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Ecologia

Anno 2017/2018
Scienze Biologiche

Cos'è l'ecologia? L'ecologia è una delle scienze più attuali, anche se era già presente nel passato con un
altro nome. Infatti, i nostri antenati erano raccoglitori di funghi e dovevano essere a conoscenza della
correlazione tra organismi e ambiente, così come i cacciatori. Conoscere questa relazione era
particolarmente importante quando l’uomo faceva parte di quella catena trofica e alimentare, mentre
adesso non si trova più in essa perché sono stati azzerati i suoi predatori.
Per gli altri animali, l’essere nella catena alimentare comporta che, inizialmente, ci sia una crescita
esponenziale, fino a quando gli animali iniziano a farsi concorrenza tra loro, per cui la crescita diminuisce,
fino a raggiungere k, cioè la capacità portante di un ecosistema, che corrisponde al numero di quegli
animali che possono vivere in un determinato ambiente. La crescita, quindi, dipende dalle risorse disponibili
e dalla competizione tra individui della stessa specie e di specie diverse. L'uomo, dal canto suo, ha sfondato
k perché continua a crescere. Egli, infatti, ha avuto troppo successo, nonostante vi siano fattori limitanti.
Il termine ecologia fu presentato per la prima volta da Ernest Haeckel nel 1869, come “discorso sulla casa"
cioè lo studio scientifico delle interazioni tra gli organismi e il loro ambiente. Krebs, invece, nel 1972, diede
una definizione più moderna: l’ecologia è lo studio scientifico delle interazioni che determinano la
distribuzione e l’abbondanza degli organismi.
Nella definizione di Krebs non compare il termine ambiente, nonostante la sua importanza. L'ambiente è
l’insieme di ciò che influenza gli organismi dall'esterno, comprendendo sia fattori biotici sia abiotici.
Ambiente in ecologia comprende anche gli altri organismi presenti nel luogo, la cui sopravvivenza è legata
alla presenza di altri competitori e alla condizione del luogo. L'ecologia si interessa di tre livelli:
1. Organismo individuale: l’ecologia si occupa del modo in cui gli organismi vengono influenzati dal
loro ambiente biotico e abiotico (e di come lo influenzano).
2. Popolazione: è l’insieme di organismi della stessa specie che vivono nello stesso ambiente.
L’ecologia a questo livello si occupa della presenza di alcune specie, delle abbondanze e delle rarità,
delle tendenze e delle fluttuazioni degli individui che la compongono.
3. Comunità: è l’insieme di più popolazioni, come camoscio + erba + aquila + arvicola. A questo
livello, l’ecologia si occupa della composizione e della struttura della comunità, delle vie seguite
dall’energia, delle sostanze nutritive, del perché le comunità cambiano nel tempo e come. Si vede
bene questo nei modelli preda – predatore, che esprimono come cambia il numero di individui. Per
esempio, vi sono anni favorevoli agli erbivori per la grande presenza di vegetazione e, a loro volta, i
carnivori hanno più prede. In questo modo se collassano gli erbivori, collassano anche i carnivori.
Quindi non esistono dei trend fissi, ma le variabili sono moltissime.

L’ecologia non studia solo i livelli appena descritti in natura, ma anche negli ambienti “costruiti” dall’uomo
o influenzati da esso, detti agro – ecosistemi. In essi non è più presente la vegetazione originaria, ma è stata
trasformata dall’uomo. Il larice, per esempio, è stato spostato perché faceva troppa ombra per poter
coltivare, quindi adesso si può trovare ovunque. Infatti, da quando è stata proposta l'agricoltura, tutto è
cambiato. L'ecologia può essere divisa per ambienti: habitat acquatici (ecologia marina, fluviale,
oceanografia) e habitat terrestri (ecologia artica, forestale, agricola, urbana). Inoltre, vi sono vari tipi di
ecologia: teorica, applicata, della conservazione, del recupero, che sta dietro alle grandi bonifiche
ambientali, economica, che esprime come ciò che viene studiato possa rendere, anche in termini di
risparmio.
Obiettivi dell’ecologia
La coscienza ambientalista è nata negli anni 1968-70, grazie alla percezione dell’isolamento spaziale e
dell’unicità del nostro pianta, fotografato dagli astronauti, grazie all’acuirsi dei problemi dell’inquinamento,
della crescita demografica e della salvaguardia della biodiversità.
In questo inizio di secolo, la questione ambientale si è imposta prepotentemente a livello globale, in seguito
all’aggravamento dei problemi precedenti e alla presa coscienza che l’alterazione dell’ambiente può
portare a gravi conseguenze per la sopravvivenza stessa della nostra biosfera (almeno come l’abbiamo
conosciuta finora). Un altro problema sono anche le specie invasive. Il compito importante è trattare in
modo tecnico – razionale questi problemi. Inoltre, vi è una corrispondenza tra ecologia ed economia.

Approccio e termini dell’ecologia


L'ecologia ha una precisa gerarchia dei livelli organizzativi. L’organizzazione gerarchica fornisce lo
strumento concettuale per un approccio “olistico” allo studio delle situazioni complesse, alternativo
all’approccio “riduzionistico” (che spiega i fenomeni abbassando il livello di analisi) che caratterizza gran
parte delle altre discipline biologiche. L’olismo si attua senza soluzioni di continuità e la gerarchia scalare è
solo una notazione esplicativa. I termini usati in ecologia sono:
 Gerarchia: disposizione in serie progressiva.
 Sistema: insieme unico, formato da diverse componenti interdipendenti ed interattive. 
Popolazione: insieme di individui appartenenti alla stessa specie.
 Comunità: insieme di popolazioni che occupano la stessa area (biocenosi).
 Biotopo: componente non vivente di un sistema. Parte fisica, come la temperatura, la profondità, la
grandezza, l'altitudine, la latitudine.
 Ecosistema: Biotopo + biocenosi. E’ il luogo in cui gli organismi interagiscono tra di loro
 Paesaggio: area territoriale eterogenea, composta da ecosistemi interagenti, che si ripetono in una
configurazione caratteristica. Ad esempio, alta montagna e mezza montagna.
La conseguenza dell’organizzazione gerarchica sono le proprietà emergenti, cioè proprietà apprezzabili
quando si sale a un livello gerarchico superiore. Esse non sono date solo dalla somma delle strutture o degli
organismi del livello più basso, ma anche dalla loro interazione. Ad esempio, idrogeno e ossigeno da soli
hanno caratteristiche diverse da quelle che possiedono combinati in acqua in un livello superiore. Un altro
esempio è la barriera corallina che è formata da alghe (autotrofe) e celenterati (eterotrofi) e la produttività
enorme è la proprietà emergente. Anche la formica da sola ha un proprio compito, mentre in società svolge
diverse funzioni, con la formazione del formicaio. Esistono anche le proprietà collettive che non implicano
caratteristiche nuove derivanti dal nuovo livello, ma solo l’integrazione di caratteristiche pre-esistenti. Per
esempio, la natalità è una proprietà collettiva tipica della popolazione, ma deriva solo dalla somma delle
nascite riportabili ai singoli individui. Ogni livello di sistema biologico ha proprietà emergenti e minore
variabilità dei sotto-sistemi di cui è composto. Ciascun livello della gerarchia ecologica ha, quindi, proprietà
emergenti uniche e proprietà collettive uniche, ma esistono anche funzioni trascendenti, cioè funzioni di
base che operano a qualsiasi livello (comportamento, sviluppo, evoluzione).

Il metodo scientifico
Per scienza si intende un sistema di conoscenze ottenute attraverso un’attività di ricerca organizzata e con
procedimenti metodici e rigorosi, allo scopo di giungere ad una descrizione verosimile, oggettiva e con
carattere predittivo della realtà e delle leggi che regolano l’occorrenza dei fenomeni. Quindi, è necessario
effettuare ricerche su ciò che si vuole studiare secondo un metodo scientifico, in modo oggettivo. Esso si
divide in 6 step:
1. Osservazione del fenomeno
2. Formulare domande
3. Formulare ipotesi
4. Fare gli esperimenti
5. Registrare e analizzare i dati
6. Trarre una conclusione
Un altro problema sono le pseudoscienze, cioè discipline che assomigliano a una scienza, ma che in realtà
non lo sono. Ad esempio, l'astrologia, il creazionismo, l’oniromanzia, la frenologia e l’omeopatia. Si
riconosce una pseudoscienza per alcuni aspetti: affermazioni prive di verifica sperimentale oppure in
contraddizione con altri risultati sperimentali; affermazioni impossibili da verificare; tendenza a modificare
la natura delle asserzioni per sfuggire alle critiche; presentazione di risultati privi di peer review (verifica tra
pari); violazione del rasoio di Occam, cioè il principio secondo cui per dimostrare una teoria si debbano fare
più assunzioni di quelle necessarie; denuncia di un ostracismo della scienza ufficiale, dovuto a chiusura
mentale e interessi economici. Per verificare le affermazioni delle pseudoscienze, in Italia c'è il CICAP con
presidente Piero Angela, cioè un’organizzazione educativa senza scopo di lucro, fondata nel 1989 per
promuovere l’indagine scientifica sui cosiddetti fenomeni paranormali. Un’altra idea che si ha è che la
scienza sia direzionale, cioè che abbia un punto di inizio e un punto di fine. In realtà, non è lineare sempre
perché a volte fa giri particolari, per esempio la lampadina non si è ottenuta dalla candela, ma sezionando i
metalli e Nobel inventò la dinamite nell'800, ma non come arma.

Metodo stamina e vaccinazioni


Tra le conseguenze delle pseudoscienze troviamo il metodo stamina, proposto da Davide Vannoni, laureato
in scienze della comunicazione. Questo metodo era stato proposto come cura per le malattie neurologiche
degenerative, per cui si usavano cellule staminali. Statisticamente, però, non funzionava, fattore negativo
dato che la biologia si alimenta molto di un approccio statistico probabilistico.
Anche le vaccinazioni sono fondamentali, ma l'opinione pubblica adesso sposa la teoria anti – vaccinazione.
Ad esempio, vi è stato il ritorno del morbillo negli Stati Uniti perché i genitori si rifiutano di far vaccinare i
figli. Infatti, tutto è nato da un articolo di Andrew Wakefield del 1998 che spiegava la correlazione tra
vaccini e autismo, ignorando altri fattori. L’autore aveva studiato i bambini autistici che erano stati
vaccinati, ma non aveva preso in considerazione i bambini vaccinati che non avevano riscontrato la
malattia, per cui non c'erano dati di base oggettiva e scientifica. L’articolo, però, ha scatenato il panico,
anche se, ad oggi, nessuno ha mai trovato una correlazione tra la vaccinazione e l’ autismo. Le prime
strategie per il vaccino contro il vaiolo furono grattare le croste dei bovini e farle insufflare nell'uomo, per
stimolare una risposta immunitaria. Vaccino, infatti, deriva da vacca.

Le pubblicazioni scientifiche
Le pubblicazioni scientifiche sono articoli redatti utilizzando un linguaggio scientifico e oggettivo, pubblicati
attraverso i canali di comunicazione della comunità scientifica, in particolare sulle riviste scientifiche, come
“Nature" e “science”.
Vi sono tre principali categorie di pubblicazioni scientifiche: articoli, comunicazioni pubblicate in atti di
congressi, libri o contributi a libri. I libri sono molto meno importanti perché non subiscono il processo di
revisione degli articoli.
La comunicazione scritta è una componente essenziale di tutte le scienze poiché consente il confronto dei
risultati tra più scienziati e studiosi.
La lingua ufficiale della letteratura scientifica è l’inglese.

Peer review
Significa “valutazione tra pari” ed è una procedura di selezione degli articoli o dei progetti di ricerca
proposti da membri della comunità scientifica, effettuata attraverso una valutazione esperta, eseguita da
specialisti del settore per verificarne l’idoneità alla pubblicazione scientifica su riviste specializzate o, nel
caso di progetti, al finanziamento degli stessi.
Spesso è molto difficile per un singolo autore, o per un gruppo di ricerca, riuscire a individuare tutti gli
errori o i difetti di un proprio studio, che sia questo più o meno complesso.
Per questo il lavoro o le idee di uno o più autori vengono sottoposti allo scrutinio di uno o più esperti del
medesimo settore. Ognuno di questi esperti fornisce una propria valutazione, includendo anche
suggerimenti per l’eventuale miglioramento, a un redattore o a un altro intermediario. Le valutazioni
solitamente includono raccomandazioni esplicite su cosa fare del manoscritto o della proposta, spesso
scelte tra opzioni proposte dal giornale o dall’editore. Il lavoro può essere Accepted, ovvero accettato senza
riserve, Minor or Major revision, cioè il lavoro è accettato ma sono necessari degli aggiustamenti, Rejected
and resubmission, il lavoro è respinto ma se ne incoraggia una revisione e una riproposta, Rejected, il
lavoro è respinto senza appello.

Iter per la pubblicazione


1. Gli articoli, una volta scritti, vengono sottomessi ad una rivista scientifica.
2. Dopo una prima valutazione, gli articoli vengono mandati a due o più referees esperti dell’argomento
trattato per un controllo approfondito.
3. Se l’articolo non viene rifiutato, la valutazione dei referees, con suggerimenti, e le correzioni da
effettuare vengono mandate agli autori che provvederanno a effettuare le correzioni
4. L’articolo corretto viene mandato nuovamente ai referees che accettano l’articolo nella forma corretta,
oppure effettuano nuove correzioni
5. Vengono, infine, redatte le bozze e corrette dagli autori.

Articolo scientifico
Esistono diverse tipologie di articoli pubblicati, che sono original paper, reviews e short comunications.
Ogni articolo scientifico standard presenta una serie di sezioni:
 Titolo: breve e conciso. Deve attirare l’attenzione sull’articolo, non deve essere ambiguo, ma
comprensibile anche da esperti in altri settori, riflettendo il contenuto dell’articolo.
 Abstract: è un riassunto iniziale del contenuto e dell’articolo. Deve essere lungo circa 300 parole e
contenere le parole chiave della ricerca. Bisogna illustrare brevemente i motivi per cui si è condotto
l’articolo, le domande a cui si vuole rispondere, i metodi usati, l’interpretazione, i risultati.
 Autori
 Introduzione: non deve essere troppo lunga e deve contenere tutte le informazioni che si sanno già
riguardo il determinato argomento preso in esame. Deve contenere citazioni di altri articoli e
ricerche e affermare lo scopo della ricerca.
 Materiali e metodi: deve spiegare com'è stato condotto l’esperimento.
 Risultati: si utilizzano numeri e tabelle numerate per indicare quali nuovi risultati sono stati trovati
grazie ai nuovi esperimenti.
 Discussione: bisogna spiegare cosa significano i risultati, comparandoli con altri dati già pubblicati,
nel modo più obiettivo possibile.
 Ringraziamenti: citare tutte le persone che hanno contribuito allo studio e riconoscere tutte le fonti
di finanziamento.
 Bibliografia: è un elenco di tutti i documenti consultati nel corso della ricerca, che vengono
identificati in pochi dati essenziali (autore, titolo, editore, anno di pubblicazione) chiamati
riferimenti bibliografici. Ogni rivista, ovviamente, ha le proprie linee guida di pubblicazione, quindi
bisogna fare attenzione a rispettarle.
 Supplementary information
 Illustrazioni: vengono utilizzati grafici, immagini e tabelle per meglio rappresentare la ricerca.

Impact Factor
E’ l’indicatore bibliometrico più conosciuto. Viene pubblicato dall’editore ISI-Thomson sulla base della
banca dati Web of Science e misura la frequenza con cui un articolo pubblicato su una rivista viene citato da
altre riviste in un arco di tempo determinato. Questa misura viene utilizzata come valutazione
approssimativa dell’importanza di una rivista a confronto con le altre dello stesso settore: più è alto
l’impact factor più la rivista risulta autorevole. Gli impact factor di ciascuna rivista sono consultabili al sito:
Journal of Citation Reports (JCR)

H-index
La misurazione e la valutazione della ricerca non sono svolte solo sulle riviste, ma anche sulla produzione
scientifica di ogni singolo ricercatore, utilizzando sempre lo strumento della ricerca per citazioni. Si tratta di
una misura del volume citazionale dell’intera carriera di un ricercatore presentato. Il calcolo di questo
indice viene eseguito in base alla distribuzione delle citazioni che le pubblicazioni di un ricercatore ricevono.
L’indice è strutturato per verificare non solo la produzione, ma anche l’influenza di uno scienziato,
distinguendolo da chi avesse pubblicato molti articoli ma di scarso interesse.

Rapporto ecologia – evoluzione


Differenti tipi di organismi vivono in base a un habitat ben preciso e non sono mai distribuiti casualmente
perché si sono adattati a quel tipo di ambiente. Tutto è partito da Darwin: gli individui non sono identici tra
loro, ma presentano differenze all'interno di una popolazione, per cui è possibile costruire una curva di
Gauss in base ai caratteri presenti. Infatti, una parte di questa variazione è ereditaria perché i caratteri di un
individuo sono determinati in una certa misura dalla sua costituzione genetica, cioè la prole condivide i
caratteri dei genitori. Inoltre, tutte le popolazioni hanno la potenzialità di popolare l’intera Terra, ma
differenti individui lasciano differenti numeri di discendenti, che dipendono strettamente dall’interazione
tra i caratteri dell’individuo e il suo ambiente. Darwin, per di più, parlava di un setaccio attraverso cui passa
ogni generazione, da cui si possono ottenere dei figli. Se non si passa oltre il setaccio, quel determinato
genotipo è bloccato e non ci si può riprodurre, ma essendoci molta variabilità genetica, qualche altro
genotipo passa sempre attraverso il setaccio. Ogni anno, però, il setaccio cambia. Ad esempio, gli elefanti si
riproducono, ma alcuni hanno più successo di altri e il numero di individui dipende dal successo riproduttivo
di ciascun esemplare.

I fossili
L’idea della “trasformazione temporale” del mondo vivente era già presente in alcuni classici greci, ma non
si affermò. Alla fine del '600, si affermò la convinzione che la superficie della Terra non sia sempre stata
come la si vede e che, quindi, siano avvenute profonde trasformazioni. In questo periodo, infatti, compare
la geologia in Inghilterra perché vi era un sottosuolo ricco di risorse, come il carbone, da cui deriva la
rivoluzione industriale. Da queste analisi sono derivati grandi dubbi riguardo ai minerali estratti e ai fossili
trovati. La domanda che ci si pose fu “come spiegare i fossili?”. Secondo alcuni, non si tratta di resti di
piante o animali, ma di metallofiti, cioè concrezioni minerali; secondo altri si tratta di organismi morti nel
diluvio universale oppure animali che non si sono estinti, frutto di creazioni indipendenti. Buffon, studioso
naturalista, disse che la Terra era nata molto tempo prima della specie umana, per cui era possibile
l’esistenza di fossili e di specie ormai estinte. Lamarck, invece, in “Philosophie zoologique” parla
dell'evoluzione, affermando che esiste una variazione negli organismi, dovuta a due principi: l’ambiente,
che esercita azione sugli organismi; e la tendenza al progresso, ovvero un impulso alla trasformazione e
all’evoluzione degli organismi stessi. Un grande impulso venne dalla teoria geologica di Hutton, nel 1788, il
quale affermava che le leggi naturali valide nel passato siano valide anche nel presente, secondo la teoria
dell’uniformismo o attualismo.

Darwin e darwinismo
Il concetto di Selezione Naturale fu introdotto in modo indipendente nel 1858 da Darwin e Wallace come
motore dell’evoluzione biologica. Importanti sono gli influssi maltusiani, cioè il fatto che le popolazioni
tendano a incrementare numericamente, mentre le risorse rimangono costanti. Ovviamente, all’interno di
una popolazione vi è la lotta per la sopravvivenza, per cui sopravvivono solo alcuni organismi, portatori di
determinati caratteri. Questi esemplari si riproducono, trasmettendo i propri caratteri alla prole. In un
ambiente diversificato, in continuo cambiamento, questo porta alla modificazione della specie. Il modo in
cui i caratteri si trasmettono da una generazione all’altra fu scoperto da Mendel, grazie alle osservazioni sui
piselli odorosi. Grazie alle scoperte di Darwin e Mendel, si ottenne la sintesi darwiniana o neodarwinismo,
in cui si afferma che la selezione naturale è il principale agente che opera sulla variabilità prodotta dalle
mutazioni ed è la principale causa di adattamento. Le nuove specie, inoltre, si formano con l’accumulo di
diversi geni e/o combinazioni genetiche in popolazioni riproduttivamente isolate. Il processo ereditario è
conservativo, ma non perfetto, essendo che sono possibili diversi errori nella replicazione dei cromosomi,
come delezione, inversione, translocazione e duplicazione.

microevoluzione
L'evoluzione, in particolare, opera come macro o micro evoluzione. La micro è l'evoluzione su piccola scala
all’interno di una singola popolazione, mentre la macro opera su larga scala. Comunque, entrambe
utilizzano gli stessi meccanismi, come migrazioni, cioè il movimento degli individui tra le popolazioni,
mutazioni, cioè un cambio nella sequenza del DNA, drift genetico, ovvero cambiamenti random nella
frequenza genica da una generazione all’altra perché alcuni genotipi si riproducono più di altri, e selezione
naturale.
La microevoluzione è semplicemente un cambiamento nella frequenza dei geni all’interno di una
popolazione. Questo tipo di evoluzione può essere osservato su brevi periodi di tempo: da una generazione
all’altra la frequenza di un gene che incrementa la resistenza ai pesticidi può aumentare in una specie di
coleotteri. Questo cambiamento può avvenire perché la selezione naturale ha favorito la presenza di
questo gene; perché la popolazione ha ricevuto immigrati portatori del gene o per via di un drift genetico
con modalità random. Alcuni esempi di microevoluzione sono la taglia dei Passeri in Nord America, in cui si
sono evolute popolazioni con caratteristiche diverse, e la rapida evoluzione di meccanismi di resistenza,
come la resistenza agli antibiotici nei batteri.
La microevoluzione può sembrare troppo poco importante per spiegare fenomeni come la colonizzazione
delle terre emerse da parte dei vegetali, la radiazione evolutiva dei dinosauri e l’origine della nostra specie.
Tuttavia, essa è una forza molto potente, poiché, agendo per milioni di anni, porta alla macroevoluzione.
Precedentemente si è parlato di popolazione: si tratta di un gruppo di animali che si riproducono tra loro e
che condividono un pool genetico. Ad esempio, per un coleottero una popolazione è un gruppo di
organismi che vivono sulla vetta di una montagna e che sono potenziali partner riproduttivi. Il potenziale
riproduttivo, infatti, definisce i confini della popolazione. Ovviamente di anno in anno ci può essere una
variazione nella frequenza genetica: coleotteri verdi più presenti in un anno e coleotteri marroni più
presenti l’anno successivo.
I meccanismi della microevoluzione con cui si spiega la variazione precedente sono vari:
1. Mutazione: alcuni geni che codificavano per il verde hanno mutato in geni codificanti per il colore
marrone.
2. Migrazione: alcuni coleotteri con i geni marroni sono immigrati da un’altra popolazione oppure
alcuni coleotteri con i geni verdi sono emigrati.
3. Genetic drift: quando i coleotteri si riproducono, per eventi casuali, i geni marroni aumentano più
dei geni verdi nella generazione successiva. Un processo importante, derivante dal genetic drift è
l’effetto “collo di bottiglia”, che rappresenta diminuzioni drastiche nel numero di individui di una
popolazione, con conseguente riduzione della variabilità genetica. Può essere provocato
direttamente dall'uomo, per cui, in questo caso, si parla di selezione antropica (elefante marino del
Nord). Un altro aspetto del drift è l'effetto del fondatore, che avviene quando degli individui vanno
a colonizzare nuovi ambienti. Ovviamente, più piccola è la colonia iniziale di fondatori minore sarà
la variabilità genetica della popolazione. Questo fenomeno è molto evidente per la diffusione delle
malattie genetiche in determinate popolazioni umane. In Sud Africa non ci sono, per esempio, i geni
degli Indios, per cui non hanno conosciuto le malattie genetiche diffuse tra olandesi e inglesi.
4. Selezione naturale: i coleotteri verdi vengono mangiati di più rispetto ai marroni. Un esempio, è
la Biston betularia, ovvero la falena con due colori, cioè forma bianca o forma melanica in base allo
smog presente nell’habitat. Se la selezione è stabilizzante, si può costruire una gaussiana, in cui è
evidente che essere troppo chiara o troppo scura è pericoloso ed è meglio avere fenotipo
intermedio. La selezione stabilizzante è evidente anche negli insetti che costruiscono le galle
(imenotteri galligeni): le galle hanno tutte dimensione simile perché quelle piccole possono essere
forate da un parassitoide (a metà tra parassita e predatore perché l'adulto ha vita libera, mentre la
larva cresce all'interno di altri organismi), mentre quelle troppo grandi, invece, vengono mangiate
dagli uccelli, per cui è meglio una galla via di mezzo. La selezione può anche essere direzionale in cui
si opera in una sola direzione, quindi non viene preso in considerazione il valore medio come prima.
Per esempio, i fichi d’ India molto spinosi hanno avuto maggiore successo da quando sono stati
introdotti i cinghiali, a discapito di quelli con numero medio o basso di spine. Infine vi è la selezione
diversificante, in cui vengono selezionate due caratteristiche opposte, a discapito delle intermedie.

Speciazione
Una specie può essere definita come un gruppo di individui che si possono riprodurre tra loro e dare prole
fertile. In questo senso, una specie è il più grande pool genico possibile in condizioni naturali. Per i batteri,
invece, si ha una definizione diversa perché si riproducono asessualmente. Inoltre, è possibile che due
specie solitamente separate, in alcuni rari casi, si possano accoppiare dando luogo a ibridi, come per la
cornacchia grigia e la cornacchia nera.
La speciazione è un fenomeno che produce due o più specie separate. Questo può avvenire per varie cause,
come l’isolamento genetico, in cui per un evento particolare una specie si separa in due isolate, la riduzione
del flusso genico, cioè maggiore è la distanza tra gli individui, minore sarà il flusso genico, soprattutto se
intervengono diverse pressioni selettive. Importante è anche l’isolamento riproduttivo, che avviene
attraverso l’evoluzione di diverse località, stagioni e rituali inerenti alla riproduzione. Per esempio, gli uccelli
giardiniere decorano le arene con oggetti di diversa forma e colore specie-specifici. Inoltre, esso può
avvenire anche per evoluzione di apparati riproduttivi specie-specifici, mortalità e sterilità dei discendenti
Le prove evidenti della speciazione sono le prove geografiche e le prove sperimentali. Le prime affermano
che, se la speciazione allopatrica è una realtà, allora popolazioni della stessa specie in diverse località
geografiche dovrebbero essere geneticamente differenti. Questo è vero perché esistono molte varietà
geografiche, cioè ecotipi, come l’uomo che presenta differenti razze in base all’habitat che ha colonizzato.
Per quanto riguarda le prove sperimentali, sono stati effettuati degli esperimenti su Drosophila.
La co-speciazione, invece, avviene se due specie sono strettamente ed ecologicamente connesse tra loro,
tanto da speciare parallelamente. Questo è particolarmente evidente nei rapporti ospite-parassita, come le
pulci dei lemming che si possono riprodurre con pulci di altri lemming, per cui lo scambio genico tra i
lemming favorisce lo scambio genico tra le pulci.

Macroevoluzione
La macroevoluzione, invece, è l’evoluzione su grande scala ed è quel processo evolutivo che avviene al di
sopra del livello della specie. Essa presenta caratteristiche ricorrenti: è diffuso il pensiero che l'evoluzione
sia un continuo cambiamento, ma in realtà vi sono degli organismi in stasi, che per lunghissimi periodi
sembrano non mutare. Si usa il termine “fossile vivente” per far capire che questi organismi non si sono
evoluti fenotipicamente rispetto agli antenati e ai fossili. Ad esempio, i pesci Celacanti sono stati conosciuti
perché erano una via di mezzo tra pesci e anfibi, ma erano appunto fossili viventi con una stasi di 80 milioni
di anni.
Un altro pattern è il cambiamento dei caratteri nel tempo di generazione in generazione, come i trilobiti, in
cui a ogni generazione aumentano i somiti.
Un altro pattern è la speciazione, per cui una linea filetica può essere caratterizzata da una spiccata
radiazione, con numerose speciazioni, oppure può essere poco prolifica oppure ancora, può generare
numerose radiazioni allo stesso momento, per esempio in seguito ad un cambiamento ambientale.
Un’altra caratteristica fondamentale è l’estinzione. Molte specie, infatti, si sono estinte, tramite estinzioni
di massa. Inoltre, i coleotteri sono il gruppo di animali più presente nel pianeta (1/4 delle speice), mentre vi
sono altri gruppi molto ridotti, come gli ominidi.
La macroevoluzione è un processo che può avvenire gradualmente o rapidamente, senza passaggi
intermedi. Si parla nell’ultimo caso della teoria degli equilibri punteggiati perché spesso il passaggio da
vecchie a nuove forme sembra molto rapido e non ci sono le tracce fossili delle forme intermedie. La teoria
dice che l’evoluzione avviene per “salti”, cioè velocemente all’interno delle piccole popolazioni isolate, che
poi soppiantano rapidamente le popolazioni esistenti. Per esempio, le lumache di mare solitamente vivono
e poi diventano fossili, ma la cosa cambia quando vi sono delle popolazioni isolate che subiscono
cambiamenti (come una variazione climatica), che in una popolazione più grande è difficile che accadano.
Le lumache isolate che sopravvivono meglio portano al differenziamento, per cui si avranno due ecotipi che
diventeranno due specie in breve tempo, senza lasciare tracce fossili intermedi. Quando le popolazioni
isolate ritornano a contatto con quella originaria, la spiazzano.
In conclusione, sia il gradualismo sia la teoria degli equilibri punteggiati sono possibili, dato che vi sono
fossili che accettano tutte e due.
Gli studi sulla macroevoluzione permettono di evidenziare differenze enormi tra cladi, dato che alcuni
gruppi sono molto più diversificati e ricchi di altri. Questo avviene per vari motivi:
1. Diverse opportunità evolutive: alcuni gruppi erano presenti al posto giusto al momento giusto.
Più scientificamente, alcuni gruppi hanno potuto avvantaggiarsi di opportunità ambientali precluse
ad altri. Tra i fattori di diversificazione principali possiamo citare lo sviluppo in ambiente
frammentato che ha favorito la speciazione e la presenza di nicchie ecologiche nuove o vacanti.
2. Radiazione adattativa: evento in cui una linea filetica rapidamente si diversifica. Un classico
esempio è la radiazione adattiva dei mammiferi.
3. Variazioni storiche: un esempio è l’esplosione cambirana, che è avvenuta circa 540 milioni di anni
fa e ha segnato un passaggio epocale dal punto di vista zoologico. Infatti, prima di questo periodo la
maggior parte degli individui era unicellulare o coloniale, ma nell’arco di poco tempo comparvero i
maggiori phyla di animali.
4. Evoluzione della complessità: per prima cosa ci sono state delle forme intermedie con ruolo
adattativo, come l’occhio dei vertebrati che può essersi evoluto da semplici fotorecettori. Le forme
intermedie potevano anche essere utili per una finalità differente da quella della struttura
definitiva. I dinosauri, per esempio, avevano sviluppato penne prima della capacità del volo,
probabilmente per la termoregolazione.

Trend nell’evoluzione
Un trend evolutivo può essere o un cambio direzionale in una singola linea filetica oppure un cambiamento
parallelo in diverse linee filetiche. Non è detto, però, che un cambiamento sia un trend. Esempi di trend
evolutivi nella stessa linea filetica sono le dimensioni del corno dei Titanoteri o le dimensioni dei cavalli. E’
fondamentale ricordare, infine, che l'evoluzione non ha uno scopo, ma in realtà si è tutto evoluto
contemporaneamente.

Corrispondenza tra organismi e ambiente


Il concetto di fitness
In una popolazione gli individui più idonei sono quelli che lasciano un maggior numero di individui, cioè che
hanno massima fitness o idoneità o successo biologico. Il maggior successo non corrisponde all'animale più
forte, ma dipende dalle risorse che gli organismi hanno in quel determinato momento. Inoltre, il concetto di
fitness viene applicato non solo al singolo individuo, ma a un tipo di individuo; ad esempio, nelle dune
sabbiose le chiocciole con la conchiglia gialla sono più idonee di quelle con la conchiglia bruna, per cui è più
probabile che le prime sopravvivano e che lascino un maggior numero di discendenti.
In conclusione, gli individui che hanno la massima percentuale di discendenti in una popolazione hanno la
massima influenza sui caratteri ereditari di quella popolazione.

