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I.

Lo Stato nazionale e la politica economica tedesca

1895
Q uesta Prolusione Accadem ica all’Università di Friburgo è sicuramente uno dei docu­
menti più significativi del pensiero politico c scientifico del prim o Weber. E ssa fu concepi­
ta in un m omento in cui il R ekh tedesco, con l’afferm arsi del «com ando personale» dì G u ­
glielmo il, era scosso da una grave crisi.
N ell’ottobre 1894 il cancelliere Leo von C apri vi era stato costretto a dimettersi dopo
che la sua posizion e si era andata sempre più indebolendo a causa delle critiche sollevate
dall’aristocrazia prussiana contro la politica dei contratti commerciali. II colpo decisivo
contro il cancelliere era venuto dalle dìspute all’interno dell’elite dirigente del R ek h tede­
sco e della Prussia sulla questione se dovessero essere prese nuove controm isure per com ­
battere la Socialdem ocrazia, eventualmente anche a prezzo di una limitazione dei diritti ci­
vili garantiti nella Costituzione. L a richiesta era sostenuta anche dai conservatori e in par­
te anche dai nazional-liberali prussiani, cosa che aveva m olto irritato Weber. Proprio nei
mesi ìn cui Weber lavorava alla stesura di questa prolusione venne discussa la «P roposta
contro il Sovvertim ento» ( Umsttirzvorlage) che avrebbe dovuto prendere il posto della leg­
ge contro i socialisti (la proposta fu bocciata 1’ 11 m aggio 1895). Per Weber questa proposta
di legge era un chiaro sintom o dell’immaturità politica della nazione.
M a ancor di più Weber era inquietato dal fatto che gli sforzi politici a favore di una p o ­
tente politica mondiale tedesca, dopo che Bismarck alla fine degli anni ottanta aveva perso
ogni interesse ad una polìtica coloniale, non trovavano sostegno in nessuno dei partiti bor­
ghesi. In particolare la Freisinntge Votkspanei si contrapponeva a qualsivoglia aspirazione co­
loniale. Weber godeva di una eccellente reputazione scientifica grazie alle sue prime pubbli­
cazioni al punto che, anche se si era abilitato a Berlino in diritto commerciale c diritto civile
e privato romano, all’inizio di aprile del 1894 fu nominato professore di economia politica e
scienza delle finanze all’Università di Friburgo. Secondo l’uso tradizionale, il 13 maggio 1895
tenne la sua Prolusione Accademica. 11 titolo scelto inizialmente era «L a nazionalità nell’e­
conomia politica», che poi fu mutato in «L o Stato nazionale e la polìtica economica tedesca».
L a traduzione che qui viene presentata è condotta sul testo D e r N ation ah taat u n d die
Volksìvirtscbaftspolitik. A kadem ìscbe Antrittsrede, Akadem ische Verlagsbuchhandlung
von J. C . B. M ohr (Paul Siebcck), Freiburg i.B. - L eip zig 1895, com e viene riprodotto nel­
la M ax Weber Gesamta.ttsgabc cit., A bt. 1, Bd. 4 (2), pp. 541-74.
SCRITTI PO LITICI

Premessa.

N o n l’approvazione, ma le obiezioni che queste argom entazioni


hanno incontrato presso molti ascoltatori mi hanno indotto a pubbli­
carle. Tanto ai colleghi specialisti come agli altri lettori, esse diranno
qualcosa di veramente nuovo solo per quanto riguarda i dettagli. D al­
l’occasione stessa che le ha poste in essere risulta poi il senso particola­
re in cui queste argom entazioni possono rivendicare l’attributo della
«scientificità». U na prolusione, infatti, offre l’ opportunità per l’esposi­
zione franca e per la giustificazione del punto di vista personale, e in
quanto tale «soggettivo», riguardo alla valutazione dei fenomeni dell’e­
conom ia politica. In considerazione del particolare m om ento e della
cerchia degli ascoltatori avevo tralasciato di svolgere le argom entazioni
da p. 18 a p. 21, e inoltre durante l’esposizione a voce alcune delle ri­
flessioni che com pongono questo scritto po sso n o aver assum o un’altra
form a. Q uanto alle considerazioni iniziali è da notare che gli eventi ven­
gono qui esposti, com ’è naturale, in m odo notevolmente sem plificato ri­
spetto alla realtà. L o spazio di tem po che va dal 1871 al 1885 non pre­
senta nelle singole circoscrizioni e com uni della Prussia occidentale m o­
vimenti dem ografici uniformi, quanto piuttosto mutamenti fortemente
caratterizzati i quali, senza eccezione, non sono affatto così trasparenti
com e gli esempi riportati. L a tendenza che sì è cercato di illustrare vie­
ne contrastata in altri casi da fattori diversi. Su ciò tornerò prossim a­
mente, in maniera più estesa, in un altro contesto1. È evidente che i ri­

1Evidentemente si tratta del piano di Weber relativo a «un lavoro agrariostatistico più am­
pio sul capitalismo agricolo)* clic però non fu mai realizzato» Cfr. M* Weber, Agrarstatistische und
sozialpodtische Betracbtungen tu r Fideikommijìfrage in Preufient in Archiv [tir Sozitd&isswt-
Khaft und Sozialpolitiky Band 19, 1904, p. 504 (MWG i/8).
W eber, Scritti p o litici

sultati resi possibili da queste cifre poggiano su basi più insicure rispet­
to a quelli che le meritorie pubblicazioni di molti allievi di N eum ann1 ci
hanno fornito sui rapporti tra le nazionalità in Posnania e nella Prussia
occidentale. Tuttavia, in mancanza di materiale adeguato dobbiam o per
ora necessariamente accontentarci di essi, tanto più che i fenomeni p o ­
sti m luce da questi risultati ci sono a grandi linee già noti attraverso le
inchieste agrarie degli ultimi anni.

Friburgo, maggio 1895


Max Weber

La formulazione del mìo tema promette molto di più di quanto oggi


io possa c voglia mantenere. Innanzitutto mi propongo di illustrare tra­
mite un esempio il ruolo giocato dalle differenze razziali fisiche e psichi­
che tra le nazionalità nella lotta economica per l’esistenza. A questo vor­
rei aggiungere alcune riflessioni sulla condizione delle organizzazioni sta­
tali che poggiano su base nazionale - come la nostra - nell’ambito di una
considerazione politico-economica. Per l’esempio in questione scelgo un
complesso di fatti che quanto al luogo si svolgono lontano da noi, ma che
da un decennio ormai hanno suscitato a più riprese l’attenzione del pub­
blico; vi prego dunque di seguirmi nelle marche orientali del Reich, nelle
piatte lande della provincia della Prussia occidentale. Q uest’area unisce la
peculiarità di un territorio nazionale di confine ad aspre ed inusitate dif­
ferenze di condizioni di vita economiche e sociali: e questo è proprio ciò
che interessa per il nostro scopo. Purtroppo, lo dico anticipatamente, non
posso fare a meno di abusare della vostra pazienza trasmettendovi una
sfilza di aridi dati.
L a provincia racchiude nei suoi distretti di campagna contrasti di tre
tipi.
Innanzitutto, ci sono straordinarie differenze riguardo la qualità del
terreno coltivabile: se si parte dalle zone della pianura della Vistola colti­
vate a barbabietola da zucchero e si arriva fino al sabbioso altopiano cas-
subico si rilevano differenze di valutazione dell’imposta del reddito netto
che variano dalle dieci alle venti volte. L e stesse medie distrettuali oscilla­
no tra Ì 4 marchi e tre quarti e i 33 marchi e due terzi per ettaro.
Inoltre esistono contraddizioni nella composizione sociale della popo­
lazione che coltiva questo terreno. Com e in tutto il territorio orientale,

* Sono intesi i lavori di Eugen von Bergmann, Alexis Markow e Wilhelm Vallentin apparsi
nei Bcitràgc z a r Geschichlc der Bevólkerung in Deutschland seit dem Anfange dieses jahrbari­
de m editi da F, J. Ncunumi (1835-1910), studioso di economia c di statistica.

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L o S ta to nazionale

anche qui le registrazioni ufficiali prevedono accanto al «comune rurale»


una seconda forma di unità comunale sconosciuta al Sud, e cioè il «di­
stretto poderale». N el paesaggio, dunque, risaltano tra i villaggi dei con­
tadini le tenute dei cavalieri, le residenze degli Junker, vale a dire le resi­
denze degli appartenenti a quella classe che dà la propria impronta socia­
le all’Est. Esse consistono in poderi signorili circondati da case coloniche
ad un piano che il signore terriero assegna - congiuntamente ad appezza­
menti di terreno e a pascoli - a braccianti giornalieri, i quali sono obbli­
gati a lavorare tutto l’anno nel podere. L a superficie della provincia è ri­
partita più o meno a metà tra questi due tipi di unità comunale. Ma nelle
singole regioni la parte di distretto poderale oscilla da pochi punti per­
centuali fino a due terzi della superficie delle circoscrizioni catastali.
Infine, aH’interno di questa popolazione stratificata dal punto di vista
sociale - com e si è appena visto —in due categorie, si mostra il terzo con­
trasto: quello delle nazionalità. Anche la composizione nazionale della
popolazione delle singole unità comunali muta a seconda della regione. E
questa la differenziazione che cì interessa. Innanzitutto, più ci si avvicina
ai confini più aumenta - com ’è naturale —la quota di polacchi. Tale quo­
ta, però, aum enta ulteriormente, come mostra ogni mappa linguistica, con
il calare della qualità del terreno coltivabile. A tutta prima - e non com ­
pletamente a torto -, si vorrà spiegare questo fatto dal punto di vista sto­
rico attraverso la modalità dell’occupazione tedesca che in primo luogo
interessò la fertile vallata della Vistola. Se però ci si spinge oltre fino a chie­
derci quali strati sociali sono nel territorio i rappresentanti dei tedeschi e
dei polacchi, allora le cifre dell’ultimo —fino a questo momento - censi­
mento pubblicato3del 1885 ci danno un quadro stupefacente. A partire da
questo rilevamento non è certo possibile desumere direttamente la com ­
posizione nazionale dei comuni; lo si può fare però in via indiretta - se ci
accontentiamo di una correttezza solo approssimativa delle cifre - attra­
verso il termine medio della confessione religiosa, che all’interno dell’am­
bito nazionale misto da noi preso in esame coincide, con un minimo scar­
to percentuale, con la nazionalità. Se separiamo le categorie economiche
dei villaggi di contadini e delle tenute dei cavalieri nelle singole regioni,
identificandole, altrettanto imprecisamente, con le unità dei comuni rura­
li4oppure dei distretti poderali, allora si mostra che esse stanno di volta in
volta reciprocamente contrapposte nella loro composizione nazionale se­
condo la qualità del terreno coltivabile: nelle circoscrizioni catastali ferti­
li Ì cattolici, ovvero i polacchi, sono relativamente prevalenti nelle tenute,

' GemeindelexiccWy Berlin, 1887 [n,d,AJ.


+Per rilevare la composizione sociale conviene basarsi sulla suddivisione amministrativa piut­
tosto che sulla distribuzione delle aziende. In pianura non sono rare le aziende agrarie padronali
sotto i cento ettari, come sull’altopiano le aziende contadine sopra 1 duecento ettari [n,a.A.].
Weber, Scrìtti p o lìtici

e gli evangelici, vale a dire i tedeschi, sono relativamente prevalenti nei vil­
laggi; mentre avviene il contrario nelle circoscrizioni catastali con terreno
scadente. Per esempio, se mettiamo insieme le circoscrizioni catastali con
un reddito medio al netto delle imposte al di sotto dei cinque marchi per
ettaro, allora troviamo che nei villaggi è evangelico solo il 35,5% degli abi­
tanti e nelle tenute il 50,2% ; se invece sì prendono i gruppi circoscrizio­
nali che abbracciano un reddito medio al netto delle imposte da dieci a
quindici marchi per ettaro, allora gli evangelici nei villaggi rappresentano
il 60,7% , mentre nelle tenute solo il 42,1%. C om e mai? Perché i polacchi
occupano in pianura le tenute e negli altopiani i villaggi? U n fatto balza
subito agli occhi: i polacchi hanno la tendenza a raccogliersi nello strato
economicamente e socialmente più basso della popolazione. Sui terreni di
buona qualità, soprattutto nella pianura della Vistola, il contadino è sem ­
pre stato superiore, per quanto riguarda il tenore di vita, al bracciante
giornaliero; mentre sui terreni di cattiva qualità, che potevano essere am­
ministrati razionalmente solo come grande proprietà, il podere dei cava­
lieri era il nucleo della cultura c dunque della popolazione tedesca; in quei
territori, i poveri pìccoli contadini hanno ancor oggi un tenore di vita in­
feriore ai braccianti giornalieri del podere. Se non lo sapessimo, a farcelo
supporre sarebbe la classificazione della popolazione in base all’età. Infat­
ti, relativamente ai villaggi, se si sale dalla pianura ai crinali, la percentua­
le dei bambini al di sotto dei quattordici anni sale, mentre cala man mano
la qualità del terreno, dal 35-36% fino al 40% c addirittura al 41% ; e se sì
confronta questo dato con quello relativo alle tenute, allora si vede come
nella pianura la percentuale dei bambini risulta maggiore rispetto a quella
dei villaggi, cresce man mano che aumenta l’altitudine, ma più lentamen­
te che nei villaggi, c comunque restando sugli stessi altopiani inferiore ri­
spetto ai villaggi. Il grande numero dei bambini, qui come ovunque, è cor­
relato al basso tenore di vita che soffoca ogni considerazione di previden­
za per il futuro. Cultura economica, relativa altezza del tenore di vita e
germanesimo sono, nella Prussia occidentale, una cosa sola.
Eppure le due nazionalità competono da secoli sullo stesso terreno fa­
cendo forza essenzialmente su uguali possibilità. Allora, su cosa si fonda
questa separazione? Si è subito tentati di credere ad una differenza - de­
terminata da diverse qualità razziali sia fisiche che psichiche - della capa­
cità di adattam ento delle due nazionalità alle diverse condizioni di vita
economiche e sociali. E in effetti è proprio questa la causa; la prova di ciò
sta nella tendenza che viene alla luce nello spostamento della popolazione
e delle nazionalità, e che lascia intendere, al tempo stesso, quanto sìa fata­
le la diversa capacità di adattamento per il germanesimo in Oriente.
Tuttavia, per studiare i movimenti demografici nei singoli comuni ab­
biamo a disposizione per la comparazione solo i dati che vanno dal 1871
L o S ta to n azio n ale

al 1885, e questi dati ci permettono di scorgere in modo indistinto l’inizio


di uno sviluppo che da allora, secondo quanto sappiamo, prosegue raffor­
zato e in m odo eccezionale. O ltre a ciò, la chiarezza dei numeri certo sof­
fre, com ’è naturale, da un lato per l’identificazione obbligata, ma non del
tutto esatta, di confessione religiosa e nazionalità, dall’altro della suddivi­
sione amministrativa e della stratificazione sociale. Tuttavia, possiam o ve­
dere con sufficiente chiarezza ciò che ci interessa. La popolazione conta­
dina della provincia, come in generale quella di gran parte dell’Oriente, ha
evidenziato durante l’arco temporale che va dal 1880 al 1885 una tenden­
za al calo: nella Prussia occidentale la popolazione contadina ammontava
a 12700 unità. Mentre la popolazione del Reich era aumentata di circa il
tre e m ezzo per cento, quella contadina era diminuita dell’uno e un quar­
to per cento. Anche questo fenomeno tuttavia, come quelli finora presi in
esame, presenta un andamento irregolare: in alcune circoscrizioni catasta­
li, infatti, si rileva una crescita della popolazione contadina. E , in vero, il
m odo in cui ciò avviene, è assai peculiare. Se prendiamo in considerazio­
ne innanzitutto le diverse qualità del terreno, allora tutti saranno portati a
credere che il calo si sia registrato soprattutto nelle zone caratterizzate dai
terreni peggiori., dove sotto la pressione del ribasso dei prezzi il margine
di tolleranza alimentare dovette diventare troppo stretto. Se si guardano
le cifre però, ci sì accorge che in realtà è avvenuto Vopposto. Proprio alcu­
ne delle migliori circoscrizioni catastali, Stuhm e Marlenwerder per esem­
pio, con un reddito medio netto di circa 15-17 marchi, presentavano la de-
crescita più elevata, pari al 7-8% ; mentre sull’altopiano le circoscrizioni
catastali di Konitz e Tuchel, con un reddito netto di 5-6 marchi, hanno
fatto registrare l’incremento più forte, costante già dal 1871. Si cerca una
spiegazione e ci si chiede innanzitutto quali siano gli strati sociali all’ori­
gine di quel calo, e quali invece abbiano beneficiato di questa crescita. Se
prendiamo in esame le circoscrizioni catastali nelle quali Ì numeri eviden­
ziano una forte diminuzione: Stuhm, Maricnwerdcr, Rosenberg, ci accor­
giamo che quelle sono, senza eccezione, circoscrizioni catastali nelle qua­
li domina incontrastata la grande proprietà, e se consideriamo poi i di­
stretti poderali dell’intera provincia nel loro insieme, allora quasi i tre
quarti della diminuzione della popolazione contadina, oltre 9000 unità, ri­
guarda loro, anche se nel 1880, sulla stessa superficie, essi annoveravano
comunque una popolazione inferiore di circa due terzi rispetto ai villag­
gi. L a loro popolazione c diminuita, dunque, di circa il tre e tre quarti per
cento. Ma anche a ll’interno delie tenute questo calo è ripartito, ancora una
volta, in m odo diverso. Infatti, almeno in parte, si è verificata anche una
crescita; e se si analizzano le regioni che presentano un forte calo della po­
polazione poderale, si vede che proprio le tenute sorte su terreni di buo­
na qualità hanno subito una flessione particolarmente forte.

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W eber, Scrìtti p olitici

Invece la crescita della popolazione che si è verificata sui terreni sca­


denti degli altopiani è tornata prevalentemente a profitto dei villaggi, e in
particolare di quei villaggi sorti su terreni scadenti, contrariamente ai vil­
laggi della pianura. L a tendenza dunque è di calo dei braccianti nelle te­
nute con terreni migliori e di crescita dei contadini sui terreni scadenti. DÌ
che cosa effettivamente si tratti e come ciò sia da chiarire, diventa alla fi­
ne chiaro se anche qui ci sì chiede come si comportano le nazionalità ri­
spetto a questi spostamenti.
N ella prima metà del secolo, i polacchi nell’Est sembravano essere len­
tamente e in maniera costante spinti indietro, ma dagli anni sessanta,
com ’è noto, altrettanto lentamente e in maniera costante, essi stanno
avanzando nuovamente. Per quanto concerne la Prussia occidentale, i
censimenti linguistici - malgrado le carenze che li caratterizzano - m o­
strano tutto ciò nel m odo più chiaro. Ora, lo spostamento di un confine
di nazionalità si attua in due modi assai diversi tra loro. In un primo caso,
nelPambito di una regione mista dal punto di vista della nazionalità, la lin­
gua e i costumi della maggioranza vengono gradualmente imposti alle mi­
noranze nazionali al fine di «assorbirle». Q uesto fenomeno è presente in
Oriente e si attua in modo statìsticamente documentabile tra i tedeschi di
confessione cattolica. In questo caso, il vìncolo religioso è più forte del
vincolo nazionale; reminiscenze del K ulturkam pf e mancanza di un clero
educato alla tedesca concorrono a far perdere i cattolici alla comunità cul­
turale nazionale. Per noi, tuttavia, è più importante e interessante, la se­
conda forma attraverso cui si attua lo spostamento di nazionalità, e cioè
l'emarginazione economica. Q uesto è il nostro caso. Se si esaminano gli
spostamenti di percentuale delle confessioni religiose nelle unità comuna­
li rurali dal 1871 al 1885, si evidenzia che la diminuzione dei braccianti
giornalieri va regolarmente di pari passo con una relativa diminuzione del
protestantesimo in pianura, e la crescita della popolazione nei villaggi su­
gli altopiani è legata ad una relativa crescita del cattolicesimo*. Sono so­
prattutto i braccianti tedeschi che emigrano dalle regioni più elevate d al
punto di vista culturale; mentre i contadini polacchi aumentano soprattut­
to nelle regioni caratterizzate da un basso livello culturale.
Entrambi i processi, però, la diminuzione da una parte e l’aumento
dall’altra, sono riconducibili in ultima istanza ad un solo motivo: le infe­
rioripretese per quanto riguarda il tenore di vita - di carattere materiale

5 Ad esempio i distretti poderali della circoscrizione di Stuhm nel periodo 1871-1885 fece­
ro registrare un calo della popolazione di circa il 6,7%; la percentuale dei protestanti nella p o ­
polazione cristiana scese dal 33,4 al 31,3%. I villaggi della circoscrizione di Konitz c di Tuehel
fecero registrare entrambi un aumento dell’8%; la percentuale dei cattolici salì dall’84,7%
all'86% [n.d.A.].
L o S ta to n azio n ale

per un verso, ideale per l’altro -, proprie per natura o fatte proprie nel cor­
so della sua storia dalla razza slava, le hanno permesso di vincere.
Perché ì braccianti giornalieri tedeschi emigrano? N o n ci sono motivi
materiali: l’emigrazione, infatti, non interessa regioni con bassi livelli di
salario né viene intrapresa da categorie di lavoratori mal pagate: poche si­
tuazioni, infatti, sono più sicure, dal punto di vista materiale, di quella di
un Instmann1' delle tenute orientali. N o n può essere neppure il tanto evo­
cato desiderio per i piaceri della grande città. Tale desiderio è tutt’al più
motivo per il girovagare disordinato delie giovani generazioni, non certo
per l’ emigrazione di anziane famiglie di braccianti. E perché questa sm a­
nia si manifesta proprio qui, tra la gente che vive dove domina la grande
proprietà terriera? Perché possiam o provare che l’esodo dei braccianti
giornalieri cala quanto più il villaggio di contadini domina la fisionomia
del paesaggio? Per questo: tra i complessi di poderi del toro paese natale
per i braccianti giornalieri possono esserci soltanto padroni e schiavi, e per
i loro discendenti più lontani c’è solo la prospettiva di accogliere l’appel­
lo della campana del podere per recarsi a sgobbare su un terreno altrui.
N ell’impeto confuso e solo in parte consapevole che spinge verso paesi
lontani si nasconde un elemento di idealismo primitivo. Chi non sa com ­
prenderlo, non sa cosa sia il fascino della libertà. O ggigiorno, in effetti, ra­
ramente il suo spirito ci tocca nella tranquillità delle biblioteche. G li idea­
li ingenuamente libertari della nostra prima gioventù sono scom parsi, e al­
cuni di noi sono diventati prematuramente vecchi e - ormai troppo as­
sennati - credono che uno degli impulsi più naturali dell’animo umano sia
stato sepolto dalle formule stantìe di una visione politica ed economica
sulla via del tram onto7.
Si tratta, dunque, di un processo di psicologia di massa: i lavoratori
agricoli tedeschi non sono più in grado di adattarsi alle condizioni di vita
sociale della loro patria. Q uanto alla loro «autocoscienza», i resoconti dei
padroni poderali che ci arrivano dalla Prussia occidentale ce ne parlano
con rammarico. Scompare il vecchio e patriarcale rapporto di dipendenza
feudale che legava immediatamente il bracciante giornaliero agli interessi
di produzione trasformandolo in piccolo coltivatore. II lavoro stagionale
nei distretti dove si coltivano le barbabietole richiede lavoratori stagiona­
li e salario in denaro. Si profila dunque per questi lavoratori un’esistenza
puramente proletaria, ma senza la possibilità di quel vigoroso slancio ver­
so l’indipendenza economica che il proletariato industriale raccolto nelle
città realizza con l’autocoscienza. Rassegnarsi a queste condizioni di esì-

4 L o Instmann è la figura tradizionale del sistema agrario degli junker-, si tratta di un conta­
dino che non possiede terreno proprio e che viene impiegato in un podere.
' Qui Weber fa riferimento alla dottrina liberale a quel tempo in effetti in regresso quanto ad
importanza, c in particolare alla dottrina del libero scambio.
W eber, S critti po litici

stenza lo possono fare meglio coloro i quali subentrano ai tedeschi, e cioè


i lavoratori migranti polacchi, vere carovane di nomadi che, reclutate da
agenti in Russia, arrivano all’inizio dell’anno a migliaia ai confini per poi
emigrare nuovamente in autunno. D apprim a vengono chiamati per la col­
tivazione delle barbabietole da zucchero, che trasforma l’attività agricola
in un lavoro stagionale; poi soprattutto perché in questo m odo si rispar­
mia in abitazioni per i lavoratori, in assistenza per i poveri, in obblighi so­
ciali, e inoltre perché - essendo impiegati precariamente in quanto stra­
nieri - sono in balia del padrone. L’agonia economica dei vecchi Ju n ker
prussiani si attua attraverso questi fenomeni concomitanti. A l posto del
proprietario terriero che dirigeva l’impresa in modo patriarcale subentra,
nelle tenute dove si coltivano le barbabietole da zucchero, una classe di
commercianti industriali; sull’altopiano, sotto la pressione della difficile
situazione agricola, la superficie dei poderi si sgretola dall’esterno e, in
margine a ciò, sorgono colonie di fittavoli e piccoli contadini. Scom paio­
no i fondamenti economici di potere dell’antica nobiltà terriera, che di­
venta perciò qualcosa di diverso da quanto era un tempo.
E perché sono i contadini polacchi a guadagnare terreno? Per la loro
supcriore intelligenza economica o per la disponibilità di capitali? L’esat­
to contrario, piuttosto. In un clima e su un terreno che, accanto all’alle­
vamento estensivo, permette essenzialmente la produzione di cereali e
patate, meno di tutti è minacciato dai rovesci del mercato colui il quale
porta i suoi prodotti laddove essi vengono in minor misura svalutati dal­
la caduta dei prezzi, e cioè nel suo stomaco; vale a dire chi produce per il
proprio fabbisogno. E ancora, è favorito chi può ridurre al minimo il p ro ­
prio fabbisogno e non avanza grosse pretese, né fisiche né spirituali, per
quanto concerne il tenore di vita. Il piccolo coltivatore polacco dell’O ­
riente è un tipo che s’allontana di molto dalla piccola e operosa condi­
zione di contadino, che voi qui nella ricca pianura del Reno vedete colle­
gato alle città mediante la coltivazione di prodotti agricoli destinati alla
vendita c alle colture ortofrutticole. Il piccolo contadino polacco guada­
gna terreno perché egli in un certo senso divora l’erba da terra, e questo
non contro, quanto piuttosto a causa delle sue basse condizioni di vita fi­
siche e spirituali.
Q uello che noi vediamo attuarsi sembra essere allora un processo di
selezione. Entrambe le nazionalità sono da lungo tem po poste nelle stes­
se condizioni di esistenza. L a conseguenza non è stata - come vuole il
materialismo volgare - l’assunzione delle stesse caratteristiche fisiche e
psìchiche, ma il cedere dcll’una nei confronti dell’altra, c vittoriosa risul­
ta così quella nazionalità che possiede la maggiore capacità di adatta­
mento alle condizioni di vita economiche e sociali entro le quali si trova
a vivere.
L o S ta to n azio n ale

Sem bra che questa, stessa diversa capacità di adattamento questi popo­
li se la portino in sé come un’entità fissa, la quale potrà forse modificarsi
nel corso di processi di selezione lunghi generazioni così come può esse­
re nata nei millenni, ma per quanto riguarda il presente essa è un elemen­
to con il quale noi dobbiam o fare i conti®.
N on sempre - lo vediamo —la selezione, come pensano i nostri otti­
misti, nel libero gioco delle forze si sposta a favore della nazionalità più
sviluppata o dotata dal punto di vista economico. L a storia umana cono­
sce la vittoria di alcuni tipi meno evoluti di umanità e l’estinguersi di al­
tissime fioriture dello spirito e della vita interiore, nel momento in cui la
comunità umana, che ne era portatrice, perse la capacità di adattamento
alle sue condizioni di vita, sia a causa della sua organizzazione sociale sia
a causa delle sue caratteristiche razziali. N el nostro caso si tratta della tra­
sform azione delle forme agrarie di impresa e della violenta crisi dell’agri­
coltura, la quale avvantaggia la nazionalità che sta più in basso nello svi­
luppo economico. Parallelamente e unitariamente agiscono la coltura po­
tenziata della barbabietola e la scarsa redditività commerciale della pro­
duzione di cereali: la prim a è d ’aiuto ai lavoratori stagionali polacchi, la
seconda ai piccoli coltivatori polacchi.

Se guardiamo con uno sguardo retrospettivo i fatti fin qui presi in esa­
me, mi scopro del tutto incapace, e lo confesso volentieri, di sviluppare
teoreticamente la portata dei punti di vista generali che sono probabil­
mente da desumere da quanto finora detto. N on oso neppure affrontare la
questione infinitamente complicata, e per il momento di certo insolubile,

' È appena Ì1 caso di far notare che le controversie tipiche delle scienze naturali sulla portata
del principio di selezione, soprattutto l’uso scie» tifico-nata min del concetto di «addestramento»
e tutte le trattazioni che si collcgano a ciò in quest’ambito a me estraneo, sono irrilevanti per le
notazioni sopra esposte. II concetto di «selezione» è oggi patrimonio comune quanto pressapo­
co l’ipotesi eliocentrica c l’idea di «addestramento» dell’uomo compare già nello Stato platonico
[Platone, L a Repubblica, 459e-46teJ, Entrambi i concetti, per esempio, sono già stati usati da F.
A. Lange [1828-1875] nella sua Arbeite-rfmge [Questione operaia] e per noi sono già da lungo
tempo così familiari che un fraintendimento del loro senso non è possibile per nessuno che co­
nosca la nostra letteratura. Più difficile appare la questione di scoprire fino a che punto ricevano
valore duraturo i tentativi più recenti, messi in atto dagli antropologì - ingegnosi, ma assai di­
scutibili per il metodo e per gli effettivi risultati, e senza dubbio totalmente fuori strada per al­
cune esagerazioni - , di estendere il significato del punto di vista della selezione nel senso di
Darwin e di Weismann anche alla ricerca economica. Tuttavia gli scritti dì O. Ammon, per esem­
pio, (Dte natiirlkbe Auslcse beìni Menschen, Die GeseUschaftsordnung und ihre natiirlichen
Grundlagen \La selezione naturale dell'uomo, L ’ordinamento sociale e i suoi fondamenti natura­
li]) meritano ad ogni modo più attenzione di quanta ricevano, malgrado tutte le riserve che si
possono avanzare su di essi. Un errore tipico della maggior parte dei contributi offerti dal ver­
sante scientifico-naturale al chiarimento dì questioni proprie della nostra scienza consiste nella
dannosa ambizione di voler prima di ogni altra cosa «conlutare» il socialismo. N ello zelo dì vo­
ler raggiungere questo scopo si passa, involontariamente, dalla presunta «teoria scientifico-natu­
rale» all'apologià dell’ordinamento sociale [n.d.A.].
W eber, Scrìtti p o lìtici

di dove stia il confine della variabilità delle caratteristiche fisiche e psichi­


che dì una popolazione sotto l’influsso di determinate condizioni di vita.
Tutti, invece, prima di ogni altra cosa, si chiedono francamente che co­
sa si possa effettivamente fare in questa situazione.
Permettetemi, però, di tralasciare di soffermarmi più diffusamente su
tale questione, e di accennare brevemente alle due esigenze da porre, a
mio avviso, dal punto di vista del germanesimo e che in effetti vengono
poste con crescente unanimità. L a prima è la chiusura del confine orien­
tale". Essa fu realizzata sotto il principe Bism arck11, ma dopo il suo ritiro
nel 1890 è stata di nuovo abrogata; si proibì agli stranieri un insediamen­
to duraturo, essi però furono accettati come lavoratori migranti11. U n
grande proprietario terriero «con coscienza di classe», allora ai vertici
della Prussia, lì escluse nell’interesse del mantenimento della nostra na­
zionalità, e l’odiato oppositore degli agrari11 li accettò nell’interesse dei
grandi proprietari terrieri che solì traggono vantaggio dal loro arrivo. In
tal m odo si mostra come non sempre «il punto di vista economico di
classe» decide nelle questioni di politica economica: nella fattispecie, il
fatto che il timone dello Stato sia passato da una mano forte ad una più
debole è risultato determinante. L’altra esigenza da propugnare è, da un
lato, l’acquisto sistematico di terreno da parte dello Stato, mirante all’e­
stensione del possesso demaniale, c, dall’altro, la colonizzazione sistem a­
tica dei contadini tedeschi su terreni adatti, soprattutto su terreni dema­
niali adatti. Grandi imprese mantenute solo a spese del germanesimo, dal
punto di vista della nazione sono degne di andare a fondo, e lasciarle a se
stesse significa - mentre è in atto la progressiva parcellizzazione della ter­
ra - permettere il sorgere di colonie slave ridotte alla fame e incapaci di
mantenersi. E trasferire parti significative del terreno orientale nelle ma­
ni dello Stato non ha come unico effetto l’inibizione della marea slava,
ma anche quello di fermare la critica annichilente che i proprietari terrie­
ri stessi fanno al persistere della loro proprietà privata attraverso la ri­
chiesta di diminuire il loro rischio e la responsabilità personale nei ri­
guardi della loro proprietà - il loro unico motivo di giustificazione - sìa

’ A chiedere la chiusura del confine orientale al fine dì proteggere il germanesimo era stata la
Lega pangermanica (AUdeulìcher VerbantI) - a cui, tra l’altro, Weber aveva aderito dal 1893 - nel
corso della sua prima assemblea generale tenutasi nel 1894.
10Nel 1885 i polacchi di provenienza russa e galiziana furono espulsi dalle province di con­
fine prussiane e furono chiusi i confini; solo ai frontalieri era permesso il lavoro agrìcolo tempo­
raneo sul tcrntorio prussiano.
" 1 decreti del 26 novembre e del 18 dicembre del 1890 resero possibile ai polacchi di en­
trambi i sessi provenienti da Russia e Gallina il lavoro nelle province prussiane di confine con la
condizione che essi di volta in volta lasciassero il paese tra ifl5 novembre e il 1“ aprile.
Si tratta di Leo von Captivi (1831-1899) che successe a Bismarck nel 1890. Sotto il suo go­
verno furono riaperti i confini orientali.

14
L o S ta to n azio n ale

attraverso la creazione di un m onopolio dei cereali13 sia attraverso una


contribuzione annua statale di m ezzo miliardo14.
C om e ho già detto, tuttavia, non vorrei dilungarmi su questo proble­
ma pratico della politica agraria prussiana. Piuttosto, vorrei ricollegarmi
al fatto che noi consideriamo il germanesimo orientale come qualcosa che
deve essere difeso e per la cui difesa deve intervenire anche la politica eco­
nomica dello Stato. Il fatto che la nostra organizzazione statale sia uno
Stato nazionale ci fa sentire in diritto ad avanzare questa esigenza.
Ma come reagisce a ciò la riflessione economico-poiitica? È forse del­
l’avviso che tali giudizi di valore nazionalistici non sono altro che pregiu­
dizi, dì cui essa deve liberarsi con cura al fine di poter porre ai fatti eco­
nomici un loro criterio di valore, al di là di qualsiasi riflesso del sentimen­
to? E quale è questo «criterio di valore» dell’economia politica? Vorrei
cercare di approfondire questo problema in alcune successive riflessioni.

C om e abbiam o visto, anche sotto l’apparenza della «pace», la lotta


economica delle nazionalità prosegue. I braccianti tedeschi dell’Oriente
non vengono cacciati dalla terra natia con una lotta aperta condotta da ne­
mici politicamente superiori: nella lotta silenziosa e monotona della vita
economica di ogni giorno essi soccom bono di fronte ad una razza a loro

11Wehcr si riferisce alla mozione presentata per la prima volta nel 1894 dal deputato conser­
vatore Hans Wilhelm Alexander Kanitz per la creazione di un monopolio statale per il commer­
cio dei cercali.
'* Questa richiesta viene avanzata all’interno dello stesso contesto anche dal prof. Schmoller
nel suo Jabrbttcb. In effetti, quella parte della classe dei grandi proprietari terrieri - il cui mante­
lli mento in qualità di conduttori di aziende agricole è di grande valore per lo Stato —dovrebbe
essere sostenuta solo come affittuarìa di terreni demaniali c non come proprietaria. Io comunque
sono dell’avviso che l’acquisto di terreni abbia un senso duraturo solo in collegamento organico
con una colonizzazione di terreni demaniali adatti; clic venga effettuato, cioè, in maniera tale che
, una parte del terreno orientale passi nelle mani dello Stato c che quindi si provveda, con crediti
statali, a migliorarla radicalmente. La difficoltà con la quale deve lottare la Commissione per l’in­
sediamento consiste nel fatto - a prescindere dall’aggravio del «dopo cura» a carico dei coloni di­
ventati possessori, i quali nonostante le loro richieste di moratoria sarebbero assoggettati, dopo
un po’ di tempo, al fisco abituale assai poco tenero - che i poderi acquistati migliorerebbero de­
cisamente se venissero assegnati per migliorie, magari stilo un decennio, agli affittuari demaniali.
O ra la bonifica deve per forza essere condotta alla svelta e con grandi perdite seguendo la pro­
cedura amministrativa, mentre di sicuro numerosi terreni demaniali sarebbero stati adatti per
un’immediata colonizzazione. La lentezza della procedura, provocata da queste difficoltà, non
giustifica certamente il giudizio di Hans Dclbruck, espresso nei suoi diversi e noti articoli apparsi
nei Preiijìzscbe Jabrbticher, sull’effetto politico-nazionale del provvedimento. Pure il calcolo
meccanico fatto tramite il confronto del numero di nuovi poderi rurali con il numero dei pode­
ri polacchi, non dimostra assolutamente nulla a chiunque abbia considerato sul posto l’opera cul­
turale della colonizzazione; pochi villaggi, costituiti ciascuno da una dozzina dì poderi tedeschi,
germanizzano, all’occasione, parecchie miglia quadrate, presupponendo naturalmente che l’on­
data proletaria dell’ Lst venga arginata, e che non si rompa il fondo alla botte da cui si attìnge la­
sciando per il resto semplicemente Io spezzettamento c la decadenza della grande proprietà a
merco del caso c al libero gioco delle forze scatenate ulteriormente dalle leggi sulla proprietà a
reddito netto [n.d.A.].
W eber, Scrìtti p o litic i

inferiore, abbandonano la patria e vanno incontro ad un futuro oscuro e


incerto. N on c’è alcuna pace neanche nella lotta economica per l’esisten­
za; solo chi prende sul serio quest’apparenza di pace, può credere che dal
grembo del futuro possa sorgere per i nostri discendenti pace e gioia di vi­
vere. Certo sappiamo che la politica economica, secondo la concezione
volgare, è un meditare su ricette per rendere felice il mondo. Migliorare il
«bilancio del piacere» dell’esistenza umana sarebbe, secondo questa con­
cezione, l’unica meta comprensibile del nostro lavoro. Eppure già l’oscu­
ra gravità del problema della popolazione ci impedisce di essere eudaimo-
nisti, di immaginare, nascoste nel grembo del futuro, pace e felicità, e di
credere che al di fuori della dura lotta dell’uom o contro l’uomo sarà pos­
sibile nel corso dell’esistenza su questa terra conquistare la libertà.
Certamente non esiste un lavoro di politica economica che possa p o g­
giare su altro fondamento rispetto a quello altruistico. I frutti però di ogni
sforzo economico e politico-sociale del presente torneranno a vantaggio,
nella loro grande maggioranza, non della generazione odierna, ma di
quelle che verranno. Il nostro lavoro, se deve mantenere un senso, è e può
voler essere soltanto previdenza per il futuro, per i nostri discendenti.
N on può neppure darsi tuttavia nessun lavoro di politica economica sul­
la base di ottimistiche speranze di felicità. Contro il sogno della pace e
della felicità umana sulla porta del futuro sconosciuto della storia sta scrit­
to: lasciate ogni speranzaA
N on come si troveranno gli uomini del futuro, bensì come saranno è
la questione che ci spinge a pensare al di là del vincolo della nostra gene­
razione e che in verità sta anche alla base di ogni lavoro di politica econo­
mica. N oi non vorremmo alimentare il benessere degli uomini, quanto
piuttosto quelle qualità alle quali associamo la sensazione che creino la
grandezza umana e la nobiltà della nostra natura.
N ell’economia politica si sono considerati di volta in volta come crite­
ri di valore - oppure H si sono ingenuamente identificati - il problema tec­
nico-economico della produzione dei beni e il problema della distribu­
zione dei beni, vale a dire della «giustizia sociale». Al dì là dì essi si è sem­
pre affermata, in parte inconsapevolmente e tuttavia sempre in modo de­
terminante, la consapevolezza che una scienza dell’uomo, qual c l’econo­
mia politica, si interroghi soprattutto sulla qualità degli uomini che ven­
gono cresciuti attraverso quelle determinate condizioni di esistenza eco­
nomiche e sociali. Bisogna a questo punto guardarsi da un’illusione.
L’economia politica in quanto scienza esplicativa ed analitica è intem a­
zionale, ma non appena tocca giudizi di valore essa è vincolata a quell’im­
pronta dell’umanità che troviamo nel nostro essere più proprio. E ssa lo è

li Dante, Divina commedia, Inf. ni, 9, in italiano nel testo*


L o Stato n azio n ale

in massimo grado proprio quando crediamo di essere definitivamente


usciti dalla nostra pelle. E - per usare un’immagine alquanto fantastica -
se noi fossim o in grado dopo millenni di uscire dalla tomba, sarebbero le
lontane tracce del nostro essere quelle che ricercheremmo sul volto delle
generazioni future. Anche Ì nostri più alti ed ultimi ideali terreni sono mu-
tevoli e transeunti. N on possiam o volerli imporre al futuro. Ma possiam o
volere che in futuro coloro che verranno riconoscano nella nostra natura
quella dei loro antenati. N oi, con il nostro lavoro e il nostro modo di fa­
re, vogliamo essere gli antenati delle generazioni future.
Pertanto la politica economica di un’organizzazione statale tedesca,
proprio com e il criterio di valore del teorico tedesco di economia politi­
ca, possono essere solo tedeschi.
E per il teorico di economia politica è forse cambiato qualcosa da
quando lo sviluppo economico al di là dei confini nazionali ha iniziato a
produrre una vasta comunità economica delle nazioni? D a allora il crite­
rio di giudizio «nazionalistico» e l’«egoism o nazionale» nell’ambito della
politica economica sono da buttare nel ferro vecchio? E la lotta per l’au­
todeterminazione economica, per la propria moglie e per il proprio figlio
non è stata più considerata da quando la famiglia ha sm esso i panni delle
sue funzioni di un tempo in quanto comunità di produzione, ed è stata
collocata nell’ambito delia comunità politico-economica? N o i sappiamo
che non è così: questa lotta ha assunto altre forme, forme di cui ci si do­
vrebbe chiedere se siano da vedere come una mitigazione e non piuttosto
come un’interiorizzazione ed acutizzazione della lotta. Anche la comu­
nità politico-economica allora è soltanto un’altra forma della lotta che op­
pone vicendevolmente le nazioni, ed essa non ha certo mitigato la lotta
per l’affermazione della propria cultura, bensì l’ha aggravata, perché
chiama in causa interessi materiali nel grembo stesso della nazione come
alleati contro il suo futuro.
N o n pace e felicità dobbiam o consegnare ai nostri discendenti affinché
le portino con sé nel loro cammino, ma Yeterna lotta per il mantenimen­
to e l’esaltazione della nostra specificità nazionale. E a noi non è consen­
tito fare nostra l’ottimistica speranza che con lo spiegamento più ampio
possibile della cultura economica il nostro lavoro si sia compiuto, e che
quindi la selezione nella libera e «pacifica» lotta economica possa portare
di per sé la vittoria del tipo più sviluppato.
I nostri discendenti ci chiameranno alla nostra responsabilità davan­
ti alla storia non tanto per il tipo di organizzazione politico-economica
che tramanderemo loro, bensì per la misura dello spazio di movimento
che noi avremo conquistato nel m ondo per lasciarglielo in eredità. In ul­
tima istanza sono lotte per la potenza anche i processi di sviluppo eco­
nom ico e gli interessi di potenza della nazione, dove essi sono posti in
Weber, Scritti p o litici

questione, sono gli interessi ultimi e decisivi, al servizio dei quali deve
porsi la politica economica della nazione; la scienza della politica econo­
mica è una scienza politica. Essa è dunque una ancella della politica, ma
non della politica di ogni giorno propria di chi di volta in volta coman­
da, governanti o classi di potere, quanto piuttosto dei duraturi interessi
di politica di potenza della nazione. E lo Stato nazionale non è per noi
un qualcosa di indeterminato che si crede di porre tanto in alto quanto
più si avvolge la sua essenza in una mistica oscurità, bensì è l’ organizza­
zione di terrena potenza della nazione. E in questo Stato nazionale il cri­
terio ultimo di valore, anche in una considerazione politico-economica,
è per noi la « ragion di Stato». E ssa non significa, com e ritiene un biz­
zarro fraintendimento, «aiuto da parte dello Stato» anziché «aiutarsi da
se »16, regolamentazione statale della vita economica anziché lìbero gioco
delle forze economiche; noi con questa form ula vogliam o sostenere l’e­
sigenza che per le questioni della politica econom ica tedesca - c, tra le al­
tre, anche quella che riguarda se e in che misura lo Stato debba interve­
nire nella vita economica oppure, al contrario, se e quando Io Stato deb­
ba lasciare libere le forze economiche della nazione di dispiegarsi libera­
mente e abbattere le loro barriere - l’ultima e decisiva risoluzione, in
ogni singolo caso, spetti senz’altro agli interessi dì potere economici e
politici della nostra nazione c del suo rappresentante, vale a dire Io Sta­
to nazionale tedesco.

[Era forse superfluo richiamare alla memoria queste apparenti ovvietà?


E doveva essere proprio un giovane rappresentante delle scienze econo­
miche a ricordarle? Io non lo credo, sembra infatti che proprio la nostra
generazione non di rado perda di vista assai facilmente questi semplicissi­
mi fondamenti del giudizio. N o i siamo testimoni di come l’interesse del­
la nostra generazione per le questioni alla base della nostra scienza cresca
in misura insospettata. Osserviamo che in tutti i settori il punto di vista
economico sta guadagnando terreno. L a politica sociale al posto della po­
litica, le relazioni economiche di potenza al posto delle relazioni di dirit­
to, la storia della civiltà e la storia economica al posto della storia politica
occupano sempre più un posto centrale in ogni analisi. In opere eccellen­
ti dei nostri colleghi storici vediamo oggi, laddove un tempo sì racconta­
vano le azioni di guerra dei nostri avi, il mostro del «matriarcato» occu­
pare sempre più spazio, mentre la sconfitta degli Unni ai Campì Catalau-

Staatshilfe e Selbsthilfe erano concetti politico-eco nomici dibattuti negli anni sessanta del
X IX secolo. LVai utarsi da se» era sostenuto dalla parte liberale, soprattutto nelle tesi di Hermann
Sehulzc-Dclitzseh* Il suo avversario c sostenitore dclT«&iuto da parte dello Stato* era invece Fer­
dinand Lassallc»
L o S ta to n az io n ale

nici viene confinata in poche righe17. La giurisprudenza credeva di poter


definire l’autocompiacimento di uno dei nostri teorici più ricchi di spiri­
to com e uno dei segni «deH’asservimento all’economia nazionale»1®. Ed
una cosa è certamente vera: anche nella giurisprudenza è entrata la pro­
spettiva economica; perfino nel suo intimo, nei manuali dei pandetfisti
comincia a far capolino sommessamente qua e là lo spirito economico. E
nelle sentenze dei tribunali troviamo non di rado, al posto dei concetti
giuridici rivelatisi inadeguafi, i cosiddetti «punti di vista economici». In
breve - per usare l’ espressione, che voleva essere in parte di rimprovero,
di un collega giurista - noi siamo «diventati di m oda». U n m odo di vede­
re che si apre la strada in una maniera così sicura di sé rischia di cadere in
certe illusioni o di sopravvalutare la portata dei propri punti di vista - una
sopravvalutazione in una direzione ben determinata. C om e l’ampliarsi
dell’ambito su cui cimentare la ricerca filosofica - che si evince esterna­
mente dal fatto che oggi spesso troviamo le vecchie cattedre di filosofìa
occupate, per esempio, da illustri fisiologi - ha generato spesso, tra noi
profani, l’opinione che le antiche domande sull’essenza del conoscere
umano non costituiscano più i problemi ultimi e centrali della filosofia;
così nelle teste della giovane generazione si è formata la persuasione che,
grazie al lavoro della scienza economica nazionale, non solo la conoscen­
za dell’essenza delle comunità umane si sia grandemente estesa, ma che
anche il criterio, in base al quale noi in ultima istanza valutiamo i feno­
meni, si sia trasformato completamente, come se l’economia politica fos­
se nella condizione di trarre dal proprio ambito ideali propri. L’illusione
ottica che m ostra ideali economici o «sociali e politici» indipendenti, di­
venta senz’altro palese non appena sì cerca dì determinare sulla scorta del­
la letteratura della nostra scienza questi fondamenti «propri» della valuta­
zione. CÌ si para allora dì fronte un caos di criteri di valutazione in parte
di tipo eudaimonistico, in parte di tipo etico, spesso di entrambi i tipi
identificati in m odo non chiaro. Ovunque vengono formulati con disin­
voltura giudizi dt valore; e una rinuncia alla valutazione dei fenomeni
economici significava certo in effetti la rinuncia proprio di quella presta­
zione che si richiedeva da noi. N o n è però la regola, ma quasi l’eccezione
che il giudicante metta in chiaro agli altri e a se stesso il nocciolo ultimo
soggettivo dei suoi giudizi, gli ideali cioè a partire dai quali egli valuta i
fatti osservati: manca il controllo cosciente di sé, Io scrittore non è con­
scio delle contraddizioni interne del giudizio e, dove egli cerca dì form u­
lare in generale il suo principio di valutazione specificamente «econom i­

17 Probabilmente Weber allude qui a Karl Lamprecht, che nel primo volume della sua Deut­
sche Geschichte trattava dettagliatamente del ruolo del «matriarcato».
'* È verosimile che Wcbcr intenda qui il giurista Bernhard Windscheid*
W eber, Scrìtti p o litici

co», cade in vaghe indeterminatezze. In verità ciò che noi introduciamo


nell’ambito della nostra scienza non sono tipi peculiari e ottenuti in ma­
niera autonoma, bensì vecchi tipi generici di ideali umani. Solo chi pone a
fondamento della sua ricerca nient’altro che l’interesse puramente plato­
nico del tecnologo o chi al contrario vi pone gli interessi attuali di una
classe determinata, sia essa dominante o dominata, può ricavare dallo stes­
so ambito un proprio metro di misura per la valutazione personale.
E dovrebbe poi essere del tutto superfluo che proprio noi giovani del­
la scuola storica tedesca poniamo sotto agli occhi queste verità oltremodo
semplici? Proprio noi cadiamo facilmente nella particolare illusione di p o ­
terci in generale astenere dal pronunciare un nostro cosciente giudizio di
valore. L a conseguenza non è certo, come ci si può facilmente convince­
re, quella di restare fedeli ad un proposito appropriato, ma il cedere ad
istinti incontrollati, a simpatie ed antipatìe. E ciò che ci accade ancora più
facilmente è che il punto dal quale noi abbiamo iniziato nell’analisi e nel­
la spiegazione dei fatti polìtico-economici, inconsapevolmente diventa de­
terminante anche per il nostro giudizio al riguardo. Forse proprio noi d o ­
vremmo guardarci a che quelle grandi qualità dei maestri vivi e morti del­
la nostra scuola, alle quali i maestri stessi e la scienza devono Ì loro suc­
cessi, non si trasformino in noi in difetti. Fondamentalmente, bisogna
analizzare due diverse considerazioni.
O noi guardiamo allo sviluppo economico dall’alto, dall’altezza della
storia dell’amministrazione dei grandi Stati tedeschi, di cui seguiamo nel­
la loro genesi l’amministrazione e il comportamento nelle questioni eco­
nomiche e sociali, diventando così, senza volerlo, i suoi apologeti. (Se -
per restare al nostro esempio - l’amministrazione si decidesse di chiudere
i confini orientali, allora noi saremmo inclini c capaci di trovare in ciò la
conclusione di un com plesso sviluppo storico, il quale - a seguito di gran­
di reminiscenze del passato - pone allo Stato odierno alti compiti nell’in­
teresse della cura della civiltà della propria nazione; ma se questa decisio­
ne non venisse presa, allora per noi sarebbe più vicina la persuasione che
tali radicali interventi siano in parte inutili e in parte non più rispondenti
alle idee correnti).
Oppure: consideriamo lo sviluppo economico più dal basso; assistia­
m o al grande spettacolo di come dal caos dei conflitti di interesse econo­
mici risaltino le lotte di emancipazione delle classi emergenti, osserviamo
come la situazione di potenza economica si sposti a loro favore, e, incon­
sapevolmente, prendiamo partito per queste classi che stanno emergendo,
perché sono le più forti o perché iniziano a diventarlo. Proprio per il fat­
to che vincono, sembrano dimostrarci di essere le rappresentanti di un ti­
po di umanità «economicamente» più elevato: la convinzione che la vit­
toria degli elementi più altamente sviluppati nella lotta sia ovvia e che il

20
L o S tato n azio n ale

soccom bere nella lotta per l’esistenza sia sintomo di «arretratezza» dom i­
na troppo facilmente lo storico. E ogni nuovo sintomo tra i molti che ven­
gono alla luce di questo spostamento di potere gli offre allora una soddi­
sfazione, dato che conferma le sue osservazioni, ma non solo; egli infatti,
in parte inconsciamente, sente ciò come un trionfo personale: la storia pa­
ga le cambiali che egli ha tratto su di essa. Egli osserva, senza sospettarlo,
con una certa animosità le resistenze che ogni sviluppo trova nel suo es­
sere; esse, senza volerlo, non gli appaiono alla stregua dì semplici esiti na­
turali di un’ovvia consonanza di interessi, ma in una certa misura come
una rivolta contro il «giudizio della storia», così come l’ha formulato lo
storico1’1. L a critica che dobbiam o esercitare anche nei confronti di fatti
che ci appaiono come il risultato irriflesso di tendenze di sviluppo stori­
che, ci abbandona proprio là dove ne abbiamo più bisogno. Troppo vici­
no a noi resta comunque il tentativo di formare il seguito del vincitore
nella battaglia economica per la potenza e di dimenticare, con questo, che
la potenza economica e la vocazione alla guida politica della nazione non
sempre coincidono l\

Infatti - e con ciò ci avvici ni amo ad un’ultima serie di considerazioni


di carattere più pratico-politico - su questo criterio politico di valore, che
per noi nazionalisti economici è il solo e sovrano, valutiamo anche le clas­
si che hanno in mano la conduzione della nazione o che vi aspirano. E ci
interroghiamo circa la loro maturità politica, e cioè sul loro intendimento
e sulla loro capacità di porre di volta in volta i permanenti interessi di po­
tenza economici e politici della nazione al di sopra di tutte le altre consi­
derazioni. È un segno del favore del destino per la nazione se la ingenua
identificazione degli interessi della propria classe con quelli dell’intera
collettività corrisponde ai permanenti interessi di potenza di quest’ultima.
E d ’altro canto ci troveremmo di fronte ad una delle illusioni che si fon­
dano sulla moderna sopravvalutazione dell’«econom Ìco», nel senso con­
sueto della parola, ritenendo che Ì comuni sentimenti polìtici non sapreb­
bero sopravvivere ad una prova di resistenza con i discordanti interessi
economici quotidiani, e che essi stessi in aggiunta sarebbero soltanto un
riflesso dell’infrastnittura economica di quella mutevole situazione di in­
teressi. C iò si verifica approssimativamente solo in tempi dì radicale scon­
volgimento sociale. Soltanto una cosa è certa: nelle nazioni nelle quali la
dipendenza della fioritura economica dalla situazione politica di potenza
non viene - come invece in Inghilterra — quotidianamente ribadita, gli
istinti per questi interessi specificatamente politici non sono presenti - o,

11 La metafora del giudizio sì trova soprattutto nella storiografia liberale del X IX secolo, in
F. C . Schlosscr, K , voti Rotteck, G. G. Gcrvinus e X Mommscn.
W eber, Scritti p olitici

per lo meno, non di regola - nelle grandi masse della nazione che devono
lottare con la necessità del giorno; tra l’altro, sarebbe ingiusto pretender­
li da loro. N ei momenti decisivi, però, in caso dì guerra, anche nei loro
animi traspare il significato della potenza nazionale, e allora si m ostra che
lo Stato nazionale riposa su salde fondamenta psicologiche anche presso
gli ampi strati della nazione dominati economicamente e che non è affat­
to Soltanto una mera «sovrastruttura», cioè l’organizzazione della classe
economicamente dominante. Solo nei tempi normali questo istinto polì­
tico nelle masse scende sotto la soglia della coscienza. Allora è funzione
specifica degli strati economicamente e politicamente dominanti quella di
essere i depositari del senso politico, l’unico motivo che è in grado di giu­
stificare la loro presenza dal punto di vista politico.
In ogni epoca è stato il conseguimento della potenza economica ciò che
ha fatto nascere in una classe l’idea della sua candidatura alla guida poli­
tica. È pericoloso e alla lunga inconciliabile con l’interesse della nazione
se una classe economicamente declinante conserva il potere politico. M a
ancora più pericoloso è il caso in cui le classi verso le quali sì sposta la p o ­
tenza economica e con ciò l’aspirazione al potere politico, non sono an­
cora politicamente mature per guidare lo Stato. Al momento, tutte e due
le cose minacciano la Germania cd in verità c questa la chiave per com ­
prendere ì pericoli che attualmente corriamo ìn questa situazione. Ed an­
che le trasformazioni della struttura sociale dell’Est, con le.quali stanno
in relazione i fenomeni discussi all’inizio, appartengono a questo conte­
sto più ampio.
Fino ad oggi, nello Stato prussiano, la dinastìa si è appoggiata politica-
mente al ceto degli Junker. Contro di essa, ma anche soltanto con il suo
aiuto, la dinastia ha creato lo Stato prussiano. So bene che il nome Ju n ker
suona poco gradito alle orecchie dei tedeschi del Sud. Si troverà forse che
parlo un idiom a «prussiano» se dico una parola a loro vantaggio. N on sa­
prei. Ancor oggi in Prussia vi sono moke vie attraverso le quali gli Ju n ker
arrivano ad occupare posti influenti e di potere, m oke vie che portano
dritte all’orecchio del monarca, vie che non si spianano ad ogni cittadino;
questa classe non ha sempre usato questa potenza Ìn maniera tale da po­
terla giustificare davanti alla storia, e non capisco perché un studioso bor­
ghese dovrebbe amarla. Eppure, al di là di tutto la forza dei suoi istinti po­
litici era uno dei capitali più potenti che potessero essere utilizzati a van­
taggio degli interessi di potenza dello Stato. Essi hanno compiuto la loro
opera ed oggi giacciono in un’agonia polìtica dalla quale nessuna politica
economica statale potrebbe ricondurli al loro antico carattere sociale. E
anche i compiti del presente sono diversi rispetto a quelli che essi avreb­
bero potuto risolvere. Per un quarto dì secolo è stato al vertice della G er­
mania l’ultimo e il più grande degli Junker; e la tragicità che grava sulla sua
L o S tato n azio n ale

carriera di uom o polìtico accanto alla incomparabile grandezza, che an­


cora oggi si sottrae allo sguardo di molti, domani la si scorgerà nel fatto
che sotto dì luì l’opera delle sue mani, la nazione alla quale egli ha dato
l’unità, lentamente e irresistibilmente ha mutato la sua struttura economi­
ca ed è divenuta un’altra, e cioè un popolo che doveva necessariamente
esigere diversi ordinamenti rispetto a quelli che egli era in grado di dare e
ai quali poteva adattarsi solo la sua natura dispotica. In fin dei conti è sta­
to proprio questo ciò che ha cagionato il fallimento parziale dell'opera
della sua vita. Q uest’opera, infatti, non avrebbe dovuto condurre soltan­
to all’unità esteriore, ma anche all’unità interna della nazione e ognuno di
noi sa che questo obiettivo non è stato raggiunto. Egli non poteva otte­
nerlo con i suoi metodi. E quando nell’inverno dello scorso anno, attira­
to dalla benevolenza del suo sovrano, entrò nella capitale del Reich para­
ta a festa20, molti - lo so bene - ebbero come la sensazione che il Sach-
senwald, novello Kyffhàuser, lo restituisse — dopo averlo tenuto celato
nelle sue viscere - alla polìtica1'. N o n tutti però hanno condivìso questa
sensazione. NeH’aria dì quei giorni di gennaio, infatti, sembrava di perce­
pire il soffio freddo della caducità storica. C i colse un sentimento parti­
colarmente angoscioso, come se uno spirito scendesse da un grande pas­
sato e si aggirasse tra la nuova generazione in un m ondo divenutogli or­
mai estraneo.
I poderi orientali erano i punti d ’appoggio della classe prussiana d o ­
minante dislocata sul territorio, il luogo del reclutamento della burocra­
zia statale; ma, in maniera inarrestabile con la loro decadenza, con lo
scomparire del carattere sociale dell’antica nobiltà terriera, il baricentro
dell’intelligenza politica si sposta nelle città. Questo spostamento è l’ele­
mento polìtico decisivo dello sviluppo agrario dell’Est.
M a in che mani passa la funzione polìtica della classe degli Ju n k e r
e qual è la caratteristica della vocazione politica della nuova classe d o ­
minante?
Io sono un membro della classe borghese, mi sento tale e sono stato
educato alle sue idee ed ai suoi ideali. Tuttavia, spetta proprio alla nostra
scienza dire ciò che viene sentito malvolentieri - sia in alto, che in basso e
anche all’interno della stessa classe borghese; e quando mi chiedo se la
borghesia tedesca sia oggi matura per essere la classe politica dirigente del­
la nazione, allora devo dire che attualmente non sono in grado di rispon-

