loro rispettive chiese in risposta
all'invito ricevuto dal segretariato per l'unità dei cristiani, ed 8 erano
«ospiti», personalità non cattoliche invitate o ammesse a titolo persona-
le, per la loro simpatia verso il cattolicesimo, come il priore di Taizé,
Roger Schutz, o il teologo della stessa comunità Max Thurian, o per i
loro lavori in favore dell'unione dei cristiani, come l'esegeta Oscar Cull-
mann32. Alcuni di questi inviti a titolo personale, osserva Fouilloux, con-
sentivano di colmare il vuoto lasciato dal rifiuto di alcuni inviti istituzio-
nali. Per esempio mons. Cassian Bezo brazov ed il p. Alexander Schme-
mann, animatori delle due istituzioni teologiche più prestigiose dell'emi-
grazione russa, dipendevano dal patriarcato di Costantinopoli, ufficial-
mente assente. La «Baptist World Alliance» fu l'unica delle grandi con-
federazioni protestanti a non accettare l'invito vaticano33 , ma vi assistette
come ospite il suo presidente, Joseph H. Jackson, che il 21 dicembre
1961 era stato ricevuto dal papa in udienza privata. Inoltre, un altro
battista americano, Walter Harrelson, dell'università Vanderbilt (Tennes-
see), si fece accreditare come giornalista presso il concilio. Alcuni degli
osservatori annunciati non arrivarono, altri si fecero sostituire e, proprio
come accadde tra i padri conciliari, il numero di coloro che furono ef-
fettivamente presenti variò nel corso del concilio, con tendenza alla ere-

29 Dispaccio dell'ambasciatore spagnolo Doussinague, 26 febbraio 1963; Archivo


Generai del Ministerio de Asuntos Exteriores [= AGMAEJ, R 7190/2.
30 CONGAR, Bloc-notes, in «ICI» n. 182, 15 dicembre 1962, p. 2.
31 Narrata daJ.0. Beozzo in SIV 1, pp. 426 428.
32 Cfr. Observateurs, délégués et hotes du Secrétariat pour l'unité des chrétiens au
deuxième concile oecumén!·que du Vatican (Typis Polyglottis Vaticanis, 1965), pp. 11 15;
citato e commentato da E. FoUILLOUX, Des observateurs non catholiques, in Vatican II
commence, pp. 235-261. Il numero e la qualifica di alcune delle personalità presenti, in
qualità di osservatori o di ospiti, varia nei diversi elenchi. La lista dell'«OssRom» del 15
16 ottobre conteneva solo 39 nomi, invece dei 54 dell'elenco ufficiale.
33 Accordo raggiunto nella riunione di Oslo del 20-24 agosto 1962.
206 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

scita. Secondo i calcoli di Fouilloux, ad assistere al primo periodo, dal~


rinizio alla fine, furono meno di 30, cifra calcolata con un margine di
errore di alcune unità. Alcuni di essi risulteranno in seguito molto im-
portanti per la dimensione ecumenica del Vaticano II; Fouilloux cita in
proposito il metodista argentino José Miguez Bonino, il riformato italia-
no Vittorio Subilia e il luterano ungherese Vilmos Vajta. Il teologo An-
dré Scrima, inviato personale del patriarca Athenàgoras, pur non goden-
do della rappresentatività ufficiale della sua chiesa né dello statuto di
osservatore, coltivò importanti contatti ai margini del concilio.
Vi erano inoltre a Roma alcune persone che avrebbero desiderato
essere invitate, ma che non lo furono. Racconta Lucas Vischer che Max
Lackmann e Peter Meinhold avevano cercato di essere invitati, e il se-
gretariato per l'unità dei cristiani aveva preso in considerazione almeno
il secondo, ma rosservatore ufficiale delegato dalla chiesa evangelica te-
desca, Edmund Schlink, fece osservare al cardinal Bea che essi non rap-
presentavano realmente il protestantesimo tedesco, e che, inoltre «il se-
gretariato non avrebbe dovuto invitare nessuno che fosse conosciuto per
la sua apertura verso Roma»34 • Anche Lucas Vischer trasmise al p. Tuc-
ci, con un'intervista alla radio vaticana, la sua preoccupazione per µ ri-
lievo che si stava attribuendo al movimento di Lackmann, e giunse al
punto di dirgli che se ciò fosse continuato forse la chiesa evangelica te-
desca si sarebbe vista obbligata a ritirare i propri osservatori35 • Tuttavia,
in pratica non vi erano differenze tra alcuni assistenti ed altri. Secondo
un rapporto confidenziale degli osservatori, <<la differenza tra "Osserva-
tori,, e "Ospiti" appare soltanto nominale, in quanto il loro status ai fini
pratici era lo stesso»36 • ·
La rappresentatività del gruppo rispetto alla totalità delle chiese cri-
stiane lasciava molto a desiderare, sia a livello geografico che confessio-
nale. La risposta negativa all'invito della maggioranza delle chiese bizan-
tino-slave fece sì che fossero relativamente molto meglio rappresentati i
protestanti, tra i quali mancavano solamente i battisti: erano presenti 14
ortodossi orientali contro 40 angloprotestanti. Gli orientali, per la loro
veste appariscente, attiravano maggiormente lattenzione dei fotografi,

34 L. Vischer, citato da FOUILLOUX, Des observateurs non catholiques... , cit., p. 239,


il quale osserva che in base a questo ragionamento non si sarebbero dovuti invitare i
due monaci di Taizé, Schutz e Thurian, che rappresentavano assai poco il protestantesi-
mo francese ed erano notoriamente simpatizzanti del cattolicesimo (di recente, Thurian
si è convertito formalmente al cattolicesimo).
35 DTcc, 13 novembre 1962.
Report o/ observers at the second Vatican Council, n. 1, strictly con/idential, cit. da
36
FOUILLOUX, Des observateurs non catholiques... , cit., p. 238.
FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 207

ma i protestanti non solo erano più numerosi, ma svolgevano anche fun-


zioni più importanti. Tra gli stessi ortodossi orientali la rappresentanza
appariva squilibrata: erano presenti sei delegati delle chiese monofisite,
che mons. Willebrands aveva visitato (armena del Libano, copta, etiopi-
ca e siriana), contro otto delegati russi, ma di tre giurisdizioni differenti
e perfino in antagonismo tra loro, senza alcun rappresentante dell'area
bizantino-slava. Erano presenti Bezobrazov e Schmemann, da tempo im-
pegnati nel dialogo ecumenico, in ragione del loro legame con il centro
Istina dei Domenicani di Parigi In cambio il patriarcato di Mosca era
appena uscito dal suo isolamento: solo un anno prima, nel 1961, aveva
aderito al consiglio ecumenico delle chiese, presso il quale era rappre-
sentato dal medesimo Vitalij Borovoij che adesso ne era il rappresentan-
te al concilio. Il terzo gruppo era quello del sinodo russo dell'emigrazio-
ne, che a causa del suo legittimismo e conservatorismo non manteneva
con i due gruppi citati in precedenza relazioni granché fraterne. Tutta-
via tutti furono conquistati dal clima di cordialità positiva e di speranza
ecumenica della Roma di quei giorni, tanto che l'inviato del consiglio
ecumenico delle chiese osserva, meravigliato, che non si verificano scon-
tri tra i tre gruppi rivali: «Anche i russi da Mosca e la chiesa in esilio
parlano amichevolmente tra loro»37 •
Fouilloux si domanda se gli osservatori costituissero un gruppo o
non fossero altro che un agglomerato di individualità. A sostegno della
seconda ipotesi riporta i racconti di due testimoni raccolti da Rock Ca-
porale. Uno dice: «Abbiamo vissuto insieme, ma non abbiamo mai cer-
cato di formare un gruppo a parte»; e un altro: «Non abbiamo avuto
né riunioni né discussioni tra noi solamente, con il fine di presentare,
se così si può dire, un fronte comune. Ciò ci sarebbe risultato difficile,
a causa delle nostre diverse prospettive teologiche»38 • Tuttavia alcuni si
sforzarono per creare una struttura minima, specie su impulso di
Schlink (il quale, secondo quanto riferiva Vischer a Ginevra, riteneva
che essi non dovessero trasmettere l'impressione di essere completa-
mente divisi, poiché ciò era quanto gli integristi si aspettavano da
loro). Nello stesso giorno in cui fu inaugurato il concilio, 1'11 ottobre,
tennero una riunione, su iniziativa del sacerdote anglicano Bernard
Pawley, per cercare di organizzarsi come gruppo. Nonostante l'assenza
di sei orientali, decisero di riunirsi regolarmente e nominarono un pic-
colo comitato perché si occupasse di preparare le riunioni. Tennero

37 Cit. da FOUILLOUX, Des observateurs non catholiques... , cit., p. 241.


38 R. CAPORALE, Les hommes du Conci/e, Paris 1965, pp. 196 e 197; citato da É.
FOUILLOUX, Des observateurs non catholiques... , cit., p. 243.
208 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

anche riunioni di preghiera, su proposta dei riformati, allo scopo di


pregare per il successo del Vaticano Il Nelle mattinate dei lunedì e
venerdì si celebravano servizi religiosi nella cappella metodista, vicino
al ponte Sant'Angelo. Il 14 ottobre Lucas Vischer ne informava il se-
gretariato per l'unità invitandolo ad assistervi, invito che non sappiamo
se fu o meno accettato. Non tutti i partecipanti conservarono un buon
ricordo di quei servizi: <<furono più segni di una sofferenza, di una po-
vertà, di una umiliazione, che di una reale misura di "comunione,, tra
cristiani separati da Roma».39 •
Un indizio della personalità collettiva del gruppo era dato dal fatto
che esso aveva un portavoce comune per alcuni atti ufficiali, cosa che
non fu facile da raggiungere. Nonostante l'opposizione del vescovo an-
glicano Moorman, l'evangelico tedesco Schlink ottenne, nella loro prima
riunione, che venisse accettata l'idea di avere un portavoce comune.
Nell'udienza pontificia del 13 ottobre, doveva essere l'armeno libanese
Karekin Sarkissian a rispondere al papa, ma non gli fu consentito di far-
lo per ragioni di protocollo, ciò che gli osservatori deplorarono. Nel ri-
cevimento offerto dal segretariato per l'unità, fu Schlink a rispondere al
card. Bea. In quello che rs
dicembre, a chiusura del primo periodo, of-
frì loro la Segreteria di stato, toccò a Lucas Vischer di rispondere con le
sue parole a quelle del card. Cicognani.
Il solo fatto della presenza degli osservatori rivestiva di per sé note-
vole importanza, al punto da emozionare un vecchio lottatore della cau-
sa ecumenica, quale era il p. Congar: «Avevo le lacrime agli occhi quan-
do ho incontrato gli osservatori per la prima volta, qui»40 • Ma la prova
della correttezza dell'atteggiamento, o del metodo, di Giovanni XXIII
fu data dal fatto che gli osservatori si sentirono accolti molto bene fin
dal primo momento e non cessarono di crescere di numero durante la
celebrazione del concilio41 • Già dalle prime congregazioni generali,
quando qualche oratore si riferiva agli osservatori lì presenti, si alzava
nell'aula conciliare un grande applauso. Se nel primo periodò (1962) ar-

39 Hébert Roux, citato da FOUILLOUX, Des observateurs non catholiques... , cit., pp.
244 245.
40 Congar, in «ICI» 1° novembre 1962. Nel suo diario personale, si esprimeva più
apertamente: «Eccolo qui l'evento. "Loro" sono a Roma, ricevuti da un cardinale e da
un organismo consacrato al dialogo; e Chrétiens désunir è apparso 25 anni fa».
4 1 Nonostante ciò, Lucas Vischer si lamentava con Tucci per il fatto che si diceva e
scriveva troppo a proposito della soddisfazione e dell'entusiasmo degli osservatori, senza
che si chiarisse che ciò riguardava solamente l'accoglienza e non la dottrina proposta nel
concilio. «Cercherò di avvertire i nostri giornalisti e magari procurare un loro incontro
con L. Vischer stesso, dato che egli vi sarebbe disposto» (DTcc, 13 novembre 1962).
FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 209

rivarono ad essere 54 (tra cui 8 ospiti), nel secondo (1963) salirono a 68


(compresi 9 ospiti), nel terzo (1964) arrivarono ad 82 (con 13 ospiti) e
nel quarto (1965) culminarono a 106 (di cui 16 ospiti). Nell'insieme, fu-
rono presenti al Vaticano II, in uno o più periodi, 192 osservatori o
ospiti non cattolici42 •

1.3. La celebrazione delle sessioni conciliari

Il regolamento aveva previsto due tipi di riunioni conciliari, da cele-


brarsi nella basilica patriarcale di S. Pietro. Le più solenni sarebbero
state le sessioni pubbliche, presiedute personalmente dal pontefice stes-
so, alla cui presenza i padri conciliari avrebbero votato i testi discussi in
concilio, in modo che il papa, se lo avesse giudicato opportuno, espri-
messe il suo parere e ne ordinasse la promulgazione43 • Venne dato carat-
tere di sessione pubblica anche all'inaugurazione del concilio, la quale lo
fu al punto da venire trasmessa in diretta da numerosi canali televisivi e
radiofonici. Le riunioni ordinarie, o di lavoro, vennero denominate
«congregazioni generali». «Nelle congregazioni generali, che precedono
le sessioni pubbliche, i padri, dopo una discussione, stabiliscono le for-
mule dei decreti o canoni»44 • Anche le riunioni delle commissioni conci-
liari godevano del carattere di atti conciliari, ma a differenza delle con-
gregazioni generali non si celebravano nell'aula di S. Pietro e in esse
non era obbligatorio l'uso della lingua latina, benché tutto ciò che vi ve-
niva detto si sarebbe in seguito dovuto tradurre in latino45 •
Solamente in modo occasionale il regolamento menzionava il mo-
mento che avrebbe dovuto rappresentare il culmine delle sessioni e con-
gregazioni conciliari, o, per dirlo con le parole che lo stesso concilio
avrebbe adottato: culmen et /ons, cioè la messa46 • Nella seduta del 7 giu-
gno di quello stesso anno della commissione tecnico organizzativa47 , Te-
sta propose che la prima e solenne sessione si aprisse con la messa pon-

42 G. ALBERIGO, Ecclesiologia in divenire Bologna 1990, p. 6, n. 7.


1

43 Regolamento, art. 2.
44 Regolamento, art. 3.
45 Regolamento, art. 20, 2° e artt. 28 e 29.
46 L'art. 54, 3° del regolamento indica chi celebrerà la messa iniziale dello Spirito
Santo.
47 Presieduta dal card. Testa e presenti i cardd. Quiroga y Palacios, Montini, Ri
chaud, Dopfner, Traglia e Di Jorio, oltre a mons. Dante per la commissione per il ceri
moniale, Felici in qualità di segretario generale e i sottosegretari Casaroli, Guerri e Igino
Cardinale.
210 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

tificale, «ma sarebbe più pratico iniziare le altre adunanze col solo canto
del Veni Creator, col relativo Oremus, invece della messa, sia pure let-
ta». Dante obiettò che la commissione per il cerimoniale aveva già deci-
so di cominciare sempre con la messa, ma Testa gli replicò dicendo che
«questo comitato non stabilisce niente, perché tutto sarà sottoposto al
Santo Padre con il parere di questi Em.mi». Traglia espresse il suo ti-
more che «possa fare cattiva impressione se tutte le sedute non comin-
ciano con la celebrazione della s. Messa, come fu al concilio Vaticano
I», ma il card. Montini (che aveva pubblicato delle belle lettere pastorali
sulla spiritualità liturgica) fece notare che «gli oratori del prossimo con-
cilio saranno ben più numerosi di quelli dei precedenti, è importante as-
sicurare ad essi la possibilità di parlare, essendo la parola una espressio-
ne essenziale del concilio, il che non sarebbe agevole se si dovesse sot-
trarre ogni giorno un'ora di tempo per la celebrazione della s. Messa»,
dopo di che «i cardinali accedono al parere del presidente»48 • Fortuna-
tamente il papa bocciò questa innovazione e si attenne al piano iniziale
della commissione per il cerimoniale, con la messa all'inizio di ogni con-
gregazione generale49 •
La prima fisionomia riflessa dalla liturgia conciliare non risultava
troppo positiva. A parte il fatto che ancora non esisteva la possibilità
della concelebrazione, la partecipazione dei padri conciliari non raggiun-
geva neppure quel livello che le cosiddette <<messe partecipate» o «dia-
logate» avevano ottenuto in numerose parrocchie sensibilizzate dal mo-
vimento liturgico. I prelati più pii dedicavano quel tempo a recitare il
breviario, o il santo rosario. Altri conversavano con i vicini seduti alla
loro destra o sinistra. Si sentiva un diffuso rumore, al quale contribuiva-
no i commessi della segreteria che approfittavano dell'occasione per di-
stribuire la documentazione conciliare ai presenti. Le proteste di un
gruppo di vescovi, spinti in tal senso dai liturgisti che li accompagnava-
no in qualità di esperti, ottennero che quest'ultimo abuso venisse rapi-
damente corretto, ma la liturgia conciliare, più che un modello, era una
clamorosa testimonianza della necessità della riforma. I canti della Ca p-
pella Sistina, diretti dal m. 0 Bertolucci, apportavano ricchezza estetica,
ma erano completamente avulsi dall'atto liturgico. Il giorno successivo
all'apertura del concilio, in un ricevimento presso l'ambasciata francese,
O. Cullmann diceva al p. Congar, a proposito del modo in cui si era

48Methodus servanda in prima sessione Sacri Conci/ii Oecumenici Vaticani II, seduta
della commissione tecnico organizzativa, 7 giugno 1962, ISR, F-Lercaro.
49 Il problema era stato posto anche al segretariato per gli affari extra ordinem il
16 ottobre 1962, come annota Siri (DSri, pp. 363 364); sulla liturgia nel concilio si veda
SCHMIDT, La costitu1.ione... , cit., pp. 130 136.
FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 211

realizzato il sacro rito: «È questo, il vostro movimento liturgico? Ehi! -


osservò Congar - Non ha oltrepassato la Porta di bronzo»50 •
Le celebrazioni liturgiche nell'aula, e soprattutto l'eucarestia, avreb-
bero dovuto rappresentare un'espressione significativa dell'immagine che
il concilio offriva alla chiesa ed al mondo. Non si trattava di qualcosa di
secondario, o di meramente protocollare, e neppure di un semplice atto
di preghiera finalizzato ad implorare l'assistenza divina sui lavori conci-
liari. Un sinodo o un concilio hanno una dimensione canonica, ma pure
una dimensione liturgica, anche più importante di quella. Cinque anni
prima, inaugurando il sinodo di Venezia, l'allora card. Roncalli si era ri-
chiamato al Liber Ponti/icalis, definendolo come <<la mia guida liturgica
e pastorale»51 • Paolo VI dirà in seguito che la chiesa fa molte cose, ma
mai è tanto se stessa come quando è in preghiera; allo stesso modo si
potrebbe dire che il concilio mai fu tanto se stesso come durante le sue
celebrazioni liturgiche. Le celebrazioni eucaristiche svolte secondo i ma-
gnificenti riti orientali provocarono una salutare reazione tra i padri
conciliari occidentali. Con il procedere del concilio, migliorarono anche
le celebrazioni con il rito romano. Il p. Adalbert Franquesa prese l'ini-
ziativa di indirizzare al papa una lettera chiedendo che nella messa di
chiusura del primo periodo, la messa papale dell'8 dicembre, in luogo
del canto polifonico della Cappella Sistina si realizzasse la partecipazio-
ne di tutta l'assemblea con il canto gregoriano. Franquesa ottenne prima
di tutto la firma di tutti i vescovi spagnoli. Ad essi se ne aggiunsero
molti altri, pur non riuscendo, a causa del poco tempo disponibile, a vi-
sitare tutte le residenze, ma nessuno dei vescovi invitati a farlo rifiutò di
apporre la sua firma, ed il papa accedette alla richiesta52 •

50 JCng, 12 ottobre 1962.


51 Discorso al XXX sinodo diocesano di Venezia, 25 novembre 1957, in A.G. RON
CALLI, Scritti e discorsi, III, Roma 1959, p. 318.
52 Questo documento, datato Romae, V kal. decembris an. MCMLXII, fu redatto a
mano dal p. abate Pedro Celestino Gusi, padre conciliare in qualità di abate generale
della congregazione di Subiaco. Una fotocopia dello stesso (anche se solo della prima
pagina di firme) è conservata nell'archivio dell'abbazia di Montserrat. Il maestro Berto-
lucci reagì molto male a questa iniziativa, e si mise alla ricerca del p. Franquesa, che
l'aveva promossa. Secondo quanto riferito dallo stesso p. Franquesa (il quale è la fonte
di queste informazioni), nel corso del secondo periodo fu avanzata la proposta di con-
cluderlo con una concelebrazione di tutti i padri conciliari presieduti dal papa. In que
sto caso le adesioni non furono già più unanimi. Coloro che più aderirono alla petizione
furono i francesi, mentre molti spagnoli non vollero firmare. Paolo VI accolse favorevol
mente la proposta, che comunque non poté essere realizzata perché il rito della concele
brazione non era ancora stato approvato. Il terzo periodo si concluse invece con una
concelebrazione, tuttavia non con il rito proposto dal Consilium (il p. Franquesa era sta-
212 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

Il rito con cui ogni giorno si iniziava la congregazione era particolar-


mente significativo: la solenne intronizzazione dei vangeli; il segretario
intimava l' exeant omnes (invitati, giornalisti ecc.), seguiva la recita della
preghiera Adsumus. Uscendo dall'inaugurazione, annotava il p. Congar:
«So che tra poco si sistemerà sul suo trono, per presiedere il concilio,
una Bibbia. Ma parlerà? La si ascolterà? Ci sarà un momento per la Pa-
rola di Dio?»53 • Benché i comunicati ufficiali si soffermassero più sulla
descrizione dei preziosi codici usati che sulla spiegazione del loro signi-
ficato teologico, con questo rito veniva proclamata la supremazia della
parola di Dio nella vita della chiesa e su tutti i dibattiti conciliari. Veni-
va in tal modo anticipata una delle più importanti affermazioni del Vati-
cano II: «il magistero non è al di sopra della parola di Dio, ma al suo
servizio»54 •

1.4. Problemi di precedenza

La disposizione dei padri conciliari nell'aula vaticana aveva la sua


importanza. Gli scranni più vicini alla grande statua di s. Pietro, «habil-
lée en Boniface VIII»55 , adornati con panni di colore rosso, erano quelli
dei cardinali. Seguivano, quasi senza differenze, con panni verdi, i pa-
triarchi, gli arcivescovi e i vescovi. In ognuno di questi quattro ordini, la
precedenza era in base all'anzianità nell'incarico, con i più anziani più
vicini all'altare maggiore ed i meno anziani verso il fondo, vicino alla
porta. Questo stesso criterio di precedenze fu applicato all'ordine di
seggio e di intervento degli oratori. In tal modo i padri conciliari non
avevano la possibilità di scegliersi un posto, anzi la collocazione veniva
loro rigorosamente imposta e dovevano sedersi tra sconosciuti, con i
quali potevano comunicare solamente attraverso un po' di latino e molta
buona volontà. D'altra parte questa disposizione spiega il fatto che, es-
sendo i vescovi più giovani, che in generale erano anche i più innovato-
ri, relegati nel fondo dell'aula e i più lontani dalla presidenza, gli ap-

to segretario della commissione per la concelebrazione), ma con quello imposto dai ceri
monieri pontifici tradizionali: Dante, Capoferri, ecc. (nota del p. Adalbert Franquesa, al
legata alla lettera al papa del dicembre 1962: Archivo de Montserrat, ArxLit c. 009, doc.
37). Sulle attività del p. Franquesa, cfr. A. G. MARTIMORT, Les débats liturgiques ... , in
Vatican II commence, p. 300.
53 JCng, 11 ottobre 1962.
54 DV 10, COD, p. 975.
55 JCng, 11 ottobre 1962.
FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSE:MBLEA 213

plausi agli interventi di segno più favorevole all'apertura, così come i se-
gnali di disaccordo verso le dichiarazioni di tono conservatore, provenis-
sero in special modo da quella zona dell'aula conciliare, dove non si fa-
ceva troppo caso alle ripetute osservazioni del presidente di turno che
ricordava come tali reazioni fossero proibite.
Un autentico ecumenismo avrebbe dovuto cominciare con una mag-
giore attenzione verso i cattolici orientali in comunione con Roma. Stan-
do al regolamento conciliare, i patriarchi venivano relegati dietro i cardi-
nali, compresi i cardinali diaconi. Ai prelati orientali, molto sensibili al
valore della storia e dei simboli, appariva offensivo che a quelle venera-
bili sedi di tanta tradizione, tra cui alcune ritenute di origine apostolica,
venissero anteposti i cardinali, che in origine non erano altro che clero
domestico del vescovo di Roma, benché in epoca moderna si fossero
convertiti in «principi della chiesa» e godessero della prerogativa di
eleggere il papa. Questa sgradevole situazione non poteva risultare trop-
po incoraggiante al cospetto dei delegati delle chiese separate ed al cli-
ma ecumenico che si cercava di creare.

2. Le con/erenze episcopali

Il regolamento del concilio non aveva affatto preso in considerazione


le conferenze episcopali, sia perché erano poche quelle in funzione
(poco più di quaranta) già esistenti, sia perché erano essenzialmente in~
contri in cui si discutevano questioni pastorali comuni, ma non esercita-
vano alcun potere decisionale. Tuttavia sin dai primi giorni si è visto
come i lavori dell'assemblea conciliare abbiano portato alla ribalta que-
ste conferenze.
La più antica conferenza episcopale pare essere la tedesca: la confe-
renza di Fulda si riunisce dal 1847. Secondo gli irlandesi invece fu la
loro conferenza la prima a riunirsi «formalmente», nel 1854, e la prima
ad avere gli statuti approvati dalla S. Sede, nel 1882. Tra il 1917 ed il
1940 si insediarono 18 conferenze episcopali, ed altre 14 dopo il 1940.
L'Annuario Pontificio del 1962 elenca 44 organismi episcopali. Tra di
essi, alcuni sono regionali o sovrastatali (CELAM, Africa del Sud, Africa
Francese, Africa Portoghese, America Centrale e Panama (CEDAC),
Antille Britanniche). Alcune non portano la denominazione di conferen-
za episcopale (Conference o/ Ecclesiastt'cal Authorities o/ South Africa,
Réunion annue/le de l'Epùcopat de Belgique). Altre si restringono al ver-
tice (Assemblée des Cardinaux et Archeveques de France, Conferencia de
Metropolitanos de Espaiia). In questo elenco vaticano figurano anche, tra
le conferenze episcopali, la N ational Catholic W el/are Con/erence USA (i
214 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

cui statuti furono approvati fin dal 1922) e la Catholic Wel/are Organiza-
tion delle Isole Filippine.
Già nei primi giorni del concilio, Congar pronostica va che il suo più
sicuro e promettente risultato sarebbe stato senza dubbio la mise en pia-
ce di un episcopato strutturato ed articolato. Un concilio è, essenzial-
mente, un'assemblea di vescovi, ma ci si aspettava che i prelati formas-
sero una grande massa amorfa, che la curia avrebbe rettamente orienta-
to, presumibilmente in nome del papa. La necessità dei cosiddetti corpi
intermedi, senza i quali l'individuo rimane privo di protezione di fronte
allo Stato, è stata un punto molto importante dell'insegnamento sociale
della chiesa contro il liberalismo classico. Ma questa dottrina non veniva
applicata all'evento conciliare, in seno al quale le conferenze episcopali,
avvii corpi ecclesiali intermedi tra la diocesi e la chiesa universale, non
erano previste e sorsero come per generazione spontanea. L'ipotesi di
lavoro di Rock Caporale nel suo studio sociologico sul Vaticano II -
ipotesi verificata dalla sua approfondita ricerca - fu che il concilio aveva
posto le basi di una intensificazione senza precedenti, e perfino di una
modifica strutturale, dello schema di comunicazione tra i vescovi, e che
questo cambiamento rappresentava la fonte di molti altri cambiamenti
che iniziavano a comparire nella chiesa. Egli riteneva che le conferenze
preconciliari fossero prive di un solido fondamento teologico, e che il
modello di conferenza postconciliare non assomigliasse molto a quello
preconciliare. Un'importante differenza è data dal fatto che dopo il con-
cilio tutti i vescovi partecipap.o all'assemblea, cosa che prima spesso non
accadeva. Un altro progresso è costituito dalla frequenza delle riunioni.
Prima del concilio, delle 39 conferenze su cui è stata condotta la ricer-
ca, 21 si riunivano una volta all'anno, 6 due volte, 5 ogni due o più
anni (cioè meno di una volta all'anno), 1 non si era mai riunita e 6 non
fornivano dati. Durante il concilio, 5 si riunivano due volte ogni setti-
mana, 1 una volta alla settimana e 12 quando ve ne era bisogno, senza
regolarità56 •
Quando, nelle prime settimane di dibattito, di fronte all'impasse dei
lavori a causa delle ripetizioni degli oratori, i padri conciliari furono
esortati a permettere che uno di essi parlasse a nome di un gruppo di
padri dello stesso parere, ne risultarono incoraggiati gli interventi in
nome delle conferenze episcopali. Ma forse il loro primo riconoscimento
ufficiale fu rappresentato dalle norme emanate dal papa per l'interses-
sione, comunicate all'assemblea da Felici durante la XXXV congregazio-
ne (6 dicembre), nelle quali si annunciava che il testo degli schemi sa-

56 CAPORALE, Les hommes ... , cit., pp. 66 68.


FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 215

rebbe stato inviato ai vescovi attraverso i presidenti delle conferenze


episcopali, anche se questa disposizione fu significativamente stralciata
da «L'Osservatore Romano»57 •
Curiosamente, su questo punto le chiese del terzo mondo precedeva-
no quelle del primo. «Mentre in Europa - scrivevano Houtart e God-
dijn alla fine del concilio - la pastorale di gruppo si è sviluppata al livel-
lo di una diocesi o di' una città particolare, i piani pastorali elaborati in
Africa e America Latina hanno avuto in grande parte come quadro
strutturale le conferenze episcopali». Ciò si doveva, secondo questi auto-
ri, non a posizioni dottrinali, quanto a situazioni concrete, e alla stessa
inferiorità di quelle chiese:
La rapidità dei cambiamenti sociali nei paesi in via di sviluppo e la debolezza delle
strutture diocesane hanno fatto sl che si sentisse immediatamente la necessità di un' azio
ne comune di livello superiore, spesso senza passare attraverso esperienze più modeste.
È questo il caso del Cile, del Congo-Léopoldville e, in grande misura, del Brasile. In
questi paesi, e in altri del terzo mondo, il peso istituzionale è minore e le risorse di cui
dispone ogni vescovo individualmente sono più limitate, per cui è più facile, e perfino
necessario, elaborare piani pastorali a livello di conferenza episcopale nazionale. Invece
le conferenze episcopali europee «sono state fino ad ora soprattutto degli organismi di
coordinamento, e solo in casi molto rari (quello della Missione di Francia, per esempio)
degli organismi di un'azione collegiale nel pieno significato della parola>>58.

L'esempio più importante dell'unità d'azione degli episcopati del ter-


zo mondo, sia per il numero di vescovi che ne facevano parte sia per la
reiterata unanimità nel voto conciliare - ciò che dava agli interventi a
nome del gruppo un peso immenso nel concilio -, è quello del gruppo
panafricano. Avevano organizzato un Segretariato generale delle Confe-
renze episcopali deltA/rica e del Madagascar nel II concilio ecumenico Va-
ticano. Secondo la risposta che durante il terzo periodo fornì oralmente
il suo segretario generale, p. Joseph Gréco, sj, all'inchiesta di G6mez de
Arteche, questo gruppo sarebbe stato il primo nel concilio, essendo nato
durante i suoi primi otto giorni. Di fatto il suo peso si fece già sentire
nelle liste per l'elezione delle commissioni. Esso comprendeva i seguenti

57 «l singoli schemi, appena saranno redatti ed avranno ottenuto l'approvazione ge-


nerica del S. Padre, verranno inviati ai vescovi per me1.1.0 dei presidenti delle Conferen1.e
Epircopali: nei casi in cui questa via sembrerà più spedita; gli stessi vescovi: poi, sono pre
gati di esaminarli e di rimandarli alla segreteria generale del concilio entro un determi-
nato spazio di tempo da stabilirsi di volta in volta, ma che comunque sarà breve>> (CAPRI
LE Il, p. 257). Per Caprile i passaggi sottolineati si trovavano nell'originale latino, ma fu-
rono omessi da «OssRom».
58 F. HoUTART W. GODDlJN, Pastora! de conjunto y planes de pastora!, in «Conci-
lium» 3 (marzo 1965), pp. 27-47 (la cit. è a p. 31).
216 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

sottogruppi: africano francofono, nordafricano, dell'Africa occidentale


francofona, dell'Africa equatoriale-Camerun, congolese, del Rwanda-Bu-
rundi, malgascio, nigeriano, sudafricano, rhodesiano e dell'Africa orien-
tale. Solamente Somalia e Sudan non vi presero patte5 9•
I vescovi italiani non avevano una vera e propria conferenza nel
1962. Esisteva ufficialmente, dal 1951-1952, quella che sarebbe stata
denominata Conferenza episcopale italiana (CEI), ma che allora com-
prendeva solo i presidenti delle conferenze episcopali delle regioni ec-
clesiastiche italiane, il nunzio, il vescovo castrense e il vescovo preposto
all'AC, poiché si riteneva praticamente impossibile congregare quasi
400 prelati in una riunione di lavoro funzionale. Il concilio dimostrò
che ciò non era vero, ed i vescovi italiani - come s'è detto - si riuni-
rono, per la prima volta, in sessione plenaria, il 14 ottobre, presso la
Domus Mariae. Dopo questa riunione, Siri propose agli italiani di con-
tinuare a riunirsi, per orientarsi nelle decisioni conciliari, per informarsi
reciprocamente e «per non restare indietro agli altri gruppi che sono
attivi assai», evitando in tal modo che si formassero gruppi di pressio-
ne e, in definitiva, diceva, per «pr9teggere la libertà dei padri concilia-
ri»60. La seconda riunione dell'episcopato italiano ebbe luogo il 27 ot-
tobre, e la terza il 13 novembre, ma non riuscì a presentare un fronte
unico nel Vaticano II. Secondo Caporale, <<le rare volte nelle quali il
cardinal Siri fu delegato per presentare una posizione comune, badò
bene a intervenire a nome di /ere omnes (quasi tutti), espressione latina
comoda per tener conto dei "dissidenti", che avrebbero potuto essere
più numerosi di quanto non sembrasse» 61 • Il ruolo negativo che il po-
tente cardinale intendeva assegnare all'episcopato italiano si rifletteva
chiaramente in ciò che scrisse nel suo diario alla vigilia dell'inaugura-
zione del concilio:
In questo concilio temo si sentirà non in modo benefico il peso di una abitudi
ne attivistica 1 la quale fa pensare poco1 studiare meno 1 gettare in una zona oscura i gran-

59 Cfr. S. G6MEZ DE ARTECHE Y CATALINA, Grupos ('extra aulamJJ en el II Concilio


Vaticano y su influencia. 3 voll in 9 t., pp. 2585 ill, appendice II, pp. 118 149 (tesi
1

dottorale inedita. Biblioteca de la Facultad de Derecho de la Universidad de Valladolid).


Il prof. É. Fouilloux, che mi ha segnalato l'esistenza e fimportanza di quesi>opera 1 l1ha
rintracciata ed ha potuto consultarla nella biblioteca del consiglio mondiale delle chiese,
a Ginevra. Ne esiste anche 1 per gentilezza dell'autore, un esemplare presso l'Istituto per
le scienze religiose di Bologna. Cfr. CAPRILE II1 p. 80 secondo il quale il segretariato co-
minciò a funzionare il 25 ottobre.
60 B. LAI1 Il Papa non eletto, Giuseppe Si~ Cardinale di Santa Romana Chiesa,
Roma-Bari 1993, pp. 191 192.
61 CAPORALE, Les hommes ... cit., p. 79.
1
FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 217

di problemi dell'ortodossia e della verità. Il pastoralismo pare una necessità, mentre è,


prima che un metodo deteriore, una posizione mentale erronea. In secondo luogo la
croce - se così si può dire verrà come di solito dalle aree francesi tedesche e rispettivo
sottobosco, perché non hanno mai eliminato del tutto la pressione protestantistica e la
prammatica sanzione. Bravissima gente, ma non sanno di essere i portatori di una storia
sbagliata. Credo per tanto che la parte degli italiani, dei latini con quelli della curia,
debba essere dirimente, sia per colmare i vuoti, sia per correggere errori di rotta. La cal
ma romana servirà62.

La permanenza a Roma servì anche agli orientali per tenere quelle


riunioni che, per diverse ragioni, non avevano potuto celebrare nelle
loro regioni d'origine. Nel pomeriggio del 2 novembre si tenne, presso
la casa dei padri maroniti aleppini, a S. Pietro in Vincoli, la prima riu-
nione generale della gerarchia orientale, presieduta dai patriarchi, com-
preso il card. Tappouni, e con la partecipazione di una cinquantina di
vescovi. «Non è stato facile prendere decisioni in riunioni. Ma alla fine
ci si è riusciti», dice Edelby63• Si decise di nominare una commissione di
dodici vescovi - due per ognuna delle sei comunità: armeni, caldei, cop-
ti, melchiti, maroniti, siriaci - che si assumesse il compito di convocare
le riunioni successive e di definirne l'ordine del giorno. Il 7 novembre
questo comitato si riunì per la prima volta, con la sola assenza del rap-
presentante etiopico, che si giustificò. Decisero di riunirsi ogni settimana
di martedì pomeriggio, a turno nelle residenze delle sette comunità.
Avrebbero cercato di studiare gli schemi, soprattutto in quei punti che
interessavano l'insieme degli orientali, al fine di unificare le opinioni e
definire gli interventi a nome di tutti nelle congregazioni generali.
I vescovi statunitensi si erano riuniti in una conferenza fin dal 1919
- la National Catholic Wel/are Con/erence (NCWC) 64 • Essi costituivano
una delle più numerose gerarchie all'interno della chiesa: 246 vescovi
nord-americani partecipavano al concilio. Essi tenevano la loro assem-
blea annuale in ottobre, ma mons. Paul Tanner, il segretario generale, li
informò il giorno 11 ottobre che «la Santa Sede preferisce che i gruppi

62 DSri, cit., p. 183.


63 JEdb, 2 novembre 1962.
64 Tale conferenza era stata originariamente creata nel 1919 con il nome di Natio-
nal Catholic Welfare Council. All'inizio del 1922, a causa dell'opposizione del cardinale
di Boston William H. O'Connell e del cardinale di Philadelphia Dennis Dougherty, la
congregazione concistoriale l'aveva condannata e ne aveva ordinato lo scioglimento. Ciò
suscitò le proteste della stragrande maggioranza dei vescovi. Essi chiesero e ottennero da
r
Pio XI che non fosse sciolta organizzazione, la quale successivamente cambiò il proprio
nome in «Conference», D.J. LAWSON, The Foundation and First Decade o/ the National
Catholic Wel/are Council, Washington 1992, in particolare pp. 4 5 178.
218 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

nazionali non tengano riunioni a Roma». Il cardinale Cicognani, che era


stato nunzio apostolico negli Stati Uniti, concesse il permesso che la riu-
nione annuale si tenesse al Collegio nordamericano, ma richiese che
«nessun comunicato fosse rilasciato alla stampa cattolica o secolare e
che nessuno dei vescovi americani discutesse la convocazione dell'assem-
blea annuale con i vescovi degli altri paesi»65 . All'inizio del concilio,
dunque, Cicognani stava evidentemente tentando di mantenere sotto
controllo ogni esperienza di collegialità episcopale.
Il 18 ottobre i vescovi americani tennero un incontro durante il qua-
le adottarono una proposta volta a rendere la loro partecipazione al
concilio più efficace. Il vescovo Ernest Primeau di Manchester era l' ar-
tefice dell'iniziativa. Egli aveva notato che dopo una sola settimana tutti
si erano resi conto del bisogno di una migliore organizzazione. «Sicura-
mente noi americani non vogliamo unirci al cardinale Cushing nella
"chiesa del silenzio"», aveva osservato Primeau, riferendosi ai rimproveri
di Felici al cardinale per avere parlato in inglese, rimproveri cui Cu-
shing aveva risposto che egli rappresentava la «chiesa del silenzio». Ciò
a cui Primeau pensava era <<la creazione di un apparato che aiuterà i ve-
scovi per le reciproche consultazioni, per la coordinazione dei loro sfor-
zi e per il calendario degli interventi. Chiaramente questo li aiuterà a far
sentire la loro voce in modo articolato al concilio». Spiegando come tale
organizzazione avrebbe potuto coordinare gli sforzi americani con quelli
del segretario generale del concilio, egli ricordò che l'arcivescovo John
Krol di Philadelphia era stato recentemente nominato assistente del se-
gretario generale. Egli passò poi a delineare la struttura dell'apparato
che proponeva di creare66 . Qualunque fossero state le riserve della curia
riguardo alle riunioni romane dei gruppi nazionali dei vescovi, gli ameri-
cani si unirono alle altre gerarchie nell'ignorarle.
I vescovi americani adottarono all'unanimità la proposta di Primeau
e nominarono un comitato incaricato della stesura di piani concreti per
l'organizzazione. Il comitato, composto dall'arcivescoco di Baltimora
Lawrence Shehan, dal vescovo di Charleston France F. Reh e da
Primeau, si riunì il giorno stesso e preparò un piano che i vescovi suc-
cessivamente adottarono. Tale piano prevedeva l'istituzione di un «Co-
mitato generale», composto da una presidenza di cinque vescovi eletti
dall'episcopato, con un presidente eletto dai cinque; un segretariato di
tre vescovi eletti dall'episcopato e destinato ad assistere la presidenza; e

65 ACUA, F Primeau, Tanner a «Vostra Eccellenza», Roma, 11 ottobre 1962.


66 Ibidem, F Primeau, messaggio ai vescovi.
FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 219

dieci commissioni coincidenti con le commissioni conciliari, ciascuna


composta di sette vescovi eletti dall'episcopato, destinate a riunirsi ogni
volta che sarebbe stato necessario discutere l'agenda conciliare. Dal
punto di vista delle procedure, il comitato generale fece passi sostanziali
per promuovere la collegialità tra i vescovi americani. Il vescovo a capo
della presidenza aveva il potere di convocare «riunioni generali dei ve-
scovi una volta alla settimana oppure quando lo ritiene utile». La presi-
denza si sarebbe riunita quando il vescovo che la presiedeva lo ritenesse
necessario e avrebbe potuto «scegliere per i propri lavori e per quelli
del segretariato teologi, esegeti, canonisti, liturgisti e latinisti dalla lista
già distribuita ai vescovi o qualunque altro esperto a loro scelta». Il se-
gretariato avrebbe dovuto riunirsi ogni volta che il suo presidente o
quello della presidenza lo ritenesse necessario. La funzione del segreta-
riato era <<la raccolta, I' archiviazione e la presentazione dei riassunti de-
gli interventi al segretariato del concilio su rischiesta dei vescovi». Cia-
scuna commissione si sarebbe incontrata quando il suo presidente o
quello della presidenza lo avesse ritenuto necessario67 .
L'episcopato spagnolo aveva un peso non trascurabile nell'insieme
dell'assemblea, non solo per il suo numero, ma anche per la sua stretta
relazione storica, culturale e pastorale con la chiesa latinoamericana, che
se dalla Germania riceveva I' aiuto economico, dalla Spagna si attendeva
e riceveva molti sacerdoti, religiosi e religiose. Un esperto al servizio
dell'episcopato spagnolo annotava:
I vescovi spagnoli si sono riuniti oggi pomeriggio alle 6, ed il card. Larraona ha
parlato loro della necessità di mantenersi uniti per difendere Roma e non lasciarsi trasci
nare da quelli del centroeuropa, spesso molto esagerati. Ha parlato dei pericoli delle
conferenze episcopali... Evidentemente vuole formare un blocco difensivo! Oggi, uscen
do, ho parlato con diversi vescovi, ed alcuni di essi erano impressionati da quanto aveva
detto loro il cardinale68.