Fattori storici
Il fissismo non esiste più perché il nostro pianeta è estremamente dinamico e gli eventi accaduti nel passato
possono avere profonde ripercussioni sul presente. Alcuni organismi hanno una distribuzione
ecologicamente non spiegabile, per cui è necessario analizzare una serie storica di eventi storici molto
lunga. 250 milioni di anni fa, il nostro mondo era fatto a Pangea, cioè un super continente circondato da un
unico mare, detto Panthalassa. Negli anni successivi, le placche si sono separate, ma tuttora sono in
movimento.
Il primo ad ipotizzare la teoria della deriva dei continenti è stato Wegener (1915). Egli disse che vi sono zolle
di terra che si muovono sopra un fluido viscoso, detto magma, e, tramite moti convettivi nel mantello, si
forma continuamente crosta terreste, dalla fuoriuscita di magma dalle faglie e dalle fratture marine. Le
prove che è esistita la Pangea sono geologiche, in base alla corrispondenza tra rocce nei diversi continenti,
biologiche, per la corrispondenza tra specie animali, come gli uccelli che non volano, che però esistono in
Argentina, in Sud Africa e in Australia, ma non al Nord.
Dopo la Pangea, ci sono state la Laurasia a Nord e la Gondwana a Sud, per cui nell'emisfero australe sono
rimaste specie che nella parte Nord non sono presenti. I plecotteri, ad esempio, sono molto sensibili, per
cui sono presenti solo se un fiume è perfetto (non inquinato) e sono i principali indicatori ambientali, che si
disperdono in moto molto ampio. Un altro esempio, sono i pinguini, che hanno distribuzione Gondwaiana
perché vivono al Sud nell'Antartide e nelle regioni fredde dei continenti a Sud. Gli orsi bianchi, invece, sono
al Nord perché hanno avuto un’evoluzione completamente diversa dai pinguini.
Anche nelle piante c'è questa differenza, legata alle variazioni climatiche.

Variazioni climatiche
La distribuzione degli organismi e la loro corrispondenza con l’ambiente dipendono anche dalle variazioni
climatiche.
Esse hanno scala più recente e breve rispetto alla deriva dei continenti, ma hanno effetti più duraturi. Tutto
è partito dalle glaciazione, che ha originato specie che cambiano fenotipo e colorazione in base al clima e
alla stagione, tra cui la pernice bianca e la lepre variabile. Un tempo questi animali erano comuni in tutta
Europa, mentre adesso si trovano al Nord o sulle Alpi perché sono gli unici posti in cui si è mantenuto quel
tipo di clima originario. Il cambiamento di colore avviene in base all'allungarsi (grigio) o all'accorciarsi
(bianco) delle giornate, che inducono la secrezione di ormoni.
Un altro esempio è il gallo cedrone o molte piante che hanno una distribuzione particolare in base al tipo di
clima.

Modalità insulari
Le comunità delle isole sono di solito differenti da quelle dei continenti perché su un'isola i processi di
microevoluzione sono più rapidi e le specie si differenziano maggiormente. Inoltre, sulle isole, la fauna e la
flora sono limitate perché vi sono solo specie che sono arrivate lì, ciascuna delle quali ha fatto un effetto del
fondatore. Questo dipende anche dalla capacità di dispersione della specie, come i moscerini della frutta
delle Hawaii che hanno dispersione elevata, o i fringuelli di Darwin delle Isole Galapagos, che hanno un
progenitore in comune, anche se si sono sviluppati in ambienti diversi.
A causa dell’isolamento, la velocità di variazione evolutiva su un’isola può essere tanto alta quanto basta
per sorpassare in importanza gli effetti dello scambio di materiale genetico tra la popolazione insulare e la
popolazione parentale sulla terraferma. Di conseguenza, l’isolamento delle isole favorisce e promuove la
formazione di nuove specie.

Evoluzione convergente ed evoluzione parallela


Una corrispondenza tra la natura degli organismi e il loro ambiente si può presentare spesso come
similarità di forma e comportamento tra individui che vivono in ambienti simili, ma appartengono a
differenti linee filetiche. Si parla, infatti, di strutture omologhe quando esse derivano da un progenitore
comune, come gli arti di un uomo, di gatto, di balena e di pipistrello. Si parla, invece, di strutture analoghe
quando ruoli simili vengono svolti da strutture che hanno origine evolutive diverse, per cui sono simili nella
forma o nella struttura superficiali, come ala di pipistrello e farfalla. In questo caso si parla di evoluzione
convergente. Esempi di questa evoluzione sono i grandi carnivori nuotatori, che si sono evoluti in 4 gruppi
distinti: pesci, rettili, uccelli e mammiferi. In questo caso, la convergenza di forma è notevole, anche se ci
sono differenze profonde nella struttura interna e nel metabolismo. Anche nelle piante ci sono degli esempi
di questa evoluzione, per la presenza di uccelli che vengono attratti dal tessuto carnoso e zuccherino che
circonda i semi. Un ultimo esempio è quello dei ruminanti che occupano la stessa nicchia ecologica.
L'evoluzione parallela, invece, parla di specie affini che si sono irradiate dopo essere rimaste isolate le une
dalle altre, come i marsupiali e i placentati. I marsupiali arrivarono in Australia, ma da noi non sono arrivati,
perché il continente è isolato dagli altri, per cui marsupiali e placentati vivono tuttora in zone del pianeta
differenti.

Corporazione (Guilds)
Nel 1967, Root introduce il concetto di corporazione per descrivere un gruppo di specie che sfrutta la stessa
classe di risorse ambientali in modo simile. Per esempio, canguro e pecora sono pascolatori e fanno parte
della stessa corporazione, nonostante non siano simili di aspetto. Coniglio e paramele (coniglio marsupiale),
invece, sono abbastanza simili di aspetto, ma appartengono a corporazioni diverse, dato che il primo è
erbivoro e il secondo carnivoro.
In pratica, la corrispondenza degli organismi con il loro ambiente, a volte, può essere meglio spiegata da
paralleli nelle abitudini alimentari, piuttosto che da somiglianze esteriori.

Condizioni ambientali
Le condizioni ambientali sono fattori abiotici, cioè risorse ambientali, che variano nello spazio e nel tempo,
a cui gli organismi rispondono in modo differenziale. Alcuni fattori ambientali sono così ben distribuiti, che
non sono fattori limitanti, come l'ossigeno che è ugualmente distribuito in gran parte nel nostro territorio,
tranne in alcune zone della linea della morte, cioè sopra i 6.000 metri.
Le specie euriecie sono specie tolleranti a molto, mentre le euriterme sono tolleranti a grandi variazioni di
temperature. Le stenoecie, invece, sono le specie che hanno poca tolleranza verso le variazioni ambientali.
Ogni specie ha comunque il proprio range di condizioni ambientali, in cui riesce a vivere al proprio
massimo. Variando questo range, varia la capacità di riprodursi perché tutte le forze servono per cercare di
sopravvivere. Gli eurieci sono, per esempio, i pesci rossi, che hanno una gaussiana molto ampia, per cui
riescono a sopravvivere anche in condizioni di bassa concentrazione di ossigeno.

Temperatura
Gli organismi possono essere suddivisi in due categorie:
1. Omeotermi: al variare della temperatura dell’ambiente mantengono una temperatura all’incirca
costante. Possono essere anche definiti endotermi, cioè che regolano la propria temperatura producendo
calore nel proprio corpo, come mammiferi, uccelli, pesci e insetti. Gli endotermi regolano la temperatura,
ma spendono molta energia per farlo: il nostro metabolismo brucia energia per produrre calore grazie a un
termoregolatore situato nell’encefalo. La temperatura corporea interna varia tra i 35 e i 40 gradi centigradi,
per cui spesso sono loro a cedere calore all’esterno, ma la perdita è moderata dall’isolamento sottoforma di
pelliccia, penne e grasso. Gli endotermi vivono bene in un certo range di temperature, come l’uomo che
vive bene a 20 gradi, mentre hanno temperature critiche alle quali la loro capacità di termoregolarsi non
funziona più. Per regolare il proprio corpo, nel caso in cui la temperatura non sia nel range, si produce
sudore.
2. Pecilotermi: al variare della temperatura dell’ambiente varia anche la temperatura corporea. Possono
essere anche definiti ectotermi, cioè ricorrono a sorgenti di calore esterne, come piante, funghi, rettili e
protisti. Questa necessità di avere una fonte di calore esterna fa si che gli organismi abbiano adattamenti
particolari. Per esempio, bisogna fare attenzione a non ricevere troppo calore, per cui le piante grasse
hanno foglie riflettenti. Gli animali, invece, quando fa troppo caldo vanno all’ombra oppure spariscono nella
sabbia. Gli ectotermi hanno capacità di regolazione limitata, per cui devono scegliere bene dove vivere, di
modo che vi sia un range di temperatura adatto. Inoltre, quando gli animali si scaldano, aumenta il rischio
di predazione perché sono più visibili e vulnerabili. Esiste un range di temperatura non – letale in cui
l'animale ha un accrescimento metabolico strettamente legato all'aumento di temperatura (foto). Gli
ectotermi assumono e metabolizzano le risorse più lentamente a basse temperature, ma molto più
velocemente ad alte temperature, come nel caso degli ofidi.
A differenza degli endotermi, negli ectotermi la temperatura giornaliera è molto importante per regolare il
tasso di crescita, quindi non si parla di un vero e proprio tempo di sviluppo, ma di un tempo fisiologico che
unisce tempo e temperatura. Negli endotermi non funziona così perché i gradi sono costanti, per cui la
temperatura esterna non è importante, ma lo è solo il tempo. Se la temperatura scende, negli ectotermi, lo
sviluppo si interrompe. La temperatura svolge anche la funzione di stimolo, per esempio per le piante che
necessitano di una gelata per iniziare a produrre fiori. Le variazioni brusche di temperature, però, sono
pericolose perché non si ha il tempo di acclimatarsi.

Grado - giorno
Per lo sviluppo gli ectotermi non richiedono un certo tempo, ma un tempo fisiologico, come detto nel
paragrafo precedente. Il tempo è dipendente dalla temperatura e può addirittura fermarsi se la suddetta
temperatura scende troppo. Per esempio, una farfalla inizia a svilupparsi al di sopra di una temperatura di
16,0 °C e impiegherà 17,5 giorni a svilupparsi ad una temperatura di 20°C, mentre ne impiegherà 5 a
svilupparsi a una temperatura di 30°C. Essa ha quindi bisogno di 70 gradi/giorno: (20-16) * 17,5 = 70 gradi
giorno.

Acclimatazione negli ectotermi


Le risposte alla temperatura di un ectotermo non sono fisse, infatti, l’esposizione di un individuo a
temperature relativamente alte per molti giorni è capace di spostare la sua intera risposta alla temperatura
verso l’alto; lo stesso vale per temperature basse. Tale processo, entro certi limiti, viene detto
acclimatazione.
Quando vi sono alte temperature si verificano varie conseguenze: inattivazione enzimi, denaturazione
enzimi, scompensi metabolici, le piante respirano più velocemente e consumano più di quanto producano,
disidratazione, coma indotti dal calore e sopportati solo per brevi periodi. Lo stesso vale per la vita a basse
temperature: formazione di cristalli di ghiaccio nelle cellule, cristalli di ghiaccio che assorbono acqua e
fanno esplodere le cellule, dormienza per resistere alle condizioni, metabolismo rallentato e quasi fermo,
non vi è accrescimento né riproduzione, molte piante subiscono danni dal solo raffreddamento.
All’interno della stessa specie esistono spesso differenze nella risposta alla temperatura tra popolazioni che
risiedono in diverse località. Queste differenze sono anche dovute a differenze genetiche e non solo al
fenomeno di acclimatazione. Quindi, gli ectotermi sono suscettibili ad esposizioni anche brevi a basse
temperature o per tempi maggiori ad alte temperature. A temperature più basse dell’optimum, l’organismo
è più lento e più suscettibile a predazione, si accresce e si sviluppa più lentamente e può anche non
riprodursi.

Allometria negli endotermi


Nel mondo animale sono poche le relazioni isometriche, per cui la maggior parte delle relazioni sono
allometriche: variando linearmente una caratteristica, l’altra varia in modo esponenziale.
Esiste quindi un rapporto tra temperatura e dimensioni. Un esempio è il rapporto area/volume: negli
animali omeotermi il calore viene prodotto dal volume e si disperde attraverso una superficie, quindi se ho
più superficie rispetto al volume perdo più calore. Dovunque si viva, un animale piccolo deve bruciare
molto perché ha una maggiore dispersione del calore nell’ambiente. Per cui, animali più grossi possono
permettersi un metabolismo più lento.
E' la regola di Bergmann secondo cui a parità di distribuzione all'interno della stessa specie, variano le
dimensioni, in base all'habitat, quindi animali più grossi abiteranno ambienti più freddi, mentre animali
piccoli abiteranno ambienti più caldi. Un altro caso di relazione allometrica è la crescita umana perché
viene aggiunto peso non in modo uguale, ma di più in alcune parti rispetto ad altre. Infatti, la nostra testa
cresce meno velocemente rispetto al resto del nostro corpo, considerato che nasciamo già con il testa
grande. In base a questa regola, non esiste in natura la possibilità di avere esemplari giganti, dato che le
ossa non reggerebbero il peso e gli occhi non funzionerebbero. Anche gli occhi dei vertebrati, infatti,
crescono allometricamente con il variare delle dimensioni corporee.
La regola di Allen, inoltre, afferma che il calore si produce in un volume e si disperde in una superficie. Vale
per il fennec (volpe del deserto), l'elefante, la volpe artica, che hanno le orecchie grandi in ambienti con
temperature elevate per disperdere meglio il calore, mentre hanno orecchie piccole se vivono in habitat più
freddi in cui è necessario mantenere il calore. L'ultima è la regola di Gloger, secondo cui essere pallidi in un
ambiente freddo è utile perché ci si mimetizza con il substrato e perché si assorbono meno raggi UV. Il
contrario avviene in ambienti caldi.

Temperatura e ambiente
La temperatura varia in base all'ambiente e alla latitudine. Per questo, nel mondo vi sono zone distinguibili:
artiche, polari, tropicali e continentali e antartiche. Tra queste zone varia l'escursione termica tra giorno e
notte così come variano le ore di luce e buio, per esempio ai poli vi sono 6 mesi di buio e sei di luce. Questo
condiziona la biodiversità, per cui in questi posti vi sono meno specie rispetto ad altre zone del mondo.
La stagionalità, inoltre, è molto importante, mentre il clima incide anche sulla temperatura dell'acqua
fluviale, in relazione alla grandezza del fiume: se è più grande si scalda più lentamente, ma si raffredda più
lentamente. Anche la velocità della corrente e la copertura arborea influenzano la temperature.
Il fiume ha, quindi, una memoria termica, misurabile tramite i i data logger, ovvero strumenti programmati
che ogni periodo di tempo definito misurano la temperatura. Possono essere usati per molte misurazioni in
campo, come la secca di un fiume, in cui la temperatura inizia a variare di più, salendo di giorno e
scendendo drasticamente di notte. La variazione di temperatura può avere vari effetti:
 Indiretti: la temperatura delle acque influenza la componente abiotica dei sistemi lotici, come la
variazione della quantità ossigeno in soluzione oppure influendo sulla viscosità dell’acqua. Infatti,
più fa caldo meno è presente ossigeno, oppure più fa caldo più la viscosità dell’acqua diminuisce,
con il conseguente aumento della velocità (più liquida).
 Diretti: la maggior parte degli organismi che vivono nei fiumi sono pecilotermi, per questo le
variazioni termiche esercitano direttamente una profonda influenza sullo sviluppo delle uova, sul
tasso di crescita, sui cicli vitali e sulla produttività di gran parte degli organismi acquatici.
La popolazione è anche influenzata dall'altitudine, che vale anche per le piante, che oltre una certa quota
non sono più presenti nella maggior parte delle specie perché non riescono a effettuare la fotosintesi,
mentre i faggi, per esempio, sono sciafini, cioè vivono bene anche con poca luce. La zona alpina è la più
rigida e vi è un versante più ombreggiato dell'altro.
La temperatura varia anche ci si trova in prossimità di grandi masse d'acqua, come sul Lago Maggiore in cui
vi sono gli ulivi perché il clima è più mite. Le aree nude e aride, invece sono soggette a estremi stagionali e
giornalieri molto più marcati rispetto, ad esempio, alle aree boscate.
Inoltre, qualcosa che sembra abiotico, come il clima, invece è strettamente legato alla vegetazione e alle
condizioni biotiche. I climi continentali, in particolare, sono vari e presentano sottoclimi interni.
La temperatura non varia solo verso l’alto, ma anche in profondità, come negli oceani, in cui ho un primo
stadio fino a 100 metri, in cui la temperatura è elevata e costante perché vento e onde rimescolano l’acqua.
Se si scende in profondità, invece, l'effetto del vento e delle onde non vi è più, per cui la singola particella
d'acqua non si scalda più. Si chiama termoclino, la zona in cui la temperatura cade drasticamente.
L'acqua più fredda, inoltre, è più densa, quindi, questa proprietà è uno dei grandi motori delle correnti
oceaniche perché grandi masse di acqua si scontrano, scivolando dai poli verso l'equatore, per cui le coste
del Sud America sono le più ricche. Gli organismi che vivono in profondità sono di meno e si nutrono della
neve marina, cioè ciò che viene prodotto dagli organismi superiori che ricade in profondità. La distribuzione
degli organismi, quindi, varia.
Anche la profondità del terreno è un fattore importante per la temperatura. Esiste un gradiente
geotermico, per cui ogni 33 metri la temperatura aumenta di un grado, in media. Inoltre, la temperatura è
molto più stabile sottoterra, per cui gli organismi possono mantenere un’attività costante tutto l'anno.
Nello stesso ambiente vi sono più microambienti e la temperatura influenza le distribuzioni dei principali
biomi sulla terra: tundra vicino ai poli, foreste di conifere verso l’equatore e foreste pluviali all’equatore.

Luce
La luce è importante in base alla qualità, quindi la lunghezza d'onda, all'intensità e alla durata. L'intensità è
varia alle diverse latitudini e nelle diverse stagioni: dipende dall'angolo di incidenza dei raggi solari sulla
Terra, per cui ai tropici sarà elevata, rispetto alle regioni temperate. Molti organismi si sono adattati a
questo: le piante delle zone tropicali hanno foglie molto più dure e coriacee rispetto a quelle delle regioni
temperate.
La qualità è legata alla lunghezza d'onda, che ha impatto diverso sulla resa fotosintetica delle piante. Per
esempio, in acqua passa il pigmento verde e non i pigmenti rossi e blu perché l'acqua li filtra e le alghe si
sono adattate (in particolare quelle rosse) a utilizzare i pigmenti sopracitati, in modo da vivere a profondità
maggiori.
Le piante hanno sviluppato specifiche caratteristiche relative all’intensità luminosa: vi sono specie eliofile,
come l’ ulivo, che ha foglie chiare per riflettere un po' la luce. Le piante sciafile, invece, hanno il problema
opposto perché hanno poca luce e per ogni unità di superficie hanno più cloroplasti, come i faggi.
Le radiazioni ionizzanti, invece, sono a energia molto alta, in grado di staccare elettroni da alcuni atomi e
trasferirli ad altri, creando così coppie di ioni, a dare ionizzazione. Le radiazioni ionizzanti sono emesse dai
materiali radioattivi presenti nella Terra: gli isotopi di elementi che emettono tali radiazioni sono noti come
radionuclidi o radioisotopi. I raggi cosmici e le radiazioni provenienti dalle rocce radioattive producono la
radiazione di fondo o radiazione fondamentale, alla quale il biota è adattato. A quantità maggiori, la
radiazioni ionizzanti possono causare danni anche gravi.

Umidità e acqua
L’acqua è il mezzo in cui si svolgono tutte le reazione metaboliche. L'acqua può essere ingerita
direttamente, mentre altri organismi possono assumerla dal cibo in luoghi privi di acqua. Questo lo possono
fare solo alcune specie, in particolare desertiche, come i topi che mangiano semi e ricavano l'acqua da
questi.
L'acqua è limitante nell’assunzione di CO2 dalle piante perché essa è in fuga; in più, le piante non possono
spostarsi per cercarla, per cui hanno strutture per evitare che si disperda. Le piante grasse, per esempio,
hanno foglie più carnose perché disperdono poca acqua. Le foglie variano anche in base alla stagione.
I cactus, inoltre, possono svolgere la fotosintesi con gli stomi chiusi, minimizzando così la fuoriuscita di
acqua: ecco perché vivono nel deserto. Per cercare acqua nel sottosuolo, le piante presentano radici
lunghe.
L'umidità, invece, dipende dalla piovosità, cioè dalla presenza di correnti, dalla latitudine, dal mare, dalle
catene montuose. Per esempio, Irlanda e Sardegna hanno umidità diverse perché variano le condizioni
sopracitate. Nelle Alpi Cozie, invece, vi è molta pioggia perché esse sono alte e a ridosso direttamente dalla
pianura, per cui le nubi che si formano scaricano subito l'acqua sulle cime, mentre le altre Alpi, come quelle
svizzere, sono più secche e o nevica o fa bello. In base al grado di piovosità si distinguono comunque gli
habitat: 0-250 mm di pioggia è deserto; 250-750 mm è o prateria o savana; 750 – 1250 mm è una foresta
secca; mentre più di 1250 mm è foresta umida.
L'umidità è la quantità di vapore acqueo presente nell'aria. Si effettua una distinzione tra umidità assoluta,
cioè il peso di acqua per unità di aria, e umidità relativa, cioè la percentuale di vapore acqueo presente
realmente rispetto al valore di saturazione alle stesse condizioni di temperatura e pressione. Ciò che
percepiamo noi è l'umidità relativa.
Per quanto riguarda gli animali terrestri, essi perdono acqua per evaporazione e per escrezione. Se ci si
trova in un ambiente povero d'acqua, bisogna evitare di esporre le proprie superfici. Inoltre, l’azoto è
tossico per l’organismo, ma esso viene prodotto sempre sottoforma di ammoniaca, per cui è necessario
espellerla, rendendola inerte. Diversi animali, quindi, hanno avuto diversi setacci, in base alla diversa
disponibilità di acqua.
Negli ambienti acquatici, gli organismi rilasciano direttamente ammoniaca (NH3) perché la disponibilità di
acqua è elevata, per cui non vi sono problemi. Gli animali terrestri, invece, non possono fare ciò perché è
pericoloso per i tessuti, per cui è necessario diluire l’ammoniaca. Si parla in questo caso di urea o urina. Se
vi è meno acqua, si produce urea. Nella vescica vengono stoccati NH3 e acqua, fino a quando non ve n’è
abbastanza per espellerla. La quantità di acqua nell’aria può variare: se fa caldo viene prodotta urina più
concentrata, se fa freddo viene prodotta urina meno concentrata.
I mammiferi si sono evoluti da rettili notturni, per cui non si è avuto lo stress degli organismi che vanno in
giro di giorno e sono ectotermi. I rettili sono i più diffusi negli ambienti secchi perché espellono sostanze di
rifiuto in modo diverso: sottoforma di acido urico. L’acido urico è cristallizzato, per cui si può stoccare fino a
un certo punto, ma non danneggia i tessuti. I rettili effettuano ciò perché si sono evoluti in ambienti secchi,
per cui minimizzano lo spreco di acqua. Anche gli uccelli sono rettili, per cui espellono acido urico.
L'umidità relativa, vista precedentemente, è legata ad alcuni fattori: pressione, temperatura, vento,
disponibilità di acqua e presenza di vegetazione perché le piante portano l’acqua da suolo a superficie. I
processi di desertificazione partono, infatti, quando vi sono poche piante perché il bestiame ha alterato
l’habitat.
Alcuni animali non riescono comunque a gestire bene l’umidità e l’acqua, come i lombrichi che quando
piove escono e si spostano, mentre d'estate sono più vulnerabili perché perdono acqua dalla pelle e
seccano. La salamandra di Lanza, invece, vive nelle Alpi Cozie perché sono molto piovose, per cui è una
specie alpina endemica. In queste zone c'è molta umidità, ma poca acqua al suolo, per cui non si possono
dare alla luce girini, ma solo piccoli già formati, per cui è ovovivipara. Ogni tanto la salamandra produce
uova trofiche per dare da mangiare al piccolo già formato. Questi esemplari vivono fino a 22 anni in media
perché vivono solo d'estate perché d'inverno sono in letargo, per cui ritardano il metabolismo (interesse
biomedico).
I fattori limitanti, quindi, operano in modo sinergico, cioè insieme, a dare due climi diversi: continentale,
caratterizzato da valori estremi di temperatura e umidità, e clima marino, caratterizzato da oscillazioni
meno evidenti ed estreme di temperatura e umidità, a causa dell’effetto mitigante delle masse d’acqua.

PH
Un altro fattore che influenza l'ambiente è il pH presente.
Ogni organismo ha un range di pH all'interno del quale può vivere. Per esempio, il mirtillo è una pianta che
cresce in terreno acido. Si può far diventare il terreno acido se non lo è. E' importante ciò perché con
acidità differenti, varia la disponibilità di nutrienti. A pH neutro, quasi tutti i nutrienti sono abbastanza
disponibili, mentre ad alta acidità alcune sostanze non sono biodisponibili, cioè si legano a composti, che
non possono entrare nelle catene trofiche (alimentari). Infatti, molti metalli pesanti in acqua non si trovano
nei tessuti degli animali perché magari sono fissati nell’argilla. L’azoto è poco disponibile a pH estremi, per
esempio.
Per quanto riguarda gli animali, il pH interessa gli animali acquatici e il range di tolleranza è abbastanza
stretto, dato che le variazioni portano problemi a livello di osmosi e respirazione di gas. Ai due estremi della
scala di pH non c'è vita. Il pesce pagliaccio, ad esempio, può vivere a notevole basicità, mentre la trota in
acque acide.
La pioggia, però, in questi anni, è cambiata perché l'acqua è molto più acida di un volta. Il problema delle
piogge acide è molto sensibile nel Nord Europa.
Un problema di acidificazione è avvenuto anche nel Lago d'Orta, il quale era morto, cioè senza pesci perché
aveva un pH acidissimo a causa delle rubinetterie che scaricavano sostanze acide nel suo bacino. Per
risolvere il problema, è stata fatta un'operazione di recupero (liming) grazie al CNR di Pallanza, che ha
regolato il pH verso la neutralità, spargendo calcio nel Lago per molto tempo. Adesso, infatti, il Lago è ricco
di specie acquatiche. Queste operazioni vengono effettuate spesso al Nord Europa e in Canada, ma è l'unico
esempio italiano. Il lago in questione, quindi, ha avuto resilienza, ovvero la capacità di ritornare alle
condizioni originarie dopo essere stato inquinato.

Macro e micronutrienti
La metà dei 92 elementi della tavola periodica sono essenziali per gli animali e per le piante. I
macronutrienti sono quelli che servono in grande quantità (azoto, potassio, calcio, magnesio, fosforo, zolfo,
ferro), mentre zinco, rame, manganese sono micronutrienti perché servono in piccole quantità, ma sono
comunque indispensabili. La loro diversa disponibilità regola la presenza degli organismi. Se non sono
disponibili, infatti, si riduce il numero degli organismi.

Salinità
La salinità indica la presenza di sale nell'acqua, da cui deriva la conducibilità elettrica. Essa può variare dalla
sorgente alla foce perché, passando nel letto del fiume, l’acqua raccoglie sali ed elementi, per cui risulta più
salata alla foce.
I salmonidi sono eurialini, cioè sopportano la variazione di salinità, per cui in condizioni particolari possono
stare in acqua di mare. Le uniche specie di pesci presenti nei fiumi del Sud Italia, invece, sono specie
secondarie perché i fiumi non sono collegati a quelli europei e quindi sono arrivati solo gli eurieci secondari
che possono vivere sia in mare sia in acqua dolce. Gli stenoalini, invece, possono vivere solo in uno dei due
ambienti, come la carpa che vive solo in acqua dolce. Tornando ai salmonidi, la trota iridea in realtà è un
salmone che non si riproduce da sola in acqua dolce perché ha bisogno di una fase di vita marina. La trota
fario, invece, cresce più lentamente.
Una domanda frequente che tutti si pongono è “I pesci bevono?”. I mammiferi non possono bere acqua di
mare per un problema osmotico, ma i pesci invece possono farlo. Se sono pesci d'acqua dolce, come la
carpa, avranno una concentrazione di sali interna maggiore rispetto all'acqua esterna, per cui l'acqua entra
per diffusione semplice e quindi il pesce non deve bere, dato che l'acqua lo diluisce da sé: il suo problema è
trattenere i sali. Per il pesce marino è il contrario: meno sale nel pesce e più sale nell’acqua, per cui il pesce
tende a bere acqua perché ne perde moltissima, dato che fluisce verso l'esterno. Hanno dei sistemi per
espellere ioni in più. I tonni, per esempio, hanno la pinna a falce (compromesso tra spinta e leggerezza),
hanno la carne rossa perché sono fortemente capillarizzati, dato che nuotano sempre. Essi bevono acqua e
ne espellono poca, ma con molti sali all’interno. Il Persico, invece, non beve, espelle tanta acqua, ma con
pochi sali all’interno. Vi sono pesci che trascorrono una parte della loro vita in un posto e una parte in
un'altro, come le anguille, che devono modificare il proprio corpo in base a dove si trovano per prepararsi
alla variazione salina.
Il mar Baltico, inoltre, è uno dei mari più dolci che ci sono (si pescano i Lucci, cioè pesci di acqua dolce), ma i
mari tra di loro non hanno salinità uguale. Esiste il corno salino, che è il luogo in cui l'acqua del fiume si
mischia con quella di mare alla foce. Quando l'acqua di mare entra nel fiume anche per 30 km è un
problema perché crea difficoltà alle specie animali e vegetali che ci vivono.
Velocità corrente

La corrente è l'elemento principe della morfologia del fiume. L'acqua si muove, infatti, lungo un gradiente
di pendenza e la velocità della corrente varia lungo il percorso del fiume. E' sfruttata dalle centrali
idroelettriche ed è maggiore a monte rispetto a valle.
La curva di Huston in foto mostra sull’asse delle x le dimensioni di una particella e sull’asse delle y vi è la
velocità della corrente: la particella cade in una zona di deposito se la corrente è bassa, ma se vi è corrente
più intermedia, la particella viene trasportata e se invece la corrente è troppo elevata la particella viene
erosa.
Nei tratti veloci di un fiume, il substrato ha elementi molto grossolani, mentre nei tratti lenti vi sono
particelle più fini. L'erosione avviene quando aumenta la velocità della corrente. Gli animali sono adattati a
tutti questi diversi tipi di condizione ambientale. Prima di tutto, hanno una forma idrodinamica, importante
per gli organismi nectonici, cioè quelli che hanno tre dimensioni e che vivono nella colonna d'acqua (diverso
dal bentonico che vive sul fondo e dal planctonico che vive in acqua ma con difficoltà di movimento).
Le diatomee, piante acquatiche, inoltre, in base alla forma vivono in zone diverse. Gli eptagenedi, invece,
(efemerotteri) vivono sulle rocce dei fiumi e sono pascolatori in zone con elevata corrente perché sono
disegnati come delle macchine di formula uno per stare fermi, in un ambiente che va veloce verso di loro.
Vivono lì perché ci sono molte alghe. Altri animali, per di più, presentano ventose per rimanere ancorate
alla rocce o unghie e uncini.

Struttura del terreno e dei substrati


La struttura di un terreno varia in base alla granulometria: un terreno fine lascia passare poco ossigeno e
poca acqua, come i terreni limosi, che sono impermeabili e difficilmente colonizzabili da molti organismi. Se
vi sono, invece, terreni con sassi grandi, l'acqua passa di più, ma è troppo permeabile, per cui esce
velocemente e non permette la vita di vegetali, trattandosi di luoghi che seccano velocemente. Quindi il
suolo intermedio è il preferito.
Nel suolo c'è un sacco di vita con biodiversità elevata. Alcuni organismi sono adattati per vivere nelle zone
dove il fiume erode sempre, mentre altri stanno in luoghi in cui il fiume deposita sempre. Questi non si
nutrono di alghe. Le specie limnofile apprezzano l'acqua ferma, a differenza dei reofili a cui piace la
corrente. Presentano adattamenti: zampe tipo talpa perché scavano gallerie nei fiumi per mangiare
particelle organiche.
Quindi, la distribuzione e l’abbondanza di una specie dipendono da alcuni fattori, tra cui storia evolutiva,
storia geologica e climatica dell’ambiente e dalle condizioni ambientali. Si segue, in particolare, la teoria
della botte: Quanta acqua sta in un barile? In base all'altezza delle doghe più basse. In poche parole, se ho
le condizioni ambientali perfette, ma manca un po' di fosforo, questo diventa l'elemento più vicino al limite
inferiore, che è necessario regolare.