;o II 26 gennaio 1894 Bismarck fu ricevuto festosamente dall’imperato re Guglielmo ri a Ber­


lino per essere nominato capo del settimo reggimento dei corazzieri.
-’1 Weber qui allude alla leggenda secondo la quale l’imperatore Federico Barbarossa nella
montagna del Kyffhàuser in Turingìa attendeva di poter ritornare alla politica attiva per servire
di nuovo la Germania. D opo la sua messa a riposo nel 1890, Bismarck viveva nella sua proprietà
dì Friedrichsmh nel Sachscnzsald, pochi chilometri ad est di Amburgo.
W eber, Scritti p olitici

dere in maniera affermativa a questa domanda. L o Stato tedesco non è sta­


to creato dalla forza peculiare della borghesia; e quando fu creato, ai ver­
tici della nazione stava quella figura di despota, di tutt’altra pasta rispetto
a quella borghese. Grandi compiti di politica di potenza non furono più
posti alla nazione; solo molto più tardi, timidamente e ìn parte contro vo­
glia, iniziò una «politica di potenza» d ’oltremare, che in realtà non meri­
ta questo nome.
E dopo il conseguimento dell’unità della nazione con la successiva «sa­
turazione» (Sàttigung)21 politica che ne seguì, s’instaurò sull’ascesa, ebbra
di successi e assetata di pace della borghesia tedesca uno spirito partico­
larmente «astorico» ed impolitico. L a storia tedesca sembrò alla fine. Il
presente appariva come il perfetto compimento dei millenni passati; chi
mai voleva chiedere se il futuro avrebbe potuto giudicare altrimenti il tut­
to? La modestia —così sembrava a molti - impediva certo alla storia mon­
diale di andare, col suo corso quotidiano, oltre ì successi della nazione te­
desca. O ggi siamo diventati imparziali: dobbiam o quindi tentare di solle­
vare il velo delle illusioni che ci nasconde la posizione della nostra gene­
razione nello sviluppo storico della patria. E mi sembra che allora la giu­
dicheremo diversamente. Fin dalla nostra nascita ha pesato su di noi la più
pesante maledizione che la storia potesse dare come viatico ad una gene­
razione: il duro destino dell’essere politicamente degli epigoni.
E ovunque ci volgiamo in patria, non incontriamo il suo volto preoc­
cupato? N egli eventi degli ultimi mesi, cui devono rispondere in prima
persona i politici borghesi^, nel troppo che negli ultimi giorni è stato det­
to nel parlamento tedesco, e in alcune cose che sono state dette a l parla­
mento, quelli di noi ai quali è rimasta la capacità di odiare la meschinità
hanno riconosciuto con la passione della tristezza esasperata la gretta at­
tività degli epigoni politici. Il grande sole che stava allo zenit della G er­
mania e faceva rilucere il nome tedesco negli angoli più remoti della terra,
era - così, almeno, è sembrato - troppo grande per noi e ha ormai brucia­
to la capacità politica di giudizio della borghesia che si stava lentamente
sviluppando. Infatti, che esperienza abbiamo avuto della borghesia?
Troppo palesemente una parte della grande borghesia sente la nostal­
gia di un nuovo Cesare che la protegga verso il basso nei confronti delle

" Bismarck ha più volte definito il Reich tedesco come territorialmente «sazio» (gesàttigt)
oppure «saturo» (satunert).
B Queste osservazioni sì riferiscono alle discussioni svoltesi nel Reich ftag e a livello di opi­
nione pubblica sul tema della cosiddetta Umìturzvorhige, vale a dire il progetto di una legge che
riguardava cambiamenti e integrazioni del codice penale, militare, e della legge sulla stampa, che
era stato presentato all’inizio del dicembre 1894 nel Reichstag. Se fosse stato approvato, sareb­
bero state ampliate le possibilità legali di riduzione delle attività politiche della Socialdemocrazia,
i cui aderenti a partire dal 1890 erano aumentati considerevolmente. Weber considerava soprat­
tutto i nazional-liberali come i responsabili di questa proposta.
L o S ta to n azio n ale

crescenti masse popolari, e verso l’alto nei confronti delle ubbie politico­
sociali di cui, a suo giudizio, sono sospette le dinastie tedesche.
E un’altra parte è sprofondata ormai da lungo tempo in quel filistei­
sm o politico dal quale ampi strati della piccola borghesìa non sono mai
stati risvegliati. G ià quando si conclusero le guerre per l’unità e si intra­
presero i primi passi verso compiti politici positivi nazionali - il progetto
innanzitutto di un’espansione oltremare — mancò alla borghesia quella
semplicissima consapevolezza economica che le avrebbe perm esso di
comprendere che cosa potesse significare per il commercio della G erm a­
nia lo sventolare lungo le coste di mari lontani delle bandiere tedesche24.
N o n certo motivi economici né la «politica di interessi» da più partì
chiamata in causa - e che altre nazioni conoscono in misura non inferio­
re a noi - sono colpevoli dell’immaturità politica di ampi strati della bor­
ghesia tedesca; il m otivo sta nella scarsa partecipazione politica che ha ca­
ratterizzato il suo passato, nel fatto che il lavoro politico di educazione di
un secolo non si poteva recuperare in un decennio, e che il dominio di un
grande uom o non sempre è un m ezzo efficace di educazione politica. E
ora la dom anda più seria circa il futuro polìtico della borghesìa tedesca è
se non sia ormai troppo tardi per recuperare questo ritardo, che nessun
elemento economico può sostituire.
Altre classi saranno portatrici di un avvenire politicamente più gran­
de? C onscio della sua forza, il proletariato moderno si candida come ere­
de degli ideali borghesi. C osa pensiamo della sua aspirazione alla direzio­
ne politica della nazione?
Chi oggi dicesse della classe operaia tedesca che essa è politicamente
matura o sulla via della maturità politica, costui sarebbe un adulatore e
aspirerebbe ad una dubbia popolarità.
D a l punto di vista economico, gli strati più airi della classe operaia te­
desca sono di gran lunga più maturi di quanto l’egoismo delle classi pos­
sidenti vorrebbero ammettere, e legittimamente la classe dei lavoratori
esige la libertà di rappresentare i propri interessi anche nella forma aperta
e organizzata della lotta economica per la potenza. D a l punto di vista po­
litico, invece, essa è infinitamente più immatura di quanto una cricca di
giornalisti25 vorrebbe farle credere al fine di m onopolizzare la sua condu­
zione. N egli ambienti di questi borghesi declassati si gioca volentieri con
le reminiscenze di cento anni fa, e con ciò in effetti si è conseguito che qui
e là nature paurose vedano in loro i discendenti spirituali degli uomini
della Convenzione. Sennonché essi sono infinitamente più innocui di

» Allusione all'opposizione espressa dalla Freismntge Voìkspartei sotto la direzione di Eugcn


Rithter contro una vasta politica di acquisizioni coloniali.
HAllusione alla circostanza che numerosi politici socialdemocratici erano redattori a stipen­
dio fisso della stampa del loro parato.
Weber, Scritti p olitici

quanto appaiano a se stessi, in loro non c’è alcuna scintilla di quell’ener­


gia catilinaria che spinge all\* 2 *o«e, e neppure un alito della potente pas­
sione nazionale che spirava nelle aule della Convenzione, Essi sono pic­
coli, miseri maestri politici e mancano dei grandi istinti dipotenza propri
di una classe votata alla direzione politica. O ggi non sono soltanto gli in­
teressati al capitale, come si fa credere agli operai, gli oppositori politici
della loro partecipazione al potere dello Stato. Essi troverebbero poche
tracce di comunanza di interessi con il capitale nelle analisi degli studiosi
tedeschi. M a interroghiamo anche loro circa la m aturità politica che di­
mostrano, e poiché per una grande nazione non c’c niente di più annichi­
lente che la direzione da parte di una piccola borghesia filistea politica-
mente non preparata, e poiché il proletariato tedesco non ha ancora per­
duto questo carattere, per questo motivo noi siamo suoi oppositori politi­
ci. E perché il proletariato di Inghilterra e Francia è in parte diverso? La
causa non sta soltanto nel più antico lavoro di educazione economica che
la lotta organizzata per la difesa dell’interesse degli operai inglesi ha fatto
nascere in loro. A ncora una volta, si tratta soprattutto di un elemento po­
litico: la risonanza della posizione di potenza mondiale, la quale pone co­
stantemente lo Stato di fronte a grandi compiti di politica internazionale
e costringe il singolo ad una formazione politica permanente - form azio­
ne a cui da noi il singolo c costretto in maniera pressante solo in caso di
minaccia dei confini. Anche per il nostro sviluppo è decisivo se una gran­
de politica sia o meno in grado di porci nuovamente sotto gli occhi l’im­
portanza delle grandi questioni politiche di potenza. Se l’unificazione del­
la Germania doveva essere la conclusione e non i'inizìo dì una politica te­
desca di potenza mondiale, allora dobbiam o avere ben chiaro che tale uni­
ficazione non è stata altro che un gesto giovanile che la nazione ha com­
piuto in età avanzata e che sarebbe stato meglio non compiere a causa dei
suoi costi elevati.
Ma, il lato minaccioso della nostra situazione è che le classi borghesi in
quanto portatrici degli interessi di potenza della nazione sembrano scom ­
parire, mentre non ci sono ancora segnali che indichino la raggiunta ma­
turità della classe operaia necessaria per prenderne il posto.
Il pericolo non sta nelle masse, come credono coloro che guardano
ipnotizzati nei recessi della società. Il contenuto ultimo del problema po-
Yiùco-sociale non consiste nella questione della condizione economica di
chi è dominato, quanto piuttosto nella qualificazione politica delle classi
dominanti e in ascesa. Lo scopo del nostro lavoro politico-sociale non è la
felicità del mondo, bensì Vanificazione sociale della nazione in vista delle
dure lotte dell’awenire, la quale ha mandato all’aria lo sviluppo economi­
co moderno. Se effettivamente si fosse in grado di formare una «aristo­
crazia operaia» finalmente portatrice di quel senso politico oggi manche­

26
L o Stato n azio n ale

vole nel movimento dei lavoratori, solo allora si potrebbe depositare su


queste ampie spalle la lancia per la quale il braccio della borghesia sembra
non essere ancora abbastanza force. La strada da percorrere, tuttavia, mi
sembra ancora lunga.
Per adesso una cosa è certa: deve essere fatto un enorme lavoro di edu­
cazione politica; non c’è per noi, ognuno per quanto gli compete, dovere
più serio dell’essere consapevoli di questo compito: lavorare assieme all’e­
ducazione politica della nostra nazione; e questo deve restare il fine ulti­
mo anche della nostra scienza. L o sviluppo economico dei periodi di tran­
sizione minaccia di distruggere gli istinti politici naturali; sarebbe una
sciagura se anche la scienza economica aspirasse al medesimo scopo, ali­
mentando un molle eudaimonismo, magari in una forma alquanto spiri­
tualizzata, dietro l’illusione di autonomi ideali «politico-sociali».
D ’altronde è lecito per noi ricordare che è l’esatto contrario dell’edu­
cazione politica se si cerca di formulare in paragrafi un voto di sfiducia
contro il pacifico futuro sociale della nazione2*, oppure se il brachlum spe­
culare ricorre all’aiuto della Chiesa per sostenere autorità temporali27. Ma
il contrario dell’educazione politica si mostra anche tanto con la sciocca
canea dì quel coro sempre crescente dei - mi si perdoni l’espressione —so­
cial-politici da bosco e prati, quanto in quell'ammorbidimento umanita­
rio dell’animo - certo amabile e rispettabile, ma tuttavia indicibilmente
piccolo borghese -, il quale intende sostituire gli ideali politici con ideali
«etici» credendo di poterli innocentemente unificare con ottimistiche spe­
ranze di felicità28.
Anche di fronte alla grande miseria delle masse, che pesa sull’acuta co­
scienza sociale della nuova generazione, dobbiam o confessare sincera­
mente che su di noi oggi pesa ancora di più la coscienza della nostra re­
sponsabilità davanti alla storia. N o n è dato alla nostra generazione di ve­
dere se la lotta che noi conduciamo darà frutti, e se i posteri ci riconosce­
ranno come loro avi. N on ci riuscirà di scacciare la maledizione che pesa
su di noi, quella di essere i posteri di una grande epoca politica, a meno di
non riuscire a diventare qualcosa di diverso, e cioè i precursori di un’epo­
ca ancora più grande. Sarà questo il nostro posto nella storia? N on lo so
e dico solo che è diritto della gioventù stare dalla parte di se stessa e dei

Ancora un’allusione alla Urnsturzcorlage.


27 Allusione alle aspirazioni dello Stato prussiano dì opporsi alia diffusione dì idee liberali e
socialdcmocraticlie per mezzo di un rafforzamento dell’inffusso della Chiesa nella scuola. Q ue­
ste aspirazioni statali divennero palesi nelle proposte del ministro della Cultura von Zcdìitz-
Triìtzschler nel 1892, le quali tuttavia non vennero messe in pratica in conseguenza delle nume­
rose proteste provenienti dall’opinione pubblica.
Weber si riferisce alla GeseUscbaftfiir ethisebe Kuìtur fondata nel ì 892 dall’astronomo ber­
linese W. Foerster, suo figlio F. W. Foerster, G. von Gizycki e F. Tonnies, che aspirava a riforme
sociali c culturali sulla base delle dottrine etiche della filosofia idealista tedesca.
W eber, Scritti p o litic i

suoi ideali. E non sono gli anni che rendono l’uom o vecchio: sì è giovani
finché si è in grado di sentire le grandi passioni che la natura pose in noi.
E così - permettetemi di concludere con questo - non sono i millenni di
una storia ricca di gloria a far invecchiare una grande nazione. E ssa resta
giovane se ha la capacità e il coraggio di riconoscersi in se stessa e nei gran­
di istinti che le sono propri, e se le sue classi dirigenti sono in grado di ele­
varsi all’aria rigida e tersa nella quale prospera il sobrio lavoro della polì­
tica tedesca, la quale è anche abitata dalla seria magnificenza del senti­
mento nazionale.
II. Sulla burocrazia

1909
Q uesto testo è uno stralcio estratto dall’am pio capitolo dal titolo Diskussionsreden a u f
d m 7‘a gungen des Vereins fiir Sozialpolitik (1905, 1907, 1909, 1911) che occupa le pagine
194-430 del volum e Max Weber, Gesammelce Aufsdtze z a r Sociologie und Sozialpolitik,
edito da Marianne Weber, J. C . B. M ohr (Paul Siebcck), Tiìbitigen 1924. L a traduzione qui
I a esci nata riguarda il paragrafo intitolato D ebattereden a u f d er Tagung des Vereins f ii r So-
i.tìptduik in Wien 1909 z a den Verhandlungen tiber « D ie •winsebaftlichen Untemehmun-
; ;i ' r dei <iemeinden<*, pp. 412-6.
SCRITTI POLITICI

Vi prego di perdonarmi se ritorno ancora una volta a quei punti dì vi­


sta generali che si sono ormai imposti nel dibattito, e se mi riallaccio a Ciò
che il nostro venerato maestro, il professor Wagner1, ha detto questa mat­
tina. Alcuni passaggi del suo intervento, infatti, non ho potuto ascoltarli
che con stupore, in particolare l’affermazione che i profitti sulle ferrovie
in Prussia tornerebbero a vantaggio delle classi povere. Per quanto ne so
questi profitti provengono prevalentemente dalle tasche delle classi pove­
re, e a questo principalmente servono: a far risparmiare il versamento dì
tasse ai grandi proprietari terrieri. Forse questa considerazione, che ac­
centuo intenzionalmente, è tanto unilaterale quanto quella del professor
Wagner, ma era impossibile non replicare a ciò che ha detto.
Mi riallaccio ora ad alcune considerazioni fatte da mio fratello2. Pur
nutrendo opinioni diverse su talune cose, per quanto riguarda questo
punto posso solamente rilevare che c’è pieno accordo tra noi. M io fratel­
lo è convinto, proprio come il professor Wagner e come me, dcll’inarrc-
stabilità del progresso della meccanizzazione burocratica. In effetti non
c’c niente al m ondo, nessun dispositivo meccanico, che lavori in maniera
così precisa come questa macchina umana - c, aggiungo, così a basso
prezzo! Ad esempio, è notoriamente un’assurdità dire che l’autoammini­
strazione sarebbe ancora più economica in quanto evasa tramite incarichi
a titolo onorifico. Se Si considera un’amministrazione puramente tecnica
e irreprensibile, vale a dire un disbrigo preciso cd esatto di compiti ogget­
tivi, alla stregua deU’unico e più alto ideale, è chiaro che - a partire da que­
sto punto dì vista - si può dire: al diavolo tutto il resto, si crei una gerar­
chia di funzionari che disbrighi queste cose oggettivamente, in m odo pre­
cìso, «senz’anima», proprio come una macchina. La superiorità tecnica

1Adolph Wagner (1835-1917)* economista e cofondatore del Vereirt fìir Sozmipoiitik.


1 Alfred Weber (1868-1958), sociologo cd economista membro del Verein fu r Sozialpolitik.
W eber, Scritti p o litici

del meccanismo burocratico è evidente tanto quanto la superiorità tecni­


ca delle macchine utensili rispetto al lavoro manuale. Ma quando fu fon­
dato il Verein fu r Sozialpolitik fu la generazione cui appartiene il profes­
sor Wagner, che allora era minoritaria proprio come lo siamo noi adesso
che la pensiamo diversamente rispetto a Loro, a invocare criteri diversi da
quelli puramente tecnici. Loro, signori, un tempo hanno avuto da com ­
battere contro le salve di applausi tributate alle prestazioni puramente tec­
nologiche della meccanizzazione industriale, come le raffigurava allora la
dottrina di Manchester. Oggi mi sembra che Loro corrano il pericolo dì
confondersi nello scroscio di applausi tributato alla meccanizzazione nel­
l’ambito dell’amministrazione dello Stato c della politica. N on è questo,
infatti, ciò che abbiamo sentito da Loro? Addirittura di fronte alle conse­
guenze di questa burocratizzazione e nazionalizzazione estesa che già og­
gi vediamo avanzare. Nelle imprese private della grande industria, come
generalmente in tutte le imprese economiche organizzate in modo m o­
derno la «calcolabilità», il calcolo razionale, pervade ogni livello. Ogni
sìngolo operaio è una rotellina all’interno di questa macchina cd è spinto,
interiormente, a sentirsi sempre più tale e a chiedersi soltanto se non pos­
sa diventare, da quella piccola rotellina che è, una rotella un p o ’ più gran­
de. Prendano come apice il potere autoritario dello Stato o del comune in
un’entità statale monarchica: esso ricorda vivamente l’antico regno egizia­
no che era interamente pervaso da questo spirito del «posticino». N o n c’è
mai stata fino ad oggi una burocrazia che uguagliasse la burocrazia egi­
ziana. Q uesto è chiaro per chiunque conosca la storia deU’amministrazio­
ne egiziana, ed altrettanto evidente c il fatto che noi oggi corriamo irresi­
stibilmente incontro ad uno sviluppo, che segue esattamente questo mo­
dello, ma su di un altro fondamento, un fondamento tecnicamente mi
gliorato, razionalizzato, e - in più - fortemente meccanizzato. L a que­
stione che ci riguarda non può essere formulata Ìn questo m odo: «C om e
è possibile, dunque, cambiare qualcosa in questo sviluppo?»; tale svilup­
po, infatti, non c passibile di cambiamenti. D obbiam o invece chiederci:
«C he cosa potrà derivare da questo sviluppo?». N o i riconosciamo molto
volentieri che ai vertici della nostra burocrazia si trovano uomini degni e
dotati, e che - al di là delle eccezioni - anche costoro hanno ia possibilità
di fare carriera nella gerarchia della burocrazia, proprio come avviene, ad
esempio, nelle università te quali esìgono per sé - al di là delle eccezioni -
la stessa possibilità di selezionare i più dotati. Ma se assai terribile è la pro­
spettiva di un mondo abitato un giorno unicamente da professori - scap­
peremmo certo nel deserto se dovesse mai accadere qualcosa di simile; an­
cora più terribile è la prospettiva di un m ondo ricolmo di queste rotclli-
ne, vale a dire dì uomini abbarbicati ad un posticino e che aspirano sol­
iamo ad un posticino un p o ’ più in alto; una situazione che - tale e quale
S u lla b u ro c ra z ia

come nei papiri egizi - L oro ritroveranno sempre più riflessa nello spiri­
to della burocrazia odierna e soprattutto nello spirito della sua nuova ge­
nerazione, ovvero dei nostri attuali studenti. Q uesto entusiasmo per la
burocratizzazione, come noi l’abbiamo sentito esprìmersi in questa sede,
è tale da far disperare. E come se in politica il solo spinto d d l’ordine —nel­
l’orizzonte dei quale, beninteso, il tedesco si è sempre sentito a proprio
agio —dovesse farla da padrone; come se noi scientemente dovessimo tra­
sformarci in uomini bisognosi di «ordine» e di nicnt’altro, uomini che di­
ventano nervosi e pavidi se, per un attimo, quest’ordine si mette ad oscil­
lare, e che rimangono indifesi se vengono strappati dalla loro esclusiva in­
corporazione a questo ordine. Che il m ondo non conosca nient’altro che
tali uomini deU’ordine, questa è la china sulla quale ci siamo avviati; la
questione cruciale allora non è come poter ulteriormente favorire e acce­
lerare questo sviluppo, bensì che cosa noi dobbiam o contrapporre a que­
sto meccanismo per tenere libero un briciolo di umanità da questa parcel­
lizzazione dell’anima, da questo dominio egemone degli ideali dì vita bu­
rocratici. L a risposta a questa dom anda è certamente impossibile oggi.
Piuttosto, vogliamo ancora una volta chiederci quali siano le prospet­
tive sociali e politiche di questa progressiva burocratizzazione che Loro
elogiano così entusiasticamente. Signori! Dovevo per forza dissentire dal­
l’idea che qui sembra aver persuaso quasi tutti Loro, secondo la quale se
si sostituisse quanto più possibile il datore di lavoro privato con un fun­
zionario statale, potrebbe con ciò accadere qualcosa di diverso come, per
esempio, che la potenza dello Stato si impregnasse del carattere proprio
del datore di lavoro. In questo caso, i funzionari dovrebbero subire la
stessa irritazione e affrontare la quotidiana piccola guerra che l’industria­
le privato deve combattere con i suoi operai, solo che questa volta i pro­
blemi dovrebbero essere risolti dai funzionari; non si vorrà far credere,
dunque, che tutto questo possa tornare a vantaggio della politica sociale.
C i sono anche nell’industria privata gli impiegati e i funzionari più reali­
sti del re, con i quali si può trattare molto meno che con gli stessi indu­
striali. Che cosa succederebbe, allora, se i funzionari dello Stato e dei co­
muni avessero ai loro comandi strati sempre più ampi di operai? Mature­
rebbero un m odo di pensare più social-polìtico in occasione dei continui
e inevitabili contrasti con le organizzazioni operaie? Si c perfino creduto
che assum endo il controllo delle miniere ed entrando nel sindacato (Syn-
dikat) del carbone, questo cartello - per il fatto di essere controllato dal­
lo Stato - dovrebbe per forza traboccare di idee social-politiche; ma, qua­
le pensano sia il destino a cui lo Stato andrebbe incontro qualora si veri­
ficasse questo abbraccio? Allo Stato non toccherebbe la parte di Sigfrido,
quanto piuttosto quella del re Gunthcr con Brunhìlde. Notoriam ente le
condizioni delle miniere statali sono quanto di peggio ci sia in fatto di po­
Weber, Scritti p olitici

litica sociale. E a nessuno questo può essere imputato. Se dovessi occupa­


re tale posizione, neppure io potrei alla lunga impedire - dovendo affron­
tare ogni giorno contrasti con gli operai singoli o riuniti nelle organizza­
zioni - che si levasse in me l’ira contro questi eterni impedimenti dei miei
piani pensati con così gran cura; e giungerci di certo a desiderare di poter
mandare al diavolo tutta questa gente, credendo, proprio in quanto buro­
crate, di stimare troppo poco me stesso se non avessi la pretesa dì cono­
scere il loro bene molto meglio di queste «teste di legno». La psiche dei
funzionari pubblici - i quali a buon diritto si considerano molto più in­
telligenti dei loro operai —in caso di conflitto risponderà proprio come ho
appena detto. Q uesti signori sono certo bravi e lungimiranti, ma diventa­
no deboli nella quotidiana lotta di interessi; anch’io d’altronde diventerei
debole e giungerei alle stesse conseguenze che ho loro attribuite. Solo una
comunità libera dal m odo dì pensare dei datori di lavoro può praticare al­
la lunga una «politica sociale». N on intendo oggi discutere quali siano le
conseguenze da tirare da tutto ciò. Vorrei soltanto opporm i all’esaltazio­
ne acritica della burocratizzazione.
L’idea sem pre più diffusa della statalizzazione e com unaìizzazione
è stata sostenuta aH’intcrno del Verein fu r Sozialpolitik fin dall’inizio
della sua storia con intensità m olto diversa. Tuttavia uno statalizzato-
re com e il professor W agner all’interno della nostra associazione è sta­
to una mosca bianca, vorrei quasi dire una rarità. C e n’erano certo an­
che altri. U no di questi era anche il nostro venerato maestro professor
Schmolleri, anche se in realtà egli era m olto più prudente e guardava,
ad esem pio, cosa che lui stesso mi ricordava p o c ’anzi, con occhio m ol­
to scettico la statalizzazione delle ferrovie in Francia. C om un que sia,
un elemento essenziale di questa preferenza per la burocratizzazione
tanto diffusa tra noi in gradi diversi è un sentire puram ente m oralìsti­
co, e cioè la fiducia nell’onnipotenza del livello m orale indubìtamente
elevato della burocrazia tedesca. Io personalm ente considero tali que­
stioni anche sotto il punto di vista della posizion e di potenza interna­
zionale c dello sviluppo civile di un paese. L a qualità «etica» della m ac­
china burocratica gioca oggi un ruolo sempre meno rilevante. C erto,
finché accresce la precisione del funzionam ento della macchina, lu e t i­
ca» è preziosa per il m eccanism o in quanto tale. Io però ho u n ’altra
im pressione: questi pubblici impiegati «corrotti» francesi o americani,
questo tanto denigrato governo «guardiano notturno» dell’Inghilterra
e così vìa, com e guidano effettivamente i loro paesi? C om e si m uovo­
no nell’am bito, per esem pio, della politica estera? Siam o solo noi che
abbiam o progredito in questo cam po, o chi ancora? Stati governati de­

* Gustav Schmollcr (1838-1917), economista e cofondatore del Verein fu r Sozialpolitik.


S u lla b u ro c ra z ia

m ocraticam ente con una burocrazia in parte indubitabilm ente corrot­


ta hanno raggiunto nel m ondo molti più successi della nostra burocra­
zia altamente morale; e se si deve giudicare nel senso della pura e sem ­
plice « R ealpolitik», considerando il valore di potenza della nazione nel
m ondo - c molti di noi sono dell’opinione che questo sia il valore ultimo
e definitivo - , allora mi dom ando: quale tipo di organizzazione è più adat­
to allo scopo: espansione capitalistica privata legata ad una burocrazia di
puro business, la quale è più facilmente esposta alla corruzione; oppure
guida statale tramite la burocrazia tedesca altamente morale e autoritaria?
Q uale tipo di organizzazione ha oggi, per usare un’espressione inglese, la
maggiore « efficiency»? Pur rispettando il meccanismo eticamente corret­
to della burocrazia tedesca, non posso per il momento riconoscere che es­
sa sia oggi capace di fare per la grandezza della nostra nazione quanto in­
vece riesce a fare la burocrazia straniera che, comunque, dal punto di vi­
sta morale le resta dì molto inferiore, spogliata com ’è del suo alone divi­
no e legata alla concezione così altamente ributtante, per molti di noi, del­
l’aspirazione al profitto del capitale privato.
IH. Tra d u e leggi

1916
C o n questa lettera a Gertrud Baum er (1873-1954), sua conoscente da antica data e cu­
ratrice de! mensile «D ie Frau. M onatschrift fiir das gesamte Frauenleben unserer Zeit»,
Weber intervenne nel dibattito che in quel periodo animava le pagine della rivista.
L a Baumer, infatti, aveva scritto nel num ero di ottobre de! 1915 (cfr. «D ie F rau», edito
da Helene Lange, anno x x in , 1915-1916, fase. 1, pp. 37-42) un articolo dal titolo Zwiscken
zw ci Gesetzen, in cui analizzava il rapporto tra le leggi evangeliche e il dovere nei confronti
della «patria». Pur ribadendo la contraddittorietà deì due sistemi normativi, la Baum er giu­
stificava la guerra in generale e in particolare la strategia del Reich tedesco, in nom e della
necessità della salvaguardia degli interessi di potenza delle nazioni.
N el numero di gennaio del 1916 (fase. 4, pp. 236-21) la pacifista svizzera Gesine N ord-
beck le aveva replicato da una prospettiva pacifista-cristiana sostenendo, tra l’altro, che il
cristiano dovrebbe essere m osso dalla V ille zum Frieden stati des Willens zu r M acht (vo­
lontà di pace invece che dalla volontà di potenza).
Weber decise di intervenire prendendo le p a n i della Baumer. 11 testo da lui inviato
venne pubblicato sul numero di febbraio del 1916 delia rivista (fase. 5, pp. 277-9) in fo r­
ma di lettera aperta ai lettori. L’originale di Weber è andato perduto. Per la presente tra­
duzione ci si è avvalsi del testo contenuto nella M ax Weber G esamiauygz.be cit., A bt. 1, Bd.
15, pp. 95-8.
SCRITTI POLITICI

La discussione circa il significato della nostra guerra (in D ie Frati) sa­


rebbe forse da integrare tramite una messa a punto più marcata di un’idea
sicuramente a voi gradita: quella della nostra responsabilità di fronte alla
storia - non trovo che questa espressione un po’ patetica per esprimerlo.
La questione stessa è assai semplice: un popolo «superiore» dal pun­
to di vista numerico, organizzato come Stato di potenza, proprio per il
semplice fatto di essere tale si trova di fronte a compiti del tutto diversi
rispetto a quelli che toccano agli svizzeri, ai danesi, agli olandesi o ai nor­
vegesi. O vunque si è dell’avviso, com ’è naturale, che un popolo «inferio­
re» per num ero e potenza abbia per questo meno «valore» oppure sia
meno «im portante» davanti al tribunale della storia. In realtà esso, in
quanto tale, ha semplicemente altri doveri e dunque, proprio per questo,
altre possibilità di civiltà. Voi certo conoscete le considerazioni spesso ac­
colte con stupore di Jacob Burckhardt1circa il carattere diabolico del p o ­
tere. Ebbene, ciò viene asserito in maniera del tutto consequenziale dal
punto di vista di quei beni culturali custoditi da un popolo, gli svizzeri
ad esempio, che non sono certo in grado di portare la corazza propria dei
grandi Stati militaristi (e che storicamente, dunque, non sono neppure
obbligati a portarla). Anche noi abbiam o tanti motivi per ringraziare il
destino del fatto che ci sia un germanesimo al di fuori dello Stato di po­
tenza nazionale. N o n solo le semplici virtù civiche e la schietta dem ocra­
zìa che non si è ancora realizzata in nessun grande Stato di potenza, ma
anche valori molto più intimi, e ciò nonostante eterni, possono fiorire
soltanto sul terreno di quelle società che rinunciano alla potenza politica.
Addirittura i valori di natura artistica: un tedesco così schietto come

1C fr.J. Burckhardt, Wehgescbkbdkbe Betracbtungen, hcrausgcgcbcn v o n j. Oeri, Spemarsn,


Stuttgart 1905, pp, 83-96 (Considerazioni sulla, storia universale, trad. c note di M. T. Mandai ari »
SE> Milano 1990)+
W eber, Scrìtti p olìtici

Gottfried Keller non sarebbe mai diventato quel personaggio peculiare e


singolare che è stato se fosse cresciuto in un accampamento militare qua­
le per forza di cose deve essere il nostro Stato.
Viceversa, gli obblighi imposti ad un popolo organizzato come Stato
di potenza sono inderogabili. Se la potenza nel mondo - e questo in fin
dei conti significa poter decidere sulla peculiarità che determinerà la ci­
viltà del futuro - venisse ripartita, senza lotta alcuna, tra i regolamenti de­
gli impiegati russi da un lato c le convenzioni della society anglosassone
dall’altro, magari con l’aggiunta di una venatura di latina raison, le future
generazioni, e soprattutto i nostri stessi discendenti, non darebbero certo
la responsabilità di ciò ai danesi, agli svizzeri, agli olandesi o ai norvegesi,
bensì a noi. E a ragione, perché noi siamo uno Stato di potenza c dunque,
contrariamente a quei «piccoli» popoli, possiam o gettare sul piatto della
bdancia il nostro peso riguardo al problema della storia. Proprio per que­
sta ragione grava su di noi, e non su quei popoli, il maledetto dovere non­
ché l’obbligo davanti alla storia - e cioè davanti ai posteri —di opporci al­
l’invasione del mondo intero da parte di quelle due potenze. Se ricusassi­
mo questo dovere, il Reich tedesco sarebbe un dispendioso e inutile lus­
so, di un genere nocivo alla civiltà che non avremmo dovuto permetterci
e che anzi avremmo dovuto il più velocemente possibile accantonare a fa­
vore di una «svizzcrizzazione» della nostra entità statale, di una sua dis­
soluzione, cioè, in piccoli cantoni polìticamente impotenti, magari con
corti amiche dell’arte, fino a quando i nostri vicini ci concedano di dedi­
carci a questa tranquilla cura dei valori culturali da piccolo Stato, che in
questo caso costituirebbero per sempre il senso della nostra esistenza. Ma
sarebbe un grave errore ritenere che una forma polìtica eom ’è il Reich te­
desco potesse, decidendolo volontariamente, consacrarsi ad una politica
pacifista così come viene perseguita, ad esempio, in Svizzera: e cioè limi­
tarsi ad opporsi ad una violazione dei propri confini facendo affidamento
su una capace milizia. U n organismo politico come la Svizzera - sebbene
anch’essa, nel caso in cui noi soccom bessim o, sarebbe immediatamente
abbandonata alle mire annessionistiche italiane -, almeno in linea di prin­
cipio, non è d ’intralcio per i piani politici di potenza di nessuno. N o n so­
lo a causa della sua impotenza, ma anche per la sua posizione geografica.
L a semplice esistenza però di una grande potenza, quale noi ormai siamo,
è un intralcio per gli altri Stati di potenza, e soprattutto per la fame di ter­
ra indotta da mancanza di cultura dei contadini russi e per gli interessi di
potenza della chiesa statale e della burocrazia russe. N on c’è nel m odo più
assoluto alcun m ezzo in forza del quale tutto ciò possa essere mutato. Tra
tutti i grandi Stati, l’Austria era senz’altro il più alieno da mire espansio­
nistiche, e proprio per questo - cosa che viene facilmente misconosciuta -
era lo Stato più in pericolo. U n istante prima della sua distruzione, noi p o ­

40
T ra du e Seggi

tevamo scegliere soltanto tra l’intervenire per scongiurare la rovina e il li­


mitarci ad osservarla passivamente, in quest’ultimo caso, però, passati al­
cuni anni, avremmo dovuto lasciare che la rovina riguardasse anche noi.
Se non si riesce a deviare la spinta espansionistica della R ussia in qualche
altra direzione, anche in futuro le cose resteranno tali e quali. Q uesto è il
destino che nessun discorso pacifista potrà mai cambiare. Ed è altrettanto
chiaro che noi non potevamo né possiam o, anche se lo volessimo, sot­
trarci senza vergogna alla scelta che un tempo - quando abbiamo creato
il Reich - abbiam o fatto e ai doveri che ci siamo assunti con tale atto.
Insieme con il fariseismo proprio del parassita - che fa lucrosi affari
con le forniture - nei confronti dei barbari delle trincee, il pacifism o del­
le «dam e» americane (di ambo i sessi!) è certamente l’ipocrisia più peno­
sa che - in perfetta buona fede! - sia mai stata annunciata e sostenuta at­
torno ad un tavolino da tè. N ella «neutralità» antimilitarista degli sviz­
zeri e nel loro rifiuto dello Stato di potenza vi è attualmente anche una
buona parte di autentica farisaica mancanza di intendimento per la tra­
gedia connessa ai doveri storici di un popolo organizzato in Stato di p o ­
tenza. Restiam o tuttavia abbastanza obiettivi per vedere che dietro a tut­
to ciò si nasconde un nocciolo assolutamente schietto, che però, proprio
per il carattere assunto dal nostro destino, noi tedeschi del Reich non
possiam o accettare.
D a queste dispute tuttavia si dovrebbe lasciare fuori il Vangelo, a me­
no di non metterlo coerentemente in pratica. In questo caso le conse­
guenze sono soltanto quelle di Tolstoj, non altre. Per chi percepisce anche
solo un Pfennig di rendita, altri direttamente o indirettamente è costretto
a pagare; chi possiede un qualsiasi bene d ’uso o utilizza un bene di con­
sum o che ancora trasuda del sudore del lavoro altrui e non del proprio,
nutre la sua esistenza a partire dal meccanismo di quella spietata c cinica
lotta economica per l’esistenza che la fraseologìa borghese designa come
«pacifico lavoro civile»: una tra le tante forme della lotta dell’uom o con­
tro l’uom o, nella quale non milioni, ma centinaia di milioni di uomini an­
no dopo anno s ’intristiscono nell’anima e nel corpo, cadono oppure con­
ducono com unque un’esistenza dalla quale un qualunque «senso» rico­
noscibile è certo infinitamente più lontano che il rispondere di tutti noi
(anche delle donne, infatti anch’esse «fanno» la guerra se fanno il loro d o ­
vere) all’appello dell’onore, che significa semplicemente: difesa dei doveri
storici del proprio popolo imposti dal destino. La posizione dei Vangeli al
riguardo è, nei punti decisivi, di una chiarezza assoluta. Propriamente i
Vangeli non si oppongono in maniera specifica alla guerra - che essi non
menzionano particolarmente - , bensì si oppongono in definitiva a tutte le
possibili istituzioni giuridiche proprie del mondo sociale, se questo vuo­
le essere un mondo della «civiltà» dell’at di qua, cioè della bellezza, della

41
W eber, Scritti p olitici

dignità, dell’onore e della grandezza della «creatura». Chi non trae le ne­
cessarie conseguenze, Tolstoj stesso lo ha fatto solo in prossimità della
morte, dovrebbe sapere che rimane giocoforza legato alle istituzioni giu­
ridiche proprie del m ondo dell’al di qua, le quali contemplano per un
tempo incalcolabile la possibilità e l’inevitabilità della guerra per la poten­
za, e dovrebbe altresì sapere che solo a ll’interno di queste istituzioni giu­
ridiche egli può soddisfare quella che di volta in volta appare come l’«esi­
genza del giorno». Q uesta esigenza però suonava e suona in m odo diver­
so per i tedeschi di Germania rispetto ai tedeschi della Svizzera. E così ri­
marrà. Infatti tutto ciò che è parte dei beni di uno Stato di potenza è im­
pigliato nella legge del «pragm a-potenza» (M acbt-Pragma) che domina
tutta la storia politica.
Il vecchio e sobrio empirista John Stuart Mill ha detto che a partire dal
terreno della pura esperienza non si arriva ad un D io; a me sembra d ’uo­
po aggiungere: meno che mai si arriva ad un D io della bontà, quanto piut­
tosto al politeismo. In effetti, chi vive nel «m ondo» (nel senso cristiano)
non può esperire in sé nient’altro che la lotta tra una moltitudine di valo­
ri dei quali ognuno, considerato di per sé, sembra obbligante. Egli deve
scegliere quale di questi dei vuole o deve servire oppure quando vuole o
deve servire l’uno o l’altro. Allora però egli si troverà sempre in lotta con
uno o più degli altri dei di questo mondo e in special m odo si troverà sem­
pre assai lontano dal D ìo del cristianesimo, o almeno da quel D ìo che ve­
niva annunciato nel sermone della montagna.
IV. Sistema elettorale e democrazia in Germania

1917
N el novembre del 1917 iniziò la pubblicazione di una nuova collana di scritti polìtici
intitolata D er deutsche Volksstaat. Schnften z a r inneren Politik. Scopo di questa iniziativa
era di permettere ai rappresentanti delle principali correnti politiche tedesche di esprimere
la propria opinione sui temi più attuali di politica interna. Il secondo numero di questa se­
rie è costituito dal presente scritto di Weber apparso poco prim a del 6 dicembre col titolo
Wahlrecht und D em okratie in Deutschland.
N onostante il decreto imperiale dell’11 luglio 1917, le Cam ere dei Signori e dei D ep u ­
tati e la m aggioranza dei ministri prussiani sì era opposta alla concessione del sistema elet­
torale a suffragio universale. Furono così rispolverati i vecchi piani per un voto plurim o e
all’inizio di agosto il Partito Conservatore istituì una com m issione che doveva elaborare ul­
teriori proposte alternative. In settembre questa com m issione propose un sistema elettora­
le basato sulle professioni.
Il testo di Weber fa direttamente riferimento a questi avvenimenti. L a traduzione c sta­
ta condotta sul testo Wuhlrecht und D em okratie in Deutschland, Fortschritt (Buchverlag
der iH ilfe » G m bH ), Berlin - Schòncberg 1917, com e viene riprodotto nella M ax Weber
Crcsamtausgabe c it, A bt. r, Bd. 15, pp. 347-96.
SCRITTI POLITICI

Il com plesso problema della democrazia viene qui trattato unicamen­


te a partire dalla situazione che si è venuta a creare in Germ ania, e alla
quale intendiamo volgerci immediatamente senza alcun preambolo e sen­
za considerazioni generali.
L’attuale sistema elettorale del Reichstag, com’è noto, è stato introdot­
to da Bismarck - dopo aver costituito il pezzo forte del fam oso ultim a­
tum al Bundestag dì Francoforte', e nonostante i gravi dubbi espressi dai
liberali del tempo nei suoi confronti - esclusivamente per ragioni dema­
gogiche, in parte per motivi di politica estera, in parte per perseguire fini
di politica interna: vale a dire a sostegno della lotta perpetrata contro la
borghesia a quel tempo ribelle in virtù dell’atteggiamento dispotico tipi­
co di Bismarck. Certo, la sua speranza in un atteggiamento conservatore
delle masse non si realizzò. Ma la scissione degli strati caratteristici della
moderna conformazione sociale in due classi tanto intimamente contigue
quanto - proprio per questo —nemiche, e cioè la borghesia e il proletaria­
to, diede più tardi la possibilità - come ha notato il principe Hohenlohe -
di approfittare della vigliaccheria (Hohenlohe diceva «tim idezza») della
borghesia nei confronti della «dem ocrazia», al fine di mantenere il dom i­
nio della burocrazia. Questa vigliaccheria perdura tutt’oggi. Che si potes­
se essere buoni «democratici» e tuttavia rifiutare l’entusiasmo di Lassaìle
per quel sistema elettorale, in quelle circostanze, lo m ostra per esempio la
presa di posizione di Eduard Bernstein ne\VIntroduzione agli scritti dello
stesso Lassalle. A puro livello di politica statale sarebbe utile chiedersi se,
per i primi decenni della nuova fondazione del Reìch, una legge elettora­
le che avesse privilegiato un p o ’ di più gli strati economicamente e social-

1L a mozione progettata da Bismarck per una rilorma della Costituzione c l’istituzione di un


parlamento «eletto direttamente dal popolo a sullragio universale» lu presentata il 9 aprile del
1866 nel Bundestag di Francolorte.
W eber, Scritti p o litici

mente prominenti e (un tempo) politicamente istruiti - all’incirca così co­


me, ad esempio, prevede la legge elettorale inglese attualmente in vigore -
non avrebbe facilitato lo sviluppo interno ed esterno del Reich, e soprat­
tutto l’abitudine alla responsabile collaborazione parlamentare. N o n vo­
gliamo praticare un esercizio dottrinario sull’«ortodossÌa del sistema elet­
torale». Ma l’esempio dell’Austria sotto il conte Taaffe mostra che tutti i
partiti borghesi, mantenuti al potere solo attraverso privilegi elettorali,
oggi non sono più nelle condizioni di lasciare alla burocrazia l’arma de­
magogica dell’intimidazione del diritto elettorale a suffragio universale
senza che tale arma, all’apparire di una qualsiasi minaccia nei confronti
degli interessi di potenza della burocrazia, non venga usata da quest’ulti-
ma contro gli stessi partiti. A llo stesso m odo sarebbe andata ai partiti bor­
ghesi tedeschi nei confronti di Bismarck, se avessero rifiutato il suffragio
universale. E l’esempio dell’Ungheria insegna che perfino ì più forti inte­
ressi antagonistici di una nazionalità dominante, ed accorta dal punto di
vista della gestione dello Stato, non possono impedire a lungo, contro il
suffragio universale, che nella lotta concorrenziale dei loro stessi partiti
venga tentata proprio la parola d ’ordine del suffragio universale, e che
dunque essa venga propagata a livello ideale ed infine, una buona volta, at­
tuata. Si presenteranno sempre - c non c un caso - occasioni politiche nel­
le quali essa tornerà in prim o piano. Indifferentemente da come le cose
stiano altrove, è chiaro che in Germania dopo Bismarck non ci potrà più
essere una legge elettorale diversa a l termine delle dìspute a suo riguardo.
E mentre altre questioni elettorali (ad esempio il sistema elettorale pro­
porzionale), malgrado tutta la loro importanza politica, vengono sentite
come «tecniche», la questione dell’universalità del diritto di voto, anche
soggettivamente, è una questione così squisitamente politica che dev 'es­
sere per forza risolta, se si vogliono evitare sterilì contese. G ià questo è de­
cisivo dal punto di vista della politica statale. Il 4 agosto 1914 e il periodo
successivo, però, hanno dim ostrato anche che questo sistema elettorale dà
buoni risultati in occasione di prove politiche decisive, nel caso in cui si
sappia governare con esso e si abbia la buona volontà di farlo. E funzio­
nerebbe anche durevolmente e in maniera ineccepibile se il suffragio uni­
versale imponesse ai suoi eletti la responsabilità propria di chi partecipa,
in modo davvero determinante, alla potenza dello Stato. Ovunque i par­
titi democratici che partecipano alla gestione del potere sono sostenitori
del nazionalismo.
Il crescente nazionalismo delle masse è assolutamente naturale in un’e­
poca che democratizza sempre di più la partecipazione ai beni della cul­
tura nazionale, rappresentata in definitiva dalla lingua tedesca. G ià la mi­
sura davvero modesta di partecipazione effettiva e precaria, che fu da noi
concessa durante la guerra ai rappresentanti della democrazia radicale, è
Sistem a elettorale e d e m o c ra z ia

stata sufficiente ad inserirli nella concreta politica nazionale. Tutt’ altra co­
sa, cioè, rispetto alla plutocrazia della Dieta prussiana, la quale - nel ter­
zo anno di guerra - non seppe davvero fare niente di meglio che appro­
vare una legge per la nobilitazione dei profitti di guerra. Invece di procac­
ciare nelle regioni tedesche dell’E st nuove terre per ì contadini - e noi po­
tremmo creare nuovi posti di lavoro, in qualità di contadini, alla truppa di
dieci corpi d ’armata - , alle spalle dell’esercito combattente le terre tede­
sche venivano consegnate - con la costituzione del fidecommesso - alla
vanità di una plutocrazia parvenu di guerra, al fine di permetterle ÌÌ con­
seguimento di un titolo nobiliare. Q uest’unico dato di fatto è una critica
sufficiente nei confronti della legge elettorale per classi.
L’intrinseca insostenibilità di questo e di ogni altro sistema elettorale
operante in m odo simile è in sé evidente. Mantenendo la partizione prus­
siana in tre classi, l’intera massa di combattenti di ritorno dal fronte si tro­
verebbe nella classe più bassa, ininfluente dal punto di vista politico; nel­
la classe privilegiata, invece, si troverebbero coloro che sono rimasti a casa
e ai quali intanto sono toccati in sorte la clientela e i posti dì lavoro degli
altri. C osì la proprietà già in possesso o recentemente acquisita da quelli
che durante la guerra o attraverso di essa si sono arricchiti, oppure che -
nonostante la guerra - sono rimasti com ’erano prima, c difesa al fronte da
coloro che vengono polìticamente declassati proprio a causa della guerra.
L a politica non è certo una faccenda etica. M a c e pur sempre un minimo
di pudore e di decoro sotto il quale anche in politica non si può impune­
mente scendere.
Quale altro sistema elettorale potrebbe subentrare al suo posto? Tra i
letterati gode di grande popolarità ogni sistema elettorale pluralistico. Ma
quale? Deve essere privilegiato lo stato civile, forse mediante voti supple­
mentari? M a gli strati inferiori del proletariato e dei contadini che colti­
vano i terreni più poveri, e in genere tutti gli strati sociali aventi le più li­
mitate prospettive economiche, si sposano molto presto e hanno più figli
degli altri. O ppure - e veniamo al sogno preferito dei letterati - il grado
di «form azione»? Le differenze di grado di «form azione» sono oggi sen­
za dubbio - rispetto all’elemento formativo delle classi, e cioè la partizio­
ne del possesso e della funzione economica —le differenze più importan­
ti e propriamente costitutive dei ceti. È essenzialmente grazie ai prestigio
sociale derivato dalla cultura che si affermano il moderno ufficiale al fron­
te e il moderno funzionario all’interno della comunità sociale. Le diffe­
renze di «form azione» sono - per quanto lo si possa deplorare - una del­
le barriere sociali più salde che agiscono a livello puramente interiore. So ­
prattutto in Germania, dove quasi tutti i posti privilegiati, sia all’interno
che all’esterno dei servizi statali, sono legati non solo ad una qualificazio­
ne attinente la conoscenza tecnica, bensì anche ad una qualificazione di
W eber, S critti politici

«form azione generale», cui l’intero sistema scolastico e universitario è po­


sto a servizio. Tutti i nostri diplomi garantiscono soprattutto questo im­
portante possesso di ceto. Dunque la «form azione» potrebbe essere mes­
sa a fondamento della partizione del sistema elettorale. Ma quale grado di
«form azione» dovrebbe essere preso come punto di riferimento? C hi at­
testa la «maturità» polìtica, la fabbrica di laureati delle università, i diplo­
mi di maturità delle scuole medie superiori, o forse il diploma di licenza
media? D a un punto di vista puramente quantitativo ciò comporta diffe­
renze davvero enormi, e con il sistema elettorale per ultimo citato, che as­
segna più voti ad alcuni elettori e che a causa del peso delle masse assume
una notevole importanza, si potrebbero fare delle esperienze politica­
mente molto particolari. M a soprattutto: davvero deve essere ulterior­
mente privilegiato il diploma d ’esame, a cui sono già sottoposte tutte le
cariche, e con esso lo strato che lò ha conseguito con tutte le sue pretese
sociali? L a potenza sullo Stato deve, dunque, essere data in pasto alla fa­
me di benefici degli aspiranti ad una carica che hanno sostenuto l’esame,
il cui numero è salito enormemente, al di là del necessario, a causa della
concorrenza di frequenza delle università e l’ambizione sociale dei geni­
tori per i loro figli? Ma, in verità, che cosa ha a che fare il titolo di dotto­
re in fisica, in filosofia o in filologìa con la «maturità» politica ? Ogni im ­
prenditore o dirigente sindacale, il quale, partecipando alla lìbera lotta per
l’esistenza economica, prova sulla propria pelle ogni giorno la struttura
dello Stato, sa più di politica di colui per il quale lo Stato è solo la cassa
dalla quale, in forza del suo attcstato di formazione, riceve un reddito
conforme al ceto, sicuro e in grado di assicurargli una pensione.
O ppure - l’idea prediletta da tutti i miopi «filistei dell’ordine stabili­
to» - un «sistema elettorale del ceto medio», dunque una sorta di privile­
gio del proprietario di imprese «indipendenti» o simili? A prescindere dal
fatto che anche questo sistema privilegerebbe quelli che sono restati a ca­
sa rispetto ai combattenti, cosa significherebbe per lo «spirito» della poli­
tica tedesca del futuro?
Tra le condizioni economiche del futuro della Germania oggi se ne
possono calcolare con sicurezza soltanto tre. Innanzitutto: la necessità di
un’enorme intensificazione e razionalizzazione del lavoro economico.
N on perché l’esistenza dei tedeschi sia ricca e splendida, ma affinché da
noi l’esistenza delle masse sia in generale possibile. DÌ fronte alla ferrea
primavera che la pace ci porterà, è un sacrilegio se ora i letterati dei più di­
versi schieramenti fanno passare lo «spirito del lavoro» tedesco come il
peccato originale nazionale c un’esistenza «più confortevole» come idea­
le per il futuro. Questi sono ideali da parassiti, propri di uno strato di pre­
bendari e di titolari di rendita che ha l’ardire di voler misurare la difficile
quotidianità dei concittadini - Ì quali lavorano spiritualmente e material­
S iste m a e letto rale e d e m o c ra z ia

mente - a partire dal loro orizzonte da calamaio. Inoltre, come appari­


rebbe in realtà l’infantile rappresentazione dei letterati della «benedizio­
ne» della sobria povertà del buon tempo antico, che la Germania stareb­
be di nuovo per assaporare come frutto della guerra, lo insegna il secon­
do indubitabile dato di fatto che il futuro ci riserva: che la guerra ci lascerà
nuovi titolari di rendita per un valore di cento miliardi di capitale. G ià pri­
ma della guerra la crescita statistica relativa dei titolari di rendita era tan­
to elevata da destare preoccupazioni per una nazione destinata alla com­
petizione con i grandi popoli lavoratori della terra. Per questo strato so­
ciale ormai oltrem odo cresciuto, i concittadini (dello Stato) che lavorano
dovranno pagare le rendite. La trasformazione si presenta in parte con la
nascita di nuovi grandi patrimoni azionari, ma in parte anche con la tra­
sform azione dei patrimoni antecedenti attraverso la sottoscrizione di pre­
stiti. Infatti, se oggi un possessore di patrimonio anziché titoli a reddito
variabile (dunque aliquote di intraprese economiche private), tiene nel suo
deposito bancario obbligazioni di rendita pubbliche, che cosa significa
questo? In entrambi i casi egli è formalmente un «titolare di rendita», il
cui reddito è assicurato dalle banche a m ezzo del relativo ccdolario. Solo
che, se prima i titoli a reddito variabile gli erano fonte di reddito, questo
significava che in un ufficio commerciale e in un ufficio tecnico di impre­
sa - luoghi di lavoro intellettuale tanto quanto e spesso più dello studio di
un erudito - , e nelle sale macchine delle fabbriche —da parte di capi com ­
merciali e tecnici, impiegati, capiofficina e operai - si era lavorato bene e
duramente, che si erano prodotti beni per soddisfare il bisogno della mas­
sa, e che si era procurato stipendio c pane a degli uomini; tutto questo in
m odo più o meno compiuto, come d ’altronde lo permette l’odierno ordi­
namento economico valido ancora per un lungo lasso di tempo. Per i di­
rigenti era in gioco la posizione e co no mi co-sociale dì potenza e rango,
mentre per gii impiegati e gli operai, il posto di lavoro nella lotta per il
mercato; e questa lotta è stata vinta: i dividendi lo «dim ostrano». Se ora
invece egli percepisce gli interessi sui titoli di rendita statali, questo signi­
fica che l’esattore o l’impiegato doganale, o qualcun altro ad essi equiva­
lente, è riuscito con successo a togliere il denaro dalle tasche di chi è ob­
bligato a pagare e che negli uffici statali il lavoro richiesto è stato compiu­
to secondo regolamento e disposizione. Va da sé che lavoro economico
privato e lavoro statale devono necessariamente essere presenti entrambi.
Ma, allo stesso modo, è del tutto evidente che l’intero futuro della G er­
mania - in senso sia economico che politico -, il tenore di vita delle m as­
se e la fornitura dei mezzi per i «bisogni culturali», dipendono innanzi­
tutto dal fatto che non venga diminuita l’intensità del lavoro nel settore
economico tedesco, c che - come sì può anche dire —non si diffonda nel­
la nazione tedesca, più di quanto già accade, la mentalità dei titolari di
W eber, Scritti p olitici

rendita, e cioè quell’atteggiamento tìpico degli strati piccolo-borghesi e


contadini francesi nei confronti della vita economica. Infatti, questo si­
gnificherebbe la paralisi economica della Germania e una propagazione
ancora più veloce del sistema - che comunque si sta già diffondendo ve­
locemente - dei due figli. O ltre a ciò si manifesterebbe ancora un’altra ca­
ratteristica propria della situazione francese: la dipendenza dalle banche.
L’ignoranza dei letterati, che non sono in grado di distinguere tra il patri­
monio delle rendite cedolari dal capitale acquisitivo dell’imprenditore, e
che si pongono di fronte a quest’ultimo con un risentimento pari alla bra­
mosa benevolenza con cui considerano il primo, ha sentito dire qualcosa
del ruolo che gioca net regime parlamentare francese il «capitale finanzia­
rio», tanto in occasione di provvedimenti oggettivi (tasse), quanto in quel­
la della scelta dei ministri, e pensa, naturalmente, che questo sia una con­
seguenza del temuto «parlamentarismo». Ma tutto ciò, in realtà, è conse­
guenza del fatto che la Francia è uno Stato di titolari di rendita, che il cre­
dito del di volta in volta governo in carica, così come si mostra nella quo­
tazione di borsa delle rendite statali, altro non è che - per i milioni di ti­
tolari di rendite medi e piccoli - il criterio per eccellenza in base al quale
vengono valutate le capacità dei ministri; e che spesso perciò le banche, in
qualche modo, interagiscono in occasione della scelta dei ministri oppure
vengono addirittura consultate. Le banche devono per forza essere prese
in considerazione da ogni governo: monarchico, parlamentare o plebisci­
tario che sia. Proprio come agì uno Stato indebitato quale quello zarista
russo, il quale nel 1905 prom ulgò la sua «costituzione» e subito dopo fe­
ce il «colpo di Stato»: in entrambi i casi, infatti, fu l’umore delle borse
estere, le fonti del suo credito, a decretarne l’orientamento. D a noi, una
progressiva statalizzazione contro l’emissione di rendite pubbliche, ma
soprattutto la crescita dei possessori medi e piccoli di titoli di rendita sta­
tale, avrebbe esattamente le stesse conseguenze che in qualsiasi altro Sta­
to, e questo al di là del fatto che ci sia «dem ocrazia», «parlamentarismo»
oppure un governo «monarchico». Invece, la relazione dello Stato inglese
col capitalismo era volta soprattutto in direzione del capitalismo di gu a­
dagno, che ha favorito l’estensione della potenza e del carattere nazionale
inglesi sulla terra. Q uali norme di tipo politico-finanziario possono servi­
re in Germania al fine di scaricare questo peso soffocante dei titolari di
rendita, e per soddisfare pienamente le pretese e le attese dei sottoscritto­
ri dì prestito, è una questione di per sé decisiva. In ogni caso, a partire da
una prospettiva polìtico-economica, la più estesa razionalizzazione del la­
voro economico, dunque l’incentivazione tramite premi economici della
redditività della produzione, e quindi del «progresso» - piaccia o non
piaccia - in questo senso tecnico-economico, rappresenta non solo una
questione vitale per la posizione mondiale della nazione, ma anche in ge-