Secondo la stessa fonte, Larraona affermava che bisognava fare con


il concilio come si fa con la pioggia: aprire l'ombrello ed aspettare che
passi69 . Una parte dei vescovi spagnoli si mostrò fedelmente obbediente
alla curia, ma nonostante gli sforzi del card. Larraona e, in modo indi-

67 Ibidem, bozze del comitato generale.


68 A. FRANQUESA, Diario, 29 ottobre 1962, Archivio dell'Abbazia di Montserrat.
69 Larraona fu colui che redasse la dura lettera inviata a Paolo VI da un gruppo di
vescovi spagnoli, in cui si chiedeva che venisse sottratto alla votazione in concilio il tema
della libertà religiosa. Ciò è stato assicurato a chi scrive dal sacerdote José L. Martin
Descalzo, dell'ufficio spagnolo di informazione al concilio, molto ben introdotto tra i ve-
scovi spagnoli, in un'intervista del 24 ottobre 1990.
220 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

retto, dell'ambasciata spagnola presso il Vaticano, il clima generale del


concilio e soprattutto la manifesta posizione del papa a favore dell'ag-
giornamento) fecero sì che quasi tutti aderissero, per convinzione o per
mimetismo, alla posizione e ai voti della grande maggioranza dell' episco-
pato.
Verso la fine del primo periodo, un gruppo di cattolici catalani pre-
parò un documento contro il regime di Franco, per il suo carattere dit-
tatoriale e la repressione delle nazionalità, e lo distribuì a tutti i vescovi,
periti, osservatori e uditori del concilio. Il documento «cadde malissi-
mo» - riferiva Martin Descalzo - tra la grande maggioranza dei vescovi
spagnoli70 ; soprattutto Morcillo e Cantero Cuadrado reagirono con una
replica molto dura che consegnarono a Iribarren, direttore dell'ufficio
stampa spagnolo, perché la rendesse pubblica. Leggendo quel testo Iri-
barren si allarmò e si riunì con Montero e Martin Descalzo, anch'essi
membri dell'ufficio stampa. I tre convennero che non fosse conveniente
diffondere quella replica e si recarono alla residenza del cardinale pri-
mate di Toledo, Enrique Play Deniel per chiedere consiglio. Pla, anzia-
no e molto malato, non assisteva già più alle congregazioni generali, ma
con l'energia che lo aveva sempre contraddistinto disse loro che, sotto la
sua responsabilità, non rendessero pubblica quella replica scritta, in pri-
mo luogo perché il documento dei catalani era anonimo, e ad un anoni-
mo non si risponde mai, e inoltre perché la replica veniva presentata
come emanata da tutti i vescovi spagnoli, mentre «il primate sono io -
diceva - e non mi hanno detto niente»71 •

3. Formazione di gruppi informali72

Potremmo stilare una nutrita lista di dichiarazioni di personalità ec-


clesiastiche, preoccupate da un taglio troppo umano del concilio, volte a
ricordare che esso non è un parlamento democratico. Ma potremmo an-

70 Dei 78 vescovi spagno]i, 64 erano stati nominati dopo il 1936, vale a dire in base
al diritto di presentazione riconosciuto dalla S. Sede al generale Franco.
71 Conversazione de1l'autore con Martin Descalzo, Madrid, 12 novembre 1990. Se
condo questo sacerdote, la disobbedienza di Iribarren a Morci1lo nell'incidente in que
stione ne causò l'allontanamento da1la direzione de1la rivista «Ecclesia», organo ufficiale
dell'Azione cattolica spagnola ed ufficioso dell'episcopato. Cfr. J. lRIBARREN, Papeles y
memorias. Medio siglo de relaciones Iglesia~Estado en Espaiia, Madrid 1992.
72 Il fenomeno dei gruppi nel concilio è stato oggetto dello studio già menzionato
di Salvador G6mez de Arteche y Catalina, ad esso dovremo più volte riferirci in questa
sez1one.
FISIONO:MIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 221

che citare una copiosa letteratura, tra gli autori che si sono occupati del
Vaticano II, che legittima l'applicazione, per il suo studio, della metodo-
logia della scienza politica e della sociologia dei gruppi. Di più: tra gli
stessi protagonisti del concilio non mancano testimonianze di riferimenti
al modello delle istituzioni politiche secolari. Per esempio, Juliàn Men-
doza, segretario generale del CELAM, spiegava che questo importante
organismo si era strutturato prendendo come modello l'articolazione in
dipartimenti autonomi adottata dall'Organizzazione degli stati americani.
E Martimort ha potuto cominciare il suo minuzioso racconto del lavoro
della commissione liturgica comparandola con la pratica parlamentare73 .
Applicando la metodologia elaborata dalla scuola sociologica, o psi-
cosociologica, nordamericana Rock Caporale ritiene che la formazione
di questi gruppi ha un triplice significato. In primo luogo richiama l' at-
tenzione sulla necessità di' una struttura di gruppo più ristretta, in cui la
partecipazione sia più facile ed efficace, come reazione contro le grandi
sessioni generali in aula. In secondo luogo, offre ai leader di maggiore
valore un vasto campo d'azione per canalizzare e sfruttare le loro ener-
gie allo scopo di esercitare un influsso maggiore sul concilio. In terzo
luogo, tali gruppi apportarono coesione e sostegno, dal momento che i
loro membri erano omogenei e sostenitori di posizioni abbastanza simili.
In tal modo si evitò una rapida disintegrazione delle minoranze che con
la loro opposizione obbligarono la maggioranza a approfondire e chiari-
re le sue stesse posizioni74 •

Il Coetus internationalis patrum

Fu il più importante, per numero e azione efficacemente organizzata,


tra tutti quelli di tendenza conservatrice. Oltre ai membri che esplicita-
mente vi aderivano, questo gruppo rimaneva sempre aperto ai simpatiz-
zanti. I suoi membri e simpatizzanti si comportarono sempre con grande
fedeltà verso le consegne trasmesse dalla direzione del gruppo, ma tale
disciplina
. non
. . era. dovuta ad alcun regolamento interno, bensì alle co-
mun1 convinz1on1.
Benché avesse una speciale sensibilità per le questioni giuridiche e
procedurali (in generale invocava la rigida applicazione del regolamento
per ostacolare l'approvazione dei testi che giudicava sbagliati), era uno

73 MARTIMORT, Les débats liturgiques ... , in Vatican II commence, pp. 291 314, so
prattutto p. 291.
74 CAPORALE, Les hommes ... , cit., p. 90.
222 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

dei gruppi che G6mez de Arteche definisce di «ideologia globale», vale


a dire che non si erano costituiti al fine di influire su una questione par-
ticolare, ed il cui conservatorismo si manifestava in tutti gli ambiti o
temi delle deliberazioni conciliari.
Rappresentava la linea conservatrice in tutta la sua purezza, sia nei suoi atteggiamen
ti fondamentali: scrupolo per la precisa formulazione della verità; una tendenza sovrasto
ricista o trionfalista e quindi uno spirito cauto di fronte ai cambiamenti; scarso interesse,
vera e propria apprensione verso l'apertura ecumenica; sia nelle sue opzioni più concre
te ed importanti75.

Fondatore e anima del gruppo fu Geraldo de Proença Sigaud, arci-


vescovo di Diamantina (Brasile), della società del Verbo Divino. Questi
era legato agli elementi ed alle organizzazioni più reazionarie del Brasi-
le e straniere76 • Quando ancora era vescovo di Jacarézinho, la sua ri-
sposta alla consultazione T ardini sugli obiettivi del concilio77 ne rivela
l'ossessione controrivoluzionaria, che lo porta ad aggredire i cristiani
sociali o democratici («maritainistae», «discipuli Teilhard de Chardin»,
«socialistae catho1ici», «evolutionistae», ecc.) con ancor più violenza
che i comunisti, poiché vede il clero ed il popolo cristiano infettati dai
principi rivoluzionari e consegnati alla strategia equi Troiani, davanti al
silenzio della maggioranza dei vescovi7 8 . Era convinto che in un regime
di cristianità a Dio risulti molto più facile conquistare le anime79 • Nel
1965 sarà il grande promotore della petizione per una solenne condan-

75 G6MEZ DE ARTECHE, Grupos extra aulam ... cit., II/3, p. 241, elenca queste carat-
1

teristiche sulla base di citazioni di interventi conciliari di Siri (XIX congregazione gene
rale, 14 novembre 1962), Franic (.XXIII c.g., 20 novembre 1962), De Proença (XXIII
c.g., 20 novembre 1962), Lefebvre (.XXXI c.g., 1° dicembre 1962), Ruffini (XXXfV c.g.,
5 dicembre 1962), Ruffini (XXXVIII c.g., 1° dicembre 1963 ), Franic (XXXVIII c.g., 1°
dicembre 1963), ecc.
76 Nel suo archivio si può vedere l'affettuosa corrispondenza mantenuta con Plinio
Corréa de Oliveira e con Georges Bidault, ex ministro degli esteri della Francia, un de
mocratico cristiano che aveva iniziato la sua carriera politica abbastanza a sinistra ma
che era finito all'estrema destra, insieme ai militari golpisti della O.A.S., ed aveva dovu-
to esiliarsi in Brasile. In una lettera di G. Bidault a Proença Sigaud, Belo Horizonte, 22
aprile 1963, il primo si autodefinisce proscrit, ringrazia Sigaud per l'accoglienza riservata
gli nel palazzo arcivescovile di Diamantina e per i libri con dedica che gli ha inviato.
ISR, F Sigaud.
77 Datata Jacarézinho, 22 agosto 1962, AD II/VII, pp. 180 195. Minuta originale
presso l'Istituto per le scienze religiose, F-Sigaud.
78 «Raro sacerdos qui Revolutionem impugnat ad Episcopatum evehitur; frequenter
ii qui ei favent».
79 «In societate revolutionaria Deus animas piscat hamo. In societate christiana ani
mae piscantur retibus».
FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 223

na conciliare del comunismo nello schema XIIl8°. Era consapevole di


essere in minoranza nell'episcopato del suo paese81 ; perciò, promuoven-
do la consacrazione, da parte di tutti i padri conciliari, delle loro dio-
cesi e soprattutto della Russia all'immacolato cuore di Maria, suggerì
che si formasse una commissione ad hoc, diversa dalla CNBB (Com-
missione nazionale dei vescovi del Brasile)82 . Secondo quanto riferì a
G6mez de Arteche, Sigaud colse chiaramente fin dal primo momento
la necessità di organizzare le forze disperse, nella prospettiva di
un'azione parlamentare disciplinata in grado di resistere ai padri conci-
liari della maggioranza, che si raggruppavano per nazioni v nel blocco
centroeuropeo. Nel corso del primo periodo cercò invano qualche
gruppo che appoggiasse con decisione questo obiettivo e qualche per-
sonalità ecclesiastica che si prestasse a capeggiarlo, ma non avendola
trovata dovette rassegnarsi ad assumere personalmente quel ruolo. La
piena titolarità, o sovranità, del gruppo spettava ad un'assemblea ple-
naria, ma un «piccolo comitato», che si riuniva ogni settimana, ne era
l'organo consueto di governo ed azione. Questo comitato fu creato, se-
condo Wiltgen, fin dalla prima settimana del primo periodo83 , o nella
sua seconda metà, come disse personalmente Proença Siga ud a G6mez
de Arteche.
Il principale collaboratore di Proença Sigaud fu, fin dal primo mo-
mento, il superiore generale dei padri dello Spirito Santo, Marcel Le-
febvre84. Egli provava un'accentuata avversione per il principio «colletti-
vista», che a suo parere palpitava in quanti propugnavano le conferenze
episcopali. Ma secondo quanto spiegò in un'intervista a Wiltgen, nel-
1' esistenza di potenti conferenze episcopali egli non vedeva tanto una
minaccia contro il papato, quanto contro l'autorità magisteriale e la re-
sponsabilità pastorale di ognuno dei vescovi; di questo problema egli
poteva parlare con autorità, poiché aveva fondato le conferenze episco-

80 Nel suo archivio personale si può vedere la lista dei vescovi di tutto il mondo
che firmarono questa petizione. Il gruppo principale è quello italiano (104), seguito da
quello della Cina (30 vescovi espulsi).
81 Sul promettente momento vissuto dalla chiesa del Brasile alla vigilia del concilio,
cfr. J.O. BEOZZO, Vida cristiana y sociedad en Brasi/, in Vz'speras, pp. 49 81.
82 Sigaud a Joao Pereira Venancio, vescovo di Leiria, Diamantina, 15 febbraio
1963, ISR, F-Sigaud.
83 WILTGEN, The Rhine... , cit., Il ed., Devon 1979, p. 89.
84 Vescovo titolare di Sinnada di Frigia, già arcivescovo di Dakar (Senegal), trasferi-
to il 23 gennaio di quello stesso 1962, con titolo personale di arcivescovo, al vescovado
francese di Tulle, finirà per guidare il gruppo scismatico che non avrebbe accettato le
decisioni del Vaticano II e più concretamente il messale postconciliare di Paolo VI.
224 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

pali nazionali di Madagascar, Congo-Brazzaville, Camerun ed Africa oc-


cidentale francese quando era stato delegato apostolico per l'Africa fran-
cofona, dal 1948 al 195985 • Con Proença Sigaud condivideva anche il ri-
lievo dato alla dimensione ideologica, più che a quella nazionale, nel-
l'importante questione della formazione e scontro dei gruppi conciliari.
Tuttavia Proença Sigaud non voleva che il suo gruppo si basasse sulla
mera affinità dottrinale, e riteneva che ne avrebbe guadagnato in vigore
ed estensione se si fosse fondato su strutture preesistenti; «detto in altri
termini, propugnava un gruppo misto ideologico-nazionale, sullo stile
dei comitati internazionali della maggioranza e della minoranza nel I
concilio Vaticano»86 • Egli cercò dunque di reclutare alcuni presidenti di
conferenze episcopali, ma non riuscì a convincerne neppure uno. Il suo
piano era di creare una «conferenza di conferenze», che avrebbe avuto
come organismo supremo una «conferenza dei presidenti di conferenze
episcopali».
Dopo Lefebvre, il principale seguace di Proença Sigaud fu Luigi M.
Cadi, vescovo di Segni (Italia), che si era già distinto per il suo zelo nel-
la stretta osservanza del regolamento conciliare.
Il Coetus organizzò ogni settimana, per tutta la durata del concilio,
delle conferenze tenute da padri conciliari, talora da cardinali, per dif-
fondere il suo punto di vista sui temi dibattuti. Queste conferenze ra p-
presentavano altrettante occasioni per conoscere altri padri conciliari e
venirne conosciuti. All'inizio, il testo delle conferenze veniva distribuito
ai padri conciliari attraverso i presidenti delle conferenze episcopali, ma
quando fu evidente lo scarso interesse della grande maggioranza di que-
sti presidenti per la diffusione dei loro documenti, i membri del Coetus
passarono alla distribuzione diretta ai vescovi. Inoltre il Coetus promuo-
veva interventi nell'aula conciliare, e vi cercava sostegno. Giunse perfino
ad elaborare controprogetti, come nel caso della libertà religiosa.
Il Coetus internationalis patrum «fu forse, all'interno del concilio,
l'associazione più cosciente della sua qualità di gruppo parlamentare»,
tanto più in quanto a causa della sua natura transnazionale era privo del
supporto di istituzioni già esistenti, come le conferenze nazionali o re-
gionali. Quando il Coetus si rivolgeva ai padri uti singult' (per esempio
nelle circolari), si presentava apertamente come entità collettiva, con il
suo nome di gruppo, mentre quando interpellava i padri uti universi
(l'assemblea conciliare o qualcuno degli organismi ufficiali del concilio)
si presentava come mera aggregazione di padri, e dei suoi interventi o

85 WILTGEN, The Rhine... cit., p. 89.


1

86 G6MEZ DE ARTECHE, Grupos "extra aulam" ... , cit. 1 IV3, p. 243.


FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 225

proposte si assumevano la responsabilità, semplicemente, a titolo perso-


nale, determinati vescovi, in genere i più importanti del gruppo87 •
Qualche cronista definì all'epoca il Coetus una «società segreta»88
mentre si trattava solo di un gruppo particolarmente chiuso. In quanto
all'estensione del gruppo, bisognerà distinguere tra i membri propria-
mente detti, pochi ma molto disciplinati, ed i semplici simpatizzanti, i
quali, in proporzione variabile ma molto più numerosa, seguivano le in-
dicazioni di voto del Coetus. Membri propriamente detti possono essere
considerati quelli i cui nomi appaiono negli interventi del Coetus in que-
sto primo periodo89 •
Anche se il Coetus rappresentò il catalizzatore della cosiddetta mino-
ranza, non tutti i padri di quest'ultima, strettamente parlando, vi appar-
tenevano, e qualcuno volle perfino chiarire esplicitamente che non face-
va parte del gruppo. I vescovi spagnoli che si trovarono d'accordo con
il Coetus nell'opporsi alla dichiarazione sulla libertà religiosa, e in buona
misura anche sull'esigenza di una esplicita condanna del comunismo, di-
chiararono apertamente di non avere alcun vincolo con il Coetus. Gli
episcopati più influenzati dall'azione propagandistica di questo gruppo
furono quello italiano, lo spagnolo, il filippino, il latinoamericano ed il
francese. Suoi simpatizzanti erano anche i due gruppi formatisi per di-
fendere lo status religioso, classificati da G6mez de Arteche come
«gruppi corporativi». Al gruppo di vescovi delle missioni (Vrienden-
club), il Coetus era legato per mezzo del p. Schiitte, superiore generale

87 Ibidem, Il/3, p. 247.


88 Ibidem, IV3, p. 250, n. 19, cita il «Katholiek Archief» e «Het Concile».
89 G6mez de Arteche ha identificato, come primi firmatari, oltre ai tre grandi lea
der (De Proença Sigaud, Lefebvre e Carli), Antònio de Castro Mayer, vescovo di Cam-
pos (Brasile) e Pierre de la Chanonie, vescovo di Clermont (Francia). In qualità di ulte
riori firmatari appaiono Luis Gonzaga da Cunha Marelim, vescovo di Caxias do Ma-
ranhao (Brasile); Joao Pereira Venàncio, vescovo di Leiria (Portogallo); Carlos Eduardo
Saboia Bandeira de Mello, O.F.M., vescovo di Palmas (Brasile); Jean Rupp, vescovo di
Monaco (Monaco); Xavier Morilleau, vescovo di La Rochelle (Francia); José Nepote-
Fus, dei missionari della Consolata, prelato nullius di Rio Branco (Brasile); Giocondo
M. Grotti, dei servi di Maria, nominato quando appena era cominciato il concilio (16
novembre 1962), prelato nullius di Acre e Purùs (Brasile); Auguste Grimault, della Con
gregazione dello Spirito Santo, come Lefebvre, vescovo titolare di Maximianopolis di
Palestina (originario del Canada e residente in Francia); Dom Jean Prou, abate di Sole-
smes, superiore generale della congregazione benedettina di Francia; Luciano Rubio, su-
periore generale dell'ordine degli Eremiti di S. Agostino. Va sottolineato che questi sedi
ci padri sono soprattutto brasiliani, ed in parte francesi. Oltre a vescovi e superiori ge
nerali, facevano parte del Coetus alcuni periti ed anche certi membri curiali, ma i diri-
genti furono sempre padri conciliari.
226 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

della congregazione del Verbo Divino (alla quale, come già abbiamo ri-
cordato, apparteneva Proença Sigaud), il quale sarebbe stato in seguito
il relatore dello schema De actt'vitate missionaria ecclesiae.
In quanto al sostegno più esterno, occorrerebbe menzionare l'univer-
sità del Laterano (in cui si era formato Carli) e il seminario romano. Più
lontana, ma con un influsso notevole sugli intellettuali francesi più rea-
zionari, ricordiamo «La cité catholique», che fin dall'inizio appoggiò il
Coetus ed i suoi membri. Per le sue campagne fu utile anche l'agenzia
di stampa della congregazione del Verbo Divino, Divine Word News
Service, poiché il fondatore di questa agenzia, il più volte citato Wiltgen,
apparteneva, come Proença Sigaud, a quella congregazione religiosa, e
entrambi risiedevano nella casa generalizia dei Verbiti. Erano altresì noti
i vincoli del Coetus con organizzazioni politiche di destra alla ricerca di
una copertura ideologica religiosa, come il movimento «Proprietà, Fami-
glia e Tradizione», originario del Brasile ma radicatosi negli ambienti
più conservatori e controrivoluzionari di tutta l'America Latina ed anche
della Spagna90 , che aveva in Proença Sigaud il suo mentore. Il gruppo
aveva inoltre accesso alla commissione di coordinamento del concilio,
attraverso il card. Siri, e al consiglio di presidenza, attraverso il card.
Ruffini. Il fatto che il segretario generale, Felici, fosse originario di Se-
gni, diocesi di Carli, spiega la loro stretta relazione.

Il gruppo della «chiesa dei poveri»91

Nel radiomessaggio dell'll settembre 1962, un mese prima dell'aper-


tura del concilio, Giovanni XXIII aveva detto: «Per i paesi sottosvilup-
pati la chiesa si presenta come è e come vuole essere, come chiesa di
tutti, ed in particolare come la chiesa dei poveri». Queste parole furono
la bandiera del gruppo di cui adesso tratteremo. Tuttavia il suo testo

90 Il nome ufficiale dell'organizzazione spagnola è attualmente «Sociedad Espaiiola


de Defensa de la Tradiciòn, Familia y Propiedad (TFP Covadonga)». Secondo un bollet
tino di propaganda del ramo spagnolo di questa organizzazione (1990), la quale si defi
nisce come «la maggior forza civico-culturale anticomunista di ispirazione cattolica del
mondo», <<il suo punto di partenza fu la città di San Paolo, Brasile, dove nel 1928 il
Professor Plinio Corréa de Oliveira, allora un giovane studente di diritto, cominciò a
militare nel movimento delle Congregazioni mariane. Sotto la sua guida, si formò negli
anni '30 un gruppo di cattolici che ampliò gradualmente la sua influenza e più tardi det
te origine alla TFP brasiliana».
9I Cfr. D. O'GRADY, Eat /rom God's Rand. P. Gauthier and the Church o/ the Poor,
Derby 1967 e P. GAUTIIlER, E il velo si squarciò, Torre dei Nolfi 1988.
FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 227

fondante sarebbe stato l'intervento del card. Giacomo Lercaro, arcive-


scovo di Bologna, nella XXXV congregazione generale (6 dicembre
1962)92 • A differenza della maggioranza dei vescovi italiani, «arroccati in
una presunzione di autosufficienza, che mascherava spesso il timore del
confronto», Lercaro si inserì completamente in quella rete di contatti tra
vescovi e tra conferenze che si tessé appena iniziato il concilio. Non si
limitò a instaurare rapporti con personalità nell'ambito della liturgia,
spiegabili sulla base della sua partecipazione al movimento liturgico e
del suo ruolo nella preparazione della costituzione sulla sacra liturgia,
ma accettò con piacere l'invito rivoltogli dal gruppo informale di lavoro
che dalla fine di ottobre si riuniva nel collegio belga su iniziativa del p.
Paul Gauthier93.
Le radici spirituali di questa iniziativa sono, in primo luogo, l' espe-
rienza francese dei preti operai, avviata nel 1944 dall'arcivescovo di Pari-
gi, card. Emmanuel Suhard, poi soffocata dalla curia vaticana nel 1953,
ma che riviveva adesso all'ombra della libertà del concilio. Più prossimi
nel tempo, sono quelli che Henri Fesquet chiamò «operai sacerdoti»,
«Les Compagnons de Jésus» 94 , movimento nato in Palestina sotto la
protezione della chiesa melchita e del suo patriarca Maximos IV. Inoltre
rievoca «l'immenso brontolio del Terzo Mondo, il grande diseredato col-
lettivo attanagliato dalla fame nel mezzo di una lotta tra sfruttatori e
sfruttati, i cui protagonisti erano ormai interi continenti»95 ; la sua gran-
de voce in concilio sarà mons. Helder Pessoa Camara, vescovo ausiliare
di Rio de Janeiro e dal 1964 vescovo di Olinda e Recife, nel cosidetto
«triangolo della fame» del Nordest brasiliano; analogamente Georges
Mercier, dei Missionari d'Africa, vescovo di Laghouat (Sahara algerino),
il quale parlò della necessità di una «Bandung cristiana». Infine, un'im-
portante influenza sembrano avere avuto i padri provenienti dai paesi
socialisti, ansiosi di dare una risposta alla propaganda ufficiale che pre-
sentava la religione nella veste di alleata del capitalismo nell'oppressione
dei poveri; a tal fine essi volevano dissolvere la abituale confusione tra
la dottrina sociale cristiana ed un certo modo di intendere la proprietà
privata individuale, che senza dubbio non poteva appoggiarsi sulla tradi-
zione cristiana più antica. In conclusione, questo gruppo denunciava e si
proponeva di colmare la rottura tra la chiesa e i poveri (non solo quelli

92 Su questo intervento, cfr. G. ALBERIGO, Vevento conciliare, in Id. (a cura di),


Giacomo Lercaro, vescovo della Chiesa di Dio (1891-1976), Genova 1991, pp. 116-123.
93 Cfr. P. GAUTHIER, "Consolez mon peuple". Le Conci/e et "l'Église des pauvres",
con testi di J. Mouroux e Y. Congar, Paris 1965.
94 Si veda il dossier dedicato loro da «ICI», n. 192 (15 dicembre 1962), pp. 17 26.
95 G6MEZ DE ARTECHE, Grupos "extra aulam''... , cit., Il/3, p. 272.
228 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

del terzo mondo, ma anche quelli del mondo occidentale industrializza-


to), rottura che ritenevano fosse imputabile al fatto che la chiesa aveva
accettato di venire a patti con il sistema capitalista.
Georges Hakim, arcivescovo di Akka-Nazaret (Galilea, Israele) aveva
stimolato la redazione, da parte di Gauthier e dei «Comgagni di Gesù
Carpentiere», di un primo testo, Les pauvres, Jésus et CEglt'se96 , in cui
essi esprimevano la loro., ~offerenza e la loro speranza: <<Souffrance de-
vant la coupure entre l';Eglise d'une part, et d'autre part les pauvres et
les travailleurs; espéranée devant le Concile qui peut guérir cette déchi-
rure dans le corps clu' Christ»97 • Hakim e Charles-Marie Himmer, vesco-
vo di Tournai (Belgio), giudicarono opportuno diffondere questo testo
tra i padri concili~ri già prima dell'inaugurazione del concilio. Nei primi
giorni di ottoble giunsero le risposte di una serie di vescovi che, avendo
letto quel manifesto, vi riconoscevano il loro stesso modo di vedere il
problema.,,Questo gruppo, quindi, a differenza degli altri, aveva già una
nutrita preistoria quando il papa inaugurò il concilio 1'11 ottobre.
Il pdmo nucleo formale si riunì al collegio belga il 26 ottobre 1962,
su invito di Himmer e Hakim, e sotto la presidenza del card. Pierre
Gerlier, arcivescovo di Lione. Il card. Gerlier affermò in quella circo-
stanza:
Il dovere della chiesa, nell'epoca in cui ci troviamo, è di adattarsi nel modo più
sensibile alla situazione creata dalla sofferenza di tanti uomini e dall'illusione, che certe
apparenze favoriscono, tendente a far credere che la chiesa non ne avrebbe la preoccu
pazione dominante [.. .] Se non sbaglio, non mi sembra che questo sia stato previsto, al
meno direttamente, nel programma del Concilio. Ora, l'efficacia del nostro lavoro è le
gata a questo problema. Se noi non lo affrontiamo, passiamo accanto agli aspetti più at-
tuali della realtà evangelica e umana. È necessario porre questa domanda. Dobbiamo in
sistere presso i responsabili perché sia cosi. Tutto il resto rischia di rimanere inefficace
se questo non è esaminato e trattato. È indisP.ensabile sgombrare la chiesa, che non vuo-
le essere ricca, dalle apparenze di ricchezza. È necessario che la chiesa appaia qual è: la
Madre dei poveri, preoccupata innanzitutto di dare il pane del corpo e quello dell'anima
ai suoi figli, come Giovanni XXlll stesso affermava· 1'11 settembre 1962: «La Chiesa è e
vuole essere la Chiesa di tutti e particolarmente la Chiesa dei Poveri!»98.

Mercier redasse una nota, intitolata L'Église des pauvres, in cui si


ponevano le tre grandi questioni: a) sviluppo dei paesi poveri; b) evan-
gelizzazione dei poveri e dei lavoratori; e) ridare alla chiesa la sua imma-
gine di povera; a tal fine proponeva: a) spiegare la dottrina della presen-
za sociale di Gesù all'umanità e all'umanità povera; b) stimolare la prati-

96 P. GAUfHIER, Les pauvres, Jésus et l'Église, Paris 1962.


97 ID., "Consolez. mon peuple" ... , cit., p. 205.
98 Testo per esteso in «ICI» n. 180 (15 novembre 1962).
FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 229

ca della povertà nella chiesa; e e) informare l'opinione pubblica attraver-


so gesti semplici e un congresso mondiale99 •
Il 5 novembre si tenne una seconda riunione, a cui assistettero più
di cinquanta vescovi di paesi molto diversi tra loro, questa volta presie-
duta dal patriarca Maximos IV Saigh, il quale disse, richiamando le fa-
mose parole di Giovanni XXIII:
La chiesa e i poveri: c'è dappertutto qualcosa da fare perché <<la Chiesa sia davvero
la Chiesa di tutti, e particolarmente la Chiesa dei Poveri». [. . .] La povertà è una que
stione di vita o di morte per la chiesa: senza questa, perderà il mondo operaio. Dato che
la cosa più grave è che la popolazione operaia, in certe regioni soprattutto dell'Europa
occidentale, sfugge alla chiesa. Non si tratta tanto di ricchi e di poveri, ma meglio degli
operai, che sono la forza viva del mondo d' oggi100.

Anche alla terza riunione, il 1° dicembre, parteciparono circa cin-


quanta padri conciliari. Durante il primo periodo si tennero cinque riu-
nioni di questo gruppo. In tutte il lavoro si orientò nelle seguenti direzio-
ni: a) diffusione tra i padri conciliari del documento Jésus, tÉglt'se et les
pauvres; b) sensibilizzazione verso questa problematica di un numero
sempre maggiore di padri, riunioni specifiche in base alle affinità o alle
lingue, esame di coscienza, revisione di vita ... ; e) diffusione di queste idee
tra l'opinione pubblica, approfittando del vivo interesse manifestato dalla
stampa; ti) supplica, indirizzata il 21 novembre al card. Cicognani, segre-
tario di Stato e presidente del segretariato per gli affari straordinari del
concilio, con la richiesta della creazione di un segretariato o di una com-
missione speciale che si occupasse di queste quattro grandi questioni: 1)
esercizio della giustizia personale e sociale, specie con riguardo ai popoli
in via di sviluppo; 2) pace e unità della famiglia umana; 3) evangelizzazio-
ne dei poveri e dei «lontani»; 4) esigenza di rinnovamento evangelico nei
pastori e nei fedeli, in particolar modo attraverso la povertà; e) lettera di
sostegno a questa supplica diretta a Giovanni XXIIl 101 • Questa lettera do-
veva essere consegnata al papa dal card. Gerlier, e anche se quegli si scu-
sò di non poterlo ricevere personalmente a causa della sua malattia, ma-
nifestò comunque la sua adesione al contenuto, inviò la sua benedizione
e, come segnale di comunione nello Spirito, omaggiò al card. Gerlier un
messale. Pertanto, anche se questo gruppo non giunse a godere di uno
statuto ufficiale (come invece sarebbe stato se si fosse creato il segretaria-
to o la commissione che i suoi membri desideravano), bisogna però dire

99 P. GAUTHIER, Les pauvres... , cit., p. 209.


100 «ICI», n. 181 (1° dicembre 1962).
101 G AUTHIER, "Consol ez mon peupl e11... , c1t.,
• p. 210 .
230 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

che fu accolto molto favorevohnente tanto da Giovanni XXIII quanto da


Paolo VI. Tuttavia, questo gruppo rimase sempre al margine del concilio
e perfino l'iniziativa di Paolo VI dell'ottobre 1963 di chiedere a Lercaro
- membro attivo di questo gruppo - che gli facesse proposte concrete
(presentate un anno dopo) non ebbe esito.

Il «Blocco centro~uropeo» o «.Alleanza universale»

Gli episcopati tedesco, scandinavo, francese, belga e olandese (o, più


esattamente, una grandissima maggioranza dei loro vescovi) adottarono
fin dall'inizio del concilio una linea comune. È curioso che il nome che
generahnente si impose per indicare questo gruppo, «Blocco centroeuro-
peo»102, sia quello che gli fu dato in un volantino anticonciliare103 • Tut-
tavia esso non si chiuse entro i propri limiti nazionali, ma fin dall'inizio
fu aperto a quei vescovi di altre regioni che ne condividessero il modo
di intendere l'evento conciliare. Già nella questione iniziale dell'elezione
delle commissioni, questo gruppo di vescovi si caratterizzò nel sollecita-
re da altri episcopati dei nominativi per la sua lista di candidati. In
un'udienza del papa ai vescovi francesi, il 19 novembre, il card. Liénart
disse: '«Voi conoscete troppo bene i vescovi francesi per ritenerli esposti
al rischio di operare, nel concilio, con spirito di parte, o di perseguire,
nei lavori conciliari, un'azione separata»104 . In effetti, in esso si integra-
rono molti vescovi di ogni parte del mondo, di modo che questo grup-
po meritò ben presto di essere conosciuto come «Alleanza universale».
Così lo chiama Wiltgen105 •
«Più che una federazione di gruppi unificati in maggiore o minore
grado, assomigliava a ciò che nel lessico politico corrente si potrebbe
chiamare un blocco, fronte, alleanza, cartello, unione, etc., tutte unioni
abbastanza elastiche e prive di poteri propri e di una organizzazione
permanente», comparabile con i corpora che, nei fatti o solo come pro-
getto, si costituirono a Trento e, ancor meglio, con i due «Comitati In-
ternazionali», entrambi integrati da nazioni e mezze nazioni, che furo-
no rivali nel Vaticano I. Fondamentahnente il blocco centroeuropeo
non era, come la maggioranza dei blocchi conosciuti, un'unione di

102 O anche, più familiarmente, «il Mercato Comune».


103 CATHOLICUS, Il Concilio e l'assalto del Blocco Centroeuropeo, citato da G6MEZ
DE ARTECHE, Grupos "extra aulam'' ... , cit., 11/4, p. 9.
104 «La Croix», 21 novembre 1962.
105 WILTGEN, ..,...'h
.t, e Rh me
. ... , clt.,
. passim.
.
FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 231
..
gruppi partigiani o di tendenza, bensì un'unione di gruppi nazionali.
Tuttavia poiché gli episcopati che lo formavano appartenevano nella
loro quasi totalità (o almeno, nel caso francese, in ampia maggioranza)
alla tendenza riformista, era al tempo stesso «un gruppo ideologico li-
bero anche nella sua delimitazione regionale» 106 • Jean Rupp, vescovo di
Monaco, affermò nella XXXII congregazione generale (3 dicembre
1962) che la presenza di questo blocco nel concilio fece brillare la cat-
tolicità della chiesa attraverso una decentralizzazione spirituale che scal-
zava l'antica posizione dell'elemento neolatino predominante nell'epoca
del barocco, e concluse dicendo: «è dal nord che oggi ci viene la
luce»107 • L'influsso di questo gruppo sull'orientamento definitivo del
concilio si riflette anche nel titolo di una delle sue cronache più diffu-
se: «Il Reno sfocia nel Tevere» 108 , o anche nel nome che con umori-
smo, sotto un'apparente solennità, veniva dato al concilio: «Vaticanum
secundum, Lovaniense primum»109 , oppure «Concilium Lovaniense Ro-
mae celebratum».
A un'ulteriore diffusione del gruppo contribuì la carenza di esperti
qualificati, di cui soffrivano alcuni episcopati del terzo mondo, ciò che li
induceva a chiedere il parere di quelli europei. Così il p. Gustave Mar-
telet tenne il 5 novembre una conferenza per i vescovi dell'Africa fran-
cofona, a cui ne fece seguito un'altra del p. Congar, il 7 novembre, ed
una terza dello stesso Martelet il 10. Alcuni vescovi delle diocesi asiati-
che storicamente e culturahnente più legate alla Francia, come l'Indoci-
na, si avvicinarono a questo blocco, anche se «all'inizio, i vescovi africa-
ni degli ex territori africani francesi si erano mostrati un po' freddi nei
confronti della gerarchia francese, essendo preoccupati di evitare qualsi-
asi apparenza di sopravvivenza coloniale»110 • Anche i superiori generali e
i vescovi missionari originari dei paesi del Blocco centroeuropeo entra-
rono a farne parte. Lo stesso fece il settore più aperto dell'episcopato

106 G6MEZ DE ARTECHE, Grupos "extra aulam"... , cit., II/4, pp. 9 10.
101 AS V4, pp. 204-205.
108 Questo è il titolo dell'opera, qui così spesso citata, di WILTGEN, The Rhine
f/ows into the Tiber. Secondo quanto lo stesso autore ha spiegato (nella prefazione al
l'edizione inglese), il titolo si è ispirato alla Satira III di Giovenale, il quale per esempli
ficare l'influenza delrellenismo di Antiochia a Roma dice che l'Orante è sfociato nel Te
vere. Il p. Congar, commentando il libro di Wiltgen, scriveva che in realtà il Reno era
quell'ampia corrente di solida teologia e scienza pastorale che si era messa in movimento
nei primi anni '50 e, relativamente alla materia liturgica e alle fon ti bibliche, anche pri
ma di allora.
109 Cfr. J. PERARNAU, Lovaniense I o Vaticanuum II?, in «AnalTar» 41 (1968), pp.
173 179.
110 WILTGEN, The Rhine ... , cit., pp. 53 54.
232 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

latinoamericano, soprattutto i prelati delle diocesi che in quegli ultimi


anni avevano tratto maggior beneficio dalle organizzazioni tedesche «Mi-
sereor» e «Adveniat», controllate dal card. Frings; alcuni di questi ve-
scovi approfittarono proprio dell'occasione del concilio per salutare per-
sonalmente il cardinale e ringraziarlo per il generoso aiuto dei cattolici
tedeschi, e questo cordiale contatto facilitò senza dubbio la concertazio-
ne delle posizioni in vista dei dibattiti111 • Rapporti molto particolari si
istituirono con la chiesa grecocattolica melchita, con la quale esisteva
una certa affinità ideologica.
Alcuni vescovi, prendendo le distanze dall'ambiente conservatore
dell'episcopato cui appartenevano, «trascinarono con sé mezze nazioni o
nazioni intere», come nel caso dei cardinali riformisti nordamericani Al-
bert G. Meyer, arcivescovo di Chicago, e Joseph Élmer Ritter, arcivesco-
vo di Saint Louis (entrambi di origine tedesca) 112 • In quanto al carisma-
tico card. Paul-Emile Léger, arcivescovo di Montreal, l'importanza del
suo contributo fin dal primo momento potrebbe essere difficilmente
esagerata, alla luce della sua corrispondenza con il card. Dopfner.
Una data significativa, nel processo di ampliamento di questo bloc-
co, è il 13 novembre, vigilia dell'inizio del dibattito sullo schema De
/ontibus revelationis. Alla riunione di delegati che si tenne quel giorno,
assistettero rappresentanti di Germania, Francia, Italia, Spagna, Africa,
CELAM, Canada, Messico, India, Ceylon, Birmania, Giappone e Filip-
pinen3.
Sono «imponderabili» i vincoli allacciati e l'influenza esercitata at-
traverso i periti di tutti i paesi del blocco. Esso era anche in relazione
con i principali centri o servizi informativi (dei quali più avanti parlere-
mo in modo specifico). L'origine olandese del DO-C spiega il fatto che
fosse simpatizzante del Blocco, ma venne creata una relazione anche con
i centri analoghi dell'episcopato tedesco e del CELAM. Questi servizi di
informazione nazionali, e altri sovranazionali, come la KIPA o il «Ka-

111 Ibidem.
112 G6MEZ DE ARTECHE, Grupos "extra aulam»... , cit., II/4, p. 14.
ll3 Ibidem, II/4, p. 15, che si basa su Levillain. G6mez de Arteche sostiene che
questa universalizzazione del blocco comporta un salto di qualità (qualitativer Umsch
lag), che lo differenzia dallo statuto degli altri gruppi o sottogruppi e ne fa «un rivale di
fatto di un organismo formale, la commissione di coordinamento», ed arriva ad afferma
re che «se la riunione dei Delegati avesse avuto un'influenza sull'ordine del giorno pro
porzionale a quella avuta nella designazione dei candidati alle commissioni, il Blocco
centroeuropeo, opposizione anticuriale, si sarebbe convertito, in virtù della sua egemonia
in seno alla alleanza, in uno shadow Cabinet, e la riunione dei delegati, in uno shadow
Parliament», II/4, p. 16 e p. 15 n. 13.
FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 233

tholiek Archif », erano i principali canali di comunicazione del Blocco


con l'opinione cattolica internazionale. Attraverso questi canali si otten-
ne che un settore maggioritario della stampa cattolica, ed ancor di più
non confessionale, di tutto il mondo, sostenesse le prese di posizione del
Blocco centroeuropeo, ciò che a sua volta non era privo di ripercussioni
sul parere di non pochi padri conciliari. Inoltre, i contatti stabiliti in oc-
casione dei ricevimenti diplomatici delle ambasciate dei paesi membri
del Blocco risultarono particolarmente utili114 •
Dal punto di vista della sua organizzazione, il Blocco centroeuropeo,
a differenza del Coetus internationalis patrum, era privo di organismi di-
rettivi e di una struttura organizzativa formale; tuttavia, seguendo de Ar-
teche, possiamo parlare di «livelli di organizzazione». Il livello più eleva-
to era il vertice dei cardinali presidenti di conferenze episcopali. Si riu-
nivano senza date prefissate, solo quando lo ritenevano necessario per
coordinare linee d'azione comune, ed il numero dei partecipanti variava.
Il nucleo più stabile di questi vertici era formato dai cardinali Frings,
Konig, Liénart, Suenens e Alfrink, ma occasionalmente partecipavano
anche i leader dei gruppi alleati.
Questa informalità organizzativa del Blocco andava a detrimento
della sua efficacia. Ciò che fece commentare a Douglas W oodruff che i
transalpini, che erano tanto potenti, pieni di idee, sembravano pensare
che queste idee si aprissero la strada da sole 115 •

La Conferenza di Delegati

Questo organismo 116 nacque come organo di informazione e di reci-


proca relazione tra le assemblee che gli episcopati nazionali tenevano ex-
tra aulam. Fu chiamato anche «Comitato internazionale», «Comitato dei