Habitat e nicchia ecologica


Ogni organismo ha un habitat e una nicchia ecologica in cui vivere.
L’ habitat è il luogo fisico in cui l'animale vive ed è l'insieme delle caratteristiche abiotiche, cioè non viventi
(umidità, temperatura, ecc). Il biotopo, invece, è l’habitat di una comunità, rispetto all’habitat che riguarda
una singola specie. Per esempio, l’habitat del camoscio è la rupe e le montagne a una certa quota con
determinate caratteristiche (habitat alpino). L’ habitat dei cervi, invece, è il bosco, nonostante sia un
animale simile al camoscio. L’ habitat del picchio nero (il più grande in Italia) è le foreste di conifere con alto
fusto perché vi sono alberi vecchi in cui può trovare cibo. Alcuni animali hanno vari habitat, come la tigre,
perché sono più plastici, ma per fare questo si sono sviluppate delle razze cioè degli ecotipi, definiti come
varietà di una specie adattata a quel determinato habitat.
La nicchia ecologica è qualcosa di più. Essa comprende l'habitat e il ruolo che ha l'animale, per esempio se è
un predatore svolge determinate funzioni. Lo scarabeo stercorario vive nel deserto e fa rotolare lo sterco,
lo sotterra e ci depone le uova, in cui le larve crescono. La sua nicchia comprende l'attività, di cosa si nutre,
il lavoro che svolge e l’ habitat in cui vive. Differenti specie possono occupare gli stessi habitat, ma la nicchia
ecologica di ognuna è tipicamente unica.
Per quanto riguarda la nicchia, sono importanti ampiezza e sovrapposizione, per cui vengono costruite
curve gaussiane di rappresentazione. Ogni nicchia ha questa distribuzione, per esempio, lo scarabeo
preferisce lo sterco di animali erbivori grandi, ma si nutre anche di sterco di altri animali, per cui ha una
nicchia ampia. La martora e la faina sono carnivore e cacciano sugli alberi, mentre la volpe caccia a terra ed
è onnivora, quindi nell’insieme non hanno la stessa nicchia perché quella della volpe è più ampia.
Sovrapposizione significa che vi sono organismi che svolgono le stesse attività, per cui, per evitare questa
cosa si tende a cambiare attività, cercando di allontanare le nicchie tra di loro ed evitare conflitti.
Ovviamente una minima sovrapposizione ci sarà sempre. La nicchia, quindi, è come una bolla che
caratterizza le peculiarità dell'organismo e può essere in una, in due o in tre dimensioni. La nicchia
fondamentale è quella che l'animale o la pianta possono occupare in condizioni ideali, in un ambiente
ideale in cui non vi sono predatori e competitori. Un esempio è il capriolo, che è molto versatile perché
basta che ci sia qualcosa da brucare per vivere. Però ovviamente si ha sempre a che fare con predatori e
competitori. Nelle Alpi, fino a qualche anno fa, erano presenti nelle praterie alpine, ma adesso le cose sono
cambiate perché la nicchia ecologica si è ridotta per la presenza di lupi come predatori, diventando nicchia
realizzata, per cui si sono spostati più in basso. Adesso ci sono molti più animali rispetto a prima perché noi
abbiamo abbandonato campagne e montagne, il resto si è rimboschito e tutti gli animali sono tornati. I
caprioli, per esempio, stanno diminuendo perché i cervi stanno aumentando. In generale, vi sono specie
euriecie, generaliste che vivono ovunque, si riproducono ovunque e mangiano di tutto, a differenza delle
altre specie stenoecie che sono selettive e specializzate. Ad esempio, la cornacchia e il picchio. Una
comunità è l’insieme di tutte queste cose, cioè specie euriecie e stenoecie.
Bisogna considerare che la nicchia ha tante dimensioni, per cui la sovrapposizione varia e non significa per
forza competizione tra popolazioni perché possono sovrapporsi in una dimensione, ma non nell'altra.
Due competitori si escludono dalle nicchie fondamentali, secondo il principio di esclusione competitiva
(Gause). Quindi, se due specie in competizione coesistono in un ambiente stabile, questo è possibile grazie
a un differenziamento delle nicchie realizzate. Se questo differenziamento non avviene, allora una delle due
specie va incontro all’estinzione. E' per questo che le specie invasive sono pericolose, dato che a volte le
nicchie di queste e delle specie autoctone sono esattamente sovrapposte. Ad esempio lo scoiattolo grigio
alloctono e lo scoiattolo rosso autoctono.
E’ molto difficile definire una nicchia ecologica perché può essere una procedura molto soggettiva; alcuni
aspetti e dimensioni della nicchia possono essere poco noti; essa può cambiare durante il ciclo vitale e può
cambiare anche la localizzazione geografica. Specie che occupano nicchie simili in differenti regioni
geografiche sono allopatriche: una popolazione nel Sesia e una nel Po. Le specie ecologicamente
equivalenti che occupano nicchie simili in continenti diversi, possono avere fenomeni di convergenza
evolutiva.

Distribuzione degli organismi


Gli organismi si spostano, per cui la distribuzione è semplificabile in tre tipologie: regolare, che è più
comune di quanto si pensi, casuale, cioè senza uno schema, e aggregata, in cui vi sono spazi tra le
aggregazioni di individui.
Una distribuzione regolare si ha quando ciascun individuo tende a evitare gli altri oppure quando è
pericoloso stare vicino a un altro, per cui esso si crea uno spazio vuoto attorno a sé grande come quello
degli altri. Sembra artificiale, ma in natura esiste. Negli ambienti in cui c'è acqua, per esempio, molte piante
sono disposte uniformemente perché effettuano lotta chimica tra di loro, per cui un'altra pianta in quella
zona non ci può essere. Questa distribuzione è il frutto di lotta diretta e competizione con altri organismi.
Per esempio, nelle foreste di alto fusto, le piante tendono ad occupare un determinato spazio perché
hanno chiome alte e larghe, che fanno ombra nella zona sottostante, in cui quindi non si insedia un'altra
pianta, dato che ci sarebbe competizione per la luce. Una distribuzione uniforme minimizza, quindi, l'attrito
tra gli individui. Questa distribuzione si può avere anche negli animali, come per le libellule, che sono
territoriali.
La distribuzione casuale o random, in cui non si possono identificare pattern di distribuzione regolari, è
costituita da organismi che hanno la stessa probabilità di occupare una determinata zona, dato che un
individuo non influenza la presenza di un altro. E' tipica di ambienti ricchi.
La distribuzione aggregata, invece, ha interessanti sviluppi perché alcuni organismi tendono a vivere
insieme, quindi la presenza di un individuo attrae gli altri. Sembrerebbero essere maggiori gli svantaggi, ma
in realtà vi sono molti vantaggi. Per esempio le marmotte o gli elefanti sfruttano questi tipo di distribuzione
in branchi. I simulidi, invece, vivono in strisce di organismi. In natura spesso troviamo raggruppamenti più o
meno accentuati per differenze locali dell'habitat o del paesaggio, per variazioni stagionali, per
riproduzione, per difesa. Vivere in gruppo ha svantaggi, ma essi vengono bilanciati da vantaggi importanti.
Ad esempio, vi è l'aggregazione-rifugio, come per gli insetti sociali, che diventano un super-organismo., in
cui grossi gruppi di animali socialmente organizzati stabiliscono la loro sede centrale, da cui poi si
disperdono e a cui ritornano regolarmente per soddisfare le loro necessità trofiche o di altro tipo. Questo
avviene anche perché le famiglie di formiche sono molto specializzate, come le formiche otre che
presentano il gozzo, ovvero un serbatoio in cui non avviene la digestione, per cui durante la stagione delle
piogge si dilata. Esse bevono fino a quando sono piene e le altre formiche bevono e vomitano a loro
l'acqua. Sono, quindi, dei serbatoi d’acqua.
Il principio di aggregazione di Allee va in base alle differenze locali dell’habitat o del paesaggio; alle
variazioni giornaliere o stagionali delle condizioni; ai fenomeni riproduttivi; all’attrazione sociale.
L’aggregazione può far aumentare la competizione tra gli individui per i nutrienti, il cibo o lo spazio, ma
questo svantaggio è spesso più che controbilanciato dall’aumento di sopravvivenza del gruppo che, molto
più efficacemente del singolo individuo, è in grado di difendersi, trovare risorse, modificare i microclimi o i
microhabitat. Questo principio è schematizzato con una curva diversa dall'iperbole, utilizzata per le specie
non sociali, per cui l'aumento di densità provoca la morte dell'individuo. La sopravvivenza massima ce l'ho a
un numero medio di individui perché se aumenta troppo il numero si verificherebbero meccanismi di
competizione, mentre se il numero è troppo basso non si hanno i vantaggi del gruppo (foto a destra).
Per le piante l'aggregazione avviene come risposta ad habitat, clima o riproduzione, mentre negli animali
superiori può essere l'effetto di tutti i fattori, ma specialmente del comportamento sociale. L'aggregazione
nelle piante è inversamente proporzionale alla mobilità di semi e spore. Un'altra cosa importante è che più
una specie è sedentaria più è favorita ad avere dissemuli mobili, perché se no vi sarebbe troppa
competizione.
Il valore di sopravvivenza del gruppo è un’importante caratteristica che può derivare dall’aggregazione. Un
gruppo di piante è in grado di opporre all’azione del vento una resistenza maggiore di un individuo isolato,
oppure di ridurre in modo più efficace la perdita di acqua. Nelle piante verdi, tuttavia, gli effetti deleteri
della competizione per la luce e per i nutrienti spesso superano i vantaggi dell’aggregazione. Infatti, i
vantaggi del gruppo sono più evidenti negli animali piuttosto che nelle piante. Allee ha trovato, per
esempio, che gli Zebrafish in gruppo sopportano meglio la presenza di veleno introdotto nell’acqua alla
stessa dose. Questo accade perché i pesci comunicano grazie alle ricezioni chimiche in base alla linea
laterale. Un altro esempio è che la singola ape non sopravvive all’ inverno, mentre in gruppo muovono i
muscoli e si scaldano a vicenda.
Negli Stati Uniti occidentali, i colini della Virginia aumentano le proprie chances di sopravvivenza, formando
dei gruppi durante i mesi invernali; nel gruppo gli uccelli rimangono accovacciati, in circolo e con la testa
rivolta all’esterno, pronti a fuggire in diverse direzioni, se avvicinati da un predatore come la volpe. Questo
comportamento sociale di gruppo e di risposta al disturbo permette a qualche individuo di sfuggire al
pericolo, cosicché in primavera sarà in grado di riprodursi.
Una gerarchia sociale può prendere la forma di ordine di beccata, con un chiaro rapporto di dominanza e
subordinazione fra singoli individui. Questi tipi di organizzazione sociale costituiscono un vantaggio per
l’intera popolazione, impedendo il sovraffollamento.
Tra gli animali più evoluti, una strategia aggregativa di grande successo è quella del rifugio. I rifugi sono siti
in cu i membri di una popolazione che subisce una qualche forma di sfruttamento trovano protezione dai
predatori o dai parassiti. Da queste zone, gli animali si allontanano per nutrirsi spesso quotidianamente,
all’interno di un ampio perimetro che delimita l’area di sostentamento vitale.
Il principio di Allee trova un’applicazione pertinente anche nel caso delle popolazioni umane. Nelle città, la
cui grandezza ottimale non può ancora essere oggettivamente determinata a priori, prima tendono a
crescere eccessivamente, poi, quando i costi superano i benefici, tendono a spopolarsi. Secondo i principi
ecologici, è un errore mantenere o approvvigionare una città che è diventata troppo grande rispetto alle
sue possibilità di sostentamento vitale, ma ciò viene abitualmente fatto.

Home range e territorialità


l'home range è l'area della casa, all'interno della quale vive l'organismo. Essa varia in base alle dimensioni
dell'organismo stesso. Il territorio, invece, è la porzione dell'home range che l'animale difende attivamente,
per cui non viene condiviso con altri organismi, mentre l’home range non viene difeso. Quindi un
organismo può entrare nell'home range di un altro individuo, ma non nel suo territorio. Si tende anche qui
a separare i territori, come per le nicchie, per evitare conflitti. La territorialità è sviluppata nei vertebrati e
in certi artropodi che hanno un complesso comportamento riproduttivo che richiede la costruzione del
nido, la deposizione delle uova, la cura e la protezione della prole. Molti uccelli segnalano cantando il
proprio territorio. Il vantaggio dell’aggregazione può variare durante l'anno, perché si ha un periodo di
riproduzione opposto a quello di svernamento, in cui solitamente il territorio non viene difeso.
In natura sono presenti sia l’aggregazione sia l’isolamento; infatti alcune popolazioni passano da una forma
all’altra. I turdidi migratori, per esempio, durante la stagione degli amori vivono in forma isolata, mentre si
aggregano in stormi durante l’inverno, ottenendo così vantaggio da entrambi i tipi di organizzazione.
In natura tutti gli organismi sono dove li troviamo perché vi si sono trasferiti per trasporto passivo o per
trasporto attivo.

Dispersione e migrazione
Migrazione
La migrazione è un movimento di massa ciclico, verso direzioni stabilite, oppure è un movimento di solo
andata, come le farfalle, che producono bruchi.
Molte specie compiono movimenti giornalieri tra diversi habitat, come gli storni che di notte vivono in città
e di giorno si spostano nelle campagne per cercare il cibo.
I movimenti stagionali tra habitat sono uno spostamento a partire da una certa località e il successivo
ritorno alla stessa località, seguendo un ciclo annuale. Solitamente la migrazione viene effettuata in
autunno da zone più fredde a zone più calde per evitare l’inverno, ma, poi, in primavera, le specie ritornano
nella località da cui erano partite.
Non solo gli uccelli migrano, ma anche altri animali come le tartarughe (Dermochelys coriacea), la farfalla
monarca, la quale migra dal Canada alle montagne del Messico in cui costituisce l’area di svernamento per
evitare il gelo del nord e il troppo caldo del sud.
Anche le aragoste migrano: percorrono 4 chilometri al giorno dalle acque profonde alle acque superficiali,
ma non si conosce tutt’ora il motivo.
Le balene migrano e percorrono oltre 10.000 chilometri, partendo dalle acque fredde ricche di cibo,
arrivando alle acque subtropicali, in cui vi è la gestazione e il parto.
Alcuni pesci migrano, tra cui i pesci anadromi (i salmoni con riproduzione in acqua dolce e accrescimento in
acqua salata) e i pesci catadromi (l’anguilla con riproduzione in acqua marina e accrescimento in acqua
dolce), che effettuano quindi migrazioni con un solo viaggio di andata e ritorno.
Il colibrì golarubino (Archilochus colubris), inoltre, percorre 850 km senza soste, attraverso il golfo del
Messico.
Le rane, i rospi e i tritoni migrano verso l’habitat acquatico in primavera, mentre nel resto dell’anno
rimangono in ambiente terrestre.
Per quanto riguarda le farfalle Colias croceus, si riproducono a entrambi gli estremi delle loro migrazioni. Gli
individui che raggiungono la Gran Bretagna in estate si riproducono e la loro prole vola verso sud in
autunno e si riproduce nella regione mediterranea, mentre questa volta la prole vola verso nord nell’estate
seguente.
Probabilmente la sedentarietà era la condizione ancestrale e la migrazione si è evoluta da essa. Il primo
stadio di evoluzione è stato, probabilmente, la migrazione a corto raggio, in cui molte specie percorrevano
chilometri, spostandosi, ad esempio, dalla montagna verso la pianura (pettirossi, merli, fringuelli). I
migratori a corto raggio appartengono a 9 famiglie, che si pensa si siano evolute nei tropici, in cui sono
inclusi anche migratori a lungo raggio. Si suppone che la migrazione a corto raggio abbia preceduto quella a
lungo raggio, ponendo le basi per alcuni adattamenti necessari per percorrere lunghissime distanze.
Ovviamente nella migrazione a lungo raggio il dispendio energetico è maggiore.
Ad esempio, il Campanaro dalle tre carnuncole migra a corto raggio dalle foreste di media montagna della
Costa Rica fino alle foreste di bassa quota del Nicaragua e alle foreste costiere della Costa Rica (viaggia per
circa 200 km).
Considerando l’albero filogenetico, il comportamento per la migrazione si è evoluto 3 volte, per cui
potrebbe essere vero il fatto che tutto derivi da un progenitore sedentario. In ogni caso l’evoluzione può
essere derivata da cambiamenti climatici o geologici.

Costi e benefici della migrazione


Ovviamente, il costo principale è il dispendio energetico, per cui alcuni passeriformi raddoppiano il loro
peso prima del viaggio, aumentando le proprie riserve lipidiche. Altri due tipi di costi sono la mortalità
dovuti a predatori, come il Falco della regina, e la mortalità da stress e maltempo, se le condizioni
atmosferiche sono avverse.
I benefici, invece, sono la possibilità di sfruttare al massimo le risorse di aree diverse: nel nord, in estate, vi
sono molte ore di luce e molti più insetti.
Per considerare questo comportamento adattativo, i benefici devono superare i costi associati a questa
capacità, ma i costi sono enormi, come il diverso angolo d'involo, la minore reazione di fuga e il peso in più
come riserva lipidica. Anche se i ricercatori hanno dimostrato che i Piovanelli maggiori quando accumulano
grasso hanno un volo più efficiente e maggiore rendimento nel convertire il carburante in potenza di battito
alare. Il rischio principale è rimanere senza carburante, ma probabilmente gli uccelli hanno evoluto
strategie per ridurre i costi del viaggio.
Un modo è il Volo a V, effettuato dal Pelecanus onocrotalus (pellicano), in cui si vola in gruppo a dare una V
per risparmiare energia per l’11-14%.
I passeriformi europei, invece, attraversano lo stretto di Gibilterra per andare al Sud per evitare di
attraversare grandi tratti di mare aperto, anche se il tragitto è molto più lungo. Altri uccelli, come la
Dendroica striata effettua 3000 km sull’oceano per andare dal Canada all’Amazzonia, a differenza del Vireo
olivaceus. Questo avviene perché si percorre un tragitto meno lungo, con meno predatori, in cui si possono
sfruttare i venti e il fronte freddo.
Uno dei vantaggi che fa aumentare i benefici della migrazione, in America, sono le enormi popolazioni
d'insetti che compaiono in Canada e Stati Uniti nella stagione calda e le molte ore di luce (come in Europa).
In Tanzania, Serengeti, più di un milione di gnu, zebre e gazzelle si spostano da sud a nord e viceversa. La
migrazione verso nord sembra essere innescata dalla stagione secca, mentre l’inizio delle piogge manda le
mandrie verso sud. Alcuni ricercatori hanno dimostrato che i fattori più importanti sono la diminuzione
della disponibilità di acqua e l’aumento della salinità dei fiumi.
Ovviamente non tutti gli individui migrano, ma alcuni sono sedentari. L’ipotesi è che sia migrazione sia
sedentarietà diano la stessa fitness. Si è visto, però, che i merli attuano una strategia condizionale da un
anno all’altro.
Il Merlo (Turdus merula) adotta la tattica che porta la maggiore fitness. I merli dovrebbero avere la capacità
di passare da un comportamento a un altro senza vincoli, gli individui socialmente dominanti dovrebbero
adottare la tattica migliore e nella scelta delle tattiche alternative, gli individui dovrebbero scegliere
l’opzione che offre il maggior vantaggio riproduttivo. I merli partono in autunno quando le lotte per la
dominanza aumentano di frequenza, inoltre, passano spesso dall’opzione migratoria a quella sedentaria
soprattutto quando sono più vecchi e presumibilmente dominanti.
La Capinera (Sylvia atricapilla), invece, con lo studio degli isotopi stabili, utilizza diversi parti dell’areale
complessivo della specie. Gli isotopi nel cibo che variano le proporzioni fra le differenti forme di alcuni
elementi. Ogni popolazione, poi, ha la propria area di svernamento e nidificazione.

Orientamento durante la migrazione


Per effettuare il viaggio servono il senso della mappa, ovvero conoscere la posizione del luogo in cui si
trovano e in cui vogliono arrivare gli individui, e il senso della bussola, cioè conoscere la direzione in cui essi
si devono muovere.
La navigazione può essere a vista, tramite vari punti di riferimento, per cui se questi vengono spostati,
l’animale non si orienta più. Può avvenire anche tramite la posizione del sole, come per le api o i piccioni
viaggiatori, oppure, nelle giornate nuvolose, tramite le onde magnetiche generate dalla Terra. Di notte,
invece, ci si orienta tramite la posizione delle stelle, mentre altri individui hanno migrazione chimica –
olfattiva, come i salmoni che si ricordano l’odore del luogo in cui sono nati.
Per quanto riguarda le tartarughe, vi sono opinioni contrastanti sulla loro migrazione: alcuni affermano che
si tratta di navigazione chimica, altri di navigazione magnetica.

Dispersione
La dispersione non è né ciclica né di massa, ma è un allontanamento dall'area di origine, come il volo
nuziale degli imenotteri sociali, quali api e formiche. Le formiche volanti sono la casta riproduttiva delle
formiche, per cui dopo l’accoppiamento le femmine si disperdono. Le ali delle formiche hanno già linee
deboli che, quando la femmina si è riprodotta e ha trovato un posto in cui vivere, si stacca le ali perché
ormai ha già fatto il suo unico volo nuziale della vita. Esse mantengono gli spermi in una spermateca che li
conserva per tutta la vita.
La dispersione serve anche a ridurre l'inbreeding, cioè l’accoppiamento tra organismi che hanno pool
genetici simili, oppure riduce la competizione con altri individui, o è utile per la ricerca di territori e
nutrimento. Inoltre, i maschi nei mammiferi vengono allontanati dal gruppo parentale, come i leoni, i lupi, i
cani della prateria. I lupi sono in una fase ascendente e in una notte possono percorrere, infatti, fino a 80
km per disperdersi.
Anche l'uomo si disperde, per cui con diversi ecotipi ha colonizzato tutto il mondo, ad eccezione dei poli. La
dispersione può implicare un trasporto attivo, come i lupi, o passivo, come i soffioni i cui semi vengono
trasportati dal vento. La dispersione è anche un processo con cui gli individui fuggono dall’ambiente dei
loro genitori o vicini, diventando così meno aggregati, per evitare la congestione locale. La dispersione,
però, non è solo fuga, ma anche scoperta. Prima di fermarsi, infatti, gli individui esplorano i territori per
capire quale sia il migliore in cui stabilirsi Si parla di dispersione di scoperta, diversa da quella delle piante,
in cui i semi non possono decidere dove stabilirsi, ma germinano nel luogo in cui si depositano
casualmente.
Esistono 3 modi di dispersione degli animali:
1. Drift: è una dispersione simile ai semi, che riguarda gli invertebrati di acqua dolce, trasportati dalla
corrente, come le trote che hanno il capo verso monte perché il cibo arriva da lì, trasportato dal
meccanismo di drift. Esso è influenzato da molti fattori, come composizione chimica, pH, fotoperiodo,
densità macrobentonica, disponibilità trofica, tasso di competizione e predazione.
2. Dispersione passiva controllata: altri animali sono trasportati passivamente, ma decidono quando farlo,
come gli afidi delle rose, che compiono voli sfruttando la corrente per cambiare sito. In questo caso, si ha
un controllo maggiore rispetto al drift.
3. Dispersione attiva: è abbinata alla volontà di disperdersi. In questo caso la situazione è più complessa e
non basta sapere il punto di partenza e il punto di arrivo, ma bisogna conoscere tutti i siti che l’animale ha
visitato.
La dispersione gioca un ruolo fondamentale nella dinamica della popolazione ed è quindi
demograficamente molto importante. Per esempio, un coleottero mangia foglie di patate, che sono
presenti sulle Ande, ma sulle montagne rocciose c'è stata una coevoluzione con i crisomelidi, per cui i
coleotteri hanno cambiato e sono passati dalle patate selvatiche alle patate coltivate, arrivando insieme ad
esse in Europa. E' per quello che le dorifore sono dannose per le patate coltivate, dato che non c'è stata
coevoluzione. Queste sono nere e rosse come colorazione aposematica.
Le specializzazioni per la dispersione richiedono tutto il sacrificio di tessuti e/o risorse che avrebbero potuto
essere usate in altre attività, come ali e ciuffi di semi che possono essere trasportati dal vento (anemocora),
rivestimenti carnosi per attirare gli uccelli (zoocora endozoica), uncini o spine per ancorarsi ad animali
trasportatori (zoocora epizoica). Per questo deve essere raggiunto un compromesso tra energie spese e
successo ottenuto.
La dispersione può essere coevoluta, come l’uccello del vischio australiano che mangia quasi
esclusivamente vischio, il quale si fa mangiare per essere trasportato da quell'uccello e disperdersi.

Movimento degli organismi bentonici (drift)


Il peso in acqua non sarebbe un grosso problema, ma molte piante acquatiche disperdono i propri semi
comunque per via terrestre, dato che in acqua subirebbero l’attacco da parte di molti organismi.
Il trasporto verso valle ad opera della corrente (drift) è uno dei principali meccanismi di dispersione negli
ambienti fluviali. Alghe uni e pluricellulari, frammenti e semi di macrofite, uova e stadi larvali di crostacei e
numerosi altri invertebrati riescono così a raggiungere e colonizzare senza sforzo i nuovi ambienti.
Questo fenomeno ha una componente comportamentale, basata sulla volontà, e una non
comportamentale, ovvero non data dalla volontà. E' stato capito perché si è visto che gli organismi driftano
di più di notte, dato che i pesci non vedono bene, per cui possono passare inosservati.
Il paradosso del drift è che esso può portare al deturpamento dei tratti fluviali posti a monte. Questo non
avviene proprio in virtù del fatto che gli organismi molto mobili hanno nel volo upstream degli adulti un
buon meccanismo di compensazione delle perdite legate al drift. Si tratta quindi di un ciclo complesso, con
gli stadi immaturi dislocati a valle dalla corrente e gli stadi adulti che risalgono attivamente l’asta fluviale
per deporre. Per esempio gli efemerotteri vanno verso valle negli stati di ninfa, ma poi metamorfosano e
risalgono verso monte per deporre durante lo stadio adulto.
Un sacco di organismi si disperdono insieme ad altri, come protozoi e funghi, utilizzando gli altri organismi
come veicolo. Si parla, in questo caso, di dispersione per zoocoria. Infatti, Darwin si era accorto che gli
uccelli acquatici sono veicoli di dispersione di crostacei e insetti per endozoocoria o per ectozoocoria
(internamente o esternamente). Un altro esempio è la cozza zebra super invasiva, che usa l’uomo come
mezzo di dispersione, stabilendosi sul substrato duro, come le tubature, per cui crea un problema
economico molto importante.

Dormienza
È la dispersione nel tempo. Infatti, un organismo aumenta la propria fitness disperdendo la propria prole
purché la probabilità di quest’ultima di lasciare discendenti sia maggiore di quella che sarebbe se la prole
rimanesse non dispersa. Se le condizioni non sono favorevoli, molti organismi ritardano la dispersione e
cadono in dormienza, cioè in letargo, sperando che nel futuro vi siano condizioni favorevoli. Lo stato
inattivo permette di conservare energia, che può essere utilizzata successivamente. Ad esempio, gli Orsetti
d'acqua, degli insetti, riescono a disidratarsi, riuscendo a vivere per secoli anche immersi nell’alcol o
nell'acqua gelata.
La dormienza può essere di due tipi:
1. Previsiva: inizia in previsione di condizioni avverse e si osserva maggiormente in ambienti
stagionali prevedibili. Negli animali viene detta diapausa, mentre nelle piante dormienza innata o
primaria. Per esempio, una cavalletta attraversa una diapausa obbligatoria nello stadio di uovo
perché in questo stadio resiste al freddo. Per quanto riguarda le piante, il giovane embrione
interrompe lo sviluppo mentre è ancora attaccato alla pianta madre ed entra in una fase di
sospensione dell’attività, di solito perdendo acqua e disseccando parzialmente. Ad eccezione delle
mangrovie, quasi tutti i semi sono dormienti quando vengono liberati dalla pianta madre e
richiedono speciali stimoli che li facciano ritornare in uno stadio attivo per la germinazione. I
caprioli, invece, hanno dormienza programmata con gestazione molto lunga, dato che si
accoppiano in estate, per cui i piccoli dovrebbero nascere in pieno inverno. C'è un periodo di
embriostasi, in cui l'embrione non cresce più, e poi nella stagione buona riparte a crescere.
2. Consequenziale o secondaria: inizia in risposta a improvvise conseguenze avverse. Può essere
forzata o indotta. Molti mammiferi entrano in ibernazione in risposta diretta alle condizioni
atmosferiche avverse. Essi mantengono temperature più basse, ritmi cardiaci minori e attività
metaboliche rallentate, per poi uscire dal letargo solo quando le condizioni tornano favorevoli.
Inoltre, è possibile vivere in una nicchia ecologica più ampia durante la dormienza. Altri fenomeni si
hanno nei marsupiali in cui, se la mamma trova scarse risorse alimentari, mette in dormienza il
piccolo nel marsupio, rallentandone la crescita.
Ecologia di popolazione
Una popolazione è un gruppo di individui della stessa specie che occupa una particolare area. Ogni
popolazione è parte di una comunità biotica. La popolazione ha caratteristiche emergenti proprie, non
trasferibili ai singoli, come natalità, densità, mortalità. Vi sono proprietà strutturali, come distribuzione, sex
ratio e densità, ma vi sono anche proprietà dinamiche, come immigrazione, emigrazione, natalità e
mortalità.

Densità
Si tratta di una misura del numero o della biomassa degli individui in rapporto allo spazio disponibile. La
biomassa è importante per alcuni individui, come per gli alberi di cui parlo di biomassa perché un albero
può essere anche grosso come una piccola foresta, per cui il numero non mi conferisce abbastanza
informazioni. E' il concetto di base per la gestione di specie.
La densità Indica il livello dell’organismo nella scala trofica/alimentare. Più è basso il livello trofico, più la
densità sarà alta e viceversa. Anche le dimensioni corporee influiscono perché più un organismo è piccolo,
più la popolazione è densa, anche in base alle risorse alimentari che utilizzano. I consumatori di foglie, per
esempio, hanno grandi biomasse, sono in basso nella catena, quindi hanno densità elevata, mentre i
consumatori di frutta e i carnivori che sono più in alto nella catena alimentare, quindi hanno densità
minore.
La densità grezza esprime il numero degli organismi per unità di spazio totale (km2), mentre la densità
ecologica considera il numero di organismi per unità di spazio veramente occupabile da quella specie, a cui
vengono tolte le zone in cui essi non possono vivere, come stagni e fiumi se parlo di organismi terrestri.
Questi discorsi valgono anche per la nostra specie: le città sono più abitate, per cui la densità ecologica è
diversa in base alle zone, ma se si guarda la densità grezza tutta l'Italia è abitata. A livello mondiale, la
popolazione non è uniformemente distribuita, come nel Sahara in cui non vive nessuno, nonostante nel Sud
dell’Africa vi sia un alto tasso di natalità.
La densità è un elemento dinamico perché ovviamente ci si può spostare da un territorio a un altro, così
come migrazione, natalità e mortalità.
Esistono diversi tipi di conteggio della densità: conteggi totali, transetti o quadrati (per le piante è molto più
facile – hoola hop sistema random), importanza percentuale (per le piante ed è la somma della densità
relativa, della dominanza relativa e della frequenza relativa), metodo di marcatura e ricattura di
LincolnPetersen (inanellamento). Nei fiumi si effettuano conteggi totali, tramite campioni di Hess sampler.
Si possono contare gli organismi e poi vederne la biomassa, per capire la produttività del fiume.
Per quanto riguarda la ricattura, il numero totale di individui, si calcola con Ntot = (N2 * N1) / M. N1 sono
gli individui catturati e contrassegnati, N2 sono gli individui raccolti in un secondo campione casuale; M
sono gli individui marcati nel secondo campione. Questo metodo funziona solo se la popolazione soggetta a
campionamento è chiusa, cioè non si verificano né nascite o immigrazioni né morti o emigrazioni tra
l’istante di cattura e quello di ricattura. Inoltre, la marcatura deve permanere fino alla fine dello studio e sia
gli animali marcati sia i non marcati devono avere la stessa probabilità di essere ricatturati. Gli animali
marcati devono mescolarsi uniformemente con il resto della popolazione e il campionamento deve
avvenire in modo casuale.

Natalità
Si tratta di un parametro importante della popolazione e indica la capacità di una popolazione di accrescersi
per riproduzioni successive, quindi descrive come la popolazione cresce in positivo. La natalità massima è la
massima potenzialità possibile teorica di ogni femmina, ma raramente si realizza ed è una costante per una
determinata popolazione. La natalità ecologica o realizzata, invece, riguarda le femmine che effettivamente
si riproducono nella stagione considerata.
Per calcolarla, si prende in considerazione il tasso di natalità assoluto, cioè il numero di nuovi individui per
unità di tempo, e il tasso di natalità specifico, ovvero il numero di nuovi individui nel tempo per ognuno
degli organismi della popolazione. Ad esempio, ci sono 50 marmotte, dopo un anno ce ne sono 150, quindi
ho un tasso di natalità assoluta di 100, ma la natalità ecologica è 2 (100 : 50).

Mortalità
La mortalità si riferisce alla morte di individui in una popolazione ed è l’antitesi della natalità. E’ ideale se
rappresenta il minimo teorico di mortalità e coincide con la mortalità da vecchiaia o da longevità fisiologica,
ma di solito si parla di mortalità realizzata o ecologica, cioè la mortalità che dipende dalle condizioni
biologiche ed è, quindi, variabile. Se M è il tasso di mortalità, 1-M è quello di sopravvivenza.
Esistono delle tabelle di sopravvivenza, che riportano tutti i dati di mortalità in funzione delle classi di età e
permettono la rappresentazione grafica di curve di sopravvivenza. Queste sono di tre tipi fondamentali:
1. Tipo 1: vi è un’elevata mortalità nell’ultimo periodo di vita, come nel caso dell’uomo e
dell’elefante.
2. Tipo 2: vi è una mortalità abbastanza costante durante l’intera vita, come nel caso del cervo mulo
e della mini lepre.
3. Tipo 3: vi è mortalità elevata nella prima parte della vita, come nel caso dell’ostrica. Anche la
quercia, che da piccola è un ghianda, è di tipo 3 perché ha una mortalità elevata quando è ghianda,
mentre si riduce la mortalità della quercia quando diventa adulta.