50
S iste m a elettorale e d e m o c ra z ia

iterale per la semplice possibilità di una esistenza accettabile. Ed è perciò


un’im periosa necessità politica dare a chi porta avanti questo lavoro ra­
zionale per lo meno quel minimo influsso politico garantito soltanto dal
suffragio universale. Infatti, per quanto riguarda questo punto decisivo, e
cioè l’interesse per la razionalizzazione dell’economia, l’interesse dei la­
voratori, nonostante tutte le contrapposizioni sociali, è identico a quello
degli imprenditori che da un punto di vista organizzativo stanno a i verti­
ci; e sia lavoratori che imprenditori, poi, condividono lo stesso interesse
politico per il mantenimento della posizione intemazionale della nazione,
anche se non sempre nei particolari, ma certamente in linea di principio; e
tali interessi sono assolutamente contrapposti a quelli di tutti gli strati di
prebendari, e di tutti i rappresentanti, a loro congeniali, della stagnazione
economica. Sembra giunto il momento che l’influsso di quegli strati so­
ciali venga recepito in un settore il cui trattamento errato in linea di prin­
cipio già da ora potrebbe gettare un’ombra sul nostro futuro. Infatti - e
questa è la terza prospettiva assolutamente certa del futuro - noi saremo
per anni sotto il segno di una «economia di transizione», con raziona­
mento della ripartizione delle materie prime, restrizione dell’assegnazio­
ne di m ezzi di pagamento internazionali e, forse, diminuzione delle im­
prese stesse e dei loro clienti. È chiaro che tutto ciò può essere visto come
un’occasione unica tanto nel senso della razionalizzazione dell’economia,
quanto anche, all’opposto, in quello di una possibilità inesauribile per i
cosiddetti esperimenti «della classe media», nel senso peggiore attribuibi­
le a questa parola quasi sempre abusata. C on l’aiuto di un sistema statale
di buoni d ’acquisto e di mezzi affini si potrebbero sovvenzionare in mas­
sa esistenze parassitarle «autosufficienti» di ogni tipo, e soprattutto l’i­
deale di ogni piccolo capitalista: comode ma miserabili esistenze da ban­
co di vendita e simili, le quali indicherebbero proprio il contrario di un’in­
tensificazione e razionalizzazione della nostra economia; tutto ciò, infat­
ti, non è che un allevamento in serie di parassiti e perdigiorno, esempio di
quella «com odità» che rappresenta il futuro ideale per i letterati. C he co­
sa comporterebbe questo fenomeno? L'<>austrizzazione» della Germania.
E proprio per quanto riguarda l’aspetto che dagli stessi austriaci viene vi­
sto come una delle fonti principali di tutto ciò che essi caratterizzano co­
me «sciatto disordine». Infatti quanto avremmo da imparare da loro nel
campo della cultura, del gusto e dell’educazione sociale, avremmo inoltre
tutti i motivi di ringraziarli per l’assunzione della loro «politica del ceto
m edio», i cui meravigliosi frutti si possono studiare nei corposi volumi ri­
portanti le decisioni su questioni quali: se il chiodare una seggiola sia la­
voro di tappezzeria o falegnameria. Il pericolo però che accada qualcosa
di simile non è irrilevante. Infatti ci sono senza dubbio, negli strati socia­
li oggi dominanti, dei politici che restano incorreggibilmente dell’opinio­

51
W eber, Scritti p o litici

ne che nel vergognoso pantano di pigrizia e di sciatto disordine cui si vor­


rebbe in questa maniera dare vita, potrebbero essere poste meglio che in
qualsiasi altro luogo le fondamenta di ciò che essi chiamano «sentimento
monarchico»; vale a dire, di una arrendevolezza da bevitori di birra che la­
scia intatta la posizione di potenza della burocrazia e dei poteri econom i­
camente reazionari. Se si pensa ora di concedere privilegi elettorali a que­
gli strati sociali che volentieri sosterrebbero una simile politica, allora si
possono facilmente immaginarne gli effetti, e cioè la paralisi della G erm a­
nia, sia in senso economico che in quello politico. Chi, a motivo di una
qualche fede religiosa o metafisica, vuole questa paralisi, ebbene, lo con­
fessi apertamente. M a non si deve volerla a motivo di una miserabile viltà
nei confronti della democrazia, e proprio questa viltà derivante dall’ango­
scia per la messa in discussione della legittimità del possesso e delle posi­
zioni sociali che oggi risultano dominanti, è ciò che al momento appare
come la causa stessa di questa messa in questione.
Alle dilettantesche bolle di sapone che gli istinti dei letterati tedeschi
producono di continuo, appartengono anche tutti quei numerosi para­
dossi che circolano sotto la dicitura «rappresentanza di corporazioni». E s­
se sono strettamente unite ad ogni sorta di confuse rappresentazioni circa
il futuro della nostra organizzazione economica. È noto che già un’orga­
nizzazione del tipo dell’assicurazione contro gli infortuni nelle cooperati­
ve di lavoro ha prodotto aspettative in influenti cìrcoli letterari (dai quali
pure in parte derivava): in questo modo verrebbe fatto il primo passo in
direzione di una «costruzione organica» dell’economia polìtica; ma si sa
anche ciò che effettivamente ne è venuto fuori. E oggi qualcuno si atten­
de dalle future organizzazioni economiche, condizionate prevalentemen­
te in senso politico-finanziario e politico-valutario, che esse sostengano la
parte di uccisori di draghi contro l’istigatore, la radice di ogni male, e cioè
il «capitalismo». C osì ci si rappresenta, abbastanza infantilmente, 1’«eco­
nomia collettiva», l’«economia della solidarietà», l’«cconom ia di coopera­
tiva» (o come altrimenti suonino le loro frasi fatte) del tempo di guerra e
delle organizzazioni coercitive nate in questo periodo, come precorritrici
di un mutamento di principio, di là da venire, del «sentimento economi­
co», che farebbe resuscitare —ad un livello più alto e «in maniera organi­
ca» - ì’«etica economica» del passato andata perduta. In tutto questo è s o ­
prattutto la profonda ignoranza dei nostri letterati circa l’essenza del ca­
pitalismo a rendere così intollerante chi conosce queste problematiche. Ed
è poi il mìnimo se questo sacro candore getta in un unico calderone ì pro­
fitti di guerra della ditta Krupp con quelli di un qualunque trafficante
d ’orzo, in quanto entrambi sarebbero prodotti del «capitalismo». È però
assai più importante che questo sacro candore non abbia la minima idea
dell’abissale contrasto fra un capitalismo che vive della congiuntura pura­
S iste m a e letto rale e d e m o crazia

mente politica delle forniture statali, dei finanziamenti di guerra, dei gua­
dagni di contrabbando e di tutti gli altri profitti legati alle circostanze e al­
le possibilità di furto, cresciute enormemente durante la guerra, e quindi
dei suoi profitti e dei suoi rischi avventurosi; e un capitalismo che invece
si fonda sul calcolo della redditività dell 'impresa razionale borghese del­
l’epoca di pace. C osa propriamente accada nell’ufficio di una tale azienda
è per questo sacro candore un libro dai sette sigilli. Inoltre, esso ignora
completamente che il «sentimento» fondante, oppure - se lo si vuole
esprimere in quest’altro modo - l’«ethos» di quei due diversi tipi dì capi­
talismo, è reciprocamente contraddittorio alla stregua di due potenze spi­
rituali e morali antagoniste; tanto che uno, il «capitalismo di rapina», fon­
dato in m odo puramente politico, è così arcaico come la storia a noi nota
degli Stati militari, mentre l’altro è un prodotto specifico della moderna
umanità europea; di tutto ciò naturalmente questo sacro candore non sa
assolutamente nulla. Se poi si vuole fare una distinzione dal punto di vista
etico (e ciò è pur sempre possibile), allora il punto cruciale della questio­
ne consiste proprio nel fatto che nel re n a i personale degli affari proprio
quella che sta più in alto - quella che in media sta molto più in alto di una
qualsiasi altra etica economica effettivamente data storicamente, e che non
è predicata soltanto da filosofi e letterati - , e cioè l’etica di impresa razio-
nal-capitalistica di questo secondo tipo di «capitalismo», l’etica del dove­
re e dell’onore professionale, è quella che ha prodotto e mantenuto quel­
la ferrea costruzione attraverso la quale il lavoro economico riceve la sua
impronta e il suo destino, che naturalmente diventerebbe sempre più de­
finitivo nel momento in cui al posto dell’opposizione tra burocrazia capi­
tai isti co-privata e statale si creasse —attraverso la «direzione comune del­
l’economia» - una burocrazia unitariamente preposta agli operai, contro
cui non ci sarebbe - al di fuori di se stessa - più alcun contrappeso. M a per
rimanere all’opposizione enunciata precedentemente, si può dire che non
quei profitti ottenuti mediante il famigerato principio secondo cui «non si
guadagnano milioni senza aver sfiorato con la manica il carcere», bensì
proprio quella redditività che fu conseguita secondo il principio fonda -
mentale: « honesty is thè best policy» divenne l’emblema del capitalismo
specificatamente moderno, in quanto sistema inevitabilmente dominante
dell’economia c, attraverso di essa, del destino quotidiano dell’uomo.
Q ualcuno di questi ideologi imbrattacarte di tale sognata etica della soli­
darietà economica ha gettato mai uno sguardo dietro le quinte della nostra
«econom ia collettiva di guerra», e ha mai potuto vedere che cosa ne è sta­
to sotto il suo effetto dell’«im pulso di guadagno» strangolato, per così di­
re, attraverso di essa? U na danza selvaggia attorno al vitello d ’oro, un gio­
co avventuroso consistente nel cogliere quelle possibilità del caso che
zampillano da tutti i pori di questo sistema burocratico, la perdita di ogni

53
W eber, Scritti p o litic i

ponderatezza per la possibilità di una qualsiasi differenziazione e scrupo­


lo di etica degli affari non importa di che tipo, e infine una ferrea coerci­
zione per ogni uom o d’affari, anche per il più coscienzioso, pena il tra­
monto economico, di ululare e di partecipare assieme alle iene a questo
calvario senza precedenti in qualsiasi altra etica economica. Q uesto p ro ­
cesso si verifica nella stessa misura in cui si è manifestato in tutte le altre
epoche, quando le possibilità di profitto capitalistico seguivano le tracce
del dio della guerra o di san Burocrazio; o meglio tutto ciò avviene attual­
mente in misura mostruosamente maggiore. Passeranno generazioni pri­
ma che le conseguenze di questa disgregazione del normale ethos capitali­
stico borghese vengano nuovamente cancellate; e tutto questo deve essere
il fondamento di una nuova etica economica? D obbiam o impegnarci m ol­
to, innanzitutto, per raggiungere nuovamente il livello della vecchia etica
economica! Ma tutto questo va detto solo per inciso.
Com pagini razionali di associazioni in grande stile e con un fine pre­
ciso sostituiranno l’economia di guerra. Ma non si tratta in realtà di rela­
zioni sociali e formazioni sviluppatesi «organicamente» sul terreno delle
relazioni cresciute naturalmente o da relazioni umane primarie e interne,
aventi quella caratteristica peculiare presente, pur in misura differente,
nella famiglia, nella stirpe, nel comune, nelle relazioni feudali e padrona­
li, e ancora nelle corporazioni d ’arte e mestieri, nelle gilde e perfino nelle
associazioni corporative del medioevo. Chi non abbia ancora alcuna idea
del contrasto esistente tra tutte le moderne compagini razionali aventi un
preciso fine dal punto di vista economico e le relazioni umane c sociali ci­
tate sopra, vada innanzitutto a studiarsi l’abbiccì della sociologia, invece
di importunare il mercato librario con la sua vanità da letterato. Che il sin­
golo debba contemporaneamente appartenere non a una, ma spesso a nu­
merose dì tali formazioni, toglierebbe ad un sistema elettorale costruito su
di esse la qualità della «rappresentanza popolare», ma non lo condanne­
rebbe ad essere un’«insensatezza». Si tratterebbe di uria «rappresentanza
di interessi»: il passato ha conosciuto cose simili. Ma è sufficiente muove­
re i primi passi verso il tentativo di raggruppare le tipiche figure dell’eco­
nomìa moderna secondo le «professioni», così che i gruppi che sorgono in
questo modo siano utilizzabili come corporazioni elettorali finalizzate ad
una generale rappresentanza popolare, per trovarsi di fronte, allora, alla
totale insensatezza. Gli autentici «dirigenti» del sistema economico non
trovano più una collocazione propria. Sotto quali «professioni» infatti —
ce ne sono dozzine tra cui scegliere - devono essere ripartiti i signori Stin-
nes, Thyssen, K rupp v. Bohlen, il conte Henckeì-Donnersmarck, v, Men-
delssohn, Rathenau, i soci che rispondono personalmente della società di
sconto, e via di questo passo? O forse devono essere riuniti in una sola
corporazione elettorale, quella degli «imprenditori giganti» ? E , d’altro la­
S iste m a elettorale e d e m o crazia

to, i direttori generali come Kirdorf, Hugenberg e simili devono essere ri­
partiti sotto i «funzionari di azienda» delle singole «professioni», oppure
cosa succede nel loro caso? Ma le cose vanno in questo m odo nei più alti
vertici dell’ingranaggio capitalistico come nei punti più bassi. Proprio i
pm importanti tra 1 timonieri dell’economìa odierna ovunque si sottrag­
gono —finanche il libraio all’in grò sso e il direttore dì impresa - ad ogni
ordinamento in categorie materialmente appropriate. Infatti dovrebbe es­
sere trovato, per la limitazione delle corporazioni elettorali, un contrasse­
gno form ale, con il qua}e però non cesserebbe di fare a pugni, considera­
te le odierne relazioni economiche, il senso materiale ed economico della
posizione relativa. L a nostra moderna economia, diversamente dall’eco­
nomia corporativa, si distingue proprio per il fatto che dalla posizione
esteriore non si può quasi mai desumere quale funzione economica ap­
partenga al singolo; e neanche la più accurata delle statistiche professio­
nali tradisce il minimo indizio sulla struttura interna dell’economia. Allo
stesso m odo in cui non è possibile desumere dal paesaggio un podere si­
gnorile o il suo carico ipoteche, non si può vedere nella figura di un
proprietario di negozio che cosa egli rappresenti dal punto di vista eco­
nomico: se sia, cioè, uno che possiede un’impresa filiale, un impiegato o
un cliente legato strettamente ad una potenza capitalistica (ad esempio,
una fabbrica dì birra), Un venditore al dettaglio assolutamente indipen­
dente, o quant altro. Altrettanto poco si può dire di un «artigiano indi­
pendente» se egli sia un industriale domestico, un commissionario, un
piccolo capitalista indipendente oppure un artigiano terzista. E questi so ­
no ancora 1 casi più semplici! Per completare il quadro, la rappresentazio­
ne ingenua del letterato che continuamente riaffiora, secondo cui sarebbe
questa la via per fare influire in m odo «aperto» e «onesto» «nell’ambito
dei compagni di professione» la potenza degli interessi materiali —la qua­
le oggi si fa valere in modo «celato» nelle elezioni parlamentari -, appar­
tiene senz altro all asilo infantile della politica. Migliaia sono i fili ai quali
i poteri capitalistici in occasione delle elezioni farebbero danzare a loro
piacimento non solo il pìccolo commerciante «indipendente» e l’artigia­
no, ma anche 1 industriale indipendente. A prescindere dal fatto che ogni
simile limitazione professionale si muove nella misura più ampia possibi­
le sulla sabbia trasportata dal vento delie unità di impresa - sovvertite da
ogni macchina nuova o possibilità di vendita —, degli orientamenti di pro­
duzione c delle forze lavorative. In tutto il mondo, a partire da questi mo­
tivi puramente economici, non esiste oggettivamente niente di più inve­
rosimile del tentativo di voler creare come corpi elettorali politici — in
un epoca di continui capovolgimenti tecnici c commerciali, e di crescenti
legami economici e sociali conformi alle compagini aventi un preciso fine
dal punto di vista economico - delle partizioni «organiche» nell’antico
W eber, Scritti p o lìtici

senso corporativo. O vunque sono stati fatti esperimenti elettorali «cor-


porativo-professionali» - recentemente in Austria e nella legge elettorale
per l’elezione alla D um a russa approntata da Bulygin -, si sono dovute
formare necessariamente categorie del tutto rozze e formali, creando co­
sì, nel caso dell’Austria, un parlamento profondamente corrotto che può
vantarsi soltanto di aver scoperto per primo l’ostruzionismo, mentre - per
quanto riguarda la Russia, quell’ordinamento è stato il precursore delia ri­
voluzione. In nessuno dei due casi però i rappresentanti dei poteri oggi
veramente significativi nel mondo economico sono riusciti a farsi valere
politicamente; meno che mai in modo «aperto». A questa non conformità
con la struttura economica moderna in perenne mutamento si aggiunge­
rebbe l’incrociarsi della struttura professionale con gli interessi puramen­
te politici, i cui dispotici effetti sono sempre radicalmente misconosciuti
da questi presunti realistici pseudo-progetti. N o n ne uscirebbe una fon­
dazione della rappresentanza parlamentare sulla percezione «aperta» dei
«naturali» interessi professionali in se solidali, bensì un’accresciuta lacera­
zione della solidarietà professionale attraverso il suo diventare fazione po­
litica. Già oggi vediamo i partiti politici lottare per il potere anche nelle
amministrazioni comunali, nelle cooperative, nelle amministrazioni delle
casse mutue e così via - in breve, in tutte le possibili formazioni sociali.
Spesso ci si è lamentati di questo. I diversi aspetti del tutt’altro che sem ­
plice problema politico-organizzativo non possono essere trattati qui ve­
locemente assieme agli altri. In ogni caso, è evidente che ovunque domini
la scheda elettorale e l’agitazione, i partiti politici in quanto tali sono già
da ora predestinati a diventare i rappresentanti della lotta. Innanzitutto,
perché hanno a disposizione l’apparato adatto a questo scopo. Ci. si im­
magini, allora, che queste corporazioni di interessi, attraverso i loro rap­
presentanti, dovessero votare su questioni politiche e culturali; il risultato
sarebbe chiaro: l’instaurarsi delle fazioni politiche in seno ai gruppi di in­
teresse - i quali devono sbrigare affari concreti comuni, proprio in senso
solidaristico, ai compagni del gruppo -, attraverso la loro elevazione a cor­
pi elettorali parlamentari, avrebbe come ovvia conseguenza che innanzi­
tutto la lotta di interessi puramente economici dovrebbe creare, c senza
dubbio creerebbe, nuovi organi accanto alla struttura di queste corpora­
zioni elettorali politiche. Inutilmente quelle urne per il conteggio dei vo­
ti cercherebbero di ghermire la reale vita economica. Certamente la lotta
degli interessi economici peserebbe su questi come su tutti i corpi eletto­
rali. Ma si fonderebbe assai di più su nude relazioni individuali di potere
- indebitamento, clienti -, anziché, come oggi, su una stabile condizione
di classe, che interviene col finanziamento e l’influenza sulla lotta eletto­
rale dei partiti tramite gli interessati. E al tempo stesso assumerebbe aspet­
ti infinitamente più oscuri. Chi potrebbe, infatti, in una simile complica­

56
Sistem a e letto rale e d e m o c ra z ia

ta partizione elettorale, mettersi sulle tracce delle relazioni di dipendenza


in cui è coinvolto un commerciante, o un artigiano, formalmente «indi-
pendente» nei confronti di una potenza capitalistica, e chi potrebbe loca­
lizzare l’influenza che eserciterebbe la pressione di tali potenze capitali­
stiche sul comportamento politico di coloro che dipendono da esse? Il pe­
so in quanto tale della dipendenza aumenterebbe, perché costoro potreb­
bero essere controllati molto efficacemente soltanto dai loro concorrenti
nei corpi elettorali. Denunce e boicottaggi aizzerebbero uno contro l ’al­
tro questi presunti rappresentanti della «solidarietà professionale» am ­
massati nelle corporazioni elettorali. Infatti, queste corporazioni formate
secondo il ceto e la professione non avrebbero solo da tutelare interessi
professionali, in quanto it risultato della lotta elettorale presso di loro de­
ciderebbe sul possesso dei benefìci statali e delle cariche. La «buona gente
e i cattivi musicanti» che consigliano questo sistema hanno davvero com ­
preso che cosa ne verrebbe fuori? Per ora mi fermo qui. Q ueste costru­
zioni evanescenti, infantili e da letterati, sono menzionate qui solo perché
esse danno l’occasione per prendere posizione nei confronti di un altro
problema generale.
G ià oggi troviamo, da noi e altrove, gruppi economici aventi diritti di
rappresentanza. Innanzitutto per la consulenza burocratica: le Camere
dell’agricoltura, di commercio, dell’artigianato, le Camere del lavoro —in
un prossim o futuro, chiaramente - , e anche i Consigli delle ferrovie e si­
mili. Proprio da loro però sì può oggi imparare che cosa non fa un’orga­
nizzazione formale di professione. O ppure qualcuno pensa che queste
corporazioni ufficiali potrebbero sostituire la «Federazione dei contadi­
ni», P«AssocÌazionc centrale degli industriati», e in più le associazioni dei
datori di lavoro oppure i sindacati? D ove pulsa allora davvero la «vita»
della solidarietà di interessi ripartita per professioni? E allo stesso m odo
abbiam o all’interno del nostro meccanismo legislativo, quantomeno in
parte, corporazioni istituite secondo il ceto professionale: le Cam ere Alte.
Prevalentemente, si tratta di associazioni di proprietari terrieri di rilevan­
te impronta sociale («vecchio e consolidato possesso terriero»),- accanto a
queste, troviamo le Cam ere di commercio, alcune comunità particolar­
mente grandi, anche le università, e in futuro forse ci saranno le Cam ere
dell’artigianato e dei lavoratori, che inviano alle Camere i loro rappresen­
tanti. Q uesto m odo di rappresentanza di interessi è infinitamente gro sso­
lano, ma sufficiente alla meno peggio per questi scopi politici. L’infantili­
sm o politico dei nostri letterati crede palesemente che attraverso il cum u­
lo e la specializzazione dì tali diritti di rappresentanza dovrebbe infine p o ­
ter risultare possibile fare di queste Camere Alte dei parlamenti, nei quali
ogni cittadino si trovi rappresentato come membro della sua cerchia vita­
le e professionale, come (a quel che si dice) un tempo accadeva nello «Sta­

57
Weber, Scritti p o litic i

to corporativo». Di questo «Stato corporativo» parleremo più avanti. Le


Camere Alte, però, sulle quali cì soffermiamo qui brevemente, sono oggi
(più in teoria che in realtà) luoghi di discussione politica, da una parte, dei
notabili, e dall’altra dì strati di interessati, i quali vengono considerati da
un punto di vista puramente politico in virtù dì motivazioni tradizionali
particolarmente importanti. Questi sono, innanzitutto, i proprietari e i ti­
tolari di determinate professioni giudicate socialmente elevate. D i fatto es­
si, quasi sempre, non vengono selezionati secondo il punto di vista politi­
co dei partiti, ma secondo le loro «idee». D a ciò consegue immediata­
mente l’elemento decisivo per la posizione naturale di una tale Cam era
Alta nell’ordinamento statale. Ovunque questa posizione sìa corretta-
mente inserita nell’ordinamento statale —in senso polìtico -, manca alla
Camera Alta per lo meno il diritto dì stilare un proprio bilancio preventi­
vo, cioè il fondamento della posizione di potere della rappresentanza po­
polare. Per il resto la sua condizione giuridica, considerata da un punto di
vista politico, la fa essere un’istanza la quale può opporsi alle decisioni
della rappresentanza popolare, criticare, rimettere ad una nuova trattazio­
ne, sospendere e rinviare, addirittura emendare, ma che - non importa se
c’è a tal proposito un diritto formale - non può durevolmente ostacolare,
in una questione politicamente importante, la volontà di una maggioran­
za perentoria, forte della rappresentanza popolare, pena la perdita dei suoi
diritti formali (come ora in Inghilterra) oppure l’ampliamento del nume­
ro dei Pari (come in Prussia nel 1873). Q uest’ultimo è una valvola di sfo­
go che non può mai essere accantonata senza pericolo politico, sebbene
tutte le Camere Alte siano solite reclamare contro di esso a causa della
perdita di potenza, e sebbene la Camera dei Signori prussiana di sicuro in
occasione della riforma elettorale aspirerà all’accantonamento di questo
diritto della corona, e magari aspirerà anche al diritto di stilare il bilancio
preventivo, cosa che politicamente porterebbe alle crisi e ai pericoli più
gravi. Infatti questo significherebbe che il sistema elettorale per classi con­
tinuerebbe ad esistere, ma ripartito in due organismi, i cui conflitti culmi­
nerebbero in crisi di Stato. Speriamo che non si giunga a questo.
Anche e proprio in caso di diritti formalmente limitati, l’influenza del­
le Camere Alte può essere molto significativa. Ma le Camere Alte, co­
munque siano costituite, non hanno niente a che fare con una rappresen­
tanza popolare. Esse, in teoria, costituiscono un contrappeso al dominio
dei partiti. Ma in realtà spesso si tratta di un contrappeso di dubbia utilità
politica e dì livello spirituale inadeguato: la Cam era dei Signori prussiana
è l’unico organismo «legislativo» che crede di aver bisogno del giudice pe­
nale per avere il rispetto che esso pretende. Certo, oggi, le Camere Alte
potrebbero essere autentici luoghi di eloquenza politica individuale. D ì
l uto invece esse sono spesso luoghi di chiacchiere inutili. Nella Camera

58
S iste m a e letto rale e d e m o c ra z ia

dei Signori prussiana certamente si parla in modo molto più eloquente e


assai più «nobilmente» che nel Reich suig, ma chi vorrebbe perdere il pro­
prio tempo a leggere questi discorsi? E tuttavia un tale consiglio di Stato
dotato di funzioni consultive pubbliche - questa infatti è la natura auten­
tica di una Cam era Alta costituita in m odo corretto - , in quanto luogo
dove si esprime il pensiero politico non legato ai partiti e l’intelligenza po­
litica di individui che non ricoprono una carica pur avendone esperienza,
cioè l’esperienza degli uomini di Stato più anziani, rispetto all’attuale di­
rigenza politica dei partiti, un tale consiglio di Stato sarebbe in grado di
prestare un servizio innegabilmente prezioso in uno Stato parlamentare.
M a tra le odierne formazioni di questo tipo solo molto poche corrispon­
dono a questo scopo.
In uno Stato democratico una Cam era Alta può o - come nelle dem o­
crazie d ’oltremare - essere un organismo fondato sul suffragio universale
seguendo però un altro procedimento di voto, un dispositivo quindi per
correggere le inevitabili manchevolezze presenti in ogni sistema elettora­
le; oppure può essere una rappresentanza delYintelligenza esperta in poli­
tica, amministrazione, economia, scienza e tecnica. In questo caso però si
tratterebbe di un organismo solo consultivo, che critica e (attraverso il ve­
to) sospende. E sso dunque può formalmente essere solo una Camera
avente poteri lim itati Politicamente sarebbe auspicabile che in tali C am e­
re Alte i rappresentanti degli interessi professionali stessero in ogni caso
semplicemente accanto ai rappresentanti dell’intelligenza politico-statale
e della form azione politico-culturale, e che dunque ad esempio apparte­
nessero ad esse tutù i ministri e i sindaci uscenti delle grandi città, e quin­
di i rappresentanti di importanti circoli politico-culturali (rappresentanti
eletti dei maestri di scuola, degli insegnanti degli istituti superiori, dei
giornalisti). La questione della futura com posizione di questi organismi
non è, in ogni caso, così priva di importanza come spesso si crede da noi
a motivo del fatto che purtroppo essi oggi vengono costituiti unicamente
come un freno meccanico contro i «pericoli» della democrazia a consola­
zione della vigliaccheria del piccolo borghese (non fa differenza a quale
posizione sociale appartenga). Ma questo problema non può e non deve
essere qui analizzato neanche superficialmente.
Piuttosto noi qui chiediamo soltanto: come avviene propriamente che
quegli organismi di interesse organizzati statalmente, come le Camere di
commercio un tempo così strenuamente combattute da Eugen Richter, e
tutte le forme simili sorte da allora secondo questo schema, in realtà non
fungano affatto da contenitori del flusso autenticamente vivo degli inte­
ressi economici a confronto con la vita florida dei veri gruppi di interessi
economici ? E com ’è che, d ’altro canto, anche rispetto ai partiti essi resta­
no così assolutamente incapaci di catturare in sé la vita politica? Si tratta

59
W eber, Scritti politici

di un caso? N on è affatto un caso, ma la conseguenza del fatto che i parti­


ti da un lato e i gruppi di interessi economici dall’altro stanno sul terreno
del reclutamento giuridicamente lìbero dei loro sostenitori, mentre invece
quelle formazioni statali no. Le prime sono, in conseguenza della loro
struttura, le organizzazioni adatte per la lotta e il compromesso; le secon­
de, invece, sempre in conseguenza della loro struttura, sono finalizzate al-
Vespressione di oggettivi pareri di esperti oppure ad un pacifico lavoro am­
ministrativo puramente «abitudinario». Purtroppo da noi, con l’espres­
sione «zelo per 1’“ organizzazione” » si intende sempre e soltanto un’orga­
nizzazione coercitiva retta da un regolamento superiore controllato dalla
polizia. Le organizzazioni create sulla base della libera iniziativa indivi­
duate («volontaristicamente») sono viste dai letterati come propriamente
illegittime o —nella migliore delle ipotesi - come soltanto provvisorie, e
destinate ad essere assorbite un giorno in un’organizzazione regolamen­
tata in senso poliziesco, senza probabilmente considerare che esse per lo­
ro essenza e significato sono capaci solo di una struttura volontaristica.
Q ui sta l’errore fondamentale.
Appartiene alle follie ereditarie del nostro dilettantistico ambiente let­
terario votato alla politica di voler «preparare un sistema con parole», in
questo caso con i paragrafi di uno statuto che loro dovrebbero progetta­
re, quando a tal fine mancano tutte le condizioni. Viste da un punto di vi­
sta politico, quelle organizzazioni ufficiali dei ceti e delle professioni - fi­
no ad arrivare alle Camere Alte composte da rappresentanti delle profes­
sioni —sono formazioni determinate dal fatto che le loro dichiarazioni,
perizie, risoluzioni o dibattiti, vengono certo discussi ma non messi ai vo­
ti. Ed esse ogni volta avranno più o meno peso a seconda del contenuto
oggettivo delle loro dichiarazioni. Invece i partiti politici nello Stato mo­
derno sono organizzazioni volte al reclutamento (giuridicamente) « libe­
ro», il cui fine consiste nel determinare la politica attraverso il numero dei
suoi affiliati: la ultima ratio di ogni moderna politica di partito è la sche­
da elettorale. E gli organismi che rappresentano gli interessi economici
nell’economìa capitalistica sono associazioni parimenti determinate sulla
base (dal punto di vista giuridico) del « libero» reclutamento, intese ad
estorcere - attraverso la potenza economica privata dei loro membri, sia
che questa potenza si fondi sul possesso di beni, sul monopolio del mer­
cato o sul concentramento monopolistico delle forze lavorative economi­
camente necessarie - un compromesso sulle condizioni del prezzo dei be­
ni reali o del lavoro che corrisponda ai loro interessi. Ma per entrambi i
tipi di organizzazioni libere proprio questo fondamento «volontaristico»,
che ne caratterizza l’organizzazione, è l’elemento decisivo, l’unico assolu­
tamente peculiare e per questo «organico». Il tentativo di costringerle in
un tipo di autorità statale sarebbe una coercizione puramente meccanica
S iste m a e letto rale e d em o crazia

che costituirebbe la fine della loro vita interna. N o n che ad esse la «coer­
cizione» sia in generale qualcosa di estraneo. Al contrario. Esse si servo­
no del boicottaggio, della proscrizione e di tutti i mezzi di richiamo e
coercizione di tipo materiale e spirituale, che lo spirito umano possa esco­
gitare sul terreno (dal punto di vista formafe) della libera propaganda, con
la sola eccezione di quella forma della creazione di un «ordine esteriore
legittimo» statale, propria dell’apparato coercitivo statale e ad esso riser­
vata. D a parte dello Stato, si possono adottare disposizioni, a beneficio
delle organizzazioni di partito, le quali - a seconda delle circostanze - tu­
telino ì diritti della maggioranza contro l’illegalità commessa da una cric­
ca di minoranza, o al contrario i diritti della minoranza contro la prepo­
tenza della maggioranza, e questo in America lo si è fatto. M a per quanto
riguarda la caratteristica fondamentale, vale a dire la volontarietà dell’ade­
sione da parte degli iscritti, essa cambia tanto poco quanto le prescrizioni
statali riguardanti le condizioni della fondazione dei sindacati. Proprio il
fatto che il capo di un partito dipenda dal reclutamento formalmente li­
bero dei suoi adepti, costituisce l’elemento assolutamente diversificante
rispetto all’avanzamento regolamentato del funzionario. E proprio il fat­
to che i dirigenti economici siano costretti all’organizzazione formalmen­
te * libera» del loro seguito condiziona la loro peculiarità, che a sua volta
viene condizionata dalla struttura dell’economia moderna. O rganizzazio­
ne e consociazione provocata dalla polizia di Stato, in questo ambito e
sotto queste condizioni, sono per antonomasia opposti inconciliabili. Chi
non ha capito queste cose, non ha ancora colto l’abbiccì della moderna vi­
ta polìtica ed economica. Questi non sono stati di fatto «eterni». M a oggi
si presentano in questo m odo. Naturalmente sulla carta si possono co­
struire organismi elettorali di ceti e professioni a piacere. M a posto che lo
si facesse, allora, come si è detto, la conseguenza sarebbe che i partiti po­
litici da una parte e i gruppi di interessi economici dall’altra condurreb­
bero, dietro ad essi, la loro effettiva esistenza.
E questo dovrebbe bastare. A bbiam o qui menzionato tutte queste fan­
tasie romantiche - che certo non meritano da parte dell’esperto l’onore di
una seria confutazione -, soltanto perché queste costruzioni del tutto an­
tistoriche arrecano pur sempre il danno di aumentare, in primo luogo, l’i­
drofobia della pìccola borghesia tedesca (di tutti gli strati) davanti alla ne­
cessità di immergersi nella situazione specificatamente moderna del pro­
blema, e, in secondo luogo, di estraniare ancor più questa piccola borghe­
sia dal m ondo e dalla politica. E poi - per toccare brevemente alla fine an­
che questo punto - qualcuno di questi romantici da calamaio si è mai fat­
to un’idea chiara deD’essenza del reale «Stato corporativo» del passato?
C onfuse rappresentazioni di una «partizione della società» secondo le
«professioni naturali» in «comunità corporative», portatrici dell’«etica
W eber, Scrìtti p olitici

cristiana della fratellanza» e di una «struttura piramidale» con al vertice il


monarca spirituale universale, nascondono Yassoluta ignoranza di ciò che
c’era di veramente reale dietro a questa immagine presa in parte dalle
ideologie della letteratura filosofica, e in parte però dai moderni concetti
razionalistici di organizzazione. Infatti la realtà appariva diversamente. La
cosa davvero caratteristica del cosiddetto Stato corporativo non era la par­
tizione «organica» della società secondo «naturali gruppi professionali
economici» o addirittura la definizione deH’economÌa sul «principio del­
la solidarietà». C iò che differenziava l’economia dello Stato corporativo
da quella odierna erano caratteristiche che si sono sempre ritrovate in tut­
to il mondo nelle più differenti costituzioni politiche pensabili. Q ueste
forme economiche, al contrario delle condizioni economiche odierne, re­
sero tuttavia possibile lo Stato corporativo - mentre oggi non lo è - p ro ­
prio come altrove ponevano le premesse per altre form e di Stato oggi non
più possibili. M a esse non crearono lo Stato corporativo. Del tutto diver­
sa era la peculiarità dello Stato corporativo giunto a piena formazione so­
lo in una parte d ’Europa: essa consisteva nell’acquisizione di diritti politi­
ci da parte di singole persone e corporazioni in base al tipo di possesso
privato di beni reali; e nel radunarsi (non sempre soltanto, ma sempre pre­
valentemente) di questi detentori di privilegi in assemblee, allo scopo di
regolare le questioni politiche attraverso il compromesso. Possesso di ca­
stelli C importanti poteri militari o politici O finanziari di Ogni tipo un
tempo, in quanto privilegi ereditari, erano nelle mani dei singoli in modo
del tutto simile a come oggi ancora solo il re ha la propria corona. C iò che
siamo abituati a giudicare come contenuto del «potere» unitario «statale»
si disperdeva allora in un fascio di singoli diritti ripartiti in diverse mani.
In generale, non si poteva parlare di uno «Stato» nel senso moderno del
termine. Per ogni azione politica era piuttosto necessario un accordo di
questi detentori di prerogative, 1 quali erano indipendenti in linea di prin­
cipio uno dall’altro, e arrivare a questo era lo scopo delle assemblee cor­
porative. Originariamente queste assemblee non contemplavano perciò,
in linea di massima, né votazioni né decisioni vincolanti per colui che non
accettava, bensì - come forma della soluzione degli affari - il «concorda­
to», vale a dire, secondo l’uso linguistico odierno, il com promesso, e non
soltanto tra i diversi gruppi corporativi, ma anche all’interno di ciascun
gruppo tra i singoli detentori di privilegi. Si legga qualsivoglia atto di tali
assemblee e ci si chieda poi se uno Stato moderno possa essere governato
attraverso simili forme. Ma queste forme (malgrado ogni loro fluidità per­
cettibile nel particolare) sono proprio le più importanti parti costitutive
del tipo che comincia subito a mutare nel momento in cui inizia ad entra­
re in questa form azione la ultima ratio della scheda elettorale: il più im­
portante (anche se non l’unico) contrassegno del moderno parlamento.

62
Sistem a e letto rale e d em o crazia

Solo con questo sorge la moderna configurazione razionale della forma­


zione della volontà statale. N ello Stato costituzionale, tuttavia, ancora og­
gi l’attività statale poggia per quanto concerne le questioni decisive, sia dal
punto di vista giuridico che da quello politico (ad esempio nell’elabora­
zione del bilancio preventivo), sul com promesso. Q uesto però non avvie­
ne, in senso giuridico, né in occasione di elezioni né in occasione delle trat­
tative di un organismo parlamentare, e nemmeno può avvenire senza met­
tere a repentaglio la loro stabilità. Solo quando il com prom esso era il fon­
damento giuridico dell’agire politico, anche la partizione delle professioni
in ceti era pertinente alla sua natura. N on però dove regna la scheda elet­
torale, vale a dire dove si tratti di un’elezione parlamentare.
Ancor oggi, come un tempo, il compromesso s ’impone - in quanto
forma di risoluzione delle lotte economiche di interessi - soprattutto tra
imprenditori ed operai: in questo caso, esso è inevitabilmente l’unica for­
ma definitiva della decisione, e proprio questo appartiene al carattere es­
senziale di ogni rappresentanza economica, davvero viva degli interessati.
Naturalmente esso s’impone anche nella politica parlamentare, tra i parti­
ti, come com prom esso elettorale oppure come com prom esso per la pre­
sentazione di progetti di legge. Q uest’ultima possibilità appartiene addi­
rittura, come dev’essere ancora trattato, ai vantaggi più significativi del
parlamentarismo. Ma, beninteso, sempre con Yultima ratio della scheda
elettorale sullo sfondo. Q uesto significa: sotto la minaccia che nel caso in
cui non si realizzi il compromesso l’elezione o la votazione avrà proba­
bilmente un esito più o meno non desiderato per tutti i partecipanti. Il
conteggio effettivo o approssimativo dei voti appartiene ormai all’essenza
innata della moderna lotta elettorale tanto quanto appartiene alla condu­
zione parlamentare degli affari; questo stato di cose i nostri romantici, pur
con la loro ripugnanza per le «cifre», non lo potranno di certo cambiare.
Possono stare alla larga dalla politica se ai loro occhi il «conteggiare» sem­
bra un’attività troppo prosaica. M a non sarebbe che un’arroganza diffa­
mare proprio il suffragio universale, bollandolo come «dem ocrazia delle
cifre», a vantaggio di altre elezioni all’incirca del tipo «corporativo pro­
fessionale». Infatti, in questo caso, come stanno le cose con le cifre? Ogni
chiacchiera sul genere «organicamente» sensato della partizione secondo
la professione oppure secondo il ceto in tutti questi progetti è solamente
facciata. Chi non desidera luoghi comuni, ma realtà, distoglie l’attenzione
da ciò e osserva soltanto come il numero dei mandati c dei voti debbano
essere ripartiti tra questi gruppi creati in maniera artificiale. Poiché infat­
ti la scheda elettorale anche in questo caso resta l’ultima ratio, allora l’u ­
nica cosa importante è costituita dal fatto che tutte le schede altro non so ­
no che aritmetica elettorale. In questa scienza è particolarmente ferrato
l’Ufficio Reale Prussiano di Statistica. I «progetti di riforma del sistema

63
Weber, Scritti p olitici

elettorale» degli ultimi trentanni, di cui doveva interessarsi, poggiavano


sempre su calcoli: quanti conservatori, centristi, liberal-nazìonali, e via di
questo passo si potevano più o meno eleggere con un determinato siste­
ma elettorale. M a considerare tali pezzi di bravura aritmetici e i loro pro­
dotti come qualcosa di sublime rispetto alla «democrazia delle cifre», è
cosa che intendiamo volentieri lasciare ai tronfi demagoghi e ai letterati.
D a un punto di vista strettamente politico, non si tratta di un sempli­
ce caso se oggi il «suffragio universale sulla base delle cifre» sta diffon­
dendosi dappertutto. Infatti, questa universalità del voto corrisponde,
nella sua natura «meccanica», all’essenza dello Stato odierno. A llo Stato
moderno appartiene propriamente il concetto di « cittadino». E suffragio
universale significa innanzitutto nient’altro che il singolo finalmente, sot­
to questo aspetto della vita sociale, non viene considerato, come invece in
ogni altra occasione, secondo la sua specializzazione in attività professio­
nali, per la posizione familiare e in base alle peculiarità della sua condi­
zione materiale o sociale, bensì solo in quanto cittadino. Giunge in que­
sto m odo ad espressione l’unità del popolo di uno Stato, rispetto alla di­
visione che regna a livello della vita privata. Naturalmente tutto ciò non
ha assolutamente nulla a che fare con la teoria di una qualche «uguaglian­
za» naturale degli uomini. Secondo il suo autentico significato si tratte­
rebbe, al contrario, di un certo contrappeso alle disparità sociali, create
non sulla base di qualità naturali, ma su condizionamenti sociali spesso to­
talmente in contrasto con esse, e soprattutto sulle inevitabili diseguaglian­
ze fondate portafoglio, e non dunque su differenze naturali. Finché esi­
sterà, anche solo approssimativamente, l’odierno ordinamento sociale -
ed esso è duro a morire - , sarà sì attenuata la disparità delle condizioni
esteriori di vita, soprattutto per quanto riguarda la proprietà, e verranno
certo attenuate le relazioni sociali di dipendenza da essa condizionate, an­
che se non potranno mai essere del tutto eliminate; e inoltre i privilegiati
in questo sistema non perderanno mai neppure approssimativamente la
possibilità di esercitare il loro influsso - che va di gran lunga al di là del
loro numero —sulla politica dello Stato. Allo stesso modo, la natura del­
l’organizzazione statale ed economica moderna determina durevolmente
la condizione privilegiata dell’istruzione professionale, e con ciò della (non
identica alla prima, ma - anche solo da un punto di vista tecnico educati­
vo - da essa richiesta) «form azione», ovvero di questo elemento fortissi­
mo di differenziazione di ceto all’interno della società moderna. Proprio
per questo è opportuno che nel sistema elettorale parlamentare venga
creato un principio equivalente: l’equiparazione degli strati sociali supe­
riori per massa e socialmente dominati agli strati sociali privilegiati, per lo
meno per quanto concerne l’elezione dell’organismo di controllo che fun­
ge, allo stesso tempo, da luogo p er la selezione dei capi.

64
S iste m a e letto rale e d e m o c razia

E la necessità di questa istanza aumenta in maniera decisiva, se assu­


miamo che in conseguenza dell’economia di guerra nasca un’am pia e du­
ratura «organizzazione» dell’economia nazionale, sotto forma di gruppi
di interessi con la partecipazione di enti statali; una regolamentazione
consociativa, dunque, dell’economia (o di certi suoi importanti rami), bu­
rocraticamente «controllata», «cogestita» o in qualche altro m odo posta
in relazioni stabili e durature con le istanze statali. H a mai riflettuto sul
serio qualcuno dei nostri letterati, così infantilmente entusiasti di queste
cose, su che cosa ne conseguirebbe da un punto di vista politico, se come
contrappeso non venisse contemporaneamente favorita una eccezionale
crescita della potenza del parlamento non organizzato secondo i criteri
professionali? E ssi immaginano che in questo m odo «lo Stato» divente­
rebbe allora il saggio regolatore dell’economia. E esattamente il contrario!
I banchieri e gli imprenditori capitalisti da loro così odiati diventerebbe­
ro i capi assoluti e incontrollati dello Stato! Infatti che cosa sarebbe mai, in
tutto il mondo, « lo Stato» accanto a questo meccanismo di cartelli della
grande e piccola industria - cartelli di ogni tipo in cui è «organizzata» l’e­
conomia —se la formazione della sua volontà fosse posta proprio nelle
mani di queste organizzazioni «corporative»? G ià la partecipazione dello
Stato al sindacato (Syndikat) del carbone e alle miniere in genere significa
in pratica che il fisco non è interessato al migliore approvvigionamento
possibile di carbone a basso prezzo per la nazione, bensì ad un’alta ren­
dita dalle sue miniere; e che le miniere, sia pubbliche che private, e la bu­
rocrazia sono sullo stesso piano in quest’affare, tanto rispetto agli operai
quanto al consumatore di carbone. Ogni ulteriore progresso della cartel-
lizzazione gestita statalmente non può che significare un’ulteriore esten­
dersi di questo fenomeno. Può darsi che essa sia ciononostante inevitabi­
le; questo è un aspetto che non deve essere affrontato in questa sede. Ma
che enorme ingenuità è il credere che in questo modo il tanto deplorevole
potere dell’interesse al «profitto» legato alla produzione di beni «a fine di
lucro» - agli occhi dei nostri ideologi da calamaio - sarebbe m esso da par­
te o indebolito a favore dell’interesse «secondo natura»; l’interesse cioè
proprio «dell’economia collettiva» per un approvvigionamento migliore
possibile, cioè a buon mercato c più conveniente per gli uomini che desi­
derano e usano i beni. Che insensatezza abissale! Q uest’interesse capita­
lista volto alla produzione e al profitto c rappresentato dai cartelli domi­
nerebbe allora lo Stato in maniera esclusiva. A meno che all’organizzazio­
ne degli interessi dei produttori non venga contrapposto un potere abba­
stanza forte per controllarla e guidarla in modo conforme al fabbisogno
della popolazione. Il fabbisogno di un uomo però non è conforme alla sua
posizione nel meccanismo della produzione di beni. L’operaio abbisogna
di pane, casa, vestiti indipendentemente dal tipo di fabbrica in cui lavori.

65
W eber, Scritti p olitici

E dunque proprio quando incombe questa organizzazione economica, è


senza dubbio necessario eh e, prim a che cominci a funzionare, dunque su­
bito, le venga contrapposto un parlamento eletto non sulla base del ruolo
dei rapporti di produzione, ma sulla base della rappresentanza dei fa b b i­
sogno delle masse, vale a dire un parlamento eletto a suffragio universale,
dotato di un potere del tutto sovrano. C on un potere dunque essenzial­
mente più sovrano di quello attuale, poiché la posizione di potere finora
non è stata sufficiente a rompere il dominio del fiscalismo nelle imprese di
Stato e quello di coloro che ne ricavano un profitto. Q uesto è un argo­
mento negativo a favore del suffragio universale.
Ma in positivo il suffragio universale, nella prospettiva della politica
statale, sta in intima relazione con quella parità di destini che ancora una
volta lo Stato moderno in quanto tale crea. Davanti alla morte gli uomini
sono «uguali». Pressoché uguali essi sono anche per quel che riguarda i bi­
sogni più essenziali della vita materiale. Proprio questo elemento assolu­
tamente ordinario c insieme altrettanto pateticamente sublime è com pre­
so anche nelle parità offerte dallo Stato moderno a tutti i suoi cittadini in
m odo davvero durevole e indubbio: la sicurezza meramente fisica e il mi­
nimo necessario per vivere, e il campo di battaglia per la morte. Tutte le
disparità dei diritti politici del passato erano alla fin fine riconducibili al­
la disparità economica condizionata dalla qualifica militare, la quale man­
ca nello Stato e nclPesercito burocratizzati. Rispetto al potere livellante ed
inesorabile che le è proprio la burocrazia, che da sola ha dato vita al con­
cetto moderno di «cittadino», può concedere in generale ai suoi sottopo­
sti, unica cosa, lo strumento di potere della scheda elettorale, che rappre­
senta ormai quel minimo di diritto alla determinazione comune circa le
questioni di quella comunità, per la quale essi dovrebbero andare incon­
tro alla morte.
Attualmente, in Germania è il Reich a fare la guerra; ma tra i singoli
Stati è la Prussia - in forza della sua posizione nel Reich - lo Stato ege­
mone che ne determina inequivocabilmente la politica. Al Reich il singo­
lo rivolge la richiesta di garantire nei confronti dei reduci di guerra l’a­
dempimento per lo meno di quello che è il minimo assoluto di senso po­
litico della decenza da parte di questo Stato egemone. Rispetto a chi è ri­
masto a casa, nessuno di questi reduci - e questo è interesse del Reich -
può essere svantaggiato quanto al diritto politico di voto nel singolo Sta­
to di volta in volta determinante, come sarebbe inevitabilmente nel caso
di ogni altro sistema elettorale che non fosse il suffragio universale3. Tale

J 11 vincolare, come sembra sia in progetto, il diritto di voto alla permanenza per un cerio pe­
riodo in un determinalo luogo, cosa clic significherebbe la re-voca del diritto di voto (che attual­
mente è goduto dalia terza classe) dei lavoratori costretti a cambiare frequentemente residenza,
costituirebbe una privazione dei diritti degli strati di proletari in questione che in questo mo-

66
S iste m a e letto rale e d e m o c razia

esigenza è di carattere puramente politico, non partitico. N on conoscia­


mo affatto quale sarà l’umore e il sentimento politico dei combattenti di
ritorno dal fronte. Forse saranno molto «autoritari». Infatti, ci saranno
sempre forti partiti «conservatori» perché ci saranno sempre uomini au­
toritari. Allora essi potranno, con la scheda elettorale, costruire lo Stato
secondo i loro ideali, e noi che siamo rimasti a casa attenderemo al nostro
lavoro. Viene qui combattuta solo la spudorata opposizione dei «com bat­
tenti rimasti in patria» nei confronti de 11’adempimento di questo elemen­
tare dovere im posto dal senso della decenza. A che l’albero della dem o­
crazia, invecchiata e negativa, volta solo a pretendere la libertà dallo Sta­
to, non cresca fino al cielo, provvede la spietata realtà del presente; e me­
glio vi prow ederebbe la partecipazione responsabile dei dirigenti dei par­
titi parlamentari al potere nello Stato. Proprio le esperienze di questa
guerra hanno mostrato (adesso anche in Russia) ciò che già un tempo fu
sottolineato: che nessun partito, qualunque sia il suo programma, ottiene
la conduzione effettiva di uno Stato senza diventare un partito naziona­
lista. Q uesto noi lo sperimenteremo proprio come lo si è esperito ovun­
que. I partiti socialisti di altri Stati erano «più nazionalisti» che (un tem­
po) i nostri, perché non erano stati esclusi dalla guida dello Stato. In ogni
caso, qualunque sarà l’umore dei reduci dal fronte, essi porteranno con sé
eventi, impressioni ed esperienze che soltanto loro hanno vissuto. C iò che
soprattutto noi crediamo di poterci aspettare da loro è innanzitutto una
più grande, almeno in senso relativo, obiettività. Infatti i compiti che la
guerra moderna pone sono obiettivi in massimo grado. E inoltre: una
maggiore immunità nei confronti dei meri slogan da letterati, di qualun­
que partito facciano parte. Al contrario, il periodo di guerra tra i rimasti
a casa, soprattutto tra i possidenti e gli strati dei letterati, ha palesato
un’immagine così ripugnante di mancanza di obiettività, di scarso senso
di misura in ambito politico e di cecità intenzionalmente alimentata nei
confronti delia realtà, che c il caso di dire: «H ai finito di suonare le cam­
pane, giù dal campanile!». M a almeno il nuovo sistema elettorale deve as­
solutamente essere approntato già durante la guerra. I reduci dal fronte,
infatti, non possono essere posti nella necessità di doversi innanzitutto
creare, attraverso sterili lotte interne per il sistema elettorale, gli strumen­
ti di potere per poter discutere in m odo determinante sulle questioni di
quello Stato di cui hanno difeso l’esistenza combattendo. Essi devono già
trovare un ordinamento dei diritti politici puramente formali, così da po­
ter mettere mano immediatamente alla ricostruzione materiale della strut­
tura dello Stato. Questo, da un punto di vista puramente pratico, è l’ar-

mento stanno al fronte! A causa del grande sovvertimento de 111economia che c in vista» alle pros­
sime eiezioni forse la maggioranza dei lavoratori potrebbe essere costretta a corcare un nuovo
posto di lavoro» dunque perderebbe il diritto di voto! [n.d.A.].
W eber, Scritti p olitici

gomento decisivo per l’introduzione del suffragio universale in Prussia, e


per la sua introduzione immediata, proprio ora,prim a che la guerra giun­
ga all’epilogo.
N oi conosciamo certo tutti i luoghi comuni con i quali, in risposta a
tutto ciò, gli interessati cercano di intimorire il piccolo borghese, e so­
prattutto il letterato. In particolare il timore per la distruzione, attraverso
la «democrazia», delle cosiddette «nobili tradizioni» fautrici della civiliz­
zazione e anche della presunta imperscrutabile saggezza politica degli
strati «aristocratici» dominanti lo Stato. Occupiam oci una buona volta del
nucleo effettivo di questi argomenti, sebbene essi propriamente ci sviino
dalla questione in quanto tale del sistema elettorale.
È indubitabile che un’autentica aristocrazia era in grado di dar forma
ad un intero popolo nel senso e nella direzione del suo ideale di nobiltà.
Infatti gli strati plebei imitano le sue «gesta». Ed essa inoltre, legando il
vantaggio di una salda tradizione e di un orizzonte socialmente ampio con
quello del suo «numero esiguo», in qualità di conduttrice di un’entità sta­
tale può conseguire risultati politicamente di grande valore. Il dominio di
un’aristocrazia con tradizioni politiche ha inoltre, rispetto alle forme di
domìnio democratiche, un privilegio politico, e cioc la più limitata dipen­
denza da fattori emotivi. D etto altrimenti: la mente ordinariamente più
fredda, che è il prodotto di una condotta di vita modellata coscientemen­
te e di un atteggiamento acquisito mediante un’educazione orientata alla
« contenance». L’autentica aristocrazia possiede, di regola, il dono dell’.j-
gire tacendo in misura notevolmente maggiore tanto rispetto alle masse
democratiche quanto anche - cosa che per lo più viene taciuta dagli adu­
latori, sebbene sia assai peggiore - dei moderni monarchi non parlamen­
tari. Tutti i moderni monarchi non parlamentar! sono esposti al pericolo
di credere che nell’interesse del loro prestigio dovrebbero per così dire fa­
re pubblicità alla loro persona attraverso discorsi alla stessa stregua di co­
me sono costretti a fare ì dirigenti democratici in uno Stato classista per il
loro partito in vista del reclutamento degli aderenti. U n popolo perciò
può ringraziare il ciclo se al suo monarca è negato il dono dell’eloquenza
la quale, dal punto di vista politico, risulta essere assolutamente inoppor­
tuna. E il sistema parlamentare presenta come uno dei suoi punti di forza
quello dì proteggere il monarca da questa esposizione della sua persona.
Un perìcolo simile è quanto mai remoto per una vecchia aristocrazia po­
litica. Essa aggiunge a questo vantaggio quello di possedere una cultura
estetica (Gescbmackskultur). Stati democratici di parvenu, come quello
italiano, sono soliti esserne privi, allo stesso modo delle monarchie sorte
di recente. Se la paurosa barbarie della spietata devastazione di Rom a -
dettata dalla tendenza anticlericale contro i «ricordi penosi», vale a dire
umilianti - strappò al grande poeta italiano Carducci il desiderio che Io

68
Sistem a e letto rale e d e m o c razia

Stato della Chiesa potesse eccezionalmente essere restaurato per un mese,


al fine di spazzare via la vuota teatralità e il cattivo gusto della «-terza Ro-
m a» J; così Berlino, spogliata della sua povera semplicità, con il suo mise­
rabile duom o, con l’orrore del monumento a Bismarck e altre cose, in
confronto a M onaco o a Vienna, ma anche a molte residenze di governo
più piccole, appare come un vero e proprio monumento al banale pseu­
do-monumentali smo tale che si pensa con orrore al giudizio di gusto dei
posteri su questa epoca della storia tedesca, c si pensa con vergogna ad una
generazione di artisti che si è prestata a questo, e ad un pubblico che non
vi si è opposto. M a in ogni caso questa devastazione fornisce la prova che
la monarchia in sé in realtà non offre la minima garanzia, ma che anzi
spesso offre una minaccia alla cultura e al gusto estetico. Invece il monu­
mento a Bismarck dì Amburgo, l’unica opera monumentale di sicuro va­
lore della Germania, torna ad onore imperituro del patriziato di Am bur­
go, e può mostrare ai nostri ottusi letterati che «capitalism o» ed «arte»
non vìvono necessariamente in quella naturale ostilità che si imputa loro.
M a per quanto riguarda le democrazie le Camere Sindacali italiane forni­
scono la stessa prova; allo stesso m odo città come Zurigo. U n ’alta cultu­
ra estetica, come appartiene tutt’a) più ad una antica aristocrazia sicura di
sé e saldamente ordinata, oppure ad una democrazia che ne imita le tradi­
zioni, non è affatto indifferente anche da un punto di vista puramente po­
litico: il prestigio della Francia in tutto il m ondo poggia sul tesoro che la
Francia ha salvato dal suo passato aristocratico e che, malgrado la terribi­
le decadenza dell’arte ufficiale, tuttavia ha continuato a coltivare nelle ri­
strette cerehie della sua produzione artistica e della form azione estetica
del tipo umano francese. Q ui la democratizzazione ha portato, per lo me­
no in parte, all’espansione dell’antica esclusiva cultura estetica, allo stesso
modo, anche secondo modalità diverse, del tipo umano italiano degli stra­
ti inferiori.
Assum iam o anche noi per la Germania, in linea di principio, questo
problema, innanzitutto in m odo affatto indipendente dalla questione del
diritto elettorale discussa fin qui. C i si chiede per prima cosa: ma d o v ’è
l ’a ristocrazia tedesca con la sua «nobile» tradizione? Se esistesse, allora ci
sarebbe da discutere. M a essa, al di fuori di alcune corti principesche {pro­
prio le più piccole), semplicemente non esiste. Infatti che cosa significa ari­
stocrazia, o piuttosto quali condizioni sono richieste affinché uno strato
sociale —fa lo stesso se nella sua essenza feudale («nobiltà») o borghese
(«patriziato») - possa fungere da aristocrazia nel senso politico della pa­
rola e possa essere reso politicamente utilizzabile? Prima di tutto il resto
serve un’esistenza economicamente sicura. Un aristocratico deve per for-

’ In italiano nel testo.