114 Ibidem, IV4, pp. 16 e 19.


115 Tbe Council's Second Montb Facing tbe Procedure Problem, in «The Tablet» n.
6390, p. 1070; cit. in S. G6MEZ DE ARTECHE, Grupos "extra aulam" ... , cit., II/4, p. 21, n. 22.
l16 In questo paragrafo utilizziamo l'informazione contenuta nelle risposte fornite
all'inchiesta di G6mez de Arteche da mons. Pedro Cantero Cuadrado (Grupos "extra au-
lam" ... , Apéndice I, p. 222) e dal card. Roger Etchegaray (ibidem, pp. 223 225). Cfr. an
che CAPORALE, Les bommes... , cit., pp. 87-89 e il saggio di P. Noel di prossima pubbli
cazione, il quale ha potuto lavorare sulla documentazione conservata dal card. Etchega
ray. Sulle organizzazioni episcopali cfr. ora anche J. GROOTAERS, Une forme de concerta-
tion épiscopale au Conctle Vatican II. La «Con/érence des Vingt-deux» (1962-1963), m
«RHE» 91 (1996), pp. 66 112.
234 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

ventotto» o «lnterconferenza». «Era una corrente di coscienza, senza


personalità morale», diceva mons. Etchegaray a G6mez de Arteche, il
quale commenta: «era un'unione informale di gruppi nazionali in cui
predominava una determinata tendenza, quella riformista. Poteva para-
gonarsi ad un blocco, fronte o cartello di partiti con i gruppi nazionali
al posto dei gruppi ideologici». Ma allo stesso tempo, data la vastissima
estensione della sua base, si configurava come «una vera e propria rap-
presentazione del concilio, un concilio in miniatura», e secondo alcuni
costituì una prefigurazione di talune istituzioni postconciliari117 • Mons.
Cantero Cuadrado, nell'inchiesta svolta da G6mez de Arteche, insisteva
sul fatto che «la riunione della Domus Mariae non è un organo concilia-
re, né in forma ufficiale, né ufficiosa, né privata. È una riunione di pa-
dri conciliari provenienti da diversi episcopati, i quali, in uno spirito di
amicizia e fratellanza, si sono periodicamente riuniti per scambiare im-
pressioni sull'andamento generale del concilio». Alcuni padri conciliari
ne propugnarono il proseguimento, dopo il concilio, come complemento
del senato del papa, anche se con carattere non ufficiale. Un altro fatto-
re che dette origine a questa conferenza fu il volume poco governabile
dell'assemblea conciliare. Nella XXVIII congregazione generale (27 no-
vembre 1962) mons. Méndez Arceo propose che nel periodo di tempo
compreso tra il primo e il secondo periodo si riunisse a Roma una deci-
ma parte dei padri conciliari, eletti da questi ultimi, affinché approfon-
dissero lo studio degli schemi ed in seguito ne informassero i loro elet-
tori. Secondo mons. Cantero Cuadrado, i membri di questa conferenza,
durante le intersessioni, si scambiavano lettere, informazioni e, soprat-
tutto, articoli di stampa.
I dibattiti si tenevano in francese ed in inglese, mentre i documenti
di lavoro della conferenza ed i verbali venivano redatti in latino. Quanto
veniva trattato era considerato segreto. La conferenza di delegati non in-
terveniva come tale nel concilio, e nessuno parlò in nome suo o del suo
comitato; influiva solo indirettamente sui dibattiti conciliari, attraverso
l'informazione o gli orientamenti che trasmetteva ai padri.
In origine, durante il primo periodo, essa iniziò le sue attività con
una esplicita finalità di mutua informazione. Questa finalità si ampliò
progressivamente nella misura in cui crebbe il numero dei membri della
conferenza, in modo analogo il Blocco centroeuropeo si trasformò in al-
leanza universale. Uno dei primi aspetti di questo allargamento delle sue
funzioni, riguardò proprio il campo dell'informazione. Gli episcopati, ol-
tre ad informarsi a vicenda, individuarono la necessità di informare i

117 G6MEZ DE ARTECHE, Grupos "extra aulam» ... , cit., IV4, p. 29.
FISIONOMJA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 235

giornalisti. Nacque così il «Centrum Coordinationis Communicationum


de concilio» (CCCC), del quale parleremo in seguito analizzando l'infor-
mazione. Lo scambio di informazioni ed opinioni, che all'inizio avveniva
solo sul concilio, più tardi si estese a questioni ecclesiali extraconciliari.
In linea di principio, ogni conferenza episcopale, o gruppo di confe-
renze, nominava come suoi rappresentanti un delegato e un supplente,
vescovi entrambi. Erano rappresentati anche alcuni gruppi di conferen-
ze, come il CELAM o la conferenza panafricana. Le due conferenze ca-
nadesi avevano un'unica rappresentanza. La procedura per le nomine
veniva lasciata al criterio di ciascuna conferenza. Spesso il delegato era
lo stesso presidente; per esempio, tra i delegati del CELAM era sempre
il presidente. In forma eccezionale, alcune sovraconferenze inviavano
più di un delegato. I poteri dei delegati erano quelli che ogni conferen-
za attribuiva loro, e in linea di principio non vincolavano giuridicamente
coloro che li avevano delegati. Di fatto, non vi erano votazioni né accor-
di formali. Non esistevano neppure regole procedurali fisse.
Il presidente della conferenza di delegati non aveva una competenza
specifica, ma agiva piuttosto come un semplice moderatore delle riunio-
ni e in qualità di collegamento tra la conferenza e le conferenze dele-
ganti. Durante il primo periodo questa funzione fu esercitata da Miguel
Darìo Miranda y G6mez, arcivescovo di Città del Messico; in quelle
successive dall'allora coadiutore di Parigi, Pierre Veuillot. Segretario ne
fu sempre Roger Etchegaray, basco-francese, allora direttore del segreta-
riato per la pastorale dell'episcopato francese.
La periodicità delle riunioni fu irregolare durante il primo periodo,
ma a partire dal secondo i membri della conferenza si riunirono siste-
maticamente tutti i venerdì pomeriggio presso la Domus Mariae. Nei
precedenti mercoledì118 si erano nel frattempo riuniti i segretari delle
conferenze per preparare la riunione e stabilirne l'ordine del giorno. Po-
tevano assistervi solamente i delegati delle diverse conferenze, e a ogni
conferenza episcopale si chiedeva l'invio di un delegato119•

118 Il mercoledì, secondo G6MEZ DE ARTECHE, Gru[XJs "extra aulam» ... , cit., IV4, p.
36; il martedì secondo WILTGEN, The Rhine ... , cit., p. 130.
119 Si veda la lista dei 21 delegati che parteciparono alla prima riunione, e dei 22
della prima riunione di segretari di conferenze episcopali, in J.A. BROUWERS, Derniers
préparati/s... , in Vatican II commence, pp. 367 368.
236 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

Area curiale

Il programma generale di questo gruppo120 , secondo un giornali-


sta121, sarebbe stato di «impedire qualsiasi riduzione delle prerogative
pontificie; eludere la riforma della curia da parte del concilio; arrestare
l'aumento dei poteri dei vescovi; opporsi all'ingerenza dei laici; modera-
re ed applicare gradualmente le riforme di qualsiasi genere». I suoi
membri si consideravano «il resto di Israele», vale a dire quella mino-
ranza depositaria ed interprete della genuina volontà di Dio. Altre carat-
teristiche generali del gruppo sono lo zelo per la precisa e dovuta for-
mulazione dottrinale, concretamente nella sua formulazione scolastica; la
massima cautela a proposito della collegialità, espressa esemplarmente
nel caveamus, Patres del card. Browne122; il senso dell'immutabilità e
della beata possessio di tutto l'esistente123 ; la grande valorizzazione della
tradizione (praticamente identificata con la tradizione recente) 124; il valo-
re definitivo ed ultimativo del magistero 125 ; il trionfalismo antistorico,
«che li portava a riconoscere come una norma cardinale della curia
quella di non ammettere gli errori, perlomeno pubblicamente»126 ; l'indi-
vidualismo, tradotto nella difesa della celebrazione privata della messa 12.7
e l' «essenzialismo», cioè «il predominio del pensiero astratto» 128. Un

120 Seguiamo, come essenzialmente in tutto il paragrafo sui gruppi conciliari, la ri-
cerca di G6mez de Arteche. Benché durante il concilio si parlasse molto de1la curia, e
nelle cronache contemporanee e negli studi storici posteriori si sia continuato ad allu-
dervi abbondantemente, questo autore precisa che, in primo luogo, l'insieme dei dicaste
ri della S. Sede non rappresenta una corporazione con personalità giuridica propria; in
secondo luogo, che vi erano tra i loro membri due settori, di tendenza opposta e di im-
portanza diseguale, che G6mez de Arteche definisce «fazioni», nel senso che a questa
parola dà Max Weber. Nonostante ciò, ricordando la vecchia distinzione tra cardinali
i.elanti, i quali perseguivano obiettivi puramente religiosi, e politicanti, attenti agli obiet-
tivi politici, questo autore ritiene che entrambe le fazioni curiali meritavano di essere
considerate i.elanti.
121 C. FALCONI, I Perché del concilio, Milano 1962, p. 174.
122 LXIII IV c.g., 8 novembre 1963, AS 11/4, p. 627.
123 G6mez de Arteche cita a questo proposito gli interventi di mons. Vagnozzi (IV
c.g., dibattito sullo schema liturgico, AS Vl, pp. 325 326) e del card. Ottaviani (X c.g.,
nel corso dello stesso dibattito, sull'ordo mirsae, AS V2 18-20).
124 Intervento di mons. Ferrero di Cavallerleone nell'VIII c.g., 28 ottobre 1962, nel
corso del dibattito generale sullo schema litugico (AS Vl, pp. 551-552).
125 Interventi di Ottaviani (CXXX c.g. del 17 novembre 1965) e di Dante (CXXXII
c.g. del 21 novembre 1965) entrambe durante il dibattito sulla libertà religiosa.
126 G6MEZDE ARTECHE, checitaX. RYNNE, The ThirdSession, New York 1965, p. 277.
127 Intervento di mons. Van Lierde (VI c.g., 24 ottobre 1962, AS Vl, pp. 412-414).
128 G6MEZ DE ARTECHE, Grupos "extra aulam" ... , cit., 11/4, p. 52. Un dispaccio del-
FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 237

aspetto complementare del loro programma era un «papalismo» estre-


mo, che si rifletteva nella difesa intransigente di tutti quelli che essi de-
finivano i diritti o privilegi intangibili della S. Sede, che in molti casi al-
tro non erano che quelli della curia. Così, per esempio, nella discussione
sullo schema liturgico rifiutavano tutto ciò che potesse sembrare un at-
teggiamento precettivo del concilio nei confronti della S. Sede129• Perciò
a loro parere l'errore più grande era la pretesa della collegialità episco-
pale, che vedevano come un attentato al potere della curia. Nel corso
del dibattito sullo schema De ecclesia il card. Browne sostenne che se la
collegialità avesse conferito ai vescovi il diritto di partecipare al governo
della chiesa, il papa si sarebbe visto obbligato a rispettarlo, pertanto
non avrebbe goduto di un vero primato su tutta la chiesa130•
I curiali zelanti avevano anche marcati accenti di sapore politico. Si
interessavano vivamente alla politica italiana e, attraverso l'Azione catto-
lica ed i Comitati civici, favorivano, e al tempo stesso miravano a con-
trollare, il partito della Democrazia cristiana. All'interno di questo parti-
to, appoggiavano l'ala destra e si opponevano all'apertura alla sinistra,
vale a dire al patto con i socialisti di Pietro Nenni. Durante il pontifica-
to di Pio XII questo atteggiamento politico aveva ricevuto impulso dal
vertice supremo, ma le cose erano totalmente cambiate dall'avvento di
Giovanni XXIII. In quanto alla politica internazionale, l'area curiale ze-
lante si caratterizzava per il suo anticomunismo indiscriminato, l'identifi-
cazione della causa cattolica con quella del cosiddetto blocco occidenta-
le (la NATO) e la simpatia per la politica estera degli Stati Uniti e per
certi regimi autoritari europei, dell'America Latina e del Terzo Mondo,
alcuni dei quali si vantavano della loro immagine cristiana. «L'anticomu-
nismo puramente negativo della curia doveva inciampare nel disegno
universale di dialogo di Giovanni XXIII, l'iniziatore delle conversazioni
con i paesi socialisti, e ciò che è più importante, colui che aveva deciso
di sotterrare la politica dell'anticomunismo e di elevare la chiesa al di
sopra dello scontro Est-Ovest, ad istanza di pace e di aiuto allo svilup-
po integrale del mondo» 131 •
In vista del concilio, questo settore avvertì fin dall'inizio il pericolo
che esso significava per i suoi interessi e per il programma politico che

l'ambasciatore spagnolo presso la S. Sede, Doussinague, del 26 febbraio 1963, ispirato


senza dubbio da qualche ecclesiastico spagnolo, definiva il concilio come un combatti-
mento tra «essenzialisti>> ed «esistenzialisti».
129 Interventi dei cardd. Ottaviani e Browne nella V c.g. (23 ottobre 1962, AS 1/1,
pp. 349 351 e 376-377).
no LXIII c.g. (8 novembre 1963, AS W4, pp. 626 627).
131 G6MEZ DE ARTECHE, Grupos "extra aulamJ)..., cit., 11/4, p. 54.
238 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

abbiamo appena delineato, e cercò quindi con tutti i mezzi a sua dispo-
sizione di impedirne la celebrazione, o almeno di ritardarla e frenarla.
Se, nonostante gli sforzi dell'area curiale zelante, il concilio fosse ugual-
mente iniziato, allora essa avrebbe cercato di minimizzarlo132 • Sintomo
di questo atteggiamento fu un silenzio che contrastava con l'entusiasmo
di tutto il resto della chiesa e con la viva simpatia di tutta l'umanità.
Quali padri conciliari possono essere considerati membri importanti
di questa area? Una lista, puramente indicativa, può essere ottenuta
combinando tre criteri principali: importante ruolo nei dicasteri romani,
interventi in aula in senso conservatore e dimostrata autorità al di fuori
di essa 133 • Anzitutto i cardinali membri di congregazioni, tribunali e uffi-
ci e prima di tutti, gli italiani, «gli unici degni di fiducia illimitata e del
comune appellativo di curiali»134 ; ma anche consiglieri e segretari delle
congregazioni135 e consultori136 • La Tipografia poliglotta vaticana lavora-
va per il concilio agli ordini della segreteria generale, ma fu utilizzata
anche da alcuni curiali zelanti per la loro documentazione privata. Dalla
Poliglotta vaticana uscirono alcune circolari, di sostegno delle tesi con-

132 G6MEZ DE .ARTECHE (Grupos "extra aulam') ... , cit., Il/4, pp. 56 57) riferisce che
un prelato, il cui nome non può rivelare, afferma che il card. Tardini disse a mons. Feli-
ci, quando questi cominciava il suo lavoro: «Non fare un concilio, fare un concilietto».
133 Ibidem, 11/4, pp. 65 68.
134 Tra i prefetti, proprefetti e segretari dei dicasteri, vi sarebbero i cardinali Piz
zardo (Seminari e Università), Ciriaci (concilio), Ottaviani (S. Uffizio), Aloisi Masella,
cardinale camerlengo (Sacramenti), Confalonieri (Concistoriale), Marella (Fabbrica di S.
Pi_etro) e, a partire dal secondo periodo, Antoniutti (che subentrò nella congregazione
per i Religiosi a Valeri, che si era opposto a questa tendenza). Tra i semplici membri di
dicasteri: Micara, vicario generale di Roma, Bacci e Ferretto. Per quanto riguarda i car-
dinali stranieri, cita i prefetti Agagianian (Propaganda fide), Tisserant, decano (Cerimo-
niale) e Larraona (successore ai Riti di Cicognani). Un semplice membro era Browne.
Tra questi ultimi, due non italiani, lo spagnolo Larraona e l'irlandese Browne, erano
considerati più zelanti degli zelanti.
135 Si possono includere in questa tendenza gli italiani Parente (S. Uffizio, il quale,
però, sarebbe stato relatore e difensore della collegialità nell'LXXXIV c.g. del 21 set-
tembre 1964, AS III/2, pp. 205 211)), Carpino (Concistoriale), Sigismondi (Propaganda
fide), Staffa (Seminari e Università), Dante (Riti), Scapinelli di Leguigno (Orientale) e
Palazzini (Concilio), più il non italiano Coussa (chiesa orientale). Tra i sostituti: Civardi
(Concistoriale) e Giovannelli (Orientale).
136 Gli italiani Piolanti, rettore dell'università Lateranense, Garofalo, Ciappi, o.p.,
Tondini (segretario dei brevi ai Principi), Antonelli, o.f.m., ed i non italiani Balié, o.f.m.,
Tromp, s.j., Martin O'Connor, rettore del collegio nordamericano e segretario della
commissione pontificia per il cinema, la radio e la televisione, Hudal, Bidagor, s.j.,
Goyeneche, c.f.m. e Gagnebet, o.p. Infine ancora mons. Romeo, ufficiale della congrega-
zione per gli studi, che si distinguerà per i suoi attacchi alla maggioranza conciliare e al-
l'Istituto biblico.
FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 239

servatr1c1, che furono distribuite tra i padri conciliari e anche tra altre
persone e entità. D'altra parte, grazie al controllo sulla Tipografia poli-
glotta vaticana, «mons. Felici poté influire direttamente, nel senso di-
struttivo già menzionato, sull'andamento del concilio impedendo o ritar-
dando la distribuzione dei testi»13 7 •
Come alleati permanenti o occasionali fornivano sostegno a questa
area alcuni gruppi nazionali. Logicamente, il più significativo, per la di-
namica conciliare dell'area curiale zelante, era quello italiano, che ne
costituiva <<l'hinterland geografico ed il prolungamento storico, la più
vicina e fedele clientela amministrativa ed il principale beneficiario del-
lo spoi·t system 138 vaticano, perlomeno sotto forma di stages nei dicasteri
in vista di trasferimenti verso sedi importanti»139. I due grandi prelati
italiani che più si segnalavano per la loro adesione alla curia, e che ne
trascinarono molti altri, erano il card. G. Siri, arcivescovo di Genova,
ed il card. E. Ruffini, arcivescovo di Palermo. Quest'ultimo dette una
pubblica testimonianza della sua stima per la curia nella XVI congrega-
zione generale (10 novembre 1962), che egli stesso presiedette, e nel
suo intervento nella LXIII (8 novembre 1963), in cui ringraziò il pa-
triarca di Cilicia degli armeni, Ignace Pierre Batanian, per avere parlato
in favo re della curia il giorno precedente. Bisogna citare anche il card.
Giovanni Urbani, successore di Roncalli nella sede patriarcale di Vene-
zia e presidente della conferenza episcopale italiana, ed il segretario di
quest'ultima, mons. Alberto Castelli. Tra i pochi vescovi italiani che
erano consultori delle congregazioni romane, menzioniamo l'arcivescovo
di Camerino Giuseppe D' Avack (Seminari) e quello di Firenze, Erme-

137 G6MEZ DE ARTECHF., Grupos "extra aulam'' ... , cit., IV4, p. 93, ricorda, come
esempi di questa tattica, i testi delle proposizioni del voto di principio sulla collegialità,
lo schema di dichiarazione sulle relazioni con gli ebrei o la dichiarazione sulla libertà re
ligiosa. Ma la manipolazione più grave si produsse a proposito della expensio modorum
del capitolo III dello schema De ecclesia. Per non suscitare l'allarme della maggioranza,
la clausola che specificava che la votazione di quei modi doveva farsi alla luce della Nota
explicativa praevia, venne omessa dal posto in cui doveva apparire e fu pubblicata alla
fine come errore di stampa. Il p. Balié, consultore del S. Uffizio e presidente della Pon-
tificia accademia internazionale mariana, a cui era stato assegnato il compito di redarre
il testo sulla vergine Maria (dapprima come schema a parte, anche se in seguito si con-
vertirà in un capitolo della costituzione sulla chiesa), durante la LII congregazione gene-
rale distribul ai padri, proprio nell'aula conciliare, un opuscolo in cui esponeva i suoi
personali commenti allo schema proposto, stampato nella stessa tipografia vaticana che
pubblicava i documenti ufficiali del concilio.
138 Spoil System: nel gergo politico nordamericano questo termine definisce quella
pratica in base alla quale il partito vincitore nelle elezioni distribuisce a suo piacere le
cariche pubbliche, con i loro emolumenti e vantaggi.
139 G6MEZ DE ARTECHE, Grupos "extra aulamJJ ... , cit., II/4, p. 100.
240 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

negildo Florit (Studi biblici). I numerosi vescovi delle missioni di na-


zionalità italiana, solitamente erano fedeli alla loro origine, e quindi
molto vicini alla curia. Abbiamo già ricordato la confessione del card.
Montini a Dopfner sullo scarsissimo numero di vescovi italiani di spiri-
to veramente conciliare.
Gruppi minori della medesima tendenza zelante erano formati da
vari vescovi dalmati (appartenenti all'episcopato jugoslavo), guidati dal-
1' arcivescovo di Spalato-Makarska, Frane Franié, membro dell'Istituto
Pio V per la lotta contro il comunismo, fondato da Ottaviani. Ne face-
vano parte anche alcuni prelati baltici, cubani, haitiani, cinesi, filippini e
vietnamiti. Più influente era il gruppo nordamericano, che alla tradizio-
ne del cattolicesimo irlandese aveva sommato l'influenza del prestigioso
card. Cicognani, molto rispettato durante e dopo i suoi ventitré anni
come delegato apostolico negli Stati Uniti; suoi esponenti di vertice era-
no i cardinali Francis Spellman (New York) e James Francis Mclntyre
(Los Angeles), «due solidi baluardi degli zelanti sull'altra sponda del-
1'Atlantico»140, il cui spirito partigiano e le cui manovre e infrazioni al
regolamento provocarono tuttavia una reazione contraria in un ampio
settore della coscienza cattolica nordamericana.
Nell'episcopato inglese e gallese, l'influenza della immigrazione irlan-
dese e italiana si traduceva spesso in un cattolicesimo non solo romano
ma curiale. Per ragioni molto diverse, erano fedeli alla curia i prelati
caldei ed armeni (a differenza di quelli melchiti).
Alcuni superiori religiosi, legati alla congregazione per i religiosi, ri-
sultarono a loro volta essere dei fedeli della curia zelante. Citiamo il p.
Anastasio Ballestrero del S. Rosario, preposito generale dei Carmelitani
e presidente dell'unione dei superiori maggiori, ed il vicepresidente di
quest'ultima e maestro generale dei Domenicani, p. Aniceto Fernandez.
In quanto ai gruppi «ideologici», l'unico apertamente collegato alla
curia zelante fu il già analizzato Coetus internationalis patrum 141 , con i
cardd. Larraona, Browne e Santos, il grande mentore del gruppo, Proe-
nça Sigaud, il vescovo Carli e connazionale Felici, il quale come segreta-
rio generale del concilio esercitò un grande potere esecutivo ed ammini-
strativo.
D'altra parte, viceversa, all'inizio del concilio erano numerosi i ve-
scovi di mentalità conservatrice (o anche molto conservatrice), che erano

140 Ibidem, II/4, p. 103.


<<Le due organizzazioni si trovarono insieme in tutti i conflitti che costellarono il
14 1
cammino del concilio», scrive G6MEZ DE ARTECHE, riferendosi in particolare al grande
confronto sulla collegialità (Grupos "extra aulam)) ... , cit., II/4, p. 105). ·
FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 241

risentiti per la prepotenza e il centralismo della curia vaticana, e ciò li


portò a schierarsi rapidamente contro di essa142 •
Una serie di personalità ecclesiastiche, membri di varie organizzazio-
ni vaticane, si è tuttavia nettamente distinta dalle chiusure degli zelanti.
Come si può immaginare, appartenevano a quegli organismi che Gio-
vanni XXIII e poi Paolo VI iniziarono a creare sulla base degli impulsi
provenienti dallo spirito del concilio che si stava celebrando. Si trattava,
dunque, di una nuova curia, con uomini nuovi ed una nuova mentalità.
Erano «frutto del concilio», e «simbolizzavano la permanenza del suo
spirito, avevano lo stesso significato che la congregazione del concilio
aveva avuto in relazione al Tridentino»143 •
Prima di tutto, abbiamo i segretariati. Il primo ad essere creato fu
quello destinato a promuovere l'unità dei cristiani144 , che servì da mo-
dello per gli altri due: il Segretariato per i non cristiani e quello per i
non credenti.

Gruppo francese

Questo gruppo 145 aveva come antecedenti l'assemblea dei cardinali e


arcivescovi di Francia e la successiva assemblea plenaria all'episcopato
francese. Era di per sé un gruppo di discussione interno dell'episcopato
francese, che comprendeva anche vescovi missionari ormai ritiratisi, ma
che si sdoppiò in riunioni aperte a tutti i vescovi e periti del mondo.
Comprendeva i vescovi della Francia metropolitana ed anche delle An-
tille, dell'isola della Réunion ed in generale dei dipartimenti e territori
d'Oltremare, ma per quanto riguarda le questioni liturgiche collaborò

142 Si veda la dura testimonianza di Schillebeeckx: «Beaucoup d'éveques étaient


moins socieux d'un renoveau de la théologie que de briser le pouvoir de la curie, qui se
situait au-dessus des éveques [ .. .] Je puis confirmer, des années plus tard, que les
éveques avaient de serieux griefs contre la curie, qui ne comprenait rien à ce qui se pas
sait dans l'Eglise et dans le monde» (]e suis un théologien heureux, Paris 1995, p. 46).
143 G6MEZ DE ARTECHE, Gru-pos "extra aulam" ... , cit., IV4, p. 117.
144 Creato da Giovanni XXIII con il motu proprio Superno Dei nutu del 5 giugno
1960, per la preparazione del concilio. Fu confermato come organismo propriamente
conciliare con il motu proprio Appropinquante Concilio del 6 agosto 1962.
l45 Informazione basata sulla risposta di Etchegaray, segretario per la pastorale
dell'episcopato francese, all'inchiesta di G6MEZ DE ARTECHE, Grupos "extra aulam»... ,
cit., Apèndice I, pp. 82 84. Cfr. anche L. PERRIN, Approche du role des éveques de
France, in Vatican II commence, pp. 119~132 nonché i contributi editi nello stesso volu~
me da J. Famerée, Cl. Prudhomme e Cl. Soetens sugli episcopati francofoni belgi e
africani.
242 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

con gli episcopati canadese, belga, svizzero e africano francofono. La


sua attività fu limitata al tempo in cui durò il concilio.
Non aveva un regolamento formale, ma la sua prassi fu quella che si
descrive di seguito. La caratteristica più importante del gruppo fu quella
degli atelt'ers, coordinati dai responsabili dei quattro segretariati della
conferenza episcopale, i quali funsero da organismi ad hoc per i lavori
conciliari. Erano squadre di volontari, formate da vescovi e periti, con
un vescovo responsabile per ogni schema. Gli interventi in aula in nome
del gruppo venivano preparati negli ateliers. In ogni riunione gli ateliers
presentavano direttamente le loro relazioni, senza che occorresse una na-
vette tra il gruppo e gli ateliers. I testi elaborati non comportavano al-
cun vincolo giuridico. Si cercava l'intesa previa tra i vescovi per evitare
le ripetizioni. La convocazione spettava al presidente. Le riunioni del
gruppo come tale (riservate ai vescovi francesi) si tenevano con cadenza
settimanale, tutti i mercoledì; quelle aperte a altri vescovi e periti erano
quindicinali. Nelle riunioni del gruppo propriamente detto le votazioni
avvenivano per alzata di mano; nelle sessioni aperte non vi erano vota-
zioni. Nelle riunioni del gruppo l'uso della parola era libero, e di esse si
redigeva un compte-rendu che in seguito veniva comunicato, ciclostilato,
ai partecipanti. In alcune occasioni il gruppo si occupò a Roma anche
di questioni relative alla chiesa di Francia.
La stampa sottolineò che l'episcopato francese desiderava evitare ad
ogni costo la formazione di blocchi antagonisti. Perciò i suoi membri «sta-
bilirono contatti frequenti con i vescovi italiani, spagnoli, olandesi, au-
striaci, etc.». Per dimostrare a tutti che non intendevano agire da soli, de-
cisero che le loro riunioni sarebbero sempre state aperte a tutti i vescovi
che desiderassero rarteciparvi, qualsiasi fosse la loro nazionalità146 • Nono-
stante tutto ciò, i gruppo francese aveva una relazione particolarmente
stretta con il Blocco centroeuropeo. Alle riunioni dei cardinali del Blocco,
quelli francesi partecipavano a nome del gruppo. Vari suoi membri assi-
stettero anche ad altre assemblee. La relazione di alcuni vescovi con la se-
greteria del concilio si mantenne a nome del gruppo, e non degli atelt'ers.

Gruppo latinoamericano
I concili classici di Lima e di Città del Messico, nei secoli XVI-XVIII,
ed il concilio plenario latinoamericano celebrato nel 1899, sotto il pontifi-

l46CAPORALE, Les hommes ... , cit., II, p. 41, n. 3. «Le Monde» 17 ottobre 1962 ci-
tato dallo stesso Caporale. Cfr., in proposito, anche A WENGER, Vatican II. Première
session, Paris 1963, pp. 59 60.
FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSE~IBLEA 243

cato di Leone XIII, costituiscono i lontani ma solidi antecedenti del CE-


LAM, e quindi anche del gruppo latinoamericano nel Vaticano II. I ca-
noni di quei concili rimasero in vigore fino alla promulgazione del codice
del 1917. Nel luglio-agosto del 1955 si riunirono a Rio de Janeiro i rap-
presentanti di tutto l'episcopato latinoamericano (l'arcivescovo di ogni
provincia ecclesiastica ed un vescovo eletto dai suffraganei) per procedere
alla creazione del CELAM, approvata da Pio XII il 2 novembre di quello
stesso 1955. Nella riunione di Rio si decise che l'organismo avrebbe avu-
to sede a Bogotà. Ed in questa città ebbe luogo nel novembre 1956 la sua
prima riunione, durante la quale se ne approvarono gli statuti e fu nomi-
nato segretario generale mons. Mendoza.
Secondo questo prelato, il CELAM adottò una struttura modellata
su quella di un organismo politico: l'organizzazione degli stati americani
(OEA), la quale include anche l'America settentrionale e ha sede a
Washington. Il CELAM istituì dieci «Dipartimenti speciali di servizi»
(DES), che riproducevano a Bogotà i Dipartimenti speciali di servizi
della OEA di Washington, ma applicati a campi apostolici. La S. Sede
approvò questa decentralizzazione e la creazione dei DES, pur racco-
mandandone una ridefinizione 147 • A questo lavoro di revisione i vescovi
latinoamericani si dedicarono in venti giorni di riunioni, approfittando
del fatto di trovarsi tutti a Roma a causa del concilio. Tale revisione fu
approvata durante il terzo periodo.
Durante il concilio questo episcopato poté svolgere un ruolo di no-
tevole rilievo soprattutto per l'iniziativa dei vescovi Larrafn e Camara148 •

Gruppo dei superiori religiosi


Antecedente immediato e base istituzionale di questo gruppo 149 fu
l'Unione romana dei superiori religiosi (URSR). «Non abbiamo agito
come un corpo di orientamento o di tendenza», spiegava il p. Aniceto

14 7 Informazione basata sulla risposta del colombiano mons. Juliàn Mendoza Guer
rero, segretario generale del CELAM, all'inchiesta di G6MEZ DE ARTECHE, Grupos "extra
aulam') ... , cit., Apéndice L p. 91, e su BEOZZO (a cura di), Cristianismo e iglesias ... , cit.
148 Quest'ultimo ha informato quotidianamente un gruppo di suoi corrispondenti
in Brasile sul concilio; questa interessante corrispondenza è in via di pubblicazione a
cura di L.C. Marques. A sua volta L. Barauna sta conducendo una ricerca complessiva
sul contributo dell'episcopato brasiliano al Vaticano II.
l49 Informazione basata sulla risposta del p. Aniceto Fernandez, maestro generale
dell10rdine dei predicatori e vicepresidente dell'unione romana dei superiori religiosi, al-
l'inchiesta di G6MEZ DE ARTECHE, Grupos "extra aulam') ... , cit., Apéndice I, pp. 202-204.
244 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

Fernandez. Le riunioni di dibattito furano poche. Le conferenze di teo-


logi organizzate da questo gruppo furono appena tre o quattro durante
tutto il concilio.
Era formato da circa cento padri conciliari, compresi gli abati. Non
tutti i superiori religiosi della URSR erano padri conciliari, ma al grup-
po furono ammessi anche i superiori generali che non erano membri del
concilio, compresi i non esenti e quelli di società con meno di mille
membri, ai quali era concessa la parola nelle riunioni sui temi del conci-
lio. Di conseguenza, insieme al superiore generale dei Fratelli delle
scuole cristiane, che era membro del concilio, assisteva a queste riunioni
quello dei Maristi, che non lo era. Vi erano poi dei sottogruppi, in ra-
gione delle diversità di carismi (monaci, mendicanti, chierici regolari,
congregazioni laicali, religiosi impegnati nell'insegnamento, ecc.), ma
non si arrivò a studiare i problemi per gruppi.
L'organismo direttivo o esecutivo era la commissione o consiglio
permanente dell'Unione romana, composto da otto o dieci membri, elet-
ti da tutti i superiori religiosi dell'Unione. Il p. Fernandez ne era il vice-
presidente. Questa commissione si riuniva quasi mensilmente. Alle riu-
nioni plenarie assistettero (a volte) sessanta o settanta membri. Si tene-
vano una volta al mese, o poco più spesso. All'inizio non si votava quasi
mai; «adesso - diceva il p. Fernandez il 26 dicembre 1965 - bisogna vo-
tare; bisogna chiarire chi sono coloro che possono votare».
Gli interventi in nome del gruppo furono pochi. Non ebbero
l'obiettivo di esprimere un orientamento comune: tutti i suoi membri ri-
manevano liberi, e nessun accordo di gruppo fu adottato neppure nel
caso del capitolo VI della costituzione Lumen gentt'um, dedicato ai reli-
giosi. I rapporti con gli organismi del concilio erano tenuti dal presiden-
te del gruppo. Fernandez, vicepresidente, partecipò a nome del gruppo
ad alcune commissioni miste della commissione dottrinale ed a quella
per i religiosi. In generale, i suoi membri non partecipavano a riunioni
di altri gruppi. Fernandez non assistette mai a quelle del Coetus interna-
tionalis episcoporum (religiosorum).

Gruppo dei vescovi religiosi

Il nome ufficiale di questo gruppo150 era Coetus internationalis epi-


scoporum, ma era formato solamente da vescovi appartenenti a ordini

Informazione basata sulla risposta di mons. Enrico Romolo Compagnone, o.c.d.,


15 0
vescovo di Anagni, a G6mez de Arteche, il 3 dicembre 1965, Grupos "extra aulam" ... ,
cit., Apéndice I, pp. 209 211.
FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 245

religiosi, in un numero compreso tra i settecento e gli ottocento. Si pro-


poneva di presentare sotto la sua vera luce il problema dei religiosi, te-
nendo conto della loro presenza differenziata a seconda dei vari ordini
di appartenenza e traendo le conseguenze pratiche dalla problematica
sollevata.
Cominciò a funzionare durante il secondo periodo. Non aveva un
regolamento, né norme disciplinari. Non tenne mai assemblee plenarie,
ma solo riunioni di gruppi di studio, senza votazioni, la cui durata di-
pendeva dall'andamento del dibattito conciliare sullo schema per i reli-
giosi e sui suoi capitoli. Ad esse parteciparono, a volte, alcuni esperti. Il
luogo in cui si tenevano era abitualmente la curia generalizia dei Gesui-
ti. Le discussioni avvenivano generalmente in latino, e gli accordi rag-
giunti erano redatti in latino e italiano.
La sua unica struttura organizzativa era un gruppo ristretto, con un
presidente, Pacifico Perantoni, arcivescovo di Lanciano, un segretario,
Richard Lester Guilly, vescovo di Georgetown (Guyana Britannica) ed
alcuni altri collaboratori, tra i quali mons. Compagnone membro della
commissione conciliare per i religiosi. I membri di questo gruppo non
intervennero formalmente come collettivo, ma la loro influenza era visi-
bile. Non presentarono controprogetti agli schemi, però presentarono
dei modi. La loro lista di candidati per l'elezione delle commissioni con-
ciliari fu inviata al Santo Padre, perché la conoscesse (di fatto, il papa
nominò alcuni religiosi).
Furono inviate alcune circolari, firmate da Compagnone, rivolte
esclusivamente ad alcuni padri conciliari. Questa diffusione veniva fatta
attraverso persone di fiducia. Da parte del gruppo non furono mai pre-
sentati reclami agli organismi ufficiali del concilio, né esposti al suo tri-
bunale amministrativo.

Gruppo dei vescovi missionari (Vriendenclub)

Tarcisio van Valenberg, già prefetto apostolico nel Borneo olandese,


fu fondatore e leader di questo gruppo151 • Tutto iniziò con una sua lette-
ra, scritta in olandese, inviata a diversi superiori generali e ad alcuni pro-
curatori generali· di istituti religiosi olandesi, ed anche ad alcuni belgi: p.

l51 Informazione basata sulla risposta di mons. Tarcisio Enrico Giuseppe van Va
lenberg, ofm Cap., vescovo titolare di Comba ed ex vicario apostolico di Pontianak
(Borneo olandese), nel gennaio 1966, all'inchiesta di G6MEZ DE ARTECHE, Grupos "extra
aulam" ... , cit., Apéndice I, pp. 215 218. ·
246 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

Clementino de Flesinga, superiore generale dei Cappuccini; p. Cornelius


Heiligers, superiore generale dei Montfortiani; p. José van Kerckhoven,
superiore generale dei missionari del Sacro Cuore di Gesù (belga); p.
Santiago Melsen, procuratore generale ed assistente per l'Olanda dei Car-
meliti dell'antica osservanza; p. Enrique Mondé, superiore generale della
Società delle missioni africane; p. Enrique Systermans, superiore generale
della congregazione dei Sacri Cuori, detta anche di Picpus (belga); p.
Léon Volker, superiore generale dei Padri Bianchi; p. Atanasio H. van
der Weijden, procuratore generale dell'ordine di s. Agostino.
La nazionalità predominante tra i membri del suo nucleo fondatore
spiega il fatto che lo si chiamò con il nome olandese di Vriendenclub. In
generale di questo gruppo facevano parte circa trecento membri del
concilio, «uomini liberi che hanno lavorato ìnsieme», sia per lo schema
sulle missioni sia nel postconcilio. I paesi più rappresentati nel gruppo
erano il Belgio, i Paesi Bassi, la Francia ed il Canada. Per quanto riguar-
da gli istituti missionari, erano rappresentati soprattutto quelli più avan-
zati. Oltre ai vescovi, vi partecipava anche qualche perito. Il più impor-
tante era il p. van der Wejden.
«Tutti vogliamo il bene della missione, più che quello dell'istituto
missionario, ed anche qualora gli istituti non fossero più necessari», di-
ceva mons. van Valenberg a G6mez de Arteche, perciò vollero andare
avanti anche quando il concilio era terminato, «perché la missione rice-
va un posto degno nel nuovo diritto canonico e nelle disposizioni che la
congregazione di Propaganda fide assumerà in base ad esso».
Si trattava di un'organizzazione libera, più che altro di un gruppo di
studio, senza alcuna struttura organizzativa, che la curia considerava pe-
ricoloso. I vescovi missionari partecipavano alle sessioni solamente du-
rante i periodi conciliari, ma mons. van Valenberg rimaneva a Roma du-
rante le intersessioni e continuava a svolgere il lavoro essenziale. Era lui
a redigere gli ordini del giorno e ad inviare le convocazioni. La frequen-
za delle riunioni era irregolare, a seconda di quando si ritenessero ne-
cessarie. Spesso si tenevano nella casa dei Padri Bianchi, senza regole
procedurali, con grande semplicità, cominciavano con una preghiera e
l'ordine del giorno veniva affrontato intorno a una tazza di caffè ed a li-
quori. Le votazioni, quando vi erano, awenivano per alzata di mano. Le
lingue usate erano l'olandese e l'inglese. Il segretario, che di solito era
van der Weijden, redigeva un verbale della riunione.
I membri del gruppo discutevano di ogni schema prima del relativo
dibattito conciliare. Due volte presentarono dei controprogetti all'intero
testo, e molte altre formularono dei modi. Alcune proposte di questo
gruppo e relative al decreto su1le missioni, furono: 1) lUl fondamento
maggiormente teologico; 2) richiesta di un maggiore attivismo da parte
FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 247

della congregazione di Propaganda fide; 3) dialogo con le religioni non


cristiane; 4) riconoscimento agli istituti missionari della possibilità di vi-
vere e lavorare, poiché fino ad allora, nel CIC, si consentiva solamente
di vivere. Tutta l'attività era indirizzata al bene della missione, perciò il
gruppo inviò due controprogetti: uno Schema de missionibus e un Tex-
tus emendatus schematis de missionibus.
Per quanto riguarda i contatti e le influenze al di fuori del gruppo,
ogni suo membro chiedeva ai vescovi del proprio istituto religioso che
aderissero alle proposte o agli emendamenti dei missionari. Stimolarono
gli interventi di cardinali molto prestigiosi, come Alfrink, Konig e Zoun-
grana. Questi, ed anche il vescovo di Umtali (Rhodesia del Sud), il car-
melitano Daniel Raymond Lamont, parlarono a nome del gruppo; pur
tacendone la delega e dichiarando semplicemente di parlare a nome di
molti superiori generali. I membri tentavano di influire anche con opu-
scoli, documenti e pubblicazioni che distribuivano tra i padri o i periti
di loro conoscenza. Il gruppo non aveva rapporti diretti con quello dei
superiori religiosi, ma il gruppo di studio dei religiosi sapeva che i mis-
sionari erano al lavoro. In alcune occasioni avevano lavorato per la con-
gregazione per i religiosi, ma sub secreto. Avevano buone relazioni con
la conferenza missionaria olandese e con quella dell'Indonesia, che aveva
sede nel Foyer Unitas. Con quella belga le relazioni erano minori.
Mons. van Valenberg era personalmente membro del gruppo della chie-
sa dei poveri ed amico del p. Gauthier. Ufficialmente questo gruppo
non aveva relazioni con gli organismi ufficiali del concilio, tuttavia van
Valenberg era in contatto con il card. Cicognani. Il p. Schiitte, superio-
re generale della società del Verbo Divino e pro-prefetto apostolico
(espulso) di Sinsiang (Cina), e tutta la commissione per le missioni, par-
larono con questo gruppo prima di presentare lo schema in aula. I pa-
dri Xavier e André Seumois, due fratelli, erano periti della commissione
conciliare e anche del V riendenclub, pur non essendone formalmente
membri. «Non si ebbero segnali di un riconoscimento ufficiale, ma la
commissione era molto aperta nei nostri confronti», afferma van Valen-
berg. Essa trattava il Vriendenclub alla stregua della «leale opposizione
di sua maestà». Il p. Schiitte ringraziò spesso questo gruppo.

