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Storia del concilio

Vaticano II
diretta da Giuseppe Alberigo

Volume 3

Il concilio adulto
Il secondo periodo e la seconda intersessione
settembre 1963 - settembre 1964

Giuseppe Alberigo
Joseph Famerée
Reiner Kaczynski
Alberto Melloni
Claude Soetens
Evangelista Vilanova

Edizione italiana a cura di Alberto Melloni

SOCIETÀ EDITRICE IL MULINO


Realizzato col contributo di:
The Menil Foundation, Houston
The Rothko Chapel Houston

ISBN 88-15 06554 7

Copyright © 1998 per l'edizione italiana by Società editrice il Mulino, Bologna. È vieta-
ta la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia,
anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.
Indice

Premessa, di Giuseppe Alberigo p. 9

Abbreviazioni e fonti 13

I. L'inizio del secondo periodo e il grande dibattito ecclesio-


logico 19

1. Verso il nuovo inizio con un nuovo papa. 2. La preparazione del


l'assemblea. 3. Il nuovo inizio: il ritorno del concilio. - 4. La proble-
matica ecclesiologica: primi passi. - 5. Il dibattito sulla collegialità (cap.
Il). 6. E adesso? Le inquietudini latenti. 7. Le sottocommissioni per
lo schema De ecclesia.
[Alberto Melloni]

II. Vescovi e diocesi (5-15 novembre 1963) 133

Antefatti. - Presentazione dello schema in aula. - 1. Lo schema De epi


scopis: un riflesso della minoranza conservatrice. 2. La curia romana
nel mirino. 3. Un vescovo deve essere aiutato o deve dare le dimissio-
ni a un'età fissa? 4. Assemblee episcopali senza poteri giuridici? -
5. «Diocesi né troppo piccole né troppo grandi». 6. Incontri multipli
in margine all'assemblea. - 7. Il «Coetus internationalis Patrum». -
8. De instrumentù communicationis socialù (14-25 novembre 1963).
[]oseph Famerée]

III. Verso la riforma liturgica 209


1. Le votazioni nel secondo periodo. 2. Il significato della costituzio
ne liturgica. - 3. L'inizio della riforma liturgica post-conciliare.
[Reiner Kaczynski]
6 INDICE

IV. L,impegno ecumenico della chiesa cattolica p. 277

1. Dal programma alla realtà. 2. Un problema preoccupante: l'orga-


nizzazione conciliare. 3. Una fine periodo in penombra. 4. Paolo VI
in Terra santa.
[Claude Soetens]

V. L,intersessione (1963-1964) 367


Introduzione. - 1. Prima fase: il lavoro conciliare a partire dal «piano
Dopfner». - 2. Seconda fase: il «piano Dopfner» e l'iniziativa di Paolo
VI. - 3. Ultima fase: tramonto del «piano Dopfner». 4. L'attività di
alcune conferenze episcopali e chiese locali. - 5. Relazioni ecumeniche.
[Evangelista Vilanova]

513
Conclusione. La nuova fisionomia del concilio
1. Continuità nella novità. 2. Passaggi cruciali. 3. Il concilio comin
eia a concludere. 4. L'eco dei grandi eventi «esterni». 5. Paolo VI
pellegrino a Gerusalemme. 6. Avvisaglie di post-concilio. 7. Verso il
terzo periodo. 8. Concilio in cammino. [G. A 1L • ]
zuseppe werzgo

536
Appendice

559
Indici
Indice dei nomi. - Indice tematico. Indice sommario.
Premessa
Premessa

La Storia del concilio Vaticano II giunge con questo terzo volume a


metà (e oltre) del suo cammino iniziato dieci anni fa. Già con gli ultimi
mesi dell'estate 1963 e poi con il secondo periodo di lavoro, il Vaticano
II si svolge nel pontificato di Paolo VI, figlio e padre del concilio nel
medesimo tempo. Sfortunatamente, malgrado ogni sforzo, l'accesso alla
documentazione personale di papa Montini relativa al concilio è stato
possibile solo per frammenti, a differenza di quanto era stato concesso
per l'analoga documentazione di papa Roncalli.
L' équipe internazionale del progetto «Storia del concilio Vaticano
li» ha proseguito e approfondito l'impegno di offrire una conoscenza
adeguata della composizione di un fenomeno collettivo di proporzioni
del tutto inusuali, con fedeltà allo svolgimento quotidiano dei lavori
conciliari. Come già per il volume precedente, dedicato al primo perio-
do di svolgimento del concilio, si è ritenuto di privilegiare l'effettivo di-
panarsi dell'esperienza assembleare, anche nelle sue innegabili tortuosità,
rispetto a una ricostruzione tematica, sicuramente più lineare ma anche
meno rispettosa della concretezza dell'evento.
Anche per questo volume è proseguita un'ampia e feconda collabo-
razione scientifica internazionale, sia durante le ricerche preparatorie e i
dibattiti relativi (colloqui di Mosca e Sao Paulo del 1995, Québec e Bo-
logna del 1996), che nella costruzione della narrazione (anche se, sfortu-
natamente, non è stata disponibile una collaborazione di lingua inglese).
I collaboratori del volume si sono ripetutamente confrontati in appositi
incontri, approfondendo i nodi critici del secondo periodo conciliare e
della successiva intersessione. Le differenze tra i punti di vista dei colla-
boratori sono state rispettate, dato che costituiscono un pregio dell' ope-
ra. Ci si è cioè impegnati nell'ambizioso progetto di realizzare un'opera
a più mani che offrisse una ricostruzione continua e organica e non solo
una . raccolta
. di saggi.
E proseguita l'acquisizione di documentazione inedita sullo svolgi-
mento del concilio, proveniente da numerosi partecipanti - sia padri,
che periti o osservatori -, documentazione raccolta e classificata presso
10 PREMESSA

l'Istituto per le scienze religiose a Bologna. Nel medesimo tempo sono


stati pubblicati inventari di diversi fondi documentari (Leuven, Louvain-
la-Neuve, Montréal, Notre Dame-USA, Paris ecc.), mentre è alla conclu-
sione la titanica impresa di mons. V. Carbone di edizione delle fonti uf-
ficiali relative ai lavori nelle congregazioni generali e al funzionamento
degli organi di direzione del concilio.
E appunto valorizzando queste nuove occasioni di accesso che è sta-
to possibile trascendere le narrazioni cronachistiche e offrire una cono-
scenza pluridimensionale dell'evento conciliare, sinora impossibile. Una
conoscenza cioè che tiene conto dei molteplici livelli dell'evento stesso:
le congregazioni generali, le commissioni, i gruppi informali, l'eco nel-
1' opinione pubblica e viceversa. Solo così è possibile seguire passo passo
le evoluzioni conciliari, soppesare gli influssi che le hanno determinate,
rendersi conto del grande peso avuto dai lavori svolti durante la lunga
sospensione dei dieci mesi di intersessione. Anzi ci si è resi conto che il
«concilio invisibile» della pausa tra i periodi di lavoro dell'assemblea ha
un rilievo troppo spesso ignorato o sottovalutato. Questa, d'altronde, è
una dimensione propria del Vaticano II, sia rispetto al Vaticano I, che
non aveva avuto pause nello svolgimento, che rispetto al Tridentino,
dove le lunghissime interruzioni erano state vere e proprie sospensioni
totali dei lavori conciliari.
Anche la conoscenza dei lavori conciliari si è considerevolmente ar-
ricchita, soprattutto a proposito di alcuni momenti cruciali, sinora noti
solo a livello cronachistico. Così l'effettivo sviluppo della complessa e
tormentata preparazione dei voti orientativi del 3 O ottobre 1963 sul De
ecclesia solo ora è ricostruito in modo criticamente soddisfacente, çioè in
tutte le sue fasi e dimensioni. Altrettanto si dica per il cosiddetto «piano
Dopfner» per la contrazione del numero degli argomenti che il concilio
avrebbe dovuto tr~ttare in vista della conclusione generale con il terzo
periodo del 1964. E stato infatti possibile far luce sulla sua origine, sulle
diverse redazioni della proposta e sul suo progressivo tramonto attraver-
so una complessa schermaglia strategica. Nuova luce ha ricevuto anche
l'attitudine di Paolo VI verso il Vaticano II, soprattutto per quanto ri-
guarda l'ispirazione del progetto avanzato dal card. Dopfner e le modifi-
che da lui suggerite durante l'intersessione al capitolo del De ecclesia
sulla collegialità episcopale.

Durante la preparazione di questo volume sono scomparsi due tra i


protagonisti del Vaticano II: il card. Leo-Joseph Suenens e il prof. don
Giuseppe Dossetti. Entrambi hanno seguito con vivo interesse il proget-
to di questa Storia e l'hanno ripetutamente agevolato. È questa l 'occasio-
ne per manifestare pubblicamente la nostra profonda gratitudine verso
PREMESSA 11

di loro, non solo per l'apporto singolare dato al concilio, ma anche per
la loro testimonianza di fedeltà al suo insegnamento.

I singoli capitoli sono dovuti rispettivamente: il I ad Alberto ·Mello-


ni, Roma-Bologna; il II a Joseph Famerée, Louvain-la-Neuve (traduzione
dal francese a cura di Marcello Malpensa); il III a Reiner Kaczynski,
Miinchen (traduzione dal tedesco a cura di Mariella Paiano); il IV a
Claude Soetens, Louvain-la-Neuve (traduzione dal francese a cura di
Marcello Malpensa), il V a Evangelista Vilanova, Montserrat (traduzione
dal castigliano a cura di Loris Zanatta); chi scrive ha redatto l'ultimo ca-
pitolo, oltre a sovraintendere al coordinamento generale.
L'opera prosegue in sei edizioni parallele: in lingua italiana a cura di
A. Melloni (Il Mulino, Bologna), in lingua inglese a cura di J.A. Komon-
chak (Orbis Books, Maryknoll), in lingua portoghese a cura di J.O. Be-
ozzo (V6zes, Petropolis), in lingua tedesca a c11ra di K. Wittstadt (Grii-
newald, Mainz), in lingua francese a cura di E. Fouilloux (Cerf, Paris),
in lingua spagnola a cura di E. Vilanova (Siguème, Salamanca); Peeters
di Leuven coordina efficacemente tutte le edizioni. L'accoglienza da
parte della stampa e dei periodici scientifici nelle diverse aree culturali e
linguistiche è stata sinora molto cordiale e incoraggiante.
Come già per il volume precedente, la Rothko Chapel e la Menil
Foundation di Houston (TX) hanno concorso generosamente agli oneri
finanziari della ricerca.

Bologna, 11 ottobre 1997

Giuseppe Alberigo
Abbreviazioni e fonti

«AAS» = «Acta Apostolicae Sedis», Città del Vaticano, 1909-


ACO = Archives du Conseil Oecuménique des Eglises, Genève
AD Il = Acta et documenta concilio oecumenico Vaticano II apparando,
series I (antepraeparatoria), Typis Poi. Vaticanis 1960 1961.
AD II/ = Acta et documenta concilio oecumenico Vaticano II apparando,
series II (praeparatoria), Typis Poi. Vaticanis 1969-
AS = Acta Synodalia sacrosancti conci/ii oecumenici Vaticani II, Typis
Poi. Vaticanis 1970
AV2 = Archivio del Concilio Vaticano II, Roma
Belgique = Vatican II et la Belgique, sous la direction de Claude Soetens,
Ottignies 1996
CAPRILE = G. CAPRILE, Il concilio Vaticano II, 4 voli., Roma 1966 1968
ccv = Centrum voor conciliestudie Vaticanum II, Leuven
«CivCat» «La Civiltà Cattolica», Roma, 1850-
CLG = Centre Lumen Gentium, Louvain la-Neuve
«CrSt» = «Cristianesimo nella Storia», Bologna 1980
«DC» = «La Documentation Catholique», Paris 1919
Dinamiche = G. ALBERIGO, Dinamiche e procedure nel Vaticano II. Verso la
revisione del Regolamento del Conctlio (1962 1963), in «Cri
stianesimo nella Storia», 13 (1992), pp. 115-164
«EtDoc» = «Études et Documents», Secrétariat conciliaire de l'Episcopat
[de France]
Evento = L)evento e le dedsioni. Studi sulle dinamiche del concilio Vati
cano II, a cura di M.T. Fattori e A. Melloni, Bologna 1997
Experience = Experience) organi1.ations and bodies at Vatican II. Proceedings
of the Bologna conference, dicembre.1996, Leuven in stampa
HORTON = D. HORTON, Vatican Di'ary 1963. A protestant observes the se
cond session o/ Vatican Council II, Philadelphia ~oston 1964
«ICI» = «lnformations Catholiq_ues lntemationales», Paris 1955-1983
IdP = Insegnamenti di Paolo VI, 16 voll., Città del Vaticano 1964
1979
ISR = Istituto per le Scienze Religiose, Bologna
JCng = Y.M.-J. CONGAR, Mon Journal du Conczle, Paris, Archivi di Le
Saulchoir
14 ABBREVIAZIONI E FONTI

JEdb == N. EDELBY, Souvenirs, Alep (trad. it. a cura di R. Cannelli, Ci-


nisello B. 1996)
JT = J.A. }UNGMANN, Konzilstagebuch, Institut flir Liturgiewissen
schaft, Università di Innsbruck
JPrg == A. PRIGNON, ]ournal, Centre Lumen Gentium, Louvain-la-
Neuve
LAURENTIN == R. LAURENTIN, LJEnjeu du Conci/e. Bilan de la deuxième ses
sian 29 septembre 4 décembre 1963, Paris 1964
Ldc == G. LERCARO, Lettere dal concilio 1962 1965, Bologna 1980
«OssRom» = «L'Osservatore Romano», 1861
Per la forza = G. LERCARO, Per la forza dello Spirito. Discorsi conciliari, Bolo-
gna 1984
Primauté = Primauté et collegialité. Le dossier de Gérard Philips sur la
Nota Explicativa Praevia (Lumen gentium cap. III). Présenté
avec introduction historique, annotations et annexes par J.
GROOTAERS. Préface de G. THILS, Leuven 1986
Procedure == A. MELLONI, Procedure e coscienza conciliare al Vaticano II. I
voti del 30 ottobre 1963, in Cristianesimo nella Storia. Saggi in
onore di Giuseppe Alberigo, a cura di A. Melloni, D. Menozzi,
G. Ruggieri, M. Toschi, Bologna 1996, pp. 313 396
Protagonisti :::: J. GROOTAERS, Protagonisti del Concilio, in Storia della Chiesa
(Pliche-Martin), vol. :XXV/1, pp. 486 494
RT = S. TROMP, [Relationes secretarii commissionis conciliaris] De
doctrina fidei et morum, ciel. in 14 fascicoli
RYNNE = X. RYNNE, The Second Session, New York 1964
ST = O. SEMMELROTH, Tagebuch zum II. Vatikanischen Konzil
1962 1965, Frankfurt a.M.
Vatican II commence = Vatican II commence... Approches Francophones, éd. É. Fouil
loux, Leuven 1993
WENGER :::::: A. WENGER, Vatican II. Chronique de la deuxième session, Pa-
ris 1964
WILTGEN = R. WILTGEN, The Rhin /lows into the Tiber, New York 1967

Le riviste sono indicate secondo l'Abkurzungsverzeichnis della Theologische Realen-


zyklopiidie, Berlin-New York 1976.

I precedenti volumi della Storia del concilio Vaticano II (vol. 1, Il cattolicesimo verso una
nuova stagione. LJannuncio e la preparazione. Gennaio 1959 settembre 1962, Bologna
1995, e vol. 2, La formazione della coscienza conciliare. Ottobre 1962 settembre 1963, Bo-
logna 1996) sono indicati rispettivamente con le sigle S/V 1 e SIV 2.

FONTI E ARCIIlVI

Nel corso delle ricerche sulla storia del concilio sono continuati la disponibilità ed il ri-
trovamento di numerosi fondi privati dei partecipanti a vario titolo al Vaticano II: que
ABBREVIAZIONI E FONTI 15

ste carte integrano e completano i documenti dell'Archivio del concilio Vaticano II volu-
to da Paolo VI come entità distinta dall'Archivio segreto Vaticano ed aperto agli studio-
si per lo zelo di V. Carbone. Un uso sistematico di tali fonti è stato fatto nei numerosi
studi, nelle monografie e nei colloqui che preparano e corredano questi volumi della
Storia del concilio Vaticano II e di cui si trova un censimento analitico sia in J. FAME
RÉE, Vers une histoire du Concz"/e Vatican II, in <<RHE» 89 (1994), pp. 638 641, sia in A.
GREILER, Ein internationales Forschungsproj'ekt zur Geschichte des Zweitens Vatikanums,
in Zeugnis und Dialog. Die katholische Kirche in der neuzeitlichen Welt und das II. Va
tikanirche Konzil. Klaus Wittstadt zum 60. Geburstag, hrsg. W. Wei8, Wiirzburg 1996,
pp. 571-578, sia in G. ROUTHIER, Recherches et publications récentes autour de Vatican
II, in «Laval théologique et philosophique» 53, 2 (juin 1997), pp. 435-454.

Per gli archivi, le fonti inedite ed i diari cfr. SN 2, pp. 17-18.

I documenti inediti ricavati da fondi privati o personali recano prima della segnatura o
della identificazione cronologica la lettera F, seguita dal cognome del titolare del fondo
(es.: F-Stransky). Le citazioni da diari, diversi da quelli indicati tra le abbreviazioni, re
cano la lettera D seguita dal cognome dell'autore.
Un elenco della collocazione dei fondi citati si trova in appendice al vol. Verso il Vatica-
no II; una lista aggiornata, curata da G. Turbanti, è a disposizione degli studiosi presso
larchivio dell'Istituto per le scienze religiose a Bologna ed è in stampa.
Le citazioni brevi di fonti edite sono date in traduzione italiana; per le fonti inedite rile
vanti è riportato in nota il brano del documento in lingua originale.
Storia del concilio Vaticano II

Il concilio adulto
Capitolo primo

L'inizio del secondo periodo


e il grande dibattito ecclesiologico

1. Verso il nuovo inizio con un nuovo papa

Cosa si aspetta Paolo VI dal concilio? Cosa spera o teme? Fin dove
si lascerà portare e dove porterà la grande assemblea che il suo prede-
cessore era alla fine riuscito ad avviare? Questi interrogativi sono lo
sfondo su cui si snodano i prodromi del secondo periodo conciliare,
nell'estate del 1963. Ciò che era accaduto dalla morte di Giovanni
XXIII aveva, in fondo, seguito un corso abbastanza scontato.
Né i delusi né gli entusiasti avevano infatti avuto ragione di meravi-
gliarsi della elezione dell'arcivescovo di Milano nel conclave di giugno:
all'ex sostituto della segreteria di Stato in «esilio» a Milano, la fiducia di
Roncalli aveva conferito quel ruolo di papabile per eccellenza al quale
Montini pareva già destinato al tramonto del pontificato pacelliano. Ol-
tre che a dargli senza indugio la porpora e ammetterlo così al futuro
conclave, Giovanni XXIII aveva offerto al cardinale di Milano alcuni se-
gni di stima (la residenza in Vaticano durante i lavori conciliari, la presi-
denza della liturgia del 4 novembre 1962), che nel clima della corte pa-
pale vengono letti come una quasi-designazione.
Così come non stupivano le dichiarazioni con le quali il neo-eletto
Paolo VI, mostrando la più alta venerazione per il magistero roncallia-
no, annunciava l'intenzione di continuare il concilio: la scelta del prede-
cessore di aprire comunque il concilio - pur con tutti i limiti dovuti alla
natura della preparazione, ·alla pressione delle litigiose scuole romane
sulle commissioni e sui teologi, alla innaturale egemonia di una commis-
sione dottrinale, specchio fedele dell'organigramma curiale - aveva im-
posto le speranze, le intuizioni, le attese dell'episcopato al collegio cardi-
nalizio. Chi vorrebbe una rottura col passato roncalliano ha potuto farsi
sentire nei novendiali, nei sermoni De eligendo ponti/ice, sulla stampa1:

1Cfr. il rapporto dell'ex ambasciatore statunitense in Pakistan, Spain, CIA n. 27 63


13 maggio 1963 sul conclave e sulle possibilità di Montini, utilizzato enfaticamente in P.
20 IL CONCILIO ADULTO

ma se questo dice qualcosa, è solo che c'è una zona della curia romana
che teme il «ritorno» di Montini in veste di continuatore vendicativo. A
chi osserva il passaggio di pontificato con un minimo di distacco e di
esperienza - ad esempio i diplomatici accreditati presso la S. Sede - è
evidente che il cardinale capace di raccogliere il consenso elettorale di
58 cardinali e insieme annunciare a 2.500 vescovi che il Vaticano II non
sarebbe proseguito non esiste. E Montini, d'altronde, ha rimontato qual-
che diffidenza politica2 e coagulato l'adesione di alcuni dei leader della
embrionale maggioranza che s'era espressa nel primo periodo del Vati-
cano IP, dichiarando nei discorsi pronunciati prima dell'apertura del
conclave la sua adesione alle scelte e al concilio di Roncalli. C'è dunque
un filo di ironia nel fatto che i cardinali italiani, che, dentro e fuori la
curia, osteggiano l'arcivescovo di Milano e cercano una contromossa

HEBBLETHWAITE, ]ohn XXIJI pope o/ the Council, London 1984, pp. 491-495; alcune os
servazioni in A. MELLONI, Pope ]ohn XXIII: Open Questions /or a Biography, in «The
Catholic Historical Review», 72 (1986), pp. 51-67.
2 È il caso, ad es., del cancelliere tedesco Adenauer, il quale sogna di candidare il
card. Testa, in modo da limitare «i danni» già compiuti da Giovanni XXIII nei rapporti
col mondo comunista e che . 11 ~ suo giudizio sarebbero aggravati dalla elezione di
Montini: il cancelliere lo dice >ili'ambasciatore francese Margerie in una colazione il 27
maggio 1963, telegramma segreto del 28 maggio 1963, n. 3786/88 da Margerie, Bonn a
Parigi, QO, EU 30/24. Adenauer non valuta le possibilità di Bea, il cui nome, giudicato
dai francesi «altamente improbabile», potrebbe aggregare chi «augura una conclusione
del concilio interamente conforme ai desideri della maggioranza», QO, EU 30/24, tel.
dell' ~b. La Tournelle nn. 169-177, Roma 2 giugno 1963. Il cancelliere palesemente
sconcertato dalla Pacem in terris teme che un pontificato Montini porti ancora più
lontano le tendenze del pontificato di Giovanni XXIII, «pericoloso tanto per l'Occiden-
te quanto per l'avvenire della cristianità», EU-30/24, tel. dell'amb. Margerie, nn. 101
103, Bonn 27 maggio 1963. È pure il caso del presidente della Repubblica italiana, che
tramite Luigi Gedda fa sapere la contrarietà della destra del partito della Democrazia
cristiana alla elezione di un uomo ritenuto troppo disponibile ai tentativi della segreteria
per dar vita ad una stabile maggioranza di centro-sinistra. EU-30/24, tel. dell'amb. La
Tournelle nn. 207-208, Roma 17 giugno 1963: «Il Presidente della Repubblica ha fatto
effettuare da Gedda una serie di passi presso i cardinali italiani e alcuni cardinali non
italiani. L'ex presidente dell'Azione cattolica avrebbe loro esposto la convinzione di Se
gni che il cardinal Montini, se uscito vincitore dal conclave, avrebbe impegnato la chiesa
in favore dell'apertura a sinistra».
3 Sono tentativi inutili, ma che s'intrecciano con (o speculano su) lostilità alla can
didatura di Montini espressa da molti italiani e/o curiali, sulla quale i francesi fanno il
punto in una riunione in ambasciata il 12 giugno. Secondo lambasciata francese presso
la S. Sede si sceglierà fra due candidature alternative (Siri/Montini) rispetto alle quali
esistono delle subordinate (Antoniutti o Marella, da un lato, Urbani dall'altro); la fiducia
dei porporati francesi verso Montini è, per l'ambasciatore, unanime e pienissima, dr.
EU 30/24, tel. dell'amb. La Tournelle nn. 201-204, Roma 13 giugno 1963.
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 21

adeguata, debbano minacciare o votare, in assenza d'alternative, per


Giacomo Lercaro, che nel dibattito sul De ecclesia del dicembre 1962
aveva assunto una posizione più forte e innovativa di quella colà difesa
da Montini...
Le supposizioni sul conclave dicono che nella Sistina Frings impedi-
sce che una contrapposizione fra Lercaro e Montini avvantaggi i rincalzi
moderati, come Antoniutti4 ; ma il dato di fatto è che la maggioranza
che esce al IV/V scrutinio è una maggioranza che vuole la prosecuzione
del Vaticano IP. L'ambasciatore francese La Tournelle potrà dire con
verità «è il concilio che ha fatto il conclave»6 : ma quale concilio farà il
papa che esce dal conclave?

1.1. I primi passi di Paolo VI

Già durante il rito della «obbedienza» dei cardinali al nuovo eletto,


Paolo VI aveva dato concretezza all'impegno di proseguire il concilio
annunciandone la continuazione7. Ma in quelle primissime ore Paolo VI
ha anche già compiuto le due scelte essenziali quanto al suo ruolo nel
governo del concilio: il papa, infatti, conferma il segretario di Stato Ci-
cognani, il quale, tramite la presidenza della commissione di coordina-
mento, aveva assunto quel ruolo apicale che l' Ordo conci/ii del 1962 non
gli aveva voluto riconoscere; inoltre manifesta a Suenens il desiderio di
nominare uno (o più?) legati per il concilio8 . Questa duplice leva è

4 È sulla prosecuzione (e sulla difesa della linea dell'aggiornamento) del Vaticano II


che sarebbe stato raggiunto un accordo informale, ma esplicito, fra i cardinali e l'eletto
e, in certo modo, anche fra Lercaro e Montini, su questo dr. Ldc, p. 37. Su «Epoca»
dei giorni successivi alla elezione Agasso accredita l'ipotesi di un incontro Spellman
Montini che avrebbe portato al cardinale milanese voti conservatori.
5 Anche l'eletto gioca la sua elezione sullo scenario del concilio e dei suoi orienta
menti, se è vera la voce secondo la quale Montini aveva raggiunto i 53 voti al quarto
scrutinio, seguito però da un quinto scrutinio (una sorta di voto simile all'antico «acces-
so») per rafforzare una maggioranza e un programma sui quali pesa più l'aspirazione
unanimistica del concilio che la tecnica elettorale del conclave.
6 EU-30/24, tel. cifr. dell'amb. La Tournelle, nn. 231 234, Roma 24 giugno 1963.
7 IdP, I, 1963, p. 4: «Pontificalis muneris potiorem veluti partem sibi vindicat per-
sequendum condlium oecumenicum Vaticanum II»; nei saluti, ibidem p. 7, si rivolge ai
vescovi che si ripromette di abbracciare «in altera oecumenici concilii sessione». Non c'è
nulla sulla data di prosecuzione, ma è quanto meno irrealistico il desiderio di alcuni,
come Giuseppe Dossetti, che varie settimane dopo, sperano di poter dilatare l'interses
sione di alcuni mesi per permettere una lettura meditata degli schemi, cfr. Dinamiche,
sul rinvio p. 139.
8 È la testimonianza di Suenens, esposta prima a «Herder Korrespondenz», 34
22 IL CONCILIO ADULTO

quella che - pur con vari apporti ed oscillazioni d'equilibrio certo signi-
ficative - Paolo VI azionerà nel corso dei lavori, senza mai definirne le
relazioni vicendevoli, ma sempre riservandone a sé l'equilibratura.
Nessuna fonte fra quelle oggi disponibili ci dice se il papa ha scelto,
da subito e con pieno intuito delle conseguenze, di lasciare aperta la
concorrenza fra un organo (il segretario di Stato) che media in quanto
strumento curiale sui lavori assembleari la volontà del pontefice, ed un
organo (i moderatori de/legati) che riceve invece dallo stesso Paolo VI il
compito di rappresentare l'aula presso di lui e dirigerne i dibattiti. Nul-
la, comunque, trapela in pubblico sugli equilibri, i contenuti9 , i piani e
l'agenda dei lavori1°: e chi, come l'ambasciatore del Belgio al ricevimen-
to del corpo diplomatico, sonda con qualche allusione le intenzioni pa-
pali riceverà in risposta un cortese silenzio 11• Ma anche i non pochi por-
porati che il papa ascolta per avere indicazioni o suggerimenti ignorano
i limiti, le possibilità, il quadro all'interno del quale il papa utilizzerà le
loro proposte12 : Paolo VI, infatti, domanda al cardinale di Monaco,
Dopfner, un appunto sulla possibilità di ridurre gli schemi da sottoporre

(1980), apr., p. 176, poi riedita in Giovanni Battista Montini Arcivescovo di Milano e il
Concilio Ecumenico Vaticano II. Preparai.ione e primo periodo, Brescia 1985, p. 186, ed
infine, con qualche variante, in Bicordi e speranze, Cinisello B. 1993, p. 134.
9 La data di convocazione della seduta inaugurale (la sessione pubblica, nel linguag-
gio conciliare) di un secondo periodo conciliare era inizialmente prevista per la metà di
settembre: rinviata di due settimane, essa diventa in qualche modo un orizzonte certo;
quivi s'inquadrano una serie di discorsi nei quali Paolo VI esprime pubblicamente il suo
pensiero sul concilio. Nulla viene detto sul concilio nell'incontro col clero romano del
24 giugno; e così pure nella risposta all'indirizzo di saluto del corpo diplomatico (che
aveva suggerito al papa come «in conclave, il concilio è stato la culla della sua elezio-
ne»), Paolo VI non dà nessuna indicazione in merito al concilio. Invece ne1rincontro coi
giornalisti del 29 giugno dedica un ampio paragrafo alla «prossima ripresa del concilio
ecumenico», nel quale promette ogni miglior servizio per conoscere e interpretare
l'evento, IdP, I, 1963, p. 46.
10 Nel discorso d'incoronazione del 30 giugno, nel quale il papa ripete formalmente
«riprenderemo la celebrazione del concilio ecumenico», si trova una singolare citazione
dello schema preparatorio De ecclesia sulla funzione del successore di Pietro («so1levati
aJla sommità della scala gerarchica delle potestà che opera nella chiesa militante, ci sentia-
mo nello stesso tempo posti ne1l'infimo ufficio di servo dei servi di Dio», IdP, I, 1963,
p. 26), ed un proposito («difenderemo la santa chiesa dagli errori di dottrina e di costu-
me», ibidem) che potrebbe essere rintracciato ne1lo schema De deposito cassato dal-
1' agenda conciliare.
11 Cfr. «OssRom»; l'indirizzo di saluto viene letto daJl'ambasciatore del Belgio, Fer
dinand Poswick, decano del corpo diplomatico e ben noto sia a Giovanni XXIII che a
Paolo VI: sarà lui a ritirare il messaggio ai governanti alla fine del concilio.
12 Cfr. Dinamiche, per la oscillazione de1le proposte di Dossetti ed i contatti con
Jedin.
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 23

al concilio 13 ; a Lercaro, cardinale di Bologna, ed ai collaboratori bolo-


gnesi legati a Dossetti chiede proposte per l'attesa modifica del regola-
mento; a Suenens, come s'è detto, chiede la disponibilità a svolgere fun-
zioni di legato; ad altri (Guitton, Bevilacqua) di collaborare alla ipotiz-
zata enciclica sulla chiesa che egli desidererebbe scrivere e pubblicare
come suo annuncio qualificato dell'assunzione dell'ufficio petrino 14 • E
altre richieste sono certo esistite su altri aspetti dell'azione di governo15 :
esse individuano con lucida sicurezza le zone nelle quali il rapporto
papa-concilio è più delicato (sia in sé, sia rispetto alla concezione «soli-
taria» del potere papale che è familiare a Paolo VI e sulla quale stende
una eloquente meditazione nel luglio 1963 )16, ma non chiariranno cosa il
papa vuole 17 •
Paolo VI vuole accelerare i lavori? Le richieste a Dopfner vanno in

13 K. WITISTADT, Vorschliige von ]ul.ius Kardinal Dopfner an Papst Paul VI. i.ur
Forlfuhrung der Koni.ilsarbeiten (]uli 1963), in ]ulius Kardinal DOpfner 1913 1976, hrsg.
K. Wittstadt, Wiirzburg 1996, pp. 135 156.
l4 Cfr. G. COLOMBO, Genesi, storia e significato deltenciclica «Ecclesiam suam>>, in
«Ecclesiam suam» première lettre encyclique de Paul VI. Colloque internationale Rome
24-26 octobre 1980, Brescia 1982, pp. 131 160, in ispecie p. 136.
15 Accenni in F-Léger; Congar sa deU'udienza a Lebret su cui G. TURBANTI, LA
chiesa nel mondo, tesi di dottorato, rel. G. Alberigo, Univ. di Torino aa. 1996/1997, p.
96. Tracce memorialistiche indicano contatti similari anche con altri (ad es. Suenens,
Daniélou, Frings, Guitton, De Luca).
16 E nel ritiro il papa riflette sul significato, il dramma, della sua missione: «Come
una statua sopra una guglia, anzi una persona viva quale io sono. [. .. ] Io devo accentua-
re questa solitudine: non devo avere paura, non devo cercare appoggio esteriore che mi
esoneri dal mio dovere che è que1lo di volere, di decidere, di assumere ogni responsabi-
lità, di guidare gli altri anche se ciò sembra illogico e forse assurdo. E soffrire solo. Le
confidenze consolatrici non possono essere che scarse e discrete: il profondo dello spiri-
to resta con me. Io e Dio», appunto trascritto da P. Macchi, Commemorai.ione di Paolo
VI, in <<Istituto Paolo VI - Notiziario», 1 (1979), p. 53. In queste meditazioni spirituali,
così nette nell'intendere il significato della funzione petrina, il concilio quasi non esiste,
e comunque non condiziona il profilo pontificale. E come se Paolo VI l'uomo che
aveva più a lungo «studiato da papa» non fosse in grado di visualizzare quella che già
era stata la difficoltà sperimentata da Giovanni XXIII nel primo periodo, cioè trovare
un rapporto equilibrato con la libertà del concilio sedente. Papa Roncalli nel gennaio
1963 si rimproverava di essere rimasto troppo passivo nel dibattito conciliare e sembra-
va fare autocritica su un contegno durante i lavori che aveva puntualmente «risposto»
alle istanze dell'aula, ma non le aveva mai prevenute, cfr. A. MELLONI, Giovanni XXIII
e l'avvio del Vaticano II, in Vatican II commence, pp. 75 104; papa Montini, sei mesi
dopo ed in pieno noviziato pontificale, non ha una esperienza diretta su cui misurarsi.
17 Per non pochi vescovi questo rimane il quesito anche dopo l'inizio del secondo
periodo (su cui cfr. S/V 2, pp. 29 30), almeno fino al 30 ottobre 1963, su cui cfr. Proce
dure.
24 IL CONCILIO ADULTO

questo senso. La esigenza di alleggerire l'agenda conciliare era infatti ri-


masta intatta da un anno: dopo la «potatura» effettuata ancora dalla
commissione preparatoria centrale e poi dal segretariato per gli affari ex-
tra ordt'nem che aveva portato gli schemi a 2018, la commissione di coor-
dinamento aveva provveduto soltanto ad accorpamenti minori, che con-
tenevano il totale degli schemi all'ordine del giorno a 17. Ancora troppi,
palesemente, per un concilio che si sperava potesse chiudersi in tre (se
non in due ... ) periodi di lavoro: chi, allora, doveva ristrutturarne l'agen-
da? Il concilio stesso? O non piuttosto i suoi organi ed t'n prt'mt's il suo
presidente-nato? La richiesta a Dopfner - che sulla esigenza della ridu-
zione degli schemi era stato assai eloquente sia nella commissione cen-
trale preparatoria, sia nella commissione di coordinamento - di predi-
sporre un «Piano» di contenimento supponeva l'immagine di un conci-
lio le cui istanze vengono accolte e rese operative dall'autorità papale.
Paolo VI vuole dare all'assemblea la capacità di esprimersi, rompen-
do la tutela delle commissioni a dominanza curiale che Giovanni XXIII
aveva lasciato in eredità? 19 Parrebbe questo il senso di alcune disponibi-
lità manifestate a Lercaro e poi a Dossetti, che della questione era stato
da vari mesi il propugnatore. Egli aveva sostenuto la inadeguatezza di
un regolamento pensato per un concilio di acclamazione in una situazio-
ne totalmente diversa, qual era quella datasi nell'inizio del Vaticano II20 •
L'obiettivo che Dossetti si propone - dotare l'assemblea di strumenti di
autogoverno efficaci e funzionanti - interessa Paolo VI, sul quale preme
però anche una diversa esigenza interna alla curia romana 21 •
Oppure Paolo VI desidera prolungare le funzioni di coordinamento
che la nuova commissione costituita nel gennaio 1963 - organo di rac-
cordo fra segreteria di Stato e concilio - aveva esercitato in modo non
lamentevole? 22
O piuttosto non si deve ritenere che il papa desideri fissare limita-
zioni tematiche al dibattito? Che egli s'affretti a stendere note per una

18 S/V 1, pp. 362 373.


19 G. ALBERIGO, La preparazione del regolamento del concilio Vaticano II, in Vatican
II commence, pp. 54- 74.
20 Cfr. la spiegazione in D-Chenu, 10 novembre 1962.
21 Montini conosceva di Dossetti il passato soprattutto di membro deU'assemblea
costituente e leader politico democristiano, prima che questi decidesse di lasciare la vita
politica romana, per fondare un centro di studi e una comunità monastica a Bologna,
diocesi deUa quale era sacerdote dal 1959. Cfr. A. MELLONI, Un dircepolo nella storia.
Per gli studi su Giuseppe Dossetti, in «Rivista di storia della chiesa in Italia», 51 (1997),
in stampa.
22 Dinamiche. Cfr. il D Olivier (in Evento, p. 337 e 353) per il problema de1la «in-
soddisfazione» del papa. Cfr. la relazione generale di Felici al 20 luglio in AS VI/2, pp.
212 218.
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 25

enciclica non è un elemento di pubblico dominio nell'estate del 1963,


ma è interessante che il dossier preparatorio di quella che nella Trasfi-
gurazione del 1964 sarà l'enciclica Ecclesiam suam, contenga 45 pagine
sul dialogo, 22 sulla coscienza della chiesa, e 4 sul tema «riforma o rin-
novamento»23. L'ipotesi di pubblicare una enciclica programmatica sulla
chiesa, che verrebbe a prevenire la matura discussione conciliare del
crucialissimo tema ecclesiologico, lascia intendere che almeno alcuni am-
bienti particolarmente vicini al pontefice potevano supporne una dispo-
nibilità previa a limitare l'agenda del concilio24 .

1.2. L) antivigilia: preparativi: inviti: lettere

Incertezze sul papa? Incertezze del papa? Certo colpisce il grande


disordine nel quale si va chiudendo la seconda preparazione del concilio
impostata fra la fine dell'inverno e l'inizio della primavera 1963.

1.2.1. L)Ordo concilii

Sul piano del regolamento è tutto sommato acquisito il fatto che le


revisioni - di cui si era parlato in commissione di coordinamento, da
gennaio alla seduta del 3-4 luglio inclusa - erano materia che Paolo VI
aveva riservato a sé25 : lo aveva detto Carlo Colombo a Giuseppe Dosset-
ti, affinché questi facesse avere al pontefice, tramite Lercaro, adeguati
suggerimenti che integrassero quelli di un appunto del marzo che Paolo
VI aveva già visto26 . Dossetti, tuttavia, che stava cercando da mesi il
modo di far «passare» alcune sue idee sullo svincolamento delle com-
missioni dalla servitù del s. Uffizio, era stato cautissimo27 : anzi era arri-

23 CoWMBO, Genesi, cit., p. 136.


24 Lo aveva già fatto Giovanni XXIII in due circostanze di diverso segno: dappri
ma, nel febbraio 1962, quando aveva firmato la costituzione apostolica Veterum sapientia
sul latino ne1la chiesa, su cui cfr. A. MELLONI, Tensioni e timori nella preparazione del
Vaticano II La Veterum sapientia di Giovanni XXIII (22 febbraio 1962), in «CrSt» 11
(1990), pp. 275-307; di nuovo, nella Pasqua del 1963, aveva affidato alla enciclica Pacem
in terris una serie di prese di posizione sui problemi del mondo contemporaneo, che og-
gettivamente indirizzava il dibattito relativo al redigendo nuovo schema sui rapporti
chiesa mondo.
25 Dinamiche, p. 135. Le carte de1la commissione per il regolamento in AD II/4,1.
26 A Lercaro dirà che gli pare «moderato e concreto», cfr. Dinamiche, p. 136.
27 Quando Lercaro deve andare in udienza il 19 luglio raccomanda una inedita
prudenza (F Dossetti 107): egli suggerisce a Lercaro «di non prendere posizioni che, an-
26 IL CONCILIO ADULTO

vato a contemplare la possibilità di «non apportare per ora all' ordo con-
cilii nessuna modificazione di sostanza»28 per non pregiudicare, con un
secondo periodo troppo turbolento, i risultati da raggiungere nel terzo
(e, secondo i più, ultimo) periodo conciliare. La «possibilità e opportu-
nità della designazione di legati papali al concilio», argomentata in una
precedente memoria29 , rimane fra parentesi fino alla metà di agosto: pri-
ma che Carlo Colombo porti a Paolo VI le nuove proposte sulla nomina
di un nuovo organo con poteri legatizi (16 agosto), Dossetti prende con-
tatto con Suenens, primo candidato a coprire questo ruolo. Già il 20,
però, Felici convoca la seduta della commissione di coordinamento este-
sa ai nuovi membri30 che si tiene il 31 agosto: in quella sede Cicognani
informa i presenti che il papa nominerà presto «un nuovo organismo,
composto da tre o quattro Cardinali, scelti dalla commissione di coordi-
namento o dalla presidenza [che] dovrà dirigere il dibattito>>3 1•
È singolare che Cicognani apra una breve ma intensa discussione sul
profilo dell'organo - che lui vorrebbe espressione subordinata del coor-
dinamento stesso, e che Felici (meglio informato sul numero) invece ri-
tiene abbia una funzione di rappresentanza del pa pa32 • Il papa ha scelto,
ma non ha deciso: l'incertezza sulle forme dura più di una settimana.
Diverse redazioni del nuovo ordo vengono battute il 3, il 5, il 7 settem-
bre: nel frattempo Lercaro ha trasmesso a Cicognani una nota con tre
ipotesi sul nuovo organo. L'arcivescovo di Bologna chiede la nomina di
legati, o in subordine di vice-presidenti, ma sconsiglia la creazione di un

che se sostanzialmente esatte, non siano però ben proporzionate nel discorso e ne Ha f or
ma al modo di vedere del Papa, ma ad un tempo di poter far sentire che dietro a una
esposizione per ora molto semplice e discreta vi sono però de1le ragioni molto grosse e
molto meditate che dovrebbero essere conosciute e valutate prima di decisioni comun
que innovatrici», cfr. Dinamiche, p. 135.
28 Cfr. Dinamiche, p. 137.
29 F Dossetti, 570, su cui cfr. Dinamiche, p. 136; il testo ed è forse questo il pun
to debole deJl'intero impianto della revisione regolamentare ritiene che l'organo di di-
rezione unitaria dell'assemblea possa e debba sottrarre il concilio alla egemonia della cu-
ria e in particolare a que1la del s. Uffizio, mediata dalla segreteria generale: non si co-
glie, insomma, il potenziale fattore di disequilibrio che si veniva a creare con la stabiliz-
zazione delle funzioni del coordinamento e del suo presidente, il segretario di Stato?
30 È formalmente datata al 21 agosto 1963 la nomina dei moderatori che non ne
erano già membri nella commissione di coordinamento (Lercaro e Agagianian).
31 AS V/1, pp. 646-650.
32 Felici rivendica di aver proposto il 29 agosto al papa la nomina di quattro «mo-
deratori» (V. CARBONE, L'azione direttiva di Paolo VI nei periodi II e lii del Concilio
Ecumenico Vaticano Il, in Paolo VI e i problemi ecclesiologici al Concilio, Brescia 1989,
pp. 60 e 64 ), per i quali si era anche pensato ad una presidenza da parte del cardinal
decano E. Tisserant (Lercaro a Dossetti, 3 settembre 1963, F-Dossetti, 548).
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 27

collegio di «moderatori» senza «qualificazione chiara e poteri sufficien-


ti»33. Il giorno 9 viene spedita ad Agagianian34 , Dopfner, Lercaro e Sue-
nens una lettera del segretario di Stato che li informa che il papa li ha
nominati «delegati seu moderatores conci/ii, con il compito di dirigere
con mandato esecutivo le assemblee conciliari»: è la stessa formula che
si ritroverà nella lettera Quod apostolici3 5 indirizzata dal papa al cardinal
decano Tisserant il 12 settembre e nella quale si fa il punto delle novità
in vista dell'apertura della sessione.
Ci sarà la lettera di precisazioni sui poteri? 36 Dossetti convocato in
udienza dal papa, viene introdotto e ragguagliato sullo stato dei lavori
da Angelo Dell'Acqua: il 21 settembre non ci sono ancora sicurezze (ne-
anche quella, modesta, di nominare Dossetti stesso come perito del con-
cilio)37. Rispetto al collegio dei moderatori Lercaro vede le cose «diffici-

33 AD Il/4,1, pp. 420-430; cfr. Dinamiche, pp. 141143.


34 Secondo alcuni nominato in aggiunta agli altri tre per desiderio di Cicognani,
cfr. PH. LEVILLAIN, La mécanique politique de Vatican II. La majorité et l'unanimité dans
un Concile, Paris 1975, p. 309.
35 La formula di nomina che distingueva fra la direzione dei lavori d'aula e la
funzione di tutor legis riservata alla presidenza viene ripresa nella lettera Quod aposto
lici, datata 12 settembre ed indirizzata a Tisserant. Paolo VI si dichiara «impaçi», rispet
to al compito lasciatogli dal predecessore, «atterrito» da11' «angoscia» davanti alla realiz-
zazione dell'opera conciliare: la via, comunque, che egli indica è la semplificazione ed
abbreviazione de1le decisioni: «tener presenti soprattutto i principi più generali trala
sciando le questioni particolari», il tutto alla luce del principio della pastoralità; si ap-
prova perciò l'elenco dei 17 schemi e vengono annunciate 6 innovazioni: a) il nuovo uf-
ficio stampa, affidato ad un vescovo Martin J. O'Connor; b) l'ammissione in aula con-
ciliare di alcuni cattolici laici e rappresentanti degli organismi internazionali; e) il rinno-
vato invito agli osservatori a cattolici e l'annuncio deJla nascita di un segretariato per i
non cristiani; d) l'abolizione del segretariato extra ordinem e la nomina di membri di
questo organo che non ne facessero già parte; e) l'elezione di «alcuni cardinali delegati o
moderatori» nei termini della lettera inviata ai prescelti;/) la fissazione delle interruzioni
e l'annuncio di quattro solenni celebrazioni (beatificazioni, consacrazione dei vescovi
missionari, commemorazione di Giovanni XXIII e celebrazione del IV centenario del
Tridentino) che si terranno in S. Pietro; AS II/l, pp. 9 13.
36 Gr. JPrg (A), 30 settembre 1963: «S. D. L. [scil. Suenens, Dopfner, Lercaro]
hanno redatto un testo che afferma il loro ruolo nella direzione ideologica del concilio
[. .. ]. Il cardinale mi dice che questo testo corrisponde alle vedute espresse da Paolo VI
nell'udienza deJla settimana scorsa. [. ..] Per parte mia, ho detto al card. Suenens che ho
trovato che il testo è "troppo forte'' e dà troppo potere ai moderatori. Si ricade in quel
lo che si voleva evitare».
37 Ad Angelina Nicora Alberigo, Dossetti riferisce che l'incontro «è stato abbastan
za sibillino»: pur avendolo ricevuto subito «non l'ha invitato al Concilio e si è mostrato
insoddisfatto del termine delegati per i quattro cardinali. "Delegati di chi? Del papa
no!". Dice che dovranno stare come i suggeritori in una buca». Ne1l'incontro viene det
to che la tipografia non aveva fatto in tempo a stampare il regolamento rivisto; Dossetti
28 IL CONCILIO ADULTO

li», fin dalla primissima seduta del nuovo organo38 . Dossetti - che «do-
vrebbe essere» il segretario dei quattro - si mostra soddisfatto dell'ener-
gia con la quale Suenens e Lercaro rivendicano il ruolo «promesso» dal
papa ai futuri «legati» nel mese di luglio39 . Mons. Prignon, rettore del
collegio belga, apprende da Suenens che l'udienza papale del 25 non ha
sciolto le possibili interferenze con la presidenza ed il coordinamento40 .
Alla riunione congiunta del 26 settembre fra presidenza, coordinamento
e moderatori, vengono ripartiti i compiti in un modo che fa dire a Frin-
gs, membro della presidenza: «siamo in pensione»41 . Invece la questione
non è proprio chiusa.
I verbali delle primissime riunioni, redatti da Dossetti42 , mostrano
come la ripartizione susciti interesse e interrogativi: il 27 settembre il se-
gretario appunta per i «tre» - cioè Dopfner, Lercaro e Suenens - per
prima cosa il problema delle «Norme interne (testo S. Padre)»; nella
nota dello stesso giorno per il solo Lercaro, sostiene che si deve porre la
questione di una «udienza di tabella» dei moderatori e definire la f or-
mula che attribuisce ad essi i poteri delegati necessari alla gestione del-
l'assemblea43. Le altre proposte - costituire un gruppo di periti proprio

a Dell'Acqua offre di «rimanere a Roma, ma lui si è affrettato a dirgli di pur tornare a


Bologna. Di andarlo a trovare se tornerà a Roma durante il concilio», cfr. D Nicora Al-
berigo, 21 settembre 1963.
38 Ldc, p. 155, lettera ai ragazzi del 25 settembre 1963.
39 D Nicora Alberigo, nel «Diario dell'ultima settimana di settembre» appunta che
Dossetti «è stato chiamato a Roma mercoledì sera [25] contemporaneamente da Suenens
e dal Nostro [scil. Lercaro] per iniziativa indipendente. Appuntamento al Collegio Belga
per giovedì 26 alle 13»; Dossetti trova entrambi «molto decisi a giocare il ruolo che il
papa aveva loro esplicitamente promesso nelle udienze di luglio: ad entrambi aveva det
to che sarebbero stati legati. Suenens l'ha detto esplicitamente», Lercaro invece lo ha la-
sciato intendere quando «ancora in luglio, gli disse che lo Spirito santo lavorava. Dopf-
ner è più cauto ed è stato attribuito a lui da Suenens l'esercizio della virtù della pruden
za. Agagianian è completamente fuori gioco: essi pensano infatti di procedere a riunioni
a tre dove decidere e di fare, solo dopo queste, le riunioni a quattro. Don Giuseppe
[Dossetti] dovrebbe essere il segretario dei ''moderatori"», se non <<l'ispiratore». Sono i
moderatori, secondo il JPrg, che scelgono Dossetti come loro «segretario» ff 26; Dossetti
non era «perito del concilio» e non aveva avuto accesso all'aula.
40 JPrg, 25 settembre 1963: «Dopo l'udienza dei quattro moderatori dal Santo Pa-
dre: discussione di fondo sul ruolo di questi moderatori. Equivoco con la presidenza del
concilio. Il [p]apa domanda al card. Suenens di fare relazione e proposte».
41 JPrg (A), 26 settembre 1963.
42 JPrg (A), 27 settembre 1963: «Mattino: riunione dei quattro moderatori. Scelgo-
no Dossetti come segretario»; è l'occasione nella quale si fissa anche la sede dei lavori
dei «quattro» Oa biblioteca della segreteria di Stato) e si ascolta Browne in merito alla
presentazione del De ecclesia.
43 «E ti conferiamo tutte le facoltà necessarie ed opportune per la realizzazione di
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 29

del collegio dei moderatori (Lanne, Pannikar, Kiing e Colombo), stabili-


re un legame diretto con alcune grandi organizzazioni continentali di ve-
scovi, agganciare la CEI di Siri, far circolare tramite «L'Avvenire d'Ita-
lia» alcune messe a punto sui temi teologici, definire la portata dogmati-
ca delle decisioni - sono tutte secondarie rispetto a questa.
Quando il 30 settembre il regolamento, così come esce dagli inter-
venti protrattisi ininterrottamente per settimane, viene distribuito ai pa-
dri, suscita qualche perplessità: Paolo VI dice a Suenens che il testo non
corrisponde «in tutto» al suo pensiero44 • Il gruppo bolognese, che aveva
più di ogni altro premuto sui nodi procedurali, oscilla fra una soddisfa-
zione generale per l'impianto regolamentare, e una più meditata preoc-
cupazione per la rilevanza delle poche proposte scartate: infatti è passa-
to nel regolamento rivisto il criterio di dare stabilità al coordinamento
(con la soppressione del segretariato per gli affari straordinari), di ridur-
re a dimensioni cerimoniali la funzione della presidenza e di introdurre
il nuovo ufficio dei moderatori; l'organizzazione del dibattito prevede la
possibilità di relazioni distinte fra maggioranza e minoranza in aula; ma
non è ancora garantita la funzione e la subordinazione delle commissio-
ni rispetto all'aula; i rapporti fra pontefice, segretario di Stato e modera-
tori non vengono ordinati; la composizione e la direzione delle commis-
sioni non prevede strumenti per un ricambio 45 • In un mese Paolo VI ha

un compito così grave e fruttuoso nel Signore», in G. ALBERIGO, Condlio acefalo? L'evo
lui.ione degli organi direttivi del Vaticano II, in Il Vaticano II tra attese e celebrai.ione,
Bologna 1995, p. 230.
44 Suenens però non condivide subito coi suoi colleghi questa confidenza di Paolo
VI: si limita ad incaricare Prignon di prendere contatto con Dossetti, la cui idea di
estendere i poteri dei moderatori sembra al rettore belga pericolosa nella eventualità (in
travista? inutilmente temuta?) che questo «potere» possa domani cadere in altre mani.
JPrg, 25 settembre 1963: «Il regolamento pubblicato non corrisponde alle vedute del S.
Padre. Felice [sic!] sarà chiamato domani. lo vengo incaricato di far venire Dossetti (del
quale trovo il progetto - sul potere dei moderatori esagerato, imprudente e molto pe-
ricoloso nel caso che altri ricoprano quel posto) e di preparare un pre progetto da sot
toporre al S. Padre».
45 La genesi dei moderatori viene ricapitolata il 1° ottobre, D Nicora Alberigo: la
prima lettura del regolamento il 26 settembre (?) dà «un certo senso di euforia», perché
a Dossetti sembra che «tutte le modifiche del regolamento che lui aveva proposto in lu-
glio erano state accettate»; egli è soddisfatto che sia passata «la possibi1ità di una rela
zione di minoranza delle commissioni in C[ongregazione] G[enerale], la possibilità che
si continui la discussione anche se la maggioranza ne vota la chiusura. I moderatori nel
nuovo schema sono messi sic et simpliciter al posto della presidenza. Il termine modera-
tore è al posto del termine presidente». Dossetti manifesta però «due perplessità: che in
realtà questa non era la volontà del papa e che restavano da capire i rapporti con la
30 IL CONCILIO ADULTO

subito pressioni enormi, rimaste invisibili ai più, ma non ha tagliato il


nodo della coscienza dell'assemblea: il «calice» della chiarificazione con-
flittuale dei ruoli non passa ... 46

1.2.2. Le exortationes ai vescovi e la consolatio a/,la cun:a

La superficie dell'onda conciliare che sta per ritornare a coprire la


scena romana è increspata da alcuni atti del pontefice.
Il 14 settembre Paolo VI, infatti, indirizza due lettere «gemelle» ai
vescovi - una che riguarda anche i f edeli47 ed una di carattere persona-
le48: le esortazioni - ripartite in due lettere per ragioni non facilmente

Commissione di coordinamento, il cui presidente è sempre il segretario di Stato e a cui


sembra essere devoluta la decisione finale sugli schemi nuovi presentati. I suoi dubbi
sono ulteriormente aumentati quando nel pomeriggio dopo un'attenta rilettura si è ac
corto che erano passate tutte le modifiche proposte nel luglio, che il Papa aveva avuto
ancora a Castelgandolfo e che aveva personalmente esaminate, mentre non ne era passa
ta nessuna di que1le presentate ai primi di settembre e riferentesi ai legati».
46 Secondo D-Nicora Alberigo, 1° ottobre, Dossetti crede davvero che il papa
come Paolo VI gli dice in udienza non abbia letto le ultime proposte di modifica e le
abbia «passate intonse al card. Segretario di Stato, cosa che aveva spaventato noi tutti
perché in tali proposte era scritto a tutte lettere che il Segretario di stato non doveva
avere autorità in concilio e la figura dei legati era tutta fatta per dare al concilio un cen
tro di autorità al di fuori della curia». Sarebbe questa «ingenuità» che spiega come il
papa «non sapesse che veniva esplicitamente detto che era meglio non fare legati piutto
sto che farli senza potere» e perciò «la mancanza di chiarezza di idee in proposito. A lu-
glio ha parlato di legati con Suenens, con Lercaro, con d. Giuseppe [Dossetti] come di
gente che deve stare nel buco come suggeritori, con i 4 ricevuti da lui se non erro mer-
coledì 25 settembre, ha mostrato di non conoscere e di non gradire, poiché Lercaro gli
ha detto che cosa c'era scritto nel regolamento circa la posizione di preminenza almeno
formale dei 4. Come poi un papa si veda uscire un regolamento che non è proprio se-
condo i suoi desideri, uno proprio non riesce a capirlo. Ma la curia ha detto che la tipo-
grafia non aveva tempo (così ha detto il Papa a d. Giuseppe [Dossetti]) per giustificare
il fatto de1l'uscita all'ultimo minuto e quel che è peggio pare proprio che il Papa ci cre-
desse».
47 AS II/l, pp. 13-17. La Cum proximù riprende le esortazioni a11a preghiera ed
a11a penitenza già formulate da Giovanni XXIII per l'apertura del concilio; raccomanda
la pratica del digiuno al popolo ed ai sacerdoti per supplicare l'aiuto divino e ribadisce
alcuni caratteri del concilio, il cui compito fa provare al papa <<Una certa ritrosia, se non
vi apparisse manifesta la volontà di Dio».
4 8 AS II/1, pp. 17 19. La seconda lettera, Horum temporum, in forma diretta, pro-
nuncia un elogio quasi incondizionato di Roncalli, per il quale si enuncia la convinzione
che abbia «meritato l'abbondanza de1le grazie celesti»: al tempo stesso descrive natura e
fine del Vaticano II, con una selezione «rassicurante» di espressioni che Ronca1li aveva
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 31

spiegabili, se non con l'ipotesi di due redazioni nate come «alternative»


- non portano messaggi particolarmente rilevanti e appaiono come un
atto dovuto, o forse la mera replica della prassi del 1962.
Assai più impegnativo è invece un secondo atto, inatteso e caricato
di una certa solennità. Mentre si attendono le chiarificazioni sulle rifor-
me regolamentari e sui compiti dei moderatori, arriva il 21 settembre un
impegnato discorso del papa alla curia, preannunciato alla commissione
di coordinamento tre settimane prima49 • In quelle pagine, lette ad un' as-
semblea che comprende tutti i membri delle congregazioni romane al
gran completo, e ad un certo numero di padri conciliari già giunti a
Roma (il totale arriverà ad 800 persone), Paolo VI fa una serie di di-
chiarazioni e offre alcune rassicurazioni. A chi in curia teme che le ini-
micizie di cui mons. Montini era stato vittima diventino l'agenda di una
rivalsa o di una riforma, il discorso del 21 settembre scioglie ogni pate-
ma50: Paolo VI mostra di non aver meditato nel suo esilio milanese la
distruzione del congegno che lo ha espulso, ma piuttosto di aver conser-
vato la convinzione della necessità della struttura curiale all'esercizio del
governo papale. Per molti non è poco.
Paolo VI, però, risponde anche a due diverse categorie di ecclesiasti-
ci: egli si rivolge infatti a chi vede nel concilio un raffinato ed affilato
strumento col quale riformare la struttura curiale stessa, accusata, pur
col tatto del linguaggio ecclesiastico che connotava a suo tempo i vota e,
condlio durante, le conversazioni private, di prevaricare e vessare i ve-
scovi; e, non ultimo, il papa risponde a coloro che temono che i leader
della maggioranza conciliare che lo hanno eletto siano ora in grado di
condizionarne gli orientamenti e l'atteggiamento verso i lavori assemble-
ari. Il messaggio a queste due «correnti» è «montinianamente» sfumato,
ma perfettamente leggibile.
Il papa, infatti, informa - senza lasciare spazi di trattativa - che i ve-
scovi residenziali dovranno avere parte attiva e stabile nel lavoro delle
congregazioni; inoltre pretende, apertù verbis, con forza dalla curia
l'adesione al concilio: ma insieme la consola per la dura sconfitta patita
in aula durante il primo periodo del Vaticano Il; ché, nelle settimane di

usato nei suoi discorsi. Che il riferimento sia que1lo al «depositum pure custodiendum»
ed alla cattedra petrina, a scapito dei passaggi su1la misericordia e la pace, costituiva una
oggettiva chiave selettiva.
49 AS V/1, p. 646: solo Lercaro si dichiara contrario, ritenendo il discorso troppo
vicino all'inizio dei lavori.
50 AS II/1, p. 49 56. Già alla obbedienza del 22 giugno 1963 aveva rivolto un salu-
to alla curia, aiuto validissimo «praesertim in concilio oecumenico Vaticano II parando,
celebrando una cum ceteris catholicae ecclesiae episcopis».
32 IL CONCILIO ADULTO

congregazioni generali del 1962 e di discussione sulle tematiche liturgi-


che ed ecclesiologiche, la curia «avvertì la straordinaria e complessa di-
mensione [di esse] più di qualsiasi altro settore della chiesa»51 • Papa
Montini è consapevole ed indulgente verso il fatto che la curia abbia la-
sciato «trasparire qualche suo stupore e qualche sua apprensione»; ma
esige per il futuro «identità di vedute» e «conformità di animi a ciò che
il papa comanda o desidera»52 •
A fronte di questo allineamento previo, Paolo VI offre ai suoi inter-
locutori come concessione ciò che molti (ma non i vescovi) ritengono
un diritto acquisito: e cioè che resti riservato alla curia stessa lo ius di
formulare e promulgare le riforme che la riguardano; il che non dovrà
escludere che il concilio chieda di veder «associato [... ] qualche rappre-
sentante dell'episcopato, specialmente fra i presuli che dirigono una dio-
cesi al capo supremo della chiesa stessa»: su questo tema (tanto più se
espresso in questa formula sfumata della «associazione») non sarà la cu-
ria, ordina il papa, a fare opposizione53 .
Questo discorso papale, che precede d'otto giorni la grande allocu-
zione inaugurale del II periodo conciliare, trova modesta eco nei diari
dei padri che si stanno preparando a far ritorno a Roma: Prignon fa
solo cenno ai «brusii di reazione d'opposizione della curia al discorso
del papa»54 • Fa cenno all'allocuzione alla curia il diario di Neophytos
Edelby, il vescovo melchita che si trovava a Roma, e che, pur invitato,
aveva deciso di saltare l'udienza: pur assente, dunque, viene raggiunto
dagli echi del discorso montiniano. Glieli porta Pierre Duprey, del se-
gretariato per l'unità, che a mezzogiorno di quel 21 va a visitare il me-
tropolita: Duprey si dichiara entusiasta perché, a suo dire, il papa ha an-
nunciato la «riforma della curia». E sintomatico che a questo punto
Edelby decida di dedicare qualche ora ad una sua lettura del discorso,
attenta e circospetta: analizzando il testo egli individua come obiettivo
del sapiente wording montiniano quello di «far desiderare alla curia le
riforme che Paolo VI vuole imporle», ma quantomeno condivide con
Duprey l'impressione che Montini abbia annunciato una riforma della
struttura del potere curiale. Pur essendo - come melchita e come teolo-
go - un esperto di sinodalità, il clima di fiducia impedisce al metropoli-

51 IdP, I, 1963, p. 144.


52 Ibidem, p. 145.
53 Semmelroth acclude al suo diario il ritaglio d'un articolo apparso in «Frankfurter
Allgemeine Zeitung», 23 settembre 1963, p. 5, sulla profonda riforma annunciata dal
pontefice (I/ papa annuncia una profonda riforma della curia. Esige sohdarietà nell'opera
di rinnovamento della chiesa. Servizio dei nostri corrispondenti da Roma).
54 JPrg, 24 settembre 1963.
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 33

ta di desiderare qualcosa di più incisivo; tanto meno né egli, né altri


sembrano cogliere che se il discorso annuncia una possibile futura rifor-
ma della curia, per certo dichiara la volontà del papa di sottrarre con
un atto papale una questione di tale portata dall'agenda del Vaticano
II5 5 • Anche le memorie di Jedin dedicano pochissimo spazio al discorso
papale56 , che invece aveva avuto un indiretto commento in una lettera a
Klostermann relativa al capitolo I dello schema sui vescovi:

Credo che una internazionalizzazione dell'apparato di curia faccia cadere dalla padella
nella brace, perché per esperienza gli stranieri romanizzati sono più intolleranti degli italia
ni. Vedo piuttosto una possibilità in un ulteriore allargamento della provenienza dei con
sultori che sino ad ora sono stati reclutati quasi esclusivamente tra i religiosi romani57.

1.3. Il concilio di Paolo VI

La delicatezza del passaggio di pontificato a concilio aperto, ovvia-


mente, non poteva essere risolta dalle promesse di continuità: per Paolo
VI, pur così aduso ai meccanismi del governo pontificio, la gestione del-
la ripresa del concilio è un noviziato nel noviziato. Eletto papa davanti
ad un concilio da altri radunato, egli non poteva ispirarsi a precedenti
meno remoti del Tridentino, l'ultimo sinodo della latinità a conoscere
un cambio di pontificato concilio sedente. Il pontefice, quindi, deve co-
struirsi riferimenti nuovi: cerca collaborazioni al di fuori della curia
(Dopfner, Lercaro, Suenens) e insieme dialoga con la curia per ottener-
ne la fedeltà; pensa, abbozza, tralascia un'enciclica ecclesiologica e no-
mina i suoi moderatori per garantire l'efficacia della procedura concilia-

55 JEdb, 21 settembre 1963, ed. it. pp. 141-144. Edelby annota di aver discusso con
Duprey la questione dei seggi dei patriarchi: è tipico del clima conciliare che il 24 set
tembre, all'oscuro degli accordi presi, Prignon creda di aver risolto il caso «con Thils:
proposta di far dare ai patriarchi orientali un seggio speciale e distinto in ogni caso da
gli altri arcivescovi e vescovi», JPrg (A), 24 settembre 1963.
5 6 Nelle memorie è lo scontro Frings/Ottaviani dell'8 novembre che spiegherà
come mai Paolo VI decida di chiedere allo stesso Jedin, a Ratzinger e ad Onclin alcuni
pareri sulla riforma della curia. Cfr., in attesa che venga reso accessibile il diario, H. JE
DIN, Storia della mia vita, Brescia 1987, pp. 314-315 e J. RA1ZINGER, Das Konzil au/ dem
Weg. RUckblick au/ die zweite Sitzungperiode, Koln 1964, pp. 9 12.
57 «Glaube ich, daB eine Internationalisierung das kurialen Beamtenapparates und
aus dem Regen indie Traufen bringt, weil erfahrungsgemaB verromerte Auslander undul
dsamer sind als die Italiener. Ich sehe hier eine Chance in einer weiteren Streuung der
Konsultoren, die bisher ja fast ausschlieBlich sich aus romischen Ordensleuten rekrutier
ten». Jedin a Klostermann, 23 settembre 1963, F-Jedin, G5 a21. Sfugge aJedin l'eco del
la tesi luterana per cui «ecclesia indiget reformationem» su cui G. CERETI, Riforma della
chiesa e unità dei cristiani nell'insegnamento del Concilio Vaticano II, Verona 1985.
34 IL CONCILIO ADULTO

re; esprime la piena adesione alla pastoralità dell'aggiornamento e rivisi-


ta i luoghi classici della mistica del potere papale 58 .
Rispetto al primo periodo, nel concilio di Paolo VI la discronia fra
assemblea e papa si rovescia: Roncalli aveva avviato la macchina conci-
liare da ferma e ne conosceva tutto il percorso da dentro; la sua scelta
di astenersi nella preparazione, fino al discorso d'apertura aveva lasciato
aperta la porta del concilio che dava sull'abisso delle condanne. Paolo
VI, invece, deve salire su un treno in corsa: non è una corsa ancora fre-
netica, ma certo, al difficile mestiere di papa nella chiesa, s'aggiunge il
lavoro straordinario di «papa nel concilio»; e se l'assemblea ha già avuto
modo di studiarsi, sperimentarsi almeno in un primissimo livello di di-
scussione, il pontefice deve inventarsi un ruolo che - per definizione e
per congiuntura - può essere tutto eccetto la ripetizione del non-para-
digma roncalliano.

2. La preparazione dell'assemblea

Se gli interrogativi ruotano prevalentemente attorno alla figura del


pontefice, le attese, le speranze e qualche dubbio investono la sostanza e
gli schemi sui quali il concilio sarà chiamato a deliberare.
I padri (e gli osservatori?) hanno ricevuto gli schemi sulla chiesa e
sulla rivelazione nell'estate: il 16 settembre apprendono da Felici anche i
cinque temi che saranno in discussione nel periodo, secondo il volere del
coordinamento59 • Molti hanno ricevuto commenti e letture, chiedono
note esplicative, leggono i molti articoli che la stampa specializzata fa cir-
colare, incassano osservazioni che vengono redatte negli ambienti ecume-
nici, e talora anche in sede politica60 • Per tutti vale una notazione globa-
le: le scadenze imposte dagli organi conciliari per l'invio delle osservazio-
ni sugli schemi, scontavano un timing che nessuno aveva sottoscritto: il
desiderio di prendere la parola, capi~e, correggere è largamente domi-
nante; non solo: l'esperienza del lavoro comune degli episcopati ha instil-
lato modi di procedere che dodici mesi prima erano impensabili.

58 Cfr. supra, n. 16.


59 Per l'invio cfr. SN 2, pp. 555 558. Quanto al futuro, la sequenza De ecclesia, De
beata, De episcopis, De apostolatu fidelium, De oecumenismo, è decisa nel coordinamento
del 31 agosto, AS V /1, pp. 651-652.
60 Cfr. vari contributi in Experience; sulle reazioni di stampa nella opinione pubbli-
ca alcuni elementi in app. I a Paolo VI e i problemi ecclesiologici, cit., pp. 431 560.
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 35

2 .1. Le riunioni dei vescovi

Più come sintomo di apertura, che per l'importanza dei deliberati, si


segnala l'iniziativa di alcuni vescovi italiani, sino a quel momento note-
voli per la loro scarsa propensione al confronto e totalmente digiuni
d'esperienze di collaborazione internazionale61 . Una piccola delegazione
viene invitata da Florit ad un incontro di vescovi italiani e francesi che
si tiene a Firenze il 26-27 settembre62 . Non si tratta di un incontro di
amicizia, ma di un passo significativo che vorrebbe coordinare due epi-
scopati (o almeno una parte degli stessi) apparsi nel primo periodo e
nella intersessione piuttosto divaricati negli orientamenti. Che si tratti di
una riunione importante lo dicono sia il livello dei partecipanti - più da
parte francese (Lefebvre, Garrone, Marty, Veuillot, Ancel ed Etchega-
ray ), che da quella italiana (Florit, Baldassarri, Carli e Calabria con Bet-
ti)63 - sia l'agenda al centro della quale c'è il problema del destino del
De revelatione.
L'episcopato francese aveva tenuto riunioni e prodotto lavori di in-
formazione ed analisi64 : fra questi era uscita a luglio una severissima
nota critica del p. Congar, il quale considerava lo schema proveniente
dalla commissione mista inaccettabile, a causa della confusa definizione
della rivelazione nell'apertura dello schema: una concezione ancora trop-
po sbilanciata a favore della rivelazione come «contenuto», e poco capa-
ce di riconoscere la rivelazione come «atto» di comunicazione da parte
di Dio, avrebbe condizionato negativamente tutta la trattazione successi-
va (rapporto con la tradizione, limiti della esegesi, ecc.) 65 . Anche il p.

61 Solo dairagosto 1963 il segretario deila conferenza Castelli costituisce una com
missione teologica di vescovi Calabria, presidente, Carraro, Florit, Carli, Castellano,
Compagnone, Fares e Nicodemo per vagliare gli schemi e le osservazioni da trasmette
re a tutti i padri italiani, cfr. F. SPORTELLI, LA conferenza episcopale italiana al Vaticano
II, in stampa. L'episcopato italiano è il gruppo più numeroso del concilio, come è noto.
62 La riunione fiorentina smentisce i facili anacronismi meccanici: non è certo una
riunione di <<maggioranza», perché mancano i veri capi della stessa, ma non è neppure
una logica d opposizione alJ>antiromische Affekt che pervadeva alcuni episcopati. Cfr. D
1

Betti, ad diem.
63 Rispetto alla lettera d invito mancano Lercaro, Motolese, Carraro e Piazzi: Lerca
1

ro rifiuta l'invito, temendo una reazione di Siri, in Ldc, p. 160: ma quel giorno c è an1

che la seduta congiunta di coordinamento, presidenza e moderatori.


64 Il 25-27 giugno la conferenza dei vescovi deila Francia Occidentale a Angers ave
va approvato un dossier di osservazioni sul De divina revelatione, ora in AS Ill/3, pp.
901-903.
65 Escono con la data dell ll luglio le osservazioni di Congar su Le schéma «De re
1
36 fL CONCILIO ADULTO

Betti dà un giudizio negativo sullo schema, e si attribuisce il merito di


aver ottenuto, nella riunione fiorentina, l'adesione di tutti alla soppres-
sione dello schema della commissione mista 66 .
Altri episcopati procedono a sedute di preparazione, ma in continui-
tà con quanto avevano già fatto ed erano abituati a fare 67 : è come al so-
lito decisiva l'abituale riunione collettiva dei vescovi tedeschi nella quale
si gettano le basi di alcuni dei «grandi» interventi fatti a nome di tutto
il gruppo germanofono nelle congregazioni generali68 : le note di Rahner
sul De ecclesia, il De revelatione ed il De beata (spedite il 4 luglio) ven-
gono ciclostilate e distribuite per la riunione 69 . Sul De episcopis i vescovi
tedeschi sanno delle note inviate da Jedin a Dopfner nei mesi primaveri-
li in commento ad uno stadio della redazione ormai superato, ma che
conservano la loro peculiarità, ed ascoltano una relazione di Schaufele70 •
Brouwers, segretario della conferenza olandese, scambia con i vescovi e i
teologi note e commenti di preparazione sui diversi punti in agenda,
specialmente su collegialità ed episcopato71 .
Conferenze come quella brasiliana preparano libretti di note agli
schemi redatti da vari esperti e diffusi, però, anche fra i padri di altri
paesi72 . La conferenza spagnola nella sua riunione del 14 maggio aveva

velatione», in «EtDoc», n. 14, pp. 1 8, F Florit, 365; e quelle su Les deux premiers chapi
tres du schéma «De ecclesia», in «EtDoc», pp. 1 7, F Gagnebet, I, 20, 7.
66 D-Betti, 27 settembre.
67 Il 6 10 agosto c'è la riunione degli argentini (cfr. L. ZANATTA, L' epfrcopato argen-
tino durante il Vaticano Il, in Experience e AS III/3, pp. 894 896); il 9-10 quella del-
1' episcopato della regione flaminia, il 10 12 dell'episcopato lombardo veneto ed il 27 28
agosto dell'intera conferenza italiana, F Dossetti, 257 e F Lercaro, 769; i vescovi del
l'Uruguay tengono riunioni il 12 14 agosto, cfr. P. DABEZIES, Los obispos de Uruguay en
el concilio, in Experience. Sulla conferenza canadese e le ricorrenti difficoltà fra i vescovi
ed il card. Léger, cfr. J. M. R TILLARD, L' épiscopat francophone au Concr'le, in L'Eglire
canadienne et Vatican Il, Québec 1997, pp. 291 301.
68 Nella seduta del 26 27 agosto a Fulda si approvano le osservazioni sugli schemi
(per il De divina revelatione, AS III/3, pp. 905 913). Dopfner aveva tentato già a inizio
anno di praticare una distinzione fra i temi dell'agenda per una vera riduzione: allora
suggeriva di rimandare i problemi di dettaglio alla commissione per la revisione del
CIC, di cui era attesa la costituzione a marzo, in un significativo parallelo con la com
missione segreta sulla natalità. Dopfner in fondo conserva e adatta la «tesi» tedesca della
cassazione generale degli schemi del 1962: l'idea è sempre quella di un asse (non un
progetto).
69 Cfr. VORGRIMLER, Comprendere Rahner, cit., p. 220.
70 F Jedin, G5 a7 e 19 e F-Schaufele, 154/20.25.
71 Ad es. la lettera del 10 agosto 1963 di Brouwers a Schillebeeckx, in F Onclin
128.
72 F Houtart, 226, documento di 147 pp. Cfr. L. BARAUNA, A con/erencia episcopal
brasileira, in Experience.
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 37

dato mandato a vari gruppi di esperti di stendere osservazioni e note sui


vari schemi: i canonisti, gli «spiritualisti», i mariologi tengono diverse
riunioni nell'estate che portano alle note ed informazioni consegnate ai
vescovi non nella seduta del 9-11 settembre73 , ma in quella plenaria del
29 settembre a Roma74 .
Quello spagnolo non è il solo episcopato, comunque, a mantenere
contatti che, solo dopo il ristabilirsi nelle residenze romane, daranno
luogo a ritmi di lavoro serrati. Fra le cose che premono all'episcopato
statunitense - riunitosi il 6-7 agosto a Chicago per un primo esame de-
gli schemi - c'è la sorte dello schema sulla libertà religiosa, possibile
quinto capitolo del De oecumenismo, di cui, nonostante le richieste di
Bea, non verrà ordinata la stampa e la distribuzione ai padri75 • Prima
dell'inizio dei lavori una seduta della conferenza delibera che una lettera
al papa solleciti questo passo, ritenuto dai cattolici americani necessario
allo sviluppo della loro presenza nella società: la cosa resterà sospesa
(almeno fino al primo incontro romano della conferenza stessa) e sarà
reiscritta in agenda con la petizione di Spellman su cui si tornerà fra
poco76 .
I vescovi che vengono dai paesi a regime comunista hanno pochissi-
me informazioni e dedicano i cauti contatti reciproci alla valutazione
delle possibilità loro concesse di partecipare ai lavori: fra i polacchi, ad
esempio, Wyszynski stabilisce degli incontri di merito dopo l'arrivo a
Roma 77 • Altri vescovi «anomali» sono quelli algerini, collocatisi dopo
l'indipendenza nella Retraite, un convento sul Gianicolo, e alle prese col
difficile inserimento nell'episcopato africano 78 .
Il 5 settembre il comitato economico informa comunque gli episco-
pati che è bene che essi portino a Roma per il concilio anche il segreta-
rio della conferenza (a loro spese) per mantenere i contatti79 .

73 Actas de las Conferencias de Metropolitanos Espaiioles (1921-1965), ed. V.C. Orti,


Madrid 1994, pp. 625 636.
74 Dicionario de historia ecclesiastica de Espaiia, dir. Q.A. Vaquero, T.M. Martinez,
J.V. Gatell, I (A C), Madrid 1972, p. 523.
75 Cfr. V. CARBONE, Il ruolo di Paolo VI neltevoluzione e nella redazione della di-
chiarazione «Dignitatis humanae», in Paolo VI e il rapporto chiesa mondo al Concilio. Col
loquio internazionale di studio, Roma 1991, pp. 126 175, in specie pp. 129 130.
76 Cfr. RYNNE, pp. 192-193.
77 Cfr. P. RArNA, Kardynal Wyszynski. Czasy Prymaskaie 1962 1963, 4, Warszawa
1994, pp. 150 165.
78 Il segretario della conferenza francese, J. Gouet, scrive a Duval il 2 settembre
1963 informandolo d'aver telefonato ad Annecy per sapere se questi era ancora savoiar
do, A-Arcivescovado di Parigi, segnalatomi dalla cortesia di M. lmpagliazzo.
79 Cfr. CAPRILE, III, p. 18: lo stesso organismo informa anche che i viaggi collettivi
38 IL CONCILIO ADULTO

2.2. Problemi} commenti e posizioni acattoliche

Il mondo ortodosso si presenta alla vigilia del secondo periodo in


condizioni di diffidenza, anche reciproca: il mancato coordinamento fra
Mosca e Costantinopoli nell'invio di osservatori nel 1962 pesa come una
ferita non sanata; i passi romani nell'estate non sono ancora stati in gra-
do di superare i dubbi di Athenagoras. Il cambio di pontificato, d'al-
tronde, era passato in modo tutt'altro che indolore: Athenagoras non
aveva neppure salutato l'elezione del successore di Giovanni XXIII, né
si era fatto rappresentare alla sua incoronazione. Per parte sua Paolo VI
aveva letto nel discorso d'incoronazione alcune frasi sul primato e sulla
realizzazione dell'unità cristiana non certo delicate verso i suoi interlocu-
tori acattolici80 • Il segnale è grave e lascia intendere che il Trono di Co-
stantinopoli non vuole compromettere il suo prestigio inviando a Roma
degli inutili spettatori: a tali dubbi e preoccupazioni del Fanar deve ri-
spondere una missione estiva di Willebrands e Duprey ad lstanbul81 ;
Roma, essi ripetono, non chiede degli «spettatori» per il condlio, ma
degli «osservatori» con un ruolo. Mentre le procedure di accredito degli
osservatori delle diverse chiese scorrono senza problemi - perfino sul
lato sovietico, di cui è portavoce Nikodim nella udienza che Paolo VI
gli concede a metà settembre - la decisione del Fanar si fa attendere: e
anche se papa Montini, a questo punto, cerca di recuperare la situazio-
ne, l'esito è deludente. A nulla vale la lettera indirizzata personalmente
dal papa al patriarca - una coraggiosa e innovativa scelta - il 20 settem-
bre: l'invio di osservatori viene subordinato alla conferenza panortodos-
sa che si potrà radunare a Rodi soltanto il 26 settembre82 , e in quella
sede le pesanti riserve greche risulteranno decisive ed impedienti.
Invece le federazioni, le organizzazioni confessionali si preparano a
confermare le delegazioni di rappresentanza83 : ritornare è certo più faci-
le che partire.
Il Consiglio ecumenico delle chiese continua a fare da punto d'in-

a carico della S. Sede saranno organizzati attraverso i rappresentanti pontifici e le nun


ziature.
80 IdP I, 1963, pp. 23 31.
1

81 M. VELATI, Una difficile transizione. Il cattolicesimo tra unionismo ed ecumeni


smo, Bologna 1996, pp. 372 383 e ID., Gli osservatori del Consiglio ecumenico delle chie
se al Vaticano II, in Evento, pp. 189 257. ·
8 Chrisostomos d'Atene cerca di ottenere che il governo proibisca la riunione in
2
territorio greco ... Cfr. V. MARTANO, Athenagoras il patriarca (1886 1972). Un cristiano
fra crisi della coabitazione e utopia ecumenica, Bologna 1996, p. 460.
83 Cfr. VELATI, Gli osservatori, cit., pp. 189 257.
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 39

contro di opinioni su questioni di sostanza. Anzi, il colloquio su Tradi-


zione e tradizioni che Faith and Order del CEC tiene come sua quarta
conferenza a Montreal, in Canada, fra il 12 e il 26 luglio 1963, entra nel
vivo di uno dei dibattiti chiave per il nuovo periodo conciliare. La pre-
senza, poi, di osservatori del segretariato per l'unità, il caloroso benve-
nuto ai partecipanti pronunciato dal card. Léger, il fatto stesso che per
la prima volta un cattolico (R. Brown) tenga una relazione - dava a
quell'incontro un carattere di «reciprocità» e di sviluppo rispetto alla
presenza acattolica al Vaticano Il Le relazioni e le discussioni indicava-
no chiaramente quanto fosse stato opportuno il ritiro del De /ontibus
nel corso del primo periodo: gli ambienti ecumenici consideravano deci-
sivo per capire gli orientamenti più veri e duraturi della chiesa cattolico-
romana il modo in cui si sarebbe trattato il rapporto Scrittura/tradizione
nel concilio84 •

2.3. Lavori di commùsione

L'attività delle commissioni è rimasta fondamentalmente immobile


dalla morte di Giovanni XXIII (e in qualche caso anche da prima).
L'attesa del nuovo papa, delle decisioni del coordinamento lasciano le
iniziative della primavera come in sospeso.

2.3 .1. Le commissioni sulla liturgia) i seminari e le missioni

L'attesa, comunque, si sostanzia di atteggiamenti diversi: c'è chi,


:ome la commissione liturgica, sta preparando la discussione finale del
Jroprio lavoro, in un atteggiamento di sostanziale fiducia 85 • Altri (i reli-

17 . ~~odocum~nti in Poi et constitution,. ed. par L. Vischer, Neuchatel 196B, pp. 160
i~E l" ntesto:: R. BU~GANA, La redai.ione della costitui.ione dogmatica ('Dei Verbum))
1 e
g.tse cana tenne,. CJ.t., pp. 373-395. Fra le conclusioni era quella di un «catechi,
mo universale ecumenico» che favorisse l'incontro sulla Bibbia Sul di· dell ·
tone cfr O CULLMA L V . . · n1a a mterses-
h L .V . N~ . ISCHER, Zwtschen 1.Wet Koni.ilHeHionen Ziirich 1963 Cfr
~c e · . ISCHE~, _Stona del concilio Vaticano IL Reactions and Co~ments by an Obser.
_r a:/he Counal, 1U «The Ecumenica! RevieW>>, 49 (1997)/3, pp. 348 353.
! sette;~;e~~63~pApR~~R~-F10u ~n9e6s0t /Se snchén:~ «De Sacra Liturgia»?, in «EtDoc», 19
.. · , or1t . u o sv1rnppo del testo cfr M PAIANO S
Lf:
r~c:um ft~ium_. ,costtiui.ione sul~a liturgia nella preparai.ione e n~llo. svolgim;nt;c~~l
~canDo M. ontt'!utta o rottura?, tesi d.d.r., Università di Bologna 1995/96 (re] G Al-
:!rtgo . enozz1). · ·
40 IL CONCILIO ADULTO

giosi, i seminari), temono invece che l'istanza di riduzione degli schemi


possa penalizzare attività di revisione che sembrano perciò inutili.
Altri sono in panne: sepolto dalle critiche della commissione di co-
ordinamento - che chiede la definizione della missione, una miglior pre-
cisione giuridica, e un piano di ristrutturazione di Propaganda fide - lo
schema della commissione sulle missioni resta sospeso. Integrata dal
papa dopo la morte di mons. Platero, con la nomina del primo tedesco
dell'organo (il vescovo di Fulda, Balte), la commissione non avrà riunio-
ni. Agagianian, addirittura, farà preparare ad alcuni teologi della vecchia
commissione preparatoria un capitolo da inserire eventualmente nel De
ecclesia, qualora la bocciatura si rivelasse definitiva86 .

2.3 .2. La commissione dei vescovi

La commissione responsabile dello schema sui vescovi e sulla cura


delle anime viene convocata formalmente per il 1° ottobre87 : ma nel-
1' estate i vari membri si scambiano corrispondenza sul!e reazioni che lo
schema sta suscitando. Ci sono gruppi - come quello Eveque de Vatican
[]88 - che avanzano le loro istanze in vista dei lavori: la mole delle osser-
vazioni ricevute o pubblicate è tale che il 12 settembre vengono costitui-
te cinque commissioni «per ordinare, coordinare e predisporre le osser-
vazioni inviate per iscritto dai padri sui due schemi»89 . Il 7 ottobre Carli

86 E. LOUCHEZ, La commiJsion De missionibus, in Les commirsions à Vatican II.


Colloque de Leuven et Louvain la Neuve, J. Famerée, J. Grootaers, M. Lamberigts, CL
Soetens (éd.), Leuven 1996, p. 263.
87 Marella ai membri, il 1° luglio 1963, F-Veuillot 71.
88 Si definiscono così A. Mufioz Duque, F.N. Adam, L. de Courrèges, A. de Mou
ra, JA. Dammert, F. Gonzalez, M. Maziers, M. Vial, B. Pineda in una lettera dei primi
di luglio che annuncia che all'apertura del secondo periodo ci saranno «seminari» inter-
nazionali di ricerca che prepareranno alcuni interventi, nota ds pp. 2, in F Florit F 459.
89 F Eldarov, III.12 15 e F Ondin, 172: alle sottocommissioni viene data una ratio
procedendi che tiene conto della struttura delle sottocommissioni ed illustra il modo di
elaborazione delle richieste di modifica. I membri delle subcommùsiones sono: 1° (De
episcopis et dioecesium regimine): relatore: L. Carli; segr: A. Sabattani; sottosegr: P. Fer
nandez; periti: E. Civardi, G. D'Ercole, E. Eid, J. Gouet, H. Hoffmann, H. Jedin, G.
Mariani, G. Pasquazi. 2° (De cura, Cap. I. De pastorali episcoporum munere): relatore:
É.M. Guerry; segr: A. Piovesana; periti: F. Boulard, V. Carbone, G. Ceriani, P. Cremin,
A. Ramselaar. 3° (De cura, Cap. Il. De pastorali parochorum officio): relatore: H. Schaufe-
le; segr: C. Berutti; periti R. Bandas, V. Che-Chen-Tao, A. Deskur, F. Klostermann, P.
Pavan, J. Quinn. 4° (De cura, Cap. III. De rationibus inter episcopos et religiosos praeser
tim quoad apostolatus opera): relatore: N. Jubany Arnau; segr: G. Stano; periti: P. Abel-
lan, G. Eldarov, G. Michiels, W. Onclin, J. Rousseau, P. Whitty. 5° (De cura, Cap. IV.
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 41

darà relazione alla comm1ss1one, e sosterrà la necessità di collegare lo


schema al De ecclesia, pur senza procedere ad una riscrittura. Secondo
Carli bisognerà comunque che lo schema, pur prevedendo un ruolo dei
vescovi nella curia romana, non metta in ombra il diritto del papa di
decidere da solo come riformare gli organi centrali del governo90 •

2.3.3. La commùsione per l'apostolato dei laici

la commissione dei laici - le cui tematiche erano a rischio di assor-


bimento nell'omonimo capitolo del De ecclesia e nelle parti sul rapporto
con la temporalità nello schema XVII - non tiene riunioni nel momento
in cui Suenens propone la bipartizione del capitolo III del De ecclesia in
due segmenti, uno De papula Dei in genere, da collocare prima del capi-
tolo De hierarchia, ed uno De laicis da conservare dopo la trattazione
della gerarchia in posizione di IV capitolo. Esposta nel coordinamento
del 4 luglio la mozione Suenens 91 , verrà approvata da Paolo VI il 1° set-
tembre, comunicata alla presidenza il 16 settembre, ma resa nota ai pa-
dri solo dopo l'inizio del dibattito in aula: eppure essa era stata avanzata
proprio all'interno della commissione sull'apostolato dei laici, nel corso
dell'esame che aveva dedicato allo schema ecclesiologico per valutarne le
possibilità d'interferenza 92 • Un piccolo gruppo - Sabattani, Klostermann,
Papali, Tucci e Cento - lavora durante l'estate per preparare una prima
bozza di direttorio per l'attività dei laici e solo a settembre i periti già a
Roma vennero richiesti di impostare l'esame delle osservazioni inviate
dai padri. Tuttavia, come sintetizza il rettore del collegio belga convoca-
to per questa attività: «impressione generale: impossibile fare un lavoro

De pastorali cura peculiarium quorundam fidelium coetum): relatore: G. Gargitter; segr:


J. F. Arrighi; periti: A. Deskur, D. Grasso, D. Herlihy, L. Ligutti.
90 F Veuillout, 92.
91 AS V /1, p. 594. L'8 agosto 1963 Philips aveva scritto a Colombo che «il card.
Suenens chiede a una piccola équipe di modificare un po' l'ordine dello schema, per
inserirvi un capitolo speciale sul "popolo di Dio". Noi vi lavoreremo probabihnente al
l'inizio di settembre con dei professori di Lovanio, il p. Congar, il p. K. Rahner, etc.
L'idea sarebbe di trasporre in questo nuovo capitolo le indicazioni sparse che figurano
già nello schema sul popolo di Dio, e anche il n. 24 del capitolo De laicis, e forse an-
che il n. 23 sull'eguaglianza e l'ineguaglianza [l'inégalita, sic!] dei membri della Chiesa.
Se in proposito avete suggerimenti da dare, io mi raccomando fin da subito», F Colom
bo, CXXII.
92 M. T. FATTORI, La commissione «De ftdelium apostolatu» e la redai.ione del decre
to sull'apostolato dei laici (settembre 1962 maggio 1964), in Experience, per la paternità
di Klostermann.
42 IL CONCILIO ADULTO

serio prima dell'esame del De ecclesia. Discussione di fondo su: la defi-


nizione del laicato e dell'apostolato dei laici»93 . La commissione Cento
attende: e al momento pare che non veda, né ispiri, l'elenco degli invita-
ti laici al concilio che costituiscono l'esaudimento d'un desiderio manife-
stato attraverso di essa94 •

2.3.4. La commissione delle chiese orientali

La commissione orientale viene convocata in una tardiva sessione il


20 settembre alla quale interviene Edelby: si lamenta della mancata con-
vocazione della commissione lungo tutta l'intersessione, ma nonostante
la rilevanza della obiezione, non ottiene alcuna soddisfazione. Si aggior-
na al successivo lunedì 23 la risistemazione dei testi: e in quella data
Edelby vede confermato il suo timore di un atteggiamento aggressiva-
mente latino da parte della maggioranza della commissione, contro la
quale deve «lottare, ma a malincuore». La durezza del vescovo melchita
otterrà qualche ammorbidimento, ed il testo vedrà inclusi gli emenda-
menti proposti a nome del patriarca - in parte ripetuti in un più gene-
rale dossier d' osservazioni del sinodo patriarcale di quella chiesa95 • Il
diario di Edelby - diario «sinodale», come s'è detto - riferisce infatti
anche gli atteggiamenti e le posizioni del patriarca Maximos, di cui il
vescovo si fa portavoce: e dà spazio al fatto che lo stesso Saigh, che nel
1962 aveva evitato di partecipare alla liturgia inaugurale del concilio per
protesta, il 27 settembre 1963 prenda addirittura parte alla seduta della
commissione orientale nella quale si discute del rapporto col segretariato
per l'unità e della spinta alla latinizzazione. Maximos IV - appunta
Edelby - trova una buona intesa con i patriarchi maronita e armeno:
che la commissione conciliare, così avara negli esiti, favorisca l'allinea-
mento degli orientali su posizioni comuni?%

93 In fondo si ha l'impressione di un gruppo che non aveva mutato il «tema di fon-


dm>. Neanche un millimetro in tre anni ... , cf r. JPrg, 23 settembre 1963.
94 A fine giugno Paolo VI aveva vagheggiato la possibilità di una presenza di donne
(ma suore) cfr. G. TURBANTI, La preseni.a e il contributo dei laici al Concilio Vaticano II,
in Vittorino Veronese da_l dopoguerra al Concilio: un laico nella chiesa e nel mondo, Roma
1994, p. 184. Morcillo annuncia in una intervista a Radio popular, ripresa dalla stampa il
14 settembre, che forse ci saranno <<Uditori, non osservatori» laici per il secondo perio
do, CAPRILE, ill, pp. 15 16.
95 Ciclostilato dalle piccole sorelle delle Tre Fontane il 24 settembre 1963, cfr.
]Edb, ad diem, ed. it. pp. 140 141. Verrà consegnato il 28.
96 ]Edb, ad diem, ed. it. pp. 148 150. In commissione per le chiese orientali ci sarà
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 43

2 .3 .5. La commissione dei religiosi

Prima che si aprano i lavori la comm1ss1one che si occupa dei reli-


giosi si riunisce tre volte97 • Il card. Antoniutti pone all'ordine del giorno
le ampie osservazioni estive dei padri allo schema De statibus per/ectio-
nis: la commissione si accinge al lavoro con piglio deciso e con un siste-
ma di esame (la immediata divisione della commissione in quattro sotto-
commissioni tematiche) che lascia intendere la volontà di arrivare prima
dell'inizio del dibattito sul De ecclesia alla revisione di un testo che pos-
sa anch'esso essere «integrato» in quella costituzione, se necessario98 .

2.3.6. La commissione dottrinale

La commissione dottrinale è naturalmente subissata dalle osservazio-


ni scritte sugli schemi di cui (sola o in organi misti) portava la responsa-
bilità. Nulla ci informa in modo esaustivo e completo sullo stato d'ani-
mo con il quale vengono accolte le note spedite dai padri o dagli epi-
scopati prima dell'apertura: ma è chiaro lo iato fra membri e consultori
che avevano preso parte al lavoro preparatorio e quelli che rappresenta-
no l'assemblea.
Sul De revelatione le reazioni dei padri e degli episcopati sono nu-
merose ed inutili: la decisione di rinviare la trattazione dello schema ri-
visto dalla commissione mista, in attesa di decidere se sopprimerlo, in-
corporarlo nel De ecclesia ovvero riformarlo, svuota il peso specifico del-
le critiche99, e depotenzia gli elogi che pure giungono fra luglio e set-
tembre. Se i singoli vescovi che scrivono propongono correzioni limitate,
per lo più accompagnate da elogi di circostanza, gli episcopati chiedono
interventi pesanti: che l'episcopato francese nutrisse delle riserve era

poi un violento scontro ai primi d'ottobre, che Moe1ler riferisce al rettore del collegio
belga, JPrg (A), 10 ottobre 1963, p. 4.
97 23, 25 e 27 settembre; una nuova seduta plenaria avrà luogo il 7 ottobre. L'episco
pato francese fa circolare dopo il 31 luglio un fascicolo del suo ufficio documentazione di
]. DANIÉLOU, Le chapitre IV du schéma de Ecclesia, in «EtDoc», n. 18.
98 Cfr. J. SCHMIEDL, Erneuerung im Widerstreit. Das Ringen der Commùsio de Reli
giosis und der Comminio de Conci/ii laboribus coordinandis um das Dekret i.ur Zeit
gemà'/Sen Erneuerung des Ordenslebens in Les comminions à Vatican II cit., pp. 293-
1 1

303. Anche CAPRJLE, II 1 p. 26, riprende la notizia da «Kipa», 24 settembre 1963.


99 In questi rilievi una parte de1la commissione trovava la rivincita per la caduta del
De /ontibus del 1962 ed una parte, invece, la dimostrazione che la trattativa con i «ro-
mani» non aveva portato nu1la di buono, cfr. R. BURIGANA, La Bibbia nel concilio, Bolo
gna 1998, pp. 229 245.
44 IL CONCILIO ADULTO

noto, e così pure era prevedibile che la conferenza tedesca avrebbe indi-
viduato tutte le soluzioni di compromesso adottate - ma che i periti ca-
nadesi, i vescovi argentini, o ancor piw quelli messicani, financo quelli
emiliano-romagnoli prendessero l'iniziativa di criticare lo schema (come
non molti - Schillebeeckx, Rahner, Ratzinger .:. . avevano osato fare nel-
1' estate 1962) dice qualcosa sul clima nel quale si preparano le valigie
per tornare a Roma.
Sul De ecclesia, invece, si registra un consenso ben più largo: le stes-
se conferenze e molti vescovi mandano appunti e richieste di modifica
che però convergono nell'apprezzare il grande passo in avanti compiuto
dal nuovo schema 100•

3. Il nuovo inizio: il ritorno del concilio

L'assemblea è il punto in cui confluiscono e ribollono le due <<Vigi-


lie» sin qui esaminate. I due grandi fiumi della estate - quello che porta
il papa in rodaggio e quello che porta i vescovi con le loro fiduciose
speranze - si incontrano in S. Pietro.

3 .1. Viaggi ed arrivi

Il ricomporsi del «formicaio» conciliare, nel quale rientrano i 2.500


vescovi, i loro periti, gli osservatori, i «nuovi ammessi» laici, gli accom-
pagnatori, le centinaia di giornalisti è fatto di ripetizioni e novità: si ri-
presenta la trattativa coi nunzi e coi governi per pagare i costosi viaggi a
Roma101, per la gran parte di loro c'è il ritorno agli alloggi già sperimen-
tati l'anno prima. Roma non è più così sconosciuta come l'anno prece-
dente: tutti sanno ormai quali sono le case religiose o i centri dove si
tengono conferenze, conoscono le librerie, ma hanno anche familiarizza-
to col traffico caotico, i ristoranti, la piccola mondanità delle ambasciate.

1oo Le osservazioni vengono ciclostilate, RT. Cfr. AS II/1, pp. 282 336 e pp. 605-
801.
Sul governo brasiliano che sta per cadere vittima del golpe, cfr. BARAUNA, A
101
con/erencia episcopal brasileira, cit.; su1l'atteggiamento verso i vescovi africani l'estratto
del D Olivier, in Belgique, pp. 197-198.
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 45

3 .1.1. I vescovi

Sono più a loro agio i vescovi che in quel settembre 1963 riprendo-
no la via di Roma e dei loro appartamenti romani: tipico e medio è il
tono con cui Bergonzini racconta il suo arrivo, le preoccupazioni per
una nuova assenza da casa (... Volterra!), lo sforzo di spiritualizzare il
sacrificio di allontanarsi dalla sorella («lasciamo fare a Gesù»), ma anche
la sensazione di essere tornato cambiato dalla esperienza del 1962, ri-
spetto alla quale sente di trovarsi a Roma «con animo più aperto».
Tale convinzione è quella che sostiene di nuovo la fatica di tenere
un diario, sforzo che per una quota dei vescovi è diventato nel 1963 in-
sostenibile: fra gli italiani, nel secondo periodo si dirada quello di Florit,
si interrompe Siri, e perfino un ritrattista al vetriolo come il marchigiano
mons. Borromeo rinuncia alla soddisfazione di metter su carta la sue
frecciate ai confratelli - operazione che l'anno prima lo ha tenuto impe-
gnato diuturnamente. C'è qualcosa di più d'una mera erosione dello
zelo: sono molti, infatti, i vescovi che affrontano l'inizio del secondo pe-
riodo conciliare meno emozionati; senza l'entusiasmo puerile (che faceva
a tutti annotare bellezze e variazioni meteorologiche) e senza l' entusia-
smo ingenuo che li aveva sostenuti nel 1962, la gran parte dei padri par-
te ancora poco consapevole dell'impegno che le grandi questioni in di-
scussione richiederà loro 102 .

3 .1.2. I laici

La commissione per l'apostolato dei laici ed il Copecial ottengono la


loro grande vittoria con la nomina di una pattuglia di laici, che dal 2
d'ottobre verranno ammessi in S. Pietro in un apposito spazio, nella tri-
buna di sant'Andrea 103 • Jean Guitton, già invitato al primo periodo

102 Quasi quattrocento vescovi sono presenti al secondo periodo senza essere risul-
tati presenti al primo; in parte sono gli «assenti giustificati» del primo periodo (diploma
tici e anziani, per lo più), in parte i neo consacrati. Sono pochissimi (4), quei prelati che
impediti nel 1962 da governi comunisti, ottengono nel 1963 il permesso di partecipare.
Fonti giornalistiche suppongono che in ispecie verso la Repubblica popolare cinese si
fosse avviato un tentativo di ottenere una partecipazione dei vescovi (tutti impediti dal
lasciare il paese), cfr. WEI TSING SING, Le Saint Siège et la Chine, Rouen 1971, pp. 286
288 e A. LAZZAROITO, I vescovi cinesi al concilio, in Experience.
103 Cfr. pianta dell'aula. La decisione era stata avallata dal coordinamento del 31
agosto, nel quale Felici aveva riferito che esisteva una lista di Paolo VI, dr. FATTORI, La
commirsione "De fidelium apostolatu", cit In realtà la richiesta del papa dell' 11 luglio
non dava elenchi, AS VV2, pp. 206 e 271 272.
46 IL CONCILIO ADULTO

come ospite, aveva seduto nel gruppo degli osservatori: condizione un


po' anomala per un cattolico, anche se tale da evidenziare la qualità ec-
clesiologica di quei membri a titolo non-pieno del Vaticano Il. Col se-
condo periodo viene invece nominato un gruppo di 13 laici, fisicamente
distinti dagli osservatori. La lista, sollecitata da Paolo VI in persona,· in-
clude due francesi - Jean Larnaud segretario del CCC presso l'Unesco,
ed Henri Rollet, presidente della federazione internazionale dell'Azione
cattolica maschile; vengono invitati anche tre italiani - Silvio Golzio, del
Copecial, Raimondo Manzini, direttore dell' «Osservatore Romano» e
Francesco Vito, rettore della Università cattolica di Milano; e cinque al-
tri uomini di diversa nazionalità - Auguste Vanistendael, belga, segreta-
rio generale della federazione internazionale dei sindacati cristiani104 , Ra-
mon Sungranyes de Franch, spagnolo e presidente di Pax Romana, Ja-
mes J. Norris, statunitense e presidente della commissione internazionale
sulla emigrazione, Mieczyslav de Habitch, polacco, segretario della Con-
ferenza internazionale delle organizzazioni cattoliche, e J uan Vazquez,
argentino e dirigente dell'Azione cattolica giovanile. Solo per Vito c'è,
insieme alla nomina, l'assegnazione ad una commissione (quella degli
studi): per gli altri non si precisa l'ambito di possibile intervento nelle
commissioni (ammesso dal regolamento). Dopo il 4 ottobre verrà forma-
lizzata la nuova qualifica per Guitton, e arriva la nomina di Vittorino
Veronese e di Emilio Inglessis.
Al vescovo Guano, membro della commissione sull'apostolato dei
laici, viene affidato il ruolo di «assessore» del gruppo, la cui attività si
configura in incontri d'esame degli schemi sul modello del gruppo degli
osservatori105 •

3.1.3. Gli osservatori

Gli osservatori avevano ricevuto un nuovo invito a presenziare ai la-


vori del Vaticano II all'indomani della elezione di Paolo VI: il quale dà
altresì mandato al card. Bea di riformulare l'invito al Trono costantino-

104 La nomina crea malumore interno alla federazione: la sezione francese teme che
questa nomina confermi la convinzione di una «dipendenza» del sindacato dal Vaticano,
cfr. il rapporto di G.N. McKelvey al Department of State da Bruxelles, 13 novembre
1963, A 461, Centrai Archives, Washington DC, CFPF, SC-Religion, Vatican, b. 4223.
105 Guano porrà anche la questione del rimborso delle spese dei laici, cfr. FATTORI,
La commissione "De fidelium apostolatu}}, cit. Le nomine ulteriori in AS VI/2 pp. 335
337, 342 343 e 351.
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 47

politano affinché anche il patriarcato ecumenico venisse rappresentato al


nuovo periodo conciliare 106 • Sul piano dell'arrivo delle delegazioni ci
sono cinque chiese che, assenti nel 1962, accettano l'invito e mandano
delegati al secondo periodo: tre chiese appartengono al subcontinente
indiano (quella siro-ortodossa, quella di Mar Thomas del Malabar, quel-
la dell'India del sud); due chiese sono invece soggette al potere sovietico
(la chiesa armena apostolica di Etchmiadzin e la chiesa ortodossa di Ge-
orgia, alla quale però viene imposto come osservatore il protopresbitero
Vitalij Borovoij, che è pure delegato del patriarcato di Mosca ... ). Co-
stantinopoli, invece, resta alla fine fuori: il timore di trovarsi intrappolati
in una inaccettabile posizione satellitare rispetto al concilio cattolico e la
esigenza di polarizzarsi rispetto alla decisione russa convince il sinodo a
dilazionare ogni forma di partecipazione ufficiale al Vaticano II: l'orto-
dossia non deve essere spettatrice o accettare inviti, ma come dice Athe-
nagoras aprendo l'assemblea panortodossa II di Rodi, «deve assumere il
ruolo di chi agisce e chiama» 107 . Al Vaticano II continuerà ad esercitare
i suoi buoni uffici informali il giovane archimandrita rumeno Andrej
Scrima, che ufficialmente non rappresenta nessuno, ma che ha un rap-
porto diretto con il patriarca che lo rende veicolo prezioso e rispettato
di istanze e messaggi.

3.1.4. I teologi

Un teologo marginalizzato come Chenu non può che annotare tele-


graficamente il suo ritorno presso i padri salettiani, privo di quell'aura
di contatti ritrovati che caratterizza i diari di altri 108 •
Uomo di rilievo del gruppo di fiducia del segretario del s. Uffizio,
l'americano Fenton, ritrova invece all'arrivo un ambiente accogliente e
simpatetico: avendo subìto un attacco di cuore a maggio, egli è piutto-
sto preoccupato della sua situazione clinica ed è tutto preso dalla immi-

106 Bea scrive 1'8 luglio, cfr. M. BRUN, La documentazione della partecipazione orto-
doJJa al concilio in Evento pp. 259 293 e MARTANO, Athenagoras cit., p. 459. Cfr.
1 1 1

JEdb, 4 ottobre 1963, ed. it. p. 159 per il colloquio avuto sia da Konig, che da Maxi
mos IV con Georges Ollenbach, gran referendario del patriarca ecumenico: il prelato
(un ortodosso di formazione luterana), assicura tramite Maximos IV che il patriarca ecu
menico desidera venire a Roma e scambiare con Roma dei delegati permanenti, ma che
lo scambio potrà avvenire dopo che Costantinopoli abbia inviato un osservatore presso
il segretariato.
107 Cfr. MARTANO, Athenagoras, cit., p. 461.
108 D Chenu, 1° ottobre 1963: <<Arrivato dopo giovedì 26 settembre. Cerimonia di
apertura, domenica 29».
48 . IL CONCILIO ADULTO

nente discussione del paragrafo del De ecclesia nel quale si definisce la


chiesa come sacramento - espressione che egli aborrisce e combatte da
anni109 •

3.1.5. I giornalùti

La presenza dei giornalisti al concilio è imponente, pervasiva e inaf-


ferrabile110: le vischiosità della procedura e del dibattito, il sistematico
boicottaggio di qualsivoglia iniziativa per consentire la traduzione simul-
tanea delle discussioni, l'incapacità del regolamento di proporre un me-
todo di partecipazione più articolato del dilemma fra il mero esercizio
del diritto di voto e la presèntazione di un intervento in aula - tutto ciò
non toglie che il desiderio di conoscenza dei vescovi stessi e della opi-
nione pubblica sia alto e altamente insoddisfatto. La stampa ed i suoi
addetti fungono perciò da moltiplicatori delle informazioni, diffusori di
sensazioni e giudizi, collettori di appunti che i padri si scambiano: la
scelta di un vescovo come Martin O'Connor come capo dell'ufficio
stampa 111 offre ai giornalisti la possibilità di raggiungere un maggior nu-
mero di informazioni e - secondo il tono di una lettera del 19 settembre
- di capire con miglior precisione chi sostiene una tesi in aula 112 •

109 D Fenton, X: il teologo americano si installa prima alla clinica Salvator Mundi,
ma si prepara a uno spostamento: «Ora sto partendo per il Grand Hotel per stare col
Vescovo. Ed Hanahoe mi ha dato due libri sul modernismo. In uno di essi ho trovato
prova che l'insegnamento del primo capitolo del nuovo schema sulla chiesa e il linguag-
gio sono di Tyrrell. Dio preservi la Sua chiesa da questo capitolo. Se passerà, sarà un
gran male. Devo pregare e agire».
110 Sono pochi i temi sui quali la discrasia fra le testimonianze e le fonti ufficiali sia
così profonda: da un lato le testimonianze insistono sul «ruolo» delle testate e dei gior
nalisti, con toni spesso enfatici; dall'altro nella ricostruzione dei dibattiti e nelle fonti uf-
ficiali è arduo ritrovare elementi precisi su tale impatto; infine in vari casi la professione
giornalistica comportava qualche rischio per gli interessati, visti come avversari dall' am
biente romano. Ti pico di questo fenomeno è il caso del redentorista Joseph Murphy che
collabora a «The New Yorker» con attente corrispondenze in forma di Letters /rom Va
tican City, ma lo fa sotto pseudonimo (Xavier Rynne) e negando al proprio generale di
essere il brillante redattore di quegli articoli; sull'eco della stampa nell'aula possono ser-
vire come indicatore le centinaia di lettere di riconoscenza che il direttore di «Avvenire»
riceve dai padri al momento della partenza da Roma al termine del II periodo, cfr. F La
Valle, ISR.
111 S/V 2, pp. 601 602.
112 Cfr. AD II/4,1, p. 434: nell'organizzare il «Notiziario», O'Connor chiede a Ci-
cognani se sia «opportuno o meno [. .. ] che pubblichi insieme con il nome dei singoli
oratori anche la sintesi dei loro interventi»; la risposta (inedita o orale) è negativa, ma
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 49

Non è perciò stupefacente, che, non solo un uomo da sempre sensi-


bile alla ricezione esterna delle dinamiche dottrinali, ma un teologo
come O. Semmelroth occupi le prime pagine del suo diario sul nuovo
periodo conciliare con articoli di giornale 113 • Soprattutto su alcune aree
la collaborazione «giornalistica» di vescovi, come Hurley, o teologi,
come Tillard, ha un peso considerevole114 • E non a caso uno dei primi
atti del «moderatore» Lercaro sarà chiedere ed ottenere dalla segreteria
di Stato che «L'Avvenire d'Italia», il quotidiano bolognese diretto da
Raniero La Valle, venga inviato a tutti i padri, abbonati d'ufficio a spese
delle casse vaticane per l'intero periodo115 •

3 .2. Il 29 settembre: l'apertura

L'emozione della cerimonia d'apertura del secondo periodo è diver-


sa da quella del 1962, nella quale la commozione davanti all'epifania
trionfalista e tutta gerarchica aveva prevalso: all'inizio del secondo perio-
do c'è inyece un'attenzione disincantata 116 , e anche qualche esigenza di
comfort tipici dell'avvenimento routinario 117 , nonostante per molti sia
questa la prima occasione di vedere Paolo VI, papa ormai da cento

assai presto il tono dei notiziari e poi le cronache di «L'Avvenire d'Italia» consentono ai
giornalisti di capire chi ha pronunciato ogni intervento.
113 Secondo il D Fenton, invece, la cosa appartiene ancora al campo delle simpatie
o antipatie personali: «Questa mattina, 25, sono stati meravigliosi con me a Santa Susan
na. Ho incontrato Murphy (Xavier Rynne), e mi ha fatto il suo solito dentato e vuoto
sorriso». ST, 26. settembre 1963: «Oggi sono tornato a Roma con un piacevole volo. La
prossima domenica, festa di San Michele, deve cominciare la seconda sessione del conci
Ho. Anche questa volta sono ben alloggiato al Germanico. Il p. Garbolino, che ho cono-
sciuto a Oberjoch [?], è venuto a prendermi all'aeroporto. C'era anche il p. Haspecker
che per il momento rimane al Biblico a Roma. Alle 6 sono andato alla conferenza stam-
pa del p. Hirschmann per i giornalisti di lingua tedesca, organizzata come l'anno scorso
da mons. Kampe. In generale il clima è incomparabilmente più positivo che l'anno pas
sato all'inizio della prima sessione. Quello che nel frattempo è stato elaborato e si è rag-
giunto è motivo di una certa speranza. Inoltre si ha molta fiducia nel nuovo papa». Se-
gue un articolo dalla «Frankfurter» del 26 settembre 1963, Riforma della curia.
11 4 Cfr. A. HENRIQUES, Vatican Il in the Southern Cross, in «Bullettin for contextual
theology in Southern Africa & Africa», 4 (1997)/1, p. 31-39 e VEglise canadienne, cit.
115 Cfr. Ldc, p. 162.
116 La processione dei padri non attraversa la piazza, ma scende nella loggia della
basilica, JEdb, 29 settembre 1963, ed. it. pp. 151 152.
117 Fenton «pleased» dal discorso papale, lo ascolta in tv (D-Fenton, 30 settembre
1963) dall'hotel, esattamente come il belga Olivier, cfr. D Olivier, cit., in Belgique, p.
198.
50 IL CONCIT..10 ADULTO

giorni, ma per la prima volta esibito alla platea episcopale. La questione


dei banchi dei patriarchi, che l'anno prima aveva misurato la distanza
fra le sensibilità melchite e la grossolanità latina, si pone quest'anno già
nella vigilia della cerimonia118 e troverà esito felice. Edelby crede addi-
rittura di vedere il papa attardarsi a salutare «con gesti particolarmente
calorosi» i patriarchi - ma in fondo Maximos IV è un «novizio» di
apertura delle sessioni. .. 119
C'è chi, come l'argentino Zazpe, ha l'impressione che la cerimonia
sia più sobria120 : ai vescovi è stato concesso di scegliere se scendere di-
rettamente in basilica e sedere sui primi scranni liberi, ovvero di entrare
in una processione che precede Paolo VI, ma che comunque non attra-
versa la piazza; anche quelli che entrano in processione vanno a distri-
buirsi liberamente sugli scranni senza rispettare l'ordine d'anzianità nella
consacrazione121 ; la desiderata semplificazione della cerimonia viene
come coronata dal fatto che il papa stesso fa il suo ingresso percorrendo
a piedi (e non in sedia gestatoria) la navata centrale di S. Pietro122 •
C'è però anche chi - una minoranza, se le fonti disponibili sono
rappresentative della media - trova lo «spettacolo» bello e interessante
come un anno prima123 • E pure chi - è il caso del p. Congar - torna ad
applicare la sua severa analisi sulla ecclesiologia implicita alla cerimonia:
l'ingresso di Paolo VI a piedi nell'aula - un gesto che voleva essere di
rispetto verso i vescovi - non viene apprezzato; il fasto cortigiano che
resiste attorno alla persona del pontefice, le guardie, le alabarde, i costu-

118 JPrg, 25 settembre 1963: «Ho chiesto al cardinale d,intervenire per il posto spe-
ciale ai patriarchi; accordato in via di principio»: la cosa, però, era già stata discussa fra
Duprey ed Edelby qualche giorno prima, cfr. JEdb, 21 settembre 1963, ed. it. pp. 141144.
119 JEdb, ed. it. p. 152.
120 Questo era stata la volontà espressa del segretario di Stato, cfr. AS V/1, p. 651.
La coglie così D-Zazpe, 29 settembre 1963: «mi reco all'apertura del Concilio ... Non fu
così solenne come I' apertura dell'anno passato ... Paolo VI ... Figura nobile dai gesti misu-
rati ... Discorso. Pezzo ricco di pensiero; un po' lungo ... Quattro punti: a) fede della
Chiesa b) Episcopato e) Ecumenismo d) Dialogo con il mondo ... Nel pomeriggio dormii
e conversai con Trusso. Ha difficoltà economiche. L'Hotel viene a costare 1.000$ al
giorno ... ».
121 D Devoto, 29 settembre: «9 Sessione pubblica di riapertura del Conc. Vatica
no II. Disposizione libera nell'aula conciliare, vicino a Mons. Aguirre Veni Creator -
Pontificale celebrato dal Card. Tisserant Professione di fede del Papa Obbedienza
dei PP.CC. Allocuzione papale: 1) Notio Ecclesiae; 2) Renovatio Ecclesiae; 3) Eccl. et
non catholicis; 4) La C. e il mondo. Riposo Messa all'hotel (Pro Populo). Riposo»;
si noti la messa privata, alla vigilia de1le votazioni sul De liturgia!
122 Così il Pren Department dell'episcopato americano, ora in Council Daybook
Vatican II, Session 1 Session 2, ed. F. Anderson, Washington DC 1964, p. 141.
123 Così il vescovo di Volterra Bergonzini, 29 settembre 1963.
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 51

mi seicenteschi, i flabelli e soprattutto gli applausi, lo scandalizzano (an-


che se, nel 1963, egli riesce a restare in S. Pietro fino alla fine del
rito) 124 . Lo sforzo congariano ha anche qualche eccesso a1legorizz~nte:
egli, infatti, misura l'intensità degli applausi nelle zone della basilica, ma
s'illude, non essendosi reso conto che i padri si sono disposti a caso in
S. Pietro, che il papa sia stato più applaudito dagli arcivescovi che dai
vescovi 125; allo stesso modo egli attribuisce un valore ecclesiologico -
che altri non sentono - al canto del Veni creator da parte di tutti i padri
(e dei laici) - fin lì muti spettatori della pompa pontificia 126 .