69
Weber, Scritti p olitici

■m, questo è certamente il prerequisito più elementare, poter vivere per lo


‘ • m i o , e non di esso. 11fatto meramente esteriore del possesso di un red-
diio tale per cui la rinuncia ad uno stipendio da ministro non sia troppo
p i’.,iti te, non è ancora decisivo. Egli deve essere innanzitutto «economica­
mente libero», per poter materialmente e soprattutto mentalmente, met-
ii i m a disposizione per scopi politici. C iò significa che il lavoro al servò-
/ ii i ili u n impresa economica non può occuparlo - o, in ogni caso, non in
maniera estenuante. Tra tutti i tipi di attività economica privata impron­
tili ad un forte lavoro intellettuale, la professione àc\Yavvocato è quella
i he m modo relativamente più ampio permette (tramite la possibilità di
,r. soci azione o di assunzione di sostituti e la mancanza di rischio di capi­
tile) a colui che la pratica di potersi dedicare a scopi politici; e poiché l’av-
voc.uo dispone di una cultura giuridica e dell’esperienza nella prassi quo-
i nliana dei bisogni vitali, oltre a possedere un ufficio organizzato, in tutte
le democrazie, egli è fortemente favorito nella carriera polìtica, e inoltre
gli è relativamente facile il ritorno alla direzione della sua impresa in caso
ih insuccesso elettorale. In numerose democrazie si è molto criticata Ta­
si osa degli avvocati; e soprattutto da noi la bassa considerazione sociale
dell’avvocato è stata determinante per questo giudizio. Oltre a ciò, biso­
gna tenere presente la non di rado giustificata accusa di «formalismo» nel
11 aitare problemi polìtici. Solo che il formalismo appartiene all’essenza di
ogni formazione giuridica, anche di quella del giudice e del funzionario di
amministrazione, cd c indispensabile se non si vuole fomentare Tarbitrio.
I Taltro lato, però, il lavoro di avvocato significa, all’opposto di quello del
giudice e del funzionario, una formazione alla «lotta con ia parola»; la for­
te superiorità dei nostri nemici su di noi nel lavoro di propaganda politi­
ca, e in generale nell’utilizzo del?importante arma delia parola, è indotta
dalla mancanza di formazione da avvocato (che può essere di livello asso­
lutamente ragguardevole), la quale grava su ogni schietto governo di fun­
zionari di contro agli avvocati che ricoprono incarichi di ministro nelle
democrazie. Chi dunque desidera un cambiamento per quanto concerne
questo punto, deve necessariamente accettare il m ezzo della crescita del­
l’influenza politica degli avvocati, e dunque la crescita delle loro possibi­
lità polìtiche. D ella natura indubbiamente grande della professione di av­
vocato certamente il tedesco - soprattutto il letterato la cui idea del dirit­
to è orientata sui processi con i giurati, su quelli matrimoniali oppure sui
piccoli scandali della quotidianità che lo hanno costretto a chiedere una
consulenza - non ha, in generale, la più pallida idea. Chi conosce questa
professione sa che essa non è soltanto il compimento di ogni lavoro giu­
rìdico, ma anche di tutti gli incarichi di fiducia, c sa che per intensità in­
tellettuale e responsabilità sta al di sopra della maggioranza degli altri la­
vori giuridici. Ovviamente la burocrazia odia l’avvocato in quanto mole­

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S iste m a e letto rale e d e m o c razia

sto intermediario e attaccabrighe; oltre a ciò, prova risentimento nei con­


fronti delle sue possibilità di profitto. Certo non è auspicabile che parla­
menti e gabinetti siano governati completamente da avvocati. Ma una for­
te impronta della nobile professione dell’avvocatura sarebbe desiderabile
per ogni moderno parlamento. Tuttavia, la moderna avvocatura oggi non
form a più, neppure in Inghilterra, una «aristocrazia». Piuttosto forma un
ceto borghese di professionisti, politicamente «libero».
Invece, un moderno imprenditore non è mai un «aristocratico» nel
senso politico della parola. A l contrario dell’avvocato, egli non è in senso
peculiare libero; più grande, infatti, è la sua impresa - e dunque più occu­
pato da essa -, meno è Ubero. L’antico patriziato commerciale delie re­
pubbliche cittadine era uno strato di imprenditori occasionali, general­
mente era form ato da titolari dì una rendita; su questo si fondava la sua
utilizzabilità politica. U n moderno imprenditore, incatenato al lavoro
continuo, duro, estenuante della sua impresa, è, tra tutti i rappresentanti
degli strati possidenti, il tipo meno libero per la politica. Soprattutto da
questo deriva il peso relativamente quanto inevitabilmente ridotto - in
relazione all’importanza economica e all’intelligenza pratica di questo
strato sociale - dei suoi membri tanto per il lavoro politico quanto per il
lavoro del l’amministrazione. N on c certo - come ciancia il consueto stu­
pido moralismo dei letterati - un minore «senso del sacrificio» o il «mam-
m onism o» (plutocrazia) ad essere decisivo in tutto ciò, bensì - immanen­
te all’impresa capitalistica e al profitto - il vincolo esteriore al lavoro e
quello interiore del dovere verso l’impresa. Il carattere stagionale dellV-
gricoltura lascia pur sempre però almeno i mesi invernali liberi per il la­
voro politico. Ma in tutti gli strati legati direttamente alla lotta economi­
ca, in quanto imprenditori, manca qualcosa d ’altro, di ancora più im por­
tante: l’indipendenza, per così dire, «interiore», la distanza dalle lotte per
gli interessi economici privati quotidiani. Al contrario dell’aw ocato, l’im­
prenditore moderno, anche agricolo, è sempre interessato, troppo imme­
diatamente coinvolto in questa lotta per essere politicamente utilizzabile.
L a sufficiente distanza dalla lotta economica di interesse la possiede da
sempre solo chi vive di considerevoli rendite. Soprattutto l’autentico gran­
de proprietario terriero. Ma anche, in genere, chi possiede un patrimonio
di rendite. Solo a costoro appartiene il necessario e relativamente ampio
distacco dalla lotta economica quotidiana, che ogni imprenditore deve in­
cessantemente condurre per la propria esistenza, per la sua potenza eco­
nomica e per la stabilità della sua impresa. Rispetto a ciò, l’assai maggiore
tranquillità propria dell’esistenza di chi vive di rendite considerevoli, la
maggior distanza - anche nel caso in cui egli conti grandi intraprese come
sue fonti di rendita - rispetto alla gestione quotidiana dell’impresa, ne li­
bera esteriormente ed interiormente le energie per interessi politici - di
Weber, Scrìtti p o litici

Iih(litica culturale e statale - , per condurre una vita da «uom o dì m ondo»,


i per il mecenatismo e l’acquisizione in grande stile della conoscenza del
do. N on che egli viva in una specie di «spazio» economicamente «di-
'linkTcssato». U n tale spazio non esiste. Egli però non è preso nella lotta
quotidiana per l’esistenza della sua impresa, non è un organo di tale im­
presa, non è portatore di interessi plutocratici di classe, perché egli è Ion­
ia no dall’attuale lotta di interessi. Solamente uno strato strutturato in
<{hcsto modo potrebbe oggi fregiarsi del titolo di «aristocrazia», nel senso
di una specifica qualìfica economica.
Dell’importanza di questa qualifica economica ci si può già facilmen­
te persuadere in un ambito ristretto. Facciamo un esempio: tutti sanno,
per restare nell’ambito del quotidiano, che cosa significhi per lo spirito
degli ufficiali un comandante di reggimento «nervoso». O ra, questo «ner­
vosism o» è una tìpica conseguenza di una certa situazione economica, e
cioè della mancanza di patrimonio, la quale, nel caso di congedo, mette il
comandante e la sua famiglia abituata ad avere determinate aspirazioni so­
ciali davanti ad un futuro mìsero, perciò la situazione economica lo angu­
stia nel suo comportamento in servizio, lo opprim e e, in confronto ad un
comandante che possiede un patrimonio, gli rende infinitamente difficile
salvaguardare la tranquillità e - un punto praticamente assai importante -
rappresentare senza incertezze presso i superiori gli interessi dei suoi sot­
toposti. O gni ufficiale abbastanza attento avrà fatto questa esperienza,
che non è necessario illustrare nei particolari con singoli esempi. E lo stes­
so avviene in altri settori. Molte delle figure più caratteristiche a livello
politico-socia le della nostra burocrazia - per esempio gli ispettori di fab­
brica - erano uomini che possedevano un patrimonio e che proprio per
questo non dovevano inchinarsi in ogni momento agli uomini d ’affari, e
che rimettevano la loro carica se venivano avanzate nei loro confronti pre­
tese che essi non potevano contemperare con la loro coscienza. L’impor­
tanza di Paul Singer e la sua posizione all’interno della Socialdemocrazia
era in misura notevole, rispetto alle sue capacità intellettuali in fin dei con­
ti assai limitate, una funzione del suo patrimonio, il quale gli permetteva
di vivere per il partito - come egli ha fatto - , anziché del partito. Il «ca­
rattere politico» ormai è più accessibile all’uom o facoltoso; su questo,
nessun m oralismo può cambiare qualcosa. E non sì tratta affatto solo del
carattere «nei confronti dei superiori». La relativamente maggiore acces­
sibilità a tutti gli elementi emozionali della politica, alle passioni e im­
pressioni momentanee di tipo sensazionale tìpiche delle masse che com­
battono senza alcun possesso nella lotta quotidiana per l’esistenza, rispet­
to alla «mente fredda» di chi c benestante e dunque è sollevato da queste
cure, fa apparire come urgentemente auspicabile che proprio i partiti de­
mocratici annoverino nella loro dirigenza anche individui di sicura con­
S iste m a e letto rale e d e m o c ra z ia

dizione economica, i quali - a partire dalle loro convinzioni puramente


personali - sì dedichino al lavoro politico, per fungere così da contrappe­
so contro queste influenze, contrappeso che la burocrazia di partito in
quanto tale non è sempre in grado di offrire. Le qualità emozionali della
massa sono certo - considerato che la massa non è in grado di intervenire
immediatamente nella politica, e poiché il suo comportamento viene fa­
cilmente dimenticato —di gran lunga meno pericolose di quelle dei mo­
narchi, i quali possono compromettere la situazione politica di una na­
zione per decenni con telegrammi c discorsi accesi e imprudenti. E tutta­
via esistono anche le qualità emozionali della massa, e anche rispetto ad
esse il «carattere politico» e la fredda riflessione sono, in condizioni altri­
menti uguali, più accessibili per l’uom o benestante. U n ’importante que­
stione per il futuro è se anche chi si trova nella condizione patrimoniale
indipendente del benestante - e costoro esisteranno sempre finché ci sarà
un ordinamento fondato sulla proprietà privata - , si renderà disponibile a
mettersi a servizio del lavoro politico, e in m odo particolare del lavoro
politico dei partiti democratici. Il risentimento, facile da suscitare, del fun­
zionario di partito che lavora duro per il pane e che dipende dal suo sti­
pendio, non può impedire ai partiti di prestare attenzione agli insegna-
menti che l’esperienza fornisce a questo riguardo. D ’altro lato, il risenti­
mento della burocrazia di partito e delle cooperative rappresenta il con­
trappeso del tutto adeguato contro il pericolo del sorgere, da quella situa­
zione, dì una direzione «plutocratica» dei partiti. Le esperienze dei parti­
ti democratici russi, fino a quelli di estrema sinistra, in nome dei quali fi­
glie di principi hanno com battuto sulle barricate e mecenati in grande sti­
le hanno procurato i mezzi per il movimento popolare, mostrano che lo
spazio concesso dall’interesse economico privato agli ideologi benestanti
per l’attività idealistica, di sicuro sentimento «dem ocratico», è molto più
grande rispetto a un qualunque strato da un punto di vista sociale più ple­
beo, e dunque immediatamente coinvolto nella lotta di interessi, perché la
loro condizione patrimoniale non determina i criteri del loro com porta­
mento politico, bensì può essere un sostegno per una convinzione politi­
camente indipendente. Soltanto dal punto di vista puramente esteriore, i
prosaici titoli di rendita rendono questo servizio al loro possessore tanto
bene quanto il possesso del dom inio derivante dall’appartenenza al ceto
dei possidenti. M a tuttavia questo status sociale - attraverso il tipo di
compiti elevati di fronte ai quali pone il proprietario, e attraverso le per­
sone della sua condizione che fungono da cassa di risonanza —forma in
maniera assai più specìfica all’agire politico di quanto siano in grado di
farlo le cedole e il bilancio comunale puramente consuntivo di un titolare
di rendita azionaria. N on c’è dunque alcun dubbio che uno strato di pro­
prietari terrieri, come esisteva in Inghilterra e come similmente costituiva
W eber, Scritti politici

il centro delia nobiltà senatoriale nella Rom a antica, sìa - dal punto di vi­
sta politico - un rappresentante insostituibile della tradizione, della for­
mazione politica c della moderazione. M a dov’è questo strato sociale da
noi? Quanti di questi proprietari terrieri ci sono in Germania, in partico­
lare in Prussia? D o v è la loro tradizione polìtica? Politicamente essi non
significano nulla e meno che meno in Prussia. E infatti appare chiaro che
una politica statale, avente il fine di addestrare un tale strato di possesso­
ri di grandi rendite davvero aristocratici, è oggi impossibile. Se pur fosse
possibile far sorgere sul terreno boscoso - l’unico possesso terriero qua­
lificato in senso poi iti co-soci al e per la formazione di fi decommesso —una
certa quantità di grandi poderi sarebbe comunque esclusa la possibilità di
ottenere in questo m odo risultati che abbiano un determinato peso dal
punto di vista quantitativo. E questa era certo la più profonda falsità in­
trinseca al progetto di legge riguardante il fidecommesso discusso in Prus­
sia all’inìzio del 1917: il fatto che esso voleva estendere questo istituto,
adeguato per i possedimenti della grande nobiltà terriera, al ceto dei pro­
prietari medi dell’ordine dei cavalieri a oriente dell’Elba; si voleva in que­
sto m odo elevare ad u n ’«aristocrazia» un ceto che ormai non lo è più né
può esserlo. Chi conosce i molto disprezzati (spesso a torto) c altrettanto
molto esaltati (ugualmente a torto) «ju n k er» dell’Est, certamente da un
punto di vista personale non potrà che gioire dì loro: nella caccia, in oc­
casione di una buona bevuta, a carte, nell’ospitalità del podere: tutto que­
sto è vero. Ma tutto diventa artificioso se si considera nelle vesti dì «ari­
stocrazia» questo strato dì imprenditori legati già a livello puramente eco­
nomico al lavoro di imprenditori agricoli e alla lotta di interessi - una lot­
ta sociale ed economica dì interessi così spietata com ’è solo quella di qual­
che imprenditore. Si tratta in realtà di uno strato di imprenditori nella sua
essenza «borghese». Dieci minuti in compagnia di questa gente sono suf­
ficienti per rendersi conto che sono plebei, proprio e soprattutto nelle lo­
ro virtù che certo sono di carattere pesantemente plebeo. U n feudo della
Germania dell’Est «oggi non possiede alcuna signorilità», come si espres­
se del tutto giustamente una volta {privatimi) il ministro von Miquel. Se
si cercasse dì creare un’«aristocrazia», attraverso l’attribuzione di gesta e
pretese feudali, da un tale strato sociale oggi impegnato in un semplice la­
voro capitalistico borghese, da questo tentativo ne verrebbe fuori soltan­
to una fisionomìa da parvenu. Quelle caratteristiche del nostro com por­
tamento polìtico e anche generale, che mostrano di possedere questo ca­
rattere, sono condizionate certo non soltanto, ma pur sempre anche da
questo fatto, e cioè che questa pretesa di recitare il ruolo di un’aristocra­
zia ha ispirato strati sociali ai quali manca ormai la capacità di esserlo.
E non solo a questo strato sociale. Infatti da noi la mancanza di forme
di educazione da uomo di mondo non c naturalmente rintracciabile sol­
S iste m a elettorale e d e m o c razia

tanto nella fisionomia propria degli Junker, ma anche nel carattere pecu­
liarmente borghese di tutti quegli strati che sono stati gli specifici rappre­
sentanti dell’entità statale prussiana ai tempi della sua modesta, ma glo­
riosa ascesa. Le antiche famiglie di ufficiali che nelle loro condizioni spes­
so oltre m odo disagiate curano in m odo altamente rispettabile la tradizio­
ne del vecchio esercito prussiano, e le famiglie dei funzionari statali in
analoghe condizioni - è indifferente se nobili o meno - sono, da un pun­
to di vista economico e sociale e secondo la loro prospettiva, un ceto me­
dio borghese. Le forme sociali del corpo degli ufficiali tedeschi sono, aì-
Tintcrno del toro ambito, in generale del tutto appropriate al carattere del
loro strato sociale e assomigliano in tutto e per tutto, nelle loro caratteri­
stiche peculiari, a quelle dei corpi ufficiali delle democrazie (Francia e an­
che Italia). Ma tuttavia, fuori da questo ambito, esse si trasformano subi­
to in caricatura nel momento in cui vengono assunte come modello in al­
tri ambiti non militari. Soprattutto se esse celebrano un matrimonio mi­
sto con quelle forme sociali che traggono origine dagli istituti medi delle
scuole p er funzionari. E questo è proprio quanto avviene da noi.
C om e è noto, l’indole dello studente appartenente alle associazioni stu­
dentesche è il tipico prodotto di una tipica forma sociale di educazione
propria della nuova generazione destinata alle cariche non militari, ai be­
nefici c alle «libere» posizioni professionali socialmente elevate. L a «li­
bertà accademica» di battersi in duello, bere, marinare le lezioni trac la sua
origine dai tempi in cui da noi non esistevano altre libertà di nessun ge­
nere, e in cui soltanto questo strato di letterati aspiranti a una carica era di
fatto privilegiato appunto per la possibilità di godere di queste libertà. M a
l’impronta che le convenzioni sorte in quel tempo hanno lasciato nell’«at-
teggiarsi» delT«uomo da diploma da esame» in Germania, da sempre im­
portante e destinata a diventarlo sempre di più, ancora oggi non può es­
sere cancellata. In ogni caso, le associazioni studentesche difficilmente
sparirebbero anche se oggi le ipoteche gravanti sulle case delle associazio­
ni e la necessità per i «vecchi signori» di ricavarne un reddito, non rap­
presentassero già un motivo sufficiente per assicurare la loro immortalità
economica. Al contrario, lo spirito delle associazioni si diffonde costante-
mente. E questo per il semplice motivo che lo spirito delle associazioni og­
gi è una form a specifica di selezione dei funzionari, e perché la qualifica di
ufficiale della riserva e la necessaria «capacità dì dare soddisfazione in un
duello», garantita e accertabile grazie al nastro distintivo dell’associazio­
ne, apre l’accesso alla «società». Certo l’obbligo di bere e la tecnica dei
duelli delle associazioni vengono sempre più adattate ai bisogni della co­
stituzione più debole dei sempre più numerosi aspiranti al nastro distin­
tivo dell’associazione al fine di procacciarsi conoscenze: a quel che si di­
ce, oggi ci sono corpi formati da bevitori di solo tè. M a la cosa decisiva, e
Weber, Scritti p olitici

cioè la riproduzione spirituale tra consanguinei (stanze singole di lettura


nelle case delle associazioni, caratteristici giornali dell’associazione fatti
dai «vecchi signori» con un genere indicibilmente piccolo borghese e su ­
balterno di politica, almeno nelle intenzioni, «patriottica», e rifiuto del
rapporto con coetanei dì altra impronta sociale o spirituale) negli ultimi
decenni è cresciuta costantemente. L ’aderenza delle associazioni conquista
costantemente ulteriori ambiti. U n commesso che aspiri alle qualifiche di
ufficiale dì riserva e airinserimento, da esse offerto, nella «società» (so­
prattutto fidanzandosi con la figlia del capo), frequenterà una di quelle
scuole superiori di commercio che trovano una buona parte della loro
clientela proprio in virtù di questo traffico di relazioni. Com unque si vo­
gliano giudicare in sé tutte queste associazioni studentesche, e il criterio
del moralismo non è quello proprio del politico, in ogni caso esse non of­
frono un’educazione da uomini di mondo, bensì - con il loro in fin dei
conti innegabilmente banale livello da istituto medio e le loro forme so ­
ciali da subalterni - pressappoco il contrario di tale educazione. Anche il
più ottuso club anglosassone ne offre di più, per quanto si possa trovare
in sé «vuota», ad esempio, l’attività sportiva in cui la vita di tale club non
di rado si esaurisce. E questo, al di là dì tutto, perché il club - malgrado la
spesso assai dura selezione - si fonda tuttavia sempre sul princìpio della
rigorosa parità tra gentleman, en o n su lp rin cip io d el livello di istituto me­
dio che la burocrazia considera nelle nostre associazioni studentesche co­
me propedeutica alla disciplina dell’ufficio, e attraverso la cura del quale le
associazioni non rinunciano ad offrire i propri servizi a chi sta in alto1. Ad

* Nel giornale tedesco dell’associazione studentesca n. 428 (qui citato secondo la riprodu­
zione del prof. A. Messer, Gicficn, nella «Wcscrzeitung» del 2 giugno 1917) in relazione alla cri­
tica delle «moderne» proposte di riforma si dice: «Le proposte non tengono conto in generale
dello status, giocoforza limitato nel tempo, delle matricole e degli attivisti di ogni lega. Ad esem­
pio: niente obbligo di bere! Niente far-bere-i-rcsti! Niente farli bere fino a scoppiare! Simili se­
rate di “ baldoria” le ho frequentate abbastanza spesso nelle associazioni più diverse anche senza
riforma, qualche volta anche per interi semestri. E più tardi presso gli stessi gruppi ho fatto espe­
rienza di serate dove si è bevuto come dei pazzi. In queste circostanze, c’era altro materiale uma­
no: qui la gente considerava l’ubriacarsi bello e piacevole, ma molto spesso anche necessario; e la
possibilità di ubriacarsi c di far ubriacare è parimenti necessaria. Se noi proibiamo il far-bere-i-
resti, allora in ogni momento una matricola che regga l’alcool può “ bersi” tranqud lanieri te un at­
tendente di associazione che lo regga meno, e così tanti saluti all’autorità; oppure invece non si
beve più, e così perdiamo i discorsi spontanei che si fanno da ubriachi c con ciò il fondamento di
ogni euforìa da osteria. Se proibiamo il far bere fino a scoppiare, gettiamo alle ortiche un mezzo
di educazione! Vi prego di non astrarre queste parole dal contesto. Ea nostra vita di associazio­
ne deve rappresentare una serie di tentativi di educazione. E ogni studente affiliato alle associa­
zioni dovrà confermare che egli mai in tutta la sua vita ha potuto ascoltare in modo così chiaro,
schietto, anche se qualche volta in modo incredibilmente rozzo, la verità anche amara su se stes­
so, come quando frequentava l’associazione. F. com’c che sopportò tutto ciò? In conseguenza
delle serate in osteria, anche se sembra ridicolo dirlo. La serata in osteria è per noi ciò che per il
soldato è il tanto ingiuriato rìgido addestramento nel cortile della caserma o la marcia da parata.
Così come là il cento volte ripetuto “ inginocchiatevi!” elimina, uno dopo l’altro, pigrizia, indif­
ferenza, ostinazione, furore, smidollatezza e stanchezza, e inoltre fa emergere la disciplina dal
S iste m a e letto rale e d e m o c razia

ogni m odo, le convenzioni stereotipate e il livello da istituto medio di


questa cosiddetta «libertà accademica», che vengono imposti agli aspiran­
ti ad una carica, formano tanto poco un aristocratico uom o di mondo,
quanto più assum ono come modello gli spacconi con il portamonete gon­
fio... dei soldi dei genitori, come accade inevitabilmente ogniqualvolta le
condizioni lo permettono. Se il giovanotto che incappa in questa scuola
non presenta un carattere straordinariamente indipendente e uno spinto
veramente libero, in lui vengono sviluppate quelle fatali caratteristiche da
plebeo leccato che noi così spesso osserviamo nei loro rappresentanti, i
quali per il resto sono assai abili. Infatti assolutamente plebei e lontani da
tutto ciò che in qualsivoglia senso si dice «aristocratico» sono gli interes­
si che vengono curati da queste comunità. E anche qui il punto decisivo
sta nel fatto che un’attività studentesca plebea, innocua nella sua essenza
se con disinvoltura esprimesse soltanto l’entusiasmo giovanile, oggi solle­
va la pretesa di essere lo strumento di un*«educazione» aristocratica, qua­
lificante per la direzione dello Stato. La contraddizione addirittura incre­
dibile che si evince da questo Stato viene al pettine nel fatto che come ri­
sultato esce una fisionomia da parvenu.
C i si guardi bene comunque dal considerare del tutto indifferenti in
senso politico queste caratteristiche da parvenu nell’aspetto del tedesco.
Facciamo subito un esempio: fare delle «conquiste morali» nei confron­
ti dei nemici, ossia di oppositori di interessi, è un’attività futile, a buon
diritto schernita da Bismarck. M a è lo stesso nei confronti di alleati con­
federati, odierni o futuri? I nostri alleati confederati austriaci e noi siamo,
da un punto di vista politico, costantemente legati uno all’altro. C iò è no­
to a loro come a noi. A meno di enormi sciocchezze, non c ’è qui alcun
pericolo di rottura. L a prestazione tedesca viene da essi riconosciuta - an­
che senza che se ne parli sempre così tanto come da noi, anzi in questo
caso ancora più facilmente! - senza riserve e senza invidia (delle obietti­
ve difficoltà che essi hanno, e che sono risparmiate alla Germania, non si
ha da noi un’idea esatta, e perciò non sempre si può dare un giudizio
obiettivo del valore della loro prestazione). Ma ciò che tutti nel mondo
sanno, deve per forza essere detto anche qui apertamente: ciò che da essi
e da tutti gli altri popoli con i quali noi potremmo mai desiderare di strin­
gere legami di amicizia, non sarebbe tollerato, sono le maniere da parve­
nu, come si stanno diffondendo da noi in maniera insopportabile negli
sentimento dell’impotenza priva d ’aiuto e dalla totale mancanza di volontà di fronte al supcrio­
re; così da noi il “ via-ì-resti!” offre sempre al vecchio nei confronti del giovane l’occasione di mo­
strare la sua incondizionata superiorità, di punire, di salvaguardare la distanza, di mantenere l’at­
mosfera, la quale per la costante opera di educazione de L'associazione è una necessità incondi­
zionata, se non vogliamo diventare un club. Il “ via-i-rcsti!” naturalmente non viene usato sem ­
pre né imposto a tutti, ma deve aleggiare sopra l’osteria, come 1"‘inginocchiatevi!” sopra ad ogni
cortile di caserma. Sia nella caserma che nell’osteria ci si può trovare a proprio agio» [n.d.A.].

77
W eber, Scritti p olitici

ultimi tempi. U n simile atteggiamento si imbatterà nel rifiuto muto, cor­


tese, ma determinato di ogni popolo con antica, buona, socievole educa­
zione, come per esempio lo sono di certo gli austriaci. N essuno vuole es­
sere governato da parvenu maleducati. O gni passo oltre ciò che a livello
di politica estera è assolutamente indispensabile, dunque tutto ciò che sa­
rebbe possibile desiderare da parte della Mitteleuropa {nel senso profon­
do della parola) o in occasione di future comunità economiche con altre
nazioni (ed è indifferente cosa si pensa di un avvicinamento nel campo
economico), potrebbe in ogni caso naufragare politicamente, per entram­
be le parti, a seguito della decisione radicale di non farsi imporre con la
forza ciò che, ancora recentemente, viene fatto passare con posa boriosa
come «spirito prussiano», e la cui pretesa minaccia ad opera della «d e­
mocrazia» gioca un ruolo importante nelle declamazioni create da quel­
le macchine di luoghi comuni che sono i letterati. C om ’è noto, in occa­
sione di tutti i passi di riform a interna compiuti senza eccezione da cen­
todieci anni a questa parte, si sono potute ascoltare declamazioni di que­
sto genere.
L’autentico «spirito prussiano» appartiene alle espressioni più alte del
germanesimo. N e è imbevuta ogni riga che Schamhorst, Gneisenau,
Boyen, Moltke ci hanno lasciato ed esso traspare dalle azioni c le parole
dei grandi funzionari della Riform a prussiani (anche se in buona parte
non originari della Prussia), che non c’è bisogno qui di nominare. E al­
trettanto si può dire delPemmcnte spiritualità di Bismarck, malamente
contraffatta dagli odierni ottusi filistei della Realpolitik. Ma talvolta sem­
bra che questo antico spirito prussiano più che a Berlino sopravviva oggi
in m odo eminente nella burocrazia di altri Stari federali. E l’abuso di que­
sta parola da parte dell’odierna demagogia conservatrice non è nient’altro
che uno sfregio alla memoria di quelle grandi figure.
L o ripetiamo: in Germania non esiste nessuna aristocrazia di ampiez­
za sufficiente e di adeguata tradizione politica. Essa aveva un punto di ri­
ferimento tu trai più nel Partito Liberal-conservatore o nel Partito del
Centro (ora non più), non certo nel Partito Conservatore. E, cosa almeno
altrettanto importante: non esìste nessuna form a sociale tedesca aristocra­
tica. Infatti è del tutto falso - cosa di cui invece i nostri letterati cercano
all’occasione di gloriarsi - che, al contrario delle convenzioni dei gentle-
man anglosassoni e dell’umanità da salotto romana, esista in Germania
T«individualismo» nel senso della libertà dalle convenzioni. Convenzioni
più rigide e cogenti di quelle dei «membri delle associazioni studente­
sche» non esistono da nessuna parte, ed esse, direttamente o indiretta­
mente, dominano una parte tanto grande dei giovani dei ceri dirigenti
quanto una qualunque convenzione in altri paesi. Esse sono, nella misura
in cui le convenzioni militari non sono sufficienti, «la form a tedesca!». In­
S iste m a elettorale e d e m o c razia

fatti, con le loro conseguenze esse determinano ampiamente le form e e le


convenzioni degli strati dirigenti in Germania: sia della burocrazia che dì
tutti coloro che vogliono essere ammessi nella «società» dominata da que­
sta forma tedesca. Ma «aristocratiche» queste forme certo non sono. Da
un punto di vista politico, però, ancora più importante di questa circo­
stanza è l’altra: che esse, al contrario delle convenzioni romane e anglo-
sassoni, sono inoltre del tutto inappropriate a servire da modello per l’in­
tera nazione, fino agli strati sociali più bassi, e a plasm arla alla stregua dì
un «popolo di signori» sicuro di sé nel suo habitus esteriore, così come
hanno fatto le convenzioni romane e anglosassoni. E un grave errore cre­
dere che la «razza» giochi un ruolo decisivo per quanto riguarda la visto­
sa mancanza di grazia e dignità del comportamento esteriore tedesco. A l­
l’austriaco tedesco, con il suo m odo di comportarsi form ato da una vera
aristocrazia, non mancano certo queste qualità, nonostante sia della stes­
sa razza, qualunque possano poi essere le sue debolezze.
Le forme che dominano il tipo umano romano fino nei suoi strati so­
ciali inferiori sono determinate dall’imitazione delle «gesta dei cavalieri»
come si erano sviluppate a partire dal X V I secolo. Le convenzioni anglo-
sassoni, che parimenti plasmano gli uomini fino agli strati sociali inferio­
ri, traggono origine dalle abitudini sociali dello strato che era influente in
Inghilterra fin dal X V II secolo, e che si era sviluppato nel tardo medioe­
vo quale rappresentante del «selfgovernment» a partire da una strana me­
scolanza di notabili di campagna e borghesi di città, i «gentlemen». In tut­
ti questi casi - c questo era il Iato gravido di conseguenze - i tratti carat­
teristici di quelle convenzioni c di quei modi furono in genere facilmente
imitabili, e dunque democratizzabili. A l contrario, le convenzioni del di­
plomati tedeschi che aspirano ad una carica e degli strati sociali influen­
zati da esse, ma soprattutto le abitudini inculcate dalle associazioni stu­
dentesche, erano e sono, come già detto, palesemente non idonee ad esse­
re imitate da qualsivoglia strato sociale che stia al di fuori di quello dei di­
plomati, e mcn che meno dalle masse. N o n erano e non sono idonee dun­
que ad essere «dem ocratizzate», sebbene o piuttosto proprio perché esse,
nella loro essenza, non sono affatto proprie dell’uom o di mondo o altri­
menti «aristocratiche», ma assolutamente plebee. Il codice d’onore roma­
no era capace di un’ampia democratizzazione, proprio come - anche se in
m odo del tutto diverso - quello anglosassone. Il concetto specificatamen­
te tedesco della «capacità di dare soddisfazione in duello» invece non lo è,
come dim ostra ogni riflessione. Esso però è di grande portata politica. E
ciò che è importante dal punto di vista polìtico e sociale non sta - come si
continua a credere - nella validità del cosiddetto «codice d ’onore» in sen­
so stretto all’interno del corpo degli ufficiali, dove è del tutto appropria­
to. Importante in senso politico è piuttosto la circostanza che un presi­
W eber, Scritti p o litic i

dente di circondario prussiano debba assolutamente passare attraverso le


associazioni studentesche per essere «in grado di dare soddisfazione», e
potersi in tal modo afferm are nella sua carica; e così ogni altro funziona­
rio di amministrazione facilmente sostituibile (al contrario, per esempio,
di un pretore «indipendente» in forza della legge, il quale - proprio a cau­
sa di ciò - è socialmente declassato rispetto al presidente del circondario).
Il concetto della «capacità di dare soddisfazione», come tutte le altre con­
venzioni e forme che sono incentivate dalla struttura della burocrazia e
dal senso dell’onore, per essa determinante, tipico degli aderenti alle asso­
ciazioni studentesche tedesche, rappresentano formalmente - non essen­
do peculiarmente democratizza bili - delle convenzioni di casta. M aterial­
mente, però, esse non sono aristocratiche, poiché mancano di ogni dignità
dal punto di vista estetico e di qualsiasi nobiltà, e sono piuttosto di carat­
tere assolutamente plebeo. Q uesta contraddizione interna, sfavorevole da
un punto di vista politico, è ciò che le rende oggetto dello scherno altrui.
I tedeschi sono un popolo plebeo, - o, se si preferisce, un popolo bor­
ghese; e solo su questa base potrebbe crescere una «form a» specificata-
mente «tedesca».
Una qualsiasi democratizzazione sociale prom ossa o cagionata da un
nuovo ordinamento politico —questo è ciò che dovrebbe essere discusso
in questa sede - non troverebbe dunque, da noi, se analizziamo la cosa dai
punto di vista sociale, valori formali aristocratici che essa potrebbe di­
struggere o al contrario spogliare della loro esclusività c propagare nella
nazione, come è avvenuto con i valori formali dell’aristocrazia romana ed
anglosassone. I valori formali del tedesco «diplom ato e in grado di dare
soddisfazione» non sono però, d ’altro lato, sufficientemente «da uom o di
m ondo» per poter anche solo servire da sostegno per la sicurezza interna,
foss’anche soltanto del proprio strato sociale. Piuttosto essi si dimostrano
adeguati, anche se non sempre, come insegnano gli esempi, a nascondere
l’effettiva insicurezza interiore nei confronti degli stranieri educati alla
stregua di «uomini di m ondo», salvo quando assumono la forma di un at­
teggiamento improntato ad una «asprezza» che fa l’effetto di maleduca­
zione e che per Io più è originata dall’imbarazzo.
Si lascia qui del tutto indeciso se una «democratizzazione» politica
avrebbe davvero come conseguenza la democratizzazione sociale. L’illi­
mitata «dem ocrazia» politica dell’America, per esempio, non impedisce
che a livello sociale stia nascendo non solo - come da noi viene creduto -
una rozza plutocrazia della proprietà, ma anche - in maniera lenta e per
lo più inavvertita - un’« aristocrazia» di ceto, la cui crescita è, dal punto di
vista della storia della civiltà, tanto importante quanto la prima.
L o sviluppo di una «form a tedesca» davvero nobile e, al tempo stesso,
appropriata al carattere borghese degli strati socialmente determinanti è
S iste m a elettorale e d em o crazia

ancora, ad ogni m odo, in grembo al futuro. G li inizi dello sviluppo di una


tale convenzione borghese nelle città à é \ ’H ansa non sono più continuati
dal 1870 a causa dei cambiamenti politici ed economici che si sono là ve­
rificati. E la guerra odierna ci fa felici con così tanti parvenu —i cui figli
nelle università si approprieranno con zelo delle consuete convenzioni
delle associazioni studentesche (non hanno pretesa di essere portatrici dì
una tradizione di nobiltà) come com odo addestramento per Tacquisizio-
ne dei requisiti propri dclTufficiale della riserva - , che per il momento non
c ’è proprio nulla da sperare. A d ogni modo è sicuro che se la «dem ocra­
tizzazione» dovesse centrare il successo di eliminare il prestigio sociale
del diplom ato - cosa che non è affatto sicura, e che comunque noi qui non
possiam o trattare -, con ciò essa non annienterebbe, qui da noi, valori for­
mali preziosi dal punto di vista sociale c politico. Ussapotrebbe forse apri­
re la via per lo sviluppo di valori formali conformi alla nostra struttura so­
ciale ed economica borghese, e perciò «autentici» e nobili. D i questi valo­
ri formali si può dire soltanto - poiché essi non si possono «inventare»
proprio come non si può «inventare» uno stile - quell’unica cosa (essen­
zialmente negativa e formale) che vale per tutti i valori formali di questo
tipo: che essi in ogni caso non possono essere sviluppati su nessun altro
fondamento che su quello della distanza interiore e sul riserbo nel com­
portamento personale. Q uesta precondizione di qualsivoglia dignità per­
sonale non di rado, sia in alto che in basso, ci c fortemente mancata. E l’ul­
tima generazione di letterati, con il suo bisogno di raccontare o di far pub­
blicare le sue «esperienze vissute», erotiche, «religiose» o di qualunque al­
tro tipo siano, è la nemica di ogni dignità, non importa di che specie. N on
si ottiene, però, affatto «distanza» - come da noi lascia credere l’equivoco
delle diverse «profezie» che si rifanno a Nietzsche - in virtù del coturno
di «aristocratica» distinzione che eleva rispetto ai «troppi»: al contrario,
questa distanza è sempre inautentica, se abbisogna di questi sostegni inte­
riori. E forse, proprio come prova della sua autenticità, la necessità di af­
fermarsi profondamente alTinterno dì un mondo «dem ocratico» non può
che esserle utile.
Tutto ciò che è stato detto, però, mostra ancora una volta che la «pa­
tria» tedesca, in questo come sotto molti altri aspetti, non è il paese dei
suoi padri, bensì il paese dei suoi figli e proprio questo dev’essere, come
Alexander H erzen disse molto bene della Russia. E questo vale soprat­
tutto in riferimento ai problemi politici. Per la soluzione di questi proble­
mi non si può distillare lo «spirito tedesco» dalle opere spirituali, pur pre­
gevoli, del nostro passato. Alle grandi ombre dei nostri avi spirituali vada
tutta la nostra devozione, e che sia valorizzato il loro lavoro spirituale se
serve all’educazione formale del nostro spirito! M a non appena la vanità
dei nostri letterati - consistendo la loro professione di scrittori nell’inter­
W eber, Scritti p olitici

pretare tale vanità per la nazione - fa discendere da tali opere il diritto di


disporre a bacchetta della nostra configurazione politica futura, ebbene:
suino messe in soffitta le anticaglie! In quest’ambito non c’è nulla da im­
parare da esse. I classici tedeschi, tra l’altro, ci possono insegnare che fum­
mo capaci di essere un popolo di civiltà preminente nel m ondo in un’e­
poca di povertà materiale, di impotenza politica e addirittura dì domina­
zione straniera. D a questa epoca non politica sono sorte le loro idee, an­
che quelle politiche ed economiche. Animate dal confronto con la Rivo­
luzione francese, esse erano in parte costruzioni che si muovevano in uno
spazio politicamente ed economicamente privo di passione. E nella misu­
ra in cui viveva in loro una passione politica, che non fosse Tirata ribel­
lione contro la dominazione straniera, allora si trattava di certo dell’entu­
siasm o idealistico per esigenze morali. Q uello che andava oltre, erano
pensieri filosofici che noi possiam o utilizzare come mezzi per stimolare
una presa di posizione circa le nostre realtà politiche e le attuali esigenze,
non certo però com e indicatori di direzione. I moderni problemi del par­
lamentarismo e della democrazia, e il carattere del nostro Stato moderno
in generale, stavano del tutto fuori del loro orizzonte.
Si rimprovera al suffragio universale, al quale con ciò ritorniamo, di
sancire la vittoria dei confusi «istinti di m assa», inaccessibili alla riflessio­
ne politica, sulla convinzione politica ben ponderata, o altrimenti della
politica emotiva a dispetto di quella razionale, A proposito di quest’ulti-
ma, la politica estera della Germania - c questo deve essere detto senz’al­
tro in questa sede - è una prova del fatto che una monarchia, la quale go­
verna con un diritto di voto per classi (poiché lo Stato egemone della
Prussia era ed è la guida determinante della politica tedesca), detiene 0 re­
cord assoluto quanto all’influenza degli umori puramente personali, em o­
zionali ed irrazionali di chi la dirige. Per averne la prova, basta soltanto
confrontare il percorso a zig zag, senza successo e durato decenni, di que­
sta politica chiassosa con la tranquilla coscienza del fine da raggiungere
propria, ad esempio, della politica estera inglese. E per quanto riguarda,
invece, gli irrazionali «istinti dì m assa», essi dominano la politica solo do­
ve le masse sono concentrate in modo compatto esercitando così una pres­
sione; nelle grandi città moderne, ad esempio, soprattutto nelle condizio­
ni di vita delle città latine. L a civilizzazione da caffè e le condizioni cli­
matiche permettono laggiù alla politica di «strada», come la si è chiamata
in m odo appropriato, di assoggettare il paese dalla capitale. Il ruolo del­
l’inglese «man in thè Street», d’altro canto, è legato a qualità molto speci­
fiche, che da noi mancano del tutto, della struttura locale delle «masse»
cittadine, mentre la politica dell’uom o della strada della capitale russa è le­
gata alle organizzazioni delle associazioni segrete che sì trovano laggiù.
Tutte queste precondizioni mancano in Germania, e d ’altra parte la m o­
S iste m a elettorale e d e m o c ra z ia

derazione della vita tedesca rende completamente inverosimile che noi,


come accade là, si cada in questo pericolo occasionale - sì tratta, infatti, del
pericolo opposto a quello che da noi, come pericolo cronico, ha influen­
zato la nostra politica estera. N on gli operai legati ai loro luoghi di lavo­
ro, bensì ì fannulloni e gli intellettuali da caffè di Rom a c Parigi sono quel­
li che hanno creato la politica di «strada» bellicista, e, tra parentesi, esclu­
sivamente al servizio del governo e perseguita solo nella misura in cui lo
stesso governo lo voleva o lo permetteva. M ancava il contrappeso del
proletariato industriale. Il proletariato industriale, se si muove compatto,
è certo una potenza enorme, anche nel dom inio della «strada». Ma, a con­
fronto con quegli intellettuali del tutto irresponsabili, si tratta di una p o ­
tenza che per lo meno è capace di un ordine e di una conduzione ordina­
ta tramite i suoi uomini di fiducia, dunque tramite polìtici che pensano ra­
zionalmente. D a un punto di vista della politica statale, dunque, tutto di­
pende dalla crescita del potere di questi capi —da noi, dei capì del sinda­
cato —dì im porsi sugli istinti del momento. E inoltre tutto dipende dalla
crescita dell’importanza dei capi responsabili in generale, vale a dire del
ceto politicamente egemone in quanto tale. E questo uno degli argomen­
ti più forti a favore della creazione di una direzione politica ordinata e re­
sponsabile attraverso un ceto egemone dì carattere parlam entare, cioè che
in questo m odo l’efficacia degli impulsi puramente emozionali viene in­
debolita quanto più possibile sia dall’«alto» che dal «basso». Il «dominio
della strada» non ha nulla a che fare con il suffragio universale: Rom a e
Parigi furono dominate dalla «strada» anche quando in Italia imperava il
diritto dì voto più plutocratico del mondo e a Parigi N apoleone III go­
vernava con un parlamento fasullo. Al contrario, solo la guida ordinata
delle masse attraverso politici responsabili può rompere il dominio arbi­
trario della strada e il potere di demagoghi occasionali.
Il suffragio universale è un problema di portata politica per l’interesse
del Reich solo per quanto riguarda lo Stato federale preminente, vale a di­
re la Prussia. Attraverso l’interpretazione che nel frattempo ha avuto luo­
go del messaggio pasquale5 sembra che la questione, in linea di princìpio,
sia risolta. In linea di principio, ma non per quanto riguarda la via da se­
guire. Infatti è del tutto inverosimile che l’attuale parlamento classista ri­
nunci di sua libera iniziativa al privilegio elettorale, se non si verificano
condizioni politicamente cogenti. O ppure se lo farà, si tratterà di una ri­
nuncia solo apparente: e cioè con il coordinamento di una Cam era dei Si­
gnori costruita con l’aiuto dell’aritmetica elettorale. M a la realizzazione

5 Nel «messaggio pasquale» del 7 aprile 1917 Guglielmo II aveva annunciato il nuovo orien­
tamento generale della politica interna e in panicolare una riforma del sistema elettorale prussia­
no delle tre classi. Il decreto imperiale di riforma dell’l 1 luglio 1917 lasciava intrawedere la pos­
sibilità di un sistema elettorale a suffragio universale.
Weber, Scritti p o litici

legale del sistema elettorale a suffragio universale per la Prussia è un’esi­


genza politica statale del Reich. Infatti il Reich anche in futuro deve ne­
cessariamente essere nella condizione di poter chiamare i suoi cittadini al­
la lotta per la propria esistenza e per il proprio onore, nel caso in cui se ne
presenti il bisogno. A tal fine non sono sufficienti le scorte di munizioni
o d ’altro tipo di materiale e i necessari organi ufficiali, bensì anche l’inte­
riore disponibilità della nazione a difendere questo Stato in quanto suo
Stato. Le esperienze fatte nelle regioni orientali possono insegnare ciò che
avviene quando manchi questa disponibilità. Ma una cosa è certa: mai più
la nazione potrà essere messa in movimento per una guerra nel modo in
cui è lo si è fatto questa volta, se solenni impegni venissero deformati da
un qualche inganno che si presume intelligente. Ciò non potrebbe mai più
essere dimenticato. E questo il motivo politicamente decisivo perché da
parte del Reicb si estorca con la forza, se necessario, la realizzazione di
questa riforma.
Infine, potremmo almeno sfiorare la questione principale, vale a dire:
come si rapporta la parlam entarizzazione alla democratizzazione? N on
sono affatto pochi i «democratici» sinceri c particolarmente fanatici i qua­
li vedono nella «parlamentarizzazione» un sistema corrotto, che conduce
allo snaturamento della democrazia e al dominio di una cricca; un sistema
dunque per arrivisti e parassiti. La «politica» sarebbe un’attività assai «in­
teressante» per i fannulloni, ma sterile per il resto; mentre per gli ampi
strati delia nazione sarebbe importante soltanto una buona «amministra­
zione», c questa sarebbe garantita solo da un’«autentica» democrazia, co­
me noi in Germania —il paese del «vero concetto di libertà» - in parte pos­
sederemmo già più che altrove e in parte potremm o certo costruire me­
glio che in ogni altro posto facendo a meno della parlamentarizzazione. E
si capisce che i sostenitori della libertà della burocrazia da ogni controllo
si servano con diletto di entrambe le prospettive opponendole una contro
l’altra: la «vera» democrazia si concretizzerebbe nel modo più puro, lad­
dove il popolo dì avvocati che costituisce il parlamento non fosse nella
condizione di disturbare il lavoro oggettivo dei funzionari. L’arrogante
impostura - che presso i nostri letterati diventa un autoinganno perpetra­
to attraverso un’ingenua dedizione a luoghi comuni - trova facilmente so ­
stenitori in tutti gli schieramenti, come del resto tutto ciò che serve all’in­
teresse della burocrazia e dei capitali legati ad essa. Che si tratti di im po­
stura è evidente. Infatti, quale organo possiede la democrazia, al di là del
potere parlamentare, per controllare dal canto suo l ’amministrazione dei
funzionari? A questa dom anda non c ’è alcuna risposta. Inoltre, che cosa
dà essa in cambio del potere delle «cricche» parlam entari? Il dominio di al­
tre cricche più nascoste, più pìccole, e soprattutto più sfuggenti. Il siste­
ma della cosiddetta democrazia diretta è tecnicamente possibile solo in
S iste m a e letto rale e d e m o c ra z ia

urto Stato piccolo (in un cantone). In ogni Stato di massa la democrazia


porta all’amministrazione burocratica e - senza parlamentarizzazione - al
puro domìnio dei funzionari. Certo, in un sistema «cesaristico» (nel sen­
so ampio della parola), e dunque in un sistema fondato sull’elezione di­
retta popolare del capo dello Stato o della città - come avviene negli Stati
Uniti e in alcuni grandi suoi comuni -, la democrazia è in grado di esiste­
re anche senza il sistema parlamentare, non però senza potere parlamen­
tare tout court (sui pregi e i difetti polìtici e tecnico-amministrativi di que­
sto sistema non possiam o soffermarci in questa sede). M a il pieno potere
parlamentare è necessario ovunque esistano organi statali ereditari: ad
esempio i monarchi, i quali sono i capi (formali) del funzionariato. Il m o­
derno monarca è sempre e inevitabilmente un dilettante, come anche
spesso lo sono i parlamentari, e perciò è completamente incapace di con­
trollare u n ’amministrazione. C on la differenza, però, che un parlamenta­
re può imparare nella lotta tra i partiti a ponderare il peso delle parole,
mentre il monarca deve restare fu o ri dalla mischia; c inoltre che il parla­
mento, se gli si conferisce il diritto dì inchiesta, è nella condizione di far
luce su una determinata questione (attraverso l’interrogatorio incrociato
sotto giuramento di specialisti e testimoni), c dì controllare l’operato dei
funzionari. C om e può, il monarca, attuare tutto ciò, c come può perse­
guirlo una democrazia senza parlamento?
Ma esaminando la questione in generale: una nazione che crede che la
direzione dello Stato si esaurisca ne lT«am minisi razione», e che la «politi­
ca» sia un’attività occasionale per dilettanti o una prestazione secondaria
di funzionari, dovrebbe rinunciare alla politica internazionale e adattarsi a
svolgere in futuro un ruolo consono a un piccolo Stato, come lo sono un
cantone svizzero o la Danimarca o l’Olanda o il Baden o il Wiirttemberg:
tutte entità statali assai ben amministrate. Altrimenti non le saranno ri­
sparmiate le esperienze che noi abbiamo provato con quella «vera libertà»
tipica dì questo frasario, e cioè: con il funzionariato libero da ogni con­
trollo, nel momento in cui quest’ultimo ha intrapreso a praticare una po­
litica di alto profilo. Il fervore per la «democrazia senza parlamentarismo»
ha, com ’è naturale, tratto nutrimento durante la guerra dal fatto che - co­
me avviene in ogni conflitto veramente decisivo —in tutti i paesi senza ec­
cezione, in Inghilterra, Francia, Russia e in Germania, in luogo della nor­
male form a di governo - si chiamasse «monarchia» o «repubblica parla­
mentare» - è subentrata di fatto una dittatura politico-militare (e, senza
dubbio, le sue ombre si proietteranno ancora a lungo sulla pace). Essa
opera ovunque mediante un tipo specifico di demagogia di massa e disat­
tiva tutte le normali forme di controllo, dunque anche quelle parlamenta­
ri. Q uesti fenomeni, condizionati come anche altri dalla guerra in quanto
tale, accecano i letterati dilettanti che attendono a una produzione di libri
W eber, Scritti p o litic i

rapida e «adatta ai tempi». Ma così come l’economia di guerra non può es­
sere il modello per la normale economia di pace, così questa costituzione
politica di guerra non può essere il modello per la struttura politica del pe­
riodo di pace.
Sul piano politico, che cosa dovrebbe - ci chiediamo - sostituire la fun­
zione di un parlamento? Forse, per quanto riguarda la legiferazione, il re­
ferendum? Innanzitutto, in nessun paese del m ondo il referendum è sta­
to introdotto per rimpiazzare la prestazione più importante del lavoro
parlamentare ordinario, e cioè il bilancio preventivo. D ’altronde è eviden­
te che ciò non sarebbe possibile. È facile prevedere il destino di quasi tut­
ti i progetti di ordine fiscale nel caso in cui la decisione dovesse essere pre­
sa mediante il voto popolare. Per tutte le leggi relativamente complicate e
per gli ordinamenti che riguardano la cultura, il referendum nello Stato di
massa ha sempre significato automaticamente un forte impedimento di
ogni progresso. Per lo meno in uno Stato geograficamente esteso (diver­
so è il caso di un cantone). Q uesto per un semplice motivo di natura pu­
ramente tecnica: perché il referendum esclude il compromesso tra Ì partiti.
C on il referendum si possono risolvere in modo politicamente e tecnica-
mente soddisfacente solo questioni alle quali si deve rispondere semplice­
mente con un «sì» o con un «no». Altrimenti, i diversi e contrapposti m o­
tivi che possono essere fatti valere contro una proposta concreta - e in
uno Stato di massa con ampia differenziazione sociale e geografica di que­
sti motivi ce ne sono sempre molti di più che non ìn un singolo Stato ame­
ricano o in un cantone svizzero —impedirebbero in generale che qualco­
sa sì realizzasse. Al contrario, la prestazione specifica del parlamento c di
permettere di attuare il meglio «relativo» attraverso la trattativa e il con­
fronto; e questa prestazione viene ottenuta a m ezzo dello stesso sacrificio
che l’elettore deve sopportare in occasione dell’elezione del parlamento,
in cui egli può optare soltanto per il partito a lui relativamente più gradi­
to. Q uesta superiorità puramente tecnica della legiferazione parlamentare
non può essere sostituita da nulla; con ciò non è detto, però, che non esi­
stano casi in cui il referendum sarebbe un m ezzo appropriato di revisio­
ne della legge. Sull’elezione popolare dei funzionari - nella misura in cui
essa non riguardi soltanto l’elezione del capo, nel qual caso si tratta di «ce­
sarismo» - è da dire che in tutti gli Stati di massa essa non solo rompe la
disciplina gerarchica burocratica, ma anche (come insegna l’esperienza
americana), attraverso l’eliminazione della responsabilità per la nomina,
incentiva la corruzione. Ogni lotta contro il parlamentarismo condotta in
nome della «dem ocrazia» significa, in uno Stato monarchico, che per ri-
sentimento o cecità gli affari condotti in vista del puro e semplice dom i­
nio dei burocrati, e in particolare del suo interesse, vengono liberati da
ogni controllo.
S iste m a elettorale e d em o crazia

L a «dem ocratizzazione» nel senso dei livellamento della partizione


per ceti attraverso lo Stato dei funzionari è un dato di fatto. Rimane sol­
tanto questa alternativa: o lasciare la massa dei cittadini, priva dì diritti e
non libera, in uno «Stato autoritario» con un parlamentarismo solo di fac­
ciata, e dunque «amministrare» questa massa come un gregge, oppure in­
corporare la massa dei cittadini nello Stato in quanto soci alla pari. \Jrip o ­
polo di individui sovrani però - e soltanto un tale popolo è in grado e gli
è consentito di praticare una «politica mondiale» —non ha in questa pro­
spettiva nessun’altra scelta. Si può certo (per ora) disprezzare la dem ocra­
tizzazione. Infatti forti interessi, pregiudizi e viltà sono coalizzati contro
di essa. M a presto cì sì renderà conto che questo avviene al prezzo del­
l’intero avvenire della Germania. Tutte le energie delle masse sarebbero al­
lora impegnate contro uno Stato nel quale esse sono soltanto un oggetto e
non soggetto attivo. Alle inevitabili conseguenze politiche che ne derive­
rebbero possono ben essere interessati singoli settori. N on certo la patria.
ir
V. Aristocrazia e democratizzazione in Germania
1918
Il 15 gennaio 1918, durante la seconda fase dei negoziati di pace di Brcst-Litovsk, M ax
Weber tenne una conferenza presso il Verein Berliner Kaufleute und Industriellcr (A sso­
ciazione dei commercianti e degli industriali berlinesi) sul tema «A ristocrazia c dem ocra­
tizzazione in Germ ania».
Weber, cui Berlino sem brava in quei giorni un «m anicom io politico» (cfr. la lettera a
Mina Tobler, non datata [16 gennaio 1918], Fon d o Eduard Baumgarten, possesso privato),
disapprovava in particolare il gioco com binato tra militari e pangermanisti: «gli intrighi del­
la banda: Industria pesante + pangermanisti, i quali trovano sem pre il collegamento con i
vertici dell’esercito» (cfr. la lettera a Marianne Weber, [16 gennaio 1918], Fon do M ax We­
ber-Schiller, possesso privato). Per Weber, ì! m ezzo più efficace per porre fine a questa fu­
nesta demagogia era costituito dal passaggio al sistem a parlamentare.
N ell’edizione del m attino della «Berliner Tageblatt» del 17 gennaio 1918 apparve un re­
soconto della conferenza di Weber. Q u esto testo è accom pagnato dall’avvertenza - di re­
gola non usuale - «R iproduzione vietata», il che lascia intendere che da parte della reda­
zione venne data una particolare im portanza a questo scritto. Sulla scorta della sua struttu­
ra si può presumere che all’origine del testo stam pato ei sia stato o un resoconto stenogra­
fico letterale oppure addirittura un breve resoconto redatto dallo stesso Weber che egli
avrebbe in seguito affidato alla «Berliner Tageblatt». A favore di quest’ultima ipotesi parla
innanzitutto la terminologia della parte principale che è m olto vicina al particolare m odo
di esprimersi di Weber. Inoltre il resoconto contiene particolarità che m olto difficilmente
una terza persona avrebbe potuto riportare con la stessa precisione, soprattutto i fatti ri­
guardanti il conferimento del titolo di dottore honoris causa a R udolf M osse, l’editore del­
la «Berliner Tageblatt».
Il m anoscritto è perduto. Il testo è stabilito in base al resoconto apparso nella «Bcrli-
ner Tageblatt» n. 30 del 17 gennaio 1918, edizione del mattino, p. 3 con il titolo «ri nstok-
ratìc und Dem okratisicrung in D m tsch lan d». L a traduzione qui presentata segue il testo
stabilito nella M ax Weber G esam tausgabe cit., A bt. I, B d. 15, pp. 735-8.
SCRITTI POLITICI

II professor M ax Weber (Heidelberg) ha parlato presso il Verein Ber-


liner Kaufleute und Industrieller su «Aristocrazia e democratizzazione in
G erm ania». Egli ha illustrato con incisività e senza condiscendenza - non
come scienziato, ma come politico - l’attuale forma di governo. U n tem ­
po - trent’anni fa! - egli avrebbe votato conservatore. Nel frattempo,
però, egli ha compiuto in campo politico un vero e proprio mutamento,
nella raggiunta consapevolezza che la forma di governo degli ultimi de­
cenni doveva condurre al naufragio. G ià vent’anni fa questa sarebbe stata
la sua posizione. Se l’attuale regime proseguirà su questa strada, necessa­
riamente arriveranno nuovi insuccessi, indipendentemente da come si
concretizzerà la pace. Riguardo al tema della conferenza, la tesi fonda-
mentale era che
noi tedeschi siamo un popolo borghese.
Gli Ju n k er delle province orientali non sono un’aristocrazia nel senso,
per esempio, di quella inglese. Q uest’ultima svolge un ruolo significativo
nella politica statale del suo paese, forte di un’altera coscienza di sé e di
una formazione spregiudicata e intraprendente. I nobili Ju n k er prussiani,
invece, non sono nient'altro che semplici Imprenditori agricoli e, come gli
imprenditori industriali e commerciali, dal punto di vista politico sono
più o meno «non liberi», legati al loro lavoro e incapaci di praticare la p o ­
litica come arte. Le forme dell’autentica aristocrazia sono da imitare e de-
mocratizzabili, mentre le «form e» tedesche non lo sono affatto. Lo stu­
dente membro di un'associazione studentesca e promosso a ll’esame d is t a ­
to è il tipico rappresentante di queste «forme» tedesche. Per esempio, in
Argentina1a mettersi sulla cattiva strada non è il «conte», ma lo studente

1Allusione al cosiddetto «affare Luxburg*. Nel settembre 1917 gli Stati Uniti pubblicarono
tre telegrammi del ministro plenipotenziario tedesco in Argentina, il conte K. I.uxburg, in cui tra

91
W eber, Scritti p olitici

un tempo iscritto ad un’associazione oppure l’uomo irretito dalle idee


delle associazioni studentesche. Il concetto della capacità di dare soddisfa­
zione è fondam entale per la carriera dell’impiegato politico. Il pubblico
impiego uscito dalle associazioni degli studenti considera il Reich tedesco
nient’altro che una via d ’accesso sicura, in quanto istituzionalizzata, a ll’a ­
vanzamento e al potere. Il sistema elettorale delle tre classi in Prussia ga­
rantisce la sicurezza.
Il funzionario specializzato è una fatalità inevitabile nella vita dello
Stato e in quella borghese. Ma un errore fondamentale per la direzione
della politica tedesca è la prom ozione del funzionario in un posto di mi­
nistro. Il posto di ministro deve essere affidato ad un politico che esegua
solo quelle istruzioni che corrispondono alle sue idee, mentre l’impiegato
deve eseguire i compiti impartitigli a prescindere dalla sua opinione. Un
ministro che segue istruzioni diverse rispetto alla propria convinzione po­
litica è un K leber, un pessimo politico. Il fatto di non dare ÌI giusto peso a
questo stato di cose determina il destino nefasto della nostra politica este­
ra. La parlamentarizzazione della Germania è
l ’unica via p er scongiurare una guerra
in una situazione tanto diffìcile come quella odierna. L a parlamcntariz-
zazione, tra l’altro, c anche l’unico m ezzo per salvare la dinastia e il m o­
narca; infatti questo regime spinge alla catastrofe in politica interna ed
estera. Parlamentarismo significa potere dei partiti e così deve essere. O g ­
gigiorno i partiti tanto quanto l’amministrazione sono sopraffatti dalla
burocratizzazione. C iò significa che i partiti sono dominati dallo spirito
corporativo. Di tutto ciò è causa l’attuale sistema di governo. Se i partiti
giungessero al potere, allora in loro si aprirebbe la strada all’affermazio­
ne dei talenti politici. Giungerebbero ai vertici uomini che godono della
fiducia della nazione e ai quali i partiti darebbero tanto spazio quanto è a
loro utile, cioè fintantoché tali ministri continuassero a godere della fidu­
cia del popolo.
Dem ocratizzazione della Germania non vuol dire cedere al socialismo
o al pacifismo, né tanto meno alla demagogia. Del resto, non è possibile
pensare anche solo di eguagliare una demagogia così insensata come quel­
la praticata a l giorno d ’oggi\
Istanze subalterne fingono conflitti generati dal mero arrivismo,
portano nella stampa —e che stampa! - polemiche da cortile, e inizia così
un gridare alla crisi. Gente che viene ben pagata per «scandalizzarsi» rin­
faccia all’avversario, per esempio al «Berliner Tageblatt» o alla «Frankfur-

l’altro il ministro degli Esteri argentino veniva definito un * asino perfetto». In conseguenza del­
le proteste argentine Luxburg dovette essere richiamato dal suo incarico.
2 Espressione con la quale si intende un uomo attaccato al proprio posto.
1 Weber intende qui la cosiddetta «Crisi Kìihlmann».