4. L'informazione
«Di sua natura - ha scritto Philips - il concilio è piuttosto un even-
to che un'istituzione» 152 • Tuttavia, mai un concilio ecumenico era stato

152 La Chiesa e il suo mistero nel Concilio Vaticano II, t Milano 1967, p. 262.
248 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

tanto événement, nel senso giornalistico dell,espressione, come il Vatica-


no II. Esso rappresentava una sfida per i mezzi di informazione, ma an-
che per la chiesa stessa, per l'atteggiamento che essa avrebbe assunto
nei confronti di quanti dovevano informare. Scriveva un cronista:
Penso che in questa sede sarebbe molto facile inanellare catene di frasi d'amore
pontificio rivolte alla stampa ed ai giorna1isti. Ma il nostro mondo crede sempre meno
nei discorsi e si chiede fino a che punto la chiesa ha assimilato ed accettato la stampa, o
fino a che punto la tollera sempJicemente come un pericoloso nemico 153,

«La Civiltà Cattolica», rivista dei gesuiti ma soggetta al controllo


della segreteria di Stato, iniziava il primo dei suoi notiziari conciliari ri-
producendo l'articolo scritto da un suo cronista per il Vaticano I, 93
anni pnma:
Le notizie che ora in qualche modo si riferiscono al conci1io sono tante che se ne
riempiono le colonne dei fog]i quotidiani: ma noi non abbiamo che poche paginette due
volte al mese per queste varie notizie: che se le volessimo raccoglier tutte, non dovrem
mo in tutto il quaderno parlar d'altro che del concilio, e cosl trasformare l'indole del
nostro periodico. Però ci dobbiamo contentare di toccare sol qualche cosa, come suol
dirsi, de generibus singulorum ... 154.

Alla vigilia dell'inaugurazione del concilio le tessere di accredito


come giornalisti rilasciate dall'Ufficio stampa erano circa 900, e durante
il primo periodo salirono a 1.255. Uno di essi si chiedeva quanti tra gli
accreditati fossero i giornalisti professionisti, forse appena un terzo, poi-
ché molte pubblicazioni cattoliche si erano limitate a nominare in quali-
tà di proprio corrispondente un sacerdote o un religioso ad esse noto e
residente a Roma. Anche tenuto conto di ciò, tuttavia, l'interesse dei
mezzi di informazione per l'avvenimento conciliare raggiungeva un livel-
lo senza precedenti. Una lettrice, in una lettera inviata ad una rivista
leggera italiana, si lamentava perché non si poteva più aprire nessun
giornale né rivista senza imbattersi in pagine e pagine sul concilio, che a
lei non interessava. Il giornalista già evocato, interrogandosi sulle ragioni
di tanta aspettativa, segnalava come prima spiegazione <<l'eccezionale po-

153 J.L. Prensa y Concilio. Del "muro del secreto') a las ''puertas
MARTfN DESCALZO,
abiertas" en el Concilio Vaticano II, pp. 4 5. Si tratta di una tesina inedita, non datata,
ma scritta certamente prima della fine del conciJio, probabHmente a metà del 1963.
L'autore, benché afflitto da una grave malattia che ne causò la morte pochi mesi più
tardi, mi concesse gentilmente una lunga intervista il 24 ottobre 1990, e mi permise di
fotocopiare il suo lavoro. La sua nutrita bibJioteca sul Vaticano II si trova attua1mente
presso la Casa de escritores dei PP. Gesuiti di Madrid.
l54 «CivCat» 2697 3/11/62, p. 270, la quale cita il n. 1870 deJla stessa rivista, I, p.
356.
FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 249

polarità di Giovanni XXIII nel mondo»; al tre ragioni potevano essere la


novità del concilio, l'unico vissuto dalle ultime generazioni; l'enorme po-
tenza di diffusione della chiesa cattolica, radicata in tutti gli angoli del
pianeta; infine un'intuizione nel mondo che portava a riporre nel conci-
lio una speranza di luce e pace per i problemi mondiali 155 . Nonostante
ciò, gli ambienti ecclesiastici non avevano accettato del tutto il fatto che
la caratteristica del giornalismo non è quella di diffondere l'essenziale,
ma la novità. Come ebbe ad osservare Henri Fesquet, se migliaia di ve-
scovi parlano di Dio, ciò non fa notizia, ma se uno solo di essi dicesse
che Dio non esiste, allora questa sarebbe una notizia da prima pagina.
Il più stretto e religioso segreto aveva imperato durante il lavoro del-
le commissioni preparatorie156, i cui membri potevano parlare dei docu-
menti e delle deliberazioni soltanto con i componenti della commissione
di cui ognuno era membro. Il p. Congar pensava che in linea di princi-
pio ciò andasse bene, poiché l'indiscrezione della stampa o l'intromissio-
ne dell'opinione pubblica potevano avere effetti catastrofici; ma ciò risul-
tava al contempo «un modo per atomizzare e neutralizzare qualsiasi op-
posizione. Ci ridusse praticamente allo stato di uomini che n9n avevano
relazioni se non direttamente con Roma, ma non fra di loro. E la distru-
zione pratica della cattolicità orizzontale, a vantaggio di quella solo verti-
cale»157. Il problema si pose in termini analoghi quando iniziò il concilio,
poiché per la maggioranza dei padri conciliari gli incontri extra aulam, le
conferenze, la circolazione di documenti e più in generale i mezzi di in-
formazione, risultarono molto utili, per non dire necessari, al fine di for-
marsi un'opinione ben fondata. Pio XII, in un famoso discorso sull'opi-
nione pubblica come elemento indispensabile del bene comune, aveva
affermato che anche nella chiesa essa era necessaria («naturalmente in
merito alle questioni che possono essere discusse liberamente»), e era
giunto ad affermare che «anch'essa è una corporazione viva; ma a questa
sua vita mancherebbe qualcosa se fosse priva di opinione pubblica, un
difetto la cui colpa cadrebbe sia sui pastori che sui fedeli» 158 . Ma di fatto
questa dottrina non era stata effettivamente applicata alla vita della chie-
sa, soprattutto nell'ultimo periodo del precedente pontificato, e nell'im-
minenza del concilio vi era un attivo interesse ad evitare la formazione di
un'opinione pubblica per potere impartire con maggiore efficacia le di-

155 MARTIN DESCALZO, Prensa y Concilio ... , cit., p. 40.


156 SIV l, pp. 187 188 e pp. 482 485.
157 JCngJ p. 8.
158 Discorso al Congresso internazionale della stampa cattolica «OssRom»
1 1 18 feb~
braio 1950.
250 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

rettive emanate dalla curia; usando i termini del p. Congar, si può dire
che si intendeva minimizzare la relazione orizzontale perché prevalesse
quella verticale, naturalmente dall'alto verso il basso.
Per rispondere alle necessità informative del concilio fu creato un
Comitato per la stampa, presieduto da Martin John O'Connor, arcive-
scovo titolare di Laodicea di Siria e presidente della commissione ponti-
ficia per la cinematografia, la radio e la televisione, assistito da quattor-
dici vescovi di diverse nazionalità e continenti, tra cui nessun italiano,
con Fausto Vallainc come segretario. Con carattere più operativo il 5 ot-
tobre fu creato l' «ufficio stampa», il cui direttore era il già ricordato
Vallainc, affiancato da sette responsabili di altrettante sezioni linguisti-
che: Gerhard Fittkau, tedesco; Edward Heston, nordamericano, segreta-
rio della congregazione per i religiosi; F rançois Bernard, francese, corri-
spondente di «La Croix»; Cipriano Calderòn, spagnolo, perito concilia-
re; Francesco Farusi, SI, italiano; Paulo Almeida, SI, portoghese (in se-
guito Bonaventura Kloppenburg, OFM, brasiliano); infine Stefano We-
soly, polacco. Diversamente dai membri del Comitato per la stampa, i
quali erano tutti padri conciliari, quelli dell'Ufficio stampa non lo erano,
e in linea di principio non avevano diritto (a meno che non fosse ad al-
tro titolo) ad assistere alle congregazioni generali sulle quali in seguito
avrebbero dovuto informare tutto il mondo.
Naturalmente, l'uomo chiave di tutta questa organizzazione era Fau-
sto Vallainc, un italiano di Champorcher, nella zona francofona della
Valle d'Aosta, di 46 anni, buon conoscitore delle principali lingue e do-
tato di qualche esperienza giornalistica come direttore della «Settimana
del clero» e consigliere dell'ufficio stampa dell'Azione cattolica italia-
na159. Questi dipendeva direttamente dal segretario generale del concilio,
Felici, e doveva risolvere una contraddizione insanabile: quella tra il do-
vere dirigere l'informazione mondiale sul concilio secondo i criteri di
Felici, e al tempo stesso trasmettere alla stampa internazionale una sen-
sazione di trasparenza e libertà. «L'Ufficio Stampa si trova schiacciato
tra il "martello" della stampa mondiale e !"'incudine" del segreto conci-
liare imposto dalle forze conservatrici della Curia romana»160 . Pare che

l59 Cfr. F. VALLAINC, Images du Conci/e, Roma 1966. Edizioni simultanee inglese,
Images o/ council, tedesca Bilder von Konz.il e italiana Immagini del concilio. Opera pre-
parata per incarico di Paolo VI. Edizione fuori commercio, spedita ai padri conciliari
nel dicembre 1966. Cfr. anche E.L. HEsTON, The Press and Vatican II, Notre Dame
1967 e PH. LEVILLAIN, Il ·Vaticano II e i mez.z.i di comunicai.ione sociale, in La chiesa del
Vaticano II (1958-1978), I, Milano 1994, pp. 524 532.
l60 J. GROOTAERS, L'informatt'on relig,t'euse au début du Conci/e. Instances o/ficielles
et réseaux in/ormels, in Vatican II commence, p. 218.
FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 251

ad un certo punto, esasperato, Vallainc si sia gettato ai piedi del papa


chiedendogli che lo rilevasse da quel compito impossibile. Sotto questo
aspetto, come per molti altri, il primo periodo rappresentò un laborioso
apprendistato.
I primi bollettini ufficiali diffusi dall'Ufficio stampa delusero sia gli
informatori religiosi sia molti padri conciliari: i primi, perché non dice-
vano nulla di interessante e non chiarivano chi diceva cosa; i secondi,
perché le poche cose che vi si dicevano erano sfacciatamente favorevoli
alla tendenza conservatrice. Divenne famoso il comunicato relativo alla
prima congregazione generale, con la quale iniziarono di fatto i lavori
conciliari, con i primi interventi nel dibattito generale sullo schema li-
turgico: «Tra i padri che avevano richiesto la parola, questa mattina ne
sono intervenuti venti, alcuni in difesa dello schema, altri per attaccar-
lo»161. Il direttore de «La Civiltà Cattolica» annotava nel suo diario che
molti vescovi (i canadesi se ne erano lamentati apertamente) «sono di-
spiaciuti della maniera unilaterale con cui sono state presentate le ultime
discussioni (alla) congregazione generale nei bollettini ufficiali, prenden-
do apertamente le parti dei conservatori e travisando i motivi di coloro
che auspicano il rinnovamento, per es. del breviario. Un certo pessinli-
smo va diffondendosi tra vescovi e informatori» 162 .
Lo stesso Tucci promosse un incontro tra una delegazione degli in-
formatori religiosi e dei diversi centri di documentazione sul concilio, e
Casimiro Morcillo, arcivescovo di Saragozza ed uno dei vicepresidenti
del concilio, affinché gli esponesse i desiderata dei giornalisti. «Ci ha ac-
colti con grande comprensione - scrive Tucci nel suo diario -, ritenen-
do che la maggior parte delle.richieste sono attuabili: biografie di coloro
che intervengono al concilio, maggiore ampiezza data ai testi discussi,
informazione esauriente e aggiornata su problematica più recente, ecc.
Ci ha chiesto di stendere un breve memoriale; egli ne parlerà in una
prossima riunione del Com. di presidenza»163 . Il memorandum fu prepa-
rato dal p. Brechet, sulla base dell'esposizione del problema fatta da
Tucci davanti a Morcillo a nome di tutti; egli si avvalse della collabora-
zione di Haubtmann, Mejìa, Rouquette e Hirschmann, dopo avere con-
sultato anche altri.
Il 5 novembre, nel tardo pomeriggio, si tenne presso il Centro spa-
gnolo di documentazione del concilio una riunione del gruppo di infor-
matori religiosi, presieduta dal p. Tucci alla ·presenz.a anche di Walter

161 Comunicato ufficiale della IV c.g., 22 ottobre 1962.


162 DTcc, 12 novembre 1962.
163 DTcc, 30 ottobre 1962.
252 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

Kampe, ausiliare di Limburg e responsabile del centro di informazione


tedesco. La visita a Morcillo aveva sortito buoni effetti, ma Vallainc si
era risentito. Kampe accettò quindi di tentare di allentare le tensioni in-
vitandolo alle riunioni del gruppo di informatori. A quella riunione pre-
se parte anche il p. Ralph M. Wiltgen, verbita, con il quale tutti i centri
di documentazione conciliare funzionanti a Roma si trovarono incorpo-
rati al gruppo: l'olandese, lo spagnolo, l'italiano, il tedesco, l'argentino,
il nordamericano e il verbita. Questi era inoltre in contatto con il segre-
tariato dell'episcopato africano attraverso l'olandese Joseph Blomjous,
vescovo emerito di Mwanza (Vittoria-Nyanza meridionale). Mons. Kam-
pe diceva a Tucci che una delle ragioni delle difficoltà risiedeva nel fat-
to che in quei giorni non accadeva nulla di interessante nel concilio, a
causa della moltiplicazione ripetitiva degli interventi.
Il giorno successivo alla riunione nel centro spagnolo, allorché Tuc-
ci, uscendo dall'aula vaticana, si diresse all'ufficio stampa, Vallainc volle
parlargli per lamentarsi con lui del memorandum inviato al consiglio di
presidenza. A quanto pare Morcillo lo aveva presentato come un docu-
mento personale di Tucci. Questi si giustificò, dicendo a Vaillanc che si
era trattato di un documento di tutto il gruppo, che egli neppure aveva
visionato in anticipo, ma non gli nascose che era personalmente d' accor-
do con il contenuto del memorandum. «Purtroppo - annotava Tucci -
Vallainc è un uomo ipersensibile e troppo "romano" per tenere quel
posto. E poi non fa che criticare la genia dei giornalisti! Come potrà
comprenderli?» 164 • Il 12 novembre si tenne un'altra riunione degli infor-
matori religiosi, a cui Vaillanc non partecipò, pur essendo stato espres-
samente invitato. Da parte sua, il vescovo Kampe, che si trovava in Ger-
mania, si fece sostituire dall'ausiliare di Miinster, Heinrich Tenhumberg,
il quale comunicò ai presenti che stava cercando di promuovere un'azio-
ne concertata dei presidenti o segretari delle diverse conferenze episco-
pali presso il consiglio di presidenza, o forse meglio presso il segretaria-
to degli affari extra ordinem, al fine di ottenere un migliore statuto per
gli informatori165 •
Il problema non era risolto. Il 13 novembre Vallainc telefonò a Tuc-
ci per lamentarsi delle critiche di «unilateralità» (vale a dire di favorire
la tendenza conservatrice nel presentare i resoconti degli interventi) ri-
volte contro i suoi ultimi bollettini, ed anche dell' «opposizione compat-
ta» che gli stavano contrapponendo i suoi sette immediati collaboratori
(i responsabili delle altrettante sezioni linguistiche). Gli chiese dunque

164 DTcc, 6 novembre 1962.


165 DTcc, 12 novembre 1962.
FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 253

che il giorno successivo lo aiutasse a redigere il bollettino, confrontando


gli appunti di entrambi. Tucci declinò l'invito, affermando di non posse-
dere il talento giornalistico necessario per sintetizzare l'essenziale in un
breve spazio («e purtroppo neppure mons. Vallainc lo ha e forse non se
ne accorge!», scriveva Tucci nel suo diario); ciò che Vallainc avrebbe
dovuto fare, sarebbe stato di «riacquistare la fiducia dei suoi collabora-
tori ottenendo di portarsene uno a turno in aula per controllo delle sue
impressioni. Perché non prepara il bollettino collegialmente? Un
brav'uomo, ma del tutto fuori posto, purtroppo per lui e soprattutto per
i giornalisti e in fondo per la chiesa stessa»166 • Il giorno dopo, il consi-
glio di presidenza, su proposta di Morcillo e Kam pe, decise di autoriz-
zare l'assistenza ad ogni congregazione generale di due responsabili del-
le sezioni linguistiche dell'ufficio stampa, a turno. Vallainc commentò a
lungo questa decisione con Tucci, irritato per quella che riteneva essere
una manovra dei suoi collaboratori ed una mancanza di considerazione
da parte di Felici, che non lo aveva avvertito subito 167 • Tucci gli suggerì
di chiedere a Felici ed a Morcillo di potere visionare il giorno prima di
ogni congregazione i testi degli interveqti che gli oratori dovevano depo-
sitare in anticipo presso la segreteria. E in base a ciò che il 16 novem-
bre Tucci poteva scrivere: «Finalmente un bollettino "obiettivo"!».
Tuttavia dopo alcuni giorni in cui apparvero bollettini meno unilate-
rali dei primi, i conservatori si irritarono e pare che il S. Uffizio minac-
ciasse di fare chi:y.dere l'ufficio stampa «per aver violato il segreto del
concilio e per essere quindi contro il regolamento del concilio» 168 • Il ve-
scovo di Livorno, Emilio Guano, che confermò a Tucci questa notizia,
se ne mostrava indignato e affermava che «l'Ufficio stampa dipende dal
concilio, ed il S. Uffizio non ha alcuna autorità di vigilanza sul concilio
e sull'osservanza del regolamento dello stesso»169• Il 6 dicembre Vallainc
assistette ad una riunione di tutti i centri nazionali di documentazione
sul concilio, presieduta da Tucci, il quale annotava: «Grazie a Dio l' ar-
monia e la comprensione più perfetta dalle due parti!» 170 •
A metà strada tra l'ufficio stampa ufficiale e i giornalisti o i servizi
di stampa privata vi erano i Centri di documentazione e informazione di
diversi episcopati o congregazioni religiose 171 • Quando cominciarono le

166 DTcc, 13 novembre 1962.


167 DTcc, 14 novembre 1962.
16 8 Confidenza di Cipriano Calderòn a Jesus Iribarren, che ne riferì a Tucci (Dia-
rio, 23 novembre 1962).
l69 DTcc, 24 novembre 1962.
170 Ibidem, 6 dicembre 1962.
171 Fondiamo la rassegna su questi centri nazionali sul competente studio di J.
254 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

sessioni ne esistevano già due: il DO-C, centro di documentazione della


chiesa cattolica dei Paesi Bassi, che a partire dal 1963 si internazionaliz-
zò e specializzò nella realizzazione di eccellenti dossier monografici; ed
il CCC, centro di informazione dell'episcopato canadese.
Di fronte al regime di segreto che di fatto dominò durante l'intero
primo periodo, i corrispondenti dei diversi giornali entrarono in aperta
competizione per procurarsi informazioni, mentre alcuni accusavano al-
tri di adottare procedimenti poco seri. «Comincia bene nella stampa ro-
mana: titoli sensazionali, commenti prolissi e molto approssimativi, d'al-
tronde nei sensi più diversi», scriveva un cronista francese all'inizio del
concilio 172 . E quattro giorni dopo aggiungeva: «Si pone il problema del
segreto in seno al concilio. La stampa italiana vi viene meno allegramen-
te e ha già pubblicato l'essenziale del contenuto del progetto sulla litur-
gia»173. Scriveva Caprile, commentando questa accusa di parte francese:
«Conveniamo nel rammaricarci dell'atteggiamento di una parte della no-
stra stampa; non vorremmo, però, che essa fosse ritenuta l'unica respon-
sabile»174.
Il più prestigioso cronista spagnolo, José Luis Martin Descalzo, fa-
cendo un bilancio dell'atteggiamento della stampa internazionale di
fronte all'avvenimento conci]iare, osservava che ognuno dei diversi grup-
pi nazionali era caduto in tentazioni peculiari. Pur ammettendo il ri-
schio che, generalizzando, si potesse incorrere in caricature, egli si az-
zardava ad enumerare cinque tentazioni. A suo parere, i grandi settima-
nali erano incorsi nella tentazione del sensazionalismo. La fotogenia del-
lo spettacolo inaugurale consentì a «Life», «Paris Match», «Epoca»,
«Tempo», «L'Europeo», «Oggi», «Gaceta Ilustrada» di pubblicare son-
tuose pagine di meraviglie a colori:
Che magnifica impressione di sontuosa grandiosità! Ma tutto ciò che cosa trasmet-
teva del fatto religioso, della problematica del concilio? Non dava addirittura maggior-
mente l'impressione di una chiesa trionfante piuttosto che di una chiesa la quale, umil-
mente, prova a riformarsi? Non scaturiva da quelle pubblicazioni un'impressione di
trionfalismo che tante volte i fratelli separati ci avrebbero rinfacciato? Quasi senza ecce-
zione, queste pubblicazioni ignorarono il discorso di Giovanni XXIII, che pure era infi-
nitamente più storico delle migliori fotografie, e la maggior parte di esse curò assai più i
servizi fotografici che non i commenti scritti che li accompagnavano, o dovevano accom-

Grootaers, che non solo fu giornalista al concilio, ma anche coordinatore degli informa-
tori: L'information religieuse au début du Conci/e: instances o/ficielles et réseaux infor-
mels, in Vatican II commence, pp. 211 234. In chiusura egli pubblica la lista dei tredici
centri funzionanti, con i loro indirizzi e i nomi dei responsabili.
172 «La Croix», 16 ottobre 1962.
173 «La Croix», 20 ottobre 1962.
174 CAPRILE Il, p. 61.
FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 255

pagnarli, poiché molte riviste si limitarono a pubbJicare grandi fotografie con note stri-
minzite.

I giornali italiani, da parte loro - sempre secondo Martin Descalzo -


avevano la tentazione di politicizzare. Il loro compito era doppiamente
difficile per due ordini di ragioni: a) la superpoliticizzazione dell'Italia,
la quale fa sì che tutto vengà visto in funzione politica, specie le cose
della chiesa, che l'italiano suole confondere con gli affari della sua pa-
tria; b) l'abitudine dei vaticanisti di vedere gli affari della chiesa in
un'ottica di intrighi di palazzo175 • Martin Descalzo porta a sostegno di
questa osservazione una selezione di titoli di giornali dedicati alla sessio-
ne inaugurale. Il giornale neo-fascista «Il Secolo» aveva sottolineato che
il concilio «indicherà al mondo la permanente validità della dottrina del
suo creatore e redentore» («Si osservi - commenta il sacerdote giornali-
sta spagnolo - la retorica tipica di tutti i fascismi e la tendenza alle frasi
magniloquenti»), e che «Il concilio ha pregato per la chiesa del silen-
zio». Il «filoliberale» «Il Tempo», «non lasciava trasparire molto la sua
posizione dai titoli. Il suo anticomunismo era più velato, ma si vedeva».
Quattro giornali di centro («Il Messaggero», «Il Corriere della Sera»,
«La Stampa», «L'Avvenire d'Italia») «concordavano nei loro titoli a 8
colonne, ed in tutti quanti spiccavano commenti che riflettevano un'at-
tenzione positiva e fiduciosa in un futuro di fede e speranza nel nostro
mondo» 176 • Tre giornali della sinistra marxista («Paese Sera», «Il Paese»,
«Avanti!») accentuavano il tono ottimista e progressista di quelJi di cen-
tro. «Tutta l'ossessione della stampa italiana di sinistra consisterà, du-
rante il concilio, nel dimostrare che qualcosa sta cambiando nella chiesa,
la quale, a suo modo di vedere, abbandona le vecchie posizioni».
In quanto alla stampa francese, la sua tentazione peculiare sarebbe
stata quella dell'indiscrezione. Martin Descalzo riconosce sia la qualità
dell'informazione francese sul Vaticano II, sia il fatto che la Francia sia
stata, insieme all'Olanda, il paese in cui più si riuscì a risvegliare tra i
cristiani l'interesse per il concilio. Un mese prima che il concilio inizias-
se, «La Croix» lanciò una campagna di abbonamenti validi per i tre
mesi di durata del primo periodo, ottenendo 53.400 nuovi abbonati per

I75 Il p. Robert Rouquette, altro grande cronista del Vaticano II, è d'accordo con
questo giudizio: «Una delle debolezze degli italiani consiste nel volere sempre vedere
un'intenzione politica dietro agli atti religiosi» (El Concilio Vaticano II, in PLICHE MAR
TIN, Hùtoria de la Iglesia, vol XXVIII dell'ed. spagnola, Valencia 1978, p. 153). Bisogna
però chiedersi se questa tentazione, che non è esclusiva degli italiani, non consista tanto
nel vedere un significato politico negli atti religiosi, quanto nell'attribuirglielo.
17 6 Su questa linea fiduciosa, pienamente condJiare, successivamente si segnalarono
in particolare i commenti di Raniero La Valle su «L'Avvenire d'Italia».
256 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

l'edizione centrale, più altri 17.000 per «La Croix du Nord», per cui il
giornale aumentò la tiratura del 60 % . Per commentare le prime congre-
gazioni anche «La Croix», come il resto della stampa, dovette attenersi
agli scarni bollettini ufficiali, ma a partire dalla settima congregazione
essa cominciò a pubblicare cronache con nomi e contenuti concretissimi
degli interventi dei padri, «al punto da potere essere certi che il suo
cronista sedesse abitualmente nell'aula conciliare, o che qualcuno dei
periti francesi fosse stato espressamente delegato dalla gerarchia di quel
paese per informare questo giornale». Martin Descalzo si chiede: «"La
Croix", fu un giornale indiscreto? Tutti i difensori ad oltranza del segre-
to conciliare lo pensavano, poiché, vista l'informazione de "La Croix", il
segreto era sparito del tutto». Ma poi conclude:
Se dovessi dare W1 giudizio personale sui fatti e sui frutti, assolverei pienamente
«La Croix» da questo «peccato», immensamente utile per vescovi e informatori nei mesi
trascorsi a Roma, e di utilità decisiva per tutti coloro che oggi scrivono la storia del pri
mo periodo conciliare. Darei invece una risposta diversa se mi si chiedesse ragione della
strana situazione di privilegio in cui queste informazioni, di cui solo «La Crono> dispo-
neva, ponevano i suoi giornalisti in relazione agli altri giornalisti francesi e stranieri, col
pevoli dell'unico delitto di scrivere per giornali neutrali, o per giornali cattolici vicini a
gerarchie che sul segreto avevano posizioni diverse. Ogni monopolio è ingiusto, e lo è
anche quello della notizia allorché una data posizione esclusiva non è frutto dell'abilità o
dello sforzo di colui che informa ma della situazione privilegiata in cui le circostanze o i
pregiudizi lo pongono. Si comprende in tal modo come «La Croix» fosse una piccola
isola nel mezzo di quel mondo fatto di cameratismo e aiuto reciproco sorto tra i giorna
listi conciliari.

Molto diverso fu il taglio informativo del cronista di «Le Monde»,


Henri Fesquet.
Le sue cronache erano senza dubbio le più ricercate nelle edicole romane, circola-
vano di mano in mano non solo nella sala stampa, ma anche nell'aula conciliare [...]. Le
cronache di Fesquet, vive, agili, acute, motivate, divennero assai più «organi di pressio-
ne» che «organi di informazione>» al punto che bisogna chiedersi se inconsciamente Fe
squet non scrivesse badando più alla vita conciliare romana che ai suoi lettori parigini.
Più che informare, egli esprimeva opinioni; pubblicava quasi altrettante voci di corridoio
che fatti; le sue cronache erano più abili e intenzionate che concrete; infine riflettevano
un interesse per quanto accadeva fuori dall'aula, nei corridoi, molto maggiore che per
ciò che succedeva nelle sessioni.

In contrasto con quella francese, la tentazione in cui, secondo Mar-


tin Descalzo, sarebbe caduta la stampa spagnola fu quella della medio-
crità, che le impedì di riuscire a mantenere vivo l'interesse del pubblico
spagnolo medio. Le cause di questo fallimento informativo sarebbero
state: la concezione del segreto, difesa dall'episcopato spagnolo (diversa-
mente da quello francese); la scarsità di inviati speciali e specializzati; la
FISIONOMIA INIZIALE DELL'ASSEMBLEA 257

tendenza a «rifriggere i già scarni hotiziari ufficiali, atteggiamento non


pericoloso e [ ...] non giornalistico, e la maggiore preoccupazione per la
quantità di informazione, la quale dà al giornale la fama di "buon catto-
lico", piuttosto che per la sua "qualità"»; insomma, peccati di omissione
più che di azione. Ma questa affermazione di Martin Descalzo andrebbe
sfumata, tenendo in considerazione la situazione politica della Spagna,
dove vigeva un regime dittatoriale basato sul confessionalismo cattolico
e l'alleanza con la chiesa, per il quale l'atmosfera conciliare risultava di-
struttiva. Ciò spiega come mai, benché la grande massa degli spagnoli,
addormentata dalla propaganda ufficiale, non seguisse in modo appro-
fondito i dibattiti conciliari, i settori rinnovatori della chiesa spagnola,
quelli politicamente dissidenti e i nazionalismi irredentisti, si appassio-
nassero al Vaticano II. Ciò si verificò soprattutto nei Paesi Baschi (Mar-
tin Descalzo era il cronista de «La Gaceta del Norte», di Bilbao, la qua-
le ebbe uno spettacolare aumento di abbonati, analogo a quello di «La
Croix») ed in Catalogna177 • Infine, Martin Descalzo analizza un certo
numero di giornali russi, tra i quali inserisce l'organo del PCI <<l'Unità»,
ai quali attribuisce la tentazione dell'incomprensione: essi avrebbero insi-
stito in forma unilaterale su ciò che cambiava nel concilio, sostenendo
l'idea che era passata l'epoca delle scomuniche e contrapponendo le
correnti cattoliche centroeuropee, con le quali simpatizzavano, all'epi-
scopato italiano, accusato di essere settario e ottuso178 .
Ralph M. Wiltgen, la cui cronaca The Rhine flows into the Tiber ab-
biamo citato più volte, trovò abilmente il modo di farsi dare informazio-
ni dai vescovi evitando che lo si potesse accusare di essere venuto meno
al segreto. Fu Curtis Pepper, capo dell'équipe inviata a Roma dalla rivi-
sta «Newsweelo>, a fargli osservare, appellandosi ali'esperienza dell' as-
semblea del World Council o/ Churches a Nuova Delhi, che «Nothing
can substitute for interviews with important people». Qualcosa di simile
gli disse anche Robert Kaiser, il rappresentante dell'altro grande settima-
nale americano, il «Time»: «Ciò di cui la stampa ha bisogno è la possi-
bilità di uno scambio con i vescovi e i teologi che hanno la libertà di
parlare con franchezza di un evento umano che coinvolge persone in
dialogo tra loro». Oltre che per il segreto che era loro imposto, molti
vescovi evitavano la stampa per il timore che le loro parole non venisse-

177 Maggiori particolari in H. R.AGUER, L'Espanya de Franco i el Concili Vaticà II, in


Miscellània d'homenatge a Josep Benet, Barcelona 1991, pp. 630 650; ID., Bonzos incor-
diantes. Los catòlicos catalanes y el Concilio Vaticano II, in <<XX Siglos» 4 (1993), pp. 88
97.
178 MAR11N DESCALZO, Prensa y Concilio, cap. IV, La prensa mundial y sus 'cinco
tentaciones' dw·ante la primera sesiòn, cit., pp. 65-82.
258 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

ro riportate fedelmente. Al fine di salvare il segreto, Wiltgen, invece di


chiedere loro che cosa fosse stato detto in aula, chiedeva di spiegare
quali fossero le necessità ed i desideri delle loro diocesi in relazione al
tema su cui si stava dibattendo; per fugare il loro timore di vedere
fraintese le dichiarazioni rilasciate, dopo l'intervista redigeva il testo e lo
sottoponeva alle loro osservazioni179 .

5. La sinergia con il popolo di Dio

Nel paragrafo precedente abbiamo parlato dell'impatto del Vaticano


II sulla stampa e gli altri mezzi di comunicazione, tuttavia si produsse
anche il fenomeno inverso, vale a dire l'influenza dei mezzi di comuni-
cazione sui padri conciliari. Quando i giornali dedicano tempo e spazio
ad un tema, è perché sanno che interessa alla gente. Come abbiamo già
ricordato, Giovanni XXIII riuscì ad ottenere che il «suo» concilio risul-
tasse significativo per i fedeli ed in qualche modo per «tutti gli uomini
di buona volontà». Oltre a quanto scrivevano i giornali, molti vescovi,
soprattutto francesi ed italiani, pubblicavano lettere o cronache del con-
cilio nei rispettivi bollettini diocesani o per i settimanali religiosi, in sin-
tonia con gli interventi del papa, il quale approfittava di tutte le occa-
sioni che gli si presentavano per parlare del concilio e chiedere preghie-
re per il suo buon esito; si tratta di ciò che Martin Descalzo ha chiama-
to «giornalismo porporato». Importanza del tutto speciale ebbero le Let-
tere dal Concilio, pubblicate dal card. Montini su «L'Italia».
Ma a loro volta i commenti della stampa e la viva reazione popolare
convincevano definitivamente i vescovi dell'importanza del concilio.
Inoltre, i vescovi leggevano le cronache dei giornali, e a più di uno ciò
fu di aiuto per comprendere quanto stava accadendo in aula. Non tutti
infatti avevano un perfetto dominio della lingua latina, il che dipendeva
anche da come essa veniva pronunciata, e forse non conoscevano nep-
pure a fondo la problematica che in quel momento veniva discussa.

179 WILTGEN, The Rhine... , cit., pp. 3 3-34.


Capitolo quinto

Il primo conflitto dottrinale

1. Uno schema contestato

Con il voto del 14 novembre, che aveva approvato in linea di massi-


ma - ma con una larghissima maggioranza - il progetto di riforma litur-
gica, il concilio concludeva il primo mese di lavoro: quasi una luna di
miele, cioè un rodaggio relativamente agevole, considerato il vasto con-
senso raccolto dallo schema preparatorio De liturgia. Tuttavia l'esito del-
la votazione aveva messo in luce la formazione di una maggioranza mol-
to più ampia di quanto nessuno potesse prevedere, tanto più che l'anda-
mento del dibattito in congregazione generale aveva invece dato l'im-
pressione di un equilibrio tra sostenitori e oppositori del testo.
Ora però il concilio era messo di fronte a un argomento strettamen-
te dogmatico, oggetto di un dibattito tuttora aperto in seno alla stessa
teologia cattolica che verteva sul rapporto tra la rivelazione orale - la
predicazione del Cristo - e la sua successiva trasmissione (tradizione) da
un lato e il Nuovo Testamento dall'altro lato, coinvolgendo la stessa
funzione del magistero ecclesiastico.
Non è esagerato dire, e del resto l'affermazione è comune, che il pe-
riodo che va dal 14 novembre all'8 dicembre, e in particolare la settima-
na dal 14 al 21 novembre, dedicata alla discussione dello schema sulle
Fonti della rivelazione, costituiscono il momento in cui si consuma una
svolta decisiva per il futuro del concilio e, conseguentemente, della stes-
sa chiesa cattolica: dalla chiesa pacelliana, ancora sostanzialmente nemi-
ca della modernità, erede ultima in questo della chiesa della restaurazio-
ne ottocentesca, ad una chiesa amica degli uomini tutti, anche se figli
della società moderna, della sua cultura e della sua storia. Questo perio-
do risulta decisivo per il futuro del concilio stesso, non perché i padri
conciliari sapessero già tutto quello che avrebbero deciso, ma perché il
concilio si appropriò di se stesso, della sua natura e del suo scopo, en-
trando in sintonia con le intenzioni di Giovanni XXIII, una sintonia che
in qualche modo era stata impedita dal lavoro delle commissioni prepa-
ratorie, soprattutto da quella teologica.
260 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

La svolta fu uno sbocciare non certo improvviso, ma lungamente


sofferto e atteso. E non solo nelle sue cause più remote, lungo i decenni
successivi alla prima guerra mondiale, ma più prossimamente con le
aperture del pontificato giovanneo, fin dal primo annuncio del concilio.
Del resto, della evoluzione che stava preparando la svolta, già prima
del 14 novembre, data di inizio della discussione sullo schema delle fon-
ti della rivelazione, si erano avuti segni vistosi, anche se iniziali. Una
funzione di rodaggio, rispetto alr appropriazione che il concilio farà di
se stesso e del suo scopo, fu certamente rappresentata dai tre episodi
più importanti prima di tale data: il nuntium iniziale, la procedura adot-
tata per la elezione delle commissioni che fece saltare la strategia curiale
in proposito e, soprattutto, la discussione sulla costituzione liturgica. E
questo non solo perché essa verificò in un terreno che appariva più
tranquillo un orientamento che potremmo chiamare pastorale-innovati-
vo, fondato sui progressi degli studi e sulla evoluzione del movimento li-
turgico nella prima metà del secolo. La discussione liturgica fu anche
importante per un altro motivo, esterno. Essa diede tempo, permise ap-
punto quel dilatarsi di scambi di cui si è parlato nelle pagine preceden-
ti. Ma, al tempo stesso, la discussione sullo schema liturgico rischiava di
logorare lentamente le volontà. Tutti sapevano che lo scontro era rinvia-
to. Molti vescovi che partecipavano al concilio con un'attesa concentrata
soprattutto sulle tematiche ecclesiologiche scalpitavano. Altri erano at-
traversati da dubbi. Karl Rahner da parte sua comunicava, due giorni
prima del dibattito sulla prima costituzione dogmatica, sentimenti che
riflettevano chiaramente questa atmosfera di dubbio e di tensione che
aveva segnato la lunga vigilia del dibattito dottrinale, fin dall'invio degli
schemi preparatori nell'estate del 1962 e poi, in un crescendo sempre
più alto, fino al 14 novembre, inizio della discussione in aula: «Questa
settimana comincia quindi la dogmatica qui. Sono curioso di sapere
come andranno le cose. Personalmente non ho molta speranza. Ma fare-
mo quanto ci è possibile»1•
Gli elementi che in positivo avrebbero permesso, con la loro combi-
nazione, di far esplodere tutti gli altri, furono sostanzialmente due: la
Gaudet mater ecclesia da una parte e una sorta di consenso comune teo-
logico, ma fino alla settimana della discussione sul De f ontibus non an-
cora rivelatosi come tale. Perché questo consenso prendesse forma attor-
no ad alcune idee e orientamenti dottrinali, i vescovi ebbero bisogno di

Lettera di K. Rahner a H. Vorgrimler del 12 novembre 1962, in H. VORGRIMLER,


1
Karl Rahner verstehen. Bine Ein/iihrung in sein Leben und Denken, Freiburg 1985, cit a
p. 191.
IL PRIMO CONFLITTO DOTI1UNALE 261

«andare a scuola»2 • Parecchie conferenze episcopali nazionali (la statuni-


tense, la francese, la tedesca, ecc.) organizzarono a tale scopo incontri
con scadenze settimanali, nei quali era spesso un teologo di loro fiducia
o un altro vescovo ad aggiornarli sul progresso degli studi teologici nei
settori che maggiormente interessavano gli argomenti all ordine del gior-
1

no. Ma i vescovi, per la formazione del loro consenso, ebbero bisogno e


difatti usufruirono anche di alcuni scritti, alternativi ai documenti uffi-
ciali. Fin quando essi non arrivarono a Roma, la circolazione di questi
scritti era limitata solo ad alcuni particolarmente consapevoli e volente-
rosi. Ma adesso, la necessità di poter ~aiutare criticamente già il primo
degli schemi dottrinali in discussione, imponeva una ricerca di materiale
che avesse una funzione di contrasto per meglio cogliere le linee dei do-
cumenti ufficiali.
Lo schema De /ontibus si prestava da parte sua al bersaglio concen-
trico di quanti negli anni Quaranta e Cinquanta avevano maturato una
sensibilità teologica e dottrinale diversa da quella dell epoca contrasse-
1

gnata dalle controversie antiprotestanti e della restaurazione scolastica3•


Lo schema era infatti un ti pico prodotto della concezione scolastica.
Esso era frutto della sottocommissione omonima (De fonti bus revelatio-
nis) e rispecchiava le posizioni classiche della controversistica cattolica.
Un primo capitolo era dedicato alla «duplice fonte della rivelazione». Il
termine «fonte», dal concilio Tridentino applicato al1 evangelo, veniva
1

qui invece riferito alla scrittura e alla tradizione, contrapposte come le


due sorgenti originarie della rivelazione. Inoltre si affermava che solo la
tradizione è la via attraverso cui diventano manifeste e sono conosciute
alcune verità rivelate. Il secondo capitolo era dedicato ai problemi ri-
guardanti l'ispirazione, l'inerranza e la composizione letteraria della
scrittura. Vi si precisava il carattere personale e non collettivo del1 ispi- 1

razione, linerranza di ogni singola affermazione sia religiosa sia profana.