124 JCng, 29 settembre 1963: «Verso le dieci si sentono, prima da lontano, poi in
avvicinamento, i canti della Sistina. Il papa sta per fare il suo ingresso. Prima di lui c'è
l'ingresso della sua corte: svizzeri e alabarde, cardinali e ornamenti sacerdotali (o diaco
nali), acconciati con una mitra assai alta, prelati in viola e in rosso, camerieri in abito
del XVI secolo, i porta insegne (la tiara e la mitra papali), infine il papa, attorniato da
un diacono e da un suddiacono, con dei porta flabella. Il papa indossa la mitra preziosa;
entra a piedi; mano a mano che avanza nella navata, le file di banchi attraverso le quali
passa applaudono, cosa che mi scandalizza assai».
125 «Applausi assai sparuti dai banchi dei giovani vescovi, molto più robusti dai
banchi degli arcivescovi. Non riesco a non interpretare ecdesiologicamente la struttura
stessa della cerimonia: tra due ali di vescovi spettatori muti, la corte pontificia passa, ve
stita in costume del XVI secolo, precede un papa che così appare nel contempo come
un sovrano temporale e come gerarca al di sopra, soltanto al di sopra. La Sistina si riem-
pe di gorgheggi; i Padri riprendono una o due strofe dell'Ave Marù Stella. La chiesa
conserverà questo volto? questa visibilità? Continuerà per lungo tempo ad offrire questo
tipo di segno? Mi sembra evidente, in questo momento, che il Vangelo è all'interno di
essa, ma come prtg1omero».
126 «Paolo VI intona il Veni Creator. La chiesa ritrova la propria voce, una voce
dalle grandi acque, per implorare. Quando, successivamente, il papa alterna i versetti
con il coro dei vescovi, è Pietro che prega con i Dodici. Non è più il principe temporale
del XVI secolo. I vescovi hanno chiesto di cantare 1'ordinario della Messa. La Sistina
gorgheggia un K yrie e gorgheggerà un Agnus Dei, non senza far risaltare voci ammirevo
li; ma i vescovi cantano il Gloria, il Credo e il Sanctus. Si canta assieme a loro con tutto
il cuore, almeno fino a quando se ne ha la forza. Così si alternano, nei canti come in
tutta la cerimonia, la verità dell'Ecclesùz e le maniere del Rinascimento. Celebra il cardi
nal Tisserant: male e senza unzione. Dopo la Messa, il papa emette la propria professio
ne di fede: il Credo e la Professione di fede del concilio di Trento. Di nuovo è Pietro
che appare e che confessa il Cristo. Dopo di lui, ciascun ordine, per mezzo di uno dei
suoi rappresentanti; poi mons. Felici legge lentamente gli stessi testi per coloro che non
avessero ancora fatto la loro professione di fede. Allora il papa, seduto sul suo trono tra
un diacono (cardinal Ottaviani) e un suddiacono, con la mitra in testa, legge il suo di-
scorso. Anche i vescovi portano la mitra».
52 IL CONCILIO ADULTO

3 .2 .1. L'allocuzione di Paolo VI

L'allocuzione del papa è il canovaccio di quella che avrebbe dovuto


essere la sua enciclica programmatica, rinviata di qualche tempo. Lo af-
ferma lo stesso Paolo VI127 nel saluto introduttivo, che porge sia ai «fra-
telli nelPepiscopato» chiamati al concilio, sia agli invitati «Ut una nobi-
scum interessetis» in questo nuovo periodo del concilio, nel quale riful-
gono le note della chiesa «quibus ipsam unam et catholicam predica-
mus». L'assemblea, «quasi come un nuovo cenacolo», vede insieme il
successore di Pietro e i vescovi ai quali Paolo VI riconosce un titolo si-
gnificativo rispetto all'agenda dei giorni successivi: «Voi, venerabili fra-
telli [ ... ] siete come gli stessi apostoli, traete la vostra origine dal colle-
gio apostolico e di questo siete veri eredi»128 . A tutti il papa assicura di
non esser mosso dalla ricerca d'un dominio umano o dalla cura del suo
potere: ai vescovi garantisce la sua venerazione, stima, fiducia e carità.
Ai saluti seguono due brevi paragrafi introduttivi. Un primo prologo è
costituito dall'elogio di Giovanni XXIII1 29 • Paolo VI loda il predecessore
e riprende alcuni aspetti della Gaudet con la quale s'era iniziato il Vati-
cano II: è il passaggio sulla custodia della dottrina e la sua esposizione
nelle forme postulate dai tempi moderni che Paolo VI ripete, e che cul-
mina con la citazione dell'indole pastorale del concilio. Papa Giovanni,
nelle parole del successore, ha dunque aperto una via provvidenziale
sulla quale il concilio deve ora muoversi. Un secondo prologo è dedica-
to a definire il Cristo come principio, via e scopo del concilio 130: non c'è
luce, non c'è verità eccetto il Cristo che deve risplendere nelle delibera-

127 Il discorso in IdP, I, 1963, pp. 166 185, lo enuncia chiaramente (p. 167): «Erat
propositum nobis ut, quemadmodum· traditus mos suadebat, ad vos primas daremus no
stras litteras encyclicas; sed cur ita nobiscum ipsi quaesivimus ea scripto communi-
cemus, quae per faustissimam quandam singularemque opportunitatem per hoc dici
mus conciJium oecumenicum liceat voce cum praesentibus communicare? Omnino
non possumus nunc cuncta exponere, quae mente agitamus, quaeque scriptis facilius
tractantur. Sed tamen in praesentia hanc allocutionem sive concilio huic, sive, pontificali
muneri nostro proludere posse putamus», pp. 167 168; alcune osservazioni in COLOMBO,
Genesi, cit., p. 138, sulla parallela successione dei temi del discorso e dei capitoli di Ec-
clesiam suam. Inoltre G. COLOMBO, I discorsi di Paolo VI in apertura e chiusura dei
periodi conciliari, in Paolo VI e il rapporto chiesa mondo al Concilio. Colloquio internai.io-
nale di studio, Roma 1991, pp. 253 263, basato su documenti dell'Istituto Paolo VI ai
quali è precluso l'accesso degli studiosi.
128 « Vos, venerabiles fratres [. .. ] et ipsi apostoli estis, et a collegio apostolico origi-
nem ducitis eiusque veri estis heredes». IdP, I, 1963, p. 167.
129 Ibidem, pp. 168 170.
no Ibidem, pp. 170-172.
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 53

zioni del concilio: lo sguardo dei padri ha dunque una sola direzione: il
«Cristo totale, del quale leggiamo in Agostino, e del quale tutta la dot-
trina della chiesa è pervasa, mostrerà più chiaramente i fini precipui di
questo concilio» 131 .
L'allocuzione, che entra così nel vivo, indica al concilio il modo di
aderire a questo principio cristologico nella trattazione della dottrina
sulla chiesa e della coscienza della chiesa, già toccate in S. Pietro dal
card. Montini nel suo discorso di 10 mesi prima 132 • La prima parte delle
quattro in cui si suddivide individua come compito del concilio una pie-
na definizione della nozione o della coscienza di chiesa: Paolo VI elenca
una pluralità di immagini con le quali viene definita la chiesa (plurali-
smo che rincuorava lo sforzo di revisione compiuto nella intersessione),
ma propone che la pleniore definizione della chiesa, auspicata dalla My-
stici corporis di Pio XII, si compia con una indagine sulla natura, la de/i-
nitio, la constitutio della chiesa (un'elencazione che costituiva un soste-
gno alle posizioni ecclesiologiche sconfitte nel primo periodo). Che nel-
1' approfondimento della dottrina dell'episcopato si possa trovare il
modo di aiutare e sostenere il ministero del papa è un accenno che l'ot-
timismo del momento fa sentire ad alcuni come l'annuncio di una istitu-
zione di collegialità133 • Il secondo capitolo riguarda il rinnovamento della
chiesa cattolica: esso è necessario non perché la chiesa abbia violato il
disegno del suo fon datore in qualche aspetto essenziale, ma perché per
suo mezzo si possono lasciar cadere forme caduche e superate di una
tradizione, che invece nel suo nucleo rimane valida e durevole 134 • Esem-
pio di questo sforzo è la costituzione sulla liturgia che il papa si augura
di veder approvata nel corso del periodo che si apre. In terzo luogo si
sviluppa l'obiettivo conciliare della unitatis redintegratio 135 : è il capitolo
più forte del discorso, nel quale Paolo VI pronuncia alcune frasi di
grande peso ed impatto, addirittura disomogenee rispetto ad altre parti
dell'allocuzione. Il papa difende un ecumenismo che coniughi unitas e
varietas: egli indirizza alle chiese tramite gli osservatori una richiesta di
venia per le colpe commesse dalla chiesa cattolica, e dà il perdono per

131 «Christus totus, de quo apud sanctum Augustinum legimus, et quo tota doctrina
de ecclesia perfunditur, tunc sine dubitatione clarius patebunt praecipui huius concilii
fines». Ibidem, p. 172.
n2 Cfr. S/V 2, p. 370.
133 IdP, I, 1963, pp. 172 17 5. Sulla reazione dei segretari delle conferenze episcopa-
li cfr. infra, pp. 78-79.
134 IdP, I, 1963, pp. 175 177.
135 Ibidem, pp. 177 180.
54 IL CONCILIO ADULTO

le ingiurie subite136 • Infine Paolo VI enuncia la chiave del rapporto con


l'età presente nello strumento del dialogo 137 : è la più sostanziale antici-
pazione della enciclica programmatica e la chiave del pensiero di papa
Montini, nella quale il tono delle affermazioni è più personale. A partire
dal messaggio al mondo del primo periodo 138 , testimonianza dell'impul-
so di carità dal quale la chiesa si vuole mossa, Paolo VI chiede che il
concilio sappia guardare ai grandi drammi del mondo: alla povertà e
alle culture, ai lavoratori ed ai governanti, ai giovani e ai cercatori di
giustizia, fino a coloro che «conservano il senso e la nozione di un Dio
unico, creatore, provvidente, sommo e trascendente l'ordine naturale» 139 •
Con tutti la chiesa vuole entrare in un dialogo che trasmetta l' evangelo,
senza dimenticare però le situazioni di conflitto, nelle quali la chiesa è
osteggiata e che sono causa dei «plura loca» che il papa vede vuoti in
aula 140 . Con un saluto in greco ed in russo alle comunità d'oriente l'allo-
cuzione, dopo 64 minuti di lettura141 , si chiude.
I giornali accolgono l'allocuzione montiniana con soddisfazione: Xa-
vier Rynne la legge come il ponte di continuità fra il concilio «giovan-
neo» e il concilio «paolino»142 ; Raniero La Valle raccoglie l'istanza del

136 Lukas Vischer considererà lungo tutto il corso del secondo periodo questo pas
saggio come una chiave di lettura decisiva dell'inizio di pontificato: Visser't Hooft so
sterrà che «il valore delle parole di perdono dipende dalla loro spontaneità», dr. VELA-
TI, Gli osservatori del Consiglio ecumenico, cit., nn. 61 63.
137 IdP, I, 1963, pp. 180 184. L'edizione cit. dei discorsi porta un refuso insidioso
nella titolatura, che non è colloca/io (lectio facilior?), ma appunto collocutio, corretta
mente ripreso in AS 11/1, p. 195.
138 S/V 2, pp. 69-74.
139 IdP, I, 1963, pp. 183 184. È la formula di Pio XI ispirata agli studi sul mono
teismo primitivo.
140 Mancavano come nella prima fase del concilio gli interi episcopati di Cina, Viet-
nam del Nord, Corea del Nord. Nei paesi comunisti .europei la situazione si era legger-
mente modificata: dei 17 ungheresi aventi diritto (di cui 2 erano venuti nel 1962), 5 ot
tengono il permesso di venire al concilio nel 1963; in Cecoslovacchia 4 vescovi ma
nessuno degli 8 scarcerati fra l'elezione di Paolo VI e l'inizio del periodo vengono al
secondo periodo, contro i 3 dell'anno precedente; tutti i vescovi del territorio sovietico
eccetto l'esule Slipyi - sono impediti, così come 3 rumeni ed uno dei 2 bulgari. L'epi
scopato jugoslavo partecipa al completo, come nel 1962, mentre dei 70 vescovi polacchi
che avevano chiesto 45 permessi di uscita solo 25 possono partire per Roma: su
questo cfr. H. J. STEHLE, Geheimdiplomatie im Vatikan. Die Piipste und die Kommuni
sten, Ziirich 1993 e Vatican II al Moscow, éd. A. Melloni, Leuven 1997. Un quadro del
le attività intraprese dal card. Konig e da mons. A. Casaroli viene dato su «La Croix»
ed è ora disponibile in WENGER, pp. 19-22.
141 Così la cronaca del «The New Yorker» ora in RYNNE, p. 34.
142 RYNNE, pp. 36 37.
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 55

dialogo 143 ; Antoine Wenger rimarca il tono più pessimista dell' allocuzio-
ne montiniana 144 . I rapporti degli ambasciatori accreditati a Roma o
presso la S. Sede non aggiungono elementi di novità e non riportano
qualche giudizio negativo che pure circola 145 .
L'eco del discorso papale occupa un certo spazio anche nei diari
privati e negli epistolari. Paolo VI ha fatto un discorso «veramente gran-
de», secondo Lercaro146 • Il direttore della «Civiltà Cattolica» R. Tucci -
che pubblica una edizione del discorso - annota sul diario alcuni parti-
colari relativi al ricorrente problema dei <<last minute editing» del testo,
su cui colleziona preziosi dettagli 147 . Bartoletti, uno dei vescovi italiani
che l' 11 ottobre aveva usato lirismi infiniti, commenta nella prima pagi-
na del suo diario del secondo periodo le grandi linee del discorso, ap-
punta te - s'era abituato a farlo nelle lunghe mattine di dibattito del
1962 - mentre viene pronunciato 148 • Anche Bergonzini loda il discorso
come «bello e importante»: il papa vi ha dettato il programma «di tutta
la sessione, anzi (si può dire) di tutto il concilio» 149 . Il bisogno di capire
cosa vuole il papa è una esigenza, se non un istinto, del corpo episcopa-
le latino. Congar è fra i pochi che sanno osservare la dissimmetria fra il

l43 Gli articoli del direttore sono ora raccolti in R. LA VALLE, Coraggio del Conci
/io, Roma 1964.
l44 WENGER, p. 18.
145 Giudica severamente il discorso G. RICHARD-MOLARD, L'hiver de Vatican II. Un
pasteur au Conct'le, Paris 1965, p. 25, definendolo «freddo, denso, dagli accenti a volte
trionfalisti, a volte paternalisti».
146 Ldc, p. 164.
147 Tucci, f. [162]: «Ho interrogato Manzini circa il testo originale del discorso pa
pale del 29 settembre. Mi ha assicurato che quello italiano, pubblicato dall'Oss. Rom. è
guello che essi hanno ''ricevuto", e che è stato adottato anche dalla Segreteria di Stato.
E quindi testo "ufficiale": la parola è di Manzini. Anche se è awenuto il caso strano di
mons. Tondini, recatosi a far correggere il testo italiano in un punto in cui non corri
spandeva alla traduzione latina!!! Perciò penso che, nel nostro periodico, sia meglio non
toccare nulla e non dire "nostra traduzione". Non ricordo chi ci ha detto che i Padri
della nostra Curia generalizia hanno lavorato molto per le traduzioni del documento nel
le diverse lingue, e che all'ultimo momento i fratelli dattilografi hanno avuto gran da
fare per ricopiare molte pagine, essendo state apportate correzioni e mutamenti, dall' Al-
to, in otto punti diversi».
l48 Bartoletti, f. 4. «Il discorso del S. Padre senza avere l'immediatezza di papa
Giovanni mi è parso tuttavia importante e decisivo in ordine ai lavori del concilio. Ne
ha precisato l'argomento, indicato lo spirito, tracciato l'itinerario senza possibilità di ul
teriori [e.va mio] equivoci. Piuttosto disordinata la cerimonia. La mancanza di novità ne
ha raffreddato il calore così vivo e percepibile nella Ja sessione di apertura», cfr. M. To
SCIU, Enrico Bartoletti e il suo diario al concilio, in Cristianesimo nella Storia. Saggi, cit.,
pp. 397 435.
149 D Bergonzini, 29 settembre 1963, p. 57.
56 IL CONCILIO ADULTO

concilio-luce di Giovanni XXIII (nel quale l'alterità fra chiesa e mondo


è sovrastata dal dono di grazia), ed il concilio-dialogo di Paolo VI (nel
quale si getta un ponte, ma nel far ciò si dichiara lo iato)150 •

3 .2.2. Le udienze di corredo

Le tematiche dominanti delrallocuzione saranno riprese nei discorsi


che completano le «cerimonie» d'inizio. A differenza del 1962, Paolo VI

150 Congar analizza l'insieme del testo: anziché ricostruirne a mente la struttura
(operazione per sé poco utile, sapendo egli come tutti che a mezzodì avrebbe avuto il
testo in mano), il domenicano sottolinea i momenti letti con maggior calore e quelle pic-
cole affermazioni - vuoi nell'indirizzo ai vescovi, vuoi nella spiegazione della mancata
uscita della enciclica che possono avere un significato nel discernimento delle mosse
immediate da programmare. JCng, 29 settembre 1963: «Discorso molto lungo, molto
strutturato, letto, a tratti, con un'emozione viva ed eloquente. Il papa sottolinea netta
mente il ruolo dei vescovi, che chiama "fratelli nell'episcopata1' e a proposito dei quali
dice che sono gli eredi del collegio apostolico. Dice di voler pregare, studiare, discutere
con eJJi, nel corso del concilio. Non pubblicherà un'enciclica se non più tardi: il suo di
scorso attuale indica il suo programma. Si riferisce al discorso di Giovanni XXIII del1'8
dicembre scorso. Per tutto un periodo, ricorre direttamente a Giovanni XXIII, renden
dolo in questo modo presente. Sottolinea l'utilità dei concili, della quale alcuni hanno
recentemente potuto dubitare, come se il potere papale fosse sufficiente f Sottolinea an
che il carattere pastorale dell'attuale concilio. Non si tratta soltanto di conservare ... Qua-
le vfa prendere? Da cosa partire? Dove andare? A queste domande essenziali c'è soltan-
to una risposta: Gesù Cristo. È lui il nostro principio, la nostra via, il nostro fine. Il
papa lo afferma e lo sviluppa con una forza e un'intensità emotiva assai grande. Il Cristo
principio di tutto. Il papa ricorda il mosaico di s. Paolo fuori le mura nel quale Onorio
III si è fatto rappresentare piccolissimo, umilmente prostrato davanti al Cristo... Il Cri-
sto fine. Ciò deve chiarire il fine del concilio, che è: 1) Precisare la nozione di Chiesa:
che cosa dice di se stessa? Il papa che sviluppa abbastanza lungamente e con molta for
za ciascuno dei quattro punti, insiste qui sul corpo mistico della società; 2) Il rinnova-
mento della chiesa, dal quale Paolo VI prende la necessità del rapporto che la chiesa ha
col Cristo: realtà storica e umana, essa non è mai perfettamente quella che il Cristo ri-
chiede che essa sia; 3) La reintegrazione di tutti i cristiani nell'unità. Paolo VI parla qui
di volta in volta con forza, con precisione, con emozione. Le sue espressioni sono scelte.
A diverse riprese ritorna l'espressione: "le venerabili comunità cristiane" per intendere
gli Altri ... Ammette che gli Altri hanno sviluppato talvolta felicemente ciò che hanno ri
cevuto del cristianesimo. Se c'è da parte nostra qualche errore, chiede perdono; noi stes-
si perdoniamo. 4) Dialogo con il mondo. Paolo VI evoca il messaggio al mondo, nel
quale vede una testimonianza del profetismo della chiesa... Mette il rapporto della chies?
col mondo, con i vicini e con i lontani, sotto il segno dell'amore universale del Cristo. E
in questo paragrafo che inserisce una parola sui martiri dei paesi nei quali è viva la per
secuzione. Discorso molto vigoroso, molto strutturato, che offe direttive precise per il la-
voro del concilio. Alle 13 .00 termina».
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 57

non dà udienza alle delegazioni politico-diplomatiche che intervengono;


ed anche l'incontro con gli osservatori è rinviato (nella vana attesa del-
1' arrivo dei delegati di Costantinopoli) 151 • Sicché la prima udienza ad un
gruppo conciliare è quella ai giornalisti: il 1° ottobre, Paolo VI racco-
manda loro di non farsi ingannare dal fatto che il concilio «rassomiglia,
sotto certi aspetti» alle assemblee parlamentari ed internazionali e chie-
de di non fermare lo sguardo su tali apparenze: infatti i vescovi «cerca-
no di evitare di dare consistenza a quelle divisioni» di orientamento o di
origine, per lasciarsi guidare da quella «verità divina oggettiva» che pro-
f essano152 .
Soltanto il 17 ottobre ci sarà l'incontro con gli osservatori: ma il ri-
tardo è ampiamente compensato dal clima di straordinaria fraternità 153 •
Kristen E. Skydsgaard legge un indirizzo di saluto 154 , dopo quello di
Bea155 , e ad essi il papa risponde in francese con toni assai aperti anche
«plus que Jean XXIII», come osserva Congar rileggendolo a freddo 156 :
agli osservatori assicura amicizia e rispetto, e propone un incontro fra le
chiese che superi la tentazione di volgersi al passato. Il gruppo come
tale considera positivamente l'incontro: I' essere entrati nell'appartamento
pontificio con ironia e senza scandalo («Non sembra la casa di un car-
pentiere di Nazareth», dice uno entrando; «No: l'ha molto migliora-
ta» )157 testimonia una certa confidenza con situazioni pochi anni prima
insopportabili 158 .

l51 Che il discorso fosse destinato ad una lettura più tempestiva è ancora percepibi-
le nel secondo paragrafo che presenta l'udienza come «il rinnovamento, in una atmosf e
ra più intima di quella che ci offriva l'altro giorno il concilio».
152 IdP, I, 1963, pp. 186-188, 1° ottobre 1963.
153 Ibidem, pp. 229 235. I moderatori troveranno il papa assai soddisfatto, dr. Ldc,
p. 190, 17 ottobre 1963.
l54 Skydsgaard inizia evocando la figura di Giovanni XXIII, e ringraziando Bea per
aver incoraggiato gli osservatori ad esprimersi con libertà sugli schemi: nel dibattito ec-
clesiologico in corso il teologo danese rileva la importanza di affrontare insieme, cattolici
e non cattolici, le difficoltà della tematica ed auspica un radicamento biblico della eccle
siologia conciliare; in chiusura egli ringrazia Paolo VI per aver proseguito sulla linea del
predecessore associando l'apertura al dialogo ecumenico con l'apertura al mondo nel
servizio. Il testo dell'indirizzo in IdP, I, 1963, pp. 234 235.
155 Edito anche in IdP, I, 1963, pp. 233 234. Bea dal 3 ottobre era stato nominato
membro della plenaria del s. Uffizio; cfr. S. SCHMIDT, Agostino Bea, il cardinale dell'uni
tà, Roma 1987, pp. 614-659.
156 JCng, 17 ottobre 1963. Lo considera un dialogo storico H.-M. FÉRET, La théolo
gie concrète et historique et son ùnportance pastorale présente, in Le service théologique
dans l'église. Mélanges o!ferts au Père Yves Congar, Paris 1974, pp. 193 247.
157 HORTON, p. 72.
158 Piuttosto emerge qualche diffidenza reciproca: Congar difende con Nissiotis il
58 IL CONCILIO ADULTO

4. La problematica ecclesiologica: primi passi

Archiviata rapidamente la cerimonia di apertura ci si accinge alla ri-


presa dei lavori: per i vescovi, per i giornalisti, e soprattutto per i periti
ricomincia la sequenza degli incontri. Sapendo che dall'indomani si sa-
rebbe iniziato a discutere del De ecclesia i teologi sono immediatamente
alle prese col problema dell'ordine dei capitoli e della eventuale integra-
zione di altri schemi1 59 .
Vari episcopati promuovono incontri fra loro e coi teologi che di-
venteranno appuntamenti fissi o quasi160 : il gruppo pan-africano, che
nelle successive settimane sarà molto vivace, dà vita ad «un comité de
théologiens pour toute l' Afrique»161 ; l' «atelier della strategia», un grup-
po a base francofona che terrà riunioni il mercoledì, prende il via in
questi giorni162 ; le conferenze meglio organizzate (francesi, germanofoni,
olandesi, polacchi, canadesi, ecc.) avviano calendari di conferenze per
ascoltare pareri sui lavori incipienti.
Mentre procede il dibattito su quel che c'è nel De ecclesia, ricorrono
varie proposte per aggiungere a quello schema - al quale il papa stesso
ha assegnato un ruolo centrale nei lavori del Vaticano II - altre sezioni
e tematiche. La possibilità di integrare altri schemi dentro il De ecclesia
percorre infatti da alcune settimane le discussioni, quasi che fosse condi-
visa da tutti l'impressione che soltanto la costituzione ecclesiologica pos-
sa «salvare» gli schemi da una cassazione, che umilierebbe nella invisibi-
lità i diversi ambienti che ne hanno promosso la stesura.

ruolo dei fratelli di Taizé, JCng, 17 ottobre 1963: «infine, su fratelli di Taizé, trovano
che "essi esagerano": da una parte per un aspetto eccessivamente clericale (loro cocolla
a S. Pietro), d'altra parte per una politica sistematica di contattare più vescovi possibile.
Vedono in questo un filo di indiscrezione o di prof essionalismo. Ma sottolineo che, en
tro limiti molto umani, Taizé resta un vero miracolo, un'opera di Dio: questo ha misura
comune!».
159 Cè anche chi previene la fatica col riposo, come Semmelroth, cfr. ST, 29 set
tembre 1963. «Questa mattina mi hanno telefonato che mons. Volk mi aveva procurato
una carta d'ingresso per San Pietro. Così ci sono andato. [...] Nel pomeriggio è venuto
p. Garbolino e siamo andati a Tivoli, dove abbiamo visitato il giadino di Villa d'Este
con gli splendidi giochi d'acqua. Certamente gli ultimi giorni erano stati troppo faticosi
per il mio fisico. Mi sono davvero stancato. In effetti mi sento abbastanza male fisica
mente. Ma spero che con un po' più di riposo andrà meglio».
160 Il 29 settembre alle 4 c'è la riunione dei congolesi, D-Olivier, cit.
161 Cfr. la testimonianza di Bernard Olivier, esperto dei vescovi congolesi, F Olivier
169, in parte edito in Belgique, pp. 197-206. Limitato (ma con un utile diagramma degli
interventi dei vescovi africani missionari ed autoctoni) G. CONUS, L'Eglise d'Afrique au
Conci/e V atican II, Immensee 1975.
162 JCng, 29 settembre 1963.
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 59

Ma anche per il rapporto con le religioni non cristiane ed il contro-


verso schema De Judaeis, alcuni pensano che la miglior soluzione consi-
sta, appunto, nell'inserire un capitolo nel De ecclesia, non foss'altro per
garantire una discriminante e impegnativa affermazione dogmatica sulle
relazioni con Israele163 . Se, però, può essere integrato questo grappolo di
temi - che in fon do sono l'embrionale revisione di un De Deo revelante
- non potrebbe allora passare l'intero De revelatione 164 , come vuole El-
chinger?165 Ovvero il De traditione che Garrone ritiene risolutivo? TI

163 JCng, 2 ottobre 1963.


164 Congar partecipa ad una riunione per la integrazione del De revelatione nel De
ecclesia, che costituisce il primo accenno di un dibattito vivace e durevole: JCng, 29 set-
tembre 1963: «Apprendo che ieri, alla riunione dei vescovi francesi, è stato deciso: 1)
chi potrà prendere parte alla riunione che si terrà ogni mercoledì: non i teologi, salvo
che non siano invitati come conferenzieri. 2) di costituire una commissione che organiz
zerà e modererà il lavoro dei vescovi. Essa è composta dai vescovi Marty, Gouyon, An
cel, Guyot, Maziers, de Provenchères, Elchinger, Le Cordier. 3) di designare un vescovo
per le relazioni con ciascuno degli altri episcopati. 4) c'è stata, prima del concilio, a Fi
renze, una riunione tra alcuni vescovi francesi (cardinal Lef ebvre, mons. Garro ne, Mar
ty ... ) e cinque vescovi italiani (di fatto solo quattro) delegati dalla conferenza episcopale
italiana. Sono tutti stati d'accordo nel chiedere che il De revelatione sia integrato nel De
ecclesia. Hanno inviato un testo in questo senso alla Presidenza del concilio. D'altra par-
te, mi ha detto Haubtmann, i vescovi francesi sono assai largamente d'accordo a che il
De beata Virgine Maria sia anch'esso integrato nel De ecclesia, così come il De revelatio
ne. Solo alle 16.30 il p. Féret mi conduce all'Angelico, col mio bagaglio. Mi reggo a
stento in piedi. Il p. Gagnebet mi dice che, su decisione del papa, il De revelatione non
sarà trattato in questa sessione. Il programma è stato fissato: saranno esaminati cinque
schemi: De ecclesia, De beata Virgine Maria, De oecumenismo, De apostolatu laicorum, De
regimine dioecesium».
l65 JCng, 30 settembre 1963: «Verso le 19.30 conduco i miei tre amici del Viet-
Nam a st. Thomas de Villeneuve per 1) vedere il p. Féret, fare la sua conoscenza e rice
vere da lui un testo con le sue annotazioni; 2) vedere mons. Elchinger, che, come mem
bro della commissione che organizza il lavoro dei vescovi francesi, potrà orientarci. Di
fatto, la nostra visita è assai fruttuosa. Incontriamo non soltanto Féret e Mons. Elchin
ger, ma il p. Liégé. Capitiamo nel bel mezzo dei lavori. In realtà, questo gruppetto sta
pensando a un De ecclesia che riunisca tutto secondo il percorso stesso dell'economia o
della storia della salvezza. D'accordo sulle idee, sono meno sicuro che la questione sia
veramente questa, o anche che ciò sarà concretamente possibile. Al contrario son molto
d'accordo con mons. Elchinger che vuole intervenire domani e ci legge il testo di un
progetto d'intervento, per sottolineare le difficoltà che vi sono a che si voti subito l'in
sieme dello schema, per cominciare immediatamente la discussione del Proemium e del
cap. I. In effetti, da un lato, troppe questioni che toccano il contenuto del De ecclesia
sono ancora in sospeso. Diversi parlano di inserirvi il De revelatione, o il De beata, o un
capitolo sulla Chiesa escatologica, o un De missione ... Ciò pone una domanda di conce
zione d'insieme e di progetto, sulla quale non c'è chiarezza. Lo schema riflette le sue
origini. Non è mai stato concepito come un De ecclesia; anzi, non è stato proprio "con
60 IL CONCILIO ADULTO

gruppo che ha rivisto il De statibus perfectionis è, ovviamente, pronto a


sostenere la necessità di un capitolo sulla consacrazione nei voti (ed il
ritmo dei lavori di settembre lascia capire che vogliono trovarsi pronti);
e i laici, dovranno davvero avere lo schema a parte? Non è infine un
mistero che alcuni pensino perfino a incorporare il De missionibus nel
De ecclesia166 •
Infine c'è la questione del De beata Maria virgine: sullo schema di
Balié, che rispetto all'anno prima ha solo modificato la seconda parte
del titolo da matre Dei et hominum a matre ecclesiae, c'era già stata una
discussione e una scelta relativa alla sua collocazione nella «sistematica»
degli schemi durante la fase preparatoria 167 • L'esigenza di reincorporare
la tematica nel De ecclesia ha però mutato di significato: infatti i mario-
logi ritengono che non dedicare uno schema alla Vergine costituirebbe
una colpevole riduzione; mentre da parte degli ecumenisti si teme che la
mariologia venga strumentalizzata per mettere in difficoltà il dialogo.

4.1. L'inizio del dibattito

Trentasettesima congregazione generale, 30 settembre 1963: si rico-


mincia davvero.
Al termine della lunga navata basilicale il nuovo tavolo dei modera-
tori annuncia fisicamente la snellezza del nuovo organo e del nuovo or-
ganigramma. Anche alcuni degli annunci del segretario generale, e dei
suoi sottosegretari come traduttori, sembrano andare in questa direzio-
ne: infatti mons. Felici annuncia l'aprirsi della discussione, richiama al-
cune delle nuove norme regolamentari per invitare i vescovi a fare inter-
venti collettivi, ad evitare ripetizioni; annuncia anche che non vi saranno
nomine di nuovi periti168 • Anche la norma che impone ai vescovi di con-
segnare un sunto con tre giorni di anticipo alla stessa segreteria serve a
dissuadere gli aspiranti oratori: posto che la precedenza degli interventi

cepito" come un insieme. Al punto che si propone di aggiungervi un capitolo o un altro


[. .. ] secondo un certo ordine che avrebbe, in se stesso, valore di dottrina. Ma non è
così: si faranno delle aggiunte, ma ciò non formerà veramente un tutto!».
l66 JCng, 1° ottobre 1963. La elaborazione dello schema verrà bloccata dal voto
contrario della commissione dottrinale il 23 ottobre 1963.
167 Lo schema diventa autonomo dal De ecclesia il 2 giugno 1962, cfr. S/V 2, pp.
520 522 e C.M. ANTONELLI, Le role de Mgr Gérard Philips dans la rédaction du Cbapitre
VIII de Lumen gentium, in «Marianum. Ephemerides Mariologiae», 55 (1993), pp. 17-
97. Inoltre INDELICATO, Difendere la dottrina, cit., pp. 307 311.
168 AS II/l, pp. 205 213.
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 61

in aula era determinata dalla dignità ecclesiastica, ciò significava che il


singolo vescovo aveva poche possibilità di intervenire tempestivamente
su una questione. Invece la riaffermazione della legge del segreto da ri-
spettarsi <<semper et ubique» suonava poco confortante169•
Si ricomincia dal punto in cui ci si era interrotti ranno prima - dal
De ecclesia. La presentazione del nuovo schema ecclesiologico vede fisi-
camente immutati i protagonisti: i cardinali Ottaviani e Browne, presi-
dente e vicepresidente della commissione dottrinale fanno la loro intro-
duzione170. Eppure molto è mutato; lo spirito dei vescovi è diverso, or-
mai rodato nel dire «no» con pacatezza, ma senza timore; il concilio è
diverso, ha organi e coscienza che alla precedente apertura non possede-
va; il papa è diverso, e ritiene che il lavoro conciliare debba avere un
asse portante - appunto quello ecclesiologico. Due sole congregazioni
generali CXXVII-XXVIII) ed i primi interventi sullo schema in generale
(venti) diranno che questo cambiamento è reale e fecondo.
Frings - di nuovo fra i primi oratori anche in questo secondo perio-
do - presenta le richieste sue e di 65 padri tedeschi e scandinavi: appro-
va lo schema ma domanda una più esplicita sottolineatura della chiesa
come sacramentum 171 ; una sottolineatura della povertà; una espressione
più ampia dei nodi di riforma disciplinare; la opportunità d'inserire il
De beata (cosa. alla quale Agagianian replica ad alta voce che è «allo stu-
dio»)172. Parla Siri e dopo di lui i non cardinali prendono la parola 173 • In
fine mattinata interviene il vescovo di Bressanone, Giuseppe Gargitter:
italiano di nazionalità, Gargitter, che a Roma partecipa alla conferenza
episcopale tedesca, fa una proposta che avrà un grande peso sull'assetto
finale dello schema. La divisione del capitolo sui laici in due segmenti
(sul popolo in generale, sul laicato in particolare) era stata già proposta
a luglio da Suenens; e, sempre in quel coordinamento, era stata suggeri-

169 Ibidem.
170 La presentazione AS II/lJ pp. 337 342 è volutamente e straordinariamente
sobria, dr. U. BETTI) La dottrina sull'epircopato del concilio Vaticano II. Il capitolo III
della costitui.ione dommatica Lumen gentium, Roma 1984) p. 118.
171 L'uso di questa categoria dà corpo ad una delle istanze teologiche fondamentali
dell'ambiente tedesco, come spiega anche RATZINGER, Das Koni.il au/ dem W eg, cit., p.
31. D'altronde nel secondo periodo, anche all'interno del gruppo dei periti tedeschi
(Rahner, Semmelroth, Morsdorf, Hirschmann, a cui si aggiungono Kiing, Ratzinger e Je
din), di cui dà l'elenco VORGRIMLER, Comprendere Rahner, cit., p. 222, prevalgono ap-
porti specifici: «Era giunta l'ora dei dogmatici», scrive }EDIN, Storia della mia vita, cit.,
p. 313.
112 AS IVl, pp. 343-347.
l73 L'intervento brevissimo di Siri quasi una dichiarazione di voto in AS II/l,
p. 347.
62 IL CONCILIO ADULTO

ta una diversa ordinatio dei capitoli in modo da collocare quei due tron-
coni in luoghi diversi dello schema (uno prima, ed uno dopo il capitolo
sulla gerarchia); tuttavia è solo dopo che Gagitter - che ha sempre soste-
nuto di non averne parlato con altri1 74 - pronuncia in S. Pietro il suo
intervento che la proposta, ricca di valore sistematico e rilievo dottrina-
le, ritorna alr ordine del giorno e diventa una realtà.

4 .1.1. Un passaggio decisivo

La prima discussione generale sul De ecclesia vede alcuni interventi si-


gnificativi anche rindomani, 1° ottobre: il cardinale cileno Silva Henri-
quez, che aveva diretto la redazione di uno schema ecclesiologico organi-
co all'inizio dell'anno in corso, chiede più spazio per due idee guida -
quella di koinonia e quella della integrazione fra pluralità delle immagini
di chiesa e dimensione trinitaria - di cui lo schema della commissione
non teneva gran conto 175 • Anch'egli, come altri 176, coglie l'occasione di
questo dibattito generale per perorare la causa dell'inserimento dello
schema sulla Vergine Maria nella costituzione sulla chiesa, proposta che
di fatto serviva a ridurre il rischio di una strumentalizzazione antiecume-
nica della tematica mariologica: ma se l'altra proposta relativa alla siste-
matica della costituzione - quella sull'anticipazione del capitolo sul popo-
lo di Dio - non raccoglierà altro che adesioni ed elogi - questa seconda
mozione lascerà maggiori perplessità e si risolverà solo a fine mese 177 •
Mentre scorrono gli interventi viene annunciata l'indizione della vo-
tazione sull'accettabilità complessiva dello schema: nel voto - il primo
del II periodo - si palesa un plebiscito a favore di quello che sino a
quel momento era stato lo «schema Philips», pur integrato e rivisto in
varie sedi, e che ora diventa il testo base (o receptus, come suona il lati-
no conciliare): su 2.301 padri presenti, ci sono 27 voti nulli, 43 contro e
2 .231 a f avore 178 • Il testo che si accetta è dunque quello quadri partito

174 Così una sua lettera del 9 settembre 1985 a G. Colombo, in copia in ISR.
175 AS II/1, pp. 366-368. JPrg (A), 30 settembre 1963: «non posso dimenticare che
ho combattuto tre mesi nella commissione per far introdurre il modello trinitario e che
ho dovuto su questo punto vincere la resistenza di mons. Charue stesso».
176 Garrone, AS II/l, pp. 374-375, Elchinger pp. 378 380 e Méndez Arceo pp.
385-387.
177 Congar rimarca che Laurentin scrive un «suo» De beata, JCng, ottobre 1963 [f.
10].
178 AS II/1, p. 111 e 391: lo spoglio dei voti, raccolti con il sistema meccanografico
a schede perforate, dura meno di un'ora (10.59-11.51).
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 63

spedito nella primavera-estate: un capitolo (I) sul mistero della chiesa


nella luce della economia di salvezza, dal disegno del Padre fino al suo
peregrinare in terra; un capitolo (II) sulla costituzione gerarchica della
chiesa e sui vescovi, chiamati a governare la chiesa secondo una impera-
tiva responsabilità di comunione - la collegialità - e nell'esercizio dei
doni che il sacramento della consacrazione ha conferito loro; un capito-
lo (III) sul popolo di Dio e i laici, teso a riconoscere la partecipazione
di tutti i battezzati alla missione; e un capitolo finale (IV) sulla chiamata
alla santità di tutta la chiesa, strumento e frutto della grazia, come chia-
mata comune di tutti.
In realtà il testo stava modificandosi: la divisione del capitolo sui lai-
ci e la costituzione di un nuovo capitolo II sul popolo aveva già preso
forma; l'articolazione di un capitolo specifico sui religiosi era già stata
affidata in estate ai vescovi Charue e McGrath, assistiti da alcuni peri-
ti179. Eppure la votazione «generale» prevista dal regolamento costituiva
un passaggio determinante e irreversibile per il Vaticano II e la sua co-
stituzione principale: restano aperte immense possibilità di rettifica del
testo, dell'ordine dei capitoli, dell'equilibrio delle formule, delle soluzio-
ni dottrinali, ma di fatto si tagliano i ponti alle spalle di quel De ecclesia
- pur senza ancora entrare nella questione della qualificazione dogmati-
ca, sulla quale i moderatori avevano proposto la sera innanzi al papa
un'articolazione su tre livelli180• Da un lato la votazione del 1° ottobre
seppellisce definitivamente lo schema preparatorio: indietro non si sa-
rebbe più potuti tornare. Il Vaticano II, dice il voto, non scriverà un De
natura ecclesiae, né una delle tante ripetizioni di scuola che lo schema
preparatorio conteneva; restava nella costituzione solo, e tutto, ciò che
Philips vi aveva ripreso delle tesi di Lattanzi e Gagnebet. Dall'altro lato,
però, quel voto accetta come misura del possibile la proposta del «nuo-
vo» schema: le numerose osservazioni dell'estate inviate o scritte aveva-
no mostrato desideri di modifica anche profonda, che, dopo questo
voto, devono prendere pazientemente la via degli interventi-emendamen-
ti; il cauto lavoro di tessitura politica di Philips ha rotto il pregiudizio
d'immodificabilità nel quale s'era arroccato lo schema preparatorio, ma
è ancora influenzato da quello nelle sue incertezze, ambiguità, compro-

17 9 TROMP, Relatio secretarii, cit., pp. 32 40; i periti erano Gagnebet, Haring, Phili
ps, Medina, Thils e Labourdette.
180 Il 30 settembre 1963 Dossetti aveva informato Colombo d'aver trasmesso ai mo
deratori un appunto sulla qualificazione teologica degli schemi. La dichiarazione sarà di
scussa in commissione dottrinale il 15 e riceverà una observatio scritta di Tromp neJla
seduta del 30 ottobre, cfr. F-Colombo, XXI.
64 IL CONCILIO ADULTO

messi, giustappos1z1oni. Era questo che veniva accettato181 : perdevano


cittadinanza gli sforzi di pensare davvero ex novo le questioni del De ec-
clesia che avevano visto la luce nel corso del 1963: solo abbandonando
le rispettive visioni d'insieme - che costituivano il loro pregio - lo sche-
ma francese o quello cileno avrebbero avuto la possibilità d'incidere sul-
la costituzione; tutto ciò che obbediva ad una legge interna di sviluppo
dottrinale (ad esempio il capitolo sulla comunione nel documento dei
cileni), doveva ridursi ad emendamento, in pratica accettare di sparire
nella selva delle piccole correzioni.
L'esito della votazione, comunque, dimostra che il concilio vuole an-
dare avanti, sa andare avanti 182 : la lettera che i moderatori inviano a
Paolo VI per chiedere dal giovedì successivo una udienza di tabella e gli
allegati alla stessa183 mostrano che Suenens, Dopfner, Lercaro (e in una
certa misura anche Agagianian, esponente certo di un'ala curiale minori-
taria in concilio, ma che in quest'inizio del lavoro dei moderatori sceglie
una collaborazione passiva) vedono con chiarezza il punto della nuova
fase del concilio: la coerenza delle commissioni rispetto alle intenzioni
dell'aula 184 •
D'altro canto la seduta del gruppo degli osservatori, proprio nel po-
meriggio di quel primo «martedì» di concilio, indica che il testo in di-
scussione ed il modo in cui viene esaminato soddisfa i delegati a-cattoli-
ci: le richieste di correzione - sulla dimensione eucaristica e il carattere
pneumatologico - non nascondono stroncature inappellabili sotto il pre-

181 Sui timori in Philips di un arretramento del testo1 cfr. JPrg1 passim. Il desiderio
di consolidare il risultato raggiunto era già stato espresso da Philips in una lettera a Co-
lombo dell18 agosto 1963: <<Personalmente spero che l'andamento dello schema De eccle-
sia non sarà modificato: altrimenti potremmo ricominciare indefinitamente. Saranno evi-
dentemente necessari alcuni adattamenti redazionali. È auspicabile che la nuova sessione
del concilio porti immediatamente al termine lo schema sulla liturgia 1 poi si occupi del
De revelatione e del De ecclesia cioè delle parti che sono più attese e senza dubbio le
1

più importanti. Forse sarà utile che il Santo Padre faccia sapere che il testo della com-
missione teologica 1 attraverso le trasposizioni indicate dal card. Suenens1 deve servire da
base alle deliberazioni del concilio. Si potrà sempre proporre degli emendamenti. Ma se
si ammette di mettere in discussione delle redazioni interamente nuove1 non finiremo
mai. Lascio queste considerazioni al vostro illuminato giudizio»1 cfr. in F Colombo1 C-
XXII.
182 Si spiega perciò losservazione di Congar sul peso della procedura di assemblag-
gio1 che di per sé potrebbe essere accettata come la modalità necessaria al raggiungi
mento di un risultato in una assemblea deliberante, cfr. JCng1 30 settembre 1963, cit. su-
pra n. 165.
183 Cfr. ALBERIGO, Concilio acefalo, cit. 1 pp. 231 233.
184 Il verbale redatto da Dossetti della seduta dei moderatori del 2, 3 e 7 ottobre in
ALBERIGO, Concilio acefalo cit., pp. 231 233.
1
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 65

testo di osservazioni particolari, ma propongono veri e propri emenda-


menti attraverso i quali gli osservatori, le loro chiese e gli organi che
rappresentano, danno un contributo diretto allo sviluppo del testo185 .

4.2. Gli interventi sul mùtero della chiesa (cap. I)

L'approvazione dello schema in genere consente ed impone la di-


scussione per capitoli, a partire dalla introduzione e dal capitolo I, De
mysterio, dibattuto fra il 1° ed il 4 ottobre.
La premessa dello schema rielaborava i materiali precedenti con una
novità ed una variazione; la novità è che la chiesa non solo non si ante-
pone alla verità da annunciare come nello schema preparatorio, e nep-
pure (era la proposta tedesca) qualifica più se stessa come <<lumen genti-
um», ma riconosce ed afferma questa qualità nel Cristo. La variazione
riguarda il tema della sacramentalità della chiesa: lo schema, mutuando
dalle note dei teologi tedeschi, proponeva di affermare che la chiesa è
sacramento dell'unità del genere umano, mentre il testo sottoposto ai
padri introduceva una esplicativa (segno e strumento ovvero sacramen-
to); si voleva così rendere più accettabile l'estensione di quella espressio-
ne a momenti e realtà che sbloccavano la limitazione del Tridentino a
quei sette sacramenti - «nec plures, nec pauciora» - coi quali s'era vo-
luta rimarcare la differenza fra cattolicesimo e protestantesimo. Il capi-
tolo primo (7 pagine di testo e 7 di note, per 10 paragrafi) rielabora il
materiale preparatorio sulla natura della chiesa in un nuovo quadro,
quello del mùtero della chiesa: l'economia trinitaria è quella da cui pro-
cede la vita della chiesa; lo schema storico-salvifico (il punto forte dello
schema francese di matrice congariana) viene recepito: la chiesa nasce
dal Dio uno e trino, sicché essa si fonda «in dogmate primario christia-
nismi»186, ma le conseguenze sono espresse in modo incerto. La «eccle-
sia ab Abel», è prefigurata nel popolo di Dio della promessa e vive del-
la comunione di grazia venuta dalla incarnazione: ma al tempo stesso (n.
3) la prospettiva tedesca della chiesa come luogo in cui si manifesta
l'unità del genere umano nel Cristo, riapre la porta ad una descrizione
della realtà strutturale della chiesa nella sua compaginazione giuridica.
Questa bipartizione è completata dal riferimento (d'origine cilena)

185 Ad es. Cullmann aderisce con entusiasmo alla proposta sull'anticipazione del De
populo Dei: un vivace resoconto della riunione in HORTON, pp. 23-25.
186 Commentarius, in Constitutio dogmatica De ecclesia, fascicolo distribuito ai pa~
dri, pars I, p. 20.
66 IL CONCILIO ADULTO

ali, azione dello Spirito, compaginatore del ministero e protagonista della


vita sacramentale, forzosamente inserito in un contesto che cerca di te-
ner conto delle diverse ottiche «alternative» allo schema preparatorio.
La citazione ciprianea della chiesa adunata «nell,unità del Padre del Fi-
glio e dello Spirito santo», introduce la parte sulle immagini della chie-
sa187: qui si compie un significativo avanzamento rispetto allo schema
preparatorio, nel quale il corpo mistico era proposto come prima ed es-
senziale immagine della società gerarchica. Il rapporto fra chiesa e regno
di Dio rimane accennato nei termini della germinazione: il n. 7 affronta
invece la visibilità della chiesa peregrina in terra e riprende dalla Mystici
corporis e dallo schema preparatorio la forte riaffermazione della unità
di chiesa visibile e realtà mistica della chiesa. A differenza di quanto ac-
cadeva nello schema francese, però, I' affermazione secondo la quale la
chiesa è mezzo di santificazione - concetto che voleva ridurre i rischi di
una ecclesiolatria trionfalista - non impedisce di affermare contestual-
mente che la chiesa di Cristo è la chiesa cattolica. Lo schema perde in-
novatività anche nel paragrafo sui «membri» che tanto aveva contribuito
a far giudicare incomponibile con le attese ecumeniche suscitate dal
concilio le proposte della commissione preparatoria: non entrano nel
nuovo testo né la tripartizione fra catecumeni, battezzati acattolici, «uo-
mini di buona volontà» della proposta di Philips dell, anno prima, né la
formula di Vagaggini che distingueva fra una intenzione di adesione
perfetta e visibile e l'azione della grazia che virtute sua fa membro an-
che chi è al di fuori dei confini istituzionali del cattolicesimo romano.
La tesi di Schauf (mutuata da Tromp) risultava vincente 188 , anche se i
paragrafi conclusivi cercano di mostrare come si riferiscano o entrino in
rapporto con la struttura gerarchica della chiesa i cattolici, i cristiani in
genere ed i non cristiani.
La discussione - che si stende. su tre congregazioni generali con 46

187 Il cit. commentario dell'estate precisava che la chiesa «non tantum est Populus
Dei, sed ipsum Corpus Christi», p. 20. Il vescovo di Durban, Hurley, che nella commis
sione centrale preparatoria aveva coraggiosamente combattuto l'organizzazione degli
schemi, durante i lavori conciliari funge da corrispondente anonimo del quotidiano
«The Southern Cross»: egli coglie in questo tema il vero passaggio: «Il Concilio Vatica
no II ha di fronte una Chiesa alle prese con una transizione da una teologia del concet-
to ad una teologia dell'immagine. Il concetto andava bene per scopi difensivi, ma non
per una strategia pastorale rivolta in avanti. Nel volgersi a1l'immagine, la Chiesa si trova
"risospinta" verso la Bibbia», cfr. PH. DENIS, Archbishop Hurley1s contribution to the Se
cond Vatican Council, in «Bullettin for contextual theology in Southern Africa & Afri
Ca>>, 4 (1997)/1, p. 11.
188 Cfr. H. SCHAUF, Zur Frage der Kirchengliedschaft, in «Theologische Revue», 58
(1962), pp. 217 224.
L'INIZIO DEL SECONDO PEIUODO 67

interventi a voce e 6 scritti - ruota soprattutto attorno alla qualificazio-


ne della chiesa come sacramentum della unità del genere umano 189: la
questione - glà dibattuta nella fase preparatoria - aveva un carattere
emblematico. E su questo punto che il card. Ruffini pronuncia il primo
dei suoi numerosi interventi1 90, nel quale espone la sua acrimoniosa
convinzione che la definizione della chiesa come sacramentum provenga
da Tyrrell e che vada perciò rifiutata come modernista! Solo al momen-
to del voto sul capitolo I, Ruffini ed i suoi sodali si renderanno conto
che la loro immagine di un concilio di ingenui sedotto da alcuni f acino-
rosi era fasulla: il paternalismo col quale i cardinali legati alle scuole ro-
mane gettano la porpora sulla bilancia del dibattito non ottiene nulla; i
vescovi
. . .ascoltano, ragionano, s'informano, si raccordano, si scambiano
op1n1oni.
Che però i temi abbiano bisogno di un'adeguata digestione lo si ca-
pisce quando Alfrink risponde alle obiezioni di Ruffini: questi aveva at-
taccato il passo nel quale si diceva che la chiesa aveva come fondamento
«Pietro e gli apostoli», perché in tal modo, secondo l'arcivescovo di Pa-
lermo, si insinuava una inammissibile uguaglianza fra il principe degli
apostoli e gli altri; il cardinale olandese, che pure considera necessaria
una affermazione chiara sulla collegialità, ammette che quella congiun-
zione vada moderata e che dunque sia meglio dire «Petrus coeterique
apostoli» 191 • Al contempo entrano nel dibattito anche osservazioni che
solo i teologi più attenti sono in grado di cogliere: la proposta dell'abate
Butler di distinguere fra regno di Dio e regno di Cristo sembra «très in-
téressant» a Congar, ma resta lettera morta per gli altri1 92 • Anche l'inter-
vento di Bea che mette in causa l'uso non rigoroso delle citazioni bibli-
che attinge ad un livello che per i più è irraggiungibile 193 .
Sono invece le modifiche di assetti teologici consolidati quelle che
tengono in tensione l'aula. Nel momento in cui si dovrà abbandonare la

189 Cfr. ACERBI, Due ecclesiologie, cit., pp. 261 267.


190 AS II/1, pp. 391 394. Ruffini è uno dei sostenitori, a differenza di Siri, della or
ganizzazione di un gruppo di opposizione aJle innovazioni ecclesiologiche; la preoccupa
zione dei padri che promuovono l'iniziativa (Sigaud, Lefebvre, Prou) e dei loro periti
(Berto e Frénaud) non riguarda la liturgia: essi scrivono che «i decreti sulla liturgia sono
pronti. Aggiungono solo poche cose a quelle che si fanno già», cit. da L. PERRIN, Il
<<Coetus Internationalis Patrum» e la minoranza, in Evento, pp. 173-187.
191 Quindi Alfrink è disponibile ad introdurre una distinzione (assente nella fonte
neotestamentaria) fra Pietro e gli apostoli; cfr. AS II/l, pp. 428-430, 2 ottobre 1963; un
commento ammirato in JEdb, ad diem, ed. it. pp. 155 156.
192 AS II/1, pp. 462 651; il commento in JCng, 2 ottobre 1963; lo stesso giorno
Liénart lo informa d'aver udito il papa elogiarlo come teologo.
193 AS II/2, pp. 20 32, a causa delle lunghe proposte scritte.
68 IL CONCILIO ADULTO

egemonia dell'immagine del «corpo mistico», vescovi e cardinali come


Ritter, Malanczuk, Dalmais, Lercaro, Enciso Viana, Volk, Garrone fa-
ranno sentire la loro voce per chiedere che lo schema sappia assumere il
carattere germinale della chiesa, segno del Regno di Dio, e rinunciare al
trionfalismo gerarchico. Fra i padri che intervengono ci sono anche la-
mentele non trascurabili sulla insufficienza delle modificazioni introdot-
te: in più sedi e a vari livelli, Silva Henriquez lamenterà la debole sotto-
lineatura della koinonia come elemento compaginatore dei cristiani, ma
anche delle chiese, che egli aveva suggerito alla fine del primo periodo e
del quale non si era tenuto conto 194 • Per moltissimi padri le affermazioni
fatte in sede di discussione sullo schema liturgico, sono altrettanti spunti
per la correzione dello schema ecclesiologico195 : Lercaro, in modo parti-
colare, chiederà che la presenza del Cristo nella chiesa sia espressa attra-
verso il segno e la logica della eucarestia, ma anche altri vescovi chiedo-
no richiami alla liturgia, all'ascolto e alla custodia della parola di Dio,
spesso con numerosi interventi collettivi1%.
Altri gruppi avanzano in sede di dibattito le proprie istanze nella
forma di affermazioni ispiratrici generalissime197 : Rugambwa, che chiede
una presentazione dinamica della chiesa, non nella statica dell'essere, ma
nel dinamismo del divenire, esprime una posizione che Congar spieghe-
rà all'episcopato africano in una delle conferenze promosse dal p. Gré-
co; Himmer domanderà di far posto alla nozione di ecclesia pau perum
che il gruppo di cui era parte riteneva essenziale198 ; infine il nucleo di
quello che sarà il Coetus internationalù patrum di Gerardo Proença Si-

194 AS IVl, pp. 366 369 e pp. 786 789: JPrg (2), 30 settembre 1963 riferisce di un
ruvido contatto fra il porporato latino-americano e Suenens, al quale egli chiede un in-
tervento sul testo e dal quale si sente invitare a prendere la parola in aula.
195 In particolare l'intervento del vescovo dell'Indonesia, Van der Burgt il 3 otto
bre, AS IV2, pp. 59-61. Anche Martin di Rouen lo stesso giorno farà affermazioni simi-
lari, pp. 61 63.
196 Lercaro AS IV2, pp. 9 13 e Volk, pp. 45 47~ sulla redazione cfr. ST, 4 ottobre
1963. Mentre nel I periodo gli interventi delle conferenze sono pochi, in questa fase, in
vece, essi si moltiplicano e danno corpo alla richiesta che verrà avanzata dagli episcopati
africani di dividere la settimana conciliare in una metà dedicata al lavoro d'aula, ed una
metà dedicata al lavoro nelle conferenze. Gli interventi di gruppi e conferenze di vescovi
africani, francesi, argentini, uruguagi, indonesiani, olandesi in AS II/1, pp. 749 786 e
796 802.
197 Il 3 ottobre c'è una riunione dei soli osservatori che manifesta qualche difficoltà
ad accogliere la proposta di muoversi e prendere posizione come «gruppo» del concilio,
cf r. HORTON, pp. 31 32.
198 JPrg (A), 4 ottobre 1963 annota in italiano che Himmer ha parlato «con cuo
re». AS IVl, pp. 368 370 e II/2, pp. 79 81 per i due interventi.
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 69

gaud e Marcel Lefebvre presenterà una proposta alternativa di schema


(redatto dall'abate di Solesmes e da Berto) che intende introdurre una
immagine di chiesa fortemente discendente e gerarchica in opposizione
alle tendenze di comunione presenti nel secondo De ecclesia 199 • Restano
sotto il pelo dell'acqua gli esiti di riunioni di lavoro: dai vescovi belgi,
olandesi e tedeschi Philips chiede e ottiene l'accettazione della sua tesi
per il reinserimento del De beata come capitolo finale della costituzione
sulla chiesa200 ; altrove alcuni periti incontrano Ancel, Garrone, Maziers
ed Elchinger: la realtà, insomma, è che
i vescovi hanno organizzato da soli il loro lavoro. Invece di lasciarsi un po' condurre da-
gli esperti, si organizzano autonomamente in piccoli gruppi di lavoro e chiamano gli
esperti per assecondarli. Sembrano essere più a loro agio e più attivi rispetto all'anno
scorso. Vivono il concilio seriamente201,

4.3. Interferenze tematiche e procedurali: organi e dibattiti

Il dipanarsi del dibattito ecclesiologico va di pari passo con la ripre-


sa dei lavori delle commissioni, che - rispetto all'intersessione - lavora-
no ora a ranghi sempre pieni e in dialettica fitta, anche se in qualche
caso implicita, con il dibattito dell'aula.

4.3.1. Lente riprese: missioni e religfost~ seminari e clero) oriente e vescovi

Alcune commissioni sono impegnate in un lento riposizionamento: la


liturgica ha ormai incassato il suo risultato e deve soltanto gestire la fase
finale dei lavori; quella dei vescovi vede arrivare la discussione del pro-
prio schema in agenda; la commissione per lo schema sulle missioni si
riunirà soltanto dal 23 ottobre in poi202 , ormai nella prospettiva di un
breve documento di principi; sulle commissioni che devono proporre i
documenti sui religiosi, i seminari, e il clero si sa molto poco, ma c'è an-

I99 AS II//2, pp. 34-36 l'intervento; lo «schema», di cui parla ACERBI, Due ecclesio
logie, cit., p. 267 e PERRlN, Il <<Coetus Internationalis Patrum», cit.
200 Cfr. D Moeller, 4 ottobre 1963, in ANTONELLI, Le r6le, cit., pp. 30-31; la propo-
sta viene articolata in una lettera di Prignon a Suenens, 4 ottobre 1963, F Prignon 514.
201 «Les éveques ont organisé eux meme leur travail. A u lieux d'etre un peu menés
par les experts, ils s'organisent eux-meme en petites équipes et appellent les experts
pour les seconder. Ils semble etre plus à leur affaire et plus actifs que l'an dernier. Ils
vivent le concile sérieusement», JCng, 3 ottobre 1963.
202 Terrà 11 sedute fino al 3 dicembre, cfr. LOUCHEZ, La commùsion De missioni-
bus, cit.
70 IL CONCILIO ADULTO

che poco da sapere: emarginate per ora dall'agenda si situano in un lim-


bo procedurale dal quale non si sa come e se usciranno203 • Nella riunione
del 7 ottobre della commissione De episcopis, una di quelle il cui tema è
destinato all'aula, viene nominato come relatore il vescovo di Segni, Luigi
Carli, duro antagonista della collegialità episcopale204 : questo farà sì che
da parte di V euillot si decida - ormai il 29 ottobre - di fare appello a
Tisserant. Il cardinal decano della presidenza, organo con compiti di tu-
tor legis, deve, secondo i richiedenti, assicurarsi che Carli tenga conto del
parere della maggioranza della commissione, la quale non è stata chiama-
ta a discutere una bozza di relazione, come sarebbe stato desiderabile.

4.3 .2. La commissione per lo schema XVII

Il cosiddetto «schema di Malines» - frutto del lavoro estivo sui rap-


porti chiesa-mondo - rimane in sospeso per tutto il mese di ottobre:
fortemente debitore, dal punto di vista concettuale, di una doppia tessi-
tura di matrice congariana205 lo schema integrava una bipartizione fon-
damentale (dire ai cristiani ciò che il mondo chiede loro/dire al mondo
ciò che la fede cristiana pensa delle questioni più gravi), con una conce-
zione della presenza basata sulla sequenza koinonia-diakonia-martyria.
Philips - che materialmente opera la redazione - propone una semplifi-
cazione didattica, che al termine dei lavori di Malines vedrà uscire una
Adumbratio in 3 capitoli: De ecclesiae propria missione - diviso in un De
evangelizatione mundi ed in un De ecclesiae infiuxu in ipsum ordinem
mundanum; un secondo De munda aedificando - articolato in un De au-
tonomia mundi, De uni/icatione mundi e in un capitoletto (De triplici
ambiguitate superanda) ridotto poi a paragrafo; un terzo De officiis eccle-
siae erga mundum - con un De munere testi/icandi ed un De servitio ca-
ritatis et communione 206•
Trasmessa per ordine del coordinamento ai presidenti della commis-
sione mista a fine settembre, l'Adumbratio circolava anche in via informa-
le: Prignon la invia a Philips il 22 settembre, a Glorieux il 25, a Tromp il

203 Cfr. Le s commissions à V atican II, ci t., passim.


204 JCng, 8 ottobre 1963.
205 Cfr. Proposz'tions en vue de la révision demandée du Schema XVII, in F-Prignon
238; l'episcopato francese aveva diffuso a fine luglio la nota di PH. DELHAYE, Premier
chapitre du schema XVII. De admirabili vocatione hominis, in «EtDoc», 16 (24 luglio
1963), pp. 1-8, in F Gagnebet, III, 7, 4.
206 G. TURBANTI, La commissione mista per lo schema XVII XIII, in Les commissions
à Vatican Il, cit., pp. 227 228. Le riunioni si tennero il 7 e 27 settembre.
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 71

27, probabilmente nella convinzione che essa potesse essere esaminata al-
meno dalla commissione dottrinale207 . Di fatto il dibattito ecclesiologico
blocca i lavori della dottrinale ed anche della commissione dei laici2°8 , e
nessuno prende l'iniziativa di mettere in moto le procedure di valutazione
e correzione del testo: solo la frenesia suscitata dall'annuncio del 12 no-
vembre - che fissa al maggio 1964 il terzo e presuntivamente ultimo peri-
odo sessione - rimette in movimento uno schema la cui «invisibilità» sarà
causa di vari interventi nel dibattito sulla chiesa. 1

4.3.3. La commùsione sull'apostolato dei laici

Dal 3 ottobre riprende i lavori la commissione sull'apostolato dei fe-


deli209, il cui schema è uno di quelli in agenda per la fine del periodo.
Alle tendenze in essa presenti che intendevano ridiscutere il testo a fon-
do, si oppone una indicazione della segreteria generale, secondo la quale
la commissione doveva aspettare l'esito del dibattito in aula sul capitolo
De laicis della costituzione ecclesiologica210 . Fin dalla sua prima seduta
la commissione - nella quale i laici uditori incominciano ad essere pre-
senti ed attivi - vota un relatore 211 , e si confronta col dilemma, a lungo
soffocato, relativo al senso del lavoro: si deve continuare a ridurre il do-
cumento a dimensioni minime - anzi ad una breve declaratio sul dovere
dell'apostolato nella società? O va solo conservato in attesa dei pareri
dei padri? Ovvero si deve allargarlo, dargli una prospettiva unitaria, che
collochi il laico in una ecclesiologia rinnovata?
La contesa - apparentemente sulla «lunghezza» dello schema - fra le
tre opinioni, rappresentate da De Vet, Civardi e Castellano non viene ri-
solta: la commissione si articola in due sottocommissioni212 di lavoro che
commentano ancora il capitolo sui laici del De ecclesia, esaminano la re-
lazione per l'aula, valutano le proposte di modifica dello schema giunte
dai padri durante l'estate. Sono discussioni piuttosto ripetitive: solo Pa-
van, nella seconda sottocommissione, pone con chiarezza la questione
della contraddizione fra l'ecclesiologia del corpo mistico e quella del po-
polo di Dio; a parte questo le discussioni si trascinano sul solito «quid

207 TURBANTI, La commùsione mista, cit., p. 228.


208 Glorieux ritiene che Suenens abbia consegnato lo schema a Browne e Cento,
cfr. TURBANTI, La commissione mùta, cit., p. 229.
209 Terrà 16 riunioni durante il periodo conciliare di cui 7 in ottobre.
210 Cfr. FAITORI, La commissione «De apostolatu fidelium», cit., n. 97.
211 Hengsbach, eletto al secondo scrutinio con 13 voti contro g1i 8 di Caste1lano.
212 Cfr. FATfORI, La commissione «De apostolatu/idelium», cit., nn. 102 ss. e 107.
72 IL CONCILIO ADULTO

est laicus?» e su alcune proposte pratiche sull'ampliamento del numero


degli uditori213 , ancora, però nell'ottica propria di questa commissione
di dar voce non al «popolo cristiano», ma alle organizzazioni internazio-
nali del laicato.
Lo slittamento dei dibattiti ecclesiologici di fatto portava lo schema
sull'apostolato ben oltre le date per le quali la commissione (che il 15 ot-
tobre discute e modifica la relatio stesa da Hengsbach) si era attrezzata 214 •

4.3 .4. La commissione liturgica

Nel contempo si stanno preparando la relazione e la votazione in


aula dello schema liturgico rivisto: il testo superstite della fase prepara-
toria ha subito qualche ritocco, ma ha ormai forma semi-definitiva. Per
di più il fatto che il relatore in aula sia uno dei moderatori, Giacomo
Lercaro215 , rafforza la volontà di una maggioranza larga, che nelle vota-
zioni iniziate il 7 ottobre e terminate il 13 ottobre sfiora i 2/3 dei con-
sensi incondizionati per tutti i capitoli dello schema e comunque riceve
richieste di modifica piuttosto elementari216 . Ma c'è di più: la stessa
esperienza liturgica del concilio asseconda ed avvalora le deliberazioni
prese, in più di una direzione. Da un lato l'alternarsi delle liturgie nei
vari riti è per molti vescovi latini un seminario sulla varietà quanto mai
utile per uscire dal complesso della «unicità del rito romano»; dall'altro
lato la esperienza di una celebrazione privata al mattino, spesso seguita
dall'assistenza alla messa altrui, poi dalla messa in S. Pietro, conferma la
necessità di incidere su una prassi di cui tutti possono sperimentare i li-
miti.
Infine la possibilità di vedere in atto alcune <<riforme» è particolar-
mente feconda: la concelebrazione del 3 ottobre suona come un miraco-

2 13 Petit propone anche di rimborsarli, e di aumentarne i compiti.


214 Il 9 novembre i moderatori avevano deciso che si discutesse il De apostolatu
dopo il De oecumenismo, AS V/3, p. 710.
2 15 Ldc, p. 165: la relazione AS 11/2, pp. 276 279; per la dispensa a Lercaro dal di
vieto di cumulare le funzioni di moderatore in aula con quelle di membro di una com
missione cf r. G. ALBERIGO, L esperieni.a conciliare di un vescovo, in Per la fori.a, p. 25.
1

2 16 La votazione finale del 13 ottobre (AS 11/1, p. 125) porta per 2.242 votanti,
1.495 placet e 781 iuxta modum, contro 36 non placet e 8 voti nulli. Anche la stessa de-
lusione per l'ulteriore passaggio in commissione dello schema per la expensio dei 781
emendamenti chiesti nella votazione finale del 13, ha almeno qualche effetto positivo: su
\ vari punti i capitoli che tornano in aula hanno ottenuto miglioramenti significativi. Sulla
procedura cf r. infra, pp. 212 223.
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 73

lo agli esponenti del movimento liturgico217 : ma non di meno sarà signi-


ficativa la richiesta ed il permesso di comunicare anche gli uditori laici
nella messa mattutina (11 ottobre 1963 )218 • Il ripetersi delle votazioni
movimenta la vita dell'assemblea ed aiuta a percepire - soprattutto nella
seconda metà di ottobre - che il rinnovamento della liturgia ha conqui-
stato cittadinanza e maggioranza nella chiesa: e che esso è portatore (lo
si vedrà nella seconda metà di ottobre), di postulati ecclesiologici di cui
alcuni padri chiederanno l'applicazione219 •

4.3 .5. Il segretariato per l'unità e le sue proposte

Se papa Giovanni ha lasciato un orfano, questo è il segretariato per


l'unità dei cristiani di Agostino Bea: da esecutore ed ispiratore del pon-
tefice, il cardinale deve ritrovare un ruolo, proprio in un periodo nel
quale è annunciato l'arrivo in aula del De oecumenismo. Ciò che Bea fa
è perciò comprensibile: restare in una posizione defilata, preparare il di-
battito, «curare» la presenza degli osservatori220 • L'inutile attesa dei de-
legati di Athenagoras non pesa sull'impegno per far nuovamente sentire
i delegati delle chiese a-cattoliche partecipi e non spettatori dei dibattiti:
il successo delle riunioni dei martedì - lo si vede nei rapporti dei parte-
cipanti - è forte 221 •
Eppure non ci sono interventi «del» segretariato sul De ecclesia: ma
c'è una paziente azione per mandare in discussione uno schema sull'ecu-
menismo che non illustri soltanto i principi dell'ecumenismo cattolico,
ma entri anche nelle due questioni più osteggiate del successivo biennio.
La prima riguarda un capitolo V sulla libertà religiosa della coscienza:
ancora il 9 ottobre Bea chiede ai moderatori e poi a Cicognani che il

217 Cfr. JT, su cui R. PACICK, Das Koni.ilstagebuch van fase/ Andreas Jungmann sj,
in Experience.
218 AS II/1, p. 123 (verbale sintetico). Dato che i vescovi celebravano in privato la
mattina presto, i laici erano i soli ad aver «bisogno» di essere comunicati: la scelta era
dunque significativa e rafforzata dal desiderio di comunicare nella messa e non fuori da
essa in forma di devozione.
2!9 Inoltre lo stesso sviluppo del dibattito ecclesiologico risente in alcuni passaggi
sul rapporto fondante eucarestia/chiesa che la costituzione 1iturgica ha acquisito.
220 Cfr. VELATI, Una difficile transizione, cit., pp. 365 366.
221 Il 1° ottobre l'incontro è introdotto da Thils, 1'8 da Philips, il 15, il 22 e il 29 le
sedute degli osservatori riguardano i temi da sottoporre al voto dell'aula sull'episcopato,
e sui quali si aprirà il conflitto. Sui rapporti di L. Vischer al CEC cf r. VELATI, Gli oJJer
vatori del Consiglio ecumenico, cit., nonché BRUN, La documentai.ione, cit., in Evento, pp.
189 157 e 259 293.
74 IL CONCILIO ADULTO

capitolo sulla libertà religiosa rientri nello schema, come convenuto


(inutilmente) dopo il coordinamento del luglio222 • Felici si difende di-
cendo che la bozza del capitolo non è mai passata né dal coordinamen-
to né dalla segreteria generale, e riceve solo in quel momento un testo
molto elementare sul diritto della retta coscienza. Poco dopo (22 otto-
bre) la petizione di 240 vescovi statunitensi consegnata da Spellman a
favo re di uno schema sulla libertà verrà ricevuta da Cicognani e girata
da questi alla commissione dottrinale per un parere di merito 223 • Non
meno spinoso è il tentativo di introdurre un decreto sugli ebrei nello
stesso testo: Paolo VI ha assicurato Willebrands che la competenza nella
redazione d'un capitolo su Israele è e sarà del segretariato per l'unità224 ,
ma le resistenze sia di carattere politico da parte dei paesi arabi, sia da
parte della cultura antisemita, sia da parte delle chiese del Medio Orien-
te, sono consistenti225 •

4 .3 .6. La commissione dottrincde

Anche il lavoro della commissione dottrinale procede di pari passo


col dibattito ecclesiologico in aula: ad esso cerca di rispondere, specie
attorno alla proposta delle votazioni orientative, ma in qualche caso rie-
sce a giocare d'anticipo.
Fin dalla prima seduta del 2 ottobre la commissione decide di at-
trezzarsi per seguire gli emendamenti sullo schema De ecclesia richiesti

222 Cfr. Notes sur le Schema «De libertate religiosa>> présenté par le Secrétariat pour
tunité des chrétiens, 30 settembre 1963, F Dossetti 33b. La lettera di Bea ai moderatori
cit. da ACV in CARBONE, Il ruolo di Paolo VI, cit., p. 130, si trova anche in F-Suenens,
Ila sessio) De ecclesia) De oecumenismo. Willebrands aveva fatto visita il 1° ottobre 1963
a Lercaro «dietro indicazione del S. Padre» per consultarlo sul tema della libertà religio-
sa, cfr. Ldc, pp. 167-168. Sulla questione c'era stato anche un intervento di propaganda
all'apertura, quando viene distribuito fuori S. Pietro un opuscolo Pro sanctae matris Ec
clesiae libertate) 7 pp., firmato da 36 7 preti baschi; copia in F-De Smedt 17.4.
22 3 Verrà il 7 novembre, Relatio adunationis sub commissionis [.. .] ad schema «De li
bertate religiosa» examinandum, F Gagnebet 1.12.80. Ne è autore J. Wright, relatore del-
la sottocommissione. La nota di Spellman sulla libertà religiosa è redatta da Murray, cfr.
D.E. PELOTIE, John Courtnay Murray. Theologian in conflict, New York 1975, p. 82.
224 JCng, 1° ottobre 1963.
225 Per la resistenza di Maximos IV cfr. JCng, 4 ottobre 1963 e ST, nella stessa
data: «Si è raccontato che questa mattina sarebbe dovuto intervenire il patriarca Maxi-
mos; poco prima della congregazione gli è stato detto che non avrebbe potuto parlare,
se non in latino. Di conseguenza non ha potuto parlare. Tutto ciò ha suscitato l'indigna-
zione generale e i vescovi hanno inviato una protesta ufficiale ai moderatori>>.
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 75

dai padri: attiva dal 4 ottobre, la sottocommissione De revisione è com-


posta da Florit, Garrone, Charue, Spanedda e, come presidente, Brow-
ne, coadiuvati da un collegio peritale presieduto da Philips226 . La proce-
dura pensata da Tromp e da Ottaviani per il lavoro di commissione era
infatti quella di far «smontare» gli interventi dei padri e trasformarli in
schede di emendamento; queste schede, ciclostilate in diverse copie227 ,
avrebbero costituito il materiale sulla base del quale i periti avrebbero
potuto suggerire alla commissione le correzioni228 .
La seduta di questa sottocommissione del 7 ottobre riflette un dise-
gno:

Mons. Philips mi dice che ieri sera ha avuto una riunione della sottocommissione
per gli emendamenti. È stato penoso guardare in faccia quella mentalità e quella ostru-
zione. Tromp domina ed è arrivato parlando di inezie sentite in aula. Questo sarà il mio
assedio di Saragozza, linea per linea e parola per parola229.

La seduta plenaria della commissione del 9 ottobre giunge ad una


votazione230 sui due punti maggiormente discussi del momento: l' antepo-

22 6 JPrg (A) 4 ottobre 1963: «"Elezione" di una sottocommissione da parte di Otta


viani stesso per archiviare gli emendamenti»; cfr. anche Relatio secretarii de textu revi
sendo secundum observationes Patrum, [S. Tromp], 15 ottobre 1963, P.052.06. I periti
sono Gagnebet, Schauf, Medina e Philips, cfr. Relatio de labore Subcommissionis Centra
lis [CD/Dee], 4 dicembre 1963, P.052.08.
22 7 Il 15 ottobre 1963 Tromp annuncia l'attivazione di un ciclostile della commis-
sione dedicato a questo scopo.
228 Il congegno di Tromp avrebbe avuto la capacità di rimettere sempre tutto in di
scussione: nella citata Relatio del 15 ottobre il teologo olandese fa un esempio significa-
tivo: «Ut exemplum afferam, ad diaconatum quod spectat debent [scil. Periti] accurate
delimitari variae sententiae, necnon argumenta pro et contra allata ex S. Scriptura, ex
Traditione, ex praxi Ecclesiae, ex necessitatibus hodiernis etc. Qui.a autem laboris i1le te-
chnicus nimis erat, singuli periti Subcomissionis sibi eligere deberunt adiutorem. Solum
modo si hoc opus technicum accurate et quam maxime obiective factum est, potest inci-
pi labor principalis ipsius Commissionis, videlicet di.udi.care varias observationes, emen-
dationes, expunctiones, additiones, transpositiones et argumenta pro et contra allata, se
cundum valorem suum obiectivum».
22 9 «Mgr Philips me dit qu'hier soir il y a eu une réunion de la sous-commission
pour la classificazion des amendements. Cela a été pénible on se trouve devant la meme
mentalité et la meme obstruction de ceux d'en face: Tromp domine et il est arrivé en
parlant des inepties entendues dans l'Aula. Ce sera mon siège de Saragosse: ligne par li
gne et mot par mot!», JCng, 7 ottobre 1963. Le sedute sono anche occasioni d'incontro:
a questa interviene anche Rahner per ottenere che Wo1f, esperto sui re1igiosi, venga con
vocato, cfr. VORGRIMLER, Comprendere Rahner, cit., p. 223.
23 0 Era ciò che i moderatori avevano chiesto, anche se nella seduta Ottavi.ani oh
bietta che il coordinamento non ha potere di imporre variazioni all'ordine dei temi deci
76 IL CONCILIO ADULTO

sizione o meno del capitolo De papula Dei (con questo o altro titolo) al
De hierarchia, e l'inserimento o meno del De beata nello schema eccle-
siologico. Gli esiti della votazione sono abbastanza chiari: la commissio-
ne approva il titolo De papula Dei con 15 voti a favore (7 erano per De
Christzfidelibus, 1 per De aequalitate et inaequalitate membrarum); sul
problema dello schema mariologico Ottaviani suggerisce una procedura
- ascoltare due padri e due periti di parere opposto in commissione -
che avrà un seguito in aula. Il dibattito, iniziato da Franié e Balié a fa-
vore dell'autonomia dello schema, e proseguito da Garrone e Philips
per l'inserimento nel De ecclesia, si conclude con una votazione della
commissione: sono per un De beata autonomo 9 votanti, 2 gli astenuti e
12 i favorevoli ad una trattazione della monologia intra schema De eccle-
sia; alla unanimità si decide che il luogo per questo capitolo sia la fine
della costituzione, secondo la proposta Philips231 . Nessuno dice che così
facendo si viene a ridurre entro il ristretto ambito della commissione
l'indicazione a votare data dal papa a Suenens: in una udienza, prima
del 6 ottobre Paolo VI aveva infatti detto al primate belga che egli
non vuole imporre nulla. Egli [scii. Paolo VI] si augura che l'assemblea si pronunci [. .. ].
È stato deciso di presentare due questioni sul De beata. Si domanderà che i due punti
di vista siano presentati da due vescovi o due periti. Questi due saranno Balié per il po-
sto di Maria a sé e Philips per l'inserimento nel De ecclesia 232•

La commissione si torna a riunire il 15233 • Ottaviani ha ottenuto da


Agagianian una lettera: il cardinale moderatore recepisce il voto del 9

si daUa commissione; lo scopo era infatti quello di limitare l'autonomia delle commissio-
ni (e soprattutto de1la dottrinale) rispetto al concilio e ai suoi organi direttivi. L'autono-
mia de1le commissioni aveva però anche un segno del tutto diverso, giacché era rivendi-
cata anche da commissioni (ad es. queUe dei religiosi e dei laici) i cui temi venivano «in
vasi» da1la aspirazione della dottrinale, cfr. RT, 15 e 31 maggio 1963, pp. 10-13 e JCng,
pp. 245 246 e 9 ottobre 1963.
231 ANTONELLI, Le role, cit., pp. 29 30. AS VI/2, p. 353. La decisione è comunicata a
Suenens con un appunto di Prignon sul 9 ottobre prossimo, F-Suenens Ila sesst'o, De ec-
clesia, generali a.
232 «[Le pape] ne veut rien imposer. Il [scii. Paul VI] souhaite que l'assemblée se
prononce. [...] Il a été decidé de présenter deux questions sur De beata. On demandera
de faire présenter les deux points de vue par deux éveques ou par deux periti. Ces
deux seraient Balié pour la place de Marie en e1le-meme et Philips pour finsertion dans
le De ecclesia». D Moeller, 6 ottobre 1963, in ANTONELLI, Le role, cit., p. 31.
233 Si deve anche integrare un membro dopo la morte di Peruzzo; in vista di questa
scelta (che cadrà su Volk) Moe1ler raccoglie, a nome di Suenens, suggerimenti in aula:
Congar propone un orientale (Edelby, Zoghby, o Hermaniuk) o un nero d'Africa, JCng,
11 ottobre 1963.
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 77

sul De po pula come sufficiente a procedere234 , mentre - assecondando il


desiderio del papa ancora segreto - dispone diversamente per il De bea-
ta. Davanti alla decisione di una debole maggioranza della commissione
egli chiede che ci si prepari a sottoporre la questione della collocazione
dello schema mariano direttamente all'assemblea conciliare, con la espo-
sizione in aula delle due tesi opposte. Ubbidiente, la commissione nomi-
na Santos e Konig; inoltre, sempre su richiesta dei quattro, viene nomi-
nato un comitato ristretto (Parente, Schroffer, Fernandez) per stendere
una nota sulla qualificazione teologica degli schemi. La commissione ini-
zia così I' esame del nuovo capitolo sul popolo di Dio, a partire dal ruo-
lo della chiesa nella remissione dei peccati235 , che proseguirà il 18 otto-
bre con le relazioni bibliche e teologiche di Mollat e Congar236 • Il 23 -
prima riunione nella quale entra Volle a coprire il posto vacante - il cli-
ma è ormai dominato dalla questione dei voti sulle propositiones: manca-
no Ottaviani e tutti gli italiani; Tromp annuncia che verranno formate
delle sottocommissioni per la valutazione degli emendamenti suggeriti
dai padri nei loro interventi. Ma si tratta di piccoli dettagli di procedu-
ra, al momento: alla successiva seduta del 28 ottobre Léger e Garrone
vedranno segnali di catastrofe nel fatto che sono state loro recapitate
delle questioni alternative a quelle dei moderatori237 •
Davanti all'incognita di una scomposizione dei modi in una miriade
di proposte frammentarie in conflitto, ignara del destino (prima ancora
dell'esito) delle votazioni sui nodi qualificanti dello schema ecclesiologi-
co, la commissione dottrinale vive un'altalena drammatica: tutto ciò che
accade è il prodromo di un cambio di presidenza, che le cose sembrano
rendere necessario? 238 Ovvero è la premessa di una nuova trattativa -
che evita o svuota la capacità d'indirizzo dell'assemblea - che, pur con
tutti i limiti, aveva tanto giovato al concilio?

23 ~ Ottaviani dice in commissione che Paolo VI gli ha detto di preferire l'anteposi-


zione del De hierarchia al De populo: Philips argomenta le motivazioni della commissio
ne e annuncia un appunto per persuadere il pontefice, cfr. JCng, 15 ottobre 1963.
235 Non passa l'idea di Congar di una esposizione in chiave storico-salvifica del po
polo di Dio, JCng, 15 ottobre 1963.
236 JCng, 18 ottobre 1963.
237 JCng, 28 ottobre 1963.
23 8 Così Kiing a Congar, JCng, 12 ottobre 1963; gli episcopati africani rimettono ai
moderatori una proposta (F-Dossetti 120) per la rielezione globale de1le commissioni e
dei rispettivi presidenti, su cui Dossetti elabora -una nota ad uso dei quattro moderatori
(F Dossetti, 131).
78 IL CONCILIO ADULTO

4.3.7. Organi informali

Oltre alle commissioni «entrano» nel dibattito in corso sul De eccle-


sia l'attività e le pressioni di vari gruppi informali: in parte semplici svi-
luppi delle iniziative già viste in atto nel primo periodo, i gruppi di la-
voro hanno comunque nel 1963 un diverso grado di maturità. S'è visto
come l'attivismo del gruppo della chiesa dei poveri trovi spazio nel di-
battito dell'aula2 39 e come il nucleo di quella che sarà la frazione anti-
conciliare del Coetus prenda qualche iniziativa pubblica240 •
Il gruppo della Domus Mariae, che raccoglie settimanalmente i segre-
tari di molte conferenze episcopali riprende i suoi lavori il 4 ottobre,
sotto il segno delle affermazioni di Paolo VI alla. curia e nell'allocuzione
inaugurale del II periodo 241 : fra i membri - sotto la prudente rubrica di
«internazionalizzazione delle commissioni» - si discute l'ipotesi di un
rinnovamento, se non di una rielezione delle commissioni conciliari.
Sarà il gruppo africano che arriverà alla seduta del 25 ottobre con due
vota che domandano la rielezione o la modifica o una elezione suppleti-
va per tutte le commissioni, un presidente diverso dal capo-congregazio-
ne di riferimento, l'elezione diretta dei vice-presidenti e dei segretari242 •
Accanto veniva proposta, sia dagli africani che dai tedeschi, una riorga-
nizzazione della settimana conciliare: essi proponevano che 2 o 3 giorni
venissero liberati dalle congregazioni generali per lasciare il tempo di di-
battere nelle conferenze episcopali - intese come una funzione interme-
dia sulla falsariga delle antiche nationes dei concili della cristianità me-
dievale. Tali idee non verranno formalmente inoltrate ai moderatori243 ,
ma saranno trasmesse da Etchegaray al sostituto della segreteria di Stato
Dell'Acqua, ormai il 28 ottobre2 44 • Nel merito dei dibattiti ecclesiologici
il gruppo programma una serie di lezioni propedeutiche alla discussione
del De ecclesia (che conteneva un solo riferimento a questi organi) e del
De episcopis: il 18 ottobre viene ascoltato Baudoux, per la conferenza
canadese (mentre si rinvia sine die l'udienza dei segretari delle conferen-

239 Una sintesi degli interventi frutto dell'azione del gruppo in P. GAUTHIER, LA
chiesa dei poveri e il concilio, Firenze 1965°, pp. 215-232.
240 Cfr. PERRJN, Il «Coetus internationalis», cit., pp. 173-187.
2 41 Cfr. P. No:EL, Gli incontri delle con/ereni.e episcopali durante il concilio: il
«Gruppo della Domus Mariae», in Evento, pp. 95 133.
242 F Baudoux in No:EL, Gli incontri, cit., n. 38.
243 Essi le ricevono direttamente dalle conferenze, prima che vengano loro trasmes
se dal papa, cfr. Felici a Veuillot, 11 novembre 1963, in F Etchegaray, segnalata da
No:EL, Gli incontri, cit., n. 42.
244 N OEL,
·· Glt· incontri,
· · c1t.,
. nn. 40 41 .
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 79

ze tedesca, indiana e del CELAM che si era programmata). Baudoux so-


stiene il valore vincolante delle decisioni per i singoli membri, ma certo
la sua è una petizione di principio, più che una descrizione, dal momen-
to che i rapporti fra la conferenza canadese ed il suo primate, card. Lé-
ger, non erano certo buoni2 45 .
Questi - ma soprattutto altri gruppi che lavorano nei lunghi pome-
riggi conciliari - prendono vita.
Il gruppo di Strategie conciliaire che Elchinger raduna è una iniziati-
va non nuova nei membri246 : Volk (e il suo ausiliare Reuss), Musty,
Guano, Garrone, Butler, Philips, Rahner, Féret, Haring, Liégé, Grillme-
ier, Martelet, Smulders, Martimort, Laurentin, Ratzinger, Semmelroth,
Daniélou, Congar (più alcuni altri) sono una squadra già attiva nella
preparazione dei pareri contro gli schemi preparatori dell'anno prima.
Nel II periodo, però, si muovono con maggior agio, padroneggiano al-
cuni aspetti del lavoro assembleare (l'importanza degli interventi iniziali
del dibattito, la difficoltà legata alla presenza dei modi nelle votazioni, la
necessità di «far parlare» su qualche argomento). Qui sfuma, per l'op-
posizione tedesca, l'inserimento del De revelatione e anche di un De tra-
ditione nella costituzione sulla chiesa, che Congar tenta comunque di
preparare247 .
Anche nel mondo della stampa circolano informazioni più precise,
capaci non solo di aggiornare i lettori lontani da Roma, ma anche i pa-
dri stessi, i quali (nonostante l'incredibile voce che dal 4 novembre 1963
ci sarà la traduzione simultanea) continuano a capire poco e male la ba-
bele delle pronunce latine248 •
Gli osservatori acattolici e gli uditori laici costituiscono due «organi»
collegiali di circolazione di idee ed approcci: i primi, ormai legati da

245 Léger non firma gli interventi della conferenza al concilio, cfr. ]. M. TrLLARD,
L' épiscopat canadien francophone au conct'le, in L'Eglise canadienne, cit., pp. 291 302.
246 Secondo il JCng si riunisce il venerdì presso i redentoristi.
247 JCng, 4 e 5 ottobre 1963.
2 4 s JPrg (A), 12 ottobre 1963 Prignon viene informato che col consenso di Dell'Ac
qua dal lunedì 14 inizieranno i lavori per l'impianto di traduzione simultanea di cui i
moderatori hanno fatto richiesta al papa il 10; il 18 ottobre lo stesso Prignon dice a
Congar che dal 4 novembre ci sarà la traduzione simultanea in 5 lingue, dapprima per
800 padri, cf r. JCng 12 ottobre 1963; la cosa - il cui fondamento è sconosciuto non
avrà alcun seguito; ne aveva raccolto la voce anche HORTON, p. 58. Per la questione de-
gli a~centi latini cfr ., a titolo puramente esemplificativo, la soddisfazione di HORTON, p.
27: «Ecco il turno di un vescovo di cui non sono riuscito a capire il nome, ma la cui
voce era familiare e l'ho ascoltata con molta attenzione. E infatti era il nostro vescovo
Primeau
. di Manchester,
. New Hampshire. Era confortante· ascoltare un latino in "rude"
vers10ne amencana».
80 IL CONCILIO ADULTO

una conoscenza diretta maturata nel 1962, i secondi di fatto già rodati
dalla comune militanza in organismi di rappresentanza dei movimenti.
La letteratura teologica, inoltre, sta facendo il suo ingresso solenne
in concilio: sarebbe difficile sottovalutare l'importanza dell'articolo di
Philips nella «Nouvelle Revue Théologique» sulle Deux tendances dans
la théologie contemporaine e le ecclesiologie conseguenti249 , che determi-
na un modo di leggere il passaggio dal vecchio al nuovo De ecclesia.
Opere che l'anno dopo movimenteranno il panorama storico-teologico -
come la monografia che Giuseppe Alberigo scrive, su consiglio e richie-
sta di Dossetti, su Lo sviluppo della dottrina sui poteri nella chiesa uni-
versale - vengono anticipati per capitoli in modo da documentare e so-
stenere l'idea che il concilio sta recuperando tradizioni secolari e vene-
rande250. Anzi è di queste settimane l'idea di creare una rivista del rin-
novamento conciliare, che vedrà la luce solo qualche anno più tardi251 .
Fra gli avversari della collegialità, nel complesso, c'è un diverso senso
del pericolo: le lamentele di Fenton sull'uso di sacramentum hanno di
mira la preparazione di un intervento autorevole che gli pare possa dissi-
pare ogni equivoco; Gagnebet pubblicherà un suo saggio su La primauté
pontificale et la collégialité de l' épiscopat solo dopo la fine delle discussio-
ni sul De ecclesia252 • Sarà quasi isolato il lavoro di Heribert Schauf, che
difenderà coi suoi articoli il primato «contro» la collegialità253 .
Infine le singole conferenze episcopali hanno un ruolo decisivo,, an-
cora con un altro salto di qualità rispetto al 1962. Là, le liste di nomi
avevano sbloccato la situazione, ora mediano la comprensione, formano
le opinioni, orientano il voto, danno impulsi al lavoro: una proposta
come quella degli africani sul rinnovo delle commissioni testimonia un
protagonismo impensabile quattrocento giorni prima.

5. Il dibattito sulla collegialità (cap. II)

Il 4 ottobre si apre il dibattito cruciale del De ecclesia - quello sulla


costituzione gerarchica della chiesa, cioè l'episcopato e la collegialità:

249 85 (1963), n. 3, pp. 225 238.


250 Un capitolo sarà ciclostilato e diffuso fra alcuni padri; il volume verrà pubblica-
to l'anno successivo e susciterà reazioni forti fra i canonisti romani, cfr. ACERBI, Due ec-
clesiologie, cit., pp. 242-244.
251 La riunione per «Concilium» del 19 ottobre 1963 in JCng, ad diem.
252 In «La France catholique», 15 novembre 1963.
253 Va notato che la gran parte del dibattito accademico contro la collegialità censi-
to da ACERBI, Due ecclesiologie, cit., pp. 242 260, vedrà però la luce dal 1964 in poi.
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 81

dieci brevi paragrafi sviluppano, dopo il proemio, il tema della istituzio-


ne dei dodici apostoli, dei vescovi come loro successori, della consacra-
zione episcopale come sacramento, dei preti e diaconi come loro ausilio
(nn. 11-15), la questione del collegio e del suo ca po (n. 16), e poi af-
frontano i temi delle relazioni fra i vescovi e dei loro ministeri (insegna-
re, santificare, governare, nn. 17-21). Su queste 360 righe di testo i pa-
dri discuteranno per 9 congregazioni generali, per un totale di 119 di-
scorsi e 56 interventi scritti254 • Che questo sia il nodo lo si sapeva da un
anno: la vibratilità della querelle non è il frutto dello schema (le formule
Philips/Gagnebet non sono poi così distanti), ma della presenza del
concilio. Quello che si teme non è una formula, ma una esperienza.
Sul piano della trattazione, infatti, il capitolo ha ancora parecchi li-
miti: esso è quello che dà corpo allo scheletro su cui Philips aveva rac-
colto grande consenso l'anno prima e che egli stesso aveva motivato col
citato saggio sulle due «tendenze» (quella giuridicista antagonista e com-
plemento di quella comunionale). Il capitolo, anticipando la trattazione
delle funzioni del collegio episcopale, evitava di descrivere ruolo e fun-
zioni dei vescovi nei termini della solitudine di monarchi: eppure mostra
ancora di subire il peso dello schema preparatorio quando si apre con
la riaffermazione delle prerogative papali fissate dal Vaticano I. Il risul-
tato è contradditorio: tale ripetizione del Vaticano I suonava pleonasti-
ca, ma per chi l'avrebbe voluta come unico contenuto di un De hierar-
chia, era senz'altro insufficiente. Inoltre lo sviluppo della dottrina sul
ministero posto «in bonum corporis» non era ancora omogenea ad una
trattazione De episcopis residentialibus. Il punto di svolta dottrinale era
comunque l'affermazione che la chiesa era stata fondata su Pietro e gli
apostoli, e che, solidalmente, essi costituivano un collegio anche se in
senso non «giuridico»: le incertezze di stesura lasciavano impregiudicato
il problema di chi succedesse a quel collegio originario (la conservazione
del titolo sui vescovi residenziali diventava un fattore di grave ambigui-

254 AS ll/2, pp. 82-124 e 222 914. All'inizio di tale seduta si verificherà un inciden
te rivelatore del clima, nella sua dinamica e nelle sue letture: il 4 ottobre a Maximos IV
verrà negata la parola, ufficialmente perché ha preparato un intervento in francese, cfr.
JEdb, 4 ottobre 1963, ed. it. pp. 158 159; JPrg (A), 7 ottobre 1%3 riporta che secondo
Suenens «la questione della lingua è stata soprattutto un pretesto per mascherare la vera
ragione del rifiuto: il contenuto assai violento del testo soprattutto contro il s. Uffizio».
Rahner presenta il 5 ottobre a Dopfner una protesta ed anche i francesi si organizzano
contro questa vessazione, cfr. VORGRIMLER, Comprendere Rahner, cit., p. 224. Sulla paro
la negata ai padri dai sottosegretari raccoglie qualche malumore anche Congar, JCng 4
ottobre 1963: gli consta che Volk e Blanchet non abbiano potuto parlare sulla qualifica
zione dogmatica essendo questione devoluta al papa.
82 IL CONCILIO ADULTO

tà). Allo stesso modo restava privo di solidi legami col resto del capitolo
il n. 13, che nell'affermare la sacramentalità dell'episcopato e la rilevan-
za della consacrazione come aggregazione di un nuovo membro ad un
orda (e non semplicemente il trasferimento di un potere), non riusciva
poi a collegare questo dato con l'esercizio dei poteri e delle funzioni del
vescovo: solo la potestà di santificazione, infatti, risultava indubitabil-
mente conferita nella consacrazione.
Al centro del capitolo, il n. 16 non cercava una armonizzazione fra
poteri del papa e poteri del collegio: li definiva per giustapposizione e li
ordinava sulla base del fatto che il collegio, nell'esercitare le sue potestà,
doveva tener conto della supremazia del suo capo. La mancanza di uno
strumento canonico di regolazione dei due poteri costringeva lo schema
a richiamare qui «la natura non canonica della struttura gerarchica»255
per spiegare l'equilibrio degli stessi. Coraggiosamente lo schema preve-
deva la possibilità di forme di esercizio dei poteri del collegio inedite:
ma non trovava nessun nesso fra questo elemento e la innovativa dimen-
sione della communio ecclesiarum che era entrata nel n. 17, ma che re-
stava relegata in un angolo concettuale del capitolo, dove la stessa affer-
mazione del collegio era come riassorbita dalla questione del rapporto
papa-episcopato: non a caso, allora le funzioni del vescovo, i rapporti
coi presbiteri ed i diaconi, il comune e distinto radicamento nell'ordine
risultano ancora fortemente influenzati dal minimalismo funzionalista
dello schema del 1962.
Il dibattito (che si stende dal 4 al 16 ottobre), per le note ragioni di
precedenza, si apre con gli interventi di Spellman, Ruffini e Bacci con-
tro la collegialità e contro il diaconato 256 ; il discorso di Guerry - che
parla a nome dell'episcopato francese a favore della sacramentalità - re-
sta isolato257 • Sono parole che non cadono nel vuoto: ché - lo si vedrà
sempre di più nei giorni successivi - l'attivarsi degli informatori, l'atten-
zione della stampa restituiscono equilibrio e leggibilità alla discussione,
condotta nel solito e spesso indecifrabile latino che spinge dopo le 10.30
(ora in cui aprono i due bar del concilio) numerosi prelati verso le na-
vate laterali: con in mano i resoconti non sempre «disinteressati» dei

255 ACERBI, Due ecclesiologie, cit., p. 208.


256 AS IV2, pp. 82-89. Sul diaconato Rahner stende l'inteivento che terrà Dopfner,
e il 7 ottobre chiede che ne venga informato l'amico Hannes Kramer, fondatore del
Diakonati.entrum di Freiburg, cfr. VORGRIMLER, Comprendere Rahner, cit., pp. 222 223.
Quanto a1la collegialità si osservi che anche ]EDIN, Storia della mia vita, cit., pp. 313-
314, manifesta 1e sue perplessità su una espressione «nuova e insolita».
257 AS II/2, pp. 89 90: sono i sottosegretari che raccolgono le richieste di interven
to e compilano la lista della facoltà di parola.
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 83

giornalisti di «L,Avvenire d'Italia», «Le Monde», «Il Tempo», «La


Croix»; si capiscono meglio le differenze, si colgono risposte ed obiezio-
ni agli interventi precedenti, si rimeditano le questioni, si progettano in-
terventi chiarificatori.
Sulla collegialità e il diaconato il dibattito riprende il lunedì 7, e ro-
vescia le impressioni del primo giorno di discussioni: perfino Siri e Flo-
rit ammettono che «esista» la collegialità, ma si preoccupano che non ne
venga data una lettura in diminuzione del primato258 . Soprattutto Léger,
Konig, Dopfner, Meyer, Alfrink, Lefebvre, Rugambwa, Maximos IV - «i
grandi in lunga fila» 259 - poi i vescovi De Smedt, Beck, van Do-
dewaard260 occupano la scena con una serie di proposte marcate e mar-
canti: un vescovo jugoslavo, Zazinovic, chiede come espressione della
collegialità che il papa possa procedere alla «istituzione di un consiglio
di vescovi di ogni nazione da invitare periodicamente» il cui parere ser-
va «al di sopra dei dicasteri della S. Sede - come una mano d'aiuto ne-
gli affari più importanti della chiesa»261 . L,indomani Liénart, a nome di
tutto l'episcopato francese, e Richaud SO§tengono collegialità e diacona-
to: ma si affacciano anche opposizioni (Seper, Sigaud, Franié)2 62 . L,uso
del termine collegio - da applicare all'insieme dei vescovi con il papa,

2 58 AS II/2, pp. 222-223: secondo Parcivescovo di Genova esiste un rapporto di


non reciprocità fra Pietro e il collegio degli apostoli, che resta nel rapporto fra papa e
collegio dei vescovi: Pietro «esiste» senza collegio, il collegio non esiste senza Pietro, sic
ché, se c'è collegio, c'è per la forza del mandato petrina; l'arcivescovo di Firenze espri
me una posizione più oscillante, e domanda chiarimenti sul rapporto non fra collegio e
papa, ma fra poteri del collegio e primato del romano pontefice, AS II/2, pp. 259 263.
259 G. VALLQUIST, Das Zweite Vatikanische Koni.il, Ziirich 1966, p. 119.
260 AS II/2, pp. 223-238; 263-266; 268-270; 270-272. A van Dodewaard aveva scrit-
to il 30 settembre 1963 il p. Chenu, chiedendogli di intervenire sul capitolo de populo:
«Tra i fondamenti di questo sacerdozio, e per definire il posto dei laici, sarebbe forse
opportuno enunciare esplicitamente il ruolo umessianico" del Cristo, che il popolo cri
stiano prosegue nella storia come un segno dell'avvento del Regno di Dio. Non si do
vrebbe abbandonare ai messianismi temporali, che sono insieme seducenti e pervertiti, il
beneficio di una verità fondamentale nell'economia cristiana. Di quali esperienze scon
volgenti facciamo prova, in ciò che potrebbe essere un punto d'innesto della grazia!
Questa verità del messianismo entra nella definizione dei rapporti tra la chesa e il mon-
do», F Schillebeeckx, Leuven.
261 <<Ùlstitutionem quamdam ad modum consilii episcoporum ex omni natione pe
riodice in vitandorum» il cui parere serva «omnibus Sanctae Sedis dicasteriis superius
ei veluti manus adiutrix in praecipuis Ecdesiae negotiis», AS II/2, p. 268. Sarà anche la
richiesta di Ghattas il 10 ottobre, su cui JEdb, ad diem, ed. it. p. 169: che un consiglio
possa essere una delle «new structures» da costruire è il parere che Heenan e Beck dan
no ad uno deg]i osservatori, cfr. HORTON, p. 41.
262 AS 1If2, pp. 342-345 da un lato e pp. 358 360 e 366 370 dall'altro.
84 IL CONCILIO ADULTO

per indicare quella istanza che esprime la forma del potere nella chiesa
stabilita da Gesù Cristo nei dodici - solleva due tipi d'obiezione: c'è chi
esprime tutto il suo timore per una visione del rapporto fra i vescovi e
il papa che non inizi isolando i poteri e le prerogative del pontefice; c'è
chi sostiene che i poteri del collegio non sono delegati né delegabili263 ;
c'è chi si trova in una vera incertezza o acerbità di giudizio264 .
La successione degli interventi tende a diventare (sarà così ogni gior-
no) più serrata, ma più indecifrabile, spesso in contraddizione con le
contestuali votazioni sui capitoli del De liturgia: là l'istanza di rinnova-
mento pare larghissimamente prevalente, qui, invece, ritornano obiezioni
e cautele forti: ad esempio, Cento ammette il diaconato solo se celibata-
rio, Nicodemo teme la imprecisione «giuridica» del testo ... 265 Quando
Slipyi, il metropolita ucraino liberato l'anno prima dal gulag per com-
piacere un desiderio di Giovanni XXIII, chiede di accentuare le posizio-
ni infallibiliste, non convince, ma si fa certo ascoltare (tant'è che parla
venti minuti senza che nessuno osi interromperlo)266 • Quando un giova-
ne ausiliare di Bologna - Luigi Bettazzi - legge il suo intervento contro
quei novatores che rifiutano la collegialità e cita contro di loro gli autori
romani del XVIII-XIX secolo, suscita la compiaciuta ilarità di Chenu,
persuade pochi ma importanti padri (Pietro Parente, ad es.), ma non si
può dire che tagli un nodo ancora stretto ed una situazione incerta267 .
Non solo i punti di innovazione, ma anche questioni più vecchie re-
stano aperte: fra queste c'è il problema di dimensionare adeguatamente
la ripetizione dell'ex sese del Vaticano !268 : gli osservatori, nella seduta
dell' 8 ottobre, contestano il modo «concessivo» in cui lo schema Philips
propone i poteri del collegio episcopale.