Distribuzione per età


Mortalità e natalità possono essere unite in una piramide di età: la barra più grossa corrisponde a un’età
inferiore ai due anni, in cui il 60% degli organismi è presente.
Le piramidi di età mettono quindi in relazione le classi di età di una popolazione con l’età stessa.
E' facilmente interpretabile: passando il tempo gli animali invecchiano, per cui se ho tanti giovani la
popolazione è in aumento; se la piramide è più chiusa e la differenza tra i gradini è modesta, la popolazione
è stabile, cioè da un'età all'altra c'è una certa mortalità naturale, per cui si mantengono gli stessi numeri
nelle generazione. Se il gradino basso, invece, è stretto, la popolazione è collassata perché è in decremento.
Se la piramide è in espansione, la popolazione sta sfruttando una nicchia ecologica ancora da colonizzare. I
tonni, ad esempio, stanno avendo un collasso.
I pesci di allevamento sono un buon rimedio economico, ma non per fanno bene alla natura. Infatti, le
pecore hanno alta densità, ma hanno una basso impatto ambientale dato che mangiano erba, per cui si
tratta di un allevamento sostenibile. Nel mare non funziona ciò perché si tratta di organismi che si trovano a
scale diverse nella catena trofica. I branzini infatti sono predatori, per cui per allevarli è necessario allevarli
con farina di pesce, prelevata da quei pesci che prima non venivano mangiati. L'acquacoltura ha aumentato
il rischio per le specie ittiche, infatti sarebbe meglio effettuare la raccolta diretta.
Le piramidi possono essere utilizzate anche per l'uomo: gli italiani sono a crescita zero, la Germania è a
crescita negativa, gli Stati Uniti sono a crescita lenta e i paesi asiatici e africani sono a crescita rapida. Oltre
alle classi di età ci forniscono anche informazioni sul rapporto tra i sessi (sex ratio), che nella maggior parte
della popolazioni è 1:1 ed è importante per le reintroduzioni. E' anche importante il rapporto di piccoli per
femmine, per esempio il capriolo nelle Alpi ne ha uno, mentre in campagna ne ha 2 o 3, quindi varia in base
all'habitat, alle risorse ambientali e alimentari.
Età ecologiche
Le età ecologiche sono pre - riproduttiva, riproduttiva e post-riproduttiva e variano tantissimo tra specie
diverse. La prima in alcune specie occupa quasi tutta la vita, mentre la seconda è il periodo di riproduzione,
e la terza in alcune specie non è quasi presente perché dopo la riproduzione gli animali muoiono, come gli
efemerotteri, che hanno una vita breve, ma in realtà l'adulto ha vita corta, mentre la ninfa (larva) può
vivere anche fino a tre anni. Il grande successo degli insetti deriva dall'occupazione di diverse nicchie
ecologiche nella propria vita. Essi effettuano metamorfosi, rilasciando le ecdisi.
Gli insetti hanno un ciclo vitale unico: uovo, neanide, ninfa, subimago (stadio alato che non può riprodursi),
imago (può riprodursi). Alcuni imaghi vivono poche ore, per cui non presentano neanche l'apparato
digerente perché l'unico investimento è cercare un partner per riprodursi. Gli efemerotteri fanno schiuse
simultanee impressionanti, come in un’isola nel nord del Giappone. Questo avviene perché c'è più
probabilità di riprodursi se sfarfallano tutti insieme. Le femmine hanno occhi normali e addome massiccio
pieno di uova, mentre i maschi hanno enormi occhi compositi e addome esile perché investono meno nella
produzione dei gameti, rispetto alle femmine. I maschi investono su scegliere più femmine possibili, mentre
le femmine sul scegliere il maschio migliore che dà segnali onesti del proprio stato di salute. I maschi infatti
possono sentire i feromoni da 4 km di distanza perché devono accoppiarsi con più femmine possibili.
Nell'uomo le tre età hanno durata pressoché equivalente.
Esiste una classe di età dominante, rispetto alle altre, in base all'anno. Nelle aringhe, per esempio, c'è stata
una classe d'età che col passare degli anni risultava essere comunque presente in grande quantità. La
coorte, invece, è l'insieme degli organismi che hanno la stessa età.

Dinamica di popolazione
La popolazione è un'entità in continuo cambiamento: la dinamica di popolazione è lo studio dell'andamento
di una popolazione, cioè dei cambi nel numero relativo di individui di una popolazione e dei fattori che
spiegano questi cambi.
La popolazione aumenta con l'aumentare di natalità e immigrazione, mentre diminuisce con mortalità ed
emigrazione. Si può legare a questo il concetto matematico di variazione di tempo e cambiamento
istantaneo: ∆N /∆t è la variazione di individui nel tempo, identificato con il tasso di crescita specifico.
La derivata, in una funzione, indica l'inclinazione della curva nel grafico: è espressione della velocità con cui
cambia una funzione. Esse servono per analizzare i tassi di crescita della popolazione. Infatti la pendenza è il
tasso di crescita istantaneo della popolazione: dN/dt. Nel caso della curva di crescita (foto), la pendenza,
cioè la linea tangente di ogni punto, è il tasso di crescita. Nel punto di flesso sia ha il tasso di crescita
massimo. Immaginiamo di mettere una popolazione di conigli in un’isola senza conigli: sul’asse x abbiamo il
tempo, mentre sull’asse y il numero di individui. Se le condizioni sono favorevoli, la popolazione è
aumentata, ma in un primo momento aumenta piano perché il tasso di natalità assoluto è basso, ma poi
aumenta in modo esponenziale il numero di individui. L’aumento non è lineare perché ci sono sia i figli sia i
genitori che si riproducono, dato che si hanno più generazioni. Si arriva a un punto di flesso, in cui la
crescita continua, ma è logaritmica perché all'inizio ci sono risorse per tutti e al di sotto di una densità gli
individui crescono esponenzialmente, ma poi le risorse diminuiscono quindi non si avrà più la stessa
crescita. Da questo punto in poi la crescita rallenta perché c'è stato un super sfruttamento di risorse.
In una condizione ideale il tasso di crescita si ferma al flesso, senza problemi di risorse (crescita a flusso
continuo). La crescita quindi dipende da N (numero di individui che si stanno riproducendo) e r (tasso di
crescita), che varia da specie a specie: dN/dt = rN.
r è la differenza tra tasso di natalità specifica istantanea (b) e il tasso di mortalità istantanea (d): r = b - d. Ci
possono, quindi, essere diversi valori di r per una specie, a seconda della struttura della popolazione. Infatti,
popolazioni squilibrate verso le classi di età maggiori hanno r minori di altre. In assenza di fattori limitanti,
rmax è il tasso intrinseco di crescita o potenziale riproduttivo, che regola la crescita di popolazione, in base
alla capacità di riproduzione. Solo l’uomo può crescere in natura in questo modo perché ogni generazione
ha più riproduttori di quella precedente, per cui il numero elevato è un problema ecologico. La curva a
J(dN/dt = rN) è quella infinita esponenziale dell’uomo, mentre quella a S ci fa avvicinare al valore soglia K,
cioè la capacità portante massima di un ecosistema. K esiste anche per J, ma l'uomo l’ha sfondata, infatti
“Siamo l'unica specie che verrà messa in difficoltà dal successo che ha” (Steinback). l'equazione logistica
della dinamica di popolazione per S è: dN/dt = rN (1- N/K). Se N è uguale a K avrò un tasso di crescita di 0 e
più N si avvicina a K più la curva tende a diminuire. Ovviamente in natura vi sono fluttuazioni intorno a K:
non è lineare in modo matematico perfetto. (1-N/K) è la resistenza ambientale, che si manifesta
solitamente al crescere del numero di individui, quindi se vi è competizione intraspecifica per il cibo e lo
spazio. La forma delle curve è associata anche ai movimenti degli organismi. Esiste anche la capacità
portante ottimale, oltre alla massima, che è il numero ottimale a cui una popolazione può vivere bene. Il
vantaggio di vivere ad una capacità portante più bassa di quella massima è quello di evitare di vivere “sul
filo di un rasoio”.

Competizione intraspecifica
Gli individui della stessa specie hanno esigenze simili per quanto riguarda la sopravvivenza, l’accrescimento
e la riproduzione, per questo la competizione intraspecifica è l’interazione tra gli individui provocata dalla
comune esigenza di una risorsa disponibile in quantità limitata. Per esempio, le piante della stessa specie
possono competere per l'acqua, mentre i pesci non competono per l'acqua.
I fattori di competizione variano in base alla concentrazione di una determinata risorsa. Anche il cibo è
fonte di competizione. Alcuni insetti, infatti, cambiano nicchia per limitare la competizione. Vi sono
meccanismi di compensazione per evitare di essere a elevate densità ed evitare di aumentare lo stress
competitivo. Per esempio, si può intervenire sulla natalità perché in condizioni ideali si fanno un numero di
figli, mentre in periodi competitivi se ne fanno meno. Infatti, i figli per ogni femmina tendono a diminuire
man mano che la densità aumenta (anche per le piante).
La competizione può portare ad un equilibrio stabile, quando mortalità e natalità si toccano, per cui si entra
in una fase di stabilità, dato che la popolazione non cresce più. È un'altra lettura di K perché quando si
arriva ad essa si ha stabilità. A densità inferiori a K, la natalità supera la mortalità, quindi la popolazione
cresce, mentre sopra K la mortalità supera la natalità e la popolazione decresce.
Il reclutamento netto è dato dal numero dei nati meno il numero dei morti, che è elevatissimo a densità
intermedie perché vi è la crescita massima esponenziale. Se esagero a togliere organismi, ho un basso
reclutamento, cioè una capacità di recuperare molto ridotta.

Meccanismi di regolazione delle popolazioni


E’ possibile distinguere le fluttuazioni stagionali e le fluttuazioni annuali, le quali possono dipendere da
fattori estrinseci ed intrinseci. L’esistenza di variazioni regolari, legate a fattori intrinseci, suggerisce
l’esistenza di vere e proprie oscillazioni cicliche. Le oscillazioni regolari-cicliche, invece, sono più rare: il ciclo
decennale della lepre americana delle nevi e della lince sono due esempi.
Le curve delle oscillazioni controllate dal cibo sono appuntite, mentre quelle controllate dai predatori sono
arrotondate perché questi ultimi ci mettono del tempo per incidere sulla numerosità delle prede. E’ noto
che negli ecosistemi interessati da stress fisici notevoli o in quelli soggetti a perturbazioni estrinseche
irregolari e non prevedibili, le popolazioni tendono ad essere regolate da fattori fisici come clima, acqua, o
da fattori limitanti di tipo chimico, come inquinamento. Inoltre, negli ecosistemi in ambienti favorevoli, le
popolazioni tendono ad essere controllate biologicamente e, almeno in parte, la loro densità è
autoregolata.
Ogni fattore sia limitante che favorevole alla popolazione è densità – indipendente, se l’effetto o l’azione
che esso svolge è indipendente dalle dimensioni della popolazione (fattore climatico), oppure è densità –
dipendente se l’effetto sulla popolazione è in funzione della densità, come la disponibilità di cibo.
Una teoria generale sulla regolazione delle popolazioni deriva dalla discussione sui potenziali biotici, sulle
forme di accrescimento e sulle variazioni intorno al livello della capacità portante. Così, la curva di
accrescimento a forma di J tende ad essere frequente quando sono i fattori estrinsechi o densità –
indipendenti a determinare il momento in cui l’accrescimento debba essere rallentato o bloccato. La forma
di accrescimento a S, invece, è densità – dipendente, dato che i fattori intrinseci controllano lo sviluppo
della popolazione.
Per minimizzare gli stress densità – dipendenti nelle piante, si ha autodiradamento: più aumentano le
piante per ettaro più diventano piccole perché non vi sono risorse sufficienti per piante grosse. Se si traccia
un grafico, mettendo in ordinata il logaritmo del peso medio delle piante e in ascissa il logaritmo della
densità di popolazione, i punti che si ottengono nel corso della stagione di crescita generano una linea retta
con una pendenza di -3/2. Questa relazione tra peso medio e densità delle piante viene indicata dagli
ecologi come curva di autodiradamento. Tale relazione è così costante in diverse specie vegetali che si parla
di legge della potenza -3/2.

Strategia r
Avere tanti figli è difficile per la loro gestione. Quindi, fare tanti figli significa puntare sulla speranza che se
la cavino, cioè si punta sul numero. Ad esempio il pesce Luna fa tantissime uova, ma poi solo poche
arrivano ad essere adulti. Anche il tarassaco, insetti, alghe, soffioni, pesci, batteri, rane. E' una selezione
favorevole in alcuni ambienti e prevale in zone in cui c'è poca stabilità climatica, cioè nelle regioni
temperate.

Strategia k
E’ una strategia in cui si danno alla luce pochi figli, ma si dedicano tantissime energia ad essi, come uova
ricche di sostanze nutritive, per cui il figlio ha molte chances di sopravvivere. Ad esempio l'uomo, gli
elefanti, gli uccelli, le aquile (cainismo, si fanno due uova e il fratello più forte uccide l'altro. Ogni tanto si
riesce ad allevarne due), il ciclide, in cui i piccoli si rifugiano nella bocca, oppure la cimice acquatica, che
porta le uova sulla schiena. I mammiferi solitamente sono di questo tipo, ma vi sono eccezioni in base al
numero delle ghiandole mammarie della femmine, mentre i capezzoli dei maschi di solito non sono
funzionali. I primati fanno un figlio ogni 5 anni perché corrisponde al periodo di svezzamento del figlio
precedente. Questa strategia prevale nelle regioni tropicali perché sono regioni stabili.
K ed R sono semplificazioni nostre perché solitamente le popolazioni assumono comportamenti variabili tra
le due. In ambito vegetale, la vergadoro del genere Solidago offre un esempio di strategie riproduttive
oscillanti tra i due estremi della selezione r e K.

Metapopolazione
E’ un gruppo di sottopopolazioni che occupano aree discrete, spazialmente separate ma comunque
interconnesse. E’ tipico di paesaggi eterogenei e frammentati, legati ad attività antropica.
Questo accade tramite dei collegamenti, come fiumi, che mantengono un determinato flusso genico.
Quando si interrompe il flusso genico, possono avvenire problemi come la depressione da inincrocio e la
popolazione a questo punto diventa isolata.
E' per questo che si parla di corridoi ecologici, ovvero di collegamenti che vengono creati per far in modo
che le metapopolazioni rimaste isolate vengano collegate nuovamente.
I patches sono gli habitat idonei a questo fenomeno.

Ecologia delle comunità


La comunità (biocenosi) è l'insieme delle popolazioni delle specie presenti in un certo comparto ecologico.
Per esempio, una comunità è costituita da leone, zebra ed erba, che hanno interazioni tra di loro.
Il biotopo è la componente non vivente presente che permette di capire che tipo di organismo può o non
può vivere lì. La comunità, quindi, è l'insieme degli organismi che possono vivere in quell'ambiente
riuscendo a entrare in contatto. L’ecosistema è formato da biocenosi e biotopo.
L’ecologia di comunità studia la distribuzione, l’abbondanza, la demografia e le interazioni tra popolazioni
coesistenti: la comunità è un’associazione di popolazioni interagenti. Gli elementi che caratterizzano le
comunità sono N (numero di individui), S (numero di specie), diversità biologica, data dal rapporto tra N ed
S. Ad esempio N = 23, S = 4 e la biodiversità varia anche se una specie è dominante sulle altre.
In condizioni non alterate, la comunità si comporta come i parametri già visti: ha distribuzione gaussiana. La
biodiversità è maggiore in climi stabili rispetto a climi non stabili. In condizioni alterate(foto), invece, non si
ha più la gaussiana, ma sopravvivono solo le specie più resistenti con più individui, come le cornacchie.
Per questo esiste il monitoraggio biologico e l'analisi delle comunità, per verificare la biodiversità.
L'alterazione può far calare sia S sia N, ma a volte fa diminuire una e aumentare l'altra perché esse sono
spesso dipendenti da fattori abiotici naturali.

Specie rare
Esse sono poche specie con pochi individui. L'abbondanza è limitata perché hanno bassa capacità di
adattamento e alta speciazione. Si parla, infatti, di specie stenoecie.
Le aree abitabili da queste specie sono poco rappresentate, per esempio i licheni che crescono sulla
serpentinite. Possono anche essere insetti che si nutrono di determinati tipi di piante.
Altre specie sono rare perché sono fossili viventi, come i pesci alligatore che sono primitivi e sopravvivono
in nicchie marginali, dato che hanno subito lo sviluppo di specie competitrici. Un altro motivo è la scarsità
delle risorse alimentari e il legame con habitat e risorse trofiche particolari e puntuali. Le specie più
abbondanti sono, invece, euriecie, che sono molto più adattabili e poco specializzate.

Comunità chiusa di Clements


Le caratteristiche di una comunità sono influenzate sia dall’ambiente fisico (habitat) sia dalle interazioni
interspecifiche (tra le diverse specie) che si verificano tra le diverse popolazioni all’interno della comunità.
Nella storia si sono affiancate due visioni della comunità abbastanza contrapposte. La prima è la comunità
chiusa di Clements.
Clements afferma che le comunità sono unità discrete all’interno di confini ben definiti, ognuna con
peculiare organizzazione, per cui è vista come un superorganismo. Esse sono quindi riconoscibili dalle altre
adiacenti comunità.
In alcuni casi, questo concetto è estremamente valido perché interagiscono tra di loro le popolazioni come
gli organi di un corpo. Per esempio, la comunità del lago alpino è definibile come chiusa. Nel lago Chiaretto,
infatti, è presente la farina di roccia che non si deposita perché il lago è basso ed è in una zona ventosa, per
cui il lago è sempre torbido. Sono laghi unici perché il lago è blu per i cristalli presenti nella farina di roccia.
Sono laghi quasi privi di vita. La lariceta è un'altra comunità chiusa perché è composta solo da larici, per cui
è facilmente delimitabile da un ecotono, cioè un brusco cambiamento, individuabile come il confine tra due
comunità, in cui cambiano le specie rapidamente. L’ecotono può essere distinto quando l’ambiente fisico
varia rapidamente o quando una specie o una forma di vita domina a tal punto l’ambiente che il margine
del suo areale segnala il limite di distribuzione di molte altre specie. Ad esempio, a Trino si è mantenuta
parte di un bosco planiziale attorno a cui vi sono le risaie, per cui vi è un ecotono. Anche le zone boscate
ripariali lungo i corsi d'acqua sono ecotoni.

Comunità aperta di Gleason


Secondo Gleason, invece, la comunità è un’associazione di organismi, i cui adattamenti consentono loro di
vivere insieme in particolari condizioni fisiche e biologiche che caratterizzano una determinata area.
La comunità, quindi, non è più un superorganismo, ma è meno vincolata di specie. E' un organismo senza
tessuti (porifero), per cui vi sono associazioni di specie, unite tramite legami labili. Questi legami variano in
base ai fattori abiotici dell’habitat e non in base alla distribuzione delle altre specie. Per esempio, alla foce
del Po l’acqua non è perfettamente dolce, ma l'acqua salata entra dal mare e si mischia alla prima, per cui
c'è una concentrazione salina più elevata. In questo caso non è una comunità così chiusa. Ovviamente non
vi sono ecotoni.
Non sono contraddittorie perché in alcune zone la comunità è chiusa e in altre aperta.

Continuum ecologico
All’interno di habitat definiti in senso lato, come foresta, prateria, fiume, le popolazioni di piante ed animali
si sostituiscono gradualmente l’una all’altra, lungo gradienti di condizioni fisiche, sovrapponendosi.
Lungo un corso d’acqua, procedendo da monte verso valle, cambiano le caratteristiche fisiche dell’habitat e
si susseguono diverse comunità vegetali ed animali.

Come studiare le comunità


Le comunità ecologiche in natura spesso sono troppo grandi e complesse per essere studiate in dettaglio.
Alcuni gruppi di specie, quindi, vengono scelti quando si sta studiando una comunità per simulare la
struttura e il funzionamento della comunità stessa. Ad esempio gli ecologi forestali studiano le foreste e
possono essere divisi nella comunità di interesse, come uccelli, pesci, ecc, su scelta tassonomica. La scelta
può anche essere funzionale, basate sulle guilds, come studiare gli impollinatori, oppure sulle reti trofiche.
Un altro problema è che la comunità sono molto ampie, per cui bisogna selezionare alcune aree (sub-set)
da studiare di comunità in habitat tanto grandi (es: lago maggiore). Un’alternativa è studiare comunità
molto semplici e ridotte.
Le specie si sono aggregate all’interno della comunità in base a diversi filtri: il primo filtro è legato alla
capacità dispersiva, il secondo è abiotico, riguardante le specie adattate all'habitat, e il terzo è biotico, in
base alle altre specie presenti nella comunità. Per cui la distribuzione nella comunità è il risultato di tutti
questi filtri.

Interazioni nelle comunità


L’ecologia di comunità prende in considerazione le comunità di animali e vegetali, che altro non sono che
l’insieme delle popolazioni delle specie presenti in un certo comparto ecologico.
Gli animali interagiscono tra loro mangiandosi, ma anche competendo per le risorse. Gli aspetti di questi
comportamenti possono essere positivi o negativi in base alla presenza di un'altra specie. Neutralismo,
invece, è quando la presenza di una specie non influenza l'altra.
Abbiamo diverse modalità di interazione: competizione, amensalismo, commensalismo (beneficiata dalla
presenza di un'altra), parassitismo, mutualismo, predazione, cooperazione, neutralismo. Le relazioni tra
specie sono da leggere in chiave evolutiva.
Vi sono tre andamenti nell’incidenza di queste relazioni che meritano particolari attenzione:
1. Interazioni negative tendono a predominare nelle comunità pioniere o in condizioni disturbate,
dove la strategia r controbilancia l’alta mortalità.
2. Nell’evoluzione e nello sviluppo degli ecosistemi (successione) le interazioni negative tendono ad
essere minimizzate in favore di quelle positive, che favoriscono la sopravvivenza delle specie che
interagiscono nelle comunità mature e affollate.
3. Associazioni recenti o nuove più facilmente sviluppano interazioni fortemente negative, rispetto
alle associazioni più vecchie.

Coevoluzione
E’ l’evoluzione congiunta di due o più specie non interfeconde e con una stretta relazione ecologica. Certe
piante, per esempio, producono metaboliti secondari che riducono la propria palpabilità nei confronti degli
erbivori o sono addirittura tossici. La produzione di questi metaboliti è il risultato di mutazioni coevolutive
con gli insetti che, d’altra parte, possono sviluppare a loro volta delle resistenze ai metaboliti. Agisce una
sorta di feedback genetico che porta all’omeoresi, cioè mantenimento del flusso e stabilità dinamica di un
sistema, della popolazione e della comunità.
Un esempio base di coevoluzione avviene tra angiosperme e insetti impollinatori.

Competizione interspecifica (- -)
Si parla di competizione tra due individui di specie diverse che competono per la stessa risorsa, per cui
entrambi gli individui sono svantaggiati.
Il principio di Gause o di esclusione competitiva afferma che specie strettamente affini, con ecologia simili,
si rinvengono spesso in siti differenti; se costrette a coesistere, una specie può portare all’estinzione l’altra.
Gause aveva condotto studi sul paramecium, cioè un protozoo ciliato, facile da allevare, che si riproduce
velocemente: allevati da soli essi crescono normali, ma, se uniti in coppie, uno fa estinguere l'altro oppure
si riducono in entrambi i numeri della popolazione.
Per l'esclusione competitiva, due specie simili non convivono per minimizzare la competizione, come i
rododendri in cui due specie simili non vivono nella stessa nicchia ecologica. E' possibile separare le nicchie
temporalmente, cioè per un periodo di tempo diverso.
L’equazione di Lotka – Volterra serve per minimizzare la competizione. La capacità di limitare dipende dal
coefficiente di limitazione e dal numero di individui presenti nelle specie messe a confronto.
Fondamentale è il paradosso del plancton: numerose specie di alghe planctoniche coesistono nei mari,
apparentemente utilizzando le stesse risorse e quindi occupando la stessa nicchia ecologica. In realtà,
l’ambiente non è stabile e varia anche su base stagionale, per cui vi è una separazione temporale delle
nicchie.
La competizione interspecifica può essere diretta, per interferenza o indiretta, per sfruttamento. La prima
sia ha quando due individui di specie diverse interagiscono direttamente ed aggressivamente per la stessa
risorsa. La seconda, invece, si ha quando specie diverse interagiscono indirettamente consumando la stessa
risorsa. La competizione interspecifica può essere apparente se vi sono un predatore e due prede, quindi il
rapporto è (+ -) perché il predatore è in vantaggio, mentre le due prede sono svantaggiate. Quindi, le due
specie di prede competono perché dipendono tutte dalla presenza o meno del predatore. Infatti, se il
predatore aumenta in quanto si nutre della preda 1, allora ci saranno più predatori, che eserciteranno un
effetto nefasto anche sulla preda 2.
La competizione è più forte nei sistemi chiusi (laboratorio) o nei sistemi in cui gli organismi non possono
muoversi, quindi non possono esserci né emigrazione né immigrazione. Infatti, questa competizione è
molto forte nelle piante.
Per minimizzare la competizione interspecifica, si ha la differenziazione degli habitat, come i cirripedi che si
sono differenziati a vivere sulle scogliere. Un altro esempio di competizione interspecifica, è lo scoiattolo
grigio nei confronti dello scoiattolo rosso, il quale si è differenziato in maniera più efficiente perché può
vivere in ambienti molto vari tra loro. Bisogna quindi evitare di sovrapporre le nicchie, in modo da poter far
avvenire la coesistenza tra le specie. Anche per la nostra specie, la competizione è tanto più intensa,
quanto sono più sovrapposte le nicchie.

Amensalismo (- 0)
Si realizza quando una specie subisce uno svantaggio per la presenza di un’altra, ma quest'ultima non
subisce variazioni. Molti studi vengono effettuati sulle piante, che producono sostanze inibitrici della
crescita delle erbe, quindi l'erba cresce poco, ma le piante di cespuglio non hanno vantaggi da questa
produzione. Un altro esempio è quello del cinghiale.

Interazioni positive
Sono estremamente interessanti e importanti, dato che sono tra gli elementi che hanno contribuito alla
vita. La storia della biologia è stata dominata dall'idea di Darwin, secondo cui l'evoluzione avviene grazie
solo alla competizione, cioè vi è una lotta per la vita in cui vince l'organismo che si è adattato meglio. Già
nel secolo scorso, però, esistevano delle idee in cui venivano inserite anche le interazioni positive perché il
più adatto non è sempre quello che compete di più, ma quello che collabora di più.
La Teoria di Gaia, dea della Terra, esprime il fatto che la Terra sia un sistema vivente nel suo complesso.
L'idea è venuta a Lovelock, uno scienziato chimico dell'atmosfera, che ha capito l'esistenza del buco
dell’ozono, causato dalla presenza dei CFC. La NASA l'ha incaricato di studiare quali fossero i segnali di vita
sugli altri pianeti. Egli disse che le tracce della vita non si trovano mandando sonde sui pianeti, ma tutto si
effettua guardando l'atmosfera intorno al pianeta. Infatti, la Terra ha un'atmosfera completamente diversa
da quella di Marte e Venere. Lovelock non riuscì a pubblicare queste scoperte su riviste scientifiche perché
non veniva compreso. E' stato contattato in seguito da Margulis, la prima scienziata ad accorgersi che i
batteri hanno la capacità di modificare il proprio ambiente. Quindi, sommando le due teorie, si è capito che
la Terra ha un’atmosfera unica rispetto ai pianeti finora esplorati nello spazio perché i primi organismi, cioè
i batteri, hanno iniziato a modificare il pianeta.
Quindi, cos'è la vita? Non è crescita perché i cristalli non crescono; non è riproduzione perché alcuni
organismi non si riproducono (come il mulo). L'ipotesi è che qualunque organismo si autoregoli. Gaia ha
come esempio la sequoia che ha migliaia di anni e la parte vivente è molto sottile perché gran parte è legno
morto che protegge gli strati vivi. La corteccia, quindi, è come la nostra atmosfera.

Commensalismo (0 +)
La prima interazione positiva è il commensalismo, in cui una sola specie beneficia del rapporto. Per
esempio, il ragno che fa la ragnatela nelle corna della gazzella, in cui il ragno ha beneficio per il cibo, mentre
la gazzella non ha alcun beneficio.
I pesci remora, invece, hanno una struttura particolare che ricorda una ventosa con cui si attaccano agli
organismi più grossi e possono nutrirsi dei frammenti di cibo che vengono persi da questi. E' diffuso negli
ambienti delle barriere coralline perché quasi ogni crostaceo o spugna o cavità di organismi marini ospita
commensali.

Cooperazione (+ +)
La seconda interazione positiva è la cooperazione che, a differenza del mutualismo, può essere occasionale
ed entrambi gli animali ottengono vantaggi. Ad esempio, l’anemone di mare e il pesce pagliaccio. Molto
spesso gli anemoni possono anche vivere sui paguri, per avere cibo, ma il paguro trae vantaggio perché
viene protetto dall'anemone. Entrambi gli organismi possono vivere uno senza l'altro, per questo non è un
mutualismo. Anche le bufaghe che mangiano i parassiti del bufalo sono di questo tipo.

Mutualismo (+ +)
La terza interazione positiva è il mutualismo in cui nessuno dei due organismi può fare a meno dell'altro. Si
tratta di una simbiosi obbligata, come la flora intestinale e l'uomo o i ruminanti e i microrganismi che
digeriscono la cellulosa. Questo porta a uno sviluppo differente del sistema digerente (pecora e gatto).
Infatti, i carnivori hanno un intestino più corto rispetto agli erbivori che l'hanno più lungo perché la cellulosa
è molto più lunga da digerire, rispetto alle proteine. Il nostro intestino, invece, ha una lunghezza intermedia
perché siamo onnivori.
I licheni sono anch’essi organismi mutualistici perché sono un'associazione tra funghi e alghe così intima da
non riuscire più a distinguere i due organismi. Essi sono organismi pionieri in tutto il mondo e in tutti gli
habitat e si sono originati più volte nel corso dell’evoluzione, tramite almeno 5 eventi indipendenti con
alghe nei licheni. Il fungo si nutre di sostanze prodotte dalla fotosintesi algale, mentre l’alga ottiene
protezione dai fattori esterni. Si riproducono via spore fungine che, una volta in contatto con l’alga,
originano il lichene. La fusione tra i due tipi di organismi è tale che i licheni producono sostanza nuove e
metaboliti diversi dai prodotti algali o fungini. Essi, inoltre, sono indicatori ambientali e hanno proprietà
antibatteriche e antimicotiche o antitumorali.
Vi sono argomentazioni che sostengono che le cellule eucariotiche si siano evolute da mutualismo. Un altro
esempio, è l'endosimbiosi di cloroplasti e mitocondri. Per questo possiamo dire che gli organismi più
adattati sono quelli che collaborano di più. Un altro esempio, sono le termiti e i loro simbionti intestinali
che servono per assimilare il legno; se non ci fossero le termiti morirebbero. Un ultimo esempio sono le
micorrize, cioè interazioni tra fungo e pianta in cui la pianta guadagna azoto e nutrienti dal terreno, mentre
il fungo guadagna i prodotti della fotosintesi e un ambiente in cui crescere in modo protetto.