92
A risto c ra zia e d e m o cratizzazio n e

ter Zeitung», di essere al soldo degli inglesi4. In tutto ciò deplorevole è sol­
tanto il fatto che stimabili ufficiali a causa della loro ingenuità vengano in­
gannati da tali demagoghi pangermanisti, e non s’avvedano di quale di­
scutibile causa sono al servizio. L’attività dei partiti, che oggi è iniziata al­
l'interno dell’esercito tedesco, deve necessariamente portarlo allo sfacelo
morale e militare. Esem pio della più folle demagogia sono montature dif­
famatorie come questa: ad Heidelberg viene fondata un’associazione pa­
cifista studentesca e l’editore del «Berliner Tagcblatt» ha ottenuto il tito­
lo di dottore honoris causa dall’Università di Heidelberg. Si dice che ab­
bia donato 100000 marchi. Forse per l’associazione pacifista? E così via
sulla scia di deduzioni sfacciate e demagogiche5. L a verità è che l’associa­
zione non esiste e che R udolf M osse, a quanto ne so, avrebbe meritato già
da lungo tempo il titolo di dottore honoris causa. E come se non bastasse,
colui che ad Heidelberg pose la candidatura al conferimento del titolo era
un conservatore.
Proprio per soffocare questa incurabile demagogia è indispensabile il
potere dei partiti, dunque parlamentarizzazione e democratizzazione. Il
passaggio decisivo per raggiungere questo obiettivo è Veliminazione del
parlam ento prussiano basato sulla distinzione in tre classi. Il suo influsso
sul governo del Reich, attraverso il Bundesrat, sul quale allo stesso m odo
deve estendersi la parlamentarizzazione, finora era già oltremodo molesto
e dopo la conclusione della pace dovrebbe diventare completamente in­
sopportabile: infatti la Germania non vuole essere sottom essa al
parlam ento dei profittatori della guerra
in cui si trasformerebbe ora la Camera delle tre classi. L a proposta di leg­
ge sulla cosiddetta Cam era dei Signori6 io la considero com e un appello
alla paura, come prodotto della viltà, determinato come freno contro lo
sviluppo democratico che per noi è così terribilmente necessario. Ma fino
ad ora la paura di fronte alle necessità inevitabili non era considerata una
virtù virile tedesca.

* In connessione con il libro di A. von iiigcnbrodt dal titolo Berliner Tageblait und Frank­
furter Zeitung in ibrem Verhahen z » den nutionalen Fragen 1887-1904 (fterlin-Scboneberg.■Al-
brecht 1917), nel dicembre del 1917 si verificò una violenta polemica '(' 1<r i.m zir.i a riguardo del
presunto legame di questi giornali con l’alta finanza inglese. In particolare venne duramente at­
taccata la «Frankfurter Zeitung».
5 Weber si riferisce qui soprattutto ad un articolo apparso sul « Gotti nger Tagcblatt», n. 314
del 20 dicembre 1917, Die Studentenversammhtng in der Kaìserballe.
* Secondo il progetto di legge del 25 novembre 1917 per la riforma della Camera dei Signo­
ri, la Camera Alta doveva essere trasformata secondo punti di vista corporativi, invece per la
Camera dei Deputati era previsto un sistema elettorale a suffragio universale, diretto, segreto e
paritario.

93
vi. Democrazia e aristocrazia nella vita americana

1918
Il 23 m arzo 1918 Weber tenne una conferenza dal titolo D em okraiie und Ansiokratti­
mi am enkamschen Leben presso la sezione di H eidelberg del Volksbund ftir Freibeit und
Valer land.
Le riflessioni che Weber form ulò in quella sede si basavano per lo più sulle esperienze
personali che egli aveva fatto nel 1904 durante i quattro mesi di permanenza negli Stati U n i­
ti per partecipare al Congress o j A rti an d Science tenutosi a St. Louis. In quel periodo We­
ber potè viaggiare per tutto il paese ed entrare in contatto con molte persone quali ad esem­
pio l’ispettrìce di fabbrica newyorkese Florence Kelley e Booker T. Washington, il quale da
tempo si batteva per garantire alla minoranza dì colore u n ’istruzione migliore.
Il manoscritto originale di questa conferenza è andato perduto; di essa restano tre re­
soconti apparsi tra il 25 e il 26 marzo sui quotidiani «H eidelberger N eueste N achrichten»,
«H eidelberger Tagebl a tt» c «H eidelberger Zeitung». L a presente traduzione è condotta sul
resoconto dell’«H eidelberger N eueste N achrichten», n. 71 del 25 m arzo 1918, p. 5, dal ti­
tolo Dem okratie und Aristokratìe in Am erìka, com e è riprodotto nella M ax Weber Ge-
lam tausgabe cit., A bt. I, Bd. 15, pp. 742-4.
SCRITTI POLITICI

L a locale sezione cittadina del Volksbund fiir Freiheit und Vaterland


ha organizzato sabato sera nella palestra di Klingenteich la sua seconda se­
rata di conferenze che è stata aperta e condotta dall’egr. dott. consigliere
prof. O ncken1. Subito dopo, accolto calorosamente, ha preso la parola il
professor M ax Weber, il quale è intervenuto sul tema «Dem okratic und
Aris tok rati e ira amerikanischen Leben».

L’oratore, nel 1904, in occasione della sua partecipazione ad un con­


gresso internazionale di studiosi, si è trattenuto alcuni mesi in America vi­
sitando parecchi Stati e città; viaggiando, egli ha attraversato il paese, os­
servato gli uomini, studiato i loro costumi di vita raccogliendo in questo
m odo un certo numero di impressioni. Dal variopinto m osaico di queste
impressioni ed esperienze vissute offerteci dal prof. Weber nel corso del­
la sua conferenza, è emersa u n ’immagine chiara di ciò che si deve inten­
dere con il termine «America». Egli ha messo in luce le fratture in seno al
carattere democratico dell’America riscontrabili nel trattamento dei negri,
i quali sui treni vengono fatti viaggiare in compartimenti separati e per i
quali sono state create speciali sale d ’attesa e addirittura parchi cittadini ri­
servati soltanto a loro. Il negro è escluso da ogni diritto di voto e il ma­
trimonio tra bianchi c negri è severamente proibito. In seguito, l’oratore
ha fatto illuminanti considerazioni sul puritanesimo che governa il paese,
sul fenomeno delle sette e suH’estremamente insolito miscuglio tra fonda-
mentali concezioni religiose c impresa commerciale mercantile: a noi ap­
pare strano che l’appartenenza ad una determinata setta (per esempio, a
quella dei Battisti) possa aprire il più ampio credito commerciale. Com e
ha spiegato il prof. Weber, la dem ocrazia americana consiste in un grovì­
glio di associazioni e di unioni del tutto esclusive, l’accesso alio quali si ot-

1Hermann Oncken, storico.

97
Weber, Scritti p olìtici

tiene solo tramite il sistema del ballottaggio1 e nelle quali ogni singolo in­
dividuo si deve affermare nella cerchia dei suoi pari. Laggiù democrazia
significa mancanza dì riguardo per tutti ì fenomeni della vita eccetto la
prestazione personale. L’autonomia inizia già nell’aula scolastica e l’im­
portanza attribuita al danaro viene inoculata già nei bambini. Per gli ame­
ricani la donna è un oggetto di culto, ed è stato interessante sentire le im­
pressioni dell’oratore riguardo a questo tema. In seguito è stato illustrato
il socialismo americano che ha in G om pers un capo (Fiihrer) rotto ad ogni
genere di corruzione. E assai degno di nota che da qualche tempo gli ope­
rai americani pretendano misure restrittive nei confronti dell’immigrazio­
ne al fine di mantenere alto il livello dei salari. Attualmente, l’ascesa degli
strati sociali inferiori sarebbe più difficile che mai; e proprio per questo
l’americano ha una stima illimitata nei confronti del selfmade-man.
Ma da questa democrazia assai strana si sta sviluppando ora piano pia­
no un 'aristocrazia, una Society, alla quale si appartiene se ci si sottomette
alle sue forme e alle sue regole, se ci si veste sempre all’ultima moda, e se
si abita nella «Street». Il desiderio smodato di appartenere alla nobiltà as­
sume forme bizzarre e il nativismo (vale a dire, l’ambizione di essere con­
siderato un vero americano) è significativamente cresciuto. A ll’interno
dell’amministrazione americana è in corso una completa trasformazione.
La dipendenza del funzionariato dal pan ilo di volta in volta al governo
(repubblicani o democratici) deve essere sostituita da un ceto di funzio­
nari di professione secondo il modello tedesco, un ceto che non deve cam­
biare ad ogni elezione presidenziale, bensì che è indipendente dal cam­
biamento di regime. C on questa riorganizzazione si spera dì eliminare an­
che la corruzione dei funzionari. In questo contesto, l’oratore ha illustra­
to anche la vita nelle università e la passione per lo sport tipica dell’ame-
ricano, una passione che ha avuto influenza anche sulla posizione dello
Yankee nei confronti della guerra in corso. L ’America si europeizza, così
ha detto l’oratore, ed è un dato di fatto che noi non abbiamo nulla da im­
parare dalla vecchia democrazia americana. Laggiù le anime sono dom i­
nate dal romanticismo della quantità e in ogni americano vive una forte
speranza per il futuro. Q uale sia la meta della speranza, in verità non lo sa
nessuno. C iò che manca a questo paese è il destino storico. L’esistenza del­
l’America non è minacciata da nessuna parte e l’americano non può im­
medesimarsi nella nostra situazione; egli non vede lo svantaggio della no­
stra posizione geografica e non vede i turbolenti vicini stanziati nei pres­
si dei nostri territori di confine. L’americano che attualmente combatte in
Occidente, in verità non sa per che cosa muoia. Ma i nostri soldati lo san-

2 Ballolage significa in Weber il principio della «libera selezione» attraverso l’associazione,


l’unione o la comunità religiosa.

98
D em o c raz ia e aristo crazia nella vita am ericana

no e questa è una cosa grandiosa, che cioè il combattente tedesco provi il


sentimento di combattere e spargere il proprio sangue per la patria e la si­
curezza del paese. Il nostro dovere - in questo modo l’oratore ha conclu­
so il suo intervento - sarà quello di organizzare la patria cosi come spera­
no di trovarla i nostri soldati quando ritorneranno dalla guerra. N o i de­
sideriamo la democratizzazione del sistema elettorale e un incremento del
sistema parlamentare.

Scroscianti applausi sono seguiti alla conferenza, e il professor Oncken,


dopo av er espresso la sua sincera riconoscenza all'oratore, considerato che
nessuno più aveva chiesto la parola, ha potuto chiudere la riunione.

99
VII. Il socialism o

1918
Weber si era dichiarato disponibile a ricoprire la cattedra di econom ia politica all’U n i­
versità di Vienna per un semestre di prova nell’estate 1918. D a aprile a luglio, dunque, ten­
ne lezione nella capitale austriaca, salvo poi rinunciare alla nomina definitiva che gli era sta­
ta offerta. Durante questi mesi di soggiorno nella capitale austro-ungarica Weber fu invita­
to dall’«U fficio per la D ifesa contro la Propaganda N em ica» dell’esercito imperialregio a
tenere una conferenza sul socialismo. E ssa ebbe luogo il 13 giugno alla presenza di circa tre­
cento ascoltatori. L a conferenza di Weber e la successiva discussione furono interamente
stenografate. Weber, d op o aver lievemente rielaborato il testo, lo affidò all'«U fficio per la
D ifesa contro la Propaganda N em ica» affinché venisse pubblicato.
L a copia stenografica della conferenza è scom parsa. L a presente traduzione è stata con ­
dotta sul testo della M ax Weber G esam tausgabe cit., A bt. I, Bd, 15, pp. 599-633, che ripro­
duce il testo pubblicato a su o tem po su incarico dell’esercito austriaco con il titolo «D er
Soziahsm us», Wien; «P hòbus» Kom m issionsverlag Dr. Viktor Pimmer o.J., 1918.
SCRITTI POLITICI

Egregi Signori!
Poiché è la prima volta che ho l’onore di parlare nell’ambito del corpo
degli ufficiali dell’esercito imperi al regio, Loro comprenderanno che que­
sta per me è una situazione un p o ’ imbarazzante. Soprattutto perché non
conosco in alcun m odo i presupposti, e cioè i rapporti interni propri del
funzionamento dell’esercito imperiai regio, quei presupposti che si dim o­
strano decisivi anche per quanto riguarda l’influenza degli ufficiali sulla
truppa. È evidente che l’ufficiale della riserva e della milizia territoriale ri­
mane pur sempre un dilettante, non solo perche non possiede la forma­
zione scientifica che viene impartita all’Accademia Militare, ma anche
perché gli manca il contatto costante con l’intero sistema nervoso interno
dell’organizzazione. Ma se, come nel mio caso, si è stati per anni e in di­
verse riprese all’interno dell’esercito tedesco operando in zone molto di­
verse della Germania, si può credere di possedere una sufficiente espe­
rienza delle relazioni tra il corpo degli ufficiali, quello dei sottufficiali e la
truppa per poter giudicare almeno se è possibile questo o quel metodo per
esercitare la propria influenza, se questo o quel metodo c difficile o im­
possibile. È evidente che su tutto ciò non ho la minima idea per quanto
concerne l’esercito imperialrcgio. Se in generale ho una qualche idea del­
ie relazioni interne dell’esercito imperialregio, si tratta unicamente dell’i­
dea delle enormi difficoltà oggettive che, a quanto ne so, derivano dalle re­
lazioni linguistiche. Gli ufficiali di riserva dell’esercito imperialregio han­
no cercato più volte di spiegarmi come si riesca a salvaguardare —senza
conoscere veramente la lingua parlata dalla truppa - quel contatto che è
necessario per esercitare una qualche influenza sui subordinati. Per quan­
to mi riguarda, posso parlare solo a partire dal contesto tedesco, e vorrei
concedermi innanzitutto di premettere alcune osservazioni su come da
noi si sia instaurata questa influenza.

103
W eber, Scritti p o litici

Queste osservazioni sono fatte «dalla prospettiva della rana»1. Mi ero


imposto, infatti, per quanto riguarda i frequenti viaggi in Germania - se
non si trattava di percorsi molto lunghi c se non avevo in programma
un'attività molto faticosa -, di viaggiare sempre in terza classe. C osì ho in­
contrato nel corso di questi anni molte centinaia di persone che venivano
dal fronte o che vi andavano, proprio nell’epoca in cui era stato introdot­
to in Germania ciò che veniva chiamato «lavoro di informazione (A ufklà-
rung) da parte degli ufficiali». In questo m odo, senza che dovessi io co­
gliere l’occasione propizia per interrogare la gente o per indurla a parlare
con me, ho potuto sentire molte e varie dichiarazioni a questo riguardo.
E si trattava sempre dì gente molto attendibile, per la quale l’autorità de­
gli ufficiali era salda come una roccia; solo di rado capitava gente che mo­
strava di pensarla dentro di sé in maniera diversa. Il risultato tuttavia era
sempre lo stesso: si doveva presto riconoscere per forza di cose la grande
difficoltà di ogni lavoro di informazione. E soprattutto si evidenziava
sempre un fatto: non appena nella gente nasceva in qualche modo il so­
spetto che tutto ciò avesse a che fare con il tentativo di favorire diretta­
mente o indirettamente un partito, non importa quale, una gran parte di
loro si mostrava diffidente. Q uando tornavano a casa in licenza, intratte­
nevano relazioni con gli uomini del loro partito e naturalmente diventava
difficile salvaguardare una vera relazione di fiducia con loro. Inoltre era
presente un’altra grande difficoltà: la gente riconosceva senz’altro e in­
condizionatamente la perizia specialistica dell’ufficiale - non m ie mai ca­
pitato di sentire il contrario; per quanto, com ’è ovvio, in Germania sì in­
veisse occasionalmente ora sullo stato maggiore ora su qualcos’altro, l’au­
torità militare in quanto tale tuttavia non è mai stata messa in dubbio in
modo radicale. Poteva capitare però di imbattersi in un determinato stato
d ’animo che si potrebbe compendiare così: «Q uando veniamo istruiti dal­
l’ufficiale circa le nostre relazioni private e su ciò che ne segue, si vede ine­
quivocabilmente che il corpo degli ufficiali appartiene ad un diverso stra­
to sociale rispetto al nostro, e che non è possibile per l’ufficiale, con tutta
la sua buona volontà, immedesimarsi nella nostra situazione dì gente che
sta dietro ad una macchina o dietro all’ aratro». Tutto ciò veniva espresso
continuamente in una serie di dichiarazioni assai ingenue; e io mi convin­
si che forse attraverso un chiarimento mal impostato l’autorità dell’uffi­
ciale poteva essere intaccata anche nell’ambito militare dove è completa­
mente salda; la gente, infatti, non riconosce necessariamente l’autorità in
quegli ambiti in cui essa pretende di essere a casa propria. Ecco un ulte­
riore errore spesso com m esso, non adesso ma in passato, in occasione dì

1Cioè «da un punto di vista molto basso», vale a dire con umiltà, a partire dalla limitata espe­
rienza diretta di un dilettante.

104
11 so c ialism o

discussioni sul socialismo. G ià da tempo, e giustamente, si è smesso di de­


nigrare presso gli operai - alla maniera dei partiti politici avversari della
Socialdemocrazia - i funzionari dei sindacati e del partito dei lavoratori
con argomenti di questo tipo: «Q uesta è gente che vive letteralmente dei
soldi degli operai, molto più di quanto non facciano gli imprenditori». Al
che naturalmente ogni operaio risponde: «E evidente che questa gente vì­
ve del mio denaro. Io li pago. Ma proprio per questo mi fido di loro: essi
dipendono da me, so che devono per forza rappresentare i miei interessi.
E su questo non voglio che nessuno metta bocca. C iò mi ripaga dei pochi
soldi che pago». Si è smesso ora, com ’era giusto, di gettare discredito su
quello strato di intellettuali che conia ovunque le parole d ’ordine, gli slo­
gan e - lo si dica tranquillamente —Ì luoghi comuni con Ì quali in tutti i
partiti, senza eccezione, si lavora - dunque, anche all’interno dei partiti di
sinistra e di quello socialdemocratico. Ma, a mio avviso, si deve soprat­
tutto salutare con soddisfazione il fatto che in Germania si siano instau­
rate buone relazioni con i sindacati2. Sui sindacati si può pensarla come si
vuole. Anche i sindacati fanno le loro stupidaggini. Tuttavia, dal punto di
vista militare, questo atteggiamento nei confronti dei sindacati era assen­
nato. E ssi infatti rappresentano pur sempre qualcosa che è di pertinenza
anche dei corpi militari. Sullo sciopero si può pensarla come si vuole. Per
lo più è una lotta di interessi, per i salari. M olto spesso però non si seìo-
pera solo per ì salari, ma anche per principi ideali: per l’onore, come lo in­
tendono gli operai; e cosa sia da intendere con ciò, ognuno pretende di sa­
perlo. Il sentimento dell’onore, del cameratismo tra compagni di una stes­
sa fabbrica oppure d ’un medesimo comparto è ciò che li tiene assieme; e
questo, in fin dei conti, c un sentimento sul quale - volto, beninteso, in
un’altra direzione - poggia anche la coesione dei corpi militari. E poiché
ormai non c ’è m odo di eliminare dal mondo gli scioperi —potendo sol­
tanto scegliere tra associazioni di questo tipo legalmente riconosciute o
associazioni segrete -, considero assennato anche da un punto di vista mi­
litare che ci si ponga sul terreno di questo dato di fatto. Le cose stanno in
questo modo, e - fintantoché si va d ’accordo con questa gente e non ven­
gono messi in pericolo gli Interessi militari —è possibile scendere a patti
con loro, come di fatto è successo in Germania. Q ueste sono mìe impres­
sioni soggettive.
O ra però vorrei volgermi al tema per il quale L o ro mi hanno fatto l’o ­
nore di invitarmi e che certo è tale che meriterebbe parlarne dettagliata-
mente per un semestre (per tanto tempo, infatti, si usa esporre queste co­

1 II riferimento è al primo riconoscimento formale dei sindacati da parte del governo, del co-
mando supremo dclPcsercito e dei parlamenti in occasione delle discussioni sulla legge sul servi­
zio di soccorso che entrò in vigore il 5 dicembre 1916 con Papprovazione dei sindacati stessi.

105
W eber, Scritti p olitici

se ad ascoltatori accademici preparati): il socialism o e la presa di posizio­


ne nei suoi confronti. Innanzitutto faccio notare che ci sono «socialisti»
di diversi tipi. C ’è gente che si dice socialista, ma che nessun socialista
iscritto ad un partito, qualsiasi fosse la sua corrente, riconoscerebbe co­
me tale. Tutti i partiti che hanno un carattere puramente socialista sono
oggi partiti democratici. Innanzitutto dunque, vorrei brevemente occu­
parmi di questo carattere democratico. Che c o s’è oggi la democrazia? L a
dom anda è senz’altro inerente alla questione. O ggi però posso toccare
questo punto solo brevemente. D em ocrazia può significare cose incom­
mensura biìmcnte diverse. In sé tuttavia essa significa semplicemente che
non c’è differenza formale dì diritti politici tra le singole classi della po­
polazione. Ma quanto differenti conseguenze com porta tutto ciò! N el ti­
po più antico di democrazia, nei cantoni svizzeri di Uri, Schwyz, Un-
terwalden, Appenzell e Glarus si riuniscono ancora oggi in assemblea in
una grande piazza tutti i cittadini - ad Appenzell sono 12 000 gli aventi
diritto di voto, negli altri cantoni variano da 3000 a 5000 - e lì, dopo la
chiusura della discussione, votano per alzata di mano su ogni punto al­
l’ordine del giorno a cominciare dall’elezione del borgom astro fino ad
arrivare alla delibera conclusiva su una nuova legge fiscale o su qualun­
que altra questione amministrativa. Se ora L o ro scorrono le liste dei bor­
gom astri che sono stati eletti nel corso di cinquanta o sessantanni in una
tale democrazia svizzera vecchio stile, troveranno che si trattava delle
stesse persone, che determinate famiglie tenevano da lungo tempo nelle
loro mani queste cariche, e che dunque esisteva certo una democrazia di
diritto, ma che questa democrazia fu amministrata di fatto in senso ari­
stocratico. E questo per un motivo molto semplice: infatti, la carica - po­
niamo - di borgom astro non poteva certo essere assunta da un piccolo
industriale senza che questi mandasse in rovina la propria azienda. Egli
doveva essere «libero» in senso economico, e «libero» era di regola sol­
tanto chi disponesse di un consistente patrim onio proprio. O ppure si sa­
rebbe dovuto pagarlo molto e dotarlo di una pensione. La democrazia
presenta soltanto questa alternativa: o essere amministrata a basso costo
da gente ricca attraverso le cariche onorifiche oppure essere amministra­
ta, con costi elevati, da funzionari di professione e dunque pagati. Per
quanto riguarda quest’ultima modalità, lo sviluppo di un ceto professio­
nale di funzionari è diventato attualmente il destino di tutte le moderne
democrazie laddove la carica onorifica non poteva essere sufficiente, c
cioè nei grandi Stati di massa. Q uesta è l’attuale situazione dell’America.
In teoria laggiù la situazione è simile a quella Svizzera. Anche se non at­
traverso assemblee territoriali, viene però eletta - secondo il suffragio
universale diretto o indiretto - gran parte dei funzionari dei singoli Sta­
ti, e il presidente dell’Unione. II presidente nomina a sua volta gli altri
Il so c ia lism o

funzionari dell’Unione. C i si è cosi resi conto che i funzionari nominati


dal presidente stanno - per qualità di prestazioni e soprattutto per quan­
to riguarda l’incorruttibilità - molto al di sopra dei funzionari designati
tali dalle elezioni popolari, perché il presidente e il partito che lo sostie­
ne sono ovviamente resi responsabili dagli elettori del fatto che i funzio­
nari che essi nominano posseggano per lo meno quelle qualità che gli
elettori si aspettano.
O ra questa democrazia americana - la quale si fonda sul principio che
ogni quattro anni, quando cambia il presidente, cambiano anche gli oltre
300 000 funzionari da lui nominati, e che in più, sempre ogni quattro an­
ni, cambiano tutti i governatori di ogni singolo Stato e con loro molte mi­
gliaia di funzionari - volge al tramonto. Q uesta era un’amministrazione
di dilettanti; infatti questi funzionari, nominati dal partito, erano scelti in
base al fatto che avessero già svolto all’interno del partito determinate
prestazioni in vista appunto della prossim a nomina a funzionari. Poco si
chiedeva dal punto di vista della loro qualifica professionale: esami, pro­
ve o cose simili erano, fino a poco tempo fa, formalmente sconosciute nel­
la democrazia americana. A l contrario, si era spesso dell’opinione che la
carica dovesse essere, in una certa misura, trasmessa a turno da uno all’al­
tro affinché ognuno arrivasse alla mangiatoia.
Ebbene, io ho spesso parlato di questo con operai americani. L’auten­
tico operaio americano yankee si trova ad un alto livello dì salario e di for­
mazione. Il salario di un operaio americano è più alto di quello di alcuni
professori non ordinari di un’università americana. Q uesti operai si at­
teggiano in tutto secondo i modi tipici della società borghese; si presenta­
no col loro cappello a cilindro e in compagnia delle rispettive mogli - le
quali mostrano forse una minore disinvoltura ed eleganza, ma per il resto
si com portano come delle vere Ladies - mentre gli emigrati europei si in­
seriscono negli strati sociali inferiori. Sedevo insieme ad un tale operaio e
gli dicevo: «C om e potete lasciarvi governare da questa gente che vi viene
im posta nelle cariche e che, ovviamente, deve la propria carica al partito,
e che quindi dalla paga che percepisce destina una certa som ma a favore
del partito; e che poi, dopo quattro anni, deve per forza abbandonare la
carica senza avere diritto ad una pensione; è ovvio che questa gente cerchi
di ricavare dalla propria carica tanti più soldi quanto è possibile ricavarne:
come potete lasciarvi governare da questa società corrotta che notoria­
mente vi ruba centinaia di milioni?». L a risposta che ricevevo di volta in
volta, e che mi è consentito riportare letteralmente nella sua drasticità, era
la seguente: «Q uesto non ha la minima importanza: c’è abbastanza dena­
ro per rubarne, e ne resta sempre abbastanza affinché anche altri possano
guadagnarne, anche noi. N o i sputiam o addosso a questi “professionisti”,
a questi funzionari, e li disprezziam o. Se però ad assumere le cariche, co­

107
Weber, Scritti p o litici

me succede da voi, fosse una classe che ha studiato e ha superato gli esa­
mi, sarebbe questa a sputarci addosso».
Ecco ciò che contava per questa gente: la paura per il sorgere di un ce­
to di funzionari come di fatto esiste in Europa, di un ceto corporativo di
funzionari formato dalle università, specializzato.
Ebbene, è giunto da tempo il momento in cui anche in America non è
più possibile essere amministrati da dilettanti. A velocità enorme si esten­
de il ceto dei funzionari specializzati. E stato introdotto l’esame di abili­
tazione. Dapprima formalmente obbligatorio solo nel caso di particolari
impieghi tecnici, ora si sta diffondendo rapidamente. Attualmente, tra co­
loro che devono essere eletti dal presidente, sono già circa centomila i fun­
zionari che possono essere nominati solo dopo aver sostenuto un esame.
C on ciò è stato fatto il primo e più importante passo per il rinnovamento
della vecchia democrazia. In questo m odo anche l’università in America
ha iniziato a svolgere un ruolo del tutto diverso e anche lo spirito delle
università si è fondamentalmente trasformato. Infatti, cosa che si ignora al
di fuori dell’America, le università americane e gli strati sociali da esse
educati - c non i fornitori di armi, che ci sono in tutti i paesi - sono stati
i fautori della guerra. Q uando mi trovavo là nel 1904", gli studenti ameri­
cani mi interrogarono insistentemente sulle modalità in cui in Germania
vengono organizzati i duelli, e come si arrivi a procurarsi delle cicatrici in
volto. Consideravano i duelli un’istituzione cavalleresca: anche loro do­
vevano assolutamente avere questo sport. L a cosa grave in tutto ciò era
che a un tale punto di vista era improntata soprattutto la letteratura rela­
tiva alla mia materia. Specialmente nelle opere migliori di quel tempo tro­
vai la seguente conclusione: «E una fortuna che l’economia si muova in
maniera tale da rendere inevitabile che giunga il momento in cui sarà uti­
le (a sound business view) sottrarsi l’un l’altro il commercio mondiale at­
traverso la guerra; poiché allora per noi Americani terminerà finalmente
l’epoca nella quale guadagnavamo i dollari senza dignità e il mondo sarà
nuovamente dominato dallo spirito guerriero e dalla cavalleria»4. Si im ­
maginavano la guerra moderna proprio come la battaglia di Fontcnoy,
dove l’araldo dei francesi gridò ai nemici; «Signori inglesi, sparate voi per
prim i!»5. Pensavano la guerra come una sorta dì sport cavalleresco che

! Weber aveva partecipato a St. Louis ad un congresso scientifico organizzato dallo psicolo­
go e filosofo Plugo Miinstcrberg nell’ambito dell’esposizione mondiale. Approfittando di que­
sta circostanza Weber, tra il settembre e il dicembre del 1904, aveva potuto viaggiare attraverso
gli Stati Uniti.
J T. Vcblen, The Theory o f Business Enterprise, Scribners Sons, N ew York 1904, pp. 391-400.
1 Nella battaglia presso Fontenoy, neìFodicma provincia belga di I lenncgau, durante la guer­
ra di successione austriaca i francesi sotto Moritz von Sachsen sconfissero l’ i l maggio 1745 l’e­
sercito britannico, olandese e austriaco sotto il comando di Wilhelm August von Cutnberland.
I,a frase comunque viene attribuita al lord inglese Charles Play.

108
Il so c ialism o

avrebbe di nuovo creato un sentimento corporativo, un sentimento ari­


stocratico al posto di questa sporca caccia al denaro. L oro vedono che
questa casta giudica l’America proprio come in Germania, secondo quan­
to ne so, viene giudicata spesso l’America: traggano L oro dunque le con­
seguenze di tutto ciò. D a questa casta sono usciti gli uomini dì Stato più
importanti. Q uesta guerra porterà come conseguenza, in America, la na­
scita di uno Stato con un grande esercito, di un corpo di ufficiali e di una
burocrazia. Parlai allora con ufficiali americani i quali si mostravano assai
poco d ’accordo con le pretese della democrazia americana. Una volta, ad
esempio, ero ospite della figlia di un collega mentre la cameriera se ne era
andata; là, infatti, le cameriere possono licenziarsi o essere licenziate con
un preavviso di sole due ore. In quel momento giunsero i due figli, cadet­
ti della marina, e la madre disse loro: «O ra dovete andare fuori a spalare
la neve, altrimenti ciò mi costerà cento dollari di multa al giorno». I figli,
che si erano appena intrattenuti con ufficiali di marina tedeschi, pensaro­
no che questo non si addicesse loro, al che la madre disse: «Se non lo fate
voi, lo dovrò per forza fare io».
Q uesta guerra avrà come conseguenza per l’America lo sviluppo di
una burocrazia e con ciò la possibilità di avanzamento per i circoli uni­
versitari; questo è implicito, ovviamente. In breve, la guerra avrà come
conseguenza una europeizzazionc dell’America in tempi uguali alla co­
siddetta americanizzazione dell’Europa. Ovunque la democrazia moder­
na diventi una grande democrazia statale, diventerà anche una democra­
zia burocratizzata. E così dev’essere; essa infatti sostituisce con una buro­
crazia stipendiata le cariche onorifiche spettanti a nobili e aristocratici. E
questo accade ovunque, anche all’interno dei partiti. Si tratta di qualcosa
di inevitabile con cui, prioritariamente, anche il socialismo dovrà fare i
conti: vale a dire la necessità di una preparazione specialistica pluriennale,
di una specializzazione sempre più accurata c di una direzione basata su
un ceto di funzionari colti di questo tipo. N o n c’è altro m odo per dirige­
re l’economia moderna.
Q uesta inevitabile burocratizzazione universale, però, si nasconde in
particolare dietro ad uno degli slogan socialisti più spesso citati, quello
della «separazione dell’operaio dal mezzo di produzione». Che cosa si­
gnifica? L’operaio sarebbe - così ci viene detto - «separato» dai mezzi ma­
teriali con i quali produce, e in questa separazione consisterebbe la schia­
vitù del salario, nella quale egli si trova. In questo modo ci si rifa al me­
dioevo quando il lavoratore era proprietario degli strumenti tecnici con 1
quali produceva; mentre un moderno operaio salariato ovviamente non lo
è più né può esserlo, tanto nel caso in cui a dirigere la miniera o la fabbri­
ca in questione sia un imprenditore privato, quanto nel caso ìn cui a diri­
gere sìa lo Stato. Si pensa inoltre al fatto che l’artigiano stesso comperava

109
Weber, Scritti p o lìtici

le materie prime cke lavorava, mentre oggi questo non è più il caso dell’o ­
peraio salariato né può esserlo. Corrispondentemente, si pensa che il pro­
dotto nel medioevo, e ancor oggi ovunque sopravviva l’artigianato, stia a
libera disposizione del singolo artigiano, il quale può venderlo sul merca­
to facendolo fruttare per proprio guadagno; prodotto che, nel caso della
grande impresa, non sta a disposizione del lavoratore, bensì di chi possie­
de la proprietà sui mezzi dell’azienda (Betriebsmitteln), di nuovo, sia esso
lo Stato o un imprenditore privato. Tutto ciò è vero, ma si tratta di una
realtà di fatto che non è caratteristica del solo processo economico di pro­
duzione. Della stessa cosa, ad esempio, facciamo esperienza anche nell’u-
niversità. Il vecchio docente e il professore universitario lavoravano con la
biblioteca e con mezzi tecnici che essi stessi si erano procurati o che face­
vano costruire, e con questo producevano - si pensi al chimico, per esem­
pio - il materiale necessario per l’attività scientifica. L a massa dell’odiema
forza lavoro della moderna attività universitaria - in particolare gli assi­
stenti dei grandi istituti - è invece, sotto questo aspetto, esattamente nella
stessa situazione dì un operaio qualsiasi. Può essere licenziata in ogni m o­
mento; non ha nell’ambito degli istituti un diritto diverso da quello del­
l’operaio nell’ambito della fabbrica. C om e gli operai, deve necessariamen­
te comportarsi secondo il regolamento vigente. N o n ha la proprietà dei
materiali o degli apparati, delle macchine e via dicendo che vengono uti­
lizzati in un istituto di chimica o di fisica, in un’aula di anatomia o in una
clinica; tutto ciò piuttosto è proprietà dello Stato, ma viene amministrato
dal direttore deH’istituto che a tal fine riceve un onorario, mentre l’assi­
stente riceve un reddito che non è valutato in modo essenzialmente diver­
so da quello di un operaio specializzato. L a stessa situazione la troviamo
nell’ambito dell’organizzazione militare. Il cavaliere del passato era pro­
prietario del suo cavallo e della sua armatura. Egli doveva equipaggiarsi e
mantenersi. L’ordinamento dell’esercito di un tempo poggiava sul princi­
pio dell’autoequipaggiamento. Tanto nelle città antiche quanto negli eser­
citi di cavalieri medievali bisognava che ognuno fosse in grado di procu­
rarsi da sé la corazza, la lancia e il cavallo, e di portare con sé i viveri ne­
cessari al proprio sostentamento. L’esercito moderno è nato nel momento
in cui si insediò il governo del principe, in cui il soldato e l’ufficiale (que­
st’ultimo è qualcosa di diverso da un impiegato, mentre da un altro punto
di vista c ad esso del tutto assimilabile) non erano più ì proprietari dei
mezzi necessari per l’attività bellica. Su questo si basa la coesione dell’e­
sercito moderno. Per questo non fu possibile ai soldati russi fuggire dalle
trincee, perché esisteva l’apparato del corpo degli ufficiali, dei funzionari
dell’intendenza e di tutti gli altri; e ognuno nell’esercito sapeva che la sua
esistenza, anche il suo nutrimento, dipendeva dal fatto che questo appara­
to funzionasse. Essi erano tutti «separati» dai mezzi di attività bellica, pro­

110
Il so c ia lism o

prio come l’operaio lo è dai mezzi di lavoro. E nella stessa situazione di un


cavaliere si trovava un funzionario dell’età feudale, un vassallo per esem­
pio, che era investito della sovranità amministrativa e giudiziaria. Egli so­
steneva i costi dell’amministrazione e della giurisdizione di tasca propria,
e per questo riscuoteva le tasse. Dunque, era in possesso dei mezzi neces­
sari all’attività amministrativa. Lo Stato moderno sorge quando il princi­
pe avoca a sé queste attività e assolda funzionari attuando con ciò la «se­
parazione» del funzionario dai mezzi di attività {Betriebsmitteln). O vun­
que allora avviene la stessa cosa: i mezzi di produzione all’interno della
fabbrica, nell’amministrazione statale, nell’esercito e negli istituti dell’uni­
versità sono concentrati - per m ezzo di un articolato apparato burocrati­
co - nelle mani dì colui che domina questo apparato di uomini. Tutto ciò
è condizionato da una parte, in modo puramente tecnico, dal tipo dei mo­
derni mezzi di attività: macchine, cannoni e così via; dall’altra, però, è con­
dizionato semplicemente dall’assai più grande capacità di prestazione di
questo tipo di cooperazione umana che si dà attraverso lo sviluppo della
«disciplina», sia essa nell’esercito, nelle cariche, nell’officina e nelle ammi­
nistrazioni. In ogni caso è un grave errore se questa separazione del lavo­
ratore dal m ezzo di produzione viene considerata propria soltanto dell’e­
conomia e peculiarmente dell economia privata. N on cambia assoluta-
mente nulla se sì cambia la persona del capo di quell’apparato, se al verti­
ce viene designato il presidente dello Stato o un ministro al posto di un
produttore privato. La «separazione» dal m ezzo di produzione sussiste in
ogni caso. Finché ci saranno miniere, altoforni, ferrovie, fabbriche c mac­
chine, non ci sarà mai proprietà di un singolo o più lavoratori nel senso in
cui i m ezzi di produzione di un artigiano nel medioevo erano proprietà di
un singolo capo di corporazione o di una associazione artigiana locale o di
una corporazione. Q uesto è escluso dalla natura della tecnica odierna.
O ra, di fronte a tutto questo, che cosa significa socialismo? C om e già
accennato, la parola ha più significati. Ma il contrario del socialismo, al
quale di solito si pensa, è l’ordinamento economico privato, cioè una si­
tuazione nella quale l’approvvigionamento del fabbisogno sta nelle mani
di imprenditori privati. C iò avviene quando gli imprenditori si procura­
no attraverso contratti di acquisto c di lavoro i mezzi materiali di produ­
zione (Betriebsmittel), e cioè gli impiegati e la forza lavoro, a cui essi fan­
no produrre, a proprio rischio c in previsione di un guadagno, i beni che
vendono sul mercato.
L a teoria socialista ha bollato questo ordinamento economico privato
con lo slogan «anarchia della produzione», in quanto esso lega all’interes­
se dei singoli imprenditori sulla vendita dei loro prodotti - e cioè all’inte­
resse di fare guadagno —la garanzia dell’approvvigionamento di quelli che
abbisognano di questi beni.

Ili
Weber, Scritti p olitici

O ra, la questione dì quanta parte del fabbisogno venga assicurata al­


l’interno di una società in m odo conforme all’impresa, dunque a livello di
economia privata, e di che quota, invece, non venga coperta a livello di
economia privata, bensì - nel senso amplissimo della parola - socialistica-
mcnte, e cioè attraverso un’economia pianificata, ebbene, tale questione è
storicamente cambiata.
N el medioevo, per esempio, repubbliche come Genova hanno lascia­
to condurre le proprie grandi guerre coloniali contro Cipro attraverso so­
cietà in accomandita per azioni, le cosiddette M aone. Esse raccoglievano
il denaro necessario, assoldavano i mercenari, conquistavano il territorio,
ottenevano la protezione della repubblica e sfruttavano il territorio ov­
viamente per i loro scopi come terreno di piantagione oppure come re­
gione da tassare. Similmente la Com pagnia delle Indie Orientali ha con­
quistato l’India per l’Inghilterra e l’ha sfruttata per sé. Il condottiero del­
la tarda epoca rinascimentale italiana apparteneva alla medesima catego­
ria. Egli arruolava - proprio come fece l’ultimo di loro, Wallenstein - l’e­
sercito a suo nome c con i suoi mezzi, ma nelle sue tasche finiva anche una
parte del bottino che faceva l’esercito, e naturalmente egli si curava che il
principe, il re o l’imperatore gli versassero una determinata somma come
compenso per la sua prestazione e a copertura dei suoi costi. In m odo un
p o ’ meno indipendente anche il colonnello, nel X V III secolo, era un im­
prenditore che dal canto suo doveva arruolare le reclute c fornire loro il
vestiario; certo, in parte era dipendente dai magazzini del principe, ma
trafficava sempre ampiamente a suo pericolo e per il proprio guadagno.
Dunque la conduzione economica privata della guerra era ritenuta del
tutto normale, cosa che a noi oggi sembrerebbe mostruosa.
D ’altra parte, nessuna città medievale o corporazione avrebbe mai ri­
tenuto possibile che fosse lasciato semplicemente al libero commercio
l’approvvigionamento dei cereali della città o l’approvvigionamento della
corporazione con le materie prime necessarie da importare per il lavoro
dei suoi maestri artigiani. A partire dall’antichità, invece, in notevole mi­
sura a Roma, e per tutto il medioevo fu la città a doversi occupare di tut­
to questo, mentre il libero commercio altro non era che un’integrazione.
A ll’incirca come avviene oggi nei periodi dì economia dì guerra, nei qua­
li si assiste ad una collaborazione, ad una «statalizzazione»6, come si dice,
di ampi rami dell’economia.
C iò che è peculiare della situazione odierna c che l’economìa privata,
legata ad un’organizzazione burocratica di tipo privato —e dunque alla se-

‘ J. Plcnge col suo scritto Die Geburl der Vemnnfl, Springer, Berim 1918, era il sostenitore
principale dell’idea, di un’ampia guida statale burocratica dell’economia c della politica sociale nel
Reich tedesco. A proposito del concetto di Dit rehstaatlich ung PIerige si riferiva al libro del so­
cialista austriaco K. Renner Marxisrnus, Kneg und Internationale, Dietz, Stuttgart 1917.

112
11 so c ialism o

par azione del lavoratore dai mezzi di produzione -, domina un settore


che mai nel corso della storia mondiale ha riunito insieme due caratteri­
stiche di questo tipo: la produzione industriale, e il fatto che questo pro­
cesso si dia insieme all’imporsi della produzione meccanica all’interno
della fabbrica, dunque con il disporre nello stesso luogo di forze lavorati­
ve legate alla macchina e comune disciplina di lavoro all’interno della sala
macchine o della miniera. Solo la disciplina dà al m odo odierno della «se­
parazione» del lavoratore dai mezzi di produzione la sua caratteristica
specifica.
D a questa condizione di vita, a partire dalla disciplina di fabbrica è na­
to il moderno socialismo. Ovunque, in tutti i tempi e m tutti i paesi della
terra, c ’è stato un socialismo dalle tipologie più diverse. Il socialismo mo­
derno invece nella sua peculiarità è possibile solo su questo terreno.
Q uesto assoggettamento alla disciplina di lavoro è assai sentito dagli
operai dell’industria, perché la moderna impresa industriale - al contrario
di una piantagione di schiavi o di una corte, ad esempio, dove si lavora in
regime tributario - si fonda su di un processo di selezione eccezional­
mente severo. U n industriale odierno non assume un lavoratore qualsiasi
solo perché disposto a lavorare per un salario basso. Piuttosto egli manda
l’uom o alla macchina in base ad un accordo a cottimo e dice: «Lavora,
adesso, vedrò quanto guadagni»; e se l’uom o non si mostra capace di gua­
dagnare un determinato salario minimo, allora gli viene detto: «C i dispia­
ce, Lei non è portato per questo mestiere, noi non abbiamo bisogno di
Lei». Egli viene scartato perché la macchina non viene sfruttata in modo
adeguato, se a manovrarla c’è un uomo che non sa come utilizzarla pie­
namente. O vunque le cose vanno così o in m odo simile. Ogni moderna
impresa industriale - al contrario di ogni impresa schiavistica dell’anti­
chità in cui il signore era legato agli schiavi che possedeva, e dove la mor­
te di uno di questi costituiva una perdita di capitale per il signore —pog­
gia su questo principio della selezione. D ’altro lato, questa selezione vie­
ne esasperata all’estremo dalla concorrenza che gli imprenditori si fanno
tra loro, la quale vincola il singolo imprenditore a determinati massi mi sa­
lariali: l’obbligatorietà della disciplina corrisponde in questo m odo all’ob­
bligatorietà del guadagno dell’operaio.
Se oggi il lavoratore va dall’imprenditore c gli dice: «C o n questi salari
non possiam o vivere, e tu potresti pagarci di più», allora l’imprenditore in
nove casi su dieci —beninteso, in tempo di pace e nei settori in cui davve­
ro ci sia una concorrenza spietata - è nella condizione di documentare ai
lavoratori a partire dai suoi libri che quanto asseriscono non è esatto e che
la concorrenza paga questi e questi salari. «Se io vi pagassi a testa solo un
p o ’ di più, allora dai miei libri scomparirebbe qualsiasi guadagno da ver­
sare agli azionisti; non potrei più mandare avanti l’azienda, poiché non ri­

113
W eber, Scritti p o litic i

ceverei più crediti dalla banca». Dicendo questo egli spesso dice solo la
nuda verità. A ciò si aggiunga infine che - sotto la pressione della con­
correnza, dipendendo la redditività dal fatto che il lavoro umano e in m o­
do particolare quello specializzato e meglio pagato, dunque più costoso
per l’impresa, debba venir eliminato per far posto a macchine più econo­
miche - i lavoratori «specializzati» verranno sostituiti da lavoratori «non
specializzati» oppure da lavoratori «addestrati» al momento sulla macchi­
na. Q uesto è inevitabile e si verifica di continuo.
Tutto questo è ciò che il socialismo chiama «dom inio delle cose sul­
l’uom o», ovvero: dei m ezzi sullo scopo (la copertura del fabbisogno).
Esso constata che, mentre nel passato singole persone si potevano rende­
re responsabili del destino del cliente, del servo o dello schiavo, oggi ciò
non è più possibile. Per questo esso non si volge contro persone, ma con­
tro l’ordine della produzione in quanto tale. O gni socialista educato
scientificamente si rifiuterà incondizionatamente di rendere responsabi­
le un singolo imprenditore del destino che si sta preparando al lavorato­
re, e dirà: «Q uesto è proprio del sistema, della condizione di costrizione
nella quale si trovano tutti coloro che vi prendono parte, l’imprenditore
come l’operaio».
Ma ora, in positivo, che cosa sarebbe il socialismo in opposizione a
questo sistema? N el senso più ampio della parola, ciò che si usa definire
come «economia collettivistica». U n ’economia dunque nella quale man­
cherebbe innanzitutto il profitto, la situazione cioè in cui gli imprendito­
ri privati dirigono la produzione a proprio vantaggio e a loro rischio. D i­
versamente da ciò, la produzione sarebbe nelle mani dì impiegati dì un’u­
nione popolare la quale ne assumerebbe la gestione secondo modalità di
cui dirò fra poco. In secondo luogo, verrebbe meno conseguentemente la
cosiddetta anarchia della produzione, cioè la concorrenza fra imprendito­
ri. In questo momento, soprattutto in Germania, si parla molto di tali
questioni, e si asserisce che, di fatto, in conseguenza della guerra ci si tro­
va già nel m ezzo dello sviluppo di tale «economia collettivistica»7. In me­
rito a ciò, vorrei richiamare brevemente l’attenzione sul fatto che un’eco­
nomia di un singolo popolo organizzata in questo m odo potrebbe porre
a fondamento due principi in lìnea di principio diversi. Innanzitutto quel­
lo che oggi si designa come «statalizzazione», nota a tutti ì signori che la­
vorano in imprese belliche. Essa si fonda sulla cooperazione tra un setto­
re associato dell’industria e funzionari statali, siano essi militari o civili. La
fornitura di materie prime, i crediti, i prezzi, la clientela possono essere re­
golati in forma ampiamente pianificata, e si può addirittura verificare una

7 Un simile concetto di una Gsmein'wiruchaft tedesca fu sostenuto durante la guerra in par­


ticolare da W. von Moellcndorff.