Il capitolo III era dedicato all'Antico testamento, ne sottolineava la rela-
zione al Nuovo e, per quanto riguarda la determinazione degli autori

2 Un primo elenco, ancora incompleto, delle conferenze dei teologi durante quelle
settimane era già contenuto in X. RYNNE, Letters /rom Vatican City. Vatican Coundl II
(First Session). Background and Debates, London 1963, pp. 130 139, 170 173, 185-187,
211 213, 235-239. Tra i più attivi occorre certamente ricordare Congar, Kiing, Chenu e
Daniélou. Ma latinoamericani e nordamericani hanno i <<loro» teologi (Mejia, Ahern
ecc.), mentre le conferenze episcopali asiatiche e africane sono più eclettiche. Occorre
altresì ricordare gli interventi «esterni» di Bea che riscuotono sempre un grosso ascolto
e, da parte non cattolica, la forte impressione suscitata nei contatti con i due monaci di
Taizé presenti tra gli osservatori: Roger Schutz e Max Thurian.
3 Cfr. SIV 1, pp. 327 329.
262 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

storici, affermava che, quando questa questione tocca la fede, compete


solo alla chiesa dirimere ultimamente i problemi. Il capitolo IV era pre-
occupato di difendere la verità storica dei «fatti» raccontati nei Vangeli,
nonché la fedeltà sostanziale delle parole di Gesù in essi riportati. Il ca-
pitolo V concludeva con la «sacra scrittura nella vita della chiesa», per
difendere il carattere di «testimonianza autentica della fede» che possie-
de la Volgata e per dare i criteri della lettura della scrittura da parte dei
fedeli e degli esegeti che debbono attenersi «all'analogia della fede, alla
tradizione della chiesa e alle norme della Sede apostolica sull' argomen-
to».
A partire dall'invio dello schema, contenuto nel I volume inviato nel
I'estate precedente, fu quindi tutto un pullulare di pareri teologici che,
durante le settimane precedenti il 14 novembre, vennero distribuiti ad
uso dei vescovi. Fu grazie a queste Animadversiones che fu possibile,
per così dire, tirar fuori dall'animo dei vescovi quel nuovo consenso co-
mune in materia dottrinale che avrebbe segnato il Vaticano II. Ma que-
sto fu possibile perché, è necessario sottolinearlo ancora, la Gaudet ma-
ter ecclesia con tutta I' autorevolezza del magistero di Giovanni XXIII,
fece da elemento catalizzatore dei fermenti teologici che in quei pareri
venivano messi alla portata di tutti.
Tra i più attivi si mostravano senz'altro i teologi di lingua francese:
G. Martelet4, Ch. Moeller5, ecc. Ma è innegabile che sia I' autorevolezza
che l'effettiva diffusione, praticamente capillare per le note di Schillebe-
eckx e abbastanza solida per i gravamina 6 di Rahner, diede agli scritti di
questi due autori un peso tutto particolare.
Sia l'uno che l'altro offrivano non solo motivazioni di ordine genera-
le, ma anche una dovizia di dati ripresi dal progresso degli studi esegeti-

4 Remarques sur la première série de schémas, p. 56; una copia in F-Léger, 610.
5 Animadversiones in schemata voluminis I, p. 13; una copia in F-Léger, 614. Ma
nello stesso fondo sono presenti una serie di pareri sugli schemi sotto il nome di altri
vescovi francofoni (il canadese Maurice Baudoux; il francese Jean Julien Weber, ecc.),
per i quali è lecito supporre qualche teologo di loro fiducia. La presenza in uno stesso
archivio di un numero notevole di questi pareri, dimostra anche come essi venissero
scambiati tra i vari vescovi, per lo meno tra i più attenti e autorevoli.
6 Con una consapevolezza carica della secolare storia del genere letterario dei Gra-
vamina nationù germanicae nei quali, a partire dal 1455, veniva espresso il malcontento
tedesco contro la conduzione romana della chiesa, Semmelroth nella nota del 10 novem-
bre del suo diario annota: «Oggi abbiamo lavorato faticosamente alla redazione dei gra-
vamina, messi assieme da Rahner, contro il primo schema». Si tratta della Disquisitio,
cit. supra, p. 99, da distinguere dallo schema alternativo Rahner/Ratzinger. Mentre que
sto ebbe la funzione di mostrare come fosse possibile pensare in maniera diversa dalla
teologia tradizionale, i gravamina servirono a mostrare la debolezza interna dello schema
preparatorio e svolsero forse un ruolo ancora più determinante.
IL PRIMO CONFLITIO DOITRINALE 263

ci e teologici che venivano a colmare, per così dire, la sete di argomenti


che rendeva riarse le gole dei vescovi. Così SchPJebeeckx, trattando del
capitolo sull'ispirazione, sottolineava che, se lo schema aveva ragione
nell'affermare che l'ispirazione in senso stretto è un carisma proprio e
personale dell'agiografo, dall'altra parte esso ignorava che, in senso lato,
tutta la storia della salvezza del popolo giudaico e della chiesa primitiva
si svolge sotto una mozione divina e quindi può esser detta ispirata. La
critica al metodo /ormgeschichtlich (della «storia delle forme») che lo
schema portava avanti era inoltre, secondo il teologo olandese, esagera-
ta. Infatti se è vero che non si può ridurre il Nuovo Testamento a sem-
plice espressione della fede della comunità primitiva, quasi che esso non
si riferisca al Gesù storico (e in questo senso la critica era pienamente
giustificata), non si può ignorare che la comunità primitiva ha interpre-
tato i fatti storici con l'aiuto dell'Antico Testamento. E ancora: l' aff er-
mazion~ dello schema sul carattere di autenticità della traduzione della
Volgata e dei Settanta, deve essere mitigata con quella sull'importanza
propria dei testi originali greci e ebraici7. Quando il 13 novembre ebbe
luogo la tumultuosa prima riunione della commissione teologica, il testo
di Schillebeeckx era sul tavolo del presidente, card. Ottaviani, come
capo d'accusa8•
Rahner, oltre a introdurre le osservazioni di cui già si è parlato9,
chiariva in modo efficace la diversità tra il magistero conciliare e quello
ordinario della chiesa. Quando un concilio emette una decisione dogma-
tica non emette una legge mutevole, ma «è tenuto con questa decisione
a proclamare la verità di Cristo che dura in eterno». Inoltre un concilio
non si deve interrogare solo sulla definibilità in astratto di una dottrina,
ma anche sulla opportunità della definizione. Ma Rahner non si limitava
a questo argomento classico, bensì cercava di collegarsi anche allo spiri-
to delle affermazioni del papa, soprattutto nella Gaudet mater ecclesia.
Aggiungeva infatti che questa seconda regola, sempre tenuta presente
dalla chiesa, doveva valere a maggior ragione per un concilio che il papa
voleva «pastorale» e che il messaggio iniziale al mondo dei padri conci-

7 Anche su questo punto i lettori del testo latino e quelli del testo inglese non era-
no ugualmente informati. Nel testo inglese infatti si contrappongono non Volgata e Set
tanta da una parte e testi originali dall'altra, ma la sola Volgata ai testi originali e alla
traduzione dei Settanta.
8 Cfr. la Relatio Secretarii Commùsionù Conciliaris «de doctrina /idei et morum>>, re-
datta da S. Tromp, al n. 4. Copia di questa relazione (prot. 15/62:19 della commissione
teologica) è presso l'archivio dell'ISR di Bologna. In seguito sarà semplicemente citata
come Relatio di Tromp.
9 Vedi sopra p. 270.
264 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

liari aveva proclamato essere accessibile alla mentalità degli uomini del
nostro tempo. Si condannino quindi pure gli errori, ma solo quelli che
si impongono ai cuori e alle menti dei fedeli e che non siano limitati ad
alcuni studiosi. Questioni che hanno bisogno di spiegazioni complicate
si lascino pure al magistero ordinario e alle encicliche dei papi. Infine
non si poteva pretendere che i padri si fidassero soltanto della com pe-
tenza della commissione preparatoria, tanto più che questa, a differenza
di quella liturgica, non aveva voluto collegare la dottrina presentata nel-
lo schema con i «desideri dei vescovi e delle università», ingenerando
così il sospetto di ubbidire a preoccupazioni di scuola10 •
Nelle osservazioni generali la disquisitio di Rahner lamentava quattro
punti. Anzitutto si criticava l'estensione eccessiva dello schema e la sua
presunzione di voler decidere anche sulle questioni controverse.
In secondo luogo si denunciava la carenza di indole pastorale, la
quale appariva già dal linguaggio scolastico. Questo non significava op-
tare per il linguaggio «pio», cioè «iuxta modum piae ex suggestu con-
cionis». Tra il linguaggio pio e quello scolastico si apriva infatti un vasto
campo nel quale aveva posto un linguaggio che conciliasse la necessità
della precisione dottrinale con la preoccupazione pastorale, attenta alla
mentalità dell'uomo contemporaneo. Né era sufficiente per raggiungere
una dimensione pastorale citare passi della scrittura come «dieta pro-
ban tia». La scrittura infatti così viene ridotta a supporto di una dottrina
già nota e certa a partire da un altro luogo, «non come la sorgente dalla
quale sgorga in primo luogo la verità da enunciare» 11 •
In terzo luogo si criticava la mancanza di vero spirito ecumenico. La
verità va certamente proclamata senza ambiguità o reticenze anche ai
fratelli separati. Ma questo va fatto in maniera tale da non destare il so-
spetto che si voglia mettere in discussione quanto di vero e legittimo
essi sostengono. Questo valeva soprattutto per quanto riguardava la sa-
cra scrittura, per la quale era invece da preferirsi lo schema preparato

10Era l'osservazione già fatta da Schi1lebeeckx. In questo modo sia Rahner sia
Schi1lebeeckx mettevano in luce l'iter diverso de1la costituzione liturgica rispetto ag1i
schemi de1la commissione dottrinale. Que11a rifletteva la consapevolezza raggiunta da1la
chiesa, questi invece si ponevano al di fuori de1la chiesa del proprio tempo.
11 « ... tamquam fons, ex quo profluit primo ipsa veritas enuntianda». Si noti il lap
sus sottile per cui qui la scrittura viene chiamata <dons». Ovviamente Rahner l'avrebbe
potuto spiegare dicendo che si tratta di una sorgente per quanto riguarda la conoscenza
che l'uomo ha de1la verità rivelata e non di una sorgente in senso assoluto. Ma il lapsus
serve a cogliere che il problema non era di vocabolario in quanto tale, ma riguardava il
diverso peso sostanziale che, ne1lo schema preparatorio, veniva attribuito a1la tradizione
«orale» e alla conseguente relativizzazione de1la normatività de1la scrittura.
IL PRIMO CONFLITIO DOTIRINALE 265

dal segretariato per l'unità 12 • Così, per quanto riguarda l'inerranza o la


storicità, si affermavano cose che accumulavano motivi di incomprensio-
ne. Inoltre con maggiore chiarezza si doveva sottolineare che la scrittu-
ra, in quanto parola di Dio ispirata, era norma ultima del magistero del-
la chiesa. Infatti questo, nonostante la sua infallibilità, è tenuto ad attin-
gere alla predicazione apostolica. Questa nella tradizione orale si trova
mescolata alle tradizioni umane, mentre la scrittura presenta solo la tra-
dizione divina 13 • La disquisitio inoltre sul rapporto tra scrittura e magi-
stero offriva una formula che sarebbe poi riecheggiata nel testo definiti-
vo: «Il magistero infallibile della chiesa non è signore della parola di
Dio, rivelata e contenuta nella scrittura, ma la serve»14 •
In quarto luogo non si precisava la specifica qualificazione teologica
delle singole affermazioni dello schema, per cui tutto sembrava essere
messo sullo stesso piano dogmatico.
Le osservazioni particolari di Rahner toccavano otto punti. In primo
luogo lo schema avrebbe dovuto iniziare con la trattazione della rivela-
zione in generale e non rimandare questa allo schema sul deposito della
fede. In secondo luogo il linguaggio sulle due fon ti della rivelazione non
corrisponde al Tridentino che parla dell'unica fonte. Meglio parlare del-
la duplice modalità della trasmissione della rivelazione. Con maggiore
accuratezza, in terzo luogo si sosteneva l'opportunità di lasciare aperta
la questione cJibattuta anche tra i cattolici sulla sufficienza materiale del-
la scrittura. E infatti convinzione comune che verità quali quella del-
l'ispirazione e della estensione del canone biblico (se il tale o tal' altro li-
bro ne facciano cioè parte) non possano essere conosciute che attraverso
la predicazione autoritativa della chiesa e il suo magistero infallibile. Ma
il problema è di sapere se ispirazione ed estensione del canone non sia-
no verità che ex natura rei siano conosciute così, mentre tutte le altre
verità avrebbero un qualche appiglio, sia pure implicito nella scrittura.
La questione non è stata mai decisa in un senso o nell'altro, nemmeno
dal Tridentino. Né esiste dogma della chiesa che possa richiamarsi alla
tradizione apostolica orale, piuttosto che a quella scritta. Certo ci sono
dogmi che a prima vista non si trovano nella scrittura. Ma è altrettanto
difficile provare che essi si trovino nella tradizione dei primi secoli.

12 Ci si riferiva chiaramente al De verbo Dei, su cui SN 1., pp. 291 305.


13 Gli esempi portati non erano tuttavia ovvi. Cosl, come esempio di tradizione
umana mescolata a queHa divina, si portava il fatto che «per saecula videri potuit imme~
diata creatio corporis humani ex materia anorganica spectare ad traditionem divinam».
Ma questa convinzione non si poggiava anche suHa scrittura?
14 Cfr. DV n. 10: «Quod quidem Magisterium non supra verbum Dei est, sed ei
dem ministrat». COD, p. 975.
266 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

Mentre è più facile accettare che la tradizione orale possa rendere più
esplicita una verità contenuta solo implicitamente nella scrittura. Meglio
quindi non entrare in questa questione controversa.
Sulla natura dell'ispirazione, riprendendo sostanzialmente la stessa
osservazione di Schillebeeckx, la disquisitio precisava come nessuno dei
«teologi prudenti» («inter cordatos theologos») avesse mai messo in
dubbio l'ispirazione come carisma personale dell'agiografo, ma che al
tempo stesso era vero che costui aveva scritto come membro della chie-
sa e al servizio del popolo credente. Solo se si tiene presente questo f at-
to, appare il nesso tra ispirazione e storia della salvezza.
Insufficiente era inoltre la parte che lo schema dedicava all'inerran-
za. Infatti non si teneva conto adeguato dell'indicazione dell'enciclica
Divino affla,nte Spiritu di Pio XII sull'importanza dei generi letterari.
Ora questi generi letterari non si lasciano individuare facilmente e gran-
de è stato in questo campo, rispetto alla vecchia esegesi, il progresso
dell'esegesi moderna. Per quanto riguarda l'inerranza assoluta della
scrittura in argomenti profani sarebbe meglio se il concilio si fermasse
allo status quo dell'insegnamento ordinario della chiesa, senza definire
alcunché o dare una qualificazione teologica più alta alle affermazioni
contenute in quell'insegnamento. Molto infatti restava da precisare nel
dibattito esegetico. Lo stesso termine di «errore» impiegato dallo sche-
ma non possedeva un significato così evidente15 •
Lo schema non era sufficientemente circospetto anche nella questio-
ne della storicità della scrittura. Esso infatti sembrava presupporre una
concezione univoca di storicità. Ma la storicità dei sinottici non era la
stessa di quella del IV Vangelo. E così il genere letterario «storico» del-
le narrazioni dell'infanzia di Gesù non era lo stesso di quello delle nar-
razioni della morte e della resurrezione. Inoltre il linguaggio puramente
negativo di condanna dei numeri 21 e 22 dello schema16, non corrispon-
deva all'allocuzione inaugurale di Giovanni XXIII e a quanto ivi si af-

La disquisitio si limitava ad un esempio fra i tanti: secondo Mc 2, 26, il sommo


15
sacerdote, al tempo in cui Davide mangiò i pani della proposizione, era Abiathar. Ora
questo non corrisponde a 1 Sam 21, secondo cui il sommo sacerdote era invece Achime-
lech. Non a caso Mt e Le omettono l'indicazione del nome presente in Mc 2, 26. Si
tratta in questo caso di errore? L'esegeta è incline a considerare come errore questo
«obiter dictum». Se gli si vuol vietare, da una prospettiva diversa, questo modo di parla
re, non basta tuttavia affermare, come fa il testo dello schema, che quanto qui (in Mc 2,
26) sembra esser detto dall'agiografo non appartiene a quelle cose «quae scribendo
reapse significare voluit>>. In questo caso che senso ha la parola «errore»?
16 «Haec Sacrosancta Vaticana Synodus illos damnat errores quibus denegatur vel
extenuatur, quovis modo et quavis causa, germana veritas historica et obiectiva factorum
vitae Domini [ .. .] errores damnat quibus asseritur>>.
IL PRIMO CONFLITIO DOTIRINALE 267

ferma va sulla medicina della misericordia da preferire alle armi della se-
verità.
Lo schema ancora sembra interrompere la storia della salvezza in
quel periodo che va dal peccato di Adamo ali' economia dell'Antico Te-
stamento. Dio non ha cessato di operare la salvezza dell'uomo anche
prima dei «patres nostri» che ricevettero i «prophetica oracula» della re-
denzione.
L'ultima e ottava osservazione infine suggeriva di sostituire il capito-
lo V dedicato alla scrittura nella chiesa, con quanto invece insegnava lo
schema De verbo Dei preparato dal segretariato per l'unità.
I gravamina di Rahner, a differenza di quelli di Schillebeeckx, espli-
citamente invitavano i padri conciliari a mettere da parte lo schema («se
i padri ritengono che un siffatto argomento possa semplicemente essere
omesso») o a sostituirlo.
Difficile quantificare con esattezza l'impatto che essi ebbero rispetto
a quelli di Schillebeeckx. Comunque sia le osservazioni olandesi che
quelle tedesche diedero strumenti precisi e puntuali a quanti si dichiara-
vano insoddisfatti dello schema preparatorio. Questo è un dato f acil-
mente riscontrabile attraverso gli interventi che si ebbero durante la di-
scussione in aula. Praticamente tutti gli argomenti presenti nei docu-
menti di Schillebeeckx e Rahner saranno impiegati.
Inoltre gli argomenti critici di Schillebeeckx e Rahner trovavano un
riscontro non solo nei teologi che in quei giorni determinavano il clima
di molti incontri di aggiornamento dei vescovi, ma risultavano altresì in
sintonia con la linea portata avanti dal segretariato per l'unità dei cri-
stiani. Già nel periodo preparatorio questo aveva approvato la relazione
della sottocomissione XIll1 7 , «Sulla tradizione e la scrittura», riassunta
in un voto finale in otto punti18 e quindi inviata alla commissione teolo-

17 Formata da M. Bévenot, Ch. Boyer, J. Feiner, E. Stakemeier e G.H. Tavard.


18 In essi si chiedeva che il concilio affermasse con chiarezza: 1) che la rivelazione
comune e pubblica era finita assieme all'epoca apostolica e che i dogmi non facevano al
tro che esplicitare le verità in essa contenute; 2) che la rivelazione fatta da Cristo agli
apostoli venisse considerata come l'unica fonte della verità a cui la chiesa crede e che
scrittura e tradizione sono soltanto due vie di cui si serve lo Spirito per comunicare
quella rivelazione; 3) che scrittura e tradizione non erano due vie parallele, ma intima
mente unite e vicendevolmente compenetrantesi; 4) che la scrittura possedeva nella chie
sa una funzione singolare e insostituibile e che la chiesa dipende dalla parola di Dio
consegnata nella scrittura; 5) che si evitassero espressioni tali da escludere l'opinione di
quanti sostengono che, eccettuata la questione del canone la quale è sui generis, tutte le
altre verità rivelate, che al tempo stesso sono conservate ed esplicitate mediante la tradi
zione, sono in qualche modo contenute o insinuate nella scrittura; 6) che il soggetto del
la tradizione attiva non era solo il magistero, ma tutto il popolo di Dio animato e guida-
268 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

gica, troppo tardi tuttavia perché questa potesse prenderla in considera-


zione19. In quel voto era condensata la consapevolezza teologica che ave-
va lasciato alle sue spalle il clima controversistico e che sarà sostanzial-
mente consacrata dalla costituzione Dei verbum. Delle sessioni del 9 e
del 16 noven1bre 1962, tenute presso l'Hotel Columbus, allo scopo di
organizzare il lavoro del segretariato nel dibattito che si annunciava,
sono da ricordare soprattutto gli interventi di A. Bea e di J. Feiner2°.
Già nella seduta del 9 novembre, Bea aveva con efficacia disegnato la
strategia del segretariato. Lo schema della commissione dottrinale non
era in sintonia con l'allocuzione pontificia dell'll ottobre e non corri-
spondeva d'altra parte alla posizione del problema nel presente. Paven-
tando quindi una lotta ad oltranza, Bea proponeva che si formassero va-
rie sottocomissioni incaricate di studiare ogni singolo capitolo e che
queste si facessero rappresentare nelle congregazioni generali da un rela-
tore che avrebbe parlato a nome del segretariato.
Sempre nella seduta del 9 novembre prese la parola, tra gli altri, an-
che J. Feiner, che era stato il relatore del documento presentato alla
commissione teologica. Egli ne ribadiva l'intento principale richiamando
soprattutto il quinto punto del voto, volto a difendere la legittimità di
quella posizione teologica, già presente nei padri e poi perfezionata in
epoca moderna, assieme a molti altri, da M.J. Scheeben, secondo cui
tutte le verità rivelate, con l'eccezione del canone, sono contenute in
qualche modo nella scrittura. Posizione tanto più legittima e importante
per il dialogo ecumenico in quanto, da una parte la teologia protestante
ha abbandonato il principio della «sola scrittura» o della sufficienza for-
male della scrittura e, dall'altra parte, la teologia cattolica ha messo in
luce, meglio che al tempo della controversia contro i protestanti, la di-
gnità e l'importanza della scrittura per tutta la vita della chiesa21 .
Tuttavia la relazione di Feiner andava oltre questo richiamo. Essa
esprimeva altresì la volontà e la consapevolezza del segretariato per
l'unità, in questo momento del cammino conciliare, di costituire quasi il

to dallo Spirito Santo, anche se nella sottomissione al magistero; 7) che la tradizione è


da considerarsi non come trasmissione meccanica di verità conosciute distintamefite fin
dal principio, ma come un processo vivo e vivificante mosso dallo Spirito che rende a
poco a poco esplicita la pienezza della verità rivelata da Cristo; 8) che il magistero, an-
che se infallìbile, non sostituisce la parola di Dio, ma è un'autorità che con l'assistenza
dello Spirito, custodisce e interpreta la parola di Dio scritta e tramandata ed è sottomes
so e serve alla parola di Dio da predicare e da credere.
19 Cfr. SIV 1, pp. 295-297.
20 Cfr. il verbale delle due sedute: F-Thils 0687; 0689.
21 Copia della relazione di Feiner in F-Stransky, 5.
IL PRIMO CONFLITIO DOTIRINALE 269

punto di equilibrio dottrinale attorno a cui poteva e doveva coagularsi


la teologia del Vaticano II. Infatti i vari punti del votum venivano usati
come criterio per valutare nel dettaglio l'insieme dello schema sulle due
fonti presentato dalla commissione preparatoria. Per quanto riguardava
il primo punto (il carattere compiuto della rivelazione pubblica con la
fine dell'età apostolica), era vero che esso veniva sufficientemente riba-
dito dallo schema. Ma, in connessione con esso, veniva lamentata l'as-
senza di una trattazione della rivelazione in generale, senza la quale
qualsiasi ulteriore affermazione non avrebbe avuto senso. Il secondo
punto (sulla rivelazione come unica fonte della verità che viene cono-
sciuta attraverso la scrittura e la tradizione) era formalmente negato dal-
lo schema, che così si allontanava dal modo di parlare del Tridentino e
aderiva invece alla teoria controversistica postridentina delle due fonti
che nemmeno il Vaticano I aveva recepito. In tal modo si frapponeva
un nuovo ostacolo al dialogo ecumenico, come notavano parecchi osser-
vatori protestanti. Anche sul terzo punto (nesso tra scrittura e tradizio-
ne) lo schema risultava debole. Infatti a parte una generica affermazione
di questo nesso, per cui la scrittura non poteva essere compresa senza la
tradizione, «non si dice che la scrittura non è nient'altro che la sacra
tradizione originale della chiesa primitiva; né si mostra l'influsso conti-
nuo che la scrittura (in quanto norma normans) esercita attraverso tutti i
secoli sulla tradizione e su tutta la vita della chiesa». Sul quarto punto
(circa la funzione singolare della scrittura per la fede e la vita della chie-
sa) lo schema era altresì carente, per quanto già detto. Sul quinto punto,
considerato da Feiner quello centrale, non solo lo schema parla più vol-
te della duplice fonte della rivelazione, ma afferma esplicitamente che la
tradizione è la sola via attraverso la quale la chiesa prende conoscenza
di determinate verità (e non solo della ispirazione, del canone e dell'in-
tegrità della scrittura). Da nessuna parte poi si afferma che il popolo di
Dio è nella sua interezza il soggetto della tradizione attiva (VI punto).
Per quanto riguardava il settimo punto del voto (la tradizione come
processo vivo di una comprensione progressiva della verità rivelata),
questo, benché fosse preso in considerazione dallo schema sul deposito
della fede, era invece totalmente assente dallo schema sulle fonti della
rivelazione. E infine l'ottavo punto, sulla sovranità della Parola rispetto
allo stesso magistero, era anch'esso totalmente ignorato.
La relazione di Feiner costituiva, se vogliamo usare le parole appro-
priate, una dichiarazione di guerra vera e propria. Essa infatti non veni-
va da un gruppo di teologi e non esprimeva soltanto qualche episcopato
nazionale o una parte consistente di esso, ma traduceva l'atteggiamento
del segretariato che, ormai in quel momento, veniva riconosciuto come
una commissione conciliare con la stessa dignità delle altre. Questo rico-
270 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

nascimento, saldato con la motivazione principale della strategia del se-


gretariato, quale era stata formulata dal card. Bea, essere cioè lo schema
preparatorio un tradimento della intenzione del papa sul carattere pa-
storale del concilio, dava a quanti erano scontenti della preparazione del
concilio un riferimento istituzionale fortissimo. Ne risultava, per così
dire, una capacità di contrattazione enorme per lo stesso presidente Bea
che difatti ne avrebbe fatto un uso accortissimo, come apparirà chiaro
negli ultimi giorni di novembre, durante i lavori della commissione mi-
sta chiamata a rifare lo schema quando questo, con l'intervento decisivo
di papa Roncalli, sarà respinto.
Le opinioni critiche sugli schemi preparatori, rappresentative degli
ambienti teologici centroeuropei, non solo quindi trovavano l'avallo dei
rispettivi episcopati, ma venivano a saldarsi altresì con l'atteggiamento di
un autorevole organismo conciliare, il segretariato, che era in grado di
raccogliere e di creare un vasto consenso. Certo, non mancavano accan-
to ai gravamina pareri di segno opposto. La conferenza episcopale italia-
na ad esempio aveva fatto preparare dai propri esperti22 un breve docu-
mento che conteneva le Animadversiones in schema de /ontibus revelatio-
nis23, in cui lo schema preparatorio veniva entusiasticamente approvato e
si proponevano alcuni emendamenti componibili con quanto esso già af-
fermava: l'inserimento di un prologo (di cui non si precisava il contenu-
to, se non nei termini di una «introduzione ad una dottrina così impor-
tante»); l'ampliamento della parte dedicata alla tradizione (perché se ne
illustrassero tutti gli aspetti, si respingesse la visione che i modernisti

22 Su questi esperti si ha una notizia nel diario di Siri (nota del 22 ottobre: DSri, p.
367): <<Alle 16 ho convocato in sede CEI mons. Vagnozzi e il piccolo gruppo di collabo-
ratori teologi, mons. Fares, mons. Calabria. Arriva pure mons. Peruzzo e lo faccio veni
re. Si stabilisce la natura del gruppo che è semplice strumento consultivo della presiden-
za per preparare il lavoro in sede CEI e che rimane confidenziale. Si stabiliscono i rap
porti col gruppo americano, disposto a lavorare per la buona riuscita del concilio. Essi
sono sul piano semplice delle conversazioni amichevoli. A loro si faranno pervenire no
stre eventuali veline». Si tratta quindi non di effettivi «esperti», di teologi che collabora-
vano con la conferenza episcopale italiana, ma di un gruppetto di vescovi in confidenza
con Siri che, tramite mons. Vagnozzi, delegato apostolico negli USA, cerca di entrare in
contatto con un «gruppo» di vescovi statunitensi dello stesso indirizzo.
23 F-Florit, 335. Nella nota relativa al 12 novembre (DSri, p. 380), il diario di Siri
riporta: <<ln ufficio completo le note redatte dagli esperti teologi sullo schema De Fonti-
bus Revel. Infatti al punto 13 del ca p. I mi pare ci siano due grossi equivoci. In tal
modo domani le note possono camminare e fare». Il parere degli «esperti» è quindi an
che quello di Siri ed è ovviamente impossibile distinguere le diverse mani. Inoltre ap
prendiamo anche la data della diffusione tra i vescovi italiani del documento: il 13 no
vembre, giorno della riunione dell'episcopato italiano in vista della discussione sullo
schema De fontibus.
IL PRIMO CONFLITIO DOITRINALE 271

avevano del valore e della natura della tradizione, si chiarisse la funzio-


ne della tradizione per la custodia e difesa efficace della rivelazione, si
determinasse con maggiore chiarezza il rapporto fra la rivelazione e i
dogmi, fra la stessa tradizione ed il magistero sia ordinario che straordi-
nario della chiesa, precisando più accuratamente il valore dei documenti
della tradizione). Gli esperti della conferenza episcopale italiana inoltre
propugnavano una chiara scelta fra le due prospettive che si dividevano
il campo. Per un verso c'erano infatti coloro che insistevano semplice-
mente sull'aggiornamento e quindi volevano proporre soltanto la dottri-
na comune della chiesa adattata ai nostri tempi. Ma dall'altra parte
c'erano quanti (e gli esperti italiani si allineavano con decisione a costo-
ro) avrebbero voluto dare ancora maggiore forza dogmatica a tutta la
costituzione in maniera tale che il concilio procedesse «definitivamente»
contro gli errori serpeggianti24 • Si trattava quindi di un appoggio allo
schema preparatorio che tendeva ad un suo indurimento ulteriore.
A differenza dei documenti critici di Schillebeeckx e di Rahner e
della posizione del segretariato per l'unità, c'è da supporre tuttavia che
sia il parere della conferenza episcopale italiana che quelli di altri am-
bienti, qualunque fosse il loro segno, non abbiano avuto una consistente
eco, e tanto meno una diffusione effettiva al di là dei confini dentro i
quali erano nati. Esistevano cioè due posizioni nette e contrapposte che
oscuravano, per così dire, ogni altro segnale: da una parte lo schema
preparatorio stesso, dall'altra la posizione degli episcopati centroeuropei
e del segretariato. Agli altri non restava che scegliere. Posizioni di me-
diazione, che affioreranno in alcuni ambienti dell'episcopato francese, in
concreto non avranno spazio durante il dibattito in assemblea conciliare
che avrà luogo a partire dal 14 novembre.

24 Inoltre tra i suggerimenti particolari apparivano degni di rilievo i seguenti: l'attri


buzione alla volontà stessa di Cristo che i vescovi succedano agli apostoli; la ripresa del
la definizione che la Providentissimus Deus di Leone XIII aveva dato dell'ispirazione bi
blica; un maggiore irrigidimento della formula sulla estensione della ispirazione: non
solo, come recitava lo schema preparatorio, «omnia quae ab hagiographo enuntiantur»,
ma anche «quidquid ab hagiographo enuntiatur, asseritur, insinuatur, id enuntiatum, as-
sertum et enuntiatum (sic!, ma forse si voleva dire: insinuatum) a Spiritu Sancto retineri
debet»; una chiara subordinazione degli strumenti ermeneutici umani a quelli costituiti
dallo stesso Rivelatore; una riaffermazione più esplicita del carattere storico dell'Antico
Testamento; una maggiore sottolineatura della vigilanza della chiesa sulla lettura della
scrittura.
272 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

2. Vigilia di lotta

«Domani comincia la (discussione) sullo schema De /ontibus revela-


tionis. Ci saranno aspre battaglie»25 • Il 13 novembre è vissuto con la
consapevolezza di doversi preparare alla lotta non solo dal mite padre
Semmelroth: tutti infatti si rendevano più o meno conto di essere arriva-
ti all'appuntamento decisivo della prima sessione. Occorreva quindi deli-
neare le strategie degli interventi. Ed in quel giorno furono diverse le
iniziative e le riunioni volte a disegnare il da farsi.
La riunione più agitata sembra essere stata la seduta della commis-
sione teologica tenutasi presso la palazzina S. Marta dalle 15 alle 17. Era
la prima volta che questa commissione si riuniva. Persino l'asettica rela-
zione del segretario Tromp non può fare a meno di parlare di una di-
scussione che avviene «nella confusione e non senza acrimonia»26 • Dopo
una breve introduzione del presidente card. Ottaviani, il quale comunica
di avere scelto come vicepresidente il card. Browne, è il segretario
Tromp che riferisce sulle osservazioni dei vescovi (160) che avevano rea-
gito all'invio degli schemi preparatori. Egli non ha dubbi nel criticarle
«in conformità al pensiero della vecchia commissione teologica»27 • Anti-
cipava così la relazione introduttiva che l'indomani, in congregazione ge-
nerale, avrebbero tenuto sia il card. Ottaviani che mons. Garofalo.
Dopo Tromp è mons. Parente a prendere la parola28 • Dice che ci
sono in circolazione due schemi: quello diffuso dalle conferenze episco-
pali dell'Europa centrale, redatto dai tedeschi (si riferisce quindi allo
schema alternativo Rahner/Ratzinger ), e un altro documento che critica-
va il De f ontibus e il De deposito /idei2 9 •

25 ST, nota del 13 novembre 1962. LEVILLAIN, La mécanique... , cit., p. 246, ritiene
esagerato parlare di «veillée d'armes». Ma del 13 novembre egli sembra conoscere solo
la riunione degli episcopati nazionali, della quale riferiremo più avanti
26 TROMP, Relatio n. 5.
27 Ibidem.
28 Lo stralcio del diario di H. Schauf, nella nota del 15 novembre 1962, pubblicato
dallo stesso in Auf dem W ege zu der Aussage der dogmatùchen Konstitution iiber die got-
tliche Offenbarung "Dei Verbum'' n. 9 ... , in Glaube im Prozeft, p. 67, riferendo la testi
monianza di Tromp, attribuisce alla responsabilità congiunta di Ottaviani e Parente il
cattivo andamento della riunione: «Tromp mi ha riferito sulla prima seduta della com
missione teologica dell'altro ieri [...] Egli (Tromp) doveva fare anche una relazione sullo
schema. Tuttavia il cardinale (Ottaviani), senza che Tromp ne sapesse nulla, designò Pa-
rente. Parente sparò talmente forte, da gelare r atmosfera... Questo e quello è eretico
[ .. .] Quindi fu Tromp a fare la sua esposizione. Il card. Santos in seguito si complimen
tò con lui».
2 9 Secondo la testimonianza di Garrone a Congar (cfr. JCng, 14 novembre), Paren
te dice che questo secondo documento è scritto in inglese, ma è stato redatto da un
IL PRIMO CONFLITIO DOTI1UNALE 273

La discussione che si apre, secondo la relazione che ne ha fatto


Tromp, verte in maniera confusa su tre diversi argomenti: il diritto di
proporre nuovi schemi; la libertà di parlare in concilio; il rapporto tra la
commissione teologica eletta dal concilio e quella preparatoria. Ottaviani
da parte sua sostiene che il dovere della nuova commissione era quello
di difendere in concilio lo schema preparato. Ma, oltre a questa affer-
mazione molto grave che, se messa in atto, avrebbe bloccato tutti gli in-
terventi dei membri della commissione in aula conciliare, il tono, ivi
compreso quello di Tromp, fu particolarmente perentorio: «Parlano di
un uomo moderno: questo non esiste! Vogliono essere pastorali. Ma il
primo dovere pastorale è la dottrina. Dopo sono i parroci ad adattare.
Parlano d'ecumenismo. C'è un grande pericolo di minimalismo»30 •
Il card. Léger minacciò le sue dimissioni dalla commissione, se l' es-
serne membro significava non avere libertà di parola in aula. Garrone
intervenne per dire che non accettava lo schema e non avrebbe quindi
sottoscritto la relazione introduttiva che sarebbe stata pronunciata l'in-
domani. Il vescovo di Agrigento, mons. Peruzzo, si alzò a dire che in
concilio aveva a volte l'impressione di trovarsi in un asilo di pazzi e che
per i pazzi c'era una sola via d'uscita: rinchiuderli31 •
Comunque la discussione terminò senza che si fosse formato alcun
consenso. Persino la proposta di Ottaviani, che riferì di essere stato ri-
chiesto dalla segreteria di Stato di preparare un rifacimento abbreviato
del De deposito e propose di affidare questo lavoro a una sottocommis-
sione sotto la presidenza del card. Browne, non venne perfezionata con
una decisione comune32 •
Dopo qualche ora, dalle 18 alle 20, a qualche chilometro di distanza,

francese, perché parte dai fatti e non dai principi. Parente si riferisce cioè alla versione
inglese del documento di Schillebeeckx, che alcuni pensano tuttavia essere stato redatto
da Congar. Nella sua Relatio, Tromp scrive che il 12 novembre «pervenerunt duo Sche
mata» alla segreteria della commissione teologica. Il primo era quello diffuso dalle con~
ferenze austriaca, belga, francese, tedesca e olandese (schema Rahner/Ratzinger). Il se
condo «continebat lingua latina novam redactionem novem capitulorum Schematis De
Ecclesia, tunc temporis nondum inter Patres Concilii distributi, et videtur confectum in
stigantibus quibusdam Episcopis Belgii». Questo secondo è ovviamente lo schema che
stava preparando Philips. Il documento Schillebeeckx era quindi pervenuto a Ottaviani
e Parente per altra via.
30 Testimonianza di Garrone a Congar, che la riporta nel suo JCng al 14 novembre.
31 Gli interventi di Garrone, Léger e Peruzzo sono anche qui riportati secondo le te
stimonianze di Garrone e di McGrath, raccolte da Congar nel suo diario il 14 novembre.
32 Cfr. TuoMP, Relatio n. 5. Si trattava evidentemente della proposta, maturata nel
segretariato per gli affari straordinari, di procedere ad una drastica riduzione della
estensione dei documenti preparatori.
274 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

presso la Domus Mariae, furono gli episcopati mondiali a confrontarsi:


la presidenza del CELAM, i due segretari delle conferenze episcopali
africane, rappresentanti dell'episcopato del Giappone, dell'India, di
Ceylon, Vietnam, Birmania, Filippine; per l'Europa ci sono i rappresen-
tanti dei vescovi di Germania, Francia, Inghilterra, Irlanda, Belgio, Spa-
gna e Italia. Dell'America del Nord sono presenti alcuni rappresentanti
degli Stati Uniti e del Canada. Solo il continente australiano non è ra p-
presentato.
Non si trattava di una riunione ad hoc. Era il secondo incontro dei
rappresentanti delle conferenze episcopali, animato da Helder Camara
che ne parla come dell'incontro fraterno del mondo intero e del-
1' <ilicumenico»33 • L'idea era nata il 4 novembre nel corso di un incontro
tra il segretario dell'episcopato francese, R. Etchegaray, il brasiliano
Helder Camara e il cileno Larrafn, ambedue vicepresidenti del
CELAM34 • L'intenzione era quella di creare un momento di comunica-
zione fra alcuni rappresentanti delle conferenze episcopali, «poco nume-
rosi, ma sufficientemente rappresentativi dei diversi continenti, ancorché
scelti secondo una "geografia affettiva" »35 •
Già alla prima riunione, il 9 novembre, avevano partecipato i rappre-
sentanti di 13 conferenze: 1 del Canada, 5 del CELAM, 6 dell'Asia, 3 eu-
ropei (Beck per gli olandesi, Hoffner per i tedeschi, Veuillot per i france-
si) più lo stesso Etchegaray36 • In quell'occasione non solo erano stati af-
frontati problemi riguardanti il metodo del lavoro conciliare per accelera-
re gli interventi e la libertà di espressione di ognuno, ma era stato toccato
anche il problema del De /ontibus. Molti erano scontenti del modo in cui
era stato preparato e del suo contenuto e venne espresso il desiderio che
dopo una disceptatio generalis lo schema venisse. respinto37 • ·
Nella riunione del 13 novembre non si discute solo del De /ontibus.
I vescovi esprimono soprattutto le loro preoccupazioni per il documento
ecclesiologico, che ancora non conoscono, e prestano attenzione al lavo-
ro che il gruppo della chiesa dei poveri sta svolgendo presso il collegio
belga. Discutono anche delle procedure conciliari. Quando si arriva al

33Helder Camara, XXXI Circular del 13 novembre 1962, copia in ISR F-Camara.
34F-Etchegaray, 1.2. Su questo gruppo, cfr. J. GROOTAERS, Une forme de concerta-
tion épiscopale au Conci/e Vatican II. La "Con/erence des Vingt-deux" (1962-1963), in
<<Rl-IE» 91 (1996), pp. 66-112.
35 F-Etchegaray, cit.
36 Si decise di affidare la presidenza di questi incontri a Helder Camara e di usare
come lingue l'inglese e il francese. Sarebbe stato lo stesso Camara a fungere da tradutto-
re. Cfr. Camara, XXVIII Circular del 9/10 novembre 1962.
37 F-Etchegaray 1.3.
IL PRIMO CONFLITTO DOTTRINALE 275

De /ontibus, un rappresentante di ogni gruppo nazionale fu invitato a ri-


ferire l'opinione delle diverse conferenze nazionali. Si dichiararono con-
trari allo schema la Germania, il Giappone, l'India e Ceylon, le Filippi-
ne, l'Africa e il CELAM. Ma per molti restava una questione decisiva:
con quali mezzi era possibile il rigetto dello schema? La Francia da par-
te sua, pur dichiarando lo schema fondamentalmente cattivo, per bocca
di Veuillot, proponeva una procedura in due tempi: anzitutto una di-
scussione d'insieme e quindi un voto orientativo38 . Altri episcopati come
quelli del Canada, del Messico e della Birmania, erano per parte loro di-
visi. Le critiche che potevano fare contro lo schema non arrivavano a
prendere in considerazione la necessità di respingerlo ed essi pensavano
che era possibile apportare ritocchi mediante la procedura degli emen-
damenti. L'Italia da parte sua rifiutava di dare un'opinione che conside-
rava inopportuna e illegittima, fondandosi sulla tesi che ognuno, all' oc-
correnza, doveva «decidere in petto» 39.
L'opinione degli italiani qui riportata aveva una sua storia. Lo stesso
giorno infatti si era riunita anche la conferenza episcopale italiana. Il
card. Siri annota: «Si raduna l'episcopato italiano. Tiritera Guano!». La
strategia che emerge è la stessa di quella annotata da Siri nel suo diario
e viene chiaramente esplicitata dal parere dei teologi italiani: portare ad
un irrigidimento ulteriore dello schema. Le opinioni espresse dallo sche-
ma tedesco sono messe in ridicolo. Si paventano i «nuovi modernisti».
Carli, vescovo di Segni e destinato ad assumere nel futuro un ruolo im-
portante come esponente dell'ala conservatrice in concilio, interviene
per esortare i vescovi italiani a votare per lo schema attualmente in di-
scussione, «per non lasciare il concilio e la chiesa nelle mani dei tede-
schi»40. Qualcuno, come Urbani, patriarca di Venezia, propone che ven-

38 Cfr. LEVILLAIN, La mécanique ... , cit., p. 245, che aggiunge ancora: «Ora, questa
procedura non era prevista dal regolamento conciliare e verrà introdotta soltanto nel set-
tembre 1963 in seguito alla constatazione di un certo numero di lacune nel regolamento
conciliare del 1962. Utilizzata il 14 novembre per chiudere la discussione dello schema
sulla liturgia, la procedura del voto orientativo era a discrezione del Consiglio di Presi
denza. Orbene, proprio lo stesso giorno, nel corso di una riunione del Consiglio di Pre
sidenza, la proposta avanzata da alcuni di un voto orientativo, nei termini degli interven
ti di fondo, per determinare il rifiuto o la accettazione del De /ontibus, suscitò un' oppo
sizione irriducibile del card. Ruffini, che impedi l'esame della questione». Nei Processus
verbales del consiglio di presidenza, riportati in AS V/1 non c'è traccia di questa riunio
ne a cui fa cenno il Levillain, che tuttavia non cita la sua fonte. Se ci fu opposizione di
Ruffini ad un voto orientativo, essa in ogni caso verrà superata più avanti, nella riunione
del consiglio di presidenza del 19 novembre.
39 LEVILLAIN, La mécanique... , cit., pp. 245-246.
40 DTcc, 18 novembre 1962.
276 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

ga dato incarico al card. Siri di parlare a nome dell'episcopato italiano.


Guano allora si levò e osservò che per procedere così occorreva una di-
scussione e un voto. Contro Guano parlò a sua volta mons. Carrara, ve-
scovo di Verona. Tuttavia non sembra esserci stata una decisione forma-
le41.
Le riunioni della vigilia prefiguravano già quindi quello che sarebbe
stato il decorso del dibattitto in aula. Da una parte la volontà di arrivare
ad un rigetto dello schema De /ontibus. Dall'altra un arroccamento ner-
voso a sua difesa.