Interazioni negative: la predazione (+ -)


La predazione è il consumo di un organismo, la preda, da parte del predatore. La preda è in vita quando il
predatore decide di nutrirsene. Ci sono quattro tipi di predatori:
1. Predatori: consumano tutta la preda e ne consumano molte durante la vita. Essi uccidono le
prede subito per mangiarle. Un esempio, è la coccinella che mangia gli afidi. Le formiche invece
allevano gli afidi per cui attaccano le coccinelle. Anche i granivori sono predatori perché la gallina,
ad esempio, mangia mais vivo e ne incontra tanti nella vita. I consumatori influenzano la densità e
la distribuzione di prede presenti.
2. Parassitoidi: sono imenotteri e ditteri. Essi da adulti hanno vita libera, mentre da larve sono
parassiti. Uccidono sempre la preda che è una sola nella loro vita. La madre inietta l'uovo nel bruco
(ospite), che poi si sviluppa, essendo un parassita. La larva si sviluppa nell’astuccio pupale
nutrendosi dell'ospite fino ad ucciderlo quando diventa adulto. Alcuni esempi sono gli pneumoidi
che forano la corteccia del legno per raggiungere i vermi che mangiano legno. I parassitoidi sono di
enorme importanza agroalimentare perché vengono usati per la lotta biologica nelle piante in serra,
dato che attaccano i parassiti. Ad esempio, si sta effettuando la lotta al Cinipide del castagno,
parassita che arriva dell’Oriente e che ha parassitato il castagno, il quale non aveva difese contro il
parassita stesso. Essi provocano il danneggiamento delle foglie, per cui c'è poca riproduzione e
fotosintesi e di conseguenza poche castagne. Per combatterli sono stati importati i parassitoidi
dall’Oriente, iniziando a liberarli in campi sperimentali. Gli iper-parassitoidi invece parassitano i
parassitoidi che stanno parassitando i parassiti. Probabilmente per via chimica riescono a capire
dove è già presente il parassitoide.
3. Parassiti: asportano una parte di preda, per esempio sangue, tessuti, risorse. Il loro effetto è
dannoso, ma raramente letale. Durante la vita, attaccano un numero molto basso di prede, a
differenza dei pascolatori. Tra parassita e preda si forma quindi un'associazione che può durare
anche a lungo. La tenia, per esempio, è un ermafrodite sufficiente, cioè basta a se stesso ed è
contemporaneo cioè contemporaneamente è sia maschio che femmina (diverso dal consecutivo
che cambia sesso durante le fasi della propria vita). Vi sono varie definizioni di parassita:
endoparassita è interno, ectoparassita è esterno, mesoparassita, che penetra nelle cavità naturali
dell'ospite, obbligato, se vive solo in presenza dell'ospite, facoltativo, se vive anche senza ospite,
permanente, se il ciclo biologico si svolge interamente nell’ospite, temporaneo, se il ciclo si svolge
parzialmente nell'ospite, opportunista, se attacca sostanza morta o debilitata. L’ospite può essere
definitivo, se il parassita si riproduce sessualmente in esso, mentre è intermedio se in esso fa una
riproduzione asessuata (schizogonia). Anche noi possiamo avere dei parassiti, come la tenia, che si
può introdurre mangiando la carne, come il maiale. Le tenie possono incistarsi nel midollo spinale o
nel sistema nervoso, causando pseudotumori. L’ospite accidentale è un ospite che non trasmette la
malattia, definita cisticercosi, e nel quale il parassita non può completare il ciclo biologico. L’ospite
serbatoio, invece, mantiene il parassita all'interno, a differenza dell’ospite di amplificazione, che per
un cambiamento temporaneo nella dinamica di popolazione, favorisce una rapida disseminazione
dell’agente. Sono avvantaggiati i parassiti che fanno molte uova e in generale i parassiti grandi, che
possono produrre più gameti. L’ospite primario è una specie animale che mantiene l’infezione nella
zona da essa occupata, mentre l’ospite secondario è una specie addizionale coinvolta nel ciclo vitale
di un agente, al di fuori della zona endemica. Un sacco di esemplari della specie umana hanno gli
ascaridi presi dalle verdure.
4. Pascolatori: sono dei predatori che attaccano una preda vegetale. Lo stambecco, per esempio, è
un pascolatore che asporta una parte della preda perché mangia dei fili d'erba, anche se poi questi
ricrescono. Il loro effetto è dannoso, ma raramente è letale. I pascolatori veri e propri hanno un
fegato piccolo e un rumine grande, come lo stambecco. I brucatori, invece, si nutrono di vegetali
che danno più energia, come i germogli mangiati dai caprioli. In questo caso il rumine è piccolo. Vi
sono poi tipi intermedi che mangiano tutto, come il cervo. Una zanzara è un predatore pascolatore
perché incontra un numero elevato di prede nella vita e non le uccide.

Modelli di Lotka - Volterra


In assenza di consumatori, si può ipotizzare che la popolazione delle prede si possa accrescere
esponenzialmente, come il ciprinide: dN/dt = rN (curva a J). Ma, se è presente il predatore, come la trota, le
prede vengono mangiate, influenzandone la crescita, che dipende da quanto si incontrano, dal numero di
entrambi (N e C) e dell’efficienza della predazione (a’): dN/dt = rN – a’CN.
I predatori sono specializzati in determinate prede, non cacciano tutto. C'è una formula che regola ciò sia
per le prede sia per i predatori.
Se dN/dt = 0 quando rN=a'CN, significa che le prede smettono di crescere quando il numero dei predatori è
= r/a'. Se i predatori sono di meno allora la preda cresce, ma se il predatore aumenta la preda diminuisce,
mentre se il numero dei predatori rimane costante anche il numero delle prede rimane costante. In natura
non esiste un equilibrio stabile, ma è sempre dinamico perché dipende dalle condizioni di anno in anno. Per
cui numero di prede e di predatori forma un ciclo: una buona stagione per le prede diventa buona stagione
per i predatori, ma poi le prede diminuiscono e dopo anche i predatori, per poi ricominciare. Questo
andamento è sinusoidale. Un esempio è l'andamento delle pellicce di lepre artica e lince.
Questi andamenti sono più accentuati se preda e predatore non sono coevoluti, per questo c'è il problema
delle specie alloctone, che sono la seconda causa di estinzione dopo la distruzione degli habitat. In
particolare, i problemi sono le specie alloctone invasive, cioè quelle che sono riuscite a svilupparsi bene e a
competere con le specie già presenti autoctone. Anche l'interazione negativa può causare l'estinzione delle
specie. Un esempio, è il pesce siluro che cresce di più in Italia che nel paese di origine.
Volendo generalizzare, si può sostenere che, dato un ambiente sufficientemente diversificato, le interazioni
negative tendono a smorzarsi nel tempo, in seguito all’insorgenza di adattamenti reciproci (feedback
genetico).
Anche la predazione può influenzare le comunità di prede, diminuendo, per esempio, la dimensione media
delle prede, soprattutto quando la situazione è mutata con l’arrivo di nuovi predatori.

Strategie antipredatorie
Un organismo, nella propria vita, ha necessità di trasferire i propri geni alla prole, dunque il suo scopo
principale è la riproduzione. Per fare ciò, deve sfuggire ai predatori. Un esempio, è il cavalluccio marino che
si mimetizza per fuggire oppure la farfalla notturna, la quale è in grado di captare gli ultrasuoni dei
pipistrelli e di lasciarsi cadere, fingendosi morta.
I predatori, dal canto loro, sono molto efficaci nel trovare cibo e nel mantenere le prede sotto un’intensa
pressione selettiva, favorendo individui con caratteri che rinviano la morte fin dopo la riproduzione. I
caratteri ereditari che allungano la vita degli individui sopravvissuti possono diffondersi attraverso la
popolazione per selezione sessuale.
Per quanto riguarda i predatori, la pressione selettiva ha luogo quando vengono favoriti gli individui che
riescono a superare le difese delle proprie prede.

Tecniche delle prede - mimicria


Lo scopo delle prede è fuggire alla predazione e, per farlo, devono adottare diverse tecniche.
Una di queste è la mimicria, ovvero la capacità di confondersi con il substrato, adottata, per esempio, dalle
farfalle, dalle lepri variabili (marroni d’estate e bianche d’inverno), da vari insetti, dalla pernice bianca.
Ovviamente, le strategie degli animali variano anche in base all’habitat in cui vivono.
Alcuni animali hanno la possibilità di adeguarsi al substrato cambiando colore corporeo, grazie a cellule
particolari nei cromatofori. Alcuni esempi sono i cefalopodi (polpo) e le sogliole.
Esiste anche una mimicria tridimensionale in pesci e mammiferi, ovvero questi animali possiedono due
colori diversi sul dorso e sul ventre, per disorientare i predatori che giungono dall’alto e dal basso.
Vi è anche la possibilità di avere colori che rompono la sagoma, come le zebre, i tassi e i pesci di barriera, i
quali hanno colorazioni a strisce per confondere la propria sagoma con quella degli altri esemplari della
stessa mandria, cosicché il predatore non riesca più a isolare singolarmente una preda.
Inoltre, alcuni animali, come pesci e farfalle, presentano delle macchie ocellari sul proprio corpo per
confondere i predatori, i quali non capiranno più da che parte si trovano i veri occhi della preda. E’
possibile possedere anche delle escrescenze con ghiandole secernenti sostanze repulsive contro i predatori,
come nel caso dell’osmeterium (bruco).

Mobbing
Si tratta di una tecnica di attacco di gruppo verso i predatori, studiata per la prima volta da Kruuk.
Probabilmente, lo scopo è distrarre il predatore dalla loro prole. Un esempio di animale che fa mobbing è il
gabbiano.
Questo comportamento ha degli svantaggi: gli esemplari possono ferirsi, possono morire, i pulli (pulcini)
possono rimanere indifesi e si possono sprecare tempo ed energie.
Il mobbing, comunque, è un tratto ereditario che si è diffuso per selezione naturale ed è stato mantenuto
nel presente, continuando a diffondersi a danno di fenotipi alternativi: conferisce maggior successo
riproduttivo. In natura, infatti, si diffonde il comportamento che dà maggiore fitness, ovvero maggior
successo riproduttivo con trasferimento di geni.
Anche gli adattamenti hanno dei limiti: a volte non compaiono mutazioni genetiche appropriate per cui
alcuni di essi scompaiono, non dando alto grado di fitness. Quindi, perché un comportamento risulti
adattativo, è necessario che il successo riproduttivo sia maggiore rispetto agli aspetti negativi derivanti da
esso. Ad esempio le cure parentali, a volte, diventano negative, quando vengono date a pulli non propri,
non essendoci il trasferimento dei geni. Un altro aspetto che interferisce con l’adattamento è la
coevoluzione, ovvero la competizione tra specie che abbassa la fitness.
Importante in questo caso è il metodo costi-benefici, il quale confronta i fenotipi per quanto riguarda i loro
costi e benefici evolutivi. Ovviamente, i benefici devono superare i costi.
Dunque, nonostante non sia possibile misurare la fitness in natura, ma lo si possa fare usando degli
indicatori generali (numero di uova prodotte, numero di pulli che si involano, numero di uova schiuse), vari
esperimenti hanno portato alla conclusione che il mobbing sia adattativo verso l’interno del gruppo e non
verso l’esterno, in cui quasi tutte le uova vengono predate. E’ possibile valutare un carattere tramite il
metodo comparativo: in teoria, se un carattere è adattativo, allora lo dovrebbe essere anche nelle specie
con caratteristiche sociali ed ecologiche simili. In realtà, non tutti i gabbiani esercitano il mobbing; quelli di
scogliera no. Si parla quindi di evoluzione divergente, dato che, probabilmente, il primo gabbiano si è
sviluppato su terreno e solo successivamente ha iniziato a nidificare sulla scogliera (improbabile che il
primo antenato fosse di scogliera). Diverso è il discorso riguardante i topini (rondini), i quali nidificano sulle
pareti rocciose ed effettuano mobbing perché hanno predatori diversi dai gabbiani di scogliera.
Se facciamo un confronto tra gli alberi genealogici delle varie specie, possiamo affermare che tra i topini e i
gabbiani su terreno si ha una selezione convergente per quanto riguarda il mobbing, mentre tra i gabbiani
su terreno e i gabbiani su scogliera, si ha una selezione divergente per il mobbing.
Anche alcuni scoiattoli effettuano mobbing sui serpenti a sonagli.
E’ palese che più la prole è giovane più intenso sarà il mobbing.

Effetto diluizione
E’ un effetto utilizzato, ad esempio, dalle farfalle presenti sulle pozze di fango, cui vanno ad abbeverarsi.
Questo comportamento fa sì che il numero elevato di esemplari riduca la probabilità di essere predati,
mentre, se vi fossero poche farfalle, la probabilità sarebbe più elevata. E’ una tecnica utilizzata anche dalle
effimere, in cui le larve acquatiche sfarfallano tutte insieme per avere più possibilità di sopravvivere.

Attacco di gruppo
L’attacco di gruppo verso il predatore è fondamentale ed è effettuato dalle api africane, dagli insetti e altri
animali.

Mimetismo
E’un comportamento predatorio adottato da un singolo individuo. Come abbiamo visto per la mimicria,
alcuni comportamenti sono adattativi solo per determinati habitat (Moloch Horridus).
La Biston Betularia, ad esempio, è una falena che inizialmente esisteva solo in forma bianca, ma, con
l’avanzare del livello d’inquinamento, è comparsa anche la forma nera, per meglio mimetizzarsi alla
corteccia della betulla. In un’area inquinata, infatti, viene predata maggiormente la farfalla bianca, mentre
in un’area non inquinata, viene predata maggiormente la farfalla nera. Venne anche effettuato un
esperimento di riconoscimento delle farfalle, utilizzando una ghiandaia (metodo di condizionamento
operante), la quale, se individuava la falena, doveva schiacciare un pulsante rosso. Da questo esperimento,
si è potuto notare che in alcune zone (giuntura dei rami) la farfalla veniva individuata molto meno che in
altre zone (tronco della Betulla).
Una tecnica simile al mimetismo è il camouflage, effettuato dalla cimice assassina africana, la quale si
ricopre il corpo di resti organici e detriti inorganici per non essere predata e per nascondere il proprio
odore.
Le prede, infatti, possono essere identificate attraverso l’odore: le larve di Esperia, per coprirlo, si
avvolgono in foglie e lanciano pallottole fecali lontano da loro, in modo che i predatori siano deviati in altro
luogo rispetto al loro. Anche gli uccelli utilizzano questo comportamento, trasportando le sacche fecali dei
pulli e le uova schiuse lontano dal nido.

Rompicapi Darwiniani
Si tratta di comportamenti in cui sembra che il livello dei costi superi il livello dei benefici. Si parla di specie
molto evidenti, come la farfalla monarca e i coleotteri facilmente predabili, essendo che si accoppiano sulla
sommità delle piante.
In realtà, questi animali sono velenosi: la farfalla monarca viene mangiata dalla ghiandaia, che poi la rigetta,
dato che il corpo è velenoso; dunque alcuni esemplari si sacrificano come cavie, a favore del resto della
specie che non verrà mangiato.

Colorazioni aposematiche
Si tratta di colorazioni giallo-nero o rosso-nero che fanno intuire ai predatori la tossicità di una determinata
preda. Alcuni esempi sono le vespe, le api, le raganelle (di colore blu) e i serpenti corallo.

Mimetismo batesiano
E’ una strategia antipredatoria in cui alcuni animali imitano i colori di altri animali velenosi per ingannare il
predatore. Il rischio presente è di essere comunque mangiati di essere riconosciuti come organismi non
velenosi dal predatore.
Ad esempio, vi sono alcune larve che imitano la testa dei serpenti, farfalle che imitano gufi, insetti che
imitano i colori di api o vespe, serpenti che imitano i colori del serpente corallo, farfalle che imitano la
farfalla monarca.
Un caso particolare di mimetismo è un polpo (Thaumoctopus mimicus) che usa i tentacoli come zampe,
mima colori e assume forme di altri animali, come la sogliola.
Esiste anche il mimetismo batesiano acustico, in cui vengono imitati versi di animali pericolosi. Un esempio
è la civetta americana delle tane che imita il verso del serpente a sonagli per allontanare i possibili
predatori.

Mimetismo mulleriano
Molte specie hanno colori molto simili, ma solo alcune sono realmente velenose, quindi se il predatore
mangia prima una specie velenosa, non mangerà nemmeno le altre con colori simili. Ovviamente il processo
inverso non avrà lo stesso risultato.
Auto-mimicria
Si parla di specie che presentano sul proprio corpo delle macchie simili a occhi, per cui il predatore non
riesce più a capire da che parte attaccare, dato che l’animale sembra avere due teste. Questo capita nelle
farfalle e in alcuni insetti, come uno che mima il ragno salticide grazie alla colorazione delle ali.

Stotting
E’ un comportamento delle antilopi africane (Springbok – Antidorcas marsupialis), le quali saltano via per
scappare, rallentando così la loro corsa. Le ipotesi principali sono dare il segnale di avvertimento alle altre
antilopi e ai propri figli, effettuare la coesione sociale, ovvero la fuga di gruppo, dare effetto di confusione
per confondere il predatore, dissuadere il predatore dall’inseguimento perché si dimostra che l’antilope è
molto forte e in grado di correre a lungo. Quest’ultima è la più plausibile, dato che i predatori come
ghepardi e leopardi impiegano molte energie per effettuare scatti in velocità, ma hanno poca resistenza. Si
tratta di un segnale onesto, ovvero un segnale che la gazzella si trova in buono stato di salute.
Furono effettuati esperimenti sull’anolis, il quale fa piccole flessioni, e si è dimostrato che il numero di
flessioni corrisponde alla velocità di corsa, per cui si tratta anche in questo caso di segnale onesto.

Rendersi evidenti dal predatore


Le grida sono un comportamento strano da adottare perché non fanno paura ai predatori, non servono
nemmeno per attirare l’attenzione di altri individui della stessa specie e non richiamano neanche
l’attenzione dei genitori, dato che le grida vengono utilizzate anche da esemplari adulti. L’unica ipotesi
valida riguardo questo comportamento è attirare l’attenzione di altri predatori, i quali potrebbero
interferire con il predatore già presente, dando così la possibilità alla preda di scappare.

Biodiversità
E' un tema centrale dell'ecologia, ampiamente dibattuto. Il termine significa varietà degli elementi di un
insieme, che dipende da S (ricchezza specificità), N (numero di individui) e dalla combinazione tra questi
due.
E' importante perché è connessa alla produttività e ad altri servizi ecosistemici, come la depurazione
naturale. Inoltre, più la biodiversità è elevata, maggiore sarà la qualità dell'ambiente: ambienti alterati ce
l’hanno molto bassa, al contrario di ambienti integri. Inoltre, non tutte le specie hanno una stessa
importanza all'interno di una comunità, perciò la perdita di una specie può avere gravi conseguenze a
livello generale. Un sistema con elevata biodiversità è più resistente alle alterazione e dalla biodiversità si
originano medicine, risorse alimentari, come i kiwi. Si può parlare di diversità ecosistemica in base al tipo di
ecosistemi presenti, per esempio la differenza tra Piemonte e valle d’Aosta.
La diversità quindi si esprime a livello genetico, tassonomico ed ecosistemico, a tutti i livelli di
organizzazione biologica. La biodiversità è comunemente avvertita come ricchezza di specie. In realtà, la
diversità specifica ha due componenti: ricchezza specifica e ripartizione, ovvero un rapporto tra S ed N.
Per calcolare il numero di specie in una comunità bisognerebbe catturare campioni fino a raggiungere un
plateau di numero di specie, che di solito non si raggiunge. Il numero di specie dipende dal numero di
campioni e dalle aree esplorate: le specie più comuni si trovano subito, mentre quelle meno comuni si
trovano dopo un po'.
Conoscere N e S non è sufficiente perché questi due fattori non tengono conto di alcuni parametri, quali la
dominanza e la rarità. Inoltre, bisogna avere idea dell'equiripartizione: le comunità più biodiverse sono le
più equiripartite a parità di S ed N. Se una specie è all’80% e l'altra è al 5% è più facile che l'ultimo rischi la
perdita della specie.
Indici di diversità ecologica
Se in un’area di studio posso contare ed identificare tutti gli organismi, S direttamente è un utile strumento
di misura. Se però non posso utilizzarlo, devo lavorare su un campione. I metodi più usati sono S/N o
S/biomassa o S/area (in botanica).
Molti indici sono legati a quante specie ci sono (S) e a quanti individui (N). L’indice di Margalef è quello della
ricchezza specifica, identificato come Dmg = (S – 1) / ln N. In questo caso vediamo che maggiore è il numero
di specie, maggiore è il valore dell’indice. Un altro indice importante è l'indice di Menhinick che mette in
relazione S con la radice quadrata di N: Dmn = S / √N. Sia Margalef che Menhinick rilevano bene la perdita
di ricchezza specifica dovuta a disturbi ambientali.
Uno dei più diffusi indici si chiama indice di Shannon – Weaver: H’ = - ∑ pi * ln pi con pi proporzione degli
individui della specie i (Ni/N). E’ un indice molto utilizzato che segnala la massima diversità quando tutte le
specie sono ugualmente distribuite. Esso tiene conto sia del numero di specie presenti nel campione sia del
modo in cui gli individui sono distribuiti tra le diverse specie (equiripartizione). Quando tutte le specie sono
ugualmente distribuite è H’ = H’ max = ln S. E’ il primo indice che fornisce informazioni sull’equiripartizione,
per cui permette di capire la biodiversità presente in diversi ambienti oppure la diversità microbica del
nostro apparato digerente quando tutte le specie sono equamente distribuite.
L'indice di Pielou – Eveness informa sulla distribuzione delle specie in quell'area all'interno della comunità.
È E = H’/ Hmax cioè E = H’/ ln S, dove H’ è l’indice di Shannon. Va da 0 a 1 con zero che indica che la
distribuzione tra le specie è diversissima, mentre 1 indica che la comunità è molto equiripartita.
L’indice di Simpson, invece, si basa sulla probabilità di pescare e ottenere la stessa specie. La probabilità si
basa sulla dominanza della specie considerata in quel luogo. Si parla di indice di dominanza di Simpson dato
dalla sommatoria di pi al quadrato: D = ∑ pi2. Diminuisce man mano che aumenta la diversità e va da 0 a 1.
C’è anche l'indice di diversità di Simpson: D = 1-∑ pi2.
L’indice di Berger - Parker invece è α = N Max /N ed esprime l'importanza della specie più abbondante.
Come prima, aumenta all’aumentare della dominanza e al diminuire della diversità.
Quali indici usare? Dipende cosa ho bisogno di rilevare. Gli indici visti fino ad adesso sono gli indici di
biodiversità nella stessa comunità. Oltre a questi, però, vi sono indici di diversità che vanno a paragonare
comunità differenti.
L’indice di Jaccard indica proprio il grado di diversità di due specie in due comunità diverse: Cj = j/(a+b+j). J
rappresenta il numero di specie comuni, per esempio il faggio presente in Toscana e in Piemonte, a
presenta le specie tipiche di una comunità, mentre b le specie tipiche dell'altra comunità. Più J è alto più le
comunità sono simili, mentre più a e b sono grandi maggiore sarà la diversità.
Anche l'indice di Sorensen mette in relazione due comunità: CS = 2j/(a+b).

Diversità nel mondo


Durante il XIX secolo, i grandi esploratori riconobbero che le regioni tropicali sono più ricche in specie
rispetto alle altre zone della Terra. Infatti, in ogni viaggio effettuato per scoprire i nuovi paesi, vi era anche
un naturalista a bordo, per capire le nuove specie nei nuovi paesi. Nei più grandi gruppi tassonomici di
organismi il numero di specie cresce notevolmente verso l’equatore. Il sistema di Linneo binomiale è stato
importante infatti perché in tutto il mondo le specie avevano gli stessi nomi.
Se si disegna una mappa del mondo, la massima biodiversità si concentra nelle fascia attorno ai tropici,
mentre verso il Nord è minore. Se si guardano gli uccelli, in Perù la biodiversità è maggiore che in
Groenlandia.
Quindi la maggior parte della biodiversità è concentrata nel 10% del pianeta perché vi è alta produttività dei
sistemi, visto il clima caldo costante, che rimane tutto l'anno, mentre nelle altre zone il clima varia da caldo
a freddo nelle stagioni. Inoltre, sono ambienti eterogenei perché vi sono molti habitat diversi e antichi, dato
che la diversità cresce con il tempo. Inoltre vi è alta presenza di batteri perché prosperano con le
temperature elevate. Eccezioni a questo sono i plecotteri, cioè insetti con importanza ecologica per il
monitoraggio ambientale, che sono presenti in un unico genere ai tropici, mentre sono presenti in
numerosi generi nel resto del mondo. Sono stati condotti studi su questi organismi per capire le relazioni
esistenti tra particolarità biologiche – ecologiche, distribuzione geografica e impiego nei sistemi di
monitoraggio della qualità biologica dei sistemi fluviali.

Biodiversità degli ambienti fluviali del Mediterraneo


Il clima Mediterraneo è uno dei più ricchi per biodiversità. Ha una complessa storia geologica e ancora oggi
si stanno scontrando placca africana e placca europea, tanto che le Alpi stanno ancora crescendo. Inoltre, le
Dolomiti derivano dalla placca africana e le Alpi Cozie sono il vecchio mare tra africana ed europea.
Ovviamente la biodiversità è importante anche in Italia, in cui si ha il maggior numero di spermatofite
d’Europa e un elevato numero di endemismi.
Il bacino del Mediterraneo è infatti un’unica combinazione di clima, posizione geografica, storia geologica,
diversità topografica e intensa e prolungata attività antropica. Secondo la classificazione di Koppen il clima
mediterraneo è un clima subtropicale con estati asciutte.
Il mare si è alzato o abbassato? Il livello eustatico è il livello del mare perché durante le glaciazioni molta
acqua è intrappolata nelle calotte polari. Se tanta acqua è nel ghiaccio, il mare si abbassa. Infatti, ci sono
stati dei periodi in cui l'acqua era così bassa che il Po sfociava molto più in giù, mentre dopo la glaciazione, il
ghiaccio si è sciolto e il mare si è alzato, tanto che il Piemonte era sommerso dal Mar Adriatico. Alcune
specie di pesci di acqua dolce infatti sono presenti sia in Italia sia in zone dell'ex Jugoslavia perché erano
presenti nel vecchio bacino idrografico del Po, quando era più lungo. Tutto ciò arricchisce la diversità
perché sposta le specie, le cattura, le rilascia. Per esempio, la pernice bianca è arrivata ed è presente solo
sulle Alpi. Quindi il cambiamento del clima provoca biodiversità.
Nel bacino, inoltre, c'è stata la più lunga influenza antropica e colonizzazione, come i Romani che hanno
modificato i bacini idrici perché erano formidabili idraulici. Già gli Etruschi avevano cambiato il Chiana, cioè
il corso di un fiume all’epoca navigabile.
Vi sono 25 hotspot di diversità nel mondo e uno dei pochi fuori dalla zona tropicale è appunto il
Mediterraneo, ma sfortunatamente è anche una delle zone più abitate, quindi alterate dall'uomo. Uno
studio ha diviso il Mediterraneo in 4 parti per capirne la biodiversità idrografica. Il bacino contiene 35%
delle specie di acqua dolce del paleartico e il 7% delle specie del mondo. E' tanto perché i fiumi del
Mediterraneo non sono numerosi e tanto sviluppati. Negli ultimi 10 anni sono state trovate nuove specie,
per cui non si è ancora arrivati alla curva di accumulo.
Le piante vascolari sono endemiche del Mediterraneo e proteggere gli endemismi è fondamentale perché
se vengono persi nell'areale vengono persi per sempre. Vi sono poi i poriferi, di cui 13 specie sono nei fiumi,
Bryozoa, bivalvi (50 specie di cozze), plecotteri, pesci (500 specie nei fiumi), mammiferi (9 specie). Gli
organismi endemici sono circa il 43% di specie nell'acqua dolce. Gli uccelli, invece, raramente sono
endemici, dato che si spostano, e anche gli cnidari (celenterati marini) hanno pochi esponenti nelle acque
dolci e ovunque.

Caratteristiche per avere specie endemiche


La distribuzione spaziale della biodiversità nei fiumi del Mediterraneo è attualmente difficile da definire con
chiarezza, per via del fatto che le coste settentrionali sono generalmente meglio studiate. Infatti, alcuni
gruppi sembrano distribuiti in modo omogeneo nelle aree, a differenza di altri. Tra le specie endemiche solo
il 2,4% del totale viene considerato raro.
La maggior parte delle specie endemiche mostra una spiccata preferenza per gli ambienti ritrali ed
epipotamali e per i substrati medi o grossolani. Le aree montane e collinari ospitano un elevato numero di
endemismi, mentre i tratti potamali sono spesso dominati da specie ad ampia distribuzione.
I tratti ecologici che riflettono l'adattamento di una specie all'ambiente sono vari. La maggioranza di specie
vive nei tratti più piccoli di fiumi, cioè i torrenti perché è più difficile che secchino. Inoltre, bisogna avere
delle caratteristiche, degli adattamenti, per superare i periodi di secca, come una specie che nei periodi di
secca è presente come uova nel substrato, per riuscire a superare lo stess. Molte specie endemiche hanno
una strategia r e si sviluppano in una stagione, dato che l'acqua è intermittente ed è meglio crescere nel
momento in cui è presente, avendo cicli vitali rapidi. Tendenzialmente il ciclo vitale è tarato sul fatto che il
periodo critico è l'estate.

Conservazione
Le acque dolci sono gli ambienti più minacciati perché lo 0.0002 % di acqua sul pianeta è fiume. Noi
prendiamo l'acqua dai fiumi per bere, per cui questo fatto è molto critico. Vi sono varie categorie di
minaccia degli habitat: distruzione degli habitat, alterazione idrologica, inquinamento, invasione di specie
alloctone, sovrasfruttamento. Inoltre, vi sono anche i problemi legati al global changing.
Oggi vi sono specie estinte che non si trovano più in natura e una specie su due di specie viventi è
minacciata, come i gamberi in cui il 60% degli autoctoni sta sparendo.
La prima cosa che si fa per capire la conservazione delle specie è il censimento; dopodiché viene svolto lo
studio delle specie presenti endemiche, che devono essere tutelate. Avere un’idea delle caratteristiche
della biodiversità, delle minacce e delle tutele che si possono introdurre è fondamentale.
Una tipica strategia è preservare aree di elevata qualità, quindi, per esempio, delimitare i parchi, come il
parco del Gran Paradiso (stambecco). In un ambiente terrestre questo può funzionare, ma in un ambiente
fluviale no perché il fiume riceve acqua da altri fiumi, per cui serve a poco tutelare tratti fluviali. Serve di più
aumentare il livello di conoscenza, cioè conoscere i gruppi poco conosciuti, ma che sono fondamentali, le
aree poco studiate, completare gli inventari dei musei e catalogare le informazioni, investire nei progetti
universitari, nella formazione di specialisti e nell’applicazione di nuovi strumenti, per integrarli con quelli
classici. E' necessario avere una base sistematica e collaborare con specialisti.
Per recuperare i fiumi non sono indispensabili nuove leggi, ma vi è una direttiva comunitaria che è
fondamentale come riferimento da rispettare riguardo l'area mediterranea. Bisogna quindi applicare le
leggi già esistenti.
La Biodiversità cambia non solo nello spazio ma anche nel tempo.

Tipi di diversità
Vi sono quattro tipi di biodiversità:
1. Alfa (α): diversità locale, cioè la varietà di organismi presenti in una piccola area o in un habitat
particolare. Si possono calcolare tutti gli indici di biodiversità in questo habitat.
2. Gamma (γ): diversità regionale, cioè l'insieme degli organismi presenti negli habitat di una
determinata regione geografica. Anche in questo caso si calcolano tutti gli indici presenti. La gamma
quindi è più grande. Se negli habitat di una regione sono presenti le stesse specie allora la gamma
diversità è uguale alla’ alfa diversità. Per esempio un pezzo di deserto del Sarah contiene le stesse
specie di un altro pezzo perché è un habitat uniforme, per cui è probabile che siano uguali alfa e
gamma. Quando ogni habitat ha una fauna e una flora esclusive e peculiari, la diversità regionale è
uguale al prodotto della diversità locale media per il numero di habitat della regione.
3. Beta (β): turnover. E' la diversità fra gli habitat, cioè il turnover di specie da un habitat all'altro. E'
data da diversità γ / diversità α. Se il turnover è basso, β è uguale a 1, mentre se è alto β è maggiore
di 1.
4. Epsilon (ε): è la diversità all’interno di grandi aree biogeografiche.

Biodiversità - produttività
La produttività di un ecosistema aumenta con l'aumentare della biodiversità. La produttività, in particolare,
è la capacità di un ecosistema di produrre sostanza organica ed energia. Si può misurare in grammi o
calorie. Gli habitat più diversi, infatti, sono le barriere coralline, in cui c'è il massimo di produttività.
Sono stati condotti esperimenti: ricostruzione di zone di vegetazione, in cui in ogni zona c'erano varie
combinazioni di biodiversità e a fine anno si è vista la produttività generale. Man mano che aumenta la
ricchezza e la diversità, aumenta la biomassa e la produttività. Gli ecosistemi più diversi hanno più nicchie e
sono più stabili perché sono più resistenti e resilienti. Quindi, tutelare la biodiversità significa stabilizzare e
tutelare la produttività degli ecosistemi.
Al di là dalla separazione delle nicchie, alcune specie possono essere ridondanti cioè due o più specie
possono svolgere lo stesso lavoro: se una si estingue in quell'area, un’altra può andare a svolgere il suo
lavoro. In questo modo, il sistema non crolla.
Sono invece specie chiave o keystone le specie prive di ridondanza. Per esempio, quando i salmoni tornano
per riprodursi ad alta quota, i nutrienti di origine marina contenuti in essi sono ritrovabili in altre specie.
Con le tracce isotopiche è possibile vedere che anche le piante li contengono. Se viene eliminato il salmone,
l'ecosistema crolla.

Resistenza e resilienza
La resistenza è la capacità che la specie possiede di resistere a un cambiamento prima di subirlo. Per
esempio, se inquino un fiume, bisogna aspettare per vederne l'effetto sulla biodiversità. I fiumi, infatti, sono
più resistenti dei laghi.
La resilienza, invece, è la capacità che ha un sistema ecologico di ritornare nelle condizioni originali dopo
aver subito un cambiamento. I fiumi sono più resilienti dei laghi.