263 La conferenza olandese, per bocca di van Dodewaard, sostiene la non delegabi-
lità del potere del collegio che (anche su11a base del can. 227 del codice di diritto cano-
nico) è e deve essere definito di diritto divino, AS II/2, pp. 270 272.
264 Rahner esprime un sospetto pessimista (che tutto stia andando verso la produ-
zione di «piccoli miglioramenti benintenzionati, che non cambiano alcunché») il 7 otto
bre 1963, in VORGRIMLER, Comprendere Rahner, cit., p. 224.
265 Cento parla nella XLV c.g., il 10 ottobre 1963, AS II/2, pp. 393 394; Nicodemo
1'11, ibidem, pp. 459 461.
266 AS II/2, pp. 442 446; cfr. anche WENGER, p. 47. Modesta eco ha Marce! Le-
febvre, il quale interviene 1'11 contro il pericolo rappresentato da11a collegialità del1e
conferenze episcopali ... , AS II/2, pp. 471-472.
267 AS II/2, p. 484, cfr. D Chenu, 11 ottobre 1963.
268 Viene sollevata dal vescovo Saboia Bandeira de Mello, di Palmas, sul n. 9, cfr.
AS II/2, pp. 114 123. Congar ne stende una interpretazione il 7 ottobre, dr. JCng ad
diem, apparentemente di sua iniziativa: il giorno successivo offre il suo appunto come
intervento a Martin, che lo riceverà il 9.
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 85

Schmemann: esiste un certo pluralismo nella struttura della chiesa, del quale qui
non si trova nulla: ci sono altre primazie ... e sull'ex sese. Il documento sembra continua
mente trattare l'episcopato come una concessione e ogni affermazione assoluta è ancora
per il papa. Ogni enunciazione su1l'episcopato viene riferita al Papa e al suo potere269,

Altra richiesta ricorrente riguarda una clamorosa lacuna: il De eccle-


sia che i vescovi hanno davanti dedica al presbiterato soltanto una mez-
za pagina, senza entrare in nessuna delle questioni (dal lavoro al ruolo
sociale, dal celibato alla formazione, dal rapporto col vescovo a quello
reciproco) che stanno scuotendo da quasi un ventennio la figura del
prete. Se questa scelta poteva avere una ragione nella sistematica degli
schemi preparatori, ora essa diventava incomprensibile, non solo per i
vescovi270 . Ed ancor più incomprensibile diventa se si considera il fatto
che lo schema apre la questione della restaurazione del dia~onato come
grado permanente dell'ordine sacro, con o senza celibato. E per questa
ragione che il dibattito registra moltissimi interventi in materia di diaco-
nato: chi lo ritiene il cavallo di Troia piazzato all'interno del celibato sa-
cerdotale, chi lo considera un rimedio necessario alla penuria del clero,
chi invece un gesto espressivo della volontà di riadeguare la chiesa cat-
tolico-romana ad una tradizione apostolica (non univoca, ma certo pre-
valente), il diaconato è pure oggetto di un serrato confronto, che vede
prendere posizione i grandi leaders, primo fra tutti Dopfner, il quale
legge un intervento steso da Rahner e dalla équi pe redazionale del colle-
gio Germanico271 • Soprattutto la possibilità posta nel n. 15 dello schema,

269 «Schmemann: Il y a un certain pluralisme dans la structure de l'Eglise, dont on


ne trouve rien ici: il y a d'autres primaties ... et sur le ex sese. Le document semble sans
cesse traiter l'épiscopat comme une concession et toute l'affirmation absolue est encore
pour le pape. On réfère chaque énoncé sur l'épiscopat au Pape et à son pouvoir». JCng
8 ottobre 1963. Inoltre HORTON, pp. 45-46; è Philips che introduce i lavori. Nel dibatti
to Cullman sosterrà che non si può parlare in senso stretto di «successione» per un ruo-
lo riempito da1la esperienza dell'incontro diretto col risorto. JPrg (A) 8 ottobre 1963 os
serva che Cullmann è rimasto impressionato da1le osservazioni contro la possibilità di
comporre collegia1ità e primato e che Philips «a répondu».
270 È la questione che so1leva L. Vischer nella riunione degli osservatori dell'8 otto-
bre, dr. VELA11, Gli osservatori, cit. Così anche Afioveros Ataun il 9 ottobre in aula, AS
II/2, pp. 348-351.
211 Cfr. supra, n. 256. In vari gruppi la questione venne discussa da diverse angola
ture: da un lato si riteneva questa una soluzione rispetto a1le carenza di clero, dall'altro
un impulso ad una riforma anche del presbiterato, e se mai un rimedio ai problemi di
un ministero celibatario che già negli anni precedenti aveva mostrato pesanti difficoltà.
La discussione su una tematica priva di precedenti storici cogenti, tuttavia, apriva la
strada anche a considerazioni più originali: particolarmente legata alla indigenizzazione
di una parte di clero la posizione favorevole dei 40 vescovi «cinesi» di nascita o vocazio-
86 IL CONCILIO ADULTO

secondo il quale «ad praepositos ecclesiae spectat decernere utrum tales


diaconi sacra coelibatus lege adstringantur necne» solleva dubbi ricor-
renti.
Il dibattito, comunque, pare oscillare in un pendolarismo fra i pro e
i contra: è l'effetto di una regìa dei sottosegretari che di fatto controlla-
.Q.O le prenotazioni e danno informazioni su chi deve prendere la parola?
E una reale mancanza di chiarezza? Per valutare l'estensione dei consen-
si e dei dissensi, per limitare l'effetto di incertezza che produce, già 1'8
ottobre s'affaccia l'ipotesi che all'assemblea stessa venga chiesto di dare
un orientamento in materia: lo suggerisce Suenens, nel suo intervento in
aula sulla restaurazione del diaconato come ordine permanente, da con-
ferire tanto ai celibi quanto agli uxorati272 • Di nuovo nel pomeriggio, in
conferenza stampa, il porporato belga chiede un voto «stralciato» sulla
questione specifica da parte dell' aula273 • A tutti i padri resta oscuro cosa
accada della suggestiva proposta del moderatore belga, anche ai 77 pa-
dri latino-americani che quello stesso 8 ottobre avevano trasmesso ai
moderatori una loro proposta perché le «quaestiones maioris ponderis»
da parte dell'aula
(come, per esempio, sono nel cap. II dello schema De ecclesia: la co1legialità dei vescovi,
la sacramentalità della consacrazione e la restaurazione del diaconato) finita la loro di-
scussione, siano proposte in modo breve e perspicuo per una votazione interlocutoria,
prima che inizi l'esame degli emendamenti da parte della commissione competente. Si
indicano due ragioni principali per questo voto: a) affinché i padri non giungano al voto
molto tempo dopo, cioè qualche mese, quando ormai sono state dimenticate le ragioni
esposte in aula; b) affinché le commissioni non si impegnino a redigere questioni che la
maggior parte dei padri conciliari in futuro forse vorrà espungere274.

ne missionaria che votarono una mozione favorevole di Yii Pin, in LAZZAROTTO, I vesco
vi cinesi, cit.
2 72 Suenens stesso si distanzia dal testo che proponeva di rendere temporaneo il
vincolo del celibato imposto agli ordinati, e chiede invece un diaconato da conferire ai
celibi alle stesse condizioni del diaconato temporaneo, ed uno uxorato.
273 Cfr. il testo del discorso pronunciato in aula (AS IV2, pp. 317 320) con le va-
rianti desunte dalla minuta preparata per Suenens da Dossetti in Per la fori.a, pp. 313-
320, e lo stesso SUENENS, Ricordi e speranze, cit., p. 137. Per la conferenza stampa si
veda fra g1i altri la cronaca su «L'Avvenire d'Italia», 9 ottobre 1963. F Dossetti 381, 7
ottobre 1963 reca su un foglio di pugno di Dossetti: «Suenens: proporre i due testi, di
magg[ioranza] e minor[anza]». Il testo francese in F Suenens, II a seJSio, De ecclesia, De
diaconatu.
274 «(Uti, exempli gratia, sunt in Cap. II Schematis "De Ecclesia": collegialitas Epi-
scoporum, sacramentalitas Consecrationis ac Diaconatus restauratio) finita eorum discep
tatione,. brevi ac perspicuo proponantur modo ut suffragationi interlocutoriae subician-
tur antèquam competens Com.rnissio emendationum examen incipiat. Duae indicantur
huius voti praecipue rationes: a) Ne Patres, post longum temporis spatium, aliquorum
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 87

5 .1. Voti parzia/,i o orientativi

Il giorno 10 ottobre i quattro moderatori tornano alla udienza abi-


tuale dal papa: udienza trionfale, «collegialità vissuta». Il papa divide i
dossier del suo tavolo di lavoro coi moderatori, suscita in loro commenti
enfatici: <<lo Spirito Santo ha soffiato come una tempesta», dice Suenens,
e Lercaro afferma che «è un giorno storico»; il papa affida ai moderato-
ri il compito di ricevere e gestire i laici; approva le iniziative sulla po-
vertà; non è totalmente chiuso sulla possibilità di adottare le lingue ma-
terne nei dibattiti275 •
Più scarno il foglio di appunti di Dossetti, che da due settimane
funge da segretario del nuovo organo: egli ha preparato I' elenco dei
temi da trattare in udienza, cioè: 1) relazione della settimana, 2) il pro-
blema della qualificazione teologica delle decisioni, 3) l'incontro col pre-
sidente e il vice presidente della commissione teologica, 4) la votazione
sul II capitolo della costituzione De sacra liturgia. In calce al foglio è an-
notato a mano da Dossetti ciò che
il S. Padre approva: ·
= voti del Concilio: impegnativi per le Commissioni, su questioni gravissime (p.es. dia
conato; sacramentalità [dell']episcopato[)]
= «Legge stralcio» per dare applicazione immediata a11a Costituzione della liturgia
= Commissione sui problemi femminili e [vita] religiosa276 •

Non si dice nulla sui modi di consultare l'aula, ma il riferimento


esemplificativo alla sacramentalità e soprattutto al diaconato è parlante:
su tali punti due giorni prima Silva Henriquez, in forma riservata, e
Suenens, in modo pubblico, avevano chiesto una votazione previa per
capire cosa volesse il concilio. Papa e moderatori convengono dunque

nempe mensium, ad suffragationem veniant rationibus in Aula expositis iam ex parte


oblitis. b) Ne Commissiones tempus terant redigendo textus circa quaestiones quas ma-
ior Conciliarium Patrum pars in futuro expungendo esse forte teneat». R. Silva Henri
quez ai moderatori, 8 ottobre 1963, con le firme di 77 padri delle seguenti nazioni: Co-
lombia (27 padri), Cile (17), Argentina (7), Uruguay (6), Costa Rica, Honduras, Messico,
Panama (2), Cuba, Salvador, Guatemala, Paraguay, Venezuela (1) e 7 altri vescovi ispa
nofoni di diversi paesi; copia allegata alla lettera di sollecito del cardinale di Santiago
del Cile al papa del 22 ottobre 1963, ora in F Moeller, 311.
275 JPrg (A) 10 ottobre 1963. Ai moderatori era stata assegnata una udienza detta,
nel gergo curiale, «di tabella», cioè fissata per abitudine a giorno ed ora fissa, come per
i capi dei dicasteri.
276 Cfr. lettera di A. Nicora Alberigo a Dossetti del 15 ottobre 1963, in F Dossetti,
II, 14 7. La questione femminile era uno dei temi di corredo del De ecclesia già indicati
da Montini il 18 ottobre 1962 nella sua lettera a Cicognani.
88 IL CONCILIO ADULTO

sul fatto di andare rapidamente a tali votazioni «gravissime» e di vinco-


lare con ciò le commissioni all'adesione ai principi fissati dall'aula 277 •
L'udienza ha anche avuto altri argomenti (il papa ha chiesto che le
riforme liturgiche approvate entrino in vigore subito e che il gruppo
della chiesa dei poveri veda accolte le sue richieste) 278 , ma il consenso su
quel punto pare finalmente chiarire il rapporto volontà dell'aula/volontà
delle commissioni. L'indomani, nella riunione ordinaria dei moderatori
si studiano i dettagli: Lercaro è a favo re di una votazione «orientativa»
- sul tipo di quella che già l'anno prima aveva sbloccato l'iter dei prin-
cipi della riforma liturgica279 ; Agagianian non solo è d'accorda2 80, ma so-
stiene anche che «la formula migliore» da proporre è quella che si trova
«nello schema»281 •
V arie voci conciliari sanno di una votazione «separata» già l'indoma-
ni: Karl Rahner ne parla a Congar 282 , e soprattutto Cavagna (già confes-
sore di Giovanni XXIII), che scrive al papa chiedendo una votazione
«non nel suo insieme»283 • In realtà quello che i moderatori hanno pro-
posto e che il papa ha già avallato non è solo una sequenza di votazioni
per misurare la graduazione dei consensi (e, se mai, dei dissensi), ma
anche un atto maieutico di ben altra portata.
Quello stesso sabato 12 Dossetti, infatti, stende a Monteveglio, nei
pressi di Bologna, una prima formulazione delle proposizioni (non que-
siti) da sottoporre all'assemblea e da concordare preventivamente con
Carlo Colombo, suo vecchio amico e ora non solo perito qualificato, ma
soprattutto collaboratore di fiducia di Paolo VI per le questioni teologi-

277 Un accenno alla «consueta udienza» anche in Ldc, pp. 176 177. Secondo Con-
gar, JCng 8 9 novembre 1963 (che lo apprende al collegio belga dove è rimasto) i mo
deratori avevano visto il papa tre volte «prima [c.vo mio] di proporre i cinque quesiti».
278 Ldc, p. 177, 10 ottobre 1963. A pranzo in segreteria di Stato Lercaro sente elo-
gi per il servizio de «L'Avvenire d'Italia» ai dibattiti del concilio...
279 Cfr. Ldc, pp. 115-116 per il voto del 14 novembre 1962, inoltre S/V 2, pp. 168
176.
280 Cfr. Ldc, p. 180: i cardinali s'erano recati alla basilica di S. Maria Maggiore
dove si teneva la celebrazione dell'anniversario dell'apertura del concilio, presieduta da
Paolo VI.
281 F Dossetti, 378a, ms di Dossetti, datato 11 ottobre 1963, A S.M. Maggiore. Cfr.
Procedure, pp. 325-326.
282 Cfr. Congar, JCng, 12 ottobre 1963, ds, p. 316: «ffiahner] mi dice che i mode-
ratori faranno votare separatamente su: co1legialità episcopale I sacramentalità della con-
sacrazione episcopale I diaconato».
283 F Prignon, 459. In F-Suenens, Ila sessio, De ecclesia, 5 pro[KJsitiones, si trova
una lettera di Caste1lano ai moderatori dell' 11 ottobre 1963 che chiede «distinte e chiare
votazioni».
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 89

che da discutere in concilio. Dossetti inquadra l'oggetto dei voti come


«propositiones suffragiis congregationis generalis subiciendae»: non si
vuole dunque sostituire la votazione sullo schema, né tantomeno seg-
mentare le approvazioni, ma ottenere dall'assemblea orientamenti sicuri
alla disamina degli emendamenti in commissione284 .
I cinque punti che vengono messi in luce non hanno una rigida con-
catenazione concettuale complessiva, ma isolano tematiche cruciali nel
dibattito: la prima riguarda la consacrazione episcopale e le sue conse-
guenze sul piano del conferimento dei tria munera285 ; la seconda que-
stione da sottoporre a votazione è quella del collegio episcopale come
soggetto di diritto divino della potestà piena e suprema sulla chiesa uni-
versale286; in terzo luogo si propone la questione del diaconato - quella
che aveva apparentemente dato vita alla procedura dei voti orientativi -
sulla quale, tuttavia, si chiede di fatto il congelamento di una formula
dello schema, secondo il suggerimento di Agagianian287 .
Dossetti lavora sul suo testo come su un canovaccio duttile nelle for-
me: le correzioni suggerite il 13 da don Colombo danno vita ad una se-
conda redazione, più articolata e complessa288 . Colombo chiede e ottiene

284 Le varie redazioni sono riprodotte nell'Appendice 1, in sinossi. F Dossetti 11 O,


nello strato inferiore ds. L'espressione su/fragia interlocutoria che secondo C. TROISFON-
1

TAINES, A propos de quelques inerventions de Paul VI in Paolo VI e i problemi ecclesiolo-


1

gici, cit., p. 135, corrisponderebbe alla originaria definizione dossettiana, è in realtà


quella della proposta di Silva Henriquez ai moderatori e sarà ripresa da Dossetti solo
nella bozza della introduzione ai voti di F Dossetti, 177-178, cit. infra, che però una
nota ms di Prignon sulla sua copia (F Prignon 467) data al 18 ottobre. I belgi hanno di-
scusso il venerdì 11 sulla necessità di formulazioni «accuratamente» equilibrate: «né
troppo, né troppo poco», JPrg (A), 12 ottobre 1963.
285 La questione I e II.l +II.2 in Appendice I, hanno una unità interna: Dossetti e
Colombo pensano anche ad una sostituzione di entrambe con un solo quesito che ripeta
semplicemente il testo dello schema.
286 Le proposizioni sono ancora tre, III, IV.1 +IV.21 cfr. Appendice I. Sul contributo
di Morsdorf al chiarimento di questo punto non ci sono altri riscontri eccetto qualche
allusione in F Rahner (Wiirzburg).
287 La restaurazione del diaconato è proposta, secondo la richiesta di Agagianian
delr11, «secundum verba schematis pag. 26 I. 36 41».
1

288 F-Dossetti, 110, ms Dossetti con corr. Colombo 13 ottobre 1963 a Monteveglio:
nota ms in testa <<A Monteveglio 13.10.63 I Le correi.ioni I proposte da D. Carlo [Co
lombo]». Del coinvolgimento del teologo milanese è al corrente anche Tucci, nella nota
del diario del 17 gennaio 1964, f. 168: «Per quanto riguarda i 5 punti del 30 ott., [Sue
nens] mi ha detto che essi furono preparati da mons. Carlo Colombo, con l'aiuto di
Dossetti, e che egli si limitò a farli rivedere e ritoccare un po 1 da mons. Philips e dal
can. Moeller». La domenica 13 Dossetti torna a Roma con un testo che dovrebbe garan-
tire che <<la commissione teologica abbia un voto indicativo sul problema: collegialità,
90 IL CONCILIO ADULTO

un miglior concatenamento fra consacrazione episcopale, successione


apostolica e collegialità; propone che l'esecutività della giurisdizione at-
tuale del vescovo non avvenga per collationem o in modi da definire
come proponeva Dossetti, ma soltanto («non acquiritur nisi») attraverso
la collatio o secondo una consuetudo già sperimentata; inoltre aggiunge
alla definizione del papa come «caput et principium unitatis» del colle-
gio dei vescovi la sottolineatura «eorum capite», grammaticalmente pleo-
nastica, ma significativa di una linea di tendenza che vuole tutelare ad
oltranza questa dimensione; infine attenua la frase sul diaconato propo-
nendo che i padri non approvino la formula dello schema, ma conceda-
no la libertà di instaurare il diaconato secondo quanto colà previsto.
La proposta è ormai a punto: Colombo, l'indomani, vede una versio-
ne con le correzioni concordate e qualche leggera ulteriore variante289 : si
è infatti introdotta una nuova sezione V che ripete (a chi sembra indi-
spensabile?) i titoli primaziali e vicari del papa e le prerogative connes-
se; inoltre la redazione riserva al pontefice una funzione giudicante sulla
opportunitas dell'azione collegiale - tema che sarà poi sviluppato in una
sezione del nota bene al III quesito nei giorni successivi.

5.2. L'annuncio dei voti orientativi

I contenuti degli interventi in aula, frattanto, aprono a qualche spe-


ranza smodata: Kiing vede avvicinarsi - dopo la sostituzione di Tromp
con Philips, di Lio con Haring e Hirschmann, di Balié con Butler - an-
che la sostituzione di Ottaviani alla testa della commissione dottrinale ...
Se lunedì 14 Parente - che pure vorrebbe una differenziazione del ruolo
di roccia di Pietro rispetto agli altri apostoli - difende la sacramentalità
dell'episcopato e la tesi che la collegialità episcopale è di diritto divino,
non è il momento di accelerare? Se, come racconta Philips a Congar,
Ottaviani non ha ottenuto dal papa di invertire il nuovo ordine dei ca-
pitoli De populo!De hierarchia, non bisogna allora credere che si possa
portare il conflitto all'estremo «fino al punto in cui Ottaviani sarà co-
stretto a dimissionare dalla presidenza della commissione teologica»? 290

rapporti collegio primato e non ricordo più se anche sul diaconato. Le proposte annun-
ciate in Concilio non sono ancora state votate oggi. Pippo [scii. Dossetti] le ha riviste,
moderandole, con d. Carlo [Colombo]; Dopfner le ha ulteriormente moderate», D Nico
ra Alberigo, 21 ottobre 1963. Cfr. Procedure, pp. 329 332.
289 Una nuova versione in F-Colombo, 13.7, 14 ottobre 1963: vi annota «14 X
1963, Dossetti, Cardinali Moderatori», cfr. Procedure, pp. 330-331.
290 «Jusqu'au moment 06 le cardinal Ottaviani sera amené à démissioner de la pré
sidence de la commission théologique», JCng, 14 ottobre 1963. È datata 15 una nota di
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 91

Le prime due giornate della settimana scorrono dunque in attesa: al-


cuni interventi importanti (Hoffner sull'articolazione dei tre munera291 )
passano inosservati, si cerca d'immaginare qualche soluzione che smussi
i timori di chi - come il prudente vescovo di Verona - ritorna a dirsi
disponibile ad un diaconato permanente, ma celibatario292 .
La soluzione dei moderatori non è però esplicativa, ma maieutica293 :
il 15 ottobre - è il giorno degli attacchi di Siri, Wyszynski, Jubany e
Browne294 - viene finalmente votata la chiusura del dibattito sul capitolo
ed annunciata in concilio dai moderatori una votazione «orientativa»:
nel dichiarare chiusa la discussione sul capitolo De constitutione hierar-
chica dello schema ecclesiologico e nel confermare che restavano co-
munque integri i diritti garantiti dal regolamento 295 , si annunciava che il
giorno successivo si sarebbe distribuita una scheda di domande - sulle
quali si sarebbe proceduto a votare il successivo giovedì, prima che ven-
ga ammesso al voto finale l'insieme del capitolo - su quattro argomenti
chiave296 • Al momento dell'annuncio è già andata in stampa la scheda di

Philips «rimessa al Santo Padre per chiarire l'importanza dell'inversione», in F-Suenens,


Ila sessio) De ecclesia, Caput III.
291 AS 11/2, pp. 522-524: il problema era caro ad uno dei canonisti che secondo va-
rie fonti (D Jedin), collabora alla redazione dei discorsi dei vescovi tedeschi, e che ridi-
scuterà la problematica N. MbRSDORF, Munus regendi et potestas iurisdictionis, in Con
ventus Canonistarum, pp. 199 211. G. VALLQUIST, Das Zweite Vatikamsche Konzil, cit.,
pp. 131134.
292 AS II/2, pp. 524 530.
293 Prignon riceve da Congar un appunto con cui si chiede che i moderatori faccia-
no spiegare a Philips in aula l'esatta portata delle formule, JCng, 14 ottobre 1963.
294 AS II/2, pp. 572 573, 574-577, 580 586, 600 601.
2 95 L'art. 56 § 6 stabilisce che a dibattito dichiarato «chiuso» possono ancora inter-
venire i cardinali e i vescovi che parlano anche a nome di almeno altri 5; la minoranza
che ha votato contro la fine del dibattito può ancora designare tre oratori che hanno
mezz'ora di tempo per spiegare le loro tesi all'aula. Era questo l'unico spazio regolamen
tare che permetteva l'intervento dei teologi non relatori di commissione in aula.
296 AS 11/2, p. 597: «Feria proxima, in aula, accipietis folium cum quatuor votis vo
bis propositis: quae vota intendunt dare commissioni theologicae orientationes seu nor
mas directivas pro ulteriori elaboratione schematis, ita ut labor commissionis facilius et
clarius progredi possit. Textus votorum vobis cras dabitur, sed votatio de eis fiet tan-
tummodo feria V». Secondo CAPRILE, II, p. 97 è Dopfner il moderatore che avrebbe an
nunciato che si sarebbe votato sui quesiti «invece che sul capitolo nel suo insieme», cosa
che dal verbale di AS non risulta; si trova, invece questa stessa informazione su un suf
fragio sostitutivo (e non solo aggiuntivo) nel comunicato stampa n. 12/1963, p. 7 (reda-
zione prowisoria in F Lercaro 117), dal quale però si ricava che il moderatore di turno
è Suenens: nulla nel comunicato spinge a dubitare che il «Cardinale Moderatore» che
dà a fine mattina notizia dei voti orientativi sia nel frattempo mutato. Attribuisce la di
chiarazione del 15 a Suenens anche R. AUBERT, Lo svolgimento del concilio, in La chiesa
92 IL CONCILIO ADULTO

votazione, che Lercaro ha consegnato al segretario generale del concilio,


Pericle Felici, e che questi ha trasmesso alla tipografia297 .
La scheda ha subìto qualche ritocco: nella forma le affermazioni si
sono trasforma te in quesiti; nella sostanza, invece, è stata sviluppata la
intuizione di Colombo che chiedeva se con la consacrazione s'entrasse
nel collegio, prima di definirne le caratteristiche ed i compiti. L'accenno
alla superiorità dei vescovi rispetto ai preti e la ripetizione del titolo di
vicario di Cristo per il pontefice sono cadute: c'è invece un esplicito, ma
globale ossequio alle decisioni del Vaticano I. Sul diaconato, infine, ci si
è dilungati con tre diverse proposizioni: al di là di quanto lo schema di-
ceva si propone di aprire il conferimento del diaconato agli sposati, e
inoltre di dare il diaconato anche a chi avesse scelto il celibato solo tem-
poraneamente298. È così, come scrisse Lercaro, che varia il numero totale
dei quesiti2 99 .
La mattina del 15, dunque, si ha l'impressione che la scelta di anda-
re al voto sui quesiti orientativi sia ormai compiuta e attenda solo che
l'organo esecutivo - la segreteria generale che s'incarica della stampa -
provveda a produrne gli strumenti.3°0 : una vittoria in aula, anche risicata,
non inciderà tanto sull'indice dello schema, ma ridurrà la prepotenza
delle commissioni e in ispecie della dottrinale. Tuttavia per uomini
come Felici il nesso che dalla fase antepreparatoria in poi stringe le
commissioni alle congregazioni della curia romana è l'espressione del
controllo papale sul concilio: quindi la subordinazione delle commissio-
ni alla volontà dell'assemblea - se limita nei fatti la discrezionalità dei
capi dicastero - lede nei principi l'autorità papale.

del Vaticano II (1958 1978), a cura di M. Guasco, E. Guerriero, F. Traniello, Cinisello


B. 1994, p. 260 che segue 1'ROISFONTAINES, A propos, cit., p. 104~ Suenens stesso nei Ri
cardi, cit., p. 143, rivendica a sé l'annuncio, ma ron dettagli incongruenti con rinsieme
dei documenti ora a disposizione.
2 97 Un testimone precisa che, stante la difficoltà di lettura di una nota ms, Lercaro
chiamò Dossetti, autore della integrazione, perché decifrasse la frase: nella copia del ds
in AV2, infatti, la frase ms inserita nel testo compare anche, trascritta da mano diversa,
in calce al f. 1. Potrebbero essere queste le correzioni volute, in extremis, da Dopfner,
di cui supra.
2 98 Sarebbe un apporto di Suenens. Sulle note di Moeller e la copia del ds senza
note in F Prignon 466, cfr. Procedure. La scheda (con le correzioni dalla copia in AV2)
nella sinossi infra, Appendice 1 e AS V/1, p. 698, in Appendice I.
299 Lercaro scrivendo ai ragazzi, suoi familiari ed ospiti in arcivescovado, parla pure
dei quesiti che «da quattro sono diventati cinque», cf r. Ldc, p. 198, 29 ottobre 1963.
300 Anche nella riunione pomeridiana degli osservatori si ritiene la cosa ormai asso-
data: in que1la sede Cullmann chiederà un più preciso uso dei testi biblici nello schema
ecclesiologico, cosa che Bea porterà nel suo intervento in aula di cui infra, cfr. HORTON,
pp. 62-65.
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 93

È tale conflitto di concezioni che rende credibile il fatto che lo stes-


so Felici abbia informato e coinvolto Cicognani (al quale egli ritiene che
la segreteria generale debba far capo) quanto alla proposta e al senso
della votazioni orientative. Cicognani ha titolo ed autorità per interpella-
re il pontefice e chiedere che Paolo VI - mostratosi o ritenuto inscius
della votazione indetta per l'indomani3°1 - la blocchi: per mandato del
papa, la sera del 15 ottobre, Cicognani dà ordine telefonicamente di di-
struggere le schede ed informa i moderatori della sospensione sine die
della votazione 302 . L'azione di arresto non è segreta303 , ma l'informazione
data all'assemblea è quanto meno vaga.

5.2.1. La crisi del 16 ottobre

Il 16 ottobre avrebbe quindi dovuto segnare il passaggio dalla di-


scussione del capitolo sulla gerarchia a quello sul popolo di Dio e in is-
pecie sui laici3°4 , e insieme lo svolgimento delle votazioni annunciate sui
criteri di esame degli emendamenti al capitolo precedente. Ignaro del
falò notturno l' <<Avvenire d'Italia» annunciava quel giorno in prima pa-
gina: Il Concilio chiamato a votare su collegialità e diaconato. Il voto che
si esprimerà su quattro quesiti posti dai «moderatori» dovrebbe aversi do-
mani. Con precisione che deriva dagli ambienti vicini a Dossetti, amico
del direttore Raniero La Valle, si dà un annuncio:
si ritiene che i Padri saranno chiamati a pronunciarsi sui quattro argomenti che hanno
formato l'oggetto principale della discussione e che sono i punti dirimenti del capitolo
secondo: l'episcopato come sacramento; l'appartenenza dei vescovi al collegio episcopale
in virtù della consacraziope; i poteri del collegio in rapporto al primato del papa; il dia-
conato con o senza celibato305.

3o1 Così AS V/1, p. 698, n.; secondo Prignon, il papa ha dichiarato di «ne les avoir
jamais vu», cfr. Congar, JCng 2 febbraio 1965.
302 Testimonianza di V. CARBONE, Vai.ione direttiva di Paolo VI nei periodi 11 e III
del Concilio Ecumenico Vaticano Il, in Paolo VI e i problemi ecclesiologici al Concilio,
cit., pp. 80-82. Secondo Prignon, invece, la mattina aJle 7 c'era stata una telefonata di
Cicognani al solo Agagianian, cfr. JCng, 2 febbraio 65.
303 La lettera di Dossetti del 15 ottobre contro le «attenuazioni» lascia intendere
che il blocco incombente è quanto meno temuto.
304 Intervengono ancora sul capitolo II i padri che presentano interventi collettivi
poi si passa al dibattito sul capitolo III, che occuperà 7 congregazioni generali, fino al
24 ottobre.
305 «L'Avvenire d'Italia», 16 ottobre 1963, p. 1. Il comunicato stampa diceva sem-
plicemente che «domani saranno consegnate ai padri quattro domande circa lo stesso
capitolo secondo De ecclesia, le quali hanno l'intento di puntualizzare i quattro argo
94 IL CONCILIO ADULTO

Il contropiede giornalistico non ~u.ò che co~fermare il senso ~i alla~­


me di uomini come Cicognani o Felici: la votazione «sventata» d autori-
tà non suggeriva che fosse giunto il tempo ?~ m~tter~ in op~ra ~.«ha~­
rage contro Dossetti»? 306 In S. Pietro le notizie viagg_1ano a ~itm1 diver.si:
dopo un lungo parlottìo nel corso della .messa fra .C1co~nan1 ed Ag·~Sia­
nian - moderatore di turno, presto raggiunto dagli altn tre coll~gh1 -
lo stesso cardinale armeno, comunica all'assemblea che la votazione an-
nunciata il giorno innanzi è rinviata a data da dest~~arsi: chi sa c~e le
schede sono state arse, ha capito che non si tratta di 1mp~~tature di ca-
rattere3os. La presenza di un interlocutore autorevole, qualifica~o, capac_e
di indurre Paolo VI a ricredersi su un testo che era stato vagliato. an~li­
ticamente dallo stesso Colombo, è attestata anche da una Nota di obie-
zioni contro i voti orientativi che il papa riceve attorno a~ momento de~
suo ripensamento309 : q1:1esta "f:lota espr~e. 7 tesi contro d proge~~~ dei
moderatori e contesta 11 mento ed d s1gn1ficato della procedura · Un

menti principali. Su di esse si voterà giovedì prossimo invece che sul capitolo nel suo in
sieme», ciel. comunicato n. 12, 15 ottobre 1963, copia in F-Lercaro 117.
306 Lo ricava Wenger da Vi1lot, cfr. A. WENGER, Les Trois Rome, Paris 1991, p.
138. Nel contempo Moe1ler, Daniélou e Laurentin dicono a Congar che la sospensione
del voto è dovuta all'insorgere di Ottaviani contro i moderatori che hanno travalicato i
loro poteri; l'espressione è in JCng, 17 ottobre 1963.
307 Cfr. JCng, 16 ottobre 1963: «Durante la messa, il cardinal Cicognani, segretario
di Stato, viene a cercare il cardinal Agagianian e lo prende in disparte per parlargli. Nel
giro di poco tempo gli altri moderatori si uniscono alla conversazione. Sembrano essere
molto preoccupati. La scena si ripete per tre volte, con il cardinale Segretario di Stato
che se ne va e poi ritorna qualche tempo dopo. Coloro che hanno visto la cosa da vici
no e me l'hanno riferita pensano che sia relativa al conflitto che si è manifestato sulla
questione dei 3 (4) voti che i moderatori volevano sottoporre al concilio».
308 Cfr. Procedure, pp. 335 338. È facile dedurre non solo dall'andamento delle
cose nei giorni successivi, ma anche da un pro-memoria per il papa del 16 ottobre, che
non è Tisserant l'antagonista dei moderatori. Cfr. la lettera, recentemente pubblicata, di
Dell'Acqua a Felici, del 23 ottobre 1963, ·con la quale il sostituto trasmette un appunto
rimesso al papa da Tisserant nella udienza proprio del 16 ottobre, AS V/3, p. 695, che
non fa alcuna obiezione.
309 Ne cita un frammento un appunto del 30 ottobre steso ad uso dei moderatori,
il che consente di identificare un documento d'ignoto autore, in F Dossetti 112; nell'ap
punto per i moderatori si citano alcune espressioni (su «confusioni» e «ma1intesi»; sul
fatto di «distinguere il lato dommatico del problema e queJlo giuridico e pastorale»);
per la paternità è tutt'altro che irrealistica l'indicazione di Haubtmann, secondo il quale
è Ottaviani che capeggia una «opposition decidée», F Lercaro 122, 15 novembre 1963,
ciel. del «Secrétariat national de l'Information religieuse». Anche ST considera priorita
ria la scelta del papa: <<21 ottobre 1963 [ .. .] Che autorità ha il papa sul Concilio? È vero
che il segretario generale Felici da giorni impedisce contro il volere dei moderatori il
previsto voto orientativo?».
310 Cfr. Procedure, pp. 338 340.
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 95

attacco di tal fatta, proveniente dal circolo dei collaboratori istituzionali


del pontefice, rende «perplesso e imbarazzato» Paolo VI - lo sostiene
Suenens in un passo delle memorie311 ; ma i n1oderatori cosa devono
fare? Seguirlo? O reagire, come chiede Dossetti a Lercaro e a Suenens
lo stesso 15 ottobre, con fermezza dottrinale sui contenuti?312
Parecchi, comunque, non sanno ancora della crisi che si è aperta:
quel pomeriggio si tiene una riunione di periti che valuta il modo di
procedere sullo schema De beata e la possibilità di correggerne il testo
sostituendolo non con lo schema Butler (distribuito verso il 1O otto-
bre)313, ,ma con lo schema dei cileni3 14 • Martimort, Medina, Laurentin,
Martelet, Butler e gli altri presenti continuano il loro lavoro di routine,
senza subodorare la gravità dello scontro avviato. A poca distanza - nel
collegio spagnolo - c'è un'altra riunione (Morcillo, Guerry, Rahner,
Dupuy, Salaverri, Féret, Dournes, Urresti, Lopez Gallego, Congar ed al-
tri) dove si discute del capitolo De papula Dei, di nuovo senza percepire
ciò che sta accadendo315 • L'atelier francese Lefebvre-Garrone sul popolo
di Dio - nondimeno - prosegue i propri lavori316 • Il disorientamento di
chi non ha informazioni sull'accaduto e sul prossimo futuro passa per le

311 SUENENS, Ricordi, cit., pp. 141-146, la frase a p. 143.


31 2 F-Dossetti, 38. Annotazione ms «15.X.63, a Lercaro, a Suenens»: «Eminenza, mi
perdoni, ma mi permetto di pregarla insistentemente perché il testo dei voti non venga
modificato in senso attenuativo. Già così è forse troppo debole. Anche una parola in
meno può lasciare tutto in una grande incertezza. Mi sembra che questo sia l'atto più
grave che faremo in questa sessione. Dire di meno a favore dell'episcopato non sarebbe
vero, non corrisponderebbe ai voti della maggioranza e soprattutto avrebbe ripercussioni
gravissime sul piano ecumenico, specialmente nei rapporti con gli Orientali in questo mo
mento (v. conferenza di Rodi). Le presenterò presto un rapporto su quest'ultimo aspet
to, a cura di uno dei periti del Segretariato. Posso infine dire in coscienza che su queste
proposizioni anche il S. Padre è certo d'accordo. Se dovessimo dire di meno, allora sa
rebbe stato meglio lasciare tutto impregiudicato e non so1levare neppure la questione
dell'episcopato in questo concilio».
313 Cfr. JCng, 11 ottobre 1963. Congar lo legge e le giudica «un beau texte».
314 Cfr. l'appunto in F-Moeller, 00373.
315 JCng, 16 ottobre 1963: «si parla De populo Dei; il sordo vuole veder tutto nel
quadro di una definizione di sociologia razionale; lo stesso vale per la nozione di sacer
dozio regale. Come sempre Rahner monopolizza il dialogo. [. .. ] Gli spagnoli avrebbero
desiderato che noi redigessimo un testo che potesse essere firmato da numerosi episco-
pati: vogliono uscire da1l'isolamento, gettare dei ponti, ed è per questo che, malgrado un
incredibile sovraccarico di lavoro, ho voluto rispondere al loro appello. Ma Rahner fa
notare assai giustamente che siamo già impegnati nel lavoro per i nostri rispettivi vescovi
e che non bisogna creare una nuova persona morale. Ci faremo portatori dell'eco di
queste riunioni nei nostri rispettivi gruppi, senza che esse diano luogo a un'attività spe
cifica di fronte al concilio».
316 JCng, 17 ottobre 1963.
96 IL CONCILIO ADULTO

conversazioni private ed ha bisogno di qualche momento perché le men-


se, i giornali, i luoghi d'incontro e le conferenze episcopali ne consenta-
no la diffusione.

5.2.2. Il dibattito prosegue (popolo di Dio e laici)

Anche in aula prosegue il dibattito - siamo al capitolo sul popolo e


i laici - pregiudicato, fra l'altro, dal consenso per l'anticipazione del De
papula Dei al rango di capitolo Il, sovraordinato rispetto a quelli sulla
gerarchia ed i laici3 17 •
Nel suo insieme il capitolo III era figlio di una prima revisione del
capitolo sui laici della fase preparatoria, di cui aveva conservato quasi
tutto: Gagnebet aveva polemizzato vivacemente con questo atteggiamen-
to di Phili ps, il quale, a suo dire, fin dalla prima redazione del suo sche-
ma di rifacimento, aveva protetto quel capitolo di cui era stato redattore
nel periodo preparatorio. A questa revisione superficiale aveva fatto se-
guito qualche intervento più deciso, dovuto, in massima parte, alla vi-
brata protesta di Léger, il quale non voleva una trattazione per subordi-
nazione di chierici e laici: per questo il capitolo aveva ricevuto un'ampia
introduzione sul popolo di Dio nel suo insieme che, nel corso dell' esta-
te, s'era proposto di anticipare fra il capitolo sul mistero e quello sulla
gerarchia, in modo da farne non solo una «immagine», ma una cornice
della successiva trattazione sui chierici, i laici ed i religiosi. Il capitolo
infatti si apriva con una forte accentuazione della uguaglianza dei mem-
bri della chiesa nella loro vocazione ultima, nella partecipazione al dono
della salvezza, nella vocazione alla santità. Anche sul sacerdozio - grazie
ad alcune proposte tedesche - lo schema articola con chiarezza l'unità
della vocazione sacerdotale di tutti i battezzati, e la distinzione fra fun-
zioni ministeriali e comuni, tutte però orientate all'unico disegno di sal-
vezza318. La sottolineatura del sensus /idei della comunità, comunque,
non è connessa in modo armonico col capitolo sul laicato, che è ancora
debitore di quella teologia del laicato che vari spunti dello schema ave-
vano ormai ampiamente superato: sicché il capitolo sui laici, che nel
1962 rappresentava una punta di «modernità» teologica in una elabora-
zione di scuola, si trova l'anno dopo a rappresentare un residuo di te-

317Cfr. supra, pp. 75-76.


318 Nel dibattito sul De hierarchia c,era stato un intervento particolarmente forte di
Beck il 7 ottobre 1963, AS IV2, pp. 268 270.
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 97

matiche per lo più superate (chi è il laico, il suo posto nella chiesa e nel
mondo, la santificazione delle realtà temporali).
La discussione in aula - che occupa 8 congregazioni e vede salire a
parlare 90 padri, ai cui discorsi si aggiungono 33 interventi scritti - è
nettamente divisa su due piani.
Da un lato ci sono gli interventi che sostengono o osteggiano la pro-
posta di estrapolare il capitolo sul popolo di Dio ed anteporlo al capito-
lo sulla gerarchia 319 • Qui prendono la parola con calore i padri che han-
no aderito al rinnovamento ecclesiologico di cui lo schema Lumen gen-
tium del 1963 è l'impegno, più che la realizzazione. Il vincolo concet-
tuale che l'anteposizione crea non è percepito da tutti allo stesso modo:
sicché parlano in aula padri come Jaeger di Paderborn, il quale loda la
proposta perché con questa diversa sistematica sarà chiara la continua-
zione nella chiesa dell'opera e della vita di Cristo, espressa proprio dal-
l'unità nell'unico popolo di diverse funzioni e compiti; ma interviene an-
che Wojtyla di Cracovia, secondo il quale il costituirsi d'un popolo da
parte di Dio è premessa necessaria alla definizione della gerarchia posta
a guida e servizio di quello 320 • Sono ancora una volta Larraìn e Silva
Henriquez che, avvalendosi del molto materiale prodotto per lo schema
«cileno» sulla chiesa, esprimono le posizioni più avanzate: chiedendo
che non solo il capitolo sul popolo venga anteposto, ma che venga an-
che messa in luce la koinonia come carattere essenziale (e non solo ef-
fetto) del popolo di Dio, e che si delinei la tripartizione della missione
di Cristo che dovrà poi ripetersi e riesprimersi nel capitolo sulla gerar-
chia ed in quello sui laici321 • Contro questa tesi Siri e Ruffini prendono
la parola per invocare una più ferma distinzione fra il sacerdozio del
popolo e quello gerarchico322 ; essi, ma anche e più fortemente altri, insi-
stono sul fatto che il nesso popolo-gerarchia non può che essere espres-
so da un~ antecedenza dell'autorità, dentro la quale si compagina la co-
munità. E una vera incapacità a cogliere il modo in cui gli altri pongono

319 Léger stesso s'era lamentato di questo sdoppiamento come un tentativo di Sue-
nens «d'imporre il proprio pensiero al concilio», JCng, 3 ottobre 1963. Cfr. anche H.
DENIS, Réftexions sur le «De laidw du Schéma sur l'Eglise, in «EtDoc», 22 (22 ottobre
1963 ), 10 pp., F Suenens, Ila sessio, De ecclesia, Caput III. Cfr. anche CL. SOETENS, LA
«squadra belga» all'interno della maggioranza conciliare, in Evento, pp. 143 172.
320 AS Il/3, pp. 92 95 e 154-157.
321 Larrain AS II/3, pp. 223 226; Silva Henriquez (AS II/3, pp. 399-417) deposita
anche un lungo estratto dello schema cileno.
322 Ruffini AS Il/2, pp. 627 632; Siri AS II/3, pp. 278-280. In commissione dottri-
nale il p. Fernandez aveva lanciato l'allarme contro un «démocratisme exagéré», JCng, 2
ottobre 1963.
98 IL CONCILIO ADULTO

la questione: è sintomatico che Bacci intenda «sacerdotium fidelium»


nel senso di un «sacerdotium laicorum» ... 323
Si collocano invece su un piano meno innovativo, ma fortemente
sentito da molti padri, quegli interventi che affrontano la «definizione»,
i «compiti», l'«indole» dei laici - questioni tipiche di una teologia del
laicato che era nata dentro i limiti stretti ~ una ecclesiologia pacelliana
e di cui Civardi si fa portavoce in aula324 . E questa la parte del dibattito
più involuta, sulla quale pesano le indecisioni che - in altra sede - tene-
vano bloccato il lavoro della commissione sull'apostolato dei laici: non a
caso è Ménager, uno dei membri di quell'organismo, che in un ampio
intervento propone una soluzione che attenua gli elementi definitori del
laico, per insistere invece su quelli descrittivi325 . Qui lo scontro delle
opinioni riguarda accentuazioni relative all'autorità ed ai ruoli: non
avendo assunto la prospettiva espressamente comunionale dei cileni, al-
cuni chiedono che lo schema sancisca, anche per la vita della chiesa, il
principio di sussidiarietà326 .
Negli interventi di queste giornate entrano in gioco anche altri pro-
blemi di carattere più generale: la questione della obbedienza dei laici
suscita nuovi interventi sul sensus /idei della comunità; i padri francesi e
tedeschi che avevano discusso sulla introduzione nello schema del tema
della unità del genere umano lo riprendono anche in queste discussio-
ni327; il discorso di Suenens sui carismi nella chiesa che colpisce forte-
mente gli osservatori328; la conversione della chiesa329; l'esigenza di ascol-

323 Bacci AS 11/2, pp. 637-638; Seper AS 11/3, pp. 201 203. Non meno forte sarà la
reazione melchita maronita ad una conferenza di Congar: JCng 17 ottobre: «La sera, al-
l'Hotel Botticelli, ove alloggiano i vescovi vietnamiti, alcuni vescovi melchiti, alcuni ve
scovi maroniti (mons. Doumith). Dopo la cena, conferenza sul De laicis e sul De populo
Dei. Poi domande e dibattito. Mi rendo conto che i vescovi (30, 35 circa) sono abba
stanza a disagio sui testi e le discussioni De ecclesia. Me lo dicono anche in modo molto
esplicito. Non vi si ritrovano. Hanno una tradizione di pensiero, categorie, linee d'inte-
resse che non sono quelle lì. È abbastanza drammatico. Mi accorgo una volta di più di
quanto la chiesa cattolica sia latina, di quanto si sbagli, in buona fede, credendosi "cat-
tolica". Non lo è. La romanità, l'italianità, la latinità, la scolastica, lo spirito analitico
hanno invaso ogni cosa e si sono quasi eretti a dogma. Che lavoro!».
324 AS Il/3, pp. 35-36.
325 AS 1113, pp. 208 210.
326 Così Laszl6, AS Il/2, pp. 496-502: chiede in scriptù un capitolo De valore prin
dpti' subsidiarietatis in ecclesia.
327 Dubois, ma anche Jaeger e Garrone, AS 11/3, pp. 24-27, 92-95, 465-467.
328 AS 11/3, pp. 174-179, nella c.g., 22 ottobre 1963; cfr. HORTON, pp. 82 83.
329 Jaeger, cit., ma anche Meyer, AS 11/3, pp. 146 148.
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 99

tare (lo chiedeva un rapporto dei laici uditori) qualche esperto sulle
condizioni del mondo presente330 . L'abate dei premostratensi riassume
l'impressione del 20 ottobre:
Ho l'impressione, e non sono l'unico, che da 4 o 5 giorni gli ingranaggi stridano
perché i freni mancano di delicatezza e quelli che si danno da fare perché le ruote si
muovano, girano a vuoto. I Cardinali Moderatori tentano di spianare il terreno, ma le
ruote posteriori slittano. I più coraggiosi vengono in soccorso, ma in questo modo fanno
imballare il motore invece di farlo andare a una velocità ridotta. Vogliono cambiare ve
locità e innestare una marcia superiore senza prima disinnestare quella più bassa33t.

5 .2.3. La crt'si si sblocca: la supercommissione (23 ottobre)

Mentre il dibattito in aula si snoda, la lotta per le Propost'tiones vie-


ne giocata dai moderatori e dal papa nell'udienza del giorno 19.
Attorno a Paolo VI si affollano da quattro giorni le pressioni di co-
loro che sono rimasti ai margini della iniziativa332 : il consiglio di presi-
denza, la commissione di coordinamento, la segreteria generale, la stessa
commissione dottrinale - in altri termini Tisserant, Urbani, Wyszynski,
Cicognani, Felici, Ottaviani. Nessuno di costoro può per ora vantare il
consenso del papa contro i moderatori: ma nessuno lascia intendere di
aver trovato Paolo VI sordo alle critiche contro gli uomini che da tre
settimane dirigono per lui il Vaticano IP33 .
A questi il pontefice chiede di spiegare e di far approvare i voti
orientativi in una «super-commissione», nella quale siedano gli stessi

330 JCng, 18 ottobre 1963. .. .


331 N. CALMELS, La vie du Condle, Forcalquier 1966, pp. 110-111. E solo il 20 che
i moderatori incontrano gli uditori laici, cfr. Ldc, p. 190.
332 Quella del 19 pare l'udienza decisiva: D Nicora Alberigo, 21 ottobre 1963, ap
punta (ma la fonte è Dossetti, che - secondo la stessa fonte s'è autosospeso ~alle fun:
zioni di segretario dell'intero collegio dei moderatori dal 14 ottobre) che «all'udienza dei
moderatori (non so se giovedì [17] o venerdì [18] mattina) si scop~e che il paJ?a non h~
visto le proposte che vede allora per la prima volta e che non ha mente da obiettare net
loro confronti».
333 Il venerdì 18 c'era stata la riunione dei moderatori con la commissione di coor
dinamento (AS V/1, pp. 18-19). Prignon riferisce a Congar vari mesi dopo, JCng, 2 feb
braio 65, un quadro drammatico della giorn~ta: Feli~i, pressato da Dop~ner, v:uole rin
viare ancora al mercoledì 23 la riunione con il coordmamento; Suenens viene rrmpallato
fra Cicognani e Felici, finché ottiene la convocazione per il sabato poi differita al lu-
nedì 21, ma allargata alla presidenza.
100 IL CONCILIO ADULTO

moderatori, l'intera segreteria generale, il consiglio di presidenza e la


commissione di coordinamento334 • A nome del presidente di quest'ulti-
ma, Cicognani, viene fatta la convocazione, firmata da Felici, il 19335 . Lo
stesso giorno Dopfner consegna una nuova versione delle proposizioni
al segretario generale perché possa essere allegata alla convocazione (ma
lo sarà? )336 • Questa redazione porta alcune varianti rispetto alla struttura
delle proposizioni, la cui origine può esser fatta risalire ad un gruppo di
lavoro più esteso, nel quale apparentemente non c'è più Colombo, è ri-
dimensionato il ruolo di Dossetti, ed invece diventano protagonisti Phi-
lips, Moeller e Prignon337 • Accanto a qualche mossa preventiva di verifi-

334La mancata consultazione del consiglio di presidenza sarà addotta fra i motivi
del rinvio nella conferenza stampa del sottosegretario Krol del 30 ottobre 1963, diffusa
da NCWC, «News Service», 31 ottobre 1963 e cit. da CAPRILE, II, p. 168.
335 Un lungo appunto ms di Dossetti per Lercaro (F Dossetti, 126) prepara la riu
nione de1la super-commissione, cfr. Procedure, pp. 342-343: il giurista bolognese argo
menta in 10 tesi che il papa ha voluto i moderatori per dotare il concilio di «un organo
apposito, abbastanza omogeneo nei suoi componenti ed autorevole, libero da altri com
piti e unicamente impegnato a facilitare un indirizzo del conci1io conforme al fine fissa-
tm>, e che perciò il conflitto va chiarito in dipendenza da questo principio. Per Dossetti
l'assoggettamento delle commissioni a1la maggioranza del concilio: «questo è il problema
capitale del concilio Vaticano II ab origine», manifestatosi nella «resistenza tenacissima»
che le commissioni hanno opposto ag1i indirizzi de1l'aula «non conformi a1l'indirizzo
delle congregazioni [sci!. di curia]». Secondo Dossetti il problema è «esigere che tutti si
rimettano alla volontà de1la maggioranza, consultandola con voti pre1iminari chiari e im-
pegnativi e prescrivere che le commissioni siano libere di operare in conformità e non
debbano assoggettarsi alla volontà dei loro presidenti o segretari. In particolare l'art.
65.4 che consente ai Padri di essere ascoltati da1le commissioni e la norma [su proposte]
alternative da sottoporre alla congregazione faciliteranno enormemente le cose. Invece
che un unico testo imposto più che altro dai presidenti, due testi alternativi che espri-
mano due diverse princi pa1i tendenze consentiranno al conci1io di orientarsi e di sceglie
re con chiarezza e rapidità».
336 AS V/1, pp. 699 700.
337 Nonostante quest'ultimo, rettore e regista del collegio belga, ritenga la versione
del 19 «redatta da mons. Phili ps col concorso di mons. Moeller e mio», bisogna dire
che in effetti le modifiche del testo sono modeste come entità e come peso. Le paternità
vengono attribuite in F Prignon 463, da una nota ms. Si tratta per lo più di attenuazio
ni: sfumare fra corpus e (seu) collegium, introdurre la tutela de1lo ius primatiale, spiegare
attraverso un «N.B.» la questione de1le modalità «numquam reprobatas» d'esercizio del
la collegialità da parte del papa e attenuarne le espressioni; garantire che l'atto collegiale
si possa dare solo per invito o per libera accettazione del pontefice medesimo; infine
rinviare a futuri approfondimenti teologici, sui qua1i il conci1io non si impegna, per la
scelta del «modus practicus» d,attuazione. In tema di diaconato si esclude l'ipotesi avan-
zata in precedenza di un ce1ibato temporaneo e si introduce un potere diretto de1le con
ferenze episcopali. Su Ho sviluppo dettagliato de1le redazioni cf r. Procedure pp. 34 2-34 7.
1
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 101

ca338 , un appunto di Dossetti suggerisce ai moderatori alcuni ragguagli


tecnico-procedurali, in vista di obiezioni che potranno venire nella riu-
nione allargata339 .
Il 23 ottobre, alle 5 della sera, si riuniscono nell'appartamento del
segretario di Stato, Cicognani, i membri della cosiddetta supercommis-
sione, per deliberare sulle modifiche al regolamento e sulla «proposta di
votazione indicativa del secondo capitolo dello schema De ecclesia»340 •
Manca solo l'anziano Tappouni, il che porta il numero dei cardinali pre-
senti a 18341 • Al decano Tisserant tocca per dignità ecclesiastica il com-
pito di dirigere la riunione: egli senza lasciarsi condizionare né dal se-

338 Per quanto riguarda Tisserant, in casa di Dossetti a Roma si pensa di farg1i con-
segnare da un giovane prete, Pierre Riches, l'appunto che il canonista bolognese ha ste
so per i moderatori, cfr. D-Nicora Alberigo, 21 ottobre 1963.
339 F Dossetti, 124: rileva che per la prima volta viene implicata la commissione di
coordinamento; che legittimamente i moderatori hanno chiuso il dibattito; che la votazio
ne orientativa non richiede il quorum dei 2/3; critica la proposta Urbani; so1lecita l'ado-
zione più sistematica de1le norme regolamentari su1la scelta fra testi alternativi; raccoman
da una riunione dei moderatori insieme a Bea, Wi1lebrands e gli altri responsabili del se-
gretariato per l'unità. Lercaro, Ldc, 21 ottobre 1963, p. 191 ritiene la crisi una «questio
ne di procedura», «contrm> la quale si «sono sollevati alcuni organi conciliari». Dossetti,
come spesso capita, è preoccupato e pessimista: «"Riusciremo a salvare il concilio?" si
chiedeva [Dossetti] sabato sera [19] [...] Il pericolo è grave: "Il conci1io è come un bal
buziente che non riesce a formulare delle parole e delle frasi connesse"», in D-Nicora Al-
berigo, 21 ottobre 1963. La riunione degli osservatori del 22 ottobre non tocca il proble
ma procedurale, ma si limita a reagire a1la relazione di Moeller, cf r. HORTON, pp. 85 86.
340 La proposta riguardava gli artt. 39 § 2 e 60 § 3; il lungo verbale in AS V /1, pp.
701 735. Si era risolto con l'intervento di Wi1lebrands rallarme degli osservatori del
CEC davanti alla celebrazione de1la messa nel rito degli uniati rumeni il 21 ottobre, in
ricordo de1l'unione del 1698 e della soppressione della chiesa nel 1948, cfr. F ACO
6.38.
34l La contemporanea riunione de1la CEI viene aggiornata per evitare ai numerosi
italiani (soprattutto a Siri, Lercaro ed Urbani) l'imbarazzo della scelta. Siri aveva parteci
pato il pomeriggio antecedente, 22 ottobre, in via del s. Uffizio 22, alla prima riunione
del Coetus Internationalis Patrum, organo di coordinamento dei padri tradizionalisti,
convocato da M. Lefebvre e G. de Proença Sigaud; a queste riunioni, che si sarebbero
protratte nei successivi martedì, Siri non prenderà più parte, cfr. B. LAI, Il papa non
eletto Giuseppe Sin~ Cardinale di Santa Romana Chiesa, Roma-Bari 1993, pp. 210-211,
su1la base del diario di d. Bara bino. Mancano, perché estranei ag1i organi radunati, i due
antagonisti che hanno segnato la polarizzazione delle posizioni su numerosi temi, cioè
Bea ed Ottaviani: soprattutto l'assenza di Ottaviani dice quanto fosse stata pretestuosa e
friabile raccusa mossa ai moderatori d)aver prevaricato, nel proporre le votazioni il 15, i
legittimi diritti della commissione dottrinale, di· cui nessuno, in sede di «supercommis
sione>>, tiene il minimo conto. Non partecipa a1la riunione neanche Silva Henriquez che
aveva presentato la sua proposta ai moderatori 1'8 ottobre e che il 22 la ritrasmette di-
rettamente al papa; ad essa non si farà alcun cenno.
102 IL CONCILIO ADULTO

gretario di Stato, né tantomeno dal segretario generale o dai sottosegre-


tari, conduce il dibattito con inattesa efficacia e piglio. Egli fa esporre il
primo punto della pagella preparata dai moderatori e l'acquisisce cotne
approvato; sul secondo ed il terzo quesito, costringe Cicognani ad uscire
dall'ombra e ad esporre le sue obiezioni. E un po' il ritmo della vecchia
commissione centrale preparatoria - superficiale, ma sbrigativo - che
sembra ritornare: perfino Siri mostra qualche consenso. Il decano della
presidenza O' organo che si dice sia stato leso dalla decisione dei mode-
ratori), si dichiara favorevole alla procedura e lancia un messaggio - «i
motivi per cui poi fu sospesa la votazione li ignoro» - imbarazzantissi-
mo per il segretario di Stato che ha messo in piedi questo gigantesco
freno. L'alternativa al voto è procedere (come per la mariologia) per re-
lazioni antagoniste - cosa che spaventa parecchi.
Sulla questione del «corpo o collegio» dei vescovi Tisserant ha an-
che in inente una soluzione che non modifica la sostanza, cioè togliere
la parola collegia3 42 : ma i moderatori non sono tutti convinti. Le altre
obiezioni (cioè che le domande condizionano i padri, che non si capisce
cosa si approva votando placet) richiedono repliche e attirano interventi:
a sorpresa Suenens chiede che della redazione d'una miglior formula si
faccia carico Siri, autore d'un puntiglioso intervento pronunciato in lati-
no (l'unico!) contro la collegialità343 • E però sul diaconato che l'impegno
di Tisserant si fa dilagante: per l'ex prefetto della congregazione Orien-
tale la soppressione del diaconato è una invenzione latina del CJC del
1917 e il ristabilimento dello stato precedente non può che essere un
bene344 • Felici, che sta verbalizzando, è in difficoltà («qua nessuno ci ha

342 Lo avrebbe sostenuto anche un lungo appunto di Dossetti a Lercaro, in Proce


dure. Cfr. anche RATZINGER, Das Koni.il auf dem Weg, cit., pp. 37 38.
343 Prignon spiega a Congar che «Siri est contre Suenens» e che l'accettazione di
questa mediazione è fatta con l'idea di sottoporre all'aula le due formule da votare, cfr.
JCng, 2 febbraio 1965, ds, p. 415. La giornata è particolarmente intensa per il cardinale
di Genova: il mattino il presidente della repubblica italiana Segni è stato ricevuto da Pa-
olo VI, si è avviata la crisi del governo Leone, e si è riaperta la via a quello che sarà il
primo governo di centro-sinistra presieduto da Aldo Moro: contro queste ipotesi (già
naufragate a giugno) Siri e la CEI avevano lanciato attacchi n10lto severi, che coglie
bene nei suoi nessi con la vicenda conciliare l'autore di un libello anonimo di deni
grazione antimontiniana apparso in Italia sotto pseudonimo: MrcHEL SERAFIAN, La diffi-
cile scelta. Il concilio e la chiesa tra Giovanni XXIII e Paolo VI, Milano 1964. Secondo
Murphy/Rynne, sotto lo pseudonimo Serafian vi sarebbe Malachi Martin, un irlandese in
quel momento gesuita a Roma.
344 Tisserant fa polemicamente notare a Cicognani che avrebbe parlato «volentieri
in Aula se avesse potuto studiare com'è avvenuta la redazione del can. 973, ma disgra
zia tam ente l'Archivio Segreto Vaticano non possiede i documenti relativi a1la preparazio-
ne del CJC; si trovano nell'archivio speciale della S. Congregazione per gli Affari straor
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 103

capito nulla»); Caggiano ha dato la riunione per chiusa e se ne è anda-


to. In tale atmosfera si ottiene una votazione per alzata di mano sulla
proponibilità delle tre domande relative al diaconato: Felici conta ed an-
nuncia la reiezione del quesito; Liénart345 o uno degli assistenti o lo stes-
so Felici si rendono conto che c'è stato un errore ed in un clima incan-
descente mettono a verbale che il quesito (poi si dirà con il voto
erroneamente a favore di Spellman ... ) vada in aula 346 •
La seduta si esaurisce mentre continua la polemica fra Wyszynski e
Tisserant. Si rinuncia così ad esaminare i suggerimenti di Frings sul re-
golamento per ridurre a 6 gli schemi3 47 : infatti egli aveva elaborato una
proposta per una ulteriore revisione dell'Orda concilii. Non è una inizia-
tiva peregrina: dopo meno di un mese di funzionamento, il regolamento
è già stato criticato dal papa (che, come si ricorderà, dice ad alcuni
d'averlo firmato senza rendersi conto che non corrispondeva al suo pen-
siero), da Buckley, che ha presentato una proposta alternativa, dalrepi-
scopato africano che vuole modifiche radicali anche quanto allo svolgi-
mento dei lavori ed al ruolo delle conferenze episcopali, nonché da que-
gli ambienti - in primis Dossetti - che avevano puntato sulla modifica
delle norme durante l'intersessione348 •

dinari. Ho domandato a mons. Giusti di richiederli a1l'archivista di quella Congregazio


ne, ma non si sono trovati».
345 Cosi Haubtmann secondo JCng, 18 ottobre 65, ds, p. 566.
346 Il verbale di Felici non tiene conto del fatto che Tisserant s'era apertamente op-
posto a che i moderatori delegassero a Siri la redazione del terzo quesito; né considera
decisivo il voto del presidente a parità di suffragi nel quesito sul diaconato. Il suo rias-
sunto è perciò questo: «Risposte: al n. 1, affermative, al n. 2 affermative eccetto per il
vocabolo collegio; al n. 3 il testo sia emendato dai moderatori e siano rimosse le espres
sioni equivoche, affinché più chiaramente sia indicato il senso del termine collegio; inol-
tre il secondo testo sia elaborato dall'em.mo card. Siri, e anche questo sia sottoposto al
voto dei Padri; al n. 4 affermativo circa l'istaurazione del diaconato; nulla è detto dei
diaconi uxorati (gli em.mi padri hanno dato nove voti favorevoli e nove voti contrari)».
In questo modo Felici risolve il problema della controversia sorta nella votazione sul
diaconato, la quale, secondo un testimone presente, comportò uno scontro verbale acu-
tissimo fra Felici ed i suoi attuarii, da un lato, ed i sottosegretari dall'altro: invece il bat
tibecco non appare nella versione di SUENENS, Ricordi, cit., p. 143, secondo il quale
Spellman vota a favore del diaconato per distrazione (e a Villot che se ne avvede Sue-
nens stesso consiglia di lasciar correre); il verbale non si discosta da questa versione
quando riporta che si dichiarano «pro votazione» i cardd. Agagianian, Dopfner, Lerca-
ro, Suenens, Tisserant, Confalonieri, Liénart, Alfrink, Frings e Gilroy; sono contrari il
segretario di Stato Cicognani, Meyer, Roberti, Ruffini, Spellman, Urbani, Siri e
Wyszynski. Sul quesito che specificamente chiede se si voglia anche un diaconato uxora-
to Gilroy passa fra i contrari, ma per il voto del presidente la domanda resta approvata.
347 JPrg (B), p. 4.
348 Le proposte di modifica si aprono il 12 ottobre con una richiesta di Carli, se-
104 IL CONCILIO ADULTO

Eppure proprio l'esito dell'incontro dice che al centro di questa fase


del Vaticano II non sta una questione regolamentare, ma una questione
di coscienza dell'assemblea349 • Non è facile dipanare l'esito reale dell'in-
contro: sì, in aula si voterà, come volevano i moderatori: ma dopo tre
settimane di concilio essi si sono trovati a dover difendere da soli (e con
qualche seria sfasatura interna)3 50 il ruolo che il papa aveva loro assegna-
to. Senza la disinvolta ed energica presidenza di Tisserant, cosa sarebbe
accaduto? I nodi potranno davvero andare in discussione, ma c'è chi
teme una vittoria di Pirro, se si accettano limitazioni dottrinalmente mu-
tilanti; secondo Moeller la lettera a) del «N.B.» è catastrofica: «Ciò che
è appena stato affermato - concesso - sul piano teorico e dogmatico
[. .. ] - sembrerà disastroso agli Orientali, e di fatto paralizza la portata
dell'affermazione dogmatica»35 1.
Il testo sarà rivisto, come voleva Siri e forse anche Cicognani: ma
l'opposizione di Tisserant e Liénart a che il cardinale di Genova s'intro-

guito il 15 da Urbani, poi da Gauci il 17; Buckley presenta una ampio memorandum in
12 articoli il 18 ottobre; la proposta africana è presentata il 23 da Zoa; Frings riprende
le sue proposte sulle congregazioni generali il 24, come Lefebvre che chiede l'estensione
dello iuxta modum; il 25 vengono depositate altre proposte di singole modifiche da A.
Dupont e Mabathoana; il 28 Veuillot rimette al papa le proposte dei 20 segretari delle
conferenze di cui supra; l'indomani Maccarrone deposita le sue proposte per garantire
che il concilio «giudichi» e non «discuta» come in un parlamento; il 6 novembre Mason
supplica che i periti spieghino i testi in aula e si abbrevi il dibattito; Seper, quel giorno,
e poi Morris il 9, Alfrink 1'11, Ch. Greco il 21 novembre e ancora Frings il 2 dicembre
chiedono semplificazioni per il lavoro dell'intersessione ed i dibattiti del III periodo; i
memoriali in AD II/4,1, pp. 443-476. Le osservazioni stese per i moderatori dal loro se
gretario fino al 23 ottobre in F-Dossetti; nella stessa data Suenens stende un appunto
Pour gagner du temps, che si collega alle proposte circolanti, F Suenens, Ila sessio, De
ecclesia, Ordo conci/ii.
349 Haubtmann nel cit. ciel. F-Lercaro 122, 15 novembre 1963, ciel. del «Secréta-
riat national de l'Information religieuse», dice che «il 24 al mattino, si apprendeva che
l'atmosfera era stata pesante». Ldc, p. 194, 23 ottobre 1963 parla d'una «riunione tut-
t'altro che facile».
350 Nella discussione non Agagianian, ma Suenens (sul III quesito) e Dopfner (sul
IV .3) si sono differenziati dal testo che proponevano. Lercaro aveva ironizzato sul fatto
che i moderatori, come gli evangeli, erano costituiti da tre sinottici e da un quarto e di
verso che era rappresentato da Agagianian (Dossetti rappresentava gli Atti degli Aposto-
li, come appendice al Luca Lercaro), cfr. Ldc, 28 settembre 1963, p. 162. Una sottoli-
neatura del ruolo e carattere anti conservatore dell'apporto di Dossetti anche nell'artico
lo in «Corriere della sera», 24 ottobre 1963, Clima iesto al concilio giunto a un punto
cn'tico, copia in F-Prignon 472.
3 51 «Ce qu'on vient d'affirmer de concéder au plan théorique et dogmatique
[.. .] para'ìtra désastreux aux Orientaux, et paralyse de fait la portée de l'affirmation
dogmatique». F-Moeller 318, nota ms.
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 105

metta nelle competenze dei moderatori non aiuta gli avversari delle pro-
posizioni. E pur avendo Felici redatto un verbale che rilegge la seduta
secondo i desideri del segretario di Stato, è chiaro che agli antagonisti
dei moderatori è mancata la forza che si supponeva potessero avere.
Per ciascuno, poi, c'è qualcosa su cui recriminare: se Caggiano non
si fosse allontanato prima dell'ultimo voto ... se il verbale l'avessero re-
datto i sottosegretari, e non gli attuari di Felici... se si fosse difeso di
più il ruolo d'Ottaviani ... 352 L'indomani è perfino difficile avere una me-
moria realistica degli eventi: la sindrome del complotto è diffusa. Nabaa
- uno dei sottosegretari presenti - par la di «un vero sabotaggio: gli i ta-
liani (undici!) assieme ad uomini come Spellman ed anche Tisserant!
Gli italiani sono assolutamente contro la collegialità e la parola stessa è
stata soppressa nella seconda domanda». Congar, che raccoglie questo
sfogo, si vede confermare da Arrighi una diagnosi catastrofica: «ensable-
ment»353. E se Nabaa ritiene che non si promulgherà nemmeno la costi-
tuzione dogmatica sulla chiesa, Congar non è molto più ottimista quan-
do si convince che la manovra ha fatto sfuggire il momento propizio
che non potrà tornare. Perfino Paolo VI teme che si entri in un impasse
irreversibile se lo stesso giorno 24 decide di trasmettere attraverso Felici
un suo appunto alla commissione dottrinale per incalzarne i lavori e le
attività354 . L'appunto autografo dice che «sarebbe grave che la Sessione
si chiudesse senza aver pronunciato alcune principali deliberazioni sullo
schema De ecclesia. Studiare come si possa accelerare il lavoro. Non ba-
sta una riunione settimanale». L'appunto è telegrafico: ma quell'accenno
alle «principali deliberazioni» non è un invito alla commissione affinché
entri in scena in modo propositivo e non semplicemente ostruzionistico?
Attorno ai moderatori il clima è meno pessimistico, o almeno più
battagliero355 . Sempre il 24 Dossetti consegna una nuova proposta a

352 Su questi aspetti sarà particolarmente i1luminante la documentazione personale


degli allora attuarii Carbone e Fagiolo, nonché le carte dei sottosegretari al momento
inaccessi bili.
353 CoslJCng, 24 ottobre 1963.
3 54 Trasmesso da Felici a Ottaviani il sabato 26 ottobre 1963; AS V /2, p. 12. Riflet
te forse anche il duro giudizio che Suenens esprime al papa nel momento in cui i mode-
ratori si sentono da lui abbandonati: <<ha posto al papa la questione dell'autorità dei mo-
deratori: [. .. ] se il papa cede in questo, i giornali porteranno allora a caratteri cubitali:
Paolo VI ha tradito Giovanni XXIII...»; riferito da Prignon a Congar, JCng, 2 febbraio
1965, ds, p. 415.
3 55 Anche Edelby, che nel suo diario al 23 ottobre 1963 osserva il pessimismo di
N abaa ed il suo stesso scoraggiamento dopo la riunione de1la commissione per le chiese
orientali dello stesso pomeriggio, reagisce: «Ma confidiamo nello Spirito Santo che dirige
la sua chiesa. Al momento opportuno ribalterà le posizioni», f. 144, JEdb, ed. it. p. 185.
106 IL CONCILIO ADULTO

Lercaro «dopo i riferimenti delle commissioni riunite»; si cerca - forse


in contatto con il collegio belga - di produrre una equilibrata revisio-
ne356. Le propositiones, però, vengono ulteriormente corrette, in vista
dell'ultimo esame da parte del papa357 , da Dossetti, che le correda di
una serie di osservazioni (tutte in prima persona) che giustificano le
scelte lessicali davanti a Lercaro e agli altri moderatori3 58 .
Accogliendo l'invito di Suenens - e ignorando le obiezioni in contra-
rio di Tisserant e Liénart - il 25 ottobre Siri gli consegna la sua propo-
sta di testo da sottoporre all'aula come quesito III: Suenens probabil-
mente ignora che alla formula ha lavorato anche Tromp e forse qualche
membro della commissione dottrinale, come si vedrà fra poco359 . Siri ri-
spetta i patti presi nella seduta delle commissioni riunite nel proporrre
una sua redazione sostitutiva di quella dei moderatori3 60 . Egli propone
una versione nel merito «provocatoria»: con un abile rimescolamento
lessicale sposta drasticamente il significato della proposizione. Il riferi-
mento al collegio dei vescovi scompare, il che dà alla rinuncia al termi-
ne collegium, già compiuta nella questione in vista di una graduazione
delle domande, il significato di un abbandono completo del termine.
Quanto alla esistenza di dimensioni irreformabili del corpo dei vescovi
perché poste iure divino, Siri propone di dichiarare che esse si limitano
alla successione apostolica. Infine la potestà piena e suprema dei vescovi

356 Il nuovo testo, in F Lercaro 784, ha però perso la possibilità che l'atto collegiale
si dia in forme «non rifiutate» dal papato: in questa redazione si parla solo di forme
«approvate» (che non chiude a future approvazioni, ma è certo più debole). Prignon
(però vari mesi dopo) racconta a Congar questa fase di revisione ed elenca fra i collabo-
ratori Philips, se stesso (non Moeller) e Rahner, per il quale non si trova alcun riscon-
tro, cfr. JCng, 2 febbraio 1965, ds, p. 416.
357 In F Dossetti 113 <<Mia proposta al card. Lercaro il 24.10 dopo i nferimenti delle
commissioni riunite»: questa redazione riprende (secondo Prignon per una espressa auto-
rizzazione verbale di Paolo VI a Suenens) la formula «actuale exercitium potestatis cor
poris episcoporum regitur ordinationibus a Romano Pontifice adprobatis (vel saltem se-
cundum consuetudines ab eo non reprobatas)».
358 Procedure, pp. 366 368.
359 Al collegio belga Prignon ritiene che già l'intervento di Siri alla «super commis-
sione» fosse stato redatto da Calabria, cfr. JCng, 2 febbraio 1965, ds, p. 416; anche sulla
copia del rettore in F-Prignon, 471 una nota ms precisa «remis par Calabria». Cfr. Pro
cedure, p. 368.
360 Così TROISFONTAINES, À propos, cit., p. 137, secondo il quale il testo viene rifiu
tato da Suenens lo stesso 25 ottobre a causa della indisponibilità a sottoporlo come voto
alternativo; Suenens (ma anche Felici, nel verbale della riunione del 23 cit. supra) aveva
inteso che fosse questo ciò che voleva Tisserant quando chiedeva votazioni distinte su
«due questioni diverse: il fatto e il diritto», AS V/1, p. 719. Invece Tisserant (seguito in
ciò da Siri) intendeva aderire al meccanismo dei voti contenutisticamente graduali.
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 107

sulla chiesa s'attiva solo in condizioni di legittimità che si danno quando


il pontefice voglia liberamente deferire al collegio una «decisione», il
che limita per se stesso l'atto collegiale ad una variante dell'esercizio
personale della autorità papale.
Quando arriva la proposta Siri il papa ha però già approvato - secon-
do la citatata nota di Dossetti - la redazione «restaurata» delle proposte
dei moderatori3 61 • In complesso, in queste ultime ore di convulse corre-
zioni c'è un certo «ritorno» verso la redazione «a» del 24, e addirittura
verso le primissime correzioni di Colombo: ritorna, ad esempio la clauso-
la Philips «acceptante vel libere invitante»362 nel «N.B.», e soprattutto si
difende l'equivalenza (legittimante) fra «corpus seu collegium», cara fra i
belgi a Moeller. Sul diaconato è conservata la possibilità di scelta delle
conferenze episcopali contro la quale s'era pronunciato anche Dopfner3 63 •

5 .3. L'incrocio coi dibattiti

Il concilio, però, non aspetta: si affilano le armi retoriche e procedu-


rali su tre questioni di «bandiera»: i religiosi, papa Giovanni e la Ma-
donna.

5 .3 .1. Il dibattito sui religiosi

L'inizio del dibattito sui religiosi mobilita quella zona dell'assemblea


che si sente «rappresentata» da questo capitolo364 : la sottovalutazione
del peso dell'episcopato «regolare» - cioè i vescovi appartenenti a un
ordine o congregazione - è certo uno degli elementi di rilievo nella re-
dazione dello schema ecclesiologico365 ; dall'altra la forte lamentela dei
vescovi sui problemi creati dal regime di esenzione avrebbe esacerbato

361 F Dossetti, 114.


362 F Moeller, 318 lo data al 26; secondo Prignon sono i moderatori che nella
udienza dal papa e «col suo accordo [. .. ] reintroducono le parole soppresse da Siri: "vel
saltem libere recipiat"», cfr. JCng, 2 febbraio 1965. La temporanea riammissione di mo
dalità «non reprobatas» per l'esercizio del potere collegiale (su cui cfr. supra, n. 114) se
gna dunque una convergenza fra Dossetti e PhjJips.
363 Cfr. Procedure, p. 371.
364 Occuperà il 25, il 29 31 ottobre ed il 7 novembre. Cfr. SCHMIEDL, Zur Genese
der Optatam totius, cit.
365 Come ricorda anche Wenger, fece impressione il richiamo del p. Schi.itte, supe-
riore dei Verbiti, al fatto che 1.050 padri conciliari erano religiosi, cf r. WENGER, p. 120.
108 IL CONCILIO ADULTO

gli animi, «come avveniva già nel Medioevo», avrebbe scritto profetica-
mente Laurentin366.
Infatti il capitolo IV sui religiosi avrebbe dovuto rimanere, nelle pri-
me intenzioni dei riformatori dello schema preparatorio, un elemento di
continuità assoluta: trasformato per la insistenza di Suenens in un capi-
tolo De sanctitate in ecclesia, esso antepone alla ripetizione dei concetti
del vecchio capitolo preparatorio una importante premessa. Infatti il ca-
pitolo afferma la comune vocazione di tutti i cristiani alla santità (intesa
però in senso f ortem~nte eticizzato ), che si esercita in forme molteplici e
distinte (nn. 29-30). I «consigli evangelici» sarebbero allora soltanto
mezzi per il fine ultimo che· è la carità367 . Sulla seconda parte del capito-
lo - quella relativa agli stati di perfezione - tutto ciò ha dei punti d'im-
patto circoscritti: il «segno escatologico» della vita casta, povera ed ob-
bediente è forse quello che più si sarebbe prestato ad un rinnovamento
della vita religiosa del cattolicesimo romano.
Nel dibattito - il primo che si sviluppa in modo frammentario, ri-
prendendo a distanza di giorni le discussioni precedenti - ritroviamo
una serie di richieste tipiche di tutto il mese, cioè l'armonizzazione dei
capitoli f~ali con i principi fissati in sede di capitolo primo e di orien-
tamento. E infatti come se il processo di formazione dello «schema Phi-
lips» del primo periodo conciliare avesse pesato sul grado di elaborazio-
ne di tutto il nuovo schema ecclesiologico del 1963: l'anno prima la
squadra belga aveva allegato ad un progetto di indice rinnovato una
ipotesi di capitolo primo, su cui s'erano espresse e misurate molte tesi,
correzioni, migliorie. L'insieme dello schema del 1963, invece, e soprat-
tutto il capitolo IV, non avevano ancora conosciuto questo passaggio:
perciò molti padri reagiscono davanti ad un testo che presenta la santità
come uno sforzo etico individuale: il canadese Coderre368 chiede che si
dica chiaramente che la comunione di cui la chiesa anticipa il godimen-
to è sanctitas ipsa. Questo bisogno di accentuare la dimensione carisma-
tica369 e comunionale della santità della chiesa andava incontro anche
alla esigenza - già avanzata da Larraona - di un capitolo sulla commu-
nio sanctorum370 , o almeno di una valorizzazione di questa dimensione
escatologica della santità371 .

366 Così su «Le Figaro», 26 27 ottobre 1963.


367 Cfr. ACERBI, Due ecclesiologie, cit., pp. 223 224.
368 ASII/4, pp. 134 135, presentato in scriptis: sul personaggio cfr. D. ROBILLARD,
Mgr Coderre à Vatican II, in L'Eglise canadienne, cit., pp. 265-276.
369 Silva Henriquez, AS II/3, pp. 369 372. Cfr. anche l'intervento di Suenens (pre
sentato però per iscritto) in AS II/4, pp. 90 92.
370 Larraona deposita un suo intervento scritto, AS II/4, pp. 81-85.
371 De Provenchères, AS 11/4, pp. 157 160.
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 109

Il punto di scontro era però un altro e riguardava il carattere della


professione religiosa ed i privilegi ad essa connessi, primo fra tutti la
vexata quaestio della esenzione dei monasteri e dei conventi dalla giuri-
sdizione episcopale: il tentativo di Silva Henriquez di proporre la bril-
lante soluzione cilena O' esenzione, secondo il cardinale, può essere vista
come una «concretizzazione della collegialità» in atto) passa fra gli inter-
venti in scriptis alla commissione, ma non si misura con l'aula372 • Hanno
più effetto le posizioni nettamente conservatrici (che vogliono il sempli-
ce mantenimento della esenzione) o quelle che attaccano più esplicita-
mente questo privilegio373 : fra questi padri spicca il cardinale di Mont-
real, Léger (religioso egli stesso), il quale parla sulla scorta d'una espe-
rienza personale molto ruvida nel rapporto con i religiosi della sua vasta
diocesi3 74 . L'andamento del dibattito sullo stato religioso fa sì che l'epi-
scopato di lingua tedesca prenda due distinte iniziative (una di Lei-
precht ed un'altra di Dopfner375 ) che dicono come sia netta la divisione
fra chi desidera la collocazione nel nuovo contesto ecclesiologico dei
privilegi e chi invece chiede che la ricomprensione dell'episcopato in
corso venga portata fino alle estreme conseguenze - forse irraggiungibili
senza quella riflessione sulla chiesa locale e la communio eucaristica che
però non raggiunge mai la massa critica.

5 .3 .2. La commemorazione di Giovanni XXIII

Intanto il 28 ottobre l'assemblea celebra (per una decisione che ne-


cessitava dell'avallo personale di Paolo VI e che era stata da lui annun-
ciata già nel calendario ufficiale dei lavori comunicato al cardinal decano
in settembre)376 il quinto anniversario della elezione di Giovanni XXIII.
Festa anomala, questa della elezione di un papa morto: ma che si spiega,
appunto, in un contesto nel quale esiste il problema della gestione della
eredità di consenso e di linee per lo sviluppo conciliare. Predica in que-

372 Dopo il 31 ottobre la discussione si trova ormai mescolata alla preparazione ed


all'inizio del dibattito del De episcopis nel quale lo stesso problema ritornerà in una otti-
ca diversa, cfr. infra, p. 180.
373 De Barros Camara, AS II/3, pp. 592 595; Gurpide Beope, AS IV4, pp. 197 200
(in scriptis).
374 AS II/3, pp. 632 635; cfr. D. ROBILLARD, Paul-Émile Léger. Évolution de sa pen-
sée 1950 1967, Québec 1993; ed ora L'Eglise canadienne, cit.
375 AS IV4, pp. 41 43 e AS II/3, pp. 603 616, con la proposta di un capitolo alter-
nativo.
376 Quod apostolici, 14 settembre 1963, AS IVl, pp. 9 13, cfr. supra, p. 27.
110 IL CONCILIO ADULTO

sta occasione, Suenens, grande elettore di Paolo VI nel recente conclave,


ma già prima ascoltato consigliere di Giovanni XXIII. È interessante che
Suenens ritenga che il lungo applauso dell'episcopato cattolico e degli
osservatori al discorso abbia avuto un effetto sulla decisione di Paolo VI
d'ammettere ai voti i cinque quesiti orientativi sul De ecclesia, che segna-
rono un vertice della coscienza conciliare377 • Si ha oggi ragione di crede-
re che così non fu: per gli osservatori il discorso rimediava alla infelice
uscita del papa del giorno innanzi, che, nella beatificazione del passioni-
sta Domenico della Madre di Dio, ne aveva esaltato il ruolo nella «con-
versione» di John Henry Newman dall'anglicanesimo al cattolicesimo;
per i padri il riferimento al papa che li aveva convocati a concilio susci-
tava un consenso forse superficiale, ma certo intenso. Resta comunque
un fatto che la memoria del primate belga abbia potuto considerare la
reazione dell'assemblea al «nome» di Giovanni XXIII come parte di un
«miracolo» procedurale378 • La laudatio funebre del 28 ottobre attribuisce
alcuni caratteri di santità all'azione di Giovanni XXIII, ma non entra
nella questione del riconoscimento di questa qualità: anche se non passa
inosservato379 il fatto che si loda un papa defunto alla presenza del suc-
cessore, che lo fa un cardinale e che non lo fa in latino ...
Ciò che spinge un abile navigatore d'assemblea come Suenens ad una
prudente allusione nell'aula conciliare, fuori da essa determina iniziative
più disordinate ed ambigue: nella diocesi d'origine di Roncalli viene dif-
fusa una petizione che chiede a Paolo VI di proclamare beato il prede-
cessore, e che corredata da 50.000 firme, verrà affidata al vescovo 380, eco
di un durevole interesse della stampa popolare cattolica381 , e sintomo di
un desiderio - la canonizzazione conciliare di Giovanni XXIII - che sol-
tanto uno scrutatore dell'impossibile come Helder Camara può annuncia-
re come cosa alla quale «stanno» (chi?) lavorando ... 382

377 Così credono alcuni informatori e organi di stampa, ad es. D. FISHER, in «The
Catholic Herald», 8 novembre 1963, nonché J. GROOTAERS, Een sessie met gemengde ge
voelens, in «De Maand», 6 (1963), n. 10, p. 590 su cui si basa TROISFONTAINES, A pro
pos, cit., p. 137.
378 Cfr. A. MELLONI, La causa Roncalli: origini di un processo canonico, in «CrSt»,
18 (1997), pp. 607 636.
379 Cfr. ]Edb, ad diem.
380 K.L. WooDWARD, La /abbn'ca dei santi, Milano 1991) p. 302; non risulta che
questa petizione sia stata portata in concilio.
381 «Famiglia Cristiana», 21 maggio 1964, n. 21 risponde al1a lettera di un lettore
che le «medaglie di Papa Giovanni XXIII con reliquia può chiederle a Casella Postale
5023 Roma» e dà il costo della versione metallica (400 lire) e di quella dorata (450 lire).
382 Cfr. la circolare 2a messami a disposizione da L.C. MARQUES che ne cura l'edi
zione; ora in MELLONI, La causa Roncalli, cit., pp. 613 614.
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 111

5.3.3. La questione mariana

Di tutte le questioni di bandiera che accompagnano la redazione e la


votazione delle proposizioni sulla collegialità, più vibratile è quella rela-
tiva alla collocazione ed al contenuto dello schema De beata Maria virgi-
ne, che ha inglobato nella sua nuova intestazione il titolo di «madre del-
la chiesa»383 • Essa s'era posta - come si è visto - già prima dell'apertura
del periodo, poi nelle primissime battute del dibattito sul De ecclesia e
infine nella commissione teologica. Non si era mai riusciti a trovare una
sede nella quale ci fosse consenso o autorità sufficiente a decidere e re-
cidere la polemica fra chi riteneva necessario un documento ad hoc su
Maria, pena la rinuncia ad un elemento qualificante del cattolicesimo
romano, e chi invece considerava più utile, anche come segno di consa-
pevolezza ecumenica, dare alla mariologia il ruolo di un capitolo/appen-
dice della ecclesiologia. Il papa, in privato, e in pubblico i moderatori -
si diceva poc'anzi - avevano dato mandato alla commissione di predi-
sporre una disputa fra due vescovi davanti al concilio, in modo che si
potesse procedere ad un voto decisivo e consapevole da parte dell'as-
semblea.
La redazione dei due discorsi pronunciati da Konig e Santos (oratori
scelti della commissione dottrinale), occupa vari giorni nei quali monta
una vera propaganda: libelli, ciclostilati, appelli soprattutto dei gruppi
che vogliono la costituzione mariana, che neanche Pio IX aveva fatto,
circolano fra i padri e toccano un tasto senz'altro sensibile nell'alto clero
cattolico. Finalmente nella LV congregazione generale, viene data la pa-
rola ai due cardinali per la esposizione delle tesi che si erano già con-
trapposte in commissione dottrinale il 9 ottobre, e che due settimane
dopo vengono finalmente davanti al concilio.
Santos espone 10 argomenti a favore dello schema separato: il posto
eminente di Maria nella chiesa è meglio espresso da uno schema, men-
tre la incorporazione della trattazione nel De ecclesia darebbe luogo ad
una esposizione incompleta o, peggio, pericolosamente prolissa rispetto
ai paragrafi sulla Trinità; Maria, inoltre, appartiene al popolo di Dio ad
un titolo diverso dai laici e dalla gerarchia, ed ha un vocazione di santi-
tà che impedisce di trattare di lei nel capitolo dedicato a questo tema.

383 Il 20 ottobre Congar constata come il titolo <<lanciato» da Balié ha già prodotto
un effetto invasivo sulla discussione. È in questi stessi giorni che va montando la que-
stione sulla libertà religiosa, il cui schema non era ancora andato ai padri: Spe1lman, f or-
te della firma di 240 padri americani, chiede al papa che esso venga distribuito, cfr.
JCng, 23 ottobre 1963.
112 IL CONCILIO ADULTO

Secondo Santos i fedeli leggerebbero in una incorporazione del De beata


nel De ecclesia il segno di una riduzione e di una perdita, mentre ad essi
ed anche ai cristiani separati deve essere esposta l'intera dottrina cattoli-
ca ed i suoi dogmi senza reticenze: non farlo apparirebbe poi una presa
di posizione a favore di una mariologia «ecclesiotipica» contro la legitti-
ma posizione «cristotipica» - il che aumenterebbe le discussioni; infine
l'inserimento del De beata comporterebbe rimaneggiamenti radicali nella
costituzione che tratta della sola chiesa peregrinante, mentre una sua re-
visione in forma di costituzione autonoma potrebbe prestarsi alle armo-
nizzazioni necessarie384 •
Konig, invece, espone quattro tipi di ragioni per l'inserimento del De
beata nel De ecclesia385 • In primo luogo v'è una ratio theologica che sugge-
risce l'inserimento - e cioè che la menzione di Maria nella costituzione
ecclesiologica evita le obiezioni contro una concezione eccessivamente
istituzionalizzata della chiesa, che invece è comunità di salvati, peregri-
nante sì, ma in attesa d'un compimento escatologico di cui Maria è figu-
ra. Konig insiste sul fatto che la mancata adesione a questo principio teo-
logico lascerà credere che il concilio vuole fare nuovi dogmi mariani -
cosa che è esclusa dall'agenda conciliare - ovvero vuole incoraggiare esa-
gerazioni false e infondate: l'incorporazione di uno schema nell'altro non
implica una riduzione della venerazione o un nascondimento della dottri-
na sulla Vergine, ma una sua esposizione consona agli scopi del Vaticano
II. Le ragioni storiche di questo inserimento sono molteplici - a partire
dal fatto che l'attenzione per Maria è venuta in dottrina dalla meditazione
della chiesa madre: e due forti richiami al magistero di Paolo VI (il di-
scorso dell'll ottobre) e al congresso mariologico di Lourdes del 1958
(Maria e la chiesa) rafforzano l'idea che non si sta chiedendo una reticen-
za, ma proponendo una posizione. La ragione pastorale che Konig cita è
che i fedeli vanno incoraggiati ad una purificazione della devozione ma-

384 AS II/3, pp. 298 345.


385 Philips prepara un appunto per Konig su1le quattro rationes per la esposizione
della materia mariologica alla fine del De ecclesia, in F Moe1ler 00384: Philips proponeva
di esporre prima una ratio concreta, cioè la utilità di trattare Maria nel documento cardi-
ne del concilio; poi una ratio theologica, cioè il fondamento biblico di una esposizione
mariologica ecclesiotipica; quindi una ratio pastoralis, cioè l'esigenza di indirizzare la pie-
tà del popolo all'essenziale; infine una ratio oecumenù:a, che permetta agli orientali ed ai
protestanti di accogliere una presentazione di Maria più aderente a1la tradizione antica.
Il discorso di Konig manterrà l'articolazione per motivazioni distinte, anche se ne riadat-
terà il titolo, l'ordine ed il contenuto.
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 113

riana a favore di ciò che è in essa essenziale; infine la ragione ecumenica


è che nella mariologia ecclesiotipica è possibile l'incontro sia con la tradi-
zione orientale che con quella protestante386 .
Le due relazioni vengono stampate e consegnate in aula, presto cor-
redate da ampie distribuzioni di opuscoli di propaganda a sostegno del-
le opposte tesi: il 25 ottobre alcuni vescovi di rito orientale diffondono
una presa di posizione che sostiene che proprio a favore della causa
ecumenica e dell'oriente è necessario uno schema distinto.
Di contro l'abate Butler fa circolare un appunto molto equilibrato
col quale distingue fra l'inutile ripetizione di dottrine solennemente defi-
nite e la ricerca in comune sulla figura ed i compiti di Maria nelle Scrit-
ture, ma deve subire le ingiurie della stampa conservatrice romana387 . Le
richieste a Dhanis ed altri di una ipotesi d'un nuovo schema mariologi-
co da parte di Suenens non hanno esito388 .
Fra i periti c'è chi sta guardando queste fasi con ottimismo: secondo
Moeller è stato «Più preciso, più sfumato Konig. Applausi più nutri-
ti»389. Al contrario Rahner si giustificherà del proprio pessimismo - pro-
prio lui, che pensava d'esser quello che avrebbe dovuto «pagare» la
eventuale sconfitta di Konig - censendo questa attività libellistica:
Un vescovo ucraino distribuiva fuori dairaula dei volantini, gli spagnoli distribuiva-
no ovunque ciclostilati, Roschini ha mandato un opuscolo, si è parlato di una battaglia
pro o contro la Madonna, Balié ha divulgato un lungo opuscolo stampato presso la tipo
grafia vaticana come fosse uno schema 390•

386 «Mentre il cardinal Konig parlava, ho guardato di fronte a me fratel Max Thurian.
Era completamente in tensione e si sporgeva dal di sopra de1la balaustra de1la tribuna in
direzione dell'oratore. Ciò che il cardinal Konig diceva della mariologia dei protestanti
corrispondeva esattamente al pensiero di Thurian, così come si esprime nel suo libro,
Marie, mère du Seigneur, figure de l'Eglise, Les Presses de Taizé, 1962»: WENGER, p. 125.
387 Sarà violentemente attaccato dal quotidiano conservatore «Il Tempo», 27, 28,
29 ottobre 1963. Anche Balié attacca Congar in una conferenza ai vescovi croati: la let
tera in latino, di sdegnata reazione ad un'accusa che mette in dubbio l'onestà cattolica
di Congar, in JCng, 20 ottobre 1963.
388 De mysterio Mariae in Ecclesia, trasmesso da Dhanis il 18 settembre, doveva es
sere quindi stato commissionato ben prima delle discussioni assembleari; tardivamente
ne viene a conoscenza, ad es. JCng, 25 ottobre 1963. Inoltre cf r. D. ARAc1c, La dottrina
mariologica negli scritti di Carlo Balié, Roma 1980, pp. 106 119.
389 «Plus précis, plus nuancé Konig. Applaudissements plus nourris», F-Moeller,
0016, p. 36: Moeller era stato nominato il 14 ottobre vice-relatore della sottocommissio
ne per gli emendamenti al De ecclesia.
390 VORGRIMLER, Comprendere Rahner, cit., p. 226.
114 IL CONCILIO ADULTO

Anche Philips teme che sia passata l'idea secondo cui «se si vota per
l'inserzione nel De ecclesia si vota contro la Vergine»391 .
Finalmente il 29 viene indetta la votazione che Paolo VI aveva rac-
comandato 23 giorni prima: dei 2.193 votanti 1.114 si esprimono per la
unificazione del De beata nel De ecclesia, mentre 1.074 votano per la re-
dazione di due schemi. Lo scarto minimo presentatosi in commissione
dottrinale si ripropone dunque in aula: pur non essendoci nessuna om-
bra dal punto di vista procedurale392 , la votazione dà l'impressione che
il concilio sia spaccato a metà non solo sulla questione mariana, ma su
tutto l'impianto della riforma ecclesiologica in corso393 . Cosa accadrà
quando, lasciata la Madonna, si passerà alla collegialità, alla sacramenta-
lità, al diaconato? Come reagirà una fragile maggioranza a proposizioni
ben più sottili e decisive della pura e semplice collocazione di un picco-
lo schema? Anche gli ottimisti della vigilia hanno un brivido:
Il voto di oggi ha diviso profondamente l assemblea sul piano dottrinale. Se è unita
1

sul piano pastorale1 sul piano dottrinale è profondamente divisa. Se domani si avrà la
stessa debole maggioranza, e quindi la stessa divisione, non resta che fare i bagagJi394 •

5.4. La seduta della commissione dottrinale del 29

Il testo delle cinque questioni che i moderatori hanno consegnato a


Felici il giorno 28 è ormai definitivo.
Su di esso non ha effetto il tardivo attivarsi della commissione dot-
trinale, che nella seduta del 29 cerca di fare un tentativo estremo d'in-
tercettazione dei voti. Il bloc notes di Colombo riassume sinteticamente:
B) Punti relativi al «De Ecclesia»:
a) punti preparati da Mgr Parente;

391 «Si l'on vote pour l'insertion in Ecclesia on vote contre la Vierge»1 mentre Sue
nens rassicura che «si vedrà domani che nessuno dei due voti è contro la Vergine». F-
Moeller 0016, p. 87, in ANTONELLit Le role, cit., p. 37.
392 Rahner (VORGRIMLER, Comprendere Rahner, cit., p. 226) ricorda che Parente
aveva protestato contro una scelta fatta a maggioranza semplice: tuttavia va ricordato
che se anche si fosse deciso, contro il regolamento, di fissare il quorum ai 2/3 si sarebbe
comunque creata una replica della situazione del novembre 1962 sul De /ontibus ...
393 Il lavoro di revisione dello schema Balié inizierà 1'8 novembre in una sottocom
missione De beata formata da Konig, Santos, Doumith e Théas, cfr. ANTONELLI, Le role,
cit., pp. 38-58.
394 «Ce vote d 1 aujourd 1hui divise profondément l'assemblée sur le plan doctrinal. Si
elle est une sur le plan pastora!, sur le plan de la doctrine elle est profondement divisée.
Si demain on a la mème faible majorité, donc la mème division on n 1a qu'à plier les ba-
gages». F Moeller 0016, pp. 90-91) in ANTONELLI, Le role, cit., p. 37.
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 115

b) Charue:
a) i moderatori hanno già annunciato la votazione dei «punti»
b) Ottaviani rivendica la competenza della Commissione circa i «punti>>395.

Poco meno laconica è la sintesi della discussione data da Tromp nel-


la Relatio de schemate de Ecclesia denuo re/armato (1 oct. 1963 - 1 apr.
1964):
Il giorno successivo 29 ottobre, nel corso della sesta sessione plenaria della commis-
sione, è stata definitivamente approvata la nuova formula di qualificazione dogmatica
con 17 voti su 24. Si è deciso su cinque proposizioni dottrinali che saranno presto pro-
poste ai Padri in Concilio. In seguito sono state decise le norme per le Commissioni
speciali De revisione, affinché procedano uniformemente sotto la direzione e la revisione
de1la Subcommissione centrale De revisione3 96 •

In realtà il clima è quello chè si è manifestato la mattina nel batti-


becco fra Ottaviani e Suenens:
Questa mattina Ottaviani ha parlato a Suenens. Gli ha detto: «Voi non avete il di-
ritto di fare quello che state facendo. Perché vi recate continuamente dal Papa?». Sue-
nens gli risponde: «Perché anche voi vi recate dal Papa. Inoltre, io sono membro della
presidenza, della Commissione di coordinamento, dei moderatori». Ottaviani se ne va
furioso. Philips commenta: «Ottaviani vuole ottenere dalla Commissione un voto che di-
chiari che i moderatori hanno oltrepassato i loro diritti. Se si chiede un voto segreto, la
Commissione si dichiarerà contro Ottaviani: se il voto sarà pubblico, la Commissione
non oserà votare conto di lui>>397.

Nella riunione - nella quale Philips gioca la carta della votazione


delle sottocommissioni per la revisione - sono esaminati due distinti do-
cumenti398: uno contiene VI propositiones, ciclostilate dalla commissione

395 F Colombo, Notes Comm. Doctr., ms. Cfr. Ottaviani a Felici, 28 ottobre 1963,
AD VI/2, p. 400.
396 «Die sequenti 29 Octobris in Sessione sexta plenaria Commissionis definitivo
probata est nova formula qualificationis dogmaticae cum 17 ex 24 votis. Actum est insu-
per de quinque propositionibus doctrinalibus, Patribus in Concilio mox proponendis.
Tandem statutae sunt normae pro Commissionibus specialibus De revùione, ut uniformi-
ter procederent sub directione et revisione Subcommissionis de Revisione centralis».
TROMP, Relatio, cit.
397 «Ce matin Ottaviani a parlé à Suenens. Il lui a dit "Vous n'avez pas le droit de
faire ce que vous faites. Pourquoi allez-vous sans cesse chez le Pape?' Suenens lui
1

répond: 41Parce que vous aussi vous allez chez le Pape. Ensuite, je suis membre de la
Présidence, de la Commission de Coordination, des Modérateurs,,. Ottaviani s en va fu 1

rieux. Philips commente: "Ottaviani veut obtenir de la Commission un vote déclarant


que les Moderateurs ont outrepassé leurs droits. Si on demande un vote secret, la Com
mission se déclare contre Ottaviani: si ce vote est pub1ic la Commission n'osera pas vo-
ter contre lui »>. F Moeller, 0016, p. 36, in ANTONELLI, Le role, cit., pp. 36 37.
1

398 Una nota dice che vengono discussi il 28, il che mi pare senz altro una svista
1
116 IL CONCILIO ADULTO

e d'autore ignoto, ma di tenore «Sirianiste extreme»399 ; esse sono figlie


del sospetto avanzato nella riunione dei cardinali del 23 ottobre, che
cioè i voti «attirino» ipso facto consensi. Era solo l'estrema versione di
quel pregiudizio che aveva sostenuto l'immensa e inutile macchina pre-
paratoria: i vescovi non pensano, i vescovi approveranno. In questa logi-
ca la presidenza della dottrinale vorrebbe chiedere all'aula di votare: I)
una de/initio Ecclesiae (che omette sia il mistero che il sacramento) 400 e
cinque proposizioni; II) sull'episcopato come supremo grado dell'ordi-
ne401; III) sulla potestà del collegio dei vescovi che succede «agli Aposto-
li» (e non al collegio degli apostoli)402 ; IV) sulla consacrazione episcopa-
le, nella quale si comunica una potestas, esercitabile ad nutum del papa,
ma non la iurisdictio403 ; V) sulla restaurazione del diaconato celibatario
(salvo eccezioni, nelle quali è però compresa quella del matrimonio dopo
l' ordinazione)404 ; VI) sulla valorizzazione del sacerdozio dei fedeli laici

dattilografica. Per la paziente strategia di Philips, cfr. JPrg (B)J pp. 2-3: quando effetti
vamente i quesiti alternativi ·cadono «on put alors procedér à la constitution des fameu-
ses sous-commissions dont le projet avait été fait au collège [scii. Beige] par Mgr Philips,
Moeller et moi-meme [scii. Prignon]».
399 Così JPrg (B), p. 2. Una nota di Colombo indicherebbe Parente come autore: è
possibile che sia una impressione confortata dal fatto che Parente chiede una pausa po
sto che il voto «dilatum est»; di contro Charue protesta «scio quod cito veniet»; a parte
la conferma de1la nota posizione a favore della co1legialitàJ non ha apporti specifici n
pur pregevole strumento di M. DI RUBERTO, Bibliografia del cardinale Pietro Parente,
pres. di J. RATZINGER, Città del Vaticano 1991.
400 P.052.12: intitolato «De Ecdesia I VI propositiones» e repertoriato «CFMJ De
Ecci. Vota 2»: la prima proposizione è la seguente: «I (definitio ecdesiae). Christus Re
demptor, ad opus suum salvificum usque in saeculorum finem perennandum, ecdesiam
tamquam corpus suum mysticum constituitJ mysterium Verbi incarnati in se reproducen-
tem, compagine hierarchica instructam atque vita supernaturali ditatamJ ut mediantibus
sacramentis, magisterio ac legum _disciplina, ad animarum salutem satageret, Regnum Dei
in munda provehendo ad Populum Dei glorificatorem formandum et indesinenter au-
gendum».
401 «II. Docet sancta synodus episcopatum esse supremum sacramenti ordinis gra-
dus, cum suo proprio charactere».
402 «III. Sancta tectaque doctrina de Romani Pontificis primatu et infallibilitate a
concilio Vaticano I sollemniter definita, docemus corpus seu collegium episcoporum, qui
apostolis in munere docendi, regendi et sanctificandi succedunt, simul cum Romano Pan
tifice capite ac eius nutui subiectum, pollere potestate in ecclesiam universam, eius tamen
exercitium ab ipso Romano Pontifice sive directe, sive indirecte semper dependet».
403 <<lV. Item s. synodus tenet ac docet singulos episcopos, vi suae legitimae conse
crationis, in collegium episcopale inseri ideoque idonea constitui subiecta potestatis ec-
clesiaeJ quae, ut supra dictum est, nonnisi in communione et ad nutum romani Pontifi
cis exerceri potest».
404 «V. Censet s. synodus diaconatum permanentem, attento antiquissimo more) re-
staurari passe iuxta regionum conditiones necessitatesqueJ ita tamen ut singuli diaconi
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 117

come collaboratori della gerarchia nella santificazione del mondo405 •


L'altro documento (datato 28, alle 16,30) discusso e approvato, propone
tre soli quesiti ed una formula redatte pure «da alcuni membri della
commissione»406 • Queste ultime vengono inviate da Ottaviani prima del-
la riunione407 , e una volta approvate vengono poi recapitate a Felici, in
ritardo rispetto a quelle dei moderatori408 •
Il testo della formula finale non è altro che l'antecedente immediato
della formula proposta da Siri a Suenens il venerdì precedente409: esso
accoglie la definizione della potestas del collegio sulla chiesa universale
come «plena et suprema», ma introduce un significativo ritocco, laddove
limita l'esercizio del potere del collegio a modalità consuete410 •
Le tre domande d'accompagnamento sono importanti perché attra-
verso almeno due di esse si vorrebbe (o si pensa di poter) ottenere dal-
1' aula l'avallo al recupero di tratti dello schema preparatorio caduto a

coelibatus legi per se subiecti maneant. Exceptiones, praesertim si agatur de viro uxora
to qui ad diaconatum contendit, fieri poterunt, de sententia Conferentiarum episcopa-
lium, quae tamen s. Sedis iudicio subordinanda sunt».
405 «VI. Christifideles laici, qui vi sacramentalis characteris baptismi et confirmatio
nis Christo sacerdoti quodammodo configurantur ita ut cuiusdam universalis sacerdotii
participes fiant, dignum locum ac munus obtinent in ecclesia Christi, sive ad collaboran
dum cum hierarchia sive ad propria sponte ac responsa bilitate operandum in mundi
sanctificatione, tum communis gratiae, tum sic Deo largiente, peculiarium charismatum
ope».
406 AS V/l, p. 739 : : : P.052.14. Secondo un quaderno di Colombo (F Colombo,
bloc notes), sarebbe di Parente.
407 AS V/l, p. 738: «Oggi [... ] si esamineranno alcune formule compilate da alcuni
membri della commissione stessa». Ottaviani precisa anche che «di ciò è stato prevenuto
il s. Padre»: ma non si capisce precisamente se intenda dire che il papa è informato del-
1'attivarsi della commissione, de1la riunione, o del desiderio della commissione di vedersi
riconosciuta la competenza in tema di formulazione dei testi.
408 Lo stesso 29 ottobre Felici assicura Ottaviani che «nella riunione di questa sera,
se mi si darà l'occasione, mi farò dovere di comunicare la richiesta di v. em. agli em.mi
Padri del Consiglio di presidenza ed agli em.mi moderatori del concilio», AS V/2, p. 13.
409 AS V/l, p. 739 e P.052.14: «Formula. Corpus Episcoporum, qui iure divino
sunt Apostolorum successores in munere evangelizandi, sanctificandi et regendi dominici
gregis, cum, una cum Capite suo Romano Pontifice (et numquam sine eo capite, cuius
integra remanet plenitudo potestatis in omnes [et singulos] et pastores et fideles) legiti
mis et consuetù condicionibus conveniunt, [vel alio modo a romano Ponti/ice iis collegia
liter aliqua res decidenda committitur], piena et suprema potestate in universa ecclesia
pollent». Solitamente i ciclostilati de1la commissione, così come AS, usano il corsivo fra
quadre per indicare le modifiche introdotte nel dibattito. Quindi il testo di lavoro de1la
formula di commissione sarebbe anteriore alla formula Siri ...
410 Forse si tratta di un ritorno rispetto alle correzioni di Tromp di cui solo l'edito
re di AS conosce la consistenza? Così la nota in AS V/1, p. 736 n. 1 (V. Carbone).
118 IL CONCILIO ADULTO

inizio anno 411 • Un primo voto, infatti, chiede se i padri vogliano «dichia-
rare che desiderano la definizione» della coerenza fra indole visibile/ so-
ciale ed indole mistica/invisibile della chiesa412 ; un secondo voto in due
distinte domande chiede la definizione della chiesa come società istituita
a costituire il corpo mistico413 ; la terza questione rappresenta una versio-
ne ulteriormente diminuita della formula sulla collegialità, che la qualifi-
ca come potestà suprema (ma non piena) attivata solo dall'invito dal
papa ad un atto collegiale che lo stesso papa potrà poi liberamente ap-
provare o meno414 •

55. La scelta e le votazioni

Finalmente, tredici giorni dopo il primo annuncio, il 28 ottobre,


vengono consegnate a Felici due redazioni delle proposte di quesiti: alle
10,30 quella dei moderatori, sulla quale ci sono correzioni di mano pa-
pale; successivamente arrivano quelle di Ottaviani, che vengono accanto-
nate, apparentemente415 dallo stesso segretario generale. Felici fa stampa-
re quelle dei moderatori perché esibite «cum approbatione Summi Pon-
tificis», data in via definitiva la sera del 27 416 .
Il pomeriggio del 29 si torna a riunire la «supercommissione» che
raduna presidenza, moderatori e segreteria; il luogo è sempre l'apparta-
mento del segretario di Stato417 • Felici - come aveva promesso ad Otta-
viani - informa delle richieste della commissione dottrinale; ma, essen-
dosi ormai consumato il ritardo nella consegna delle proposte di Otta-

411 AS V /1, p. 739.


412 «De Ecclesia I (Votum): I. Utrum placeat patribus declarare, suum esse deside
rium, ut detur definitio vel descriptio ecclesiae, in qua dare appareat, quomodo indoles
socialis et visibilis atque indoles mystica et invisibilis ecclesiae harmonice ex divina con-
sti tu tione cohaeren t ?».
413 «De Ecclesia II (Vota): II. Utrum placeat patribus declarare, ecclesiam esse so-
cietate fidelium baptizatorum a Christo Domino ad sanctificandos homines institutam,
potestate sacra ab ipso instructam, et corpus eius mysticum constituentem?».
414 «III. Utrum placeat patribus declarare collegium episcoporum sub romano Pon-
tifice et ipsi coniunctum, gaudere in ecclesia suprema potestate, quando ab eo invitantur
ad actum collegiale ponendum ab ipso libere approbandum?». Si tratta del tipo di colle-
gialità alla quale s'adatta la normativa vigente sul sinodo dei vescovi, su cui cfr. i contri
buti del colloquio, Paolo VI e la Collegialità episcopale, cit.
415 AS V/l, p. 739.
416 Cfr. Ldc, 28 ottobre 1963, p. 196: «Ieri sera [ ... ] si ebbe, i 4, un'altra riunione
col-s. Padre e i famosi quesiti furono definitivamente varati».
417 Sono assenti Tappouni e Lercaro.
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 119

viani ed avendo i moderatori esibito un dattiloscritto con note autografe


del papa (e quindi la sua inequivoca approvazione) Felici corregge il te-
nore della istanza del cardinale del s. Uffizio418 , e chiede semplicemente
«di rinviare» ulteriormente il voto419 • ·
Tisserant, che ancora una volta tiene saldamente la presidenza, do-
manda ai moderatori se intendono procedere alla votazione: Dopfner e
Suenens rispondono subito di sì, ma anche Confalonieri interviene e ac-
consente: «si devono evitare le confusioni e queste nascerebbero con un
rinvio della votazione. Quindi l' em.mo Ottaviani accetti la decisione
presa». Gli interventi di Ruffini, Roberti e Siri non spostano la maggio-
ranza; essi, spalleggiati da Cicognani, Spellman, Wyszynski, votano per il
rinvio, mentre tutti gli altri420 approvano la messa ai voti dei quesiti.
La pagellina distribuita l'indomani ai padri porta finalmente alla luce
il testo definitivo dei 5 quesiti che da due settimane restava sotto il pelo
dell'acqua conciliare421 . Il 29, mentre viene distribuito ai padri questo
testo per le votazioni esce su «Il Quotidiano», fogli o vicino ad Ottavia-
ni, un lungo articolo di mons. Staffa, che attacca a fondo le posizioni
sulla collegialità e che suona come la presa ,di posizion-e della ecclesiolo-
gia curiale in vista del voto dell'indomani. E una mossa abile e di gran-
de impatto, perché in tema di collegialità i vescovi, e perfino il papa,
sono ancora alle prime armi concettuali: chi può dire che il «corso in-
tensivo» (e le crisi) dell'ottobre non abbiano convinto i vescovi a giudi-
care il tema immaturo? Chi può dire che i voti, spostati di due settima-
ne, non siano un grande boomerang che, come temeva Dossetti la sera
del 15, «pregiudica», ma negativamente, gli sviluppi dottrinali? 422
Contro Staff a, però, interviene Colombo con un lungo e coraggioso
appunto dattiloscritto di quattro pagine che - secondo una nota mano-
scritta apposta da Dossetti sulla propria copia - va da «don C. Colom-
bo al Papa»423 . Il teologo milanese - che era rimasto un po' ai margini
della vorticosa serie di redazioni delle questioni, dopo aver preso parte
alla primissima verifica della bozza Dossetti - confuta tre punti qualifi-
canti dell'articolo, e propone una quarta digressione sullo schema De ec-
clesia di Kleutgen al Vaticano I. In primo luogo Colombo contesta che

41 8 Che aveva informato sulla formulazione dei nuovi quesiti, AS V/1, p. 738 già cit.
419 AS V/2, pp. 14-15.
4 20 Agagianian, Dopfner, Suenens, poi Tisserant, Confalonieri, Alfrink, Frings, Cag
giano, Gilroy, Urbani.
421 AS II/2, pp. 573-577.
4 22 Anche Edelby che 1'8 ottobre prevedeva l'approvazione della collegialità «al-
l'unanimità», il 30 mattina ha qualche timore, cfr. JEdb, ad diem, ed. it. pp. 191 192.
423 F Dossetti, 126c.
120 IL CONCILIO ADULTO

si possa concepire tanto il collegio che il corpo dei vescovi «secondo ca-
tegorie strettamente giuridiche ricavate dal diritto positivo profano; inve-
ce, trattandosi di una istituzione positiva divina, le sue caratteristiche
sono da ricavare dal dato rivelato, biblico e tradizionale». Inoltre Co-
lombo nega che si possa contrapporre collegio e pontefice; e in terzo
luogo mostra come Staffa, affermando una potestà al tempo stesso su-
prema e delegata, dimentichi che è possibile distinguere l'origine di un
potere e le sue modalità d'esercizio:
è perfettamente pensabile invece che il Romano Pontefice determini le condizioni di
esercizio del potere, ma il potere stesso sia d'origine divina (in modo analogo a quanto
avviene per la determinazione delle condizioni di validità dei Sacramenti da parte del
Romano Pontefice)424.

La seconda parte dell'appunto contesta il modo in cui Staffa legge


lo schema di Kleutgen per la mai discussa Constz'tutio De ecclesia II, del
Vaticano I: Kleutgen, mostra Colombo, usa in parallelo collegium apo-
stolorum e co1pus epz'scoporum, e nega che quest'ultimo possa esercitare
una autorità nella chiesa «se non per l'unione con e la determinazione
del romano Pontefice. Tuttavia lo stesso teologo nella sua relazione
esplicativa dichiara che la prassi conciliare enuncia "per se dogma fidei
certissimum,, che i vescovi hanno parte al governo e all'insegnamento
della chiesa universale»425 .
Le carte conciliari di Carlo Colombo non dicono se l'appunto fu
sollecitato da Paolo VI, né se esso ebbe il compito di disinnescare ri-
pensamenti dell'ultimo momento426 : la votazione in aula del 29 ottobre
sulle due proposte alternative riguardanti la collocazione del De beata
all'interno o all'esterno dello schema ecclesiologico aveva costituito un
momento lacerante e non aveva certo dato l'impressione di una maggio-
ranza solida e serena. L'eventualità era presente da almeno una settima-
na ai moderatori i quali avevano voluto chiarire che per l'approvazione
di questi orientamenti non servivano i 2/3 dei consensi, ma era suffi-
ciente raggiungere la maggioranza semplice: le obiezioni di Staffa - lo
dice la sede scelta - avevano come obiettivo di ridimensionare il consen-
so che i moderatori s'apprestavano a raccogliere; le risposte di Colom-

424 F Dossetti, 247.


425 Sul tema era in circolazione pro manuscripto una sintesi ciclostilata della mono-
grafia di G. ALBERIGO, Lo sviluppo della dottrina sui poteri nella chiesa universale. Mo-
menti essenziali tra il XVI ed il XIX secolo, Roma 1964.
426 Non sono per ora versate in F Colombo le note delle udienze di C. Colombo
presso il papa~ l'Istituto Paolo VI di Brescia, non ha inventari delle carte personali del
papa conservate nel suo archivio accessibili agli studiosi.
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 121

bo, d'altro canto, confermano che nel gruppo di redazione dei quesiti,
pur squassato dagli attacchi, si sente unanime l'esigenza di reagire nel
merito delle questioni.
Il 3 O, mentre modera per turno Lercaro, vengono raccolti e conteg-
giati i voti sulle questioni427 • I consensi sono enormi e oscillano fra il
98% ed il 74 % dei votanti; i padri votano punto per punto e si sottrag-
gono alla logica concatenante delle domande. L'argomento che una po-
testà piena e suprema (III) non può che fondarsi nel diritto divino (IV)
registra una oscillazione di 72 voti; sul diaconato, proposto in una for-
mula più restrittiva di quella elaborata dalla commissione teologica (nel-
la quale come si ricorderà rimaneva, a titolo d'eccezione, il celibato tem-
poraneo), è quello che registra qualche resistenza maggiore, comunque
distante 540 voti dal quorum necessario per respingere la restaurazione
del terzo grado dell' ordine428 •

6. E adesso? Le inquietudini latenti

Il passaggio alla discussione sul De episcopis e le ultime votazioni sul


De liturgia non cancellano il senso di un passaggio drammatico e vitale
del Vaticano II: quando il papa riceve i moderatori e li accoglie dicendo
«abbiamo vinto!» non usa solo un plurale maiestatico429 • L'idea della
estate di sbloccare il concilio sostenendone la maggioranza - lasciandole
il tempo di maturare, ma anche sottraendole quello di cincischiare - si è
rivelata non solo vincente, ma solidamente vincente: se si confronta il

427 Al momento della votazione il card. Bacci s'era recato al tavolo dei moderatori
per chiedere che si annunciasse la correzione del testo per dire ius primatus e non pri-
mattale, come invece recitava la pagella di voto; non gli venne concessa la parola, cfr.
CAPRILE, Il, p. 169.