3. Discutendo del «De /ontibus»: la scelta conci.liare per la pastoralità


della dottrina

Il relatore ufficiale dello Schema di costituzione dogmatica sulle fonti


della rivelazione fu Garofalo. Ma fu Ottaviani, presidente della commis-
sione teologica preparatoria che, parlando prima di lui, ne anticipò il di-
scorso, con I' effetto della ripetizione. A questa stranezza, se ne aggiunse
un'altra. Sia Ottaviani, che Garofalo non presentano lo schema, ma lo
difendono contro le previste obiezioni42 • Non sono loro ad iniziare il di-
battito, ma rispondono ad un dibattito già iniziato fuori dall'aula conci-
liare.
Ottaviani esprime dapprima il suo disappunto e la sua critica verso
quanto bo1le nella pentola del concilio «esterno» all'aula, prende quindi
in considerazione due obiezioni di merito, conclude con una motio af
/ectuum 43 • Fuori dall'aula infatti circolano alcuni schemi da sostituire allo

41DTcc, 24 novembre, che riporta la stessa testimonianza di Guano. Una fonte più
dettagliata per la ricostruzione della riunione della CEI, è costituita dalla nota di Dos
setti del 15 novembre, presente tra le carte di Chenu, ma che sembra risaJire alla stessa
fonte e cioè a Guano (cfr. NChn, p. 111). Difatti nel suo intervento del 14 novembre in
aula conciliare, a questo proposito, Siri sembra aver forzato la portata di un consenso
che non era stato espresso. Il testo pronunciato da Siri infatti ha: «Circa ea quae dixi,
scio mecum consentire plurimos ad minus episcopos Italiae, quos omnes heri audiv.i>>; il
testo scritto ha: «scio mecum consentire plurimos et fere omnes Ita1iae episcopos»: AS
113, pp. 38-39. Il diario di Urbani così commenta la riunione italiana del 13 novembre,
tacendo totalmente del proprio intervento. <<Al pomeriggio adunanza Ep. It. - Lungo fu-
tervento pesante di Ruffini. Lunga disquisizione di Fares. Adunanza inconcludente per
ché non si permette il dialogo. Eppure basterebbe tanto poco!»
42 La presentazione, oltretutto formale, somigliante più ad un indice degli argomen
ti toccati che ad una effettiva esposizione, abbraccia nella relazione di Garofalo appena
25 righe.
43 AS 1/3, pp. 27-28.
IL PRIMO CONFLITTO DOTIRINALE 277

schema ufficiale. Ora ciò ad Ottaviani appare in contrasto con il dettato


del codice, can. 222 § 3, che riserva al papa la determinazione della ma-
teria da dibattere in concilio. Ottaviani inoltre sa per «certo» che si sen-
tiranno molti «parlare dell'assenza di tono pastorale» dello schema.
Molti 44 erano stati infatti coloro che, già nell'estate precedente gli inizi
dei lavori conciliari, avevano manifestato la loro reazione negativa agli
schemi dottrinali allora distribuiti, rifacendosi proprio alla carenza di
pastoralità. Si aggiunga che Ottaviani conosceva anche l'abbozzo iniziale
di rifacimento de1lo schema ecclesiologico. Comunque l'obiezione sulla
pastoralità era il vero avversario da abbattere. Non era essa fondata, ma
questo Ottaviani non poteva ammetterlo esplicitamente, sulle stesse pre-
se di posizione del papa? L'obiezione, ad avviso di Ottaviani, ignora in
ogni caso che fondamento delJa pastorale è una dottrina concisa e chia-
ra, e che lo stile conciliare è «segnato dalla prassi dei secoli». Spetta ad
altri, non ad un concilio, trovare l'espressione pastorale della dottrina.
Senza quindi che venisse citata, non poteva esserci presa di distanza più
netta dall'allocuzione introduttiva di papa Giovanni. Ed anche l'altra
obiezione, quella che nota l'assenza di «afflato della nuova teologia»,
ignora che l'afflato conciliare è quello dei secoli e non già di una
qualsiasi scuola teologica, che oggi c'è e un domani forse «viene buttato
nel cestino». La mozione degli affetti infine è un invito a prendere in
considerazione una fatica durata due anni, portata avanti da vescovi,
teologi ed esegeti di tutto il mondo, nonché dal1a commissione centrale
prepara toria45 •
La relazione introduttiva di Garofalo a questo punto appariva mera-
mente ripetitiva. Nel breve spazio che dedicava ai contenuti specifici
dello schema, si limitava a farne sostanzialmente un indice, non omet-
tendo tuttavia il tentativo, a dire il vero ingenuo, di presentare anche le
affermazioni restrittive e le condanne come risposte alle esigenze attuali.
Così affermava stranamente che quanto si dice sulle due fonti sottolinea
soprattutto il processo storico dei due testamenti, «affinché la dottrina
cattolica venga meglio adattata alla mentalità contemporanea»; che le

44 Le osservazioni scritte al .I volume degli schemi, inviate già prima dell'inizio del
concilio, sono ora edite in AS App., pp. 69-350.
45 La fatica era effettiva, ma Ottaviani glissava sui contrasti che l'avevano segnata e
sulla spregiudicatezza con la quale erano stati affrontati proprio da lui e dalla commis-
sione teologica. Su questa spregiudicatezza gli rinfrescheranno la memoria sia il card.
Dopfner (AS V3, pp. 124-125) sia, dopo il tentativo di difesa dello stesso Ottaviani (AS
V3, pp. 131-132), l'arcivescovo di Durban, Dionisio Hurley (AS I/3, p. 199): «In com
missione centrali, uti nunc video, quando de indole non pastorali schematum quereba-
mur, voces eramus clamantium in deserto». Per una documentazione di questi contrasti
si vedano INDELICATO e SIV 1, pp. 321-339.
278 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

cose dette sulla ispirazione della scrittura «corrispondono alle ricerche


attuali»46 , ecc. Ribadiva ancora la giustapposizione del rapporto tra pa-
storale e dottrina già espressa da Ottaviani, formulandola tuttavia secon-
do la più classica distinzione tra dottrina e disciplina: «La nostra costi-
tuzione è dogmatica, non disciplinare; e, sebbene le affermazioni siano
dovute a volte alle circostanze temporali, debbono tuttavia restare nei
secoli; la dottrina di un concilio non può essere infatti riformata, anche
se può essere perfezionata»47 . E tuttavia Garofalo cercava un aggançio
anche con la Gaudet mater ecclesia. Infatti, «se qua e là vengono esplici-
tamente menzionati e rigettati degli errori [ .. .], questo avviene perché
essi non fanno parte di quelle cose che, come afferma il sommo pontefi-
ce nella sua allocuzione inaugurale, "sono in evidente contrasto con la
norma dell'onestà', e, a causa dei loro effetti, appaiono facilmente errate
a tutti»48 . La conclusione appariva quindi sì stupefacente, ma non im-
possibile. «Infine la natura della costituzione deve essere considerata pa-
storale, in quanto la chiara esposizione di una dottrina, la sua custodia e
la sua difesa, riguardano in misura altissima l'ufficio pastorale e forni-
scono il fondamento solido e necessario a qualsiasi iniziativa pastora-
le»49.
Rileggendo gli interventi, colpisce in primo luogo la sostanziale ge-
nericità della discussione. Lo stesso problema delle due fonti, che appa-
rentemente è il più ricorrente, non sembra che costituisca il vero nodo.
Dopo la precisazione di Frings (esistere due fonti solo in ordine cogno-
scendi, ma propriamente, in ordine essendi solo il Vangelo o rivelazione
è f ons), che interviene due volte per precisare il suo pensiero, molti di
quella che sarebbe diventata la minoranza non sono alieni dall'accettare
la terminologia proposta dall'arcivescovo di Colonia, essere cioè il Van-
gelo o la rivelazione l'unica fonte della scrittura e della tradizione50 • Sul-
1' effettiva estensione della tradizione gli interventi si mantengono, alme-

46 AS I/3, p. 30.
47 Ibidem, p. 31. Sullo scopo e sulla natura di un'affermazione conciliare, sulla sua
particolare «dignità», non si affermava formalmente nulla di diverso da quanto detto nei
gravamina. Solo che questi coglievano la contraddizione nel fatto che lo schema si ser
visse di un linguaggio scolastico, mentre i difensori dello schema ritenevano proprio la
precisione scolastica conforme allo scopo e alla natura delle affermazioni conciliari.
48 Si trattava di quel brano della Gaudet mater ecclesia in cui il papa motivava la
sua scelta per una medicina della misericordia piuttosto che della severità (cfr. A. MEL
LONI, ll. 878 ss.). Qui appare esplicitamente la chiara alternativa allo spirito dello sche-
ma De fontibus. La relazione di Garofalo sembrava voler suggerire ai padri conciliari un
modo possibile per aggirare l'ostacolo costituito dalla Gaudet.
49 Ibidem.
50 AS I/3, pp. 34-35 e 139.
IL PRIMO CONFLI1TO DOTI1UNALE 279

no da parte della maggioranza, sulle generali. Tattica astuta o preminen-


za di un altro interesse che in questo momento è giudicato prioritario?
Solo Parente si impegna in una esegesi accurata di Trento ripetendo in
sostanza la critica di Lennerz a Geiselmann51 , essere cioè irrilevante il
cambiamento del partim ... partim nel tenore originario del decreto tri-
dentino, ai fini dell'interpretazione dei rapporti tra scrittura e tradizio-
ne52. Dalla maggioranza ci si limita a ribadire che è una questione diba t-
tuta legittimamente tra i teologi.
I principali contenuti specifici del dibattito (rapporto tra scrittura e
tradizione - inerranza biblica - le nuove posizioni esegetiche sulla stori-
cità di alcune parti della Bibbia) sono quindi il luogo di verifica di pro-
blemi più ampi, in primo luogo di quello dello scopo stesso del conci-
lio. Su 85 interventi orali ben 61 contengono un riferimento, in misura
più o meno estesa, ma sempre esplicita, allo statuto della dottrina53 •
Senza pretendere inoltre un'assoluta precisione, giacché a volte i riferi-
menti non sono del tutto chiari, un'analisi della discussione mostra
come ben 22 interventi facciano esplicito riferimento alla Gaudet acco-
gliendone i punti centrali e 11 ne propongano il contenuto senza riferi-
mento esplicito. Ventidue saranno gli interventi che invece difenderanno
la concezione che possiamo chiamare manualistica e scolastica della dot-
trina della chiesa e sei interventi lo faranno cercando di interpretare
strumentalmente la stessa Gaudet.
Si può affermare che, durante la settimana della discussione sul De
fontibus, il concilio si appropria del proprio scopo nei termini in cui lo
aveva proposto la Gaudet. Si delinea così la tappa decisiva di un proces-
so che viene addirittura scandito nell'intervento di Bea già il 14 novem-
bre: a) il papa ha proposto al concilio uno scopo pastorale; b) il concilio
l'ha già fatto suo nel nuntium iniziale; e) si tratta adesso di ratificare
consapevolmente questo scopo respingendo uno schema che gli è con-
trario. La lucidità su ciò che era effettivamente in gioco, quale traspare
dall'intervento di Bea, non deve far dimenticare la passione del dibattito
di quei giorni. H. Schauf, affettivamente dalla parte della commissione
teologica preparatoria, riferisce della riunione dei teologi tedeschi tenu-
tasi il pomeriggio del 14 novembre in termini quanto mai drastici: «Si
trattò di una cospirazione e di una riunione politica più che di una di-

51 Cfr., anche per indicazioni sulle principali voci del dibattito, JR. GEISELMANN,
Die Heilige Schrzft und die Tradition, Freiburg 1962. Di H LENNERZ, basti qui rimanda
re soprattutto a Scriptura sola?, in «Gregorianum» 40 (1959), pp. 38-53.
52 AS I/3, pp. 132-135.
53 Analogo l'equilibrio degli interventi scritti. Tra questi, notevole per acutezza
quello di Volk (AS I/3, pp. 364-365).
280 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

scussione teologica»54 . E parecchi vescovi, durante la discussione, saran-


no preoccupati di trovare un modo per non spaccare il concilio e per
arrivare ad una soluzione accettabile dalle parti55 •
Forse anche in questa direzione bisogna leggere un tentativo di com-
promesso. Morcillo Gonzalez, il 15 novembre, proponeva infatti di an-
dare incontro alle esigenze sulla pastoralità con un proemio adeguato
«che si desidera e che certamente sarà proposto a tempo debito». In
questo senso aveva parlato già il giorno prima Quiroga y Palacios («Un
esordio generale [. .. ] mediante cui venga indicata l'intenzione pastorale
del concilio»), e poi lo faranno ancora de Arriba y Castro, Martinez
Gonzalez, gli italiani Ruotalo (proprio per raggiungere quella «concor-
dia che alcuni in qualche modo hanno auspicato»), Carli, il polacco Kle-
pacz (che sembra riprendere l'idea a volo, nell'intervento detto in aula,
giacché essa manca nel testo preparato per iscritto), il dalmata Franié56 •
Ma questo voleva dire ignorare la portata della questione sulla pastorali-
tà della dottrina. La giustapposizione di un proemio pastorale ad una
trattazione scolastica della dottrina equivaleva infatti a introdurre ancora
una dicotomia, come pretendevano d'altra parte quanti tentavano di ri-
farsi al modello tridentino che distingueva chiaramente i decreti dottri-
nali da quelli di riforma57 •
Nel determinare la natura della dottrina pastorale, la maggioranza
non ha invece ambiguità. Essa infatti può tranquillamente appellarsi, e
con autorevolezza, ai punti ribaditi dalla Gaudet mater ecclesia. Occorre
infatti che la dottrina sia recepita «da tutti, in questo nostro tempo, con
nuovo ardore»: essa quindi deve rivolgersi agli uomini di oggi e non alle
scuole teologiche (Bea). Occorre rinnovare la vita e confortare la testi-
monianza dei fedeli nel mondo di oggi (Soegijapranata). Con riferimento

54 H. Auf dem W ege zu der Aussage der dogmatischen Konstitution iiber


SCHAUF,
die gottliche Offenbarung "Dei VerbumJ' N. 9a "Quo fit ut ecclesia certitudinem suam de
omnibus revelatis non per solam sacram scrlpturam hauriat', in Glaube im Prozess, pp.
66-98, rif. a p. 6 7.
55 Questa esigenza di unanimità trovava espressione forte soprattutto nell'intervento
dell'abate Butler (AS I/3, pp. 10-108), ma veniva ripresa significativamente non solo da
uomini come Zoa (pp. 148-149), Pourchet (pp. 149 151), Ancel (pp. 203-205), ma anche
da esponenti di diverso orientamento (si veda ad esempio rintervento di Griffiths (pp.
181-183).
56 Rispettivamente: AS I/3, pp. 61, 40, 163, 261 s.; 201-202, 232, 215 e 218, 246.
Questa proposta deve essere accuratamente distinta da quanti chiedevano invece un
proemio che trattasse della natura della rivelazione in quanto tale, prima ancora di pas-
sare ai rapporti tra scrittura e tradizione. In tal senso cfr. tra gli altri Bea (pp. 49-50),
Reuss (p. 92), Garrone (p. 189 ss.) Ancel (p. 204).
1

57 Cfr. ad esempio il card. Garibi y Rivera (17 novembre: AS I/3, pp. 122-124).
IL PRIMO CONFLITTO DOTIRINALE 281

alla medicina della misericordia, invocata da papa Roncalli nella Gaudet,


Silva Henriquez distingueva tra la mentalità del giudice e quella del pa-
store; Guerry era uno dei più lucidi nell'articolare una critica allo sche-
ma ispirandosi alla Gaudet:
Il primo nostro dovere pastorale consiste in questo: insegnare al nostro popolo la
dottrina pura e integra, in maniera tale tuttavia che esso possa ascoltare la parola di
Dio, intenderla, accoglierla nella fede e infine tradurla in pratica in tutto lo spazio della
propria vita [. .. ] Ciò che va adattato non è la dottrina stessa, ma la sua presentazione.

Erano i termini di Giovanni XXIII parafrasati. Un teologo forse


avrebbe qualcosa da ridire su questa netta distinzione tra presentazione
della dottrina e dottrina stessa. Ma era in ogni caso la posizione della
Gaudet mater ecclesia. Garrone affermava ancora che «è la stessa solleci-
tudine per la verità che ci impedisce di fare astrazione dagli uomini ai
quali è stata inviata la parola della verità». Il già citato Hurley, forse il
vescovo più consapevole della necessità di affrontare e chiarire, proprio
dal punto di vista dottrinale, il nodo della pastoralità58 , distingueva tra
quanti pensavano che il concilio era pastorale nella misura in cui custo-
disce la verità (erano i termini della questione rifiutati dalla Gaudet) e
quanti non si contentavano di custodire, ma volevano altresì predicare e
seminare. Persino un vescovo favorevole allo schema come Garcia Mar-
tinez capiva che bisognava superare lo scoglio della pastoralità così
come veniva concepita dal papa:
Per cui, stando a queste parole del pontefice, non è sufficiente per questo magistero
pastorale che la dottrina tramandata sia vera, sebbene questa verità costituisca il fonda
mento primo di ogni magistero autentico, ma si richiede inoltre che la modalità della
trasmissione sia effettivamente pastorale, più adatta cioè ad afferrare gli animi e a muo
verli efficacemente59.

Qui, pur svilendo l'ermeneutica pastorale della verità identificando la


con una motio affectuum, si coglieva tuttavia il nesso inscindibile tra
contenuto e presentazione della dottrina.
Sulla scia di Ottaviani e della relazione ufficiale di Garofalo che ne
riprendeva in maniera più distesa la sostanza, quella che poi apparirà
come minoranza favorevole allo schema ci terrà invece a dividere il mo-
mento della proposizione dottrinale e quello dell'adattamento pastorale.
Qualcuno ricorrerà a curiose analisi linguistiche: pastorale è un aggetti-
vo e non un sostantivo: la dottrina è quindi la sostanza con cui nutrire

58Ormai a dibattito chiuso, Hurley il 29 novembre chiederà a Congar un contribu-


to «che definisca la "pastoralità" di un testo»: JCng, p. 182.
59 AS 1/3, p. 214.
282 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

il popolo di Dio, mentre la pastorale è una qualità che designa tutte le


attività dei pastori nella chiesa (card. San tos e il maestro generale dei
domenicani Fernandez). Enrique y Tarancon assegnava la chiarezza alla
definizione della verità, l'adattamento alla mentalità dell'ascoltatore e
quindi la pastorale al momento della spiegazione. Altri dicevano che il
compito principale dei pastori è quello di allontanare dagli errori e con-
durre alla verità evangelica (Del Pino Gomez).
I contenuti del dibattito furono quindi in primo luogo quelli forma-
li: pastoralità ed ecumenicità dello schema. Sui contenuti materiali della
discussione non c'è molto da aggiungere alle ricostruzioni che ne sono
state già fatte 60• Si ha tuttavia l'impressione che in questa fase del dibat-
tito conciliare si avesse una certa resistenza ad affrontare problemi so-
stanziali troppo tecnici i quali, almeno per adesso, appartenevano piut-
tosto al «concilio dei teologi» 61 anziché a quello dei vescovi. Oltre tutto
questi termini, in quel momento, erano resi più difficili e confusi dalla
feroce polemica che alcuni ambienti romani avevano scatenato contro il
Pontificio Istituto biblico62 •
Un resoconto semplice sul dibattito in aula, nei termini estremamen-
te sintetici in cui qui lo abbiamo riassunto, non è ancora tuttavia tale da
farei com prendere il senso di quella settimana nella quale, secondo la
felice espressione del P. Rouquette su «Etudes», «finisce lera della Con-
troriforma» 63. Già il )4 novembre con assoluta lucidità il papa annotava
nella sua agenda. «E prevedibile l'aprirsi di qualche contrasto. Da una
parte la stesura (dello schema preparatorio) non tenne conto delle preci-
se intenzioni del Papa nei suoi discorsi ufficiali. Dall'altra ben 864 cardi-

U. BETTI, Storia della Costituzione dogmatica «Dei Verbum», in La Costituzione


60
dogmatica sulla divina Rivelazione, Torino 1967, pp. 11-68. Nel più recente La dottrina
del concilio Vaticano II sulla trasmissione della rivelazione, Roma 1985, vedi soprattutto
le pp. 45-50. Ma cfr. anche, fra le tante presentazioni, E. STAKEMEIER, Die Konzilskonsti-
tution iiber die gottliche Offenbarung. W erden, lnhalt und theologùche Bedeutung, Pader
born 1967; J. RATZINGER in «LThK», Das Il. Vattkanische Konzil, Il, pp. 498-503 e B.-
D. DUPUY, Historique de la Constitution, in Vatican II. La révelation divine, t. 1, Paris
1968, pp. 61-117. Da notare tuttavia che in pratica nessuna di queste ricostruzioni è at-
tenta al nodo della pastoralità della dottrina. Molto più sensibile a tal proposito è invece
la ricostruzione ampia e recente di H. SAUER, Erfahrung und Glaube. Die Begriindung
des pastoralen Prinzips durch die O/fenabrungskonstitution des Il. Vatikanischen Konzils,
Frankfurt a.M. 1993, pp. 137-220.
61 Cfr. Y. CONGAR, Vatican II. Le Conci/e aujourlejour, Paris 1963, pp. 64-65.
62 Su questa polemica v. S/V 1, pp. 297 ss.
63 Gennaio 1963, p. 104: «On peut considérer qu'avec ce vate du 20 novembre
s'achéve l'age de la Contre-Réforme et qu'une ère nouvelle, aux conséquences imprévisi-
bles, commence pour la chrétienté».
64 Il riferimento del papa era ai cardd. Liénart, Frings, Léger, Konig, Alfrink, Sue
nens, Ritter, Bea che il primo giorno del dibattito espressero in maniera forte il loro ri-
IL PRIMO CONFLITTO DOTTRINALE 283

nali appoggiata (sic, ma leggere appoggiati) su quelli misero in discredi-


to il punto principale della proposta. Che il Signore ci assista e ci riuni-
sca». In questa nota due cose sono evidenti: il papa si rende conto chia-
ramente che sono in gioco le sue «intenzioni nei suoi discorsi ufficiali»;
al tempo stesso la sua visuale non è quella di una vittoria a tutti i costi,
ma, minimizzando quasi («qualche contrasto»), si pone nella prospettiva
superiore di una unità di intenti nella quale, conformemente alla sua vi-
sione del concilio, vede il su premo bene: «che il Signore ci assista e ci
riunisca>> (corsivo mio).
Non tutti vivevano con la mite e lungimirante serenità di papa Gio-
vanni gli avvenimenti. Abbiamo già riferito prima la testimonianza di H.
Schauf. Le note del diario di Siri vanno dalla presunzione di poter do-
minare la situazione fino al drammatico sentimento di un immane disa-
stro, del pericolo di una vittoria dell'eresia. Scrive alla vigilia della vota-
zione, il 19 novembre: «La faccenda è grave, se domani lo schema cade!
Signore aiutaci! Santa Vergine, San Giuseppe, pregate per noi! Voi po-
tete ottenere: cunctos (sic) haereses sola interemisti in universo mondo
(sic) !»65 •

getto dello schema. I cardd. che il 14 novembre si espressero a favore furono invece
nell'ordine, a parte Ottaviani nella sua introduzione, Ruffini, Siri, Quiroga y Palacios.
C'era una evidente sproporzione e questo spiega come le note dei diari della parte con
traria allo schema siano tutte esultanti alla fine del primo giorno. Il secondo giorno della
discussione, il 16 novembre, la proporzione tuttavia si rovescia: tra i cardinali solo Tisse-
rant, Lefebvre, Silva Henriquez parlarono contro lo schema, mentre a favore si espresse
ro Gonçalves Cerejeira, De Barros Camara, Mclntyre, Caggiano, Rufinus I. Santos, Ur
bani e Browne. In qualche modo erano i cardinali che davano il tono agli wnori e que
sto spiega gli alti e i bassi dei vicendevoli commenti, secondo le posizioni di partenza.
Sempre il 15 novembre, ma questo non era un fatto noto, il card. Dòpfner, inviava un
votum al segretariato generale del concilio per chiedere la rielaborazione dello schema:
cfr. il testo in H. SAUER, Erfahrung und Glaube... , cit., p. 222, n. 3.
65 Cfr. DSri, p. 382. Difficile dire se gli errori del testo (Siri non sembra essere sta-
to un cattivo conoscitore del latino!) siano dovuti a refusi, oppure debbano essere presi
come segno di una forte commozione. La nota di quel giorno porta tuttavia la formula
di un votum, nel quale si cerca di immaginare le misure idonee a combattere il «moder
nismo» come errore serpeggiante: «Necesse est magnum momentum tribuere studiis de
"Propedeutica historica" non tamen solummodo sicut invenitur e.g. in Benigni, sed ad
ditis considerationibus de pathologia in studiis teologicis inserta ope variarum methodo-
logiarum ex idealismo, historicismo, rationalismo. Etenim serpit modernismus et hic ful
citur cum criticismo historico, qui certo ruit si apte efficiuntur, quae supra scripta sunt».
Non si può non cogliere il nesso oggettivo di questo votum con la lettera «contro gli er-
rori e le deviazioni del nostro tempo», firmata da 19 cardinali (tra cui ovviamente Siri) e
inviata al papa il 24 novembre ad 'avvenuta istituzione della commissione mista. Ma è
impossibile stabilirne un eventuale nesso letterario.
284 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

Sull'altro versante non si pensa ovviamente di identificare la posizio-


ne contraria con l'eresia, ma si studiano le eventuali iniziative da pren-
dere in caso di approvazione dello schema. I soggetti principali di que-
sta azione sono due: I' episcopato e i teologi dell'Europa centrale e il se-
gretariato per l'unità.
Questo mise a punto la propria strategia ancora una volta nella se-
duta che esso tenne il 16 novembre66 • Il discorso del presidente Bea di
due giorni prima aveva già presentato agli altri una posizione netta~ ma
che restava presa di posizione personale. Bisognava chiarire ancora di
più, e questa volta ufficialmente, la dimensione ecumenica dei problemi
suscitati dallo schema. Nella riunione del 16, Bea ribadendo la valuta-
zione negativa, parla della necessità di uno schema nuovo, più pastorale,
più intelligibile, più ecumenico da affidarsi ad una commissione mista.
C'è tuttavia qualche membro del segretariato (Mansourati) che manife-
sta delle perplessità su una linea di rifiuto così netta, che gli sembra
dettata dalla necessità del dialogo con i protestanti, mentre un riguardo
all'ortodossia imporrebbe di tener conto del ruolo particolare che in
questa svolge la tradizione. Il punto di vista ortodosso infatti richiede-
rebbe un'approvazione dello schema De /ontibus. Si trattava qui di una
critica non tanto velata al votum del segretariato presentato nella fase
preparatoria e alla relazione tenuta da Feiner nella seduta del 9 novem-
bre.
Oltre a Feiner, personalmente messo in discussione, fu il domenica-
no Christophe Dumont che si sentì chiamato a respingere questa obie-
zione. Infatti era proprio il concetto di tradizione usato dallo schema a
non rendere tutta la ricchezza della concezione orientale. Gli ortodossi
hanno, rispetto alla posizione rappresentata dallo schema, un concetto
più profondo e ampio di tradizione, non limitata alla trasmissione di
«dottrine», ma più «reale», giacché essi collocano la tradizione nella li-
turgia, come ministero67 cristiano in atto. La posizione di Dumont venne
appoggiata da Bea, che ricordò come già nella commissione centrale
preparatoria era stata lamentata la carenza di cui soffrivano i concetti di
rivelazione e di tradizione così come venivano impiegati nello schema.
Ma anche Willebrands spezzò la sua lancia a favore della posizione di
Dumont ricordando come, durante la riunione del comitato centrale del
consiglio ecumenico delle chiese tenuta a Rodi nel 1959, gli stessi orto-
dossi non fossero soddisfatti di un concetto asfittico di tradizione, quale
era stato presentato nella relazione di mons. Crisostomos Constantinidis.

66 Copia del verbale in F-Thils, 0689.


67 Il verbale ha <<ministère», ma si può ipotizzare anche un <<mistero».
IL PRIMO CONFLITTO DOITRINALE 285

Un altro membro del segretariato, il p. Boyer, non potendo essere


presente alla seduta, mediante una nota fatta pervenire per iscritto e
quindi letta, ci tenne a prendere una qualche distanza dalla posizione
ufficiale del segretariato. Precisava infatti la natura limitata della sua
adesione al votum presentato a suo tempo alla commissione teologica.
Egli aveva accettato la proposta numero 5 di quel votum (quella che in-
vitava ad evitare modi di parlare che escludessero una qualche presenza
nella scrittura di tutte le verità rivelate) perché vi si eccepiva formal-
mente la questione del canone. E tanto bastava a suo avviso per soste-
nere che c'è «qualcosa di non scritto nel deposito». Del resto, sempre
secondo Boyer, si può senz'altro negare che ci siano altre verità rivelate
«dopo che il deposito è stato completato», ma ciò non esclude che esi-
stano «delle tradizioni non scritte nel deposito». E restava da discutere
sull'esatto pensiero di Scheeben.
A questo punto si avvertì l'esigenza non tanto di entrare nei dettagli,
ma di far esporre in congregazione generale, a nome del segretariato, la
problematica ecumenica dello schema. Giacché infatti molti padri rite-
nevano che l'ecumenismo comportasse una deformazione della verità
cattolica, occorreva presentare la prospettiva ecumenica nella sua giusta
luce. La seduta non si sciolse senza tuttavia aver messo a punto la com-
posizione di cinque sottocommissioni responsabili dei rispettivi capitoli
dello schema, in vista di una sua rielaborazione68 •
Il relatore scelto a presentare la problematica ecumenica dello sche-
ma fu il vescovo De Smedt, che prese la parola nella congregazione ge-
nerale del 19 novembre. Ma anche qui fu la Gaudet mater ecclesi"a l'ef-
fettivo punto di riferimento. Infatti essa venne utilizzata non solo per
determinare il carattere pastorale della dottrina, ma anche quello ecume-
nico. De Smedt, al quale venne affidato il compito di spiegare cosa si-
gnifica ecumenicità, lo fece sostanzialmente nei termini che Bea, riferen-
dosi all'allocuzione papale, aveva usato per la pastoralità. A guardar
bene le cose, la definizione che egli dava della ecumenicità della dottri-
na, infatti, non differiva molto dalla pastoralità, con la variante che in
questo caso il destinatario è il cristiano separato. L'ecumenicità consiste

68 I responsabili erano rispettivamente mons. Jager per il capitolo De duplici fonte


(assieme a Stakemeier, Maccarrone, Feiner, Tavard); mons. De Smedt per il capitolo sul
l'ispirazione, inerranza e composizione letteraria (assieme a Hofer, Thils, Boyer); il p.
Baum per 11Antico Testamento (assieme a Weigel e Charrière); il p. Hamer per il Nuovo
Testamento (assieme a Davis, Dumont, Holland, Descamps) e mons. Volk per l'ultimo
capitolo dedicato a La sacra scrittura nella chiesa (assieme a Vodopivec, Thijssen, Man~
sourati).
286 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

cioè nell'adempiere a quelle condizioni che permettano «quod expositio


nostra a non-catholicis exacte intelligi possit»69 •
Il discorso suscitò un'enorme emozione. Val la pena riportarne il
riassunto che ne fa Congar nel suo diario:
Egli vuole esporre in che cosa consiste esattamente l'ecumenismo di una dottrina e
del suo stile. Tutti i cristiani ammettono Gesù Cristo, ma non sono concordi sui mezzi
per andare a lui. Per secoli, i cattolici e gli altri hanno pensato che era sufficiente che
ognuno esponesse con chiarezza la propria dottrina, ma ognuno lo faceva nelle sue cate
gorie che risultavano incotnprensibili all'altro. Questo non ha portato a nulla. A partire
da qualche tempo è stato introdotto un altro metodo: il dialogo ecumenico. Questo con
siste nel dare importanza al modo in cui la dottrina viene espressa, in maniera tale che
essa possa essere compresa dall'altro. Non si tratta di una trattativa di unione, e nemme
no di un tentativo di conversione, ma, da una parte e dall'altra, di una testimonianza
chiara che tiene conto dell'altro. I nostri testi debbono corrispondere a questo. Questo
non è c01nodo! Occorre evitare qualsiasi riduzione che ingannerebbe gli altri. Sono nove
le condizioni necessarie, delle quali tuttavia, per brevità, non dirà che le prime quattro:
1) quale sia la dottrina attuale degli ortodossi e dei protestantFO; 2) quale idea essi han
no della nostra dottrina; 3) che cosa, nella dottrina cattolica, non è sufficientemente svi
luppato; 4) la dottrina cattolica viene proposta nella forma giusta? La scolastica non va.
Occorre la maniera biblica e patristica: Ma non è sufficiente esprimere la «verità», per-
ché un testo sia ecumenico. Le persone del segretariato hanno offerto il loro aiuto alla
commissione teologica, hanno proposto una commissione mista. Ma la commissione ha
rifiutato. Le persone che vivono in ambiente protestante o ortodosso hanno sempre det-
to: lo schema è privo di spirito ecumenico. Non si vuole esaminare se è stato preso suf
ficientemente in considerazione il metodo buono? Il segretariato, da parte sua, trova che
lo schema è «notevolmente carente nella ecumenicità». Non segna un progresso, ma un
regresso. Sarà di impedimento e nocumento. Invece il metodo nuovo ha portato i suoi
frutti: ne è segno la presenza degli Osservatori. Se lo schema non sarà riscritto, ci assu
meremo la responsabilità che il concilio Vaticano deluda una immensa speranza (applau
si nutriti da parte dei vescovi; gli arcivescovi non applaudiscono).

Ascoltando quel discorso, parecchi piangono: Silva Henriquez, Mc-


Grath, lo stesso Congar che riferisce il particolare e la testimonianza di
McGrath71 • Sempre il 19 novembre, nel pomeriggio, la sottocommissio-
ne del segretariato per la scrittura nella chiesa, si riunisce a casa del ve-
scovo Volk. «Arrivammo a proporre la possibilità di sospendere la di-
scussione sullo schema De /ontibus, perché al suo posto venisse trattato

69AS I/3, pp. 184-186.


70Cioè con le parole esatte di De Smedt: «dobbiamo conoscere bene ... ».
7 1 Si possono mettere a confronto, lo stesso giorno, le rispettive note entusiaste di
Congar («Testo letto molto bene, ascoltato con intensità. Note assai forti d'emozione
che non vengono dal sentimentale, ma dalle viscere del vero [...], lacrime dello Spirito
Santo, come ne auguro agli induriti nella loro giustizia dogmatica») e di Semmelroth da
una parte, con quella laconica, quasi irritata di Siri dall'altra: «Parla in modo stonato De
Smedt di Bruges».
IL PRIMO CONFLITIO DOTIRINALE 287

lo schema de verbo Dei, già pronto anche se non ancora stampato». Ma


quale procedura adottare per portare avanti questo progetto? Il regola-
mento del concilio non la prevedeva! Volk immagina che potrebbe esse-
re Frings, con la sua autorità di membro della presidenza, a fare la pro-
posta in assemblea72 • Non si ha quindi l'impressione che, anche all'inter-
no del segretariato, le menti fossero lucide sulla opportuna strategia da
. '

seguire.
Né maggiore lucidità c'era nell'episcopato del centro Europa. Già il
14 novembre si era radunato l'episcopato francese nella maggioranza dei
suoi membri: due terzi circa sono per il rigetto dello schema, un terzo
per una soluzione mediana, di correzione dello schema esistente73 •
Il 18 novembre 74 si ha una riunione strategica, indetta da Volk, alla
quale partecipano esponenti molto in vista dell'episcopato e della teolo-
gia francese e tedesca. Si ipotizza, nel caso di un'accettazione dello sche-
ma, un gruppo formato da teologi di diverse tendenze e nazionalità per-
ché prepari un testo da distribuire ai padri, per aiutarli in maniera det-
tagliata nella correzione dello schema. Garrone propone anche lui l'idea
della commissione mista, sulla quale poi interverrà l'indomani 19 no-
vembre, in aula. Rahner da parte sua si era già messo al lavoro per pre-
parare una petizione, che in caso di sconfitta, scongiurasse i padri per lo
meno a non definire l'esistenza di verità di fede che in qualche modo
non siano contenute nella scrittura. Nella riunione si stabilisce inoltre
che, sempre in caso di sconfitta, sia lui a determinare punto per punto
quei casi in cui non era possibile una transazione.
Grande incertezza dunque sul fronte della futura maggioranza che
non ha avuto ancora la possibilità di contarsi. Del resto come era possi-
bile misurare il peso del consenso per l'uno o l'altro atteggiamento? I
vescovi erano infatti ancora in movimento. Solo il 21 novembre, a svolta
consumata, ad esempio, Congar apprende che un tale movimento d'opi-
nione si sta verificando nell'episcopato nordamericano. Gli interventi in
aula invece non permettevano di comprendere quale fosse l'effettivo
orientamento del concilio. Era oltretutto un orientamento in fieri.
Nei giorni del dibattito sul De /ontibus si intensificano le riunioni

72 ST, nota del 19 novembre.


73 Le cifre esatte non sono chiare. LEVILLAIN, La mécanique... , cit., a p. 250, parla
di 85 assolutamente contrari, 35 a favore di un rifacimento completo, 3 a favore della
sostanza del testo. NChn nella nota del 14 novembre del suo diario, parla di 90 assolu
tamente contrari, 30 per la soluzione mediana e uno soltanto per l'approvazione (ma tra
parentesi fa l'ipotesi di tre possibili nomi). .
74 Cff.' la relativa nota di ST e, più dettagliatamente, LEVILLAIN, La mécamque... ,
cit., pp. 251 252.
288 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

dei vescovi fuori dell'aula conciliare, spesso per ascoltare i teologi. Il 14,
nonostante fosse stato invitato alla riunione dei vescovi francesi, Congar
preferisce parlare ai vescovi argentini sulla tradizione75 • Sempre lo stesso
Congar il 16 novembre ha un incontro di lavoro con alcuni vescovi
francesi sullo stesso argomento76 • La conferenza episcopale francese ave-
va infatti creato dei gruppi di lavoro, di cui uno era appunto dedicato
al rapporto tra scrittura e tradizione. Ancora il 16 il teologo Mejia, con-
tinuando la sua serie di incontri con un gruppo di vescovi argentini,
parla della storicità delle narrazioni bibliche77 • Nel suo diario il card. Ur-
bani, in data 16 novembre, annota come la riunione dei vescovi italiani
del Triveneto di quel giorno, non fosse arrivata a formulare un atteggia-
mento unanime sullo schema. Il 19 l'esegeta passionista Ahern continua
con le sue conferenze al North American College, parlando dei generi
letterari e suscitando le critiche del delegato apostolico Vagnozzi78 • Ma i
vescovi americani sembrano ormai guadagnati, in grande maggioranza,
alle nuove tendenze esegetiche79 • Non è questo un elenco completo degli
incontri e delle attività fuori dell'aula. Ma esso è sufficiente a farei com-
prendere come gli episcopati, dall'Argentina al Veneto italiano, dalla
Francia agli Stati Uniti, si fossero sottoposti ad un training abbastanza
intenso e come maturassero velocemente nuovi equilibri. La nota di Ur-
bani sulla indecisione dell'episcopato triveneto parla da sé e rivela come,
se è lecito parlare di blocchi, è altrettanto importante notare come que-
sti blocchi al loro interno fossero in movimento.
La commissione teologica sembra, in questo clima, praticamente as-
sente. La relatio di Tromp, dopo la riunione del 13, non ricorda altre
sedute comuni durante il I periodo. Evidentemente Ottaviani non riten-
ne opportuno convocarla dopo quella tumultuosa esp__erienza. J. Fenton80
parla tuttavia nel suo diario di una strana iniziativa. E Schauf, un fedele
di Tromp, a invitarlo per una riunione il pomeriggio del 17 novembre
presso la palazzina S. Marta. Essa è riservata ai «membri fedeli della

75JCng, 14 novembre 1962.