Ecologia di comunità – le successioni


Le comunità non sono stabili nel tempo. La successione ecologica è il processo graduale e apparentemente
orientato che trasforma la comunità biologica di un dato ecosistema nel tempo (zonazione è il
cambiamento nello spazio). Le successioni sono orientate perché si può prevedere come un ambiente
cambierà nel tempo. E' in ogni caso un processo lento. Ad esempio, sulle Alpi, un tempo, c'erano meno
alberi, mentre adesso ne sono coperte perché prima quei luoghi erano densamente abitati, mentre adesso
lo sono meno. Anche gli animali erano di più. Quindi la natura è in continuo cambiamento. Finché c'è una
pressione limitata antropica, la resistenza è elevata. Quindi la zonazione è il cambiamento nello spazio,
mentre la successione nel tempo.
Ogni stadio della successione è lo stadio serale o sere: il lago che prima diventa palude poi torbiera e poi
prato umido, ha diversi stadi serali. La successione ecologica implica un’ alterazione di chi vive lì, ma anche
una modalità diversa con cui viene prodotta e consumata energia. Per cui vi è variazione tassonomica e
funzionale.
Le successioni ecologiche, quando non disturbate da forze esterne, sono processi direzionali, prevedibili e
basati sulle modificazioni dell'ambiente fisico da parte delle comunità. Le comunità controllano in parte il
processo, che dipende peraltro in gran parte dalle caratteristiche fisiche e climatiche dei sistemi interessati.
Vi è un flusso continuo all'interno della comunità perché gli organismi muoiono, ma si ha la successione
quando qualcosa che muore viene sostituito da un organismo diverso. Tuttavia, se non vi sono disturbi,
l’aspetto e la composizione della maggior parte delle comunità non variano nel tempo. Per disturbo si
intende un evento che cambia la struttura della comunità o della popolazione, sia a livello fisico sia
funzionale. Ad esempio, il fuoco controllato serve per ottenere più alpeggi ed è un disturbo.
Le successioni possono essere autogene, se i cambiamenti derivano da forze interne alla comunità; per
esempio gli Gnu hanno successo in una determinata zona e impattano sulla comunità erbacea, dando
origine a una selezione sulle piante che gli essi non mangiano, per cui da savana si può passare a deserto.
Oppure le successioni possono essere allogene, se i cambiamenti sono dati da forze esterne, come un
incendio o una frana.
Nelle successioni P (produttività) è dapprima sbilanciata nei confronti di R (respirazione). Le successioni
autotrofe hanno inizio con P>R (più produttori che respiratori) e la comunità è autonoma energicamente
perché vi sono i produttori primari cioè le piante o i funghi, mentre le successioni eterotrofe hanno R>P (più
respiratori che produttori) e l'energia arriva da fuori, cioè non c’entra con la comunità.
Il climax è lo stadio a cui tende la successione in assenza di disturbi, come il lago che diventerà prato umido
e sarà stabile con P = R, senza più sostituzioni. Se il processo incomincia con la colonizzazione di un
ambiente in cui non vi è ancora occupazione di altri organismi, allora la successione primaria. E' invece
secondaria se avviene in ambienti già occupati.

Successione primaria
E’ l’insediamento e lo sviluppo di una comunità in habitat di nuova formazione, in cui la copertura vegetale
o una comunità animale era assente. Avviene a causa di un disturbo, come dune di sabbia, colate di lava,
morene abbandonate dal ritiro dei ghiacciai, oppure quando si rende disponibile un nuovo territorio per la
colonizzazione come l’abbandono di un campo coltivato o la formazione di una pozzanghera. Sono
generalmente autogene dominate dall'interno.
In un sito terrestre, si parte da licheni, organismi pionieri, per arrivare allo stadio di climax con le piante
vere e proprie. In questo caso la produttività è alta, al contrario della respirazione, per cui aumenta la
biomassa (quantità di sostanza secca), per cui è una successione autotrofa.
Uno studio interessante è stato condotto sul vulcano Krakatoa, cioè un vulcano acido, che ha eruttato nel
1883 e ha provocato la formazione di un nuovo vulcano Anak krakatoa, cioè il figlio. Su questo è avvenuta
una successione primaria.

Successione secondaria
Si verifica quando nell’habitat vi era già una copertura vegetale o una comunità animale, ma un disturbo ha
provocato una successione, modificando le comunità già presenti. Ad esempio, avviene a causa di fuoco,
uragani, alluvioni, abbandono delle attività agricole. Le torbiere, ad esempio, si formano in montagna dove
prima vi erano stagni o raccolte d'acqua. Quando il ghiacciaio forma un circolo glaciale e poi si ritira dà
origine a un lago alpino, che prima o poi diventa una torbiera perché si prosciugherà.
Quindi si tratta di una successione, in cui prima erano già presenti organismi, a differenza della successione
primaria. Vi sono tracce della colonizzazione precedente all'interno degli stadi di successione successivi.
Fondamentali sono P (produttività), R (respirazione) e B (biomassa). Con l’eccezione di sistemi ricchi di
materiale organico dove sono i batteri eterotrofi a colonizzare l’ambiente per primi, con il procedere della
successione la biomassa si accumula fino ad un massimo in corrispondenza del climax. La produttività,
quindi, sarà massima all’inizio e minima alla fine delle sere.
Tutte le successioni viste fino adesso sono autotrofe.

Successione degradativa o eterotrofa


Alcune successioni si producono quando una risorsa biodegradabile viene utilizzata successivamente da più
specie. La scala temporale è in genere breve perché, mentre nelle autotrofe si produce biomassa, qui la
biomassa viene consumata e prima o poi esaurisce. Qui non si raggiunge mai un climax, ma quando finisce
la risorsa finisce tutto. Ad esempio, un cervo morto è una biomassa in cui si instaura una successione di
organismi che la consumano.
E' una successione perché alcuni organismi consumatori arrivano prima di altri. Anche lo sterco o un
vegetale morto possono essere considerati biomassa consumata da microrganismi o da animali detritivori,
saprofagi o necrofagi. Si parla di catena del detrito perché si rendono i nutrienti nuovamente disponibili.
Un infuso di erbe o fieno, dopo bollitura, viene colonizzato da protozoi e batteri eterotrofi, secondo schemi
identificati fino alla morte dell’ecosistema. La successione di questo tipo è presente in un ambiente con
molta biomassa che viene poi dissipata. Esistono insetti coprofagi, che utilizzano gli escrementi per deporre
le uova e allevare le larve, come gli scarabei.
Gli insetti necrofagi, invece, sono alla base dell'entomologia forense soprattutto in America, in cui si
verificano numerosi omicidi.
Le trote, invece, si riproducono e poi muoiono (trota iridea – salmone). A questo punto, vengono demolite
in modo simile anche in due ambienti diversi (capire la capacità metabolica del fiume) alla stessa velocità,
ma da organismi differenti. Sono stati anche individuati i ruoli di decomposizione di organismi
decompositori piccoli e più grandi. C'è una notevole influenza della temperatura: nei mesi più caldi è più
veloce la decomposizione.

Successioni cicliche
Le successioni allogeniche possono essere cicliche come alcuni habitat che sono più suscettibili agli incendi,
e in generale ai disturbi, come la macchia mediterranea. Infatti alcuni ecosistemi sono molto adattati ai
disturbi, tanto da essere indicati come dipendenti dalle perturbazioni.
La grande biodiversità delle aree deriva proprio da questo disturbo; infatti se si raggiunge il climax, le specie
solitamente vengono sostituite dalle stesse specie, mentre nelle successioni cicliche gli organismi vengono
sostituiti da organismi di specie diverse. Per cui la biodiversità avviene se vi è un livello medio di disturbo.
Gli oceani sono ecosistemi climatici che si mantengono a lungo, in cui non si realizzano apprezzabili
fenomeni di dinamica ecosistemica.
Nei primi stadi della successione le interazioni sono più instabili, ma a lungo andare diventano più stabili.
Infatti, negli stadi più avanzati vi sono popolazioni più stabili nel tempo.
Vi sono interpretazioni varie nel ruolo degli organismi nelle successioni: alcune specie modificano le
condizioni, facilitano le altre che vengono dopo (facilitation model), mentre altre che sono pioniere
tendono a lottare per non essere eliminate, come i muschi che tendono a trattenere umidità e i rovi che
soffocano la vegetazione (inhibition model). Altri invece sono tolleranti per cui non danno interazione né
negativa né positiva (tolerance model).

Comunità climax
Sono strutture complesse con molta biomassa, in cui P=R.
Si distinguono climax climatici, cioè il clima a cui una comunità tende, mentre il climax edafico è un
sottoinsieme, ad esempio all'interno del climax climatico regionale (foresta di latifoglie), vi è una altro
climax (pinete), che quindi è puntuale e non più regionale.
Ormai il climax è difficilmente raggiungibile perché l'uomo disturba, per cui si parla di disclimaxo subclimax
antropogenico. Per esempio, i pascoli erano un disclimax perché originariamente il climax climatico era il
bosco.
L'ecosistema
La comunità biotica che interagisce con le componenti abiotiche locali a costituire un riciclo della materia
tra viventi e non viventi costituisce un sistema ecologico o ecosistema (biotopo + biocenosi). Si tratta
dell’unità ecologica più completa perché comprende tutti i livelli precedenti.
E' un'unità sistemica funzionale, con flussi di entrata e di uscita. Il sole è la principale fonte di energia per
tutti gli ecosistemi terrestri; altre entrate sono le piogge, i combustibili fossili.
Tra le uscite citiamo il calore disperso, gli animali che abbandonano il sistema (migrazione) e i rifiuti
prodotti (ecosistemi urbani). Il funzionamento interno è basato, quindi, su flussi di energia e la comunità è
organizzata in termini di rete trofica tra autotrofi ed eterotrofi.
Il termine ecosistema è stato fornito nel 1935 da Arthur Tansley. L’ecosistema è la prima unità della
gerarchia ecologica ad essere completa, cioè ad avere tutti i componenti necessari per la sua sopravvivenza.
Quindi ogni ecosistema è caratterizzato da una comunità, un flusso di energia e un ciclo della materia. Il
flusso è sempre unidirezionale perché l'energia entra da una parte (sole) ed esce dall'altra. L’energia può
essere trasformata, come nelle foglie, e immagazzinata in energia potenziale, come nel legno. A volte non
solo vi è accumulo di energia, ma la maggior parte dell’energia che entra viene utilizzata e degradata,
uscendo sotto forma di calore, cioè energia termica persa.
La materia, invece, non ha un flusso unidirezionale, ma può essere riutilizzata più volte, come acqua,
fosforo e carbonio.
Il confine di un ecosistema può essere naturale, come la sponda di un lago o di un fiume, o arbitrario, come
una parte di spiaggia o di una foresta.
Una serie di gradienti, invece, origina una zonazione, che può essere di diversa natura: vegetazionale, fisico
– geomorfologica, produttivo – respiratoria e termica. Negli ecotoni si assiste di solito all’effetto margine,
cioè un incremento della diversità, ma l’intervento artificiale dell’uomo produce margini che possono dare
luogo ad effetti negativi (le piste da sci). Per esempio, in uno stagno, la zonazione può essere basata sulla
stratificazione termica durante i mesi estivi, per cui si avranno tre strati: epilimnio, termoclino e ipolimnio.

Struttura trofica dell’ecosistema


L’organizzazione trofica è basata su una componente autotrofa, cioè i produttori, e su una componente
eterotrofa, cioè i consumatori o fagotrofi.
I componenti dell’ecosistema sono, inoltre, le sostanze inorganiche, implicate nei cicli della materia, le
sostanze organiche, che mettono in relazione la componente biotica e quella abiotica, aria, acqua,
substrato, ambiente, condizioni climatiche e decompositori, cioè organismi eterotrofi che si nutrono di
materia organica morta.
Ovviamente sono presenti le due catene trofiche principali: catena alimentare di pascolo, costituita da
piante verdi, erbivori e carnivori, e catena alimentare di detrito, costituita da materia organica morta,
consumatori di detrito (detritivori e saprotrofi) e predatori. La separazione tra le catene alimentari è spesso
meno chiara ai livelli trofici più alti poiché di solito per i predatori è indifferente che le prede si nutrano di
vegetali o di detrito. Il detrito organico morto può essere suddiviso in POM (FPOM se è materia particolata
fine, CPOM se è grossolana) e DOM, cioè materia organica disciolta.

Ecosistema stagno
In uno stagno sono presenti macrofite e fitoplancton, che rappresentano i produttori. Il fitoplancton è più
importante, in termini di funzionamento e di biomassa, rispetto alla componente macrofitica. Gli erbivori
sono anche consumatori primari, rappresentati da zooplancton, benthos e pesci erbivori. I carnivori che si
cibano dei consumatori primari sono consumatori secondari, tra cui numerosi macroinvertebrati e pesci
predatori (necton); quelli che si nutrono di consumatori secondari sono i consumatori terziari.
Altri consumatori sono i detritivori, che si cibano della pioggia di detrito organico che cade dagli strati
superiori. I decompositori sono i batteri e i funghi, specialmente abbondanti nell’interfaccia fango-acqua
del fondale.
In uno stagno o in un lago distinguiamo una zona profonda, oltre i tre metri (P/R < 1) e una zona limnetica
(P/R > 1) superficiale. Produzione e respirazione possono essere determinate con il metodo della bottiglia
chiara e della bottiglia scura: nella scura la riduzione di ossigeno riflette la respirazione dei produttori e dei
consumatori, mentre nella chiara la variazione di ossigeno riflette la respirazione e la fotosintesi, ovvero la
P netta. Uno squilibrio a favore della respirazione può portare a condizioni anaerobiche.

Ecosistema prato
Le piante radicate dominano sui piccoli organismi fotosintetici, come alghe, muschi e licheni. Gli erbivori
sono a due livelli: vertebrati (roditori, ungulati pascolanti) e invertebrati.
Anche se l’organizzazione dei due ecosistemi (stagno e prato) è, nelle sue linee generali, assai simile, le
differenze biologiche sono profonde. I produttori terrestri devono investire la loro produzione nei tessuti di
sostegno poiché la densità dell’aria è molto inferiore a quella dell’acqua. Le piante con tessuti ad alto
contenuto di cellulosa e lignina presentano un tasso metabolico per unità di volume inferiore a quello delle
piante acquatiche. Un’altra differenza riguarda il tasso di ricambio, o turnover: i piccoli organismi acquatici
si sostituiscono nel giro di pochi giorni, mentre le grandi piante richiedono molti anni.

Ecosistemi agricoli
Gli ecosistemi agricoli o agroecosistemi differiscono dagli ecosistemi naturali per tre aspetti: energia
sussidiaria, diversità vegetale ridotta, vegetali e animali selezionati artificialmente. Inoltre vi sono tre
tipologie diverse quanto a intensità di sfruttamento: agricoltura pre-industriale, agricoltura industriale,
agricoltura alternativa. Il 60% delle terre coltivate nel mondo rientrano nella prima categoria.
Per quanto riguarda lo sfruttamento, vi sono tre tipologie: pastorizia, agricoltura transitoria e irrigazione
per allagamento.

Produzione e decomposizione globale


Ogni anno gli organismi fotosintetici producono 10 miliardi di tonnellate di materia organica e quasi
altrettante sono consumate-ossidate e ritornano alla forma di anidride carbonica e acqua. Non si tratta,
però, di un bilancio in equilibrio perché fin dalla prima comparsa della vita sulla Terra una piccola parte del
materiale organico prodotto non è stata decomposta, accumulandosi come combustibile fossile, per
esempio nella formazione di calcare. Questa progressiva sottrazione di CO2 dall’atmosfera ha fatto sì che
durante le diverse ere geologiche sia avvenuto un aumento della concentrazione di O2 ed una diminuzione
della concentrazione di anidride carbonica, che hanno reso possibile la vita così come la conosciamo.

Fotosintesi e organismi produttori


La fotosintesi è fondamentale ed esistono organismi fotosintetici, che la svolgono. Essa implica
l’immagazzinamento di una parte dell’energia solare come energia potenziale, legata alla materia organica
e al cibo: 6 CO2 + 12 H2O -> C6H12O6 + 6 CO2 + 6 H2O.
I batteri chemiosintetici sono noti anche come chemiolitotrofi perché ottengono l’energia con l’ossidazione
chimica dei composti organici semplici: da ammoniaca a nitrato; da solfuro a zolfo; da ferro ferroso a
ferrico. I Thiobacillus e gli altri del gruppo possono crescere al buio, ma necessitano di ossigeno. Se ne
deduce che la distinzione tra autotrofi ed eterotrofi non è netta.
Gran parte dei batteri chemioautotrofi sono coinvolti nel recupero del carbonio piuttosto che nella
produzione primaria perché la sorgente ultima di energia è la materia organica, prodotta attraverso la
fotosintesi. Tuttavia, nel 1977, sono stati scoperti ecosistemi unici nei mari profondi, basati interamente sui
batteri chemiosintetici e indipendenti completamente dalla fotosintesi. Essi sono ospitati da anellidi strani
che non mangiano, bianchi, con una parte rossa, che ottengono energia dall'ossidazione di acido solfidrico.
Il processo inverso alla fotosintesi è di tre tipi: respirazione aerobica; respirazione anaerobica e
fermentazione.

Produttività
La produttività primaria è il tasso con cui l'energia radiante viene convertita in sostanza organica, quindi è
effettuata essenzialmente dai fotoautotrofi, cioè organismi primari (piante).
Essa è lorda o totale se è la produttività complessiva della sostanza organica consumata dalla respirazione
(PPL), mentre è netta se è quella che rimane togliendo ciò che viene consumato dalla pianta dopo l’attività
respiratoria (PPN). In pratica PPN + R = PPL.
La produttività netta è la velocità di immagazzinamento della materia organica non utilizzata dagli
eterotrofi, che prende in considerazione sia produttori sia consumatori ed è PPN (netta piante) – consumo
degli eterotrofi, cioè la velocità di produzione.
La produttività secondaria, invece, è il tasso di accumulo di energia a livello degli eterotrofi, quindi è più
un'assimilazione perché indica di quanto l’animale cresce, in base a quello che mangia. E' la nuova
biomassa in un anno.
La biomassa è il peso secco dell'organismo, cioè senz’acqua. La differenza con la produttività è che nella
biomassa manca il concetto temporale che è presente nella produttività. I paesi industrializzati hanno
sempre voluto incrementare la produttività dei sistemi. Quindi la produttività dei sistemi può variare, anche
se la luce solare non si può aumentare, per cui è necessario modificare chimicamente o tramite macchinari
la produttività.

Bioaccumulo e biomagnificazione
Alcuni composti possono essere ingeriti attraverso l'alimentazione con facilità maggiore rispetto alla
velocità con cui vengono espulsi: si parla di bioaccumulo, se le sostanze tossiche si accumulano
nell'organismo. Sono composti che possono avere conseguenze sulla stabilità cellulare, come i metalli
pesanti e il DDT. I metalli pesanti si legano ai liquidi quindi è molto difficile eliminarli.
La biomagnificazione è il fatto che, così come le sostanze si accumulano, possono passare da un organismo
all'altro, quindi se si ingerisce un organismo in cui vi è alto livello di accumulo, le sostanze passano al
consumatore. Salendo nelle catene trofiche si ha una magnificazione, cioè un incremento del bioaccumulo.
Ci si è accorti di questo problema per il manifestarsi del morbo di Minamata: in Giappone vi era un enorme
incremento di bimbi con evidenti deformità, ma solo in quelle zone. Si è scoperto che in quel paese vi era
biomagnificazione, cioè vi erano industrie che rilasciavano mercurio come prodotto di scarto che finiva nel
mare, mangiato dai pesci, che poi venivano pescati e consumati dall’uomo.
Il flusso dell'energia della rete trofica può andare dal basso (bottom up) o dall’alto (top down), dipende se
controllano il consumo i consumatori o i produttori, cioè in alcuni casi la produttività primaria favorisce la
secondaria o viceversa. In un caso si ritiene che la rete trofica dipenda dai nutrienti presenti, nell’altro caso
si ritiene che siano i predatori a controllare il numero di erbivori. Ci sono esempi per entrambi i modelli.

Emergia
L'emergia è la quantità di energia solare totale equivalente che viene usata direttamente o indirettamente
per produrre un servizio o un bene. E’ un termine che serve per misurare la qualità dell’energia (energia
incorporata).
Per esempio, per produrre un chilo di insalata o di bovino non serve la stessa quantità di energia solare: per
fare la carne ci vuole più emergia perché parte dell'energia radiante si disperde per respirazione o calore.
Quindi, è un concetto alla base della concentrazione di energia presente.
Un aumento della concentrazione dell’energia è accompagnato da una diminuzione della quantità di
energia in catene alimentari, flussi di energia, generatori di energia elettrica, concentrazione di energia
spaziale.

Cicli biogeochimici
Gli elementi chimici, molti dei quali fondamentali per la vita, circolano nella biosfera attraverso percorsi
ambiente – organismi – ambiente, noti come cicli biogeochimici o riciclo dei nutrienti.
Per ogni elemento si riconosce un pool di riserva, cioè la componente abiotica e immobile che può essere
gassosa o sedimentaria, cioè atmosfera, acqua o crosta terrestre. Si riconosce anche un pool labile o
circolante, che si muove continuamente tra organismi e ambiente.
La biogeochimica si dedica appunto allo studio di scambio di materiali tra specie biotiche e componente
abiotica, anche se con l'inquinamento ha subito delle modificazioni perché quest’ultimo può essere definito
come una allocazione squilibrata delle risorse chimiche.
Quando la sostanza ha come pool di riserva oceano e atmosfera si parla di cicli gassosi, se no di cicli
sedimentari con la crosta terrestre come riserva.

Ciclo dell'acqua
L’acqua è un componente caratteristica del nostro pianeta. Il ciclo è stabile nel tempo, ma cambia la
quantità di acqua presente sotto le tre forme (acqua, ghiaccio, vapore). Il ciclo dipende in larga parte dal
sole, visto che 1/3 dell’energia solare è dissipata a questo scopo. Dagli oceani evapora più acqua di quanto
ne ritorni nell’atmosfera e il contrario avviene sulla terraferma.
Il sole fa salire l'acqua nell’atmosfera sottoforma di vapore. Questa, quando scende, produce energia,
sfruttata dalle turbine (energia potenziale). Si pensa che ci vogliano 37.000 anni per compiere un ciclo
completo dell'acqua. L'incremento termico fa aumentare la quantità di acqua liquida perché la quantità
solida si sta sciogliendo.
Le riserve d’acqua sotterranee dipendono dalla porosità del terreno, che diminuisce drasticamente in
seguito agli interventi antropici. Si noti che quest’acqua può essere in un certo senso fossile perché alcune
riserve si sono originate molto tempo fa e non sono rinnovabili. Ghiacciai e calotte polari rappresentano la
seconda riserva d’acqua del pianeta, ma stanno scomparendo con un conseguente aumento del livello del
mare.

Ciclo dell'azoto (N)


Si tratta di un ciclo gassoso molto complesso e ben tamponato. L’azoto è un composto molto reattivo (78%
in atmosfera) che possiede anche l’uomo. La riserva atmosferica viene continuamente alimentata
dall’azione dei batteri denitrificanti (Pseudomonas) e l’azoto atmosferico è assorbito e fissato dagli
azotofissatori, che possono essere batteri liberi (Azotobacter e Clostridium), simbionti (Rhizobium),
cianobatteri e altri batteri.
N2 presenta un legame triplo, quindi spaccandolo si liberano quantità enormi di energia. La scissione della
molecola di azoto è catalizzata dal complesso enzimatico della nitrogenasi. Il processo della fissazione,
invece, richiede energia dall’esterno. Molte piante hanno batteri azotofissatori nei noduli radicali, come il
riso, che ne aumentano la produttività. Uno dei grandi problemi delle falde della pianura padana, infatti, è
che sono piene di composti azotati.
Il processo di fissazione, quindi, richiede energia perché la molecola biatomica di azoto ha il triplo legame.
La relazione mutualistica è alla base di questo processo, che fornisce vantaggi ai procarioti, i quali
ottengono riparo, protezione da ossigeno e consumo di composti energetici, e anche alla pianta, che utilizza
subito l’azoto fissato. I cianobatteri si trovano spesso in rapporti simbiotici con altri organismi, quali funghi
e felci.
Attualmente il flusso di azoto antropogenico è eccessivo anche perché gran pare di questo sfugge nei suoli
o si lega a metalli pesanti e a sostanze tossiche. In genere, le specie vegetali e animali autoctone sono
adattate ad ambienti non eutrofizzati; l’eutrofizzazione da azoto determina, quindi, grandi cambiamenti
biotici con possibili rischi per l’uomo, come inquinamento atmosferico e piogge acide.

Ciclo del fosforo


E’ un ciclo più semplice di quello dell’azoto perché il fosforo presenta meno forme chimiche.
E’ fondamentale per ricavare energia perché è presente nell’ATP, molecola energetica.
Negli organismi è costituente essenziale del protoplasma cellulare in forma di fosfato PO4-, e come tale è
subito disponibile per le piante.
Si sedimenta nella litosfera sottoforma di minerali di apatite, formatisi nel corso dell’evoluzione terrestre.
Anno dopo anno i fosfati si accumulano nei sedimenti marini, mentre gli uccelli acquatici, grazie al guano,
contribuiscono a costruire importanti riserve di fosforo.
L’uomo altera pesantemente questo ciclo: i due milioni di tonnellate usati annualmente come fertilizzante
si disperdono in gran parte nelle acque e solo 60.000 ritornano agli ecosistemi terrestri grazie alla pesca. I
problemi sono legati alla concentrazione locale del fosforo perché stiamo passando da ambienti oligofori ad
eutrofori, cioè si continuano a immettere fosfati e nitrati.

Ciclo dello zolfo


I solfati sono la principale forma disponibile di S ridotta dagli autotrofi ed incorporata nelle proteine. Lo
zolfo è comunque disponibile in tutti i comparti biosferici e il flusso tra i diversi comparti è controllato da
microrganismi specializzati che, operando nelle zone anaerobiche dei sedimenti e del suolo, liberano
idrogeno solforato H2S, un gas che viene poi trasformato in forme ossidate.
Il ciclo è connesso all’inquinamento atmosferico urbano e alle piogge acide.

Ciclo del carbonio


Si tratta di un ciclo molto importante poiché il carbonio è l’elemento fondamentale della vita ed è
concentrato nella litosfera e nei mari, mentre solo una piccola parte è presente nell’atmosfera sottoforma
di ossido. Ogni alterazione del ciclo, inoltre, può avere impatti molto rilevanti sul clima e, quindi, su molte
componenti della biosfera.
Quanto alla CO2, la sua concentrazione prima della rivoluzione industriale era di 280 ppm, salendo a 370
ppm nel corso di circa 150 anni. Questo gas è in parte controllato dalle reazioni di scambio con il comparto
marino perché mare e atmosfera tendono ad equilibrarsi l’un l’altro. Il carbonio è presente in atmosfera
anche come monossido di carbonio (CO) e metano (CH4), che in atmosfera vengono convertiti in anidride
carbonica con una certa rapidità.
Il carbonio viene tamponato con formazione di carbonato di calcio CaCO3, come nei gusci dei molluschi,
diminuendo il pH delle acque marine.
Ecologia fluviale
I fiumi sono uno degli ambienti più importanti del nostro pianeta, nonostante siano irrisori rispetto alla
quantità d’acqua presente sulla Terra. Costituiscono uno dei momenti fondamentali del ciclo dell'acqua e
sono fondamentali anche perché l’uomo per bere preleva l’acqua da questi.
Sul nostro territorio abbiamo ambienti lentici, cioè immobili, fissi, come laghi, stagni. Gli ambienti lotici
sono invece ambienti dinamici del territorio, come i fiumi. Essi modellano il paesaggio di intere regioni.
Inoltre, raccolgono, metabolizzano e distribuiscono sostanza organica e nutrienti. Ospitano anche comunità
biologiche uniche, ricche e diversificate, come celenterati, cozze, protozoi. Un’altra cosa importante è che
sono ambienti molto diversi l'uno dall'altro per cui hanno alta biodiversità. Inoltre, anche i segmenti dello
stesso fiume sono diversi tra di loro. Si parla, per questo, di continuum di ecosistemi, cioè un ecosistema
che sfocia in un altro, cambiando gradualmente le condizioni ambientali. Sono stati la culla delle civiltà,
come il Nilo, il Tigri e l'Eufrate.

Le parole del fiume


L'asta fluviale è quando le acque di precipitazione confluiscono in linee di impluvio (le aste fluviali), cioè
solchi che incidono il territorio e convogliano le acque al mare. Il loro insieme determina il reticolo
idrografico del territorio. L’asta fluviale ha una lunghezza variabile in base all’area del bacino imbrifero
drenato.
Il bacino imbrifero (o idrografico) è l'area attorno al reticolo che convoglia le piogge dentro al reticolo. La
linea tratteggiata nel disegno è la linea di spartiacque (o linea di displuvio) perché divide le acque da un
bacino all'altro, come per esempio l'Appennino in Italia. Le caratteristiche geomorfiche del bacino
determinano direttamente molte caratteristiche del sistema idrografico, tra cui la velocità della corrente, la
qualità chimica delle acque e la disponibilità di sostanza organica. Ogni bacino principale è costituito da
molti bacini secondari e terziari, come il bacino del Po che è formato dal bacino del Tanaro, della Dora
Riparia, del Ticino, eccetera.
Vi è un ordine delle aste fluviali che serve a dare il nome a fiumi più o meno grossi. Vi sono le aste di primo
ordine se non vi sono affluenti. Dall'incontro di due aste di primo ordine nasce un'asta di secondo ordine
(fiumi grossi) e si arriva fino a ordini molto più elevati. Aumenta il numero di ordine quando si uniscono due
aste di pari grado (terzo e terzo dà quarto), mentre se si uniscono secondo e terzo rimane terzo grado.
Variano ovviamente la temperatura e la salinità, che è maggiore in ordini più grandi. Il reticolo idrografico
funziona da apparato circolatorio, raccogliendo e distribuendo l’acqua in modo capillare, e da apparato
escretore, raccogliendo i residui, filtrandoli, elaborandoli, recuperandoli in parte ed eliminando ciò che non
serve a valle.
In ecologia fluviale, si utilizza spesso il termine destra e sinistra orografica. Con tali termini si indica la
sponda su cui ci si trova, mettendosi con le spalle alla sorgente e la faccia alla foce. A monte significa verso
la sorgente, mentre a valle significa verso la foce. I massi sulle sponde sono cementificati perché i fiumi
tendono a erodere nelle parti esterne delle curve, per cui la massicciata serve a difendere le sponde del
fiume esterne, mentre nelle sponde interne viene depositato il sedimento. L’alveo, invece, è la porzione di
terreno occupata dal corso d’acqua e cambia in base alla portata, all’erosione o al deposito di materiale.
La portata è la quantità di acqua (Q) che si misura in m3/s cioè in base a quanto è veloce il fiume, al tempo
impiegato e alla sezione: quanta acqua passa nella sezione. Più un fiume è veloce più è elevata la portata.
Varia durante l'anno perché in alcuni periodi vi sono condizioni di secca o magra, morbida, piena e piena
eccezionale. La magra è la condizione in cui la portata del fiume o del torrente è a livello minimo. Si può
parlare di una magra estiva, legata alle scarse precipitazioni e alla consistente evaporazione, e di una magra
invernale, causata dalla scarsità di precipitazioni piovose. La morbida è una condizione in cui la portata è
ordinaria, cioè intermedia tra gli estremi del regime idrico. La piena, infine, è una condizione che si verifica
quando la portata supera i normali valori stagionali. Se aumenta notevolmente in un breve lasso di tempo,
si può parlare di piena catastrofica. Si capisce dove può arrivare il fiume come area di piena, in base a dove
si trovano le piante. Non bisogna costruire in aree di piena, ovviamente.
Il mutare delle condizioni climatiche, in particolar modo delle precipitazioni e della temperatura, fa sì che la
quantità di acqua in transito possa essere anche differente nel tempo, con l’alternarsi di periodi di elevata
portata, o piena, con periodi di bassa portata, o magra. Si parla di regime fluviale. Il regime pluviale è
l’apporto d’acqua legato alle piogge. La portata raggiunge un massimo in primavera e in autunno, mentre il
minimo in inverno e in estate. Il regime pluvionivale è tipico dei fiumi in quota. Diventa consistente
l’apporto dovuto allo scioglimento delle nevi invernali. La portata massima si ha in giugno-luglio, mentre la
minima in inverno. Un deflusso minimo e massimo secondari si hanno in autunno e alla fine dell’estate. Il
regime nivoglaciale è tipico dei corsi d’acqua montani con bacini alpino. La presenza d’acqua è legata allo
scioglimento di ghiacciai e nevai. Si ha un massimo in estate e un minimo in inverno.
I meandri, inoltre, sono ampie sinuosità del tracciato fluviale, tipici dei tratti planiziali. Il termine meandro
deriva dal fiume anatolico Maiandros, caratterizzato nell’antichità da un andamento particolarmente
serpeggiante. I meandri, originati dalla forza centrifuga della corrente e dall’erosione di terreni a
granulometria media e fine, si evolvono e si muovono attraverso l’asportazione di materiale dalla zona
concava e la sedimentazione nella zona convessa.
L’azione erosiva e sedimentaria sulle due sponde opposte porta da un lato alla migrazione verso valle del
meandro, e dall’altro ad un accrescimento della sua sinuosità e curvatura. In occasione di piene di
particolare intensità si può assistere al taglio del meandro, con l’isolamento del tratto incurvato, che diverrà
un ambiente perifluviale.
La velocità della corrente si misura, generalmente, in metri al secondo (m/s) e varia notevolmente,
considerando sia la colonna d’acqua sia la sezione trasversale del fiume. Infatti, l’attrito delle particelle
d’acqua con le strutture dell’alveo fa sì che la velocità sia maggiore presso la superficie rispetto al fondo, e
al centro dell’asta fluviale rispetto ai bordi.
I sistemi fluviali sono in stretta correlazione con le acque sotterranee. Le falde superficiali possono ricevere
o fornire acqua ai sistemi lotici, a seconda delle particolarità morfologiche e pedologiche dell’area.
Condizioni climatiche e rapporti con le falde acquifere sono alla base della permanenza dell’acqua negli
alvei fluviali. In presenza di climi aridi, con falde molto profonde, l’acqua è presente nei sistemi fluviali solo
in seguito a intense precipitazioni: si parla di fiumi effimeri. Aree con clima mediterraneo, con falde
superficiali, possono presentare sistemi fluviali intermittenti, cioè caratterizzati dalla scomparsa delle acque
superficiali nella stagione secca. Infine, i fiumi perenni sono quelli caratterizzati dalla presenza continua di
acqua e da una buona connessione con il sistema delle acque sotterranee.
Un fiume è essenzialmente acqua in movimento: tutte le caratteristiche ambientali e biologiche dei sistemi
lotici sono plasmate dalla corrente. L’energia di un torrente o di un fiume è legata al volume d’acqua e alla
velocità della corrente, secondo la formula Energia = portata x velocità2.
In realtà, l’energia del fiume viene in parte dissipata e assorbita dall’attrito con il letto fluviale e dal
trasporto di materiale solido, per cui la formula sopra riportata può diventare: Energia = (portata x
velocità2) – (trasporto solido + attrito). Quando prevale la prima parte dell’equazione, nei tratti veloci e
ripidi o in seguito ad aumenti legati alle piene, si ha il fenomeno dell’erosione. Quando le velocità calano, si
ha il trasporto e infine la sedimentazione. Quindi è fondamentale la componente vettoriale della velocità.
L’erosione è la sottrazione di materiale dalle sponde e dal letto del fiume, operata dall’acqua stessa.
L’acqua incide il fondo del fiume e modifica continuamente le rive. L’attività erosiva è un fenomeno tipico
dei tratti fluviali ad elevata intensità di corrente, mentre nei tratti di pianura si manifesta solo in caso di
aumento di portata. A quest’erosione si somma l’erosione effettuata dalle acque meteoriche in alcuni tratti
del bacino idrografico, caratterizzati da condizioni particolari, quali elevata pendenza e scarsa copertura
vegetale.
L'erosione è correlata al trasporto, dato che il fiume trasporta molti elementi in diversi modi: per
flottazione (materiale leggero che galleggia), per sospensione (intorbidiscono l'acqua nella colonna
d’acqua), per soluzione o per saltazione, cioè ciottoli che rotolano e rimbalzano. Il modo di trasportare
dipende dalla velocità della corrente.
Il deposito avviene quando la corrente rallenta. Ovviamente il peso e le dimensioni del materiale incidono
sui pattern de posizionali: al diminuire dell’energia dell’acqua verranno lasciati per primi i materiali più
pesanti, poi via via i materiali più leggeri. Per tale motivo, al variare dell’energia vettoriale dell’acqua varia
la tipologia del substrato, cosicché nei tratti montani venga trasportato verso valle tutto, tranne grossi
ciottoli, mentre nei tratti planiziali il fiume deposita anche il materiale più fine.
I fluidi tendono a un profilo di equilibrio, ma non è detto che i veri fiumi abbiano tutti un profilo di equilibrio
perfetto perché in molti tratti è più alto o più basso del profilo di equilibrio teorico (linea tratteggiata).
Dov'è più bassa la linea, il tutto verrà eroso, mentre dove è più alta verrà depositato.
Noi abbiamo eliminato parte dei sedimenti in modo troppo importante per cui adesso si hanno problemi
legati anche alle alluvioni. Sono stati fatti grandi buchi nel bacino del fiume, per cui esso tende ad avere un
nuovo profilo di equilibrio. Quindi vicino al buco, il fiume inizia ad erodere anche a monte del punto. Infatti
i vecchi ponti sono senza un vero sostegno a terra perché erano appoggiati in punti dove adesso il fiume ha
eroso.