428 Quesito Votanti Placet % Non Placet % Nulli

I - grado supr. 2.157 2.123 98,42 34 1,58 o


II - cons. ep. 2.154 2.049 95,13 104 4,83 1
III - succ. collegio 2.148 1.808 84,17 336 15,64 4
IV - iure divino 2.138 1.717 80,31 408 19,08 13
V - diaconato 2.120 1.588 74,91 525 24,76 7

L'analisi dei flussi di voti sulle diverse questioni è al momento impossibile, e può
dare interessanti sorprese: sappiamo dal «Bollettino diocesano di Segni», novembre
1963, ad es. che Cadi, uno di coloro che non mancherà di mostrare una forte opposi-
zione alle decisioni sulla collegialità, vota a favore del 1°, 2° e 5., quesito mentre oppone
il suo non placet sul 3° e 4°, cfr. CAPRILE, II p. 264.
429 D Chenu, p. 144.
122 IL CONCILIO ADULTO

voto sulla collocazione del De beata con le votazioni sulle proposizioni


schizzate da Dossetti ci si rende conto di come il dibattito abbia fatto
crescere la consapevolezza e le scelte.
Pur non capendo tutto, pur affidandosi più alla letteratura grigia ed
alle conversazioni pomeridiane, pur dipendendo dalle cronache dei gior-
nalisti, i padri conciliari sono cresciuti nelle loro convinzioni e consape-
volezze in quell'ottobre 1963 di discussioni e di scambio: si riconoscono
non come maggioranza, ma sui contenuti, ed hanno dato ai moderatori
quella investitura che il papa aveva esitato a formalizzare nel mese di
settembre.
Anche il proposito estivo di Paolo VI di oblare se stesso alla solitu-
dine del potere è solo un ricordo: il papa non è stato «su una guglia»,
ma è stato al centro del concilio, immerso nelle tensioni di una inedita
tripolarità (concilio/moderatori, curia/segreteria di Stato, papa) della
quale nessuno aveva esperienza. Giovanni XXIII si era tenuto su un lato
dello scenario conciliare, aveva collocato al centro l'assemblea e la sua
libertà, e aveva lasciato le commissioni sull'altro estremo dello spazio
d'azione; Paolo VI, invece, ha saldamente preso il centro della scena,
mettendosi a far da filtro fra l'aula e le commissioni. Ancora non sa che
questo è anche un ruolo di cuscinetto che può diventare onerosissimo.
Chi vuol ferire e denigrare Paolo VI dice che nel prendere questo ruolo,
nel lasciare correre la macchina conciliare il papa si impaurisce430 ; in as-
senza di un materiale documentario di prima mano è impossibile dire se
una «sindrome di Pirro» possa essere esclusa. I contatti dell'estate, le
proposte sentite e raccolte nel corso dell'autunno puntavano ad accele-
rare il lavoro conciliare manipolando l'agenda: è ancora la soluzione
adottata dalla commissione centrale quando opera la prima riduzione
degli schemi. La elaborazione ecclesiologica d'ottobre, e i voti del 30,
mostrano che il problema è piuttosto che il concilio si esprima, che le
commissioni lavorino e che il loro prodotto sia subordinato alle scelte
della maggioranza dell'assemblea, maggioranza che può ra,ggiungere
quote non ambigue, se e quando messa in grado di capire. E qui che
nasce la difficoltà nuova e propria di Montini e della sua gestione conci-
liare: non star solo a decidere, ma decidere senza farsi condizionare dal-
la più chiassosa delle parti in causa.
Esula dalla ricostruzione storica il compito di dire come e qualmente
abbia influito sullo sviluppo del concilio la qualità teologica del passag-

L'anonimo polemista SERAFIAN, Da Giovanni XXIII a Paolo VI, cit., apparente


430
mente buon conoscitore della personalità di Montini, descrive l'ottobre 1963 come il
passaggio decisivo e involutivo del pontificato.
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 123

gio compiuto: eppure il senso ecclesiologico della votazione non è rima-


sto privo di efficacia fattuale. Dal punto di vista dottrinale, infatti, la vo-
tazione acquisisce alcuni dei punti qualificanti della costituzione dogma-
tica, che ormai inizia a prendere forma compiuta. In parte si tratta di
scelte importanti, ma anche meno dirompenti: le problematiche delle
prime questioni generali toccavano il vescovo nella sua singolarità e ri-
conoscevano al fon do la fondatezza di una tradizione che ridiventava
patrimonio consapevole del cattolicesimo (ma dal quale non si passava
ad una considerazione sulla chiesa locale); il diaconato veniva restaurato
in una ottica ancora informe, dove si mescolavano bisogni e concezioni
disparate, ma il voto apprezzabile soprattutto per la scelta che faceva di
affidare nel futuro alle conferenze episcopali la gestione non solo di ag-
giornamenti liturgici, ma anche di processi istituzionali del governo pa -
storale. Diverso era il problema della collegialità. La votazione guada-
gnava una categoria e ne riconosceva il carattere dirimente. Altri para-
grafi della costituzione - quello su chiesa di Cristo e chiesa cattolica,
quello sul sensus /idei e lo Spirito - erano e sarebbero diventati sempre
più qualificanti: ma la votazione sul potere pieno e supremo, non com-
primibile da alcuna ragione perché di diritto divino, consegnava alla co-
stituzione e al concilio un risultato straordinario: la scommessa di Gio-
vanni XXIII del concilio come Pentecoste, come sede di espressione
della indole pastorale della verità cristiana, era apparsa spesso azzardo o
ingenuità. La convergenza dei vescovi sulla affermazione della collegiali-
tà finalmente dava un senso al cammino percorso: il concilio acquisiva
una nuova «parola» con la quale esprimere una dimensione fondamenta-
le della esperienza della chiesa, talmente fondamentale che vi sarà chi,
come Congar, non esiterà a metterla in parallelo con la «scoperta» nei
grandi concili del passato, della consustanzialità, del titolo di Theotokos,
della transubstanziazione. Al tempo stesso - a differenza del Vaticano I
- non si trattava di una vittoria di una lobby, che era stata capace di far
passare una propria fissazione: era stata invece l'esperienza stessa della
sinodalità a mostrare ai vescovi questo dato dell'essere della chiesa: non
solo, quindi, una comunione nel magistero, ma anche un magistero della
comunione al quale una maggioranza larghissima dell'episcopato voleva
dare ascolto. Pur senza sapere come articolarne la realizzazione, i vesco-
vi danno il loro placet ad un modo d'essere di cui ignorano gli sviluppi,
ma di cui riconoscono la «verità»: è questo - questa «pastoralità»? -
che rende così sensibili alcuni settori del concilio a questo problema,
che in fon do poteva essere limitato nei suoi effetti (come poi accadrà
con la costituzione del sinodo dei vescovi). La «collegialità» non era af-
fatto il nemico dello schema ecclesiologico preparatorio: chi volesse cer-
care di indovinare i punti di contrasto fra i sostenitori di quello schema
124 IL CONCILIO ADULTO

e la Lumen gentium prescindendo dall'evento conciliare sarebbe indotto


a credere che l'anteposizione del capitolo sul popolo di Dio, la defini-
zione della chiesa come sacramento o i paragrafi sul magistero siano
quelli contro i quali si sarebbe dovuta appuntare la opposizione. La lun-
ga e faticosa procedura delle proposizioni - comprensibilmente - crea
una coscienza conciliare e le corrispettive allergizzazioni: dal 30 ottobre
in poi collegialità e Vaticano II sono sinonimi, e mettere in discussione
la prima è solo una fattispecie del boicottaggio dell'altro.

7. Le sottocommissioni per lo schema De ecclesia

Al di là della fase di dibattito iniziava per il De ecclesia un lungo la-


voro di rielaborazione che può essere qui utilmente anticipata. Una pri-
ma fase di tale lavoro si sarebbe sviluppata fra il mese di ottobre ed i
primi di dicembre: il 2 dicembre, infatti, la commissione dottrinale (nel-
la quale s'erano frattanto inseriti A. Ancel, J. Heuschen, Ch. Butler e L.
Hendquez Jiménez, eletti dai padri e A. Poma, di nomina papale) 431 fu
autorizzata ad eleggere un secondo vicepresidente ed un secondo segre-
tario da affiancare a Browne e Tromp, nominati nei rispettivi ruoli fin
dalla fase preparatoria. Vennero scelti Charue, vescovo di Namur, e
come secondo segretario, Philips, la cui funzione diventava finalmente
formale, dopo che aveva assunto, specie nel lavoro di revisione, un rilie-
vo straordinario432 •
Infatti, incassato il voto del 1° ottobre che accettava lo schema Philips
come base di lavoro, venne costituita una sottocommissione ad hoc, che
già dal 2 ottobre iniziò a prendere in esame le richieste di modifica -
che l'assemblea veniva esprimendo durante il dibattito. La prudente me-
diazione di Philips, che di quella sottocommissione per il De ecclesia era
arbitro, ottenne nella seduta della commissione dottrinale del 23 ottobre
che le numerosissime richieste dei padri venissero vagliate da appositi
sottocomitati della «sua» sottocommissione. Tale strumento garantiva
che, nella incertezza sul destino delle 5 proposizioni su episcopato, col-
legialità e diaconato, eventuali sconfitte si tramutassero in catastrofi433 .

431 CAPRILE, III, pp. 317-319. Cfr. Commissioni Concilian', 311 ed., pp. 23-25.
432 Cfr. J. GROOTAERS, Le r&e de Mgr. G. Philips à Vatican Il, pp. 343-380.
433 Così il 25 ottobre la sottocommissione sulla chiesa nelle fonti designata come
subcommissio centralù de revisione elaborò una proposta di articolazione in sette sotto-
commissioni specifiche, approvata dalla plenaria della dottrinale il 28. Ad esse vennero
poi assegnati vari periti - e, dopo il voto del 29 ottobre, venne creato un ottavo gruppo
che si sarebbe occupato del capitolo De beata. RT, 1 oct. 1963 1 apr. 1964, p. 3.
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 125

Una prima fase di questa revisione per sezioni occupò il mese di novem-
bre ed i primi di dicembre e passò al vaglio del centro de revùione nelle
riunioni del 13 e 30 novembre 1963 e poi del 31 gennaio 1964; da lì sa-
rebbe passata alla commissione plenaria ed infine all'esame del coordi-
namento e poi inviata ai padri in vista della nuova discussione in aula.
Nelle sottocommissioni che lavorarono tutte dopo i voti del 30 ottobre
(cfr. tavola I, pagina seguente) i compiti vennero ulteriormente suddivisi
ed affidati in prima battuta a singoli o a gruppi piccolissimi di periti,
con qualche oscillazione e rimescolamento nello svolgimento dei diversi
compiti: al di sopra fungeva da supervisore attivo Philips.
L'introduzione ed il capitolo I, sul mistero della chiesa, vennero rivi-
sti senza troppi problemi: Charue che dirigeva questo primo sottocomita-
to, lo dotò d'un piccolo ceto di periti (che fece presiedere a Cerfaux).
Charue dispose così che l'esame delle osservazioni alla espressione «de
fundamento super Apostolorum» venissero vagliate da Garofalo; Rigaux
esaminò le questioni sulla povertà; Cerfaux, ma anche Rigaux e Castelli-
no, il capitolo sul regno di Dio e le immagini della chiesa; a Fenton toccò
la questione della chiesa «sacramento» che tanto lo angosciava e a Castel-
lino il De mysterio. Solo in questa fase vennero esaminati anche i voti·
mandati dai vescovi a ridosso della apertura del secondo periodo e dei
quali nessuno aveva tenuto conto 434 . Oltre ai membri lavorarono alla f or-
mulazione di qualche passaggio critico anche altri: così i verbali ci dicono
che la formula di Garofalo sul fondamento della chiesa «su Pietro e sui
Dodici apostoli», passa con la esplicita approvazione di Philips che inter-
viene ai lavori; sullo snodo fra chiesa e regno di Dio, che rompeva il
drammatico blocco suggerito dalla Mystici corporis, è registrato un appor-
to di Daniélou. Un paragrafo sulla povertà - che doveva far posto alle
raccomandazioni di Lercaro, Ancel ed Himmer - venne presentato alla
sottocommissione da Rigaux, pur essendo stato materialmente redatto da
J. Dupont435 . Le prevedibili preoccupazioni di Fenton sulla definizione
della chiesa come sacramento vennero tamponate da una serie di inter-
venti dello stesso Philips in sottocommissione436 . 18 pagine di testo cor-
retto e di relazione sugli emendamenti vennero così trasmesse alla com-
missione de revisione (e messe a disposizione della dottrinale) che appro-
vò il risultato raggiunto nelle sessioni del 18, 25 e 26 novembre 1963 437 .

434 F-Charue, Subcommissio theologica L sessio I, pp. 1-2.


435 Il verbale in F-Charue, cit., sessio W.
436 Una relazione di 2 cartelle di Castellino chiariva senso e limiti della espressione.
43 7 La sottocommissione per il capitolo I era composta da A. Charue, J. van
Dodewaard e G. Pelletier, assistiti dai periti Garofalo, Rigaux, Kerrigan, Daniélou e Ca-
stellino.
Sottocommissioni per lo schema De ecclesia

Temi Sedute Padri Periti

De mysterio et revidendis textibus biblicis 5 in nov. Charue, Pelletier, van Dodewaard Cerfaux, Fenton, Garofalo, Castellino,
e poi Heuschen Rigaux
De populo Dei 8 m nov. e 1 in clic. Santos, Garrone, Dearden, Griffiths Congar, Wilte, Reuter, Kerrigan, Nau-
de e Lafortune
De institutione et sacramento Episcopatus 6 m nov. Konig, Barbado, Doumith Ciappi, D'Ercole, Lécuyer, Xiberta,
Turrado
De presbyteris et diaconis 1 m ott. e 6 m nov. Scherer, Roy, Franié Grillmeier, Trapé, Kloppenburg, Lam-
bert, Rodhain, Smulders
De collegialitate episcoporum 2 m nov. Parente, Florit, Schroffer, Volk Salaverri, Betti, Rahner, Ratzinger, Co-
e poi Heuschen, Henriquez lombo, Dhanis, Thils, Maccarrone,
Gagnebet, D'Ercole, Lambruschini,
Moeller, Schauf e Smulders
De laicis 2 m nov. Spanedda, McGrath Delhaye, Haring, Hirschmann, Klo-
stermann, Lafortune, Tucd ed i laici
Habitch, Sugranyes, Vasquez
De sanctitate et religiosis 1 m clic. Seper, Gut, Femandez op, Butler osb Thils, Laurentin, Bouyer, Lio, Philip-
pon e Labourdette
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 127

Una più ampia relazione di 31 pagine di B. Rigaux accompagnerà il testo


alla dottrinale nella forma della expensia madarum.
La redazione del capitolo sul popolo di Dio fu affidata alla II sotto-
commissione, formata da R. Santos, G. Garrone, J. Dearden e J. Grif-
fiths, assistiti dai periti Congar, Kerrigan, Naud (e Lafortune), Reuter,
Sauras e \~itte. Questi ultimi due confezionarono un'ampia relazione di
40 cartelle, trasmessa per il solito iter a fine novembre. Il nuovo capito-
lo era chiamato ad occuparsi principalment~ del sacerdozio dei fedeli,
del sensus /idei di tutta la chiesa, dei carismi, dell'unione con i non cat-
tolici e del carattere missionario della comunità cristiana. Il suo testo
avrebbe dovuto risultare dall'accorpamento del n. 24 del capitolo IV
con i nn 8, 9 e 1O del capitolo I del secondo schema, oltre che da alcu-
ne proposte del card. Suenens. Questa sottocommissione tenne una fitta
serie di riunioni a novembre e agli inizi di dicembre del 1963 e poi ri-
prese il lavoro fra la fine di gennaio e gli inizi di febbraio 1964. In esse
si cercò soprattutto di rielaborare il testo dello schema già discusso
estraendo brani dal capitolo I e in particolare dal capitolo IV - come si
è detto - dato che in quest'ultimo, insieme alla dottrina dei laici in par-
ticolare, era stata esposta anche quella del popolo di Dio in generale.
Due erano i punti di maggior rilievo: da un lato il capitolo sul popolo
di Dio permetteva di guardare alla chiesa nella sua totalità e di indicare
la missione dei pastori nella ricerca dei mezzi di grazia per i f edeli438 •
Dall'altro, per quanto riguarda il sacerdozio comune (n. 10) venne affer-
mata l'esistenza del sacerdozio universale contro talune petizioni volte
ad abolire o modificare sostanzialmente tale affermazione. Alcuni padri
avevano insistito perché fosse conservata l'espressione «essentia et non
gradu tantum differunt», ed affinché si specificasse che tale differenza
d'essenza consisteva nella patestas affidata al sacerdozio ministeriale per
formare e dirigere il popolo sacerdotale439 • Inoltre il capitolo De papula
permetteva di realizzare quella prospettiva storico-salvifica che sembrava
necessaria dopo i decenni di egemonia della sociologia del corpo mistico
come realtà sociale. In questa fase l'effetto che tale capitolo avrebbe
avuto sulla sistematica della Lumen gentium non è sentito come un ele-
mento delicato. Delicata fu invece l'analisi del n. 12: «De sensu fidei et
charismatibus in populo christiano». Divenne infatti evidente che questo
capitolo rappresentava un punto nevralgico nell'insieme dello schema,
nel valorizzare l'indefettibilità della chiesa come attributo di tutto il po-

4 38 Così scriveva esplicitamente Congar in quei giorni, Ecclesia mater, in «La vie
spirituelle», marzo 1964, pp. 324-325.
439 AS Il/l, p. 331, nn. 28 29.
128 IL CONCILIO ADULTO

polo in un consenso universale: la scelta di conservare il testo non fu


esente da obiezioni e la sottocommissione introdusse una menzione del
ruolo del magistero ben più sfumata di quella che volevano i restaurato-
ri dello schema preparatorio; là, infatti, si descriveva l'indefettibilità
come una passività condotta dal magistero, qui invece si poneva a sog-
getto il popolo, «sub ductu magisteri».
Fu però il capitolo sulla gerarchia, che da secondo passò ad essere il
terzo, sul quale si concentrò l'attacco della minoranza che ne fece - spe-
cie in relazione alla tematica della collegialità - una bandiera della pro-
pria tendenza ecclesiologica e della propria visione conciliare. Già Phili-
ps, però, nell'impostarne la revisione procedette con molta cautela, ed
affidò a tre distinti gruppi l'esame degli emendamenti ai paragrafi sulla
sacramentalità, su presbiterato e diaconato restaurato, e sulla collegialità.
L'iter si sviluppò in tre differenti fasi: dapprima i lavori della sottocom-
missione, che tra il novembre del 1963 ed il gennaio del 1964 pervenne-
ro ad una formulazione del testo, presentata alla commissione dottrinale;
in seguito si tenne la riunione della commissione dottrinale, dal 6 all'l 1
marzo 1964, in cui furono discussi ed approvati i testi delle sottocom-
missioni; infine, nella sessione della commissione dottrinale svoltasi il 5
e 6 giugno 1964 il capitolo già approvato fu nuovamente esaminato, in
seguito ad un intervento del papa che aveva proposto tredici «suggeri-
menti» al testo440•
La sottocommissione III (F. Konig, F. Barbado e M. Doumith ed i
periti Ciappi, D'Ercole, Lécuyer, Xiberta, Turrado) portò a termine la re-
visione dei numeri che trattavano dell'istituzione degli apostoli, dei vesco-
vi loro successori e della sacramentalità dell'episcopato, nel corso di sei
sessioni, tenute nel mese di novembre. Quando cominciò l'intersessione,
quindi, il testo rielaborato da questa sottocommissione era pronto.
La sottocommissione IV (A. Scherer, M. Roy e F. F ranié, ed i periti
Grillmeier, Trapé, Kloppenburg, Lambert, Rodhain, Smulders), incarica-
ta dei numeri riguardanti i presbiteri ed i diaconi, concluse i suoi lavori
in otto sessioni tenutesi in ottobre e novembre. La principale innovazio-
ne consistette in un maggiore sviluppo della dottrina dei presbiteri: la
sottocommissione pose di nuovo un problema di indice delle materie;
infatti essa desiderava che i due gradi inferiori della gerarchia fossero in-
clusi alla fine del capitolo, ma autonomamente, piuttosto che essere trat-

440 Cfr. U. BETTI, LA dottrina sull'episcopato nel capitolo III della Costituzione dom
matica «Lumen gentium», cit., pp. 190-210, ed in particolare J. GROOTAERS, Primauté et
Collégialité. Le dossier de Gérard Philips sur la Nota Explicativa Praevia («Lumen genti-
um», chap. 111), Leuven 1986.
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 129

tati nel contesto dottrinale dell'episcopato. Prima dell'intersessione, dun-


que, anche questa sottocommissione aveva già terminato il suo compito.
La affollatissima sottocommissione V (P. Parente, E. Florit, J. Schro-
effer, L. Henrfquez Jiménez, J. Heuschen ed i peri ti Salaverri, Betti,
Rahner, Ratzinger, Colombo, D hanis, Thils, Maccarrone, Gagne bet,
D'Ercole, Lambruschini, Moeller, Schauf e ancora Smulders) fu infine
incaricata della revisione dei numeri riguardanti il collegio episcopale e
le tre funzioni dei vescovi di insegnare, santificare e governare; tenne
dieci riunioni piuttosto movimentate, dividendo il lavoro di elaborazione
teologica in varie tranches: Salaverri, Maccarrone, Rahner e Ratzinger la-
vorarono sulla questione specifica della collegialità, mentre Thils e D ha-
nis esaminarono le problematiche più generali sollevate dai padri;
Semmelroth studiò gli interventi sui ministeri del vescovo e sui munera
(con D'Ercole), Betti e Colombo i numeri sul magistero e la sua infalli-
bilità. La turbolenza del dibattito teologico fece sì che solo tre sedute
dell'intero comitato (padri e periti) si siano tenute fra novembre e di-
cembre e che la fase finale di riesame si sia ridotta al periodo fra il 20 e
il 25 gennaio 1964: tuttavia il materiale prodotto e raccolto dal relatore
(Betti) supera le 150 pagine!
I 4 teologi del primo gruppo divisero la questione della collegialità
in otto distinti problemi, dipanati, ·però, per la via di compromessi non
sempre risolutivi. Sull'uso della espressione collegio Maccarrone fu co-
stretto ad ammettere che non v'erano state obiezioni gravi in aula, ma
gli altri accettarono di raccomandare alla commissione dottrinale l'uso
della espressione orda episcopalis, come locutio classica nelle fonti «totius
Medii Aevii» (sic!). Ratzinger stese anche la relazione su ciò che era ne-
cessario per far parte del collegio (nella quale si riconobbe la maggio-
ranza del concilio): sostenne che il fondamento della tradizione liturgica
rendeva preferibile la formula per la quale si fa parte del collegio <<Vi
consecrationis et communionis cum capite». Non fu raggiunta, invece,
l'intesa sulla necessità di ripetere la formula del Vaticano I sul primato
del papa: Salaverri e Maccarrone la avrebbero inserita nel paragrafo sul-
le relazioni fra papa e collegio, mentre Rahner e Ratzinger non aderiro-
no. Rahner stese la relazione sul problema dei requisiti dell'atto collegia-
le, come atto che il papa deve «saltem libere recipere»: il concetto ven-
ne accettato da tutti, anche se si propose di dire che la recezione papale
dell'atto del collegio bisognava f asse chiaramente verificabile («vel de
eius libera acceptatione certe constet»). Sull'azione del collegio disperso
(extra conciliare) Rahner propose che si tenesse lo schema come stava e
tutti consentirono. Sulla natura e lo ius del collegio - le ultime temati-
che discusse - si registrarono i tentativi (di Salaverri sull'una, di Salaver-
ri e Maccarrone sull'altra) di proporre limitazioni serie all'andamento
130 IL CONCILIO ADULTO

del testo: solo la fermezza di Rahner e Ratzinger nell'esporre e sostenere


gli argomenti esposti dai padri a favore dello schema impedì una serie
di piccole mutilazioni. Nell'altro comitato teologico Dhanis e Thils pre-
pararono una breve expensio per spiegare la necessità dei nn. 16-17 nel-
la economia dello schema. Non mostrarono i commenti. Schauf preparò
un votum per chiedere che le relazioni di Maccarrone-Ratzinger-Rahner-
Salaverri venissero modificate e proponessero non di tenere il testo, ma
di correggerlo per limitare ai vescovi residenziali in comunione con
Roma la qualifica di membri del collegio, per negare indole giuridica-
mente efficace agli atti del collegio, e per negare la possibilità di un atto
collegiale fuori dal concilio. Le altre relazioni furono tutte piuttosto fa-
vorevoli al testo: anche Betti preparò una risposta agli interventi dei pa-
dri preoccupati che le affermazioni sulla collegialità mettessero a repen-
taglio le prerogative personali del romano pontefice e mostrò l'indole
collegiale della infallibilità. Colombo, il cui parere è sempre interessante
in sé e per la sua vicinanza a Paolo VI, si limitò a riprendere parecchie
delle richieste di Cantero e di altri vescovi: non una sola volta chiese
una modifica di suo genio.
I padri della sottocommissione introdussero nel paragrafo sulla colle-
gialità i due requisiti indispensabili, in grado diverso, per entrare a fare
parte del collegio episcopale, vale a dire la consacrazione sacramentale e
la comunione con i capi e gli altri membri del collegio; si affermò con
maggiore chiarezza l'uguaglianza di potestà esercitata dal romano ponte-
fice da solo e da tutti i vescovi insieme a lui, affinché non restasse nep-
pure un'ombra di dubbio sull'inferiorità della potestà del papa rispetto
a quella di tutto il collegio e sul fatto che egli non possa esercitarla indi-
pendentemente dall'azione degli altri vescovi; della concessione di tale
potestà da parte di Cristo fu anche fornito il fondamento biblico. Alla
fine del paragrafo dedicato alle relazioni tra i vescovi si fece riferimento
alle relazioni infracollegiali organizzate in forma di patriarcato in Orien-
te ed in forma di conferenze episcopali in Occidente. Nel numero sul
dovere di insegnare si precisò la distinzione tra magistero ordinario e
magistero straordinario, magistero non infallibile e magistero infallibile;
si tentò di spiegare la definizione dell'infallibilità personale del romano
pontefice nel contesto dell'infallibilità di tutta la chiesa. A proposito del
dovere episcopale di santificare furono menzionate le chiese locali nella
espressione ridotta di comunità che celebrano l'eucarestia.
La sottocommissione VI441 cominciò la revisione del capitolo III, di-

Si trattò di una sottocommissione mista, in cui entrarono anche membri della


441
commissione per l'apostolato dei laici. Era formata da J. Wright (presidente), A. Ancel,
J. Schroeffer e M. McGrath, per la commissione dottrinale, e da E. Guano, J. Blomjous,
L'INIZIO DEL SECONDO PERIODO 131

venuto il capitolo IV nella nuova redazione, sul popolo di Dio ed in


particolare sui laici, verso la fine del novembre 1963 e la concluse a Zu-
rigo - alla vigilia della riunione sullo schema XIII nel quale gli stessi
personaggi erano coinvolti - all'inizio del febbraio 1964. Poiché la parte
che trattava del popolo di Dio in generale era stata trasferita al nuovo
capitolo II, la dottrina sui laici si completò ora con due nuovi numeri
sulla partecipazione degli stessi nel sacerdozio universale e alla funzione
profetica di Cristo. Il capitolo IV sui laici - accompagnato dalle relazio-
ni di Haring, Delhaye ed Hirschmann - fu approvato senza difficoltà
nelle riunioni del 1O, 11 e 12 marzo.
La VII sottocommissione442 , incaricata della revisione del capitolo IV
sulla vocazione alla santità, dopo avere tenuto una riunione preliminare
il 3 dicembre 1963, poté avviare il suo lavoro vero e proprio il 27 gen-
naio 1964 e lo concluse il 1° febbraio successivo. Nei giorni 17 e 18
gennaio aveva avuto luogo un'importante riunione della sottocommissio-
ne, a Louvain-la-Ne~ve, presieduta dall'abate primate dei benedettini, a
cui parteciparono Seper, arcivescovo di Zagabria, l'abate Butler di
Downside, il generale dei domenicani, A. Fernandez, e gli esperti Thils,
Laurentin, Bouyer, il francescano Lio ed i domenicani Philippon e La-
bourdette443, oltre ad altri partecipanti qualificati. I periti dovevano esa-
minare la richiesta di dividere la chiamata alla santità dal capitolo sui re-
ligiosi coi voti: era una proposta fortemente voluta dalla grande quantità
di religiosi fra i periti ed i vescovi, ma anche appoggiata da chi, come
Daniélou, riteneva questa distinzione necessaria a chiarire che la struttu-
ra della chiesa non riconosce un posto a chi professa i voti legato a que-
sto atto, ma soltanto nel quadro di una risposta alla vocazione battesi-
male444.

F. Hengsbach e J. Ménager, per la commissione per l'apostolato dei laici. I periti erano:
Delhaye, Haring, Hirschmann, Klostermann, Lafortune, Medina, Moeller, von Riedmat-
ten, Tucci e tre laici (Habicht, Sugranyes de Franch, Vazquez).
442 Anche questa sottocommissione era mista. La commissione dottrinale vi era rap-
presentata da M. Browne, A. Charue, F. Seper, B. Gut, Ch. Butler, A. Fernandez e
quella dei religiosi era rappresentata da E. Compagnone, C. Sipovic, B. Stein, S. Kleiner
e A. Sépinski, assistiti da dodici periti.
443 I compte rendus e la redazione finale del progetto, scritta da Dupont, nonché la
corrispondenza ad essa relativa, si trovano negli archivi del CLG (n. 446 490).
444 ar. J. DANIÉLOU, LA piace des religieux dans la structure de l}Église, in «Étu-
des», 320 (janv.-juin 1964), pp. 147-155.
Capirolo secondo

V escavi e diocesi (5-15 novembre 1963)

Antefatti

Il cammino percorso dallo schema De episcopis ac de dioecesium regi-


mine nel corso dell'intersessione è quanto meno singolare; quando il 5
novembre 1963 viene presentato dal card. P. Marella, in assemblea con-
ciliare si ha l'impressione che non sia fatto per ottenere un'accoglienza
molto favorevole.
In effetti, la commissione conciliare de episcopis non aveva tenuto al-
cuna riunione plenaria tra dicembre 1962 e novembre 1963; sebbene
questa riunione fosse stata più volte annunciata, veniva poi sempre an-
nullata; la commissione, quindi, non aveva mai potuto in quanto tale
emendare o approvare lo schema prima del dibattito propriamente det-
to, donde serie manifestazioni di malcontento espresse in aula anche da
alcuni dei suoi membri 1• Facendosi forte della necessità di guadagnare
tempo e della difficoltà per i vescovi stranieri di raggiungere Roma, il

1 Questa la composizione della commissione nel corso del secondo periodo conci-
liare: card. P. Marella (curia), presidente; card. J.F. Mclntyre (Los Angeles, Stati Uniti)
card. J.M. Bueno y Monreal (Siviglia, Spagna), vicepresidenti; membri: card. P. Doi Tat
suo (Tokyo, Giappone), i vescovi L. Mathias (Madras e Mylapore, India), E. Guerry
(Cambrai, Francia), L. Binz (Saint-Paul, Stati Uniti), K. Alter (Cincinnati, Stati Uniti), F.
Carpino (are. tit., Italia), G. Gawlina (are. tit. di Madito, Italia, neo entrato rispetto al
primo periodo), N.-J. Lemieux (Ottawa, Canada), L. Del Rosario (Zamboanga, Filippi-
ne, anch'egli neo-entrato), H. Schaiifele (Friburgo in Brisgovia, Germania), D. Hayek
(Aleppo dei Siriani, Siria), A. Fernandes (coad. di Delhi, India), J. Rakotomalala (Tana-
narive, Madagascar), A. Castelli (are. tit. di Rusio, Italia), P. Veuillot (coad. di Parigi),
M. Browne (Galway e Kilmacduagh, Irlanda), G. Gargitter (Bressanone, Italia), A.N. Ju
bany (aus. di Barce1lona, Spagna), L.P. Correa (Ciicuta, Colombia), R. Primatesta (San
Rafael, Argentina), L. Carli (Segni, Italia) e G. Dwyer (Leeds, Gran Bretagna); mons. L.
Governatori, segretario; C. Berutti, segretario agg.; G. Pedretti, scrittore archivista. Cfr.
Commissioni conciliari, a cura della Segreteria generale del concilio, Tipografia Poliglotta
Vaticana, 30. XI. 1962, pp. 15-16; 23 ed., 4 novembre 1963, pp. 29-31.
134 IL CONCILIO ADULTO

presidente Marella aveva costituito una piccola sottocommissione, com-


posta di alcuni membri più vicini e di alcuni esperti della commissione.
E infatti Carli, vescovo di Segni, uno dei rappresentanti più duri della
corrente minoritaria al concilio, che dirige la revisione del testo in seno
a questa «commissione-tronca», per riprendere l'espressione utilizzata di
Klaus Morsdorf2. Lo schema emendato viene trasmesso alla commissione
di coordinamento nel marzo 1963, ove riceve un'approvazione in via di
principio; in seguito sarà trasmesso ai padri senza essere stato sottoposto
alla commissione competente, come del resto non lo sarà la relatio che
Carli esporrà davanti alla successiva assemblea conciliare proprio a
nome della commissione de episcopis3 •

Presentazione dello schema in aula

Quando il dibattito De episcopù ac de dioecesium regimine fa il suo


debutto in aula, il De ecclesia è reduce da un esame protrattosi per tutto
il mese di ottobre. Il 29 ottobre è stata votata l'inserzione del De beata
nello schema sulla chiesa. Dopo aver ricevuto l'approvazione papale il
27 ottobre, il 3 O è stato finalmente possibile sottoporre al voto dell' as-
semblea i ~inque quesiti orientativi a proposito della collegialità e del
diaconato. E in questo clima di «disfatta totale» della minoranza 4 che, il
5 novembre 1963, in occasione della LX congregazione generale, Marel-
la e Carli presentano ciascuno la propria relazione introduttiva al nuovo
schema sui vescovi e il governo delle diocesi.
Lo schema inviato ai padri nel corso dell'intersessione è composto di
trentasette articoli. Dopo un articolo introduttivo, il decreto si suddivide
in cinque capitoli. Il capitolo I è dedicato ai rapporti tra i vescovi e le
congregazioni romane (nn. 2-5: i. le facoltà dei vescovi; ii. la prassi delle
sacre congregazioni nei confronti dei vescovi). I vescovi coadiutori e au-
siliari sono oggetto del II capitolo (nn. 6-16). Il capitolo III verte sull'as-
semblea o conferenza nazionale dei vescovi (nn. 17-25: i. la costituzione
della conferenza; ii. la direzione della conferenza; iii. le decisioni della
conferenza; iv. le relazioni tra conferenze episcopali di differenti nazio-

2 Per l'insieme dell'iter del De episcopis nel corso dell'intersessione, cfr. SN 2, pp.
385-558.
3Cfr. la lettera dattiloscritta di Veuillot a Tisserant, presidente del consiglio di pre
sidenza del concilio, 29 ottobre 1963 (F Veuillot, Archivi diocesani, Parigi, doc. 70); SN
2, p. 491, n. 238.
4 Ma niente è ancora stato fatto, poiché gli esiti della revisione frutto di quel voto
dovranno essere dibattuti in aula.
VESCOVI E DIOCESI (5-15 NOVEMBRE 1963) 135

ni). Quanto al capitolo IV, esso concerne la determinazione dei confini


più opportuni per le diocesi e le province ecclesiastiche (nn. 26-32). Se-
guono due appendici: la prima enumera le facoltà specifiche da ricono-
scere ai vescovi; la seconda affronta alcuni punti relativi ai rapporti tra
vescovi e dicasteri romani5.
Lo schema precedente era stato elaborato nel corso del periodo pre-
paratorio, ma non era mai stato distribuito ai padri6 . Intitolato nello
stesso modo del progetto di decreto attuale, quello preparatorio com-
prendeva 52 articoli oltre il Proemium e si divideva in sei capitoli. Il ca-
pitolo I era consacrato ai rapporti tra i vescovi e le congregazioni della
curia romana (nn. 1-8: i. le facoltà dei vescovi; ii. la pratica delle sacre
congregazioni di fronte ai vescovi). In particolare le facoltà proprie dei
vescovi residenziali vi erano lungamente enumerate (n. 3), mentre nella

5 Cfr. Schema decreti De episcopis ac de dioecesium regimine, Typis Poliglottis Vati


canis 1963, 39 pp. (invio ai padri deciso il 22 aprile 1963); AS 11/4, pp. 364-392. Ag-
giungiamo che all'inizio della LX c.g. (5 novembre 1963), i padri ricevettero ugualmente
un fascicolo che riprendeva gli emendamenti scritti proposti dai padri per lo stesso sche
ma nel corso dell'intersessione, cfr. Emendationes a Concilii Patribus scripta exhibitae su
per schema Decreti de episcopis ac de dioecesium regimine, Typis Poliglottis Vaticanis,
1963, 47 pp.; AS 11/4, pp. 393 434 e 827 923. Per l'insieme del dibattito relativo a que
sto schema nel corso del secondo periodo, AS 11/4, pp. 363-748; AS 11/5, pp. 1-201 e
409 411; cfr. CAPRILE, III, pp. 187-198, 205-217, 245 258 e 261 275 (per una breve sin-
tesi, ci si può anche riferire a R. AUBERT, Lo svolgimento del concilio, in Storia della
Chiesa, voi. XXV /1, Cinisello B. 1994, pp. 263-266). Questo dibattito occuperà 9 con-
gregazioni generali (LX LXVIII), dal 5 al 15 novembre; susciterà 149 interventi orali e
219 osservazioni scritte.
6 Cfr. AS 11/4, p. 364, n. 2. Il testo di questo schema preparatorio si trova negli
Schemata constitutionum et decretorum ex quibus argumenta in Concilio disceptanda seli-
gentur. Series tertia, Typis Polyglottis Vaticanis 1962, pp. 67-90. Secondo la relatio di
Cadi (cfr. n successiva), gli schemi preparatori (nel numero di cinque) sono stati esami-
nati dalla commissione centrale preparatoria De episcopis ac de dioecesium regimine per
esservi rivisti seguendo le osservazioni e i voti de1la commissione centrale. Gli schemi
sono stati nuovamente redatti e sottoposti all'esame della sottocommissione centrale del-
le materie miste. Questa li ha esaminati attentamente e ricomposti in un solo decreto,
che ha rimesso alla segreteria generale del concilio, il 6 dicembre 1962, formulando un
duplice desiderio: che si discuta questo decreto dopo H dibattito sul De ecclesia; che sia-
no aggiunte delle note per chiarire ogni capitolo ed esaminare a fon do le novità propo-
ste. Tale lavoro è stato compiuto dalla commissione conciliare de episcopis ac de dioece
sium regimine a partire dal 12 dicembre 1962. In seguito alle osservazioni della commis-
sione di coordinamento del gennaio 1963, la commissione dei vescovi le ha rinviato una
nuova redazione in marzo. È la versione attuale dello schema, il cui invio ai padri è sta-
to deciso il 22 aprile 1963 (cfr. n. precedente). Cfr. A. INDELICATO, Difendere la dottrina
o annunciare tEvangelo, Genova 1992, pp. 147-157.
136 IL CONCILIO ADULTO

nuova redazione esse sono rinviate in appendice. Il capitolo II s'intitola-


va: «I vescovi coadiutori e ausiliari ed anche la "rinuncia" (cessatio) dei
vescovi al loro ufficio pastorale» (nn. 9-21: i. i vescovi coadiutori e ausi-
liari; ii. la rinuncia dei vescovi al loro ufficio pastorale). Il nuovo schema
contiene un articolo supplementare sulle relazioni tra il coadiutore e il
vicario generale (n. 10), ma la sezione relativa alla rinuncia episcopale è
ridotta a un solo articolo (n. 16). L'assemblea o conferenza nazionale
dei vescovi era l'oggetto del capitolo III (nn. 22-23: i. la costituzione e
la natura dell'assemblea; ii. la direzione dell'assemblea; iii. il valore delle
decisioni; iv. le relazioni tra conferenze episcopali di differenti nazioni).
Contrariamente al nuovo testo, che introduce la regola obbligatoria dei
due terzi dei membri favorevoli per la validità delle deliberazioni (n.
24), in quello preparatorio le decisioni della conferenza non avevano
mai forza giuridica. Il capitolo IV trattava della partizione delle diocesi
(nn. 34-44). Infine, il capitolo V verteva sull'erezione delle parrocchie e
sulla loro delimitazione (nn. 45-52). Tra i due documenti, le differenze
sono
. quindi
. . piuttosto formali: accorciamento del corpo del testo e sua
norgan1zzaz1one.
In aula, dopo l'introduzione assai generale di Marella, che insisteva
sul carattere puramente ·pastorale e giuridico del decreto, la relatio del
vescovo di Segni ripercorre la cronistoria dello schema e ne presenta il
contenuto in questa occasione in particolare il primo capitolo7 • Si pre-
sterà particolare attenzione al modo in cui il relatore spiega il primo
principio fondamentale sul quale si è basata la redazione del De episco-
pis (n. 3 ): da una parte - dice Carli - si sono volontariamente evitate le
questioni teologiche che dovevano ancora essere trattate nel De ecclesia
(tra le altre, viene passata sotto silenzio la collegialità episcopale); dall'al-
tra - sottolinea il relatore facendo riferimento a Pio VI - è scismatico, o
per lo meno erroneo, affermare, «come al sinodo di Pistoia», che il ve-
scovo ha ricevuto da Cristo tutti i diritti necessari per il buon governo
della propria diocesi o che i suoi diritti non possono essere alterati né
ostacolati dal pa pa8 . Questa implicita assimilazione dei sostenitori della

7Per questa doppia introduzione, cfr. Relatio super schema decreti De episcopis ac
de dioecesium regimine, Typis Polyglottis Vaticani 1963, 22 pp.; AS II/4, pp. 435-444. Si
può dubitare dell'obiettività di alcuni punti della ricostruzione storica di Cadi, in parti-
colare quando pretende che la commissione di coordinamento, nella sessione del 26
marzo 1963, abbia coperto lo schema di lodi (<<laudibus cumulavit»: Relatio, p. 10) o
abbia stimato che non si dovesse attendere la discussione della commissione conciliare,
prevista per il 30 aprile, ma al contrario stampare immediatamente il progetto di decreto
(ibidem), cfr. S/V 2, pp. 488-490.
8 Cfr. Relatio, cit., p. 12.
VESCOVI E DIOCESI (5-15 NOVEMBRE 1963) 137

collegialità e della rivalorizzazione del ministero episcopale agli scismati-


ci non potrà evidentemente che essere mal digerita dalla corrente mag-
gioritaria del concilio, come si deduce dalla discussione che ne segue.

1. Lo schema De episcopis: un riflesso della minoranza conservatrice

Su richiesta del moderatore, Suenens, la discussione deve in un pri-


mo tempo limitarsi allo schema nel suo complesso9. Questa prima fase
del dibattito si concluderà il giorno successivo (LXI c.g.) con un voto di
principio sull'accettazione dello schema come base di un'ulteriore di-
scussione capitolo per capitolo.
Sono così trenta i padri che prendono la parola. La maggior parte di
essi rifiuta un approccio troppo giuridico o teorico e troppo poco pa-
storale della funzione episcopale10, e chiede parallelamente una riscrittu-
ra dello schema nella quale si prenda per base la sacramentalità e la col-
legialità dell'episcopato così come queste sono state recentemente for-
mulate nei giorni precedenti a proposito del De ecclesia11 : i poteri dei
vescovi non sono una concessione della S. Sede e le conferenze episco-
pali sono una forma di esercizio della collegialità; nella stessa linea, a
più riprese, è auspicato un maggior grado di coinvolgimento dei vescovi
nel governo della chiesa universale, attraverso un'internazionalizzazione
della curia o la creazione di un gruppo internazionale di vescovi colla-
boratori diretti del papa12 • Queste due proposte si riferiscono in modo
più o meno esplicito all'apertura formulata da Paolo VI nelle allocuzioni

9 Preoccupati della continuità dei lavori, i moderatori non si danno più il cambio
ad ogni congregazione generale, ma prendono in carica ciascuno una parte dello sche-
ma. Così proprio Suenens dirigerà la discussione sullo schema in genere, Agagianian
quella sul cap. I, Lercaro quella sul cap. It Dopfner quella sul cap. III e ancora Sue
nens quella sul cap. IV.
1o Cfr. AS II/4, pp. 456 459 (N. Jubany), 460 462 (L. De Bazelaire), 462 464 (P.
Correa), 465-466 (G. Garrone), 488-491 (F. Gomes dos Santos), 493-495 (C. Bandeira
de Mello), 505 508 (R. Gonzalez Moralejo), 509-512 (A. Fernandez).
11 Cfr. AS 11/4, pp. 445-446 (A. Liénart), 450-452 (P. Richaud), 453-455 (G. Gar-
gitter), 456-459 (N. Jubany), 460-462 (L. De Bazelaire), 462-464 (P. Correa), 467 469
(F. Marty), 469-471 (M. Badoux), 478-479 (F. Konig), 479-481 (B. Alfrink), 481-485 (A.
Bea), 487-488 (P. Veuillot), 488-491 (F. Gomes dos Santos), 495 497 (H. Schaufele),
497-499 (A. Olalia), 499-501 (F. Simons), 503 505 U. Hodges), 505-508 (R. Gonzalez
Moralejo), 513 516 (M. Hermaniuk).
12 Cfr. AS II/ 4, pp. 450-452 (P. Richaud), 453-455 (G. Gargitter), 478-479 (F. Ko
nig), 481-485 (A. Bea), 495-497 (H. Schaufele), 497-499 (A. Olalia), 513-516 (M. Her-
maniuk).
138 IL CONCILIO ADULTO

del 21 settembre precedente alla curia e del 29 al concilio, in favore di


una accresciuta collaborazione episcopale13 • Nella intenzione di Paolo
VI, il concilio non ha l'incarico di concepire e di decidere il rinnova-
mento dei dicasteri romani (si tratta insomma della prima questione che
il papa tiene a sé «riservata»). Nel prosieguo dell'intervento, il papa ave-
va poi fatto un riferimento specifico al reclutamento maggiormente in-
ternazionale della curia e al decentramento di alcuni poteri curiali a
vantaggio dell'episcopato locale. Egli aveva inoltre indicato, su eventuale
richiesta del concilio, la prospettiva di un certo coinvolgimento dei rap-
presentanti dell'episcopato residenziale nella propria responsabilità di
governo ecclesiastico. L'altro discorso, quello del 29 settembre, aveva
ugualmente menzionato l'aiuto maggiore che i vescovi possono apporta-
re all'esercizio dell'ufficio universale del papa secondo modalità da de-
terminare.
Tenuto conto delle manovre dell'intersessione, è interessante notare
che, sin dai primi giorni del dibattito, sei membri della commissione De
episcopis hanno chiesto la parola 14, nella maggioranza dei casi per rim-
proverare allo schema di non essere allineato alla dottrina del De eccle-
sia. Così J. Gargitter, vescovo di Bressanone, fa appello a un decentra-
mento reale ed efficace, stimando che il testo attuale, favorisca di fatto
una maggiore centralizzazione e accordi un'importanza ancora maggiore
agli organi centrali della curia; si tratta, dunque, né più né meno di ap-
plicare concretamente i principi dottrinali espressi dallo schema sulla
chiesa 15 • N. Jubany, P. Veuillot e H Schaufele chiederanno ugualmente
una rielaborazione del testo a partire da tale criterio 16 . Il coadiutore di
Parigi stima anche prematura la discussione del De episcopis prima della
chiarificazione della dottrina relativa all' episcopato17 ; quanto all' arcive-
scovo di Friburgo, in un passaggio della sua allocuzione, rifiuta formal-
mente l'accusa di Carli a proposito delle prerogative dei vescovi: i Pisto-
rienses negavano al papa qualsiasi ius reservandi, ciò che costituisce una

13 Cfr. IdP, I, 1963, pp. 142 151 (in particolare 150) e 166 185 (in particolare 174-
175) e supra, pp. 31 32 e 52-55.
14 Nell'ordine cronologico d'intervento, J. Mclntyre G. Gargitter, N. Jubany, P.
1

Correa, P. Veuillot e H. Schaufele.


15 Cfr. AS II/4, pp. 453 455.
16 Cfr. AS II/4, pp. 456 459 (N. Jubany), 487 488 (P. Veuillot), 495 497 (H. Schau-
fele).
17 Si sa quanto questo vescovo, assieme ad altri co1leghi francesi, si sia indignato
nel vedersi sistematicamente escluso dai lavori della commissione De episcopis nel corso
dell'intersessione, dr. S/V 2, pp. 488 489, n. 231.
VESCOVI E DIOCESI (5-15 NOVEMBRE 1963) 139

differenza essenziale con il principio dei diritti originari del vescovo re-
sidenziale18. Infine P. Correa comincia lamentandosi esplicitamente delle
distorsioni al regolamento intervenute tra il primo e il secondo periodo:
«per più della metà di questa commissione conciliare De episcopis ac de
dioecesium regimine, noi non siamo stati ascoltati in relazione alla reda-
zione dello schema che viene ora sottoposto allo studio di tutti i padri»;
il vescovo di Cucuta, riferendosi alla relatio del 5 novembre, deplora an-
cor più che non si sia cercato di conoscere l'intenzione (mens) della
commissione, malgrado le prescrizioni del regolamento 19.
In questo contesto, non è certo senza interesse registrare la reazione
di due membri tipici della minoranza conciliare, i cardd. E. Ruffini e M.
Browne, del 6 novembre20 • Come ci si poteva aspettare, il primo prende
le difese dello schema, assai maltrattato fino a quel momento. L' arcive-
scovo di Palermo stima che i rimproveri non siano fondati: da una par-
te, la dottrina della collegialità è ben lungi dall'essere stata chiaramente
stabilita e il voto del 30 ottobre non costituisce un elemento pregiudi-
ziale dell'esito del dibattito; dall'altra egli ritiene che attribuire alle con-
ferenze episcopali un potere diverso da quello consultivo esporrebbe a
numerosi problemi (con esplicito riferimento al discorso «assai pruden-
te» di Mcintyre, vicepresidente della commissione De episcopis ), e in
partic9lare metterebbe in pericolo il primato pontificio di giurisdizio-
ne21. E facile riconoscere qui gli argomenti tipici della minoranza. Allo
stesso modo secondo il cardinale domenicano22 , non si può obiettare
allo schema di non aver tenuto sufficientemente in conto la collegialità
episcopale, poiché essa è ancora all'esame della commissione De doctrina
/idei et morum23 • Quest'ultima affermazione è particolarmente pesante e

18 E. Schick, ausiliare di Fulda, ha percepito la perorazione di Schaufele come un


tentativo di eliminare dal nuovo schema le ultime tracce del vecchio («das letzte, noch
iibrig Gebliebene»), cfr. la sua lettera del 6 novembre 1963 a J. Frings, p. 2 verso (F
Frings, Archivi diocesani di Koln, De episcopis ac de dioecesium regimine 181/8). Ringra-
zio calorosamente Alessandro Chiesa per avermi fatto consultare il repertorio dei diffe-
renti fondi d'archivio relativi allo schema (fondi Onclin, Dwyer, Browne, Veuillot, Bou
lard, Schaufele, Frings e Jedin, ora nell'archivio dell'ISR). Cfr. B. ULIANICH, Il Sinodo di
Pistoia, in «L'Avvenire d'Italia» del 17 novembre, ora in R. LA VALLE, Coraggio del con
ci/io, Brescia 1964, pp. 319-321.
19 Cfr. AS IT/4, pp. 492 494.
20 Ruffini è un rappresentante tipico dell' «intransigentismo» cattolico italiano, con
una concezione centralista e papalista della chiesa, cfr. F.M. STABILE, Il cardinal Ruffini
e il Vaticano II, in «CrSt», 11 ( 1990), pp. 83 176; Protagonisti, pp. 486 494.
21 Cfr. AS II/4, pp. 476 478.
22 L1irlandese Browne è vice presidente della commissione teologica.
23 Cfr. AS IV4, p. 486. Più precisamente, il martedì 5 novembre, la vigilia, nel cor
140 IL CONCILIO ADULTO

sintomatica della tendenza curialista. Per la prima volta, la validità stessa


del voto del 30 ottobre viene apertamente contestata24 . Ancora a questa
data il gruppo conservatore che dirige la commissione dottrinale la con-
sidera di fatto al di sopra del concilio: non è soltanto r autorità dei mo-
deratori che viene così messa in questione, ma lo svolgimento stesso del
concilio e la sua libertà d'azione. La minoranza è dunque ben lontana
dall'aver ceduto le armi, malgrado le ingannevoli apparenze di inizio au-
tunno 1963: lo scontro dell'anno precedente continua25 • Altri interventi,
nel seguito dei dibattiti, confermeranno questo dato, e in particolare
quelli di Ottaviani e di Lefebvre, che riprenderanno due giorni dopo la
stessa contestazione del voto conciliare, senza dimenticare quello di Car-
li il 13 novembre.
Al termine di queste due prime mattinate di dibattito, su 2.100 vo-
tanti, 1.610 accetteranno di proseguire la discussione sullo schema mal-
grado le critiche di cui è stato oggetto, mentre 477 lo rifiutano e 13 vo-
tano nullo26 •

so della prima riunione della commissione teologica dopo il voto dei cinque quesiti, Ot-
taviani li aveva criticati vivamente, spingendosi fino al punto di qualificarli come illegali
in via di principio, poiché non erano stati redatti dalla commissione teologica, ciò che
era ben manifestato dagli errori che contenevano (cfr. WENGER, p. 80); negli appunti
manoscritti della riunione della commissione teologica del 5 novembre, il perito A. Pri
gnon riferisce che in quel momento viene disturbato da Congar, che gli parla, e per tale
ragione non riesce più a comprendere ciò che dice Ottaviani, riuscendo soltanto a cap-
tare le seguenti parole: <<Votazione quasi all'improvviso e precipitata», cfr. F-Prignon,
CLG, n. 481. Tale accusa sarà ripresa dal segretario del s. Uffizio 1'8 novembre successi-
vo nell'aul~ conciliare e il 13 in un'intervista, cfr. infra. Secondo Tromp «sermo fuit de
quinque propositionibus acceptis die 30 octobris in aula Conciliari, et quomodo ab iis
ligaretur Commissio doctrinalis» (Relatio 1 oct. 1963 1 apr. 1964, p. 5) e Congar an-
nota: «si è perduto del tempo» Q"Cng ad diem).
24 «DC» del 15 dicembre 1963 (n. 1414, col. 1677, n. 2) riprende esattamente l'in-
formazione di Wenger apparsa su «La Croix» dell'8 novembre e commenta l'intervento
di Browne come segue: «Il card. Browne, senza dirlo, ha fatto allusione a una riunione
della commissione teologica che ebbe luogo la sera del 5 novembre e nel corso della
quale il card. Ottaviani ha contestato la portata teologica del voto emesso dai padri»;
cfr. supra, n. 21.
25 Protagonisti, p. 478.
26 Cfr. AS II/4, p. 522. Nella sua retrospettiva manoscritta del secondo periodo, re-
datta poco tempo prima della fine di esso (p. 4 e 4 a), il p. J. Dupont o.s.b., teologo
privato al concilio, interpreta come segue questo voto favorevole: <<Apparentemente i pa
dri hanno preferito partire da un testo cattivo per abbordare i problemi che stavano
loro a cuore, piuttosto che rinviare questo testo e rischiare di non veder mai ritornare
un testo che permettesse loro di abbordare questi problemi. Discutendo questo testo, il
concilio si è ritrovato di fronte alla questione della collegialità» (F Dupont, CLG, n.
1759).
VESCOVI E DIOCESI (5-15 NOVEMBRE 1963) 141

2. La curia romana nel mirino

2 .1. Un Consiglio supremo permanente della chiesa universale?

Attendendo il risultato del voto, un primo importante intervento sul


capitolo I del De episcopis era già stato pronunciato, quello di Maximos
IV Saigh, patriarca antiocheno dei melchiti, in lingua francese (unico a
derogare alla regola del latino) 27 • L'internazionalizzazione della curia
non rappresenta per lui che una «piccola timida riforma»; allo stesso
modo, limitare alla curia romana la collaborazione dell'episcopato catto-
lico al governo centrale della chiesa non corrisponde ali' attuazione della
responsabilità collegiale dell'episcopato nei riguardi della chiesa. Così
egli propone una soluzione nuova: poiché non è possibile riunire costan-
temente in concilio tutti i vescovi del mondo, il compito concreto di
aiutare il papa nel governo universale della chiesa deve essere affidato a
un gruppo ristretto di essi che rappresentino i loro colleghi, un «vero
sacro collegio della chiesa universale», composto dai patriarchi residen-
ziali e apostolici, dai cardinali-arcivescovi o vescovi residenziali e da ve-
scovi scelti all'interno delle conferenze episcopali di ogni paese. Alcuni
membri di questo sacro collegio si succederanno a turno per essere a
fianco del papa, al quale spetta sempre l'ultima parola; sarebbe il Consi-
glio supremo permanente della chiesa universale, esecutivo e deliberan-
te, al quale tutte le amministrazioni romane debbono essere sottomesse,
un centro per definizione aperto sul mondo intero e non rinchiuso su se
stesso per dettar legge su ogni cosa. Con l'aiuto del nuovo sacro colle-
gio, le chiese asiatiche e africane dovrebbero godere di una più ampia
autonomia culturale rispetto ai paesi mediterranei, conservando il lega-
me necessario con la sede di Pietro28 •
I due giorni successivi (LXII e LXIII cc.gg.) sono dedicati a questo
primo capitolo sulle relazioni tra vescovi e congregazioni romane. Molti
interventi rifiutano la nozione stessa di «facoltà concesse» ai vescovi, sti-
mando che questi hanno per diritto divino tutti i poteri necessari per
governare le loro diocesi29 • Diversi padri desiderano ugualmente la crea-

27 Maximos IV Saigh è il grande rappresentante della tradizione orientale al conci-


lio; difensore delle chiese locali e fermo oppositore del centralismo romano, è una delle
voci maggiormente ascoltate della maggioranza conciliare. Cfr. O. ROUSSEAU, Une des
grandes figures du conci/e. Le patriarche Maximos IV (1878 1967), in <<Revue Nouvelle»,
47 (1968), pp. 64 70; Protagonfrti, pp. 460 468.
2s Cfr. AS II/4, pp. 516 519.
29 Cfr. AS II/4, pp. 556 557 (J. Ritter), 571-573 (P. Kalwa), 574 576 (F. Garda),
578 580 (M. Browne, vescovo di Galway e Kilmacduagh), 580 584 (A. Ferreira), 584
142 IL CONCILIO ADULTO

zione di un nuovo organismo della collegialità, un corpo permanente di


vescovi del mondo intero, seguendo un po' la linea del discorso di Ma-
ximos IV30 • Florit, arcivescovo di Firenze e membro della commissione
teologica, propone per parte sua una soluzione assai mitigata: una nuova
sacra congregazione generale, ugualmente composta di vescovi residen-
ziali, sarebbe incaricata di risolvere le questioni che il papa decidesse di
sottoporre ad essa; una congregazione centrale di questo tipo sarebbe
«nel contempo la massima applicazione concreta della collegialità epi-
scopale e la sua adeguata esplicitazione»31 •

2.2. Apologia del centralismo

Altri tre oratori del 7 novembre prendono puramente e semplice-


mente le difese della curia, sebbene fino a quel momento essa non sia
stata attaccata in modo diretto e si sia piuttosto dibattuto di un suo ag-
giornamento o di una sua internazionalizzazione. Si tratta di Ignace Pier-
re XVI Batanian, patriarca di Cilicia degli Armeni (Libano), di Del Pino
G6mez, vescovo di Lerida (Spagna), e di Mason, vicario apostolico di El
Obeid (Sudan). In un patriarca orientale l'ultramontanismo radicale de-
sta una certa meraviglia32 : «il potere di giurisdizion~ del romano pontefi-
ce non è sottoposto ad alcuna restrizione umana di diritto o di fatto»;
nelle osservazioni relative al modo attuale di amministrazione centrale
della chiesa, si deve «tener conto dei meriti dei cooperatori del sommo
pontefice e dell'obbligo di evitare scandali» avendo cura che «la critica

591 (S. Méndez Arceo), 595-596 (I Ziadé), 629 631 (A. Granados), 639-641 (J. Scho
iswohl), 641-643 (E. Martinez), 636-638 (E. D'Souza).
3o Cfr. AS IU4, pp. 568-570 (P. Gouyon), 571-573 (P. Kalwa), 576-577 (O. Mc-
Cann), 578-580 (M. Browne, vescovo di Galway e Kilmacduagh), 580 584 (A. Ferreira),
592-594 (H. Van der Burgt), 612-615 (J. De Barros Camara), 618-623 (L. Rugambwa),
636-638 (E. D'Souza).
31 Cfr. AS II/4, pp. 559-561: l'arcivescovo di Firenze critica anch'egli il ricorso alla
co1legialità episcopale in senso stretto che non è ancora stata approvata dal concilio e
a suo avviso non può esserlo così come ogni argomentazione basata sul voto del 30
ottobre, che era semplicemente indic'ativo. ·
3 2 La cosa tuttavia è meno stupefacente se si tiene presente che il futuro patriarca
ha studiato teologia a Roma ove è stato allievo di Ernesto Ruffini, a quel tempo profes-
sore di sacra Scrittura a1l'Ateneo pontificio del seminario romano e aJl'Università Latera-
nense (cf r. il discorso in aula di Ruffini 1'8 novembre e le sue esplicite felicitazioni al pa-
triarca armeno per il suo intervento della vigilia; AS II/4, pp. 651-653; Protagonisti, pp.
486-487, n. 1).
VESCOVI E DIOCESI (5-15 NOVEMBRE 1963) 143

non raggiunga il Capo stesso»33 • Allo stesso modo, il che stupisce


meno 34 , per il vescovo di Lerida la curia romana ha diritto ad essere
grandemente encomiata e tutto ciò che viene affermato a proposito di
essa in modo meno riguardoso, in qualche modo viene affermato a pro-
posito dello stesso papa; la chiesa è fondata su Pietro, ma la collegialità
non ha fondamento scritturale35 . Quanto al vicario apostolico di El
Obeid, egli tiene a ricordare che la curia «deve essere ascoltata da tutti
come la voce del supremo pastore» ed essa non è «soltanto uno stru-
mento utile, ma assolutamente necessario del governo della chiesa», so-
prattutto in un'epoca caratterizzata da associazioni a livello continentale
e mondiale36 • Il punto in comune di questa triplice apologia delle con-
gregazioni romane sta quindi nella quasi identificazione di queste con il
papa ed anche nell'esaltazione della giurisdizione pontificia.
Il vero e proprio attacco contro la curia è fissato tuttavia per il gior-
no successivo. Sarà sferrato dal cardinale di Colonia, Frings, contro il
quale reagirà aspramente il card. Ottaviani, seguito da altri membri della
minoranza ugualmente iscritti in questo 8 novembre per prendere la pa-
rola. Nel frattempo il cardinale di Bologna, Lercaro, farà un intervento
più moderato e più conciliante.

2.3. Frings-Ottaviani: il duello maggioranza-minoranza al vertice

L'intervento dell'arcivescovo tedesco è lucido e incisivo37 • In primo


luogo chiarisce le cose circa il funzionamento del concilio: se il voto del
30 ottobre sul collegio dei vescovi è soltanto indicativo, si può per que-
sto non tenere in alcun conto il voto pressoché unanime dei padri? Si
meraviglia quindi dell'intervento di Ruffini del 6 novembre e ritiene che
le commissioni conciliari sono gli strumenti delle congregazioni generali,
del pensiero e della volontà dei padri, e non l'inverso. In secondo luogo
desidera una lista dei poteri riservati al papa piuttosto che una lista del-
le prerogative da concedere ai vescovi. Il contenuto stesso delle norme
che regolamentano la procedura delle congregazioni romane dovrebbe
figurare nel testo del De episcopis. Tali norme, in particolare quelle sulla

33 Cfr. AS II/4, pp. 558 559.


34 Cfr. E VILANOVA, Los «vota» de lo.r obi.rpo.r e.rpaiiole.r de.rpué.r del anuncio del
concilio Vaticano II, in À la V eille du Conci/e Vatican II. Vota et Réaction.r en Europe et
dan.r le Catholici.rme orientai, edd. M. Lamberigts CL Soetens, Leuven 1992 pp. 53-82.
35 Cfr. AS II/ 4, pp. 596 599.
36 Cfr. AS 11/ 4, pp. 606 607.
37 Cfr. AS II/4, pp. 616-618.
144 IL CONCILIO ADULTO

chiara distinzione tra via amm1n1strativa e via giudiziaria, dovrebbero


estendersi a tutte le congregazioni, compreso il s. Uffizio «la cui proce-
dura, da molteplici punti di vista, non si addice più alla nostra epoca,
nuoce alla chiesa ed è un oggetto di scandalo per molti». Applausi in
aula. Bisogna esigere - egli prosegue - che anche in questo dicastero
nessuno sia condannato prima di essere stato ascoltato e di aver avuto la
possibilità di correggersi3 8 • In terzo luogo bisogna diminuire il numero
dei vescovi residenti in curia: l'episcopato non è onorifico. Lo stesso
vale per i preti: molti uffici curiali potrebbero benissimo essere ricoperti
da laici. Ci si può facilmente immaginare la risonanza di un discorso
come questo al concilio e nel mondo cattolico, soprattutto per il fatto
che esso aveva osato esplicitare dalla tribuna del concilio ciò che molti
padri (per non parlare di numerosi cristiani) pensavano e esprimevano
dietro le quinte circa le modalità procedurali del s. Uffizio39 . Per misu-
rare la forza di questo impatto, è sufficiente riferirsi alla stampa del-
1' epoca e all'eco che essa accorda a questa presa di posizione così come
alla risposta del card. Ottaviani, segretario del dicastero incriminato40 •

38 Questo desiderio è stato spesso formulato, ancora alla vigilia del secondo perio
do, in Francia, in Germania, in Olanda e negli Stati Uniti, da autori e riviste cattolici.
L'incidente provocato dal ritiro del libro di HANS KONG, Kirche im Konzil (Freiburg i.B.
1963; trad. it.: La Chiesa al concilio, Torino 1964) e di alcune altre opere dalle librerie
cattoliche di Roma all'apertura del secondo periodo non è certamente estraneo a questo
passaggio dell'intervento di Frings (cfr. WENGER, p. 147, n. 1).
3 9 Più tardi nella mattinata e malgrado la vibrante protesta del card. Ottaviani, E.
D'Souza, arcivescovo di Bhopal (India), non esiterà a mettere nuovamente in questione
la curia romana descrivendola come un «potere centralizzato» inadatto all'epoca attuale;
reclamerà anche una delimitazione ben precisa dei suoi poteri e un'attribuzione ai vesco-
vi di tutte le facoltà che provengono loro iure communi et divino, esclamando anche a
braccio: «i vescovi non hanno ancora l'età per risolvere le questioni che si pongono nel-
le loro regioni?»; precedentemente, come Frings, aveva preso nettamente posizione in
favore del «voto chiaro dell'85% dei padri»: «dire che non bisogna tenerne conto nella
discussione», è mostrare «di prendere in giro il concilio» (derisio Concilù), cfr. AS II/4,
pp. 636 638. Secondo WILTGEN, p. 118, l'intervento fu lungamente applaudito.
40 Sull'intervento di Frings, cfr. «OssRom», «La Croix», «Le Figaro», il «Quotidia
no», il «Daily American», }'«Avvenire d'Italia» del 9 novembre, «Le Monde», del 10-11
novembre, agenzia «Kipa» (10 novembre), «ICI» del 1° dicembre, n. 205, p. 2, col. 1
(Congar) e p. 8, coll. 1-2, «DC» del 15 dicembre, n. 1414, col. 1686; sull'intervento di
Ottaviani, si vedano i quotidiani del 9 e 10 novembre, e «Le Figaro» dell' 11 novembre,
«ICI» del 1 dicembre, n. 205, p. 8, coll. 2 3, «DC» del 15 dicembre, n. 1414, coll.
1687 -1689; si vedano anche le numerosissime interviste rilasciate dal card. Ottaviani nel
corso delle quali ha difeso il s. Uffizio: la «France catholique», 22 novembre, «La
Croix», 12 dicembre (cfr. WENGER, pp. 149 153), Télévision Française «Cinq colonnes
à la une» del venerdì 6 dicembre, «ICI» del 15 dicembre, n. 206, p. 17, col. 3, p. 18,
col. 2; cfr. il commento di R. La Valle in «L'Avvenire d'Italia» del 9 novembre 1963,
VESCOVI E DIOCESI (5-15 NOVEMBRE 1963) 145

Dopo i previsti interventi di Lercaro e Rugambwa, sui quali tornere-


mo fra breve, giunge il turno del segretario della suprema congregazio-
ne, il s. Uffizio 41 . Stando a quanto sostengono i commentatori dell' epo-
ca42, l'intervento di Ottaviani è particolarmente atteso. In preda a
un'emozione violenta e con la voce interrotta da singhiozzi, prima di en-
trare nell'argomento preparato, egli improvvisa una reazione alla messa
in stato di accusa formulata dal cardinale di Colonia43 . Innalza «una al-
tissima protesta contro le parole che sono state pronunciate contro la
Suprema Congregazione del s. Uffizio, il cui presidente è il Sommo
Pontefice». Applausi (attribuiti ai banchi del gruppo italiano e curiale)44 .
Queste parole - continua - provengono dall'ignoranza, per non dire
qualcosa di più offensivo, della procedura seguita dal s. Uffizio. Riguar-
do al capitolo I del De episcopis, egli tiene a ricordare che la collegialità
non è ancora stata definita: il voto era «soltanto indicativo». La decisio-
ne spetta alla commissione dottrinale eletta dai padri. Quanto al voto, si
rammarica personalmente che i quesiti non siano stati sottoposti all' esa-
me preliminare della commissione dottrinale, che avrebbe potuto elimi-
nare le espressioni equivoche. Infine, a suo parere la collegialità degli
apostoli non può essere dedotta dalla Scrittura. Del resto si meraviglia
che tutti coloro che hanno tanto insistito sulla collegialità ne abbiano
dedotto come minimo una diminuzione del primato pontificio. «Chi
vuole essere una pecora di Cristo deve essere condotto al pascolo da
Pietro, e non sono le pecore che debbono dirigere Pietro, ma è Pietro
che deve guidare le pecore».

ora in LA VALLE, Coraggio, cit., pp. 279 284; si veda anche la dichiarazione di Maximos
IV sul s. Uffizio alla RTF; infine, segnaliamo le conferenze stampa di Th. Roberts (Gran
Bretagna, are. tit. di Sugdea), riportate da «Le Monde» del 24 ottobre e dalle «ICI» del
15 novembre, n. 204, p. 13, col 1: «I membri del s. Uffizio utilizzano metodi tali che se
si trovassero in Gran Bretagna sarebbero immediatamente tradotti davanti ai tribunali
inglesi» e l'articolo di Garrone in «Semaine catholique de Toulouse» del 24 novembre,
citato da «La Croix» del 28 e 29 novembre, p. 4, col. 6: «Il s. Uffizio [...] conduce il
proprio difficile lavoro sotto la tradizionale protezione di un segreto assoluto che è leci
to ritenere anacronistico» (cfr. LAURENTIN, p. 120 ss. e pp. 287-289,· nn. 8 10, 11 12 e
14). Lo stesso Frings ricorda nelle sue memorie l'impatto inatteso del proprio discorso e
l'approvazione generale che ha riscosso: «Questo discorso ha avuto una risonanza assai
inattesa e quasi inquietante. [. ..] E quando verso le 11 mi sono presentato al bar, ho ri-
cevuto per questo congratulazioni da tutte le parti» ij. FRINGS, Fur die Menschen be-
stellt. Erinnerungen, Koln 1973, p. 274).
41 Sulla sua personalità cfr. Protagonisti, pp. 474-480.
42 Cfr. WENGER, p. 148; RYNNE, p. 184; LAURENTIN, p. 121; Y. CONGAR, Le condle
au jour le jour. Deuxième session, Paris 1964, p. 130.
43 Cfr. AS II/4, pp. 624 626.
44 Cfr. LAUREN11N, p. 121; RYNNE, p. 184.
146 IL CONCILIO ADULTO

Per illustrare in che modo questo «tiro incrociato» tra Frings e Ot-
taviani è stato percepito, si possono scorrere i commenti che alcuni atto-
ri del concilio - un vescovo e cinque esperti - riportano nei loro diari
privati. Attraverso le sue valutazioni personali, il diario Edelby ci per-
mette di comprendere meglio la posizione di questo padre (e più global-
mente del gruppo melchita) di fronte alla curia romana45 : la critica di
Frings nei confronti del s. Uffizio viene qualificata come «estremamente
forte e precisa»; gli applausi che concludono il discorso del padre tede-
sco sono detti «frenetici»; l'intervento di Lercaro è considerato come
«tanto coraggioso» quando reclama un «Consiglio più supremo della su-
prema congregazione del s. Uffizio»; quanto al discorso di Ottaviani, «è
stato così duro - stima Edelby - che anche i suoi sostenitori non hanno
osato applaudirlo»46 • L'appartenenza del consigliere di Maximos IV alla
maggioranza è assai netta.
La presa di posizione di Y. Congar non è meno decisa, anche se egli
deve accontentarsi di produrre una testimonianza-commento di seconda
mano, poiché non è stato presente a questo «gran momento»47 • Secondo
Congar, in seguito al suo accesso di collera Ottaviani «è abbastanza
screditato agli occhi di molti». Congar prende le difese dei moderatori,
presi di mira dal segretario del s. Uffizio, scrivendo che «essi sono anche
una rappresentanza del papa (l'avevano visto per tre volte prima di pro-
porre i cinque quesiti)». Per ciò che concerne il seguito della congrega-
zione generale, Congar apprezza il discorso di Lercaro, poiché «propone
cose possibili, e che, tuttavia, vanno lontano»; quanto all'intervento di
Lefebvre, si contrappone fermamente ad esso sia dal punto di vista teo-
logico che da quello storico (sui poteri del papa e quelli dei vescovi).
Certamente il pensiero di Congar era già conosciuto; tuttavia nel diario
s1 puo' percepire con maggior esattezza come concretamente questo teo-
' ' '

logo reagisca colpo su colpo agli interventi dei padri in aula, senza tra-
scurare nulla e senza indulgere su ciò che vi viene detto.
Grazie a Ch. Moeller, alcune impressioni generali sul «battibecco tra
Ottaviani-Frings, Ottaviani-moderatori» prendono un nome ed un volto
individuali48 : è Prignon che dice a Moeller che «Ottaviani ha perduto in

Cfr. il diario di N. EDELBY, in Il Vaticano I I nel diario di un vescovo arabo, a


45
cura di R. Cannelli, Cinisello B. 1996, p. 230.
46 Affermazione che non corrisponde affatto ad altre testimonianze, che menziona
no applausi almeno all'inizio della protesta di Ottaviani, dr. supra, n. 44.
47 JCng, vol. l, pp. 361 362.
48 Taccuino conservato al CLG, a Louvain-la Neuve: «X Quaderno B. Du 5 no
vembre au 5 décembre 1963», n. C.00017 del F Moeller, pp. 4-5.
VESCOVI E DIOCESI (5-15 NOVEMBRE 1963) 147

questo modo il suo prestigio»; è allo stesso modo senza dubbio J.C.
Murray che riporta a Moeller ciò che due vescovi (forse americani) gli
hanno detto («un uomo così non può più essere presidente della com-
missione teologica»); sono ancora i vescovi belgi (più in particolare van
Zuylen, Schoenmaeckers e Daem) che esprimono la loro indignazione
davanti all'intervento di Ottaviani in aula, ancorché Suenens «prenda più
allegramente la cosa» e chieda di continuare il lavoro di commissione.
Quanto ad A. Prignon49 , egli riporta più che altro una supposta con-
seguenza dell'incidente dell'8 novembre, cioè un'indiscrezione secondo
la quale Ottaviani, Antoniutti e Siri «avrebbero chiesto una pubblica ri-
parazione in aula dell'attacco di Frip.gs contro la curia, sotto la minaccia
di abbandonare il concilio». Si apre così per lo storico l'opportunità di
osservare quanto prudentemente un attore dell'epoca valuti questa indi-
screzione: «Ho detto al cardinale [Suenens] - scrive Prignon - che c'era
probabilmente un fondo di verità in questa storia, ma che era anche
possibile che gli avvenimenti fossero stati gonfiati»; si scopre anche la
reazione spontanea e privata di Suenens sotto forma di una boutade
molto significativa: «Tanto meglio, se potessero davvero andarsene,
come sarebbero più facili le cose!».
J. Dupont50 , per parte sua, ci svela le reazioni a caldo (all'uscita dal-
la basilica) dell'abate Butler, «shockato» dalla risposta di Ottaviani che,
identificando papa e s. Uffizio, ha fatto «vestire al papa metodi che
sono contro il diritto naturale». Annota anche la propria impressione
personale su ciò che osserva in piazza S. Pietro: «Tutti sembrano molto
eccitati dallo scalpore che si è prodotto questa mattina». In B. Olivier5 1
si trova l'espressione di un sentimento collettivo: «L'attacco di Ottaviani
contro l'autorità dei moderatori è stato vivamente percepito da molti
padri. Bisognerà che essi reagiscano se non vogliono vedere beffata la
loro autorità». Si possono anche aggiungere alcune indicazioni tratte
dalle memorie dello stesso Frings: egli parla di un discorso fulminante
di Ottaviani contro di lui e nega di aver voluto attaccare il cardinale ro-
mano o il papa; minimizza anche la controversia riportando una frase
che Ottaviani gli ha detto il giorno successivo dopo averlo abbracciato:
«Noi certamente vogliamo entrambi la stessa cosa! »52 •
A prescindere dai giudizi individuali, questo scontro al vertice tra i

49 Cfr. F-Prignon, n. 512 bis, pp. 7-8 (testo dattilografato); Prignon è il rettore del
collegio belga.
50 Cfr. il diario (manoscritto) di Dupont: F-Dupont, n. 1726-1733 (8 «quaderni»);
utilizzo qui il vol. 3 (novembre 1963), n. 1728, pp. 118 119.
5I Cfr. F-Olivier, CLG, n. 169 (documento dattilografato), p. 21.
52 «Wir wollen ja beide nur dasselbe» (cfr. FRINGS, Fur die Menschen, cit., p. 274).
148 IL CONCILIO ADULTO

due cardinali, «mediatizzato», si direbbe oggi, e senza dubbio dramma-


tizzato sulla stampa per la sua carica emotiva, illustra comunque di nuo-
vo perfettamente la grave divergenza che sussisteva tra maggioranza e
minoranza sul tema della collegialità e delle relazioni tra vescovi, papa e
congregazioni romane 53 : per i primi, la collegialità è praticamente già
stabilita e si tratta soltanto di trarne le conseguenze relative alla parteci-
pazione dei vescovi al governo papale della chiesa universale 54 ; per i se-
condi, niente è ancora stato deciso e non si può quindi fare come se la
collegialità fosse stata già definita: sarebbe invece necessario ritardare al
massimo un voto definitivo sul tema e prendere tutto il tempo necessa-
rio per studiare la questione ed eliminare ogni ambiguità che sembre-
rebbe attenuare la pienezza suprema e assoluta del potere pontificio di
giurisdizione: una sola cosa è sicura, è solo e soltanto su Pietro che Cri-
sto ha fondato la sua chiesa.
Nel prosieguo della mattinata, diversi sostenitori di questa corrente
<<tninimalista» (dal punto di vista della collegialità) finiscono del resto

53 A. Wenger scrive all'epoca: <<Avevamo l'impressione di una frattura» (cit., p. 149).


Ugualmente, ecco ancora come C. Moeller, perito della commissione teologica, interpreta
gli avvenimenti, questa volta in una lettera a sua madre, datata 11 novembre (F-Moe1ler,
n. 02888): «La lotta è ripresa immediatamente: Ottaviani non vuol tenere conto dei voti
del 30 ottobre. Avrà saputo dalla stampa della rottura clamorosa che si è prodotta venerdì
scorso tra Frings e Ottaviani; ciò che la stampa ha rilevato meno è che agli occhi di tutti
Ottaviani è sembrato volersela prendere anche con i moderatori. In questo modo ha dimi-
nuito assai il suo credito. Tutti parlano apertamente del necessario cambiamento delle
commissioni, che non possono più far bene il loro lavoro, poiché sono state paralizzate
dalla presidenza, considerata tra noi piuttosto catastrofica. D'altronde il lavoro delle sot
tocommissioni avanza rapidamente: forse si potrà presentare a11a fine della sessione il ca
pitolo I del De ecclesia. Ieri, dopo due ore di discussione, si è votato in favore della rela-
zione sullo schema De libertate religiosa: 18 placet contro 5 non placet e una scheda bian
ca. Ecco una partita vinta: potrà passare per il concilio. Questo tema è tra i più importan-
ti. Si pensa di concludere con il De episcopis giovedì o venerdì e di passare quindi al De
oecumenismo, che prevede come capitolo V il De libertate religiosa. Riassumendo, Otta
viani è stato ogni volta battuto, ma dopo una battaglia assai dura e faticosa». Nella stessa
direzione, a proposito dell'intervento di Frings dell'8 novembre, si ricorderà che la sera
stessa il papa ha chiesto al cardinale di Colonia di fare delle proposte per la riforma del s.
Uffizio; il 12 novembre, nel corso di un colloquio tra il cardinale, Ratzinger e Jedin, On-
clin si è incaricato di redigere un Promemoria, che Frings ha successivamente sottoposto a
Paolo VI, cfr. H. ]EDIN, Storia della mia vita, Brescia 1987, p. 314.
54 All'interno de1la corrente maggioritaria alcuni sono massimalisti, come Maximos
IV, e chiedono un coinvolgimento effettivo e deliberativo nelle decisioni del papa per la
chiesa intera; altri si accontenterebbero di una partecipazione consultiva ovvero non ve
dono nella collegialità una vera questione dogmatica ma piuttosto pratica per una mag-
giore efficacia pastorale, cfr. J. GROOTAERS, Ean Sessie met gemengde gevoelens, in «De
Maand», 6 (1963), p. 596, col. 2.
VESCOVI E DIOCESI (5-15 NOVEMBRE 1963) 149

per appoggiare più o meno direttamente la posizione del segretario del


s. Uffizio. E il frutto della messa in guardia avanzata del cardinale di
curia Browne: il diritto, per il collegio, di «Co-governare» la chiesa inte-
ra con il papa diminuisce il potere pontificio di governo ed entra in
contraddizione con la definizione della potestà di giurisdizione plenaria
sancita al Vaticano P 5 • Per De Castro Mayer, vescovo di Campos (Brasi-
le), «l'istituzione del collegio dei vescovi come soggetto di una potestà
plenaria e suprema da esercitarsi abitualmente su tutta la chiesa non
sembra abbastanza dimostrata, né sufficientemente esplorata per poter
essere fondamento di un decreto conciliare»56 • Quanto all'intervento di
Marce! Lefebvre, arcivescovo titolare di Sinnada di Frigia e superiore
generale degli Spiritani, esso offre una sorta di sintesi della tesi minori-
taria relativa alle relazioni tra papa, curia e vescovi: il pieno potere del
papa non deve essere in alcun modo toccato e la sua libertà di esercita-
re questo potere deve essere completamente salvaguardata nella scelta
dei membri dei dicasteri romani; riferendosi a Browne, l'arcivescovo
francese giudica che il principio della collegialità giuridica non possa es-
sere provato e che la sua affermazione solenne - avverte, ricorrendo a
un'argomentazione emotiva - equivarrebbe a riconoscere che la chiesa
ha errato per numerosi secoli; tutti ammettono una collegialità morale,
ma questa non genera che relazioni morali57 •

2.4. Il discorso «ragionevole» di un moderatore

Si può ora ritornare sull'importante intervento del card. Lercaro,


uno dei quattro moderatori e senza dubbio la più grande autorità mora-
le e religiosa dell' assemblea58 . Il momento è uno dei più critici di tutto
il concilio. Le tensioni tra maggioranza e minoranza conciliare sono
molto vive e sembrano mettere in pericolo il normale svolgimento del
concilio: due giorni prima Browne ha subordinato la presa di posizione
conciliare sui cinque quesiti all'esame della commissione dottrinale, so-
stituendo così al voto l'opposizione precedente e rinnovando indiretta-
mente la messa in questione dell'autorità dei moderatori, per non parla-
re di quella del concilio stesso; allo stesso tempo, F rings gli ha appena

55 CTr. AS II/4, pp. 626-627.


56 Cfr. AS II/4, pp. 631-633.
57 CTr. AS II/4, pp. 643 644.
58 Cfr. AS Il/4, pp. 618-621; per meglio percepire le differenti sfaccettature della
personalità dell'arcivescovo di Bologna, cfr. Giacomo Lercaro. Vescovo della chiesa di Dio
(18911976), a cura di A Alberigo, Genova 1991; Protagonisti, pp. 451-459.
150 IL CONCILIO ADULTO

risposto fermamente e ben presto Ottaviani gli risponderà a sua volta


con veemenza; diversi padri hanno reclamato la riforma della curia e la
creazione di un organo centrale della collegialità episcopale per assistere
il papa nel suo governo della chiesa universale, dando probabilmente
l'impressione di voler limitare il primato pontificio. In questo contesto
assai delicato e rischioso per la buona continuazione dei lavori condlia-
ri, l'arcivescovo di Bologna, «modesto e discreto, ma deciso e penetran-
te»59, prende l'iniziativa di provare a calmare gli spiriti e di equilibrare
un poco i punti di vista. A questo scopo ricorda ciò su cui «noi tutti
possiamo puramente e semplicemente convenire»: la giurisdizione del
romano pontefice è suprema e piena; questi può esercitare tale giurisdi-
zione indipendentemente dal corpo episcopale; può farsi aiutare da or-
gani esecutivi liberamente scelti da lui; il corpo dei vescovi unito al
papa, e soltanto secondo modalità da lui predisposte, ha un potere ple-
nario e supremo (quindi non delegato) sulla chiesa universale; nulla im-
pedisce al papa di rendere l'esercizio di questo potere del corpo episco-
pale più frequente e più abituale, almeno attraverso l'intermediario di
un nuovo organo che rappresenti «fedelmente» (sincere) il corpo dei ve-
scovi. La decisione ultima circa l'opportunità di una tale istituzione deve
spettare al papa; anche dopo la sua creazione, egli deve restare libero di
ricorrere a un'altra procedura; tuttavia, se questa istituzione non è previ-
sta di fatto come la via abituale per trattare e «dirimere» (decernendi) le
questioni maggiori, sembra opportuno ed «equo» non introdurla. Un
organo come questo che aiuti il papa nel governo della chiesa universale
attualmente manca. Per assicurare una partecipazione abituale dei vesco-
vi alla cura di tutta la chiesa, non è sufficiente jnternazionalizzare la cu-
ria o creare una nuova congregazione «più suprema della suprema con-
gregazione del s. Uffizio». Gli svariati problemi del rinnovamento della
curia sono così strettamente legati che superano il quadro del decreto
De episcopis, ma anche, fino a un certo punto, la competenza del conci-
lio. La questione tocca così direttamente la competenza personale del
papa che i padri non ne avrebbero potuto nemmeno discutere se il som-
mo pontefice non l'avesse in qualche modo affidata al concilio, quasi
che volesse verificarne gli orientamenti. Anche Lercaro propone di riti-
rare dal decreto tutto ciò che concerne la partecipazione dei vescovi al
governo della chiesa universale; piuttosto che un testo normativo su
questo tema, i padri dovrebbero preparare un messaggio che, in risposta
ai desideri del papa, presenti «alcuni voti del condlio sul rinnovamento
generale degli uffici della curia romana e su un'adeguata partecipazione

59 CoNGAR, Deuxième session, cit., p. 134.


VESCOVI E DIOCESI (5-15 NOVEMBRE 1963) 151

dei vescovi al governo supremo della chiesa»; tali proposte, poiché toc-
cano «questioni secolari della massima jmportanza», non potranno «es-
sere ricavate» (depromi) che dopo uno studio e un'elaborazione adeguati
da parte di una commissione ~onciliare speciale da designarsi prima del-
la fine del secondo periodo. E da notare che l'espressione «alcuni voti»
del concilio riguardo il coinvolgimento dell'episcopato al governo uni-
versale della chiesa, è pienamente conforme al discorso fatto da Paolo
VI il 21 settembre precedente60 •
All'epoca, molti hanno pensato che l'insieme di questa messa a pun-
to rispondesse al pensiero e ai desideri del papa61 ; di più «era così sfu-
mata che alcuni la dicevano ispirata dallo stesso sommo pontefice» 62 • Ef-
fettivamente questo intervento sembra davvero essere stato deciso di co-
mune accordo dai quattro moderatori assieme a Paolo VI la sera della
vigHia (7 novembre) 63 • Ma la commissione proposta non è mai stata isti-
tuita64; il papa ha preferito chiedere a Marella di redigere frettolosamen-

6° Cfr. supra, n. 13: IdP, I, 1963, in particolare p. 150. Per il testo italiano origina-
le: Per la forza, pp. 197 205.
61 CONGAR, Deuxième session, cit., p. 134.
62 WENGER, p. 145. Anche J. Dupont scrive nella sua retrospettiva manoscritta del
secondo periodo (p. 4 b verso): «Intervento del card. Lercaro, che provocò molti com-
menti. [... ] Questo discorso ha colpito l'attenzione perché, nel modo in cui è stato pre-
sentato, sembrava assai poco conforme a certe idee del card. Lercaro. Molti vi hanno vi-
sto un discorso fatto su commissione, e nel quale il cardinale non faceva altro che tra
smettere il pensiero del papa» (F Dupont, n. 1759).
63 Cfr. Ldc, p. 208 e 212, n. 5.
64 Questa proposta, che Lercaro evocherà nuovamente in una lettera dell' 11 no
vembre 1963 (cfr. Ldc, p. 217), è stata ugualmente ripresa nell'intervento successivo del
card. Rugambwa, a nome dell'episcopato d'Africa e del Madagascar (AS IV4, pp. 621
623 la minuta di Dossetti in Per la forza, pp. 331-336), dall'episcopato venezuelano (AS
IV4, pp. 702 703) e in una animadversio scripta di alcuni vescovi francesi (AS IV4, pp.
547 548). Notiamo precisamente che il 13 novembre successivo, in occasione della Pana-
fricana (riunione dei presidenti delle conferenze episcopali d'Africa e del Madagascar), è
all'ordine del giorno l'invio di due lettere ai moderatori: una «in vista di preparare la
designazione della futura commissione che secondo gli interventi dei cardd. Rugambwa
e Lercaro dovrebbe raccogliere gli elementi suscettibili di aiutare il Santo Padre nella
costituzione dell'organismo che il papa stesso desidera per un miglior governo della
chiesa universale»; l'altra «per chiedere quale seguito si può sperare alla lettera scritta
già diverse settimane prima per ottenere una migliore organizzazione dei lavori conciliari
e in modo particolare delle commissioni» (la lettera di cui qui si tratta forse anticipava,
ma in ogni caso partecipava di una preoccupazione comune a diversi episcopati, cfr. in-
fra, n. 68). Nella stessa assemblea della <<Pan Af», si esaminano anche i testi «proposti
all'eventuale firma dei vescovi sulla futura costituzione del Senato del papa e sulla rifor-
ma della curia» e che «provengono dal gruppo cileno» (si veda anche la n. 68); cfr. il
resoconto di questa riunione, pp. 1 e 3 nel F Olivier, n. 159.
152 IL CONCILIO ADULTO

te il progetto di motu proprio che, nel settembre 1965, ha istituito il si-


nodo dei vescovi, un organismo assai distante dalla proposta del cardi-
nale bolognese e dalle attese della maggioranza conciliare65 • In questo
celebre intervento di mediazione delr8 novembre, l'arcivescovo di Bolo-
gna adotta un atteggiamento realista, mentre abitualmente difende senza
concessioni posizioni di principio: il fatto è che qui si è trattato di tro-
vare un accordo con lo stesso Paolo VI e di dissiparne il malessere, un
malessere accresciuto dopo l'avvio della discussione del De episcopis. Per
questo Lercaro non ha esitato a ricordare le prerogative papali nei ter-
mini espressi dal Vaticano I e a sostenere, tra la sorpresa della stessa
maggioranza conciliare, che l'assemblea doveva limitarsi a formulare del-
le proposte al papa; bisognava evitare un conflitto di competenze tra il
papa e il concilio e bisognava anche evitare la completa esclusione di
quest'ultimo dall'auspicata riforma degli organi centrali della chiesa66 •
Questa congregazione generale, la sessantatreesima, è stata senza
dubbio la più difficile e una delle più importanti del concilio67 • Le ri-
percussioni del duello Frings-Ottaviani o concilio-commissione teologica
(allora ancora controllata dal gruppo conservatore) si poterono saggiare
alla fine di novembre, quando Paolo VI annunciò l'integrazione di nuovi
membri alle commissioni conciliari per conferire loro una maggiore ra p-
presen tatività. Bisogna aggiungere, che oltre la preoccupazione espressa
in aula dal cardinale di Colonia, un memorandum sulle commissioni
conciliari - indirizzato confidenzialmente al papa immediatamente dopo
1'8 novembre - aveva denunciato in tutta franchezza l'atteggiamento del
presidente della commissione teologica: questi lavora direttamente con-
tro la commissione della quale è il presidente; secondo lui, la commis-
sione teologica è al di sopra dello stesso concilio. Il documento conclu-
deva: il presidente della commissione teologica non è più atto a presie-
dere la commissione dalla quale dipende in larga misura il successo o il
fallimento del concilio, poiché la commissione teologica deve essere
I'espressione del concilio, e non di un solo uomo68 • Una simile conclu-

65 Sul contesto del discorso dell,8 novembre, cfr. Protagonisti, pp. 456 459.
66 Cfr. G. ALBERIGO, L'evento conciliare, in Giacomo Lercaro, cit., pp. 126-127.
67 Cfr. LAURENTIN, p. 132; Protagonisti, p. 478.
68 Cfr. F-Philips, P.049.01 (d'origine cilena, il memorandum anonimo in francese,
potrebbe essere di J. Medina Estévez) (se ne fa menzione manoscritta su di un docu-
mento in latino che va nella stessa linea: n. 545 del F Prignon) può essere datato tra il
10 e il 15 novembre e certamente precede di poco la redazione della petizione indirizza-
ta al papa nel corso della seconda metà di novembre. L'iniziativa di questa petizione
sarà presa dal cardinale di Santiago del Cile Silva Henriquez che sarà appoggiato, pare,
da1la firma di 500 vescovi, cfr. J. GROOTAERS, Une forme de concertation épiscopale au
concz"/e Vatican Il: la «Con/erence des Vingt deux» (1962 1963), in <<RHE», 91 (1966),
VESCOVI E DIOCESI (5-15 NOVEMBRE 1963) 153

sio ne riflette perfettamente la gravità di una situazione che non soltanto


rischiava di paralizzare il concilio, ma metteva in questione la sua stessa
ragion d' essere69 •

3. Un vescovo deve essere aiutato o deve dare le dimissioni a un'età fissa?

Prima della fine della congregazione, si passa all'esame del capitolo


II dello schema in discussione. Dopo la relatio di Carli, due interventi si
succederanno ancora nell'arco di quella mattinata, quelli di Ruffini e
Garibi y Rivera, arcivescovo di Guadalajara (Messico). In seguito trentu-
no padri prenderanno la parola su questo capitolo dall' 11 al 13 novem-
bre (LXIV-LXVI c.g.).

3 .1. La relatio Carli

Il relatore presenta gli undici articoli di questo capitolo (nn. 6-16)


relativi al vescovo coadiutore e al vescovo ausiliare, entrambi dati al ve-
scovo residenziale, il primo con diritto di successione, il secondo senza
questo diritto. Viene precisata la loro figura giuridica così come le loro
facoltà e i loro rapporti con il vescovo residenziale. L'ultimo articolo
verte sulla dimissione volontaria del vescovo residenziale. A questo pro-
posito il vescovo di Segni enuncia le difficoltà incontrate e le risposte
date ancora in seno alla commissione preparatoria: a) tradizionalmente,
il vescovo è come sposato con la propria diocesi fino alla morte; il para-
gone non deve tuttavia essere forzato e questa inamovibilità ha subìto
nel corso del tempo una seria evoluzione; b) in caso di rinuncia, il ve-
scovo non deve essere messo sullo stesso piano di un funzionario civile;
se questi rivendica il pensionamento come un diritto per la propria co-

pp. 66-111, in particolare p. 89; si noti fidentità di vedute tra il memorandum e la cit.
lettera di Moeller alla madre datata 11 novembre 1963, nella quale questo parere sem
bra essere generale al concilio (cfr. supra, p. 148, n. 53). Si vedano anche già i desiderata
de1la commissione dei rappresentanti delle conferenze episcopali (riunione del 25 otto
bre 1963 a1la Domus Mariae), inviate da Veuillot a Dall'Acqua il 28 ottobre (F Lercaro,
XXIII, 528, cfr. Per la forza, pp. 273 275, n. 6; F «Conference des Vingt-deux», II 6 e 7
A C; cfr. GROOTAERS, Une forme de concertation, cit., pp. 89 90 e 107 109: l'esistenza di
questa memoria episcopale confidenziale comincia a essere conosciuta dal grande pub-
blico a partire dall 8 novembre, cfr. la menzione che di essa fa Desmond Fisher nel set-
1

timanale «The Catholic Herald» dell'8 novembre 1963 ).


69 Cfr. Protagonisti, pp. 478 479.
154 IL CONClLIO ADULTO

modità, il vescovo deve al contrario concepirlo come un sacrificio meri-


torio per il bene delle anime; e) è sufficiente che la sede apostolica, in
casi particolari, o inviti alle dimissioni o accordi un coadiutore o un au-
siliare; ciò nondimeno, si conosce per esperienza la difficoltà che si in-
contra per ottenere dimissioni spontanee e invece la nomina di un coa-
diutore o di un ausiliare pone nuovi problemi; d) la specificazione del
settantacinquesimo anno di età è arbitraria; tuttavia, a una certa età,
molti vescovi non possono più governare la loro diocesi ed è convenien-
te che una norma fissata per legge offra loro una ragione onorevole per
ritirarsi. Dopo diversi interventi delle commissioni, la disposizione giuri-
dica è stata temperata sotto forma di un invito pressante come nel testo
attualmente in esame70 •

3 .2. Ruffini contro Maximos IV?

Di questa fine mattinata dell'8 novembre, si può anche ricordare il


discorso dell'arcivescovo di Palermo per le reazioni che susciterà: non
tanto per la sua insistenza sulla necessaria unità di governo di una dio-
cesi e sulla coesistenza problematica di due pastori, uno residenziale e
l'altro coadiutore; e neppure per la sua opposizione alle dimissioni vo-
lontarie per ragioni di età o di salute o per la sua critica della messa sul-
lo stesso piano - ai suoi occhi sospetta di divisione - della sede aposto-
lica e dell'autorità competente in Oriente (concernente la distinzione tra
chiesa latina e chiese di rito orientale); la causa delle reazioni sarà inve-
ce l'evocazione della «oratio aspera et molesta», per usare le sue stesse
espressioni, diretta recentemente contro la curia romana e la chiesa lati-
na, ma fortunatamente riparata da alcuni padri, principalmente dal pa-
triarca lgnace Pierre XVI Batanian, «un tempo mio affezionato discepo-
lo e ora onore della chiesa, che ringrazio anche a nome di sua eminenza
il card. Siri, presidente della conferenza episcopale d'ltalia»71 .
Molti hanno visto in questo intervento un'allusione, a malapena vela-

7oCfr. Relatio, pp. 15-18; AS II/4, pp. 647-650.


71 Cfr. AS II/4, pp. 651 653. Il sorprendente riferimento al presidente della Confe
renza episcopale italiana indicherebbe implicitamente una convinzione comune che la
curia è de facto un affare esclusivamente italiano? Si veda RYNNE, p. 186. Il riferimento
a Siri indica più globalmente un'intesa tra questi e Ruffini, cfr. B. LAI, Il Papa non elet-
to. Giuseppe Sin: cardinale di Santa Romana Chiesa, Roma Bari 1993, pp. 212-213 (Lai
cita anche una lettera di Siri a Ottaviani, datata 8 novembre 1963 [Archivio Siri, Arcive-
scovado di Genova], nella quale lo assicura de1la propria solidarietà e valuta che l'attac-
co di Frings è andato al di là del suo pensiero).
VESCOVI E DIOCESI (5-15 NOVEMBRE 1963) 155

ta, a quello pronunciato da Maximos IV il 6 novembre. In ogni caso è


ciò che l'interessato, assente quel giorno dall'assemblea, l'ha percepito.
Così il giorno stesso egli invia un telegramma alla presidenza e ai mode-
ratori nel quale protesta contro le parole di Ruffini che «utilizza laula
conciliare per attaccare chi non condivide le sue opinioni», meraviglian-
dosi del silenzio di Agagianian, moderatore della seduta; attende quindi
riparazione. Messo al corrente di ciò, Ruffini scrive immediatamente a
Maximos, dispiacendosi per la sua assenza e manifestando la propria sti-
ma per le chiese orientali. Il patriarca tuttavia stima inammissibile che il
cardinale abbia potuto pronunciare un pubblico elogio a Ignace Pierre
XVI Batanian solo perché era stato un suo discepolo, come se ciò costi-
tuisse una garanzia di buona teologia rispetto ad altri72 .

3.3. Un dibattito «interessato»?

Quando l'assemblea conciliare si riunisce nuovamente I' 11 novembre


per la LXIV congregazione generale, si deve tenere in considerazione il
fatto che nel frattempo, il 9 novembre, i moderatori si sono riuniti per
prendere importanti decisioni e in particolare quelle per uscire dall'at-
tuale impasse73 • Inoltre l'omelia pronunciata dal papa domenica 10 no-

72 Cfr. WENGER, pp. 153-154 (confidenza di Maximos IV il 12 novembre 1963);


RYNNE, pp. 185-186. JEdb (ed. it., pp. 205 206) non poteva passare sotto silenzio l'inter-
vento dell'arcivescovo di Palermo: esso va «in un senso piuttosto conservatore» e fa «a1lu
sione al discorso del nostro patriarca» (parla infatti di «quel padre che l'altro ieri ha attac-
cato la chiesa latina») «coprendo di elogi "il patriarca Batanian [. .. ]. Che voglia ricevere i
miei ringraziamenti per il suo bel discorso, a mio nome e a nome del card. Sir i". In que-
sto modo interpreta Edelby il gioco è stato svelato. Il discorso di Batanian era stato
fatto in connivenza con i cardd. Ruffini e Siri. Inoltre Batanian si è screditato, non soltan-
to per essersi prestato aJle loro manovre, ma per aver ormai vincolato il proprio pensiero
a quello degli elementi più retrogradi del concilio». In seguito a questo attacco «non vela
tm» così lo definisce, contro il patriarca, l'arcivescovo di Edessa informa che un telegram-
ma di protesta è stato inviato il giorno stesso ai cardinali de1la presidenza, ai cardinali mo-
deratori, al card. segretario di Stato e alla segreteria del concilio («per essere conservato
agli Atti>» precisa). Segue il testo del telegramma che chiede riparazione. È firmato dal
patriarca e dagli altri padri melchiti. Due reazioni posteriori sono ancora segnalate: una
lettera di scuse di Ruffini, secondo la quale «egli non aveva affatto rintenzione di offende
re (Maximos IV)», e una risposta meno conosciuta e più sorprendente forse di Tisserant,
il quale dichiara «che se si doveva interrompere il card. Ruffini, si sarebbe dovuto anche
arrestare la diatriba che il patriarca aveva fatto alla vigilia ... ».
73 «Prima fra i "Sinottici''» (Dopfner, Lercaro e Suenens), senza Agagianian, mem
bro della curia, «e poi tutti i moderatori con la segreteria», nota Lercaro (Ldc, p. 214);
sulla riunione «ufficiale» (i quattro moderatori più Felici, Vi1lot, Fagiolo e Carbone), dr.
AS V/3, pp. 700-710.
156 IL CONCILIO ADULTO

vembre in occasione della «presa di possesso» della sua cattedrale, la


basilica del Laterano, non è certamente andata nella direzione di un
«papalismo estremo», il che sarebbe potuto apparire come un appoggio
a Ottaviani, ma esattamente nella direzione contraria74 •
Il mattino dell'll novembre, quando riprendono i dibattiti sui ve-
scovi coadiutori e ausiliari, non è sicuro che la «tempesta» conciliare si
sia calmata; tutti hanno ancora in mente la «storica» e animata seduta
del venerdì precedente. Il capitolo II del De episcopis riguarda alcuni
problemi particolari, ma che toccano da vicino i membri delJ>assemblea;
per questo sono destinati a suscitare un interesse elevato. In effetti molti
vescovi hanno cominciato con l'essere loro stessi ausiliari o coadiutori e
tutti vedono avvicinarsi il giorno in cui l'età o la malattia porranno il
problema di un. cooperatore o di eventuali dimissioni. I dibattiti su que-
sto duplice rimedio all'invecchiamento saranno «caratterizzati a tratti da
una franchezza brillante e da uno humour allegramente macabro»75 e
presenteranno spesso «un risvolto personale o interessato»76 , con i ve-
scovi più anziani ad invocare ragioni più o meno teologiche per opporsi
a un limite d'età e i vescovi coadiutori e ausiliari più o meno unanimi
nel lamentarsi della loro condizione.
Sui coadiutori le posizioni sono differenziate: alcuni vorrebbero che
venissero loro attribuiti poteri grazie ai quali essi abbiano una vera pos-
sibilità di agire77 ; altri temono invece che in questo modo possa generar-
si una sorta di «diarchia» o «bicefalia» dannosa per la guida di una dio-
cesi78; altri ancora preconizzano una soluzione radicale: la soppressione
dei coadiutori7 9 •
Sulle dimissioni dei vescovi fissate ad una certa età, si delinea netta-
mente una corrente maggioritaria in favore dell'innovazione prevista dal-
lo schema, anche se diversi padri si oppongono formalmente alla rinun-

74Cfr. RYNNEJ pp. 189-190; per il testo integrale delromelia cfr. «OssRom» dell'l l
e 12 novembre 1963, pp. 1 2 (il papa insiste sulla sua piccolezza e non rivendica altro
merito «se non quello irrefragabile d'essere stato canonicamente eletto Vescovo di
Roma»).
75 LAURENTIN, p. 135.
76 WENGER, p. 157.
77 Cfr. AS Il/4, pp. 709-710 (C. Confalonieri); AS Il/5, pp. 10-12 (L. Suenens), 20-
21 (F. Zak).
78 Cfr. AS II/4, pp. 651 653 (E. Ruffini), 744 746 (E. Gavazzi); AS II/5, pp. 27-28
(T. Cahi11).
79 Cfr. AS Il/4, pp. 724-728 (A. Afioveros Ata(m); AS Il/5, pp. 14 20 (J. Hervas y
Benet).
VESCOVI E DIOCESI (5-15 NOVEMBRE 1963) 157

eia obbligatoria80. La fissazione di un limite di età trova un sostenitore


particolarmente efficace in Suenens che interviene sul tema il 12 novem-
bre81. Inizialmente - nota il moderatore - pressoché tutti i membri della
commissione preparatoria si erano opposti a una prescrizione di questo
tipo ma, alla fine della discussione, la maggior parte dei vescovi era or-
mai divenuta favorevole ad essa. Se è vero che la questione tocca la teo-
logia dell'episcopato, non si debbono tuttavia invocare unilateralmente
certi principi (paternità perpetua, indissolubilità matrimoniale tra il ve-
scovo e il suo popolo). Ai suoi occhi la vera domanda è: cosa richiede
in questa materia la salvezza delle anime? Da questo punto di vista una
prescrizione sembra necessaria, poiché la responsabilità pastorale del ve-
scovo - attualmente accresciuta - richiede anche una maggiore capacità.
L'accelerata evoluzione sociologica del mondo attuale, prosegue l' arcive-
scovo belga, esige anche una giovinezza di spirito e di corpo, senza par-
lare dell'esempio che il vescovo deve dare al prete anziano, al quale
chiede le dimissioni per il bene della parrocchia; ugualmente si tratta
per i vescovi di dare ai fedeli un segno di sincera volontà in direzione
del rinnovamento pastorale voluto dal concilio. Se anche il concilio non
giungerà a fissare il pensionamento obbligatorio di un vescovo a settan-
tacinque anni - conclude il cardinale - si stabilisca almeno che a questa
età gli sia affiancato un coadiutore e che questi possa cumulare progres-
sivamente nelle sue mani il governo unitario di tutta la diocesi.
Molti altri problemi vengono ugualmente toccati nel corso di questo
dibattito: la finzione giuridica delle sedi affidate ai vescovi titolari, l' epi-
scopato «onorifico», lo statuto del vescovo ausiliare o, ancora, i mezzi
per assicurare un pensionamento decoros9 ai vescovi. Nel suo intervento
dell'l 1 novembre, Caillot, coadiutore di Evreux (Francia), chiede la sop-
pressione dell'uso di attribuire il titolo episcopale di venerabili chiese
scomparse ai vescovi non residenziali: teologicamente l'ordinazione epi-
scopale è sufficiente per essere pienamente aggregati al collegio episco-
pale; pastoralmente, è necessario che il titolo corrisponda almeno alla
diocesi nella quale il prelato esercita realmente il suo ufficio episcopale;
da un punto di vista ecumenico, è insolito conferire a vescovi di rito la-
tino nomi di città che sono esistite in Oriente82 . Nella stessa linea, Zak,

80 Tra coloro che si oppongono: AS II/4, pp. 651 653 (E. Ruffini), 653-654 (J. Ga
ribi y Rivera), 717 719 (M. Gonzi), 721-723 (A. De Vito), 728 732 (E. Nowicki), 736-
738 (B. Reetz), 742 744 (C. Saboia Bandeira de Mello); AS II/5, pp. 27-28 (T. Cahill),
28-32 (J. Slipyj).
8 1 Cfr. AS II/5, pp. 10-12. Riguardo l'influenza esercitata sul concilio dal primate
belga, cfr. Protagonisti, pp. 494 504.
82 Cfr. AS II/4, pp. 738-740.
158 IL CONCILIO ADULTO

vescovo di Sankt Polten (Austria), il 12 novembre, riprende gli argo-


menti del coadiutore di Evreux, precisando nel suo testo scritto che
l'episcopato in nessun caso può essere conferito solamente per ragioni
onorifiche: è l'evangelizzazione del mondo intero ad essere in gioco e
per questo ci si può domandare se l'episcopato sia compatibile con
compiti puramente amministrativi83 . Dato che, teologicamente, solo il
vescovo residenziale incarna l'autentica figura del vescovo, diversi padri
chiedono anche la diminuzione del numero dei vescovi ausiliari e so-
prattutto titolari84 . La testimonianza di Le Cordier, ausiliare di Parigi,
catalizza l'attenzione per la sua originalità. Egli è in effetti un ausiliare
«residente» (residens). Questa esperienza all'interno di un agglomerato
urbano è portata avanti da sette anni nella diocesi di Parigi: il vescovo
ausiliare ha un «domicilio fisso» (stabile domicilium) nella banlieue pari-
gina e ha ricevuto «tutte le facoltà necessarie e opportune per dirigere
(regendos) coloro che vivono in questa parte di diocesi». L'iniziativa è
stata presa per due ragioni: assicurare contemporaneamente la prossimi-
tà del vescovo al popolo cristiano e l'unità dell'azione pastorale o del-
l'evangelizzazione. In questo senso, Le Cordier auspica l'abbozzo di
«una nuova figura giuridica» di vescovo a fianco del semplice «ausilia-
re»85. Quanto a Reuss, ausiliare di Magonza, chiede che si compia una
certa rivalutazione dei vescovi ausiliari. La «condizione dell'ausiliare»
deve in effetti essere definita principalmente a partire dall'istituzione di-
vina dell'episcopato e le sue facultates devono essere stabilite tenendo in
molto minore conto le considerazioni giuridiche o amministrative: tutti i
vescovi, attraverso la stessa consacrazione episcopale, divengono membri
del collegio dei vescovi e hanno parte agli stessi «uffici e poteri, almeno
quelli fondamentali». Così è d'uopo che il diritto canonico che riguarda
gli ausiliari sia maggiormente «adattato» (apparari) al diritto divino: l' au-
siliare dovrebbe essere sempre inviato a una sede e non a una persona e
dovrebbe anche essere il vicario del vescovo residenziale quando questi
è impedito o assente; l'ausiliare dovrebbe essere direttamente subordina-
to al vescovo residenziale, ma non al vicario generale; l'ausiliare dovreb-
be infine godere sempre del potere ordinario che gli è dovuto e che gli
compete86 . Altri padri auspicano anche che il vescovo affidi al suo ausi-

83 Cfr. AS II/5, pp. 20-21


84 Cfr. AS 11/4, pp. 711-715 (J. Dopfner); AS II/5, pp. 22 24 (H. Volk), 24-25 (R.
Tchidimbo), 60 61 (J. Busimba).
85 Cfr. AS II/5, pp. 25 26.
86 Cfr. AS Il/5, pp. 32-34.
VESCOVI E DIOCESI (5-15 NOVEMBRE 1963) 159

liare facoltà opportune riguardanti tutta la diocesi, affinché vi possa


esercitare efficacemente il suo ufficio pastorale87 •
Quanto al dignitoso pensionamento, il card. Cento propone la crea-
zione di un fondo di solidarietà episcopale per i vescovi dimissionari88 ;
Angelo Fernandes, coadiutore di Delhi (India), aggiunge da parte sua la
proposta della fondazione di case nelle quali i vescovi possano ritirarsi e
«dove si provvederebbe in modo appropriato sia alla cura del loro cor-
po che alla salute delle loro anime»89 .

3.4. Una risposta autorizzata agli attacchi della minoranza

Prima di abbandonare il dibattito sul capitolo II De episcoporum co-


adiutoribus et auxiliaribus, non è inutile ritornare sul discorso di Dopf-
ner - arcivescovo di Monaco e di Frisinga, nonché uno dei quattro mo-
deratori90 - poiché permette di rendersi conto del clima che regnava an-
cora in aula 1'11 novembre, due settimane dopo il voto sui cinque quesi-
ti e tre giorni dopo gli incidenti dei quali si è parlato. Nel suo interven-
to Dopfner richiama la necessità di una migliore percezione della digni-
tà dei vescovi ausiliari, motivata dalla sacramentalità dell'ordinazione
episcopale e dalla loro appartenenza ordinaria, per questa ragione, al
collegio dei vescovi; nel contempo auspica una diminuzione del loro nu-
mero in nome dell'unità della diocesi che si fonda sul solo vescovo resi-
denziale. Si tratta per lui dell'occasione per aprire una parentesi, che ri-
tiene opportuna, a proposito del voto indicativo del 3O ottobre (quasi
che, ai suoi occhi e a quelli dei suoi colleghi moderatori, la questione
non sembrasse ancora chiusa). In effetti, «in questi ultimi giorni è potu-
ta nascere nell'aula conciliare una sensazione come se, mentre lo Spirito
Santo agiva assai lontano, un nemico avesse seminato nel campo conci-
liare questi voti relativi ai quesiti proposti dai moderatori e alle risposte
dei padri». Il moderatore tiene a ristabilire la verità di quanto è accadu-
to: è l'organo competente del concilio, ossia i moderatori, direttori dei
lavori conciliari secondo l'Orda concilii, che - dopo un lungo esame -
ha proposto ai padri i quesiti; i termini di essi, fa notare, sono stati ri-
presi letteralmente o almeno nel senso dallo schema proposto dalla
commissione competente (così il concetto di collegio degli apostoli non

87 Cfr. AS IV4, pp. 733-734 (J. Pohlschneider); AS II/5, pp. 20 21 (F. Zak).
88 Cfr. AS IV4, pp. 710-711.
89 Cfr. AS IT/5, pp. 58-60.
9o Per un profilo del cardinale di Monaco di Baviera, cfr. Protagonisti, pp. 418 425.
160 IL CONCILIO ADULTO

è stato introdotto «furtivamente» [furtim] nei quesiti, ma si trova in di-


versi passaggi dello schema). Pur non essendo definitivo, nondimeno
questo voto indica la via da seguire alla commissione, la quale, al servi-
zio della congregazione generale, ordina, coordina e «valuta» (expendit)
gli emendamenti; Dopfner vuole anche «tranquillizzare» (securiores red-
dere) i padri sulle tendenze del concilio. Il voto era provvisorio, ma nel
senso di «predisporre» (providendi). «Non rendiamo oscuro ciò che è
già sufficientemente chiaro»91 • A tre giorni di distanza dalla crisi dell'8
novembre, e a due da un incontro tra il papa e i moderatori, il confron-
to tra maggioranza e minoranza non poteva restare nell'incertezza, dopo
la vigorosa controffensiva di quest'ultima: era in gioco l'avvenire stesso
del concilio. Così l'arcivescovo tedesco, sin dall'inizio della congregazio-
ne successiva, ha giudicato necessario operare questa chiarificazione au-
torizzata e assai netta. Sull'urgenza di questa mossa non s'ingannava;
due giorni più tardi, infatti, Ottaviani in persona avrebbe ancora conces-
so un'intervista contro i voti del 3 O ottobre92 e Cadi li avrebbe criticati
in aula93 : ciò per dire come la corrente minoritaria fosse ben lontana
dall'idea di disarmare.

4. Assemblee epùcopali senza poteri giuridici?


Prima di entrare nella discussione sulle assemblee episcopali, occorre
ricordare che nel corso dell'intersessione, e in parte già anche dal primo
periodo, i vescovi avevano imparato a lavorare raggruppati in conferenze
nazionali e queste a collaborare tra di loro. L'esperienza vissuta delle
conferenze episcopali aveva quindi preceduto e accompagnato il dibatti-
to su di esse94 •
In occasione della LXV congregazione generale era stato deciso di
concludere la discussione del capitolo II (2.025 placet, 141 non placet) e

91 Cfr. AS 11/4, pp. 711 715.


92 Intervista di mercoledì 13 novembre al Divine World News Service (cfr. RYNNE,
pp. 198 199); è interessante anche notare che la sera stessa deUa dichiarazione di Dopf-
ner (11 novembre), Ottaviani aveva espresso la propria inquietudine a R. Wiltgen: « Ven
go da una riunione della commissione teologica. Le cose si preannunciano male; i fran-
cesi e i tedeschi sono riusciti a coalizzare tutti contro di noi ... » (WILTGEN, p. 118).
93 Cfr. AS 11/5, pp. 72 75.
94 Si pensi in modo particolare al gruppo dei ventidue rappresentanti delle confe-
renze episcopali, cfr. J. BROUWERS, Vatican II, derniers préparati/s et première session: Ac-
tivités condliaires en coulisses, in Vatican II commence, pp. 353 358; GROOTAERS, Une
/onne de concertation, cit., pp. 66-111; P. NoE:L, Gli incontri delle conferenze episco-pali
durante il concilio. Il «gruppo della Domus Mariae», in Evento, pp. 95-133.
VESCOVI E DIOCESI (5-15 NOVEMBRE 1963) 161

di passare immediatamente al capitolo III, dopo la relazione Carli95 • La


discussione di questo capitolo si protrarrà dal 12 al 15 novembre (nelle
congregazioni LXV-LXVIII), scandita da trentadue interventi orali.