114
Il so cialism o

partecipazione dello Stato al profitto e alle decisioni di questi sindacati


(Syndikate). Si è detraw iso, in questo caso, che l’imprenditore sia con­
trollato dai funzionari e che la produzione sia dominata dallo Stato. Si sa­
rebbe già al «vero», «autentico» socialismo, oppure si sarebbe sulla via che
porta ad esso. In Germania però esiste contro questa teoria un diffuso
scetticismo. N on voglio soffermarmi su come stiano le cose durante la
guerra. M a chiunque sappia far di conto sa che in periodo di pace non si
potrebbe condurre ulteriormente l’economia così come si fa ora, a meno
che non si voglia andare incontro alla rovina; e sa anche che, sempre in pe­
riodo di pace, una tale statalizzazione, cioè una cartel lizzaz io ne coatta de­
gli imprenditori di ogni settore e la partecipazione dello Stato a questi car­
telli con una quota dei profitti —in cambio della concessione di un ampio
diritto di controllo - non significherebbe, in realtà, il dominio sull’indu­
stria da parte dello Stato, bensì il dominio sullo Stato da parte dell’indu-
stria. E inoltre in un m odo molto spiacevole. A ll’interno dei sindacati
(Syndikate), Ì rappresentanti dello Stato sederebbero allo stesso tavolo
con i padroni delle fabbriche, i quali sarebbero di gran lunga superiori a
loro per quanto riguarda la conoscenza settoriale, l’addestramento com­
merciale e la capacità di perseguire l’interesse personale. All’interno del
parlamento sederebbero certo i rappresentanti degli operai che chiedereb­
bero ai rappresentanti dello Stato di ottenere da un lato salari più alti e
dall’altro prezzi più bassi. I rappresentanti degli operai, a questo punto,
direbbero ai rappresentanti dello Stato: «In effetti, voi avreste la forza per
farlo». D ’altro lato però, per non rovinare le proprie finanze, lo Stato -
partecipe ai profitti e alle perdite di un tale sindacato (Syndikates) - sa­
rebbe naturalmente interessato a fissare prezzi alti e salari bassi. E , infine,
i membri privati dei sindacati (Syndikate) sì aspetterebbero che lo Stato
garantisse la redditività delle loro imprese. Agli occhi degli operai un tale
Stato apparirebbe, nel senso più autentico della parola, uno Stato classista
e dubito che questo sia politicamente auspicabile; ancor più però dubito
che si agirebbe in m odo assennato presentando questa situazione agli ope­
rai come l ’autentica mente «vero» socialismo, cosa che certo seduce come
fosse evidente. Gli operai, infatti, capirebbero molto presto che il destino
di chi lavora in una miniera non cambia in alcun modo se questa miniera
è privata o statale. N ei pozzi carboniferi della Saar la vita di un operaio è
del tutto uguale a quella che si vive in una miniera di carbone privata: se
la miniera di carbone è diretta male, se non rende cioè quanto dovrebbe,
le cose vanno male anche per chi vi lavora. Ma la differenza è che contro
lo Stato non è possibile alcuno sciopero, e dunque la dipendenza del la­
voratore in questo genere di socialismo di Stato aumenterebbe in m odo
essenziale. Q uesto è uno dei motivi per i quali la Socialdemocrazia rifiu­
ta in genere questa «statalizzazione» dell’economìa, questa forma di so-

115
W eber, Scritti p olitici

datismo. L a statalizzazione non sarebbe che una comunità di cartelli. A


restare determinante sarebbe ancora il profitto. La domanda circa il gua­
dagno dei singoli imprenditori riuniti nel cartello, dei quali adesso uno è
diventato il fisco, resta determinante per comprendere la direzione in cui
viene condotta l’economia. E il lato penoso consisterebbe nel fatto che
mentre ora la burocrazia politica statale e quella economica privata (Ì car­
telli, le banche, le grandi imprese) stanno una accanto all’altra come corpi
separati - e in questo m odo è pur sempre possibile frenare la violenza eco­
nomica con quella politica - , con l’altro sistema entrambe le burocrazie
diverrebbero un corpo solo con interessi solidali e per nulla controllabili.
In ogni caso però il profitto come indicatore della produzione non sareb­
be messo da parte. L o Stato però dovrebbe sopportare quell’odio che og­
gi i lavoratori rivolgono agli imprenditori.
Il rimedio in linea di principio potrebbe essere rappresentato, in ulti­
ma analisi, solo da qualcosa come un’organizzazione di consumatori la
quale si chiedesse: quali bisogni devono essere coperti nell’ambito di que­
sto settore economico statale? L oro sanno bene che numerose Unioni di
Consum o, soprattutto in Belgio, sono passate a fondare fabbriche p ro ­
prie. Ci si immagini se tutto questo fosse generalizzato e posto nelle ma­
ni di un’organizzazione statale; saremmo di fronte ad un tipo di sociali­
smo radicalmente diverso: vale a dire, ad un socialismo di consumatori, di
cui però oggi non si sa dove si potrebbero reclutare i dirigenti, e neppure
se ci sono gli interessati a farlo essere. I consumatori in quanto tali, infat­
ti, secondo esperienza, mostrano modeste capacità organizzative. E m ol­
to facile mettere insieme gente che ha un determinato interesse al guada­
gno, se le si mostra che in questo modo ottiene un profitto, oppure se le
si garantisce una rendita; su questo sì fonda la possibilità di creare un so­
cialismo di imprenditori come lo concepisce la «statalizzazione». È inve­
ce eccezionalmente difficile mettere insieme gente che non ha in comune
nient’altro che il fatto di voler spendere o procurarsi il necessario per vi­
vere, perché la condizione del compratore è un ostacolo sulla via della so­
cializzazione; di questi tempi, persino la fame, almeno in Germania, non
è riuscita ad indurre - oppure c’è riuscita soltanto dopo molte difficoltà -
le casalinghe della massa delta popolazione ad accettare il cibo della cuci­
na di guerra - da tutti considerato squisito e saporito; le casalinghe prefe­
rivano la loro dilettantesca cucina privata, pur essendo la cucina di guerra
di gran lunga più economica.
Premesso questo, passo finalmente a trattare il tipo di socialismo con
il quale oggi i partiti di massa socialisti, c cioè i partiti socialdemocratici,
sono legati in m odo programmatico. Il documento fondamentale di que­
sto socialismo è il Manifesto comunista dell’anno 1847, pubblicato c dif­
fuso nel gennaio 1848 da Karl Marx e Friedrich Engels. Q uesto docu­

116
Il so cialism o

mento nel suo genere, sebbene noi ne rifiutiamo le tesi decisive (o, alme­
no, sebbene io le rifiuti), è una prestazione scientifica di alto rango. Q ue­
sto è innegabile, e non può neppure essere negato, perché nessuno dareb­
be ascolto ad una confutazione di questo tipo e perché non lo si potreb­
be confutare con la coscienza tranquilla. Proprio nelle tesi, che noi oggi
rifiutiamo, c’è un errore geniale, che politicamente ha avuto effetti molto
ampi e forse non sempre piacevoli, ma che ha portato alla scienza conse­
guenze molto fruttuose, certamente più fruttuose di quante ne porta una
spesso ottusa rettitudine. Del Manifesto comunista è da dire fin dal prin­
cipio che si astiene, almeno nell’intenzione, non sempre tuttavia nell’ese­
cuzione, dal moralizzare. Agli autori del Manifesto comunista non viene
certo in mente, per lo meno se restiamo alle loro affermazioni —in realtà
essi erano uomini m olto passionali che non sono riusciti a rimanere fede­
li a questa loro dichiarazione d’intenti —di gridare contro la malvagità c la
bassezza del mondo. Inoltre non sono dell’opinione che sia loro compito
dire che questo o quello nel m ondo è organizzato in modo tale, ma che
dovrebbe essere organizzato altrimenti, e cioè in questa e quest’altra ma­
niera. Al contrario, il Manifesto comunista è un documento profetico;
profetizza il tramonto dell’organizzazione economica privata o, come si
dice, dell’organizzazione capitalistica della società e profetizza la sostitu­
zione di questa società - come stadio di passaggio - con la dittatura del
proletariato. Dietro questa fase di transizione si cela però l’autentica spe­
ranza finale: il proletariato non può liberarsi dalla schiavitù senza fare fi­
nire ogni dom inio dell’uom o sull’uomo. Q uesta è l’autentica profezia, il
nucleo centrale del Manifesto, senza il quale esso non sarebbe mai stato
scritto e senza il quale non avrebbe mai conseguito la sua grande efficacia
storica. C om e si avvera questa profezia? Q uesto è espresso in un punto
fondamentale del Manifesto: il proletariato, la massa degli operai attraver­
so i suoi dirigenti si impadronirà innanzitutto della potenza politica. Ma
questa è una fase di passaggio che condurrà ad una «associazione di indi­
vidui», come si dice, che è la fase finale del socialismo.
Su come apparirà questa associazione, il Manifesto comunista tace, e
tacciono anche i programmi di tutti i partiti socialisti. C i viene detto che
questo non si può sapere. Si può dire soltanto che la società odierna è con­
dannata al tramonto; essa tramonterà in virtù di una legge naturale e sarà
dissolta, innanzitutto, attraverso la dittatura del proletariato. Ma su ciò
che avverrà poi, non è possibile prevedere nulla, se non la cessazione del
dominio dell’uom o sull’uomo.
O ra, quali motivi vengono addotti per l’inevitabile tramonto per leg­
ge naturale della società presente? E sso infatti si attua rigidamente attra­
verso una legge naturale. Fu questo il secondo principio fondamentale di
questa patetica profezia che le fece guadagnare la fede giubilante delle

117
W eber, Scritti p olitici

masse. Engels usa in un passo questa immagine: come quando la terra col­
lasserà nel sole, così questa società capitalistica è condannata al tramonto.
Quali motivi vengono addotti a ciò?
Il primo è che una classe sociale come la borghesia, costituita in prima
istanza dagli imprenditori e da tutti coloro che vivono direttamente o in­
direttamente in una comunità di interessi con loro, una tale classe dom i­
nante può affermare il suo dominio soltanto se può garantire alla classe
sottomessa, vale a dire gli operai stipendiati, almeno la nuda esistenza.
Q uesto era il caso della schiavitù, pensano gii autori, come anche duran­
te l’ordinamento feudale, e così via. Allora la gente aveva per lo meno la
nuda esistenza assicurata, e per questa ragione il potere potè reggersi. La
moderna borghesia, però, non può fare questo. E non può perché la con­
correnza degli imprenditori la costringe continuamente ad offrire la pro­
pria merce ad un prezzo inferiore e a buttare sul lastrico, lasciandoli sen­
za pane, sempre più operai a causa della costruzione di nuove macchine.
L a borghesia deve avere a disposizione un ampio strato di disoccupati —
la cosiddetta «armata di riserva industriale» - , dalla quale poter seleziona­
re all’occorrenza e a piacere gli operai appropriati per le sue imprese; e
questo strato è creato dalla crescente automazione delle macchine. La
conseguenza, però, - così credeva il Manifesto comunista —è che com pa­
re una classe sempre più grande di disoccupati permanenti, di paupers, che
offre il suo lavoro in cambio di un salario sempre più basso, in m odo ta­
le che lo strato proletario non ha più garantita, da questo ordinamento so ­
ciale, nemmeno la nuda esistenza. D ove si verifica ciò una società non può
stare in piedi, prima o poi cioè crollerà nel corso di una rivoluzione.
Questa cosiddetta teoria detl’impoverimento, in questa forma, è oggi
esplicitamente rigettata in quanto errata da tutti gli strati, senza eccezione,
della Socialdemocrazia. In occasione del giubileo della pubblicazione del
Manifesto comunista è stato esplicitamente ammesso dal suo editore Karl
Kautsky che lo sviluppo della storia ha percorso un’altra strada e non que­
sta. La tesi, tuttavia, viene mantenuta in un’altra forma e interpretata in
maniera diversa; anch’essa però, lo dico per inciso, non è immune da con­
testazioni, pur non presentando più il precedente carattere patetico. Ma,
comunque sia, su che cosa si fondano le possibilità di riuscita della rivolu­
zione? Essa non potrebbe essere condannata ad un nuovo insuccesso?
E con questo giungiamo al secondo argomento: la concorrenza degù
imprenditori significa la vittoria del più forte, sia per la disponibilità del
capitale sia per le capacità commerciali, ma soprattutto per la disponibi­
lità del capitale. Q uesto porterà ad un numero sempre più piccolo di im­
prenditori: i più deboli, infatti, verranno eliminati. Q uanto più piccolo di­
venta il numero degli imprenditori, tanto più grande diventa, in senso re­
lativo ed assoluto, il numero dei proletari. Prima o poi però il numero di

JIS
Il so c ia lism o

questi imprenditori si contrarrà in maniera tale che sarà impossibile per


loro salvaguardare il potere; e allora probabilmente si potrà togliere a que­
sti «espropriatoti» in m odo del tutto pacifico e con ogni gentilezza - me­
glio: in cambio di un vitalizio - i loro beni, perché essi stessi comprende­
ranno che il terreno sotto Ì loro piedi è diventato bollente, e che ormai so­
no cosi pochi da non poter più conservare il loro potere.
Q uesta tesi viene sostenuta anche oggi pur in forma modificata. Si c
però mostrato che essa, oggi almeno, non è valida in linea generale in nes­
suna forma. Innanzitutto, non è valida per l'agricoltura, dove al contrario
è iniziata una forte crescita del ceto contadino. E, inoltre, questa tesi si
m ostra magari non sbagliata, ma diversa nelle sue conseguenze rispetto
alle aspettative, per ampi rami dell’industria in cui si m ostra che il sem­
plice ridursi degli imprenditori ad un più piccolo numero non esaurisce il
processo. L’eliminazione dei deboli dai punto di vista del capitale si attua
nella forma della loro sottomissione al capitale finanziario, alle organiz­
zazioni di cartelli o di trust. Fenom eno concomitante di questi processi
molto complessi, invece, è innanzitutto la rapida crescita degli «impiega­
ti», vale a dire della burocrazia economica privata - statisticamente essa
cresce molto più velocemente degli operai - i cui interessi non stanno cer­
to in m odo univoco dalla parte della dittatura del proletariato. M a allora
la creazione a livelli diversi di partecipazioni molteplici agli interessi ap­
pare cosi complessa che al momento non si può certo affermare che il nu­
mero e la potenza degli interessati diretti o indiretti aH’ordinc borghese
siano in calo. In ogni caso, le cose non stanno per ora in m odo tale da po­
ter assicurare che in futuro solo una mezza dozzina o un paio di centinaia
o migliaia di magnati del capitale si contrapporranno isolati a milioni c
milioni di proletari.
Il terzo punto, infine, si basava sugli effetti della crisi. Poiché gli im­
prenditori sono in spietata concorrenza fra loro - e su tale questione c’è
un importante, ma complicato confronto negli scritti socialisti classici che
devo in questa sede risparmiare L oro - la conseguenza inevitabile sareb­
be quella per cui si riproducono continuamente momenti di sovrappro­
duzione seguiti da bancarotte, crolli e dalle cosiddette «depressioni».
Q uesti momenti - nel Manifesto comunista Marx 3’ha solo accennato, ma
più tardi questo accenno è diventato una teoria ampliata minuziosamen­
te —si susseguono regolarmente in una fissa periodicità. In effetti, duran­
te quasi un secolo c’è stata una approssimativa periodicità di tali crisi. G li
stessi primi specialisti della nostra materia non sono ancora del tutto d ’ac­
cordo per quel che riguarda l’origine di questo fenomeno, pertanto non
vale la pena di discuterne qui.
Su queste crisi il socialismo classico ha costruito la sua speranza. So­
prattutto sul fatto che queste crisi dovessero crescere, per legge naturale,

119
W eber, Scritti po litici

in intensità e in violenza distruttiva provocando così un inquietante um o­


re rivoluzionario, e che quindi prima o poi, aumentando di numero e
moltiplicandosi, si creerebbero le condizioni perché il mantenimento di
questo ordine economico, all’interno degli stessi ambiti non proletari,
non sarebbe più possibile.
Questa speranza oggi è stata essenzialmente abbandonata. Infatti il pe­
ricolo di crisi certo non è scomparso del tutto, ma si è relativamente ridot­
to da quando gli imprenditori sono passati da una concorrenza spietata al­
la cartellizzazione; da quando cioè hanno optato di ridurre decisamente la
concorrenza attraverso la regolamentazione dei prezzi c della vendita e, inol­
tre, da quando le grandi banche - ad esempio la banca tedesca del Reicb - si
sono mosse, attraverso la regolamentazione della concessione dei crediti,
affinché anche i periodi di sovraspeculazione fossero meno frequenti che
in passato. Sebbene non si possa dire che «non sì sia dimostrata», anche
questa terza speranza del Manifesto comunista e dei suoi seguaci rispetto
alle sue ipotesi si è certamente assai dilatata nel tempo.
Le tanto patetiche speranze riposte dal Manifesto comunista nel crol­
lo della società borghese, sono state sostituite da aspettative assai più so­
brie. A queste appartiene innanzitutto la teoria che il socialismo giunga da
sé attraverso la via dell’evoluzione, dato che la produzione economica si
«socializza» in m odo crescente. C on ciò si vuol dire che al posto della per­
sona del singolo imprenditore ci sarà la società per azioni con gli impie­
gati come dirìgenti, che verranno fondate imprese di Stato, comunali e im­
prese di carattere consorziale, le quali non poggeranno più sul rischio e
sul profitto di un singolo o, in generale, dì un imprenditore privato, come
avveniva prima. C iò è senz’altro vero, anche se si deve necessariamente
aggiungere che dietro alla società per azioni molto spesso si nascondono
uno o più magnati della finanza che dominano l’assemblea generale; ogni
azionista sa di ricevere, prima dell’assemblea generale, una lettera della sua
banca in cui lo si prega, nel caso in cui non voglia andare e votare, di de­
legare alla banca stessa il diritto di voto delle azioni, cosa che per lui di
fronte a un capitale di milioni di corone non ha alcuna importanza. So­
prattutto però questo sistema di socializzazione significa da un lato un in­
cremento del ceto burocratico, e cioè degli impiegati specializzati sia dal
punto di vista commerciale sia da quello tecnico; d ’altro fato però un in­
cremento del ceto di coloro che risultano titolari di una rendita, dello
strato dunque che incamera solo dividendi ed interessi, senza corrispon­
dere in cambio, come l’imprenditore, un lavoro intellettuale, ma che - per
tutelare i redditi legati alla rendita - è impegnato a sostenere l’ordina­
mento capitalistico. Nelle aziende pubbliche e in quelle di tipo consor­
ziale però domina legìttimamente c in maniera esclusiva soltanto ii fu n ­
zionario, non l’operaio, il quale, in questa situazione, riesce certo assai più

120
Il so c ia lism o

difficilmente che contro l’imprenditore privato ad ottenere qualcosa. È la


dittatura del funzionario e non dell’operaio ad avanzare, anche se in ma­
niera provvisoria.
L a seconda tesi si fonda sulla speranza che il macchinismo, sostituen­
do con operai non specializzati il vecchio ceto degli specializzati - e cioè
l’artigiano c gli operai altamente qualificati, che formavano i vecchi sinda­
cati inglesi, le Trade Unions - rendendo chiunque capace di lavorare su
qualunque macchina, provocherà una unità della classe operaia tale da ri­
solvere la vecchia divisione in diverse professioni, così che la coscienza di
questa unità diverrebbe potentissima e tornerebbe a profitto della lotta
contro la classe dei possidenti. L a risposta a questa teoria non è del tutto
unitaria. È senz’altro vero che la macchina tende a sostituire in misura no­
tevole proprio i lavoratori meglio retribuiti e specializzati, e questo per­
ché, com ’è ovvio, ogni industria cerca di introdurre quelle macchine che
sostituiscano i lavoratori più difficilmente reperibili. A ll’interno dell’in­
dustria odierna, sono i cosiddetti operai «addestrati» a rappresentare lo
strato più in crescita, non cioè gli operai specializzati istruiti nel vecchio
modo, vale a dire attraverso un corso particolare, bensì quegli operai che
vengono posti immediatamente e addestrati sulla macchina. Anch’essi
tuttavia sono pur sempre, in ampia misura, degli specialisti. A d esempio,
affinché un tessitore addestrato raggiunga il massimo grado di qualifica­
zione, affinehé riesca cioè a sfruttare la macchina al massimo grado nel­
l’interesse dell’imprenditore e a guadagnare egli stesso il salario massimo,
passano pur sempre alcuni anni. Certo, nel caso di altre categorie di ope­
rai il normale periodo di addestramento è essenzialmente inferiore rispet­
to alla categoria qui considerata. Tuttavia la crescita degli operai addestra­
ti significa pur sempre un sensibile indebolimento, anche se non un vero
e proprio accantonamento, della specializzazione del lavoro. E, dall’altra
parte, cresce la specializzazione del lavoro e la necessità dell’addestra­
mento tecnico in tutti quegli strati all’interno della produzione che stan­
no a l di sopra dello strato degli operai, fino ai caporeparto e al capoffici­
na, e cresce al tempo stesso il numero relativo delle persone appartenenti
a questo strato. E vero che anche loro sono «schiavi del salario», ma per
lo più non percepiscono il salario a cottimo o a settimana, bensì lo sti­
pendio fisso. E naturale, innanzitutto, che l’operaio odi il capofficina, che
10 rimprovera continuamente, molto più di quanto odi il proprietario del­
la fabbrica, e che odi quest’ultimo più dell’azionista, sebbene l’azionista
sìa in realtà colui che percepisce un guadagno senza lavorare, mentre il
proprietario della fabbrica deve fare un lavoro intellettuale molto duro, e
pur essendo il capofficina in realtà quello di gran lunga più simile all’ope­
raio, Q uesta situazione si ripresenta anche presso i militari: in generale; è
11 caporale che attira su di se le più forti antipatie, o per lo meno - per quel

121
_______________________________ Weber, Scritti p o l i t ic i_______________________________

che ho potuto osservare - è colui che dà adito al manifestarsi di queste an­


tipatie. In ogni caso, lo sviluppo dell’intcra stratificazione è assai lontano
dall’essere univocamente proletaria.
E infine si fa ricorso all’argomento della standardizzazione crescente,
cioè della parificazione della produzione. O vunque tutto sembra proce­
dere - e la guerra favorisce immensamente questa tendenza - verso una
sempre più grande uniformità e intercambiabilità dei prodotti e ad una
sempre più diffusa strutturazione delle aziende. Solo nello strato più alto
degli imprenditori, ma anche qui la tendenza è costantemente in calo,
sembra dominare ancora il vecchio libero spirito pionieristico dell’im­
prenditorialità borghese del passato. In conseguenza cresce costantemen­
te - così viene ulteriormente argomentato - la possibilità di dirigere que­
sta produzione anche senza possedere quelle specifiche qualità imprendi­
toriali, che la società borghese reputa necessarie per l’impresa. C iò vale
soprattutto per i cartelli e per i trust che hanno inserito un numero im po­
nente di funzionari al posto dei singoli imprenditori. Anche questo è del
tutto corretto. Ma di nuovo soltanto con la solita riserva che anche attra­
verso questa standardizzazione viene favorito uno strato, quello dei fun­
zionari già spesso menzionato, il quale deve per forza essere form ato in
una maniera determinata, e che perciò - questo è da aggiungere unica­
mente a complemento - ha un carattere corporativo ben determinato.
N o n è un caso che vediamo dappertutto spuntare come funghi le scuole
superiori di commercio, le scuole professionali, le scuole tecniche specia­
lizzate. In questo gioca, per lo meno in Germania, il desiderio di entrare
tramite queste scuole in un’associazione studentesca, di farsi sfregiare il
volto, di diventare capaci di dare soddisfazione in un duello e con ciò di
rendersi degni di essere nominati ufficiali della riserva; oltre a ciò, si ha il
beneficio di avere nell’ufficio commerciale un titolo di preferenza per la
mano della figlia del principale, per assimilarsi, cioè, agli strati della co­
siddetta «società». Niente c più lontano per questo strato della solidarietà
con il proletariato, dal quale anzi tende a differenziarsi in maniera sempre
più netta. In misura più o meno ampia, ma tuttavia visibile, la stessa cosa
vale, anche per molti strati inferiori di impiegati. Tutti tendono a qualità
corporative per lo meno simili, sia per sé che per i propri figli. N on si può
oggi affermare che ci sia una tendenza unìvoca alla proletarizzazione.
In ogni caso, questi argomenti indicano che la vecchia speranza rivo­
luzionaria di una catastrofe, che diede al Manifesto comunista il suo entu­
siasmante potere, ha fatto posto ad una concezione evoluzionistica, ad
una concezione cioè del crescere graduale della vecchia economia con i
suoi numerosi imprenditori concorrenti in un’economia regolata o da
funzionari dello Stato o da cartelli con la partecipazione di funzionari.
Q uesta economia, e non più quella dei singoli imprenditori che si annicn-

122
Il so cialism o

tano a vicenda a causa della concorrenza e delle crisi, sembra attualmente


il prim o stadio dell’autentica società socialista, libera dal dominio dell’uo­
m o sull’uom o. Q uesto clima evoluzionistico, che da questa lenta trasfor­
mazione si attende lo sviluppo verso la società socialista del futuro, si era
davvero im posto prima della guerra nelle considerazioni dei sindacati e
anche in molti intellettuali socialisti scalzando la vecchia teoria della cata­
strofe. D a ciò sono state tratte le note conseguenze. Sorse il cosiddetto
«revisionism o». I suoi dirigenti erano, almeno in parte, consapevoli di
quanto fosse grave togliere alle masse quella fede nell’avvento improvvi­
so di un futuro felice, il quale dispensava un vangelo che diceva alle mas­
se com e agli antichi cristiani: «Q uesta notte stessa può venire la salvezza».
Si può certo rinnegare una professione di fede come lo era il Manifesto co­
munista e la successiva teoria della catastrofe, ma è poi difficile sostituirla
con un’altra. Intanto, lo sviluppo della situazione da un bel pezzo ha ol­
trepassato questo confronto sulla disputa sorta nei confronti della vecchia
ortodossia a partire dallo scrupolo di coscienza contro la fede ortodossa.
Q uesto conflitto si confonde con la domanda: se e fino a che punto la So­
cialdemocrazia in quanto partito debba esercitare la «politica pratica», nel
senso di poter far coalizioni con i partiti borghesi, di prendere parte alla
direzione politicamente responsabile attraverso l’assunzione di posti di
ministro al fine dì migliorare l’odierna condizione di vita dei lavoratori;
oppure se questo sia un «tradimento della classe» e un’eresia politica, co­
me ovviamente dovrebbe considerarlo il convinto politico catastrofista.
M a nel frattempo sono affiorate altre domande di principio e su queste si
dividono gli animi. Supponiamo, per una volta, che sulla via di una gra­
duale evoluzione, dunque sulla via della generale cartellizzazione, stan­
dardizzazione e burocratizzazione, l’economia assuma una forma tale a
seguito della quale, prima o poi, ci sia la possibilità tecnica di soppiantare
l’attuale economia privata imprenditoriale, e la proprietà privata dei m ez­
zi di produzione, con una regolamentazione che elimini del tutto l’im­
prenditore. C hi dovrebbe allora assumere questa nuova economia e co­
mandarla? Su questo punto il Manifesto comunista non ha detto nulla o
meglio si è espresso in modo assai ambiguo.
C om e dovrà essere quell’«associazione» di cui si parla? In particolare,
che cosa ha il socialismo da dare per quanto riguarda le cellule germinali
di tali organizzazioni, nel caso in cui si aprisse davvero la possibilità di
conquistare una buona volta il potere e amministrare a proprio piacimen­
to? N el Reich tedesco come dappertutto il socialismo possiede due cate­
gorie di organizzazioni. Innanzitutto il partito polìtico della Socialdemo­
crazia con Ì suoi delegati, redattori impiegati, funzionari di partito, uom i­
ni di fiducia e le associazioni locali e centrali dalle quali questi vengono
eletti o impiegati. In secondo luogo i sindacati. O gnuna di queste due or-

123
W eber, Scrìtti p olitici

ganìzzazioni può assumere tanto un carattere rivoluzionario quanto evo­


luzionistico. E su quale carattere assumeranno o dovrebbero assumere in
futuro si dividono gli animi.
Partendo dalla speranza rivoluzionaria, si presentano allora due pro­
spettive contrapposte. La prima era quella del marxismo tradizionale, che
si basava sulla vecchia tradizione del Manifesto comunista. Essa si aspet­
tava tutto dalla dittatura politica del proletariato c credeva che bisognasse
vedere l’organizzazione politica di partito, inevitabilmente finalizzata alla
lotta elettorale, come la rappresentante del proletariato. Il partito o un dit­
tatore politico appoggiato ad esso doveva conquistare il potere politico e
da ciò avrebbe dovuto seguire la nuova organizzazione della società.
Gli oppositori contro cui si volse questa tendenza rivoluzionaria, era­
no innanzitutto quei sindacati che non erano nulla all'infuori di sindaca­
ti - nel vecchio senso inglese del termine - Ì quali dunque non si interes­
savano affatto a questi piani del futuro perché sembravano ai loro occhi
troppo lontani, mentre volevano innanzitutto quelle condizioni di lavoro
che avrebbero reso possibile l’esistenza loro e dei loro figli: salari alti, bre­
vi turni di lavoro, difesa del lavoro c così via. Il marxismo politico radica­
le si volgeva, da un lato, contro questo sindacalismo e daH’altro contro la
forma esclusivamente parlamentare della politica di compromesso del so­
cialismo, vale a dire contro ciò che è stato definito « millerand ìsmo», da
quando in Francia Millerand è diventato ministro8. Q uesta politica con­
durrebbe i dirigenti ad interessarsi dei loro portafogli ministeriali e i sot­
to-dirigenti ad impegnarsi - più che per la rivoluzione - per ottenere po­
sti da funzionario; lo spirito rivoluzionario verrebbe così ucciso. A quel­
la tendenza «radicale» e «ortodossa», secondo la vecchia concezione, nel
corso degli ultimi decenni si è affiancata una seconda tendenza che si ha
cura di indicare come «sindacalismo» (Syndikalismus) dalla parola france­
se syndacaf. Com e il vecchio radicalismo voleva promuovere l’interpre­
tazione rivoluzionaria come scopo dell’organizzazione politica di partito,
così il sindacalismo (Syndikalismus) vuole far prevalere l’interpretazione
rivoluzionaria nei sindacati (Gewerkschaften). Il sindacalismo prende le
m osse dal fatto che non la dittatura politica, né i dirigenti politici, né i fun­
zionari che vengono nominati da questi ultimi, ma i sindacati (Gewerk­
schaften) e la loro federazione devono prendere nelle loro mani, quando

1 Con Milleremdismus si intende la collaborazione di socialisti di destra con circoli borghesi


in opposizione alla dottrina del partito. Il termine si rifa al cosiddetto «caso Millerand». II. A.
Millerand (1859-1943) nel giugno 1899 era entrato in qualità di ministro del Commercio nel ga­
binetto borghese di sinistra Waldcek-Rousseau, senza averne prima discusso con il partito. Se­
condo il punto di vista delle sinistre, nel far questo egli avrebbe violato il principio fondamenta­
le che t socialisti, in un sistema capitalistico, non possono scendere a patti con gruppi borghesi.
* Come Weber stesso ìndica qui esplicitamente, il termine «Syndikat» viene d’ora in poi usa­
to in accezione diversa rispetto a quelfo clic ricorre nella prima parte del saggio.

124
Il so c ialism o

giungerà il grande momento, la potenza dell’economia sulla via della co­


siddetta * action directe». Il sindacalismo ritorna ad una concezione più ri­
gida del carattere di classe del movimento. L a classe operaia deve essere la
portatrice della liberazione definitiva. Tutti i politici che armeggiano nel­
le città principali e che chiedono solo come stanno le cose con questo e
quel ministro, che possibilità abbia questa e quella congiuntura parla­
mentare, sono politici interessati e non compagni di classe. Dietro Ì loro
interessi elettorali e di circoscrizione stanno sempre gli interessi dei re­
dattori e di funzionari privati che vogliono trarre vantaggio dal numero
dei voti ottenuti. Tutti questi interessi che sono legati con il m oderno si­
stema di voto parlamentare, vengono rifiutati dal sindacalismo. Solo gli
operai reali, organizzati nei sindacati {Gewerkschafte«), possono creare la
nuova società. Via, dunque, questi politici di professione che vivono per
la - e ciò, in verità, significa della —politica, e non per la creazione della
nuova società economica. I m ezzi tipici dei sindacalisti {Syndikalisten) so­
no lo sciopero generale e il terrore. L o sciopero generale, da cui essi spe­
rano che attraverso un’improvvisa paralisi dell’intera produzione gli inte­
ressati, in particolare gli imprenditori, vengano indotti a rinunciare alla
conduzione delle fabbriche e a porle nelle mani delle commissioni che
verrebbero formate dai sindacati (Gewerkschaften). Il terrore, che essi an­
nunciano sia in m odo palese sìa in modo segreto, e che in parte anche ri­
fiutano - su questo le opinioni si dividono -, c che questa organizzazione
deve portare nelle file degli strati dominanti e autorevoli, per paralizzarli
anche politicamente. Ovviamente questo sindacalismo è quel socialismo
che davvero è un oppositore spietato di ogni tipo di organizzazione mili­
tare, poiché ogni tipo di organizzazione militare crea individui interessa­
ti ad essa, fino al sottufficiale, e addirittura fino al soldato che, al momen­
to, per lo meno per quanto riguarda la sua alimentazione, dipende dal fat­
to che la macchina militare e statale funzioni, e che dunque è interessato
apertamente al fallimento dello sciopero generale, o per lo meno è dì im­
pedimento per la sua riuscita. Suoi oppositori sono innanzitutto tutti i
partiti politici socialisti attivi in parlamento. Il parlamento dovrebbe al
m assimo essere utilizzato dai sindacalisti {Syndikalisten) come tribuna per
annunciare continuamente, sotto la difesa dell’immunità parlamentare,
che lo sciopero generale verrà e deve venire, e per stimolare gli entusiasmi
rivoluzionari delle masse. Ma perfino questo distoglierebbe dall’autentico
compito c per questo è sospetto. Fare politica seriamente in parlamento
non solo è un’insensatezza, ma - da questo punto di vista - semplice-
mente riprovevole. Suoi oppositori sono ovviamente anche tutti gli evo­
luzionisti dì ogni tipo. Am m ettiam o ora che ci siano sindacalisti
{Gewerkschaftler) che vogliono condurre battaglie unicamente in vista del
miglioramento delle condizioni di lavoro; al contrario, argomentano i sin­

125
Weber, Scritti p olìtici

dacalisti {Syndikalisten), peggiori sono i salari, più lungo è l’orario di la­


voro, peggiori sono i rapporti, più grande è allora la possibilità di uno
sciopero generale. O ppure ammettiamo che ci siano gli evoluzionisti per
quanto concerne la politica di partito, i quali affermano che lo Stato, at­
traverso la crescente democratizzazione - di cui i sindacalisti (Syndikali­
sten) hanno il più grande ribrezzo: per loro è meglio lo zarismo -, si sta
avviando verso il socialismo. Per i sindacalisti (Syndikalisten) natural­
mente questo è, nella migliore delle ipotesi, un grande autoinganno. La
domanda cruciale, dunque, è questa: da dove sperano i sindacalisti {Syn­
dikalisten) di prendere le forze per assumere la conduzione della produ­
zione? Perché sarebbe ovviamente un grave errore credere che un sinda­
calista (Gewerkschaftler), anche se istruito, anche se lavora da anni e ha
perfetta dimestichezza con le condizioni di lavoro, conosca per questo
l ’attività di fabbrica in quanto tale, considerato che ogni moderna attività
di fabbrica si fonda interamente sul calcolo, sulla merceologia, sulla co­
noscenza del fabbisogno, sull’istruzione tecnica, cose che tutte vogliono
essere praticate in m odo sempre più specialistico c che i sindacalisti
(■Gewerkschaftler) - i veri operai! - non hanno assolutamente occasione di
conoscere. Essi allora, lo vogliano o no, verranno considerati anche dalla
propria parte dei non-operai, ideologi provenienti dagli strati intellettua­
li. E in effetti è curioso che in pieno contrasto con il motto: la salvezza
può venire solo dai veri operai, che si associano nelle federazioni del sin­
dacato (Gewerksckaft) - e non dai politici o da un qualche inesperto che
fa parte a sé -, si trovi, proprio all’interno del movimento sindacalista
{syndikalistiscben), che prima della guerra aveva in Francia e Italia i suoi
centri principali, una massa di intellettuali laureati. C he cosa vi cercano?
I l carattere romantico dello sciopero generale e della speranza rivoluzio­
naria in quanto tali sono ciò che affascina questi intellettuali. Se li si vede
si capisce subito che sono dei romantici, immaturi nell’anima o lontani
dalla quotidianità della vita e dalle sue esigenze, e per questo avidi del
grande miracolo rivoluzionario e, a seconda dell’occasione, di sentirsi per
una volta parte della potenza. Naturalmente tra di loro ci sono anche uo­
mini con qualità organizzative. L a questione attualmente è se i lavoratori
si sottometteranno alla loro dittatura. Durante una guerra - e in occasio­
ne dei rivolgimenti straordinari che essa porta con sé causa la sorte cui so ­
no sottoposti gli operai soprattutto per effetto della fame - anche la m as­
sa degli operai può essere catturata dalle prospettive sindacaliste {syn-
dikalistischen)\ e, se ha le armi sotto mano, può, sotto la conduzione di ta­
li intellettuali, impossessarsi del potere, se il crollo politico e militare dì
uno Stato gliene offre la possibilità. Ma, in tem po di pace, io non vedo la
forza per la conduzione della produzione né tra Ì membri dei sindacati
{Gewerkschaftsmitgliedem) né tra gli intellettuali sindacalisti {syndikali-

126
Il so cialism o

stischen). Attualmente il grande esperimento è la Russia. La difficoltà sta


nel fatto che non possiam o vedere al di là dei confini per capire come pro­
cede effettivamente la conduzione della produzione. Secondo quanto ci
viene detto, le cose procedono in m odo tale che il governo bolscevico -
formato come si sa da intellettuali che in parte hanno studiato qui a Vien­
na o in Germania, tra i quali ci sono in genere solo pochi russi - ha deci­
so di introdurre di nuovo il sistema delle paghe sindacali all’interno di
quelle fabbriche che sono ancora funzionanti - secondo info ima zio ni so­
cialdemocratiche non è che il dieci per cento della produzione di pace -
con la motivazione che altrimenti il rendimento ne soffrirebbe. Si lascia­
no gli imprenditori ai vertici delle aziende —essi soltanto, infatti, possie­
dono la necessaria competenza —pagando sovvenzioni assai ragguardevo­
li. Inoltre, agli ufficiali del vecchio regime si è ripreso a pagare gli stipen­
di spettanti agli ufficiali, poiché i bolscevichi hanno bisogno di un eserci­
to e si sono resi conto che senza ufficiali istruiti le cose non funzionano.
Che questi ufficiali, una volta ricevuto il comando della truppa, sopporti­
no la conduzione di questi intellettuali, mi sembra dubbio; al momento,
hanno certo dovuto necessariamente farlo. E infine 1 bolscevichi, attra­
verso la soppressione della tessera del pane, hanno costretto anche una
parte della burocrazia a lavorare per loro. Ma, alla lunga, una macchina
statale c l’economia non si lasciano condurre in questo modo c l’esperi­
mento finora non è stato molto incoraggiante.
E davvero sorprendente che questa organizzazione continui in linea di
massima a funzionare da tanto tempo. Lo può fare perché essa è una dit­
tatura militare, non certo di generali, ma di caporali, c perche i soldati che
ritornano dal fronte stanchi della guerra si sono uniti ai contadini affama­
ti di terre e abituati al comuniSmo agrario o anche perché i soldati si sono
impossessati in m odo violento dei villaggi riscuotendo contribuzioni e uc­
cidendo tutti coloro che si avvicinavano troppo. È l’unico grande esperi­
mento di «dittatura del proletariato» che finora sia mai stato fatto; e si può
affermare in tutta sincerità che le trattative di Brest-Litovsk furono con­
dotte, da parte tedesca, nel modo più leale nella speranza di ottenere con
questa gente una pace vera. C iò è accaduto per motivi diversi: coloro che,
legati da interessi, stavano dalla parte della società borghese, erano a favo­
re della pace perché dicevano: «Per am or del ciclo, lasciamo che questa
gente faccia il suo esperimento, sarà certamente un buco nell’acqua e dun­
que un esempio scoraggiante»; noi invece vedevamo con favore la pace
perché dicevamo: «Se questo esperimento riuscisse e ci dovessimo rende­
re conto che su questa base è possibile la civiltà, allora ci convertiremmo».
Colui che ha impedito questo fu il signor Trotzkij, il quale non si vol­
le accontentare di fare questo esperimento a casa propria ponendo la sua
speranza sul fatto che, se fosse riuscito, avrebbe significato per il sociali­

127
W eber, Scritti p olitici

sm o una propaganda senza pari in tutto il mondo; egli, invece, con la ti­
pica boria del letterato russo, volle di più e sperò di provocare in Germ a­
nia la guerra civile attraverso scontri verbali e l’abuso di parole come «pa­
ce» e «autodeterminazione»10, ma era così male informato da non sapere
che l’esercito tedesco è formato per due terzi da contadini e per un ulte­
riore sesto da piccolo borghesi, per i quali sarebbe stato un vero piacere
prendere a schiaffi gli operai o altri che avessero voluto fare questa rivo­
luzione. C on chi combatte per una fede non c’è da concludere nessuna pa­
ce: si può soltanto renderlo inoffensivo, e questo è stato il senso dell’ulti­
matum e della pace ottenuta a Brest. D i questo deve rendersi conto ogni
socialista, e io non ne conosco uno che, a qualsiasi tendenza appartenga —
almeno dentro di sé —, non se ne renda conto.
Se ci capita di confrontarci con gii odierni socialisti, e se vogliamo in
questa occasione procedere in modo leale - e questo è l’unico com porta­
mento assennato - , si devono porre loro, partendo dalla situazione odier­
na, due domande: «C om e vi atteggiate nei confronti dell’evoluzioni­
sm o?». N ei confronti cioè di quel pensiero che è un dogma fondamenta­
le del marxismo ritenuto oggi ortodosso, secondo cui la società e il suo or­
dine economico si sviluppano in maniera rigidamente conforme ad una
legge naturale —per così dire in livelli di età -, c per cui una società socia­
lista non potrà mai e in nessun luogo dunque sorgere prima che sia giun­
ta pienamente a maturità la società borghese; e questo, secondo l’opinio­
ne stessa dei socialisti, non è accaduto ancora in alcun luogo, visto che so­
pravvivono ancora i piccoli contadini e i piccoli artigiani. Com e si rap­
portano allora i socialisti in questione nei confronti di questo fondamen­
tale dogm a evoluzionista? E allora risulterà che, per lo meno al di fuori
della Russia, tutti stanno sul medesimo terreno, vale a dire che tutti, an­
che i più radicali tra loro, attendono come unica conseguenza possibile di
una rivoluzione la nascita dì una società borghese, c non proletaria, per
quest’ultima infatti i tempi non sono ancora maturi da nessuna parte. Si
spera soltanto che questo ordine sociale si avvicini, per certi versi, di qual­
che passo a quello stadio finale a partire dal quale, come viene sperato, do­
vrà seguire un giorno il passaggio all’ordine socialista del futuro.
Interrogato in coscienza, ogni onesto intellettuale socialista dovrà ri­
spondere in questo modo. In conseguenza di ciò, in Russia c’è un ampio
strato di socialdemocratici, i cosiddetti menscevichi, che difendono il
punto di vista secondo il quale l’esperimento bolscevico dì innestare dal­
l’alto sullo status odierno della società borghese un ordinamento sociali-

lc Weber f i riferì mento allo slogan di Trotzkij «né guerra né pace», con il quale egli in qua­
lità dì nuovo capo della delegazione russa nella seconda fase delle trattative di pace a partire dal
9 gennaio 1918 cercava dì convincere alla rivoluzione l’opinione pubblica degli imperi centrali.

128
Il so cialism o

sta non è soltanto un’insensatezza, ma un sacrilegio nei confronti del dog-


ma marxista. Il terribile odio reciproco delle due correnti trova ragione in
questa dogmatica accusa di eresia.
O ra, se la stragrande maggioranza dei dirigenti, per lo meno fra colo­
ro che ho conosciuto, si situa su questo terreno evoluzionistico, allora è
naturalmente giustificata la domanda: «In questa situazione che cosa do­
vrebbe propriamente fare una rivoluzione, per di più durante la guerra,
dal vostro punto di vista?». Può portare certo alla guerra civile e con ciò
forse alla vittoria dell’Intesa, ma non ad una società socialista; una rivolu­
zione può provocare, e sicuramente provocherà, all’interno di ciò che ri­
mane dello Stato, un dominio degli interessi dei contadini e dei piccoli
borghesi, dunque degli oppositori più radicali di ogni socialismo. Essa
porterebbe innanzitutto ad un’enorme distruzione di capitale e alla disor­
ganizzazione, dunque ad una contrazione dello sviluppo sociale richiesto
dal marxismo, sviluppo che invece presuppone una sempre più ampia sa­
turazione dell’economia attraverso il capitale. È da tener presente tuttavia
che il contadino dell’Europa occidentale è diverso dal contadino russo, il
quale vive nel contesto dei suo comuniSmo agrario. In quel contesto la
questione decisiva è quella della terra, che da noi non gioca alcun ruolo. Il
contadino tedesco oggi è un individualista e rimane legato alla proprietà
ereditaria e al suo terreno. E non si farà sviare da questo. Se si sentisse mi­
nacciato, egli preferirebbe associarsi con il grande proprietario terriero
piuttosto che con l’operaio socialista radicale.
A partire dal punto di vista delle speranze socialiste per il futuro, le
prospettive di una rivoluzione durante la guerra sono attualmente le peg­
giori possibili, anche nel caso in cui la rivoluzione dovesse riuscire. C iò
che la rivoluzione, nell’ipotesi più favorevole, comporterebbe —e cioè un
avvicinamento della costituzione politica alla forma desiderata della de­
mocrazia - , sarebbe proprio ciò che affosserebbe il socialismo per le con­
seguenze economicamente reazionarie che dovrebbe avere. Anche questo
nessun socialista potrebbe lealmente negarlo.
La seconda questione riguarda il modo di porsi nei confronti della p a ­
ce. N o i tutti sappiamo che oggi il socialismo radicale si confonde presso
le masse con inclinazioni di carattere pacifista, con il desiderio che la pa­
ce venga conclusa al più presto possìbile. O ra però è certo - e ogni capo
della Socialdemocrazia radicale, dunque di quella davvero rivoluzionaria,
se interrogato, dovrà onestamente ammetterlo - che la pace non c per lui,
per il dirigente (Fuhrer), il punto decisivo, ciò che gli sta veramente a cuo­
re. «Se dovessim o scegliere - dovrà dire, se sincero - fra, da un lato, una
guerra che duri ancora tre anni e che sfoci poi nella rivoluzione e, dall’al­
tro, una pace immediata senza rivoluzione, è naturale che opteremmo per
i tre anni di guerra». Se la veda poi con la sua coscienza c il suo zelo fi­

129
W eber, Scritti po[itici

deistico come vuole. Ma la dom anda è se la maggioranza delle truppe co­


strette a stare al fronte, tra cui ci sono anche militanti socialisti, sia della
stessa opinione di questi dirigenti che comandano cose di questo tipo. Ed
è del tutto leale e conseguente se li si costringe a mettere le carte in tavo­
la. È un fatto certo e riconosciuto, che Trotzkij non abbia voluto la pace.
Attualmente, nessun socialista da me conosciuto lo contesta. M a la stessa
cosa vale anche per i dirigenti radicali di tutti i paesi. Messi davanti alla
scelta, anche loro non vorrebbero prima di tutto la pace, bensì la guerra,
se tornasse a vantaggio della rivoluzione, e cioè della guerra civile. La
guerra neirinteresse della rivoluzione, sebbene questa rivoluzione secon­
do la loro stessa opinione - lo ripeto - non possa condurre alla società so­
cialista, ma al massimo - questa è l’unica speranza - ad una, dal punto di
vista socialista, «più alta forma di sviluppo» della società borghese, la qua­
le dunque sarebbe un p o ’ più vicina della odierna alla società socialista a
venire, di quanto, però, non si può dire. M a proprio questa speranza, per
il motivo che abbiamo addotto, appare estremamente problematica.
Un confronto con socialisti e rivoluzionari convinti è sempre una co­
sa difficile. Secondo la mia esperienza non si riesce mai a convincerli. Si
può solo costringere questa gente a mettere le carte in tavola davanti ai lo­
ro sostenitori, da un lato sulla questione della pace e dall’altro sulla que­
stione di che cosa davvero la rivoluzione dovrebbe portare, oppure sulla
questione dell’evoluzione graduale, la quale fino ad oggi è un dogm a del­
l’autentico marxismo, negato soltanto in Russia da una setta autoctona
persuasa che la Russia possa saltare gli stadi di sviluppo dell’Europa occi­
dentale. Q uesto è un m odo assolutamente leale e anche il solo efficace o
possibile. Infatti, sono dell’opinione che non ci sia un m ezzo per elimina­
re la persuasione e le speranze socialiste. Ogni operaio sarà sempre, in
qualche modo, socialista. L a questione è soltanto questa: se questo socia­
lismo sia tollerabile a partire dal punto di vista degli interessi dello Stato
e, adesso in modo particolare, di quelli militari. Finora nessun potere,
neppure quello proletario, come ad esempio il potere della Com une di
Parigi o ora d potere dei bolscevìchi, è riuscito a conservarsi senza im­
porre la legge marziale nei casi in cui i fondamenti della sua disciplina era­
no messi in pericolo. II signor Trotzkij lo ha ammesso con una sincerità
degna di riconoscenza. Ma allora quanto più la truppa sentirà che solo gli
interessi concreti del mantenimento della disciplina, e non l’interesse di
partito e di classe, determinano il comportamento delle istanze militari, e
che dunque in guerra accade solo ciò che è concretamente inevitabile, tan­
to più incrollabile resterà l’autorità militare.

130
Vili. La futura forma statale della Germania

1918
Ancora all'inizio del novembre 1918, in occasione di un’assem blea pubblica della Fort-
schrittliche Volkspartei, Weber si era op p osto alle tendenze rivoluzionarie e aveva difeso in
linea di principio il sistema di governo m onarchico, anche se, com e risulta da alcune lette­
re ad amici politici, egli già in ottobre auspicava energicamente l’abdicazione di Guglielm o
il. M a poiché G uglielm o li non intendeva abdicare, Weber com inciò a nutrire seri dubbi
sulla possibilità di salvare la monarchia; per questo quando scoppiò la rivoluzione non fu
affatto sorpreso. Anche se gli eventi di novembre gli apparvero com e un «carnevale insan­
guinato che non merita il nom e di rivoluzione», tuttavia non potè che prendere atto del-
l'avvenuto mutamento. In un’assemblea della Fortscbrittliebe Volkspartei del 17 novembre
1918 Weber tenne una conferenza sui mutamenti costituzionali che ormai erano diventati
inderogabili e si schierò decisamente per la repubblica.
Proprio in questi giorni Weber ricevette dalla «Frankfurter Zeitung» un invito ad en­
trare nella redazione com e collaboratore indipendente. C iò gli avrebbe perm esso di espor­
re le sue idee sul riordinamento costituzionale della Germ ania in una serie di articoli da
pubblicare a più puntate sul giornale. Weber accettò. Il 22 novembre apparve il prim o arti­
colo che riprendeva sostanzialmente le tesi esposte il 17 all’assemblea del Foruchritdiche
Volkspartei. Q u esto prim o articolo ottenne una vasta eco, così che Weber si sentì motiva­
to a proseguire nella pubblicazione. 11 secondo artìcolo apparve il 24, i due successivi il 28
c il 30 novembre, e il S dicembre fu pubblicata la conclusione.
Intanto Guglielm o II aveva finalmente abdicato c così lo scenario politieo vedeva le due
fazioni del Partito Socialdem ocratico, quella maggioritaria e quella indipendente, che di­
scutevano vivacemente su quando tenere le elezioni per la nuova Assem blea N azionale, la
quale avrebbe dovuto dare la nuova costituzione alla Germania. I socialdemocratici indi­
pendenti tendevano a tergiversare per dare così m odo ai movimenti rivoluzionari di diffon­
dersi e consolidarsi. Ebert, invece, era per accelerare i tempi e così, grazie ad abili alleanze,
riuscì ad avviare i lavori per un riordinamento costituzionale nel senso di una dem ocrazia
parlamentare.
A ll’inizio di dicembre anche Weber fu invitato a collaborare con la com m issione per la
riforma costituzionale. Per questo rielaborò velocemente gli articoli già apparsi sulla
«Frankfurter Zeitung» e li fece pubblicare sotto form a dì opuscolo il 14 gennaio 1919 col
titolo Deutschlands kunftige Staatsform (Z a r deutschen Revolution, Flugschnften der
Frankfurter Zeitung, H e ft 2), Verlag der Frankfurter Societats-D ruckerei, Frankfurt a. M.
1919. L a presente traduzione è condotta su questo testo com e è riprodotto nella M ax We­
ber G esam tausgabe cit., A bt. I, Bd. 16, pp. 97-146.
SCRITTI POLITICI

Premessa,

G li interventi che vi apprestate a leggere, già apparsi sulla «Frankfurter


Zeitung» e qui ritoccati solo nello stile (le poche integrazioni sono per lo
più inserite come note), sono lavori d ’occasione d ’argomento prettamen­
te politico e non hanno alcuna pretesa di validità «scientifica». Il loro uni­
co intento c di mostrare, dando inizio così ad una discussione al riguardo,
che una forma di Stato repubblicana, pantedesca e non panprussiana, di
carattere federativo e al tempo stesso democratico non è affatto im possi­
bile, come invece viene spesso creduto. È inevitabile che molto presto le
note di cui si compone questo scritto vengano superate dagli avvenimen­
ti, proprio come nel frattempo è stato superato ìl mio scritto Parlament
und Regienm g im neugeordneten Deutscbland1 (1917), il quale - parten­
do dal dato di fatto dell’egemonia prussiana e delle dinastie - poteva indi­
care nella parlamentarizzazione l’unico sbocco possìbile alla situazione
politica della Germania. N on ci è dato oggi di poter scorgere con chiarez­
za i problemi materiali (sociali e finanziari) davvero decisivi connessi alla
ricostruzione, e così per il momento sono possibili solo costruzioni gene­
rali non vincolanti semplicemente di tipo tecnico-istituzionale.

15 dicem b re 1918

M ax W eber

1 II titolo esatto è Parlament und Regierung im neugeordneten Deutscbland. Zur politischen


Krìtik dei Bcamtentums und Partekvcsens, D uncker& Humblot, Munchcn - Leipzig 1918 (M w r,
i/15) (trad. it. Parlamento e Governo nel nuovo ordinamento della Germania e altri scritti poli­
tici, a cura di L. Marino, Einaudi, Torino 1982),

133
W eber, Scritti p o litici

I.

La nostra nazione, la quale manca di preparazione politica e si affida a


forze insufficienti e dilettantesche, è posta oggi di fronte al compito di
creare qualcosa di nuovo al posto dell’opera compiuta da Bismarck. In­
fatti quest’opera è ormai superata, come si evince dalla considerazione di
ragioni di politica estera, le quali si dimostrarono determinanti al m o­
mento della costruzione bismarckiana. In primo luogo, perché sta andan­
do in pezzi la dinastia austriaca, la quale - considerata dal punto di vista
di Bismarck —era un’organizzazione statale che sacrificava l’appartenen­
za al Reicb di dieci milioni di tedeschi per neutralizzare politicamente
trenta milioni di non tedeschi2. Inoltre, perché si è dissolto il patto dina­
stico con la Russia, che si fondava sulla comunità di interessi contro i p o ­
lacchi riuscendo a neutralizzarli. U n ulteriore motivo consiste poi nel fat­
to che l’epoca militarista della storia tedesca c ormai conclusa. Ed infine,
perché in ogni caso la soluzione dinastica attuata finora del problema pic­
colo-tedesco, e lo stesso problema piccolo-tedesco, non hanno nessuna ri­
levanza per quanto riguarda il futuro. Che fare allora? Sebbene questa do­
manda preliminare al momento sembri decisa de facto, tuttavia ci chiedia­
mo ancora una volta: monarchia parlam entare o repubblica?
Lasciamo in sospeso quale ruolo avranno in futuro i sentimenti dina­
stici ancora presenti nella nostra scena politica. N oi eravamo fedeli ai no­
stri sovrani, ci legavano ad essi ricordi storici e, per quanto riguarda Ì) Ba-
den, anche la popolarità di cui godeva la dinastia locale e la sua correttez­
za. Oggi, però, possono essere svolte solo considerazioni di tipo politico.
Gli interessi e i compiti della nazione sono per noi di gran lunga più im­
portanti di qualsiasi sentimento, come d ’altronde sono superiori a tutte le
questioni relative alla forma politica in generale. Anche la loro realizza­
zione è per noi prima di tutto un sobrio problema di tecnica istituzionale
e non una questione di sentimenti. Per molti di noi, anche per chi scrive
queste righe, la monarchia rigorosamente parlamentare era e resta la for­
ma di Stato tecnicamente più flessibile e in questo senso la più forte, mal­
grado la democratizzazione sociale radicale da noi auspicata, che per altro
non viene necessariamente preclusa dalla monarchia. Abbiam o sostenuto
apertamente, anche se con misura, quelle trasformazioni inevitabili (co­
me, al più tardi, a partire dalla rivoluzione russa chiunque avesse intuito
politico doveva per forza riconoscere tali), le quali, se fossero state intra­
prese al momento giusto, avrebbero potuto conservare le dinastie all’in-

* Una simile dichiarazione di Bismarck non è attestata. Bismarck manifestò altresì ripetuta­
mente il suo interesse al mantenimento della monarchia danubiana, che era a suo avviso in gra­
do di vincolare politicamente le nazionalità non tedesche, ovvero ungherese e ceca.

134
L i fu tu ra fo rm a statale della G erm an ia

terno del sistema completamente nuovo. Ma dei cattivi consiglieri vanifi­


carono tutto e le monarchie stesse reagirono ostilmente rimanendo fedeli
al vecchio sistema.
M a questo sistema ha com prom esso la dinastia prussiano-tedesca a un
punto tale che per lo meno oggi è impossibile prenderne le parti. G ià dal
1871 rivalità dinastiche avevano guastato la questione alsaziana5. A desso
ci hanno fatto fare una brutta figura nell’Est4. La monarchia non ha adem­
piuto alla sua autentica funzione all’interno di uno Stato militare, vale a
dire impedire l’esclusivo dominio dell’esercito. Essa ha piuttosto tollera­
to la dem agogia degli ammiragli e la dittatura dei generali assieme alla po­
liticizzazione dell’esercito. In particolare attraverso la cosiddetta «Aiifkld-
m ng» (informazione), una macchinazione puramente politico-partitica
che ha seminato discordia tra ufficiali e truppa, ha avvelenato la politica
interna, introducendo tuttavia nei nostri vertici politici una divisione e
un’ambiguità che ci sono costati la fiducia del mondo intero, compresi i
nostri alleati5. Sarebbe poco cortese usare oggi, dopo la sua caduta, paro­
le dure nei confronti del monarca finora in carica. M a bisogna pur dire che
ìl governo personale, rozzamente lesivo dello spìrito della Costituzione,
in vigore fino ad oggi, con la sua propaganda chiassosa e la sua politica as­
solutamente dilettantesca ha contribuito a coalizzare il mondo contro di
noi. L a prom essa ufficiale di un governo costituzionale fatta nel novem­
bre 19086 non fu mantenuta. Durante la guerra la nostra azione di pace7fu
ostacolata dai discorsi del sovrano e infine (decreto del 15 giugno) la guer­
ra fu tacciata di essere un duello personale del monarca contro il mam-
monismo (plutocrazia) degli anglosassoni! La rinuncia al trono da parte
del sovrano, che dignità voleva venisse offerta in occasione della dom an­

3 Per mettere fine alle aspirazioni contrapposte degli Stati del Sud, soprattutto della Baviera
c del Badcn, relativamente ad una partecipazione ai «bottino di guerra» dcll’Alsazia c Lorena, nel
1871 fu concesso all’Alsazia-Lorcna lo status di «Reicbsland»; di conseguenza, questo territorio
fu amministrato da un governatore in nome dell’imperato re. Queste rivalità riemersero subito
dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, quando la Baviera rivendicò diritti sull’Alsazia-
Lorcna.
* Probabilmente un’allusione alle mire dinastiche sulla Curlandia che avevano influito sulla
creazione della pace di Brest-L.itovsk.
3A partire dall’autunno 1917 il comando supremo dell’esercito organizzò la cosiddetta «le­
zionepatriottica», che fu tenuta dagli ufficiali spesso in collaborazione con rappresentanti delta
VaterLmdspentei. Solo all’inizio del 1918, grazie agli «Aufklàmngssckriften» trovati da alcuni de­
putati presso associazioni militari, divenne chiaro all’opinione puhblìca che questa lezione non
doveva solo preparare con la propaganda all’interno dell’esercito obiettivi di guerra annessioni­
stici cari alle destre, ma al tempo stesso minare la legittimazione democratica del Retcbstdg.
Allusione alla dichiarazione del cancelliere Bulow fatta al Reicb stag il 10 novembre 1908 a
seguito dell’intervista a Guglielmo I! apparsa sul «Daily Telegraph». Bulow assicurò che l’impe­
ratore in futuro si sarebbe tenuto entro i limiti della Costituzione. In un colloquio con il cancel­
liere l’imperatore aveva approvato questa dichiarazione, seppur malvolentieri.
’ Weber intende qui l’offerta di pace fatta il 12 dicembre 1916 dagli imperi centrali.