Chimismo delle acque fluviali


La qualità chimica delle acque superficiali dipende da numerosi fattori: composizione chimica della pioggia,
caratteristiche ecologiche e geologiche del bacino, come un bacino con rocce carboniche che sarà molto
ricco di calcare, attività dell'uomo. Inoltre, il carico (cachet) può essere naturale, cioè quello presente
naturalmente come serie di parametri chimici nel tratto di acqua in esame, o antropico, legato alle sostanze
introdotte derivanti dall’attività umana.
In soluzione o in sospensione, le acque possono trasportare molte sostanze chimiche, materia organica e
inorganica, nutrienti, elementi gassosi, che modificano i diversi tratti del fiume. Infatti, vicino alla sorgente il
contenuto salino è più basso.
Il fiume è un ambiente metabolicamente molto attivo perché può metabolizzare molte sostanze: all’interno
del sistema lotico esistono processi operanti a differenti scale, i quali sono responsabili di attività chimica,
cosicché le quantità e le caratteristiche delle sostanze rilasciate dal fiume negli oceani e nell’atmosfera sono
differenti da quelle delle sostanze ricevute.
Generalmente, la caratterizzazione chimica delle acque nel nostro paese si basa su analisi puntuali, mirate a
identificare particolari sostanze, e sull’individuazione delle seguenti caratteristiche:
 Concentrazione ionica: gli ioni maggiormente presenti nelle acque sono Ca2+, Na+, K+, Cl-, SO4-,
HCO3. La concentrazione media complessiva di questi ioni nelle acque superficiali è pari a 100
mg*l-1, con cospicue variazioni locali.
 Conducibilità elettrica: è la capacità dell’acqua di condurre elettricità, che viene misurata in μS cm-
1. La conducibilità è strettamente legata alla litologia della regione, in quanto deriva dalla
solubilizzazione del comparto roccioso: tale parametro è basso nei tratti sorgentizi e montani,
mentre cresce verso valle. L’attività dell’uomo spesso provoca un sensibile aumento della
conducibilità. Per catturare i pesci, infatti, si usano gli elettrostorditori, che creano un campo
elettrico nell'acqua per stordire i pesci ed effettuare i campionamenti. Questo attrezzo deve essere
tarato in base alla conducibilità del fiume, per esempio essa vicino al mare è più alta perché l'acqua
è ricca di iodio.
 Durezza: è la quantità di ioni calcio (Ca2+) e magnesio (Mg2+) presente in acqua. E' importante per
alcune comunità. Per esempio, le acque più dure sono più ricche di molluschi che usano quei
composti per costruire le conchiglie. Questa quantità è legata al substrato litologico drenato dal
sistema fluviale: rocce sedimentarie e calcaree forniscono elevate quantità di sali carbonatici e di
magnesio, innalzando la durezza delle acque superficiali. Le unità di misura sono i gradi francesi
dove 1 grado corrisponde a 10 mg di CaCO3 per litro d’acqua. Le acque sono quindi classificate in
dolci (°f < 14) o in dure (°f > 32).
 pH: è la misura dell’acidità o della basicità di una soluzione. Questo parametro è legato alla
quantità di ioni idrogeno H+ disciolti in acqua: varia da 0 a 14, con l’acqua distillata che presenta pH
neutro, cioè 7. Il pH delle acque fluviali si attesta su valori compresi nell’intervallo 6,5-8,5 e dipende
dalla composizione chimica delle rocce e dei suoli. Le acqua superficiali possono acidificarsi a causa
dell’attività dell’uomo: l’inquinamento atmosferico, con l’aumento di acidi solforici e nitrici,
provoca la ricaduta di piogge acide che abbassano drasticamente il pH delle acque dei laghi e dei
fiumi che le ricevono. Se il pH del fiume si abbassa al di sotto di 4,0 questo cessa praticamente di
esistere come sistema biologico.
 Solidi sospesi: Le acque dei fiumi contengono naturalmente diverse quantità di piccole particelle
solide, che vengono trasportate verso valle in sospensione nella colonna d’acqua. Queste particelle
sono costitute da materiali solidi non disciolti di diversa origine, che entrano nelle acque superficiali
grazie alla diffusa e capillare azione di drenaggio e raccolta, svolta dal reticolo idrografico. La
quantità di solidi sospesi esercita influenza su diversi aspetti dell’ecologia dei sistemi lotici,
condizionando la trasparenza e il regime termico di un tratto di fiume. In molti fiumi, però, vi può
essere un innaturale aumento del trasporto solido e sedimenti fini, in cui le trote, per esempio,
hanno aspetto meno sano perché i solidi sospesi hanno effetti letali, come l'alterazione nella
riproduzione. Infatti, le trote depositano le uova normalmente tra i ciottoli dopo aver pulito l'area
dal sedimento fine (clogging). Nell'ambiente alterato non può avvenire ciò perché il sedimento fine
limita l'ossigenazione facendo marcire le uova. Adesso vi sono numerosi strumenti per limitare
l'alterazione chimica, come la depurazione.
 Nutrienti: azoto e fosforo sono i nutrienti più importanti nelle acque fluviali, ove costituiscono
elementi limitanti per la produttività primaria. I loro livelli sono bassi nelle acque meteoriche e
aumentano lungo il corso fluviale, dalla sorgente alla foce. L’arricchimento di nutrienti causato da
attività antropiche provoca l’eutrofizzazione delle acque. L'azoto, inoltre, viene ricavato dalla
zootecnia. Infatti esistono paesi in cui il numero di maiali è 5 volte il numero di abitanti, per cui il
carico organico è elevato. Per legge è fondamentale avere un'area enorme per spargere i liquami e
dei depuratori. Quindi il carico di nutrienti si è espanso nella Pianura Padana. Se si concima, il fiume
in zone in cui la corrente è bassa vi sono esplosioni algali filamentose che, quando cambiano le
condizioni ambientali, muoiono decomposte da batteri.
 Sostanza organica: è alloctona o autoctona e naturale o antropica. Può essere DOM, cioè sostanza
organica disciolta (< 0,45 μm), FPOM, cioè sostanza organica particellata fine (0,45 μm – 1,0 mm),
CPOM, cioè sostanza organica particellata grossolana (> 1,0 mm). Si misurano con COD e BOD
(domanda chimica e biologica di ossigeno). Questi metodi misurano la quantità di ossigeno
necessaria per ossidare la sostanza organica disciolta in un dato campione: maggiore sarà questa
quantità e maggiore sarà il carico organico.
 Ossigeno: è un gas fondamentale che dipende dalla temperatura: la curva di solubilità è
inversamente proporzionale alla crescita di temperatura. La presenza di ossigeno varia anche in
base alla velocità della corrente, alla turbolenza, alla respirazione e alla fotosintesi. L’ossigeno è
presente nelle acque correnti principalmente grazie alla diffusione dall’atmosfera. Infatti, nei
sistemi fluviali la produzione interna di ossigeno da parte dei vegetali è molto ridotta rispetto a
quanto avviene nei laghi, ove le piante vascolari e il fitoplancton possono generare ingenti quantità
di questo gas con l’attività fotosintetica. La saturazione di ossigeno si raggiunge quando nell’acqua
è disciolta una quantità di ossigeno pari alla solubilità a quella temperatura.
 Temperatura: l’acqua riceve calore direttamente dall’irraggiamento solare e indirettamente per
conduzione del terreno che attraversa. Il regime termico delle acque del fiume dipende dal clima,
dalla dimensione dell’alveo, dall’altitudine, dalla latitudine, dalla copertura arborea, dalla velocità
di corrente (acque lenti si scaldano di più). C'è un rallentamento tra il picco di energia radiante
solare e il picco di calore di un fiume. La temperatura sarà maggiore quando anche il terreno
intorno è caldo. Cambiare la temperatura di un fiume significa cambiare la fenologia degli
organismi, per esempio le uova schiudono prima se fa più caldo. Gli effetti possono essere diretti,
che agiscono direttamente sugli organismi che vivono nel fiume, come pecilotermi, o indiretti, che
agiscono sulla componente abiotica, come ossigeno e temperatura.
 Substrato fluviale: composizione e granulometria del substrato sono elementi di fondamentale
importanza negli ambienti di acqua corrente. Il substrato è un elemento variabile, sia su grande sia
su piccola scala: da monte verso valle, via via che l’acqua corrente diminuisce la sua forza vettoriale
e perde la sua capacità di trasporto, vengono depositate particelle sempre più fini.

Classificazione longitudinale dei fiumi


Il crenon è la sorgente, caratterizzata da portata e temperatura generalmente costanti e acque oligosaline.
Viene suddiviso in eucrenon, se si tratta di una sorgente vera e propria, e in hypocrenon, se si parla di
un’asta della sorgente.
Il rhithron è il tratto torrentizio, cioè la prima parte del corso d’acqua, dalle sorgenti fino a quel punto a
valle in cui la temperatura media mensile non supera i 20°C. La velocità della corrente è elevata, con acque
fredde, ossigenate e turbolente, mentre le portate sono basse. Il substrato è composto da rocce, ghiaia,
sabbia grossolana. Solo in alcune pozze laterali o al riparo di grossi massi si può verificare un deposito di
materiale fine.
il potamon è invece il fiume vero e proprio, caratterizzato da portate notevoli, alveo ampio e scarsa
pendenza. La temperatura delle acqua nel periodo estivo può essere anche molto elevata. La granulometria
del substrato diminuisce e il fondale è costituito da sabbia, limo e raramente ghiaia.

La vita nei sistemi fluviali


Thomas Belt nel 1874 fece una serie di viaggi insieme a Darwin in cui capì che le specie sono diverse nei
diversi luoghi del mondo. Ma nei luoghi fluviali questo non accade perché gli organismi vivono bene in tutti
i fiumi del mondo, essendo che è un sistema sempre uguale, per cui è un ambiente conservativo rispetto
agli altri. Infatti, gli organismi più primitivi sono quelli ben adattati ai fiumi, dato che vi è stata la necessità di
evolvere, dato che il fiume è più o meno sempre lo stesso.
Negli ambienti fluviali vediamo il benthos, cioè organismi che vivono sul fondo, dato che essere planctonico
nel fiume non è molto utile, essendoci la corrente. Il poco plancton presente vive in alcune zone in cui c'è
pochissima corrente, come pozze, lanche, tratti potamali e zone deposizionali. I necton, invece, sono gli
organismi che vivono nella colonna d'acqua e nuotano attivamente. Gli organismi neustonici invece sono
quelli che vivono sulla superficie dell'acqua. I batteri vivono tra gli interstizi del substrato, sulla sua
superficie, o galleggiano nell'acqua. Formano biofilm, la sottile patina vivente che ricopre rocce e radici
sommerse e che costituisce un particolare microhabitat, in cui alghe unicellulari autotrofe, ife fungine e
batteri eterotrofi vivono in una matrice polisaccaridica e si accrescono con una stretta interdipendenza.
Particolarmente importanti sono inoltre le comunità batteriche che si nutrono di sostanza organica in
decomposizione. Batteri autotrofi, come cianobatteri e cianofite, sono diffusi in diversi habitat fluviali e
possono raggiungere enormi densità in caso di eutrofizzazione.
I protozoi costituiscono un raggruppamento eterogeneo di organismi eucarioti unicellulari o coloniali. Nelle
acque correnti, i protozoi colonizzano le aree a debole corrente e comprendono amebe, flagellati e ciliati.
Questi sono generalmente predatori di batteri o altri protozoi, anche se alcuni ingeriscono alghe unicellulari
e altri sono fotosintetizzatori.
Sono presenti anche funghi, soprattutto nei fiumi di basso ordine. Sono ifomiceti o ingoldiani perché furono
descritti per la prima volta da Ingold. Questi organismi demoliscono sostanza organica grossolana, per
esempio, demoliscono le foglie. Vivono nel fiume perché hanno adattamenti particolari, dato che l'acqua si
muove. Quindi le loro spore, dette conidi, hanno forme di uncini o ancora perché tendono ad aggrapparsi al
substrato per non essere spazzate via. Questi funghi producono, inoltre, schiume bianche molto dense in
ambiente turbolento che servono affinché le ife e le spore restino agganciate lì fino a quando non crescono,
in modo che le generazioni successive rimangano lì, dato che si tratta di un posto ricco di cibo.
Altri organismi importanti sono le alghe, cioè i principali produttori primari degli ecosistemi acquatici. Esse
formano il periphyton, cioè plancton attaccato al substrato che forma biofilm e organismi bentonici
(diatomee), oppure phytoplancton se sono presenti nella colonna d’acqua. Possono essere di diversi tipi e
vivono nelle zone in cui vi sono i substrati: epilitiche (rocce), epifitiche (vegetali sommersi), epipeliche
(limo), epizoiche (animali), epipsammiche (sabbia), epidendriche (legni sommersi). Le diatomee sono il
gruppo più importante di alghe fluviali, che possono essere sia coloniali sia solitarie. Hanno forma pinnata,
teca silicea con due valve.
I licheni sono organismi derivanti dalla simbiosi tra un autotrofo e un eterotrofo, dotto micobionte. Sono
organismi che colonizzano prevalentemente ambienti terrestri, insediandosi su substrati rocciosi o
colonizzando la corteccia degli alberi. Esistono, però, anche licheni acquatici presenti soprattutto in
ambiente montano e nelle sorgenti, che vivono su rocce grandi, acide, soleggiate.
Le briofite, cioè i muschi hanno come necessità il fatto di avere bisogno di un alveo ombreggiato, CO2 e un
substrato grossolano. Si trovano nei tratti di cascate, ma mai in piano. Il muschio fa rallentare la corrente,
quindi modifica il substrato, in cui è più possibile il deposito di sedimenti. Ci possono essere anche piante
vascolari, ma sono molto rare perché vi è saltazione di massi, ombreggiatura, scarsità di nutrienti, torbidità
e profondità dell’acqua. Per questo, la presenza di macrofite è limitata l’ungo l’asta fluviale, soprattutto
nella zona pedemontana, dove vi sono le condizioni migliori di crescita: si parla di fascia delle macrofite.
Vi sono poi organismi zooplanctonici, legati ad ambienti di fiumi grossi. Abbondano infatti nei laghi e nei
mari, mentre nei fiumi sono pochi. Possono essere protozoi, rotiferi, microcrostacei, ditteri e larve.
Numerosi studi italiani evidenziano come i bacini lentici perifluviali siano aree estremamente ricche di
fauna planctonica sottolineando anche come i laghi possano essere un’importante area di origine del
plancton dei sistemi lotici ad essi collegati.

Meiofauna
Con questo termine viene indicato un gruppo di organismi acquatici bentonici, aventi dimensioni comprese
tra 63 e 1.000 μm e particolari adattamenti alla vita negli interstizi del sedimento fluviale. Tra i fattori che
influenzano la ricchezza e la distribuzione delle comunità meiofaunali possiamo ricordare la granulometria,
l’ossigenazione del substrato, la temperatura, la quantità di sostanza organica, le condizioni idrauliche a
livello del microhabitat.
Gli organismi appartenenti alla meiofauna non presentano in genere particolari adattamenti per sopportare
gli stress idraulici che caratterizzano gli alvei dei fiumi, e prediligono quindi microambienti in cui la corrente
è più lenta, come pozze e aree laterali deposizionali; questi animali sono, inoltre, particolarmente
abbondanti nelle zone crenali e nella fascia interstiziale e iporreica. Essi sono di vari tipi:
1. Rotiferi: organismi pseudocelomati, divisi in monogononti planctonici e bdelloidei bentonici.
Possiedono una regione apicale ciliata, detta corona, e una faringe detta mastax. La partenogenesi
è il sistema riproduttivo più diffuso e sono microfiltratori, che si nutrono di batteri e alghe
unicellulari. Li troviamo nei tratti potamali e nel tratto medio del fiume.
2. Gastrotrichi: sono pseudocelomati che popolano gli interstizi e la vegetazione sommersa,
prediligendo acque ricche di nutrienti. Formano stadi di resistenza, come uova durature, che
permettono di superare periodi di stress ambientale.
3. Nematodi: sono vermi cilindrici, non segmentati, diffusi sia in acque interna sia nei mari e sulle
terre emerse. Hanno modalità di vita interstiziali e fossorie e sono i più diffusi negli ambienti fluviali.
4. Tardigradi: sono metazoi dal corpo allungato e simmetrico, con 4 paia di tozze zampe terminanti
con unghioni. Hanno un apparato boccale succhiante, con acuminati stiletti estensibili e una
potente faringe muscolare.
5. Idracari: sono artropodi chelicerati che hanno un ciclo vitale unico, con uno stadio larvale e due
stadi quiescenti simili ad una pupa. Le larve sono esapode e parassite, mentre gli adulti hanno
quattro paia di arti articolati e sono predatori.
6. Ostracodi: corpo e appendici sono racchiusi nel carapace, formato da due valve compresse,
calcificate e dotate di muscoli adduttori. Inoltre, hanno il capo e il corpo fusi senza occhi composti.
Si nutrono di particellato organico fine e di microfauna e microflora.
7. Cladoceri: possono presentare appendici natatorie ed essere planctonici oppure essere bentonici
e interstiziali. Un esempio è la pulce d’acqua.
8. Copepodi: sono microcrostacei caratterizzati dalla presenza di un cefalosoma dorsalmente
protetto da uno scudo e da un addome formato da segmenti e terminante con due rami caudali,
portati sull’ultimo somite.

Macroinvertebrati
I macroinvertebrati sono organismi appartenenti a gruppi diversi, accomunati da varie caratteristiche, come
avere una taglia finale sopra 1 mm, per cui possono essere raccolti con rete a fori micron.
Vi sono, per esempio, le spugne cioè poriferi, che hanno ciclo vitale particolare e crescono solo d'estate,
mentre superano il periodo invernale stressante sottoforma di cellula uovo, zigote, che poi si sviluppa in
estate dando origine al ciclo.
Gli cnidari sono parenti dei coralli, sono principalmente marini, ma vi sono idrozoi e meduse anche nelle
acque dolci. La medusa è presente come polipo d'inverno, ma poi d'estate è presente come medusa vera e
propria. E' cosmopolita perché è presente in tutti gli habitat fluviali.
Vi sono i turbellari, come le planarie, i briozoi, cioè organismi bentonici che formano colonie, anellidi, come
le sanguisughe, molluschi, come bivalvi (cozze), crostacei, come il gambero da fiume (anfipodi a
compressione laterale, isopodi schiacciati dall'alto, e decapodi), il granchio di fiume, che mangia fuori
dall'acqua e poi si rifugia in quest’ultima. I crostacei sono fondamentali per il nutrimento delle trote:
qualunque trota è salmonata perché il colore deriva dai crostacei che si mangiano, assumendo i carotenoidi
dell'esoscheletro.
Esistono anche insetti acquatici: plecotteri indicatori di buona qualità (stenoeci), efemerotteri, tricotteri,
coleotteri (rappresentano 1/4 delle specie animali conosciute), odonati (libellule), ditteri, eterotteri (cimici e
cicale) Vi sono anche lamprede, quindi agnati. Per finire, vi sono 50 specie di pesci autoctoni, di cui 13
endemici con problemi enormi di conservazione.
Organizzazione funzionale dei sistemi lotici
Nei sistemi terrestri vi sono consumatori secondari che si nutrono di consumatori primari che mangiano
produttori (catena del pascolo): è la piramide degli ambienti terrestri. La stessa piramide la troviamo negli
ambienti lentici, cioè laghi e mari o oceani: il pesce mangia plancton, che mangia fitoplancton.
Nei fiumi, invece, la piramide non c’è perché vi sono consumatori secondari anche molto grossi (ad
esempio trote di 2 kg), che mangiano consumatori primari (invertebrati presenti fino a 4.000 in un m2 di
fiume), ma gli ecosistemi fluviali non hanno i produttori. Sono, infatti, sistemi molto diversi rispetto ai
terrestri e ai lentici. La piramide è appoggiata su una base che non esiste o che non esiste in maniera di
elevata biomassa per mantenere gli organismi primari e secondari. Fuori dall’alveo, però, vi sono numerose
piante che effettuano fotosintesi, ma dentro le acque no.
I fiumi sono ambienti inospitali per le piante perché nel tratto montano l'alveo è molto pendente, per cui la
velocità dell’acqua è elevata (curva di Huston) e la capacità di erosione anche. Quindi alla pianta vengono
strappate le foglie oppure vengono strappate le radici, che impediscono l’ancoraggio. Nei tratti più in basso
i fiumi sono profondi, torbidi, per cui la pianta non riesce a ricevere la luce se è ancorata sul fondo. Se è
flottante, la corrente la porta via, se ha radici sotto e foglie sopra, appena c'è una piena viene strappata.
L'unico tratto in cui il fiume può ospitare piante è il tratto di raccordo tra montagna e pianura, in cui la
velocità è minore e la profondità e la torbidità non sono tali da impedire la crescita delle piante: si parla di
fascia delle macrofite. I fiumi sono anche ambienti inospitali per il fitoplancton perché viene portato via
dalla corrente.
L'energia nei fiumi, quindi, arriva da fuori, da altri sistemi. La produttività dei fiumi è minore rispetto alla
sua respirazione. E' legata a foglie, rami, materiale vegetale che viene creato nel bacino e raggiunge il
reticolo fluviale attraverso il trasporto. Per cui la produttività è legata agli ambienti terrestri che il fiume
drena. I fiumi quindi sono sistemi eterotrofi perché “mangiano fuori”. Si prestano a depurare le acque
reflue perché predomina la catena del detrito, cioè il consumo di organismi produttori morti o frammenti di
essi, e non quella del pascolo, come negli altri sistemi. I depuratori che versano in un lago, infatti, devono
essere diversi perché il lago ha una catena del pascolo. Il depuratore, invece, funziona bene nel fiume
perché quest’ultimo smantella il materiale organico. Il flusso dell'energia è lineare, non ciclico, e nel fiume
si manifesta come detrito.
E' difficile parlare del fiume come un ecosistema chiuso, ma è una successione di ecosistemi, ovvero
ecosistemi aperti perché hanno un bilancio energetico con più elementi. In un tratto di fiume, il
metabolismo generale e quindi le dinamiche energetiche possono essere illustrate e sintetizzate da: I + P =
R + E + D. I è input energetico alloctono, cioè l’energia prodotta nel bacino o nel tratto a monte e
convogliata nel segmento esaminato; P è la produzione primaria interna; R è la respirazione; E è
l’esportazione di energia ad opera della corrente; D è il detrito organico.
Le foglie possono entrare nel fiume direttamente oppure essere già state trasformate a monte, sempre
come I. Parte dell’energia viene respirata, parte diventata detrito e parte esportata ai tratti successivi dei
fiumi. Un depuratore che non funziona immette troppa I, per cui si aumenta o D come detrito o E come
esportazione verso valle. Il problema del carico organico si trasmette quindi da quel punto in giù e non è
limitato a quel tratto.
Esiste un'energia prodotta dentro il fiume dalle poche alghe presenti nei fiumi (diatomee), sottoforma di
materiale organico autoctono. Dove c'è un maggiore carico organico vi sono più produttori primari. Quindi
se ci basassimo solo sulla produttività delle alghe, non ci sarebbero consumatori primari o secondari perché
la produttività sarebbe troppo bassa. In teoria, l’alga produce di più d'estate, ma ha un crollo tra maggio e
giugno perché la velocità della corrente aumenta dato che l'acqua non è più ghiaccio, per cui le alghe
vengono erose. Appena smette di sciogliersi la neve, le alghe proliferano di nuovo, dato che le giornate si
allungano. Quando si riduce il fotoperiodo, sono meno produttive. CPOM è particellato organico
grossolano, costituito in gran parte da foglie e frammenti vegetali alloctoni, derivanti dalla vegetazione
terrestre. FPOM, invece, è il particellato organico fine, costituito dallo sminuzzamento di CPOM, feci di
vertebrati, particelle organiche trasportate dal vento e dalle acque di dilavamento. DOM, infine, sono
particelle organiche minuscole che entrano dalle acque sotterranee o dalle acque di dilavamento del suolo,
originandosi per lisciviazione dalle foglie oppure come essudato dei produttori primari autoctoni. E’
principalmente costituito da acidi fulvici, umici e idrofilici, carboidrati, zuccheri, amminoacidi, batteri, virus
e sostanze colloidali.
Il materiale organico prodotto internamente alimenta la catena trofica del pascolo, mentre il materiale
alloctono e quello autoctono non vivente alimentano la catena trofica principale del fiume, cioè la catena
del detrito.

Input energetici alloctoni


Il fiume fa il pieno di materiale organico in autunno quando cadono le foglie e arrivano nel reticolo. Qui
vanno incontro a un processo lento di decomposizione perché le piante, quando cadono le foglie, le privano
di nutrienti così da non perdere energia.
Il primo passo per la degradazione è la lisciviazione, cioè un passaggio abiotico in cui la foglia perde una
parte di peso perché l'acqua porta via parte delle sostanze presenti in essa, cioè i composti solubili.
Dopo ciò, intervengono ifomiceti e batteri che degradano la foglia. Senza condizionamento microbico
(conditioning) le foglie, infatti, non sono appetibili dal resto della catena trofica, dato che gli invertebrati
non riescono a digerire cellulosa. Lo step successivo è il consumo da parte degli invertebrati che mangiano
funghi e batteri presenti. Il consumo può essere diretto per gli organismi che mangiano direttamente la
foglia, tagliandola, in cui l’attività (orts) e le loro feci (pellets) producono FPOM, che viene mangiato da altri
organismi che non sono consumatori diretti, ma indiretti. Quindi la benzina entra e poi si trasforma nel
fiume. Tutto questo sistema dura tantissimo: fino a 250 giorni a partire dalla foglia che cade, quindi
alimenta il sistema per tanto, anche perché passati questi giorni è di nuovo autunno. Il massimo di
biodiversità e abbondanza dei sistemi fluviali si ha nel periodo invernale. Quindi importante è l’input
energetico autoctono e alloctono.
Importante è vedere se il fiume digerisce bene, cioè verificarne la capacità metabolica.
Webster e Benfield crearono un modello esponenziale relativo alla decomposizione degli ammassi fogliari,
regolato dall’equazione Wt = Wi e-kt. Qui il peso di un ammasso di foglie in un fiume dipende dal peso
iniziale delle foglie (Wi), dal tempo t trascorso e dal tasso di decomposizione degli organismi (k). In teoria il
peso finale è minore rispetto a quello iniziale: K dipende anche dal tipo di foglie, se sono facilmente
assimilabili o no, dalla temperatura (più è elevata più è alta k), da quali invertebrati e da quali funghi o
batteri sono presenti nel fiume. Se la biocenosi è ricca di invertebrati, funghi e batteri, la decomposizione
sarà più veloce. Si tratta di studi applicati.
A parità di tempo, il fiume che ha digerito meglio, quindi che ha maggiore biodiversità e salute, è quello in
cui c'è meno detrito. Questo significa che il fiume è poco inquinato, dato che la sua capacità metabolica è
elevata. Le foglie sono anche importanti come microhabitat. L'associazione tra cicli vitali e foglie vale nelle
zone in cui cadono le foglie, mentre nelle zone tropicali non vi è un periodo fisso di caduta delle foglie, ma
cadono in periodi diversi durante tutto l'anno. Per cui vi è modesta attività primaria, ma elevata produttività
secondaria.
Le trote, per esempio, fanno le uova in inverno perché quando gli avannotti schiudono si trovano nella fase
in cui il fiume è pieno di insetti, per cui hanno molto da mangiare. La caduta delle foglie, quindi è
fondamentale per la ciclicità dell’energia e della biomassa del sistema.

Leaf bags method


Per studiare l'attività metabolica di un fiume, si usa un metodo particolare: si fanno pacchetti di foglie
numerati che si immettono nel fiume, si pescano a intervalli regolari, per avere un'idea del tasso di
metabolizzazione del fiume. Nel mondo anglosassone viene utilizzato molto questo metodo per capire lo
stato di salute del fiume.
La vegetazione alloctona può essere un problema, come l'eucalipto, le cui foglie non vengono degradate
dagli insetti. Infatti i fiumi degli spagnoli sono diminuiti di produttività perché erano stati introdotti molti
eucalipti. Ovviamente è sempre meglio che vi siano piante difficili da degradare, piuttosto che non ve ne
siano affatto, rischiando di non avere più benzina per il fiume.