4.1. Un fondamento «puramente pastorale»?

Il relatore segnala dapprima la novità pro iure condendo proposta da


questo capitolo sull'assemblea o la conferenza nazionale dei vescovi. Di
qui la necessità di definirne almeno i «contorni» (lineamenta) giuridici.
Presenta in seguito i nove articoli del capitolo (nn. 17-25). Il proemz'um
(n. 17) enuncia il principio «essenzialmente pastorale» della nuova isti-
tuzione: per il bene delle anime, e non più solo per i rapporti con lo
Stato, i tempi attuali richiedono che almeno i vescovi di una stessa na-
zione mantengano un indirizzo comune nel compimento del loro ufficio
pastorale. Viene così stabilito l'obbligo di costituire conferenze nazionali
(n. 18 § 1), la possibilità di costituirne di internazionali è ugualmente
prevista (n. 18 § 3 ). Quanto alla «direzione» della conferenza (nn. 19-
21), ben poche cose sono decise, stante che ciascuna conferenza nazio-
nale può elaborare statuti particolari adatti alla propria situazione, con
l'approvazione della S. Sede. La cooptazione giuridica nella conferenza
nazionale, con voto deliberativo, è riconosciuta a tutti gli ordinari dei
luoghi di qualunque rito essi siano, eccetto i vicari generali e invece
compresi i coadiutori in ragione del loro diritto di successione (n. 19, §
1). Secondo il parere dello stesso Carli, la terza parte del capitolo, rela-
tiva alle decisioni della conferenza (nn. 22-24) è della massima impor-
tanza. In questa materia, la commissione ha seguito tre principi: a) una
conferenza nazionale non è la stessa cosa di un concilio plenario o pro-
vinciale e non rende queste assemblee inutili, al contrario; b) un vescovo
residenziale gode sui suoi fedeli di un potere reale, ordinario e immedia-
to che, essendo di diritto divino, è subordinato al solo papa (n. 22); e)
tuttavia, il bene comune delle anime di una nazione, riflettendosi in ulti-
ma analisi sul bene di ciascuna diocesi, esige un'unità d'azione pastorale
di tutti i vescovi di questa nazione. Pressoché in tutti i campi tale esi-
genza è soltanto morale, restando ciascun vescovo libero di agire secon-
do la propria coscienza per ragioni di cui egli valuterà la gravità davanti
a Dio (nn. 22-23 ). Ma in alcune materie ben definite (n. 24) sembra alla
commissione che un obbligo puramente morale non sia sufficiente e che
quindi debba essere stabilito anche un obbligo giuridico, motivato dalla

95 Cfr. AS 11/5, p. 34.


162 IL CONCILIO ADULTO

gravità delle materie in questione e dalle conseguenze nocive derivanti


da modi di agire dei vescovi in opposizione fra loro. Nondimeno anche
in casi simili il potere monarchico dei vescovi si trova sufficientemente
protetto dalle seguenti clausole, in ordine progressivo di gravità: a) la li-
sta dei casi (per definizione poco frequenti) è strettamente «tassativa»
(taxativus ): dichiarazioni maggiori, relazioni con lo stato, questioni gravi;
b) le decisioni della conferenza debbono essere prese almeno con i due
terzi dei suffragi; e) debbono essere inoltre «riconosciute» dalla S. Sede;
d) infine, ogni vescovo ha facoltà di ricorrere alla S. Sede, anche se sol-
tanto «in ultima istanza» (in devolutivo) «per non snervare lo statuto»
(ne /i'nis ... /rustretur ). In questo modo tale assetto diminuisce il potere
ordinario di ciascun vescovo meno di quanto non faccia no le decisioni
dei concili plenari o provinciali96 •
Questa relatio mette bene in evidenza le due questioni-chiave poste
dal ca pi tolo: quella del f andamento teologico o «puramente pastorale»
delle conferenze episcopali e quella, correlativa, del carattere giuridica-
mente o moralmente obbligatorio delle loro decisioni; inoltre tradisce le
posizioni piuttosto restrittive e minimaliste della commissione (almeno
di quei membri di essa che si sono riuniti nel corso dell'intersessione
per rielaborare il testo); questa «commissione-tronca» ha decisamente
optato per un f andamento non teologico, «essenzialmente pastorale»,
della nuova istituzione; ugualmente, r esigenza per ciascun vescovo di
conformarsi alle decisioni pastorali della conferenza è puramente morale
e, anche nei casi assai limitati nei quali le decisioni obbligano giuridica-
mente tutti i vescovi - si preoccupa di sottolineare chiaramente il relator
- il potere monarchico di ciascun vescovo è salvaguardato al massimo
(recognitio obbligatoria della S. Sede e possibilità del ricorso ad essa
in caso di disaccordo con la conferenza).

4.2. Una maggioranza divisa

L'argomento è importante, poiché le conferenze episcopali sono in-


caricate dell'applicazione delle decisioni conciliari e delle loro diversifi-
cazioni regione per regione. La questione più discussa nel corso del di-
battito sarà proprio quella della capacità di legiferare delle conferenze.
Bisogna rafforzare questa autorità rendendo obbligatorie tutte le decisio-
ni prese dalla maggioranza dei due terzi? O invece si deve diminuirla

96 Cfr. Relatio, pp. 18 20; AS II/5, pp. 35-36.


VESCOVI E DIOCESI (5-15 NOVEMBRE 1963) 163

restringendo i casi, esigendo una maggioranza più qualificata o- addirit-


tura escludendo ogni potere legislativo?
La maggioranza che, malgrado una minoranza assai combattiva, fino
a questo momento si era mostrata compatta attorno alla collegialità, è
invece destinata a trovarsi divisa sul fondamento e soprattutto sull'auto-
rità delle conferenze.
Se si deve prestar fede ad A. Bontems, i francesi sono in linea gene-
rale favorevoli ad uno stretto potere legislativo delle assemblee territo-
riali dei vescovi97 ; notiamo tuttavia che i soli quattro france si che si sono
verbalmente espressi in aula, pur riconducendo le conferenze episcopali
alla collegialità o alla missione universale, non si sono formalmente pro-
nunciati in favore di uno «stretto potere legislativo» di queste e hanno
piuttosto insistito sul fatto che esse non possono essere definite unica-
mente in termini giuridici98 e che bisogna prestare attenzione a non mol-
tiplicare le loro decisioni giuridicamente vincolanti99 •
Quanto all'episcopato tedesco, almeno per quanto si possa conside-
rare ben rappresentato dall'unico intervento di Frings100, non è molto
favorevole al valore giuridico delle decisioni prese dalle conferenze epi-

97 «Noi francesi avremmo voluto veder affermata l'autorità delle conferenze, cioè a
dire la forza obbligante delle loro decisioni prese a una maggioranza sufficiente. Noi ne
sentiamo la necessità dal punto di vista pastorale. È per questo che avete potuto vedere
sei vescovi francesi intervenire lo stesso giorno nella stessa direzione. Ma abbiamo dovu
to constatare con dispiacere di non trovare al nostro fianco coloro che, da un anno a
questa parte, avevano camminato con noi, in particolare l'episcopato tedesco. Ciò è spie-
ga bile: a paesi differenti corrispondono punti di vista differenti e reazioni differenti»
(BONTEMS, in «Bulletin religieux du diocèse de Tarentaise», 1 dicembre 1963, citato da
«DC», n. 1414 [15 dicembre 1963], col. 1671, n. 4).
98 Cfr. AS II/5, pp. 75 78 (A. Ancel), 80 82 (E. Guerry), 90 92 (G. Riobé), 231 233
U. Lefebvre: la «collegialità» non può essere univoca); un vescovo peruviano, J. Dam
mert Bellido, si è anche espresso in favore del fondamento teologico delle conferenze,
definendole come una «communio ecclesiarum localium» (AS II/5, pp. 82 85).
99 Cfr. AS II/5, pp. 75 78 (A. AnceD.
lOO Cfr. AS IV5, pp. 66 69. Si può invero dubitare che questa posizione sia rappre-
sentativa dell'episcopato tedesco. Si legge infatti in un resoconto di A. Prignon contem
poraneo agli avvenimenti (non sempre è stato possibile al suo dattilografo decifrare il
nastro magnetico al quale l'esperto belga affidava giorno per giorno i suoi ricordi): «Per
quanto riguarda le conferenze episcopali, Dopfner non era d'accordo con Frings, poiché
pensava che l'intervento di quest'ultimo in aula il inattino o la vigilia era soprattutto
dettato dal fatto che Frings era onnipotente in Germania ed era lui a dirigere la confe
renza episcopale e non aveva minimamente l'intenzione di veder cambiare il regime per-
ché ciò avrebbe diminuito le sue attribuzioni, la sua autorità o non so cos'altro, ma che
in tutti i casi l'intervento di Frings era inconsciamente molto più dovuto a motivi perso-
nali che a uno studio approfondito della questione» (F-Prignon, n. 512 bis: relazione
dattiloscritta sugli avvenimenti a partire dal 27 ottobre, pp. 10 11).
164 IL CONCILIO ADULTO

scopali. L'arcivescovo di Colonia parte dalla lunga esperienza della con-


ferenza nazionale tedesca, esistente dal 1847: le sue decisioni non hanno
forza giuridica, ma ciascun vescovo governa la propria chiesa secondo la
propria coscienza e le norme del diritto; la conferenza ha in tutto un
presidente e un segretario che redige i verbali. Questa modalità di fun-
zionamento sufficientemente leggera non ha impedito alla conferenza di
realizzare grandi opere «umanitarie» e missionarie. La cosa più impor-
tante, in effetti, non sono gli statuti scritti, ma è «lo spirito di libertà, di
spontaneità (voluntarietatis) e di carità fraterna». Il prelato manifesta
esplicitamente il suo accordo con quanto ha detto Spellman, che lo ha
appena preceduto sulla tribuna in questo 13 novembre, e auspica che i
casi di decisione aventi forza obbligante siano ridotti al minimo 101 •
Gli americani sono divisi tra loro. Con accenti differenti i cardd.
Mclntyre, Meyer e soprattutto Spellman si oppongono ai poteri legislati-
vi delle conferenze102 • Il card. J. Ritter è invece chiaramente a favo re:
conferenze così strutturate «faranno fortemente progredire il decentra-
mento»103.

101 Gli applausi che hanno accompagnato il discorso erano senza dubbio rivolti più
alla generosità in denaro e in uomini della conferenza di Fulda che alla posizione restritti-
va di F rings sui poteri de1le conferenze episcopali, e forse più ancora alla persona stessa
di Frings per il coraggioso intervento de11'8 novembre e come compenso alle frasi ingiu-
riose che gli era valso, senza che egli avesse chiesto riparazione, cfr. LAURENTIN, p. 290.
102 Cfr. AS II/5, pp. 37-38 (J. Mclntyre vi sospetta un attacco contro il governo
della curia), 41 43 (A. Meyer, a nome di più di 120 vescovi degli Stati Uniti, teme «l'in-
cursione indebita nel governo di una diocesi affidata a un vescovo residenziale» e «una
nuova centra1izzazione troppo estesa e complicata»), 65-66 (F. Spellman si oppone al
potere giuridico obbligatorio delle conferenze in nome de1la libertà totale che ciascun
vescovo deve conservare nel governo della propria diocesi). Per altri - non americani -
che si oppongono a questi poteri, cfr. AS II/5, pp. 38 40 (V. Gracias), 45-48 (]. Lan
dazuri Ricketts auspica una maggioranza di quattro quinti per i casi rarissimi di decisio-
ni vincolanti), 69 70 (M. Olaechea Loizaga), 78-80 (A. Pildain y Zapiain), 87-90 (L.
Alonso Muiioyerro), 92 94 (L. Bianchi), 193 (G. Siri, a nome de1la Conferenza episcopa
le italiana «pressoché unanime», si oppone a precisare troppo la struttura e il valore del-
le decisioni di una conferenza: il vescovo deve conservare la sua legittima libertà e le
conferenze sono fondate su di un diritto puramente ecclesiastico), 193 195 (S. Wys-
zynski si pronucia per un obbligo più morale che giuridico delle deçisioni della confe-
renza), 203 206 (F. Franié si oppone a un'amplificazione eccessiva dei poteri delle con-
ferenze), 209-210 (A. Santin).
103 Cfr. AS II/5, pp. 44-45; altri non americani si sono allo stesso modo pro-
nunciati molto nettamente a favore di questi poteri: cfr. AS IV5, pp. 48 53 (M. Klepacz
chiede una migliore precisazione dei casi vincolanti), 195 197 (B. Alfrink vede anch'egli
ne1le conferenze un mezzo per attuare un certo decentramento auspicabile per la pasto-
rale; replica anche a Cadi che i padri non desiderano una definizione giuridica della pa
rola «collegio», ma una decisione relativa al potere di tutti i vescovi presi assieme, ivi
VESCOVI E DIOCESI (5-15 NOVEMBRE 1963) 165

Di fatto la potestas iuridica delle conferenze episcopali era presa es-


senzialmente tra due fuochi: il fuoco «centralizzatore» da una parte, il
fuoco «individualista» dall'altra, forse meno contrapposti l'uno all'altro
di quanto non apparisse. Coloro che erano favorevoli alla centralizzazio-
ne temevano che le legislazioni nazionali, regionali ovvero internazionali,
ostacolassero quella che ai loro occhi era l'unica fonte di diritto, il papa
e, più generalmente, i dicasteri romani. Gli altri temevano, a livello loca-
le, di non essere più padroni in casa propria e di veder corrodere il loro
potere monarchico ad opera di una burocrazia o di un «collettivismo»
nazionale dominatore.
Nella gamma degli interventi, si rileverà ugualmente la messa in guar-
dia contro la qualifica di «nazionali» delle conferenze per ragioni diver-
se: vengono avanzate direzioni «individualiste» (libertà di ciascun vesco-
vo), «regionaliste» all'interno di una nazione, «anti-nazionaliste» o anche
«universaliste» (punto di vista papalista o considerazione della chiesa in-
tera)104; il livello nazionale, secondo alcuni, comporta un rischio di politi-
cizzazione e di soffocamento delle differenze infra-nazionali, e talvolta è
anche urgente superare <<l'isolamento dei particolarismi nazionali» per
toccare uno stadio sopra-nazionale105 • Altri discorsi presentano la parti-
colarità di attirare l'attenzione sul funzionamento delle chiese orientali
cattoliche. Il vescovo francese G. Amadouni (vescovo tit. di Amathusius,
Cipro) indica una disparità fondamentale tra le conferenze episcopali e i
patriarcati (questi ultimi hanno un sinodo permanente con una giurisdi-
zione sopra-episcopale definita dal diritto) e considera il concetto di
chiese particolari come indispensabile per comprendere il mistero della
comunione ecclesiastica106 • Coderre, vescovo di Saint-Jean de Québec
(Canada), a nome di 45 confratelli canadesi, si rammarica che lo schema
non metta sufficientemente in 1uce la struttura amministrativa delle chie-
se orientali, offrendo un punto di vista unilateralmente latino, come se
queste chiese (rappresentate in Canada in varie minoranze etniche, fra
cui quella ucraina) non avessero un posto del tutto normale in seno alla
chiesa universale 107 • Infine Zoghby, vicario patriarcale dei melchiti
d'Egitto, colloca il suo intervento, assai netto e coraggioso, sotto il segno

compreso il papa, sulla chiesa), 200 202 (J. Gardner), 236 237 (E. Zoghby), 237 238 (M.
Ntuyagaha auspica ugualmente questo potere giuridico nel senso di un reale decentra
mento in materia di liturgia e di impedimenti matrimoniali).
104 Cfr. AS II/5, pp. 69-70 (M. Olaechea Loizaga), 78-80 (A. Pildain y Zapiain),
198-199 (E. Peiris), 203 206 (F. Franié), 206-208 (B. Reetz).
105 Cfr. LAURENTIN, pp. 140 141.
106 Cfr. AS II/5, pp. 85 87.
101 Cfr. AS II/5, pp. 197 198.
166 IL CONCILIO ADULTO

dell'ecumenismo: se si vuole che il dialogo ecumenico con l'Ortodossia si


sviluppi, il concilio Vaticano II non ha altra scelta che proporre un regi-
me sinodale, cioè a dire delle conferenze episcopali che godano di una
reale autorità giuridica; nelle chiese cattoliche di rito orientale i sinodi o
le conferenze episcopali sono stati spogliati di ogni vero potere di giuri-
sdizione ad opera della congregazione per le chiese orientali; se l' episco-
pato non gode di un potere collettivo, non è certamente in grado di or-
ganizzare l'apostolato dei laici sia a livello nazionale sia a livello mondia-
le; non bisogna inoltre avere il timore che il «nazionalismo» contagi le
conferenze episcopali, poiché esso è oggi in realtà una fonte di arricchi-
mento per l'intera società umana108 .

4.3. Un nuovo attacco contro la collegialità

Un'altra presa di posizione merita una menzione particolare: quella


del vescovo di Segni nel suo intervento del 13 novembre 109 • Egli parla -
dice - a nome di trenta vescovi di diverse nazioni, la cui firma appare
sul foglio 110 • Carli si preoccupa per prima cosa di giustificare la propria
elezione come relatore ufficiale della commissione: infatti è stato legitti-
mamente designato dalla commissione conciliare De episcopis da più di
due terzi dei suffragi segreti e avendo esposto in modo generale con
quale «spirito» (mens) intendeva proporre lo schema in aula, nessuno vi
si è opposto. Carli reputa quindi che l'articolo 65 § 5 dell'Orda concilii
sia stato «scrupolosamente» (adamussim) osservato. (Se in effetti si può
concedere al relatore che il regolamento conciliare sia stato applicato
nella «materialità» della sua letteta, si può da ciò dedurre che sia stato
rispettato anche nel suo spirito? E lecito dubitarlo, dal momento che si
sa che la commissione, nel corso dell'intersessione, non è mai stata riu-

ios Cfr. AS IV5, pp. 236 237.


109 Cfr. AS IV5, pp. 72-75.
°
11 Fatta una verifica (AS II/5, p. 75), vi si trovano solo nove firme: 1 arcivescovo
residenziale, 3 vescovi residenziali, 2 vescovi titolari (se si conta tra questi mons. Le-
febvre, superiore generale degli Spiritani), 1 prelato nullius e 2 religiosi (se si contano
insieme i vescovi e il prelato di origine religiosa, i religiosi sono in numero di 5). Nel
l'ordine delle firme: G. de Proença Sigaud, arcivescovo di Diamantina (Brasile); M. Le-
febvre, superiore generale degli Spiritani; J. Nepote-Fus, vescovo titolare d'Elo (Brasile);
Ioannes (J. Pereira Venando), vescovo di Leiria (Portogallo); fr. L. Rubio, priore gene-
rale degli Eremiti di s. Agostino; fr. J. Prou, superiore generale della Congregazione be-
nedettina di Francia; fr. G. Grotti, prelato nullius d'Acre e Purus (Brasile); A. De Ca
stro Mayer, vescovo di Campos (Brasile); C. Saboia Bandeira de Mello, o.f.m., vescovo
di Palmas (Brasile).
VESCOVI E DIOCESI (5-15 NOVEMBRE 1963) 167

nita al completo e neppure nella sua maggioranza, come ha del resto ri-
conosciuto lo stesso autore della relatio generale del 5 novembre111 e
come ha deplorato lo stesso giorno in aula Correa, membro della com-
missione, mettendo sotto accusa soprattutto la non consultazione di
quest'ultima a proposito della relazione112 • Dunque, oltre a fornire una
replica tardiva, in questo modo Carli non risponde veramente alle criti-
che che sono state sollevate a proposito del funzionamento della com-
missione tra il primo e il secondo periodo 113 ). Successivamente egli si
sforza di spiegare il riferimento alla bolla di Pio VI Auctorem /idei, cita-
ta sempre nella sua relazione del 5 novembre: questa citazione non ave-
va un'intenzione «provocatoria» (contumeliosa) 114; significava soltanto
che la commissione preparatoria non aveva considerato la concessione
di facoltà ai vescovi come la restituzione di qualche cosa di ingiustamen-
te tolto, cosa questa che sarebbe stata ingiuriosa nei confronti del papa.
Dopo questa duplice messa a punto «per stabilire con certezza la ve-
rità delle cose», il relator schematis parlerà in veste di singolo padre
conciliare, pur esprimendosi nel contempo a nome di trenta vescovi di
diverse nazioni. Egli intende chiarire soltanto un punto: l'istituzione del-
le conferenze episcopali nazionali non deve essere fondata sul principio
detto «della collegialità episcopale di diritto divino», contrariamente alle
dichiarazioni di certi oratori; in filigrana, tuttavia, c'è anche la volontà
di attaccare nuovamente, sulla scorta di Ruffini, Browne, Ottaviani e
Florit - esplicitamente citati - la legittimità dell'appello al voto del 30
ottobre. Alle ragioni sostanziali già avanzate da costoro, Carli vorrebbe
aggiungere una ragione formale: a suo giudizio, il valore del voto è dub-
bio, poiché è stato espresso all'improvviso senza essere stato preceduto
da una duplice relazione, letta o scritta, e soprattutto senza che i padri
abbiano avuto il tempo sufficiente per formarsi un'opinione o maturare
il loro giudizio in una materia così importante e a proposito di un testo
così equivoco. Ma, in secondo luogo, anche se la «asserita» (asserta) col-

111 La redazione del De episcopis è stata opera di una sottocommissione particolare


composta da alcuni «romani», membri ed esperti («cito selecti Commissionis periti, Ro-
mae degentes», «aliquibus ex vicinioribus Commissionis nostrae sodalibus et nonnulliis
viris peritis constabat») cfr. Relatio p. 10; AS II/4 p. 440.
1 1 1

n2 Cfr. AS IV4, pp. 462-464.


ll3 Si vedano anche le rimostranze formulate da Veuillot a Tisserant presidente del
1

consiglio di presidenza nella sua lettera del 29 ottobre 1963, cf r. supra, n. 3.


1

114 Si sa, questa assunilazione unplicita dei sostenitori della collegialità e della riva
lorizzazione de1l'episcopato ai giansenisti pistoiesi aveva suscitato dal giorno successivo
una puntualizzazione assai ferma di Schaiifele, che parlava a nome dei padri di lingua
tedesca e de1la conferenza episcopale scandinava, cfr. AS IV4, pp. 495 497.
168 IL CONCILIO ADULTO

legialità di diritto divino venisse definita dal papa con l'approvazione


del concilio, non potrà mai costituire il fondamento legittimo delle con-
ferenze episcopali per tre ordini di ragioni. Prima di tutto per una ra-
gione teologica: non è possibile trovare nelle conferenze episcopali tre
elementi che sembrano essenziali a questa collegialità, cioè a dire la «to-
talità» (complexus) di tutti i vescovi, la partecipazione formale «con i
dovuti poteri» (potestativa) del capo del collegio, la trattazione di affari
concernenti la chiesa intera. In secondo luogo per una ragione giuridica:
lautorità «monarchica» di ciascun vescovo sulla propria diocesi sarebbe
limitata per diritto divino, oltre che dal papa (cosa giusta), ugualmente
dagli altri vescovi della stessa nazione, cosa che nessun vescovo è pronto
ad ammettere in casa propria. Infine una ragione storica: nella redazione
dello schema sulle conferenze, nessun membro della commissione prepa-
ratoria ha pensato anche al f andamento di diritto divino della collegiali-
tà e, più importante, neppure i papi ne hanno mai parlato quando rac-
comandavano le conferenze nazionali, limitandosi sempre a ragioni di
carattere pastorale o morale, ma mai giurisdizionale; d'altronde, nella
pratica più antica della chiesa, si tratta di una collegialità «orizzontale»
(soprattutto tra vescovi di una stessa provincia), mai «verticale» (con il
capo visibile della chiesa), fondata unicamente sul vicendevole legame di
unità e di concordia e non sul legame giuridico.
Questo nuovo attacco contro il voto del 30 ottobre e la collegialità
episcopale di diritto divino ha destato sensazione in concilio: esso attac-
cava nuovamente in modo frontale i moderatori sui cinque voti, ma an-
che la maggioranza dei padri sulla concezione della collegialità. L' offen-
siva provava, se ce ne fosse stato ancora il bisogno, l'attiva e instancabi-
le tenacia della minoranza conciliare. La polemica ha avuto diverse ri-
percussioni anche al di fuori dell'aula conciliare. Così «L'Avvenire d'Ita-
lia» - il quotidiano cui tutti i padri erano stati abbonati d'ufficio -. del
14 novembre riporta l'avvenimento:
L'intervento di mons. Cadi non ha mancato di provocare emozione in concilio. Egli
è, infatti, uno dei diretti collaboratori del card. Ottaviani nella commissione teologica; la
sua critica ai moderatori, per i quesiti e il voto del 30 ottobre sulla collegialità, è appar
sa ancor più decisa di queUa stessa formulata in aula dal segretario del s. Uffizio. Inoltre
mons. Cadi, che ieri a nome della commissione aveva illustrato, come relatore, il testo di
questo capitolo dello schema, oggi, a titolo personale, ha parlato contro questo stesso te-
sto; infine egli ha assimilato le posizioni sostenute da gran parte di padri conciliari a
quelle dei giansenisti di Pistoia condannati nel XVIII secolo dalla bolla di Pio VI Aucto
rem /idei.

Questo stralcio di stampa è rivelatore di quale fosse latmosfera con-


ciliare, ma mostra anche quali fossero i commenti e le indiscrezioni che
circolavano attorno all'avvenimento: in modo più o meno consapevole
VESCOVI E DIOCESI (5-15 NOVEMBRE 1963) 169

esso viene parzialmente defarmato secondo le opinioni soggettive del-


l'informatore o del giornale. Carli - prototipo ideale degli «anti-collegia-
listi» e dell'ala conservatrice - viene spontaneamente associato ad Otta-
viani come uno dei suoi collaboratori e accusato di aver parlato a titolo
personale contro il testo dello schema, difeso alla vigilia come relatore,
assimilando i padri della maggioranza ai padri «pistoiesi» condannati da
Pio VI. Come abbiamo visto la realtà è un po' differente: da una parte
egli evoca qui la bolla Auctorem /idei semplicemente per esplicitare il
senso non polemico, a suo parere, di questa citazione nella relazione del
5 novembre; dall'altra non si può rimproverare a Carli di denigrare il
capitolo III del De episcopù, mentre, al contrario egli vuole mostrare il
senso esatto di un testo nel quale non si parla mai di collegialità e di-
chiararsi per la sua sostanziale adozione al termine del proprio interven-
to. Il quotidiano bolognese rettificherà, del resto, questa approssimazio-
ne nell'edizione del 21 novembre:
Anzitutto [mons. Carli] non è membro della commissione teologica, come per erro
re fu scritto, ma della commissione dei vescovi e del governo delle diocesi [. .. ]. A pro-
posito, poi, dell'accenno fatto in quel discorso da mons. Cadi aUa bolla di Pio VI
Auctorem /idei, con cui venivano condannate le tesi del sinodo giansenista di Pistoia, ab-
biamo potuto ora prendere visione del testo integrale del suo intervento, e siamo quindi
in grado di dare la versione esatta del passo in questione, il cui senso appare diverso da
queJlo allora riferitol 15.

Se si aggiunge l'intervista di Ottaviani uscita il giorno stesso sullo


stesso argomento (il voto del 30 ottobre), non si può certo dire che
l'ambiente del concilio fosse dei più sereqi al momento della discussione
del capitolo sulle conferenze episcopali. E sempre in corso un conflitto
il cui esito finale non è ancora determinato.

5. «Diocesi né troppo piccole né troppo grandi»

Nella seconda metà della mattinata del 14 novembre (LXVII c.g.),


su richiesta dei moderatori i padri avevano acconsentito a mettere fine
al dibattito sul capitolo III 116• Dopo la relatio di Carli, sei padri si erano
espressi in quella giornata sul capitolo IV; altri dodici si pronunceranno
a questo proposito il giorno successivo e un ultimo padre interverrà il
18 novembre.

115 I testi dei due stralci di articolo sono riportati più ampiamente da CAPRILE, III,
p. 263 1 n. 4.
116 Cfr. AS II/5, pp. 211 212.
170 IL CONCILIO ADULTO

5 .1. Un capitolo minore e pragmatico

Come segnala in apertura il relatore, il capitolo IV «sulla convenien-


te delimitazione (De congruenti circumscriptione) delle diocesi e delle
province ecclesiastiche» (nn. 26-3 2), mira a offrire un rimedio ai vescovi
che faticano ad amministrare la loro diocesi causa la ristrettezza o l' ec-
cessiva estensione del territorio o del numero degli abitanti. Si tratta qui
soprattutto della ripartizione o dell'unione delle diocesi e della modifica
dei loro confini. Non essendo il problema sentito dappertutto allo stesso
modo, lo schema si astiene da considerazioni troppo particolari giacché
si ritiene che la sede apostolica sia meglio collocata per provvedere a
ciascun caso singolo. L'importanza pastorale del capitolo appare chiara-
mente nella premessa (n. 26 ), ove vengono definite precauzioni e criteri
generali. «Confortata» (suffulta) dai vota di «numerosissimi» padri, la
commissione preparatoria ha stimato che il concilio dovesse affrontare la
questione e fornire una soluzione, almeno generale, per una duplice ra-
gione: da una parte l'autorità ecclesiastica deve preoccuparsi di adattare
le istituzioni all'evoluzione della realtà; dall'altra fedeli e clero potranno
affrontare questo problema con maggiore serenità. Tutta la questione è
affidata alle conferenze nazionali, reputate in grado di offrire pareri ba-
sati su di una migliore conoscenza in merito, ma l'approvazione e l'ese-
cuzione sono riservate alla sede apostolica, in migliore posizione per
trattare questo difficile affare che implica la rinuncia o la nomina di ve-
scovi ed accordi diplomatici con gli Stati. A proposito delle province ec-
clesiastiche e del loro raggruppamento in regioni, un nuovo criterio,
«essenzialmente» (maxime) pastorale viene introdotto nel diritto, cioè a
dire la necessità di simmetria tra la condizione di vita civile e quella spi-
rituale, tra i pericoli dell'una e i rimedi dell'altra. Viene proposta l'elimi-
nazione della «soggezione immediata» (immediata subiectio) alla Sede
apostolica (n. 27 § 3 ), poiché oggi il bene comune delle anime racco-
manda la riunione in province e in regioni di tutti i vescovi della stessa
porzione di territorio nazionale. Infine, il numero 31 provvede all' erezio-
ne di diocesi personali in ragione del rito, cosa che vale sia per i riti
orientali in Occidente, che per i riti latini in Oriente117 •
La semplice lettura di questa relazione è sufficiente per cogliere la
portata minore e pragmatica del capitolo IV. Diocesi né troppo piccole
né troppo grandi: questa è in sostanza la inefficace genericità del propo-
sito (cfr. n. 27 § 1). Certo, il preambolo del capitolo (n. 26) affronta
l'aspetto pastorale della questione: la diocesi deve avere una dimensione

111 Cfr. Relatio, pp. 20 21; AS Il/5, pp. 212 213.


VESCOVI E DIOCESI (5-15 NOVEMBRE 1963) 171

a misura d'uomo ed essere vivibile, in modo che il vescovo possa cono-


scere bene in prima persona ogni prete ed ogni parrocchia e disporre di
risorse umane e materiali necessarie per l'amministrazione della diocesi.
Ora le differenze tra diocesi sono considerevoli. L'Italia ad esempio
conta in quest'epoca 228 diocesi mentre la Germania occidentale non
ne ha che 22. Di fianco a diocesi «tentacolari» ve ne sono altre che non
superano la dimensione di una grossa parrocchia. Così la diocesi di
Bova (Italia) conta a quell'epoca 30.800 abitanti, 19 parrocchie, 28 preti
diocesani e 3 seminaristi mentre la diocesi di Treviri (Germania) assom-
ma 1.775.836 cattolici, 941 parrocchie, 1.288 preti e 259 seminaristi118 .

5.2. Un inizio più «pastorale» che teologico

Nei diversi interventi, l'esperienza personale dei vescovi ha un peso


maggiore rispetto alle considerazioni teologiche. Così la cura pastorale si
riaffaccia regolarmente come criterio supremo, sia che si tratti dell'ere-
zione di diocesi personali o della delimitazione delle diocesi territoria-
li119.
L'allocuzione di Renard, vescovo di Versailles (Francia), è interes-
sante, poiché tenta esattamente di determinare i criteri secondo i quali
una diocesi può conseguire il proprio fine: la salvezza delle anime e il
bene della chiesa. Così, a proposito della diocesi, si possono porre due
domande: è effettiva~ente una presenza locale della chiesa universale
nella sua diversità? E vitale in uomini, istituzioni e risorse materiali?
Allo stesso modo e a maggior ragione, ci si interrogherà circa il vescovo:
ha i mezzi per compiere la propria missione di pastore e per incontrare
personalmente i propri diocesani? La diocesi non è troppo grande per-
ché il vescovo possa esercitare il suo ufficio di successore degli apostoli,
visitare tutte le parti della diocesi nel giro di pochi anni e conferire la
cresima in ogni parrocchia propriamente detta? 120
Se alcuni padri propongono la ripartizione delle grandi città in nuo-
ve diocesi1 21 e altri l'accorpamento delle piccole diocesi1 22 , ciò avviene

118 Questi dati in LAURENTIN, pp. 141-142.


l19 Cfr. AS II/5, pp. 214 215 (M. Feltin), 215 217 (A. Renard), 217 220 (F. Peralta
y Ballabriga), 220-222 (F. Jop), 222 224 (A. Sorrentino), 224 227 (S. Soares de Resen-
de), 249 250 (J. Urtasun), 262 264 (F. Romo Gutierrez).
120 Cfr. AS 11/5, pp. 215-217.
12 1 Cfr. AS Il/5, pp. 217 220 (F. Peralta y Ballabriga), 246 248 (B. Stein raccomanda
questa divisione unicamente quando la collaborazione degli ausiliari non è sufficiente).
122 Cfr. AS II/5, pp. 222 224 (A. Sorrentino), 249 250 (J. Urtasun, per maggior ef
172 IL CONCILIO ADULTO

generalmente in una prospettiva di collaborazione episcopale e di mi-


glior riequilibrio delle risorse apostoliche123 .
Vale la pena di mettere in risalto il discorso di Sorrentino in favo re
dell'accorpamento delle piccole diocesi, poiché proviene da un vescovo
italiano, egli stesso alla testa di una piccola sede, quella di Bova già
menzionata in precedenza. In Italia - egli dice - ci sono circa 300 dio-
cesi, di cui molte sono troppo piccole, con. un numero di parrocchie
oscillante tra le 10 e le 30 e un totale di soli 10.000-30.000 fedeli. Urge
una revisione, spesso richiesta dagli stessi fedeli, ammessa dai preti e de-
siderata dalla maggioranza dei vescovi. I confini delle diocesi italiane ri-
salgono all'anno Mille; oggi essi sono anti-storici, anti-geografici e anti-
pastorali. Una revisione generale stabilita in vista del bene comune si
impone. Questa discussione conciliare, aggiunge, può già essere conside-
rata come una buona preparazione psicologica dei fedeli 124 .
Anche qui gli orientali hanno tenuto a far valere il loro punto di vi-
sta in un concilio quasi esclusivamente latino. Così a proposito delle
diocesi personali, dei vescovi orientali e del rito orientale o anche latino,
hanno posto il problema della coesistenza di riti diversi in uno stesso
luogo. Athaide, vescovo d'Agra, a nome di numerosi confratelli dell'In-
dia settentrionale e meridionale, si pronuncia per l'unità di giurisdizio-
ne: un solo vescovo per diocesi, quale che sia la pluralità dei riti, dun-
que un ordinario orientale in un territorio affidato a missionari orientali
e un ordinario di rito latino in un territorio affidato a missionari lati-
ni125. A sua volta Scandar, vescovo di Assiut (Egitto), raccomanda che
su uno stesso territorio (in Egitto, in Siria o in Libano, per esempio) vi
sia una sola giurisdizione per tutti i cattolici di qualunque rito essi sia-
no, e ciò in ossequio all'antica tradizione ecclesiastica di un solo vescovo

ficacia apostolica, chiede la scomparsa delle diocesi troppo piccole, anche se venerabili:
la chiesa non è un museo). Altri non condividono questa argomentazione, a causa del-
l'antichità (Cfr. AS Il/5, pp. 220 222: F. Jop) o della vitalità di certe piccole diocesi
(Cfr. AS II/5, pp. 258 260: R. Massimiliani).
123 Si veda anche AS Il/5, pp. 239-241 (S. Laszl6), 256 258 (M. Gonzalez Martin).
In vista di una migliore ripartizione dell'attività e delle persone nelle diocesi, Peralta y
Ballabriga auspica un principio di organizzazione e di razionalizzazione del lavoro dioce-
sano, in particolare sacerdotale (AS Il/5, pp. 217 220), e Urtasun, desiderando la costi-
tuzione in ciascuna regione di una commissione episcopale per la riorganizzazione delle
diocesi (n. 32 dello schema), ricorda che questa non potrebbe fare a meno delle ricerche
di esperti in sociologia religiosa (AS II/5, pp. 249 250~ si veda anche già a p. 217 la
conclusione di Renard).
124 Cfr. AS II/5, pp. 222-224.
125 Cfr. AS II/5, pp. 250 253.
VESCOVI E DIOCESI (5-15 NOVEMBRE 1963) 173

per luogo 126• In una preoccupazione di uguaglianza dei riti, Khoreiche,


vescovo di Sidone dei Maroniti (Libano), si muove nella stessa direzio-
ne, aggiungendo tuttavia la possibilità, su uno stesso territorio, di giuri-
sdizioni personali per tutti i riti che hanno fedeli a sufficienza. Racco-
manda anche che ogni giurisdizione episcopale dipenda da un'autorità
superiore del proprio rito e, per gli orientali, dal patriarca; infine egli
vuole che siano riconosciuti alcuni territori propri a ciascun rito 127 • Al
contrario, il vescovo di Tellicherry, Valloppilly, si oppone a nome di
tutta la gerarchia orientale indiana (siro-malabarese e siro-malankarese)
all'unicità giurisdizionale, poiché in pratica essa contravviene al princi-
pio dell'uguaglianza dei riti. A suo parere, l'unicità di giurisdizione è ac-
cettabile solo per un territorio nel quale ci siano pochi fedeli di rito dif-
ferente da quello dell'ordinario. Negli altri casi bisogna erigere delle
diocesi «territorial-personali»128 •
In meno di due sedute i padri hanno dunque messo fine alla discus-
sione su questo capitolo, essenzialmente di natura organizzativa e prati-
ca, e nello stesso tempo a quella sullo schema. Fin dal 12 novembre in-
fatti l'ancora meno fondamentale capitolo V, relativo all'erezione e alla
delimitazione delle parrocchie, era stato puramente e semplicemente rin-
viato alla commissione di riforma del codice di diritto canonico (2.025
placet; 141 non placet) 129 • Così, alla fine della mattinata del 15 novem-
bre, Marella - presidente della commissione dei vescovi e del governo
delle diocesi - può ringraziare i padri e assicurare loro che nella revisio-
ne dello schema tutte le osservazioni da loro fatte saranno tenute in
conto. Certamente non poteva sapere che stava facendo un annuncio
davvero preciso: infatti ignorava ancora che, a partire dal 21 novembre,
il papa avrebbe deciso un allargamento delle commissioni, portando il
numero dei membri a trenta 130, e che un gruppo ristretto, incaricato dal-

126 Cfr. AS II/5, pp. 264 265.


121 Cfr. AS II/5, pp. 265 266.
12s Cfr. AS II/5, pp. 409 411.
129 Cfr. AS II/5, pp. 9 10 e 34.
no 5 membri in più, 4 dei quali eletti dall'assemblea conciliare e uno nominato dal
papa, cfr. la Nottficatio del segretario generale del concilio, P. Felici, datata 21 novem-
bre 1963 (F Delhaye, CLG, n. 339; RYNNE, p. 246; AS II/1, pp. 78 79, II/5, pp. 635
636 e II/6, pp. 306-307). Le riflessioni a questo proposito di un osservatore indicano la
piena simbiosi dei non cattolici presenti con l'avvenimento conciliare e con la maggio-
ranza dei padri: «I cinque nuovi membri rafforzeranno certamente la posizione della
maggioranza ma non sarà ancora possibile eliminare l'opposizione del gruppo conserva-
tore. Perché il papa non ha fatto passi più coraggiosi? [. .. ] A Roma è davvero raro che
qualcosa che esiste sia semplicemente abolito e sostituito» (fotocopia della lettera di L.
Vischer a W. Visser't Hooft, 22 novembre 1963: copia in ISR, F ACO 6).
174 IL CONCILIO ADULTO

la commissione allargata De episcopis, avrebbe elaborato un nuovo sche-


ma a partire dal gennaio 1964, in condizioni del tutto differenti rispetto
all' intersessione precedente131 •

5.3. Un bilancio in chiaroscuro

Il dibattito sui vescovi e il governo delle diocesi è stato vivace, pieno


di ripercussioni ·ma anche di suggerimenti costruttivi. Si può tuttavia no-
tare che il tema della modalità di elezione dei vescovi, che pure condi-
zionava parecchie questioni interne allo schema (dimissioni, conferenze
episcopali... ), non è stato discusso in quanto tale. Il problema della no-
mina episcopale, allora di competenza della congregazione concistoriale
aiutata dai nunzi, avrebbe fatto a sua volta riemergere i difficili rapporti
tra «periferia» e «centro», tra vescovi (e i loro rispettivi popoli cristiani)
e curia, e più fondamentalmente tra collegialità e primato papale132 •
È precisamente sullo sfondo di questa problematica e del voto del
30 ottobre che si è sviluppata tutta la discussione De episcopis. A questo
proposito, il dibattito si è chiuso con un certo malcontento. Su parecchi
punti gli interventi si sono mossi per linee opposte, senza che si vedesse
con chiarezza da quale parte stesse la maggioranza. Bisogna conservare
o sopprimere l'istituzione dei coadiutori? E quella degli ausiliari? Sotto
quale forma e con quali poteri? Bisogna fissare un limite d'età obbliga-
torio o soltanto un limite indicativo? Bisogna dotare le conferenze epi-
·scopali di poteri giuridicamente vincolanti per l'insieme dei loro mem-
bri? Bisogna rivedere i confini delle diocesi? L'incertezza si è anche ac-

131 Si tratta della «prima sottocommissione» 1 diretta da Veuillot1 coadiutore di Pari-


gi (relatore)1 e da W. Onclin1 canonista di Lovanio (segretario)1 cfr. S/V 21 p. 493. Que-
sta subcommissio I si era vista affidare il proemium e finsieme deJlo schema; altri mem
bri di essa erano i vescovi Guerry, Rakotomalala1 Castelli e Primatesta1 e come esperti
Arrighi1 Stano, Pavan, D'Ercole, Carbone1 Morsdorf e Quinn1 cfr. F-Onclin1 CCV,
C.D.3.
13 2 Tra minoranza e maggioranza «due posizioni si affrontano a un liveJlo che è,
crediamo, quello deJla più seria posta in palio del concilio sul piano delle .strutture ec-
clesiologiche. Non si tratta di mettere in discussione il do"gma del 18701 ma si tratta di
sapere, sul piano dottrinale, se si completerà seriamente questo dogma con quello del
repiscopato e, sul piano del regime di vita della chiesa, se si uscirà daJla monarchia pa-
pale per dare aJla chiesa uno statuto che risponda alla relativa dualità, affermata dal
Nuovo Testamento, delrautorità di Pietro e dei poteri dei dodici. La posta in gioco è
assai importante; interessa estremamente anche le possibilità di successo delrecumeni-
smo» (CONGAR, Deuxième session, cit., p. 141). Come dice ancora il teologo francese,
queJla che è in questione è «l'armonia tra primato e collegialità».
VESCOVI E DIOCESI (5-15 NOVEMBRE 1963) 175

cresciuta in seguito alla contestazione della legittimità del voto del 30


ottobre da parte di Browne, Ottaviani, Lefebvre e soprattutto Carli.
Qual è l'autorità delle decisioni prese attraverso questo tipo di votazio-
ne? O meglio, qual è il potere di iniziativa e di direzione dei moderato-
ri? Hanno questi il diritto di decidere un voto orientativo per chiarire
una discussione? 133 Qual è il ruolo reale delle commissioni, e in modo
particolare della commissione teologica nei confronti dell'assemblea con-
ciliare?134 Malgrado diverse prese di posizione assai ferme dei membri
della maggioranza, questi continui ritorni su quanto era stato acquisito
nel mese precedente hanno depresso l'assemblea e sono riusciti a istilla-
re nuovi dubbi presso taluni 135 • Il 15 novembre si è come tornati al cli-
ma di fine ottobre, mentre tre giorni dopo deve cominciare un dibattito
su di un altro tema delicato: l'ecumenismo136 •

133 L'l 1 novembre, 46 vescovi latino americani ispanofoni avevano ancora tentato,
invano, un intervento scritto in questa direzione presso i moderatori. Desideravano che
alla fine della discussione dello schema sui vescovi e il governo delle diocesi, venisse
messa ai voti una domanda in tre parti: la prima sull'appartenenza iure proprio al vesco
vo di tutto il potere necessario al suo ufficio di pastore per pascere il gregge che gli è
affidato, eccettuato queJlo che il papa si riserva in virtù dei suoi diritti primaziali; la se-
conda, suJla messa a punto non definitiva dello schema fin tanto che non fosse stata
promulgata la dottrina suJla gerarchia della chiesa; la terza suJla fusione del De episcopù;,
del De cura animarum e del De clericis, F Thils, CLG, n. 1256.
134 Due giorni dopo la fine del dibattito «sui vescovi», Helveticus, considerato
come un'autorità dalla corrente conservatrice, dedicherà a tale questione il proprio com-
mento del 17 novembre su «Il Tempo». Se il regolamento è vago, scrive, bisogna al più
presto modificarlo per precisare le competenze deJle commissioni. Che la questione sia
sottoposta al papa o che una petizione sia votata in aula per chiedergli nuove elezioni!
Non si può continuare in questo modo senza rischiare di fare naufragio. «Soprattutto
aggiunge non si può ammettere che la commissione teologica, la più importante di
tutte, continui a lavorare in un'atmosfera di sospetto e di opposizioni», prendendo così
di mira alcuni giornali, soprattutto francesi, per i loro attacchi aJla curia. CTr. WENGER,
pp. 84 85.
135 NeJla sua Chronique du Conci/e. IJe Session (p. 24), B. Olivier osserva: «Si per-
cepisce un irrigidimento dell'ala conservatrice con ogni mezzo a disposizione. Mons.
Cadi, intervenendo in aula, è peraltro ritornato ancora una volta sul voto orientativo
[.. .]. Un mormorio di ostilità ha accolto in aula le sue parole. Si deve constatare che no
nostante l'assai netta presa di posizione del card. Dopfner, uno dei moderatori, l'opposi-
zione non disarma. Sembra che questa ostilità così ostinata porti dei frutti e che alcuni
padri comincino a chiedersi se si fa bene a parlare di coJlegialità. Da parte mia mi do
mando se, al contrario, i mezzi poco eleganti utilizzati da questa opposizione non con-
durranno alcuni padri della maggioranza a dare i loro voti semplicemente per controbi
lanciare queste manovre e senza basarsi troppo su di una sufficiente convinzione. È nor-
male che ogni gruppo difenda le proprie convinzioni, ma l'asprezza del partito conserva-
tore, che è nettamente minoritario, offre un'impressione penosa» (F-Olivier, n. 169).
136 Per questo bilancio, cfr. LAURENTIN, pp. 142 144.
176 IL CONCILIO ADULTO

5.4. Una relazione-programma

Mentre è intento a misurare l'inquietudine di un buon numero di


padri conciliari di fronte alla lentezza dei dibattiti e alle divergenze di
interpretazione del famoso voto, che creano una certa confusione, il
papa ha convocato proprio per il 15 novembre alle ore 18.45 una riu-
nione plenaria degli organi direttivi del concilio: il consiglio di presiden-
za, la commissione di coordinamento e i moderatori137 • La riunione al
vertice, presieduta dal papa stesso, si tiene nella sala delle «congregazio-
ni» al terzo piano del palazzo apostolico. I membri della segreteria ge-
nerale del concilio sono ugualmente presenti. La maggior parte dell'in-
contro è consacrata alla relatio di Lercaro sull'attività conciliare del se-
condo periodo138 , discussa in seguito dai cardinali e dai vescovi presenti
e largamente approvata 139 . Su richiesta di Paolo VI, questo testo sarà di-
stribuito ai padri in traduzione latina il 2 dicembre successivo; larghi
estratti ne saranno ugualmente pubblicati nel quotidiano bolognese
«L'Avvenire d'Italia» dello stesso giorno. L'importante documento sarà
tuttavia più o meno ignorato dalla stampa mondiale, mentre intendeva
rendere pubblico un completo programma d'azione per l'intersessione e
il prosieguo del concilio140 • Nel suo resoconto sullo stato di avanzamen-
to degli schemi ali' ordine del giorno del secondo periodo e nella sua va-
lutazione quantitativa del lavoro compiuto fino a quel momento, il mo-
deratore si mostra essenzialmente positivo, senza peraltro nascondere i
problemi. Il ritmo dei lavori in congregazione generale non sembra po-
ter essere ancora migliorato, né quantitativamente né qualitativamente.
Al contrario un progresso sembra poter essere realizzato dalle commis-
sioni, qualcuna delle quali accumula troppe competenze. Si può leggere
in queste parole un'allusione abbastanza chiara alla commissione teologi-
ca, che il suo presidente, Ottaviani, considerava come la commissione

13 7 La data di questa riunione congiunta, prevista per un bilancio dei lavori conci-
liari, era stata suggerita al papa dai moderatori, in seguito alla loro sessione del 9 no-
vembre (cfr. AS V/3, pp. 709 710); la mattina stessa del 15 novembre, Lercaro ha otte
nuto un'udienza papale (cfr. Ldc, pp. 221 222).
13 8 Questo atto, il più solenne di Lercaro durante il secondo periodo, gli è spettato
in quanto decano dei moderatori per anzianità. Si può vedere l'originale in italiano del te
sto in Per la forza, pp. 265 275; per la versione latina cfr. AS II/I, pp. 101-105 e AS V/2,
pp. 29-33.
13 9 Nel F-Lercaro dell'ISR (n. 23, senza data) sono conservate alcune note mano
scritte di Lercaro suHa breve discussione che è seguita alla relazione; il verbale di questo
dibattito è ora pubblicato in AS V/2, pp. 25 29. Si veda anche Ldc, p. 222 (cfr. Per la
forza, p. 33 e n. 57).
140 Su queste differenti informazioni, cfr. RYNNE, pp. 201-204; Per la forza, pp. 30
33 e ALBERIGO, L'evento conciliare, cit., p p. 127-128.
VESCOVI E DIOCESI (5-15 NOVEMBRE 1963) 177

conciliare suprema, superiore allo stesso concilio. Lercaro auspica in se-


guito con precisione un rapporto veramente fluido tra congregazione ge-
nerale e commissioni, dal momento che esse sono - sottolinea - organi
di lavoro al servizio della congregazione generale. Pensa anche all'uso
(voluto da numerosi episcopati, aggiunge) del voto orientativo, già utiliz-
zato per il capitolo II del De ecclesia: si tratta di perfezionarlo, concen-
trando il dibattito sulle questioni maggiori e, per i moderatori, di f or-
mulare delle domande riassuntive e indicative. La seconda parte della
relazione, quella sulla valutazione qualitativa, indirizzata forse più diret-
tamente a Paolo VI, testimonia con molta convinzione dello spirito cat-
tolico della maggioranza conciliare: questo non cessa di progredire; qua-
si tutti i padri si sforzano di superare la loro problematica privata per
aprirsi a una visione più universale in modo che ciascun essere umano si
lasci penetrare dal lievito del Vangelo in tutti gli aspetti della propria
umanità. Infine, prosegue il relatore, tutto l'episcopato si mostra assai
fermo e unanime nel suo senso dell'unità e della sottomissione al ponte-
fice romano: non vi è più alcuna possibile attualità per le correnti anti-
romane del gallicanismo e del giansenismo transalpino o italiano. Questa
affermazione costituiva una nuova risposta ufficiale e autorizzata alle ac-
cuse più o meno velate della minoranza, e specialmente di Carli, che
speravano in questo modo di conquistare il papa alla loro causa. Il mo-
deratore conclude sulla missione universale al servizio della quale i ve-
scovi vogliono mettersi interamente, in unione con il successore di Pie-
tro e in di pendenza da 1ui.
La relazione avrà un effetto rassicurante sull'assemblea conciliare,
riuscendo a dissipare una parte del malcontento, riaffermerà l'autorità
dei moderatori e sottolineerà una convergenza particolare tra Lercaro e
Paolo VI, senza dimenticare che, il 21 novembre successivo, verrà an-
nunciato il benestare del papa a un allargamento delle commissioni1 41 •

. 141 . Cf~.Per la /or~a, P· 33 e supra, n. 13. Si possono leggere a questo proposito le


1mpress10m contrastanti d1 C. Moeller, in data 20 novembre, in una nuova lettera a sua
madre (F Moeller, n. 02887): «Ecco qualche novità dal concilio. Dopo Ognissanti, netta
parabola rientrante del papa. I voti che si prevedevano sicuri sui "poteri" dei vescovi,
iure proprio, sulla formazione di una commissione che, tra le due sessioni, tentasse di
fare proposte al papa sull'attivazione di un organo centrale episcopale per aiutarlo nelle
grandi decisioni, tutti questi voti sono abbandonati. Nessun rinnovamento delle commis-
sioni. In questi ultimi giorni il papa ha nuovamente fatto cinquanta passi verso i mode-
ratori: verrà proposto un progetto di rinnovamento parziale delle commissioni (segretis-
simo). L'organo centrale è allo studio; il papa ha cinque progetti sul suo tavolo che è in
procinto di studiare, poi ne parlerà senza dubbio ai moderatori (segreto). La maggioran
za desidera che non ci sia più di un'altra sessione, dall'8 settembre al 20 novembre 1964
circa. Una minoranza, ma attiva e ben ispirata, lavora perché ci sia ancora una sessione
178 IL CONCILIO ADULTO

6. Incontri multipli in margine alt'assemblea

Bisognerebbe poter parlare innanzitutto dei numerosi contatti, du-


rante i dibattiti, a margine dell'assemblea conciliare stessa, nelle navate
laterali o in fon do a S. Pietro e nei due annessi della basilica che servo-
no da bar 142 • Sfortunatamente per questo tipo di incontri non possiamo
contare che sulle troppo rare allusioni che compaiono nei diari privati e
in alcune testimonianze orali o scritte. Non resta comunque meno vero
che questi luoghi di incontri fortuiti e variegati, ma anche di reazione a
caldo, in piccoli circoli, allo svolgimento dell'assemblea e ad alcuni in-
terventi di rilievo, hanno contribuito non poco a rafforzare in molti una
mentalità collettiva, di maggioranza o di minoranza 143 •
Accanto a questi «appartati» che stazionavano nei corridoi dell'aula,
stavano i molti che partecipavano ai molteplici incontri si tenevano a
Roma: dal contatto informale tra padri, esperti, giornalisti144 , alle riunio-

nel 1965 per discutere, tra le altre cose, la riforma dei seminari e delle università, poiché
in definitiva in tutto è questione di formazione teologica. La discussione sull'ecumeni
smo riempie le tribune: segno dei tempi. Nell'insieme ottima discussione. Che si parli
della "libertà religiosa", nei termini che De Smedt ha utilizzato, è incredibile. Rispetto a
Roma, è qualcosa di enorme; in rapporto alla realtà è ancora poco. Si parla di prolunga-
re la sessione fino al 20 dicembre. Credo che sia pura fantasia. Siccome il papa vuole
che il primo capitolo del De ecclesia sia promulgato pdma della fine della sessione, lavo-
riamo giorno e notte. Ci sono probabilità di riuscirci. Ma ci si ammazza di lavoro. Non
si vede nulla di Roma. Non c'è il tempo. La sorte del concilio dipende dalla messa in
funzione delle conferenze episcopali e soprattutto dell'organo centrale. [... ] Sono molto
affaticato, ma felice».
14 2 Le buvettes erano state soprannominate ironicamente Bar Giona e Bar Abba.
143 Si possono così seguire alcune delle notazioni di un vescovo ausiliare «ordina
rio», Musty (di Namur), cfr. le sue Notes sur le Concile oecuménique Vatican II (fotoco
pie al CLG). Si veda anche la testimonianza del perito B. Olivier, a proposito del secon-
do periodo: «Verso le 10.30, soprattutto se gli oratori si ripetono, comincia l'andirivieni
verso le navate laterali e i bar. Due bar sono collocati in annessi della basilica. Vi vengo
no serviti caffè (espresso, cappuccino), the, coca-cola, aranciate ed anche un assortimen-
to di tortine, di biscotti, di dolci. Questi bar sono budelli assai stretti e verso le 11 si è
tutti pigiati. È il luogo delle discussioni private, degli incontri rapidi. L'aria è ispessita
dal fumo, si deve proteggere la propria tazza dagli ondeggiamenti della folla, ma si com-
menta, si discute. Del condlio prima di tutto, ma anche de1la rivoluzione in Viet-Nam,
della morte di Kennedy>> (F-Olivier, n. 168: Une journée au Concile, p. 7).
l44 Si può pensare anche agli appunti «privati» di esperti (si veda, per esempio, F
Prignon, nn. 493 495: una nota anonima sullo schema De episcopis e altre due di L.
Anné sulle conferenze episcopali e sulle «annotazioni del p. Féret»). Aggiungiamo l'esi
stenza di differenti «gruppi di pressione o di riflessione», più o meno informali, come
quello de «L'Éveque de Vatican Il», che riuniva due volte al mese a S. Luigi dei Fran
cesi una quindicina di vescovi su iniziativa del canonico F. Boulard, congiuntamente ai
VESCOVI E DIOCESI (5-1.5 NOVEMBRE 1963) 179

ni più ufficiali delle commissioni conciliari, dalle conferenze per un lar-


go pubblico alle discussioni assai serrate tra periti e vescovi sulla dottri-
na di quello o quell'altro schema e sulla tattica da adottare (proposta di
un testo «ideale» o di un testo suscettibile di riscuotere una larga ade-
sione conciliare) 145 •

6.1. Gli incontri del martedì con gli osservatori

Tra questi incontri quelli del martedì tra gli osservatori non cattolici
e il segretariato per l'unità acquistano un rilievo del tutto particolare.
Sono momenti privilegiati nei quali le altre chiese cristiane hanno potu-
to meglio comprendere il senso dei dibattiti conciliari e soprattutto, at-
traverso i membri del segretariato, fare ascoltare più direttamente la loro
voce al Vaticano II, ovvero esercitare un'influenza più o meno impor-
tante sugli schemi in corso di redazione.
Per il periodo che ci interessa, il 5 novembre, mentre il mattino stes-
so è appena cominciata la discussione sul De episcopis e la maggioranza
conciliare si trova nello slancio un po' euforico dei cinque vota, la tradi-
zionale riunione ec~menica del martedì verte sul capitolo IV dello sche-
ma sulla chiesa 146 • E interessante rilevare l'approvazione e le critiche co-

vescovi A. Mutioz Duque e L. De Courrèges. Tra gli invitati del 5 novembre 1963, si
notano i membri della commissione De episcopis, P. Correa Le6n, G. Gargitter, N. Ju
bany Arnau, J. Teusch e inoltre R. Etchegaray, C. Colombo, P.-A. Liégé, F. Houtart, J.
Medina, K. Wojtyla. CTr. F Boulard, Archivi diocesani di Parigi, n. 4 A 1, 24b-25 e 26,
nota del 30 ottobre 1963.
145 Si veda per esempio la conferenza tenuta da mons. Bonet, uditore della Rota ro-
mana, ai vescovi d'Africa sul De episcopis, nel tentativo di applicare a questo la collegia-
lità episcopale, cfr. F-Prignon, 490. La conferenza è stata tenuta poco tempo dopo la
presentazione dello schema al concilio (cfr. p. 1) e anche prima, sembra, della sua accet
tazione come base di discussione (cfr. p. 19); bisogna quindi forse datarla già 5 novem-
bre, piuttosto che 7, come indica la menzione manoscritta delle carte di Prignon, essen-
do l'accettazione dello schema avvenuta il 6. Sempre il 5, il prof. K. Morsdorf pronun
eia una relazione sull'episcopato e la collegialità nella riunione settimanale della confe-
renza episcopale tedesca al Collegio S. Maria dell'Anima; si possono leggere le reazioni
«agitate» di E. Schick, ausiliare di Fulda, a questa visione assai restrittiva del vescovo ti-
tolare, come anche le sue riflessioni sul dibattito conciliare in corso, cfr. la sua lettera
manoscritta del 6 novembre 1963 al card. Frings, 4 pp. r/v (F Frings, De Episcopis ac de
Dioecesium regimine 181/8). Per rendersi conto del numero di conferenze che un teolo-
go stimato come Congar pronuncia, soltanto tra il 1° e il 15 novembre 1963, si consulte
rà il suo JCng per quell'arco di tempo.
146 Questo incontro settimanale riunisce gli osservatori e i membri del segretariato
per l'unità.
180 IL CONCILIO ADULTO

struttive degli osservatori, in questa circostanza protestanti147 • Da una


parte essi apprezzano che questo capitolo del De ecclesia esprima un ap-
pello uguale e universale alla santità, senza che vi siano due tipi di «eti-
ca», una per i cristiani ordinari, l'altra per i cristiani veramente impe-
gnati: così viene forse sepolta una vecchia controversia tra cattolici e
protestanti. D'altra parte, essi rifiutano - come molti padri conciliari - il
carattere troppo moralizzante e troppo poco cristologico e biblico del
capitolo: la santificazione sembra essere troppo un,opera che deve essere
realizzata dall'uomo ~ non abbastanza la giustificazione gratuita offerta
da Dio al peccatore. E, a loro avviso, una parola un po' povera per ter-
minare uno schema sulla chiesa in seno al mondo attuale. Inoltre, certi
passaggi sembrano suggerire che i religiosi sono più vicini a Dio degli
altri, stabilendo così una «scala» di santità che è in contraddizione con
la vocazione universale ad essa. Il problema viene dal fatto che questa
stessa chiamata comune è trattata in funzione della vita religiosa. Un os-
servatore fa ancora notare con finezza che la dottrina dell'esenzione dei
religiosi sembra essere stata formulata senza tenere conto della collegiali-
tà dei vescovi del capitolo II. Si vede come una certa sinergia si sviluppi
tra osservatori e padri conciliari e come i primi, attraverso le loro perti-
nenti suggestioni, possano influire sugli attori del Vaticano II e la reda-
zione di certi testi.
La riunione successiva ha luogo il 12 novembre e riguarda questa
volta lo schema sull'ecumenismo. Il capitolo IV di questo testo (De ca-
tholicorum habitudine ad non christianos et maxime ad Iudaeos) era ap-
pena stato distribuito ai padri 1'8 novembre nel corso della LXIII con-
gregazione generale, dedicata alla discussione dei capitoli I e II del De
episcopis148 • Non sembra che ci siano stati echi diretti di questa discus-
sione, talvolta movimentata, nell'incontro del martedì successivo, intera-
mente centrato sullo schema ecumenico 149 •

147 Cfr. F Moeller, 00430: Remarks o/ the observers on the scheme De ecclesia.
Meeting o/ Nov. 5, 1963 (intervengono nell'ordine del verbale: p. Lalande, dr. R. Mc-
Afee Brown, prof. K.E. Skydsgaard, mons. Hof er, mons. Willebrands, prof. Minguez-
Bonino, p. Baum, p. Ahearn, dr. L. Vischer); si veda anche la lettera di L. Vischer a W.
Visser't Hooft, 8 novembre 1963, che richiama le osservazioni De oecumenismo richieste
da Willebrands agli osservatori e l'accordo che sembra disegnarsi tra costoro sul testo
«tedesco», così come un primo apprezzamento piuttosto positivo del De catholicorum
habitudine ad non christianos et maxime ad Iudaeos (ISR, F ACO 6, fotocopia).
148 Cfr. AS II/4, p. 612.
149 AJmeno in privato reazioni agli avvenimenti dell'aula sono state scambiate tra
osservatori e cattolici. Segnaliamo quelle, riportate da Skydsgaard, proprio a proposito
dell'intervento di Ottaviani del1'8 novembre. Questi, riferendosi a un celebre esegeta del
Nuovo Testamento, aveva dichiarato che gli apostoli non avevano agito collegialmente.
VESCOVI E DIOCESI (5-15 NOVEMBRE 1963) 181

Anche qui si noteranno le osservazioni stimolanti indirizzate al con-


cilio dagli osservatori150 • In linea generale, il De oecumenismo attuale co-
stituisce agli occhi di costoro un immenso progresso in relazione ai testi
presentati l'anno precedente e tale progresso viene accreditato all'azione
del segretariato. Così com'è il documento può costituire un buon punto
di partenza. D'altra parte suscita numerose reazioni e riserve da parte
delle chiese non romane. Così fa problema il modo in cui sono qualifi-
cati i non-cattolici (il termine «chiese» riservato agli ortodossi e quello
di «comunità» sempre impiegato per i protestanti). Lo stesso vale per
ciò che riguarda la relazione esatta tra unità e apostolicità della chiesa
(Pietro e i suoi successori sono i soli a poter garantire l'unità perfetta
della fede?) o la nozione di cattolicità e di pienezza (s'identifica di fatto
con la chiesa romana?). Del resto, l'inclusione del capitolo sulla relazio-
ne dei cattolici con i non cristiani e specialmente con gli Ebrei è proble~
matico, poiché l'ecumenismo concerne unicamente i cristiani; I' aggiunta
di questo capitolo può dare l'impressione ai non-cattolici che essi sono
classificati tra le altre religioni. Un altro intervento, quello di L. Vischer,
precisa tuttavia che la relazione della chiesa con il popolo dell'Antico
Testamento appartiene essenzialmente all'ecumenismo.

Il luterano danese racconta di averne parlato con un prete cattolico. Egli sul momento
era rimasto in silenzio, ma un po' più tardi gli aveva offerto una piccola immagine del
Crocifisso. Nel retro aveva scritto: «Gli apostoli si comportarono collegialmente nel giar
dino del Getsemani, dove tutti piantarono in asso il Signore». Dietro all'arguta trovata si
nascondeva una profonda verità - prosegue ancora il professore di Copenaghen: senza
questa dimensione del rifiuto, della caduta, della croce, ma anche della resurrezione,
dell'essere graziato, dell'amore senza fondo di Dio, non si può comprendere il mistero
della chiesa, cfr. F Moeller, 00437 (K.E. Skydsgaard, Die zweite Sit7.ungsperiode des
Vatikanùchen Konzils in den Augen eines Beobachters [Deutsches Konzilszentrum,
C.C.C.C., via s. Uffizio, 25], p. 5, 27 novembre 1963 ). Un piccolo esempio tra gli altri
di fruttuose interazioni tra osservatori e cattolici a proposito del concilio. Sempre a pro-
posito del De episcopis, ricordiamo anche un esempio di presenza attenta al dibattito
conciliare, quale è quella che si evince dalle lettere del luterano tedesco G. MARON,
Evangelischer Bericht vom Kant.il. Zweite Session, Gottingen 1964, pp. 34 42.
150 Cfr. F Moeller, 00431: Meeting o/ the observers Tuesday) November 12) 1963
1

(interventi nell'ordine del verbale: prof. Cullman, pastore H. Roux, prof. Mathew, dr. L.
Vischer). Si veda anche la lettera di Vischer a Visser't Hooft, 17 novembre 1963, nella
quale si esprime una certa divergenza tra gli osservatori. Vischer si mostra più riservato
rispetto al canonico B. Pawley, anglicano, che vuole promettere «l'entusiastica coopera
zione della comunione anglicana in ogni aspetto» (ISR, F ACO 6, fotocopia).
182 IL CONCILIO ADULTO

6.2. Il gruppo «Gesù) la chiesa e i poveri>>

Questo singolare gruppo, molto sensibile ad una vera presa in consi-


derazione dei poveri e della povertà da parte del concilio, si è consolidato
soprattutto nel corso del secondo periodo conciliare. Oltre all'incontro
del comitato d'animazione (10 ottobre), hanno avuto luogo al collegio
belga (via del Quirinale 26) sei riunioni generali con un ritmo settimana-
le: il 18 e 25 ottobre, 1'8, il 15, 22 e 29 novembre 151 • Vari vescovi ed
esperti partecipano a queste assemblee, poste sotto il patrocinio dei car-
dinali G. Lercaro (Bologna) e P. Gerlier (Lione), così come del patriarca
Maximos IV (Antiochia dei Melchiti). Il gruppo è animato soprattutto
dai vescovi C. Himmer (Tournai) e G. Hakim (Galilea), come anche dal
p. P. Gauthier (Nazareth). Una decina di altri padri conciliari di differen-
ti continenti sono tnembri del comitato promotore152 . Il gruppo sente il
bisogno di appoggiare il proprio sforzo sulla dottrina con l'intenzione di
approfondire ed estendere la sua influenza sul concilio. A questo scopo
vengono costituite tre équipes di ricerca (dogma, pastorale, sociologia),
ciascuna affidata a un gruppo di vescovi e di teologi1 53 ; per tutti i vescovi
interessati sono previste conferenze154 , e anche interventi in aula o testi o
proposte di idee da inserire nei vari schemi in elaborazione (De ecclesia,
De oecumenis1no, schema XVII soprattutto) 155 • Si desidera che gli episco-
pati siano più largamente informati delle attività del gruppo; inoltre -
come afferma Himmer nella riunione del 22 novembre - senza una segre-
teria ufficiale, esso rischia di restare ai margini del concilio. Lo stesso

l51Sull'insieme di questo dossier, dr. F Himmer (CLG), nn. 41 61 («2a sessione»).


152I vescovi A. Ancel (aus. di Lione, Francia),]. Angerhausen (aus. di Essen, Ger
mania)) J. Blomjous (MwanzaJ Tanganica)J H. Camara (aus. di Rio de Janeiro, Brasile),
G. M. Coderre (Saint Jean de QuébecJ Canada)) P. Nguyen-Kim Dien (Can-Tho, Viet-
nam), R. Gonzalez Moralejo (aus. di ValenciaJ Spagna)) M. Larrain (Talea, Cile), G.
Mercier (LaghouatJ Sahara), G. Riobé (Orléans, Francia), B. Yago (Abidjan, Costa
d'Avorio).
153 Si possono cosi ricordare i seguenti nomi: i vescovi Fauve! (Quimper, Francia),
Van Melckebecke (NingsiaJ Cina), Leuliet (Amiens, Francia), Franié (Split MaraskaJ Ju
goslavia) e Mercier per la pastorale; mons. Blomjous, i padri Dalé (Brasile), Diez Alle-
gria (Gregoriana) e Chenu (Francia) per la «spiritualità dello sviluppo»; i vescovi Ancel,
Hinuner, GonzalezJ Moralejo e Martin (Nuova Caledonia), i padri Congar, Dupuy, Le
Guillou, Ti1lard e Villain (Francia) per il dogma... ·
l54 Come quella di Joseph Fo1liet, «Verso un'economia de1la santa povertà», il 21
novembre 1963, alle 16.30, via s. Uffizio 21, o que1la di F. HoutartJ «Ecclesiologia e so-
ciologia», il 25 novembre, alle ore 17, all'Angelicum, Salita del Grillo 1.
l55 In -questa prospf;!ttiva, un contatto ecumenico avrà luogo con i 1pastore H. Roux
sul modo in cui le différenti chiese intendono il rapporto tra il Cristo e i poveri e la
loro specifica posizione di fronte a questo mistero.
VESCOVI E DIOCESI (5-15 NOVEMBRE 1963) 183

giorno, il gruppo non ha alcuna esitazione nell'indirizzare una petizione


al papa: il secondo periodo conciliare termina, recita con preoccupazione
il testo, «senza che una sola parola sia stata detta sui gravi problemi so-
ciali che sono l'angoscia degli uomini del nostro tempo»; per attutire
questa delusione, il concilio dovrebbe annunciare, prima dell'intersessio-
ne, che studierà lo schema XVII sulla «presenza efficace della chiesa nel
mondo moderno» a partire dall'inizio del prossimo periodo; parimenti, il
congresso eucaristico di Bombay (28 novembre 1964) dovrebbe ugual-
mente essere un congresso sociale156 . La petizione chiede al papa di inter-
venire «con tutto il suo potere di esortazione».
Tutte queste attività traducono bene una volontà d'impatto diretto
sull'attualità conciliare o extra-conciliare; esse rivelano il particolare di-
namismo di un «circolo» episcopale in mezzo ad altri 157 •

6.3. Le commissioni conciliari

Anche le commissioni conciliari ufficiali si riuniscono nel pomeriggio


che segue le congregazioni generali. Qui menziono soltanto quelle che si
sono effettivamente riunite tra il 5 e il 15 novembre 1963. Tra queste vi
è evidentemente la commissione liturgica 158 , lo schema della quale verrà
votato nel giro di poco tempo 159 . In pieno dibattito De episcopis, il 7 no-

156 Nella riunione generale del 15 novembre precedente, Mercier aveva espresso la
sua inquietudine a proposito del futuro congresso eucaristico: temeva un'ostentazione di
ricchezza, fonte di scandalo per le popolazioni povere dell'India e sperava quindi che
questo congresso avesse anche attenzione ai problemi sociali.
157 Il numero di iniziative e riunioni del gruppo «Gesù, la chiesa e i poveri» nel
corso di questo secondo periodo è notevole rapportato alla moltitudine di impegni che
ingombravano l'agenda di un vescovo in questo · stesso periodo: congregazioni generali,
riunioni di commissioni o «gruppi di lavoro»~ cfr. la testimonianza di un membro di
«La chiesa e i poveri», Puech, vescovo di Carcassonne (Francia) ne1la sua lettera del 28
novembre 1963 a Himmer: «Non potendo domani partecipare ancora alla riunione su
"La chiesa e i poveri", mi permetto di inviarle questo breve resoconto. Troppo preso da
altre riunioni o "gruppi di lavoro" [. .. ] Molti vescovi (una quindicina circa) sono stati
molto interessati da questo progetto [. .. ]. Sfortunatamente le altre questioni dibattute in
concilio erano anch'esse così importanti, che hanno richiesto l'organizzazione di molti
gruppi di lavoro, in modo tale che è divenuto difficile collocare delle riunioni in setti-
mane tanto impegnate» (F Himmer, 55).
158 Riunioni del 6 novembre, ore 17.30, nei locali de1la congregazione dei riti (esa-
me della relazione della sottocommissione sul capitolo III De sacramentis et sacramentali
bus), del 13 (esame dei modi del capitolo D e del 14 novembre (esame dei modi del ca-
pitolo II).
159 Il 15 novembre, nel corso della LXVIII c.g., il segretario generale Felici annun
184 IL CONCILIO ADULTO

vembre 1963 la commissione dello stesso nome ha programmato una se-


duta plenaria, la prima dopo il precedente periodo conciliare. All'ordine
del giorno: l'istituzione di sottocommissioni per gli emendamenti e lo
studio degli interventi dei padri; l'elezione dei membri delle sottocom-
missioni; la designazione dei relatori; la cooptazione dei periti nelle sot-
tocommissioni; varia 160 . Allo stesso modo la commissione teologica tiene
riunioni regolari161 , di norma fino ad allora settimanali 162 • Il segretariato

eia l'inizio delle nuove votazioni sullo schema liturgico per il lunedì successivo, 18 no
vembre: il De sacra liturgia ha già ottenuto la maggioranza richiesta, salvo per i capitoli
II e III; tuttavia il proemium e il capitolo I vengono distribuiti, così come la risposta
della commissione ai modi già approvati per queste due sezioni, cfr. AS II/5, pp. 245-
246. Viter dello schema è trattato infra, pp. 209 241.
160 Cfr. F Veuillot, Curia diocesana di Parigi, doc. 53: lettera ds. di P. Marella a P.
Veuillot, 2 novembre 1963 (ordine del giorno della sessione plenaria del 7 novembre
successivo); per le sottocommissioni istituite, i membri eletti, i relatori designati e gli
esperti cooptati, cfr. F Onclin, C.D. 3: Subcommissiones pro emendando et recognoscendo
schemate decreti: De episcopis ac de dioecesium regimine. Il successivo 20 novembre, in
una riunione dei presidenti e dei segretari delle cinque sottocommissioni costituite, il
cardinale-presidente della commissione fornirà indicazioni su1la revisione dello schema: il
De episcofis dovrà essere rielaborato completamente e dovrà essere redatto un nuovo
progetto in seguito alle critiche sollevate durante il dibattito precedente e all'auspicio,
espresso da alcuni padri, d'integrare neJlo schema diverse direttive pastorali inscritte nel
De cura animarum. Prima della fine del secondo periodo, la prima sottocommissione, in
caricata della nuova struttura de1lo schema, si riunirà il 25 e il 28 novembre per deter-
minare il piano di lavoro e il metodo da seguire. Il 3 dicembre, la commissione ristretta
dei relatori e segretari di sottocommissioni, sarà convocata per rispondere alle ingiunzio
ni della commissione di coordinamento (29 novembre), che imponevano di rivedere lo
schema tenendo conto dei desiderata dei padri. Su rulteriore storia della commissione,
cfr. W. ONCLIN, La genèse du décret, le titre et la structure du décret, in La charge pasto
raie des éveques. Décret <<Christus Dominus», Paris 1969, p. 76.
161 Il 5 novembre, discute sul De beata e il De libertate religiosa (cfr. F Prignon,
481); il 6, lavora la sottocommissione De populo Dei; il 7 la sottocommissione per l'esa-
me del De libertate religiosa (cfr. F Prignon, 498: relazione della riunione); 1'11, J.
Courtney Murray spiega il De libertate religiosa aJla commissione teologica (riunione dal-
la quale Ottaviani rientra piuttosto depresso, cfr. supra, n. 92; si veda anche la lettera di
Moeller a sua madre in data 11 novembre, supra, n. 53; F-Prignon, 482); si incontra il
14, la sottocommissione De populo Dei (sottocommissione II, n. 15 [olim n. 9] del cap. I
del De ecclesia, cfr. F Prignon, 361) e il 15, sottocommissione I (cfr. F Prignon, 379);, su
queste diverse riunioni, si veda anche JCng, pp. 355-369. Si conosce anche il malconten-
to della maggioranza in relazione al funzionamento di questa commissione, sempre sotto
la tutela de1la minoranza prima dell'ampliamento del numero dei membri e dell'elezione
di un nuovo vice presidente (Charue, vescovo di Namur) e di un segretario aggiunto
(Philips, professore a Lovanio) avvenuta il 2 dicembre successivo, cfr. F-Prignon, 488.
Da qui, frattanto, dopo 1'8 novembre, le petizioni al papa di cui si è parlato, cfr. supra,
n. 68.
162 Il 24 ottobre 1963, in un monitum alla commissione De doctrina /idei et morum, il
VESCOVI E DIOCESI (5-15 NOVEMBRE 1963) 185

per l'unità si ritrova abbastanza regolarmente 163 . Le quattro sottocom-


missioni della commissione de disciplina cleri et populi christiani si met-
tono al lavoro tra il 15 ottobre e il 10 novembre 1963. Il nuovo proget-
to di redazione dello schema (chiamato ormai De sacerdotibus) sarà mes-
so a punto e adottato dalla commissione tra il 18 e il 27 novembre164 • Se
la commissione dei religiosi non si riunisce tra il 5 e il 15 novembre
1963, essa ha tuttavia appena tenuto diverse sessioni dal 23 settembre al
7 ottobre (quartus Conventus), prima di quella, unica, del 3 dicembre
(quintus Conventus )1 65 •
Quanto alla commissione delle missioni, essa tiene, tra il 23 ottobre
e il 3 dicembre 1963, dieci riunioni, tre delle quali nel corso del breve
periodo che ci interessa (5, 11 e 14 novembre). Le discussioni vertono,
tra l'altro, sui testi da inserire nel De ecclesia e sulla redazione di un
nuovo schema («Sull'attività missionaria della chiesa») che, grazie al la-
voro intenso di quattro sottocommissioni, potrà essere consegnato a Ci-
cognani il 5 dicembre successivo 166•

papa ha tuttavia appena espresso il desiderio che il concilio possa arrivare a qualche im-
portante conclusione prima de1la fine del secondo periodo e pronunci alcune importanti
decisioni sullo schema De ecclesia; bisogna quindi tentare di accelerare il lavoro: dato che
una riunione settimanale non è sufficiente, cfr. AS V /2, pp. 12-13.
163 Fin da ottobre, era stata intrapresa un'analisi sistematica delle osservazioni pro-
venienti dai padri con la costituzione di sei sottocommissioni (cf r. F Thils, 1317 I A: De
methodo sequenda in elaborandis animadversionibus scriptis Patrum relate ad Schema de
oecumenismo, 7 novembre 1963 ). La sottocommissione V (a proposito degli emenda-
menti del cap. III, sezione I), per es., si riunisce il 15 novembre (cf r. F Thils, 1317I A).
A partire dal 18, il segretariato deve tenersi pronto a rielaborare lo schema in funzione
del dibattito conciliare (su di esso, si veda più avanti in questo volume, cap. IV, par.
1.1). Nel corso del dibattito conciliare e anche oltre, il lavoro delle sottocommissioni si
prolunga: 18, 20, 26, 27, 29 novembre e 2 dicembre 1963 (si vedano i verbali del F Thi-
ls, 1317 I A). Su questa attività del segretariato si veda M. VELATI, Una difficile transizio
ne. Il cattolicesimo tra unionismo ed ecumenismo (1952 1964), Bologna 1996, pp. 378
380.
164 Cfr. J. FRISQUE, Le Décret Presbyterorum Ordinis. Histoire et commentaire, in
Les pretres. Décrets «Presbyterorum Ordims» et <<Dptatam totius», Paris 1968, p. 124.
165 Quattro sottocommissioni sono state attivate per valutare il materiale prodotto
fino a quel momento in vista dei quattro schemi: rispettivamente il quarto capitolo del
De ecclesia (De vocatione ad sanctitatem), il terzo capitolo del De episcopis (De rationibus
inter episcopos et religiosos ), lo schema De statibus perfectionis adquirendae e quello delle
missioni, cfr. J. ScHMIEDL, Erneuerung im Widerstreit. Das Ringen der Commissio de Re
ligiosis und der Commissio de Conci/ii laboribus coordinandis um das Dekret zur zeit-
gemiissen Erneuerung des Ordenslebens, in Les commissions à Vatican II. Colloque de
Leuven et Louvain la Neuve, J. Famerée, ]. Grootaers, M Lamberigts, Cl. Soetens (éd.),
Leuven 1996, pp. 293 294 e 315.
166 Cfr. S. PA VEN11, Le cheminement laborieux de notre schéma, in <<Rythmes du
186 IL CONCILIO ADULTO

Un discorso del tutto a parte deve essere fatto per ciò che riguarda
la commissione di coordinamento, vero e proprio luogo di organizzazio-
ne «strategica» dei lavori conciliari. Nel lasso di tempo qui preso in esa-
me, vi è soltanto una sessione di questa commissione, la nona, del 15
novembre della quale abbiamo già detto qualcosa a proposito della rela-
tio di Lercaro 167 . Si tratta di una riunione congiunta del consiglio di
presidenza, dei moderatori e della commissione di coordinamento168 . Ol-
tre alla relazione sul secondo periodo conciliare, altri tre punti sono al-
!' ordine del giorno: indicazioni relative alla sessione pubblica; proposte
concernenti i lavori da proseguire tra il secondo e il terzo periodo; sug-
gerimenti per il terzo periodo. Diversi padri auspicano una sessione
pubblica prima della chiusura del secondo periodo per approvare e pro-
mulgare la costituzione liturgica, il decreto sugli strumenti di .comunica-
zione sociale, e forse qualche punto del De ecclesia, poiché il mondo
aspira a conoscere le decisioni del concilio. Il papa dovrebbe anche fis-
sare la formula di approvazione e di promulgazione dei decreti. Pur ap-
provando la relazione Lercaro e perfino suggerendone la distribuzione
ai padri, Ruffini ritiene che non sia saggio «precipitare decisioni su que-
stioni gravi e di principio, come è già successo nel passato». A suo pare-
re, nessun decreto è ancora giunto alla maturità sufficiente per la sessio-
ne pubblica. Quanto all'intersessione, molti reclamano la diminuzione
del numero degli schemi o la riduzione della loro materia rinviando al-
cuni argomenti al Codice, ma con la raccomandazione di conferire un
carattere pastorale alle norme che verranno elaborate; parimenti sono ri-
chiesti adattamenti del regolamento. Nel corso del terzo periodo, con il
quale alcuni vorrebbero vedersi chiudere il concilio, bisogna proseguire
l'esame degli schemi del secondo periodo e in particolare cqminciare
quello dello schema XVII. Non è senza interesse segnalare anche l' attac-
co di Spellman e del segretario generale contro le «fughe» di notizie sul-
la stampa, qualificate come «irresponsabili», a proposito delle controver-
sie intra-conciliari: s'impone quindi un miglior controllo delle informa-
zioni169. ·

Monde», n.s., 15 (1967), p. 118; E. LOUCE-IEZ, La commission «De missionibus», in Les


commùsions à Vatican II, cit., pp. 263-264; si veda soprattutto la comunicazione di E.
LOUCHEZ in Experience ove, sulla base degli archivi di G. Eldarov, fornisce il riassunto
dei verbali della commissione redatti da questo peritus, che era uno dei segretari.
167 L'ottava sessione si era tenuta il 29 ottobre, alla vigilia del famoso voto, mentre
la decima avrà luogo il 20 novembre, due giorni dopo la presentazione del De oecumeni-
smo in aula, cfr. AS V /2, pp. 7 58.
168 Cfr. AS V/2, pp. 21 33.
169 Alcuni (Spellman, Felici ... ) non vedono di buon occhio le relazioni più traspa
VESCOVI E DIOCESI (5-15 NOVEMBRE 1963) 187

La diversità dei pareri espressi in questa commissione, allargata o


meno agli altri organi direttivi, riflette un poco quella dell'aula concilia-
re. Su decisioni che determinano l'avvenire del concilio, si riflettono an-
che - ma in modo più mitigato - le tendenze maggioritarie e minoritarie
dell'assemblea stessa170 •

7. Il Coetus internationalis Patrum

7.1. Il catalizzatore della minoranza

Rispetto a numerosi altri raggruppamenti episcopali (le conferenze


nazionali o continentali, per esempio), il Coetus internationalis patrum
ha la caratteristica di essere «intercontinentale», come la «Conferenza
dei Ventidue», ma con tutt'altro orientamento di spirito.
Il «gruppo internazionale dei padri» è senza dubbio il più importate
e il più efficace di tutti quelli di tendenza conservatrice 171 • Composto di
membri formalmente iscritti172 , resta permanentemente aperto ai simpa-

renti che s'instaurano tra la stampa e il concilio nel corso del secondo periodo, cfr. infra
in connessione con lo schema sui mezzi di comunicazione sociale.
170 In questo senso, si possono citare le impressioni che Suenens consegna ad A.
Prignon a proposito della riunione allargata del 15 novembre: «Il cardinale mi dice an-
che che comunque in generale nella riunione non ci si era schierati sinistra contro de
stra, ciascuno ha detto ciò che pensava e alcuni dimostravano di avere molto buon sen-
so come Confalonieri, un po' lungo [ma .. .] ecc. E poi, salvo Siri e il segretario del con-
cilio, non c'era stata una vera opposizione sinistra-destra» (F Prignon, 512 bis: relazione
ds. sugli avvenimenti a partire dal 27 ottobre, p. 18).
171 Per situare il contesto globale all'interno del quale evolve, cominceremo qui ri-
prendendo alcune caratteristiche fondamentali del gruppo, ben descritto in S/V 2, pp.
221 226; cfr. anche il settimanale «Katholiek Archief», a. 20, nn. 44 e 45 (29 ottobre e 5
novembre 1965), coll. 1147 1148 (a proposito di questo «blocco-anti concilio», che cree-
rà il ROC [Romana Colloquia] come una risposta conservatrice al DO-C [Centro di do
cumentazione olandese]).
172 Oltre i tre grandi leaders di cui fra poco ci occuperemo (de Proença Sigaud,
Lefebvre e Cadi), i primi firmatari sono A. De Castro Mayer (Campos, Brasile), P. De
La Chanonie (Clermont, Francia); tra gli ulteriori membri, si notano L.G. da Cunha
Marelim (Caxias do Maranhao, Brasile), J. Pereira Venando (Leiria, Portogallo), C.E.
Saboia Bandeira de Mello, o.f.m. (Palmas, Brasile), J. Rupp (Monaco-Montecarlo), X.
Morilleau (titolare di Colonia di Cappadocia, Francia), J. Nepote Fus, dei missionari
della Consolata (titolare di Elo, Brasile), G.M. Grotti, dei serviti (prelato nullius di Acre
y Purus, Brasile), A. Grimault, spiritano (titolare di Massimianopoli di Palestina, origina
rio del Canada, residente in Francia), L. Rubio (superiore generale degli Eremiti di s.
Agostino). Una maggioranza di brasiliani e di francesi quindi, e numerosi religiosi, ai
quali bisogna aggiungere alcuni periti e membri della curia. Cfr. S. G6MEZ DE ARTECHE
188 IL CONCILIO ADULTO

tizzanti, molto più numerosi 173 • In ragione di un'identità di convinzioni,


tanto gli uni quanto gli altri danno prova di grande disciplina di fronte
alle consegne formulate dal gruppo direttivo. Molto attento alle questio-
ni di procedura (soprattutto per impedire l'approvazione di testi giudi-
cati ambigui), il Coetus può essere considerato come un gruppo di
«ideologia globale», il cui conservatorismo puro e duro si manifesta in
tutti i temi delle deliberazioni conciliari: approccio a-storico delle verità
di fede, trionfalismo cattolico romano, diffidenza nei confronti del cam-
biamento, apprensione davanti all'apertura ecumenica 174 •
G. de Proença Sigaud, arcivescovo di Diamantina (Brasile), membro
della Società del Verbo Divino, è il fondatore e I' animatore del gruppo.
Non è «reazionario» se non in materia ecclesiastica: un'ossessione «con-
trorivoluzionaria» lo caratterizza, così come un'opposizione veemente ai
cristiani sociali e democratici 175 • Sin dall'inizio del concilio, aveva com-
preso la necessità di organizzare le forze disperse in vista di un'azione
«parlamentare» capace di resistere alla maggioranza conciliare. Così, a
partire dalla seconda metà del primo periodo 176 , aveva creato un grup-

Y CATALINA, Grupos «extra aulam» en el II Concilio Vaticano y su influencia, 3 tomi, tesi


dottorale inedita, Biblioteca della Facoltà di Diritto dell'Università di Valladolid, 2585
pp.: è attualmente lo studio di riferimento per il nostro argomento; si veda qui il t. II/3,
pp. 240-265, più in particolare pp. 250 251, n. 20.
17 3 I simpatizzanti provengono, tra gli altri, dagli oppositori della collegialità, de1la
fusione del De beata e del De ecclesia e della libertà religiosa. Contro quest'ultima mili-
terà, per esempio, l'analisi critica del De libertate religiosa, prodotta alla fine dell'inter
sessione 1965 firmata dal «Comitatus episcopalis internationalis seu Coetus internationa-
lis patrum», intitolata Animadversiones criticae in textum reemendatum (28-V 1965) Sche-
ma declarationis de libertate religiosa e siglata «Patribus condliaribus reservatum» (F Du-
pont, 1516, 20 pp.); cfr. anche WILTGEN, pp. 94-95, 148, 227 228, 231ss. e 247ss.
174 Cfr. GOMEZ DE ARTECHE, Grupos «extra aulam», cit., t. II/3, p. 241. Le quatte-
ristiche qui sopra enumerate possono essere verificate, anche nel corso del secondo~ peri-
odo, negli interventi dei padri più o meno vicini al Coetus, come si è già potuto consta-
tare nelle pagine precedenti e come verrà nuovamente precisato in seguito. Si può
ugualmente trovare una buona espressione delle posizioni conciliari di questo gruppo in
CATHOLICUS, Il Concilio e l'assalto del blocco Centro-Europeo, Roma 1963, pp. 16. ·
115 Cfr. S/V 2, p. 222.
176 Secondo l'indicazione personale di de Proença Sigaud a GOMEZ DE ARTECHE,
(Grupos «extra aulam», t II/3, p. 243, n. 8). L. PERRIN, Il Coetus internationalis Patrum,
cit., si mostra prudente circa l'esistenza di un «piccolo comitato» già dal 1962: egli non
ne ha trovato la minima traccia ed è interessante notare che il dossier "CIP,, di mons.
Lefebvre non contiene alcun documento anteriore al 1963. Del resto è soltanto nell'esta
te 1963 che il superiore generale degli Spiritani chiede l'assistenza dell'abate V. Berto
come teologo personale. Lo stesso storico considera come data di nascita del Coetus in-
ternationalis patrum il 3 ottobre 1963 (secondo il verbale steso da Berto) o il 2 (secondo
l'agenda dell'abate Prou). Aggiungiamo una precisazione: stando al diario di G. Barabi
VESCOVI E DIOCESI (5-15 NOVEMBRE 1963) 189

petto («Piccolo comitato»), organo decisionale ed esecutivo ordinario177 ,


anche se la denominazione Coetus internationalis patrum evoca piuttosto
un'assemblea plenaria 178 • Sognava infatti un «gruppo misto ideologico-
nazionale, alla maniera dei comitati internazionali della maggioranza e
della minoranza nel concilio Vaticano 1»179; il suo piano era di costitui-
re, ma invano, una «conferenza delle conferenze episcopali», la cui
istanza suprema sarebbe stata una «conferenza dei presidenti di confe-
renza».
I principali collaboratori del prelato brasiliano erano stati, sin dal-
l'inizio, M. Lefebvre, arcivescovo francese e superiore generale degli
Spiritani180, e in seguito L. Carli, vescovo di Segni (Italia). Il contatto tra
Carli e de Proença si era stabilito il 7 ottobre 1963, nel corso della
XLIV congregazione generale. Quest'ultimo, in un discorso all'assem-
blea, aveva appena finito di opporsi all'idea dell'esistenza di un collegio
apostolico ed episcopale di diritto divino, quando tornato al suo posto,
aveva ricevuto un biglietto di Carli che si felicitava con lui per l'inter-
vento. Era nata così una solida amicizia; in un secondo tempo de
Proença l'aveva presentato a Lefebvre e il vescovo di Segni aveva accet-
tato di unirsi al loro comitato 181 •
Il Coetus organizza ogni settimana conferenze, tenute da padri, tal-
volta da cardinali, per diffondere il proprio punto di vista sui temi con-
ciliari. Distribuisce ai padri queste relazioni inizialmente attraverso i pre-

no, segretario del card. Siri, quest'ultimo ha partecipato a una riunione del gruppo (una
trentina di padri insoddisfatti dai lavori in aula) il 22 ottobre 1963, riunione che avreb
be preso la denominazione di Coetus internationalis patrum e nella quale i padri avreb-
bero deciso di rivedersi tutti i martedì (Siri ha continuato ad essere informato, ma senza
prendere più parte agli incontri), cfr. LAI, Il papa non eletto, cit., pp. 210 211, n. 10.
177 Si riuniva ogni settimana.
17 8 Nel corso del quarto periodo, questo nome gli varrà difficoltà da parte dello
stesso Paolo VI, il quale riteneva che «un gruppo internazionale di padri che condivide
vano le stesse opinioni in materia teologica e pastorale», creato in seno al concilio, era
di natura tale da pregiudicare i liberi dibattiti di esso. Così il Coetus sarebbe diventato
semplicemente il Comitatus, ma senza nulla cambiare del suo spirito. Cfr. «Katholiek
Archief», a. 20, nn. 44 e 45 (29 ottobre e 5 novembre 1965), coll. 1147 1148; WILTGEN,
pp. 248-249.
179 GOMEZ DE ARTECHE, Grupos «extra aulam», cit., t. II/3, p. 243.
180 Lefebvre, ex arcivescovo di Dakar (Senegal) trasferito il 23 gennaio 1962, con
titolo personale di arcivescovo, all'episcopio di Tulle (Francia), era allora arcivescovo ti
tolare di Sinnada di Frigia.
181 Sull'aneddoto, cfr. WILTGEN, p. 89. Notiamo a questo proposito che Wiltgen,
fondatore dell'agenzia di stampa Divine World News Service, è anch'egli verbita come de
190 IL CONCILIO ADULTO

sidenti delle conferenze episcopali, in seguito direttamente ai vescovi.


Suscita interventi in aula e cerca di creare attorno ad essi consenso tra i
padri182 •

7 .2. Abbondanti ramificazioni


Senza che si possa, né del resto si debba sempre ricollegarli esplici-
tamente al Coetus internationalis patrum 183 , diversi interventi in aula del
secondo periodo conciliare, anche limitandosi al solo dibattito De episco-
pis, vanno precisamente nella direzione di questo gruppo e più in gene-
rale condividono le convinzioni della minoranza: così in particolare la
relatio di Carli, gli interventi di Ruffini e Browne (6 novembre), di Flo-
rit, Batanian, Del Pino G6mez e Mason (7 novembre), di Ottaviani,
Browne, De Castro Mayer, Lefebvre e Ruffini (8 novembre), di Carli

Proença e come lui abita nella casa generalizia de1la loro congregazione (via dei Verbiti).
Sempre secondo Wiltgen _(p. 150), il 9 novembre 1963 (per precisare, all'indomani del
rilevante intervento in aula di Lercaro), Carli avrebbe preparato una lettera da sottopor
re al papa ne1la quale lo supplicava «di chiedere ai cardinali moderatori di astenersi as-
solutamente dall'intervenire in pubblico a titolo personale, tanto all'interno dell'aula
conciliare quanto all'esterno», poiché apparivano come «gli interpreti del pensiero del
sommo pontefice», pur essendo sospettati di inclinare «in una certa direzione, b,en pre-
cisa»; sarebbe stato Ruffini a dissuaderlo daU'inviare questa lettera. (
1
·

182 Ciò si spingerà fino alla redazione di contro-proposte di schemi, come per quel
lo sulla libertà religiosa. Su1l'insieme di questa attività si veda WILTGEN, pp. 148 149.
l83 In effetti se il Coetus è più o meno il catalizzatore deJla minoranza conciliare,
non tutti i padri di essa appartengono in senso stretto a questo «gruppo internazionale»
e certuni negano esplicitamente una tale appartenenza. Gli episcopati italiani, spagnoli,
filippini, latinoamericani e francesi sono i più influenzati da1la propaganda del gruppo.
Un legame esiste anche con il gruppo dei vescovi missionari (Vriendenclub) attraverso la
mediazione del p. Schiitte, superiore generale della congregazione del Verbo Divino, fu-
turo relatore del De activitate missionaria ecclesiae; dr. SN 2, pp. 225-226. Si può anche
rilevare che alcuni padri conciliari di sensibilità conservatrice, senza richiamarsi formal-
mente al Coetus, organizzano riunioni tra di loro. Così, per il periodo che ci interessa, il
14 novembre Siri e Ruffini si sono riuniti -con quattro confratelli stranieri: Caggiano, di
Buenos Aires, Santos, di Manila, Garibi Y Rivera, di Guadalajara, de Arriba y Castro di
Tarragona; Castaldo, di Napoli e Quiroga y Palacios, di Santiago di Compostela, erano
assenti. Si trattava di analizzare il decreto sull'ecumenismo e di concentrarsi in vista del-
la riunione degli organismi direttivi in programma per il giorno successivo, cfr. LAI, Il
papa non eletto, cit., p. 214 («Adunanza degli E.mi Cardinali. Palazzo Pio, 14 novembre
1963», Archivi Siri; diario Barabino, secondo periodo). Se Ruffini appoggia la condotta
del Coetus, Siri invece esita (Berto annota tuttavia il suo ralliement il 9 novembre 1963 ),
dr. PERRIN, Il <<Coetus internationalis», cit.
VESCOVI E DIOCESI (5-15 NOVEMBRE 1963) 191

(13 novembre) 184 • Si è, per prima cosa, colpiti dal «fuoco incrociato» dei
primi giorni del dibattito sui vescovi e il governo delle diocesi. Quanto
al contenuto, poi, si ritrovano alcune grandi caratteristiche della sensibi-
lità minoritaria, evocate qui sopra a proposito del Coetus: ultramontani-
smo radicale contro tutto ciò che appare come un'attenuazione dell' as-
solutismo pontificio (relatio Carli, Ruffini, Batanian, Ottaviani, Browne,
Lefebvre), quasi-identificazione della curia con il papa (Batanian, Del
Pino G6mez, Mason, Ottaviani), resistenza tenace alla «nuova» dottrina
della collegialità (Ruffini, Florit, Del Pino G6mez, Ottaviani, De Castro
Mayer, Lefebvre, Carli), opposizione cavillosa tra voto d'orientamento
del 3 O ottobre e decisione finale del concilio, ovvero della commissione
dottrinale (Ruffini, Browne, Florit, Ottaviani, Carli) 185 • L'intervento di
Cadi il 13 novembre presenta inoltre la particolarità di essere fatto a
nome di numerosi altri padri. Le 9 firme sono tutte di membri formali
del Coetus internationalis Patrum186 • È l'occasione per ricordare una del-
le procedure più tipiche dell'associazione: quando si rivolge a ciascun
padre singolarmente, come ad esempio nella diffusione delle circolari, il
Coetus si presenta esplicitamente come entità collettiva187 ; al contrario,
quando si rivolge all'insieme dei padri come nei discorsi in aula, ciascun
oratore parla a titolo personale ed eventualmente, come Carli, a nome
di qualche altro singolo padre o facendo riferimento ad oratori anteriori,
ma non a nome del Coetus.
L'organizzazione tradizionalista, oltre agli appoggi esterni dell'Uni-
versità del Laterano, del Seminario romano o della rivista francese «La
cité catholique», può contare anche sull'agenzia di stampa Divine World
News Service del verbita Ralph Wiltgen, già più volte menzionato, senza
parlare dei legami con ambienti politici conservatori dell'America Latina

l84 Si noterà l'origine massicciamente «latina» di questi intervenuti: italiana, «roma


na» (curiale), spagnola, brasiliana, francese.
185 Si constata una perfetta convergenza con l'oggetto dichiarato della prima riunio-
ne del Coetus (verbale di V. Berto, 3 ottobre 1963): <<l'opposizione al tema della colle-
gialità nello schema De ecclesia avendo come stendardo la difesa dei diritti del Sommo
Pontefice e, in secondo luogo, quelli del vescovo preso individualmente» (PERRIN, Il
<<Coetus internationalis», cit.).
186 Cfr. supra, nn. 110 e 173.
187 Sarà il caso, per esempio, della circolare del 2 novembre 1964 (indirizzata «Ve
nerabilis Pater»). Essa tratta del voto del nuovo schema De pastorali episcoporum munere
in ecclesia di due giorni dopo ed invita a votare non placet; è firmata «nomine Coetus
internationalis patrum Geraldo de Proença Sigaud». Lo stesso foglio annuncia per il
giorno successivo la riunione pubblica del Coetus alle ore 17 all'Hotel Columbus (via
della Conciliazione 33); vi prenderà la parola F ranié. Cfr. F Prignon, 971.
192 IL CONCILIO ADULTO

e della Spagna 188 • È proprio Wiltgen che intervisterà Ottaviani il 23 no-


vembre sulla curia e la collegialità; più avanti raccoglierà sulle sue co-
lonne anche la relazione di D. Romoli, o.p., vescovo di Pescia e già
membro del s. Uffizio, sulla procedura di condanna seguita da questo
dicastero 189•
Non soltanto quindi il Coetus beneficia di sostegni importanti, ma è
anche introdotto negli organi direttivi del concilio: nel consiglio di presi-
denza grazie a Ruffini e Siri; nella segreteria generale e nella commissione
di coordinamento Felici, originario di Segni, è un prezioso alleato di Carli
e quindi del «comitato»; tra i fiancheggiatori del Coetus anche mons.
Staffa, vicepresidente della commissione per i seminari e studi. Tuttavia è
soltanto il 29 settembre 1964 che un cardinale offrirà ufficialmente il suo
supporto all'organizzazione. A partire da quel giorno infatti, R. Santos,
arcivescovo di Manila (Filippine), farà da suo portavoce fin in seno al sa-
cro collegio ed alt~i cardinali (Ruffini, Siri, Larraona e Browne) 190 patroci-
neranno le riunioni-conferenze del gruppo il martedì sera191 • L'attenzione
ricevuta dal Coetus, una volta consolidata, gli permetterà di raccogliere,
per determinate petizioni, fino a 450 firme di padri1 92 •

188 SN 2, p. 226.
189 Cfr. WILTGEN, pp. 118 119; le spiegazioni pubbliche di Romoli datano 22 no
vembre, cfr. «ICI», 206 (15 dicembre 1963 ), p. 17 (col. 3 ), p. 18 (coll. 1 2). '
190 Browne, lo ricordiamo, è vice-presidente della dottrinale (l'unico fino al dicem-
bre 1963 ), a fianco del presidente Ottaviani; Santos è egli stesso membro di questa com-
missione, così come altri della stessa tendenza, Florit e Franié. Larraona era alla testa
della commissione liturgica fino alla fine del secondo periodo, e l'abate Prou ne era
membro. Queste poche e parziali indicazioni, contribuiscono a costruire il quadro delle
«antenne» del Coetus nei differenti luoghi strategici delle assise conciliari.
191 Cfr. WILTGEN, p. 149.
192 Ibidem, p. 270 ss., per esempio: sulla petizione del Coetus internationalis Patrum
contro l'assenza di una condanna esplicita del comunismo marxista nello schema XIII.
La tattica utilizzata dal «raggruppamento internazionale» è di «federare i Romani»,
come dirà Berto nel 1964, al fine di impedire «l'unanimità morale» attorno agli schemi
della maggioranza. Egli stimerà realistico raccogliere un quarto dei padri intorno alle tesi
del Coetus. L'obiettivo sarà pressoché raggiunto in due occasioni: nel settembre 1964,
con la petizione sulla consacrazione del mondo al cuore immacolato di Maria (510 fir-
me), e con la citata petizione relativa al comunismo nel 1965 (esattamente 454 firme se-
condo il computo di Carbone). Più spesso, si oscilla tra 100 e 250. Cfr. PERRIN, Il «Coe-
tus internationalis>~, cit.
VESCOVI E DIOCESI (5-15 NOVEMBRE 1963) 193

8. De instrumentis communicationis socialis (14-25 novembre 1963)

8.1. Un voto a tappe forzate

Nel corso del primo periodo conciliare, lo schema sui mezzi di co-
municazione sociale era stato «preso un poco sottogamba». Dopo la
tensione della discussione sul De fontibus revelationù e prima dello stu-
dio dello schema sull'unità, preparato dalla commissione delle chiese
orientali, il dibattito sul De instrumentis communicationis socidis era
sembrato quasi una «pausa» e un «momento di riposo» nel lavoro con-
ciliare193. L'esame aveva occupato appena 360 minuti, ripartiti nelle se-
dute del 23, 24 e 26 novembre 1962. Malgrado la relatio di Stourm,
convinto dell'importanza del tema e delle possibilità enormi che i media
offrivano all'evangelizzazione, lo schema non aveva suscitato né gravi
critiche di fondo né suggerimenti veramente rilevanti. Dal punto di vista
della forma lo schema appariva troppo lungo e ripetitivo. Quanto al
contenuto si auspicava, tra le altre cose, che il ruolo dei laici fosse me-
glio evidenziato e che la cura per la gioventù fosse maggiormente sotto-
lineata. Comunque i padri avevano sollecitamente accettato di interrom-
pere questa discussione a partire dal 26 novembre 1962. Il giorno suc-
cessivo avevano votato su tre punti: 1) accordo sulla sostanza dello sche-
ma; 2) nuova redazione di un testo più breve, ma sostanzialmente iden-
tico per ciò che riguardava i principi dottrinali essenziali e gli orienta-
menti pastorali generali, dopo un esame attento delle osservazioni dei
padri; 3) pubblicazione di un'istruzione pastorale che riprendesse le di-
rettive pratiche. Il voto era stato massicciamente favorevole: su 2.160
padri, 2.138 a favore, 15 contrari e 7 nulli. Un dibattito quindi senza ri-
lievo e del tutto privo di echi nei media. Il fatto è solo parzialmente pa-
radossale conoscendo la deplorevole situazione nella quale versava l'in-
formazione nel corso del primo periodo, ridotta ai vaghi comunicati del-
l'Ufficio stampa conciliare sull'andamento delle congregazioni generali.
Al di fuori delle indiscrezioni e delle conferenze stampa di alcuni padri,
i giornalisti anglofoni potevano in particolare contare su di una sola fon-
te d'informazione utilizzabile, il U.S. Bishops' Press Panel: sotto l'egida
dei vescovi statunitensi e in particolare di J. Wright (Pittsburgh), una
dozzina di esperti americani ricevevano ogni pomeriggio i giornalisti per

l93 Cfr. SN 2, pp. 251 262~ Decreto sugli strumenti di comunicazione sociale (Inter
Mirifica), in Conciliorum Oecumenicorum Decreta, a cura di G. Alberigo, G.L. Dossetti,
P. P. Joannou, C. Leonardi, P. Prodi, cons. H. Jedin, ed. bilingue, Bologna 1991, pp.
843 849.
194 IL CONCILIO ADULTO

commentare gli avvenimenti recenti e soprattutto la congregazione gene-


rale appena conclusa 194 • Lo schema, approvato nel suo insieme il 27 no-
vembre, veniva allora rinviato alla commissione competente per operare
la riduzione richiesta 195 .
Nel corso dell'intersessione, la sottocommissione De scriptù proelo
edendis et de spectaculis moderandis aveva condensato e migliorato il te-
sto, ma senza cambiarne la sostanza, come insisterà il relatore il 14 no-
vembre 1963 196• Il De instrumentis emendato e la sua relatio vengono di-
stribuiti 1'11 novembre nell'assemblea conciliare, che, quel giorno, pro-
segue l'esame del capitolo II del De episcopis sui vescovi coadiutori e
ausiliari. Il fascicolo racchiude in una prima parte il nuovo schema e in

194 Cfr. SIV 2, pp. 591-605 (in particolare p. 600, n. 116); J. GROOTAERS, L'infor-
mation religieuse au début du concile: instances officielles et réseaux informels, in Vatican
II commence, pp. 211 234 (in particolare pp. 218-221).
195 Lo schema del 1962 era stato redatto, nel corso de1la fase preparatoria, dal «se-
gretariato della stampa e dello spettacolo» sotto la direzione di M. O'Connor, che a par-
tire dal 1948 era divenuto presidente deJla commissione pontificia per il cinema, la radio
e la televisione; A. Galletto era segretario e membro del segretariato, cfr. Annuario Pon
ti/icio 1949, p. 827 e Annuario Pontificio 1961, pp. 1013 1014 e 1125 1126. Al momento
del concilio, il segretariato era in qualche modo stato assorbito dalla commissione per
l'apostolato dei laici («de fidelium apostolatu; de scriptis proelo edendis et de spectaculis
moderandù») e, sotto l'autorità del card. Cento, era divenuta una sottocommissione con
O'Connor come proprio presidente (ugualmente vicepresidente della commissione nel
suo insieme con il card. Silva Henriquéz) e segretario Galletto (ufficialmente anche se-
gretario della commissione intera con A. Glorieux), cfr. Commissioni conciliari, a cura
della segreteria generale del concilio, Tipografia Poliglotta Vaticana, 30 novembre 1962,
pp. 53 55; cfr. INDELICATO, Difendere la dottrina, cit., pp. 208-213.
l96 Durante il secondo periodo, la composizione della commissione nel suo insieme
è la seguente: card. F. Cento (curia), presidente; card. R. Silva Henriquez (Santiago,
Cile) e mons. O'Connor (are. tit. di Laodicea di Siria, curia) vicepresidenti; membri i
vescovi P. Yii Pin (Nanchino, Cina), A. Samorè (are. tit. di Tirnovo, Italia), E. Colli
(Parma, Italia), M.I. Castellano (Siena, Italia), W. Cousins (Milwaukee, U.S.A.), T. Mor-
ris (Cashel at Emly, Irlanda), B. Kominek (are. tit. di Eucaita, Polonia), R. Stourm
(Sens, Francia, relatore del De instrumentis), M. Larrain Errazuriz (Talea, Cile), E. Néc
sey (ves. tit. di Velicia, amm. ap. di Nitra, Cecoslovacchia), J. Blomjous (Mwanza, Tan-
ganica), J. Petit (Menevia, G. Bretagna), A. Herrera y Oria (Malaga, Spagna), E. Bed
norz (ves. tit. di Bulla Regia, coad. c.d.s. di Katowice, Polonia), F. Hengsbach (Essen,
Germania), J. Granier Gutierrez (ves. tit. di Pionia, aus. di La Paz, Bolivia), E. De
Araujo Sales (ves. tit. di Tibica, amm. ap. «sede piena» di Natal, Brasile), J. Ménager
(Meaux, Francia), S. Valloppilly (Te1licherry, India), S. Laszl6 (Eisenstadt, Austria), G.
De Vet (Breda, Olanda), E. Guano (Livorno, Italia) e L. Civardi (ves. tit. di Tespia, Ita
lia); mons. Glorieux e A. Ga1letto, segretari; P. Dalos, oratoriano, minutante. Cfr. Com-
missioni conciliari, a cura de1la segreteria generale del concilio, Tipografia Poliglotta Va
ticana, novembre 19632, pp. 77-79.
VESCOVI E DIOCESI (5-15 NOVEMBRE 1963) 195

appendice il vecchio 197 • Su richiesta dei moderatori, il voto si svolgerà il


giovedì successivo in due tempi: un primo voto sul preambolo e il capi-
tolo I, un secondo sul capitolo II; si voterà attraverso le formule placet,
non placet e placet iuxta modum 198 • Lo schema contractum, dopo un bre-
ve proemium (nn. 1-2) sul senso dell'originale espressione «instrumenta
communicationis socialis» e sulla finalità «pastorale» del decreto, si divi-
de in due capitoli. Il capitolo I formula la dottrina della chiesa (nn. 3-
12) su numerosi punti: responsabilità ecclesiale, salvaguardia della legge
morale, diritto all'informazione, relazione tra arte e morale, opinione
pubblica, rispettivi doveri dei destinatari o utenti (receptores ), dei giova-
ni e dei genitori, degli operatori (effectores) e degli autori, infine dell'au-
torità civile. Il capitolo II (nn. 13-22) espone nei particolari l'azione pa-
storale della chiesa: responsabilità dei pastori e dei fedeli, iniziative
dei cattolici, formazione degli «operatori», degli autori e dei «destinata-
ri», sostegno tecnico ed economico accordato ai media, giornata annuale
e mondiale, ufficio speciale della S. Sede, competenze episcopali, uffici
nazionali e associazioni internazionali. La conclusione evoca la futura
istruzione pastorale ed esorta tutti gli uomini di buona volontà a un uso
benefico dei mezzi di comunicazione sociale.
Giovedì 14 novembre, all'inizio della LXVIII congregazione generale
dedicata agli ultimi interventi sulle conferenze episcopali, avrà luogo il
voto, senza un nuovo dibattito, immediatamente dopo la relazione di
Stourm 199 • Questi ricorda le tre richieste votate dai padri nel periodo
precedente in vista di una reimpostazione del De instrumentis; stima che
il testo attuale vi risponda pienamente. In primo luogo il nuovo impasto
è stato confezionato (conflatur) quasi interamente a partire dagli elemen-
ti sostanziali dello schema precedente. In secondo luogo, lo schema rivi-
sto è molto più breve (9 pagine contro una quarantina, 24 articoli con-
tro 114 ); la disposizione della materia è semplificata e ripartita soltanto
in due capitoli; data la sua brevità il testo sarà ormai chiamato «decre-
to» invece che «costituzione». In terzo luogo, il relatore precisa in che
modo la commissione ha proceduto per esaminare con cura le osserva-

197 Cfr. Schema emendatum decreti De instrumentis communicationis socialis, Typis


Polyglottis Vaticanis 1963, pp. 58 (nuovo schema: pp. 5 13; vecchio: pp. 19 58); AS II/
5, pp. 181 190. Sul De instrumentis nel corso del secondo periodo, cfr. l'opera presso-
ché esaustiva di E. BARAGLI, V Inter Mirifica. Introduzione, Storia, Discussione, Commen
to, Documentazione (Collana Magisterium, 2), Roma 1969, pp. 141 168.
198 Cfr. AS IV4, p. 707.
199 Cfr. Relatio generalis de iis quae a commissione conciliari De /idelium apostolatuj
De scn"ptis prelo edendis et de spectaculis moderandi's peracta sunt ad textum decreti emen-
dandum, Typis Polyglottis Vaticanis 1963, pp. 5; AS II/5, pp. 190-192.
196 IL CONCILIO ADULTO

zioni dei padri. Molti degli 82 rilievi presentati riguardano la materia


rinviata a un'istruzione post-conciliare. Quelli che riguardano il testo ab-
breviato vi sono indicati in lettere maiuscole. Le aggiunte più importanti
sono state le seguenti: a) viene dedicato a tre riprese maggior spazio ai
laici (nn. 3, 13 e 19); b) vengono messi in luce i pericoli della stampa e
degli spettacoli ai quali i giovani sono esposti (n. 10 e n. 12 sui rispettivi
doveri di vigilanza dei genitori e dell'autorità civile); c) i cattolici sono
esortati a leggere e a diffondere la stampa cattolica (n. 14); d) viene fat-
ta un'allusione al teatro (n. 14); e) i miglioramenti formali sono segnalati
in corsivo; /) non è stato possibile inserire nello schema rivisto alcune
osservazioni che non lo riguardavano direttamente. Il testo emendato,
conclude l'arcivescovo di Sens, viene proposto all'assemblea con un du-
plice scopo: a) stabilire - per la prima volta nel contesto di un «concilio
ecumenico» - la dottrina della chiesa su alcune questioni «della massima
importanza» (maximae gravitatis) per gli uomini d'oggi, come la «prote-
zione e la preservazione» (praesidium et tutela) della legge morale, il di-
ritto all'informazione, l'opinione pubblica, la formazione delle coscienze;
b) mettere in luce l'importanza dei mezzi di comunicazione sociale per
l'azione pastorale della chiesa, per una diffusione più idonea del messag-
gio evangelico presso tutti gli uomini di buona volontà e l'instaurazione
del regno di Dio nel mondo intero.
Gli scrutini, separati da quattro interventi sul De episcopis, vertono
in successione su ciascuna delle due sezioni del documento, dopo una
lettura parziale di queste da parte del segretario generale2° 0. Il risultato
viene comunicato dallo stesso a fine seduta, mentre nel frattempo, i pa-
dri hanno accettato di porre fine all'esame del capitolo III dello schema
sui vescovi e hanno avviato quello del capitolo IV. Il Proemium e il ca-
pitolo I del De instrumentù communicationis socidis ottiene 1.832 placet,
92 non placet, 243 placet iuxta modum e 1 suffragio nullo su 2.126 vo-
tanti; il capitolo II, 1.893 placet, 103 non placet, 125 placet iuxta modum
e 5 suffragi nulli su 2.126 votanti. Le due parti del decreto sono quindi
largamente approvate. Tuttavia, in virtù dell'articolo 61 § 7 del regola-
mento201, i moderatori decidono di effettuare in un giorno da designare
della settimana successiva un nuovo voto sull'intero schema da esprime-
re esclusivamente con placet o non placet.
Un commentatore dell'epoca, R. Laurentin, offre la seguente inter-
pretazione della decisione dei moderatori. Secondo le sue informazioni,

200 Cfr. AS 11/5, pp. 192 e 198. '


201 «In alcuni casi particolari, il moderatore può chiedere un nuovo voto sull interc
1

schema; in tal caso i padri esprimono il loro giudizio mediante una scheda (schedula)
utilizzando la formula placet o non placet».
VESCOVI E DIOCESI (5-15 NOVEMBRE 1963) 197

alla vigilia dello scrutinio alcuni lettori dello schema si erano inquietati,
constatando che il testo ridotto aveva conservato i difetti del preceden-
te: banalità, moralismo, ruolo insignificante attribuito ai laici ...202 Malgra-
do il poco tempo, contatti presi nelle alte sfere lasciavano sperare che i
moderatori avrebbero rifiutato il voto per procedere a un esame più ap-
profondito. Essi si erano persino riuniti durante la messa del 14 novem-
bre, all'inizio della congregazione generale. L'iniziativa non aveva avuto
esito positivo, ma almeno avevano ottenuto, nonostante l'approvazione
di gran lunga superiore ai due terzi richiesti, che un nuovo voto, questa
volta sullo schema nel suo complesso, avesse luogo qualche giorno più
tardi, senza che la data venisse precisata203 • Sarà poi definitivamente fis-
sata per il 25 novembre.