135
Weber, Scritti p olitici

da di pace, venne procrastinata. A questo punto graverà sempre su di lui,


non importa se a ragione o torto, l’ostilità di chi pensa che in questo m o­
do egli ci ha reso più gravose le condizioni imposte dal nemico. E infine
con la fuga dalla capitale e il giocare al colpo di Stato ha addirittura pro­
vocato la rivoluzione. II tentativo assai poco dignitoso di scaricare la re­
sponsabilità sui ministri, per altro insostenibile a fronte del contenuto de­
gli atri la cui pubblicazione è imminente*, ha dato il colpo di grazia all’i­
dea monarchica. In questo modo la dinastia prussiana è ormai compieta-
mente screditata in misura tale che a questo punto il suo mantenimento,
ma con esso anche quello delle altre dinastie, non potrebbe più essere di­
feso sulla base di pur fondate considerazioni di tecnica istituzionale.
M a non solo le dinastie e il loro organo, ossia il Consiglio Federale
(.Bitndesrat) come è stato concepito fino ad oggi, sono cadute in discredi­
to a causa del vecchio sistema, bensì anche il parlamento. Intenzionalmen­
te limitato nell’esercizio del suo potere, ridotto nella sua importanza, cri­
ticato aspramente per decenni dagli adulatori del vecchio sistema e scredi­
tato presso l’esercito dalla «Aufklarung» durante la guerra, il Reichstag
non poteva avere l’autorità necessaria per mantenere nelle sue mani il po­
tere al momento del crollo. Ormai tornava solamente a suo maggior dan­
no il fatto che improvvisamente prendessero le sue partì quelli che fino ad
allora lo avevano diffamato, per i quali ora non sarebbe stata di certo sgra­
dita l’esistenza del prima tanto detestato «esercito parlamentare»”. Si paga­
vano le conseguenze dell’agire dei letterati panegiristi del dominio dei fun­
zionari. Infatti appariva chiaramente che il meccanismo burocratico, se­
condo la natura delle sue forze motrici ideali e materiali - e con riguardo
alla natura dell’odierna vita economica, che verrebbe condotta certamente
alla catastrofe nel caso in cui non funzionasse - a seconda dell’occasione è
pronto a servire senza esitazione chiunque si trovi nel possesso fìsico dei
necessari mezzi di coercizione e garantisca ai funzionari il mantenimento
delle loro cariche. Ma il fatto che il parlamento mancasse di un’autorità
profondamente radicata nella fiducia della nazione ha aperto la via per la
dittatura rivoluzionaria. Dato che le rivoluzioni sono avviate sempre da
minoranze, non ci sarebbe in sé niente da obiettare contro una dittatura
temporanea. Ma per quanto attiene alla politica è da considerare che dato
il carattere di Stato federale della Germania il completo abbattimento dei
poteri finora legittimi rende estremamente più difficile il concreto riordi-

HNel novembre 1918 K. Kautsky fu incaricato dell Adizione degli atti tedeschi relativi allo
scoppio della guerra che furono pubblicati nel 1919.
v Le discussioni provocate dal conflitto costituzionale prussiano furono condotte con il mot­
to «esercito regio» o «esercito parlamentare». Anche Guglielmo U si era ostinatamente opposto
ad ogni aspirazione tendente a sottoporre al controllo parlamentare tutte le faccende militari*

136
L a fu tu ra fo rm a statale della G e rm an ia

namento. L a legittimità «storica» è svanita. Per tentare di recuperare l’or­


dine borghese liberandosi del potere violento dei consigli dei soldati, an­
che ai «partiti» specificatamente «di centro»15 resta solo la legittimità rivo­
luzionaria e basata sul diritto naturale di una costituente che si fonda sulla
sovranità del popolo. Questo, però, presuppone una ricostruzione a parti­
re da una base già preesistente. Per noi radicali una tale situazione in sé non
potrebbe che essere gradita. Ma è evidente quali difficoltà per ogni tenta­
tivo di riforma razionale emergano dal semplice fatto che in questo m o­
mento in Germania una molteplicità di costituenti - quella del popolo pan­
germanico, prussiano, bavarese, del Baden e così via - debba decidere su
problemi così estremamente complicati. A d esempio, ammettiamo che -
per quanto inverosimile possa apparire proprio questo caso - la maggio­
ranza del popolo prussiano votasse per la continuazione della dinastia,
mentre la maggioranza del popolo del Reich intero scegliesse la repubbli­
ca. In questo caso sarebbe certo chiaro che la decisione della costituente
del Reich sarebbe determinante per il Reich e con ciò, indirettamente, an­
che per i prussiani. Ma questa situazione non sarebbe semplice. In ogni ca­
so, però, già solo per il fatto che l’ordinamento del Reich fa da cornice per
tutti i singoli Stati, la costituente generale è assolutamente indifferibile. In­
fatti l’interesse economico vitale tanto dei lavoratori quanto della borghe­
sia dipende soprattutto dall’ordinamento del Reich, indipendentemente da
quanto forte in senso socialista risulti il riassetto dello Stato.
Allo stesso modo, però, la stabilità del riassetto in generale dipende
dalla sua rapidità. E un errore di calcolo molto grave commesso da una
parte dei socialdemocratici indipendenti11 credere, o meglio, mettersi in
testa sotto la pressione della sinistra, che un ritardo migliorerebbe le pos­
sibilità del socialismo. Il ritardo, invece, accresce esclusivamente le possi­
bilità di guerra civile e di dissoluzione interna del nostro ordine econo­
mico. In questo m odo si otterrebbe inevitabilmente - in un tempo non
troppo lontano - o che l’Intesa intervenga di propria iniziativa, oppure
che si form i di nuovo un contro-governo formato dai partiti di centro ba­
sandosi sul Reichstag. Allora si metterebbero in contatto con questo con­
tro-governo poteri stranieri, per esempio americani, che marcerebbero
nel nostro paese e instaurerebbero con l’aiuto della legge marziale un go­
verno non socialista per poter concludere la pace. N o i siamo in grado di
evitare questa umiliazione estrema, vale a dire di non essere in grado di

Weber intende il Zentrum, la Deutsche Demokratisehe Parteì e la Deutsche Volkspartei di


ispirazione nazional-liberale.
" Il comportamento dei Socialdemocratici Indipendenti nei confronti dell’Assemblea N a ­
zionale non era unitario. Essi non rifiutavano ingenerale la sua convocazione, ma chiedevano che
prima dovessero essere consolidate le nuove condizioni create dalla rivoluzione.

137
W eber, Scritti p olitici

ordinare autonomamente le nostre relazioni interne, solo qualora venga


evitata la guerra civile e sorga subito un governo «legittimo». Ora, non è
certamente esatto sostenere che la costituente sia un m ezzo sicuro per im­
pedire definitivamente la guerra civile. Q uesto non dipende da noi né dai
socialisti di m aggioranza o indipendenti, bensì dipende soprattutto da
quegli elementi che in ogni rivolgimento si presentano come parassiti, i
quali non vogliono vivere per, bensì della rivoluzione, come ad esempio
le «guardie rosse» oppure i membri del «com itato rivoluzionario» o i lo­
ro incaricati che vorrebbero farsi mantenere senza lavorare in cambio di
chiacchiere o spionaggio. Infatti esattamente questa è l’essenza tanto del
bolscevismo in Russia quanto dei movimenti ad esso simili qui da noi, per
quanto non ci sia da dubitare della buona fede ideologica dei letterati e
dei combattenti fanatici che stanno al vertice. I parassiti mantenuti alla
mangiatoia della rivoluzione non hanno alcun interesse a che finisca L’at­
tuale situazione, finché si dà loro da mangiare. D ata questa particolarità
del movimento rivoluzionario non mancheranno in nessun caso da parte
loro tentativi di colpo dì Stato e noi dobbiam o aspettare per vedere se il
governo socialista, compresi gli indipendenti, avrà la mano ferma per ren­
dere inoffensivi ì fanatici, adottando mezzi al tem po stesso duramente ra­
dicali e tuttavia umani, in m odo da evitare così l’occupazione nemica che
peserebbe per generazioni sul destino non solo del socialismo tedesco,
ma anche di ogni autentica democrazia. M a piuttosto di una costituente
non libera, realizzata attraverso un elezione fasu lla o sotto l’incubo della
violenza sarebbe meglio non avere nessuna costituente. Infatti, un non ri­
conoscimento o una rottura della costituente, come sì verificherebbe nel
caso dì mancanza di libertà nelle votazioni, avrebbe come conseguenza
che l’Intesa, invadendo il nostro paese, convocherebbe di nuovo il vec­
chio Reichstag in quanto unico potere legittimo; e se questo deve essere
il risultato, allora lo si può ottenere direttamente, anche senza questa inu­
tile propaggine supplementare. Jn caso dì libere elezioni non c ’è una m ag­
gioranza socialdemocratica. Senza la partecipazione volontaria della bor­
ghesia il governo non ottiene la pace e così l ’occupazione prima o poi sarà
inevitabile. Su questo bisogna essere chiari c tirare le conseguenze in un
senso o nell’altro.
D ’altro Iato, però, un tentativo di soluzione dinastica accrescerebbe
enormemente il pericolo già notevole di guerra civile e dunque dì man­
canza di libertà nella formazione della nostra Costituzione. Infatti il ten­
tativo di ristabilire le dinastie apparirebbe all’cstero, e soprattutto all’in­
terno del paese, come un inìzio dì revisione reazionaria del riassetto de­
mocratico in generale. Allora l’immediata convocazione di una libera co­
stituente, e con ciò la dichiarazione a favore della repubblica, ci viene im ­
posta dal potere straniero che altrimenti ci minaccia immediatamente. Ma

138
L a fu tu ra fo rm a statale della G e rm an ia

non ci viene im posta soltanto dal potere straniero, e quanto a ciò sarebbe
meglio renderci chiara la situazione in m odo aperto e onesto.
L a repubblica come forma di Stato appare per il momento la via più si­
cura per condurre a soluzione il problema pangermanico che ci sta da­
vanti. N o i dobbiam o prendere le parti di quella forma di Stato che per­
mette di riunire in un’associazione il più alto numero possibile di tede­
schi. Per il momento lasciamo in sospeso se questa soluzione per l’Austria
e la Baviera in tempi normali c alla lunga sia la repubblica. Per il momen­
to sembra essere così e, se è così, allora occorre trarne le conseguenze.
Ma accanto a questi motivi immediatamente politici e che trovano ori­
gine nella situazione del presente, per noi radicali interviene a favore del­
la repubblica qualcosa d ’altro e durevolmente importante. Purtroppo le
questioni di carattere tecnico istituzionale non sono irrilevanti, ma certo
per la politica esse non sono la cosa più importante. M olto più decisiva
per il futuro della Germania è piuttosto la questione se le masse borghesi
nutriranno un nuovo spinto politico più pronto all’assunzione di respon­
sabilità e più consapevole del proprio valore. Fino ad oggi, per decenni,
ha dom inato lo spirito della «sicurezza», ovvero della protezione garanti­
ta dall’autorità, dell’apprensione angosciata davanti ad ogni audacia forie­
ra di novità, in breve, la vile volontà di impotenza. Proprio la bontà tec­
nica deH’amministrazione, cioè il fatto che da un punto di vista materiale
nell’insieme tutto andasse bene, aveva fatto abituare ampi strati della po­
polazione in generale (non solo borghesi) a vivere in questo guscio e ave­
va soffocato quell’orgoglio civico senza il quale anche le istituzioni più li­
bere non sono che ombre. L a repubblica mette fine a questa «sicurezza».
C on essa finisce la protezione dei privilegi e degli interessi sociali e mate­
riali all’interno della legittimità storica del potere politico garantito per
grazia divina. Com e già da tempo i lavoratori, con la repubblica anche la
borghesia è costretta a fare affidamento esclusivamente sulle proprie for­
ze e prestazioni. Tenendo conto delle condizioni di esistenza della società
relative ad un futuro non troppo lontano, la borghesia non ha motivo di
temere la prova della sua indispensabilità e della sua importanza. N o i ci
auguriamo che questa prova riuscirà ad accrescere in essa la consapevo­
lezza del proprio peso politico. Infatti è tornato a profitto dell’orgoglio di
ogni nazione l’aver rinunciato una volta ai propri legittimi poteri, in par­
ticolare se poi essa, come in Inghilterra, li ripristinò in grazia del popolo.
Certo è assai negativo per lo sviluppo di questa coscienza nazionale il fat­
to che la democrazia da noi non sia giunta, come in Olanda, Inghilterra,
America, Francia, sulla scia di lotte coronate dal successo oppure, come
avevamo sperato, in concomitanza con una pace onorevole, bensì come
conseguenza di una sconfìtta. La vergognosa liquidazione fallimentare del
vecchio regime, da cui è oppressa la nostra democrazia, è sopraggiunta a

139
W eber, Scrìtti po litici

offuscare politicamente il futuro. N on sono innanzitutto giorni felici


quelli che essa può promettere alla nazione. C on la repubblica si dà adito
a speranze di cui oggi non si può sapere se verranno tutte realizzate. Essa
non può restare ciò che attualmente è in modo evidente per troppe per­
sone, vale a dire un narcotico per uscire mediante un ubriacatura dalla pau ­
rosa pressione conseguente a l crollo. Altrimenti tutto è destinato a risolversi
velocemente. M a poiché per noi la patria non è la terra dei padri, bensì quel­
la dei discendenti, e poiché noi abbiamo e dobbiamo per forza avere più fi-
ducia nei posteri che nella vecchia generazione, e infine poiché noi conside­
riamo il netto rifiuto della legittimità dinastica come un m ezzo per rendere
una buona volta indipendente la borghesia sul piano politico, per questo noi
ci sottomettiamo lealmente ad ogni decisione di maggioranza ottenuta at­
traverso la costituente e il plebiscito. Ma quanto a noi restiamo senza riser­
ve e ambiguità a favore della repubblica. Ma che forma deve avere la repub­
blica? Questo dipende dai compiti che noi le affidiamo.

II.

L a vita politica continuerà a basarsi sm partiti. M a a nuovi compiti cor­


rispondono nuovi partiti. «N uovi» soprattutto in riferimento olle perso­
ne. E già abbastanza negativo che gli apparati tecnicamente indispensabi­
li dei partiti (segretari, corrispondenti e uomini dì fiducia) rendano salda­
mente intramontabili i partiti anche dopo lo svuotamento di ogni traccia
del loro vecchio senso. Ma almeno per le persone dei capi (Fuhrer) que­
sto non deve succedere. Se per esempio dovesse continuare ad esistere il
Partito Nazional-liberale, come desidera una parte52, allora è impossibile
che esso si presenti agli elettori propugnando un riassetto democratico
con capi che colla fiorarono a istigare contro la democrazia «occidentale»,
oppure dichiarandosi a favore della Società delle N azioni con capi che vo­
levano annettersi le Fiandre o il Briey13, che sostenevano la folle politica
del Baltico14, che lodavano la incredibile nota diplomatica al M essico15, e

'* G. Streseinann (1878-1929) nell’ottobre 1918 dichiarava «che l’esistenza e lo sviluppo di


un Partito Nazional-liberale indipendente in tutti i sensi è una necessità vitale della vita partiti­
ca tedesca».
15 Già nel 1914 G . Strcscmann c M. Roetgcr presentarono a nome degli industriali tedeschi le
richieste per gli obiettivi dì guerra che tra l’altro prevedevano l’annessione del Belgio e delie mi­
niere di carbone e metallifere. Anche negli anni di guerra successivi l’ala destra del Partito N azio­
nal-liberale che faceva capo a E. Bassermann c G. Strcscmann si mantenne fedele a queste richieste,
14 In particolare la corrente del Partito Nazional-liberale facente capo a E. Schiffcr sì era
schierata a favore dell’annessione del Baltico al RcUb tedesco.
15Si tratta di un telegramma del 19 gennaio 1917 che fu intercettato dai servizi segreti ingle­
si. Era stato inviato dal segretario dì Stato agli Esteri A. Zimmcrrnann (1864-1940) all’inviato te­

140
L a fu tu ra fo rm a sta ta le della G erm an ia

che soprattutto concorsero ad imporre demagogicamente la guerra sotto­


marina11. Altrimenti la lotta elettorale non è più una competizione per il
futuro, bensì diventa un’astiosa resa dei conti sul passato. Se in questi
giorni ventidue monarchi hanno abdicato perché sono stati ingannati, al­
lora anche i più benemeriti - e, in parte, a livello personale, anche simpa­
tici - notabili di partito devono trarre le conseguenze dei loro errori, che
costarono in definitiva l’esistenza stessa della Germania, anziché chiedere
di riottenere immediatamente la loro influenza sul partito o addirittura al­
cuni mandati come ricompensa per aver cambiato il loro modo di pensa­
re. L o stesso vale con qualche differenza per le sinistre. Avvenimenti co­
me quelli accaduti poco tempo fa nel prim o collegio elettorale di Berlino,
ovvero l’esclusione dell’unico politico delle sinistre «eleggibile a mini­
stro»17, sono letali: la nazione, soprattutto quella in grigioverde, ne ha
davvero abbastanza. Per i nuovi compiti il momento attuale richiede
svecchiamento, e possibilmente uno svecchiamento in grigioverde. Ma
quali sono questi nuovi compiti?
1. Esplicita rinuncia a sogni imperialistici e dunque un ideale di nazio­
nalità puramente autonomìstico: autodecisione di tutti i territori tedeschi
a favore della ri unificazione in uno Stato indipendente che si prenda cura
in modo assolutamente pacifico della nostra peculiarità nell’ambito della
Società delle Nazioni. N on dipende solo da noi se il pacifismo nazionale
può restare durevolmente la nostra convinzione etica di riferimento. Se,
come prim a del 1870, venissero preparati impedimenti alla nostra unifica­
zione {nei limiti in cui i tedeschi, in particolare gli austrìaci, la volessero);
se ci fossero tolti territori tedeschi in Occidente o addirittura in Oriente
(a parte l’Alsazia, a riguardo del cui destino di Stato noi - dopo che al vec­
chio regime non è riuscito in cinquantanni di guadagnare intcriormente
al Reich questo paese fondamentalmente tedesco - come ultimo atto di un
lungo processo vogliamo lealmente accettare questa pace che speriamo
per lo meno difenda la sua peculiarità); se oltre all’indennizzo del Belgio

desco in Messico. Nel caso di una dichiarazione di guerra degli Stati Uniti alla Germania l’invia­
to avrebbe dovuto proporre al Messico un accordo contro gli Stati Uniti, assicurare l’appoggio
finanziano e far intravedere la possibilità di un ritorno di Texas, New Mexico e Arizona al M es­
sico. D opo che questo telegramma fu reso noto, gran parte dell’opinione pubblica americana pre­
tese l’entrata in guerra degli Stati Uniti. II Reicbstag si occupò di questi avvenimenti nelle sedu­
te del 3 e del 5 marzo. Soprattutto i rappresentanti dei nazional-liberali valutarono il comporta­
mento di Zimmcrmann fondamentalmente positivo, anche se lamentavano il fatto che il tele­
gramma fosse stato reso pubblico.
N el marzo del 1916 i nazional-liberali nella persona di G. Strcscmann si schierarono sen­
za mezzi termini per l’inizio di una «guerra sottomarina totale».
‘'In occasione della nomina del candidato della Fonschriltlkbe Volksparlei per un posto re­
sosi vacante nel Reicbsteg a causa della morte di J. Kacmpf, l’ex-segretario di Stato nonché oppo­
sitore dì un’ampia politica di annessione, B. Dernburg, fu sconfìtto il 9 settembre da M. Kempner.

141
W eber, Scritti p olitici

ci venissero imposti doveri di corvée e di risarcimento con il pretesto di


danni che traggono origine dal mero fatto della guerra in quanto tale e da
azioni compiute reciprocamente da entrambe le parti, allora, dopo un cer­
to periodo di pacifismo inautentico dovuto solo a spossatezza, anche l’ul­
timo dei lavoratori che arrivasse a comprendere la situazione diventerà
sciovinista! L’odio dei popoli arde in permanenza c il movimento irre­
dentista tedesco divampa con tutti Ì soliti m ezzi rivoluzionari autodecisio­
nali. Contro il dominio straniero anche i mezzi usati dagli spartachisti so­
no giustificati e la gioventù universitaria tedesca vi avrebbe un com pito da
svolgere. Lo spirito della Società delle N azioni sarebbe morto e nessuna
«garanzia» potrebbe cambiare qualcosa. La politica inglese si sarebbe
creata un nemico mortale e il presidente Wilson non sarebbe più l’artefi­
ce della pace mondiale, bensì causa di lotte infinite.
2. Se si realizza —come noi vogliamo e speriamo - una pace che pos­
siamo accettare intimamente e con sincerità, allora la parola d ’ordine sarà:
smilitarizzazione radicale. Allora per prima cosa, com ’è naturale, dovrà
realizzarsi la subordinazione, che finora è mancata, del potere militare a
quello civile. Questa subordinazione sarà la conseguenza inevitabile del
passaggio ad un sistema militare puramente difensivo da concordare a li­
vello internazionale. La subordinazione del potere militare a quello civile
non significa incapacità di difesa e non può neppure significarlo, finché
non sembrerà definitivamente esclusa la possibilità del riaccendersi del
pericolo imperialìstico russo, causa prima della guerra. E non si dimenti­
chi che la Russia è con l’America l’unico paese che sopporterebbe facil­
mente il boicottaggio dell’intera Società delle N azioni.
3. La messa da parte della struttura egemonica panprussiana del Reich,
che in verità significava il potere di una casta, è un punto programmatico
anche per la democrazia prussiana. Q uesto passo sarebbe indispensabile
soprattutto per l’unificazione con l’Austria, che però non ci porterà, e del
resto non può essere altrimenti - siamo onesti con noi stessi! - né poten­
za né compattezza, bensì difficili problemi e oneri. Questa unificazione in
ogni caso non accresce la forza esterna del Reich e dunque non rappre­
senta affatto una necessità dettata dalla Realpolitik, piuttosto si tratta di
una necessità puramente politico-sentimentale. Vienna si lascia governare
da Berlino ancor meno che M onaco. La distribuzione degli organi di go­
verno nei grandi centri, la convocazione del parlamento ora a Berlino ora
a Vienna oppure in via permanente in un luogo del tutto nuovo e simili
faccende sarebbero certo particolari inessenziali, ma non insignificanti.
Ad ogni m odo nella situazione attuale, per adunarsi sotto il segno ben vi­
sibile del cambiamento, la costituente dovrebbe riunirsi in una città che
non sia Berlino, non importa se Francoforte, Norim berga o M onaco. Il
suo compito è creare una Costituzione che non solo metta da parte i pri­

142
L a fu tu ra fo rm a sta ta le d e lla G e rm an ia

vilegi formali della Prussia nell’interesse ddl'equilibrio tra i gruppi etnici,


bensì che offra anche dei contrappesi politico-statali per controbilanciare
il peso materiale prussiano che resta enorme. Quali?
4. Soluzione unitaria o federalista? Stato unitario o Stato federale? O c­
corre aver ben chiaro, e noi ritorniamo spesso su questo punto, che a tal
fine è particolarmente importante l’organizzazione economica del futuro.
U n ’organizzazione rigidamente socialista esigerebbe per un’economia
unitaria anche una struttura politica unitaria. (N ient’altro che una ecce­
zione soltanto apparente sarebbe la «municipalizzazione» delle imprese
locali di consumo - gas, acqua, illuminazione elettrica, tramvìe ecc. - da
parte delle amministrazioni comunali, poiché tali imprese resterebbero
inserite in definitiva quanto ai mezzi di produzione - carbone, macchine
e via dicendo comprese le forze lavorative - nel piano complessivo socia­
lista statale, il quale dovrebbe assegnare loro queste risorse). O gni au­
toamministrazione veramente «autocefala» (un’amministrazione cioè che
lavora con apparati di funzionari del tutto indipendenti) e «autonom a»
(ossia che amministra i beni secondo ordinamenti propri) di province,
Stati e comuni significherebbe dal lato della produzione e quanto alle fi­
nanze soltanto impaccio, sperpero e deficienza di pianificazione unitaria
a livello di economia nazionale. Invece ogni organizzazione indipenden­
te di economia privata attraverso imprenditori liberi, e anche attraverso
gruppi di imprenditori creati autonomamente, si può conciliare con il fe­
deralismo c può riunire in un sindacato (syndizieren) settori di economia
parziale anche oltre i limiti dei singoli Stati, se solo sono regolati unitaria­
mente il diritto, la moneta, la politica commerciale e le tasse di produzio­
ne. N e consegue che questo problema fondamentale di organizzazione
economica è pregiudiziale per la questione politica. D ato che questo pro­
blema è in sé d ’estrema attualità, affrontiamolo allora con decisione.
N oi ci chiediamo se l’imprenditore può essere economicamente elimi­
nato come fa supporre ai profani la tanto deplorata impotenza politica
della borghesia. Si può spiacerscne o meno, ma non è possibile eliminare
l’imprenditore. L o impediscono tanto la situazione attuale quanto le pro­
spettive della nostra economia.
Per prima cosa la situazione attuale. E molto semplice: non solo il rias­
setto, ma la semplice riattivazione, e addirittura il mero approvvigiona­
mento della nazione avrà bisogno per molti anni di crediti, vale a dire cre­
diti d all’estero, per essere chiarir crediti am ericani N on illudiamoci quan­
to a questo Inevitabile dominio economico straniero. M a un governo ra­
dicalmente proletario, anche il migliore, agli occhi degli investitori esteri
non è idoneo a d ottenere crediti Gli strumenti che un governo proletario
può utilizzare al posto del credito, ad esempio l’emissione di banconote e
la confisca, non fanno che scaricare Ì1 peso sulle spalle dei decenni a veni­

143
W eber, Scritti p o lìtici

re senza portare giovamento e alla fine ottengono tanto più e per giunta
anche formalmente il dominio ipotecario da parte delle potenze estere. In­
fatti gli stranieri non sanno che farsene di banconote svalutate, mentre le
confische destano in loro il sospetto che i loro crediti non siano sicuri. A l­
lora verranno richieste garanzie reali che saranno difese militarmente. S o ­
lo un governo e un’economia borghesi possono ottenere credito. Q uesto
perché solo la borghesia ha un interesse personale abbastanza forte al
mantenimento di un’infrastruttura economica basata sull’impresa privata.
Solo questa infrastruttura garantisce ciò di cui l’estero ha bisogno come
assicurazione delle sue esigenze, cioè la capacità contributiva monetaria
che funge da garanzia. Q uesto interesse borghese non è sostituibile da
nessuna «contabilità in natura» di una società socialista, anche se ben
escogitata. M a c’è di più. Poste di fronte alla scelta di dare in credito la
stessa som m a all’apparato burocratico di un’economia socialista oppure ad
un consorzio di banche libere o di organizzatori economici, ad esempio,
dell’industria pesante, i paesi stranieri non esiterebbero un istante a deci­
dere a favore della seconda possibilità. I fatti del presente potrebbero for­
nire le prove di questa mia asserzione. A questo riguardo non c’è nessuna
possibilità di cambiare qualcosa. Dunque è del tutto incomprensibile co­
sa debba essere inteso con la poco felice parola d ’ordine della «statalizza­
zione delle banche» (a parte forse l’abolizione dei diritti privati del consi­
glio di vigilanza nella banca d ’emissione che già ora è diretta statalmente,
vale a dire qualcosa di completamente insignificante per la struttura eco­
nomica). L a «statalizzazione delle società per azioni» è un’espressione
completamente vuota, se poi si ha bisogno di enormi capitali esteri e dun­
que se si può certo tassare a piacere la proprietà privata o espropriarla in
cambio di un indennizzo, ma non la si può confiscare - poiché altrimenti
non si riceve credito dall’estero. L’osservazione generica di Eisner che
un’economia distrutta e depauperata non sarebbe un terreno idoneo per
il socialismo, si dimostra in questo senso pregnante in modo peculiare. U n
paio di miliardi per provvedere ai generi alimentari li ottiene in credito an­
che un governo socialista, in quanto il nemico riceve in cambio dei pegni.
Invece crediti per ricostruire, che sono quelli di cui abbiamo bisogno, li ot­
tiene solo un governo borghese.
M a a prescindere dalla situazione attuale? Rinnegando i principi poli­
tici d’un tempo il programma socialista proclama adesso il socialismo di
Stato addirittura con la formula del «mantenimento dell’economia di
guerra». O ggi, per esempio, in senso tecnico-amministrativo le assicura­
zioni e le miniere sarebbero «mature» per l’assunzione nell’amministra­
zione dello Stato, dunque in un’amministrazione gestita da funzionari an­
ziché da imprenditori, ossia per una burocratizzazione tipica del sociali­
sm o di Stato. D i certo però non lo sono le industrie di manufatti che so­

144
L a fu tu ra fo rm a statale della G erm an ia

no particolarmente importanti per la peculiarità politico-commerciale


della Germania, e che in parte si fanno beffa di ogni organizzazione. Tra
questi due estremi stanno le industrie che sarebbero «m ature» per un con­
trollo obbligatorio da parte dello Stato oppure per ogni sorta di livelli di
regolamentazione provvisoria del mercato e dell’acquisto di materie pri­
me. Infatti oggi a causa dalla mancanza di materie prime queste industrie
sono parzialmente sottoposte a tali regolamentazioni e forse una parte di
esse potrebbero restarlo per motivi puramente tecnici. M a le altre in se­
guito dovrebbero necessariamente ritornare ad un’economia privata am­
piamente autonom a per poter concorrere con l’estero. Per quanto riguar­
da l’agricoltura, dopo l’attuazione delle necessarie espropriazioni della
grande proprietà terriera, l’economia privata (con il sistema della lìbera
creazione delle cooperative) si impone da sé. M algrado tutti i controlli e
interventi c sebbene solo cuori ingenui sperino nel ritorno delle vecchie
condizioni di prim a della guerra, si impone inevitabilmente per la sua im­
portanza proprio il mantenimento del principio dell’economia privata,
cioè dell’economia di imprenditori, e lo slogan del «mantenimento dell’e­
conomia di guerra» pensata come situazione duratura suonerebbe dilet­
tantesco. Infatti come funzionava questa economia di guerra? Fondata
sull’accettazione della m ostruosa unilateralità della sua meta e sulla antic-
conomicità, due punti che caratterizzano la guerra come nemica della red­
ditività in quanto «vita a spese del capitale», l’economia di guerra perse­
guita in tempo di pace significherebbe né più né meno che bancarotta. In­
vece, come tutti sanno, l’economia di guerra non significava assolutamen­
te un’esclusione de\Yimprenditore. A l contrario, essa spalancava le porte
all’imprenditore, ma in un’altra forma. N on solo come guadagni di guer­
ra per i fornitori. N o , proprio l’elemento statal-socialistico delle loro or­
ganizzazioni dell’economia di guerra non poteva sussistere senza l’im­
prenditore. I suoi propositi e le sue prestazioni economico-organizzative
davvero notevoli sono dovuti quasi senza eccezione a commercianti, non
a burocrati. Il commercio al minuto diffuso a livello di massa e, parzial­
mente, la corruzione dominavano proprio là dove l’economia ammini­
strata dai funzionari voleva realizzare prestazioni non appropriate ad es­
sa ed eccezionali. E in tempi normali varrà a buon diritto di nuovo il prin­
cipio che l’imprenditore autonomo è un lavoratore con salario a premio a
fini organizzativi, mentre il funzionario è un lavoratore con salario a tem­
po (e cioè, al contrario deh'operaio, uno che lavora senza u n ’efficace sele­
zione in base alla sua prestazione); inoltre l’imprenditore amministra i be­
ni sotto la sua responsabilità, invece l’altro a rischio dell’erario statale. In
conseguenza a ciò i lavoratori, stiano essi contro o a favore del sistema a
cottimo e del salario a premio, non sono di certo interessati a che dei bu­
rocrati creino per loro delle occasioni di guadagno solo in base al «salario

145
--------------------- .---------------------Weber, Scritti p o l i t ic i _______________________________

a tempo». N o i non abbiamo in verità nessun motivo per amare ì signori


dell’industria pesante. Rompere l’influsso politico nocivo che essi hanno
esercitato sul vecchio regime è certo uno dei compiti principali della de­
mocrazia. Ma economicamente la loro prestazione non è soltanto indi­
spensabile, ma lo diventa più che mai adesso, in un momento in cui la no­
stra intera economia e tutte le sue possibilità di guadagno devono per for­
za essere riorganizzate. A buon diritto il Manifesto, comunista ha rilevato
il carattere economicamente - non politicamente - rivoluzionario del la­
voro degli imprenditori capitalisti borghesi. N essun sindacato, ancor me­
no un funzionario socialista di Stato può sostituire queste funzioni. Biso­
gna solo usare gli imprenditori nel posto giusto, porgere certo loro i pre­
mi inevitabili del profitto, ma non lasciare che prendano il sopravvento.
Solo così è possibile - oggi! - un progresso verso la socializzazione. Ogni
socialista istruito lo sa; se lo contesta, allora è un bugiardo. M a il risenti­
mento e gli istinti corporativi dei letterati accademici contro uomini che
non sono esaminati da loro e che tuttavia guadagnano soldi ed esercitano
il potere, sarebbero i peggiori consiglieri per i lavoratori economicamen­
te progrediti.
L a democrazia rifiuterà tutti gli slogan dei letterati, siano essi «orga­
nizzazione» o «economia libera», «economia collettiva» o «statalizzazio­
ne», o quant’altri possano essere. L’indicazione di un criterio come «so­
cialista» o, viceversa, come «liberale» non implica per la democrazia né
una raccomandazione né una messa in guardia. Per ogni singolo settore
economico il sistema democratico richiede invece soltanto risultati con­
creti, ovvero come si arriva a migliorare da un lato la possibilità di gu ad a­
gno delle grandi masse di lavoratori, dalPaltro come si arriva ad aumenta­
re la capacità di soddisfazione dei bisogni dell’intera popolazione.
Sul piano della tecnica istituzionale tutto ciò significa che la soluzione
unitaria non è l’unica possibile, e che anzi c’è spazio per il federalismo,
qualora dei buoni motivi ci costringessero a sceglierlo. Ma nella situazio­
ne attuale la soluzione puramente unitaria non sarebbe possibile. N on da
un punto di vista economico: l’Austria ha la sua propria moneta e la sua
propria banca d ’emissione, un’economia finanziaria eterogenea e partico­
lari necessità di politica commerciale. Ma neppure da un punto di vista
politico: è evidente che i nostri attuali dominatori stranieri non la tollere­
rebbero mai. Ma a prescindere del tutto da ciò, la legittima peculiarità non
solo dell’Austria, ma anche della Baviera si opporrebbe nettamente alla
soluzione unitaria. Se tutto dunque spinge in direzione di uno Stato fede­
rale repubblicano, allora che forma deve avere questo Stato? In relazione
a tutte le istituzioni fondamentali si avrà una possibilità di scelta tra più
principi che tracceremo brevemente in seguito. Per prima cosa mettiamo
questi principi a confronto uno con l’altro.

[46
L a fu tu ra fo rm a statale della G e rm an ia

III.

In sintesi, iniziamo dalle seguenti premesse:


1. si deve mirare alla repubblica federale. Se essa si realizzerà o meno
dipende tra l’altro anche dal dispotism o dei berlinesi, cioè se esso non
porterà all’estremo il separatismo o se {forse anche contemporaneamente)
non fomenterà le controcorrenti dinastiche. In A ustria queste controcor­
renti sembrano essere forti, in tal caso potrebbe sorgere per noi una si­
tuazione del tutto nuova. Partiamo dal fatto che
2. è prevista la soluzione pantedesca, la qual cosa significa ulterior­
mente che
3. gli clementi panprussiani della Costituzione devono assolutamente
essere accantonati. Q uesto fatto ha, prima di tutto, una conseguenza che
è resa possibile soltanto ora, su base repubblicana, ossia che in futuro
verrà meno il collegamento dei vertici più alti del Reich con i vertici stata­
liprussiani, oltre che i privilegi «egemonici» prussiani nel Consiglio Fe­
derale (art. 5 capoverso 2, art. 7 capoverso 3, art. 11 frase 1, art. 15 capo­
verso 1, art. 37) e i diritti della Prussia che derivano dalle convenzioni mi­
litari. Q ui, allora, nel peso (che non si può eliminare burocraticamente)
dell’estensione territoriale prussiana, della sua popolazione e della sua po­
sizione economica tanto come mercato di sbocco quanto come territorio
di produzione, c nell’enorme posizione di potenza dell’apparato ammini­
strativo prussiano e della sua direzione sta la fonte di quasi tutte le diffi­
coltà del federalismo tedesco. Infatti supponiamo che
4. uno smembramento permanente della Prussia in singoli Stati, come
si era pensato di attuare in passato a partire da motivi federalistici, incon­
trerebbe difficoltà finanziarie e tecnico-amministrative assai considerevo­
li, e inoltre il pericolo del particolarismo nei territori ad est dell’Elba cre­
scerebbe così tanto che un simile smembramento difficilmente verrebbe
preso in considerazione ad un livello dì radicalità tale da scongiurare la
permanenza di un’enorme preponderanza al territorio amministrato da
Berlino. Se tuttavia questo smembramento si dimostrasse possibile e si
imponesse18 - e «Berlino» opera proprio in questo senso - , allora noi lo

11 La Costituzione del Reich potrebbe prevedere esplicitamente un raggruppamento o una


divisione di singoli Stati nell’ambito del Reich formulando - seguiamo qui una proposta fatta dal­
l’altra parte - determinazioni normative per il caso in cui si verificasse o si tentasse la Costitu­
zione di nuove entità statali sulla base di quelle già esistenti oppure la fusione di alcuni Stati con
altri confinanti, l’er la fusione tramite l’annessione dello Stato confinante verrebbero presi in
considerazione lo Hohcnzolkrn, Oldcnburg, Mccklenburg-Strclìtz, gli Stati pìccoli della pianu­
ra a nord della Germania (a eccezione di Amburgo c Brema) come anche tutte le enclavi, per la
Turni già invece tramite l’unione in uno Stato unitario. Per la spartizione o ripartizione soprat­
tutto fa Prussia. L a premessa formale per l’introduzione della spartizione - cosa elio da sola crea
serie difficoltà —sarebbe la richiesta inoltrata da una parte abbastanza grande (all’incirca un quin-

147
W eber, Scritti p o litic i

accetteremmo. Ma per ora esso ci appare malgrado tutto ancora poco pra­
tico. Se le cose stanno in questo modo, allora si tratterebbe di creare dei
contrappesi di diritto costituzionale contro il peso oggettivo della Prussia.
Premesso tutto questo, ci chiediamo innanzitutto due cose: struttura par­
lamentare o plebiscitaria? E coerentemente a ciò: costituzione commissa­
ria o rappresentativa degli organi che sono da creare accanto alla Camera
del Popolo ( Volkshaus) (cioè il Reich stag, che ovviamente continuerà ad
esìstere), ovvero degli organi che devono prendere il posto di quelli che fi­
nora erano il Consiglio Federale e il governo del Reich (imperatore, can­
celliere e segretari di Stato). Sono questi che, al contrario della Camera del
Popolo, creano le più grandi difficoltà.
L a Costituzione egemonica in vigore finora costringeva i restanti Sta­
ti della federazione a tutelarsi con diritti particolari e riservati, conformi
alla Costituzione, contro il dominio della Prussia che si fondava sulla sua
strapotenza finanziaria, sul potere di comando e sul potere esecutivo del­
l’imperatore, mentre all’interno del Consiglio Federale si basava sull’as­
soluta dipendenza degli Stati più pìccoli dotati di voto. N o i riteniamo che
questi Stati più piccoli termineranno la loro insensata esistenza o attra­
verso l’integrazione (Turingia?) oppure attraverso 1’ in co rporamento11. I
restanti Stati di media grandezza potrebbero fare ciò che finora è loro
mancato, vale a dire assicurarsi un’influenza nel Reich (anziché solo la li­
bertà d al Reich), solo se anche in futuro esisterà un organismo nel quale
essi saranno rappresentati con una proporzione di voti fortemente privi­
legiata rispetto alla loro quota di popolazione. La Costituzione america­
na e quella svizzera adottano questo principio nel modo più radicale, ad

to) della popolazione residente al l'interno di un territorio geograficamente coeso, in Prussia da


almeno una provincia. Qualora venisse inoltrata una tale proposta, il Retcb dovrebbe predispor­
re all’interno della provincia la nomina di commissari che innanzitutto dovrebbero trattare un
accomodamento con le istanze centrali dello Stato da cui si intende separarsi, in riferimento alla
partizione del patrimonio e dell’amministrazione. Se in alcuni punti non si giungesse ad un ac­
cordo entro un determinato limite, eventualmente anche sull’intera questione, allora i commis­
sari dovrebbero cagionare un arbitrato da parte del governo del Reich. Il concordato così realiz­
zato sarebbe allora da sottoporre al voto referendario delle popolazioni delle parti in causa, pri­
ma di poter concedere il permesso di essere uno Stato autonomo, La ripartizione pianificata del­
la carta geografica tedesca intrapresa d’ufficio dal Reich sarebbe di gran lunga la soluzione più ra­
zionale, ma resterebbe lettera morta perché gli Stati non le si sottometterebbero. Secondo una
proposta sensata [Weber si riferisce ad una proposta fatta dal giurista R. A. Scbulzc, 1878-1930]
si potrebbe premiare la sparti z.io ne della Prussia fissando accanto ad una quota minima per it per­
messo di essere uno Stato (un milione di abitanti) anche un numero massimo molto basso di vo­
ti per Stato (un quinto dì tutti i voti) aH’interuo dell’organismo centrale federativo da creare. N on
si dimentichi, però, che in Prussia Tutte le brame di partizione provengono da zone fiscalmente
molto redditizie, perciò nel caso di una partizione lo sviluppo delle parti restanti più povere su­
birebbe un forte rallentamento. C iò che si desidera dal lato politico qui non si accorda con ciò
che si desidera sul piano economico [n.d.A.].
Si veda la nota precedente [n.d.A.],

148
L a fu tu ra fo rm a statale della G e rm an ia

un livello per noi inimitabile, cioè assegnano senza differenza lo stesso nu­
mero di voti per i rappresentanti degli Stati nel Senato o nella Cam era dei
Cantoni (Stànderat) senza riguardo alla differente grandezza degli Stati (il
Delaware è appena un trentesimo di N ew York!). Invece tanto la C osti­
tuzione del 1849 (per esempio Prussia quaranta voti, Baviera venti in una
Cam era degli Stati (Staatenhaus) - piccolo-tedesca - di 168 voti) quanto
la Costituzione del Reich del 1867-71 (Prussia 17, Baviera 6 voti dei 61
dell’intero Consiglio Federale) attuano questo principio in m odo mode­
sto. Entram bi, però, in m odo tra dì loro radicalmente contrapposto. In­
fatti la dom anda fondamentale per un federalismo di questo tipo sarebbe:
1. Consiglio Federale o Cam era degli Stati? Sistema delegatizio o rap­
presentativo? Il sistema delegatizio significa che nell’organismo posto ac­
canto alla Cam era del Popolo siedono delegati nominati dai singoli go­
verni, in ogni momento revocabili, che votano esclusivamente secondo
istruzioni, come è stato finora nel Consiglio Federale. Il secondo invece
significa che nella Camera degli Stati siedono rappresentanti eletti dalle
popolazioni dei sìngoli Stati o dai parlamenti per periodi di legislatura fìs­
si e che votano esclusivamente secondo la loro propria convinzione, come
in America (Senato) o in Svizzera (Camera dei Cantoni). La Costituzio­
ne del 1849 lasciava nominare ai governi dei singoli Stati e alle loro rap­
presentanze popolari dì volta in volta la metà dei rappresentanti per la C a­
mera degli Stati, ma stabiliva inoltre, per rompere il più possibile il peso
unitario dei grandi Stati, che l’altra metà fosse eletta da Cam ere Provin­
ciali, negli Stati che le avessero, dunque a livello regionale, e non attraver­
so i parlamenti.
Ogni elezione parlamentare dei rappresentanti della Cam era degli Sta­
ti significa oggi un notevole avvicinamento al principio della delega, poi­
ché questo tipo di elezione significa in pratica che i partiti dei singoli Stati
inviano i loro uomini di fiducia. Invece l’elezione popolare diretta (benin­
teso, rigorosamente democratica), ma soprattutto l’elezione a livello regio­
nale, porta alle estreme conseguenze il principio rappresentativo. Infatti
ogni elezione popolare della Cam era degli Stati, e nel modo più evidente
in questa forma, significa fondamentalmente l’eliminazione dei governi e
dei parlam enti dei singoli Stati. Dunque proprio di quei poteri che, in op­
posizione radicale al principio rappresentativo, attraverso i loro uomini dì
fiducia cui impartiscono le istruzioni in ossequio al principio di delegazio­
ne proprio del Consiglio Federale sarebbero proprio gli unici rappresen­
tanti dei diritti federalistici ripartiti tra di loro, per così dire, a percentuale
nel Reich. U n ’elezione popolare diretta fatta a livello regionale di una C a­
mera degli Stati sarebbe al contrario non una rappresentanza delle singole
individualità politiche, vale a dire degli eventuali possessori del potere po-
lìtìco nei singoli Stati, bensì una rappresentanza delle panico Li rità regiona­

l i
Weber, Scritti p olitici

li del popolo, cioè dei partiti di volta in volta prevalenti nelle regioni mag­
giori. Finiamo per ritornare continuamente su questo punto.
La particolarità che differenzia una Cam era degli Stati ad elezione po­
polare rispetto al Reichstag che le viene affiancato (Cam era del Popolo) si
esprimerebbe innanzitutto nel numero necessariamente molto inferiore di
membri. Secondo esperienze assodate un numero ridotto di organismi
rappresentativi significa accresciuta capacità di azione, risoluzioni più
precise, condizionate da una fredda razionalità e meno da emozioni e de­
magogia, in altre parole: essere più adatti alPesercizio della.potenza. L ’u ­
niversalità, in questo caso sacrificata, del riflesso della volontà politica l’a­
vrebbe da offrire invece proprio la Cam era del Popolo (Reichstag) che le
sta accanto. Si potrebbero allora accordare alla Cam era del Popolo dei
privilegi quanto alla stesura del bilancio preventivo, mentre alla Camera
degli Stati si potrebbero assegnare importanti adempimenti speciali e di
qualità come i controlli dell’amministrazione, compresi l’inchiesta e l’ac­
cusa di funzionari, i controlli sui contratti c sulla diplomazia, la ratifica­
zione di importanti decreti esecutivi c forse anche una partecipazione uf­
ficialmente riconosciuta, anziché quella pressoché inevitabile e latente, al
patronato delle cariche. L a seconda peculiarità della Cam era degli Stati sa­
rebbe la ripartizione dei mandati agli Stati. In occasione dell’elezione p o ­
polare diretta su base regionale verrebbe certamente a mancare la neces­
sità di una ripartizione tra le singole regioni che divergesse essenzialmen­
te dal numero degli abitanti. Tale ripartizione sarebbe addirittura insensa­
ta. A tutta prima, questo fatto appare un vantaggio. Ma su questo princi­
pio regionale pesa in misura particolarmente forte proprio quella igno­
ranza del peso dei poteri politici nei singoli Stati propria, come abbiamo vi­
sto, della Camera degli Stari. Proprio noi, che accetteremmo con favore la
repubblica unitaria, non possiamo non notarlo. Q uesta esigenza era im­
mediatamente cogente in concomitanza con l’identificazione che c’è stata
finora tra il capo supremo del Reich e il capo supremo dello Stato prus­
siano. Con la futura separazione di queste due cariche verrebbe a manca­
re questo particolare morivo per la concessione di diritti di quote di par­
tecipazione fisse dei singoli governi al governo del Reich. M a il pesante di­
scredito che grava su «Berlino», e ora il coesistere di fatto una accanto al­
l’altra delle costituenti dei singoli Stati accanto alla costituente del Reich,
darebbe di certo ai singoli governi una posizione forte se essi dovessero
pretendere di essere rappresentati nella sede centrale in un organismo
com posto di uomini di fiducia, i quali eseguono pedissequamente le istru­
zioni ricevute, così che in nessun modo il peso dei loro voti possa essere
schiacciato dalla Prussia. E non si può dimenticare che in un’entità stata­
le con problemi economici e finanziari come quelli che incombono su di
noi la partecipazione di rappresentanti del governo all’amministrazione

150
L a fu tu ra fo rm a statale della G e rm an ia

ordinaria, e al suo controllo ed istruzione, diventa il fattore decisivo in


misura ancora maggiore di quanto sia tipico dello sviluppo moderno, per
lo meno tanto importante quanto la partecipazione della popolazione ai
grandi organismi di voto. M a dal punto di vista del singolo Stato questa
attiva partecipazione all’amministrazione può essere in effetti esercitata al
meglio da funzionari colti. Una Cam era degli Stati eletta del tutto in base
ad elezioni popolari c, dove possibile, ad elezioni su base regionale, non
offrirebbe in tal senso un’alternativa valida.
D a tutto questo conseguirebbe, per prima cosa, la partizione dei (cir­
ca cinquanta) mandati secondo il principio del Consiglio Federale una
volta che sia stato migliorato (dunque albine ire a: quindici mandati prus­
siani^, dodici austriaci, sette bavaresi c così via). In secondo luogo non ci
sarebbero elezioni popolari regionali. M a se si restasse al sistema dell’ele­
zione su base statale attraverso i parlam enti dei singoli Stati (naturalmen­
te in questo caso il mandato verrebbe meno in occasione di ogni nuova
elezione generale del parlamento nel singolo Stato in questione, poiché i
rappresentanti in questo caso sarebbero uomini dì fiducia dei partiti, e
dunque non potrebbero sopravvivere alla costellazione di partiti di volta
in volta vincitrice nel loro Stato), allora questo sistema sarebbe già così si­
mile a quello ispirato al principio delegatizio del Consiglio Federale che la
semplice assunzione del l’odierno Consiglio Federale sarebbe la soluzione
più onesta. Naturalmente previa una nuova partizione dei voti, l’elimina­
zione degli Stati più piccoli, l’abolizione di tutti i privilegi connessi al vo­
to presidenziale, il cambio della presidenza, il mantenimento e forse l’am­
pliamento dei diritti particolari inalienabili. Tanto più che la soluzione
della Cam era degli Stati, anche se indirettamente, porta però allo stesso ri­
sultato. Infatti se si dovesse realizzare la Cam era degli Stati sul fonda­
mento del principio rappresentativo (dunque eletta con voto popolare),
allora, qualora i sìngoli governi dovessero rivendicare con successo il di­
ritto alla partecipazione assicurata al 1’amministrazione centrale —e lo fa­
rebbero di certo - , sorgerebbe subito la necessità di creare accanto alla C a­
mera degli Stati e alla Camera del Popolo non un vertice qualsiasi, ma un
vertice federale, ripartito secondo quote tra i governi federali; o altrimen­
ti ci si dovrebbe prendere cura di un collegamento costante del governo
del Reich con i governi dei singoli Stati (attraverso agenti o commissioni
permanenti)31. Allora accanto a questo vertice federativo si avrebbero sol­
tanto due camere elettive, c il problema del Consiglio Federale si sposte­
rebbe semplicemente su di un altro livello.

" Si veda la nota precedente! [n.d.A.]


Se la Camera degli Stati viene limitata al puro potere legislativo, allora questo problema di­
venta particolarmente importante [n.d.A.].

151
W eber, Scritti p olitici

Ma i singoli governi sono costretti (miissen) oppure devono (sollen) ri­


vendicare quel diritto sulle quote di governo ripartite che è la fonte di tut­
te queste difficoltà? Senza dubbio no!, se consideriamo la cosa da un pun­
to di vista puramente democratico, dato che le loro popolazioni sarebbero
rappresentate nella Cam era del Popolo come nella Camera degli Stati (in
quest’ultima in una misura privilegiata rispetto alla Prussia). M a ogni or­
ganizzazione politica autocefala aspira alla potenza - ci soffermeremo an­
cora sul perché -, e questo aspirare agirebbe certamente in senso pura­
mente particolaristico, contrapponendosi a l governo centrale, se si pri­
vasse l’organizzazione politica della quota di partecipazione a questa po­
tenza. E alcuni motivi oggettivi, abbiamo visto, si lasciano addurre per la
pretesa dell’organizzazione politica a questa ripartizione. SÌ potrebbe ten­
tare di sfuggire a ciò optando tra le due una: o attraverso l’accantona­
mento dell’autocefalia dei singoli Stati, dunque: anziché l’elezione auto­
noma dei capì di Stato da parte dei popoli dei singoli Stati oppure attra­
verso parlamenti, la nomina da parte del potere centrale, come per esem­
pio in Canada. Q uesta soluzione, formalmente, « centrali stica», nelle con­
dizioni tedesche avrebbe diffìcilmente delle possibilità, se accanto a ciò l’i­
stanza centrale dal canto suo non venisse di nuovo, in una qualche misu­
ra, com posta federalìsticamente, e quindi conformemente alla ripartizio­
ne (con il favore, naturalmente, degli Stati più piccoli); si tratta, come sem­
pre, del medesimo rinvio del «problema dei Consiglio Federale». O p p u ­
re, la seconda via: l’autocefalìa perdura, ma la richiesta di una ripartizione
federalistica del potere centrale viene rimossa attraverso una partizione
del tutto radicale dei poteri tra governo singolo c governo centrale. D un­
que attraverso la separazione tanto delle competenze oggettive quanto dei
compiti positivi, degli apparati di funzionari che stanno a tal fine a dispo­
sizione, infine e soprattutto delle fonti di reddito disponibili. C o l risulta­
to che gli apparati amministrativi di entrambe le parti, dal vertice fino al­
la base, correrebbero uno accanto all’altro come sistemi di tubature indi-
pendenti che non si mescolano mai. M a il particolarismo statale america­
no, che è assimilabile a questo principio, non sarebbe per noi accettabile
già solo per motivi derivanti dalla nostra politica sociale. Se una buona
volta venisse a cadere la struttura panprussiana, il tipo di relazione che in­
tercorre tra federazione e cantoni in Svizzera sarebbe in futuro più con­
sono alle nostre possibilità, malgrado la partizione delle competenze di­
verga piuttosto decisamente. Ma il tentativo di assumere semplicemente
questa soluzione incontrerebbe una forte resistenza. Confrontata con i
nostri futuri bisogni Vautoamministrazione della federazione svizzera è
limitata. Vedremo più tardi che anche i rapporti finanziari parlerebbero
chiaramente contro questa possibilità; nel complesso, dal punto di vista
della socializzazione, è auspicabile urgentemente il centralismo più rigo­

152
L a fu tu ra fo rm a statale della G e rm an ia

roso possibile. M a da noi sussiste la contraddizione che motivi oggettivi


imposti dal futuro peseranno a favore di una soluzione fortemente cen-
tralistica, mentre reminiscenze del passato, tanto quanto um ori e costella­
zioni politiche di potenza e di interessi del presente, dei quali parleremo
ancora più volte, spingeranno verso una soluzione federalistica; all'inter­
no di quest’ultima, tuttavia, in favore del princìpio di delegazione e di ri-
partizione, come esso è stato incarnato fino ad oggi nel Consiglio Fede­
rale. In parole povere, da noi manca la prova quotidiana evidente per tut­
ti neH’escmpio riuscito perfettamente in Svizzera: la dimostrazione empi­
rica lampante del fatto che la peculiarità e l’interesse di tutti i gruppi etni­
ci possono essere tutelati da noi tanto da una Costituzione del carattere
(all’ incirca) di quella canadese o dì quella svizzera - dunque: con una C a­
mera degli Stati - quanto con il mantenimento della vecchia Costituzione
del C onsiglio Federale. E se la Prussia resterà uno Stato unitario, il tenta­
tivo di trovare credito senza questa prova sarà del tutto velleitario, in par­
ticolare nel caso in cui la sede degli organismi centrali del Reicb dovesse
restare Berlino. Io, dal canto mio, per motivi politici e di tecnica costitu­
zionale in linea di principio sarei per la Costituzione della C am era degli
Stati, ma devo per forza fare ì conti con l’inevilabilità della soluzione del
C onsiglio Federale. G ià le relazioni che intercorrono oggi tra i governi ri­
voluzionari indicano questo fatto.
Come possa funzionare il nuovo C onsiglio Federale, nel caso in cui es­
so dovesse risorgere malgrado tutto in una forma mutata in base a motivi
spiegabili alla fin fine solo storicamente, e quale potrebbe essere il suo po­
tere e dunque il suo significato positivo all’interno del futuro sistema am­
ministrativo tedesco, tutto ciò dipende, com ’è ovvio, innanzitutto dalla
partizione dei compiti tra il Reich e i singoli Stati. Ma oltre a ciò - c que­
sto deve interessarci per prima cosa - dipende dal tipo di struttura che
avrà il futuro governo del Reich, cioè da quegli organismi che subentre­
ranno al l’imperatore, al cancelliere e al Consigtio Federale.

IV.

2. Vertice del Reich plebiscitario, parlam entare o federalistico? A l posto


dell’imperatore, dal punto di vista formale, potrebbe subentrare semplice­
mente una persona singola. Eletta o 1. direttamente dal popolo, come il
presidente degli Stati Uniti, oppure 2., come il Consiglio Federale svizze­
ro compreso il presidente della federazione, attraverso il parlamento del
Reich. N ell’ultimo caso attraverso la sola Camera del Popolo, qualora ac­
canto ad essa stia un Consìglio Federale dì delegati che seguono le istru­
zioni loro date. Oppure, se fosse creata una Camera degli Stati, attraverso

153
W eber, Scritti p olitici

le due Camere assieme, come in Francia. (O ppure infine, poiché la C am e­


ra degli Stati si spera avrà al massimo un ottavo dei mandati della Camera
del Popolo, attraverso la Camera degli Stati e una frazione della Cam era del
Popolo da delegare proporzionalmente). La differenza tra i punti 1. e 2. è
politicamente significativa. U n presidente del Reich che poggiasse sulla le­
gittimità rivoluzionaria dell’elezione popolare, e che dunque a buon dirit­
to si trovasse contrapposto agli organismi del Reich, avrebbe un’autorità
incomparabilmente diversa rispetto a quella di un presidente eletto parla­
mentarmente. Questo anche laddove lo si limitasse, pur fortemente, al ve­
to sospensivo e al diritto di referendum, o altrimenti al solo potere esecu­
tivo, e anche se lo si vincolasse nell’ambito del patronato delle cariche più
strettamente che, per esempio, ii presidente americano, ma di questo più
avanti. (Considerata la situazione attuale dei nostri partiti, non si potrebbe
togliere facilmente al presidente il diritto di scioglimento", oppure qualco­
sa di equivalente ad esso, per esempio il diritto di indire un referendum).
Questo potere sarebbe —da un punto di vista rigidamente socialista - un
grande privilegio del presidente eletto dal popolo. Infatti per la socializza­
zione sarebbe decisiva la mano forte nell 'amministrazione, e cioè un capo
dell’esecutivo legittimato come uomo di fiducia del popolo. I parlamenti
qui potrebbero ricoprire soltanto la funzione di organi di controllo. I pe­
santi danni, ammessi da parte americana, provocati dalla campagna eletto­
rale per la presidenza c 1 suoi enormi costi sono conseguenti, per lo meno
in parte, al sistema del bottino - al principio fondamentale, cioè, per il qua­
le con il nuovo presidente cambiano anche ì funzionari da lui eletti -, un
sistema che intreccia gli interessi di parecchie centinaia di migliaia di cac­
ciatori di posti con l’esito dell’elezione. Mentre da noi ci sono pur sempre
ancora «partiti che propugnano una visione del mondo», per lo meno
quattro, là normalmente due grandi partiti fanno una pura lotta per il p o s­
sesso delle cariche e in sé sono quasi «senza convinzione», anzi cambiano
i loro programmi di volta in volta a seconda delle possibilità di riuscita del­
la propaganda. Il nostro tipo di distribuzione delle cariche non azzerereb­
be per nulla gli interessi connessi al loro possesso in occasione della lotta
elettorale, ma tuttavia creerebbe premesse del tutto diverse. U n ’organizza­
zione di partito rigida e burocratica sarebbe certo anche da noi la conse­
guenza necessaria di elezioni presidenziali plebiscitarie, e l’autentica lotta
elettorale sarebbe trasferita in misura notevole all’interno dei partiti stessi
(in occasione della presentazione dei candidati per la presidenza).
Questa formula può suscitare dei dubbi politici in chi considera il ver­
tice repubblicano in quanto tale una questione di fede, dato che da un pun-

- Il diritto di scioglimento del parlamento c di indire nuove elezioni era un’efficace arma
dell’esecutivo.