FFG (raggruppamenti trofici funzionali)


Gli organismi presenti nel fiume si possono dividere tassonomicamente oppure in base alla nicchia
ecologica o trofica, cioè in base a come mangiano e a che lavoro fanno dal punto di vista ecologico. I gruppi
trofico - funzionali sono 5, alla base della moderna ecologia fluviale:
1. Tagliuzzatori (shredders): mangiano foglie, tessuti vascolari, legno, CPOM, cioè particellato
organico grossolano.
2. Raschiatori (scrapers): mangiano biofilm e sostanza organica interna al sistema. Hanno forme
idrodinamiche perché le alghe vivono dove c'è molta corrente, dove c'è poco deposito. Hanno
apparati specializzati per svolgere il loro compiti, come unghie o strutture di adesione al substrato.
3. Raccoglitori (collectors): mangiano FPOM dal fondo, cioè particolato organico fine derivante dai
gruppi precedenti. I raccoglitori sono ditteri e coleotteri, principalmente.
4. Filtratori (filterers): raccolgono FPOM dalla colonna d'acqua, cioè materiale in sospensione.
Alcuni fanno reti, altri ventagli per raccoglierlo.
5. Predatori: si nutrono di tutti i gruppi precedenti, per esempio cimici acquatiche o larve.
Questa suddivisione è stata alla base della nascita della moderna ecologia fluviale, mentre prima tutto
faceva parte di idrobiologia con i laghi e le altre acque interne.
Nei tratti di basso ordine (piccoli fiumi), la quantità di foglie è enorme perché l'ampiezza del fiume rispetto
alle foglie è tale da essere abbondante. In questi contesti la P interna/R è minore di 1, cioè vi sono molti
consumatori, ma pochi produttori, infatti vi sono tagliuzzatori, dato che la maggior parte del materiale è
CPOM. Via via che si procede nel tratto verso pianura, vi sono i produttori interni, così P/R è maggiore di 1
perché l'importanza della CPOM diminuisce e i raschiatori aumentano a discapito dei tagliuzzatori.
Più a valle, in un fiume grandissimo, le foglie sono in percentuale modesta perché la maggior parte
dell'energia deriva dalle foglie a monte che sono già state macinate. Si ha FPOM, per cui dominano
raccoglitori e filtratori.
Quindi i fiumi sono una serie di ecosistemi in continuo, in cui al variare delle caratteristiche, variano gli
input energetici (river continuum). Ovviamente, il reticolo idrografico è capillare, per cui il numero di assi di
primo ordine è elevata tanto da dare un'elevata presenza di foglie e materiale organico.

Spiraling dei nutrienti


Lo spiraling, cioè spiralizzazione, è un processo fondamentale. Si tratta di un ciclo: vede una particella che fa
un percorso in un contesto abiotico e poi entra in un comparto biotico.
Nei fiumi la ciclicità viene modificato dalla corrente e dal fatto che sono ambienti unidirezionali da monte
verso valle, per cui la ciclicità è una spirale.
Le spire sono più vicine quanto più l'ambiente è ricco di vita, cioè biodiverso, perché la stessa sostanza
catturata da un'alga poi finisce nel vertebrato, e via così, quindi la particella di nutriente rimane
imprigionata. Se invece le comunità sono povere, le spire sono separate e la particella va veloce verso valle
perché non c'è trattenimento nel contesto biotico, per cui si disperdono i nutrienti.
Quindi si favorisce eutrofizzazione dei bacini a valle, come laghi e mari, se vengono dispersi i nutrienti.
Semplificando, la lunghezza della spira è data da S = Sa + Sb, cioè parte abiotica più parte biotica.

Flood Pulse Concept (FPC)


FPC mette in risalto la stessa interdipendenza esistente tra i grandi fiumi e la loro area di esondazione: tra
corpo idrico e pianura alluvionata esiste infatti un enorme scambio di nutrienti, acqua organismi, che
modella profondamente la struttura delle cenosi acquatiche e il funzionamento dell’intero sistema. Quindi,
quando il fiume esce dall'alveo nelle pianure, si appropria di una parte di nutrienti dell'ambiente terrestre,
che ritornano nel fiume quando esso rientra. Per questo è un ambiente eterotrofo.

Organizzazione gerarchica dei sistemi fluviali


L’ecologia fluviale abbraccia fenomeni e strutture che si estendono su 16 ordini di grandezza dalla materia
organica disciolta ai grandi reticoli idrografici, dalle interazioni trofiche della meiofauna al modellamento
delle piattaforme continentali. Tutte queste ricerche hanno portato a vedere fiumi come sistemi
interconnessi all'ambiente circostante che attraversano.
I corsi d’acqua sono ambienti con una spiccata multidimensionalità: sono riconoscibili una dimensione
trasversale, una dimensione verticale e una dimensione longitudinale. Esiste poi una quarta dimensione
temporale, legata al trascorrere delle stagioni e più in generale del tempo. Iporeos (parte iporeica) è la
parte sotto il flusso, cioè la zona in cui c'è scambio tra acque superficiali del fiume e falde acquifere, mentre
la fascia interstiziale è in superficie ed è importante perché è una zona di rifugio durante condizioni
idrologiche sfavorevoli; è una “nursery zone” per uova e stadi larvali di numerosi gruppi; e presenta
migrazioni stagionali, per evitare aumenti delle temperature.
Le comunità macrobentoniche degli ambienti lotici prealpini non hanno evoluto strategie ed adattamenti
per superare i periodi di secca perché hanno dispersione prevalentemente acquatica, lunga durata dei cicli
vitali, dimensioni medio - grandi, scarsa capacità di sopravvivere nelle zone – rifugio come la zona sub
alveare.

Gli ambienti acquatici marginali


La connettività è il livello di connessione tra l’asta fluviale principale e i sistemi lentici perifluviali, quali
lanche abbandonate, stagni, paludi e laghi di cava. Il livello di connettività può variare dalla connessione
permanente, quando esistono collegamenti diretti tra sistemi lentici e fiume, alla connessione episodica e
limitata ai momenti di massima portata e quindi di esondazione del fiume.
Le aree umide perifluviali sono quindi sistemi complessi ed estremamente importanti, che negli ultimi anni
hanno attirato una crescente attenzione principalmente per due ragioni:
1. Elevata dinamicità biochimica all’interno del sistema alluvionale: sono reattori naturali in grado di
rimuovere notevoli quantità di azoto dalle acque, grazie ai cospicui processi di denitrificazione
legati all’attività della vegetazione bentonica e della comunità bentonica e della comunità
microbica. Inoltre, sono ambienti particolarmente dinamici negli scambi di ossigeno, anidride
carbonica e metano, e aree tampone in grado di attenuare e regolare gli scambi chimici tra bacino e
asta fluviale.
2. Elevata biodiversità.
Gli ambienti ripariali, cioè le sponde vegetate dei fiumi, sono zone di ecotono, cioè di transizione tra due
sistemi ecologici. Esse ospitano, in condizioni naturali, particolari associazioni vegetali, con specie
caratterizzate da elevata idrofilia, robusti apparati radicali e spiccata flessibilità del fusto. La presenza di una
fascia vegetata ripariale ben strutturata garantisce ombreggiatura dell’alveo, elevato input organico
alloctono, stabilità dell’alveo e delle sponde, riduzione della velocità della corrente, azione tampone.
L'impatto dell’uomo
I fiumi sono gli ambienti più modificati dall'uomo nel mondo da sempre. Per esempio, le modifiche del
medioevo oppure dei Romani.
La parte biotopica dei fiumi, infatti, è cambiata sia morfologicamente sia per la presenza dell'uomo, dato
che si utilizza l'acqua per far girare le turbine, per l’irrigazione, per la depurazione. Per questo, vi sono
alterazioni delle attività chimico-fisiche: un quarto dei fiumi italiani possono essere considerati molto
inquinati, con percentuali superiori in Campania, Lazio, Sicilia e Sardegna.
Per indicare la situazione dei fiumi a livello di inquinamento, si usano 5 colori: azzurro (situazione perfetta),
verde (situazione buona), giallo (situazione intermedia), arancione (situazione cattiva) e rosso (situazione
pessima). Predominano il giallo e l’arancione vicino ai grandi centri abitati, mentre vi sono molti fiumi verdi
e pochissimi azzurri. La maggior parte dei fiumi che conosciamo italiani sono una via di mezzo, quindi gialli
o verdi. Il problema della contaminazione chimica è ancora un problema da risolvere e la comunità europea
ci sta sanzionando perché non abbiamo aumentato la qualità dei sistemi fluviali.
L’inquinamento delle acque superficiali può essere definito come l’introduzione nei sistemi fluviali di
materia o energia da parte dell’uomo, in modo diretto o indiretto, con conseguenze negative per
l’ecosistema e la salute umana. Esiste un inquinamento puntuale, puntiforme perché si può individuare
sulla cartina in quel punto lì, e un inquinamento areale, come quello agricolo, che coinvolge una grande
area di agricoltura, alterata chimicamente con prodotti per renderla più produttiva. Per quanto riguarda le
sorgenti puntuali, è importante il caso del fiume Bormida, che ha l’acqua color del sangue raggrumato
perché porta via i rifiuti dalle fabbriche di Cengio e sulle rive non cresce più un filo d’erba. Dopo la chiusura
della fabbrica principale, ACNA, vi è stato un rapido recupero, con condizioni funzionali discrete e il ritorno
di comunità abbastanza ben strutturate.
Oltre alla diversa diffusione di inquinamento, vi sono diverse tipologie di inquinamento:
1. Contaminazione organica: è la più diffusa nel nostro Stato e nei paesi del terzo mondo. E' un
problema perché la sostanza organica di origine antropica impatta sulla quantità di ossigeno
presente nei fiumi, per cui riduce la vita degli organismi, dato che non possono avvenire reazioni
ossidative importanti nell'autodepurazione. L'ossigeno crolla perché la sostanza organica attira
decompositori (batteri o funghi saprofagi) che fanno parte della catena del detrito, i quali respirano,
per cui viene consumato l'ossigeno e non ce n'è più per gli altri organismi. Si misura, in questo caso,
il BOD, cioè la domanda biologica di ossigeno.
2. Eutrofizzazione: è l'aumento di fosforo e azoto nel corso d’acqua, cioè di fertilizzanti che arrivano
dai campi coltivati e fanno proliferare le alghe. Avviene più in laghi e mari perché l’acqua è calda e
ferma. Le alghe muoiono di inverno e la biomassa algale diventa detrito, che innesca la catena del
detrito, per cui non c'è più ossigeno per i pesci, che muoiono. In Italia abbiamo un po' tamponato il
problema perché vi sono leggi severe sul rilascio dei fertilizzanti.
3. Inquinamento da metalli pesanti: è legato alle attività industriali, anche se in parte può derivare
dall’immissione in atmosfera dei gas di scarico e della conseguente precipitazione delle acque
meteoriche. I principali metalli sono ferro, manganese, piombo, cadmio, rame, cromo, mercurio, il
quale causa bioaccumulo e biomagnificazione.
4. Tensioattivi e sostanze detergenti: si tratta di detergenti che creano una serie di problemi al
fiume perché formano un layer, cioè una patina che impedisce gli scambi tra acqua e ossigeno.
5. Inquinanti inorganici: sono sostanze che, anche se sono presenti in piccole quantità, hanno effetti
dannosi. Ogni anno infatti vengono prodotte sostanze di sintesi, che poi vengono rilasciate
nell'ambiente, ma il loro destino è ignoto perché con le analisi chimiche non si trovano. L'analisi
chimica, infatti, ha estrema capacità di analisi, cioè si concentra su una singola sostanza, ma se non
ho il kit giusto per un'altra sostanza, non vedo quest’ultima.
6. Riscaldamento delle acque: l’innalzamento delle temperature provoca una riduzione
dell’ossigeno disciolto e spesso aumenta la tossicità delle sostanze inquinanti presenti
nell’ambiente. Inoltre, il riscaldamento ha effetti diretti e indiretti sugli organismi acquatici,
alterando i cicli vitali e banalizzando le comunità fluviali.
7. Contaminazione radioattiva

Alterazioni morfologiche
E' evidente nelle zone urbane, ma è comunque diffusa in gran parte degli ambienti fluviali. A partire dai
primi anni del Novecento si sono verificati i più importanti processi di trasformazione morfologica delle aste
fluviali italiane, con una serie di processi modificativi che possono essere riassunti:
1. Tendenza a ridurre i tratti pluricursali a tratti monocursali, cioè con un solo canale.
2. Riduzione generale della larghezza dell’alveo, impedendo al fiume di respirare.
3. Riduzione della lunghezza complessiva delle aste fluviali.
4. Diminuzione del trasporto solido in sospensione.
5. Abbassamento del fondo fluviale.
6. Riduzione delle fasce di pertinenza fluviali e in particolare delle zone ripariali colonizzate da
vegetazione spontanea.
Le alterazioni morfologiche hanno spesso una profonda ripercussione sulle caratteristiche ecologiche dei
sistemi fluviali, diminuendo la diversità morfologica ambientale, eliminando alcuni microhabitat e alterando
intensità e localizzazione dei fenomeni erosivi e deposizionali (scalzamento dei ponti).

Alterazioni idrologiche e biologiche


Esistono anche le alterazioni idrologiche, in cui vengono alterate le condizioni del fiume, come portata e
regime dell'acqua. Il regime è la variazione della portata durante l'anno.
La gran parte dell'acqua è usata per agricoltura, industria e per bere. L'acqua è alla base di tutto, per
esempio la produzione di 1 kg di carne dalla mucca ha bisogno di 35.000 litri di acqua. E' ancora presente in
abbondanza, ma sta diminuendo, per cui potrebbe diventare un fattore limitante nel futuro. E' necessario,
quindi, migliorare le reti di distribuzione dell'acqua.
Le dighe, invece, interrompono la continuità del fiume, che deposita sedimento prima della diga, per cui il
fiume non riesce più a passare al di là. Inoltre, creano problemi per produzione di gas serra, hydropeaking e
variazioni termiche. Le alterazioni biologiche, invece, riguardano principalmente le specie alloctone.

Sistemi di monitoraggio della qualità degli ambienti fluviali


Nei fiumi è necessario monitorare lo stato di salute. Fondamentale è il valore ecologico: un fiume avrà
elevato valore se mantiene una buona integrità ecologica, ospitando ecosistemi che mostrano buone
condizioni a livello strutturale e funzionale. Altra caratteristica sarà il mantenimento di un’elevata capacità
di resistenza e di resilienza agli stress ambientali. Inoltre, vi è un valore antropico, cioè la qualità
dell’ambiente fluviale è valutata in base alla sua capacità di fornire beni e servizi.
Attualmente, il controllo ambientale deve soddisfare determinate esigenze: stabilire per quali usi impiegare
la risorsa e quanta ne si può prendere prima di danneggiare l'ambiente; conoscere lo stato di funzionalità e
conservazione dell’ambiente. Uno dei metodi utilizzati è l'approccio TRIAD, cioè unione di saggi
ecotossicologici, analisi chimiche e studi ecologici.
In base allo stress ambientale, il numero di organismi e di specie si può ridurre così come la biodiversità
all’interno delle comunità.
Negli ultimi anni, si usa sempre più, come elemento di importanza dell'analisi ambientale, l'analisi biologica,
che valuta l'effetto degli inquinanti sull'ecosistema, unita al controllo chimico, che individua le singole cause
che producono l’inquinamento. Già nel 1999 fu emanato il testo unico sulle acque, per tutelare l’uso delle
acque nella comunità europea.
Negli ambienti fluviali, vi sono organismi che sono indicatori di qualità ambientale da usare, oltre agli indici
di biodiversità. Gli organismi utilizzati sono quelli facilmente riconoscibili, facilmente campionabili, poco
mobili, a bassa variabilità genetica. Per esempio, i batteri sono scarsamente utilizzabili perché si adattano
continuamente.
Come organismi si utilizzano le diatomee per valutare il carico di nutrienti perché più è elevato più sono
presenti queste alghe. Vi è infatti un indice legato alle piante, chiamato indice diatomico. Anche i
macroinvertebrati bentonici sono indicatori ambientali perché si trovano sempre nella stessa zona, si
vedono, si riconoscono e hanno poche variazioni genetiche. Essi permettono di individuare il problema
legato all’inquinamento oppure altri fattori di disturbo. Sono utili nelle interazioni dei fattori di stress e per i
controlli di routine.
L'alterazione ambientale colpisce anche le popolazioni, oltre ai singoli individui, per lo squilibrio tra le classi
di età, cioè scompaiono gli elementi più giovani e vi sono solo organismi adulti, che si devono riprodurre
perché i giovani non sono abbastanza resistenti per sopravvivere all'intermittenza idrologica. Vi sono tre
categorie di indici:
1. Indici di biodiversità: sono gli indici che abbiamo incontrato parlando di biodiversità, come
Margalef, Menhinick, Shannon e Simpson.
2. Indici saprobici: indici di Kolkowitz e Marsson, utilizzati tradizionalmente in Germania e centro
Europa. Permettono di identificare gli organismi a livello della specie, sono adatti a inquinamenti di
tipo organico e sono tarati su ambienti del centro Europa.
3. Indici biotici: uno dei primi è il biotic score index che assegna a ogni taxon un punteggio, da 0 a
10, dal più tollerante al più sensibile. Dopo aver assegnato i punteggi, essi vengono sommati a dare
un risultato finale. Più il risultato è alto, più avremo una situazione buona, con elevata biodiversità
e qualità ambientale. In base a questo indice si possono definire 5 classi di ambienti, in base agli
organismi presenti: se vi sono i più sensibili, significa che l’ambiente non è contaminato e viceversa.

Fasi del monitoraggio


La prima fase è il campionamento, la seconda è il sorting, la terza è la classificazione tassonomica, la quarta
è l’applicazione degli indici, e la quinta è la presentazione dei risultati.
Questi metodi valutano anche le diverse caratteristiche delle comunità ittiche, come l’allontanamento dalla
comunità ittica attesa, cioè da una condizione in cui siano presenti tutte le specie che naturalmente si
dovrebbero rinvenire in quella tipologia fluviale; la presenza e il grado di naturalizzazione delle specie
aliene; la presenza di specie endemiche; la condizione biologica delle popolazioni indigene, cioè la
composizione strutturale e la distribuzione in classi d’età.

Lezioni di Elena Piano


Metodi statistici in ecologia
La statistica è uno strumento indispensabile della ricerca scientifica perché cerca di riassumere e di
descrivere i dati raccolti. Si parla di statistica descrittiva in questo caso. Inoltre ci permette di instaurare una
relazione causale tra un fattore biologico e una fattore naturale. E' un processo di inferenza statistica.
Permette anche di minimizzare gli errori di una ricerca scientifica. Quando si sviluppa uno studio è
chiederci qual è lo scopo ovvero la domanda ecologica. Dopodiché bisogna sviluppare un disegno
sperimentale per riuscire a compiere la ricerca. A questo punto, procedo alla raccolta dei dati e mi reco in
campo, solitamente. Poi si fa elaborazione statistica. Devono essere fatti correttamente perché se no le
elaborazioni statistiche non verranno mai giuste per ottenere risultati. Una volta ottenuti si procede con la
scrittura.

DOMANDA ECOLOGICA
Possiamo effettuare diversi tipi di studi. In passato, a fine 900, ci si è occupati di ecologia di base e molti
personaggi dell'epoca erano matematici. Oggi le teorie di base possono essere utilizzate per portare avanti
studi di ecologia applicata perché nel periodo in cui viviamo ci sono vari aspetti che meritano di essere
indagati. La pressione antropica che stiamo esercitando sul sistema ecologico è molto elevata, per cui si
valutano gli effetti della pressione sulla componente ecologica. Si misura quindi la diversità ecologica
nell’habitat. Quindi viene messa in relazione pressione antropica e diversità biologica. E' necessario
focalizzarsi su organismi indicatori, di cui si analizza diversità sotto vari aspetti, come diversità funzionale.
Questi organismi possono essere dominanti (diatomee), gruppi chiave nell'ecosistema, gruppi facilmente
reperibili ed identificabili, gruppi con specie sensibili al cambiamento (Pelobate fosco), gruppi caratteristici
dell'habitat (odonati nel lago), gruppi importanti da un punto di vista economico (pesci).

DISEGNO SPERIMENTALE
E' la cosa più importante nello studio perché determina la riuscita di un esperimento perché permette di
capire la relazione tra pressione antropica e biodiversità. Può essere fatto sul campo. In questo caso, una
volta selezionato il gradiente di disturbo da poco a tanto disturbata per vedere come varia il
comportamento delle specie, seleziono delle stazioni di campionamento in cui effettuare gli esperimenti.
Devono essere omogeneamente distribuiti nell'area di studio. Non è detto che si riesca a coprire tutto il
gradiente di disturbo e ripartiti in tutti i gradi. Importanti sono le condizioni di riferimento, cioè
confrontare i siti disturbati con quelli di riferimento. O faccio un confronto tra la zona disturbata e quella
non disturbata in cui non vi era la fonte di disturbo. Un'altra opzione è, se so quando avviene il disturbo,
fare un confronto temporale tra prima e dopo il disturbo (fiumi della Liguria). Un altro tipo di disegno
sperimentale è manipolativo, cioè vengono ricreati in ambienti controllati ciò che accade in campo. Si può
isolare il fattore di disturbo in relazione alla variabilità che invece si ha in natura. Per cui il fattore fa per
forza quello perché non vi sono disturbi che possono mascherare il risultato.

RACCOLTA DEI DATI


Andare in campo a raccogliere i dati, che variano in base alla domanda ecologica. Una cosa fondamentale è
scegliere la stagione giusta in base all'organismo da campionare. I dati devono essere unificati con lavoro di
campo, stagionalità, buona conoscenza del territorio in cui si va e degli organismi che vado a campionare,
lavoro di squadra.

ELABORAZIONE STATISTICA
Quando si campiona una comunità, bisogna vedere le diverse specie al suo interno. Per cui si può
evidenziare la variazione di specie in relazione ai gradi di disturbo, se vi è un turnover di specie. Per valutare
la composizione della comunità si usa la statistica multivariata, cioè che permette di tenere in
considerazione più specie. Restituisce grafici interpretabili per i lettori perché permette di descrivere la
comunità. Vi sono due grosse categorie: metodi di ordinamento per ordinare la comunità su base di
distanze matematiche (simili o no in uno spazio euclideo), analisi canoniche per analizzare
contemporaneamente una matrice ambientale con la matrice di comunità. Non si può veramente trovare
una relazione causale. Uno dei metodi di ordinamento è il NMDS, in cui si cerca di rappresentare i dati in
due dimensioni con un algoritmo. Un'altra tecnica è PCoA per analizzare le comunità sulla base di una
distanza e permette molte più dimensioni rispetto a prima, ma si sceglie sempre di rappresentare le prime
due dimensioni perché spiegano una maggiore variabilità dei dati. Nel secondo caso c'è una formula
matematica dietro. Dove l’ellisse è grande c'è grande eterogeneità. Le analisi canoniche, invece, mettono
in relazione le due matrici. CCA è una relazione unimodale, cioè una gaussiana, che permette di studiare
variabili ambientali e specie della comunità. Un'altra analisi è la RDA che fa la stessa cosa, ma assume che vi
sia una relazione lineare, cioè all'aumentare del disturbo diminuisce l'abbondanza. Viene proiettato sullo
stesso grafico anche le variabili ambientali. Per decidere cosa usare è necessario avere una conoscenza di
base pregressa. Vi sono anche le misure di diversità cioè misure sintetiche che riassumono la diversità di un
campione. Possono riferirsi alla composizione o a parametri strutturali (densità) o funzione degli individui.
E' possibile valutare le relazioni causali. Per verificare se c'è una relazione tra misure di diversità e variabili
ambientali, si può fare un'analisi della correlazione che permetterà poi di trovare rapporti di causa-effetto. I
valori variano da 0 a 1. Se le variabili non sono distribuite normalmente si usa il test di correlazione. La
maggior parte dei test statistiche sono per variabili distribuite normalmente, se no si usano i sistemi
parametrici. Importante è la regressione lineare, cioè l'equazione di una retta, che permette di valutare se
vi è la relazione lineare tra una variabile dipendente e indipendente. E' sempre pensato per distribuzioni
normali. Per distribuzione non normale avremo conteggi, proporzioni e presenza. ANOVA è un caso
particolare di regressione lineare, in cui le variabili sono categoriche.
SCRITTURA
La ricerca scientifica deve essere condivisa, per cui è necessario scrivere articoli.

Disturbo fisico dei fiumi


Il primo disturbo è l'intermittenza, cioè i tratti di fiume in secca, poi c'è il siltation, cioè l'aumento della
concentrazione di rifiuti solidi sospesi e del deposito sul fondo. Sono stati fatti due casi di studio su
microinvertebrati benctonici. Sono stati scelti 13 fiumi che andavano in secca e in ognuno sono state
selezionate una stazione di monte in cui l'acqua è perenne e un sito di valle soggetto a fenomeni di
intermittenza. Sono state campionati gli organismi nei due siti dopo la secca a valle e in generale a monte
per vederne gli effetti. Le analisi effettuate sono di statistica multivariata e i modelli statistici per le
relazioni causali. Il secondo studio sono le metriche per valutare la siltation con valori di tipo continuativo.
Sono stati confrontati due fiumi, uno stressato dalla presenza di una cava e l'altro senza. Sono state poi
disposte delle stazioni di campionamento a distanza progressiva dalla cava. Oltre ai risultati in campo sono
stati fatti esperimenti manipolativi. All'aumentare di sedimenti diminuisce il numero di specie e individui.
Tutto deve essere supportato da un'analisi statistica.
Urbanizzazione
Era già stata trattata di Esopo con la favola del topo di campagna e il topo di città. La differenza è che in
città c'è più disponibilità di lavoro, ma si vive peggio, mentre in campagna le risorse sono minori, ma la
qualità della vita è maggiore. Gli anni '80 in particolare sono stati gli anni del boom economico. Il problema
principale è l'inquinamento si per l'aria si per l'inquinamento luminoso che nelle città è intenso. Il secondo
problema è l'alterazione climatica perché si crea la bolla di calore, cioè fa più caldo rispetto agli ambienti
non urbani. Altro problema è la presenza di infrastrutture che provocano alterazione del ciclo dell'acqua
che non riesce più a penetrare nel suolo e le superfici cementificate assorbono calore e frammentano l’
habitat naturale, per cui gli organismi non riescono più a muoversi e restano popolazioni isolate. La
stocasticità invece è un problema che riguarda la velocità di cambiamenti ambientali. L'inquinamento
luminoso riguarda principalmente il Nord del globo. La pianura padana è una zona molto industrializzata
rispetto al resto dell’Europa, insieme a Belgio Olanda e Lussemburgo.
Il consorzio e ricerca del Belgio hanno messo a punto un progetto per studiare gli effetti dell’urbanizzazione
su animali con caratteristiche ecologiche differenti: organismi di piccola taglia (batteri), fino a organismi più
grandi (farfalle, cavallette). Il punto di forza del progetto è il disegno sperimentale, concentrata nelle
Fiandre più urbanizzata (Nord del Belgio), intorno a Gent, Anversa e Bruxelles. Nove zone di
campionamento, cioè quadrati su una mappa di 3km per 3km con colori differenti: verde aree non
urbanizzate, giallo urbanizzazione intermedia e rosso zone altamente urbanizzate. Avendo scelto 9 quadrati
per ogni centro, ne abbiamo 27. Si è cercato di avere un disegno bilanciato, per cui 9 rossi, 9 gialli e 9 verdi.
Dopo, all'interno di ogni quadrato, sono stati suddivisi in quadratini di 200m per 200m selezionando gli
stessi gradi di urbanizzazione dei quadrati grandi, quindi tre quadratini all'interno di ogni quadrato grande.
Significa che possiamo valutare l'urbanizzazione a livello di paesaggio con i quadrati grandi, mentre a scala
locale all'interno di ogni quadrato. Si hanno scale spaziali differenti.

EFFETTO DI URBANIZZAZIONE A SCALA DIFFERENTI SU TUTTI GLI ORGANISMI CAMPIONATI


Per prima cosa si è valutata la biodiversità degli organismi in base all’urbanizzazione riguardo alle due
diverse scale. E' anche stata valutata la diversità, scomposta in Alfa (locale) beta (turnover) e gamma (tutta
l'area), per entrambe le scale di valutazione. E' necessario definire l'area di campionamento. Se diminuisce
la beta, significa che ho omogeneizzazione perché le specie presenti nelle unità sono uguali, come i piccioni
in città. Per cui si è valutata l'urbanizzazione a scala locale e paesaggistica. Nella locale, L’Alfa è la media tra
tutti i quadratini dello stesso colore, mentre la gamma ce l'ho se metto insieme tutti i quadratini e
confrontarli. La beta è la differenza tra le due. In paesaggio si complica. Si può considerare un altro livello
sono i quadrati grandi, la gamma sono le specie presenti in tutte le zone urbane, se ogni quadrato è diverso
dagli altri. I risultati hanno mostrato che la risposta de gruppi diversi è eterogenea. Vi sono dei declini
diversi in base ai tre tipi di diversità per i diversi gruppi di organismi. Gli organismi terrestri sono molto più
in declino di specie perché gli organismi acquatici non subiscono effetti diretti, ma mediati dall’acqua.

URBANIZZAZIONE E TURNOVER
Uno dei principali effetti è la dispersione degli animali sulle specie che hanno bassa dispersione. Sono stati
individuati specie di coleotteri, calapidi con ali Corte, mentre di classe 2 sono specie con ali Corte, ma alcuni
individui le hanno lunghe per volare; la classe 3 è formata da individui di entrambi i tipi, ma la maggior
parte è lunga; la classe 4 sono i macropteri cioè solo ali lunghe con elevata capacità di dispersione, in cui
rientrano le specie pioniere. Per ogni quadrato campionato sono stati individuate le specie messe nella
classe ed è stata fatta una media. Si è visto che negli ambienti urbani vi sono specie con maggiore capacità
di dispersione, mentre in ambiente non urbano vi sono specie con bassa capacità di dispersione. Inoltre in
teoria specie con preferenze di temperatura più alta si sarebbero dovute trovare meglio nelle aree urbane
dato che fa più caldo. Sono stati disegnati tutti gli areali di distribuzione delle specie. Sono state quindi
definite le zone termiche in cui possono vivere le specie. Quindi per ogni sito di campionamento sono state
valutate una lista di specie con la propria temperatura e poi è stata fatta una media. Quindi le specie di
specie più basse diminuiscono verso le aree urbane perché non riescono a viverci, mentre quelle che
preferiscono temperature più alte aumentano nelle zone urbane. Tutto ciò deriva anche da una
sostituzione di specie e l'urbanizzazione filtra le specie con elevata dispersione e elevata temperatura di
vita.
NUMERO DI SPECIE IN AREE URBANIZZATE
A livello di paesaggio, la perdita di specie con bassa capacità di dispersione è dovuto al fatto che nelle aree
urbane spariscono le specie più comuni, mentre la beta diversità delle specie rare aumenta perché si
trovano lì per caso, dato che non sono adatte a vivere in città. Le specie sono quindi proprio perse del tutto.
A livello locale, nelle zone altamente urbanizzate c'è dominanza delle specie dominanti, quindi poche
specie e tutte uguali. Il turno over c'è, ma riguarda solo il numero di individui, quindi dominanza elevata di
specie diverse tra siti diversi. Una maggior differenza è dovuta alla porzione relativa del numero di individui,
per cui non vi è una vera perdita di specie, ma domina una specie a discapito delle altre, a differenza del
paesaggio.
L'EFFETTO DI URBANIZZAZIONE SULLE DIMENSIONI CORPOREE
Secondo degli studi le specie più piccole tendono ad avere tassi metabolici più alti. Se aumenta la
temperatura aumenta il tasso metabolico, quindi sopravvivono solo gli organismi più piccoli perché anche il
tasso metabolici dei più grandi aumenta con la temperatura. La città diventano un modello per l'aumento di
temperatura. Quindi nell’intorno di ogni sito sono stati costituiti dei punti di campionamento per avere un
grado più elevato di specificità dell’urbanizzazione. E' stato valutato l'incremento di temperatura nelle città,
dimostrato per i dati notturni tra zone urbane e non urbane e si sente di più in estate. Inoltre, è stato
valutato lo shift tra specie grandi e piccole con l'incremento di temperatura. Sono state fatte medie delle
dimensioni delle specie presenti in base alla temperatura. I risultati non sono stati molto consistenti perché
si aspettavano dati netti, mentre non è emerso per tutti i gruppi tassonomici, ma è emerso per i gruppi con
bassa capacità di dispersione, come i ragni e i calapidi volatori e i coleotteri con la proboscide più organismi
acquatici dispersori passivi. Quindi, i buoni dispersori con elevata temperatura e dispersione, aumentano le
dimensioni corporee, mentre i poveri dispersori con aumento di temperatura e metabolismo, riducono le
dimensioni corporee. Quindi nella città tutto è vario e ci dà un'idea di come aumenterà la biodiversità con
l'aumentare della temperatura globale.
ESPERIMENTO DI GENETICA DI POPOLAZIONE
Le specie del Mediterraneo con l'aumento di temperatura del globo si spostano verso le zone temperate
verso Nord, già nel 2006. Ma visto che le città sono luoghi in cui la T è più alta, potrebbero essere utilizzate
dalle specie termofile per espandersi velocemente. E' stato preso in esame un coleottero con elevata
dispersione presente nel Mediterraneo, mentre non presente in Belgio, ma in realtà è risultata presente
durante il campionamento anche al Nord, quindi ci si è chiesti se la specie ha usato le città per espandersi.
Per prima cosa si è valutato il numero di individui nelle città e nelle campagne. Non c'è una preferenza. Poi
si è vista la genetica di popolazione: non confermano l'ipotesi perché non sono stati osservati dati diversi
nel genoma delle varie popolazioni nei diversi habitat. E' stato poi valutato l'indice di direzionalità per
visualizzare la traccia di spostamento della specie. La specie sta arrivando da ovest e non da sud, ma
probabilmente in passato anche da est, per cui vi sono due popolazioni che si stanno unendo. Quindi
l'ipotesi iniziale non è vera

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