202 Aggiungiamo qui la testimonianza convergente di A. Wenger. Egli riporta che


nel corso di una riunione dei vescovi francesi a S. Luigi, svoltasi mercoledì 13 novero
bre, Schmitt, vescovo di Metz, aveva severamente criticato lo schema, rimproverando ad
esso la mancanza di respiro e di prospettiva dottrinale. Stando alle interviste di Noel
Copin, altro giornalista di «La Croix», i rimproveri dei vescovi che si erano pubblica
mente opposti allo schema si muovevano nella stessa direzione: mancanza di prospettiva
teologica (nulla, ad esempio, sulrunità del mondo voluta da Dio e realizzabile grazie alle
tecniche di comunicazione), mancanza di riflessione filosofica (sul senso umano del ri-
corso a queste tecniche, in relazione con l'idea del dialogo), mancanza sociologica di
fondo (nessuna analisi del fenomeno sociale della «propaganda» o delle implicazioni
economiche dei media). Insomma, troppa morale e troppo poco dinamismo. Cfr. WEN
GER, pp. 220-221; «La Croix>» 24 25 novembre 1963.
203 Cfr. LAURENTIN, p. 166. Tutte queste indicazioni corrispondono alla relazione di
A. Prignon contemporanea agli avvenimenti (dattilografata con spazi vuoti): «si era deci-
so ... alla sera della vigilia [il 13 novembre] al telef ano voglio dire, ... alle dieci di sera,
poi mons. Villot ecc. e d'accordo con Dopfner, il cardinale [Suenens] aveva promesso
di impegnarsi a far slittare il voto, tanto lo schema [De instrumentis] è povero. Ma pri-
ma della riunione, sfortunatamente, i moderatori si sono parlati durante la messa ed è
avvenuto che Dopfner vedendo passare il card. Cento e ancora quello o quell'altro, ha
chiesto la loro opinione. E sebbene prima di ciò fossero riusciti ad avere l'accordo di
Agagianian, quando gli altri si sono lamentati, Cento ha cambiato completamente avviso
e alla fine la maggioranza dei cardinali presenti decise di far votare ugualmente lo sche-
ma. Per uscire dalla situazione il cardinale [Suenens] propose allora che si rifacesse la
settimana successiva un secondo voto sull'insieme concedendo la possibilità dei iuxta
modum allo scopo di tentare comunque di correggere la povertà del testo. Sfortunata-
mente al voto non ci sono stati che 80 contrari, se i miei ricordi sono esatti, e circa 200
o 300 iuxta modum, molti [meno] di quelli che ci si poteva aspettare, cosa che non sem-
bra lasciare molto da sperare. Mi sembra proprio che i padri siano affaticati e vogliano
assolutamente ... per ottenere che questo schema sia votato» (F Prignon, n. 512 bis: rela-
zione ds. sugli avvenimenti a partire dal 27 ottobre, pp. 18-19).
198 IL CONCILIO ADULTO

8.2. Un'opposizione crescente, ma tardiva

Frattanto, un esame più attento dello schema conduce un numero di


padri sempre più numeroso a propendere per una revisione. Vengono
quindi prese in considerazione o avviate diverse procedure.
Da una parte si fa notare che per il caso del De i'nstrumentis commu-
nicationis soaalis la discussione per capitolo, prevista dal regolamento, è
stata omessa; sarebbe quindi normale che essa avesse luogo prima della
promulgazione per rimediare alle insufficienze del testo. Dall'altra, poi-
ché il segretariato della stampa e degli spettacoli si è fuso con la com-
missione dell'apostolato dei laici, non è forse vero che l'esame dello
schema spetta all'insieme della commissione, tanto più che essa può or-
mai far ricorso a laici professionisti dei media? Potrebbe essere anche
proposta una «contro-perizia» addirittura prima della presentazione de-
gli ultimi modi all'assemblea; o ancora bisognerebbe indurre la commis-
sione a ritirare spontaneamente il proprio testo per provvedere alla revi-
.
s1one.
Questi diversi tentativi non raggiungeranno lo scopo. Resta soltanto
una soluzione per i sostenitori della revisione: il voto negativo. Ma come
è possibile sconfessare il voto precedente rifiutando da parte di più del
33 % dei padri l'insieme di un testo di cui si è appena accettato ogni ca-
pitolo con quasi il 90% dei consensi? In mancanza di meglio, si delinea
ugualmente una corrente in questa direzione204 •
Già nel pomeriggio del 14 novembre, all'U.S. Bishops' Press Pane!,
alcuni giornalisti, attenti alla loro libertà professionale, si fanno spiegare
l'articolo 12 del nuovo schema sui doveri propri dell'autorità civile rela-
tivi alla difesa e alla protezione di «una vera e giusta libertà d'informa-
zione»; essi temono una censura governativa della stampa basata sul se-
guente passaggio:
I poteri pubblici, che legittimamente si preoccupano del benessere dei cittadini,
hanno jJ dovere, attraverso la promulgazione delle leggi e la loro diligente (sedulam) ap
plicazione, di assicurarsi in modo giusto e vigile che la moralità pubblica e il progresso
sociale non incorrano in gravi pericoli derivanti dal cattivo uso di questi mezzi205.

204 Su queste differenti opinioni, cfr. LAURENTIN, pp. 166-167; nella sua Chronique,
p. 30, (F-Olivier, n. 169), B. Olivier nota ugualmente che «non appena conosciuto da
persone competenti» lo schema è «mal accolto» e che lui stesso ha compiuto il suo do-
vere di esperto «segnalando all'episcopato congolese i gravi rimproveri che sono stati
fatti a questo schema»; aggiunge poi: «molti vescovi esitavano a "sconfessarsi" rifiutan-
dolo ora, ma l'opposizione era tuttavia forte. Si poteva almeno sperare in una solida mi-
noranza di voti ostili».
205 Cfr. WILTGEN, p. 132; per i passaggi tratti dal decreto, cfr. Schema emendatum,
VESCOVI E DIOCESI (5-15 NOVEMBRE 1963) 199

Due giorni più tardi, tre giornalisti cattolici americani decidono di


mettere in guardia i padri conciliari: si tratta di John Cogley, del «Com-
monweal», di Robert Kaiser, del «Time» e di Michael Novak, corrispon-
dente del «Catholic Reporter» di Kansas City, del «Pilot» di Boston,
dell'«Harpers» e del «New Republic». La loro dichiarazione è catalogata
come «degna di considerazione» da quattro periti ben conosciuti: si
tratta dei padri J. Courtney Murray (americano), di J. Daniélou (france-
se), di B. Haring (tedesco) e di J. Mejia (argentino). Essa considera lo
schema non come un aggiornamento, ma al contrario come un passo in-
dietro: approccio «disperatamente astratto» delle relazioni tra chiesa e
cultura moderna, percezione puramente teorica della stampa, insistenza
moralista e trattamento semplicistico del difficile problema dell'arte e
della prudenza (cfr. n. 6), omissione degli obblighi che incombono a co-
loro che sono alla fonte delle informazioni (cfr. n. 11), attribuzione alla
stampa cattolica di un'autorità dottrinale «quasi infallibile» che non a p-
partiene al giornalismo, né serve alla formazione di un'opinione pubbli-
ca nella chiesa (cfr. n. 14), messa in funzione di un'autorità ecclesiastica
intermedia tra il singolo lavoratore delle comunicazioni e il suo datore
di lavoro (cfr. n. 21) e concessione allo Stato di un'autorità sui mass me-
dia, pericolosa per la libertà politica e vietata, in certi paesi come gli
Stati Uniti, dalla legge costituzionale (cfr. nn. 5 e 12). Il decreto, con-
clude la dichiarazione, potrebbe a ragione essere citato un giorno come
un esempio classico dell'incapacità del Vaticano II di affrontare il mon-
do che lo circonda206 •
Secondo un altro testimone, E. Gabel2°7, a causa dello squillo di al-
lerta data, tra gli altri, da questi giornalisti, alcuni padri tentano allora
di reagire. Essi sono tuttavia paralizzati dall'interpretazione restrittiva
del regolamento relativa al voto del 27 novembre 1962, che approvava
lo schema «nella sua sostanza»: questa dev'essere rispettata. Una nota
firmata da 97 padri, quattro dei quali cardinali (Alfrink, Frings, Gerlier,
Lefebvre), giunge il 18 novembre alla decima commissione, presieduta
da Cento. Reclama un nuovo esame del testo, indica cinque ragioni per

cit 9· AS II/5, pp. 185 186. Per altre precisazioni suJl'a~t~~ità d.ell'Ufficio stampa ame
rie~~ a, artire dal 14 novembre, cfr. BARAGLI, L'Inter Miri/t~a, .c1t.? P·. 145 ss. .
206 Per i testi orgjnali inglesi e francesi della mozione d1str1~u1ta J~b\6 nov,emb~fl m
iazza S Pietro cfr BARAGLI, L'Inter Mirifica, cit., pp. 617-619 (e possl 1 e cosi ~eri ca
p · 11 1
]; ffi'dabt'li"ta' di fondo delle informazioni fornite da Rynne, Wtltgen e
re testo a a mano a · d· h X R 1t i
1
Wenger nelle citazioni seguenti); RYNNE, PP· 257 e 260 (~~c~~;~WE~G~R ~ J~~e: 3r
1on è che il peritus F.X. Murphy, c.ss.r.); WILTGEN, pp. , , . b .d '1
. 207 Cfr. Documents conciliaires, vol. 3, pp. 379 380; E. Gabel era stato mem ro e
iegretariato della stampa e degli spettacoli.
200 IL CONCILIO ADULTO

non accettarlo e si conclude in pratica con queste parole: «Se un emen-


damento radicale dello schema non fosse più possibile, sarebbe meglio
allora non avere nessuno schema, piuttosto che avere questo»208 .
L'intervento dei tre giornalisti incita numerosi esperti a intraprende-
re a loro volta una campagna contro il decreto prima del voto definiti-
vo. Un testo latino viene distribuito a loro cura: i padri debbono votare
contro lo schema abbreviato, poiché esso non è più «negli elementi so-
stanziali» lo schema discusso nel corso del primo periodo, ma uno nuo-
vo; per non obbligare i padri a sconfessarsi su di un documento che
hanno già approvato, è preferibile suggerire che i moderatori rivolgano
all'assemblea generale la domanda seguente:
Sta bene ai padri conciliari che la commissione di coordinamento incorpori questo
schema nello schema sull'apostolato dei laici (su basi teologiche) e neJlo schema sulla
chiesa nel mondo moderno (su basi sociologiche) affinché siano meglio messi in eviden-
za il rapporto fra questi due testi e l'intrinseca forza dello schema sui mezzi di comuni-
cazione sociale, che è stato così diligentemente preparato dalla commissione?

Una risposta affermativa equivarrebbe al rifiuto del decreto sulle co-


m unicazioni209 .
Mejia, che ha appoggiato la dichiarazione dei giornalisti americani,
lancia in prima persona un'altra campagna. Indirizza ai padri una circo-
lare in latino stampata e qualificata come «urgente», che prevede anche
un grande spazio bianco per le firme 210• Il testo è questo:
Venerabili padri! Dopo aver riletto prima del voto definitivo lo schema «Sui mezzi
di comunicazione sociale», molti padri reputano che il testo di questo schema non sia
affatto consono a un decreto conciliare. I padri sono pregati di esaminare in coscienza
(«in animo considerare») se non abbiano l'intenzione di votare non placet. In effetti lo
schema non risponde in nessun modo all'attesa dei cristiani, soprattutto degli esperti in
questa materia. Se il decreto venisse promulgato, l'autorità del concilio sarebbe messa in
pericolo 211 .

Una lettera invita i padri che sono d'accordo con l'autore a racco-
gliere il numero più grande possibile di firme e a fargliele pervenire al

208Per il testo originale in latino, datato 17 novembre 1963, e le 97 firme (due del
le quali indecifrabili), cfr. BARAGLI, L'Inter Mirifica, cit., pp. 620 621; sull'affare, cfr. ibi-
dem, p. 135ss.
209 Cfr. WILTGEN, p. 133.
210 Cfr. ibidem.
211 Per il testo originale in latino, cf r. un esemplare della circolare che sarà distri-
buita la mattina del 25 novembre, ugualmente corredata dei nomi di 25 padfi, nel F-
Philips, P.049.14; una riproduzione si trova anche in RYNNE, p. 225. Il finale riprende
pressoché letteralmente l'ultima frase della petizione dei 97, cfr. supra, n. 209.
VESCOVI E DIOCESI (5-15 NOVEMBRE 1963) 201

più tardi per la sera del 24 novembre: Silva Henriquez le consegnerà al


mattino del giorno successivo a Lercaro, che ha promesso di farne un
buon uso. E Wiltgen, dal quale riprendiamo queste precisazioni, com-
menta: «Dopo questa lettera, era evidente che il card. Lercaro, che do-
veva presiedere la seduta, aveva preparato un piano per far fallire l' ac-
cettazione dello schema»212 • Se l'analisi del giornalista verbita è corretta,
si ricongiunge con le interpretazioni di Laurentin e la relazione Prignon
già menzionate213 : tra 1'11 e il 25 novembre, i moderatori, rispondendo a
differenti sollecitazioni, si sarebbero sforzati di differire ovvero di impe-
dire il voto definitivo sullo schema.
Di fronte a tutte queste manovre e a queste critiche, che cosa può
fare la commissione incaricata della rielaborazione del testo? Al massi-
mo emendarlo nella direzione espressa dai modi rimessi il 14 novembre.
Ce ne sono ben 368, ma come dirà Stourm, esponendo il 25 novembre
la sua relatio consegnata all'assemblea il 23, gettano poca luce sulla so-
stanza dei problemi214 .

8.3. Un incidente rivelatore del malcontento

Sono queste le condizioni nelle quali si arriva al lunedì 25 novem-


bre, giorno dello scrutinio finale. Prima della seduta, viene distribuita ai
padri all'esterno dell'aula la petizione di Mejia contro lo schema; su di
essa ci sono i nomi di venticinque padri firmatari, ossia sei arcivescovi,
diciotto vescovi e un superiore generale provenienti da quattordici diffe-
renti paesi, tra i quali spiccano alcuni «tenori» come Schaufele, Volk o
De Smedt215 . Quando il segreteria generale del concilio si accorge della

212 Cfr. WILTGEN, p. 134.


213 Cfr. supra, n. 204.
214 Cfr. AS II/ 6, p. 18.
21 5 Cfr. Nell'ordine del documento (cfr. supra, n. 212): H. Schaufele (Friburgo,
Germania), A. Fernandez [per Fernandes] (are. tit. di Néoptras, India), M. Mihayo (Ta
bora, Tanganica), C. Jurgens (Cuzco, Perù), M. Olçomendy (Malacca Singapore, Male-
sia), A. Van den Hurk (Medan, Indonesia), E. De Smedt (Bruges, Belgio), P. Schoen-
maeckers (ves. aus. di Malines Bruxelles, Belgio) «i soli che si erano trovati al collegio
belga quando vi è stata presentata la mozione da firmare», nota Olivier a proposito dei
due vescovi belgi, cfr. Chronique, p. 30 H. Volk (Mainz, Germania), J.M. Reuss (ves.
aus. di Mainz, Germania), P.J. Schmidt [per Schmitt] (Metz, Francia), M. Pourchet (Sa-
int Flour, Francia), H. Boyle (Johannesbourg, Africa del Sud), A.J.P. Fiirstenberg (Aber-
corn, Rhodesia), J. Corboy (Monze, Rhodesia), F.X. Thomas (Geraldton, Australia), J.
Cullinan [per Cullinane](ves. aus. di Canberra Goulburn, Australia), R. Bogarin (S. Juan
de las Mis., Paraguay), H. Maricevich Fleitas (ves. coad. di Villarica, Paraguay), V.
202 IL CONCILIO ADULTO

distribuzione in corso, tenta lui stesso di interromperla. Non riuscendo-


ci, decide allora di mandare i gendarmi pontifici e si precipita all'inter-
no della basilica e va a lamentarsi presso Tisserant, decano del consiglio
di presidenza216 •
Nel corso della LXXIV congregazione generale, che segue immedia-
tamente l'incidente del sagrato, dopo tre interventi sul De oecumenismo
(cap. I) allora in discussione, il moderatore Lercaro annuncia lo scruti-
nio consacrato allo schema dei mezzi di comunicazione sociale, ma pri-
ma ancora un intervento di Tisserant. In qualità di presidente del conci-
lio, egli deplora «vivamente» (vehementer) «assieme ai moderatori», l'av-
venuta distribuzione, perché turba la libertà e la tranquillità del concilio
e ne è per conseguenza indegna. In precedenza ha ricordato che il testo
conciliare ha già ricevuto più della maggioranza richiesta ed è quindi già
approvato per ciascuno dei suoi capitoli217 • Si passa successivamente alla
relazione di Stourm sull'esame dei modi218 • Se a prima vista questi sem-
brano essere numerosi, la loro convergenza ha permesso di ridurli a un
piccolo numero. Molti di questi modi sembrano piuttosto da inserire
nell'istruzione pastorale post-conciliare. Del poco che resta, la commis-

Zazpe (Rafaela, Argentina), E. Principe (ves. aus. di Santa Fe, Argentina), M. Mendhia-
rat (ves. coad. di Salto, Uruguay), R. Caceres (Melo, Uruguay), L. Baccino (San José de
Mayo, Uruguay), J. Schiitte (sup. gen. s.d.v.).
216 Secondo il racconto di RYNNE, p. 256. Sono invece allusivi LAURENTIN, p. 168,
e WENGER, p. 222. Quanto a WILTGEN, p. 134, apporta alcuni dati supplementari, ma
in parte discordanti con quelli di Rynne e Laurentin. NeJla sua versione è lo stesso
Mejia che si mette sui gradini di S. Pietro con una pila di esemplari a stampa deJla sua
petizione e li distribuisce ai padri che si stanno dirigendo verso la basilica. Un po' più
tardi mons. Reuss lo sostituisce. Quando compare Felici, «col volto in collera», vuole
strappare i fogli dalle mani di Reuss (cfr. anche OLIVIER, Chronique, cit., p. 30); ne se-
gue un parapiglia e l'ausiliare tedesco finisce per cedere. Al contrario secondo Rynne è
nel momento in cui Reuss entra in S. Pietro che Felici tenta di prendere i fogli dalle
mani dei preti che li distribuiscono; l'ausiliare di Magonza protesta allora la giustezza
de1la sua causa. Incapace di mettere fine alla distribuzione, il segretario generale chiama
le guardie svizzere (su queseultimo punto, si veda la breve indicazione di LAURENTIN
che va nella stessa direzione e la Chronique, p. 30 di Olivier). BARAGLI, L'Inter Mirifica,
cit., p. 161 ss., propone un racconto ancora un po' differente (uno dei distributori, aiu-
tato da Nordheus, ausiliare di Paderborn, si trova neJl'atrium della basilica; l'altro è con
Reuss sui gradini di S. Pietro).
21 7 Cfr. AS II/6, p. 17. Alcuni hanno voluto vedere in questo intervento aveva
annotato Olivier nel suo «diario» <<llllO sforzo de1la presidenza per uscire dal suo ruo
lo puramente rappresentativo» (ibidem).
21 8 Cfr. Schema decreti De instrumentis rommunicationis social.is. Modi a Patribus Con
ciliaribus propositi a commissione conciliari de /idelium apostolatu; de scriptis prelo edendis
et de jpectaculis moderandis examinati, Typis Polyglottis Vaticanis 1963, pp. 6 (fascicolo
distribuito il 22 novembre 1963 nel corso della LXXIII c.g.); AS W6, pp. 18 20.
VESCOVI E DIOCESI (5-15 NOVEMBRE 1963) 203

sione ha creduto di poterne conservare soltanto tre, che migliorano lo


schema senza modificarne la sostanza: sopprimono una nota di severità
superflua o mettono meglio in luce il ruolo attribuito «con larghezza»
(late) dallo schema ai laici219 . Il segretario generale ordina due scrutini:
il primo immediato, per approvare o meno l'esame dei modi fatto dalla
commissione; il secondo, più tardi nel corso della stessa seduta, per il
voto finale sull'insieme dello schema. Subito prima di esso, Felici ha se-
gnalato all'assemblea che uno dei padri, il cui nome figurava nel volanti-
no del mattino, si è lamentato con il presidente di non averlo mai firma-
to220; il segretario ha anche comunicato il risultato del primo voto: su
2.132 votanti, 1.788 placet, 331 non placet, 1 placet iuxta modum (nullo)
e 12 voti nulli. Quanto al voto definitivo il risultato sarà 1.598 placet,
503 non placet e 11 voti nulli su 2 .112 votanti Lo schema viene dunque

219 Il relatore sembra così voler difendere il proprio testo contro uno dei rimprove
ri più correnti: il poco spazio lasciato ai laici.
220 È corsa voce che si trattasse di Schaufele (cfr. CAPRILE, III, p. 284; secondo gli
archivi sarebbe Zazpe, cfr. BARAGLI, L'Inter Mirifica, cit., pp. 161-162, n. 45); altri
avrebbero ugualmente firmato pensando che il documento fosse riservato agli organi di-
rigenti del concilio. Secondo i cronisti, i due interventi di Tisserant e Felici hanno get-
tato lo scompiglio tra gli oppositori meno convinti (cfr. LAURENTIN, p. 168, e WENGER,
p. 222). Secondo la tesi del complotto sostenuta da Wiltgen, «questa cattiva pubblicità
ebbe pure il risultato di rendere impossibile la tattica destinata a impedire il voto deJlo
schema>> (p. 134). In senso opposto, secondo Rynne, «per alcuni l'intero incidente fu
soltanto un altro segno del fatto che la minoranza era preparata a violare la libertà
d'azione del concilio quando ciò potesse giovare ai loro propositi» (p. 257). Questa di-
versità di interpretazioni la dice lunga tanto sulle posizioni personali del commentatore
quanto sull'incertezza dell'avvenimento e l'approssimazione delle fonti uti1izzate. Biso-
gna tuttavia aggiungere che il rimprovero di Tisserant, formulato a suo nome e a nome
dei moderatori (l'ha fatto con il loro pieno appoggio? può darsi, cfr. infra), poteva
come minimo apparire parziale e fu del resto accolto, come nota Rynne (p. 256), con
«rilevanti mormorazioni» (considerable murmuring), da parte di un gran numero di pa
dri; questi potevano in effetti chiedersi perché niente di simile era stato fatto o detto, il
29 ottobre scorso, nel corso del voto sull'inserzione del De beata nel De ecclesia quando
il fascicolo del p. Balié era stato distribuito «furtivamente» (surreptitiously) tra i padri,
o quando il testo di D. Staffa contro la collegialità era stato diffuso nell'aula conciliare
(ibidem; dr. LAURENTIN, p. 168: egli parla di due fogli contro l'inserzione del De beata,
distribuiti in tutta libertà aJl'entrata di S. Pietro; si veda la stessa reazione di Schoenma-
eckers poco dopo il voto: «voto contro e continuerò a votare contro fino alla fine.
Questa manovra di Tisserant è inqualificabile. Non è stato fatto nessun appunto in oc-
casione della distribuzione dei volantini riguardo al De beata e in un'altra occasione
sono stati anche distribuiti in aula dei volantini di mons. Staffa», cfr. Olivier, ibidem).
L'argomento del cardinale presidente secondo il quale lo schema sulle comunicazioni
sociali era stato già approvato in ciascuno dei capitoli costitutivi, come si vedrà, non
aveva affatto convinto.
204 IL CONCILIO ADULTO

approvato 221 • Ma l'annuncio di questo risultato definitivo, osserva Lau-


rentin, «suscita soltanto alcuni applausi furtivi, a scoppio ritardato, che
r
contrastano con ovazione calorosa riservata tre giorni prima in occasio-
ne qel voto definitivo sullo schema liturgico»222 •
E vero che il numero dei sostenitori del non placet non ha smesso di
crescere nel corso di questo secondo periodo, passando da 92 o 103
unità per ciascuna delle parti il 14 novembre a 503 per l'insieme il 25
novembre223 • Indubbiamente la prima volta era ancora possibile espri-
mere un voto iuxta modum (rispettivamente 243 e 125), ma ciò non può
essere considerato come un dato significativo se ci si riferisce all'esame
di quei modi, esame che tuttavia - ricordiamolo - è stato sanzionato ne-
gativamente da 331 padri, non poca cosa per un voto tendenzialmente
di natura formale. Come spiegare questa rapida retrocessione?
I padri che hanno rifiutato lo schema lo hanno fatto sicuramente per
motivi diversi: una minoranza perché non lo trovava sufficientemente se-
vero sul piano morale, una maggioranza perché lo trovava troppo de bo-
le. Mano a mano che ci si inoltrava nello studio del testo e malgrado il
lasso di tempo assai breve di una decina di giorni, le critiche non hanno
cessato di aggravarsi. Alcuni padri si erano realmente resi conto che la
problematica dei media veniva completamente elusa: introdotto come un
interludio al primo periodo, lo schema doveva essere votato a tappe for-
zate, senza un nuovo dibattito, affinché questo secondo periodo termi-
nasse almeno con la promulgazione di un secondo decreto insieme alla
costituzione liturgica224 • Se, come è stato indicato, questi padri sono stati
pungolati dalle critich~ dei giornalisti a proposito dello schema contrac-
tum, i rapporti tra il concilio e la stampa, in realtà già ben prima di
questo mese di novembre, erano notevolmente migliorati: nel corso del-
l'intersessione era nato un coordinamento dei differenti centri stampa,

221 Cfr. AS II/6, pp. 20, 26, 35, 36 37 e 49.


LAURENTIN, p. 168. «Pochi scarni applausi salutano l'awenimento», ha scritto
2 22
anche Dupont nel suo diario («Roma-novembre 63», p. 164: F Dupont, 1728), subito
dopo aver citato la «predizione» del peritus belga B. Rigaux: «questo voto costerà centi
naia di milioni alla chiesa, poiché incontrerà l'opposizione di tutti i giornalisti». Più si
leggono le cronache e soprattutto i diari, più si resta colpiti dal discredito generale che
il decreto otteneva presso gli esperti della maggioranza.
223 RYNNE (p. 254 e 256) riporta una convinzione allora assai diffusa secondo la
quale il voto negativo sarebbe stato anche più rilevante, se non fosse stato che «numero-
si vescovi non si erano neppure preoccupati di leggere il testo né tanto meno di pren
derlo seriamente in considerazione»
224 Cfr. Documents conciliaries, voi. 3, pp. 378-379 (E. Gabel)~ si veda supra, p.
183, la riunione della commissione di coordinamento del 15 novembre 1963.
VESCOVI E DIOCESI (5-15 NOVEMBRE 1963) 205

capace di coprire l'avvenimento ecclesiale; a partire dall'inizio del secon-


do periodo, un resoconto abbastanza preciso di ciascuna congregazione
generale aveva cominciato ad essere distribuito ai giornalisti dall'ufficio
stampa conciliare (sotto la recentissima responsabilità del Comitato per
la stampa, presieduto da M. O'Connor ); inoltre gli stessi padri impara-
vano ad affrontare e ad utilizzare i media in interviste o conferenze
stampa225 . I dati del problema erano quindi alquanto cambiati e diversi
padri prendevano sempre più consapevolezza dello scarto creatosi ri-
spetto a un decreto che essi stessi avevano approvato quoad substantiam
l'anno precedente.
Il nuovo testo, appena modificato tra il 14 e il 25 novembre, stava
tuttavia per essere definitivamente accettato. Il voto solenne e la pro-
mulgazione da parte del papa erano programmati per il 4 dicembre, nel
corso della sessione pubblica di chiusura del secondo periodo. Una par-
te dell'opposizione non avrebbe ceduto le armi neppure in quel momen-
to: 164 avrebbero votato non placet contro 1.960 placei2 26• Il fatto è che
alcuni, davanti al numero di voti negativi del 25 novembre, si erano sen-
titi confortati nelle loro speranze e si erano perfino chiesti se il papa
non fosse sul punto di decidere di rinviare lo schema alla commissione,
anche a rischio di scontentare la maggioranza che l'aveva accolto favore-
volmente227. Inoltre il 29 novembre, 18 dei 25 padri il cui nome figurava
sulla «circolare Mejia» indirizzano una lettera di protesta a Tisserant.
Eccone l'essenziale secondo Wiltgen, che riporta il testo stesso della let-
tera e quello della risposta di Tisserant 228 . La distribuzione della circola-
re nella piazza di S. Pietro, scrivono, è stata qualificata come indegna
del concilio, ma nessuna legge positiva del concilio la vieta; «di fatto,
poco tempo prima, una distribuzione simile ha avuto luogo senza che il
presidente del santo concilio giudicasse utile fare riferimento ad essa».

225 Cfr. supra, n. 195; si veda anche R. LAURENTIN, Vin/ormation au Conci/e, in Le


deuxième conci/e du Vatican (1959 1965), Roma 1989, pp. 359-378.
226 Cfr. AS II/6, p. 409.
227 Cfr. WENGER, pp. 222-223; CAPRILE, III, p. 284 (dichiarazioni di R. Trisco, B.
Haring e G. Higgins al centro stampa dei vescovi americani, il 25 novembre); BARAGLI,
L'Inter Mirifica, cit., p. 164 ss. Queste speranze saranno tuttavia deluse a partire dal 29
novembre, all'inizio della LXXVIII c.g., quando il segretario del concilio annuncerà il
voto solenne e la promulgazione del decreto («soltanto disciplinare») da parte del papa
nel corso della seduta di chiusura del 4 dicembre, cfr. AS II/6, p. 305. Secondo un'altra
interpretazione invece il papa avrebbe lasciato correre le cose, poiché «potrebbe essere
una buona soluzione per sbarazzarsi del provvedimento e rimuoverlo dall'agenda del
concilio, permettendo agli eventi e all'esperienza di determinare se sarebbe stato energi-
camente applicato o meno» (dr. RYNNE, p. 260).
228 Cfr. WILTGEN, pp. 134-135; RYNNE, pp. 256-257.
206 IL CONCILIO ADULTO

La dove regna la libertà civile, non è vietato attirare l'attenzione degli


elettori sull'importanza del loro voto; questa iniziativa è stata presa in
assenza d'altri mezzi. Così i firmatari della lettera giudicano offensiva la
dichiarazione del presidente del concilio e sperano in una «revisione».
Nella risposta personale a ciascun firmatario, il cardinale-presidente ri-
prende l'argomento dello «schema debitamente preparato, debitamente
presentato, debitamente discusso e debitamente approvato» per giudica-
re inammissibile un'azione contro di esso nelle vicinanze dell'aula conci-
liare, pochi momenti prima del voto. Ed insiste aggiungendo: «sono gli
stessi eminentissimi moderatori che mi hanno pregato di deplo'~are que-
sta vicenda, in seguito alle rimostranze dei padri conciliari». E quindi
difficile dipanare la matassa di questo incidente. I moderatori, almeno «i
tre», .. appoggiavano discretamente la minoranza opposta al De instrumen-
tis? E più che verosimile ma, se la citazione di Wiltgen è affidabile, po-
tevano nello stesso tempo, in veste di guardiani del buon ordine del
concilio, tollerare azioni intempestive, soprattutto incalzati da certe la-
mentele? Sarebbe evidentemente del massimo interesse conoscere l' origi-
ne di queste rimostranze, poiché è possibile che le pressioni siano venu-
te soprattutto dalla parte conservatrice dell'assemblea e degli organi di-
rettivi, che non voleva un rifacimento del testo sia per motivi ideologici
sia anche per ragioni di efficacia conciliare in vista della fine del perio-
do ... e del concilio I' anno successivo229 • Ma, in quest'ottica, l'efficacia ha
anche un rilievo ideologico: il contenuto dei testi preparatori deve essere
modificato il meno possibile.
A dispetto di tutte queste peripezie e di tutti i difetti del decreto
conciliare sui mezzi di comunicazione sociale, bisogna anche sottolinear-
ne i meriti e la novità230 • Anche se non corrisponde effettivamente al-
1'ambizione enunciata, il testo, secondo la relatio del 14 novembre ripor-
tata più sopra, ha una duplice elevata finalità: formulare, per la prima
volta in un concilio, la dottrina ufficiale della chiesa su questioni essen-
ziali per gli uomini contemporanei (morale e opinione pubblica, infor-
mazione, formazione delle coscienze)231 ; in secondo luogo individuare

229 Del resto sembra proprio che l'insieme dei padri fosse affaticato e volesse chiu-
dere, cfr. la relazione Prignon (supra, n. 204).
2 3 0 Si veda la conferenza tenuta il 29 novembre a Roma da J. Bernard, presidente
dell'O.C.I.C., davanti a numerosi padri conciliari (se ne trova un'eco in «OssRom» del 2 e
3 dicembre 1963, p. 7, coli. 1-2): essa voleva rappresentare una risposta alle critiche de
«La Croix» del 24-25 novembre 1963, per es., sulla mancanza di prospettiva teologica, di
riflessione filosofica e di base sociologica dello schema (cfr. CAPRILE, III, p. 283, n. 4).
231 Giustificando il diritto all'informazione o definendo il ruolo dello stato di fronte
alla libertà di stampa, la chiesa manifesta una notevole evoluzione in rapporto al proprio
VESCOVI E DIOCESI (5-15 NOVEMBRE 1963) 207

meglio l'interesse dei «media» per la pastorale e l'instaurazione universa-


le del regno di Dio. In ogni caso nel pensiero del relatore il progetto
era quindi vasto e si collocava nel cuore stesso del cristianesimo. L'in-
troduzione del 25 novembre, presentata sopra, indicava inoltre «lo spiri-
to positivo e costruttivo» che aveva presieduto la redazione dello sche-
ma232. Si può aggiungere la trovata della fortunata espressione «strumen-
ti di comunicazione sociale». Significava affermare l'attualità e la neces-
sità «apostolica» di un tale documento conciliare, o, più esattamente,
ciò che avrebbe potuto essere. Ma erano in preparazione altri schemi,
che avrebbero potuto forse riprendere la questione «culturale» su basi
più larghe e più fondamentali.

atteggiamento nel corso del XIX secolo e anche neJla prima metà del XX. Inoltre, per la
prima volta in maniera così solenne, essa manifesta il proprio interesse e la propria at
tenzione pastorale per questo vero e proprio fenomeno di cultura che le nuove possibili
tà di comunicare su scala mondiale rappresentano. Un'analisi simile si trova nella «retro-
spettiva» manoscritta del secondo periodo di J. Dupont, p. 8 verso: «Il decreto almeno
attira l'attenzione su questo settore, troppo trascurato fino a questo momento dai pasto-
ri. Sotto questo profilo può essere utile come punto di partenza, come prima testimo-
nianza di un'attenzione dei vescovi, sebbene ancora piuttosto male informati» (F Du
pont, 1759).
232 Cfr. Relatio de modir, p. 5; AS II/6, p. 19.
Capitolo terzo

Verso la riforma liturgica

Lo schema De sacra liturgia era stato discusso nel primo periodo


conciliare. Le proposte di emendamento presentate dai padri conciliari
negli interventi fatti oralmente o per iscritto furono esaminate dalla
commissione liturgica conciliare e dalle sue sottocommissioni. Gli emen-
damenti ritenuti necessari dovevano essere sottoposti al voto dei padri.
Nel primo periodo si era arrivati a votare solo gli emendamenti relativi
al proemio e al I capitolo dello schema, diviso in quattro parti1.
Gli emendamenti ai capitoli dal II all'VIII dello schema originario
dovevano essere sottoposti al giudizio dei padri nel secondo periodo2 • In
vista delle votazioni, le sottocommissioni I, II e dalla VII alla XIII della
commissione liturgica avevano lavorato sino al maggio 1963 per esami-
nare le proposte di emendamento dei padri e inserirle, per quanto pos-
sibile e necessario, nel testo dello schema. Quest'ultimo fu presentato a
tutta la commissione liturgica, riunitasi dal 23 aprile al 10 maggio 1963.
Durante tale incontro quelli che sino ad allora erano stati i capitoli VI
(De sacra suppellectile) e VII (De arte sacra) furono unificati in un unico
capitolo VII (De arte sacra deque sacra suppellectile), mentre il vecchio
capitolo VII divenne il VI (De musica sacra). Da allora lo schema fu co-
stituito da 7 capitoli. Alla fine si decise di sottoporre il testo emendato

1 Le votazioni si erano tenute nella XXI c.g. del 17 novembre 1962; nella XXX c.g.
del 30 novembre 1962; nella XXXII c.g. del 3 dicembre 1962; nella XXXIV c.g. del 5
dicembre 1962; nella XXXV c.g. del 6 dicembre 1962. Alla fine, nella XXXVI c.g. del 7
dicembre 1962, si votò sul proemio e su tutto il I capitolo: dr. AS I/3, pp. 114 121, p.
157 s. e pp. 693-707; AS I/4, pp. 166 172, p. 213, pp. 266-290, pp. 315 318, pp. 319
320, pp. 360 361, pp. 322-327 e p. 361. Per l'ultima votazione dr. AS I/4, pp. 361-362
e p. 384; risultati: 1.922 placet, 11 non placet, 180 placet iuxta modum, 5 nulli. Su tutto
questo cfr. la dettagliata descrizione in S/V 2, pp. 129-192, spec. pp. 184 192.
2 Cfr. la Ratio agendi in commissione conciliari De sacra liturgia congregationibus ge-
neralibus conctlii oecumenici vacantibus~ id est a die 8 dee. 1962 ad diem 8 septembris
1963, a firma del segretario della commissione liturgica, in Acta et Documenta ad expen
dendas animadversiones Patrum circa caput I schematiS constitutionis de sacra liturgia,
1962, p. 118 s.
210 IL CONCILIO ADULTO

ad un nuovo esame dal punto di vista della lingua latina3 • Tale lavoro fu
affidato ad un'apposita commissione di esperti, composta da A. Dirks,
C. Egger, N. Ferrara, A.G. Martimort e E. Mura, riunitasi dal 2 al 4 lu-
glio 1963 sotto la direzione del vescovo di Biella, C. Rossi.
Il 18 e il 19 luglio 1963 si tenne un incontro dei membri della com-
missione liturgica presenti a Roma durante il quale furono approvati tutti
gli emendamenti stilistici. Vi presero parte i cardinali A. Larraona, G.
Lercaro e P. Giobbe, i vescovi E. Dante e C. D'Amato e il superiore ge-
nerale dei claretiani P. Schweiger4 • Nella stessa riunione poi si individua-
rono le questioni da sottoporre alla discussione in aula. Vi furono invitati
anche i presidenti delle sottocommissioni teologica e giuridica, R. Gagne-
bet e E. Bonet, che presentarono le loro relazioni sui capitoli dal II 'al-
l'VIIP. Inoltre si diede lettura dei capitoli II e III emendati dai latinisti,
mentre si rinunciò a quelle dei restanti capitoli per il grande caldo del-
l'estate romana. Il 1° agosto fu consegnato «tutto» in tipografia. Si tratta-
va probabilmente dei restanti fascicoli - dal VI al X - delle Emendationes
a patribus conciliaribus postulatae} a commùsione conciliari De sacra lt"tur-
gia examinatae et propositae, relativi ai capitoli dal II all'VIII dello sche-
ma originario6 • Ma per far conoscere gli emendamenti dei latinisti a tutti i
padri membri della commissione liturgica, il presidente della commissio-
ne, Larraona, nel luglio del 1963 convocò nuovamente7 questi ultimi ad

3 Cfr. la Relatio generalis del 3 ottobre 1963, presentata da G. Lercaro in aula con
ciliare 1'8 ottobre 1963: AS II/2, pp. 276-279. L'll maggio 1963 il vescovo di Meissen,
O. Spiilbeck, membro della commissione 1iturgica, poteva raccontare al card. Dopfner:
«Ieri abbiamo terminato il nostro lavoro nella commissione liturgica con una votazione
il cui risultato è stato molto positivo. Anche se le nostre richieste non sono passate tut-
te, si è aperta o meglio, è stata lasciata aperta la porta per tutto. Quasi non si pote
va desiderare di più se in autunno si vogliono avere i 2/3 dei voti dell'aula. Si è fatto un
buon lavoro di gruppo, anche se spesso si è lottato duramente. Il cardinale Larraona era
un presidente molto intel1igente e assennato. Tutti noi lo abbiamo ringraziato con cuore
sincero. Diverse cose non sarebbero riuscite senza la sua franchezza. Ora molto dipende
dalle competenze e dalle funzioni delle conferenze episcopali locali, che nel nostro pro-
getto svolgono un ruolo decisivo»: F-Dopfner, Akt 1 Conc VI SQ Nr. 1.
4 Evidentemente non si trattava semplicemente di «emendamenti stilistici»: cfr. lo
svolgimento ·delle riunioni della commissione liturgica del 28 e 30 settembre 1963 per il
quale v. in/ra.
5 Cfr. Relationes Subcommissionum theologicae et iuridicae circa capita II VIII sche-
matis constitutionir De sacra liturgia, Roma 1963.
6 Cfr. il verbale redatto da Antone1li, in AV2.
7 Numero di protoco1lo della lettera di convocazione: 225/CL/63. Si trattava della
trentottesima riunione della commissione, che si tenne a S. Marta, nella mattina del 27
settembre 1963.
VERSO LA RIFORMA LITURGICA 211

un incontro per venerdì 27 settembre 1963, poi prolungatosi sino al 30


settembre 1963 8 .
Le scarse annotazioni del verbale ufficiale di entrambi gli incontri
consentono di cogliere pochissimo del contenuto delle discussioni. Vi si
dice che furono distribuiti tre fogli con le proposte del vescovo P. Halli-
nan e un foglio di Gagnebet, e che poi J. Wagner portò con sé un fo-
glio con delle osservazioni9. Sono invece gli appunti personali di Wa-
gner e J.A. Jungmann a chiarire quello di cui si parlò principalmente in
questi incontri. Il giorno del suo arrivo a Roma, il 26 settembre, Wa-
gner, incontratosi con F. Antonelli alla congregazione dei riti, fu invitato
da questi alla riunione della commissione liturgica del giorno successivo.
Inizialmente a tale riunione dovevano partecipare i soli vescovi. Ma lo
stesso giorno Larraona comunicò a Martimort che dovevano esserci an-
che i periti. In un incontro serale di Wagner con Martimort e F. McMa-
nus si cercò di definire un piano sul modo di procedere, ma non si riu-
scì a concludere molto 10 • Prima di partire per Roma, Wagner e B. Fi-
scher si erano già incontrati a Treviri con il vescovo della diocesi cana-
dese di Nicolet, A. Martin. Nel colloquio con questi, divenne chiaro che
Larraona aveva operato una serie di emendamenti, in particolare nel ca-
pitolo sui sacramenti, e che lo aveva fatto in seguito all'incontro del 18
e 19 luglio 1963 dei membri della commissione che si trovavano a
Roma 11 • Più precisamente si volevano limitare nuovamente le facoltà dei
vescovi relative al rituale: nella formula «con atti approvati o confermati
dalla sede apostolica» dell'articolo 63.b (ex 47) la semplice esplicativa
«O» (seu) con «ovvero» (ve!): «con atti confermati oppure approvati dal-
la sede apostolica». ·
Base della discussione dell'incontro del 27 settembre furono gli
stampati con le emendationes. Si discussero i capitoli II e III, e in parti-
colare la modifica del testo del secondo paragrafo dell'articolo relativo
all'uso del volgare nell'amministrazione dei sacramenti (il 63, ex 47).
Cinque membri potevano proporre altre emendationes. Il relatore sul
terzo capitolo, P. Hallinan, vescovo di Atlanta, aveva preparato per la
riunione un testo che doveva servire ad una nuova revoca della modifica

8 Secondo i verbali questo trentanovesimo incontro si svolse nel pomeriggio del 30


settembre 1963. Con ciò contrasta la dichiarazione di Lercaro di cui alla nota 3 (p. 279),
secondo la quale vi fu una riunione anche il 28 settembre.
9 Cfr. il verbale redatto da Antonelli, in AV2.
IO Cfr. gli appunti di J. Wagner sotto la data del 26 settembre 1963: F Wagner,
T reviri, vol. 3 9.
11 Di questa riunione, secondo gli appunti di J. Wagner, il cardinale riferì il 27 set-
tembre 1963.
212 IL CONCILIO ADULTO

dell'articolo 63.b e della maggior parte delle modifiche allo schema12 , e


su cui ottenne l'appoggio di Martimort e di Wagner 13 . Il 30 settembre
Hallinan riuscì, almeno nel caso dell'articolo 63 .b, ad ottenere il ritorno
alla formula «con atti revisionati dalla sede apostolica».
Il giorno precedente, domenica 29 settembre, Paolo VI, nel discorso
di apertura del secondo periodo, aveva indicato nella liturgia uno dei
campi di lavoro del concilio, cui nel primo periodo erano state dedicate
ampie discussioni e che nel secondo si sperava di portare a felice con-
clusione14.

1. Le votazioni nel secondo periodo

All'inizio del secondo periodo il proemio e il capitolo I (Principi ge-


nerali per la riforma e la promozione della sacra liturgia) dello schema li-
turgico - che doveva divenire Constitutio de sacra liturgia - erano nella
loro stesura sostanzialmente definitiva. I modi ad essi relativi presentati
dai padri non richiedevano più interventi sul contenuto. Per il concilio
questo significava aver fatto il passo più importante in direzione del fu-
turo lavoro liturgico sul piano sia scientifico che pastorale. Si era pro-
nunciato in modo decisivo su Natura della sacra liturgia e sua importanza
nella vita della chiesa (artt. 5-13), aveva definito i criteri di massima rela-
tivi alla Promozione dell'educazione liturgica e della partecipazione attiva
(artt. 14-20), indicato la strada riguardante La riforma della sacra liturgia
(artt. 21-40), formulando le Norme generali (artt. 22-25), le Norme deri-
vanti dalla natura gerarchica e comunitaria della liturgia (artt. 26-32), le
Norme derivanti dalla natura didattica e pastorale della liturgia (artt. 33-
3 6) e le Norme per un adattamento alle varie tradizioni (artt. 3 7-40),
come pure era stato di incoraggiamento alla Vita liturgica nella diocesi e
nella parrocchia (artt. 41 e 42) e all'Incremento deltazione pastorale litur-
gica (artt. 43-46). Questi principi generali dovevano trovare determina-
zioni più concrete nei successivi sette capitoli dello schema. Anch'essi

12 Cfr. DOC II (Commissio de sacra liturgia, Documenta secundae Sessionis, Ro


mae 1963), pp. 1 3. Su tutta la vicenda cfr. JT, 30 settembre 1963.
13 A.G. Martimort ha redatto un «Memorandum» sulle emendationes sul quale esi-
ston~ ~lcuni ~ppunti manoscritti di B. Fischer: F Fischer (Deutsches l.iturgisches Institut,
Trevm). Tra 1 documenti di Jungmann depositati in copia nell'archivio dell'ISR si trova-
no, datate 30 settembre 1963 e in manoscritto, le Deliberationes utrum in art. 63.b
Const. s. Liturgia prae/erenda sii formula «probatis seu confirmatiS» an «con/irmatis ve!
probatù» ve! alia, di Wagner, che si esprime chiaramente a favore della prima formula.
14 Cfr. AS II/1, p. 193.
VERSO LA RIFORMA LITURGICA 213

erano stati già discussi, ma i padri li conoscevano solo nella stesura del-
l'inizio del primo periodo, non ancora in quella emendata dalla commis-
sione liturgica nella prima intersessione.

1.1. Le votazioni sugli emendamenti

1.1.1. Capitolo II: il mistero eucaristico

Al termine della congregazione generale del 3 ottobre, il segretario


generale del concilio, Felici, annunciò la distribuzione delle proposte di
emendamento al capitolo II dello schema liturgico, relativo alla messa 15 .
Questa venne fatta già il giorno successivo (sabato 4 ottobre), ma l'ini-
zio delle votazioni fu fissato solo per il martedì successivo, 8 ottobre16 •
Nel pomeriggio del 7 ottobre la commissione liturgica aveva tenuto
la sua quarantesima seduta17 . Nella congregazione generale del giorno

15 Cfr. AS II/2, p. 64.


l6 Cfr. ibidem, p. 67. I testi contenuti nel fascicolo Emendationes [. .. ] VI. Caput II
scbematis. De sacrosancto eucbaristiae mysterio sono pubblicati in AS II/2, pp. 280-282,
pp. 295-308 e pp. 283-289 (corrispondenti, rispettivamente, aJle pagine del fascicolo 5 7,
9-24 e 25 32).
17 In questa riunione fu distribuito il testo de1la Relatio generalis che Lercaro
avrebbe tenuto il giorno successivo, e un foglio con due proposte di emendamento. Di
queste una era stata redatta dal vescovo P. HaJlinan, e riguardava la parte della sua rela
zione sull'articolo 63.b; l'altra era del vescovo H. Jenny e si riferiva alla conclusione del-
la dichiarazione del concilio sulla riforma del calendario prevista in appendice alla costi-
tuzione liturgica. Entrambe le proposte furono approvate. A causa di tale riunione i ve-
scovi germanofoni membri della commissione liturgica non poterono partecipare all,in-
contro che si tenne contemporaneamente a S. Maria dell,Anima, per parlare de1le immi-
nenti votazioni. Il card. Dopf ner aveva chiesto perciò a W agner un testo scritto per il
card. Frings per dare eventua1mente qualche indicazione ai padri conciliari di lingua te-
desca. Nel documento, di una sola pagina, si spiega, in merito al contenuto delle 19
emendatt'ones proposte per il capitolo II dello schema liturgico, che si trattava, con una
sola eccezione, di veri emendamenti, e che rispondevano alle aspettative dei vescovi te-
deschi; inoltre, che la sesta proposta di emendamento era una attenuazione superflua del
testo originario; si afferma che tuttavia la si doveva accettare per evitare di provocare ri-
tardi. W agner poteva solo suggerire di votare placet a tutti gli emendamenti, ma di pro-
vare a migliorare il testo nella votazione sul capitolo complessivo servendosi dei voti pla-
cet iuxta modum, qualora la cosa fosse sembrata opportuna. Sarebbe appunto il caso
dell,art. 55, al secondo capoverso. Molti vescovi desideravano che vi si ammettesse la
messa degli sposi come quarto esempio per la comunione al calice: cfr. la lettera di Wa-
gner del 7 ottobre 1963 a Frings, trasmessa per conoscenza anche a Dopfner, e lo scrit-
to di una sola pagina Constitutio de S. liturgia, osservazioni sull,andamento di entrambe
le votazioni sul cap. II De SS. Eucbaristiae mysterio: F-Wagner, Treviri, vol. 39.
214 IL CONCILIO ADULTO

successivo Lercaro presentò una Relatio generalis nella quale illustrò il


lavoro della commissione stessa18• In primo luogo, egli richiamò l' atten-
zione sulla Ratio procedendi commissionis conciliarz's de sacra liturgia, in
26 articoli, redatta da una specifica sottocommissione diretta da A. Jul-
lien19. Poi parlò delle tredici sottocommissioni e della loro attività du-
rante il primo periodo conciliare e la prima intersessione. Infine spiegò
la struttura dei fascicoli che sarebbero stati distribuiti nei giorni succes-
sivi, contenenti gli emendamenti al testo proposti dalla commissione per
la votazione. Conformemente all'articolo 60 § 3 del regolamento del
concilio, sui singoli emendamenti si sarebbe potuto votare solo cbn pla-
cet e non placet. Solo con la votazione finale su tutto il testo del capito-
lo sarebbe stato possibile dare anche il voto placet iuxta modum. A con-
clusione della sua esposizione Lercaro riprese le parole del discorso di
apertura del papa relative alla speranza che «[il lavoro svolto] sia ora
condotto al suo felicissimo esito»20 .
Subito dopo prese la parola il relatore del II capitolo, Enciso Viana
(vescovo di Maiorca), che si limitò ad illustrare solo una parte del testo
distribuito ai padri21 . Dopo avere assicurato che si era cercato di esami-
nare tutte le osservazioni presentate dai padri, oralmente o per iscritto22 ,
egli concentrò il suo discorso sulle questioni più discusse: e cioè quelle
relative all'uso del volgare, alla comunione sotto le due specie e alla
concelebrazione.
Le proposte di emendamento relative al volgare erano tra loro diver-
se e contraddittorie: ora contrarie, ora favorevoli, ora attestate su una li-
nea intermedia, di tipo generale o concreto. Per l'articolo relativo alla
lingua della messa (il 54, ex 41) la commissione aveva cercato di trovare
formulazioni che evitassero che l'orientamento degli uni finisse per im-
porre la propria prassi agli altri. Si stabilì solo che tutti i fedeli doveva-
no conoscere anche l'ordinario della messa in latino. Riguardo l'uso del
volgare nelle letture e nelle intercessioni, se ne assegnò la competenza

1s Cfr. AS 11/2, pp. 276-279.


19 Cfr. Ratio procedendi commissionis conciliarù De sacra liturgia, in Acta et docu-
menta ad expendendas animadversiones patrum circa caput I schematis constitutionù De ·
sacra Liturgia, 1962, risp. pp. 6-1 O (prima stesura) e pp. 11-15 (testo definitivo).
2o AS IVl, p. 193. Il testo della relazione fu distribuito ai padri alla fine della con-
gregazione generale.
21 Cfr. AS.IV2, pp. 290 295.
22 Le Animadversiones in schema constitutionis De sacra Liturgia si compongono di
218 pagine, cui si aggiungono ancora le 20 pagine del volume de1l'Appendix (pp. 38-57).
Le Qsservazioni furono anche scritte a macchina come quelle agli altri capitoli dello
schema, e ciclostilate per essere messe a disposizione dei padri e dei periti della commis-
sione liturgica: dr. AS II/2, p. 295, n. 1.
VERSO LA RIFORMA LITURGICA 215

alle «autorità territoriali» (le future conferenze episcopali). Per le restan-


ti parti della messa festiva si distingueva tra parlate o cantate da tutta la
comunità dei fedeli, o dal solo sacerdote. La competenza delle prime
spettava sempre alle «autorità territoriali». Sostanzialmente l'uso del vol-
gare non fu rifiutato per nessuna parte della messa festiva, malgrado la
richiesta in tal senso di alcuni padri in riferimento al canone.
All'articolo sulla comunione (il 55) fu aggiunta una frase iniziale rela-
tiva alla comunione dei fedeli che «dopo la comunione del sacerdote, ri-
cevono il corpo del Signore dal medesimo sacrificio». Riguardo la comu-
nione sotto le due specie, la commissione aveva tenuto conto dei motivi
addotti dai padri a favore o contro questa prassi e aveva trovato una for-
mulazione che richiamava la dottrina del concilio di Trento secondo cui
doveva essere la sede apostolica a determinare i casi in cui era possibile
ammetterla. All'esempio della messa per l'ordinazione sacerdotale si ag-
giunsero quelli delle messe per la professione religiosa e il battesimo de-
gli adulti - alcuni padri ritenevano inopportuna la messa nuziale -, così
da indicarne uno per i sacerdoti, uno per i religiosi e uno per i laici.
Nell'articolo relativo alla concelebrazione (57, ex 44 e 45), per que-
st'ultima furono ammessi, oltre alla messa crismale e alle riunioni di sa-
cerdoti, anche altri casi. Si fece attenzione che le motivazioni della con-
celebrazione non introducessero dubbi sulla legittimità o convenienza
della celebrazione individuale.
La commissione presentò ai padri 19 proposte di emendamento su
cui votare, mentre non mise ai voti le modifiche minori al testo, per lo
più di tipo stilistico23 • Al mattino si votò sulle prime cinque, che riguar-
davano il senso teologico, una dichiarazione sulla messa domenicale, più
precise disposizioni sulla riforma dell'Orda missae e l' omelia24 •
Le votazioni sugli emendamenti al capitolo II dello schema De sacra
liturgia proseguirono mercoledì 9 ottobre. Furono presentati sette emen-
damenti, quattro dei quali sulla lingua liturgica, due sul ricevimento del-
la comunione e uno sulla partecipazione dei fedeli a tutta la celebrazio-
ne della messa la domenica e nelle feste di precetto25 •

23 Cfr. AS 11/2, pp. 280-282.


24 1) Riformulazione del futuro articolo 47 (già primo capoverso della premessa):
2.278 placet, 12 non placet, 8 nulli (cfr. AS IV2, p. 329); 2) inserimento nell'art. 49 (già
terzo capoverso della premessa): 2.264 placet, 14 non placet, 12 nulli (cfr. ibidem, p.
329); 3) aggiunta all'art. 50 (prima 37) sulla riforma dell'Orda missae: 2.249 placet, 31
non placet, 4 nulli (cfr. ibidem, p. 335); 4) integrazione dell'art. 5 2 (prima 39) con una
perifrasi sull'omelia: 2.263 placet, 15 non placet, 7 nulli (cfr. ibidem, p. 338); 5) aggiunta
all'art. 52 (prima 39) relativa all'omelia la domenica e nelle feste di precetto: 2.261 pia
cet, 18 non placet, 5 nulli (cfr. ibidem, p. 342).
2 5 Sull'art. 54 (prima 41) sulla lingua liturgica: 6) possibilità dell'uso del volgare:
216 IL CONCILIO ADULTO

Il 10 ottobre furono messi ai voti sette emendamenti relativi alla


concelebrazione che chiedevano che questa fosse fondata teologicamen-
te, che ne venissero aumentati i casi, che continuasse a essere permessa
la celebrazione individuale 26 . Al termine di tale congregazione il segreta-
rio generale del concilio dichiarò che, poiché tutti gli emendamenti dei
padri erano stati approvati, il lunedì successivo si sarebbe votato su tut-
to il II capitolo anche con la formula placet iuxta modum. Spiegò inoltre
che quanti intendevano votare in tal modo avrebbero dovuto presentare,
insieme alla loro scheda di voto, anche i modi redatti in forma chiara e
comprensibile su appositi fogli27 .
Per l'approvazione del testo era necessaria la maggioranza dei due
terzi: e cioè, su 2.242 padri presenti, 1.495 voti favorevoli. L'esito della
votazione fu di soli 1.417 placet, 36 non placet, 781 placet iuxta modum
e 8 voti nulli28 . Non per questo il capitolo II fu respinto, poiché i placet
iuxta modum, se non potevano essere considerati voti di approvazione,
indicavano tuttavia un orientamento favorevole. Secondo quanto previ-
sto dal regolamento del concilio il testo del capitolo doveva essere inve-
ce nuovamente affidato alla commissione liturgica, con il mandato di
esaminare nuovamente i modi e introdurli, se necessario29 •

2.215 placet, 52 non placet, 8 nulli (cfr. AS II 2, p. 360); 7) uso del volgare nelle parti
spettanti al popolo: 2.212 placet, 47 non placet, 19 nulli (cfr. ibidem); 8) conoscenza del-
l'ordinario della messa anche in latino: 2.193 placet, 44 non placet, 14 nulli (cfr. ibidem,
p. 361); 9) estensione dell'uso del volgare: 2.139 placet, 67 non placet, 13 nulli (cfr. ibi-
dem, p. 384). Sull'art. 55 (prima 42) sulla comunione sotto le due specie: 10) comunione
al pane dalla medesima celebrazione eucaristica: 2.159 placet, 46 non placet, 13 nulli (cfr.
ibidem); 11) comunione al calice: 2.131 placet, 96 non placet, 9 nulli (cfr. ibidem). Sul-
l'art. 56 (prima 43) sulla partecipazione dei fedeli alla messa tutta intera: 12) 2.232 pia
cet, 14 non placet, 8 nulli (cfr. ibidem).
26 Tutte le proposte riguardavano l'art. 57 (prima 44-46): 13) motivazione dell'unità
del sacerdozio: 2.166 placet, 92 non placet, 5 nulli (cfr. AS II 2, 435); 14) messa vesper
tina il giovedì santo: 2.088 placet, 168 non placet, 9 nulli (cfr. ibidem); 15) riunioni di
vescovi: 2.111 placet, 142 non placet, 6 nulli (cfr. ibidem); 16) benedizione delrabate:
2.006 placet, 142 non placet, 18 nulli (cfr. ibidem); 17) messa conventuale quando non vi
è necessità della celebrazione individuale: 1.839 placet, 315 non placet, 9 nulli (cfr. ibi-
dem, p. 436); 18) riunioni di sacerdoti: 1.975 placet, 245 non placet, 4 nulli (cfr. ibidem);
19) celebrazione individuale: 2.159 placet, 66 non placet, 6 nulli (cfr. ibidem).
27 Cfr. ibidem. La procedura del voto fu spiegata ancora una volta il giorno succes-
sivo: cf r. ibidem, p. 439 s.
28 Cfr. ibidem, p. 520.
29 Cfr. Orda conci/ii, art. 36, in AD II/1, p. 318; Ed. altera recognita, art. 36: in AS
11/1, p. 36.
VERSO LA RIFORMA LITURGICA 217

1.1.2. Capitolo III: gli altri sacramenti e sacramentali

Dopo l'annuncio, nella congregazione generale del 10 ottobre, delle


proposte di emendamento al capitolo III, relativo agli altri sacramenti e
sacramentali, e la loro distribuzione il giorno successivo30 , il 15 ottobre
Hallinan lesse per primo la sua relazione 31 • Dopo avere informato i pa-
dri che la commissione aveva giudicato positive e utili la maggior parte
delle loro proposte di emendamento32 , spiegò che molte di tali correzio-
ni non erano state recepite perché ritenute di competenza di altre com-
missioni o perché riguardavano particolari la cui messa a punto andava
affidata ad una commissione post-conciliare, ai direttori pastorali o a ri-
tuali specifici, oppure perché se ne era già tenuto sufficientemente conto
in altri punti dello schema. Delle proposte di emendamento accolte al-
cune non venivano messe ai voti perché relative allo stile e all' espressio-
ne latina, e di minore importanza. Il testo scritto della relazione com-
mentava tutti i 24 articoli del capitolo (dal 59 all'82). Solo dieci emen-
damenti dovevano essere sottoposti al voto dei padri. Nel corso della
stessa mattinata si votò sulle prime proposte relative ai sacramentali, al-
l'uso del volgare, al rito del battesimo e all'unzione dei malati33 .
Il 16 ottobre si votò su altre quattro proposte di emendamento, due
delle quali relative al momento dell'amministrazione del sacramento del-
l'unzione dei malati e alla possibilità della sua iterazione, una sull'impo-
sizione delle mani nella consacrazione episcopale e una sulla benedizio-
ne degli sposi3 4 . Gli ultimi due emen~amenti furono sottoposti al voto

30 Cfr. AS II/2, pp. 436 e 439. I testi contenuti nel fascicolo Emendationes [.. .] VII.
Caput III scbematis. De ceteris sacramentis et de sacramentalibus, sono pubblicati in AS
II/2, p. 548 s., pp. 560 571 e pp. 550 560 (corrispondenti, rispettivamente, alle pagine
del fascicolo 5 s., 7-10 e 19-29).
31 Cfr. AS 11/2, pp. 560-571.
32 Le animadversiones al capitolo III De sacramentis et sacramentalibus, si compon
gono di 110 pagine, cui si aggiungono altre 11 pagine del volume dell'Appendix (58-68);
su questo cfr. n. 22.
33 1) Inserimento di un art. 60 (prima si trattava del proemio) sulla natura e gli ef-
fetti dei sacramentali: 2.224 placet, 12 non placet, 3 voti nulli (cfr. AS 11/2, p. 598); 2)
integrazione dell'art. 63 (prima 47) in relazione alfuso del volgare, con esclusione della
«forma del sacramento»: 2.103 placet, 49 non placet e 7 voti nulli (cfr. ibidem); 3) inte-
grazione dell'art. 68 (prima 52) sugli adattamenti del rito del battesimo in caso di nume
ro elevato di battezzandi: 2.058 placet e 42 non placet (cfr. ibidem); 4) riformulazione
della prima frase delfart. 73 (prima 57) sul nome e i destinatari delrunzione degli infer-
mi: 2.143 placet e 35 non placet (cfr. ibidem, p. 601).
34 5) Riformulazione della continuazione dell'articolo 73 (prima 57) sul momento
opportuno per ricevere il sacramento dell'unzione: 2.219 placet, 37 non placet e 3 voti
nulli (cfr. AS II/2, p. 639); 6) cancellazione dell'articolo 60 previsto originariamente in
218 IL CONCILIO ADULTO

dei padri nella congregazione generale del 17 ottobre. Essi riguardavano


la possibilità di fare amministrare i sacramentali anche ai laici il rito del-
la professio ne religiosa e quello del rinnovo dei voti3 5 • Dopo un po' si
richiamò l'attenzione sul fatto che il giorno successivo si sarebbe votato
sull'intero capitolo III e che, pertanto, si sarebbe potuto votare nuova-
mente anche con placet iuxta modum. Andavano dunque preparati an-
che i modi3 6•
All'inizio della seduta conciliare del 18 ottobre, il segretario aprì le
votazioni su tutto il capitolo III dello schema liturgico. Dei 2.270 padri
votanti, 1.130 votarono placet, 30 non placet e 1.054 placet iuxta modum;
3 voti erano nulli. Anche il capitolo III non poteva dunque essere anco-
ra approvato e doveva tornare nuovamente alla commissione liturgica
che doveva esaminare i modi ed eventualmente inserirli37 .

1.1.3. Capitolo IV: l'ufficio divino

Nella congregazione generale del 18 ottobre i padri ricevettero le


proposte di emendamento al capitolo IV, relativo all'ufficio divino38 . Il
21 ottobre ad Albert Martin fu data la parola per primo per la presenta-
zione in aula della sua relazione 39 • Egli cominciò col dire che le propo-
ste di emendamento fatte dai padri erano state molte, e che tutte erano
state esaminate scrupolosamente40 • Aggiunse poi che si era tenuto conto
del parere redatto nel 1957 da una commissione della congregazione dei

relazione alla iterazione dell'unzione degli infermi: 1. 964 placet, 247 non placet e 5 voti
nulli (cfr. ibidem); 7) aggiunta all'articolo 76 (prima 61) concernente l'imposizione deHe
mani nella consacrazione episcopale: 2 .124 placet, 504 non placet e un voto nullo (cf r.
ibidem); 8) integrazione dell'art. 78 (prima 63) sulla benedizione degli sposi fuori della
messa: 2.194 placet, 24 non placet e 2 voti nulli (dr. ibidem).
35 9) Integrazione dell'articolo 79 (prima 64) sulla possibilità che ai laici sia affidata
in alcuni casi l'amministrazione dei sacramentali: 1.637 placet, 607 non placet e 6 voti
nu1li (cfr. AS II/3, p. 48); 10) integrazione dell'articolo 80 (prima 65) relativo allo svol
gimento del rito della professione religiosa e del rinnovo dei voti: 2.207 placet, 394 non
placet e 2 voti nulli (cfr. ibidem, p. 49).
36 Cfr. AS II/3, p. 9.
37 Cfr. AS II/3, pp. 53-54 e p. 91.
38 Cfr. ibidem, p. 5 3. I testi contenuti nel fascicolo Emendationes [...} VIII. Caput
IV schematis De officio divino, sono pubblicati in AS II/3, pp. 114 116, pp. 124 146 e
pp. 117~123 (corrispondenti, rispettivamente, alle pagine del fascicolo 5-7, 9-30 e 31 38).
39 Cfr. AS II/3, pp. 124 146.
40 Le animadversiones al cap. N De officio divino sono composte da 204 pagine; su
questo dr. n. 22.
VERSO LA RIFORMA LITURGICA 219

riti presieduta dall'allora p. Bea. Tale parere era stato formulato sulla
base delle richieste inviate a Roma dai metropoliti, dopo discussioni con
i vescovi e gli esperti delle rispettive province, su sollecitazione della
sede apostolica in vista di una riforma del breviario.
La relazione si articolava in cinque punti. Nel primo si delineava la
preghiera delle ore dal punto di vista teologico. Quelli successivi tratta-
vano della riforma generale dell'ufficio, del rinnovamento di singole par-
ti, dell'obbligo della recita e della lingua da usare. Le proposte di emen-
damento dovevano essere sottoposte al voto dei padri In quel giorno si
votò solo sulle prime tre, concernenti quello che sino ad allora era stato
il proemio41 . Il 22 ottobre si votò su altre cinque, tre delle quali relative
a concrete misure di riforma, mentre le altre due riguardavano rispetti-
vamente il valore spirituale della preghiera delle ore e la revisione del
salterio42 • Sulle ultime cinque proposte di emendamento, una sulla rifor-
ma e le altre sulla recita della preghiera delle ore, si votò il 23 ottobre43 .
Sull'intero capitolo IV del De sacra liturgia si votò l'indomani. La mag-
gioranza richiesta dei due terzi, su 2.236 padri votanti, corrispondeva a

4l 1) Riformulazione dell'art. 83 (prima, inizio del secondo capoverso del proemio)


sull'ufficio sacerdotale esercitato da Cristo per mezzo della preghiera dell'ufficio: 2.153
placet, 8 non placet e 8 voti nulli (cfr. AS II/3, p. 168); 2) riformulazione dell'art. 84
(prima la fine del secondo capoverso del proemio) sui soggetti deputati alla preghiera
dell'ufficio: 2.009 placet, 12 non placet e 1 voto nuJlo (cfr. ibidem); 3) nuovo art. 86 sul-
la necessità della preghiera de1l'ufficio per i sacerdoti impegnati nel ministero pastorale:
2.130 placet, 9 non placet e 2 voti nu1li (cfr. ibidem, p. 171).
42 4) Formulazione più concreta dell'art. 89.c (già 68.c) sulla riforma del mattutino:
2.113 placet, 118 non placet e 3 voti nulli (cfr. AS II/3, p. 215); 5) riformulazione del-
l'art. 89.d sulla soppressione di Prima: 1.722 placet, 509 non placet (cfr. ibidem); 6) ri
formulazione dell'art. 89.e (ex 68. d) suJ le «ore minori»: 1.840 placet, 3 71 non placet e 5
voti nulli (cf r. ibidem); 7) riformulazione dell'art. 90 relativo al significato religioso della
preghiera dell'ufficio, che va rispettato nella riforma: 2 .111 placet, 12 non placet (cfr. ibi-
dem 216); 8) ampliamento dell'art. 91 (ex 69) con l'indicazione dei criteri di cui tener
conto nel completamento della revisione del salterio: 2.088 placet, 20 non placet e 2 voti
nulli (cfr. ibidem).
43 9) Cancellazione di quello che sino ad allora era stato l'articolo 72, che formula-
va proposte di riforme troppo concrete: 2.111 placet, 118 non placet, 1 voto nuJlo (cfr.
AS II/3, p. 259); 10) aggiunta del primo capoverso di un nuovo articolo 97 sulla possi-
bilità di commutazione della preghiera dell'ufficio con altre azioni liturgiche: 2.200 pla-
cet, 24 non placet, 1 voto nullo (cfr. ibidem, p. 260); 11) aggiunta del secondo capoverso
al nuovo articolo 97 sulla dispensa dall'obbligo della recita dell'ufficio o la sua commu-
tazione: 2.125 placet, 34 non placet e un voto nullo (cfr. 'ibidem); 12) ampliamento del
l'articolo 101 § 1 (ex 77.a) sulla dispensa dalla recita dell'ufficio in latino: 1.904 placet,
131 non placet e 5 voti nu1li (cfr. ibidem); 13) ampliamento dell'articolo 99 (già 78) sulla
recita comunitaria della preghiera dell'ufficio: 1.960 placet, 219 non placet e 2 voti nulli
(cfr. ibidem).
220 IL CONCILIO ADULTO

1.491. Il risultato della votazione fu di 1.638 placet, 43 non placet e 552


placet iuxta modum. Questo capitolo era dunque approvato in via defini-
tiva44.

1.1.4. Capitolo V: l'anno liturgico

Poiché il tempo incalzava, le proposte di emendamento al capitolo


V, relativo all'anno liturgico, furono distribuite ai padri già nella congre-
gazione generale del 22 ottobre 45 . Il 24 ottobre il moderatore, Dopfner,
diede subito la parola a F .S. Zauner, vescovo di Linz, per la sua relazio-
ne46. Questi innanzitutto rese noto che tutti gli interventi degli 85 padri
pronunciatisi sul capitolo V erano stati raccolti in un volume 47 • Aggiun-
se che alcune delle osservazioni fatte erano di competenza di altre com-
missioni; che la maggior parte riguardava solo dei dettagli, il cui giudi-
zio sarebbe spettato alla commissione post-conciliare; che altre, infine,
erano già state prese in considerazione in altri capitoli dello schema. Poi
passò alla presentazione dei cambiamenti apportati, tra cui anche i dieci
emendamenti proposti dalla commissione per la votazione; infine, spiegò
le ragioni che avevano indotto la commissione a rinviare, per le precisa-
zioni relative alla riforma del calendario, ad una sorta di dichiarazione
in appendice allo schema. Considerate le implicazioni internazionali di
tale questione, il concilio non poteva prendere in merito nessuna deci-
sione, ma solo esprimere la propria opinione. Su una data fissa per la
Pasqua, il concilio doveva solo, per non suscitare disagio nei fratelli se-
parati, far capire che non vi erano difficoltà.
Nella stessa congregazione generale furono anche sottoposte a vota-
zione le prime cinque proposte di emendamento relative al culto di Ma-
ria nell'anno liturgico, all'educazione dei fedeli nel corso dell'anno litur-
gico, alle possibilità di adattamento, alla domenica e alla quaresima48 . Il

44 Cfr. AS 11/3, p. 290.


45 Cfr. ibidem, p. 171. I testi contenuti nel fascicolo Emendationes [...] IX. Caput V
schematis. De anno liturgico, sono pubblicati in AS 11/3, pp. 264-266, pp. 272-277 e pp.
267-272 (corrispondenti, rispettivamente, alle pagine del fascicolo 5 7, 9 14 e 15 20).
46 Cfr. ibidem, pp. 272 277.
47 Le animadversiones al capitolo V De anno liturgico si compongono di 86 pagine;
su questo cf r. n. 22.
48 1) Ampia riformulazione dell'art. 103 (prima conclusivo del primo capoverso del
proemio) sulla venerazione di Maria, in quanto indissolubilmente congiunta con l'opera
salvifica di Cristo: 2.217 placet e 15 non placet (cf r. AS 11/3, p. 345); 2) aggiunta all'art.
105 (ex capoverso terzo del proemio) sulla formazione dei fedeli per mezzo dell'istruzio-
ne, della preghiera, delle opere di penitenza e misericordia: 2.148 placet, 9 non placet e
VERSO LA RIFORMA LITURGICA 221

giorno successivo si votò sulle altre, due delle quali riguardavano la


Quaresima, una il culto dei santi e due il progetto di appendice sulla ri-
forma del calendario49 . Il 29 ottobre si votò sull'intero capitolo V dello
schema liturgico. Dei 2.193 padri presenti, 2.154 votarono placet, 21
non placet, 16 placet iuxta modum. Due voti erano nulli. Il capitolo era
finalmente approvato50 •

1.1.5. Capitolo VI (già VII): la musica sacra

Nella congregazione generale di venerdì 25 ottobre fu distribuito il


fascicolo con le proposte di emendamento al capitolo VI (ex VII) sulla
musica sacra. Il segretario generale aveva spiegato che gli emendamenti
a quelli che sino ad allora erano stati i capitoli VI e VIII, che trattavano
di questioni simili, sarebbero stati distribuiti più tardi51 •
Il 29 ottobre l'abate di S. Paolo fuori le mura, C. D'Amato, fu il
primo relatore 52 • Egli spiegò che sul capitolo sulla musica sacra i padri
avevano fatto poche osservazioni53 e che di conseguenza erano state ef-
fettuate solo poche modifiche del testo. Di queste solo sei sarebbero sta-
te sottoposte al voto dei padri, tre delle quali già in quella stessa con-

un voto nullo (cf r. ibidem); 3) aggiunta all'art. 107 (ex 79) sulle possibilità di adattamen
to alle condizioni dei luoghi: 2.071 placet, 11 non placet e 3 voti nulli (cf r. ibidem); 4) ri-
formulazione dell'art. 106 (ex 80) sulla domenica: 2.049 placet, 10 non placet e un voto
nullo (cf r. ibidem, p. 346); 5) riformulazione dell'introduzione all'art. 109 (ex 82) sul
duplice carattere del tempo quaresimale: 2.146 placet, 4 non placet e un voto nullo (cf r.
ibidem).
49 6) Aggiunta all'art. 109 (ex 82.b) delle indicazioni relative alla catechesi peniten-
ziale: 2.181 placet, 10 non placet, un voto nullo (cfr. AS II/3, p. 390); 7) integrazione
dell'art. 110 (ex 83) sulla raccomandazione della prassi penitenziale: 2.171 placet, 8 non
placet e un voto nullo (cfr. ibidem); 8) aggiunta all'art. 111 (ex 84) sulla venerazione dei
santi e delle reliquie: 2.057 placet, 13 non placet e un voto nullo (cf r. ibidem); 9) deter
minazione del titolo dell'appendice (corrispondente ai precedenti artt. 85 e 86): 2.057
placet, 4 non placet e un voto nullo (cf r. ibidem); 10) riformulazione dell'introduzione
dell•appendice: 2.058 placet, 9 non placet e un voto nullo (cfr. ibidem).
50 Cfr. AS II/3, p. 627.
51 Cfr. ibidem, pp. 349 s. I testi contenuti nel fascicolo Emendationes a patribus
condliaribus postulatae, a commissione conciliari de sacra Liturgia examinatae et proposi
tae. X. caput VII Schematis. De musica sacra sono pubblicati in AS II/3, p. 376 s., pp.
583 589 e pp. 578-583 (corrispondenti, rispettivamente, alle pagine del fascicolo 5 s., 7
13 e 15-21).
52 Cfr. ibidem, pp. 583-589.
53 Le animadversiones al capitolo VII De musica sacra si compongono di 38 pagine;
su questo cf r. n. 22.
222 IL CONCILIO ADULTO

gregazione generale. Si trattava delle due proposte di emendamento re-


lative alle celebrazioni liturgiche accompagnate da canti e di quella sulla
fondazione di istituti di musica sacra54 • Sugli ultimi tre emendamenti al
cap. VI si votò il 30 ottobre. Il primo riguardava la formazione dei mis-
sionari, il secondo l'organo, e il terzo la musica sacra55 •
Poiché tutte le votazioni su questo capitolo avevano avuto esito posi-
tivo, il moderatore, Lercaro, fece passare subito alla votazione del testo
integrale. Dei 2.096 padri presenti, 2.080 votarono placet, 6 non placet,
9 placet iuxta modum. Un voto era nullo. Anche il capitolo VI era dun-
que approvato56 • Ancora prima della notificazione dei risultati della vo-
tazione il moderatore annunciò che i padri che avevano votato placet iu-
xta modum potevano consegnare i modi il giorno successivo alla segrete-
ria generale57 .

1.1.6. Capitolo VII (già VI e VIII): arte sacra e sacra suppellettile

Le proposte di emendamento al cap. VII, che aveva origine dai pre-


cedenti capitoli VI e VIII, furono distribuite nella congregazione genera-
le del 30 ottobre58. Le votazioni furono annunciate per il giorno seguen-
te. Il 31 ottobre C. Rossi, come primo oratore, presentò una breve rela-
zione59. Dopo aver giustificato la fusione dei capitoli che sino ad allora
erano stati il VI e l'VIII dello schema, si premurò di rassicurare ancora
una volta i padri sul fatto che le loro osservazioni erano state esaminate

54 1) Riformulazione dell art. 112 (già primo capoverso del proemio) sul canto sa
1

ero come parte integrante della liturgia: 2.087 placet, 5 non placet e un voto nullo (cf r.
AS II/3, p. 627); 2) riformulazione deJrart. 113 (ex 91) sulla celebrazione solenne in
canto dell azione liturgica: 2.106 placet, 13 non placet e un voto nullo (cf r. ibidem, p.
1

628); 3) aggiunta all'art. 115 (ex 93) della raccomandazione relativa a1rerezione di istitu-
ti superiori di musica sacra: 2.147 placet, 9 non placet e un voto nullo (cf r. ibidem, p.
671).
55 1) Variazione nell1art. 119 (ex 97) sulla formazione musicale dei missionari: 1.882
placet, 39 non placet e un voto nullo (cf r. ibidem); 2) precisazione terminologica nell art.
1

120 (ex 98) riguardo l organo: 1.897 placet, 41 non placet e 3 voti nulli (cfr. ibidem); 3)
1

riformulazione dell art. 121 (ex secondo capoverso del 94 e 96) suJla musica sacra: 1.990
1

placet, 7 non placet e 2 voti nuJli (cf r. ibidem).


56 Cfr. AS II/3, p. 6 71.
57 Cfr. ibidem, p. 669.
58 Cfr. ibidem, p. 631. I testi contenuti nel fascicolo delle Emendationes [.. .]XI. Ca-
put VI et VIII schematis. De arte sacra deque sacra suppellectile, sono pubblicate in AS
II/4, p. 10 s., pp. 24 27 e pp. 12 23 (corrispondenti, rispettivamente, alle pagine del fa-
scicolo 5 s., 7-9 e 10-21).
59 Cfr. ibidem, pp. 24 27.
VERSO LA RIFORMA LITURGICA 223

con cura in sede di emendamento del testo60• Poi non parlò degli emen-
damenti di dettaglio, ma osservò che i padri avevano sollevato principal-
mente tre questioni: la prima si riferiva alla possibilità di ammettere
opere d'arte moderne nelle chiese, la seconda alla creazione e venerazio-
ne di immagini, la terza alle spese per quanto necessario alla celebrazio-
ne della messa. La commissione aveva cercato di conciliare le opinioni
contrastanti e di adottare, per le dichiarazioni dello schema, una solu-
zione intermedia. Del precedente capitolo VI sulle sacre suppellettili,
era caduto quasi tutto. Si era mantenuto solo l'articolo sull'uso dei pon-
tificali (il 130, ex 89). Riguardo i restanti, la commissione non aveva vo-
luto occuparsi di dettagli, in quanto questi non rientravano nei compiti
di un concilio ecumenico, ma della commissione post-conciliare.
Alla fine della relazione il moderatore, Dopfner, propose, con l' ap-
provazione della presidenza del concilio, che su quest'ultimo capitolo
dello schema, che non investiva questioni controverse, si rinunciasse alla
votazione sui singoli emendamenti e si votasse subito su tutto il capito-
lo. I padri applaudirono manifestando il proprio consenso alzandosi in
piedi61 • La votazione ebbe i seguenti risultati: sui 1.941 padri presenti,
1.838 votarono placet, 9 non placet e 94 placet iuxta modum. Il capitolo
VII era dunque approvato62 •

1.2. L'attività della commissione liturgica

Josef Schmitz van Vorts, corrispondente romano del «Frankfurter


Allgemeine Zeitung», non sbagliava quando, dopo che il capitolo II del-
lo schema De sacra liturgia nella congregazione generale del 14 ottobre
1963 non aveva avuto la maggioranza dei voti necessaria per l'approva-
zione, raccontava da Roma: «questo risultato ha portato, per il momen-
to, un certo scoraggiamento tra i padri conciliari»63 . Martimort, in una

60 Le animadversiones al capitolo VI, De sacra sup-pellectile, si compongono di 29


pagine; quelle al capitolo VIII De arte sacra di 45 pagine; cf r. su questo la n. 22.
6l Dopo che il segretario generale ebbe letto gli emendamenti come pure l'inizio e
la fine del nuovo capitolo VII, il moderatore notificò che i modi si sarebbero potuti pre
sentare in seguito, neJla settimana successiva: cf r. AS II/4, p. 27.
62 Cfr. ibidem, p.- 77.
6 3 Das Koni.il. Zweite Session, in «Frankfurter AJlgemeine Zeitung», 14 ottobre
1963, p. 31. Non era invece esatto quanto lo stesso corrispondente raccontava da Roma
sul 10 ottobre 1963: «I 180 voti iuxta modum sul capitolo I dello schema liturgico, con-
segnati nel dicembre scorso, sono passati sotto silenzio» (ibidem, p. 30). Dopo la vota-
zione del 7 dicembre 1962 il segretario generale del concilio aveva infatti spiegato che,
224 IL CONCILIO ADULTO

lettera a Lercaro del 15 ottobre 1963, parlava, ancora più chiaramente,


di «una grandissima confusione - e anche delusione - dei padri e anche
dell'opinione pubblica fuori del concilio»64 •
La commissione liturgica, che ora si trovava a dovere esaminare i
781 voti placet iuxta modum al capitolo II, sapeva che la aspettava anco-
ra un duro lavoro. Questo aumentò notevolmente quando nella congre-
gazione generale del 18 ottobre anche il capitolo III non fu approvato e
fu rinviato alla commissione liturgica con 1.054 voti placet iuxta modum.
Probabilmente a qualche membro della commissione liturgica il fat-
to che i capitoli II e III, dopo la votazione sulle Emendationes, non f os-
sero stati ancora approvati dal concilio andava proprio bene. In tal
modo si poteva guadagnare tempo e «correggere» ancora lo schema at-
traverso i modi> attenuandone le dichiarazioni che suonavano come trop-
po «progressiste»65 • Rispetto al grosso numero di emendamenti, soprat-
tutto ai capitoli dal II al IV, sottoposte a votazione, i padri avevano la
possibilità di esprimere il proprio disaccordo con un non placet. Essi
potevano poi sfruttare l'occasione della votazione finale relativa a tutto
un capitolo per fare ancora una proposta di cambiamento del testo con
un placet iuxta modum. La maggioranza della commissione, specialmente
i suoi esperti, invece, considerava il complessivo procedimento della vo-
tazione e il risultato negativo della votazione finale sui capitoli II e III
come un pericolo per lo schema.
Dopo che, il 14 ottobre, 781 padri avevano votato sul capitolo II
con placet iuxta modum e il 18 ottobre 1.054 padri avevano fatto lo stes-
so sul capitolo Ili, gran parte della commissione liturgica temeva chiara-
mente la votazione finale sul capitolo IV. Per questo il 19 ottobre, alcu-
ni suoi membri ed esperti indirizzarono alle conferenze episcopali un
messaggio che addirittura scongiurava i vescovi affinché votassero sui re-
stanti capitoli dello schema liturgico con placet, senza presentare modi.
Questi ultimi potevano certamente contribuire al cambiamento del testo

poiché il capitolo I con la votazione risultava approvato, non era necessario inviare i
modi (cfr. AS 1/4, p. 384; su questo cf r. la Relatio Subcommissionis iurùlicae de modis
expendendis, in DOC Il, cit., pp. 5-8). La commissione tuttavia, benché non vi fosse te-
nuta, fece una disamina, la expensio modorum, che poté presentare per la votazione solo
nel novembre 1963, insieme alla expensio modorum degli altri capitoli.
64 F Lercaro, 518. Martimort proponeva perciò che al più presto, forse anche il
giorno immediatamente successivo (18 ottobre 1963 ), la expensio modorum venisse pre-
sentata in aula per rimediare all'impressione negativa.
65 Cfr. il tentativo di E. Dante di ritardare il lavoro su1lo schema liturgico, accura-
tamente descritto nel resoconto della riunione de1la commissione liturgica del 17 otto-
bre: pp. 228.
VERSO LA RIFORMA LITURGICA 225

conciliare, ma potevano anche mettere in grande pericolo tutto lo sche-


ma. La commissione liturgica, infatti, sarebbe riuscita a stento a termi-
nare il lavoro entro il termine auspicato dal papa, e inoltre le questioni
del capitolo IV, relativo all'ufficio divino, erano tra loro in così stretta
relazione che non si poteva toccare nessun punto senza mettere seria-
mente in pericolo tutto il capitolo. La lettera era firmata dai presidenti
delle sottocommissioni responsabili di altri capitoli dello schema, e cioè
da Martin (capitolo IV sull'ufficio divino), Zauner (capitolo V sull'anno
liturgico), D'Amato (capitolo VI sulla musica sacra) e Rossi (capitolo
VII sull'arte sacra). Inoltre fu sottoscritta anche dai vescovi O. Spiilbe-
ck, B. Fey Schneider e G. Bekkers, dai presidenti delle sottocommissio-
ni teologica e giuridica, Gagnebet e Bonet, dai periti Wagner, Marti-
mort, Vagaggini e Dirks, la cui opinione era importante66 • Sul momento,
certo, la lettera non determinò alcun cambiamento nella procedura di
voto - solo per il capitolo VII il moderatore, Dopfner, aveva rinunciato
alla votazione sulle singole emendationes - ma i capitoli dal IV al VII,
nelle rispettive votazioni finali, ottennero comunque la maggioranza ne-
cessaria per l'approvazione.
Dopo il 14 ottobre la commissione liturgica doveva riprendere il suo
lavoro sui modi. Il suo segretario, F. Antonelli, il 17 ottobre la convocò
per il pomeriggio dello stesso giorno nella sala delle riunioni della con-
gregazione dei riti per la sua quarantunesima seduta. Per l'occasione era

66 La lettera porta le firme nell'ordine citato e recita così: «I vescovi e i periti sot-
toscritti, umilissimamente pregano e vivamente scongiurano affinché con il vostro voto
sosteniate il capitolo IV e gli altri De sacra liturgia semplicemente con il placet, trala
sciando cioè, se è possibile, tutti i modi, eccettuati que1li che appaiano necessari per
causa gravissima. Infatti, sebbene di per sé, per merito de1la vostra sapienza e dottrina,
la scelta dei modi perfezionerebbe e renderebbe più elegante il testo conciliare, l'insieme
dello schema corre un grande pericolo, sia perché la commissione della Sacra Liturgia, se-
polta di lavoro, assai difficilmente riuscirà nel fine auspicato dal ss. Papa Paolo VI e da
voi che la costituzione "sia ora condotta ad esito felicissimo", sia perché in particolare
gli argomenti del capitolo IV De officio divino sono a tal punto strettamente fusi tra
loro, che reggendosi l'uno sull'altro sono destinati a cadere assieme. Speriamo e confi-
diamo che con i vostri voti approverete il nostro sforzo di trovare una via media accetta-
bile per tutti, e sarà grande la soddisfazione, ove non ci inganniamo, se giungerete alla
promulgazione desiderata»: cfr. F-Dopfner, Akt 1 Conc VII S. Q. Nr. 9. Nel suo diario,
il 19 ottobre 1963, J ungmann scrive che la lettera era venuta da mons. Martin e che
Wagner ne diede notizia alfincontro del gruppo di esperti convocato da Lercaro quel
giorno presso il monastero ove risiedeva V agaggini, a S. Gregorio al Celio. Riguardo lo
stesso Jungmann, egli si rifiutò di firmare la lettera («non possum»), certo in relazione
con il suo scopo di presentare ancora un modus al capitolo IV sulle «letture spirituali»
ne1la preghiera de1l'ufficio: cfr. infra, nn. 87 e 90, per quanto si dice sulla quarantacin-
quesima riunione della commissione liturgica del 30 ottobre 1963 e JT, 19 ottobre 1963.
226 IL CONCILIO ADULTO

stato preparato uno Specimen votorum «Placet iuxta modum» circa artt.
54 e 55 constitutionis De sacra liturgia 67 •
Dai padri erano arrivati 150 modi sull'articolo relativo all'uso del
volgare (il 54) e 242 su quello relativo alla comunione sotto le due spe-
cie (il 55). Ad uno sguardo generale risultava che i modi erano in parte
contraddittori, o che gli stessi modi erano stati presentati da più padri.
Ad esempio, nel complesso 130 padri chiedevano che il canone restasse
in ogni caso escluso dall'uso del volgare, mentre 108 chiedevano il vol-
gare per la preghiera sacerdotale che prevedeva la risposta del popolo.
120 padri chiedevano che la messa nuziale fosse inclusa tra quelle in cui
ci si poteva comunicare sotto le due specie; 20, invece, rifiutavano la co-
munione sotto le due specie per principio.
Si lavorò in 4 gruppi, tra cui fu ripartita la Expensio modorum. Cia-
scun gruppo era diretto da un vescovo, assistito da due periti. I modi
relativi all'articolo 54 (volgare nella messa) dovevano essere rielaborati
dal gruppo di Enciso Viana, W agner e A. Bugnini; quelli all'articolo 55
(comunione sotto le due specie) dal gruppo di Martin, Frutaz e C. de
Clerk; i modi all'articolo 57 (concelebrazione) dal gruppo di Fey Schnei-
der, Bonet e Dirks; i restanti modi dal gruppo di Zauner, Martimort e
Vagaggini. I gruppi dovevano trasmettere i risultati del loro lavoro alla
sottocommissione e questa li avrebbe poi presentati all'assemblea plena-
ria68. Alla sottocommissione giuridica presieduta da Bonet fu affidato il
chiarimento della questione di fondo del significato («forza e ambito»)
del voto placet iuxta modum 69 • Tale sottocommissione si riunì per discu-
tere dei problemi giuridici relativi alla disamina degli emendamenti la
mattina del 18 ottobre 1963, proprio mentre il concilio votava sul capi-
tolo III senza giungere ad approvarlo. I risultati della lunga discussione
possono così riassumersi:
1) I modi vanno esaminati in ogni caso, a prescindere dal numero de-
gli iuxta modum e anche se vi è una 1naggioranza dei due terzi di placet.
2) Un voto placet iuxta modum si deve considerare fondamentalmen-

61Cfr. DOC II, cit., pp. 38 40.


68Cfr. JT, 17 ottobre 1963 e 21 ottobre 1963, gli appunti di Jungmann sul suo fo-
glio Specimen, cit (cfr. supra, n precedente) distribuito nell'incontro del 17 ottobre
1963 (F Jungmann, ISR), e gli appunti di Wagner su1la riunione del 27 (sic!) ottobre
1963 si tratta di un errore di scrittura: probabilmente la data è quella del 17 ottobre
1963 (F Wagner, Treviri, vol. 39). Si osserva che Wagner menziona come vescovo nel
primo gruppo solo Rossi Negli appunti di J ungmann il nome di Rossi è cancellato, e
sopra è scritto «Enc.», cioè Enciso Viana. Questo corrisponde a quanto è scritto nel
diario il 21 ottobre 1963. Il verbale redatto da Antone1li in AV2 menziona solo Rossi.
69 Cfr. il verbale redatto da Antone1li in AV2.
VERSO LA RIFORMA LITURGICA 227

te positivo. Perciò, tutte le parti di un testo sottoposte a votazione, per


le quali non siano stati presentati modi, si devono considerare come vo-
tate con placet. Una parte di uno schema è dunque approvata se i voti
placet e quelli iuxta modum, che non abbiano inoltrato i modi corrispet-
tivi, costituiscono insieme la maggioranza dei due terzi. Se i voti placet
iuxta modum avessero valore sospensivo, come alcuni ritengono, allora il
loro numero dovrebbe raggiungere la maggioranza semplice dei voti
espressi.
3) Per la Expenszò modorum si devono osservare i seguenti criteri: a)
vanno rifiutati i modi che intendono riprendere emendamenti già votati
dal concilio; b) i modi presentati da un numero più alto - la sottocom-
missione pensa almeno 50 - devono essere presentati in concilio per la
votazione; in tale occasione sarà reso noto il giudizio della commissione
quanto al loro accoglimento o rifiuto; c) riguardo i modi presentati da
un numero minore, si deve distinguere tra quelli che, secondo la com-
missione, vanno accettati e quelli che vanno rifiutati cui, nella relazione,
va tuttavia dedicata qualche parola.
4) Quando i padri respingono un emendamento, questo viene annul-
lato. Se essi accettano un emendamento, la parte di testo emendata deve
invece. essere sottoposta ancora una volta a votazione.
Alla parte della relazione comune a tutta la sottocommissione, il pre-
sidente, Bonet, aggiunse anche qualche riferimento personale alla «psi-
cologia dell'aula»: perché il voto conclusivo nella seduta pubblica in
presenza del papa risultasse positivo, i padri dovevano accettare di buon
grado, per quanto possibile, le decisioni della commissione. Se la rela-
zione f asse stata formulata nel modo descritto, i padri che avevano pre-
sentato modi sostenuti solo da pochi voti, sarebbero stati soddisfatti. Sui
modi presentati da una maggioranza di padri avrebbe deliberato il con-
cilio. In definitiva, nella commissione liturgica ci si iniziava a preoccupa-
re del procedimento della votazione conclusiva70 •
Il 21 e 22 ottobre la sottocommissione sulla messa si incontrò con i
vescovi che avevano diretto i 4 gruppi per la Expensio modorum e il
presidente della sottocommissione giuridica, Bonet. Si discusse quindi
sull'esame dei modi e sulla relazione del vescovo Enciso Viana71 •
La commissione liturgica era stata convocata dal suo segretario per
un incontro nel pomeriggio del 23 ottobre. Per prima cosa, Bonet pre-
sentò, spiegò e commentò la relazione della sottocommissione giuridica

70 Cfr. la Relatio Subcommissionis iuridicae de modis expendendis firmata da E. Bo-


net e datata 23 ottobre 1963: DOC II, cit., pp. 5-8.
71 Cfr. l'introduzione alla relazione di mons. Enciso Viana in DOC Il, cit., p. 41.
228 IL CONCILIO ADULTO

sulla Expensio modorum72 • Alla sua relazione Bonet aggiunse un breve


parere sulle difficoltà avanzate nel precedente incontro della commissio-
ne dall'arcivescovo E. Dante, che andavano considerate un tentativo di
ritardare il lavoro sullo schema liturgico. Dante aveva affermato che si
era votato solo sulle proposte di emendamento, ma non sul nuovo testo
emendato in quanto tale e che questo metodo non era valido. In relazio-
ne a ciò aveva presentato una istanza al tribunale amministrativo del
concilio, ritenendo che il suo accoglimento avrebbe interrotto i lavori
Sulla sua richiesta aveva anche ottenuto l'adesione di altri padri Dal pa-
rere di Bonet, datato 23 ottobre 1963, risulta che il procedimento era
giusto a norma dell'articolo 61 § 6 del regolamento del concilio, poiché
dopo una approvazione di tutte le singole parti di uno schema, deve ri-
tenersi approvato tutto l'insieme73 •
Sull'articolo 57, la sottocommissione sulla messa, tenuto conto dei
numerosi modi che riguardavano la concelebrazione, presentò un nuovo
testo preparato da Rossi, Fey Schneider e Zauner per i punti l, § 2, e 2,
§ l, in cui si trattava in particolare dell'ordinamento della concelebra-
zione nelle case dei religiosi74 • Seguì una relazione sulla Expensio modo-
rum. Alla fine si costituirono tre gruppi anche per la Expensio dei 1.054
modi al capitolo III: quella dei modi all'articolo 63 (volgare nel rituale)
fu assegnata al gruppo costituito dal vescovo Rossi, Wagner e Bugnini;
quella dei modi all'articolo 79 (sacramentali) al gruppo del vescovo Gri-
mshaw, Bonet e Dirks; i modi restanti al gruppo di Spiilbeck, Martimort
e Frutaz75 •
La commissione tornò a riunirsi due giorni dopo, nel pomeriggio del
25 ottobre. Subito dopo il resoconto del segretario Antonelli sulla vota-
zione del capitolo IV e l'invio dei rispettivi modi alla sottocommissione
per la Expensio, si discusse sulla relazione Bonet e sulla sua risposta al
tentativo dilatorio di Dante. Poi si cominciò quanto meno a parlare del-
la relazione presentata da Enciso Viana sui voti placet iuxta modum al

72 Cfr. supra, n. 70.


73 Cfr. la Relatio citata a1la n. 70, p. 8. Su1l'intera vicenda cfr. le annotazioni di
Wagner: F-Wagner, Treviri, vol. 39. Antone1li, nel verbale da lui redatto che è in AV2,
non fa riferimento agli atteggiamenti di Dante.
74 Cfr. Art. 57. Nova formula proposita a Subcommissione de ·cap. II, in DOC Il, cit.,
p. 52. La redazione definitiva, ne1la quale si tralasciano le parole «ad normam art. 22 §
l», sembra sia stata decisa prima ne1la riunione del 29 ottobre 1963: cfr. le annotazioni
di Wagner alla riunione della commissione liturgica del 20 ottobre 1963: F-Wagner,
Treviri, vol. 39.
7.5 Cfr. le annotazioni di Wagner: F-Wagner, Treviri, vol. 39, e il verbale redatto da
Antone1li in AV2.
VERSO LA RIFORMA LITURGICA 229

capitolo IF6 e inoltre si discusse sul vero numero dei modt77 • I placet iu-
xta modum erano stati 781. Inoltre molti padri avevano presentato più
modi. Di questi 681 riguardavano la concelebrazione (art. 57), 242 la co-
munione sotto le due specie (art. 55), 150 il volgare (art. 45) e 45 tutti
gli altri articoli78 • Si doveva inoltre considerare che diversi padri avevano
formulato uno stesso modus e che pertanto, in realtà, i modi diversi si
riducevano a 105 79 • Di questi non andavano presi in considerazione: 1)
quelli contrari a quanto già espressamente votato; 2) quelli che erano in
contraddizione con documenti del magistero della chiesa; 3) quelli che
esulavano dalla materia del capitolo, o non avevano niente a che fare né
con esso né con lo schema liturgico; 4) quelli già presi in considerazio-
ne. Gli altri modi si potevano risolvere con spiegazioni brevi o esposi-
zioni più dettagliate. Agli emendamenti sugli articoli riguardanti l'intro-
duzione del volgare, la comunione sotto le due specie e la concelebra-
zione si doveva prestare particolare attenzione. La discussione sulla rela-
zione non si concluse nemmeno quel giorno.
Nella stessa riunione Bonet venne incaricato della preparazione di
una nuova redazione della sua relazione insieme alla sottocommissione
giuridica80 • Si trattava di riprendere, tra l'altro, in una nuova redazione
bene articolata la sua relazione del 23 ottobre 1963 81 : ad una piccola in-
troduzione seguiva una prima parte, più breve, relativa all'iter dello
schema sino alrapprovazione del testo emendato, e una seconda parte in
due sezioni relative all'approvazione delle parti dello schema e alla
Expensio modorum82 • Qualcosa del testo di Bonet giunse anche nella re-
lazione di Lercaro alla congregazione generale del 18 novembre succes-
sivo83.
Nella riunione della commissione liturgica del 29 ottobre 1963, Lar-
raona annunciò la sessione pubblica prevista per la fine del secondo pe-
riodo del concilio. Il segretario della commissione, Antonelli, sollecitò
ad affrettarsi e fissò l'inizio della riunione per il giorno successivo alle

76 Relatio circa Modos caput II respicientes, in DOC Il, cit., pp. 41 51. La relazione
non è datata, ma Jungmann ha datato la propria copia 25 ottobre 1963.
77 Secondo le annotazioni di Wagner, quel giorno a quanto pare si parlò solo del
numero dei modi: F-Wagner, Treviri, vol. 39.
78 Secondo la ripartizione che risulta dalla Relatio (cf r. DOC Il, cit., p. 41), i modi
erano nel complesso 1.118. Enciso Viana parla invece solo di 917.
79 Cfr. il testo definitivo della Relatio: AS Il/5, p. 580.
80 Così secondo le annotazioni di Wagner: F-Wagner, Treviri, vol. 39.
81 Cfr. supra, n. 70.
82 Il documento, che non porta alcun titolo, si trova in DOC Il, cit., pp. 9 14.
83 Cfr. AS 11/5, pp. 406-409.
230 IL CONCILIO ADULTO

15. Si discusse ancora una volta sulla relazione di Enciso Viana. Di que-
sta si respinse la menzione della messa nuziale come ulteriore caso per
la comunione sotto le due specie. Poi si presentò il testo emendato sulla
concelebrazione nelle case degli ordini religiosi. Rossi intervenne (inutil-
mente) contro la lunghezza della relazione di Enciso Viana84 • Nella stes-
sa riunione fu distribuito il testo chiesto a Bonet il 23 ottobre sull'origi-
ne, l'approvazione e la Expensio modorum dello schema liturgico. Dante
sollevò alcune obiezioni contro il testo di Bonet della riunione prece-
dente. Ne scaturì una lunga discussione alla fine della quale Antonelli
lesse ad alta voce, a riprova della giustezza del procedimento, un testo
dal Mansi riferito al Vaticano 185 • Vennero avanzate difficoltà anche da
Larraona, che voleva accettare solo interpretazioni (non cambiamenti)
del testo già approvato86 •
Nella riunione della commissione liturgica del 30 ottobre si proseguì
la discussione sulla relazione Bonet87 • Poi Martin riferì sui 552 modi per-
venuti sul capitolo IV88 • A questo punto va ricordata un'operazione, che
si può dire avesse avuto inizio il 10 aprile 1960 e che in questi giorni do-
veva naufragare definitivamente. In tale data Jungmann aveva presentato
un votum di una sola pagina della Facoltà di teologia dell'Università di
Innsbriick alla commissione antepreparatoria. Per metà vi si formulava la
richiesta di riformare il breviario in modo che il clero diocesano fosse te-
nuto solo alla recita delle ore dette nelle cattedrali (e nelle chiese parroc-
chiali) prima del Medioevo, e cioè lodi e vespri, mentre oltre a questo gli
si doveva imporre l'obbligo di una lettura spirituale o di una meditazione
per mezz'ora. Jungmann aveva cercato ascolto per la sua richiesta già nel-
la commissione preparatoria e poi durante il primo periodo del concilio,
anche con l'appoggio di alcuni suoi amici negli organi competenti. Dal
punto di vista dello storico della liturgia, la richiesta era assolutamente
fondata. Ma da studioso, convinto della giustezza delle sue conclusioni,
non riusciva a rendersi conto che, in un documento che regolava la rifor-
ma del culto nel XX secolo, non si potesse cancellare una evoluzione di
quasi quindici secoli che aveva profondamente improntato la vita religio-
sa del clero diocesano, l'unico che poteva avere voce in capitolo per quel-

84 Cfr. le annotazioni di Wagner sulle riunioni del 25 e 29 ottobre 1963: F Wagner,


T reviri, vol. 3 9.
85 Cfr. le annotazioni di Wagner alla riunione del 29 ottobre 1963: ibidem.
86 Cfr. JT, 29 ottobre 1963.
87 Cfr. le annotazioni di Wagner alla riunione del 30 ottobre 1963: F Wagner, Tre-
viri, vol. 39.
88 Cfr. Elenchus modorum circa caput W, in DOC II, cit., pp. 66-72; come pure la
Relatio circa Modos caput W respicientes, in ibidem, pp. 73-102.
VERSO LA RIFORMA LITURGICA 231

la cancellazione. J ungmann incontrò l'accanita resistenza dei liturgisti


francesi: non certo perché questi non riconoscessero il valore della sua
competenza storica, ma perché pensavano di non poter pretendere che la
chiesa facesse un salto indietro dal XX al V secolo.
È commovente leggere nel diario di Jungmann relativo al secondo
periodo conciliare (1963) con quale risolutezza egli si adoperasse sino
alla fine per la sua proposta, che riteneva giusta. Certo egli dimostra an-
che una sorprendente ingenuità quanto a capacità di imporsi e ad azio-
ne tattica, così come nel non lasciarsi dissuadere da nessuno nella sua
impresa. Il 3 ottobre 1963 scriveva, a mo' di conclusione: «Non ha sen-
so proseguire questa azione». Invece il 9, 22, 24, 27 e 31 ottobre 1963
racconta ancora come cercasse di proseguire la sua impresa attraverso
incontri con vescovi (oltre a Zauner, l' arciv. ]. Fernandes di Nuova
Delhi, l'arciv. Reuss di Mainz, il card. F. Konig di Vienna, il card. A.
Meyer di Chicago, il vescovo ausiliare di Paderborn, P. Nordhues) ed
esperti U. Neuner e B. Haring). Si rallegrò del fatto che, secondo l' arti-
colo 67 § 2 del nuovo regolamento del concilio, cinque membri di una
commissione potevano recuperare un voto di minoranza (9 ottobre
1963) e si rifiutò di sottoscrivere la lettera a tutte le conferenze episco-
pali di iniziativa del vescovo Martin, come già ricordato in precedenza89 •
Era convinto del fatto che l'alto numero dei 552 placet iuxta modum al
capitolo IV fosse dovuto all'azione di Reuss nel senso delle sue intenzio-
ni (24 ottobre 1963 ).
Alla seduta della commissione liturgica del 30 ottobre 1963, Jung-
mann era un po' deluso dal fatto che «certo, solo 5 l voti andavano nel
senso della sua richiesta». Si discusse ancora una volta sulla questione.
Larraona espresse dei dubbi per il fatto che fosse stato modificato un
articolo, Jungmann rispose che era solo stato interpretato. Martimort
sottolineò che in merito nella commissione si era «già molto discusso e
alla fine si era stabilito che l'ufficio e la preghiera personale devono es-
sere accuratamente separate». A ciò, Jungmann rispose che già l'anno
precedente in aula vi erano state prese di posizione cui andava prestato
ascolto, tra le altre quella di Léger, che difendevano la possibilità di as-
sociare ufficio e contemplazione. Ancora una volta, in un silenzio gene-
rale, espose la motivazione storica della sua proposta, e poté consegnare
al vescovo Martin una copia della sua spiegazione, che questi avrebbe
presentato nella riunione della sottocommissione competente il giorno
successivo90 • In tale incontro, secondo l'informazione di Wagner a Jung-

89 Cfr. supra, n. 66.


90 Cfr. su questoJT, 30ottobre1963.
232 IL CONCILIO ADULTO

mann, la spiegazione fu letta ad alta voce: «In realtà, non c'è dubbio,
che c'è benevolenza verso la proposta, ma si è deciso di proporre al
concilio solo pochissimi modi, e anche questo non deve essere presenta-
to». Il vescovo Martin sarebbe stato tuttavia disponibile ad interpretare
nella propria relazione il testo definitivo dello schema nel senso della
concezione di Jungmann. Persino Frutaz era dell'opinione che la com-
missione potesse prevedere una clausola a favore di uno scambio di let-
ture. «Sicuramente il concilio non sarebbe favorevole ad una decisione
così avanzata, che non è ancora matura»91 •
Nella riunione della commissione liturgica dell'8 novembre, la pro-
posta di Jungmann fu definitivamente respinta. Nella relazione preparata
per l'aula Martin, certo, riformulò la richiesta, ma spiegò anche che la
sottocommissione era dell'opinione di «rimettere la questione alla com-
missione post-conciliare». Al momento della discussione del primo arti-
colo del capitolo sull'ufficio, J ungmann pregò che la richiesta venisse
trasmessa «alla commissione post-conciliare perché vi riflettesse benevol-
mente». Larraona pensava che su questo dovesse pronunciarsi il conci-
lio; Martimort che dovesse esservi in merito una decisione unanime del-
la commissione. Martin sottolineò che la commissione aveva ritenuto
inutile portare in concilio la proposta di J ungmann, poiché si sarebbe
approdati ad una totale abolizione del mattutino, mentre erano già nu-
merosi i voti espressi contro la soppressione di Prima. Jungmann poteva
ancora, con l'aiuto di Wagner, imporre l'eliminazione della frase relativa
all'abolizione del mattutino, dato che Martimort aveva già provveduto a
quella della motivazione storica del modus92 • J ungmann valutava ora
esattamente la situazione: infatti, non si riusciva ad approvare nemmeno
l'emendamento sostenuto da 263 voti, per il quale McManus si era bat-
tuto nella riunione, secondo il quale le facoltà episcopali relative all'au-
torizzazione all'uso del volgare nell'ufficio non possono essere limitate
dalla locuzione «secondo i singoli casi». La causa va ricercata nella fret-
ta con cui si volle chiudere la discussione. Quanto alle sconfitte perso-
nali, alla fine faceva suo il giudizio di Wagner: «Molte cose non sono
ancora mature»93.
Lo svolgimento delle diverse riunioni in altre sottocommissioni sul
De liturgia deve essere stato simile. Si ricordano ancora, brevemente, gli
ultimi incontri.
Il 30 e 31 ottobre si riunì la sottocommissione sui sacramenti e sa-

91 Cfr. ibidem, 3 novembre 1963.


92 Cfr. ibidem, 9 novembre 1963.
93 Cfr. ibidem.
VERSO LA RIFORMA LITURGICA 233

cramentali, con i vescovi che avevano diretto i tre gruppi per la Expen-
sio modorum, su cui si deliberò; inoltre, si preparò la relazione di Spiil-
beck94, poi discussa nella riunione della commissione liturgica del 6 no-
vembre. Il 7 novembre, sempre in una riunione della stessa commissio-
ne, si distribuì e discusse la relazione sui modi relativi al proemio e al
capitolo I e si distribuì la relazione sui modi presentati per il capitolo
V95 . Nella riunione della commissione liturgica dell'8 novembre furono
distribuite le relazioni sui modz' relativi ai capitoli IV, VI e VII. Fu noti-
ficato che nel testo conciliare si potevano citare solo le Sacre Scritture e
i testi dei Padri della chiesa e dei concili. Si informò inoltre che in futu-
ro si sarebbe votato solo sulla domanda <<Placet aut non placet l'esame
dei modi effettuato dalla commissione sul tale capitolo?». Riguardo a
entrambe le comunicazioni, vi erano stati in precedenza dei contatti con
il segretario generale del concilio e con uno dei moderatori, Lercaro,
che avevano entrambi accettato le proposte96 • Nell'incontro della com-
tnissione dell' 11 novembre si discussero le relazioni delle sottocommis-
sioni sulla musica sacra e sull'arte sacra, esposte rispettivamente dai ve-
scovi D'Amato e Rossi97 • Il 13 novembre la commissione liturgica tenne
il suo cinquantesimo incontro, durante il quale doveva discutere dell'ul-
tima stesura della relazione sul proemio e sul capitolo I, ora a stampa.
Nella seduta del giorno successivo, fu discussa la relazione, anch'essa a
stampa, sul capitolo Il Ancora una volta scoppiò un'accesa discussione
su come trattare un modus appoggiato da 108 padri, relativo all'articolo
54, sull'uso del volgare nelle parti della messa «che spettano al popolo».
Tuttavia non si apportarono più variazioni al testo98 •
Il 15 novembre la commissione si riunì ancora una volta per discute-
re della relazione sul capitolo III, anch'essa distribuita a stampa99 • Nel-
l'incontro successivo, tenutosi il 18 novembre, si organizzò il lavoro an-
cora da svolgere fino alla votazione conclusiva del 22 novembre. Ma
nella stessa settimana si dovevano anche esaminare le proposte relative
all'applicazione della costituzione. Così, il 19 novembre, la commissione
si riunì per esaminare le relazioni sui modi ai capitoli V, VI e VII per i
quali si ritenne sufficiente porre solo un Quaesùum generale. Con que-

94 Cfr. R.elatio circa modos caput III respicientes, in OOC II, cit., pp. 53-65.
95 Cfr. il verbale redatto da AntoneUi in AV2.
96 Cfr. ibidem.
97 Cfr. Relatio circa modos caput VI respicientes, in DOC II, cit., pp. 108 s. e Rela
tio arca modos caput VII respù:ientes, in ibidem, pp. 110-112.
98 Cfr. JT, 14 novembre 1963.
99 Per le informazioni su questa riunione e queJle successive cfr. il verbale redatto
da Antonelli in AV2.
234 IL CONCILIO ADULTO

sto si completarono i preparativi per la votazione conclusiva da tenersi


in concilio. Nella stessa riunione fu anche distribuito, e probabilmente
discusso, un testo frutto del lavoro del vescovo Rossi De Constitutionis
applicatione 100 , nonché quello redatto da Martimort De auctoritate eccle-
siastica territoriali competente ad Constitutionem applicandam101 • Nell'in-
contro della commissione del 21 novembre fu distribuito il testo com-
pleto della futura costituzione liturgica. Frutaz doveva completarne le ci-
tazioni ed Eggèr doveva apportare le ultime e meno importanti correzio-
ni del latino102 • ·
Il 28 novembre 1963 si svolse la cinquantaseiesima e ultima seduta
della commissione liturgica, durante la quale si discusse dell' applicazio-
ne della costituzione conciliare sulla liturgia. Il testo di Rossi, presentato
insieme ad alcuni esperti nell'incontro del 19 novembre, non aveva evi-
dentemente soddisfatto il presidente della commissione, che aveva per-
tanto incaricato Bonet, Martimort e Wagner di elaborarne uno nuovo,
presentato in questa riunione 103 •

1.3. Le votazioni sulla Expensio modorum e il voto finale

Le ultime votazioni dei padri sullo schema De sacra liturgia furono


annunciate solennemente dal segretario generale all'inizio della congre-
gazione generale del 15 novembre, per lunedì 18 novembre («Ascoltino
adesso i padri, vi è una comunicazione di grande importanza»). Si spie-
gò che di per sé lo schema, ad eccezione dei capitoli II e III, aveva già
ottenuto la maggioranza necessaria per l'approvazione. La commissione
liturgica aveva tuttavia esaminato tutti i modi, vi aveva risposto e ora in-
tendeva presentarne lo studio ai padri. Mentre su alcuni modi ai capitoli
II e III si sarebbe dovuto votare, sugli altri capitoli sarebbe stato chiesto
solo se si era d'accordo con l'esame dei modi operato dalla commissione
liturgica. Quel giorno, dunque, si distribuì il fascicolo con i modi al pro-
emio e al capitolo 1104 •

100 Cfr.
DOC II, cit., pp. 113 118; cfr. infra, p. 269.
101 Cfr.
ibidem, 119; cfr. anche p. 270.
102 il verbale redatto da Antonelli in AV2.
Cfr.
103 Cfr.
ibidem. Si tratta del testo in DOC II, cit., pp. 120-125.
104 Cfr.
AS Il/5, p. 245 s. I testi contenuti nel fascicolo i Modi a patribus conciliari-
bus proposi!~ a Commissione conciliari De sacra liturgia examinati. I. Proemium - Caput
I. De principiis generalibus ad sacram liturgiam instaurandam atque fovendam, sono pub-
blicati in AS II/5, p. 496, pp. 510 526 e 497 509 (corrispondenti, rispettivamente, alle
pagine del fascicolo 5, 7 25 e 27 39).
VERSO LA RIFORMA LITURGICA 235

La congregazione generale del 18 novembre iniziò con la relazione


di Lercaro sul lavoro svolto dalla commissione liturgica105 • Egli cominciò
con il chiarire che anche per i capitoli II e III il voto dei padri non ave-
va respinto nessun articolo. Tutti gli articoli avevano anzi ricevuto la
maggioranza necessaria dei 2/3. Il cardinale fece poi il resoconto della
Expensio modorum, sulla quale si sarebbe votato quel giorno e in quello
successivo.