76 JCng, 16 novembre 1962.
77 F-Zazpe, scheda della lezione portante la stessa data.
78 G. FOGARTY, American Catholic Biblica! Scolarship: a Hùtory /rom early Republù:
to Vatican II, S. Francisco 1984, pp. 324 325.
79 Come verrà riferito a Congar il 21 novembre successivo. Inoltre nel suo diario,
17 novembre, Semmelroth annota la necessità di stampare altri 500 esemplari della criti-
ca di Rahner allo schema, alla quale hanno collaborato anche lui e il padre Pfister. La
richiesta veniva soprattutto dai vescovi americani.
80 Costui era stato membro della commissione teologica preparatoria e fu poi perito
conciliare. Era uomo di fiducia di Ottaviani e fu uno dei periti scelti da lui per la com-
missione mista creata per il rifacimento del De /ontibus.
IL PRIMO CONFLITIO DOTTRINALE 289

vecchia squadra (corps) della commissione teologica». Sono presenti


Tromp, Schauf, Salaverri, Lio, Lattanzi, Trapé, Gagnebet, lo stesso Fen-
ton e altri due di cui Fenton non ricorda il nome. Fu atteso inutilmente
Garofalo. Non fu intenzionahnente invitato Philips81 . Di cosa si parlò e
a che titolo? Non è facile capirlo dal diario di Fenton. Comunque co-
stui ricevette da Tromp, alla fine dell'incontro, alcune note scritte dalle
quali trascrisse, a propria memoria, che nella Gaudet mater ecclesia il
papa aveva dichiarato essere il primo scopo del concilio quello di «cu-
stodire e promuovere». Si trattò quindi, con ogni probabilità, di una
conta tra i periti conciliari disposti a difendere quella concezione della
dottrina che era stata alla base della preparazione degli schemi.
Il 19 novembre il consiglio di presidenza, subito dopo la congrega-
zione generale, si riunì e arrivò alla determinazione di proporre un voto
all'assemblea sul quesito che originariamente suonava: «Se la discussione
sullo schema suddetto debba continuare o no»82. Il verbale della riunio-
ne porta tuttavia in nota che la formula fu cambiata in un'altra: «Se la
discussione debba essere interrotta». Il cambiamento fu deciso e comu-
nicato al segretario generale dal presidente di turno, card. Frings, dopo
un intervento del card. Ruffini83 . L'indomani Felici comunicò la decisio-
ne del consiglio di presidenza in aula, suscitando momenti di confusio-
ne84. Evidentemente molti non capivano il senso della votazione o alcuni
si preoccupavano che molti non capissero. Si ebbe quindi un primo
chiarimento del segretario, un secondo chiarimento di Ruffini che chia-
ramente spiegò come «interrompere» significava «rinnovare», «rifare» e,
dopo un intervallo di 11 minuti in cui si deve supporre che già la mag-
gioranza dei vescovi avesse espresso il proprio voto, una ulteriore preci-
sazione di Felici85 . L'esito della votazione, prima annunciato per l'indo-

81 DFnt, nota del 17 novembre.


82 AS V /1, pp. 19 20.
83 Questa nota del verbale concorda con quanto dice CAPRILE, II, pp. 176, anche
se egli riporta basandosi su un appunto di mons. Kempf, uno dei sottosegretari, una
formula più ampia in cui si spiegava che il placet alla proposta di interruzione era fin a
lizzato alla preparazione di un nuovo schema. Questa esplicitazione tuttavia, sempre se-
condo Kempf, ma questa volta in una conferenza stampa ai giornalisti di lingua tedesca,
non sarebbe stata letta in aula, a causa di una dimenticanza di Frings. Giustamente Ca
prile nota la contraddizione di questa affermazione di Kempf, giacché il testo del quesi-
to non fu letto in aula da Frings bensì dal segretario Felici.
84 AS 1/3, pp. 219-223.
85 È difficile stabilire il perché di questa formulazione del quesito. Il regolamento
era sostanzialmente carente sulla eventualità di una votazione che potesse interrompere
la discussione o addirittura respingere uno schema proposto alla discussione, anche se
prevedeva che ognuno si potesse esprimere a riguardo. Ma in precedenza a proposito
290 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

mani e poi invece comunicato in aula, fu chiaro senza che tuttavia si


raggiungesse il quorum dei 2/3 richiesto. Per l'interruzione erano 1.368,
per la continuazione 822. La maggioranza richiesta era invece di 1.473
su 2.209 votanti. Senza ricorrere a ipotesi impossibili da verificare, la
semplice consistenza dei numeri mostrava tuttavia come sulle posizioni
della maggioranza si fossero allineati parti consistenti degli episcopati
che, a chi non aveva saputo cogliere i mutamenti intervenuti durante le
prime settimane conciliari, sembravano invece schierati in maniera com-
patta sulla posizione contraria. La posizione innovatrice non era cioè af-
fatto riducibile agli episcopati dell'Europa centrale e settentrionale. Sen-
za voler sminuire il ruolo di traino svolto da questi episcopati e dai loro
teologi, è quindi innegabile che anche ampi settori dell'episcopato italia-
no, spagnolo, nordamericano e latino americano, apparentemente impe-
netrabili alle istanze innovatrici, avevano, anche se in maniera iniziale,
fatto ormai la loro scelta. Una scelta tanto più significativa, in quanto
comportava il rifiuto di uno schema «approvato» dal papa86 • Ma restava
il fatto che, per la mancanza di 105 voti, un numero irrisorio rispetto
alla quantità dei voti espressi, il concilio sembrava destinato a ingolfarsi
in una crisi irreversibile.
Da quella impasse doveva farlo uscire un intervento straordinario del
papa. Due furono probabilmente i personaggi che più di ogni altro in-
fluirono in quella decisione: Bea e Léger. Nonostante molte voci lo af-
fermassero, non, sembra che il card. Bea abbia il giorno 20 visto diretta-
mente il papa. E vero invece che fu contattato dal cardinal segretario di

della discussione del cap. II della costituzione 1iturgica, il papa aveva concesso al consi
g1io di presidenza la «faculté de proposer à la congrégation générale la dature d'une di
scussion lorsque l' objet de cette discussion aura été, au moins suffisamment exposé et
élucidé.» (AS I/2, p. 159). Si deve supporre quindi che la decisione del consiglio di pre-
sidenza abbia fatto semp1icemente uso di questa facoltà e che, proprio per questo, sia
stata eliminata la parte del quesito che esplicitava la riformulazione de1lo schema?
86 Anche se non è giusto affermare che gli schemi fossero stati «approvati» dal
papa, era proprio questa l'interpretazione dei difensori del1o schema, i quali facevano
appunto leva su questo argomento per sostenere l'inammissibiHtà di un rifiuto globa1e
degli schemi preparatori trasmessi in aula per la discussione. Cfr. gli interventi di Ruffini
(AS I/3, p. 37), Quiroga y Palacios (p. 39), De Barros Camara (p. 68), Fares (p. 85) ecc.
Si trattava di una argomentazione forse efficace per molti, ma priva di qua1siasi fonda
mento. Infatti il benestare del papa non si riferiva al contenuto degli schemi, ma soltan-
to alla loro trasmissione per la discussione in au1a. È quanto giustamente sotto1ineava in
quei giorni un appunto prodotto nell'ambiente di Lercaro, che ricordava il precedente
del Vaticano I e la lettera apostolica del 27 novembre 1869, Multiplices inter, in cui Pio
IX precisava come gli schemi redatti dai teologi e dai canonisti in precedenza, fossero
stati riservati, «nulla Nostra approbatione munita, integra integre Patrum cognitioni»:
archivio ISR, F Alberigo II/5.
IL PRIMO CONFLITIO DOTIRINALE 291

Stato e che, facendosi forte anche del consenso dei cardd. Frings e Lié-
nart, abbia fatto arrivare il suo parere al papa tramite il segretario di
Stato stesso87 • Chi invece vide direttamente il papa fu il card. Léger che,
prendendo spunto da una udienza concessa ai vescovi canadesi la sera
del 20 novembre, chiese e ottenne di poter parlargli in privato88 • In
quella udienza il cardinale canadese presentò con ogni probabilità una
richiesta scritta, che poi il papa ricorderà come «lettera» e gli parlò
<<francamente della situazione». Léger riceve tuttavia l'impressione che il
papa non sia deciso a intervenire, nonostante ritenesse che la maggio-
ranza, espressasi nel voto di rifiuto dello schema, interpretasse fedel-
mente il suo pensiero. Infatti il papa gli ribadisce che il suo messaggio
di apertura era stato abbastanza chiaro: se il concilio di Trento e il Vati-
c~no I avevano fissato l'oggetto di fede, era invece compito del Vaticano
II presentare il messaggio cristiano al mondo moderno e a quello di do-
mani. Non si trattava di elaborare un manuale, ma porre le indicazioni
(jalons) di una scienza teologico pastorale. Léger suggerisce la creazione
di una commissione permanente del concilio che, nell'intersessione, con-
trolli la rielaborazione dei documenti, idea che sembra piacere al papa89 •
Comunque, anche se è impossibile ricostruire, allo stato attuale delle
nostre conoscenze, il modo esatto in cui alcuni personaggi influirono
sulla decisione di Giovanni XXIII90, è certo che, nelle ore successive, il
papa superò le perplessità e l'indomani il card. segretario di Stato, du-
rante la celebrazione della messa con la quale aveva inizio la congrega-

87 DT cc, aggiunta alla nota del 21 novembre, su testimonianza del segretario di


Bea, Schmidt.
88 Diario Léger, nota del 20 novembre. Senza documentazione relativa e con un
<dorse», di una «visita dei cardina)i Montini, Meyer e Léger» al papa, parla R. AUBERT,
Il concilio, in La chiesa del Vaticano II (1958-1978), parte I, Mi1ano 1994, p. 238
8 9 Ibidem. Che non solo questo suggerimento ultimo, riguardante l'intersessione, ma
anche il primo che suggeriva un intervento straordinario abbia avuto un suo innegabile
influsso, lo dimostra a sufficienza la lettera e il regalo di una «vecchia ma preziosa croce
episcopale» che l'indomani il papa invia a Léger. <<Pensavo al nostro incontro di ieri
sera, alla sua lettera così amabi1e, ed alla conversazione che ne seguÌ>>, in GIOVANNI
XXIIl, Lettere, 1958-1963, Roma 1978, pp. 434-435.
90 E ci si può chiedere se Giovanni XXIII non sia stato anche influenzato dall'at
teggiamento che le varie conferenze episcopali gli manifestavano. Si può a questo propo
sito citare l'udienza dei vescovi francesi in data 19 novembre. L'indirizzo del card. Lié
nart conteneva parole come queste: «Voi conoscete troppo bene i vescovi francesi per
ritenerli esposti ad agire, nel concilio, con spirito di parte, o a perseguire, nei lavori di
esso, un'azione separata». Cfr. CAPRILE II, p. 155. Si può aggiungere, ma è del 24 no
vembre, il particolare grazie rivolto dai vescovi tedeschi al papa per il suo intervento sul
De fontibus.
292 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

zione generale91 , consegnò al segretario Felici un documento che riporta-


va la decisione del pa pa92 : il voto del giorno precedente, affermava il do-
cumento recapitato, è infatti origine di preoccupazione. Sebbene suffi-
cientemente indicativo, non era tuttavia a norma di regolamento tale da
definire la questione. Il con trasto delle opinioni emerse dalla discussione
non era inoltre di facile com posizione. Si imponeva quindi di liberare lo
schema da quei difetti che impedivano il formarsi di una «conclusione
desiderata». Perciò il papa, tenuto conto dei motivi che suscitavano la
preoccupazione e «aderendo al desiderio di molti», stabiliva di rimanda-
re la questione ad una commissione mista com posta da alcuni membri
sia della commissione teologica che del segretariato per l'unità. Sarà
compito di questa commissione «emendare lo schema, renderlo più bre-
ve, redigerlo in maniera più consona, insistendo soprattutto sui principi
più generali». E a questo proposito il papa ribadiva il Leitmotiv che an-
dava da tempo ripetendo e che la ormai delineata minoranza tendeva in-
vece ad ignorare: il concilio di Trento e il Vaticano I hanno già esposto
la dottrina presente nello schema. Si tratta quindi, ma questo il papa
non lo esplicitava e lo lasciava concludere agli altri, di presentare questa
dottrina per il mondo di oggi. Nei pochi giorni che restavano, continua-
va il papa, ci sarà tempo «per prendere in considerazione, o almeno
saggiare (delibandi) anche gli altri schemi» Il suggerimento è cioè chia-
ro: il «delibare» qui sta ad indicare una presa di posizione sui caratteri
generali.
La decisione del papa prendeva un po' tutti in contropiede. Per
riempire in qualche modo la giornata il segretario annunciò che sarebbe
continuata la discussione sul I capitolo, iniziata alla fine della mattinata
precedente, e che aveva già visto gli interventi di Tisserant, di Ruffini e
di J acono. La cosa strana è che i relatori iscritti a parlare lo fecero, per
inerzia, forse senza nemmeno rendersi conto che discutevano su un te-

9l La circostanza viene qui riportata in base al nitido ricordo di chi scrive queste
pagine che, dal suo angolo di osservazione, immediatamente alle spalle del tavolo dei se
gretari, poté osservare la sorpresa di Felici, appartatosi a confabulare a lungo con il se-
gretario di Stato. L'iniziativa colse di sorpresa un po' tutti, anche e soprattutto il presi
dente di turno, card. Ruffini che ricevette da Felici la comunicazione portata dal segre-
tario di Stato solo alla fine della messa e con voce strozzata gli diede la parola. Anche
Cicognani aveva cercato di opporsi alla decisione davanti al papa: secondo la testimo
nianza di L.F. Capovilla il segretario di stato «avrebbe espresso al papa le sue perplessi-
tà sull'opportunità dell'intervento, ma Giovanni XXIII aveva decisamente replicato:
"Eminenza, vada pure a comunicarlo. Ho molto pregato e ci ho pensato tutta la notte.
Facciamolo tranquillamente"», cfr. S. SCHMIDT, Agostino Bea cardinale dell'unità, Roma
1987, p. 458.
92 AS 1/3, p. 259.
IL PRIMO CONFLITTO DOTTIUNALE 293

sto che non esisteva più, e comunque solo a futura memoria. Gran par-
te dei presenti si riversò tuttavia nelle navate laterali, del tutto indiffe-
rente a quanto veniva detto, per commentare e scambiarsi le impressio-
ni. Era visibile l'entusiasmo anche degli osservatori. Qualche vescovo
amico si recò alla loro tribuna per dire un amichevole e ironico «vive le
papeh>. Il concilio aveva, senza ancora metterlo per iscritto, fatto forse
uno dei mutamenti più importanti della evoluzione dottrinale della chie-
sa cattolica: l'opzione per la «pastoralità» della dottrina. Se questa era
formulata con nettezza negli interventi del papa, non era tuttavia detto
che fosse altrettanto chiara a tutti. Bea ne aveva dato una interpretazio-
ne autorevole. Hurley, uno dei più lucidi sul nodo effettivo del dibatti-
to, interverrà ancora sull'argomento in occasione della discussione sul
De ecclesia. Comunque cominciava un'era tutta nuova.
Cosa implicava infatti la decisione del papa, una decisione certamen-
te personale e tuttavia perfettamente in linea con la maggioranza del-
1' episcopato, fino a smentire il dettato del «proprio» regolamento, pur
di mettersi in sintonia con esso? Due erano almeno gli elementi che vi
erano contenuti. Uno toccava l'esercizio stesso del primato e l'altro toc-
cava l'equilibrio dottrinale più vasto. Si dava cioè espressione chiara, da-
vanti alla chiesa cattolica abituata da secoli a ben altro stile, e davanti ai
rappresentanti delle altre chiese cristiane, ad una modalità del ministero
primaziale che ne esaltava non solo la capacità di iniziativa, ma ancor
prima quella dell'ascolto. In termini ancora più pertinenti si può dire
che trovava espressione concreta la natura sinodale del primato petrina.
L'altro elemento implicito nella svolta conciliare, confermata dall'in-
tervento di Giovanni XXIII, è dato dal fatto che formule dottrinali co-
dificatesi nell'epoca postridentina, diventavano oggetto di discussione.
Non si trattava di formule di poco conto, ma di alcune formule (quelle
dei rapporti tra scrittura e tradizione) che, sulla spinta della teologia
controversista, avevano per secoli fissato l'identità confessionale cattolica
ed erano state fatte proprie da quello che, a partire dagli anni Sessanta
dell?Ottocento, veniva chiamato magistero ordinario. Era certo possibile
mostrare ai più attenti che si trattava proprio così di ristabilire invece
formule più fedeli allo stesso Tridentino e soprattutto, al di là delle for-
mule, di ritrovare la prospettiva più tradizionale. Ma era questa una
possibilità che fino allora non aveva fatto breccia e che per lo più era
stata guardata con sospetto.
Comunque, la consueta pausa del giovedì, alla ripresa dei lavori nel-
la XXV congregazione generale di venerdì 23 novembre, contribuisce ad
aiutare i vescovi a superare lo choc della votazione del lunedì preceden-
te, e del successivo intervento del papa, dato che iniziano l'esame di un
progetto minore, dove erano del tutto assenti questioni di principio.
Capitolo sesto

Una pausa: i mezzi di comunicazione sociale

In confronto agli altri, allo schema sui moderni mezzi di comunica-


zione sociale fu riservata una discussione molto rapida, nei giorni 23, 24
e 26 novembre 1962; di fatto solo metà della riunione del 26 novembre
fu dedicata allo schema. Questo era stato preparato dal segretariato per
la stampa e i mezzi di comunicazione sociale sotto la presidenza di
mons. O' Connor, che già era stato presidente della commissione ponti-
ficia per il cinema, la radio e televisione per 14 anni1. Il segretario di
entrambe le commissioni era A. Galletto2 • Ciascuna parte dello schema
era articolata in una introduzione e in alcuni capitoli. L'introduzione ge-
nerale motivava l'attenzione del concilio per questa materia e formulava
a tutti gli uomini di buona volontà un invito a ricercare insieme come
usare nel modo migliore i vari mezzi di comunicazione sociale per la
salvezza del mondo3 • Il primo capitolo della prima parte trattava del di-
ritto e dovere della chiesa di occuparsi dei mezzi di comunicazione so-
ciale, mentre i capitoli successivi discutevano_ i mezzi adeguati per la
protezione dell'ordine morale oggettivo e i doveri della società e dei
suoi cittadini in relazione a tale materia 4 • La seconda parte concentrava
l'attenzione sul valore apostolico dei mezzi di comunicazione, special-
mente circa la proclamazione del messaggio cristiano e gli strumenti a
ciò finalizzati, quali giornali quotidiani e settimanali cattolici, riviste, ci-
nema, stazioni radio e televisive. Al fine di facilitare lo sviluppo di que-
sti canali di comunicazione era suggerita l'organizzazione di una giorna-

1 Cfr. SIV l, pp. 218 e 388 389 e E. BARAGLI, L'Inter Mirifica. Introduzione - Sto
ria - Dircussione - Commento - Documentazione, Roma 1969, è probabilmente lo studio
più approfondito dedicato al decreto syi media. Per questa fase del dibattito vedere pp.
119-136. Vedere anche, per esempio, E. GABEL, Le schema sur les moyens de communi-
cations sociale, in Y.M.-J. CONGAR, Vatican II. Le Conci/e au jour le jour, Paris 1963, pp.
135 138.
2 Cfr. Cento, introduzione alla riunione del 23 novembre 1962, AS 1/3, p. 417.
3 Cfr. AS I/3, pp. 374-375.
4 AS I/3, pp. 377 388.
296 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

ta mondiale dei mezzi di comunicazione sociale, giornata in cui dare ai


fedeli la possibilità di sostenere sia spiritualmente che finanziariamente i
mezzi di comunicazione sociale cattolici5. La terza parte trattava delle
norme morali che si impongono sia ai laici che al clero nei loro rapporti
con i mezzi di comunicazione sociale; speciale attenzione era dedicata al
ruolo degli organismi ecclesiali, quali la S. Sede, l'episcopato, i servizi
delle chiese nazionali e le organizzazioni cattoliche internazionali6 . La
parte quarta discuteva separatamente ognuno dei vari mezzi di comuni-
cazione sociale: stampa, cinema, radio e televisione 7 • L'intero schema si
concludeva con una esortazione ai fedeli per la promozione di un ordi-
nato progresso nell'uso dei mezzi di comunicazione sociale8•

1. Presentazione dello schema

Dopo una breve introduzione del card. Cento, lo schema fu presen-


tato da mons. R. Stourm, che era stato recentemente nominato arcive-
scovo di Sens e coinvolto nella elaborazione del documento 9 • Nella sua
introduzione del 23 novembre egli notò, con una certa dose di humour,
che ai padri conciliari era stato dato da discutere questo schema come
un'opportunità per rilassarsi, dopo i giorni alquanto tribolati precedenti
a questa discussione. Stourm, comunque, era pienamente convinto del-
l'importanza dello schema, sebbene questa fosse la prima volta che nella
storia della chiesa un concilio era chiamato a trattare tali materie: per
dimostrare la serietà della discussione, mise in evidenza che le industrie
della stampa, cinema, radio e televisione erano in grado, nell'insieme, di
raggiungere più di 18 miliardi di persone all'anno 10 • Stourm proseguì
l'introduzione notando le grandi potenzialità di tutti i mezzi di comuni-
cazione sociale per la proclamazione del Vangelo. A suo parere era im-
portante che la chiesa prendesse una posizione positiva e costruttiva in
materia e che, in linea con l'esplicito ottimismo di Pio XII, esprimesse
direttive e definisse i principi fondamentali della materia, senza chiudere

5 AS pp. 3 89-394.
1/3,
6 AS 113pp. 39 5 400.
I

7 AS pp. 401-415.
113,
s AS p. 416.
113,
9 AS pp. 418-423.
113,
10 Stampa: 8.000 giornali (300 milioni neJla circolazione quotidiana), 22.000 altri
giornali (200 milioni nella circolazione quotidiana); cinema: 2.500 film all'anno, 17.000
sale, 17 miliardi di spettatori annui; radio: 6.000 stazioni (400 milioni di ascoltatori); te-
levisione: 1.000 stazioni (120 milioni di spettatori).
I MEZZI DI COMUNICAZIONE SOCIALE 297

gli occhi sui limiti e i pericoli presentati dalle varie dimensioni dei mezzi
di comunicazione sociale. Tre questioni importanti avevano impegnato
coloro che erano stati incaricati dell'elaborazione dello schema: la chiesa
come maestra 11 , la chiesa come madre 12 e il ruolo di coordinamento del-
la chiesa su tre livelli: internazionale, nazionale e diocesano. A tale pro-
posito Stourm richiese l'istituzione di una «Domenica delle comunica-
zioni», nella quale attribuire, in ogni parte del mondo, la dovuta atten-
zione a tali importanti questioni.
Come apparve chiaro dalla sua anticipata apologia, Stourm era con-
scio del fatto che lo schema avrebbe potuto essere oggetto di critiche a
più livelli. Alcuni padri conciliari, per esempio, ritenevano che fosse
troppo lungo e che contenesse troppe ripetizioni. Circa la lunghezza
dello schema, l'arcivescovo notò che essa si doveva al fatto che ben po-
che persone avevano familiarità con la materia e alla necessità di una
specifica riflessione teologica. Quanto alle ripetizioni, per Stourm era
evidente che queste sarebbero state eliminate13 •
In conclusione, l'arcivescovo fece riferimento ancora una volta al-
1' enorme potenziale presente nei vari mezzi di comunicazione sociale e
alla sfida tecnologica, sfida che si presentava all'intera chiesa, nel suo
compito di proclamare il Vangelo da un capo all'altro del mondo mo-
derno.

2. La discussione in aula

A dispetto dell'evidente sostegno di Stourm allo schema e della sua


insistenza sulla sua importanza per la chiesa, un numero assai esiguo di
padri, solo 54 in totale, ritennero di intervenire sulla questione14 • La
grande maggioranza degli interventi vennero dai vescovi europei (34 ),
seguiti dagli americani (8)15, africani (5) 16 e asiatici (4). I membri della

11 Con questo intendeva il ruolo educativo della chiesa in relazione all'uso della
stampa e degli altri mezzi di comunicazione, AS 113, pp. 420 421.
12 Con l'aiuto delle persone di buona volontà, la chiesa come madre si propone di
mostrare l'importanza dei vari mezzi di comunicazione per la proclamazione del messag
gio cristiano, AS 113, p. 421.
13 L'arcivescovo avverti, tuttavia, che ciò che ad una prima lettura poteva apparire
una ripetizione, poteva in realtà non esserlo, AS 113, pp. 421 422.
14 Altri 43 membri del concilio presentarono interventi scritti, AS 113, pp. 563 609.
15 5 oratori erano latinoamericani e 3 nordamericani. Sia Tagle (Cile) che Fernan-
dez Feo Tinoco (Venezuela) parlarono a nome degli altri vescovi dei rispettivi paesi.
l6 Va notato che sia Nwedo (Nigeria) che Perraudin (Rwanda) parlarono il 24 no
298 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

curia si limitarono a tre interventi. Inoltre, solo a fatica si può dire che
gli stessi interventi siano stati degni di nota, o che a questi sia stata data
molta attenzione dalla stampa - il vero oggetto della discussione, che
era già stata infarmata dello schema il 21 novembre 17 • La mancanza di
attenzione è tanto più sorprendente se si considera che, oltre all'onni-
presente card. Ruffini, altre figure importanti, quali Spellman, Bea, Sue-
nens, Godfrey e Léger, ritennero necessario manifestare il loro pensiero
in materia. Rimase tuttavia l'impressione che l'argomento in discussione
si fosse in qualche modo smarrito tra l'emotivo dibattito sulla rivelazio-
ne, la discussione del decreto sull'unità della chiesa, la formulazione del-
la costituzione su Maria e la costituzione sulla chiesa, che Felici aveva
annunciato il 23 novembre, prima della presentazione del decreto. Dato
il generale interesse che circondava queste materie più «tradizionali», è
difficile immaginare che si attribuisse molta attenzione ad una questione
in cui la chiesa cattolica romana aveva ben poca esperienza e alla quale
molti, con poche notevoli eccezioni18 , guardavano con alterigia19 • Nello

vembre a nome dell'intero episcopato africano: AS 1/3, pp. 468 469, 476 478. Sebbene
le fonti da me consultate non diano spiegazione del perché entrambi abbiano parlato a
nome dell'episcopato africano, ciò fu probabilmente dovuto alla divisione dei vescovi
africani in due gruppi, tra francofoni e anglofoni. Nwedo plausibilmente parlò a nome
dei vescovi anglofoni e Perraudin per i vescovi francofoni. Dal punto di vista del conte
nuto entrambi gli interventi sono chiaramente dello stesso tenore.
17 Nella conferenza stampa tenuta da E. Baragli nella sala del concilio. Cfr.
«OssRom», 23 novembre 1962. Lo studio Konzilschronik in Das Zweite Vatikanische
Konzil, vol. III, in «L TK», pp. 632 633 è assai rivelatore a questo proposito. Oltre a un
breve comunicato del 23 novembre e una citazione alla fine del dibattito il 26 novem
bre, non vi sono altri riferimenti alla discussione. Bisogna comunque aggiungere subito
che mons. F. Vallainc, capo del servizio stampa ufficiale del concilio, non era esattamen
te innamorato della stampa. Cfr. R. KAISER, Inside the Council..., cit., p. 180. Secondo
Kaiser, Vallainc aveva scritto ad un giornalista pochi mesi prima del concilio: «Non ab-
biamo bisogno della stampa». Quest'atteggiamento in realtà non si accordava con i com
piti dell'ufficio stampa; dr. Pro memoria sull'Ufficio Stampa; carte De Vet (Archivi epi-
scopali di Breda), non numerato; non datato.
18 KAISER, Inside the Council..., cit., pp. 180 181 cita il segretario del papa Capovil
la, il segretario di Stato Cicognani e mons. I. Cardinale, oltre al papa stesso.
19 Il fatto che V allainc non fosse l'unico responsabile degli insufficienti rapporti
con la stampa è evidente da R. LAURENTIN, L information au conci/e, in Deuxième, pp.
1

364-368; J. GROOTAERS, L in/ormation religieuse au début du Conci/e: instances offt'cielles


1

et réseaux in/ormels, in Vatican II commence, pp. 218-219. Comunque, secondo la rela-


zione del luglio-agosto 1963, intitolata L'Ufficio Stampa del Concilio Ecumenico Vaticano
II (p. 12), «I commenti sull'efficienza della Sala stampa e dei servizi tecnici sono stati
universalmente favorevoli» (p. 8), sebbene più oltre nella relazione vengano riconosciute
critiche della stampa (p. 9); carte De Vet (Archivi episcopali di Breda).
I MEZZI DI COMUNICAZIONE SOCIALE 299

stesso tempo, va anche riconosciuto che alcuni padri, convinti dell'im-


portanza della questione, criticavano l'apparente mancanza di interesse20 •
Se si esaminano da vicino gli interventi, dal punto di vista del conte-
nuto si è immediatamente colpiti dal fatto che, contrariamente, ad esem-
pio, ai loro interventi sullo schema liturgico, i padri tendono a rimanere
sulle generali e a prestare minore attenzione ai dettagli specifici. Nello
stesso tempo, comunque, bisogna notare che, parlando in generale, i pa-
dri trattarono lo schema con interventi di alto livello21 ed espressero la
propria soddisfazione per il fatto che la chiesa si occupava di questa im-
portante materia22 , benché non tutto fosse stato pienamente giustificato
a livello filosofico e teologico 23 . In più di una occasione si riconobbe
che, data la società attuale, il documento trattava un tema di grande im-
portanza per la chiesa24 . Ciò valeva certamente per i giovani che viveva-
no nel mondo delle immagini25 ; ma anche per gli adulti i vari mezzi di
comunicazione giocavano un ruolo importante nella loro vita, a più li-
velli26. In effetti, come sottolineò Léger, la gente tendeva a interessarsi
più di questa materia che di questioni dottrinali 27 . Molti oratori sottoli-
nearono che lo schema testimoniava una forte motivazione pastorale2 8 •

20 Cfr. GABEL, Le schema sur /es moyens... , cit., p. 136. TI 24 novembre, per esem
pio, molti oratori sottolinearono che l'importanza dello schema non avrebbe dovuto es
sere sottovalutata; per esempio Léger, AS 113, p. 460. A questo proposito è di primario
interesse losservazione sulla necessità di non ridurre l'importanza dei mezzi di comuni
cazione in vista di una loro possibile funzione di diffusione della fede.
2 1 Vedere, per esempio, Spellman; Ruffini; il vescovo A. Sanschagrin (Amos, Cana
da); il vescovo H. Bednorz (Katowice, Polonia); V. Bryzgys (vescovo ausiliare di Kaunas,
Lituania); Suenens; larcivescovo A. Perraudin (Kabgayi, Rwanda, a nome dell'intero epi-
scopato africano); il vescovo A. Nwedo (Umuahia, Nigeria, anch'egli a nome dell'intero
episcopato africano): AS 113, pp. 423, 424, 427, 433, 449, 462, 468, 476.
22 TI vescovo L. Lommel (Lussemburgo) notò che la stampa e gli altri mezzi di co-
municazione erano apprezzabili, indipendentemente dalle opportunità che offrivano alla
chiesa cattolica romana. Propose che questo valore intrinseco fosse adeguatamente mes
so in evidenza nell'introduzione del documento, AS 113, p. 497. Cfr. anche Spellman
(New York), AS 113, p. 423.
23 Léger, AS 113, p. 461.
24 E. D'Souza (Nagpur, India), AS 113, p. 440.
25 Cfr. il vescovo H. Bednorz (Katowice, Polonia), AS 113, p. 434.
26 Cfr. i vescovi A. de Castro Mayer (Campos, Brasile); A. Renard (Versailles, Fran
cia): AS 113, pp. 445, 469 470.
21 AS 113, p. 460.
28 TI card. Ruffini; il vescovo G. Beck (Salford, Inghilterra): AS 113, pp. 424, 429.
Secondo il card. Suenens, era anche necessario che lo schema fosse pastorale e che per
questo si distinguesse dagli schemi dottrinali, che richiedevano un diverso approccio, AS
113, p. 462.
300 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

Esso si era guadagnato un proprio legittimo spazio nei lavori del conci-
lia29, specialmente perché i media erano divenuti la via principale per la
diffusione delle informazioni in tempo reale3°. Vi fu anche la richiesta
dell'istituzione di una agenzia di stampa vaticana31 • Per lo meno ci si
doveva impegnare per sviluppare la commissione pontificia esistente in
una organizzazione internazionale, nazionale e diocesana, efficiente nel-
1' area dei mezzi di informazione e di formazione della pubblica opinio-
ne32. Venne cortesemente aggiunto, comunque, che agli schemi come
quelli sulla liturgia e sulla chiesa era stata riconosciuta a ragione un'im-
portanza maggiore3 3 •
Globalmente si può dire che lo schema ricevette un'accoglienza po-
sitiva. Sebbene un commento di questo genere fosse più l'eccezione che
la regola, un membro del segretariato De scriptis prelo edendis et de
spectaculis moderandis fece notare ancora che il concilio, dati gli stretti
limiti di tempo a disposizione, stava perdendo tempo discutendo su
questa materia, nonostante il grado di approfondimento con cui era sta-
ta esaminata durante il periodo preparatorio34 • Un'altra eccezione è rap-
presentata dalla domanda di W. Godfrey, arcivescovo di Westminster,
sull'opportunità della presenza dello schema in un concilio ecumenico; a
suo parere avrebbe dovuto piuttosto essere pubblicato in un documento
separa to35 •
Benché i commenti critici rappresentassero l'eccezione, va rilevata,
peraltro, qualche ambiguità nelle stesse approvazioni. Alcuni, per esem-
pio, apprezzarono lo schema poiché, al di là della predicazione del Van-

29 Cfr., per esempio, l'arcivescovo E. D'Souza (Nagpur, India), AS V3, p. 440.


3 °
Cfr. f arcivescovo F. Charrière (Ginevra-Losanna Friburgo), AS V3, p. 435.
31 Bea, AS V3, p. 466.
32 Il vescovo A. Ona de Echave (Lugo, Spagna) richiese anche la formazione di
commissioni diocesane sui mezzi di comunicazione, commissioni che, consultandosi con
il servizio stampa internazionale, stabilissero quale fosse l'uso migliore possibile delle oc-
casioni disponibili, AS V3, pp. 487 488.
33 Bednorz, AS V3, p. 433.
34 G. Beck (Salford, Inghilterra), AS V3, p. 429. Abbastanza stranamente questo
membro della commissione preparatoria ritenne che in proposito era già stato detto a
sufficienza da Pio XI, Pio XII e Giovanni XXIII, cfr. ibidem, p. 430: «lam vero, in his
documentis inveniri possunt non solum omnia principia quae observanda sint in usu
mediorum communicationis socialis, sed etiam id quod in praxi faciendum est ad peri
cula vitanda et ad veritatem diffundendam pro bono totius Ecclesiae». Lo stesso dichia-
rò pubblicamente che il proprio tempo era stato sprecato, ma con spirito aggiunse che
le commissioni preparatorie avevano probabilmente peccato «ignoranter», cfr. ibidem, p.
431.
35 AS V3, p. 459.
I MEZZI DI COMUNICAZIONE SOCIALE 301

gelo, vi avevano visto l'opportunità di porre l'alt a ciò che considerava-


no le aberrazioni dominanti in materia di fede e costumi36 • A questo
proposito va notato che lo schema, insieme ai vari appelli per l'afferma-
zione dei diritti della chiesa cattolica in questo ambito, usò spesso il
tono esortativo.
Quasi tutti erano d'accordo sulla sua eccessiva lunghezza: lo sottoli-
neò anche il card. Spellman, primo oratore della giornata. Riteneva che
lo schema approfondisse troppo certi punti molto specifici, che abbon-
dasse nelle ripetizioni37 e che quindi fosse urgente una drastica riduzio-
ne38. I mezzi di comunicazione sociale si stavano moltiplicando di gior-
no in giorno, e non avrebbe avuto senso una guida dettagliata, data la
perdurante crescita delle possibilità dei media39.
Una delle critiche più importanti al documento sottolineò che, nono-
stante il laicato riscuotesse molto successo nel campo dei media, lo spa-
zio riservatogli nello schema era del tutto secondario. Nella seduta del
23 novembre, tra le altre40, questa critica fu puntualmente espressa dal-
l'arcivescovo Enrique y Taranc6n di Solsona. Egli si chiese se i sacerdoti
avessero la competenza necessaria per trattare dei mezzi di comunicazio-
ne; in tale area i laici avevano necessariamente un primato di competen-
za e esperienza, e sarebbe stato saggio fare uso di tale abilità in questo
caso concreto41 • Altri oratori, in linea con l'esortazione del numero 41 a

36 Ruffini, AS I/3, p. 424. Vanno citate anche le critiche di Castro Mayer sull'indif
ferenza morale della stampa e delle organizzazioni cinematografiche cattoliche. Anche i
cinema cattolici proiettavano film non proprio edificanti, AS I/3, p. 446. Léger, per par
te sua, trovò che, ove si trattava di costumi, le questioni erano presentate troppo negati
vamente, AS I/3, p. 461.
37 «... quae nimis longa apparent, res particulares ninris evolvunt, et repetionibus
abundant», AS I/3, p. 424. Si possono trovare sia richieste di abbreviazione dello sche
ma sia critiche sulla sua prolissità nei seguenti interventi: Ruffini, Beck (Salford, Inghil
terra), Bednorz (Katowice, Polonia), F. Charrière (Ginevra-Losanna-Friburgo), E. Fer
nandez Conde (Cordoba, Spagna), D'Souza (Nagpur, India), A. de Castro Mayer (Cam-
pos, Brasile), W. Godfrey (Westminster, Inghilterra), Léger e Suenens: AS I/3, pp. 424,
430, 434,436, 437,440,445, 459, 461, 462.
38 Vedere anche, per esempio, gli interventi dei vescovi V. Enrique y Taranc6n
(Solsona, Spagna), J. Heuschen (vescovo ausiliare di Liegi, Belgio), A. Fernandez Feo
Tinoco (San Cristobal, Venezuela, a nome dei propri colleghi): AS I/3, pp. 425, 447,
522 523.
39 Vedere Enrique y Taranc6n, AS I/3, p. 425.
40 Anche nella riunione del 24 novembre 1962.
4l AS I/3, p. 426: «Sed etiam in hoc sensu apostolico necessarium duco patefacere
hanc actionem aptiorem laids quam sacerdotibus esse»; cfr. anche Léger, Suenens e Mé
nager: AS I/3, pp. 462, 464l 467.
3 02 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

formare sacerdoti, religiosi e laici in questa materia 42 , evidenziarono que-


sta necessità riconoscendo ai laici la priorità in questo campo43 .
In un appello degno di nota, E. D'Souza tentò di introdurre un at-
teggiamento piu positivo verso i mezzi di comunicazione sociale; non
solo la chiesa ma anche le altre istituzioni avevano diritti e responsabili-
tà44. Il testo in esame ripeteva fin troppo ciò che era già stato detto nel-
le encicliche, ma dava l'impressione di non essere sufficientemente con-
scio delle straordinarie possibilità offerte nel mondo contemporaneo dal-
l'uso dei mezzi di comunicazione sociale, per esempio, in riferimento
alle carestie o alle calamità. Non erano forse i mezzi di comunicazione
gli strumenti ideali per mostrare a ciascuno le proprie responsabilità in
ordine ai gravi problemi mondiali? 45 D'Souza aggiunse, inoltre, che il
laicato doveva essere incoraggiato a un adeguato uso dei mezzi di comu-
nicazione, senza attendere di essere guidato in ogni dettaglio dal clero46 .
Nel suo intervento del 24 novembre, Léger sottolineò anche l'importan-
za della cura dei mezzi di comunicazione per il bene della chiesa, ma,
con D'Souza, trovò nel documento un atteggiamento troppo giuridico,
troppo preoccupato dei diritti della chiesa47 . Avrebbe preferito una
maggiore attenzione all'interesse pastorale della chiesa in tale ambito48 .

42 AS I/3, p. 391.
43 J. Heuschen (vescovo ausiliare di Liegi), AS I/3, p. 447. Questo vescovo aveva
ben poco entusiasmo per la creazione di una istituzione cattolica: «Penetrare debemus
in istituta existentia, non nova creare. Secus plerumque confiteri debebimus: notitiae no
strae serius advenerunt. In hac materia mora unius diei aequivalet praedio deperdito».
Vedere anche, per esempio, Suenens, Ménager, Kozlowiecki: AS I/3, pp. 464, 467-468,
512. Il vescovo Ona de Echave (Lugo, Spagna) chiese che vi fosse una precisa demarca
zione tra l'ambito dei sacerdoti e quello dei laici; notò quindi che il compito proprio
della chiesa, di proclamare il messaggio, era affidato in prima persona ai vescovi e ai sa
cerdoti, e che era perciò necessario assicurare ai sacerdoti la necessaria formazione in
materia, AS I/3, pp. 486 488.
44 A tal proposito vedere anche gli interventi del vescovo J. Hoffner (Miinster,
Germania), AS I/3, pp. 505-506; il vescovo S. Moro Briz (Avila, Spagna) sottolineò an
che che il documento parlava molto dei diritti della chiesa «dum et contra silet de eccle
siae officiis», AS I/3, p. 508.
45 D'Souza (Nagpur, India), AS I/3, pp. 440 442; il vescovo Bryzgys (Kaunas, Li
tuania) e l'arcivescovo Albert Soegijapranata (Semerang, Indonesia), AS I/3, pp. 450,
452, vedevano opportunità positive per la chiesa.
46 AS I/3, pp. 441 442.
47 Con accenti simili, F. Simons (Indore, India) notò che mentre la chiesa cattolica
rivendicava i propri diritti da un capo all'altro del mondo, essa, quando erano in suo
possesso, 1i negava agli altri, AS I/3, pp. 523 524.
4 8 AS I/3, p. 461; Léger fu appoggiato, tra gli altri, da Bea, da J. Menagér (Meaux),
L. Bernacki (ausiliare di Gniezno, Polonia), A. Sana (Akra, Irak): cfr. AS I/3, pp. 465,
467, 471, 521. A. Civardi riteneva che nella parte I,l si fosse dedicata troppo poca at-
I MEZZI DI COMUNICAZIONE SOCIALE 303

Molti erano convinti che le varie forme dei media sarebbero state uno
splendido strumento per la chiesa. Spellman, per esempio, sulla base
della propria esperienza negli Stati Uniti, vedeva nei mezzi di comunica-
zione un'opportunità di cooperazione tra cattolici e non cattolici, con
un occhio alla santificazione dell'umanità e della società intera 49 • Secon-
do Wyszyriski, la radio e la televisione offrivano la sola possibilità di
proclamare il messaggio cristiano a coloro che erano indifferenti alla
messa, soprattutto in un tempo in cui era diminuita l'abitudine alla let-
tura50.
Alcuni oratori lamen tarano anche le carenze dello schema circa la
denuncia dei pericoli connessi ai mezzi di comunicazione51 • Ritenevano
che lo schema avrebbe dovuto dare un più chiaro avvertimento contro il
disordinato e ampio uso dei media (non a caso aleggiarono termini
come «naturalismus» e «sensualismus») e che gli addetti ai lavori avreb-
bero dovuto essere meglio preparati a resistere alle tentazioni52 • I fedeli
si attendevano chiaramente che il concilio fornisse efficaci regole per
questa complessa materia53 . Nello stesso tempo, lo schema era evidente-
mente troppo ottimistico, dato che trattava un oggetto che frequente-
mente serviva fini meno onorevoli e spesso degenerati54 • Alcuni non ve-
devano come i cattolici potessero avvantaggiarsi dall'acquisizione di
esperienza circa il cinema e la televisione55 . Il clero, ovviamente, doveva

tenzione al dovere della chiesa di parlare de1lo svago in connessione con i mezzi di co
municazione. Mentre riteneva che i media avessero spesso una influenza perniciosa sugli
utenti manteneva ancora un atteggiamento largamente positivo nei confronti dello sche
ma, Às I/3, pp. 503-504; cfr. anche, per esempio, Del Pino G6mez (Lerida, Spagna),
AS I/3, pp. 518-519.
49 J. Hoffner (Miinster, Germania) fece un rilievo simile, AS Il?, pp. ~18-519 . . .
50 AS I/3, p. 458. Il cardinale si riferiva qui a IV,3: «De radiophoma et televis10
ne», AS, I/3, pp. 410 413. Anche Suenens indicò che i mezzi di comunicazione poteva-
no talvolta avere, a causa della passività, un effetto negativo sul fedele; nello stesso tem
po il cardinale richiese una chiara affermazione .del .fatto che il diritt~ a1l'informazione
non doveva intaccare la sfera privata; A. Kozlow1eck1 (Lusaka, Rhodesia del Nord), per
esempio, espresse un desiderio simile: AS I/3, pp. 463-464, 511. .
51 «Nemo non videt quaestiones ordinis moralis quae ex usu horum mstrumento
rum communicationis derivantur>>: Fernandez Conde di Cordova, AS I/3, p. 436; dr.
anche R. Boudon, AS I/3, p. 453. Circa i pericoli legati ai film, vedere, per esempio, M.
Llopis Ivorra, vescovo di Coria-Caceres (Spagna), AS I/3, p. 432.
52 Cfr. de Castro Mayer, AS I/3, p. 446.
53 Cfr. Fernandez-Conde; G. D,Avack (Camerino, Italia): AS I/3, pp. 436, 439 440.
54 J. D'Avack, AS I/3, p. 438; cfr. anche il suggestivo intervento di A. de Castro
Mayer, AS I/3, p. 445.
55 D,Avack, AS I/3, p. 439.
304 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

essere massimamente attento nel trattare la materia56 , ma grande atten-


zione ci si aspettava anche dai genitori nell'educazione dei figli57 . Si per-
cepì cautela anche tra coloro che avevano parlato molto positivamente
dello schema: oltre alle valide opportunità offerte dai mezzi di comuni-
cazione, questi minacciavano di sostituirsi al giudizio personale dei pro-
pri ascoltatori proprio per la facilità con cui il loro messaggio veniva as-
similato58. Si notò, inoltre, che il diritto all'informazione59 non avrebbe
dovuto mettere a repentaglio la vita privata delle persone pubbliche60 .
Sarebbe una vera esagerazione affermare che a questo punto il Vati-
cano si fosse attivato sul versante dell'informazione. I media mostravano
con ragione e ripetutamente la mancanza di informazione da parte del
servizio stampa internazionale, tanto quanto la goffaggine del servizio
stampa ufficiale o de «L'Osservatore Romano» 61 . Vi fu qualcosa di tragi-
comico quando, nel primo giorno di discussione dello schema, il vesco-
vo ausiliare canadese Sanschagrin affermò - in un intervento assai este-
so62 - la necessità per il Vaticano di assicurare un più rapido scambio di
informazioni con vescovi circa le decisioni di Roma. In alcune località
trascorreva fino ad un mese prima che i vescovi fossero informati di una
decisione romana: le prime informazioni venivano dalla stampa, sintetiz-
zate e distorte in maniera da apparire poco attendibili e fonte di confu-
sione per i fedeli. I vescovi avevano un bisogno vitale di informazioni63 .
La stampa si lamentava perché non poteva avere informazioni a Roma!
I vescovi si lamentavano invece che la stampa fosse informata prima di
loro. Si trattava certo di una situazione singolare.