1.3 .1. Capitolo I

Martin si limitò a presentare la sua relazione sui modi al proemio e


al capitolo I: 25 modi su 52 erano davanti ai padri per iscritto 106 • Il se-
gretario pose solo la domanda generale se si era d'accordo con l'esame
dei modi del proemio e del capitolo I effettuato dalla commissione litur-
gica conciliare. Il risultato della votazione fu inequivocabile: 2.066 pla-
cet, 20 non placet e 4 voti nulli 107 •

1.3 .2. Capitolo II

Poiché si era in ritardo con la stampa del fascicolo con i modi al ca-
pitolo II, esso non giunse ai padri il 18 novembre, ma solo il giorno
successivo. Questo significava uno spostamento di un giorno anche de1la
votazione 108 •
Il 20 novembre Enciso Viana presentò solo la seconda parte della re-
lazione sul capitolo 109 • Egli spiegò che la commissione riteneva si dovesse
non accogliere il modus presentato da 108 padri secondo cui alla fine del-

105 Gr. AS II/5, pp. 406-409. La relazione, preparata almeno con la co1laborazione
di Wagner e Jungmann (cfr. JT, 16 novembre 1963), recepiva le spiegazioni di Bonet
(cf r. n. 82).
106 Spiegò inoltre i motivi del cambiamento della citazione dal conciJio di Trento,
che si era dovuto necessariamente effettuare ne1l'art. 7, a proposito della presenza di
Cristo ne1le specie eucaristiche. Su tale variazione e su un'altra di tipo sti1istico - si face-
va iniziare Part. 6 con «E perciò» invece che «Infatti» non si fecero votazioni distinte:
cfr. AS II/5, p. 510 e p. 518.
101 Cfr. AS II/5, p. 545.
108 Cfr. AS II/5, p. 405, p. 545 e p. 549. I testi contenuti nel fascicolo Modi a [...}
II. Caput Il. De sacrosancto Eucharistiae mysterio, sono pubblicati in AS II/5, p. 575 s.,
pp. 580-596 e pp. 577-579 (corrispondenti, rispettivamente, alle p. 3 s., 5 20 e 21 23 del
fascicolo).
109 Cfr. AS 11/5, p. 580.
236 IL CONCILIO ADULTO

l'articolo 54, al primo capoverso, andava aggiunto che il volgare si può


utilizzare anche nelle preghiere sacerdotali che prevedono la risposta del
popolo, ad eccezione di quelle del canone. In commissione, inoltre, si era
convenuto di non citare, nell'articolo 55, la messa nuziale come caso am-
messo per la comunione sotto le due specie, come richiesto da 120 padri:
non sarebbe stato possibile, infatti, in un breve testo conciliare, menzio-
nare tutte le cautele ritenute necessarie. Quanto ai modi presentati dai
563 padri che desideravano una maggiore tutela del diritto dei vescovi
nella disciplina della concelebrazione, la commissione propose di fare ini-
ziare l'articolo 57 § 2 con la frase: «Spetta al vescovo regolare la discipli-
na della concelebrazione nella propria diocesi» 110 •
Poi si votò sui tre modi relativi rispettivamente alla variazione propo-
sta al testo dell'articolo sulla concelebrazione (57 § 2), alla conferma del
testo dell'articolo sul volgare (54) e di quello sulla comunione sotto le
due specie (55). Alla fine si formulò un quarto quesito che domandava se
i padri erano d'accordo sulle risposte ai modi contenute nella expensio ef-
fettuata dalla commissione liturgica111 •
Appare evidente innanzitutto che le spiegazioni date dalla commis-
sione circa il testo degli articoli 54 e 55 si riferivano ai modi proposti ri-
spettivamente da 108 e 120 padri, mentre alla votazione su essi rispetti-
vamente 131 e 128 padri si pronunciarono con un non placet. Questo
può derivare dal fatto che i modi presentati ad entrambi gli articoli, e
cioè 150 all'articolo 54 e 242 all'articolo 55, erano nel complesso piutto-
sto numerosi, come risultava dalla relazione portata in commissione il 25
ottobre112 •
Al quesito finale sull'intero capitolo II la risposta fu di 2 .112 placet
e 40 non placet. E suscitò l'applauso dell'aula113 •

1.3 .3. Capitolo III

Il fascicolo con i modi del capitolo III era stato consegnato ai padri
nella congregazione generale del 20 novembre 114 e la votazione si svolse

110 Cfr. ibidem, pp. 593 596.


111 Questi i risultati de11e votazioni sui singoli modi: l art. 57 § 2 ebbe 2.057 placet,
1

123 non placet e 2 voti nu1li; Part. 54 2.047 placet, 131 non placet e 2 voti nu1li; l art. 55
1

2.014 placet, 128 non placet e un voto nu1lo; sul quesito finale vi furono 2.056 placet, 31
non placet e 4 voti nulli: cfr. AS 11/5, p. 621. Non fu necessario votare su una variazione
stilistica fatta da1la commissione nelfintroduzione dell'articolo 57 § 1.
112 Cfr. DOC II, cit., p. 41.
113 Cfr. AS 11/5, p. 631.
114 Cfr. ibidem, p. 573. I testi contenuti nel fascicolo Modi a [. ..] III. Caput III. De
VERSO LA RIFORMA LITURGICA 237

il giorno successivo. Il relatore, Spiilbeck, lesse solo la prima parte115 ,


dove si parlava dei modi agli articoli rispettivamente sulla lingua del rito
dei sacramenti (il 63) e sull'amministrazione dei sacramentali (il 79), che
secondo la commissione meritavano particolare attenzione.
r
Anche se articolo 63, nella forma emendata, aveva ricevuto la mag-
gioranza dei due terzi nella votazione del 17 ottobre, la commissione
aveva deciso, in considerazione del fatto che 640 padri volevano un'ulte-
riore estensione dell'uso del volgare nelle cerimonie di sacramenti e sa-
cramentali, di aderire alla variazione del testo proposta da 601 padri:
«Nell'amministrazione dei sacramenti e dei sacramentali si può usare la
lingua viva a norma dell'art. 36»116 •
Si votò dunque sull'uso delle lingue vive nell'articolo 63, e si ebbero
1.848 placet, 335 non placet, 2 nulli117 • Era prevedibile l'elevato numero
di voti negativi a questo modus. Infatti era sicuramente rilevante il nu-
mero di coloro che volevano mantenere il latino almeno nella formula
dei sacramenti. Ma fu una circostanza particolarmente felice che questo
gruppo non sia giunto ad imporsi. Si era così impedita una comprensio-
ne_ magica dei sacramenti. Il quesito finale sull'intero capitolo ebbe il se-
guente esito: 2.107 placet, 35 non placet, 1 voto nullo 118 •

ceteris Sacramentfr et de Sacramentalibus, sono pubblicati in AS 11/5, p. 637 s., pp. 643
660 e pp. 639-642 (corrispondenti, rispettivamente, alle pagine del fascicolo 3 s., 5-21 e
23 26.
115 Cfr. AS IV5, p. 643, n. 1 e p. 646.
116 Quanto al secondo e al terzo capoverso dell'articolo 79, si spiegò solo l'orienta-
mento della commissione, secondo cui non era necessaria l'aggiunta dell'espressione «del
luogo» alle locuzioni, rispettivamente, «degli ordinari» e «dell'ordinario»: nel primo
caso, infatti, si trattava chiaramente di riserva di benedizioni che riguardava non tutti i
fedeli, ma solo alcuni subordinati; nel secondo caso ci si poteva riferire solo all'ordinario
del luogo, poiché in quel punto si parlava di laici (cui fare amministrare i sacramentali)
che possono avere solo un ordinario del luogo. Poiché un modus era appoggiato da 121
padri e l'altro da 17 5 padri, la commissione chiedeva una dichiarazione di accordo con
la sua risposta: cfr. ibidem, pp. 643-646.
ll 7 Cfr. ibidem, p. 686. Le altre votazioni riguardarono i testi del secondo e del ter-
zo capoverso dell'articolo 79 relativo, rispettivamente, alle benedizioni riservate (risultati
della votazione: 2.084 placet, 96 non placet e 2 voti nulli) e all'amministrazione dei sacra-
mentali da parte di laici (risultato della votazione: 1.972 placet, 132 non placet e 3 voti
nulli). Il quarto quesito era quello sull'esame fatto dalla commissione liturgica dei re-
stanti modi. Risultato della votazione: 1.999 placet, 29 non placet e 3 voti nulli: cfr. ibi-
dem.
118 Cfr. ibidem, p. 696.
238 IL CONCILIO ADULTO

1.3 .4. Capitoli IV-VII

Nella congregazione generale del 20 novembre fu distribuito anche il


fascicolo con i modi al capitolo IV119 e il giorno successivo il fascicolo con
i modi ai capitoli V, VI e VII1 20 • Il 22 novembre Martin prese per primo la
parola per relazionare nuovamente sul capitolo sull'ufficio divino. Egli si
limitò ai modi presentati da un maggior numero di padri121 . Cominciò con
quello che risaliva a Jungmann - integrazione dell'articolo 89.c sostenuta
da 5 3 padri - secondo cui fuori del coro, ed eccettuati i principali giorni
di festa, si dovrebbe poter sostituire il mattutino con una lettura spirituale
tratta dalle Sacre Scritture; poi riferì sui vari modi appoggiati da 118 pa-
dri, relativi a Prima (art. 89.d). In entrambi i casi rinviava alla commissio-
ne post-conciliare. Continuò spiegando le ragioni di una delle tre variazio-
ni puramente linguistiche (sostituzione, nell'art. 99, di «si deve provvede-
re» con «si esortano») che risaliva al desiderio di 194 padri. Alla fine men-
zionò i modi che si riferivano alla lingua, il più significativo dei quali era
certamente quello sostenuto da 263 padri: e cioè cancellare, nell'articolo
101 § 1 la locuzione «in casi singoli» (nei quali l'ordinario può concedere
al suo clero l'uso del volgare nella preghiera dell'ufficio). Ma la commis-
sione voleva lasciare come regola generale la recita dell'ufficio in latino, e
impedire che i vescovi ne dispensassero il proprio clero senza considerare
attentamente la cosa122 . Poiché sui tre emendamenti stilistici non erano
necessarie votazioni, si votò subito l'accordo sull'esame dei modi, ottenen-
do 2 .131 placet, 50 non placet e 2 voti nulli1 23 •
Il relatore successivo fu Zauner, che parlò degli emendamenti relativi
al capitolo sull'anno liturgico. Anch'egli si limitò ad alcuni modi più im-
portanti agli articoli sul significato e le articolazioni principali dell'anno li-
turgico (102), l'importanza della domenica (106), la riforma dell'anno li-
turgico (107), la pratica penitenziale quaresimale (110) e le feste dei santi
(111), nonché l'appendice. Precisò che la commissione non aveva ritenute
necessarie variazioni del testo 124 •

119 Cfr. ibidem, p. 573. I testi contenuti nel fascicolo Modi a [. ..] IV Caput N. De
officio divino, sono pubblicati in AS II/5, p. 701, pp. 706 724 e 702-705 (corrispondenti,
rispettivamente, alle pagine del fascicolo 5 s., 7-23 e 25 28).
120 Cfr. ibidem, p. 636. I testi contenuti nel fascicolo Modi a [...] V. Capita V VI
VII. De anno liturgicoJ de musica sacraJ de arte sacra deque sacra suppellectile, sono pub-
blicati in AS II/5, p. 725, pp. 733-743 e 725-733 (corrispondenti, rispettivamente, alle
pagine del fascicolo 5 s., 7 17 e 19 28).
121 Cfr. ibidem, pp. 706, 721 e 724.
122 Cfr. ibidem, pp. 712-714, 720 e 721-723.
123 Cfr. ibidem, p. 757.
124 Cfr. ibidem, pp. 733-739 e ibidem, pp. 734, 736 e 737.
VERSO LA RIFORMA LITURGICA 239.

Il relatore sul capitolo sulla musica sacra, D'Amato, poté presentare


tutta la sua breve relazione 125 . Quanto al capitolo sull'arte sacra e le
suppellettili liturgiche, Rossi, presentò solo i modi all'articolo che riguar-
dava l'uso dei pontificali (130) e concluse la sua relazione aderendo al
desiderio espresso dal card. Lercaro che il lavoro fosse portato a termi-
ne nel sessantesimo anniversario della pubblicazione del motu proprio
di Pio X Tra le sollecitudini, che aveva aperto la strada al rinnovamento
liturgico126 .
Si chiese l'accordo sulla Expensio modorum di tutti e tre i capitoli,
con i seguenti risultati: 2.149 placet, 5 non placet, 2 voti nulli1 27 .
Il fatto che in tutto il De sacra liturgia solo due modi introducessero
variazioni importanti dello schema, e non solo correzioni di stile - quel-
lo sulla concelebrazione (art. 57) sostenuto da 563 padri e quello sul
volgare nel rituale (63) presentato da 640 padri - fece apparire la proce-
dura del voto con placet iuxta mod um dei singoli padri conciliari in una
luce singolare. Era lodevole la libertà lasciata a ciascun padre di espri-
mere la propria opinione. Ma senza la formazione di gruppi, questa li-
bertà non giovava molto. Introdurre ·un singolo modus corrispondeva a
meno dello 0,5 per mille degli oltre duemila padri conciliari. Presentarlo
- e questo voleva dire centinaia di modi - all'assemblea dei padri per la
votazione, significava un pericoloso appesantimento del lavoro concilia-
re, e soprattutto un ritardo. Ma trascurarlo, in considerazione di ciò,
come appariva ragionevole, sarebbe stato insoddisfacente per il padre
interessato.
Si presentò così la strada dei Quaesita, analoga a quella intrapresa
dai moderatori per interpellare la volontà dell'assemblea sui passaggi più
importanti della prosecuzione del lavoro: ad esempio se lo schema su
Maria dovesse essere adattato in modo da costituire una parte di quello
De ecclesia; o se nello schema sulla chiesa si dovesse dire che la consa-
crazione episcopale costit:uisce il grado più alto del sacramento dell' ordi-
ne128. Secondo Jungmann, l'idea dei Quaesùa emerse anche nella com-
missione, probabilmente su proposta di Wagner, anche per chiedere
l'accordo dei padri conciliari sulla expensio modorum allo schema litur-
gico129. Nella expensio la commissione liturgica motivava la propria scel-
ta di fronte ai singoli modi tanto più dettagliatamente quanto più nume-

125 Cfr.
ibidem, pp. 739-741.
126 Cfr.
ibidem, p. 741 s., e ibidem, p. 742, come pure p. 743, n. 1.
127 Cfr.
ibidem, p. 757.
12s Cfr.
AS II/3, pp. 345 e 574 s.
129 Cfr.
JT, 22 novembre 1963. Non sono accerta bili eventuali nessi con la lettera
del 19 ottobre 1963 (cfr. n. 66).
240 IL CONCILIO ADULTO

rosi erano i padri che avevano sostenuto un modo, e chiedeva al conci-


lio se vi era accordo sulla modalità della expensio. Tutte le domande al
concilio venivano poste così.

1.3 .5. Votazione finale e terza sessione pubblica

Dopo che l'assemblea dei padri aveva accettato la Expensio modo-


rum e approvato tutti i capitoli, ebbe luogo la votazione su tutto lo
schema De sacra liturgia, con i seguenti risultati: 2.158 placet, 19 non
placet, 1 voto nullo. All'applauso si aggiunsero le parole di ringrazia-
mento del primo dei presidenti del concilio, il card. E. Tisserant130 • Si
dava così via libera alla votazione solenne sulla costituzione De sacra li-
turgia in sessione pubblica.
Il segretario generale, dopo aver annunciato il 25 novembre una ses-
sione pubblica per il 4 dicembre 1963 131 , il 29 novembre notificò la de-
cisione del papa che allo stesso tempo si trattasse della costituzione sulla
liturgia e del decreto sui mezzi di comunicazione sociale. In vista della
votazione, i padri avrebbero dovuto riflettere sul fatto che questo conci-
lio, orientato in senso soprattutto pastorale, avrebbe definito qualcosa di
infallibile solo se lo avesse esplicitamente dichiarato. Questo non sareb-
be stato il caso dei due documenti sui quali si sarebbe votato nella ses-
sione pubblica seguente. Il papa pregava tuttavia i padri di meditare
quanto contenuto nei due documenti e di tenerlo presente nella pre-
ghiera, perché lo Spirito Santo li illuminasse e suggerisse loro quello che
giova ad un più grande onore di Dio e alla salvezza delle anime. Duran-
te questa congregazione generale fu distribuito il testo definitivo della
costituzione liturgica 132 •
Nella sessione pubblica di mercoledì 4 dicembre, nel quattrocentesi-
mo anniversario della chiusura del concilio di Trento, sulla costituzione
De sacra liturgia 2.147 padri votarono placet e 4 non placet. Comunicati
i risultati, accolti da un grande applauso, il papa pronunciò la formula
di approvazione in cui diceva chiaramente che egli nel fare questo ope-
rava insieme ai padri («una cum [... ] Patribus») e che le decisioni da lui
confermate erano conciliari, e quindi prese sinodalmente:
Nel nome della santissima e indivisa Trinità, del Padre, del Figlio e dello Spirito
Santo. I decreti letti in questo sacrosanto e universale concilio Vaticano secondo legitti-

130 Cfr. AS 11/5) p. 767 s.


131 Cfr. AS 11/6) p. 9.
132 CTr. ibidem, p. 305 s.
VERSO LA RIFORMA LITURGICA 241

mamente riunito hanno trovato il consenso dei padri. E noi, per l'autorità apostolica tra-
smessaci da Cristo, insieme ai venerabili padri, nello Spirito santo, li approviamo, decre-
tiamo e stabiliamo, e ordiniamo che quanto stabilito sinodalmente sia promulgato per la
gloria di Dio.

Dopo un nuovo applauso il segretario generale annunciò che il pe-


riodo della vacatio legis sarebbe durato sino alla prima domenica di
Quaresima, e cioè sino al 16 febbraio 1964 133 •

2. Il significato della costituzione liturgica

Circa un quarto delle richieste giunte a Roma da tutto il mondo per


il concilio annunciato da Giovanni XXIII avevano riguardato la litur-
gia 134 • Questo non sorprende. Gran parte delle persone consultate pro-
veniva dalla chiesa latina e celebrava il culto nel rito romano. Tuttavia,
in ampie parti di questa chiesa, soprattutto in Europa, il movimento li-
turgico, a partire dai cosiddetti «fatti di Malines» 135 e per tutto il cin-
quantennio successivo, sino all'annuncio del concilio, aveva sempre più
partecipato alla vita interna della chiesa136 • Inoltre, mentre in un primo
momento si era sviluppato in modo isolato all'interno di singoli paesi,
dopo la seconda guerra mondiale intraprese un lavoro comune che su-
perava i confini nazionali. Una premessa era stata certamente l'enciclica
di Pio XII sulla liturgia del 20 novembre 1947, la Mediator Dei137 , in
virtù della quale nell'episcopato mondiale si risvegliò l'interesse verso il
movimento liturgico. Alla fondazione nel 1943 in Francia del Centre de
pastorale liturgique (CPL, dal 1965 Centre national de pastorale liturgi-
que, CNPL), seguirono, nell'anno della pubblicazione dell'enciclica,
quelle del Centro di Azione liturgica (CAL) in Italia e del Liturgisches
Institut Trier in Germania (dal 1989 Deutsches Liturgisches Institut).
A Roma, subito dopo la pubblicazione della Mediator Dei, il diretto-
re della rivista «Ephemerides Liturgicae», A. Bugnini, promosse una in-
chiesta presso un centinaio di studiosi di liturgia e di pastorale liturgica
in relazione ad una riforma del messale e del breviario, del calendario li-

133 Cf r. ibidem, p. 407 s.


134 Cfr. E. J. LENGELING, Die Konstitution des Zweiten Vatikanischen Konzils uber die
Heilige Liturgie. Lateinisch deutscher Text mit einem Kommentar, Miinster 19652 , p. 47.
135 Cfr. B. FISCHER, Das "Melchener Ereignil) vom 23. September 1909, in «Liturgi-
sches Jahrbuch», 9 (1959), pp. 203-219.
l36 Sul movimento liturgico cfr. R. KACZVNSKI, La liturgia come vissuto religioso, in
Storia della chiesa, vol. XXIII, a cura di E. Guerriero, Cinisello B. 1991, pp. 395-420.
137 Cfr. «AAS», 39 (1947), pp. 521-600.
242 IL CONCILIO ADULTO

turgico e del martirologio, nonché degli altri libri liturgici. Mentre la


commissione di riforma nominata il 28 maggio 1948 da Pio XII (di cui
erano membri F. Antonelli, G. Low, A. Albareda, A. Bea e A. Bugnini)
si occupò della restaurazione della veglia pasquale (1951) e dell'Orda
della settimana santa (1955), della edizione di un codice delle rubriche
(1960) e di una nuova edizione tipica del breviario e del pontificale
(1962) 138 , i direttori del Centre de pastorale liturgique e del Liturgisches
Institut Trier, Martimort e Wagner, organizzarono sette congressi di stu-
di internazionali di liturgia: nel 1951 a Maria Laach sul messale romano,
nel 1952 a Odilienberg, in Alsazia, sul tema «L'uomo moderno e la ce-
lebrazione della messa»; nel 1953 a Lugano sulla «Partecipazione attiva
dei fedeli alla liturgia» - cinquanta anni dopo che Pio X aveva coniato
questa espressione -; nel 1954 a Lovanio sulle pericopi scritturistiche
del messale e la concelebrazione; nel 19 56 ad Assisi sulla preghiera del-
1'ufficio; nel 1958 a Montserrat sul battesimo e la cresima; nel 1960 a
Monaco sulla celebrazione dell'eucaristia in Oriente e in Occidente 139 •
Questi incontri di studio, che riguardavano le più importanti cele-
brazioni liturgiche e nei quali non venivano affatto escluse riflessioni sul
loro rinnovamento, hanno dato un contributo fondamentale, soprattutto
insieme al congresso internazionale di liturgia pastorale di Assisi del
1956 140 e alla settimana di studi internazionale «Missione e liturgia» di
Nimega del 1959, al fatto che, dopo l'annuncio del Vaticano II da parte
di Giovanni XXIII, giungessero a Roma da tutto il mondo istanze di ri-
forma della liturgia e che inoltre gli studiosi di diversi paesi, che si co-
noscevano da lungo tempo, unendo le proprie forze, riuscissero a prepa-
rare quel documento che il 4 dicembre 1963 sarebbe divenuto il fonda-
mento della riforma liturgica. ·
Gli antefatti della riforma liturgica, qui solo brevemente evocati, eb-
bero come conseguenza che le richieste concernenti la liturgia, inoltrate
a Roma prima del concilio si riferissero tutte al rito romano, e cioè al
rito più ampiamente diffuso all'interno della chiesa latina, benché il con-
cilio fosse annunciato come «ecumenico». Una questione discussa sin
dall'inizio, e posta anche in aula, in particolare dai vescovi orientali, fu

1.38 Cfr. A. BUGNINI, La riforma liturgica 1948 1975, Roma 1983, pp. 20-24.
139Cfr. S. SCI-IMITI, Die internationalen liturgischen Studientreffen 19511960. Zur
Vorgeschichte der Liturgiekonstitution (Trierer Theologische Studien 53), Trier 1992; per
il concetto di «partecipazione attiva» coniato da Pio X cfr. la lettera apostolica Tra le
sollecitudini del 22 novembre 1903, in Documenta pontificia ad instaurationem liturgicam
spectantia [I] (1903-1953) (Bibliotheca «Ephemerides liturgicae». Sectio practica 6), a
cura di A. Bugnini, Roma 1953, p. 13.
140 Cfr. BUGNINI, La riforma, cit., pp. 24 25.
VERSO LA RIFORMA LITURGICA 243

se un concilio ecumenico poteva limitarsi a trattare di un solo rito141 . Ci


si orientò a non deludere le aspettative di tanti padri conciliari, e così
questo concilio fu il primo nella storia della chiesa a redigere un docu-
mento su problemi di culto di un unico rito; in realtà il compito di de-
. cidere su questi sarebbe stato di un sinodo particolare, sotto la presi-
denza del vescovo di Roma.
Proprio per la preponderanza del rito romano, era dunque partico-
larmente importante che i padri, tutti i giorni, all'inizio dei loro dibatti-
ti, prendessero parte all'eucaristia celebrata non solo nel rito romano ma
spesso anche in altri riti, orientali o occidentali 142 • Alcune di queste cele-
brazioni eucaristiche non rom·ane suscitarono particolare attenzione 143 .
Le celebrazioni dimostravano, davanti ai padri conciliari riuniti, l'am-
piezza del cattolicesimo, così che diveniva certamente più facile per loro
approvare l'articolo 4 della costituzione liturgica, secondo cui la chiesa
«considera di uguale diritto e con pari onore tutti i riti legittimamente
riconosciuti». La formula «tutti i riti legittimamente riconosciuti» era
stata votata invece di quella prevista in un primo momento nello schema
(«tutti i riti legittimamente vigenti»), perché si doveva pensare non solo
ai riti esistenti al momento dell'approv~zione della costituzione, ma an-

14I Cfr. J.A. ]UNGMANN, Kommentar zur Liturgienkonstitution, in Lexikon fur Theo
logie und Kirche - Das Zweite Vatikanische Konzil I, Freiburg-Basel Wien 1966, p. 16.
142 Riguardo alla messa nel rito romano si può osservare l'influenza sulle sue cele-
brazioni della riflessione e della discussione sulla liturgia nel dibattito conciliare. J ung-
mann osserva, in occasione dell'apertura del secondo periodo del concilio, «alcuni pro
gressi dal punto di vista liturgico (i vescovi cantano in comune il Gloria e il Credo co-
ralmente)»: JT, 30 settembre 1963. Analogamente B. FISCHER, Konziliare Reform und
kuriale Politik. Zum Umfeld der Liturgiekonstitution, in Gottesdienst Kirche Gesellschaft.
Interdisziplinare und okumenische Standortbestimmung nach 25 ]ahren Liturgiereform
(Pietas liturgica 5), a cura di H. Becker-B.J. Hilberath U. Willers, St. Ottilien 1991, pp.
23 27, ivi p. 25. A.M. Cavagna desiderava che, dopo l'approvazione del secondo capo
verso dell'art. 54, i padri dessero il buon esempio e dicessero o cantassero in comune
l'ordinario della messa: cf r. la lettera a Lercaro dell'll ottobre 1963, F Lercaro, XXIII
516. Ancora altre proposte analoghe furono presentate da mons. G. van V elsen di
Kroonstad 1'11 ottobre 1963: cfr. lo scritto di van Velsen al segretario generale del con-
cilio in F-Lercaro, XXIII 517.
143 Si ricorda un fatto curioso allora ancora concepibile. Alla celebrazione della
messa di mons. J. Slipyi prima della congregazione generale del 29 ottobre 1963, erano
stati invitati dall'ufficio stampa dei giornalisti. Alcuni biglietti di invito erano stati dati
anche a delle giornaliste. Ma queste, affingresso di S. Pietro, furono fermate; fu spiegato
loro che avevano avuto i biglietti di invito probabilmente per un errore, poiché l'accesso
all'aula conciliare non era consentito alle donne. Alla fine si fece, per quella volta,
un'eccezione; ma poi fu detto loro che non vi sarebbero state abbastanza particole per
la distribuzione della comunione. La cosa fu un modo per evitare che le donne presenti
si avvicinassero all'altare: cfr. F-Lercaro, XXIII 565.
244 IL CONCILIO ADULTO

che a quelli che avrebbero potuto nascere in seguito. Poiché in quel


momento non si poteva trattare di un nuovo rito orientale, né con que-
sta dichiarazione ci si poteva certo riferire ai riti delle chiese separate
dell'Occidente, si poteva soltanto leggervi l'intenzione di non creare in-
tralci allo sviluppo di nuovi riti all'interno dell'ambito già molto ampio
del rito romano 144 •
Molti avevano atteso la promulgazione della costituzione liturgica
con impazienza e reagirono delusi, quando il 4 dicembre 1963 non vide-
ro soddisfatte alcune delle loro attese: la concelebrazione veniva consen-
tita solo in alcuni casi (art. 57), la comunione al calice era amministrata
solo in rare occasioni (art. 55), il volgare nella messa era limitato alla li-
turgia della parola (art. 54) e nella recita dell'ufficio divino restava un' ec-
cezione. Si doveva leggere il documento con attenzione per accorgersi
che esso apriva, e non chiudeva, delle porte. Si menzionavano alcune
possibilità, tra cui significativamente la concelebrazione; prima della enu-
merazione delle messe in cui doveva essere offerto il vino eucaristico, ve-
niva posto un veluti («come per esempio»). L'uso del volgare era indica-
to, per quanto riguarda la messa, «soprattutto nelle letture» e nella «pre-
ghiera comune», ma questo non significava che non lo si potesse usare
normalmente anche <<nelle parti spettanti al popolo» (art. 54). E alla fine
questo è tutto; ma appunto per ciò il canone non era espressamente
escluso. Si era sempre fatta attenzione a non caricare di particolari il do-
cumento conciliare. In riferimento alla pratica liturgica con ragione, si
assunsero solo le più importanti, le decisioni fondamentali.
Ancora molto più importante era certamente il dibattito di teologia
della liturgia sui principi che «possono e devono essere applicati sia al
rito romano sia a tutti gli altri riti» (art. 3 )145 . In merito Jungmann rac-
contava che i vescovi orientali ammettevano «quanto i principi elaborati
fossero itnportanti per la loro propria liturgia»146 • Così, nell'esaminare,
in una breve conclusione, il significato della costituzione liturgica per la
chiesa, è opportuno trattare prima dei suoi principi teologici, sui quali
viene fondata una nuova concezione del culto. Poi si esamineranno
quelli relativi alla celebrazione della liturgia. Alcune osservazioni sull' or-
dinamento giuridico del culto concluderanno il capitolo.

144 Cfr. R. KACZYNSKI, 20 ]ahre Liturgiekonstitutzon: Bine Bestandsau/nahme, in Co


stitui.ione liturgica "Sacrosanctum ConciliumJJ. Studi, a cura della Congregazione per il
culto divino, Roma 1986, pp. 491 506, ivi pp. 498 506.
145 Cfr. l'enumerazione degli articoli validi per tutti i riti nel commentario di Va
gaggini all'art. 3 in «EL», 7 8 (1964 ), p. 231.
146 JUNGMANN, Kommentar i.ur Iiturgienkonstitution, cit., p. 17.
VERSO I..A RIFORMA LITURGICA 245

2 .1. La descrizione della natura della liturgia

La frase certamente più importante e decisiva della costituzione li-


turgica per il mutamento di idee è nell'articolo 7:
Giustamente perciò 1a liturgia è considerata come lesercizio della missione sacerdo-
tale di Gesù Cristo, mediante la quale con segni sensibili viene significata e, in modo
proprio a ciascuno, realizzata la santificazione dell'uomo, e viene esercitato dal corpo
mistico di Gesù Cristo, cioè dal capo e dalle sue membra, il culto pubblico integrale.

Con questa frase il concilio non ha certamente voluto dare una defi-
nizione di liturgia, ma ha voluto precisare ciò che deve intendersi per li-
turgia, e cioè dare una descrizione della sua natura. Liturgia non sono
solo i «riti» e le «cerimonie» regolate dalle rubriche, e quindi l'insieme
delle forme esteriori - per quanto importante questo possa essere -, ma
anche e soprattutto quel che si compie sotto queste forme esteriori, il
loro contenuto intrinseco. Questo ha tre significati.

2 .1.1. La liturgia compimento del sacerdozio di Cristo

Primo liturgo è Gesù Cristo, che nella liturgia adempie alla sua fun-
zione sacerdotale, realizzando e continuando la sua opera di redenzione
fino ai confini della terra e fino alla fine dei tempi. Sommo artefice del
culto è dunque il sacerdote Gesù Cristo. L'azione sacerdotale ha funzio-
ne di mediazione, e cioè catabatica, dall'alto verso il basso - da Dio ver-
so gli uomini - e anabatica, dal basso verso l'alto - dagli uomini verso
Dio. Nessun uomo poteva assumere questo ruolo di mediazione, ma il
figlio di Dio doveva diventare uomo affinché, come «uomo Cristo
Gesù» fungesse da unico «mediatore tra Dio e gli uomini» (1 Tim 2,5) e
mettesse in comunicazione Dio e l'uomo. In qualità di mediatore sacer-
dotale Gesù ha stabilito una nuova ed eterna unione tra Dio e gli uomi-
ni. Nella celebrazione della liturgia questa nuova unione viene sempre
nuovamente attualizzata dallo stesso Gesù Cristo. Nell'esercizio di que-
sto suo sacerdozio nella liturgia Gesù tuttavia non è solo, ma vi è piut-
tosto come capo del suo corpo, la chiesa, che si associa al suo agire. Ed
egli è presente in tutto l'agire liturgico della sua chiesa.
Il concilio parla di questa presenza di Cristo nella liturgia nello stes-
so articolo 7, poco prima della descrizione della natura della liturgia:
Cristo è presente innanzitutto nella celebrazione eucaristica, e precisa-
mente nella persona del ministro del culto, che noi chiamiamo sacerdo-
te, ed è presente nelle specie eucaristiche. Con la sua efficacia egli è
inoltre presente nei sacramenti, così che, per usare un'espressione di
246 IL CONCILIO ADULTO

Agostino, se uno battezza, è Cristo stesso a battezzare. Questa presenza


di Cristo naturalmente non si limita al ministro ordinario del battesimo,
ma si estende anche ai laici che battezzano. E questo naturalmente vale
per tutti i sacramenti147 . Cristo è inoltre presente anche nella sua parola:
è lui stesso a parlare quando vengono lette e interpretate le sacre Scrit-
ture148. Infine, egli è presente quando la chiesa prega e canta, perché ha
promesso di essere in mezzo a coloro che, in due o in tre, si riuniscono
nel suo nome (cfr. Mt 19,20).

'
2.1.2. La liturgia santificazione dell'uomo e adorazione di Dio

Dalla descrizione della natura della liturgia data dal concilio diviene
chiaro che l'agire liturgico non è solo un agire che sale dall'uomo verso
Dio, vale a dire, ciò che l'uomo offre a Dio, ma anche e innanzitutto un
agire che procede da Dio verso gli uomini e in virtù del quale agli uo-
mini accade qualcosa. La descrizione della natura insomma non ha se-
guito più la distinzione che si continuava ad incontrare anche nei docu-
menti ecclesiastici tra «sacramenti» (sacramenta) e· «culto>; (cultus divi-
nus). La liturgia presenta, accanto ad un aspetto rituale o latreutico (dal
greco ÀaT:Qcia), l'aspetto dell'adorazione e venerazione di Dio, anche un
aspetto salvifico o soteriologico.
Così nell'articolo 7 della costituzione liturgica diviene chiaro che il
culto divino ha una sua struttura dialogica, che la liturgia porta l'im-
pronta della restante opera salvifica di Gesù, anch'essa dialogica. La li-
turgia si compie per la santificazione dell'uomo e la salvezza del mondo
come pure per la glorificazione di Dio. Nella liturgia Dio parla all'uomo
e si dona a lui, e l'uomo risponde a Dio e si abbandona a lui. E ogni
sollecitudine dell'uomo verso Dio determina una nuova donazione di
Dio all'uomo, che poi genera nuovamente un nuovo slancio dell'uomo
verso Dio 149 .

147 Se, grazie alla presenza e all'agire di Cristo, ogni uomo può, nel battesimo, con-
ferire la salvezza ad un altro nella forma dell'indicativo («lo ti battezzo ... »), allora il mi
nistro autorizzato in virtù dell'ordinazione può conferire la salvezza ad un altro nel sa
cramento della riconciliazione nella stessa forma («lo ti assolvo ... »); resta vero, nondime-
no, che nessuno può rimettere i peccati se non Dio (cfr. Mc 2, 7).
148 La formulazione relativa alla presenza di Cristo anche quando si spiegano le sa-
cre Scritture, all'inizio del concilio non aveva trovato un'adesione maggioritaria dei pa-
dri. Nel decLeto sull'attività missionaria de1la chiesa la formulazione equivalente non
creava ai padri più nessuna difficoltà: «con la parola della predicazione» la chiesa rende
presente l'autore della salvezza (art. 9).
149 Lo schema parola di Dio-risposta dell'uomo acquista particolare chiarezza ne1la
VERSO LA RIFORMA LITURGICA 247

Il fine ultimo di tutto l'agire dell'uomo è l'onore di Dio. Ma per que-


sto è fondamentale la donazione salvifica di Dio. Questo vale anche per
la liturgia. Anche il fine ultimo della celebrazione liturgica resta l'onore
di Dio: l'aspetto ascendente, cultuale della celebrazione liturgica ha la
precedenza su quello discendente, soteriologico, salvifico. Ma tutta la sto-
ria sacra, e perciò anche la concreta esecuzione del culto, rispondono ad
un altro ordine: la discesa di Dio nell'incarnazione è il presupposto del-
1' ascesa nel sacrificio e dell'elevazione alla croce nel mistero pasquale.
Così anche l'uOmo può rivolgersi a Dio, pregare, offrire sacrifici in quan-
to Dio prima si è donato a lui: «Dio ci ha amati per primo» (lGv 4,19).
Dice l'anafora: «Ti rendiamo grazie per averci ammessi alla tua pre-
senza a compiere il servizio sacerdotale» (seconda preghiera eucaristica).
L'uomo può glorificare Dio se Dio si dona a lui per primo. L'iniziativa
deve venire da Dio. La santificazione dell'uomo precede la glorificazione
di Dio. Per questo il concilio, nel descrivere la n~tura della liturgia,
menziona per prima la santificazione dell'uomo e soltan~o dopo la glori-
ficazione di Dio, alla quale è infine ordinata.
In ogni atto liturgico sono presenti entrambi gli aspetti, quello latreu-
tico e quello salvifico, benché con diverso peso. Quando ad esempio un
uomo viene battezzato, Dio gli si dona nel sacramento, e questo avveni-
mento costituisce anche un atto di adorazione di Dio da parte della chie-
sa; tuttavia è l'aspetto salvifico ad avere naturalmente il peso maggiore.
Quando il sacerdote recita la preghiera eucaristica, ciò viene fatto anche
per la santificazione degli uomini, che pertanto devono ascoltare e capire
questo; ma in tal caso ad avere la precedenza è l'aspetto latreutico.
La parola «culto», molto usata nell'ambito della storia delle religioni,
non esprime certo gli sviluppi esteriori di un'azione cultuale, ma piutto-
sto vuole designare il contenuto interno, e cioè si limita ad una sola par-
te di quel contenuto. «Culto» (cultus viene da colere, e cioè avere cura,
venerare) significa solo quel che l'uomo fa nei confronti della divinità,
ma non il contrario, quello che la divinità fa all'uomo. Le sacre Scritture
usano la parola solo in riferimento al servizio religioso dell'antica allean-
za (Num 3 ,10; Gt 5,17) e all'idolatria (lPt 4,3 ). La parola «culto» è in-
vece inutilizzabile per la designazione della funzione religiosa cristiana, e
doveva per questo essere evitata in riferimento a quest'ultima. In parti-
colare il concetto preconciliare di liturgia del CIC del 1917, can. 1256,

celebrazione della Parola, in particolare la domenica e le feste principali: alla proclama-


zione della Parola di Dio nella prima lettura l'uomo risponde con la preghiera del sal-
mo; alla proclamazione della Parola di Dio nella seconda lettura, l1uomo risponde con
l'alleluia; la parola di Dio viene annunciata nel Vangelo e nell'omelia, e l'uomo risponde
con il Credo e con le intercessioni.
248 IL CONCILIO ADULTO

si rivelava palesemente falso, perché non includeva i sacramenti, e anco-


ra troppo ristretto, perché sottolineava solo l'aspetto giuridico 150•
La descrizione della natura della liturgia data dal concilio usa la pa-
rola «culto» in modo davvero corretto solo in riferimento all'azione
ascendente dell'uomo verso Dio; ma per chiarezza non si sarebbe dovu-
to reintrodurre il concetto equivoco di «culto». Proprio nella descrizio-
ne della natura della liturgia data dal concilio si manifesta invece chiara-
mente il fatto che in ogni celebrazione e in ogni atto cultuale non solo
si compie il «culto» nei confronti di Dio, ma viene anche applicata la
salvezza all'uomo.
La parola <<liturgia» che viene dalla lingua greca (ÀctTOV[!yia, da
Àaoç, agg. Ài/troç e ieyov) è molto più appropriata, poiché può avere
entrambi i significati: «opera per il popolo» e «opera del popolo», ana-
logamente al concetto di opus Dei o alla parola tedesca Gottes-Dienst.

2.1.3. La liturgia si compie mediante segni pieni di senso

Come nella descrizione della natura della liturgia va accentuato il


contenuto interno della celebrazione religiosa, così non va dimenticato
che la liturgia ha anche una forma e una figura esteriori. E anche di
queste parla il concilio nella descrizione della natura della liturgia. Il
compimento del sacerdozio di Cristo, e cioè la santificazione dell'uomo
e la glorificazione di Dio151 avviene attraverso segni significanti. L'agire
liturgico si compie sotto segni sensibili che costituiscono la facciata
esterna della liturgia, la sua forma e la sua figura. L'agire liturgico non
si esaurisce certo nei significanti, ma esso non è possibile senza segni
sensibili - e qui si intendono tutti i segni percepibili con uno dei cinque
sensi.

150 Anche la denominazione dell'istituzione romana successiva al Consilium come


«S. Congregatio pro. cultu divino», cui si affiancava la «S. Congregatio pro disciplina Sa
cramentorum», e ancora più quella dell'istituzione che dall l l luglio 1975 unificava le
1

due in un unica «S. Congregatio pro sacramentis et cultu divino» fu infelice. Lo stesso
1

dicasi della «Congregatio de cultu divino et disciplina sacramentorum» istituita dal 1°


marzo 1989. Ciò vale anche per le deliberazioni parallele del sinodo comune delle dioce-
si della Repubblica federale tedesca (1971 1975) sulla «celebrazione liturgica» e «fulcro
dell'attuale pastorale dei sacramenti».
151 Non solo la santificazione dell'uomo, come si afferma nel CIC del 1983, canone
834 § 1. Anche il titolo del libro IV del CIC è riduttivo. Anziché essere De ecclesiae
munere sacerdotali, e cioè riferirsi sia alla santificazione che alla glorificazione di Dio,
designa soltanto il primo aspetto, De ecclesiae munere sancti/icandi, benché il libro poi
par li di entrambi.
VERSO LA RIFORMA LITURGICA 249

I segni significanti sono necessari per la celebrazione liturgica:


- per ragioni antropologiche, poiché l'uomo, in quanto essere corpo-
reo e psichico, dotato di spirito, entra in relazione con il suo ambiente
tramite il corpo ed è questo che comunica al suo spirito la conoscenza
dell'ambiente;
- per ragioni cristologiche, poiché Cristo, il verbo di Dio fattosi car-
ne (cfr. Gv 1,14) a immagine del Dio invisibile (cfr. Col 1,15), è il vero
agente della liturgia;
- per ragioni ecclesiologiche, poiché la chiesa è il sacramento fonda-
mentale in cui si radicano i sacramenti donati da Cristo, sacramento ori-
ginario, cioè segni efficaci che comunicano la salvezza invisibile che vie-
ne da Dio procurando così la salvezza dell'uomo.

Senza segni visibili, udibili e percepibili all'olfatto, al gusto e al tat-


to, la liturgia sarebbe non solo non umana, ma anche non cristiana e
non ecclesiale.
È importante tuttavia che i segni visibili, come pure quelli percepibi-
li all'olfatto, al gusto e al tatto, nonché quelli udibili, si integrino152 • Un
atto visibile o palpabile (come ad esempio l'imposizione delle mani) re-
sta ambiguo se non viene precisato attraverso la parola. Ma le parole da
sole possono deformare la realtà o almeno esprimerla meno chiaramente
(come ad esempio una predica su «Cristo, luce» nella notte pasquale),
se non vengono chiarite da segni visibili (l'accensione del cero pasquale
e delle candele). Per questo la costituzione liturgica usa la coppia con-
cettuale «rito e parola» (art. 35) o «rito e preghiere» (art. 48).
Se i segni significanti fanno parte della natura della liturgia, allora
devono essere comprensibili affinché questa sia celebrata in un modo
che abbia senso. L'incomprensibilità avvicina la celebrazione liturgica al
campo della magia. L'uso della lingua viva nella liturgia (cfr. artt. 36,
54, 63a, 101) è la norma suprema derivata dall'importanza recentemente
riconosciuta ai segni significanti. Alla lettura e spiegazione della Parola
di Dio, conformemente alla sua importanza, si deve concedere uno spa-
zio più ampio (artt. 35, 51, 52, 92a). Per non incorrere nel pericolo di
«eccesso di parola» della celebrazione liturgica, si deve assicurare lo
spazio dovuto al «sacro silenzio» (art. 30); ma non ci si riferisce qui alla
calma che si viene a creare in quella parte della messa che si com pie
mediante la preghiera sommessa del ministro, bensì del silenzio comune

l52 È chiaro che le parole sono da distinguere e considerare a parte rispetto agli al-
tri segni, perché esse, in qualità di Parola di Dio e parole umane di preghiera e canto
sono i segni più frequenti nella liturgia.
250 IL CONCILIO ADULTO

di tutti quelli che celebrano la liturgia. È altrettanto importante compie-


re gli altri segni non nella forma minimale, appena sufficiente per la
loro efficacia, ma in una forma immediatamente comprensibile e che
non necessiti di troppe spiegazioni (art. 34 ). Difficilmente due gocce
d'acqua gettate sulla testolina di un neonato possono essere intese còme
«lavacro di rigenerazione» (Tt 3 ,5). Alla parola del Signore «prendete e
mangiatene tutti» non si adempie quando si distribuisce regolarmente il
pane eucaristico custodito nel tabernacolo già prima della messa. (art. 55
§ 1). La regolare rinuncia ad offrire la comunione al calice alla comuni-
tà, si configura come una disobbedienza di fronte alla parola del Signo-
re: «Prendete e bevetene tutti» (art. 55 § 2).
Dobbiamo richiamare l'attenzione ancora su una debolezza presente
nella descrizione conciliare della natura della liturgia: il tanto deplorato,
e a ragione, oblio dello Spirito della teologia occidentale. Il patto tra
Dio e gli uomini viene attualizzato non solo attraverso Cristo, ma anche
nello Spirito Santo, che è presente sia nell'opera sacerdotale di Gesù sia
in quella della chiesa. La chiesa celebrante si rivolge al Padre attraverso
Cristo nello Spirito Santo.

2.2. La comunità soggetto della celebrazione liturgica

La chiesa è, per sua natura, ÈuuA:YJata, e cioè assemblea. Essa vive


nelle e delle sue assemblee liturgiche153 , perché <<la chiesa di Cristo è ve-
ramente presente in tutte le legittime assemblee locali di fedeli che, ade-
rendo ai loro pastori, sono anch'esse chiamate chiese nel Nuovo Testa-
mento» (LG 26). Certo, già nel Nuovo Testamento, è chiamata
È'XXÀYJaia non solo la singola comunità (ad es. At 8,1 e 14,23 ), ma an-
che la totalità delle comunità di un vasto territorio (ad es. At 9,31) e di
tutto il mondo (ad es. Mt 16,18, lCor 12,28, Ef 1,22, Col 1,88). L'as-
semblea liturgica è dunque talmente caratterizzante per il' cristianesimo
che anche quando si parla di cristiani di diverse comunità (chiese locali,
«confessioni») o di tutti i cristiani che vivono da qualche parte nel mon-
do, questi sono designati come «assemblea» (ÈuUAYJata). In realtà a ce-
lebrare la liturgia non è mai tutta la chiesa universale o tutta la chiesa
locale. Piuttosto, quando una comunità celebra la liturgia si tratta sem-
pre di una celebrazione della chiesa locale e della chiesa universale. Per-

Cfr. su questo R. KACZYNSKI, Erneuerung der Kirche durch den Gottesdienst, in


153
Th. Maas Ewerd (hrsg.), Lebt unser Gottesdienst? Die bleibende Aufgabe der Liturgiere-
/orm, Freiburg Basel-Wien 1988, pp. 15-37, ivi pp. 16-19.
VERSO LA RIFORMA LITURGICA 251

ché «ogni legittima celebrazione dell'eucaristia viene diretta dal vesco-


vo» (LG 26), che da parte sua è membro del collegio dei vescovi al cui
interno il vescovo di Roma occupa il primo posto. Così ogni comunità,
al momento della celebrazione liturgica, si pone in relazione con il suo
vescovo e con il vescovo di Roma, il papa. Per questo il papa e il vesco-
vo, sono chiamati per nome nel momento più importante della celebra-
zione, la preghiera eucaristica, e di nuovo anche nelle intercessioni dei
vespri. Perché ogni funzione religiosa viene celebrata «nella comunità
con tutta la chiesa» (communicantes). Certo la liturgia non esaurisce
l'azione della chiesa (cfr. l'art. 9), ma essa ne è culmine e fonte (cfr. art.
10). Perciò la chiesa nella celebrazione liturgica, e in tutto ciò che vi
conduce e ne deriva, deve manifestarsi e divenire comprensibile.

2.2.1. Celebrazione liturgica celebrazione di tutta la comunità

Tra le «norme derivanti dalla natura gerarchica e comunitaria della


liturgia» (artt. 26-32) stabilite dalla costituzione liturgica, occupa il pri-
mo posto quella che colloca nel suo diritto originario la comunità riuni-
ta per la celebrazione della messa, in quanto rappresenta la chiesa in un
luogo (cfr. art. 42), assegnandole il ruolo di soggetto attivo della cele-
brazione liturgica:
Le azioni liturgiche non sono azioni private, ma celebrazioni della chiesa, che è «Sa-
cramento di unità», cioè popolo santo radunato e ordinato sotto la guida dei vescovi.
Perciò appartengono all'intero corpo della chiesa, lo manifestano e lo implicano; i singo-
li membri poi vi sono interessati in diverso modo, secondo la diversità degli stati, degli
uffici e dell'attuale partecipazione (art. 26).

Con questo si opponeva un sostanziale rifiuto alla liturgia del clero


così come essa si era sviluppata dagli inizi del Medioevo. Celebra la li-
turgia non solo la guida clericale della comunità, e in particolare il sa-
cerdote consacrato; ma tutta la comunità riunita per la celebrazione li-
turgica ha «diritto e dovere» di compierla con una «piena, consapevole
e attiva partecipazione» (cfr. art. 14)154 • Tutti i servizi liturgici che non

l54 Il testo del ere del 1983 è quanto meno ambiguo quando spiega che il culto
ufficiale «si realizza quando viene offerto in nome della Chiesa da persone legittimamen-
te incaricate e mediante atti approvati dall'autorità della Chiesa» (can. 834 § 2). Se per
incarichi legittimi si intende battesimo e cresima, il senso della frase è evidente. Ma lo si
sarebbe potuto anche esplicitare. La formula del can. 834 § 2 fa chiaramente pensare a
incarichi particolari. Una cosa del genere non serve per la celebrazione del culto in ge-
nerale, ma sempre e soltanto per uffici particolari.
252 IL CONCILIO ADULTO

spettano a degli incaricati non devono essere intesi nel senso della esclu-
sione dal sacramento dell'ordine. Devono piuttosto essere considerati
compiti che spettano fondamentalmente ad ogni cristiano in forza del
battesimo e della cresima, anche se per determinati uffici deve essere
conferito un incarico formale dal vescovo o da un sacerdote. 1 mini- 1

stranti dunque non sono un «clero minore», come suggerirebbe la loro


denominazione italiana, «chierichetti», o «piccolo clero». Lettori e acco-
liti non sono soggetti appartenenti al clero, ordinati secondo un grado
inferi ore; il coro parrocchiale non svolge la funzione del coro dei mona-
ci o dei chierici, ma è parte della comunità. Pio x· aveva certo dichiara-
to che «i cantori hanno in chiesa vero officio liturgico», ma subito dopo
aveva aggiunto «che però le donne, essendo incapaci di tale officio, non
possono essere ammesse a far parte del coro o della cappella musica-
le»155. La partecipazione delle donne ai cori parrocchiali fu riconosciuta
precisamente solo nel 1958 156, e la costituzione liturgica dice solo che
anche i membri delle scholae cantorum, e tra questi anche le donne,
«svolgono un vero ministero liturgico» (art. 29). La distinzione tra laici
uomini e donne, quando i laici possono assumere particolari ministeri,
ad esempio di lettore e accolito, non è teologicamente fondata.

2.2.2. La celebrazione liturgica celebrazione di una comunità articolata

La comunità riunita per la celebrazione liturgica è chiesa, e di essa


può dirsi tutto quanto si dice della chiesa - è popolo di D~o, corpo di
Cristo, tempio dello Spirito Santo -, perciò, essa è immagine di tutta la
chiesa, di quella celeste e di quella terrena. F'-ssa è immagine della chiesa
anche nell'essere una comunità articolata. E posta sotto la guida di un
vescovo o, in sostituzione e per incarico di questo, di un sacerdote. Il
sacerdozio ministeriale di questo, conferito attraverso l'ordinazione, dif-
ferisce, nell'essenza e non solo nel grado, dal sacerdozio comune, cui
partecipano tutti i fedeli in virtù del battesimo e della cresima. Tuttavia
sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune sono ordinati l'uno all'altro,
poiché ciascuno partecipa nel suo modo proprio all'unico sacerdozio di

Pro X, Tra le sollecitudini (motu proprio, De musica sacra, 22 nov. 1903 ), in A.


l55
BUGNINI, Documenta pontificia ad instaurationem liturgicam spectantia [1] (1903-1953),
Roma (Bibliotheca «Ephemerides liturgicae». Sectio pratica 6) 1953, pp. 10 26, ivi p. 21.
15 6 Cfr. CONGREGAZIONE DEI RITI, Instructio de musica sacra et sacra liturgia, 3 set-
tembre 1958, n. 100, in A. BUGNINI, Documenta pontificia ad instaurationem liturgicam
spectantia [2] Ah anno 1953 ad annum 1959 (Bibliotheca «Ephemerides liturgicae». Sec-
tio pratica 9), Roma 1959, pp. 71-102, ivi p. 98.
VERSO LA RIFORMA LITURGICA 253

Cristo (LG 10 ). Alla guida sacerdotale della celebrazione liturgica assiste


il diacono.
Anche i laici svolgono particolari ministeri facendo letture e canti,
aiutando nella distribuzione della comunione, servendo chi presiede la
celebrazione liturgica e all'altare. Contrariamente all'uso preconciliare,
secondo cui il sacerdote celebrante doveva anche leggere tutto quello
che altri leggevano e cantavano nella celebrazione liturgica, come se solo
così quelle parti divenissero valide, la costituzione liturgica stabilisce che
ciascuno «svolgendo il proprio ufficio, compia soltanto e tutto ciò che,
secondo la natura del rito e le norme liturgiche, è di sua competenza»
(art. 28). Con la cooperazione di sacerdote e comunità, diacono e mini-
stranti, cantori e lettori, e nel contributo di ciascuno alla santificazione
del proprio fratello cristiano e alla glorificazione di Dio, si svolge vera-
mente la celebrazione liturgica della chiesa 157 . Quanti celebrano il culto,
mostrandosi come comunità articolata, divengono immagine della chiesa.

2.2.3. La partecipazione attiva alla celebrazione liturgica

La riscoperta del significato della comunità rende chiaro quanto la


costituzione liturgica dice dei riti in generale: ogni volta che essi «com-
portano, secondo la particolare natura di ciascuno, una celebrazione co-
munitaria con la presenza e la partecipazione attiva dei fedeli, si faccia
capire bene che questa è da preferirsi, per quanto è possibile, rispetto
alla celebrazione individuale e quasi privata degli stessi» (art. 27). Qui si
riprende il concetto di partecipazione attiva (actuosa participatio) posto
da Pio X sul cammino del movimento liturgico all'inizio del XX seco-
lo158, che percorre la costituzione liturgica come un filo conduttore e ri-
torna anche in documenti successivi. All'interno di questi viene utilizza-
ta una serie di altri aggettivi che caratterizzano la celebrazione in comu-
ne innanzitutto dal punto di vista concettuale - comunitario, vero, au-
tentico, adeguato, consapevole, cosciente, interno ed esterno, vivente,
pio,. pieno, perfetto -, ma anche in ordine alla sua necessità e frequenza
-:- dovuto, frequente - e ai suoi esiti - efficace, fecondo 159 .
La semplice presenza alla celebrazione liturgica non sarebbe «parte-
cipazione» nel senso della costituzione liturgica. Probabilmente in molti

157 Cfr. }UNGMANN, Kommentar zur Liturgienkonstitution, cit., p. 36.


158 Cfr. supra, n. 139.
l59 Cfr. F. KOHLSCHEIN, Bewuf.,te, tatige und /ruchtbringende Teilnahme, in Lebt un
ser, cit., pp. 38-62.
254 IL CONCILIO ADULTO

luoghi il numero dei «partecipanti» alla celebrazione dopo la pubblica-


zione della costituzione liturgica è calato, poiché non tutti hanno aderito
ad una partecipazione impegnata e realmente comunitaria alla liturgia·~

2.3. L'ordinamento giun:dico della liturgia

Con il CIC del 1917 il diritto dei vescovi di legiferare in materia li-
turgica veniva escluso dall'ordinamento giuridico della chiesa latina. Il
diritto liturgico diventava unicamente diritto pontificio. Tutto quanto re-
golavano i vescovi rientrava allora nella pietà popolare. I vescovi non
potevano più curare la pubblicazione di formulari o libri liturgici, come
era ancora possibile nel XIX secolo. Autorità ecclesiastica era sinonimo
di autorità pontificia. Inoltre non si teneva in nessuna considerazione il
diverso ordine di importanza dei diversi testi e rubriche: a tutti i testi li-
turgici e a tutti i particolari delle rubriche veniva attribuito lo stesso
grado di obbligatorietà.
Al tempo del movimento liturgico emerse, accentuandosi nella fase
preparatoria del concilio, l'istanza di decentramento della legislazione li-
turgica. Fu Jungmann ad impegnarsi, già nella commissione preparatoria
del concilio, perché anche al vescovo venisse riconosciuto il diritto di
ordinare la liturgia O· - detto con altre parole - venissero riconosciute
come liturgiche anche le celebrazioni ordinate dal vescovo, come ad
esempio la processione del Corpus Domini. La cosa falli per le resisten-
ze opposte all'interno della commissione 160•
Anche la ~ostituzione liturgica, purtroppo, non deliberò in modo dav-
vero chiaro. E vero che essa, per un verso, nell'art. 22 § 1 dice che rego-
lare la liturgia compete all'autorità della chiesa, e precisamente all'autori-
tà apostolica e, a norma del diritto, al vescovo diocesano. Ma nel punto
in cui descrive le celebrazioni regolate dal vescovo (art. 13) non pone
queste ultime nella categoria «liturgica», ma le definisce «sacri esercizi
delle chiese particolari» («sacra ecclesiae particularis exercitia»). Si tratta
di qualcosa che è prossimo alla liturgia, qualcosa che si situa, per così
dire, tra la liturgia e i cosiddetti «esercizi devoti» (pia exercitia), che pos-
sono essere compiuti anche privatamente. Questi i termini in cui viene
riconosciuto al vescovo il diritto di ordinare la liturgia.
Questa esclusione delle celebrazioni liturgiche regolate dal vescovo
dal campo della liturgia si spiega certamente anche con il fatto che la
costituzione liturgica fu discussa e pubblicata all'inizio del concilio, pri-

l60 Cfr. }UNGMANN, Kommentar zur Liturgienkonstitution, cit., p. 27 s.


VERSO LA RIFORMA LITURGICA 255

ma che la chiesa divenisse oggetto di riflessione approfondita. Nella


chiesa si vedeva solo la chiesa universale e non ancora la chiesa locale.
Perciò anche nell'assemblea conciliare non si era ancora pronti a desi-
gnare come «celebrazioni della chiesa», come liturgia, tutte le celebra-
zioni pubbliche, ma si restava ancora legati all'idea che quando si dove-
va celebrare la liturgia, spettava in ogni caso alla sede apostolica interve-
nire con ordinamenti e approvare i libri. Per questo aspetto il ere del
1983 è andato un po' oltre la costituzione liturgica e ha stabilito, tenen-
do conto di quanto chiaramente espresso nella costituzione dogmatica
sulla chiesa, che «al vescovo diocesano nella chiesa a lui affidata spetta,
entro i limiti della sua competenza, dare norme in materia liturgica, alle
quali tutti sono tenuti» (can. 83 8 § 4 ).
Per concludere, quanto al significato della costituzione liturgica, è
certo che essa ha fatto chiarezza: la liturgia è la più importante autorap-
presentazione e l'espressione centrale di vita della chiesa, certamente
non l'unica. Ma essa è «culmine verso cui tende l'azione della chiesa» e
<dante da cui promana tutto il suo vigore» (art. 10).

3. L'inizio della riforma liturgica post-conciliare

Molti nella chiesa avevano atteso con impazienza l'approvazione del-


la costituzione liturgica, tanto più che qualcuno aveva sperato che venis-
se approvata già alla fine del primo periodo. Adesso non pochi pensava-
no che, con l'evento del 4 dicembre 1963, ogni sacerdote avesse la pos-
sibilità di cambiare la liturgia celebrata sotto la sua presidenza «nel sen-
so del concilio». A molti già la vacatio legis sembrava troppo lunga.
Anni dopo si tornò ad esprimere l'opinione che la riforma liturgica era
arrivata «troppo rapidamente» e che inoltre aveva, con le sue realizza-
zioni graduali, chiesto troppi cambiamenti alle comunità, che sarebbe
stato meglio rinnovare prima tutti i libri liturgici per poi pubblicarli tut-
ti insieme: ma questo dimostra solo l'ignoranza delle aspettative e delle
speranze di quel tempo. Per questo Paolo VI desiderava pubblicare i
primi provvedimenti di riforma, per quanto possibile, il giorno stesso
dell'approvazione e promulgazione della costituzione161 • Questo deside-
rio del papa non fu esaudito - sempre per qualche motivo. Si compren-
de dunque perché Paolo VI, nel suo discorso nel giorno dell'approva-
zione della costituzione liturgica, dopo avere espresso con entusiasmo la
sua gioia per questo avvenimento, ammonisse:

161 Cfr. gli autori citati alla n. 170.


256 IL CONCILIO ADULTO

Perché ciò sia [il rinnovamento della liturgia] desideriamo che nessuno attenti alla
regola della preghiera ufficiale della chiesa con riforme private o riti singolari, nessuno si
arroghi di anticipare l'applicazione arbitraria della costituzione liturgica, che Noi oggi
promulghiamo, prima che opportune e autorevoli istruzioni siano a tale proposito ema-
nate, e che le riforme, alla cui preparazione dovranno attendere appositi organi post
conciliari, siano debitamente approvate. Nobiltà della preghiera ecclesiastica è la sua co
rale armonia nel mondo: nessuno voglia turbarla, nessuno offenderla162.

La stessa preoccupazione assillava i vescovi: così ammonivano i ve-


scovi germanofoni il loro clero sempre il 4 dicembre 1943: «Disciplina
nelle cose liturgiche [. ..] "Nihil sine episcopo.'". Abbiamo aspettato a
lungo, ora pazienteremo ancora un po' e lasceremo ai vescovi il tempo
per giudicare serenamente» 163 • Per capire la situazione che provocava di-
chiarazioni di questo genere, nonché l'inizio della riforma liturgica che
seguì, relativamente viscoso e in un primo momento deludente, dobbia-
mo parlare anche di quanto accadde a margine dell'evento conciliare.

3 .1. Attività in vista della riforma liturgica

Durante la prima riunione della commissione liturgica conciliare, il


21 ottobre 1962, fu annunciata la nomina di F. Antonelli come segreta-
rio. Inoltre il presidente della commissione, Larraona, nominò i cardinali
P. Giobbe e A. Jullien, nominati nella commissione dal papa, come suoi
vice. Vi fu non solo grande meraviglia per il fatto che Bugnini, unico tra
i segretari di una commissione preparatoria, non fosse stato nominato
segretario della corrispondente commissione conciliare - allo stesso tem-
po gli era anche stata tolta la cattedra di scienze liturgiche all'Università
del Laterano -, ma anche non poco stupore per il fatto che l' arcivesco-
vo di Bologna, Lercaro, il membro più anziano e l'unico eletto nella
commissione dai padri conciliari, nonché noto esperto di questioni litur-
giche, venisse escluso dall'ufficio di vice-presidente. A ragione, dietro
queste decisioni sulle persone, furono viste le forze curiali164 • Affinché,
dopo la promulgazione della costituzione liturgica, la scelta delle perso-
ne andasse diversamente, furono fatti con tempestività i passi necessari.
Poiché, in considerazione dell'accuratezza della preparazione dello
schema liturgico, si era del parere che lo si potesse varare definitivamen-
te alla fine di questo periodo conciliare, evidentemente quegli uomini,

162 AS II/6, p. 565 s.


163 Pastorale der deutschsprachigen Bischofe an ihren Klerus, in LENGELING, Die
Konstitution des Zweiten, cit., p. 11.
164 Cfr. BUGNINI, La riforma, cit., p. 41. Che analoghi problemi si presentassero an-
VERSO LA RIFORMA LITURGICA 257

che sino ad allora non erano entrati m azione, si preoccuparono del


modo in cui procedere per il rinnovamento liturgico dopo la promulga-
zione della costituzione. Vi è uno seri tto destinato a Lercaro, Appunto
per una «Pontificia Commissione liturgica» post-conciliare, non datato né
firmato dall'autore.
Per prima cosa, l'autore illustra il lavoro della commissione di rifor-
ma istituita da Pio XII nel 1948, per poi spiegare la propria idea di
commissione liturgica post-conciliare. Questa dovrebbe essere autono-
ma, sul tipo di quelle preparatorie, dinamica - e cioè dovrebbe poter la-
vorare rapidamente e non dovrebbe avere come membri funzionari della
curia - e di carattere internazionale. Viene poi descritto dettagliatamen-
te il metodo di lavoro - sembra di sentire il futuro segretario del Consi-
lium - e si preventiva per la riforma un minimo di cinque anni, se non
ottoI65.
Il 9 novembre 1962 alcuni periti della commissione liturgica indiriz-
zarono un testo al segretario di Stato, Amleto G. Cicognani. L'autore,
che scrive a nome di un «gruppo dei "periti"», si lamenta per l'ineffica-
cia del modo di procedere della commissione. Prega pertanto di mettere
fretta a Larraona fissando i giorni della discussione in aula delle propo-
ste di emendamento di tutti i capitoli. Si propone. inoltre di affidare la
guida della commissione a Lercaro, pur restandone Larraona il presi-
dente ufficiale. Infine, si prevede, dopo l'approvazione della costituzio-
ne, l'insediamento di una commissione post-conciliare per la sua attua-
zione. Questa doveva mettersi subito al lavoro e doveva essere costituita
da un presidente - l'autore propone Bea o Confalonieri, pensa quindi,
evidentemente, solo a cardinali di curia -, una ventina di vescovi e 50
esperti. Alla fine si poneva il problema, evidentemente posto allo stesso
autore, se, nel caso di una approvazione solo parziale, non si dovessero

che in altre commissioni conciliari, è mostrato chiaramente da due lettere al papa, in re


!azione tra loro, scritte negli ultimi giorni di ottobre: una redatta in francese (datata 25
ottobre 1963) e sottoscritta da padri conciliari francofoni; l'altra in inglese (non datata),
firmata da padri conciliari di lingua inglese. In esse, tra l'altro, si esigeva che il presiden
te di una commissione conciliare non fosse il prefetto o il segretario di una congregazio-
ne romana, e che il vicepresidente e il segretario ricevessero l'incarico solo in seguito ad
una votazione di tutta la commissione: dr. F-Lercaro, XXIII 541 e 540.
165 Cfr. F-Lercaro, I 24. Nell'inventario dell'archivio conciliare di Lercaro però se
ne indica l'autore in Bugnini e come periodo di redazione quello successivo al 31 otto-
bre 1962. Che l'autore sia Bugnini è evidente dal contenuto. Probabilmente resta qual-
che dubbio sulla datazione, ma poiché una serie di indizi sembrerebbe confermarla, è a
questo punto che si deve parlare del documento. Per questo il testo può essere stato
scritto già nel 1962; cf r. infra, nn. 184 e 185.
258 IL CONCILIO ADULTO

fare approvare almeno alcuni principi generali della riforma del concilio,
ma lo si sconsigliava166.
Per ragioni di contenuto e di stile non poteva esservi alcun . . dubbio
che anche l'autore di questa lettera non firmata fosse Bugnini. E molto
probabile, giacché questi aveva una certa familiarità con il cardinale· se-
gretario di Stato, che era fratello del card. Gaetano Cicognani (t 5 feb-
braio 1962), presidente della commissione liturgica preparatoria167 . Un
confronto di questa lettera con il promemoria inviato da Lercaro l' 11
novembre 1962 al sostituto della segreteria di Stato, A. Dell'Acqua, per-
mette di rendersi conto che il secondo fu chiaramente influenzato dalla
lettera o per lo meno dal suo autore 168 .
Il 10 ottobre 1963 in un luogo chiamato da H. Jenny «atelier liturgi-
que international», si svolse un incontro in cui si parlò dell'istituzione di
una commissione post-conciliare (Commissio postconciliaris). Ci si voleva
rivolgere ai moderatori, e forse anche al papa, con la preghiera di inse-
diare questa commissione già prima che i padri conciliari si separassero.
La questione non avrebbe dovuto essere affidata alla congregazione dei
riti. Della commissione dovevano far parte non solo degli esperti, ma
anche dei vescovi. Il suo presidente non doveva essere Larraona, che
non poteva attuare alcuna riforma liturgica. Ma non vi era neanche nes-
sun altro cardinale nella curia. La cosa migliore sarebbe stata affidare
questo incarico a Lercaro 169.
Sempre il 10 ottobre 1963, Paolo VI, in un'udienza ai moderatori,
espresse il suo desiderio che alla fine del secondo periodo conciliare ve-
nissero emanate le prime norme di attuazione della costituzione liturgi-
ca, e incaricò Lercaro della elaborazione di un documento appropria-
to170. Il giorno dopo Lercaro parlò del piano del papa con Bugnini,
chiedendogli di indicare i nomi di un gruppo di esperti che potessero
collaborare al progetto.
166 Cfr. F Lercaro, I 5.
167 L autore conosce, per avervi collaborato cinque anni, il modo di Bugnini di ela
1

borare i piani e il suo intuito nell'attuarli. Decisamente tipica sembra la penultima frase,
in cui egli si scusa per la franchezza di quanto scritto ed esprime la sua opinione «che
la schiettezza e la rettitudine di intenzione non hanno mai nuociuto alla soluzione dei
problemi, ma l'agevolano».
168 Cfr. F-Lercaro, I 6c.
l69 Cfr. gli appunti manoscritti di Jenny presso l'archivio del1 1ISR. Jenny formulava
la richiesta il 15 ottobre 1963 in una lettera a Lercaro.
170 Cfr. Ldc, p. 177 s.; BUGNINI, La riforma, cit., p. 65; W AGNER, Mein Weg zur I.i-
turgienreform 1936 1986. Erinnerungen, Freiburg Basel Wien 1993, p. 78; MARINI, Le
premesse della grande riforma (ottobre dicembre 1963), in Costituzione liturgica «Sacrosan-
ctum Concilium»1 cit., p. 78. Per quanto segue cfr. BUGNINI, La riforma1 cit., p. 65 s. e
soprattutto MARINI, Le premesse, cit., pp. 78 101.
VERSO LA RIFORMA LITURGICA 259

Con il conferimento di questo incarico, non solo a Lercaro era stato


affidato un compito rispondente alla sua personalità e alle sue capacità,
ma lo stesso Bugnini aveva ricevuto una certa riabilitazione. Già il 12
ottobre 1963 a Priscilla, residenza romana di Lercaro, vi fu un incontro
degli esperti segnalati da Bugnini insieme a Bugnini stesso, per una pri-
ma discussione e per lassegnazione dei compiti. Si trattava di Bo net,
Dirks, Jungmann, Martimort, McManus, H. Schmidt, Vagaggini e Wa-
gner. I primi incontri di lavoro di questi esperti si svolsero presso Va-
gaggini, a S. Gregorio al Celio, il 19 e 20 ottobre 1963: essi dovettero
accettare che le loro troppo voluminose proposte venissero innanzitutto
abbreviate 171 • Furono fissati altri incontri per il 25 e 26 ottobre, e quello
conclusivo per il 30 ottobre.
Secondo i piani originari il documento doveva essere ultimato il 1°
novembre. Perciò una prima bozza deve essere esistita già il 20 ottobre.
Nei giorni successivi Bonet doveva rielaborare la bozza secondo le os-
servazioni degli esperti. La seconda bozza deve avere previsto un docu-
mento del pontefice in due parti: e cioè, un motu proprio in cui affron-
tare questioni giuridiche - se ne fissava anche la prima parola, Primitiae -,
e una istruzione con le disposizioni pratiche. Con lo schema del 1° no-
vembre 1963 il gruppo aveva concluso il suo lavoro. Evidentemente tut-
tavia, e intenzionalmente, a questo punto si volle coinvolgere nel lavoro
anche lo stretto collaboratore del papa, G. Bevilacqua, che esaminò la
bozza a lungo. Il 21 novembre 1963 deve essere stata ultimata la versio-
ne definitiva di un motu proprio (Litterae apostolicae motu proprio da-
tae, quibus normae ac leges quaedam constitutionis conciliaris De sacra Li-
turgia statim exsequendae dicuntur) che iniziava con la parola Primitiae,
e di un'istruzione allegata (Instructio de instaurationis liturgicae elementis
statim ad ef/ectum adducendis) 172 • Secondo Bugnini sarebbe stata conse-
gnata al papa già il 21 novembre 1963, mentre Lercaro raccontava di
aver lavorato il 24 novembre con Bugnini per «preparare al S. Padre le
innovazioni liturgiche possibili a farsi subito»173 •

171 I nomi citati da Marini (p. 79) sono confermati da Jungmann; cfr. JT, 12, 13,
19 e 20 ottobre 1963. Jungmann dovette accettare a malincuore che il suo progetto per
una prima riforma della messa, di cui aveva discusso con Wagner il 13 ottobre 1963, ve
nisse fortemente ridotto da Bugnini; ma dovette anche constatare che nei giorni succes-
sivi i progetti preparati da F. McManus e C. Vagaggini per le prime riforme dei sacra
menti e dei sacramentali furono «criticati con analoga pignoleria».
172 Cfr. i testi pubblicati da MARINI, Le premesse, cit., pp. 97-101. Secondo un'altra
fonte Lercaro avrebbe consegnato al papa almeno l'istruzione gi~ il 7 novembre 1963, in
qualità di proposta: F-Dopfner, AKT 1 Conc VII SQ nr. 17. E certo che quel giorno
Lercaro fu dal papa: cfr. Ldc, p. 208.
173 Ldc, p. 234; probabilmente qui si tratta di cambiamenti neila versione conse-
260 IL CONCILIO ADULTO

Il motu proprio conteneva sei disposizioni: 1) i principi della costi-


tuzione devono essere immediatamente portati a conoscenza dei fedeli;
2) per i primi passi concreti della riforma si deve fare riferimento al-
l'istruzione; 3) fino a nuove disposizioni, i libri liturgici mantengono la
loro validità; 4) si deve citare alla lettera l'articolo 22 § 1 e § 3; 5) va
chiarito a quali raggruppamenti di vescovi ci si riferisce nell'articolo 22
§ 2; 6) il primo giorno di decorrenza delle nuove disposizioni è fissato
al prossimo Natale174 .
L'istruzione entrava nel merito di alcuni articoli della costituzione, in
particolare quelli relativi alla messa (artt. 50, 53, 54 e 57), alla celebra-
zione degli altri sacramenti e sacramentali (artt. 63b, 66, 69, 71, 74, 78 e
79), all'ufficio divino (art. 89) 175 •
La pubblicazione doveva seguire agli inizi di dicembre. Ma non si
riuscì. I retroscena del fallimento non sono noti, e forse neanche rile-
vanti. Secondo Bugnini era troppo tardi - comunque tutto era nelle
mani del papa un giorno prima dell'ultima votazione sullo schema litur-
gico! - perché il documento riuscisse ad avere l'approvazione definitiva,
con i cambiamenti richiesti, già prima della chiusura del secondo perio-
do. Forse erano troppi coloro nelle cui mani era giunta la <<Versione de-
finitiva» del 21 novembre e che avevano qualcosa da ridire in proposito,
o altri che cercavano intenzionalmente di ritardarne o addirittura impe-
dirne la pubblicazione.
P. Marini si chiede se tutta l'operazione Primitiae non si fosse per
questo dimostrata un insuccesso, ma lo nega per tre motivi 176 . Innanzi-
tutto divenne chiaro che era necessaria un'applicazione ampia della ri-
forma. Una pubblicazione dei due documenti, preparati frettolosamente,
avrebbe probabilmente creato più che risolto dei problemi; i tanti che
aspettavano una riforma più profonda e incisiva, sarebbero rimasti delu-
si177. Inoltre, emerse l'esigenza di costituire una commissione più nume-
rosa cui affidare l'organizzazione del lavoro. Gli esperti degli incontri
per il motu proprio Primitiae ritenevano necessaria una commissione in-
dipendente da uomini della curia e di composizione internazionale178 •

gnata al papa introdotti in seguito a qualche intervento proveniente da persone che solo
dopo il 21 novembre 1963 furono indotte ad interessarsi della cosa o cercarono inten
zionalmente di farla naufragare. Cfr., su1la vicenda, BUGNINI, La riforma, cit., p. 65 s.;
inoltre MARINI, Le premesse, cit., p. 79 s. e 97, che colloca l'ultima redazione al 24 no-
vembre 1963.
174 Cfr. MARINI, Le premesse, cit., p. 98 s.
175 Cfr. ibidem, pp. 99 101.
176 Cfr. ibidem, pp. 80-89.
177 Cfr. ibidem, p. 84.
178 Cfr. ibidem.
VERSO LA RIFORMA LITURGICA 261

Infine furono riconosciute le doti intellettuali e il talento organizzativo


di alcuni uomini, come Lercaro e Bugnini, cui affidare una promettente
attuazione della riforma. Soprattutto, in queste settimane si era creato
tra Lercaro e Bugnini un rapporto di accordo e reciproca fiducia che
proseguì negli anni successivi della riforma e risultò proficuo per que-
st'ultima. E ancora, Lercaro, in qualità di moderatore del concilio, e
Paolo VI si incontrarono con maggiore frequenza ed ebbero occasione
di parlare dei problemi inerenti all'attuazione della riforma. Il lavoro su
Primitiae contribuì sicuramente e in maniera decisiva al buon accordo
tra il papa, Lercaro e Bugnini. Alla fine il dinamismo e la capacità orga-
nizzativa di Bugnini fecero un'impressione tale da determinare una fidu-
ciosa disponibilità nei confronti del futuro lavoro di riforma179 •
Per questo allora, e probabilmente già da tempo, molti credevano
che a Bugnini sarebbe stata affidata la riforma liturgica post-conciliare.
Già il 29 ottobre 1963 Jungmann diceva a Bugnini che era quanto egli
«si prefiggeva da diverso tempo, e che quello era il posto giusto per
lui», mentre egli non voleva far parte della Commissio post conciliaris.
Ma Bugnini gli rispondeva che la sua partecipazione era cosa oramai de-
cisa tra lui e Lercaro180.
Quando il progetto Primitiae fu lasciato cadere, non si era tuttavia
ancora così avanti perché Lercaro e Bugnini riuscissero a prendere in
mano la cosa. Perché fosse così, si sarebbe dovuto innanzitutto affidare
loro un nuovo incarico: era oramai troppo tardi perché essi potessero
continuare a svolgere e portare a termine la preparazione del docu-
mento secondo il proprio orientamento e quello dei loro collaboratori.

3 .2. L'istituzione del «Consilium ad exsequendam constitutionem de sa-


cra liturgia»

Pare che Paolo VI, quando, dopo la pubblicazione della costituzione


liturgica nel dicembre 1963, fece redigere, sia al segretario della com-
missione liturgica conciliare che a Lercaro, un progetto per l'organizza-
zione della commissione post-conciliare per l'attuazione della riforma li-
turgica, avesse già deciso a chi affidare quest'ultima181 • Lercaro chiese a
Bugnini di stendere un progetto182 •

179 Cfr. ibidem, p. 88.


180 Cfr. JT, 29 ottobre 1963.
181 Cfr. MARINI, Le premesse, cit., p. 89.
. 182 Cfr. per quanto segue BUGNINI, La riforma, cit., p. 71-78; MARINI, Le premesse,
Clt., pp. 89-94.
262 IL CONCILIO ADULTO

Il progetto del segretario della commissione liturgica conciliare, An-


tonelli, presentato al papa il 19 dicembre 1963, constava di tre parti.
Nella prima si enumeravano quattordici gruppi di studio che si sarebbe-
ro dovuti istituire. Nella seconda si sviluppava un piano di organizzazio-
ne del lavoro. L'attività dei gruppi di studio doveva essere guidata da
una commissione ristretta, composta di cinque vescovi (i cardinali Larra-
ona e Lercaro e i tre vescovi residenziali F. Grimshaw, A. Martin e F.S.
Zauner) e 8 periti (F. Antonelli, P. Borella, A. Bugnini, A. Dirks, P.
Frutaz, A.G. Martimort, C. Vagaggini, J. Wagner). Riguardo al segreta-
rio, si pensava che le sue funzioni potessero essere assunte dal segretario
della commissione liturgica conciliare. Nella terza parte si descriveva la
composizione dei gruppi di studio enumerati nella prima.
Il progetto redatto da Bugnini viene descritto in modo diverso dallo
stesso Bugnini e da Marini. Bugnini fa una breve descrizione di quanto
aveva scritto a Lercaro nella seconda parte delle sue annotazioni proba-
bilmente redatte già nel 1962 183 : la commissione doveva essere autono-
ma, dinamica e internazionale. Secondo il progetto avrebbe dovuto esse-
re composta da una segreteria, coadiuvata da esperti, da una commissio-
ne vera e propria, composta tra venti e trenta vescovi e presieduta da
un cardinale, e da un'altra «supercommissione» di cardinali. Il lavoro
avrebbe dovuto essere eseguito da gruppi di studio cui sarebbe stata af-
fidata la riforma dei singoli libri liturgici, o la revisione, sotto determina-
ti aspetti, dei singoli schemi. Una particolare commissione di esperti
(Commissio executiva) avrebbe dovuto avere funzioni di coordinamento.
Il suo lavoro avrebbe dovuto essere presentato prima alla commissione
dei vescovi e quindi a quella dei cardinali, poi inviato alle conferenze
episcopali e infine presentato al papa. Se il lavoro fosse stato intrapreso
con decisione e dinamismo e fosse stato bene organizzato, poteva essere
svolto in cinque anni1 84 • Al progetto era accluso uno schema raffigurante
i diversi organi interessati alla riforma 185 .

183Cfr. BUGNINI, La rtforma, cit., p. 71 s.


184 A questo punto della descrizione del suo piano, Bugnini ripete un frammento di
frase che si trovava neila sua annotazione per Lercaro (F Lercaro I 24): «Tempo neces
sario per la riforma: cinque anni "posto che la commissione esecutiva si metta all'opera
con decisione, dinamismo e perfetta organizzazione"». Questo conforta l'ipotesi che
l'annotazione fosse stata redattfl già prima, forse proprio nel 1962, e che semplice-
mente confluisse nel progetto richiesto da Lercaro nel dicembre 1963. Nessun indizio
consente di anticipare sicuramente la genesi dell'annotazione al periodo in cui si lavorò
sul progetto del motu proprio Primitiae.
l85 Tale esposizione schematica si trova in F Lercaro, I 25 ed è datata dicembre
1963. Poiché tuttavia essa non corrisponde a quella descritta da Marini (p. 92), sembra
rimandare ad uno stadio precedente. In due pagine di appendice si trovano elencati i
VERSO LA RIFORMA LITURGICA 263

Marini, invece, insiste sul fatto che Bugnini nel suo progetto si limi-
tò a presentare un piano di lavoro. Anch'egli fa riferimento ad una raffi-
gurazione schematica. Il lavoro della commissione avrebbe dovuto svol-
gersi in due fasi: una prima in cui avrebbero dovuto essere rinnovati il
breviario, il messale, il pontificale e il rituale; una seconda in cui, oltre
al rinnovamento del cerimoniale dei vescovi e del martirologio, ci si sa-
rebbe dovuti occupare della elaborazione di un codice di diritto liturgi-
co1s6.
Bugnini si rese conto dell'impressione fatta sul papa dai due progetti
per il fatto che il 3 gennaio 1964 fu convocato presso il segretario di
Stato Cicognani e ricevette la comunicazione che il papa lo aveva nomi-
nato segretario della commissione per l'attuazione della costituzione li-
turgica. A questa comunicazione orale seguì il 13 gennaio successivo il
documento di nomina ufficiale del segretario di Stato, in cui si può leg-
gere per la prima volta la nuova denominazione della commissione,
«Consilium ad exsequendam Constitutionem de sacra Liturgia». Nello
stesso documento si comunicano anche i nomi dei cardinali designati in
qualità di membri: Lercaro, Giobbe e Larraona. Costoro formavano, in-
sieme al segretario, il «gruppo costituente» del Conszlium187 •
Nelle prime norme attuative della costituzione liturgica pubblicate il
25 gennaio 1964, il motu proprio Sacram lz'turgzam, si fa riferimento alla
istituzione del Conszlium, senza tuttavia utilizzarne ancora il nome; ci si
limita invece a parlare della commissione «il cui compito principale sarà
di attuare nel modo migliore le prescrizioni della stessa costituz-ione su
la sacra liturgia»188 • Ciò può interpretarsi come segno del fatto che il
nuovo organismo liturgico non aveva molto a che vedere con il docu-
mento, il quale non diceva niente di più preciso neanche sulle sue com-
petenze. Due giorni dopo la pubblicazione del motu proprio (avvenuta
il 29 gennaio 1964 ), «L'Osservatore Romano» del 31 gennaio pubblica-
va i nomi dei tre membri designati dal papa e del segretario. Bugnini

nomi dei ve~covi che dovevano costituire la c?n_imissione liturgica1 come pure degli
e~pertl da cm doveva. essere .composta la «comm1ss10ne esecutiva». Poiché in questa lista
si .pre~ede .come presidente il card. Confalonieri, mentre il posto per il nome del segre
tar.10_ e lasciato vuoto, tale lista va datata certamente neJl'anno 1962 (cfr. la lettera di Bu-
gnm1 de~ ~ novembre ~962: ~-Lercaro, I 5, di cui si è già detto), come pure la schemati~
~a espos1~10ne cor;i la hsta de1 nomi che segue. Allora però si può anche ammettere che
1 ann1~taz10ne per il card. Lercaro (F-Lercaro, I 24) risalga al 1962.
6 Cfr. MARINI, Le premesse, cit., pp. 91 94.
187 Cfr. BUGNINI, LA riforma, cit., p. 60.
188 PAOL? .VI' motu prol?rio Sacram liturgiam, 25 gennaio 1964, <<AAS» 56 (1964),
PP· 139 1_44, 1v1 p. 1~0; Enchtrtdton documentorum instaurationù liturgicae, hrsg. von R
Kaczynsk1, Bd. I, Tarmo 1976, n. 179. ·
264 IL CONCILIO ADULTO

ammette di essersi messo immediatamente al lavoro dopo essere stato


investito dal segretario di Stato del compito dell'organizzazione del Con-
silium. Quando il «gruppo costituente» di quest'ultimo, già il 15 gen-
naio 1964, si incontrò per la prima volta sotto la presidenza di Lercaro,
uno dei punti importanti all'ordine del giorno era costituito dall'esame
della bozza del motu proprio Sacram liturgiam ad esso trasmessa 189 • Ma
Bugnini aveva già redatto un primo piano di lavoro per il Consilium e
lo aveva sottoposto alla discussione in questo stesso incontro.
Tutto si svolgeva a Roma ancora in segreto. Lo stesso giorno della
sessione pubblica in cui era stata promulgata la costituzione liturgica,
Bugnini, in qualità di direttore di «Ephemerides liturgicae», aveva chie-
sto ad alcuni suoi amici di collaborare ad un commentario della costitu-
zione. A Wagner fu chiesto di commentare gli articoli relativi al matri-
monio (nn. 77 e 78) e quello sulla revisione della legislazione sull'arte
sacra (n. 128), e di inviare il suo lavoro entro il 15 gennaio 1964. Ma a
questa data egli scriveva scusandosi perché non gli era stato possibile,
per ragioni di salute, rispettare i termini della consegna. Allo stesso tem-
po chiedeva informazioni sull'istruzione per l'attuazione della costituzio-
ne liturgica190 • Ancora prima che Bugnini potesse rispondere alla lettera
di W agner, la notizia della sua nomina a segretario del Consilium era ar-
rivata a Treviri, per cui Wagner, sempre dall'ospedale di Treviri, gli in-
viò un telegramma con i suoi auguri. Il 24 gennaio Bugnini gli scrisse
ringraziandolo del telegramma e, d'intesa con Lercaro, lo invitò a Roma
«per il 10 febbraio» per uno scambio di idee e per la programmazione
dell'attività dei gruppi di studio. Allo stesso tempo invitò a Roma anche
Martimort. Se il 10 febbraio non fosse stato possibile, l'incontro avrebbe
potuto svolgersi anche prima191 • Poiché Lercaro dovette rimandare il suo
viaggio a Roma, l'incontro di Wagner e Martimort con Bugnini si svolse
solo il 13 febbraio 1964. Nel pomeriggio del 14 febbraio vi fu poi un
incontro comune presso Lercaro192 •

189 Cfr. BUGNINI, La riforma, cit., p. 61 e 66.


190 Cfr. la lettera del 15 gennaio 1963: F-Wagner, Treviri. Wagner raccontava. spes-
so che a causa del faticoso lavoro durante il concilio, al suo rientro per alcune settimane
era del tutto esaurito. . . . ...
191 Cfr. il testo del telegramma di felicitazioni e la le.ttera d1 rtsp?sta dt Bugnmt m
F-Wagner, Treviri. La lettera, del 24 gennaio 1964, reca il nume~o ~t p~otocollo 21/~
ed è già su carta intestata del «Consilium ad exseq~endam Constltuttonem de sa~ra L~­
turgia», che aveva trovato la sua s~e _nel palazzo dt S. Marta; cfr. su q~e~t? .la d1spos1-
zione del segretario di Stato a Bugmnt: «lo metta dove vuole, ma non at rttt». BUGNINI,
La riforma, cit., p. 63. .
192 Cfr. la lettera di Bugnini a Wagner del 3 febbraio 1964 (prot. n. 5
6 /64) e 1·1 suo
VERSO LA RIFORMA LITURGICA 265

Il modo di procedere di Bugnini in queste settimane, ancora prima


che il Constl ium potesse cominciare il suo lavoro di riforma, durata sino
al 1975, al servizio del rinnovamento liturgico era tipico del suo attivi-
smo. Non appena riceveva un nuovo incarico, andava alla ricerca di
consulenti e collaboratori, per lo più trovandone di adatti. Gli tornava-
no utili una grande intelligenza e una conoscenza degli uomini. Per lui
era dunque naturale, nel momento in cui si doveva preparare il terreno
per il lavoro del Consilium, consultare i due esponenti dell'area lingui-
stica germanofona e francofona, il direttore del Liturgisches Institut
Trier, Wagner, e il direttore del Centre de pastorale liturgique, Marti-
mort193. Con entrambi aveva lavorato molto bene nella commissione pre-
paratoria del concilio, ed essi si erano mostrati pubblicamente suoi ami-
ci quando nel 1962 gli restò preclusa la responsabilità della commissione
liturgica conciliare e gli fu tolta la cattedra all'Università del Laterano.
Il giorno dopo il colloquio con Martimort e W agner, il 15 febbraio
1964, si incontrò il «gruppo costituente» del Consilium per la seconda
riunione, che fu anche quella conclusiva della sua attività. In quella oc-
casione fu nominato un primo gruppo di studio per la revisione del sal-
terio, che si riteneva sarebbe stata particolarmente lunga. Soprattutto si
discusse, e alla fine si approvò, all'unanimità, la lista delle persone da
proporre al papa come membri del Consilium. La lista fu consegnata al
papa che effettuò le nomine. I nomi dei 42 membri (10 cardinali, 28 ve-
scovi, un abate e 3 sacerdoti) furono pubblicati su «L'Osservatore Ro-
mano» del 5 marzo 1964. Solo a quel momento, sullo stesso giornale, si
annunciava che Lercaro era stato designato come presidente del Consi-
lium. Già 1'11 marzo 1964 vi fu una prima riunione di quest'ultimo, du-
rante la quale C. Confaloni eri fu nominato vicepresidente 194 .

biglietto dell' 11 febbraio con il quale doveva spostare l'incontro del 13 febbraio dalle 9
alle 11 a causa di un'altra riunione; probabilmente si trattava della stessa riunione della
congregazione dei riti cui prese parte anche Wagner (cfr. la lettera di Martimort a Ler
caro [F-Lercaro, XXV 715] e a Wagner [F Wagner, Treviri, vol. 37] del 21 febbraio
1964): F-Wagner, Treviri.
193 Bugnini non ripeté più l'errore fatto in occasione della nomina dei consultori
della commissione preparatoria, di escludere in un primo momento Martimort e Wa
gner. Allora egli aveva temuto che i due potessero avere un influsso troppo forte sulle
discussioni nella commissione (cfr. WAGNER, Mein Weg, cit., p. 52). Effettivamente Bu-
gnini a quel tempo, in quanto direttore di «Ephemerides liturgicae», aveva maggiore fa
miliarità con gli esponenti della scienza liturgica, più che con quanti lavoravano nella
pastorale liturgica, e rispetto ai quali non si credeva ancora all'altezza.
194 Secondo una lettera di Lercaro a Larraona nello stesso giorno deve esserci stato
un colloquio privato tra questi due cardinali sul piano di lavoro del Consilium: F-Lerca
ro XXV 719. ·
~66 IL CONCILIO ADULTO

Del Consilium facevano parte, oltre ai membri, anche due gruppi di


~sperti, i consultori (consultores) e i consiglieri (consiliarii). I consultori
venivano nominati per un lungo periodo, mentre ai consiglieri ci si ri-
volgeva a seconda dei casi. I consultori furono nominati sin dai primi di
marzo dal presidente del Consilium, Lercaro. La nomina fu loro comu-
nicata per iscritto con una lettera del segretario che li invitava al loro
primo incontro, dal 14 al 18 aprile 1964, mentre le litterae testimonia/es
della segreteria di Stato seguirono più tardi1 95 .
Come per le congregazioni romane, erano previsti due diversi tipi di
riunioni dei membri: le ordinarie (Ordinaria, o coetus ordinarius, «as-
semblea ordinaria») che dovevano tenersi da una a due volte al mese, e
le plenarie (Plenan·a, o coetus plenarius, «assemblea plenaria»), che do-
vevano svolgersi da tre a quattro volte l'anno. Alle ordinarie partecipa-
vano i soli membri presenti a Roma. Inoltre vi erano le consulte (Con-
sulta, o coetus consultorum, «riunione dei consultori»). In genere i con-
sultori erano presenti agli incontri delle plenarie, anche se non avevano
diritto di voto. I gruppi di studio erano costituiti dai consultori, com-
prendevano da cinque a sette persone, ed erano diretti da un relatore,
coadiuvato da un segretario. Naturalmente vi era ampia libertà di di-
scussione196. Contrariamente alla prassi delle congregazioni romane i
membri, nelle loro riunioni, non dovevano esprimere il loro parere in-
tervenendo secondo r ordine di priorità della loro dignità, ma dovevano
condurre discussioni reali, in cui, in certi momenti, anche i consultori
presenti potevano essere interpellati e dare risposte.
Perché il Consilium potesse cominciare il suo lavoro, era necessario
che stabilisse i propri compiti e delimitasse le proprie competenze. Il se-
gretario di Stato A.G. Cicognani, in una lettera al presidente del Consi-
lium, assegnò a quest'ultimo i seguenti compiti:
a) proporre persone che devono costituire i gruppi di studio per la riforma dei riti
e dei libri liturgici; . . . .
b) accompagnare e coordinare,~l lav~ro dei gr~ppi ~i .s~udio; . .
e) elaborare immediatamente l istruz~one che i~ def mi~iya doveva sv~l~ppare ~l ~otu
proprio Sacram /iturgiam e deline~re ch1ara~e_n~e i c?~P1.u .dell~ ~utonta ecclesiastiche
territoriali per quanto riguarda la riforma dei nu e dei hbn hturg1c1; . .
d) vigilare affinché, nel rispondere alle proposte delle conferenze episcopali e alle

l95Ad esempio B. Fischer, di Treviri, fu invitato a Roma con lettera del 24 marzo
1964 (Prot. N. 317/64), mentre le Iitterae testimonia/es della_ segreteria di Stato gli furo
no spedite da Bugnini il 23 maggio 1964 (Prot. n. 979/64). J ungmann ricevette la nomi-
na come consultore già il 3 marzo 1964 (cfr. JT, 3 marzo 1964).
196 Cfr. la relazione del segretario alla prima riunione dei consultori del 14 aprile
1964 (allora solo 17): F-Fischer, Treviri.
VERSO LA RIFORMA LITURGICA 267

domande poste in relazione alla corretta applicazione della costituzione liturgica, que
st'ultima venga interpretata conformemente alla lettera e allo spirito del concilio che l'ha
approvata.
Eventuali lamentele contro le decisioni del Consilium, come pure le soluzioni di
problemi particolarmente delicati e difficili, o del tutto nuovi, devono essere trasmesse
dal Consilium al papa197,

In tal modo si chiarivano i compiti, ma non ancora le competenze, e


per lungo tempo ciò non avvenne. Innanzitutto non era molto chiaro il
rapporto con la congregazione dei riti, le cui competenze non erano sta-
te abrogate. In merito è significativo un episodio. Larraona aveva fissa-
to, per il 13 febbraio 1964, una riunione «dei membri presenti a Roma
della commissione liturgica», e a quel punto aveva invitato Martimort e
Wagner, in quel momento a Roma, chiamati da Bugnini. Gli invitati si
resero conto che non si trattava di una riunione della commissione, ma
di una riunione dei funzionari della congregazione dei riti. Vi presero
parte Larraona, Dante, G. Sarmanti, F. Antonelli, N. Ferraro e P. Fru-
taz. Come secondo punto ali, ordine del giorno il cardinale affrontò il
problema della risposta che avrebbe dovuto dare alle conferenze episco-
pali che già avevano fatto pervenire alla sede apostolica i loro atti per la
conferma delle decisioni, a norma delr articolo 3 6 § 3 della costituzione
liturgica. Egli era del parere· che la congregazione poteva «concedere»
quanto i vescovi «chiedevano». Sembrava non capire l'articolo 3 6, e in-
terpretare quanto i vescovi avevano deciso come una semplice richiesta
di indulto198 .
Il 21 febbraio Martimort informava per lettera sia Lercaro che Wa-
gner del documento inviato il 14 febbraio 1964 all'episcopato france-
se199. Da questo risultava che la congregazione dei riti aveva istituito una
propria sezione che «dirige il movimento liturgico post-conciliare» (que-
sta comprendeva solo funzionari della congregazione, e cioè coloro che
erano contrari alla costituzione liturgica). Si affermava che la congrega-
zione si era consultata con il Consilium (forse per questo Bugnini era
presente all'incontro, ma non poté proferire parola) e che aveva ascolta-
to una delegazione della commissione liturgica conciliare (questa delega-
zione doveva essere composto da Wagner e da lui, Martimort) 200. Era

l97 Lettera del card. segretario di Stato, A.G. Cicognani, al presidente del Consi-
lium, card. G. Lercaro, del 29 febbraio 1964, in Enchiridion documentorum, cit., n. 191.
198 Cfr. A.G. Martimort, Note con/identiel sur le Motu proprio du 25 janvier 1964 et
ses suites, in F Wagner, Treviri, vol. 37.
l99 Cfr. la lettera di Larraona al nunzio apostolico in Francia, P. Berteli: F Lercaro
XXIV 576.
200 Cfr. F Lercaro, XXV 715 e F-Wagner, Treviri, vol. 37. Anche Bugnini era stato
268 IL CONCILIO ADULTO

assolutamente necessario porre fine a questa situazione di confusione di


competenze. I rapporti tra congregazione dei riti e Consilium si chiariro-
no gradualmente nei giorni successivi. Bugnini ha documentato i singoli
passi2°1, che qui possono solo essere descritti sinteticamente.
1. Il 22 aprile 1964 si stabilì che nella promulgazione dei decreti
emanati a seguito del concilio, la congregazione dei riti e il Consilium
dovevano figurare insieme. Dopo un lungo tira e molla ci si accordò
sulla formula usata per la prima volta nella pubblicazione dell'istruzione
per I' attuazione della costituzione liturgica del settembre 1964:
La presente istruzione,_ preparata per incarico del santo padre Paolo VI dal «Consi-
lium per l'applicazione della costituzione sulla sacra liturgia», fu presentata a sua santità
da1l'em.mo cardinale Giacomo Lercaro, presidente del medesimo Consilium. Il santo pa
dre, esaminata con la dovuta considerazione questa istruzione, servendosi in ciò del sud
detto Consilium e di questa congregazione dei riti, nell'udienza concessa a1l'em. mo car-
dinale Arcadio Maria Larraona, prefetto della medesima sacra congregazione dei riti, il
giorno 26 settembre 1964, in tutte le singole parti in modo speciale la approvò e con la
sua autorità la confermò, e comandò che fosse pubblicata e osservata da tutti coloro a
cui spetta, dal giorno 7 marzo 1965, prima domenica di Quaresima202.

I documenti furono firmati da entrambi i cardinali e dal segretario


della congregazione dei riti, ma non dal segretario del Consilium, sotto
la cui direzione erano stati elaborati.
2. Dopo le numerose lamentele per le prove del rito della concele-
brazione e le conferme dei libri liturgici in volgare approvati dalle con-
ferenze episcopali, alla fine fu stabilito, con lettera del 7 gennaio 1965
del segretario di Stato Cicognani al prefetto della congregazione dei riti
Larraona, che sia lo studio delle questioni e dei libri liturgici richiesto
dalla costituzione liturgica, sia il controllo degli esperimenti che sembra-
vano necessari, spettavano al Consilium, mentre la pubblicazione, sotto-
scritta anche dal presidente di quest'ultimo, era di competenza della
congregazione dei riti203 •

informato (evidentemente da Wagner) della lettera della congregazione dei riti al nunzio
apostolico in Francia e il 25 febbraio 1964 scrisse dal suo indirizzo privato una lettera a
Wagner, in cui deplorava amaramente il modo di procedere della congregazione dei riti.
Egli riteneva che se lui (Wagner) e Martimort avessero partecipato alla commissione, sa-
rebbero stati dei traditori: F-Wagner, Treviri, voi. 37.
201 Cfr. BUGNINI, La nforma, cit., pp. 80-83.
202 CONGREGAZIONE DEI RITI, Instructio "Inter oecumenici'' ad executionem Constitu-
tionis de sacra Liturgia recte ordinandam, 26 settembre 1964, in «AAS», 56 (1964), pp.
877-900, ivi p. 899 s. Enchiridion documentorum, cit., n. 297.
203 Cfr. lettera del card. segretario di Stato Cicognani al prefetto della congregazio-
ne dei riti, del 7 gennaio 1965, in Enchin.dion documentorum, cit., n. 379.
VERSO LA RIFORMA LITURGICA 269

Paolo VI sapeva, dalla sua personale esperienza di membro del con-


cilio durante il pruno periodo e per le informazioni giuntegli durante il
secon~o - certamente anzitutto attraverso il moderatore che era anche
~embr~ dell~ ._ comi;iissione liturgica conciliare e a cui egli aveva affidato
il complt?, gia n~ll o~tobre 1963, ?~ delineare un documento che rego-
~asse l~ riform~ liturgica post-conciliare -, che con i funzionari presenti
in cuna una riforma liturgica non era attuabile. Una ristrutturazione o
un rinnovamento nelle nomine dei funzionari avrebbe richiesto tanto
tempo da ritardare notevolmente la riforma. Al papa non restava dun-
q~e ~l tra scelt~ che .creare _un nuovo organo com posto di uomini prove-
n1en~1 d~lle chiese di tutto il mondo, e in ultima istanza responsabili ver-
so_ di lui personalmente. Si trattava certamente di un'operazione che su-
scitava non pochi disappunti nella curia, ma in fin dei conti avrebbe
giovato a tutta la chiesa.

3 .3. Il deludente motu proprio Sacram liturgiam

Quali che fossero le ragioni della mancata pubblicazione del motu


proprio Primitiae e dell'istruzione che lo concretizzava, alcune disposi-
zioni di attuazione della costituzione liturgica dovevano comparire nel
periodo della vacatio legis, durato sino al 16 febbraio 1964. E natural-
mente anche altri, oltre al piccolo gruppo di periti riunito da Bugnini
per Lercaro, avevano cercato di far valere le proprie idee sul rinnova-
mento liturgico post-conciliare. In merito a questo, la commissione litur-
gica del concilio aveva fatto dei lavori preliminari. Esistevano tre docu-
menti, elaborati nelle ultime settimane precedenti la chiusura del secon-
do periodo del concilio.
L'applicazione della costituzione liturgica. Un primo testo, è costituito
da quello preparato da Rossi e presentato nella riunione della commis-
sione liturgica del 19 novembre 1963. In esso gli articoli della costituzio-
ne venivano suddivisi in quattro gruppi: quelli a carattere didattico o re-
lativi a principi generali, e pertanto da adottare immediatamente; quelli
che potevano essere introdotti nella prassi senza un previo intervento
delle autorità ecclesiastiche territoriali (conferenze episcopali) o della
sede apostolica; altri ancora attuabili dalle autorità ecclesiastiche territo-
riali e, infine, quelli realizzabili dalla sede apostolica204 .

204 Cfr De constitutione applicatione, in DOC II, cit., pp. 113 118; cfr. F Lercaro, I
39; l'attribuzione di questo documento e del successivo al periodo posteriore al 4 di-
cembre 1963 secondo l'inventario del F Lercaro è sbagliata; cfr. p. 234.
270 IL CONCILIO ADULTO

Le autorità ecclesiastiche territoriali competenti per !'attuazione della


costituzione liturgica. Un secondo breve testo preparato da Martimort fu
presentato nella stessa riunione della commissione, il 19 novembre. Esso
affermava che per autorità ecclesiastica territoriale dovevano intendersi
tutti i vescovi di una nazione, compresi i coadiutori e i vescovi ausiliari
nonché i vescovi che convenissero da più regioni o da più nazioni. Pe;
ogni decisione era richiesta una maggioranza dei due terzi205.
La vacatio legis e l'attuazione della costituzione liturgica. Dall'intro-
duzione del terzo documento, elaborato da Bonet, Martimort e Wagner,
risulta che esso era stato redatto tra l'approvazione (22 novembre 1963)
e la promulgazione della costituzione liturgica (4 dicembre 1963)206 .
Nella prima parte di questo terzo documento si proponeva di conclude-
re la sospensione normativa della costituzione con la prima domenica di
Quaresima del 1964. Oltre a ciò, sino all'istituzione della commissione
post-conciliare per la riforma liturgica, la commissione liturgica concilia-
re doveva fornire le interpretazioni pratiche della costituzione, risolvere
le difficoltà che si fossero presentate ed esprimere il consenso richiesto,
e cioè la convalida o l'approvazione. Nella seconda parte di questo do-
cumento, in cui venivano ripresi gli altri due documenti, le disposizioni
della costituzione liturgica venivano suddivise in tre gruppi, e cioè:
1) quelle che sarebbero state tradotte nella prassi dalla futura rifor-
ma liturgica;
2) quelle di competenza delle assemblee episcopali territoriali, cui
seguiva un chiarimento sui membri di queste assemblee in attesa di una
definizione, che a quel tempo il concilio non aveva ancora formulato;
3) quelle che non avevano bisogno dell'intervento di nessuna autori-
tà particolare ed entrano in vigore dopo la vacatio legzs.
Se al papa sembrava bene concedere già prima qualcosa, che di per sé
doveva essere consentito solo con la futura riforma liturgica, era conve-
niente che questo entrasse in vigore alla fine della vacatio legz"s. Per una
misura di questo genere erano proposti l'articolo 89.d, che stabiliva che
Prima poteva essere tralasciata, e l'articolo 89.e, che consentiva di recitare
una sola delle tre ore minori. Al termine del documento, seguiva una lista
di dieci disposizioni che sarebbero entrate in vigore allo scadere della va-
catio legis (De ùs quae statùn, cessante vacatione legz"s, vigebunt).
In un primo momento può stupire il fatto che tre membri del grup-

205Cfr. De auctoritate ecclesiastica territoriali competente ad constitutionem applican


dam, in DOC II cit., 119; cfr. F-Lercaro, I 40; ma anche per questo vale ciò che è stato
1

detto su F Lercaro I 39 neJla nota precedente.


206 Esso fu discusso neJla riunione della commissione liturgica del 28 novembre
1963; cfr. p. 234.
VERSO LA RifORMA LITURGICA 271

po attorno a Lercaro, i quali cioè avevano redatto il motu proprio Pri-


mitiae e l'istruzione allegata, Bonet, Martimort e Wagner, avessero ac-
cettato da Larraona l'incarico di elaborare un altro documento diversis-
simo dal progetto precedente. I redattori dovevano già avere supposto,
o addirittura avevano avuto comunicazione, che il motu proprio Primiti-
ae e l'istruzione erano destinati all'insuccesso. Di conseguenza si impe-
gnarono in un nuovo documento che salvasse le cose più importanti.
Bugnini scrive che agli inizi del gennaio 1964, e cioè al tempo in cui era
già segretario del Consilium, la segreteria del concilio, «che tenne le
fila», e la segreteria della congregazione dei riti, si occuparono della
cosa. Si decise allora di limitarsi ad un solo documento di carattere giu-
ridico. Subito dopo la loro nomina come membri del Consilium, i tre
cardinali Lercaro, Giobbe e Larraona, ricevettero copia del progetto.
Dopo av€re esaminato il testo in una riunione svoltasi il 15 gennaio
1964, decisero che il documento andava rifatto. Del progetto trasmesso
da Felici si mantenne la parte iniziale e quella finale. Sulle singole di-
sposizioni si ricorse invece ampiamente a quello elaborato dai periti in
ottobre207 . Ma questi interventi furono inutili Più tardi Martimort, in
una nota confidenziale, giustificò Larraona e la congregazione dei riti: il
testo preparato dalla commissione liturgica conciliare era stato rifatto
del tutto quando il 15 gennaio 1964 giunse a Felici208 . Tutto questo cor-
risponde nella sostanza a quanto raccontato sulla genesi del documento
da Wagner2°9 • Ma sembra poco verosimile che Felici avesse nelle mani il
progetto già il 15 gennaio.
Il 29 gennaio 1964, veniva pubblicato ne «L'Osservatore Romano»,
con la data del 25 gennaio 1965, corrispondente al quinto anniversario
dell'annuncio del concilio, il motu proprio, emanato come lettera apo-
stolica di Paolo VI con cui «entrano in vigore alcune prescrizioni della
costituzione sulla sacra liturgia»210 • Le sue singole disposizioni, che do-
vevano entrare in vigore dal 16 febbraio successivo, erano conformi, con
poche eccezioni, ai dieci punti enumerati alla fine dell'ultimo documen-
to della commissione liturgica conciliare, come le dichiarazioni sull'uffi-
cio divino, riguardo le quali si propose al papa di farle entrare in vigore
più correttamente alla fine della vacatio legis211 •

207 Cfr. BUG NINI, La nforma, cit., p. 66.


208 Cfr. supra, il documento indicato nella n. 198.
209 Cfr. il «promemoria riservato» di cui supra, alla n. 213.
210 Il testo pubblicato da «OssRom» non fu definitivo; cfr. p. 274 e la n. 215.
211 Cfr. il documento indicato a1la n. 207, p. 124 s.; in quello mancava ancora solo
il riferimento alla cresima all'interno della messa. Inoltre si escludeva esplicitamente che
coloro che recitavano un «ufficio minore» pregassero pubblicamente con la chiesa.
272 IL CONCILIO ADULTO

. 1. Quanto si dice sull'insegnamento di scienza liturgica e di pastora-


le liturgica nelle facoltà teologiche, nei seminari e nelle scuole dei reli-
giosi, deve essere attuato dal prossimo anno scolastico.
2. Si devono istituire le commissioni diocesane di liturgia, musica e
arte sacra.
3. Entra in vigore l'obbligo dell'omelia la domenica e i giorni festivi.
4. Si può amministrare la cresima durante la messa dopo il vangelo e
l'omelia.
5. Normalmente il matrimonio va celebrato durante la messa, dopo
il vangelo e l'omelia. Se un matrimonio è celebrato senza messa, devono
essere letti ad alta voce l'epistola e il vangelo della messa per gli sposi, e
dopo il matrimonio deve essere in ogni caso impartita la benedizione
degli sposi prevista nel rituale.
6. Fuori del coro si può tralasciare Prima, mentre· delle tre ore mi-
nori si può scegliere quella che meglio risponde al momento della gior-
nata.
7. Gli ordinari possono fare uso della loro autorità per dispensare
dalla recita dell'ufficio divino o commutarne l'obbligo in conformità al-
1' articolo 97.
8. Si dichiara che i membri degli istituti di perfezione che, in forza
della costituzione recitano alcune parti dell'ufficio divino o qualche
«piccolo ufficio», pregano pubblicamente con la chiesa.
9. Viene regolato l'uso del volgare per i testi che riguardano l'ufficio
divino o altre celebrazioni liturgiche.
10. Si stabilisce che con l'espressione «entro limiti determinati, an-
che nelle competenti assemblee episcopali» sono da intendersi le confe-
renze episcopali nazionali, cui possono essere convocati anche coadiutori
e vescovi ausiliari.
11. Infine, si raccomandano le disposizioni degli articoli 22 § 1 e § 3.