56 Cfr. AS 1/3, p. 439; L. De Uriarte Bengoa (San Ramon, Perù), per esempio, si
scagliò contro il fatto che spesso i sacerdoti mancassero ai propri doveri pastorali a cau
sa del cinema e della televisione, AS 1/3, p. 490.
57 D'Avack, AS 1/3, p. 439. Secondo Bryzgys (Kaunas, Lituania), i media avevano
sull'educazione dei figli un impatto maggiore che non sui loro genitori, AS 1/3, p. 450;
Hoffner sottolineò l'importanza di una scelta ragionata nell'uso dei media, AS 1/3, p. 505.
58 Cfr. Charrière, AS 1/3, p. 435.
59 Trattato al numero 21, AS 1/3, p. 382.
60 Cfr. Suenens, AS 1/3, p. 463.
6l Sebbene si fosse tenuta nella sala stampa del concilio, la conferenza stampa del
protestante O. Cullman del 23 novembre fu riportata da «OssRom» solo il 25 novem
bre, e solo a pagina 4, sotto il poco stimolante titolo In margine al Concilio. Dichiarazio-
ni di un «Osservatore» valdese. Ci si poteva aspettare di più da un concilio ecumenico.
62 Cfr. AS 1/3, pp. 427 429.
63 Cfr. AS 1/3, pp. 427-429. Per illustrare questo punto Sanschagrin fece notare
come il termine «socializatio» nella Mater et magistra fosse stato talvolta usato dalla
stampa per benedire il socialismo, mentre i vescovi scoprirono solo settimane dopo il
vero contenuto dell'enciclica.
I MEZZI DI COMUNICAZIONE SOCIALE 305

Il dibattito del 24 novembre si sviluppò secondo linee analoghe.


Dopo aver inviato al papa un telegramma di congratulazioni per il suo
ottantunesimo compleanno, il 25 novembre, 24 padri presero la parola
per confermare e riprendere le osservazioni del giorno precedente. L'im-
portanza dei media veniva rapportata alla proclamazione della Buona
Novella64 : le possibilità di tipo universale offerte dalla tecnologia dove-
vano essere impiegate per proclamare la Buona Novella in tutto il mon-
do. Nello stesso tempo, si considerava la positiva opportunità di procla-
mare l'insegnamento della chiesa cattolica in uno spirito ecumenico ai
cattolici e ai non cattolici65 • D'altra parte, veniva data priorità alla coo-
perazione del laicato cattolico con gli altri cristiani per influenzare la
pubblica opinione attraverso i media66 • Si aggiunse qui che si poteva a
ragione vedere nei media un dono di Dio, nel senso che offrivano op-
portunità per la creazione di una nuova civilizzazione e di una nuova
cultura. I padri non mancarono di aggiungere, comunque, che non si
doveva permettere a questo dono di recare danno alla cristianità. I mez-
zi di comunicazione, si notò, consentivano di creare un fronte per la dif-
fusione e la difesa dei fondamentali valori e diritti umani.
Va da sé che si ebbero frequenti riferimenti alla «applicabilità» dei
media per la proclamazione del Vangelo, specialmente dai paesi del Ter-
zo Mondo. Due interventi, entrambi a nome dell'episcopato africano,
sottolinearono, ad esempio, che radio e televisione erano tra le più im-
portanti strade aperte per i vescovi cattolici e che, almeno in Africa, il
pieno uso di tali mezzi di comunicazione avrebbe potuto agevolare la
predicazione del messaggio cristiano. Fu espressa anche la speranza che
le aree più ricche del mondo assistessero le comunità più povere in que-
sto sforzo67 • Anche i vescovi d'oltre cortina parlarono assai positivamen-
te circa le possibilità offerte dai mezzi di comunicazione per la procla-
mazione del messaggio cristiano68 • Charrière fece notare che con i media
si poteva raggiungere non solo il mondo intero, ma anche le singole fa-

64 Citato già il 23 novembre da J. Heuschen, AS I/3, p. 448; vedere anche Ona de


Echave, AS I/3, p. 487.
65 Bea, AS I/3, pp. 465 466.
66 Bea, AS I/3, p. 466. Bea sottintendeva qui che il fine ultimo dovesse essere la
cooperazione tra tutti gli uomini di buona volontà.
67 Cfr. i discorsi di Perraudin e Nwedo: AS I/3, pp. 468-469, 476 478; vedere an-
che l'arcivescovo L. Duval (Algeri, Algeria), il vescovo S. Soares de Resende (Beira, Mo-
zambico): AS I/3, pp. 506, 516.
68 «Debemus hoc in memoria retinere ut possimus magis magisque contribuere ad
divulgandam doctrinam catholicam in hac materia existentem»: Bednorz (Katowice, Po
Ionia), AS I/3, p. 434.
306 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

miglie. Riteneva, perciò, che la chiesa non dovesse essere assente da


questo ambito considerando la natura <<rivelata» del cristianesimo69 •
Oltre a questi rilievi piuttosto generali, che in realtà costituivano la
parte principale degli interventi, ve ne furono alcuni pili specifici70 • Cir-
ca la parte IV dello schema sulla stampa71 , vi fu un riferimento all'im-
portanza della presenza cattolica nelle agenzie di stampa72 • Erano insur
fidenti i rapporti tra le agenzie di stampa e le fonti cattoliche, anche
quando queste ultime fossero in possesso di informazioni di primario in-
teresse. Le frequenti rettifiche delle notizie da parte cattolica davano
un'impressione negativa73 • Infine, si notò che i mezzi di comunicazione
offrivano l'opportunità di promuovere la cooperazione tra le maggiori
organizzazioni mondiali.
Il dibattito si chiuse il 26 novembre. Dopo aver letto il ringrazia-
mento del papa per il telegramma d'auguri, e dopo l'annuncio che lo
schema Ut unum sint sarebbe stato discusso una volta concluse le vota-
zioni sullo schema ora in esame, altri l3 oratori presero la parola. Non
vi fu molto di nuovo74 : si ripeté l'elogio dello schema e vennero ricapi-
tolati i pericoli connessi ai moderni mezzi di comunicazione. Inoltre si
levarono richieste di fondare istituti per la formazione cristiana di diret-
tori e attori. Si notò, contemporaneamente, che i cattolici vivevano in
una società pluralista e che avevano quindi il dovere di operare scelte
corrette a proposito di giornali e programmi televisivi.
Il giorno seguente i padri passarono al voto su una proposta che
conteneva tre punti:
1) lo schema era in sostanza approvato75 ;

69L'arcivescovo F. Charrière (Losanna F riburgo), AS I/3 , p. 43 5.


70Vedere, ad esempio, la filippica del vescovo G. Ruotolo (Ugento, Italia) contro il
positivismo e l'idealismo, in relazione al numero 22 dello schema, che trattava della li
bertà nell'arte, AS I/3, pp. 484 486.
11 AS 1/3, pp. 401 406.
72 Non tutti avevano la stessa fiducia nelle agenzie di stampa internazionali. Si può
anche dedurre dall'intervento di M. Gonzalez Martin (Astorga, Spagna) che non sempre
i cattolici si scambiavano notizie nella maniera adeguata, AS I/3, pp. 479-480. P.
Gouyon (Bayonne, Francia) trovò che i numeri 80 82 del capitolo N non spiegavano in
maniera sufficientemente chiara la missione della stampa cattolica. Mons. Duval, nello
stesso tempo, accennò ai problemi che si sarebbero incontrati nella costituzione di una
stampa cattolica nei paesi in cui i cattolici costituivano un'assoluta minoranza: AS I/3,
pp. 482 484, 507.
73 Cfr. J. Heuschen, AS I/3, p. 447.
74 Sei di essi annunciarono che non avevano avuto la possibilità di prendere la pa
rola!, cfr. AS 113, p. 502.
75 Come si può dedurre dal testo, si riconosceva esplicitamente che la chiesa, nel
I MEZZI DI COMUNICAZIONE SOCIALE 3 07

2) considerate le osservazioni fatte dai padri conciliari, si incaricava


la competente commissione di stralciare dallo schema i principi dottri-
nali essenziali e le direttive pastorali più generali, sì da conferire loro
una formulazione, che - conservandone integra la sostanza - fosse più
breve e potesse a suo tempo essere proposta alla votazione dei padri;
3) le necessarie iniziative pratiche sarebbero state incluse in una
istruzione pastorale formulata a cura dell'ufficio menzionato al numero
5716.
2.160 padri erano presenti al voto: 2.138 votarono a favore - una
maggioranza davvero schiacciante -, 15 votarono contro, 7 i voti non
validi. Lo schema era quindi accettato, almeno nei suoi aspetti essenzia-
li. Ora doveva passare alla commissione per le rielaborazioni e abbrevia-
zioni richieste.

3. La rielaborazione in commissione

Sul lavoro della commissione è possibile essere piuttosto brevi. Co-


minciò i lavori abbastanza in ritardo77 • Dopo avere acquisito i 26 inter-
venti scritti, il 3 dicembre si apprestò a mettere ordine nelle Animadver-
siones. Gli interventi furono divisi in 4 gruppi: il primo conteneva gli
elogi allo schema; il secondo le proposte relative, ad esempio, al funzio-
namento de «L'Osservatore Romano» o della Radio Vaticana, all'uso
della posta aerea da parte della Santa Sede per informare tempestiva-
mente i vescovi delle decisioni di Roma, alla promozione di una confe-
renza internazionale per la difesa della libertà religiosa, ecc.; il terzo
gruppo includeva dieci e più note di natura più generica, mentre il
quarto gruppo comprendeva rilievi su punti specifici dello schema. Sulla
base di questa organizzazione del materiale i periti iniziarono l'opera di
revisione dello schema tra il 28 e il 31 gennaio78 •

r esercizio della propria autorità magisteriale, doveva interessarsi della materia, AS V3,
p. 613.
76 È evidente da questo che i padri conciliari fecero propria la richiesta del segreta
riato conciliare preparatorio per la stampa e l'informazione, e che chiesero al papa di
estendere l'autorità della commissione papale per la radio, il cinema e la televisione a
tutti i mezzi di comunicazone sociale, compresa la stampa.
77 Questa commissione si riunì per la seconda volta solo il 26 novembre; dr. la let
tera di Cento ai membri della commissione, Carte De Vet (Archivi episcopali di Breda),
non numerata.
78 BARAGLI, L'Inter Mirifica. Introduzione... , cit., pp. 137-138; esiste un testo mano
scritto di De Vet per una conferenza stampa (Utrecht, 18 marzo 1963 ), in riferimento a
questa revisione.
3 08 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

Concludendo, si può notare che il documento ricevette lo stesso spi-


goloso trattamento che subì la stampa. Costituirono quindi un'eccezione
gli sforzi da parte della chiesa per migliorare i rapporti con la stampa,
come la celebrazione eucaristica nella chiesa di s. Ivo alla Sapienza, pre-
sieduta da mons. H. Pessoa Camara, vescovo ausiliare di Rio de Janei-
ro79. Nel loro insieme questi rapporti durante le prime fasi furono su-
perficiali, disorganizzati e dilettanteschi80 • Il dibattito stesso non ricevet-
te molta attenzione: probabilmente questo era il risultato delle relazioni
con la stampa.

79 Cfr. «OssRom» del 26 27 novembre 1962.


La descrizione di KAISER, Inside the Counctl... , cit., pp. 182 184, dà
BO Wl quadro
umiliante del servizio stampa ufficiale.
Capitolo settimo

Il difficile abbandono dell'ecclesiologia controversista

1. «Auctort'tas ante omnia et super omnia»

La mattina del 23 novembre, mentre m1ziava la discussione sullo


schema riguardante gli strumenti di comunicazione sociale, fu finalmen-
te distribuito il tanto atteso schema ecclesiologico. Quello che, a giudi-
zio della quasi totalità dei vescovi, era la ragion d'essere del concilio, fi-
nalmente diventava palpabile e visibile. La preparazione di questo sche-
ma era stata segnata, forse in misura ancora maggiore che per lo schema
De /ontibus, dalla contrapposizione tra la commissione teologica e il se-
gretariato per l'unità1• Non si trattava di divergenze secondarie, giacché
esse toccavano praticamente i punti centrali dello schema. Sulla natura
della chiesa si fronteggiavano da una parte una concezione societario-
giuridica, attestata sulla rigida difesa della identità tra chiesa cattolica e
corpo mistico, e dall'altra parte una concezione più attenta al mistero.
Sulla questione dell'appartenenza alla chiesa, il card. Bea, sia nei suoi
interventi pubblici che attraverso il segretariato, si faceva paladino della
posizione che, partendo dalla efficacia dei mezzi di grazia presenti anche
al di fuori della chiesa cattolica, affermava una reale appartenza alla
chiesa, anche se non piena, dei cristiani non cattolici; nella commissione
teologica ci si attestava invece sulla posizione espressa nella Mystici cor-
poris e si ammetteva solo una ordinatio, cioè una finalizzazione di essi
alla chiesa, per cui venivano di fatto equiparati ai non cristiani. Sui ve-
scovi, mentre esisteva un accordo sulla sacramentalità dell'episcopato, le
posizioni restavano divaricate per quanto riguardava l'origine del potere
di giurisdizione, che la commissione teologica poneva nel papa, mentre
il segretariato per l'unità collegava sempre all'ordinazione2• Infine, per

1 S/V 1, pp. 305 313, 333 335.


2 Anche se la sottocommissione per gli emendamenti su questo preciso punto tentò
una posizione mediana che faceva dipendere non la potestà di giurisdizione in quanto
tale (che veniva ancorata all'ordinazione episcopale), ma il suo esercizio, dalla missione
ricevuta dal papa: ibidem, p. 335.
310 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

quanto riguardava il rapporto tra chiesa e stato, mentre la commissione


teologica restava attestata sulla classica dottrina della tesi (necessità dello
stato di sostenere solo la religione cattolica e vietare le altre) e della ipo-
tesi (tolleranza ove le circostanze di fatto ponessero i cattolici in mino-
ranza), il segretariato spingeva perché si abbandonasse questa prospetti-
va antimoderna per accedere ad un riconoscimento della libertà religiosa
fondato sul principio della carità. La commissione centrale preparatoria
non era riuscita ad appianare i disaccordi, giacché essa li rifletteva al
proprio interno e perché oltre tutto la commissione teologica si rifiutava
di riconoscere il diritto a chicchessia di intervenire in materia dottrinale,
considerandosi essa stessa, in continuità con i compiti attribuiti al S. Uf-
fizio, la suprema garante dell'ortodossia.
Questa situazione, in qualche modo paradossale, non poteva non
provocare conseguenze dirompenti una volta che, dalla dialettica ancora
sostanzialmente intracuriale e comunque limitata agli organismi del
periodo preparatorio, si passò al confronto conciliare.
Si è già accennato come, su iniziativa del card. Suenens, si fosse av-
viato un sottile lavoro, volto a guadagnare su una posizione mediatrice
non solo i vescovi e i teologi più aperti, ma anche qualche autorevole
moderato. Va visto in tal senso il collegamento tra Suenens e Montini
da una parte e tra i loro rispettivi teologi, Philips e Colombo dall'altra
parte. Già il 18 ottobre Philips comunica a Congar di essere stato inca-
ricato dal card. Suenens di «riprendere, completare e migliorare>> lo
schema De ecclesia e gli presenta le linee di un progetto ad hod. La

3 Esso comprendeva, secondo JCng, 18 ottobre 1962, sei capitoli principali. La de


scrizione di Congar suona:
«1) La chiesa popolo di Dio, mistero, corpo mistico (introdurre il potere dei vesco
vi nello schema Lattanzi, dove non appare). Io vorrei che in questo primo capitolo si in-
serisse l'idea di una chiesa missionaria: una unità continuamente in dilatazione).
2) De membrù. Necessità della chiesa. Assestare lo schema Tromp.
3) I vescovi. Presentarli come successori del coJlegio degli apostoli, secondo lo
schema: Pietro/altri apostoli = papa/vescovi. Questo capitolo comporterebbe i seguenti
paragrafi:
vescovi successori degli a post oli
l1episcopato sacramento
poteri dei vescovi residenziali
~nsegnamento: loro. infallibil!tà (riuniti in concilio, dispersi)
mtrodurre qm parti del capitolo De magisterio e una spiegazione dello ex sese
governo (riprendere testo di Pio IX, 1875)
potere cultuale
rapporto con il primato
responsabilità collegiale dei vescovi
L'ABBANDONO DELL'ECCLESIOLOGIA CONTROVERSISTA 311

scelta di Suenens era caduta su Philips, perché costui «incarnava nella


sua persona una sorta di via media che non faceva paura né al cardinal
Ottaviani, né al segretario, padre Tromp (olandese)»4 • Il 25 ottobre, al-
l'Angelicum5 si riuniscono oltre a Congar e Philips, Colombo, Lécuyer,
Rahner, Ratzinger, Semmelroth e McGrath. Per metà si trattava quindi
di teologi che erano stati, a vario titolo, membri della commissione teo-
logica preparatoria. Congar nota che «si legge e si discute la redazione
Philips De episcopis, che si estende anche, almeno come progetto, all'in-
sieme dello schema De ecclesia». Semmelroth parla, riferendo della riu-
nione, di «uno schema preparato da questi (Philips) sul De ecclesia e in
esso del De episcopis. Si è parlato di questo, perché apparentemente una
serie di vescovi vorrebbero far approvare che questo schema venga esa-
minato come secondo, dopo quello liturgico. Questo ha naturalmente le
sue difficoltà, perché i vescovi non lo hanno ancora in mano. Ciò che
Philips ha elaborato come correzione dello schema attuale della comis-
sione centrale, sembra essere molto accettabile. Sarebbe bello se riuscis-
se». A questo punto quindi, basandosi sul testo preparatorio in suo pos-
sesso, Philips ha «assestato» il capitolo riguardante i vescovi, il terzo

4) I laici
5) La perfezione evangelica (proposta a tutti i cristiani). I religiosi
6) Ecumenismo
Soltanto dopo questi capitoli che riguardano l'essere cristiano, l'interno del cristia
nesimo, (verrebbero) i capitoli preparati sulla chiesa e lo stato, la tolleranza ecc ... ».
Si trattava quindi dell'ordinamento, caro à Suenens, del materiale di discussione in
concilio, attorno alla distinzione tra chiesa ad intra e chiesa ad extra. Si può notare come
sui contenuti effettivi Philips fosse di fatto molto reticente. Espressioni come «assestare»
(«aménager») lo schema Tromp sulla questione dei membri della chiesa, certamente cen
trale per l'equilibrio del tutto, denotano una volontà minimale di cambiamento effettivo.
Per la ricostruzione delle varie fasi non del tutto chiare dello schema Philips, in questo
periodo, sono utili J. A. KoMONCHAK, The initial debate about the Church, in Vatican II
commence, pp. 329-3 52 e A. MELLONI, Ecclesiologie al Vaticano II, in Leuven.
4 L. J. SUENENS, Souvenirs et Espérances, Paris 1991, p. 114. E infatti, prima ancora
di iniziare il suo lavoro, Phili ps si fa rilasciare una specie di benestare da parte di Otta-
viani. In F-Philips (P.015.02), si trova infatti un biglietto di Tromp a Philips, datato il
10 ottobre 1962, che dice: <<l-Io appena parlato con sua Eminenza. Giacché la costituzio
ne de Ecclesia non sarà trattata prima di Natale, egli ha ritenuto che Lei possa agire a
sua discrezione». Evidentemente, ancora in tale data (1 O ottobre), né Ottaviani, né
Tromp erano in grado di valutare tutta la forza di aggregazione che avrebbe avuto, nel
campo «avversario», l'iniziativa di Suenens-Philips. Gli eventi delle prime settimane por
ranno ai loro occhi in una luce ben diversa gli aggiustamenti proposti.
5 Con una reazione abbastanza risentita degli «esclusi» domenicani abitanti all'An
gelicum, come Gagnebet e Labourdette: JLbd, 26 ottobre 1962.
312 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

dello schema, già presentato a Congar sei giorni prima, scegliendo uno
dei temi meno spinosi, quello sul quale la mediazione recepita dalla sot-
tocommissione per gli emendamenti (essere cioè dipendente dal vescovo
di Roma solo l'esercizio del potere di giurisdizione) sembrava offrire
una via di accordo praticabile. Sulla base di questa riunione Philips ap-
porta ulteriori correzioni e prende contatto con il card. Bea. Costui, se-
condo Philips, non apporta che correzioni di dettaglio 6 , mentre appare
molto preso dalla questione, centrale per l'ecumenismo, dell' appartenen-
za alla chiesa. Di fatto è questo l'argomento che agita in questo periodo
il segretariato, il quale ha a che fare, come già con il problema dei rap-
porti tra scrittura e tradizione, con una opposizione interna rappresenta-
ta soprattutto dal p. Charles Boyer7 • Philips continua a tessere così la
sua tela, stabilendo rapporti preziosi per formare un consenso, mentre è
il card. Suenens che si preoccupa dell'iter procedurale. Ad un Congar
abbastanza scettico egli dice di aver in progetto di «introdurre il testo
rivisto, congiuntamente al testo ufficiale, seguendo la strada della com-
missione degli affari straordinari»8 • Il 12 novembre comunque Philips fa
pervenire a Tromp il testo corretto del De ecclesia, il quale annota di
non averlo ricevuto dalla commissione preparatoria, «ma da estranei»9 •
Prima di capire in che senso esso poteva tuttavia costituire un'alternati-
va allo schema ufficiale, è bene analizzare quest'ultimo.
Il testo ufficiale 10 , permetteva finalmente agli scontenti di fissare l'av-

6 Bea comunica nello stesso tempo a Philips la strategia del segretariato sulla que
stione de membris, volta a bloccare «rentètement du p. Tromp»: evitare di parlare di
<<membres» e limitarsi ad una descrizione positiva, in ordine discendente, delle diverse
maniere di partecipare alla vita della chiesa: pienamente e secondo tutti gli elementi per
i cattolici santi. in maniera incompleta per i cattolici peccatori, ecc. Q"Cng, 28 ottobre)
7 ST al 31 ottobre 1962: « Ho lavorato su un testo per il vescovo Volk, come com
pletamento di ciò che mi aveva mostrato ieri. Egli aveva scritto qualcosa per il segreta
riato Bea sulla chiesa come frutto della salvezza ed istituzione della salvezza. La provo-
cazione era stata data da una discussione nel segretariato per l'unità dei cristiani, sulla
questione delr appartenenza alla chiesa che si era accesa sul nuovo schema De ecclesia
preparato da Philips. Soprattutto Boyer deve aver fatto opposizione nella questione dei
membri della chiesa. Ciò che ha preparato il vescovo Volk è molto pertinente, ma ha la
difficoltà di offrire un linguaggio desueto e troppo diverso da quello a cui sono abituati
i teologi. E c'è inoltre la difficoltà che i due aspetti della chiesa non sono sufficiente
mente collegati. Io ho scritto per lui in aggiunta qualcosa che va in questa direzione. Si
tratta, a ben guardare, della sostanza dell'intervento di Volk in aula, durante la discus-
sione sul De ecclesia».
B JCng, nota del 6 novembre 1962.
9 TROMP, Relatio n. 4.
10 Il testo apparve come series secunda degli Schemata Constitutionum et decretorum
de quibus dt'sceptabitur in Concilit' sessio'nibus assieme al De beata Maria Virgine. Qui ci-
L'ABBANDONO DELL'ECCLESIOLOGIA CONTROVERSIST A 313

versario. I suoi tratti erano precisi: primato della visibilità (e quindi del-
la figura corporis), determinazione dell,appartenenza ecclesiale sulla base
del riconoscimento dell,autorità del romano pontefice, carattere «fonta-
le» di questa autorità per ogni altra giurisdizione nella chiesa, estensione
massimale dell'oggetto del magistero autentico e infallibile, salvaguardia
rigida del principio di autorità, minimalismo ecumenico nei rapporti con
le altre confessioni cristiane, aggressività sociale nei confronti di ogni al-
tra esperienza religiosa. E c'era poi una esplicita volontà di tutto ab-
bracciare, con la convinzione sottintesa che spettasse appunto alla com-
missione teologica il privilegio e il compito esclusivo di determinare i
principi dottrinali dell'insegnamento conciliare, mentre a tutto «il resto
del mondo» spettava solo di occuparsi degli aspetti disciplinari e pratici.
Si. spiegavano così anche le parti aedicate ai religiosi, ai laici, all'ecume-
ntsmo.
Il testo era articolato in 11 capitoli per complessive 82 pagine a
stampa. Inoltre, accanto alle note, sia il capitolo sui laici sia quello sul
magistero avevano un commentart'us che illustrava le intenzioni dei redat-
tori in un linguaggio ancora più tecnico e scolastico di quello già pesan-
temente impiegato nel testo stesso. L'unità della struttura globale non
era facile da percepire. Mentre infatti i primi capitoli procedevano dalla
determinazione della natura della chiesa (I) e dell'appartenenza alla chie-
sa (Il), alla considerazione dell'episcopato (lii), dei vescovi residenziali
in particolare (IV), degli stati di perfezione (V) e dei laici (VI), al cap.
VII si ritornava, per così dire, indietro, per par lare del magistero della
chiesa (VII), dell'autorità e dell'obbedienza (VIII). Infine nei tre capitoli
finali si parlava dei rapporti tra chiesa e stato, della necessità dell'annun-
cio del Vangelo a tutti i popoli e dell'ecumenismo, senza una chiara suc-
cessione logica, giacché sarebbe stato più ovvio l'ordine inverso.
Il capitolo I, dedicato alla natura della chiesa militante, e quindi con
una precisa scelta che appariva funzionale ad una delimitazione giuridi-
co-societaria dell'argomento, poneva la ragione della istituzione ecclesia-
le nella volontà di Dio di redimere gli uomini non solo singolarmente,
«ma in quanto chiamati da una moltitudine», i quali nella energia (virtu-
te) del capo Cristo fossero non solo «redenti, ma redentori». Cristo tut-
tavia non santifica e governa da solo il popolo di Dio, bensì «mediante
uomini preposti scelti da lui», che ha istituito e ornato degli «uffici del-
1' annunciatore, del sacerdote, del re, da esercitare sotto Pietro». La chie-

teremo da questa edizione. La data del benestare del papa era il 1O novembre 1962. Lo
schema si trova anche in AS V 4, pp. 12 91. Per la ricostruzione delle ultime fasi del te-
sto, prima della sua pubblicazione, cfr. MELLONI, Ecclesiologie... , dt.
314 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

sa non appare cioè come turba dispersa, ma come «schiera serrata» (ut
con/ertum agmen) nell'unità della fede, nella comunione dei sacramenti e
nell'apostolicità del governo. A questo scopo e per questa ragione, per
la chiarezza con cui esprime la dimensione sociale assieme a quella mi-
stica, fra tutte le figure con cui Cristo e gli apostoli hanno rappresentato
la chiesa, è l'immagine del corpo che acquista un privilegio assoluto:
«principem locum figura corporis tenet». L'ecclesiologia societaria e
controversistica di bellarminiana memoria diventava quindi il criterio di
un'ermeneutica biblica capace di far emergere una immagine su tutte le
altre. Il testo si impegnava altresì in una «analisi (enucleatio) della figura
del corpo»: visibilità (oculis cernitur); connessione tra membra disuguali
(e quindi dimensione socio-giuridica); vitalità (raffigurata anche nell'im-
magine della vite e dei tralci); unità mistico-personale (con accenni quasi
monofisitici, per cui Cristo è il capo e lo Spirito è l'anima della chiesa);
intangibilità della santità essenziale, costituita dai mezzi di grazia ogget-
tivamente posseduti dalla chiesa, nonostante il peccato dei singoli. La
chiesa veniva quindi assimilata per analogia al Verbo incarnato, giacché
la dimensione societaria visibile e il corpo mistico di Cristo non costitui-
scono due realtà, ma una soltanto «che si mostra in sembianza umana e
divina». E che l'identificazione tra chiesa cattolica romana e corpo mi-
stico di Cristo fosse l'intenzione ultima del testo, veniva sancito attraver-
so la formula definitoria finale del capitolo: il concilio «insegna e pro-
fessa solennemente che non esiste se non l'unica, vera chiesa di Gesù
Cristo, cioè quella che nel simbolo esaltiamo come una, santa, cattolica
e apostolica [... ] e che (Cristo) dopo la sua risurrezione affidò al gover-
no di S. Pietro e dei suoi successori; perciò il nome di chiesa spetta di
diritto solo a quella cattolica romana».
Il II capitolo collegava la questione dei membri della chiesa militan-
te alla necessità di questa per la salvezza. Nessuno può salvarsi se non è
membro della chiesa o se non è ordinato ad essa <<Voto». «V ere et pro-
prie>> sono membri della chiesa soltanto i battezzati che professano la
vera fede, riconoscono l'autorità del papa e non si sono separati dal cor-
po mistico a causa di delitti gravissimi (cioè, sembra intendere, quei de-
litti che meritano la scomunica). «Sono orientati col desiderio» (ordinan-
tur voto) alla chiesa non solo i catecumeni, ma tutti coloro che cercano
sinceramente la volontà di Dio. Così la condizione dei catecumeni veni-
va equiparata a quella dei non cristiani. La condizione dei cristiani «se-
parati» veniva invece qualificata con notevole ambiguità: «coloro che
non professano la vera fede o (vel) l'unità di comunione sotto il romano
pontefice, ma la (ea) bramano anche se con desiderio inconsapevole>>11 •

11 Il testo non è chiaro. Difficile stabilire infatti se quell' «ea» rappresenti un refuso
L'ABBANDONO DELL'ECCLESIOLOGIA CONTROVERSISTA 315

Con costoro la chiesa è congiunta in vario modo. Infatti anche se non


hanno la fede cattolica, credono con amore in Cristo Dio e salvatore, a
volte si distinguono per la fede e la devozione ali' eucaristia e per l'amo-
re alla madre di Dio, partecipano alla stessa consacrazione battesimale,
in qualche modo anche alla comunione delle preghiere e dei benefici
spirituali e lo Spirito Santo agisce anche in loro. Essi comunque non go-
dono di tutti i benefici di cui godono quanti sono membri della chiesa
«in realtà» (reapse) e per questo la chiesa non cessa di pregare perché
abbandonino il loro stato. Il testo non riusciva così a liberarsi da alcune
contraddizioni interne. La principale consisteva proprio nel fatto che
dopo aver enumerato tanti legami «oggettivi», si intestardiva poi nel
dire che i non cattolici non sono «in realtà» membri della chiesa e sem-
brava così relegarli tra i membri «in voto». Era questa la gabbia di ferro
nella quale costringeva il ricorso alla categoria di «membro» per definire
l'appartenenza ecclesiale.
Il capitolo III era dedicato alla natura sacramentale dell'episcopato
che è <<Veramente e propriamente» il grado supremo del sacramento del-
1' ordine, mentre i semplici presbiteri, anche se sono «veri sacerdoti»
grazie alla consacrazione sacramentale e agiscono «nella persona di Cri-
sto» nella celebrazione della messa e dei sacramenti, non hanno tuttavia
potere di giurisdizione se questa non viene loro conferita direttamente o
indirettamente dal papa o dal proprio vescovo. Il capitolo IV, confor-
memente al compromesso raggiunto dalla sottocommissione per gli
emendamenti, afferma che l'ordinazione attribuisce ai vescovi, oltre al-
l'ufficio di santificazione, anche quello del magistero e del governo, nei
quali consiste la giurisdizione; ma afferma anche che l'esercizio della
giurisdizione dipende dalla missione ricevuta «dal supremo governo del-
la chiesa». Le modalità per il conferimento di questa missione erano de-
finite in maniera elastica: dalle consuetudini locali non revocate fino alla
forma diretta del conferimento papale. Al papa era inoltre riconosciuto
il diritto di ampliare o restringere l'esercizio della giurisdizione episco-

e cosa ci fosse dietro, se un «eam» o un «eas». Se infatti ci stava un «eam» allora il te


sto identificherebbe la «vera fides» con l'unità di comunione sotto il papa; se invece ci
stava il plurale «eas», allora il «vel» posto tra «fidem» e <<llllitatem» avrebbe un effettivo
valore avversativo e la «vera fides» sarebbe distinta dall'unità di comunione. Inoltre il
seguito del testo non riprende il concetto di «fides vera», ma quello di «fides catholica»
che alla nota 15 viene distinta dalla «fides divina simpliciter». La «fides catholica», men-
zionata con riferimento sia alla cosiddetta professi one di fede tridentina di Pio IV, che
alla costituzione Dei filius del Vaticano I, viene a sua volta suddivisa in oggettiva (così
come ad esempio viene precisata da Pio IV) e in soggettiva (come viene precisata dalla
Dei filius). E sempre la nota 15 del capitolo II precisa lapidariamente che «baptismus
non facit membrum, nisi acedat (sic) fides catholica subiectiva».
316 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

pale, a motivo della «potestà di giurisdizione immediata ed episcopale>>


che egli possiede sia su tutte e singole le chiese, che su tutti e singoli i
vescovi e i fedeli.
Passando a parlare poi dei rapporti tra vescovi residenziali e la chie-
sa tutta, il testo affermava che essi costituiscono il centro, il fondamento
e il principio dell'unità nelle chiese particolari, nella misura in cui in
esse e da esse Un illis et ex tllis ), formate ad immagine della chiesa uni-
versale, esiste l'una e unica chiesa cattolica il cui centro, fondamento e
principio di unità, è il successore di Pietro. I singoli vescovi rappresen-
tano la propria chiesa, ma tutti, assieme al papa, rappresentano tutta la
chiesa. E, sebbene non abbiano potestà su di essa, né singolarmente, né
riuniti anche se in gran numero, ma solo partecipando alla potestà del
sommo pontefice, sono tenuti tuttavia ad una vera sollecitudine per tut-
ta la chiesa. Questa sollecitudine non costituisce una potestà di giurisdi-
zione, ma una «forza di compattezza» (solidt"tatis robur) nella comunione
fraterna. Con ciò il testo non negava tuttavia la consistenza propria del
«collegio episcopale>> che succede a quello apostolico e che noi credia-
mo essere «assieme al suo capo, il romano pontefice, e mai senza questo
capo, l'unico soggetto della piena e suprema potestà in tutta la chiesa».
Si tratta di una potestà ordinaria, che tuttavia viene legittimamente eser-
citata solo in maniera straordinaria e in devota subordinazione al papa,
quando e fino a dove a lui sembrerà opportuno. Membri di diritto di
questo collegio sono i soli vescovi residenziali. L'evidente contraddizione
tra le singole affermazioni contenute nel capitolo (una potestà ordinaria
infatti non poteva essere al tempo stesso una partecipazione ad un'altra
potestà e non poteva nemmeno essere esercitata solo in maniera straor-
dinaria) non veniva colta dagli estensori dello schema.
Inoltre, arrivato a questo punto, lo schema, invece di procedere,
come sarebbe sembrato logico, alla ulteriore determinazione del magiste-
ro e dell'autorità dei vescovi, obbedendo quasi all'attrazione del «de
personis» del codice, rimandava ad un capitolo ulteriore la trattazione
di questi argomenti e proseguiva invece con la trattazione dei religiosi e
dei laici.
Il capitolo V era appunto dedicato agli «stati per acquistare la perfe-
zione evangelica». La visuale restava prevalentemente giuridica. Gesù
non ci ha lasciato solo dei precetti, ma a coloro che vogliono ha offerto
anche i consigli evangelici della povertà, della castità e dell'obbedienza,
come via più facile e sicura per raggiungere la pienezza della carità. I
consigli sono quindi di origine divina e appartengono agli elementi co-
stitutivi della nota della santità della chiesa. La chiesa, per assumere an-
che pubblicamente come propria l'osservanza dei consigli evangelici, ha
emanato o ha dato forza di legge alle proposte di uomini e donne emi-
L'ABBANDONO DELL'ECCLESIOLOGIA CONTROVERSISTA 317

nenti, perché coloro che osservano questa legge costituissero «uno stato
per acquistare la perfezione e una porzione eletta del corpo mistico di
Cristo». Lo stato di pet.fezione non è uno stato intermedio tra la condi-
zione clericale e quella laicale, ma può essere comune ad ambedue. Ma
soprattutto veniva sottolineato come fosse la consistenza pubblica del le-
game a determinare la qualità dello stato di perfezione. Infatti l'osser-
vanza dei consigli per sua natura è migliore se fatta in forza di un voto
invece che di una promessa, con un impegno perpetuo anziché tempo-
raneo. Perciò viene condannata la posizione di quanti vogliono sminuire
l'obbligo assunto davanti a Dio e alla chiesa, o sostengono che lo stato
di perfezione impedisce o sminuisce la formazione della personalità. E
così come spetta alla gerarchia giudicare le modalità della vita consacra-
ta alla perfezione, anche il papa, in forza del suo primato universale,
può sottrarre alla giurisdizione dei vescovi qualsiasi istituto di perfezione
e i suoi singoli membri. In questa maniera il documento intendeva codi-
ficare per sempre, legandola ad una visione universalistica e centralizzata
della chiesa, la concezione che della vita religiosa si era sviluppata nella
chiesa latina a partire dalla riforma gregoriana dell'XI secolo.
Dopo i religiosi, in un progressivo allontanamento dal centro gerar-
chico, il capitolo VI veniva dedicato ai laici. Si trattava forse del capito-
lo nel quale, pur con tutte le carenze, venivano maggiormente recepite
le istanze della maturazione ecclesiale del XX secolo. Si sottolineava la
responsabilità e il dovere di tutti i fedeli per la realizzazione del propo-
sito divino di salvezza nel mondo. Si faceva menzione del sacerdozio
universale dei fedeli, anche se si accentuava che nel corpo di Cristo ci
sono sacerdoti «con titolo specifico» (proprit' nominis), i quali offrono al
popolo i mezzi di salvezza e in persona Chrtsti proferiscono le parole
della consacrazione eucaristica. Restava cioè alla fine una visione forte-
mente dicotomica e negativa della condizione comune dei cristiani, che
non sono stati chiamati né all'ordine gerarchico, né ad uno stato religio-
so sancito dalla chiesa. Come risultato della riflessione teologica e del-
1' esperienza dei decenni passati si ribadiva tuttavia il valore dell'impegno
mondano: i laici erano coloro che, pur non essendo né chierici, né reli-
giosi, debbono tuttavia raggiungere la santità cristiana «anche mediante
le attività secolari», anzi con la loro vocazione cristiana santificano, per
così dire, il mondo dal di dentro. Il numero 23 enumerava anche i dirit-
ti e i doveri dei laici, in una prospettiva soprattutto sacramentale che
costituiva la parte più felice del documento. L'apostolato proprio ai laici
veniva inoltre determinato soprattutto nella sua matrice religiosa, come
modo specifico di evangelizzazione e santificazione. Veniva accennato
fugacemente alla vicendevole santificazione dei coniugi «per la forza del
sacramento». Inoltre, come compito specifico dei laici, veniva richiamata
318 LA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA CONCILIARE

la «consacrazione del mondo», cioè l'attività volta a permeare con lo


Spirito di Cristo ogni campo di attività, senza abbandonare il proprio
ordine secolare.
Dall'apostolato dei laici, operato in forza della comune missione bat-
tesimale, veniva fortemente distinto quello esercitato con un mandato
speciale della gerarchia, in forza del quale i laici «partecipano all'aposto-
lato gerarchico della chiesa, partecipazione che assume il nome di azio-
ne cattolica». Inoltre veniva sottolineato il diritto della chiesa ad espleta-
re «pubblicamente» le opere di misericordia spirituale e temporale, an-
che mediante specifiche istituzioni costituite sia da religiosi che da laici,
nonché il diritto e il dovere, soprattutto in funzione di supplenza, a pro-
muovere opere sociali. E veniva fatta raccomandazione ai laici di non
sottrarsi alle responsabilità e all'impegno politico. Infine, ribadendo che
la società è autonoma nel perseguire il suo fine immediato, cioè il bene
comune temporale, lo schema esortava sia ad evitare confusione tra la
dimensione religiosa e quella civile, che indebite separazioni o opposi-
zioni, di marca laicistica e secolaristica, giacché la società deve restare
sempre sottomessa alla legge divina.
Dopo il capitolo dedicato ai laici, come già accennato, lo schema ri-
tornava a trattare del magistero e dell'autorità nella chiesa. Il capitolo
VII, dedicato al magistero, risultava il più tecnico e dava l'impressione
di voler ulteriormente precisare e indurire l'insegnamento del Vaticano
I. Il magistero autentico veniva presentato come «principio prossimo e
organo perpetuo» della indefettibilità di tutta la chiesa nella verità. La
prerogativa dell'infallibilità, di cui questo magistero gode, si distingue
dal «carisma dell'ispirazione», perché non è ordinata ad una nuova rive-
lazione, ma alla custodia e alla trasmissione dell'integro deposito della
fede in maniera tale che tutto venga sempre esplicato «secondo lo stesso
significato e secondo la stessa intenzione» («eodem sensu eademque sen-
tentia»).
L'oggetto del magistero autentico veniva articolato secondo una tri-
plice scansione. L'oggetto primario riguarda l'annuncio, la custodia e
l'interpretazione di quanto è stato rivelato. L'oggetto secondario è tutto
ciò che, pur non essendo esplicitamente o implicitamente rivelato, è tut-
tavia talmente connesso con la rivelazione, che il deposito della fede
senza di esso non potrebbe essere custodito integralmente, spiegato de-
bitamente, difeso efficacemente 12 • In terzo luogo si dichiarava come

Nella nota relativa si rimandava alla formulazione che dell'oggetto secondario del
12
magistero autentico aveva fatto il vescovo Gasser al Vaticano I: MANSI 52, p. 1226. Il ri-
mando era tuttavia poco preciso, perché si ometteva di ricordare una precisazione di
Gasser. Definendo in quel modo l'oggetto secondario del magistero infallibile, egli infat
L'ABBANDONO DELL'ECCLESIOLOGIA CONTROVERSISTA 319

compito e come diritto del magistero di interpretare e dichiarare in


modo infallibile non solo la legge rivelata, ma anche quella naturale. La
conclusione era, a dir poco, impressionante: «Non esiste quindi ambito
alcuno delle azioni umane che, sotto l'aspetto etico e religioso, possa
sottrarsi all'autorità del magistero istituito da Cristo»13 • Infine, come ul-
teriore branca di competenza, si precisava il diritto di giudicare i feno-
meni religiosi straordinari che si verificano all'interno e all'esterno della
chiesa14 •
Il soggetto del magistero autentico è composto da più persone e or-
gani. Ma il munus, l'ufficio, è uno e indivisibile: «L'ufficio del magistero
autentico, dotato del carisma della verità, esistente nella chiesa per isti-
tuzione divina, sebbene venga esercitato da più persone e organi, è sem-
pre uno e indivisibile. Infatti è stato costituito dall'unico supremo mae-
stro, Cristo Signore; rappresenta la sua autorità, è assistito dall'unico
Spirito di verità perché, nell'esercizio del proprio ufficio, insegni la sua
(di Cristo) verità» 15 •
In primo luogo l'ufficio del magistero è esercitato dal romano ponte-
fice. Lo schema ne descrive le prerogative nei termini del Vaticano I. Il
papa infatti non è solo maestro (doctor) dei fedeli, ma anche dei vesco-
vi16. Quando parla ex cathedra, le sue affermazioni sono infallibili e irre-
formabili, «per se stesse» (ex sese) e non in forza del consenso dei fedeli
o degli altri vescovi.