La pubblicazione di questa lettera pontificia produsse in larga misu-


ra delusioni e contrarietà, critiche e proteste. Era evidente che i vescovi,
resi più avvertiti dal secondo periodo conciliare, non sopportavano pro-
prio più la curia romana. Si era delusi, in generale, per il fatto che non
venivano fatti passi ulteriori in direzione della riforma. In tal senso si
espresse Dopfner in una lettera a Lercaro: quanto alle riforme, dal di-
scorso del papa nella sessione pubblica, vi sarebbe stato da aspettarsi di
più212.
Non era strano che si guardasse così criticamente a quelle scarne di-

212 Cfr. la lettera del 7 febbraio 1964, F Lercaro, XXIV 575.


VERSO LA RIFORMA LITURGICA 273

chiarazioni; si era affermato solo I' essenziale. Per il resto si era delusi
per l'imprecisione dei termini - ad esempio ai numeri 4 e 5 si usava
l'espressione «sacrificio eucaristico» per esprimere il concetto di messa -,
per il fatto che non fosse stato previsto, anche per il matrimonio senza
messa, il volgare nelle letture (n. 5), e che agli ordinari, forzando la for-
mula conciliare faticosamente guadagnata, si spiegava che, riguardo alla
dispensa dall'ufficio divino o alla sua commutazione, essi potevano fare
uso della loro autorità solo per giusta e «ben ponderata» ragione (n. 7).
Il peggio tuttavia accadeva nel numero 9. Modificando le disposizio-
ni dell'articolo 36 § 4 della costituzione liturgica, vi si stabiliva che le
traduzioni in volgare dell'ufficio divino proposte dalle autorità ecclesia-
stiche territoriali competenti dovevano essere esaminate e approvate dal-
la sede apostolica. E questo doveva essere fatto tutte le volte che i testi
in latino erano tradotti dalle autorità competenti. L'articolo 3 6 § 4 della
costituzione liturgica invece diceva che «la traduzione del testo latino in
lingua viva, da usarsi nella liturgia, deve essere approvata dalla compe-
tente autorità ecclesiastica territoriale».
Un primo commento critico del motu proprio a firma di S. Marsili
apparve su «L'Osservatore Romano» del 30 gennaio 1964213 • Il primo a
protestare efficacemente contro le modifiche della decisione del concilio
operate nel numero 9 del motu proprio fu proprio Lercaro. Questi il 2
febbraio 1964 scrisse da Bologna al sostituto della segreteria di Stato,
Dell'Acqua, evidentemente dopo avere avuto il giorno prima un collo-
quio con i professori del seminario regionale. Nella sua lettera Lercaro
illustra la genesi dell'articolo 36 § 4 e spiega che le aggiunte originaria-
mente proposte, secondo cui la sede apostolica doveva esaminare le tra-
duzioni approvate dalle autorità territoriali, erano state rifiutate consape-
volmente. Il concilio aveva voluto che le traduzioni fossero approvate
dalle autorità territoriali senza che dovessero passare dalla sede apostoli-
ca. A Lercaro sembrava pericoloso che la costituzione venisse modificata
ancora prima di entrare in vigore; e questo, oltre tutto, su un punto che
toccava due temi cui i padri erano particolarmente sensibili: il decentra-
mento a favore del vescovo e l'introduzione del volgare nella liturgia.
Egli temeva che queste variazioni potessero venire utilizzate come argo-
mento per svilire la dottrina e le disposizioni della costituzione. L'auto-
rità del concilio sarebbe stata, in tal caso, scalzata; si poteva immaginare

213 Cfr. l'articolo firmato con «s.m.»: I primi passi della riforma liturgica in «Oss
1

Rom», 30 gennaio 1964, p. 2. Wagner racconta delfirritazione «nella Roma curiale e so-
prattutto clericale» per questo articolo e per le reazioni della stampa italiana: «organo
del papa critica il papa»: cfr. J. Wagner, V ertrauliches Pro memoria delJ>8 febbraio
1

1964, F-Wagner, Treviri, vol. 37.


274 IL CONCILIO ADULTO

la delusione dei vescovi, che in questo modo vedevano annullato il risul-


tato del loro lavoro. Alla fine Lercaro proponeva che nella edizione uff i-
ciale del motu proprio negli «Acta Apostolicae Sedis» venisse ripristina-
ta la concordanza dei testi del motu proprio e della costituzione2 14• Que-
sta proposta f li nella sostanza accettata, anche se r operazione di ripristi-
no del testo conciliare non riuscì del tutto 215 . In tal modo vennero però
migliorati molti punti del documento216 •
Solo in considerazione di questa lettera di Lercaro si può consentire
con quella, già ricordata, scrittagli da Dopfner: in essa questi si congra-
tulava con il cardinale di Bologna per la sua nomina a presidente del
Consilium e (naturalmente senza sapere della lettera di Lercaro a Del-
r Acqua) spiegava che tale nomina era per lui di consolazione, nell,affli-
zione generatagli dal motu proprio217 .
Wagner, dopo una riunione delle commissioni delle conferenze dei
vescovi germanofoni (a Puchberg, vicino Wels) che si occupavano della
liturgia e dei libri di preghiera, e dopo un colloquio con Dopfner il 2
febbraio 1964 a Monaco, si era recato in aereo a Roma con il compito
di avere chiarimenti sul motu proprio. Il 7 febbraio fu infarmato da
Larraona, in presenza di Antonelli, sulle origini del motu proprio, e fu
autorizzato a infarmarne i suoi mandanti. Larraona avrebbe trasmesso il
progetto originario elaborato dalla commissione liturgica conciliare a
qualcuno al di sopra di Felici, «in alto» (che nel linguaggio della curia
significa alla segreteria di Stato o al papa). A questo stadio, le «assem-
blee episcopali territoriali» sarebbero già state definite «per ora naziona-
li» - una formulazione che, a causa delle sue implicazioni politiche, era
stata incresciosamente evitata .dalla commissione liturgica. Tuttavia non
aveva ancora mostrato la redazione attuale del numero 9. Secondo Felici
essa sarebbe dovuta al fatto che lo stesso Paolo VI avrebbe desiderato
una clausola relativa all,approvazione romana di tutte le traduzioni. Il
testo poi sarebbe stato formulato insieme ad alcuni latinisti che non era-
no al corrente dei problemi associati alla terminologia. In ogni caso la
congregazione dei riti non aveva alcuna parte nella redazione del motu
proprio. Lui ed Antonelli si sarebbero premurati di adempiere esatta-

214 Cir. F Lercaro, XXV 714. da "{'


215 Cfr. l'edizione ufficiale: PAOLO VI, Litterae apostolicae motu proprio ta~ J~
cram /iturgiam)) quibus decernitur ut praescript~e qu~e~a~ Constitutio~is de sac~a Liturgia
a Concilio Oecumenico Vaticano II probatae vigere tnctpiant, 25 ?enna10 1994, m «AAS»,
56 (1964) pp. 139-144. Cfr. anche Enchiridion documentorum, c1t., n. 178, nn. 178-190.
216 Cfr. BUGNINI, La riforma, cit., p. 70.
217 Cfr. la lettera indicata a1la n. 213: «Il fatto de1la sua nomina mi è una consola-
zione nella mia afflizione causata dal motu proprio Sacram liturgiam».
VERSO LA RIFORMA LITURGICA 275

mente la volontà del concilio ed entrambi speravano in una variazione


della formulazione del testo ufficiale .. A dire il vero questa non sarebbe
stata pienamente conforme alla volontà del concilio, poiché esso non
avrebbe del tutto annullato l'approvazione romana ma l'avrebbe solo
trasformata in una conferma218 .
Alla riunione della congregazione dei riti cui presero parte Marti-
mort e Wagner, un punto all'ordine del giorno era costituito proprio
dall'articolo 9 del motu proprio. Larraona spiegò perché non si poteva
dare la colpa né a lui né alla congregazione dei riti per la redazione del
motu proprio nella forma attuale. In questa riunione non vi fu nessuna
discussione. Ma entrambi gli ospiti ebbero l'opportunità di esprimere la
propria opinione. Mentre Antonelli e Frutaz mostrarono piena com-
prensione per le difficoltà addotte, questa mancò del tutto a Dante, che
riuscì solo ad urlare: «Se il papa modifica la norma del concilio, è suo
diritto farlo» 219 .
Il 27 febbraio 1964 Lercaro inviò una lettera al presidente della con-
ferenza episcopale tedesca, Frings, e un'altra a Martimort. Nella lettera
al cardinale egli manifestava la sua gioia per il fatto che la conferenza
episcopale tedesca potesse introdurre immediatamente l'uso del volgare
nella messa e nell'ufficio divino, ma allo stesso tempo lamentava che per
questo fosse necessario un indulto di Larraona. Quanto al motu proprio
avrebbe scritto immediatamente al papa e vi si sarebbe recato anche di
persona. Forse il testo sarebbe stato ancora emendato nella edizione uf-
ficiale220. Nella seconda lettera Lercaro raccontava a Martimort del-
l'udienza dal papa del 15 febbraio 1964: poiché al mattino non vi era
stato tempo sufficiente, egli era dovuto tornare ancora una volta la sera
dello stesso giorno e aveva parlato con il papa un'ora e un quarto. In
quell'occasione avevano rivisto insieme il motu proprio come pure le os-
servazioni di Bugnini e le risposte di Felici, che avrebbe voluto che il te-
sto restasse invariato per l'edizione ufficiale. Il papa temeva di creare,
con una variazione, un pericoloso precedente. Non restava che sperare

218 Cfr. il «promemoria riservato» di cui supra, alla n. 214. Si può facilmente intui
re il desiderio del papa, se si pensa alla circolare della congregazione dei riti del 25 ot-
tobre 1973 secondo la quale, in seguito ad una disposizione di Paolo VI, per la validità
deWamministrazione dei sacramenti i testi dovevano essere non solo confermati dalla
congregazione del culto, ma anche approvati da lui personalmente: cf r. <<AAS», 66
(1974), p. 98 s.; Enchiridion documentorum, cit., nn. 3110 3114. A dire il vero questa
approvazione fu molto presto affidata alla congregazione per la dottrina della fede.
219 Cfr. WAGNER, Mein Weg, cit., p. 79 come pure il documento indicato supra,
a1la n. 198 e le Notae con/identiales presentate da Wagner su questa riunione: F Wa
gner, Treviri, voi. 37.
220 Cfr. F-Lercaro, XXV 718.
276 lL CONCILIO ADULTO

che il pontefice facesse modificare il testo del numero 9 conformemente


alla proposta di Martimort: accettazione della disciplina dell'articolo 36
§ 3 anche attraverso il 36 § 4221 .
Con la pubblicazione del motu proprio Sacram liturgiam negli «Acta
Apostolicae Sedis» aveva fine l'indignazione per il modo di agire roma-
no222. Dal 29 febbraio 1964 il compito del Consilium ad exsequendam
Constitutionem de sacra Liturgia venne delineato chiaramente. il conflit-
to di competenze con la congregazione dei riti a Roma era ancora causa
di irritazioni, ma alla periferia la riforma liturgica decisa dal concilio si
sapeva, con Lercaro e Bugnini, nelle mani migliori. I gruppi di studio si
misero al lavoro con grande entusiasmo e fecero del loro meglio per re-
alizzare quello che i padri del Vaticano II avevano loro affidato: il rin-
novamento della liturgia come un importante contributo da dare per il
rinnovamento della chiesa.

221 Cfr. F-Lercaro, XXV 716.


222 Cfr. supra, n. 217. Quando il CIC del 1983, nel can. 838 § 3 ha riconosciuto
alle conferenze episcopali solo la cura delle traduzioni dei libri liturgici in volgare, il
loro adattamento e infine la loro pubblicazione dopo previo esame da parte della S.
Sede («praevia recognitione Sanctae Sedis») non si è avuta notizia di proteste di cardina-
li e conferenze episcopali. In tal modo il CIC ha chiaramente svilito la volontà del con
cilio. Nella lettera di cui alla n. 214 Lercaro scrisse che consapevolmente nell'art. 36 § 4
si era rinunciato alla recognitio delle traduzioni in volgare da parte della S. Sede e che il
testo «fu approvato dal Concilio con larghissima maggioranza». Anche il fatto che i libri
in volgare utilizzati nella liturgia non siano, secondo il can. 838 § 2 e § 3, «libri liturgi-
ci» è stato accettato senza obiezioni.
Capitolo quarto

L'impegno ecumenico della chiesa cattolica

1. Dal programma alla realtà

1.1. Un documento ufficiale sul!' unità cristiana

Non è il caso di ritornare qui su tutti i segni e le decisioni che, dal


1959 al 1962, hanno manifestato la volontà del papa Giovanni XXIII,
poi dello stesso concilio, di impegnare l'assemblea dei vescovi cattolici
nel far progredire la causa dell'unità delle chiese cristiane 1. Di questo
impegno si fa carico a sua volta il papa Paolo VI. A partire dal 25 giu-
gno 1963 incarica il card. Bea di annunciare la propria elezione al pa-
triarca ecumenico di Costantinopoli, S.B. Athenagoras2 , e poco dopo di
invitare il patriarca a farsi rappresentare al concilio tramite degli osser-
vatori3.
In seguito alla lettera di congratulazioni che a nome del proprio pa-
triarca, il metropolita Maximos di Sardi inviò a Paolo VI il 9 settembre
1963 4, il papa prese l'iniziativa di scrivere personalmente ad Athenago-
ras. Questa lettera, datata 20 settembre, è un atto importante: si trattava
del primo messaggio indirizzato da un papa a Costantinopoli dopo nu-
merosi secoli5. In essa Paolo VI si dichiarava animato dal «vivo deside-
rio per l'unione dei cristiani, e per tutto quello che può contribuire a ri-
stabilire tra di essi la concordia perfetta». Proponeva di dimenticare il

1 Cfr. in modo particolare M. VELATI, La proposta ecumenica del segretariato per


l'unità dei cristiani, in Verso il concilio, pp. 274-350; S/V 1, pp. 263 271; M. VELATI,
Una difficile transizione. Il cattolicesimo tra unionismo ed ecumenismo (1952 1964), Bolo-
gna 1996.
2 Lettera di A. Bea ad Athenagoras, pubblicata in Tomos Agapù. Vatican Phanar
(1958-1970), Roma-Istanbul 1971, pp. 72-73.
3 Lettera dello stesso allo stesso, 8 luglio 1963, ibidem, pp. 74-77.
4 Ibidem, pp. 80 83. Il ritardo di questa risposta viene spiegato nella lettera con la
lunga assenza del patriarca dovuta alla sua partecipazione alle feste del millenario del
Monte Athos.
5 Ibidem, pp. 82-85.
278 IL CONCILIO ADULTO

passato e auspicava che il Signore ispirasse all'uno e all'altro gli atti ca-
paci di realizzare la preghiera «lit unum sint».
Alla 1uce della lettera del 20 settembre ad Athenagoras, i passaggi
del discorso pronunciato da Paolo VI in occasione dell'apertura del se-
condo periodo conciliare danno l'impressione di una volontà personale
di impegno ecumenico più che di un impulso impresso al concilio in
questa direzione 6 . Ciò che colpì maggiormente, fu la richiesta di perdo-
no a Dio e ai fratelli cristiani per la parte imputabile alla chiesa cattolica
nelle cause della separazione. L'essenziale era in ogni caso la chiara in-
tenzione di non rinunciare alla componente ecumenica dell'eredità ron-
calliana.
In occasione dell'udienza del 17 ottobre successivo concessa agli os-
servatori delegati, il papa confermò con un tono più familiare le sue
buone intenzioni, insistendo anche sull'immensità del compito da porta-
re a termine. Aggiunse che invece di rivolgersi al passato, se non per
una richiesta di perdono, era importante guardare verso una novità che
si doveva far nascere; e, come nella lettera inviata ad Athenagoras, citò
il passo della lettera ai Filippesi (3,13-14), nella quale l'apostolo si dice
interamente proteso verso il futuro 7 . L'unità dei cristiani offriva in que-
sto modo buona materia all'esercizio delle virtù della pazienza e della
speranza!
Non è esagerato constatare un serio contrasto tra le intenzioni di-
chiarate di Giovanni XXIII e di Paolo VI e il cammino, lungo e delica-
to, del testo sull'unità che stava per essere presentato al concilio per ve-
nire esaminato a partire dal 18 novembre seguente. Non soltanto era
stata necessaria tutta la «combattività» dei dirigenti del segretariato per
l'unità, Bea e Willebrands, perché il loro organismo divenisse una com-
missione conciliare a pieno titolo (ottobre 1962), ma l'elaborazione stes-
sa del testo sull'unità incontrò numerosi ostacoli a partire da febbraio
fino alla messa a punto finale del maggio 1963 8 • Questo testo, profonda-
mente differente da quello che era stato proposto al concilio dalla com-
missione per le chiese orientali nel novembre 19629, «avrebbe preso
d'ora in poi, come punto di partenza, gli sviluppi, avvenuti nel corso di

6Il testo completo del discorso si trova in CAPRILE, III, pp. 49 64.
7Il testo dell'allocuzione, pronunciata in francese, è in «Istina», 1964, pp. 519-522;
la traduzione italiana si trova invece in: CAPRILE, III, pp. 148 150.
8 Su questi ostacoli e sulla preparazione dello schema nel corso deJla prima inter-
sessione, si veda S/V 2J pp. 464 471.
9 Su questo schema dedicato esclusivamente all'unità con gli orientali, cfr. S/V 1,
pp. 216-217 e SIV 2, pp. 345-354.
L'IMPEGNO ECUMENICO DELLA CHIESA CATTOLICA 279

un quarto di secolo, del movimento ecumenico reale» 10 • Era composto


da tre capitoli: 1) sui principi dell'ecumenismo cattolico; 2) sull'esercizio
dell'ecumenismo; 3) sui cristiani separati dalla chiesa cattolica, cioè a
dire da una parte le «chiese» orientali e, dall'altra, le «comunità nate nel
XVI secolo».
Come per altri schemi, ad esempio quello sulla liturgia e quello sui
vescovi e il governo delle diocesi, il modo di elaborare lo schema sul-
l'unità dipendeva largamente dalla teologia della chiesa e quindi dalle
scelte che dovevano ancora essere fatte nella futura costituzione De ec-
clesia. Anche se tutti gli elementi maggiori che la andavano via via com-
ponendo, in particolare la collegialità e la presentazione del popolo di
Dio prima della gerarchia, non ispiravano ancora lo schema sull'unità11 ,
si poteva considerare come un avanzamento reale la presentazione del-
l'unità della chiesa non più come un concetto astratto ma come mistero,
mentre la divisione non veniva più considerata da un punto di vista pu-
ramente giuridico 12 • Se, da un lato, il decreto definitivo promulgato il 21
noven1bre 1964 sarà un po' più arretrato rispetto a questa nuova pro-
spettiva, a causa degli emendamenti pontifici dell'ultimo minuto, dall'al-
tro integrerà meglio le acquisizioni ecclesiologiche della Lumen gentium,
costituzione del resto approvata lo stesso giorno.
Il testo, terminato nel maggio 1963, fu inviato ai padri. Il segretariato
attendeva le eventuali loro osservazioni. Esse arrivarono in numero abba-
stanza elevato nel corso dell'estate 13, fatto che indusse il segretariato a
organizzare, a partire dall'ottobre 1963, sei sottocommissioni per analiz-

10 S/V 2, p. 470.
11 Diversi padri, principalmente francesi, lo facevano presente nelle osservazioni in-
viate nel corso dell'estate.
12 Ben cosciente dei legami con lo schema De ecclesia, J. Martin, primo relatore alla
c.g. del 18 novembre, dirà che il decreto presuppone la dottrina esposta nella costituzio
ne (AS 11/5, p. 473 ). Una questione, che riemergerà diverse volte nel dibattito e che era
stata presa in esame nella prima delle sottocommissioni del segretariato de11a quale stia
mo per parlare, consisteva nel decidere se fosse o meno necessario designare le comuni
tà uscite dalla Riforma con il nome di «chiese». Avendo i vescovi del Piemonte posto
per iscritto la domanda: «Delle chiese sono la Chiesa?», la sottocommissione rispose che
il problema riguardava lo schema sulla chiesa e che essa reputava opportuno attenersi
alla dicitura «chiese» per l'Oriente e «comunità ecclesiali» per i gruppi usciti dalla Ri-:-
forma (relazione della sottocommissione I, riunione del 20 novembre 1963, riferimento
infra n. 13). Altra questione teologica trattata dalla sottocommissione I: chi è membro
della chiesa?
1.3 Si contavano osservazioni individuali di 47 padri e osservazioni collettive di 8
gruppi di vescovi (Piemonte, Argentina, Africa del sud e centro-orientale, sinodo mel-
chita, Francia meridionale, dell'Ovest e del Sud-Ovest, Indonesia, una conferenza epi
scopale non identificata); cfr. AS 11/5, pp. 874 923.
280 IL CONCILIO ADULTO

zare sistematicamente tutte le osservazioni1 4; esse furono in seguito sinte-


tizzate in 192 emendamenti presentati ai padri in un fascicolo (emenda-
tiones) all'inizio del dibattito 15, alcuni elementi dei quali furono conser-
vati per la presentazione delle relationes in aula. Le stesse sottocommis-
sioni continuarono a lavorare nel corso del dibattito per esaminare le os-
servazioni orali e scritte presentate dai padri a partire dal 18 novembre.
D'altro canto, nel corso della prima metà di novembre, gruppi infor-
mali di vescovi si riuniscono per studiare lo schema e preparare i loro
interventi. Si può così vedere un atelier che riunisce sette vescovi f ran-
cesi il 7 e il 12 novembre 1963, con la presenza di tre esperti domenica-
ni: Congar, Dupuy e Le Guillou16 . J. Martin, arcivescovo di Rouen e
membro del segretariato per l'unità, partecipa almeno alla riunione del
7. Prenderà ispirazione da questi scambi di opinione per la sua relatio
in aula del 18 sui primi tre capitoli. Congar si dice «assai impressionato
dalla serietà e dall'autenticità dell'esigenza e dell'impegno ecumenico»
dei vescovi presenti alla seconda riunione 17 . Ancora il 7 alcuni vescovj
spagnoli si riuniscono per trattare lo stesso argomento ecumenico. «E
piuttosto interessante» - nota Congar, che è presente e che osserva
come le posizioni spagnole siano «assai varie». Qualche giorno più tardi
nota «l'immenso interesse» che riveste una «reale apertura spagnola al-
l'ecumenismo»18. Sarà necessario che ritorniamo alle reazioni suscitate
dallo schema tra gli osservatori presenti al concilio. Qui ricordiamo in-
tanto che, alla loro riunione settimanale tenuta presso il segretariato il
12 novembre, quattro di questi rappresentanti delle altre chiese esposero
il loro punto di vista sul testo 19, considerandolo come un progresso im-
portante in relazione ai testi presentati al concilio nel dicembre 1962,
ma formulando anche diverse critiche di fondo: dubbi sulla capacità
della chiesa cattolica di considerare l'unione altrimenti da un ritorno. ad
essa, sulla sua capacità di riconoscere l'ecclesialità delle comunità uscite
dalla Riforma, necessità (assente dal testo) di centrare il dialogo ecume-
nico sulla tensione tra affermazione di una pienezza della cattolicità, alla
quale tutte le chiese aspirano o che tutte affermano, e il fatto che questa

14Il 24 settembre, C.J. Dumont, esperto, aveva redatto una prima sintesi de1le an
notazioni. Cfr. CLG, F-Thils, 589. Le relazioni delle sottocommissioni figurano in testa
aUa raccolta delle osservazioni cfr. F Thils, 1317.
15 AS IT/5, pp. 442 446.
16 JCng, copia dattiloscritta, pp. 360 e 364.
17 Ibidem, p. 364.
18 Ibidem, pp. 360 e 369.
19 Cfr. il verbale della riunione in CLG, F-Moeller, 431. I quattro intervenuti erano
O. Cullmann, H. Roux, C.P. Mathew e L. Vischer.
L'IMPEGNO ECUMENICO DELLA CHIESA CATTOLICA 281

cattolicità non è realizzata 20 • Nel pomeriggio del 18 novembre, i vescovi


del Congo (Zaire) discutono di possibili interventi sull' ecumenisma2 1 •
Su decisione della commissione di coordinamento del 31 agosto, H
dibattito sullo schema occupa la quinta posizione nell'ordine dei testi da
discutere nel corso del prossimo periodo22 • In realtà risalirà fino alla ter-
za posizione, da una parte perché il 29 ottobre i padri votano in favo re
dell'inserzione dello schema sulla Vergine in quello swla chiesa, dall' al-
tra perché i moderatori considerano che H testo sull'unità abbia un rap-
porto più stretto con gli elementi fondamentali di quello sulla chiesa di
quanto non rabbia lo schema sui laici; essi stimano inoltre che riguardi i
principi che impegnano maggiormente H concilio a causa della delicatez-
za dei problemi e del loro carattere permanente23 • Così «in oeconomia
et aequabilitate laboris», H progetto di schema sull'unità arriva in aula il
18 novembre 1963.

1.2. Il dibattito sult ecumenismo24

«Giorno storico»25 , «grande giorno per H concilio e per la chiesa»26 ,


«l'ora della verità» 27 : dunque le espressioni solenni dei commentatori

20 La conclusione del pastore Roux, uno degli osservatori de11' A11eanza delle chiese
riformate, sembra ben riassumere il sentimento degli intervenuti: «Il decreto De oecume-
nirmo quale che sia la generosità di cui fa prova nei confronti de1le confessioni cristiane
separate da Roma, dovrà anche mettere in evidenza che la chiesa cattolica romana è co-
sciente delle cause reali e profonde di separazione che non sono semplicemente dovute
a mancanze o a carenze di pienezza tra i "separati", ma si basano su punti fondamentali
della fede che uno spirito ecumenico e una volontà di dialogo debbono permettere di
affrontare in un modo nuovo» (verbale, p. 4).
21 CLG, F-OJivier, 169, Chronique 2e session, p. 26. L'intervento sulle chiese parti-
colari deciso allora da Cornelis, arcivescovo di Lumumbashi, alla fine non sarà invece
pronunciato.
22 Dopo i primi quattro capitoli dello schema su1la chiesa, gli schemi sulla Vergine
Maria, sui vescovi e sull'apostolato dei laici. Come vedremo, la discussione su quest'ulti-
mo fu omessa e rinviata a più tardi.
23 Queste ragioni sono addotte da Lercaro nella relazione sul lavoro conciliare pre
sentata al papa in occasione della riunione degli organi direttivi, il 15 novembre 1963
(AS V/2, p. 30). di cui supra, pp. 176 177.
24 Per finsieme del dibattito, si vedano gli atti ufficiali: AS II/5, pp. 405 495, 527-
574, 597-637, 661-700, 744-833; AS II/6, pp. 9-91, 97 367, 375-401. Riassunto in italia-
no: CAPRILE, III, passim. Oltre le relazioni, si enumerano 153 interventi orali e 141 ani
madversiones presentate per iscritto da padri a titolo individuale o collettivo.
25 JCng, p. 371.
26 WENGER, p. 172.
27 Titolo di un articolo di A. Wenger su «La Croix», 20 novembre 1963, p. 4.
282 IL CONCILIO ADULTO

non mancano per caratterizzare questo momento importante nel quale,


per rispondere concretamente all'impulso dato da Giovanni XXIII, l'jn-
sieme dei vescovi cattolici è chiamato a pronunciarsi sul dramma della
divisione dei cristiani, sul suo significato e sui mezzi più adatti per porvi
fine in risposta alla preghiera di Cristo per l'unità dei suoi. Debbono
farlo a partire da un testo che certamente ha un fine pastorale (in che
modo la chiesa ha intenzione di agire oggi in questo campo?), ma che -
come affermava Lercaro qualche giorno prjma28 - mette necessariamente
in gioco alcune opzioni di base, e in primo luogo jl modo in cui la chie-
sa comprende se stessa.
I padri erano in possesso del testo che era stato loro inviato in mag-
gio. Non si trattava dello schema completo, ma dei primi tre capitoli dei
quali abbiamo parlato. Ora lo schema doveva comprenderne cinque. Il
quarto, dedicato all'atteggiamento della chiesa nei confronti delle religio-
ni non cristiane, soprattutto degli ebrei, era stato distribuito 1'8 novem-
bre; il quinto, che trattava della libertà religiosa, verrà consegnato ai pa-
dri il 19 (tratteremo quindi nella sezione successiva dell'itinerario com-
plesso di questi due capitoli, che avevano un'origine indipendente dai
primi tre).
Il 18 novembre vengono distribuiti ai padri i fascicoli dei 792 emen-
damenti ai primi quattro capitoli, che erano stati presi in considerazione
dal segretariato per l'unità29 . Molte osservazioni inviate dai padri verte-
vano su punti particolari, ma altre riguardavano lo schema nel suo co'm-
plesso, sia a proposito della sua struttura e del suo assetto, sia in rela-
zione ad alcuni temi importanti. Quanto alla struttura, alcuni auspicava-
no che una parte dello schema sulle chiese orientali fosse fusa con quel-
la sull'ecumenismo; altri chiedevano l'inserzione di un preambolo, che
contenesse segnatamente una definizione dell'ecumenismo cattolico o
una ricostruzione in due parti (la fede comune dei cristiani, la fede cat-
tolica), o ancora una menzione particolare degli anglicani.
A proposito del contenuto, si trovano all'incirca tutti gli argomenti
che sarebbero riapparsi negli interventi orali: bisogna parlare dei princi-
pi dell'ecumenismo cattolico (secondo il titolo del capitolo I) o dei prin-
cipi cattolici dell'ecumenismo (una definizione della posizione cattolica
in materia)? 3° Favorendo l'ecumenismo, non si apre la strada all'indiffe-

28Cfr. supra, n. 23.


29 Si veda la sintesi delle osservazioni collocata in testa del fascicolo delle Emenda
tiones distribuito ai padri, in AS IV5, pp. 442 445.
°
3 Come alcuni sottolineeranno nel corso del dibattito, la seconda formula alla
fine approvata - mette in luce soprattutto che il movimento ecumenico è unico e che è
cominciato ben prima del coinvolgimento cattolico, che non fa che portare il proprio
L'IMPEGNO ECUMENICO DELLA CHIESA CATTOLICA 283

rentismo o non ci si dimentica H dovere di convertire? Si debbono chia-


mare «chiese» le comunità uscite dalla Riforma? Non si devono sottoli-
neare maggiormente gli elementi positivi del protestantesimo? Non tutte
le verità di fede hanno lo stesso posto nella vita cristiana: non conviene
inserire un passaggio sul rispetto della gerarchia delle verità?31 Un padre
osserva - e un certo numero di padri lo ripeterà oralmente - che la vera
chiesa è fondata su Pietro e sui suoi successori e che è necessario ispira-
re agli altri cristiani un dubbio di coscienza sulla legittimità delle loro
comunità.
Per la pratica dell'ecumenismo, bisognerebbe promulgare in un di-
rettorio le regole generali, lasciando ai vescovi la responsabjlità principa-
le della loro applicazione alle situazioni locali. Alcuni padri desiderano
che siano confessati gli errori dei cattolici contro l'unità, facendo eco al-
l'accenno pronunciato da Paolo VI nel discorso del 29 settembre. Altri
ancora chiedono che si tratti della «communicatio in sacris» (scambio
dei sacramenti tra chiese differenti). Infine due padri reclamano dichia-
razioni sulla libertà religiosa e sulle relazioni dei cattolici coQ. le altre re-
ligioni, in particolare l'ebraismo. Le questioni sono due: si tratta di sa-
pere se questi due testi sono opportuni e se devono essere inseriti nello
schema sull'ecumenismo. Tali questioni emergeranno consistentemente
nel dibattito in aula.
Era prevedibile che, nel corso dei dodici giorni di dibattito, si mani-
festassero con chiarezza due mentalità: da una parte quella condivisa dai
difensori assoluti della posizione contro-riformista che non concepivano
l'unità dei cristiani se non come ritorno puro e semplice degli «altri»
alla chiesa cattolica; dall'altra quella - non si sapeva bene in che misura
avesse conquistato l'episcopato - che, pur senza trascurare l' autocoscien-
za che la chiesa ha della propria natura, era in grado di non mettere
tutte le verità sullo stesso piano e ritrovava, nella fonte stessa del mes-
saggio evangelico e negli appelli del mondo contemporaneo, l'esigenza
della testimonianza comune della fede cristiana32 •
Tuttavia era difficile non dichiararsi in linea di principio favorevoli a

contributo. Nel suo commento al decreto, C.J. Dumont reputa che la differenza tra le
due formule non è convincente («Istina», 1964, pp. 362 363).
31 Nella sua sintesi di settembre, C.J. Dumont chiede che questo punto sia sottoli-
neato più esplicitamente e aggiunge una proposta di testo la cui sostanza passerà nel de
creto (n. 11 § 3).
32 Nelle sue note personali, Ch. Moeller, esperto belga, alla data del 18 novembre
scnve dopo la prima mattinata del dibattito: <<l due mondi: [l'uno] prudente, astratto,
giuridico per timore di relativizzare; l'altro evangelico, concreto, aperto. Il primo cadrà
in rovina» (CLG, F-Moeller, taccuino X).
284 IL CONCILIO ADULTO

un decreto «pastorale» sull'unità, poiché la ricerca di quest'ultima era


stata iscritta per volontà pontificia tra gli orizzonti del concilio e, nel
primo periodo, era stato nettamente affermato che la prospettiva ecume-
nica doveva ispirare l'insieme del lavoro conciliare33 . Alla conferenza
stampa del 30 novembre, il portavoce dichiara che raramente si sono
sentite lodi altrettanto ampie a proposito di uno schema34 . Questo otti-
mismo, che corrispondeva abbastanza bene alla realtà35 , non tiene tutta-
via conto del fatto rilevato dal vescovo ausiliare di Sydney il 2 dicembre:
«molte cose sull'ecumenismo sono state dette in aula da persone che
non ne conoscevano granché»36 !
In effetti, le due mentalità delle quali abbiamo parlato non si espri-
mono nello stesso modo. I sostenitori di un ecumenismo positivo e
aperto non temono di affermare che lo schema non s'impegna a suffi-
cienza nell'incontro con gli altri cristiani, mentre quelli che sono poco
favorevoli «travestono» spesso le loro critiche con ragioni che possono
apparire valide: lo schema è troppo generico, troppo superficiale, teolo-
gicamente non abbastanza fondato, non sufficientemente pratico per
l'azione; o invece propongono, come Carli (vescovo di Segni), correzioni
su una gran quantità di punti di dettaglio. È vero che alcuni di questi
argomenti si ritrovano anche presso i sostenitori convinti dello schema,
ma per ragioni differenti: in questo caso essi sono ispirati dalla preoccu-
pazione di tener conto delle reazioni delle altre chiese3 7 •

33 Si veda in modo particolare l'intervento del 19 novembre 1962 di De Smedt


(Bruges) a nome del segretariato per l'unità (AS I/3, pp. 184-187), il solo che mons. Du-
mont riproduca fatto significativo in traduzione francese nel suo dossier sulla genesi
dello schema sull'unità («Istina», 1964, pp. 507-510).
34 A. Pangrazio, arciv. di Gorizia. Cfr. CAPRILE, III, p. 410, n. 18.
35 B. Olivier lo conferma nelle sue note personali: «di norma ci si sarebbe potuto
aspettare un contrattacco violento... Meraviglia vedere che nell'insieme le critiche sono
molto moderate e che la gran maggioranza degli interventi rivela un desiderio attivo di
appianare tutte le difficoltà» (Chronique 2e session, p. 30). Il principale osservatore del
Consiglio ecumenico, L. Vischer, esprime un parere simile il 22 novembre: la discussio-
ne è incoraggiante, ci sono pochi interventi contro il testo, la gran maggioranza dei ve-
scovi riconosce l'importanza del testo (lettera a W. Visser't Hooft, 22 novembre 1963,
copia presso l'ISR, F ACO 6).
36 Th. Moldoon: AS II/6, pp. 343-344. Come nota R. AUBERT Il Concilio Vaticano
II (1959 1965) in La Chiesa del Vaticano II (1958 1978), a cura di M. Guasco, E. Guer-
riero, F. Traniello, Cinisello B. 1994, p. 267: «Molti padri mostrarono la loro totale in-
sensibilità ai "segni dei tempi" dando sugH ortodossi e sui protestanti giudizi del tutto
anacronistici, segno evidente de1la loro assoluta inesperienza in materia».
3 7 Per esempio quando M. Hermaniuk (Winnipeg per gli Ucraini) rileva che invece
di limitarsi a una dichiarazione di intenti, lo schema deve prendere concretamente posi-
zione su1l'importanza dei patriarcati e del regime sinodale in Oriente come terreno di
L'IMPEGNO ECUMENICO DELLA CHIESA CATTOLICA 285

Per offrire un'idea del dibattito, sarebbe arbitrario isolare questo o


quell'intervento o parte di intervento. Ci limiteremo per ciò a presentare
le diverse relazioni (relationes) con le quali è stato introdotto lo schema
e a illustrare gli interventi analizzandone alcuni tra quelli che appaiono
più significativi. Per rispetto alla commissione delle chiese orientali, il
cui schema sull'unità era stato praticamente rifiutato nel primo periodo,
l'onore di introdurre lo schema nel suo insieme - cioè a dire con i suoi
cinque capitoli, di cui i padri non hanno ricevuto che i primi quattro 38 -
viene lasciato· a Cicognani, segretario di Stato ma anche presidente di
questa commissione, e non al presidente del segretariato per l'unità.
Dopo aver parlato di «fusione» dei tre testi sull'unità effettuata su ri-
chiesta dei padri - il termine era quanto meno diplomatico39 - e dopo
alcune rievocazioni storiche basate sugli sforzi cattolici in favore del-
l'unione, l'oratore precisa che l'ecumenismo è un metodo attraverso il
quale la chiesa si sforza di compiere più efficacemente la propria missio-
ne verso i cristiani separati e - aggiunta curiosa senza dubbio destinata
a giustificare la presenza nello schema degli ultimi due capitoli - verso i
non battezzati. Successivamente egli spiega in che modo lo schema è
stato elaborato. Il capitolo I espone i principi, tra i quali il cardinale ri-
leva unicamente la necessità di appartenere alla vera e unica chiesa, tra-
scurando quanto il capitolo esprime sui valori delle altre chiese e ·comu-
nità, sul necessario contributo di esse alla piena cattolicità, sulle legitti-
me diversità e sul rinnovamento interno del cattolicesimo. A proposito
del capitolo II, che si compone di otto articoli, l'oratore si accontenta di
dire che si è voluto spiegare in cosa consiste il «buon» ecumenismo. In-
dica poi che il capitolo III, dedicato ai cristiani separati «ab ecclesia ca-

unione (2 dicembre 1963, AS II/6 pp. 352-353), o quando, lo stesso giorno, il presiden
te della congregazione benedettina inglese, C. Butler, chiede che si eliminino le espres-
sioni sommarie che presentano le origini delle chiese protestanti come legate agli avveni-
menti del XVI secolo, mentre molte di esse. si rifanno esplicitamente alla tradizione pri
mitiva (ibidem).
38 Cfr. AS II/5, pp. 468-472.
39 La commissione preparatoria per le chiese orientali aveva redatto uno schema De
ecclesiae unitate incentrato sulla riconciliazione con le chiese ortodosse. La commissione
teologica aveva incluso un capitolo sull'ecumenismo nel suo De ecclesia, mentre il segre
tariato per runità aveva preparato un «decreto pastorale» De oecumenismo cattholico,
che non fu stampato (cfr. S/V 1, pp. 216-217 e 288 289). Nel primo periodo, il testo
sottoposto all'assemblea dei padri era stato quello della commissione orientale e ne era
risultato che questo testo, oggetto di elogi ma nei fatti poco ecumenico, doveva essere
fuso con gli altri due, sotto la responsabilità congiunta della commissione orientale e del
segretariato (SIV 2, pp. 345-354). In effetti, i delegati dell'Orientale s'astennero dal par-
tecipare a questo lavoro durante l'intersessione.
286 IL CONCILIO ADULTO

tholica», tratta prima di tutto degli orientali, poiché essi sono più v1c1n1
a noi e in qualche modo presenti tramite l'intermediazione dei padri dei
riti orientali cattolici; quanto ai protestanti, oggetto della seconda sezio-
ne del capitolo, il cardinale si accontenta di menzionare la presenza dei
loro rappresentanti in aula40 •
A proposito del capitolo IV, egli sottolinea che la preoccupazione
per i non cristiani, e in modo particolare per gli ebrei, si spiega con una
ragione essenzialmente religiosa41 • L'ultimo capitolo, invece, che tratta
della libertà religiosa, viene giustificato dal numero crescente di persone
che cercano di informarsi sulla chiesa ... In conclusione, l'oratore sottoli-
nea che il progetto di decreto ha un carattere del tutto pastorale, in
conformità con la natura del concilio. Se questo discorso doveva forza-
tamente attenersi a spiegazioni molto generali, si deve tuttavia riconosce-
re che restringeva significativamente la portata dello sçhema e non era
di natura tale da imprimere un respiro più ampio al dibattito che si sta-
va per apnre.
La relatio sui primi tre capitoli presentata da Martin, come si è det-
to, è di un'altra tonalità ed è caratterizzata da grande nitidezza42 . Il rela-
tore comincia col dire ciò che lo schema non è: né un manuale di teolo-
gia, né una parte di un codice di diritto, né un trattato di storia. Si trat-
ta di un decreto sobrio, irenico, pastorale - che presuppone la dottrina
esposta nello schema sulla chiesa - e anche nuovo: nuovo per la chiesa
cattolica, nessun concilio della quale ha mai affrontato la materia in
modo specifico. Se il Vaticano II l'affronta è perché il fatto della divi-
sione tra i cristiani appare oggi come uno scandalo nei confronti della
volontà espressa da Cristo; e ciò paralizza l'evangelizzazione. Dopo aver
indicato i titoli delle parti del capitolo I (Principi del!' ecumenismo catto-
lico), ]. Martin afferma che il capitolo II (Esercizio dell'ecumenismo) non
rende omaggio a una moda, ma intende offrire mezzi pratici di azione:
rinnovamento spirituale, preghiera comune, mutua conoscenza, coopera-

40 Bisogna dire che numerosi membri del segretariato non erano soddisfatti di que-
sta sezione, che era stata redatta in gran fretta in seguito a una direttiva della commis
sione di coordinamento alla fine del mese di marzo precedente (cfr. 5/V 2, pp. 468 e
471).
4 1 Questa affermazione faceva eco ai due comunicati diffusi il 18 ottobre e 1'8 no
vembre dal segretariato per l'unità (CAPRILE, III, pp. 420 421) con l'intenzione di ri-
spondere alle dicerie sul carattere politico del testo, diffuse non soltanto nel mondo ara
bo, ma anche da parte della stampa che vi vedeva una risposta alla recente apparizione
della rappresentazione teatrale Il Vicario di R. Hochhuth, nella quale si criticavano seve
ramente i silenzi di Pio XII sulla persecuzione degli ebrei durante la guerra e che negli
ultimi mesi del 1963 veniva messa in scena un po' dappertutto.
42 Cfr. AS II/5, pp. 472 479.
L'IMPEGNO ECUMENICO DELLA CHIESA CAITOLICA 287

zione nella carità. Quanto al capitolo III, l'oratore si limita a rispondere


alle critiche sulla presentazione positiva delle altre chiese. Offre quindi
alcune spiegazioni: 1) non si cercano compromessi, le cause delle divi-
sioni sono reali, ma sono abbastanza conosciute perché ci fosse la neces-
sità di ricapitolarle nuovamente. Ciò che è stato ricercato, è una base
comune per intraprendere il dialogo in una prospettiva nuova; 2) il dia-
logo non parte dall'indifferentismo e non vi conduce; ma per essere in-
tesa, la verità esclude qualunque rigidità nella sua esposizione; del resto
l'unità ultima è nelle mani di Dio; 3) il decreto non tratta tutte le que-
stioni, ma soltanto i grandi principi; un direttorio in preparazione, pro-
mulgherà norme più precise e i vescovi di ogni regione del mondo do-
vranno in seguito produrre regole adattate a ciascuna situazione partico-
lare. Come conclusione, Martin sottolinea la grande diversità tra i mem-
bri del segretariato che hanno preparato il testo, la loro cooperazione
fraterna e l'apporto degli osservatori delegati e degli invitati. Alcune
questioni fondamentali non sono risolte, ma un nuovo spirito di collabo-
razione si va stabilendo tra i cristiani. Sottolineando la novità del decre-
to, Martin non voleva certamente lasciar credere che l'ecumenismo co-
minciasse con l'interesse che la chiesa cattolica gli accordava; mirava
piuttosto a far comprendere che tutto lo sforzò in direzione dell'unità
doveva essere considerato in una prospettiva altra rispetto a quella del-
l'unionismo (ritorno nella chiesa), così come era stata definita e praticata
dopo Leone XIII. Ma era invece fin troppo reale la constatazione che
l'ecumenismo rappresentava una novità completa per la maggior parte
dei vescovi, poco preparati a comprenderne l'originalità e ad accettare
che il movimento come tale avesse un'origine cristiana situata al di fuori
del cattolicesimo. Numerosi osservatori delle altre chiese rilevarono cor-
tesemente che la chiesa di Roma si trovava semplicemente sul punto di
cominciare il suo apprendistato, con l'entusiasmo un po' eccessivo del
neofita. Ma se da una parte il dibattito rivelò questo entusiasmo negli
elogi indirizzati al decreto, è anche vero che alcuni intervenuti avrebbe-
ro potuto risparmiarsi talune delle loro osservazioni e obiezioni se aves-
sero tenuto presente con più attenzione l'esposizione del relatore: ad
esempio sulla parte relativa alle cause delle divisioni, su quella riguar-
dante i rischi dell'indifferentismo e sulla necessità di un direttorio e di
direttive adeguate a ciascuna regione. La perdita di tempo prodottasi in
questo modo fu un elemento rivelatore, tra alcuni altri, della mancanza
di coordinamento tra l'assemblea dei padri e le commissioni, che molti
in quello stesso momento percepivano come un handicap nell'organizza-
zione del concilio.
Il relatore dei primi tre capitoli non aveva dato indicazioni precise
sul contenuto del capitolo III. In effetti, almeno per la prima sezione di
288 IL CONCILIO ADULTO

questo capitolo - dedicata alle chiese orientali - per attenuare le tensio-


ni tra segretariato e commissione orientale, Cicognani aveva voluto che
essa venisse presentata da un vescovo di questa commissione43 . G. Bu-
katko (coadiutore di Belgrado) lesse la sua breve relatio il 19 novem-
bre44. In essa spiegava che la materia della sezione differiva da quella
dello schema sulle chiese orientali, che riguardava le chiese unite a
Roma. Riconoscendo che il testo era stato elaborato dal segretariato, af-
fermava che la sua commissione aveva apportato il proprio contributo e
che un certo numero di elementi erano stati ripresi dallo schema presen-
tato nel dicembre 196245 . Concludeva poi sulla possibilità che avevano i
padri di chiedere miglioramenti al testo. Questa prima sezione del capi-
tolo III riconosceva tutto il patrimonio delle chiese d'Oriente, nella sua
originalità e nel suo valore per la chiesa cattolica. In seguito alle osser-
vazioni dei padri, in modo particolare di quelli dei riti orientali, essa
' . . . .
sara successivamente tn parte riorganizzata.
Una buona rappresentazione del dibattito è offerta dai nove inter-
venti che si susseguono a partire da lunedì 18 novembre46 . Se tutti gli
oratori salvo uno si dichiarano in favore dello schema, ugualmente tutti
formulano critiche, che vanno in direzioni assai diverse. Il primo a inter-
venire, il patriarca siriano Tappouni, insiste soprattutto sull'inopportuni-
tà del capitolo sugli ebrei e si dichiara sorpreso dell'annunciato capitolo
sulla libertà religiosa. Nella prossima sezione parleremo delle riserve
avanzate da un certo numero di padri su questi due punti.
Due interventi sono emblematici: quelli dei cardinali Ruffini e Ritter.
Ruffini - si sa che fu l'oratore più prolisso del concilio - apre veramen-
te il fuoco 47 ; figurerà ancora tra gli intervenuti dell'ultimo giorno, il 2
dicembre. Ascoltato con attenzione dal vasto uditorio48 , comincia col
manifestare la propria ammirazione per r estrema applicazione con la
quale la commissio concilian.'s particolare, ardentemente desiderosa della

43S/V 2, p. 470, n. 182.


44AS IV5, pp. 480-481.
45 Cfr. S/V 2, p. 467, n. 173. Sembra proprio che la responsabilità deJla sezione ve-
nisse accordata al segretariato dal card. Cicognani ottenendo l'inserzione di una serie di
emendamenti che andavano nel senso deJlo schema Ut unum sint deJla commissione
orientale.
46 Prendono in successione la parola i cardd. Tappouni (patr. di Siria), Ruffini (Pa-
lermo), un tempo professore del precedente, de Arriba y Castro (Tarragona, Spagna),
Bueno y Monreal (Siviglia), Ritter (Saint Louis, USA), Quintero (Caracas), Doi (Tokyo) e
i patriarchi Stephanos I Sidarouss (copto) e Maximos IV Saigh (melchita). Cfr. AS IT/5,
pp. 527-545.
47 AS IT/5, pp. 528 530.
48 JCng, 18 novembre 1963. Congar aggiunge: «si sarebbe sentita volare una mosca».
L'IMPEGNO ECUMENICO DELLA CHIESA CATTOLICA 289

propagazione della verità cattolica e del regno di Cristo, ha preparato lo


schema. Si scusa in seguito per i motivi di preoccupazione e le esitazioni
che sta per esporre. Sono essenzialmente sei: 1) il termine «ecumeni-
smo» non gli pare pienamente conforme alla denominazione «ecumeni-
co» utilizzata per designare il concilio. Quest'ultimo è chiamato così a
buon diritto perché è universale, mentre l'ecumenismo riguarda una
specie particolare di apostolato. In più, questo sostantivo è stato intro-
dotto nella teologia dai protestanti a partire da una quarantina d'anni, e
essi gli danno tutt'un altro significato rispetto ai cattolici: vedono il mo-
vimento ecumenico come il passaggio dalla chiesa così come l'hanno fat-
ta gli uomini alla chiesa voluta da Dio, quindi le chiese attuali sono tut-
te istituzioni umane. Se si conserva il termine di «ecumenismo», bisogna
definirlo chiaramente e brevemente all'inizio del decreto per evitare al
meglio ogni possibile equivoco; ma sarebbe meglio sostituire il vocabolo
con una descrizione della cosa, aggiungendo «che oggi è da molti chia-
mata ecumenismo»; 2) il nostro desiderio più antico è il ritorno dei fra-
telli separati all'unico ovile, del quale il Cristo è il supremo pastore invi-
sibile e il papa il vicario visibile di Cristo. Resta una certa prossimità tra
loro e noi. Ma lo schema dovrebbe mostrare molto più chiaramente che
questa prossimità è di gran lunga maggiore con gli orientali che con i
fratelJi che si vollero chiamare «riformatori» e che oggi sono designati
con il nome di protestanti o di evangelici49 o con altri termini distintivi.
L'oratore enumera i molteplici punti in comune tra cattolici e orientali e
sottolinea che fra i protestanti, e soprattutto nelle sètte che divergono
più o meno gravemente tra di loro, ben poche cose sono state conserva-
te dell'antica fede cattolica, al di fuori della Scrittura e del battesimo; 3)
il cardinale italiano chiede una migliore disposizione nell'ordine degli ar-
gomenti affrontati nello schema, principalmente con la soppressione di
ciò che è stato detto all'inizio riguardo all'unità e all'unicità della chiesa,
punti già trattati nello schema sulla chiesa; 4) se si aggiunge un capitolo
particolare sugli ebrei, perché non parlare all'interno di esso di coloro
che, assai numerosi, aderiscono alle altre religioni? Talvolta costoro non
sono più lontani dai cattolici di quanto non lo siano gli ebrei e i prote-
stanti e per di più molto spesso, a dire dei missionari, aprono più facil-
mente il loro cuore alla nostra fede; 5) ci si potrebbe chiedere perché
l'ecumenismo trascura gli innumerevoli cattolici che si interessano al co-
munismo, più esattamente al marxismo, che diffonde l'ateismo nel
mondo; 6) bisognerebbe che lo schema promulgasse regole precise affin-

49 Secondo Congar, queste parole sono pronunciate «con intonazione dura>> (JCng,
ibidem).
290 IL CONCILIO ADULTO

ché il dialogo, come si suol dire, con gli «a-cattolici» sia prudente e ve-
ramente efficace. Bisogna che coloro che partecipano a congressi con
gli a-cattolici si distinguano per una vita santa, si dedichino con fervore
alla preghiera, siano molto preparati nella teologia cattolica e ottengano
precedentemente il permesso dell'autorità ecclesiastica.
Dopo questo intervento, si succedono alla tribuna due cardinali spa-
gnoli: l'arcivescovo di Tarragona, per sottolineare i gravi rischi che
l'ecumenismo comporta di fronte all'impreparazione del popolino catto-
lico e al proselitismo crescente dei protestanti; il cardinale di Siviglia,
anche se meno agitato, si rammarica comunque che lo schema non
prenda le precauzioni necessarie per evitare di esporre i fedeli all'indif-
ferentismo, e per suggerire che tutte le religioni vengano inglobate nella
ricerca dell'unità.
Questi tre resoconti illustrano perfettamente la posizione cattolica
corrente negli ultimi secoli e senza dubbio sempre mantenuta, quand'an-
che con sfumature ispirate dalla buona volontà e dallo spirito del tem-
po, da un numero elevato di padri conciliari, soprattutto di quelli pro-
venienti dalle regioni in cui il cattolicesimo è la religione largamente
maggioritaria. Tale posizione aveva un fondamento giuridico ed ecclesio-
centrico inattaccabile sul piano dei principi della teologia romana come
su quello della difesa pastorale del gregge cattolico, considerato minac-
ciato di aggressione. Lo schema invece testimoniava, sebbene in un
modo ancora limitato, una vera comprensione nei riguardi di quel movi-
mento ecumenico contemporaneo che non era nato nell'alveo del catto-
licesimo ma che quest'ultimo non poteva più ignorare. .
Questo movimento aveva caratteristiche specifiche. L'insieme, o la
maggioranza del concilio, era in grado, e per di più nel lasso di tempo
assai breve di cui disponeva, di coglierne la novità e di tenerne conto?
Difficile creder lo.
Il cardinale americano J. Ritter è il quinto oratore del primo gior-
no50. Egli parla anche a nome di alcuni vescovi degli Stati Uniti. Per es-
sere più precisi, il suo intervento è stato approvato da 91 dei 120 vesco-
vi americani che si erano riuniti alla vigilia. Se l'intervento, ascoltato con
la stessa attenzione e lo stesso silenzio dei precedenti5 1, verte in gran
parte sulla libertà religiosa - sulla quale ritorneremo - bisogna notare
che Ritter situa questo argomento nel cuore della problematica ecumeni-
ca: la libertà religiosa è il fondamento e il prerequisito delle relazioni
con gli altri «corpi» cristiani, ed è quindi indispensabile trattarne all'in-

50 Cfr. il testo del suo intervento in AS II/5, pp. 536-538.


51 Cfr. JCng) 18 novembre 1963.
L'IMPEGNO ECUMENICO DELLA CHIESA CATTOLICA 291
\

terno dello schema sull'ecumenismo e prima di giungere all'esercizio


concreto di quest'ultimo. Innanzi tutto l'oratore esprime la propria
grande soddisfazione per lo schema in generale, perché esso risponde
bene alla necessità di esprimere le conseguenze pratiche dell'aggiorna-
mento della chiesa. Sia dal punto di vista teologico che da quello stori-
co, il documento segna la conclusione della Controriforma, con le sue
sventurate polemiche; sul piano spirituale, ci forza ad esaminare il no-
stro modo di considerare i fratelli nel Cristo; dal punto di vista pastora-
le, ci spinge ad affrettare «per orationem, studium, dialogum et actio-
nem» il giorno in cui tutti saranno uno nel Cristo. Dopo aver insistito
perché si collochi la libertà religiosa tra i principi dell'ecumenismo,
l'oratore sottolinea che un altro fondamento deve apparire più chiara-
mente nello schema: l'eucarestia come segno e causa dell'unità della
chiesa52 . Bisogna nello stesso tempo affermare la validità degli ordini e
dei sacramenti delle chiese orientali. Viene chiesto poi di evitare, negli
emendamenti che saranno introdotti, una terminologia forse offensiva:
senza giudicare della validità degli ordini e della celebrazione eucaristica
degli altri, non si esiti a chiamare «chiese» i corpi cristiani che il testo
designa col nome di «comunità». Successivamente Ritter non ha timori
nel dare la sua completa approvazione al capitolo sugli ebrei in quanto
chiaramente in sintonia con il fine che si propone il concilio. Infine, ri-
conosce che l'ecumenismo è esposto ai pericoli comuni a tutti i movi-
menti vitali: lo si può confondere con una dolce rigidità, può diventare
sterile per colpa di un eccessivo intellettualismo, può volgersi nell'indif-
ferentismo. Termina annunciando che ha consegnato suggerimenti prati-
ci per il direttorio sull'esercizio dell'ecumenismo, la cui realizzazione è
assai auspicabile.
Proponendo di basare la ricerca dell'unità sul fondamento eucaristi-
co e su quello della libertà religiosa, il cardinale americano dava al di-
battito un tono assai differente da quello degli oratori che l'avevano
preceduto. E tra questa linea di apertura e quella della tradizione difen-
siva ed ecclesiocentrica che sarebbero oscillati gli interventi delle due
settimane successive53 •
Negli ultimi quattro interventi del 18 novembre, sono da mettere so-
prattutto in rilievo la valutazione assai positiva dello schema, nella linea

52 Nell'intervento del 25 novembre egli ritornerà sul tema dell'eucarestia come vero
centro dell'unità, dal quale derivano gli altri atteggiamenti spirituali.
53 Congar riassume così le sue impressioni sulla seduta: «È chiaro che due mentali-
tà si sono manifestate, o meglio due mondi: quale abisso tra l'evangelismo della relazio-
ne di mons. Martin e quelli che, come Ruffini e i due cardinali spagnoli, sono puramen-
te attaccati a un passato ... sorpassato! !» (JCng, 18 novembre 1963).
29 2 IL CONCILIO ADULTO

del card. Ritter, data dal patriarca melchita Maximos IV, l'invito del
card. Doi (Tokyo) a evocare la necessaria collaborazione culturale e so-
ciale di tutti i cristiani nelle regioni ancora poco cristianizzate54 , le criti-:
che dei patriarchi copto e melchita sulla presenza di un capitolo sugli
ebrei - critiche ripetute regolarmente in seguito da diverse parti -; infi-
ne un altro tema, che sarà spesso ripreso, e cioè la richiesta di perdono
della chiesa ai fratelli separati, proposto allora dal card. Quintero (Cara-
cas) nello spirito del discorso di Paolo VI del 29 settembre55 •
Nel corso delle mattinate successive, gli interventi si succedono a un
ritmo di una decina al giorno, inframmezzati dai voti sugli emendamenti
.e sui capitoli degli schemi riguardanti la liturgia e le comunicazioni so-
ciali. Il 19 novembre, si ascolta prima di tutto la relatio di G. Bukatko
sulla prima sezione del capitolo III: ne abbiamo già parlato56 •
Nel corso della seduta, i cardinali Léger (Montréal) e Konig (Vien-
na) danno il loro pieno appoggio allo schema57 ; il secondo sottolinea an-
che che il riavvicinamento non può che essere il frutto di un lungo pro-
cesso e che, senza rifiutare il movimento ecumenico in corso all'interno
delle altre chiese, bisogna limitarsi a parlare della concezione cattolica
dell'ecumenismo per evitare ogni sorta di ambiguità58 • L'intervento più
notevole di martedì 19 è senza dubbio quello di A. Elchinger (coadiuto-
re di Strasburgo), che dopo aver lodato lo schema, non teme di chiede-
re una profonda riforma degli atteggiamenti cattolici nei riguardi della
verità rivelata5 9. L'ecumenismo è possibile solo a quattro condizioni: 1)

Tema ripreso diverse volte in seguito, in particolare il giorno successivo, 19 no


54
vembre, dal cardinale africano L. Rugambwa, poi da A. Jacq (20 novembre), G. Huyghe
(22 novembre), V. Gracias ed F. Hengsbach (26 novembre), S. Baldassarri (27 novem-
bre) e A. Pildain (28 novembre).
55 In favore di questa richiesta di perdono si pronunciarono in particolare il france-
se Elchinger (19 novembre), il vescovo ceco Tomasek (27 novembre), l'esarca ucraino in
Francia Malanczuk (28 novembre) e l'autorevole benedettino inglese, abate Butler (2 di-
cembre). Tra gli oppositori un altro ceco, Nécsey (27 novembre) e l'australiano Muldoon
(2 dicembre), che dirà: «Se qualcuno è in errore, che vada a trovarsi un buon confes
sorel».
56 In seguito vengono pr~sentate le importanti relationes di Bea e di De Smedt sui
capitoli IV e V, di cui trattiamo infra. ·
57 AS II/5, pp. 550-555.
58 Il giorno dopo, C. Morcillo (Saragozza) sottolinea ancora di più la necessità di
porre i «principi cattolici dell'ecumenismo» (e non «i principi dell'ecumenismo cattoli-
co») poiché il cattolicesimo non deve dare l'impressione di presentare una specie com
pletamente nuova di ecumenismo: deve collaborare con il movimento esistente (AS II/5,
p. 607). Si è visto che lo specialista C.J. Dumont non era convinto della fondatezza di
questa modifica che fu introdotta nel decreto (cfr. supra, n. 30).
59 AS II/5, p. 560.
L'IMPEGNO ECUMENICO DELLA CHIESA CATIOLICA 293

riconoscere i fatti storici: testimonianze alla mano, l'oratore dimostra


che le divisioni sono nate dalla volontà di affermare verità che la chiesa
aveva trascurato; 2) riconoscere la verità, anche parziale, della dottrina
degli «altri» e offrire su questo terreno una testimonianza comune; 3)
considerare come un atto di carità l'approfondimento della ricerca della
verità da entrambe le parti; 4) non confondere l'unità della fede, della
carità e del culto con l'uniformità dei riti e delle dottrine teologiche. Bi-
sogna apprezzare le legittime differenze e saper relativizzare non la veri-
tà, che supera le forze dello spirito umano, ma i nostri discorsi e le no-
stre concezioni.
Si può dire che con i principali interventi delle congregazioni gene-
rali del 18 e 19 novembre, le due opzioni - da una parte in favore di
una salvaguardia della posizione cattolica tradizionale incentrata sul «ri-
torno» degli altri, dall'altra di una revisione dell'atteggiamento della
chiesa stessa - si erano espresse con chiarezza. Tuttavia, né in questi
due giorni, né in seguito lo schema in quanto tale è stato messo in di-
scussione, almeno nei suoi primi tre capitoli. Il dibattito sul testo consi-
derato nel suo insieme durò quattro giorni, con un'appendice il 22 no-
vembre. Alla fine della mattinata del 21 ha luogo il voto sull'accettazio-
ne o meno dei primi tre capitoli come base per la discussione. Su 2.052
votanti, 1.966 si pronunciano affermativamente, 86 rispondono non pla-
cet. A partire da questo giorno e fino a lunedì 25, si parlò del capitolo
I, (Principi dell'ecumenismo cattolico) e una parte della mattinata di que-
sto lunedì fu dedicata ai primi interventi sul capitolo II (Esercizio del-
!'ecumenismo). Sempre in questo momento Bea risponde su diversi pun-
ti agli interventi precedenti per chiarire il dibattito, e probabilmente an-
che con l'intenzione di abbreviarlo 60 • Il presidente del segretariato pro-
mette in primo luogo che il titolo De oecumenismo sarà riesaminato per
dissipare i dubbi di alcuni circa il punto di vista cattolico o meno adot-
tato nel testo. In secondo luogo l'oratore riconosce che i diversi rischi
evocati (indifferentismo, interconfessionalismo, falso irenismo) sono rea-
li, ma il rimedio non sta nell'inazione: il direttorio in preparazione offri-
rà regole che i vescovi avranno il compito di applicare alle situazioni lo-
cali. Allo stesso modo, il dialogo dovrà essere condotto da specialisti e
sarà necessario dare una migliore formazione ecumenica e catechetica ai
semplici fedeli. Quanto ai rimproveri indirizzati allo schema di non
esporre bene la dottrina cattolica e di esaltare troppo i valori degli altri
cristiani, il cardinale risponde da una parte che il testo si indirizza a cat-
tolici che si ritiene conoscano la loro religione, dall'altra che, a partire

Go AS II/6, p. 20.
294 IL CONCILIO ADULTO

.
da Leone XIII, i papi riconoscono questi valori e la loro conoscenza da
parte dei fedeli è la condizione primaria di ogni azione ecumenica61 •
Egli conclude poi sull'importanza del fatto che tutti i cattolici abbiano
idee esatte sul movimento ecumenico, sempre più incoraggiato dai papi
e che deve essere guidato e promosso dai vescovi, poiché l'azione ecu-
menica contribuisce al rinnovamento della vita cristiana di tutti.
La discussione sul capitolo II viene sospesa il 27 novembre62 , per la-
sciare spazio ai primi dieci interventi sul terzo. Diveniva intanto sempre
più chiaro che, malgrado gli sforzi fatti dai moderatori, e senza dubbio
dal segretariato, per restringere il numero degli oratori - che del resto si
ripetevano abbondantemente, talvolta persino uscendo dal tema in di-
scussione -, non si sarebbe riusciti a chiudere il dibattito sui cinque ca-
pitoli dello schema per la data finale fissata per il 2 dicembre. Di fatto,
dodjci oratori ebbero ancora la parola quello stesso giorno63 , senza con-
tare Bea per le conclusioni e Hengsbach per una breve relatio sullo sta-
to dello schema sui laici, che non era stato possibile discutere nel corso
del periodo. In testa ai dodici oratori del 2 dicembre riappare Ruffini,
che si dichiara inquieto: i preti e i fedeli, male informati dai giornali, sa-
ranno turbati dalle questioni assai gravi che il concilio sta esaminando64 •
Tiene quindi a insistere su cinque punti: 1) Cristo non ha fondato che
una chiesa, che è la chiesa cattolica, infallibile e indefettibile, di cui il
papa è il fondamento e il capo; 2) gli eventuali errori non possono esse-
re attribuiti alla chiesa in quanto tale ma ad alcuni dei suoi figli; 3)
nemmeno coloro che a causa di questi errori hanno abbandonato la
chiesa sono innocenti; 4) la vera chiesa desidera veramente il ritorno dei

61 Da ultimo l'oratore risponde a coloro che trovano inopportuna la preghiera co


mune per l'unità, invocando l'istruzione del s. Uffizio del 1949 e sottolineando la neces-
sità di preparare i fedeli a questa pratica.
62 Viene tuttavia prolungata il giorno successivo da quattordici interventi supple-
mentari.
63 Sempre sul capitolo III dedicato a una descrizione delle chiese e delle comunità
non cattoliche. Tra i temi affrontati negli interventi su questo capitolo, segnaliamo l'invi
to a riconoscere una gerarchia nelle verità cristiane (J. Rupp, 29 novembre; e già A.
Pangrazio, 25 novembre); l'accento da mettere maggiormente sulla pluralità delle tradi
zioni ecclesiali che non nuoce all'unità ma la feconda (in modo particolare G. Thangala-
thil e J. Ziadé, 2 dicembre); la necessità di ristabilire la «communicatio in sacris» con gli
ortodossi (Chopard-Lallier, 20 novembre; Farah, 26 novembre; Capucci, 28 novembre;
Hage, 29 novembre; Layek, 2 dicembre); la richiesta di riconoscimento degli ordini an-
glicani (Goody, 29 novembre; Green 2 dicembre); la revisione della legislazione sui ma-
trimoni misti (Farah e Hengsbach, 26 novembre; Ghattas, 27 novembre; Frings, 28 no
vembre).
64 AS IV6, pp. 339-340.
L'IMPEGNO ECUMENICO DELLA CHIESA CATTOLICA 29 5

fratelli separati; 5) i colloqui e i dialoghi sono una buona cosa se sono


condotti sapienter prudenterque secondo le norme della S. Sede e atte-
nendosi esattamente al direttorio in via di pubblicazione. Questo vigoro-
so appello dell'ultimo minuto, da parte di una personalità legata a un
modello di chiesa imperniato sulla monarchia papale e attenta a un rigo-
re giuridico senza concessioni, a1l'apparenza sembrava fatto per impres-
sionare i padri, riunendo in alcune formule ben coniate ciò che era stato
pronunciato in aula da un certo numero di vescovi - soprattutto italiani
e spagnoli - ma pareva anche voler attirare l'attenzione di Paolo VI sui
rischi di un'apertura ecumenica giudicata pericolosa.
Nelle sue conclusioni, Bea giudicò che il dibattito delle due settima-
ne trascorse era stato fruttuoso, pur ammettendo la necessità di portare
numerosi miglioramenti allo schema per i quali si sarebbe impegnato il
segretariato65 • Prometteva che le proposte eventualmente non riprese nel
testo sarebbero comunque figurate nel direttorio, aggiungendo che non
era possibile entrare nel merito di applicazioni troppo rigide e particola-
ri data la grande diversità delle situazioni. Ciò equivaleva a suggerire
che l'essenziale si trovava nel nuovo atteggiamento di apertura ecumeni-
ca al quale il futuro decreto impegnava la chiesa66 .
Un modo particolarmente felice per concludere il dibattito era stato
suggerito dal penultimo oratore, il vescovo indiano L. D'Mello: propo-
neva infatti che padri, osservatori e uditori dicessero insieme la preghie-
ra di Gesù per l'unità e il Pater. «Normalmente - nota Congar - ci sa-
rebbero dovuti essere applausi generali, ma la metà dei padri chiacchie-
rano nelle navate laterali. La proposta cade»67 •
Si era così giunti alla data fatidica del 2 dicembre senza aver potuto
affrontare i capitoli sugli ebrei e sulla libertà religiosa. Era un sintomo -

65 AS II/6 pp. 364-367.


1

66 Gran parte dell'intervento di Bea era dedicata a spiegare perché i capitoli IV e V


dello schema erano passati sotto silenzio. Ne parleremo più avanti. Dopo il cardinale,
Hengsbach (Essen) presentò una breve relatio a proposito della preparazione dello sche
ma sull1apostolato dei laici che si sarebbe dovuto discutere: il segretario della commis-
1

sione ad hoc, A. Glorieux, aveva del resto scritto una lettera pressante a Lercaro il 20
novembre: sarebbe meglio avere una breve discussione di 2 o 3 giorni per sapere come
orientare la revisione del testo piuttosto che non avere alcuna discussione (ISR F-Lerca-
1

ro, XV 253). Il vescovo di Essen spiegò che lo schema del periodo preparatorio era sta
to condensato e si articolava ormai in due parti: questioni generali (panorama delle for-
me di apostolato individua1i e collettive, loro conveniente organizzazione apostolato nel
1

mondo moderno); questioni particolari (applicazione dei principi all'apostolato secondo


le sue forme, rapporti con la gerarchia, formazione dei laici). Cfr. AS II/6, pp. 367-370.
67 JCng, 2 dicembre 1963.
296 IL CONCILIO ADULTO

tra altri - del fatto che il cammino del concilio non proseguiva senza
porre seri problemi.

1.3. Due problemi delicati: gli ebrei e la libertà religiosa

Due questioni di base si pongono a partire dal periodo preparatorio


del concilio quanto alla redazione di testi relativi alla libertà religiosa e
all'atteggiamento della chiesa cattolica nei riguardi dell'ebraismo: questi
testi erano necessari, erano opportuni? Quale istanza doveva prepararli?
Il Decretum de Iudaez"s del periodo preparatorio, un progetto in 7 pagine
elaborato da Bea su richiesta di Giovanni XXIII, era stato scartato nel
giugno 1962, principalmente a causa delle reazioni politiche arabe, che
il segretario di Stato temeva e che del resto si erano già manifestate68 •
Nel dicembre dello stesso anno, Bea era tornato alla carica in un pro-
memoria indirizzato al papa, che approvò immediatamente la rimessa in
cantiere del documento69 • Il vecchio testo, rivisto, fu approvato in sedu-
ta plenaria dal segretariato nel febbraio 1963 e inserito, con il benestare
della commissione di coordinamento, nello schema sull' ecumenismo70 ;
era allora la sola maniera di assicurarne la salvaguardia, evitando di do-
verlo sottomettere al parere della commissione dottrinale. Contraddistin-
to da una tenace fedeltà alla volontà di papa Giovanni XXIIF1, ma an-
che incoraggiato dai contatti avuti con alcune personalità ebraiche tra
giugno 1962 e febbraio 1963 72 , Bea stimava indispensabile tener conto

68 Cfr. S/V 1, pp. 270 271. Alcune precisazioni sono offerte da TH.F. STRANSKY nel
suo capitolo di Vatican II by those who were there, London 1986, pp. 72-73.
69 Cfr. VELATI, Una difficile transizione, cit., pp. 380-381. Bea ricevette una risposta
autografa del papa, così formulata: «Letto con attenzione questo rapporto del card. Bea,
ne condividiamo perfettamente la gravità e la responsabilità di un nostro interessamen-
to» (cf r. CAPRILE, III, p. 424, n. 20).
70 Il nuovo testo, benché intitolato De catholicorum habitudine ad non christianos et
maxime ad ]udaaeos, in effetti trattava dopo un breve paragrafo di transizione con i
capitoli precedenti esclusivamente deil'atteggiamento nei confronti degli ebrei. La scel-
ta del titolo riflette il desiderio dei membri del segretariato di non concentrarsi troppo
solo sull'ebraismo. Il testo occupa poco più di una pagina negli Acta Synodalia (AS II/5,
pp. 431-432).
71 Come egli stesso sottolinea nella sua relatio del 19 novembre 1963. Ciò non
esclude che la volontà di Bea sia stata rafforzata dalla pubblicazione in quel periodo del
la rappresentazione teatrale di R. Hochhuth, Il Vicario. B. Olivier nota neila sua crona-
ca, alla data 19 novembre: «Si dice che il [Bea] tenga a questo capitolo a causa della
sua venerazione per la memoria di Pio XII messo in causa nella famosa pièce tedesca»
(CLG, F-Olivier, 196, Chronique, p. 26).
72 Cfr. CAPRILE, III, pp. 416-417.
L'IMPEGNO ECUMENICO DELLA CHIESA CATTOLICA 297

della memoria dello sterminio del popolo ebraico, che richiedeva il rico-
noscimento delle colpe dell'antisemitismo cristiano e di conseguenza una
purificazione delle idee e delle mentalità73 . Si trattava, per il concilio, di
collocarsi sul terreno strettamente religioso, rifiutando il grave errore se-
condo il quale gli ebrei sono collettivamente responsabili della morte di
Cristo.
La posizione del testo sulla libertà religiosa era ancora più comples-
sa di quanto non lo fosse quella del documento sugli ebrei. In questo
caso, due testi erano stati in concorrenza nel corso della fase preparato-
ria: la commissione teologica aveva approvato, nel marzo 1962, il capito-
lo del proprio schema sulla chiesa intitolato Relazioni tra chiesa e stato e
tolleranza religiosa, che era incentrato sui doveri dello stato cattolico nei
riguardi della religione; una sottocommissione del segretariato per l'uni-
tà aveva messo in cantiere, a partire dal dicembre 1960, un testo focaliz-
zato sulla libertà religiosa, tema sul quale, secondo le pressioni del Con-
siglio ecumenico delle chiese, Roma doveva pronunciarsi chiaramente,
come condizione preliminare a un dialogo serio. Il testo definitivo, re-
datto da De Smedt, era stato approvato dal segretariato nell'agosto del
1961, sotto forma di uno schema di costituzione De libertate religiosa,
che fu direttamente inviato alla commissione centrale preparatoria. Nel
giugno 1962, i due documenti furono oggetto di un duro confronto tra
Ottaviani e Bea, confronto che terminò con la decisione pontificia di
creare una commissione mista per esprimere una valutazione decisiva sui
due testi. Questa commissione non si riunì mai7 4 • Nel corso del primo
periodo, i padri conciliari ricevettero la raccolta di alcuni schemi prepa-
ratori che si sapevano già esci usi dalla discussione: il testo sulla libertà
religiosa era fra questi, con una nota che esprimeva la necessità di armo-
nizzarlo con la parte sulla tolleranza dello schema della commissione
teologica. Il blocco quindi persisteva. Per questo motivo nel febbraio

73 Nel Pro memoria a Giovanni XXIII) citato da VELATI, Una difficile transizione)
cit., pp. 380 381.
74 Su questi preliminari, si veda SN 1, pp. 296 300; VELATI, Una difficile transizio-
ne, cit., pp. 240-241, 381 382 e ID.) in Verso il concilio, pp. 326-332. Si veda anche J.
HAMER, Hùtoire du texte de la déclaration, in La liberté religieuse. Déclaration «Dignita-
tis humanae personae», Paris 1967, pp. 53-60. Da notare un fatto significativo: una nota
del segretariato (redatta dal segretario, Willebrands), datata 26 settembre 1963 (ISR, F-
Dossetti I, 33b), fa la cronistoria della situazione dello schema in un momento in cui
non era ancora stato stampato. Un mese più tardi, viene redatta un'altra nota per detta-
gliare in modo ancora maggiore i passi fatti in luglio-agosto 1962 da Willebrands per
giungere a una soluzione, che non è ancora stata raggiunta il 30 ottobre 1963 Oa secon-
da nota in CCV, F-De Smedt, 17/3).
298 IL CONCILIO ADULTO

1963, il segretariato decise di elaborare un nuovo testo più breve (6 pa-


gine) lasciando da parte la questione delle relazioni chiesa-Stato. Alla
riunione della commissione di coordinamento del 29 marzo, Suenens,
relatore dello schema sulla chiesa nel mondo, insistette perché il nuovo
testo del segretariato fosse inserito in questo schema75 • Dopo la discus-
sione in maggio, il nuovo testo venne definitivamente approvato dai pa-
dri membri del segretariato76 •
La prospettiva del nuovo testo è quella della libertà di coscienza ba-
sata sulla dignità della persona umana; l'intolleranza religiosa è inammis-
sibile; il consenso religioso non può essere ottenuto per costrizione; la
persona dalla coscienza erronea ha diritto al rispetto; ha il diritto di
onorare Dio secondo la propria coscienza e di professare la propria reli-
gione. In più gli aspetti sociali di questa libertà sono oggetto di un am-
pio articolo ad hoc (n. 5) che evoca per la prima volta il bene comune e
sottolinea soprattutto l'incompetenza dei poteri pubblici in materia reli-
giosa e il dovere di equità nei confronti degli adepti di tutte le religio-
ni77. Il 4 aprile John Courtney Murray, gesuita americano al quale era
stato vietato di pubblicare sul tema della libertà religiosa a partire dal
1955, viene nominato esperto conciliare. Non partecipa direttamente alla
redazione del testo, che viene terminata 1'11 aprile e che egli giudica
«non particolarmente buono»78 , ma ne redige le note «aggiunte come
una specie di commentario a un testo già fatto» 79• In queste note abbon-
dano i riferimenti ai papi più recenti, ma soprattutto all'enciclica Pacem
in terris, promulgata da Giovanni XXIII alla metà di aprile80 • A partire

75Cfr. SIV 2, p. 452, n. 130.


76Nota del segretariato del 30 ottobre 1963. Il testo è ciclostilato il 30 maggio
(esemplare nel CLG, F-Moeller, 1999). Nelle carte di De Smedt (CCV, 17/3) è conser-
vato un esemplare completo di note e rimaneggiato in seguito alle note della commissio-
ne dottrinale all'inizio del 1963.
77 Per una comparazione tra il testo iniziale del dicembre 1960, lo schema della co
stituzione (1962) e il testo dell'inizio del 1963) cfr. HAMER, Histoire du texte, cit., pp.
53-63.
78 Lettera a M.F. Moher, rettore del Woodstock College, 2 2 novembre 1963, citata
da D.E. PELOTTE, fohn Courtney Mu"ay, theologian in con/lict, New York 1976, p. 84.
Sul ruolo di J.C. Murray al concilio, si veda anche R. REGAN, fohn Courtney Murray, the
American Bishops and the declaration on Religious Liberty, in Religious Liberty: Paul VI
and Dignitatis humanae (simposio di Washington, 3-5 giugno 1993), Brescia 1995, pp.
51-56.
79 Cfr. D. GONNET, La liberté religieuse à Vatican II. La contribution de fohn Court-
ney Mu"ay, Paris 1994, pp. 108 109 ..
so La prima di queste note consiste in una relazione di più di una pagina a stampa
(nello schema stampato: AS II/5, pp. 437 438) nella quale J.C. Murray sottolinea il pro
gresso dottrinale rappresentato dalla duplice distinzione da una parte tra le false ideolo-
L'IMPEGNO ECUMENICO DELLA CHIESA CATTOLICA 299

dalla fine del 1963, J. C. Murray apporterà un contributo notevole alla


rinnovata elaborazione della futura dichiarazione Dignitatis humanae.
Nell'immediato, restava sempre la duplice questione dell'opportunità
di una simile dichiarazione e del suo inserimento o meno all'interno di
uno schema più ampio: quello sulla chiesa nel mondo o quello sull'ecu-
menismo. In subordine a questa seconda questione, c'era quella di sape-
re a chi la chiesa volesse far conoscere prioritariamente la propria posi-
zione: agli altri cristiani o a tutti gli uomini? Fatto più grave, i responsa-
bili del segretariato vengono a sapere all'inizio di luglio che la questione
della libertà religiosa è stata puramente e semplicemente soppressa dal
programma dai vertici della commissione dottrinale81 • Il segretario, Wil-
le brands, chiede allora a Suenens o di integrare il testo nello schema
sulla chiesa nel mondo, o di farne uno schema autonomo da trattare
nell'agenda conciliare. I tre cardinali della commissione di coordinamen-
to, Suenens, Dopfner e Liénart, si accordano sulla seconda soluzione82 .
Ma quando Suenens informa Willebrands sulla riunione di questa com-
missione, tenuta in luglio, il cardinale assicura che, su sua proposta, è
stato deciso di aggiungere il testo sulla libertà religiosa allo schema sul-
1'ecumenismo.
In realtà, ciò che Suenens ha detto durante quella riunione nella sua
relatio a proposito dello stato dello schema sulla chiesa nel mondo, era
che la questione della libertà religiosa sarebbe stata elaborata «a com-
missione mixta in collaboratione cum secretariatu pro unione christiano-
rum»83. E tuttavia il relatore doveva sapere che la commissione mista,
prevista nel giugno 1962, non aveva mai potuto riunirsi. Il dibattito che
segue la relatio mostra che Suenens tenta di ottenere che la libertà reli-
giosa non sia messa nel dimenticatoio; ma Tromp obietta che il tema era
stato eliminato dalla commissione dottrinale che non lo considerava an-
cora maturo84. Il presidente della commissione di coordinamento Cico-
gnani risolve la questione dicendo che il segretariato può preparare il te-
sto, che sarà sottoposto alla dottrinale e che, dopo le osservazioni dei
padri sullo schema ecumenico già stampato (i primi tre capitoli), il se-

gie e le istituzioni civil~ ancorché conformi alla ragione, dall'altra tra gli errori religiosi e
la persona che s'inganna in buona fede. AJla fine della nota, l'autore cita tra i principali
diritti dell'uomo menzionati dai papi recenti quello del libero esercizio della religione
nella società: questo punto diventerà in seguito il centro della dichiarazione Dignitatis
humanae.
8l Willebrands a De Smedt, 11novembre1963, in CCV, F De Smedt, 17/3.
82 Ibidem.
83 AS V/1, p. 633.
84 Ibidem, p. 636.
300 IL CONCILIO ADULTO

gretariato stesso potrà, rielaborando il testo, inserirvi la parte relativa


alla libertà religiosa85 . Un modo elegante per spostare la questione più
avanti. Ora, il 9 luglio, lo stesso Cicognani promette a Bea che i due ca-
pitoli sugli ebrei e la libertà religiosa saranno rapidamente dati alle
stampe per essere inviati ai vescovi. Il presidente del segretariato gli in-
via quindi due giorni più tardi il testo86• Poi non si muove più nulla.
Quando si apre il secondo periodo conciliare, i responsabili del se-
gretariato riprendono l'offensiva. La già citata nota di Willebrands, del
26 settembre, termina con questa osservazione e auspicio: «Il testo notJ.
è ancora stato stampato nonostante le decisioni riportate qui sopra. E
auspicabile che lo si stampi al più presto affinché sia preso in considera-
zione con l'insieme dello schema De oecumenismo». La nota è indirizza-
ta ai quattro moderatori il 9 ottobre, contemporaneamente al testo sulla
libertà religiosa; i due documenti servono ad appoggiare la richiesta ur-
gente che Bea indirizza nello stesso momento a quelli che ora si reputa-
no essere i veri dirigenti del concilio, perché provvedano ad attuare ciò
che egli, in buona fede, pensava essere stata la decisione· di luglio: che
cioè il testo, nel quale si tratta un tema «della massima importanza nella
problematica ecumenica», venga sottoposto ai padri conciliari87 • Un pro-
memon·a del segretariato, che riprende l'essenziale degli avvenimenti fino
a qqesto momento, viene inviato al segretario di Stato il 15 ottobre88 •
E chiaro che la commissione dottrinale non era stata investita del
problema né da parte di Cicognani, né da parte dei suoi responsabili e
che l'istanza del segretariato non era in grado di sbloccare la questione.
Per far sì che il testo arrivasse tra le mani dei padri conciliari, sembra
che l'intervento decisivo sia stato quello dell'episcopato americano89. In
settembre Spellman, che aveva già appoggiato la domanda di nomina di
].C. Murray come esperto, indirizza (a nome di quasi tutti i suoi colle-
ghi) una lettera a tutte le istanze dirigenti del concilio, nella quale si
chiede con insistenza che il tema della libertà religiosa sia reintrodotto
nel programma sulla base del testo del segretariato. Sembra che a questa
richiesta Spellman abbia aggiunto un'iniziativa personale presso Paolo

85 Ibidem.
86 Lettera di Willebrands a De Smedt, 11 luglio 1963.
87 Esemplare indirizzato a Lercaro in F-Lercaro, XVI 258. Copia di quello indiriz-
zato a Agagianian in F Dossetti, I 33a. Come si è segnalato più sopra, la nota ha una
nuova versione con alcune precisazioni (per luglio novembre 1962) in data 30 ottobre
1963.
88 Copia in F-Dossetti, I 40.
89 Cfr. PELOTIE, fohn Courtney Murray, cit., pp. 81 82; GONNET, La liberté religieu
se, cit., pp. 125-126.
L'IMPEGNO ECUMENICO DELLA CHIESA CATTOLICA 301

VI e che, a seguito di questo passo, il papa abbia ordinato a ,Ottaviani


di riunire la propria commissione per dare l'atteso parere90 • E comun-
que certo che l'intervento di Spellman, quale che ne sia stata la forma, è
stato decisivo91 •
Ma c'era di più. I moderatori si erano lamentati presso il papa delle
lentezze e dell'inefficacia della dottrinale, fatto che aveva provocato il ci-
tato monitum autografo di Paolo VI a Felici datato 24 ottobre e tra-
smesso a Ottaviani il 26: in esso il pontefice esigeva che la commissione
accelerasse il proprio lavoro poiché riteneva grave che nel presente peri-
odo il concilio non riuscisse a concludere sui punti importanti del De
ecclesia 92 • A partire dal 28 ottobre, Ottaviani annuncia in commissione
che il testo sulla libertà religiosa sta per esserle sottoposto93 • Chiede allo
stesso tempo se è necessario che la commissione lavori tutti i giorni, sa-
bato compreso. La risposta è: non placet! 94
Il dibattito di procedura sulla libertà religiosa ha luogo nel corso
della riunione plenaria della dottrinale del 5 novembre 95 • Il presidente
Ottaviani presenta tre possibilità: creare una commissione mista con il
segretariato, creare una sottocommissione della dottrinale, dibattere il
tema direttamente sul campo. Il metodo scelto è il secondo: viene infatti
formata una sottocommissione composta da quattro membri e presiedu-
ta dal card. Léger, il cui compito non sarà quello di preparare un nuovo
testo, ma di emettere un giudizio su quello prodotto dal segretariato96 •
Questa sottocommissione si riunisce il 7 novembre e relaziona successi-
vamente alla plenaria dell'l 1. La maggioranza nella sottocommissione

90 Secondo RYNNE, pp. 191-192.


91 Alla riunione del 5 novembre 1963 della commissione dottrinale, Ottaviani dice
che sia il papa, sia Spellman hanno insistito affinché il testo venisse esaminato (CLG, F-
Prignon, 481, appunti presi nel corso della riunione).
92 Monitum, in AS V/2, pp. 12 13.
93 CLG, F Prignon, 479 (note prese nel corso alla riunione del 28 ottobre 1963 ).
94 Per il contesto, si veda infra, p. 321.
95 Dispongo degli appunti presi in questa riunione da un esperto, A. Prignon (F-
Prignon, 481) e del diario Congar.
9 6 Secondo Congar, Ottaviani parla di una commissione mista da riunire in seguito.
Alla riunione del 5, di sei nomi citati, oltre a Léger, Ottaviani ne prende in considera-
zione quattro: J. Wright (Pittsburgh), scelto come primo relatore, F. Spanedda (Bosa),
B. Gut (abate primate dei benedettini), A. Fernandez (maestro generale dei domenica
ni). Congar annota che due di loro (Fernandez e Spanedda) sono «uomini di Ottavianh>
(JCng, 5 novembre 1963). I due non scelti sono M. McGrath e F. Seper. Gli esperti del-.
la sottocommissione, presenti alla riunione del 7 novembre, sono sette: J. Ramirez, H.
de Lubac, B. Haring, B. Kloppenburg, A. Naud, J. Medina e P. Lafortune. Cfr. il verba-
le di questa riunione in CLG, F Moeller, 1998.
302 IL CONCILIO ADULTO

loda il testo perché fa opportunamente distinzione tra la verità e il


modo secondo il quale le persone vi accedono e perché tiene conto del
pluralismo di fatto della società moderna 97 . Offrendo poi una lista di
tredici osservazioni «quae utiliter tradi possent secretariatui pro unio-
ne»98 la sottocommissione raccomanda che la sua relazione, che accetta-
va all'unanimità la stampa del testo del segretariato, sia accolta dalla
plenaria come risposta da trasmettere al segretariato99 .
L'l 1 novembre ha luogo il dibattito in seduta plenaria. Non è possi-
bile qui riprodurlo dettagliatamente 100 . Tre «tenori» della commissione
manifestano un netto disaccordo sul testo: Browne, Parente, Franié, se-
guiti da Ottaviani e da altri quattro101 . Al contrario Charue, V olk,
Haring, Murray, Philips, Rahner lo difendono a fondo e soprattutto so-
stengono che si tratta soltanto di dare un nihil obstat generale, poiché il
dibattito su di esso è prerogativa dell'assemblea dei padri. Garrone (To-
losa), sostenuto da altri, chiede un voto di approvazione globale. Il ri-
sultato è 18 voti a favore del testo, 5 contrari e un astenuto. Congar
commenta: «È un fatto: tutte le volte che si vota, il voto è favorevo-
le! »102. In linea più generale, è certo che la pressione dei vescovi ameri-

97 Relazione, p. 2. Altri chiedono che si spieghi meglio, in un preambolo, come è


stato fatto un salto così grande nel progresso della dottrina; che il testo sia più chiaro
per evitare ogni benevolenza verso il soggettivismo e l'indifferentismo; che si tenga con-
to dei documenti pontifici in materia. Il giorno successivo, De Lubac e Naud precisano
a Congar che il p. Fernandez ha criticato il testo facendosi forte del Sillabo, di altri testi
di Pio IX e di Leone XIII e che Spanedda, senza fare critiche precise, ha formulato un
disaccordo globale in nome del pericolo dell'indifferentismo (fCng, p. 362).
98 Queste osservazioni riguardavano nella maggior parte questioni formali. Cfr. la
relazione, p. 3. Il segretariato ne prenderà in considerazione dieci (in particolare collo-
cando in nota riferimenti ai documenti di Pio XII, per meglio descrivere il «bene comu
ne»). Non considera invece il suggerimento di rivedere la formula sul modo «progressi
vo e umano» attraverso il quale Dio attira gli uomini a lui, né quello di sopprimere le
due righe sulla riprovazione delle diverse forme di discriminazione tra gli uomini e nep-
pure di togliere gli ultimi due articoli (6 e 7) giudicati ridondanti.
99 Relazione, p. 2.
100 Note di A. Prignon (F-Prignon, 482). Congar, che non ha assistito alla riunione,
la riassume per sentito dire (f Cng, 12 novembre 1963 ). Murray, invitato alla riunione da
Léger, ne parla in una lettera già ricordata, datata 22 novembre e citata da PELOrrE,
fohn Courtney Murray, cit., p. 82. ·
101 Tra essi lesperto Gagnebet, che «ha attaccato violentemente le ragioni invocate
nel testo, pur affermando molto risolutamente la propria adesione alle conclusioni»
(Garrone a De Smedt, 12 novembre 1963, in F De Smedt, 17/4).
102 JCng, 12 novembre 1963. Nella già citata lettera al vescovo di Bruges, principa-
le artefice del testo, Garrone dice di rallegrarsi con lui del risultato del voto, chiedendo-
gli nel contempo di tener conto delle osservazioni fatte nel corso della riunione della
sottocommissione da Fernandez e Spanedda.
L'IMPEGNO ECUMENICO DELLA CHIESA CATTOLICA 303

cani si era prolungata in seno alla sottocommissione riunita il 7 novem-


bre, attraverso l'azione decisa di Léger e del relatore, Wright: fu questo
il fattore decisivo. E, incoraggiata dalla pressione pontificia, in questa
occasione la commissione nel suo insieme diede prova di una celerità
che non era certo nelle sue abitudini.
Alla vigilia dell'apertura del dibattito in aula sull'ecumenismo, 110
dei 120 vescovi degli Stati Uniti si dichiararono favorevoli all'integrazio-
ne nello schema dei capitoli IV e V103 • Questa era senza dubbio ai loro
occhi la miglior soluzione possibile in quel momento per salvaguardare
il testo sulla libertà religiosa, le insufficienze del quale venivano del re-
sto mostrate loro da Murray. Il giorno successivo, Ritter affermava in
aula che, senza il chiaro riconoscimento della libertà religiosa, ogni dia-
logo ecumenico è seriamente compromesso: è un fondamento delle rela-
zioni che deve figurare tra i principi (cap. I). Ma resta ancora il compito
- proseguiva l'oratore - di dare a questa libertà fondamenti teologici so-
lidi: libertà assoluta dell'atto di fede, dignità della persona e inviolabilità
della sua coscienza, incompetenza di ogni potere civile nel giudizio da
dare sul Vangelo e la sua interpretazione 104 •
Gli interventi dei giorni successivi mostrarono tuttavia che, per ra-
gioni diverse, il capitolo IV sugli ebrei in particolare, ma anche quello
sulla libertà, erano considerati come mal collocati all'interno dello sche-
ma ecumenico105 • Gli avvocati difensori più strenui dei due capitoli fu-
rono chiaramente i loro relatori, Bea e De Smedt, che, per decisione dei
moderatori, presero la parola a partire dal 19 novembre, giorno nel qua-
le il testo del capitolo V viene finalmente distribuito106 •
Già la lunghezza delle relazioni - la loro presentazione orale occupa
una buona parte della congregazione generale LXX - ha qualcosa di in-
solito: i due relatori hanno coscienza del fatto che, dopo le difficoltà
rinnovatesi incessantemente nei mesi precedenti, la novità dei due temi
in un dibattito conciliare esige che ne venga spiegata con cura la porta-
ta. Anche nell'opinione pubblica questo momento è molto atteso. Su

103 GONNET, La liberté religieuse, cit., p. 120.


104 AS II/5, p. 537. Come corollario dell'ultimo punto, l'oratore chiedeva che il te-
sto riaffermasse l'indipendenza completa della chiesa nei confronti del potere civile. Si
trattava di temi che J.C. Murray, consigliere dei vescovi americani in tutte queste mate
rie, giudicava essenziali.
105 Per il capitolo IV, furono in particolare tutti i patriarchi orientali cattolici e il
patriarca latino di Gerusalemme a pronunciarsi in favore o della sua soppressione, o di
una sua ricollocazione.
106 Per ottenere che il capitolo IV venisse distribuito, Bea dovette scrivere il 6 no
vembre una breve e secca lettera al segretario generale del concilio (pubblicata in AS V/2,
pp. 18-19). La distribuzione ebbe luogo 1'8 novembre.
304 IL CONCILIO ADULTO

«Le Figaro» per esempio, R. Laurentin il giorno successivo intitola il


proprio articolo: Une grande heure du Cona'le e parla di «due relazioni
eccezionali», che i membri del concilio non vogliono certo perdersi: i
bar erano pressoché deserti 107 • «Con quella pace, quella modestia e
quella rettitudine che s'irradiano dalla sua persona»108 , Bea comincia col
fare la cronistoria del testo e tiene a sottolineare prima di tutto che esso
non tratta né di un problema nazionale, né di un problema politico, ma
unicamente di una questione religiosa109 • Dopo aver evocato tutto ciò
che la chiesa ha ricevuto dal popolo di Israele, il relatore tiene un pic-
colo corso di teologia paolina per mostrare attraverso la lettera ai Roma-
ni che, malgrado la condanna a morte di Gesù, Dio non ha rifiutato
questo popolo. Ricorda in seguito l'antisemitismo diffuso in diversi pae-
si, in modo particolare nella Germania nazista, che ha contaminato i
cattolici. La chiesa, che riunita in concilio cerca di rinnovarsi, deve af-
frontare la questione, mostrandosi capace di imitare la carità di Cristo e
dei suoi apostoli che sono riusciti a perdonare i loro persecutori. Biso-
gna per questo eliminare i pregiudizi ispirati dalla stampa: non si può
accusare il popolo ebraico di oggi e neppure l'insieme di questo popolo
di essere responsabile della morte di Cristo. Le radici dell'antisemitismo
sono di natura religiosa, ma anche di ordine politico, psicologico, sociale
ed economico. L'essenziale è che i cattolici usino le armi della verità,
della carità e della pazienza. Concludendo l'oratore richiama, non senza
abilità, la «piena approvazione» ricevuta da Giovanni XXIII nel dicem-
bre 1962, della quale abbiamo già citato i termini: essi testimoniano una
volontà d'impegno personale del tutto chiara, ma lasciano il concilio li-
bero di pronunciarsi, secondo lo stile del papa defunto.
Se, nel seno stesso del concilio e all'esterno, soprattutto nei paesi
ara bi, alcune voci si levano contro la presa in esame del testo sugli
ebrei, la panoramica offerta da Caprile sulle reazioni espresse nel corso
delle settimane e dei mesi successivi nella stampa cattolica e non, tra i
vescovi rientrati nelle loro diocesi e da parte di personalità ebraiche in
vista, dà l'impressione di un'accoglienza complessivamente positiva110 •
«Con un'eloquenza più brillante e non meno efficace»111 , De Smedt
presenta immediatamente dopo la relazione di Bea, la propria relatio sul

107
«Le Figaro», 20 dicembre 1963, p. 10.
Ibidem.
108
109 Il testo deila relatio è in AS II/5, pp. 481-485.
110 CAPRILE, III, cit., pp. 425-430.
111 «Le Figaro», 20 novembre 1963. Congar scrive: «facendo fuoco e fiamme, in
modo tutto sommato un po' teatrale» (JCng, 19 novembre 1963).
L'IMPEGNO ECUMENICO DELLA CHIESA CATTOLICA 305

capitolo V, avallato da poco dalla commissione dottrinale 112 • Gli elementi


principali di questa relazione sono stati preparati da Murray, in un docu-
mento intitolato Ratio schematis, il cui asse principale è lo sviluppo attra-
verso il tempo della dottrina riguardante la libertà religiosa, che conduce
in modo coerente a mettere l'accento sulla dignità della persona uma-
na113. Il nucleo essenziale dell'argomentazione consiste nel mostrare la
permanenza dei principi nella variazione dei comportamenti, ma anche la
priorità di un principio (dignità della persona) sugli altri: si trattava dun-
que di sapere come interpretare la tradizione. La lunga relaziof!e di De
Smedt è imperniata su questa problematica tipica di Murray114 . E in1pos-
sibile, per mancanza di spazio, riassumere qui con tutte le sfumature una
relazione che, a detta dell'oratore, trattava di una questione «assai diffici-
le e di grande importanza per la vita moderna». Seguendo il testo del ca-
pitolo V, il vescovo di Bruges lo riassume in cinque parti: 1) il compor-
tamento dei cattolici nei confronti degli altri (soprattutto rispetto al dirit-
to e al dovere che i non cattolici hanno di obbedire alla loro coscienza);
2) il diritto alla libertà religiosa per tutta la famiglia umana (contro ogni
forma di costrizione, e persino se la coscienza è retta, ma in errore); 3) il
diritto al libero esercizio esterno della religione (diritto limitato dal bene
comune fondato sulla giustizia e la retta ragione). Le ultime due parti
hanno un carattere storico ed esplicitano ciò che, nel capitolo V, è stato
collocato nelle note redatte dal p. Murray: c'è una «regola di continuità»
della dottrina e della pastorale che riguarda la libertà dell'uomo, creato a
immagine di Dio, ma anche una «regola di progresso» e di approfondi-
mento secondo le circostanze (evocazione della duplice distinzione della
Pacem in terris tra le false ideologie e le istituzioni che vi si ispirano da
una parte, l'errore e l'errante dall'altra), e le due regole sono state poi
applicate all'insegnamento dei papi da Pio IX fino a Giovanni XXIII.
Pur sperando che i padri apportino miglioramenti al testo, nel suo

112 Il testo della relati"o è in AS II/5, pp. 485 495. La minuta di pugno di De Sme
dt, con annotazioni di Prignon si trova presso il CW, F De Smedt, 17/4.
113 Si veda l'analisi di questo documento in GONNET, La liberté religieuse, cit., pp.
109M114. Nella lettera di Murray a Maher, del 22 novembre 1963, il gesuita afferma che
il fatto divulgato daJla stampa che egli abbia scritto la relatio, è «SostanziaJmente vero»
(cfr. PELOITE, John Courtney Murray, cit., p. 84).
114 Due analisi deJla relatio si trovano la prima in GONNET, La liberté religieuse,
cit., pp. 114-119, che sottolinea in particolare come l'analisi delJ'insegnamento dei papi,
da Pio IX a Giovanni XXIII, che De Smedt riprende da Murray, non è condivisa dalM
l'insieme dei padri conciliari (si tratta di un conflitto d'interpretazione tra, da una parte,
largomento essenzialmente filosofico dei papi sulla libertà deJla relazione tra la coscien
za di Dio, e dall'altra l'insieme dei dati storici, gli uni favorevoli, gli altri contrari al libeM
ro esercizio della religione); la seconda in HAMER, Histoire du texte, cit., pp. 63 69.
306 IL CONCILIO ADULTO

preambolo il relatore ha precisato che la libertà di cui si tratta non è né


l'indifferentismo, né il laicismo, né il relativismo dottrinale. Nella sua
conclusione, previene un'altra possibile difficoltà: che si entri in un con-
flitto sull'interpretazione dei documenti pontifici. Si tratta di non far
parlare i testi fuori dal loro contesto storico e dottrinale. Riferendosi al
carattere pastorale del decreto da adottare, De Smedt ricorda che nella
società d'oggi il problema riguarda l'uomo reale nei suoi rapporti reali
con gli altri, e che il mondo attende con impazienza la voce della chiesa
sulla libertà religiosa: allusione chiara alla linea conciliare voluta da papa
Roncalli. Infine egli afferma la propria speranza che il testo sia approva-
to prima della fine del periodo in corso e promette che il segretariato
per l'unità lavorerà «giorno e notte» per produrre il testo definitivo. Il
vescovo era lontano dal sospettare quale lungo itinerario era ancora da
percorrere prima di giungere alla promulgazione di un documento che
gli stava moltissimo a cuore.
«La qualità della relazione e l'ardore di mons. De Smedt nel difen-
derla, suscitarono vivi applausi» 115 • Questa reazione, pur supponendo
che sia stata unanime - fatto poco verosimile - non impedisce ad alcuni
convinti sostenitori della libertà religiosa, come l'esperto dei vescovi zai-
resi, il moralista B. Olivier, di smorzare un poco i toni: il domenicano
belga giudica che la parte storica «accomodi un poco i fatti»: come si
può affermare che, seppure ricollocato nel contesto del pericolo laicista,
il Sillabo abbia rappresentato un'affermazione positiva della libertà? 116 In
un articolo che ebbe una grande eco, apparso il 30 novembre nella rivi-
sta «America», Murray giudica che la relatio è troppo timida nell' affer-
mare la incompetenza dell'autorità politica in materia religiosa e, più in
generale, che lo schema non situa il problema sul suo vero terreno, cioè
a dire quello costituzionale e non soltanto quello etico; in particolare ciò
accade perché non fonda i principi che limitano '1' esercizio sociale della
libertà religiosa sulla priorità del bene comune117 • I vescovi degli Stati
Uniti, da parte loro, erano ardenti difensori del testo: dopo Ritter il 18

115WENGER, p. 183.
116CLG, F-Olivier, 169 (Chronique p. 28). Lo stesso testimone attesta la reazione
1

negativa del domenicano svizzero H. De Riedmatten, rappresentante della S. Sede pres


so le Nazioni Unite a Ginevra, che «attacca violentemente» la relatio a proposito della
libertà intera dell'atto di fede e dei diritti della coscienza erronea. Stando a un colloquio
che Congar aveva avuto dieci giorni prima con De Riedmatten, quesfultimo rifiutava
che la libertà religiosa fosse fondata unicamente sul diritto della persona e voleva fon-
darla sull'originalità delle religioni indipendentemente dallo stato UCng, p. 363 ).
117 Cfr. GONNET, La liberté religieuse, cit., pp. 117 118 e 122 125, e anche HAMER,
Histoire du texte, cit., pp. 72-73.
L'IMPEGNO ECUMENICO DELLA CHIESA CATTOLICA 307

novembre, un altro leader, Meyer (Chicago), lo dimostrò due giorni


dopo nel corso della congregazione generale LXXI. Alcuni vescovi non
americani si comportarono allo stesso modo. Per non citarne che uno,
Schmitt (Metz), intervenendo il 27 novembre 118 , sviluppò l'idea che la li-
bertà religiosa è una «condicio sine qua non» per esercitare l'ecumeni-
smo e che quindi conviene parlarne già all'inizio del capitolo II dello
schen1a: se la libertà religiosa è avversata, il dialogo non è possibile; i
poteri civili ne approfittano per abusare delle divisioni tra cristiani; la
trascendenza della religione cristiana non può più manifestarsi; l' adesio-
ne alla fede e le relazioni interpersonali sono esse stesse sconvolte.
Fu possibile ascoltare anche pareri meno positivi, specialmente da
parte dei vescovi spagnoli, che sottolineavano la necessità di proteggere
il popolo cristiano nei confronti del proselitismo protestante e temevano
che si estorcesse al concilio un'approvazione precipitosa; valutazioni cri-
tiche giunsero anche da parte di padri latino-americani, che dovevano
fare i conti con l'offensiva delle sètte, e da parte di vescovi italiani, pre-
occupati dall'apertura a sinistra della Democrazia cristiana.
Con il voto del 21 novembre, i primi tre capitoli dello schema sul-
l'ecumenismo vengono accettati come base di discussione. Il fatto di dis-
sociarli dai due capitoli sugli ebrei e la libertà religiosa suscitò inquietu-
dini. Si parlò di «pressioni molto forti» stÙ papa, provenienti dagli orga-
ni dirigenti del concilio, affinché gli ultimi due capitoli non fossero og-
getto di un voto e fossero persino scartati119 • Questo voto viene tuttavia
reclamato, per l'esattezza il 29 novembre, da Ch. Helmsing (Kansas
City) poiché - dice - tutti l'attendono, anche se la mancanza di tempo
non permetterà di aprire la discussione 120 • Nelle concl usion1 lette il 2 di-
cem bre121 , Bea espresse il rammarico provocato dalla mancata discussio-
ne dei due capitoli. Questa impossibilità - insiste - si spiega «con la
mancanza di tempo e con nessun altro motivo, nessun altro motivo».

118 AS II/6, pp. 162 163. Si trova un riassunto degli interventi pro e contro in
WENGER, pp. 183 186. È da notare che, nel pomeriggio del 22 novembre, viene organiz-
zato un incontro di lavoro sulla libertà religiosa presso il seminario francese. Vi parteci
pano sei esperti, tra i quali Daniélou, Martelet e Cottier, inviati dai vescovi. Dall'incon
tro scaturiscono tre proposte: sottolineare che il testo non tratta il problema della libertà
religiosa nella sua interezza; concentrarsi sulla libertà rifiutando ogni costrizione fisica e
morale; non ricondurre questa libertà alla sola dignità della persona, ma formulare fon-
damenti oggettivi nella trascendenza della fede in relazione alle strutture temporali e nel
la natura del fatto religioso e della religione UCng, p. 388).
119 JCng, pp. 390 391. Congar raccolse questa indiscrezione dai padri Haubtmann
e Ch. Moeller. Un accenno ad essa anche in CAPRILE, III, p. 563.
uo AS II/6, p. 316.
121 AS II/6, pp. 364-36 7.
308 IL CONCILIO ADULTO

Non si poteva almeno procedere a un voto di presa in esame? Ci sareb-


bero state, prosegue il cardinale, numerose risposte favorevoli; ma i mo-
deratori hanno preferito lasciare largamente la parola ai primi tre capi-
toli, evitando così il rischio di vedersi rimproverare di precipitazione vo-
tando prima su tre, poi su altri due capitoli, che trattavano questioni
così gravi, così nuove e così importanti nel nostro tempo. Bisogna riflet-
tere senza fretta e decidere nel prossimo periodo, quando tali questioni
saranno mature122 •
Quando l'esame di una questione di primaria importanza come quel-
la della libertà religiosa - considerata come test e come simbolo della ri-
conciliazione della chiesa con la coscienza moderna, ne era un esempio
- viene differita, i commentatori imputano spontaneamente il rinvio alle
oscure manovre condotte dal gruppo degli oppositori. Il motivo della
mancanza di tempo, invocato da Bea, era convincente? Due ordini di
considerazioni debbono essere esaminati. L'assemblea conciliare non sa-
peva certamente tutto degli energici sforzi messi in atto, nei mesi e nelle
settimane precedenti, dal presidente, dal segretario del segretariato per
l'unità e dai vescovi americani per consentire ai due testi di giungere fin
nelle mani dei padri; ma su questo argomento ne sapeva abbastanza
perché la parabola rientrante di Bea suscitasse stupore e, in un buon
numero dei suoi membri, delusione. L'argomento della maturazione an-
r
cora necessaria non permetteva di spiegare assenza di un voto sulla
semplice presa in esame. E ciò portava a situare il problema in un con-
testo assai più vasto, quello dell'organizzazione e della direzione effettiva
del concilio, sul quale si ritornerà dettagliatamente più avanti.
Al momento della loro nomina all'inizio del periodo, si era general-
mente pensato che i moderatori sarebbero divenuti i dirigenti del conci-
lio. Ora, nel corso del mese di novembre, la loro posizione si era trovata
seriamente compromessa per ragioni che sono già state ricordate nel ca-
pitolo precedente. Che ciò sia avvenuto a causa della contestazione della
loro autorità - sotto forma di una controffensiva curiale condotta da al-
cuni padri in aula, in seno alla commissione di coordinamento e alla se-
greteria generale o ancora nella commissione dottrinale -, o che invece
sia stato causato dalla loro mancanza di coesione e di efficacia, resta il
fatto che i moderatori sembravano paralizzati nella loro capacità di ini-
ziativa: non è loro possibile porre all'assemblea quesiti orientativi (la
proposta di questa procedura avanzata da Liénart, a proposito dello

In un'intervista concessa a Caprile nel gennaio 1964, Bea si sofferma più a lun
122
go sul voto e sulla discussione, respingendo l'idea dell'esistenza di pressioni e di calcoli
mirati ad eliminare i due capitoli. Cfr. CAPRILE, III, pp. 563-565.
L'IMPEGNO ECUMENICO DELLA CHIESA CATTOLICA 309

schema sui vescovi, non ha avuto seguito); non erano in grado di ridur-
re, negli interventi dei padri, le ripetizioni e le divagazioni e neppure di
evitare le altre perdite di tempo dovute al cerimoniale delle congregazio-
ni generali quotidiane tirato per le lunghe123 • In queste condizioni, ci si
può domandare se il modo col quale Bea volle giustificare l'assenza di
iniziativa dei moderatori a proposito dei capitoli IV e V, non fu in real-
tà un atteggiamento per coprire la loro indecisione e non rendere anco-
ra più difficile la loro posizione.

1.4. La voce degli osservatori non cattolici'

Come è ovvio, l'inizio della discussione sul De oecumenismo era na-


turalmente il momento più atteso dagli osservatori poiché si entrava nel
vivo del dibattito sul ruolo che il cattolicesimo stava per giocare nel mo-
vimento ecumenico 124.
Si conosce l'importanza della posizione degli osservatori nel concilio,
specialmente dopo l'inizio del secondo periodo125 • In occasione delle
riunioni del martedì al segretariato per l'unità essi avevano potuto fare
le loro osservazioni sullo schema sulla chiesa, allora in discussione in
aula126 • C'era stata l'udienza pontificia del 17 ottobre, nel corso della
quale Paolo VI aveva detto che la chiesa cattolica «al più alto livello
della massima responsabilità» (quella del papa e del concilio) voleva af-
frontare «il grande dialogo» con le altre confessioni cristiane. Questi
propositi avevano però provocato anche reazioni nel segretario generale
del Consiglio ecumenico delle chiese 127 • In effetti si prospettava allora in
filigrana un dialogo diretto cattolico-ortodosso i cui ultimi indizi in ordi-
ne di tempo erano il contatto stabilito tra Paolo VI e Athenagoras e,

123 R. Laurentin aggiunge che <<le domande che venivano loro indirizzate li trovava-
no spesso evasivi e i problemi dei quali si erano fatti carico restavano spesso senza solu
zione» (LAURENTIN, p. 214).
124 VELATI, Una di/fiale transizione, cit., p. 395.
125 In confronto al primo periodo, il numero degli osservatori e degli ospiti è au
mentato passando da 49 a 66; le -comunità rappresentate sono ora 22 invece di 17.
Quattro delle nuove arrivate sono chiese orientali, la quinta è la chiesa unita dell'India
del sud.
126 Tra il 1° ottobre e il 5 novembre 1963 si tennero sei riunioni.
127 Il 29 ottobre Visser't Hooft aveva redatto una nota intitolata Ras the dialogue
between the Roman Catholic Church and the other Churches begun? (copia in ISR, F-ACO
14.2.5), con la quale egli intendeva sottolineare che il dialogo non· era ancora stato uffi
cialmente intrapreso: «i contatti assai meritori che gli osservatori hanno con i padri del
concilio non debbono in alcun modo essere confusi con un reale dialogo delle chiese».
310 IL CONCILIO ADULTO

sempre in settembre, la decision