154
L a fu tu ra fo rm a statale della G e rm an ia

to di vista formale un’elezione popolare potrebbe in futuro diventare facil­


mente la via per il ristabilimento di una dinastia (di quella già stata o di
un’altra), una possibilità questa che attraverso esperimenti dilettanteschi
potrebbe ottenere inaspettatamente subitanea importanza. Io, dato il di­
scredito delle dinastie, non do molto rilievo a questa eventualità. Inoltre,
per l’elezione popolare del presidente - come conseguenza della nostra
lunga impotenza interna - mancano capì politici eminenti in grado di ma­
nipolare la massa. G ià la Socialdemocrazìa tedesca del Reicb, con il suo dis­
sìdio^ interno faticosamente arginato, sarebbe in grande im barazzo e
un’importazione di leader dall’Austria non credo sarebbe facile. Ancora
peggio starebbero le cose con i partiti borghesi. Questa è la nostra attuale
situazione. O ppositori irriducibili dell’elezione plebiscitaria sarebbero tut­
ti gli strati sociali che si oppongono ad un forte e personale potere esecuti­
vo del Reich, dunque chi ripone interessi particolari nella potenza politica
dei sìngoli governi (del già trattato «federalismo di ripartizione»), tanto
quanto gli oppositori rigidamente liberati di una socializzazione integrale.
Altrettanto lo sarebbe la maggior parte dei praticoni della polìtica parla­
mentare. N on certo, però, i politici di partito in generale. Infatti l’elezione
popolare crea solo un cambiamento della forma di selezione nel controllo
delle cariche. M olto lontano dal l’accantona rio del tutto, tuttavia l’elezione
popolare può sottrarre ampiamente il controllo delle cariche ai parlamen­
tari oppure limitare la loro influenza. Allo stesso modo essa toglie a costo­
ro per lo meno una parte dell’influsso concreto suH’ammini strazio ne, con
tutti quegli interessi economici ancor più accresciuti da una forte socializ­
zazione e dipendenti da quest’ultìma. Se nella scelta dei suoi ministri si vin­
colasse alla fiducia del parlamento anche il presidente eletto con voto po­
polare, allora questi, in quanto uom o di fiducia di milioni di elettori, sa­
rebbe spesso superiore all’uomo di fiducia dell’eventuale maggioranza par­
lamentare, tanto superiore quanto più lungo dovesse risultare il suo perio­
do in carica. E nel caso di un’ampia socializzazione, nell’interesse della
continuità occorre fissare il suo mandato su un periodo piuttosto lungo
(circa sette anni), Sì potrebbe creare una valvola di sfogo attraverso l’am­
missione di un referendum di revoca su richiesta dì una maggioranza qua­
lificata del Reich stag. Se si vincolassero i ministri del presidente del Reich -
diversamente dai ministri degli Stati Uniti —alla fiducia del Reich stag, il

A causa di dissidi insuperabili sulla questione se i lavoratori dovessero o meno continuare


i sostenere lealmente la politica di guerra del governo del Rekh, l’ala sinistra nel 1917 si staccò
definitivamente dal Partito Socialdemocratico e si diede una propria organizzazione come Parti­
lo Socialdemocratico Indipendente (Unabhdngìge SoMaldemokraLkt'be Partei Deutscbland). So­
lo sotto la pressione dei lavoratori i due raggruppamenti profondamente ostili tra loro del Parti­
lo Socialdemocratico Maggioritario (Mehrhi'ils-SozialdemokTattiche Partei Deutscblttnd) c del
Partito Socialdemocratico Indipendente il 10 novembre 1918 tornarono a eollaborare.

155
W eber, Scritti p o litici

problema di chi sarebbe più forte, il primo ministro parlamentare o il presi­


dente del Reich, assumerebbe soluzioni diverse a seconda delle circostanze.
Diventerebbe perfino impossìbile - di ciò bisogna rendersi ben conto -
l’esistenza di un ministro realmente parlamentare laddove, accanto al pre­
sidente eletto con voto popolare, ci fosse un Consiglio Federale con pote­
re effettivo che vota secondo istruzioni. Infatti i suoi membri risponde­
rebbero solo ai parlamenti singoli, ma non alla Cam era del Popolo. Q ue­
sta dunque potrebbe far cadere a piacere ministri, ma in questo modo non
otterrebbe alcun oggettivo mutamento della politica e della prassi ammi­
nistrativa sottoposta alle istruzioni impartite dal presidente plebiscitario.
Il presidente plebiscitario opporrebbe alla Cam era del Popolo la sua legit­
timazione attraverso il plebiscito, i ministri opporrebbero la volontà dei
singoli Stati rappresentati nel Consiglio Federale. Allora il presidente ple­
biscitario dovrebbe fare i conti essenzialmente con il Consiglio Federale c
il Consiglio Federale altrettanto essenzialmente con lui. Tuttavia una C a­
mera del Popolo dotata del diritto di inchiesta potrebbe esercitare a buon
diritto un efficace controllo amministrativo. Parimenti, con l’aiuto del di­
ritto di bilancio preventivo potrebbe intralciare l’esercizio del potere c o t­
tenere in questo modo accondiscendenza. Ma l’ostilità suscitata da tali
passi impedirebbe un loro uso frequente, dunque il ministero parlamenta­
re sarebbe necessariamente limitato ad un’influenza modesta, alla stessa
stregua in cui la stessa Camera del Popolo sarebbe limitata alla «politica
negativa»: lagnanze e interpellanze, come il Reichstag finora. Dunque con
questa Costituzione (presidente eletto con voto popolare e Consiglio Fe­
derale) gli oppositori troverebbero bene il loro tornaconto. Parlamentari­
sm o e democrazia sono proprio molto lontani dall’essere identici.
Le cose starebbero diversamente se accanto al presidente e alla Cam e­
ra del Popolo ci stesse non un Consiglio Federale, ma una Camera degli
Stati eletta. N el caso di una sua elezione attraverso i parlamenti singoli
forse non ci sarebbe una grande differenza, poiché in questo caso i rap­
presentanti si sentirebbero uomini di fiducia dei partiti dei singoli Stari.
Invece nel caso di un’elezione popolare diretta, ma in particolare nel caso
di un’elezione popolare regionale delia Cam era degli Stati, sarebbe possi­
bile accanto al presidente del Reich un prim o ministro non del tutto im­
potente in quanto capo della maggioranza parlamentare dominante, per lo
meno laddove la maggioranza delle due camere fosse la medesima. Altri­
menti la posizione del presidente del Reich sarebbe superiore per lo me­
no nelPambito amministrativo. Allora non si tratterebbe neppure di un
parlamentarismo puro come in Francia24, poiché la Cam era degli Stati non

“ Si dice parlamentarismo puro quando l’esecutivo viene eletto dal parlamento c agisce co­
me sua commissione. Questo era il caso della Francia durante la Terza Repubblica.

156
L a fu tu ra fo rm a sta ta le della G e rm an ia

sarebbe una mera Camera Alta, bensì una formazione immediatamente


democratica, dominata però da interessi regionali, e soprattutto il presi­
dente del Reich resterebbe un potere autonomo.
Del tutto diverse sarebbero le cose se il presidente del Reich non fos­
se eletto tramite un’elezione popolare, ma, come in Francia, attraverso
un’elezione parlam entare. N el sistema della Camera degli Stati sarebbe
allora possibile il parlamentarismo, e cioè un primo ministro «forte» in
quanto uom o di fiducia del partito dominante. E solo la doppia respon­
sabilità rispetto alle Camere, che potrebbero risultare composte politica­
mente in m odo diverso, creerebbe complicazioni. Se però in questo caso
ci fosse al posto della Cam era degli Stati un Consiglio Federale com po­
sto di delegati del governo che eseguono istruzioni, allora sarebbe realiz­
zabile un tipo di partamentarizzazione simile a quella che avrebbe potu­
to im porsi già nel vecchio regime in occasione della parlamentarizzazio-
ne del C onsiglio Federale. Ma poiché il prim o ministro (il Cancelliere del
Reich) non dovrebbe più essere un ministro prussiano e, contem pora­
neamente, presiedere il Consiglio Federale, il suo ministero, che conter­
rebbe gli uomini di fiducia della Cam era del Popolo si costituirebbe al di
fu ori del Consiglio Federale. L a funzione naturale di quest’ultimo, allo­
ra, sarebbe la consulenza e la presa di decisioni su proposte di legge e
inoltre l’esecuzione di semplici «ordinanze amministrative». Se però gli
fosse accordato oltre a ciò un qualche potere di ordinanza integrativa del­
le leggi («ordinanze giuridiche»: che è l’opposto, anche se non definito in
maniera precisa), allora la Cam era del Popolo pretenderebbe e stabilireb­
be di volta in volta come legge che i suoi uomini di fiducia, i ministri, po­
tessero sospendere il potere di ordinanza mediante il veto. D ’altro lato
non potrebbe essere rifiutato ai Consiglio Federale il diritto di formare
nei singoli ministeri commissioni per il controllo c le relazioni. Il gover­
no dunque si attuerebbe attraverso la trattativa tra Consiglio Federale e
ministero, mentre il presidente del Reich eletto dal parlamento restereb­
be limitato ai controlli formali e alla legittimazione, come il presidente
della repubblica francese.
C i si potrebbe ora occupare dell’idea della creazione, anziché di un
presidente del Reich, di un collegio di governo con presidio a rotazione,
accanto al quale dunque non ci sarebbero autentici ministri, bensì solo
tecnici specializzati. Per la suddivisione del lavoro il collegio si riparti­
rebbe in piccoli gruppi, ma non conoscerebbe divisione in reparti (come
in Svizzera secondo l’articolo 103 della Costituzione). E sso potrebbe es­
sere stabilito 1. attraverso un’elezione popolare con sistema proporzio­
nale in tutto il Reich. L’idea più ovvia, probabilmente, date le condizioni
attuali dei partiti. M a considerata la necessaria esiguità di questo collegio
di governo (nella Svizzera è com posto da sette persone) il sistema pro-

157
W eber, Scritti p olitici

porzionalc dovrebbe favorire i partiti di minoranza, andando oltre ai li­


miti di questo sistema e causando ondeggiamenti e compromessi, in bre­
ve quella situazione che noi osserviamo nel cosiddetto «governo popola­
re» prerivoluzionario e purtroppo spesso anche nell’odierno governo
berlinese. Interessi di partito contrapposti determinerebbero il com por­
tamento dei suoi membri e sarebbe difficile un’istruzione unitaria c con­
seguente per l’amministrazione. Q uesto sarebbe un impaccio per la so ­
cializzazione. Soprattutto però mancherebbe la personalità univocamen­
te responsabile, come la offrirebbe o un presidente eletto con voto p o p o ­
lare oppure un primo ministro forte. Se 2. la nomina del collegio di go­
verno fosse trasmessa al parlamento del Reich (secondo il modello sviz­
zero), allora nel caso del proporzionale accadrebbe qualcosa di simile. M a
nel caso di una semplice nomina di m aggioranza sorgerebbe un governo
di coalizione che, di fronte al sistema di un prim o ministro parlamentare,
avrebbe lo svantaggio di una responsabilità personale limitata. Infatti an­
che allora i ministri sarebbero solo funzionari specializzati, non dei poli­
tici. Proprio la separazione della direzione politica e del lavoro da fun zio­
nario sarebbe il pregio sperato di tali sistemi dì collegi elettorali. M a oltre
a ciò, con questi due tipi di nomina del collegio di governo, ì governi sin­
goli non sarebbero rappresentati. Per lo meno non laddove ci fosse non
un Consiglio Federale, ma una Cam era degli Stati. Mentre al contrario un
Consiglio Federale e un collegio di governo, non fa differenza il modo in
cui è eletto, significherebbero una molteplicità di teste nel meccanismo
governativo, rispetto alla quale sarebbe da preferire tecnicamente il pre­
sidente singolo.
Infine resterebbe ancora la possibilità di un Consiglio Federale di de­
legati, il quale dal canto suo condurrebbe il governo tramite un presiden­
te eletto a turno fra i tre Stati più grandi (reminiscenza della vecchia «Tria­
de»^'.) oppure attraverso una commissione a tre; accanto ad essa non ci sa­
rebbero ministri parlamentari, bensì solo tecnici specializzati. Questa so­
luzione, che limita la Cam era del Popolo ad una «polìtica puramente ne­
gativa», difficilmente avrebbe successo. Infatti sarebbe completamente sa­
crificata l’unitarietà necessaria per ogni rigida socializzazione. Se il colle­
gio di governo fosse com posto direttamente da delegati dei singoli gover­
ni secondo una determinata chiave di ripartizione, e se gli venisse posta
accanto una Camera degli Stati, solo allora a buon diritto una soluzione

■n Allusione alla costellazione politica esìstente dopo il 1815 all'interno della federazione te­
desca,* nella quale ì territori della Germania meridionale che stanno accanto ad Austria e Prussia
apparivano come la terza forza. Già il barone vom Stein cercava di conferire a questa «Germania
autentica» un peso politico indipendente c voleva recuperarla come parte di una «Triadti* degli
Stati tedeschi-

158
L a fu tu ra fo rm a statale della G e rm an ia

varrebbe l'altra2*1. C om e si vede, accanto a tutti questi difficili problemi


entrerebbe ulteriormente in questione quale effetto verrebbero ad eserci­
tare due esigenze oggi viste come specificamente democratiche, ovvero:
3. il sistema proporzionale e il referendum.
Indipendentemente da quale sistema proporzionale venga usato, il suo
effetto è sempre quello di provocare una ripartizione delle cariche e delle
posizioni di potenza politiche tra i partiti secondo la forza di volta in vol­
ta dominante. Allora potrebbero verificarsi le condizioni tipiche di molti
cantoni svizzeri in cui i rappresentanti dei partiti siedono pacificamente
uno accanto all’altro e, sulla scorta della ripartizione delle cariche, risol­
vono gli affari tramite il compromesso. Una situazione estremamente pa­
cifica in epoche normali. Il sistema di coalizione sarebbe permanente,
mentre il rigido domìnio dei partiti con t suoi noti svantaggi, ma anche
con il suo per lo meno possibile vantaggio di una conduzione politica uni­
taria, sarebbe fortemente indebolito. Q uesto, coni’è naturale, avrebbe
delle conseguenze sfavorevoli per tutte le aspirazioni di socializzazione.
Applicato alla formazione del governo, il sistema proporzionale sarebbe
l'opposto radicale di ogni dittatura. D i volta in volta si giudicherà diversa-
mente questo fatto in base a finalità di politica economica e sociale.
M a una cosa simile vale anche per il referendum che riguarda singole
leggi. Malgrado la somiglianza formale, il referendum influisce politica-
mente proprio al contrario di come agisce un’elezione presidenziale ple­
biscitaria. Infatti il referendum, come mostra l’esperienza, è un mezzo po­
litico assolutamente conservatore-, un forte impedimento per il veloce pro­
gredire della legislazione. Soprattutto nel caso di leggi complicate si può
votare contro un progetto a partire da motivi contrapposti e soprattutto a
causa dei dettagli più eterogenei. I motivi della votazione negativa non so­
no conoscibili, i compromessi non sono possibili. Una preparazione più
accurata, che viene celebrata come la conseguenza del referendum, e com ­
promessi di partito prim a della presentazione possono mitigare questi
svantaggi; combinazioni di innovazioni desiderate da ogni parte con altre
innovazioni non desiderate sono in grado di imporre queste ultime ai vo­
tanti. Del resto l’effetto non è univoco. U n referendum troppo frequente
indebolisce fortemente l’interesse generale. Invece un referendum relati­
vamente raro aumenta senza dubbio la partecipazione interiore generale

-f| Se ci sì vuote mettere d'accordo - in corrispondenza ad una proposta dell'altra parte [Wc-
htrr intende una proposta di H* Preufi, politico liberale, 1860-1925] - su una «lìnea mediana» che
rende possibile il parlamentarisnro, anche se di un tipo particolare, allora accanto al Reicktfag
eletto dal popolo sarebbe da eleggere una Camera degli Stati dei singoli parlamenti e accanto a
ciò sarebbe da porre un presidente eletto plebiscitariamente con vincolo alla controfirma dei mi­
nistri del Reich, i quali da parte loro sarebbero responsabili di fronte al Reichstag (Camera del
Popolo) e solo ad esso [n.d.A.].

159
W eber, Scritti p o litici

al corso della legislazione. M a non è altrettanto sicura, per lo meno negli


Stati di massa (diversamente che nella Svizzera) la partecipazione interio­
re e l’orientamento sull’amministrazione, che diventa sempre più impor­
tante. In America con il crescente sviluppo del referendum potrebbe es­
sere rafforzato l’interesse comunque molto forte e spesso unilaterale per
la legislazione, ma con esso anche la fiducia nei paragrafi; in Inghilterra
invece, considerando il suo forte controllo dell’amministrazione attraver­
so comitati parlamentari e la loro discussione nella stampa, potrebbe es­
sere maggiormente diffusa l’istruzione politica nelle faccende amministra­
tive, Politicamente è importante il fatto che la sconfessione del governo
attraverso un referendum non contiene nessun voto di sfiducia personale
e che perciò non costringe il governo a ritirarsi. Anche il referendum è ne­
mico del parlamentarismo stretto e del rigido dominio dei partiti, e può
ostacolare la socializzazione dato che un referendum, quando si tratta di
grandi innovazioni, può ostruire tutto con particolare facilità, poiché so­
no in ballo in ogni momento numerosi interessi del tipo più diverso.
Per la Germania, in ogni caso, si limiterebbe il referendum ai cambia­
menti della Costituzione, ai casi di conflitto acuto dei più alti poteri del
Reich - su questo argomento più tardi -, e a proposte di percentuali mol­
to grandi di cittadini (circa un quinto di tutti). Se ciò accade in concomi­
tanza con l’attuazione del principio proporzionale per la composizione
del governo, e se si introduce un vertice plebiscitario forte, allora l’im­
portanza dei parlam entari di professione sarebbe in seguito molto limitata
e il potere progressivo de 11’amministrazione forte si unirebbe al potere
conservativo del referendum. Ma in presenza di un vertice debole (eletto
federalistieamcnte o parlamentarmente) e con il perdurare della moltepli­
cità dei partiti l’impedimento in sé forte del progresso verrebbe ancor più
accresciuto dal referendum. Inoltre il parlamento non sarebbe il luogo del­
la selezione dei capi - uno svantaggio dì tutti questi sistemi da tener ben
presente. L’aspirazione alla socializzazione in collegamento con - non im­
porta se a buon diritto —l’assai diffusa avversione contro il parlamentari­
sm o - se si vuole dar credito ad essa malgrado i dubbi espressi sopra —e
la preferenza per gli aspetti formalmente democratici della legislazione e
della com posizione degli organismi di voto spingerebbero dunque nel
complesso per la combinazione 1) di un presidente singolo plebiscitario
con 2) una Cam era degli Stati e 3) il referendum da indire in conformità
alla C osdtuzione nel caso di suoi mutamenti, su iniziativa del presidente
nel caso di conflitti tra le più alte istanze del Reich e in presenza dì pro­
poste di legge espresse da un quinto dei cittadini aventi diritto di voto.
Ma, come ho già detto, l’ideale della Cam era degli Stati forse non è rea­
lizzabile. Vedremo adesso le ulteriori difficoltà che presumibilmente ver­
ranno sollevate contro di esso.

160
L a fu tu ra fo rm a statale della G e rm an ia

Naturalmente tutti questi problemi non possono essere scissi dalla


questione di quale partizione dei compiti e quale partizione dei m ezzi f i­
nanziari si profili tra Reich e singoli Stati.

V.

Prima di tutto noi siamo per una soluzione il più possibile unitaria, e
dunque a favore che i singoli Stati in futuro entrino in relazione con il
potere centrale come accade ai singoli paesi del Canada o dell’Australia.
Infatti ogni soluzione decentrativa non solo, se calcolata in spesa con­
tante, è molto più costosa, bensì di regola è anche antieconomica, e so­
prattutto è d ’ostacolo rispetto al piano della socializzazione. C he una so­
luzione ampiamente unitaria abbia possibilità di realizzarsi solo qualora
gli organismi di rappresentanza e gli apparati politici amministrativi ven­
gano allontanati da Berlino, è cosa certa. M a una semplice trasform azio­
ne della Germ ania in una repubblica unitaria troverebbe presumibilmen­
te una difficile accettazione. I singoli governi ormai esistenti cercheran­
no dì mantenere l’autocefalia, che significa l’indipendenza nella nomina
di ogni vertice dei singoli Stati (attraverso elezione popolare o del parla­
mento). E , come insegna una storia lunga millenni, interessi m olto forti
sì collegano con la questione del controllo de\Vassegnazione delle pre­
bende burocratiche.
D a un punto di vista puramente oggettivo tutto viene determinato da
(.lue dati di fatto: i carichi finan ziari imminenti e la socializzazione pro­
gettata. Entrambi sono collegati al pagamento dei debiti di guerra e al ri­
stabilimento dell’economia, che già di per sé condizionano un’ampia so­
cializzazione. Le amministrazioni monopolistiche da creare o le sedi cen-
trali per sindacati {Syndikate) controllati statalmente possono solo essere
amministrazioni del Reich; le imposte patrimoniali da creare, i guadagni
monopolistici c i sostegni per i sindacati (Syndikate) possono solo essere
guadagni per il Reich. Per questo il bilancio preventivo netto del Reich
sarà enormemente superiore a quello di tutti i sìngoli Stati e il bdancio
preventivo lordo dei due sarà appena paragonabile. Infine ogni socializ­
zazione, anche una non solo finanziaria, ma intrapresa per scopi econo­
mici, porta agli stessi risultati. U na soluzione radicalmente unitaria ac­
compagnata dall’assunzione di tutti ì debiti dei singoli Stati da parte del
Reich, nonostante il peso dei suoi debiti, sarebbe del tutto impensabile c
tn occasione di una socializzazione centralistica i paesi al di fuori della
l’russia ci guadagnerebbero materialmente già solo per le sue conseguen­
ze finanziarie, in particolare se le ferrovie e le miniere prussiane finissero
.otto il controllo del Reich. Allo stesso modo il Reich dovrà assumersi il

161
W eber, Scritti p o litici

compito dell'espropriazione dei fidecommessi27 e delle grandi proprietà


terriere, per lo meno per quanto riguarda la dotazione di terreno dei dan­
neggiati di guerra, che altrimenti nei singoli Stati risulterebbe altamente
disuguale. In tutti questi casi, allora, sarebbe inevitabile una regolamenta­
zione da parte del Reich. Difficilmente si lascerebbe abrogare qualcuna
delle competenze del Reich in vigore finora quanto alla legislazione (art.
4). Regolare la politica industriale, la politica commerciale, misure c m o­
nete assieme con cartamoneta e politica bancaria, brevetti, commercio
marino, ferrovie, diritto del traffico navale interno, poste, telegrafi, assi­
stenza legale, autentificazione dei documenti, diritto civile e processuale,
ordinamento giudiziario, organi di controllo dei medici e dei veterinari,
diritto di stampa, di associazione e di riunione, esercito e marina di guer­
ra, tutto questo resterà senza dubbio una faccenda del Reich. È lasciato al­
la Baviera di decidere in che misura venga dato peso ai suoi diritti parti­
colari (diritto dì stabilire il proprio domicilio). Se, come in Svizzera, quan­
to alle relazioni confessionali, giuridiche legate alla Chiesa di Stato e del­
la scuola, che finora erano rimaste ai singoli Stati, vengono stabilite pre­
scrizioni generali attraverso la Costituzione, è una domanda importante
che da parte nostra trova una risposta positiva. Quali diritti fondamenta­
li il Reich debba in generale garantire, non può essere trattato in modo
particolareggiato in questa sede. Solo una cosa sia messa in rilievo: noto­
riamente tra i diritti fondamentali dell’epoca borghese la «sacralità della
proprietà» ha giocato un grande ruolo. O ra le cose cambieranno. Il dirit­
to dì eredità sarà da limitare per la successione legale sulla linea diretta e
sui fratelli, per i testamenti sugli accordi dei fratelli del testatore, salvo sin­
goli legati e donazioni consentite per legge. I fidecommessi devono per
forza essere proibiti. Tuttavia anche oggi non si potrà fare a meno di una
garanzia dei diritti acquisiti e si dovrà arrivare al punto che tali diritti p o s­
sono essere toccati solo 1. nella forma di tributi generali in natura o de­
naro, 2. nella forma di particolari espropriazioni sulla scorta di leggi e in
cambio di risarcimento.
O ra con il fatto che il Reich mantenga un’ampia giurisdizione, estesa
forse alla redazione di norme comuni, non è deciso ancora nulla per quan­
to riguarda la questione di fino a che punto anche l'amministrazione deb­
ba essere nelle sue mani. L’amministrazione sarà anche in futuro un’am­
ministrazione di funzionari di professione. E cioè essenzialmente attraver­
so funzionari di professione nominati, non funzionari eletti dal popolo,

27 II tidecommesso indica un’istituzione eiuridica frequente soprattutto tra la piccola nobiltà,


secondo la quale un patrimonio famigliare, di solito si trattava di Le ir e , restava integro nelle ma­
ni di un membro della famiglia in quanto era esclusa la possibilità di cessione. Nel 1919 in Prus­
sia esistevano 1347 fidecommessi pari a 2,3 milioni di ettari di territorio.

162
L a futura fo rm a statale della G e rm an ia

L’elezione popolare è opportuna per la direzione, dunque dove si tratta


dcWuomo politico di fiducia delle masse. N o n però per ifunzionari, i «tec­
nici dell’apparato». Com e è noto, l’elezione popolare dei funzionari negli
Stati Uniti ha dato risultati molto peggiori tecnicamente e soprattutto mo­
ralmente rispetto alla nomina attraverso l’uomo di fiducia eletto dal po­
polo (il presidente), il quale è responsabile della qualità dei funzionari no­
minati da luì. L’elezione dei funzionari distrugge ogni disciplina d ’ufficio,
e questa disciplina c assolutamente decisiva proprio in occasione di una ri­
gida socializzazione. I funzionari eletti con voto popolare sono opportu­
ni nell’ambito locale, dove tutti si conoscono uno con l’altro, dunque nei
piccoli comuni. Anche nei grossi comuni, secondo esperienze americane,
l’elezione del primo cittadino, ma con il potere assoluto dittatoriate di no­
minarsi da sé il suo apparato di funzionari, può essere un m ezzo decisivo
di riforma. Invece una massa di elettori non può verificare la qualificazio­
ne dei funzionari specializzati. E inoltre c’c stato un tempo in cui le de­
mocrazie vedevano un compito fondamentale nell’impedire la nascita di
un ceto di funzionari con un alto senso dell’onore21'. Q uel tempo è finito.
Possa la democrazia non credere che un funzionariato senza onore di ca­
rica sarà in grado di poter mantenere l’alta integrità e la qualificazione spe­
cialìstica del funzionariato tedesco quale è stato finora (compresi gli appa­
rati indispensabili anche per una milizia)! Dove questa integrità ha soffer­
to danni in guerra, come apparentemente qui c là nel corpo ufficiali dei
singoli settori occupati, soprattutto nel corpo degli ufficiali di riserva, qui
essa c da ricreare; in generale, la ricostruzione del precedente capitale te­
desco dì semplice «onestà» è il primo di tutti i compiti. Ma in particolare
dal concetto dell’onore e dalle qualità morali del funzionariato dipende
l’intero futuro dell’economia tedesca in occasione di una socializzazione.
Attraverso la sicurezza materiale e una riforma radicale di un diritto com­
pletamente antiquato si terrà conto delle pretese assolutamente giustifica­
te dei funzionari e degli ufficiali. Se dunque il funzionario nominato è la
soluzione migliore, chi lo nomina? A chi ubbidisce?
Tra i due possibili estremi: o amministrazione attraverso un apparato
di funzionari del Reich che arriva fino alla base, nominato dal presidente
del Reich e che gli ubbidisce (come ora nella marina da guerra), oppure:
autocefalia completa, non controllata da una qualche istanza centrale, de­
gli apparati di funzionari dei singoli Stati (come fino al 1879 nell’intera

Negli Stati Uniti nel 1820 su iniziativa del Partito Democratico fu abolito il funzionariato
di professione con la legge sulla «rotat ioti in office». La durata in carica di un funzionario era li­
mitala a quattro anni; la carica veniva distribuita come bottino di una campagna elettorale vin-
i ente (spods System) e cosi rendeva impossibile un legame duraturo del personale di amministra­
zione con i compiti a lui assegnati.

163
Weber, Scrìtti p o lìtici

giustìzia non riguardante il tribunale commerciale), finora c’erano da noi


molti gradini intermedi. In parte autocefalia, ma in una misura molto di­
versa tra giustizia di cassazione, iter di revisione dei processi oppure ge­
nerale giustizia amministrativa, dunque; sotto il controllo giuridico delle
più alte istanze del Reich (tra di loro di nuovo molto diverse, per esem­
pio, per giustizia, ferrovie, edilizia popolare, assicurazione dei lavoratori).
Oppure: certo autocefalia, ma con controllo anche delle regole di am m i­
nistrazione (dazi e dogane). Oppure: nomina centrale dei vertici attraver­
so i poteri del R ekh in occasione di particolari apparati di funzionari (co­
sì la Costituzione ufficiale del contingentamento, rotta di fatto dalle con­
venzioni militari, dell’esercito secondo Part. 64). Oppure al contrario; de­
signazione solo di funzionari locali attraverso i poteri dei singoli Stati (po­
ste e telegrafi secondo Part. 50). La cosa importante è che in ogni caso
l’amministrazione e la nomina dei funzionari anche dei settori regolati
tramite leggi dal Reich restava nelle mani dei singoli Stati.
Com e andranno le cose in futuro? Per la milizia che prende il posto
dell’esercito, per lo meno per le truppe di terra, potranno essere tirate
conseguenze dee entrali Stic he; nell’attuazione essenziale del principio del
contingentamento dell’articolo 64. Solo per le truppe tecniche verrà man­
tenuto il principio generale c per esse rimarrà un’unità più rigida come per
la marina. Per le imprese di trasporti pubblici, malgrado l’indispensabile
unità della direzione, tuttavia in occasione della nomina dei funzionari
potrebbero essere assegnati ai sìngoli Stati i diritti di presentazione all’ac­
cettazione e di assunzione diretta anche oltre l’odierno articolo 50. Infat­
ti gli svantaggi della finora completa autocefalia della Baviera e del Wìirt-
temberg non erano insopportabili. Per le amministrazioni di monopolio
statale e del sindacato (Syndikat) sarebbe tuttavia auspicabile urgente­
mente un’unità molto rigida, ma tale unità sarebbe pesantemente osteg­
giata dagli Stati di media grandezza, poiché si tratta di questioni fonda­
mentalmente prussiane. In questo frangente il separatismo nell’ambito
della socializzazione ha le sue radici essenzialmente nel settore dell'ali­
mentazione” , dunque in una sfera la cui importanza è in rapido declino.
Invece per il secondo ambito transitoriamente importante per la socializ­
zazione, ovvero l’approvvigionamento di materie prim e, i singoli settori
sono addirittura affidati alla collaborazione del potere centrale, soprattut­
to degli istituti di credito centrali. Tutto sommato, se solo restasse garan­
tito il rigido funzionamento dei regolamenti, la posizione assunta finora
dal R ekh, essenzialmente normativa e controllante, e Ì corrispondenti

B II governo prussiano nel novembre 1918 indicò ti r. i settori designati per la socializzazio­
ne anche le grandi imprese agricole, una meta questa die ci del tutto lontana dalla politica dei
governi della Germania del Sud.

164
L a fu tu ra fo rm a statale della G erm an ia

ispettorati giudiziari e giudi ziario-amministrativi dell’organizzazione


odierna potrebbero rimanere fondamentalmente in vigore, e anche per le
imprese pubbliche dei trasporti il patronato dei funzionari, esercitato dal
potere centrale, potrebbe essere limitato ai posti direttivi Solo per la so­
cializzazione economica è da desiderare una misura massima di unità del­
la selezione, come all’incirca la prevedeva l’ultimo capo verso dell’articolo
64 per gli ufficiali. N el caso della nomina dei supremi dirigenti tecnici del­
l’amministrazione, al contrario dei funzionari politici del Reich, l’istanza
centrale federalistica presumibilmente da creare {Consiglio Federale o
collegio di governo o comitato) richiederà il diritto di proposta, simil­
mente a com e finora lo deteneva il Consiglio Federale per la corte supre­
ma del Reich, l’avvocatura del Reich, il presidente dell’ufficio brevetti, la
direzione della banca del Reich, la direzione delle ferrovie del Reich, la di­
rezione delle assicurazioni del Reich. Se ci sarà solo una Cam era degli Sta­
ti, una partecipazione ai patronati delle cariche, secondo il tipo del Sena­
to americano, come criterio federalistico sarebbe già più difficile - poiché
il numero dei rappresentanti è maggiore - , ma in occasione di un’elezio­
ne regionale essa sarebbe tuttavia attuabile.
Ai compiti c alla dimensione dell’auto am ministrazio ne del Reich si ac­
compagna la questione di gran lunga più diffìcile delle relazioni fin an zia­
rie. In uno Stato federale i rapporti finanziari sono ciò che determina nel
modo più decisivo la struttura reale. Poiché oggi anche la fantasia più fe­
conda non può farsi un’immagine reale di questi rapporti decisivi, tutte le
trattazioni che ci sono state fino ad ora sono innegabilmente campate in
aria: a m aggior ragione una formula solo ipotetica che lascia aperte tutte
le possibilità. Per il futuro innanzitutto sarà determinante il pagamento
dei debiti del Reich, ma in seguito lo sarà il tipo di socializzazione dell’e­
conomia e del suo finanziamento. O ggi come oggi dobbiam o rassegnarci
a non sapere ancora nulla al riguardo. Invece in tutto ciò che esula da que­
sti problemi fondamentali non sarebbero propriamente urgenti innova­
zioni rivoluzionarie.
L a tassazione naturalmente può solo essere uniforme in tutti Ì punti
importanti per la capacità di concorrenza delle imprese. Per il pagamento
dei debiti di guerra il Reich sicuramente ricorrerà ai patrimoni e alle ere­
dità. Q uanto a ciò non è pensabile che una tassazione controllata e pre­
scritta unitariamente dal Reich. Anche se non vengono sostituite dai mo­
nopoli del Reich, difficilmente qualcuna tra le vecchie fonti di guadagno
del Reich potrà essere trasferita ai singoli Stati30. (La Baviera resterà fede-

Mentre al Rvicb competeva 11 diritto alla tassazione di sale, tabacco, acquavite, birra e zuc-
. hero, in Baviera, WQrttcmberg c Badcn la tassazione d d l’acquavite locale e della birra restava
riservata alla legislazione locale.

165
W eber, Scritti politici

le al suo privilegio della tassazione della birra). N on si lascia valutare nep­


pure a grandi linee come si formerà tra Reicb e Stati federali la ripartizio­
ne dei denari da un lato, e i trasferimenti di eccedenze dall’altro. C om e
unica enorme breccia nell’inevitabile uniformazione (in occasione della
quale gli Stati di media grandezza del resto, soprattutto la Baviera, sono
quelli che ci guadagnano) s’imporrà per un lungo periodo di passaggio
l’Austria tedesca. A livello di politica commerciale e fiscale c’è bisogno in
parte nel suo interesse, in parte nell’interesse della Germania del Reich, di
un trattamento particolare, eventualmente con determinate dogane inter­
medie. In questo non ci sarebbe niente di nuovo, solo la registrazione del­
le merci sarebbe necessariamente più difficile dato il tipo degli oggetti pre­
si in considerazione. Naturalmente è in questione se la tassazione di gua­
dagni e proventi, c quali altre fonti di tasse, sarebbero da garantire esclu­
sivamente attraverso i singoli Stati. Perfino così non cambierebbe presso­
ché nulla quanto al fatto che anche in futuro Reich e singoli Stati reste­
ranno legati finanziariamente uno all’altro come già avviene oggi, e attra­
verso le conseguenze politico-finanziarie della socializzazione verranno
legati ancora più strettamente, così che resta impossibile una separazione
radicale delle finanze di entrambe le parti. Ma se le cose stanno così, allo­
ra le possibilità di sviluppo della Costituzione sono limitate. Infatti i sin­
goli governi insisteranno senza dubbio sulla creazione di un’istanza in­
fluente sul tipo del Consiglio Federale, composta secondo il principio del­
la ripartizione. Anche oggettivamente la trattazione dei problemi finan­
ziari, e dunque del bilancio preventivo del Reich, sono assolutamente il
dato originario in un tale organismo dì delegati e di funzionari che rice­
vono istruzioni dai ministeri specialistici. L a soluzione della Camera de­
gli Stati dovrebbe dunque cadere a vantaggio della soluzione del C on si­
glio Federale. M a se accade questo, e se con questo viene a mancare la p o s­
sibilità di un reale parlamentarismo del Reich - poiché le votazioni del
Consiglio Federale controllate dai singoli parlamenti attraverso il mini­
stero del Reich non sono da «giustificare» parlamentarmente davanti alla
Camera del Popolo del Reich (Reicbstag) —allora molte cose stanno a fa­
vore della creazione di un presidente del Reich plebiscitario come capo
dell’esecutivo e detentore del veto sospensivo. Ma soprattutto deve com­
petergli in questo caso il diritto di appellarsi a l referendum se tra il C on ­
siglio Federale da un lato e dall’altro il parlamento e i suoi uomini di fi­
ducia, cioè i ministri, non si riesce a raggiungere un’intesa. C osì il refe­
rendum diventerebbe il m ezzo per ricomporre i conflitti costituzionali tra
le istanze federalistiche c quelle unitarie.
C redo che questo abbozzo avrà raggiunto il suo scopo se sarà riuscito
a mostrare che una Costituzione federalistica, non posta su una base di­
nastica, è in generale ragionevolmente possibile. O ggi nessuno può dire se

166
L a fu tu ra fo rm a statale della G e rm an ia

tali considerazioni avranno un significato pratico oppure se resteranno


lettera morta. Infatti, agli illusi radicali che oggi, proprio come faceva il
vecchio regime, vorrebbero eliminare ogni uomo indipendente che dica
loro verità scomode, non si finirà mai di ripetere che noi vogliam o con­
tribuire ad assicurare in modo duraturo le conquiste democratiche. Ma so­
lo nelle form e di un governo paritetico borghese-socialista. A prescindere
del tutto dalla completa incapacità dei letterati radicali51 a dirigere l’eco­
nomia, evidente e compromettente le sorti del socialismo, sussiste il dato
di fatto cogente che noi stiamo sotto U dominio straniero. N o n solo mili­
tarmente, ma anche economicamente: già nei primissimi provvedimenti di
ripristino dell’economia dipendiamo dalle materie prime straniere e dun­
que dal credito straniero. Il dominio straniero impedisce per il momento
il ritorno dei vecchi poteri dinastici degli Ju n k er o simili, con Ì quali essi
non suggellerebbero mai la pace né permetterebbero affari a credito. Q ue­
sta paura è infondata. M a parimenti esso pone dei lìmiti alle possibilità
odierne della rivoluzione. N o n sì dimentichi che la «constitued authority»
per il presidente Wilson è al momento il Reichstag e nient’altro. Se la stu­
pida, dilettantesca - c in parte purtroppo poggiata su interessi molto ma­
teriali - cattiva amministrazione dell’estrema sinistra continuerà ancora
per un poco, allora non è difficile prevedere il momento in cui il nemico
sì metterà in contatto con il Reich stag per stipulare la pace, soprattutto se
l’Assemblea Nazionale venisse compromessa da elezioni non libere op­
pure fosse fatta saltare, come una parte della sinistra estrema si propone
di fare nel caso non ottenesse la maggioranza, per non perdere la mangia­
toia e anche per il terrore di una verifica nella sua scandalosa amministra­
zione delle finanze. M a se si tratta della pace e del ristabilimento dell’or­
dine economico, e con ciò dell’occasione di creare lavoro per le masse, al­
lora i nemici avranno le masse dalla loro parte e la democrazia degli ideo­
logi, tanto socialista quanto borghese, avrebbe chiuso. Infatti in quel mo­
mento una qualsiasi maggioranza del Reichstag, non im porta di che tipo,
saprà creare gli strumenti di potere per il ripristino dell’ordinamento (op­
pure li riceverà dal nemico). C i si può allora facilmente immaginare come
andranno a finire le conquiste, finora essenzialmente negative, della rivo­
luzione. Se un ordinamento crolla sotto la pressione di nemici stranieri,
allora non è difficile rovesciarlo anche dall’interno. M a è molto più diffi­
cile, e senza la libera cooperazione della borghesia del tutto impossibile,
ricostituire oggi un ordine stabile. N o n sarebbe male pensarci un po’.

11 Weber intende innanzitutto gli scrittori K. Eisticr, li. "Ibilei, G. I.andauer ed E. Miihsam,
. lic avevano un ruolo di spicco alTintcrno del movimento rivoluzionano di Monaco.

167
ix. La nuova Germania

1918
Diversamente che negli altri grandi centri della Germ ania, a Francoforte già nei primi
giorni della rivoluzione la borghesia progressista era passata all’iniziativa per collaborare
con la Socialdem ocrazia al riordinamento polìtico del paese per dar vita a una repubblica
sociale e democratica. Il 15 novembre 1918 il «C om itato D em ocratico» del Fortscbrittlkher
Volksverein di Francoforte lanciò un appello per la form azione di un nuovo Partito D e ­
mocratico i cui punti program m atici avrebbero dovuto essere la salvaguardia delFunità del
Reich, l’instaurazione di una repubblica democratica, la liberazione dell’economia dalle ca­
tene della guerra, un disarm o com pleto e l’entrata della Germ ania nella Società delle N a ­
zioni. Inoltre venne presa in considerazione anche la socializzazione delle imprese idonee
ad una simile operazione. Q u esto appello trovò num erosi consensi nonché l’ap poggio del­
la «Frankfurter Zeitung». L o scopo della redazione della «Frankfurter» era di favorire la
creazione di un nuovo partito liberale, marcatamente dem ocratico e aperto a sinistra.
Il prim o risultato di questa operazione fu la nascita di un Dem okratischer Verein, la cui
prim a iniziativa fu di chiedere a Weber di parlare in un’assemblea pubblica sul possibile
riordino econom ico e politico della Germania. Weber accettò e il 1° dicembre 1918 nel tea­
tro Sehumann di Francoforte si espresse per la prim a volta a favore della creazione di un
Partito D em ocratico. Q uesto discorso fu il prim o di una serie che Weber tenne in molte
delle principali città della Germ ania a favore del nuovo Partito Dem ocratico.
Q uesta pnm a assemblea pubblica ottenne un enorme successo: il teatro era pieno in
ogni ordine di posti c molte persone non riuscirono ad entrare. U n applauso fragoroso se­
guì la conclusione del discorso e appena un’ora dop o un’edizione straordinaria della
«Frankfurter Zeitung» ne diede un resoconto.
L a presente traduzione è appunto condotta sulla scorta di questo resoconto apparso
con il titolo «M ax Weber Uber das neue D eutschland» sulla «Frankfurter Zeitung», n. 333
del 1° dicembre 1918, edizione straordinaria della domenica, p. 2, com e c riportato nella
M ax Weber Gesam tausgabe cit., A bt. i, Bd. 16, pp. 379-83.
SCRITTI POLITICI

Il professor Weber ha suscitato vivi applausi con i suoi ragionamenti,


in particolare quando ha richiamato l’attenzione sul fatto che il nostro
esercito non ha combattuto invano oppure che esso non è stato trascina­
to in guerra per una cattiva causa. Il nostro esercito ha saputo annientare
lo zarìsmo russo e rinnovare il Reich tedesco. D i questo si dovrebbero
ringraziare i soldati tedeschi.
L’oratore ha dichiarato di avere convinzioni pressoché identiche a
quelle di numerosi membri della Socialdemocrazia esperti dal punto di vi­
sta economico, senza distinzione tra socialisti indipendenti o della m ag­
gioranza. Se egli, nonostante ciò, non aderisce a questo partito, è perché
può rinunciare all’ in dipendenza nell’esprimer e le sue opinioni di fronte al
demos ancor meno che di fronte ai poteri autoritari. In m odo particolare
nel momento attuale, in quanto egli non poteva partecipare a quel lavoro
da becchino del socialismo che viene praticato da certi circoli ideologici
di Berlino e di M onaco. Vogliamo consolidare senza alcuna riserva ed
ambiguità le conquiste, finora certo essenzialmente negative, della rivolu­
zione1, e dare il nostro aiuto compiendone la costruzione in direzione di
una socializzazione pianificata. M a che a ciò si dovesse giungere solo at­
traverso una rivoluzione, è stata una vera disdetta. C i ha resi inermi, e
con ciò ci ha consegnato al potere straniero mettendoci nell’impossibilità
di far valere i principi pacifici e liberi di autodeterminazione dei popoli,
in occasione del rinnovamento dell’ordine mondiale, contro i potem i im­
perialismi di tutti i paesi. I governi nemici sono puramente borghesi. L’ef­
fetto della rivoluzione tedesca però dipende da questi nemici che si tro­
vano nei paese. Le rivoluzioni percorrono un’orbita fatale che ci c nota

1Weber intende qui certamente la soppressione delle vecchie strutture sociali e di diritto co-
.uiimonale senza che al loro posto fosse subentrato qualeeisa di nuovo.

171
W eber, Scritti p olitici

dalla storia, la quale spesso riconduce agli antichi poteri. E lo sviluppo fi­
nora com piuto sta, purtroppo, su questa linea. L’oratore ha espressamen­
te riconosciuto l’efficacia dei consigli locali degli operai e dei soldati e l’i­
dealismo dei capi (Fuhrer), fossero socialisti indipendenti o maggioritari,
senza alcuna distinzione; ma tanto più ha sottolineato il finora completo
fallim ento della direzione berlinese e monacense rispetto a tutti i grandi
compiti, nonostante il solerte lavoro svolto. Q uesto fallimento è stato
spiegato con il tipo di composizione degli organi di governo, con il loro
carattere da piccionaia, con la minaccia sempre presente di un colpo di
Stato da parte di illusi estranei al mondo o di interessati in modo grezza-
mcnte materiale alla mangiatoia, con gli enormi costi deH’odierna ammi­
nistrazione composta da numerosissimi fannulloni parolai, con lo spreco
e l’amministrazione non pianificata e il cattivo utilizzo di ciò che ancora
rimane dei mezzi di produzione interni e delle materie prime, con la re­
cessione della produzione —mai prima verificatasi in questi termini - cau­
sata dai cosiddetti movimenti disordinati degli operai e con l’incombente
mancanza di viveri. L o stupido odio contro l’imprenditorialismo interno,
a fronte del potere straniero di fatto esistente, dovrebbe inevitabilmente -
in un’economia politica completamente da rimettere a punto - consegui­
re il risultato che il potere del capitale straniero giunga ad insediarsi da noi
sotto la copertura della difesa militare straniera. Il resoconto ridicolo, an­
che se in buona fede, sulle intenzioni dei nemici rispetto ad un regime^
che grufola di preferenza nei «peccati» particolari presunti della G erm a­
nia, spesso pseudo-pacifista senza dignità in m odo nauseante, condur­
rebbe ad una misera propaganda psicologica che crollerebbe tanto pau­
rosamente quanto la propaganda psicologica militarista del vecchio regi­
me. Ma con essa crollerebbe anche la fede socialista delle masse, e la na­
zione diventerebbe matura per lunghi periodi di arrendevolezza a nuovi
poteri autoritari, è indifferente quali. Infatti quando tornerà la quotidia­
nità con la sua monotonia, il problema del posto di lavoro e del sostenta­
mento diventerà determinante e gli ideologi saranno nuovamente posti in
vetrina o in ripostiglio.
C on le mitragliatrici e con combattenti per la fede, anche se intrepidi,
con letterati dilettanti’ e con l’isteria di assemblee di massa affidate al ca­
so in funzione dell’oratore non sarebbe attuabile proprio nessuna rifor­
ma, men che meno una socializzazione. A tale scopo servirebbero cervel­

1 Weber fa riferimento qui al governo rivoluzionario del primo ministro bavarese K. Eisner
(1867-1919) ebe sperava di ottenere condizioni di pace più vantaggiose ammettendo senza riser­
ve la colpa tedesca in occasione della guerra.
31 «letterati)* cui spesso Weber fa polemicamente riferimento all’epoca della rivoluzione so­
no sempre Eisner c i suoi collaboratori e sostenitori.

172
L a n u o v a G e rm an ia

li esperti nel campo dell’organizzazione economica, e questo orm ai oggi


significa: esperti nel campo degli affari. N o n si dovrebbe certo sottovalu­
tare l’importanza del «portafoglio». Ma la posizione odierna dell’impren­
ditore borghese nell’economia non si fonda affatto soltanto sul portafo­
glio. Piuttosto, nella nostra attuale condizione il portafoglio gioca essen­
zialmente questo ruolo: che noi abbisognatilo di materie prime straniere
e, dunque, di credito dall’estero, soprattutto dall’America. Q uesto credi­
to però non può ottenerlo né un governo di letterati, come quello mona­
cense, né un governo puramente proletario, come quello berlinese, bensì
soltanto un governo dietro cui stia come garante la borghesia. U n qual­
siasi grande ed esperto organizzatore borghese, anche con il portafoglio
vuoto - in questo caso, forse un agente ben pagato dei capitalisti america­
ni - , lo otterrebbe certo più facilmente di un governo diretto da dilettan­
ti o un apparato socialista e cioè burocratico. G ià solo su questi semplici
ma ferrei dati di fatto, che non possono essere negati a forza di chiacchie­
re o con risoluzioni ed entusiastici proclami di letterati, naufragherebbe
ogni tentativo di una riforma o di una socializzazione dell’economia at­
traverso la «dittatura del proletariato». L a borghesia, anche se lo volesse,
non sarebbe affatto in grado di collaborare in occasione della creazione
di m ezzi così enormi, se non le si assicurasse una partecipazione parita­
ria a l potere politico e alla responsabilità economica, anche se per il resto
si dovesse metterla sotto pressione fiscale: a questo fine noi collabore-
remmo volentieri. L’unico risultato di valore dell’epoca della rivoluzione
umane a tutt’oggi l’accordo dei sindacati c dei gruppi di imprenditori
con l’esclusione dei traditori dì classe gialli4. Solo se a livello politico si
produrrà - attraverso un libero com prom esso —una simile parità, un go­
verno democratico unicamente con le proprie forze potrebbe conseguire
non solo la pace, ma anche realizzare la ricostruzione. Diversamente no!
Se si continuasse sulla via intrapresa finora, e se in aggiunta venisse pro­
crastinata la costituente oppure la si screditasse attraverso elezioni viziate
da un’unilaterale demagogia elettorale ufficiale o se venisse esposta al boi­
cottaggio, la conseguenza sarebbe che alla fine il nemico, per arrivare ad
una conclusione, tratterebbe con l’unica potenza legittima, e cioè con una
maggioranza del Reich stag non importa come costituita, e con essa si ac­
corderebbe. In questo caso, si passerebbe all’ordine del giorno andando al
di là tanto della democrazia socialista quanto di quella autenticamente
borghese. Chi affermasse qualcosa di diverso, perpetrerebbe un rozzo in-

‘ Con l’accordo del 15 novembre 1918 i sindacati c i gruppi degli imprenditori fecero causa
itine per cooperare alla ricostruzione economica della Germania. Con questo accordo i da-
i.ii i di lavoro si impegnavano a non sostenere più i gruppi sindacali «gialli» che non rìconosce-
iiui lo sciopero come strumento di lotta politica economica.

173
Weber, Scritti p o litic i

ganno nei confronti del popolo, non diversamente da come fecero i guer­
rafondai del vecchio regime. La borghesìa, in quanto indispensabile, non
ha alcuna ragione di imporsi con la forza. La conseguenza della sua esclu­
sione consisterebbe nell’essere invitata troppo tardi e così il proletariato
lavoratore dovrebbe pagare per decenni le conseguenze di questo carne­
vale rivoluzionario, che un certo numero di rivoluzionari interessati met­
terebbe in scena tanto a lungo da dilapidare le riserve dell’economia tede­
sca. L’oratore infine ha presentato la futura forma statale della Germania
come già fatto in una serie di articoli apparsi sulla «Frankfurter Zeitung»5.
Egli ha dichiarato ripetutamente che le vie dell’onesta democrazia bor­
ghese, affatto pacifica e radicale, e quelle della democrazia socialista p o ­
trebbero procedere a lungo parallelamente «spalla a spalla» prima di arri­
vare alia separazione, ma che governi di minoranza e il tentativo dì co­
stringere la borghesia - di cui ormai non si può fare a meno - in una con­
dizione di paria, priva polìticamente di diritti, magari con l’intenzione di
poterla usare come «personale tecnico», finirebbe immediatamente con
l’infrangersi contro la realtà dei fatti. G ià finora, con questi tentativi di­
lettanteschi, sono stati sprecati miliardi, e alla lunga si potrebbero rag­
giungere le dozzine di miliardi di spreco; e il palese dominio straniero ca­
pitalista e spietato, contro il quale il proletariato non sarebbe in grado di
fare nulla, sta davanti alla porta. L’oratore si è poi rivolto, usando le
espressioni più taglienti, contro quei «masochisti politici» che attualmen­
te con ogni sorta di «rivelazioni di colpa» professano un servilismo ver­
gognoso nei confronti del nemico" - anime dì schiavi, che nei confronti di
una vera democrazia mostreranno tanto poco autentico orgoglio virile
quanto poco ora di fronte al nemico; e contro i «sazi borghesi» che ora si
inchinano di fronte a chi sta in alto, come hanno fatto con il vecchio regi­
me, sperando che ritorni la protezione per grazia divina della loro legitti­
ma proprietà, e infine ha schernito i circoli annessionistici dei partiti di ■
centro, i quali, mendicando, già ricevono - come ricompensa per il rapi- j
do mutare del loro modo di pensare —nuovi mandati7. Egli ha esortato al- ;
l’adesione senza riserve della borghesia a l grande Partito repubblicano de- \
mocratico. \

' Cfr. qui L a futura form a di Sialo delia Germania.


4 Ancora un accenno alla politica ili Eisner.
7Weber intende un gruppo di politici nazional-liberali guidati da R. Fricdberg. Questo grup­
po, trattando con i vertici della Deutsche Demokratische Partei di ispirazione liberale di sinistra,
aspirava ad una fusione della Deutsche Volkspartei con la Deutsche Demokratische Partei per
creare così un Partito liberale unitario.

174
x. La politica come professione

1919
L a politica come professione era i! secondo intervento di Weber nell’ambito di una se­
rie di conferenze organizzate dal Freistudentiscber Bund. L andesverband Bayem sul tema
Geistige A rbeit als Beruf. Fu tenuta il 28 gennaio 1919, circa un anno dopo la prim a confe­
renza weberiana intitolata L a scienza come professione.
Il tema della «politica come professione» era uno dei più scottam i, già negl! anni che pre­
cedettero la prim a guerra mondiale. N el 1907, ad esempio, Werner Sombart si era scagliato
contro il ridursi della polìtica a mera professione (cfr. W. Som bart, D ie Politik ah Beruf, iti
«M orgen. Wochenschrift fùr deutsche Kultur», anno i, n. 7 del 26 luglio 1907, pp. 195-7).
L a guerra, col suo enorme numero di m orti, aveva inoltre sollevato un altro dram m a­
tico tema, quello del rapporto tra etica e politica, A M onaco, soprattutto, il professore di
filosofia e pedagogia Friedrich Wilhelm Foerster era diventato la figura sim bolo del pacifi­
sm o a sfondo religioso, alla quale andavano le simpatìe degli studenti contrari alla guerra,
ma anche l’odio della m aggioranza nazionalista e di destra.
L’atteggiamento disponibile e rispettoso con cui Weber affrontava le accese discussio­
ni con gli studenti pacifisti lo aveva reso una delle figure più stim ate e note, anche se egli
aveva sem pre mantenuto una posizione critica nei confronti della mancanza di realismo
delle posizioni pacifiste più estremìstiche. Era più che naturale, dunque, che proprio We­
ber venisse prescelto dal Freistudentiscber Bund per parlare sul tema «polìtica come pro­
fessione». N onostante la resistenza di Weber ad assum ersi l’incarico di questa seconda con­
ferenza, si giunse a fissare per il 28 gennaio 1919 la data dell’incontro.
Weber tenne la conferenza seguendo scarni appunti che ora sono riprodotti nella M ax
"Weber G esam tausgabe cit., A bt. i, Bd. 17, pp. 138-55. D o p o la conclusione del su o discor­
so si continuò a dibattere ininterrottamente fino alle due di notte.
L a conferenza fu stenografata, trascritta ed inviata a Weber che la rivide e corresse sen­
sibilmente. Il testo fu notevolmente accresciuto, anche se è difficile stabilire con esattezza
in quali punti, dato che il resoconto stenografico è andato perduto.
L a presente traduzione è condotta sul testo Geisttge A rbeit ah B e ru f Vier V onràge vor
dem Freistudentischen Bund, Zweiter Vortmg: M ax Weber. Politik als Beruf, D uncker 8C
H um blot, Mùnchen - Leipzig 1919, com e viene riprodotto nella M ax Weber G esam tau-
sgabe cìt., A bt. I, Bd. 17, pp. 157-252.
SCRITTI POLITICI

L a conferenza che, per vostro desiderio, dovrò tenere vi deluderà da


molti punti di vista. D a un discorso sulla politica come professione vi
aspetterete automaticamente una presa di posizione sulle questioni attua­
li. Q uesto però avverrà soltanto, in un m odo puramente formale, nella
conclusione a proposito di determinate questioni circa il significato del-
l’agire politico nelPambito della condotta di vita presa nella sua totalità.
Invece, devono essere affatto rimosse dalla conferenza odierna tutte le
questioni che riguardano quale politica si debba praticare, vale a dire qua­
li contenuti si debbano indicare att’agire politico. C iò infatti non ha nulla
a che fare con la questione generale: che cos’è la politica come professio­
ne e che cosa può significare. D etto questo, affrontiamo il tema.
Che cosa intendiamo per politica? Il concetto è straordinariamente
ampio c abbraccia ogni tipo di attività direttiva indipendente. Si parla del­
la polìtica valutaria delle banche, della politica di sconto della/?eicbsbank,
della politica di un sindacato in uno sciopero, si può parlare della politica
scolastica di una comunità cittadina o di villaggio, della politica della di­
lezione di un'associazione per quanto riguarda appunto la sua direzione,
e infine della politica di una donna intelligente che mira a comandare suo
marito. U n concetto così ampio non costituirà, naturalmente, il fonda­
mento delle nostre considerazioni di questa sera. N o i con il termine poli-
i ica intendiamo soltanto alludere alla direzione o all’influenza sulla dire­
zione di un’associazione politica, vale a dire, oggi, di uno Stato.
M a che cos’è dal punto di vista della considerazione sociologica un’as­
sociazione «politica»? C he cos’è uno «Stato»? Anch’esso non si lascia de­
li ni re sociologicamente a partire dal contenuto del suo agire. N on c’è pra­
ticamente compito che una associazione politica non si sia all’occasione
.issunta, d’altro lato non c’è neppure un compito di cui si possa dire che
i ssa sia l’esclusiva depositaria o che da sempre sia stato esclusivamente pe-

177
W eber, Scritti p olitici

cullare di quelle associazioni definite come politiche - oggi, come Stati - ,


oppure a quelle che storicamente sono state le precorritrici dello Stato
moderno. Piuttosto, dal punto di vista sociologico, sì può alla fin fine de­
finire lo Stato moderno solo a partire da uno specifico mezzo che gli è
proprio allo stesso modo di ogni associazione politica, e cioè l’uso delia
forza fisica. «O gni Stato si fonda sulla forza», diceva a suo tempo Trotzkij
a Brest-Litovsk. E questo, in effetti, è giusto. Se esistessero soltanto for­
mazioni sociali alle quali fosse sconosciuto l’uso della forza come mezzo,
allora il concetto di «Stato» sarebbe scom parso, e allora sarebbe suben­
trato ciò che, in questo senso particolare della parola, potrebbe essere ca­
ratterizzato come «anarchia». L’uso della forza, naturalmente, non è il
mezzo normale o l’unico a disposizione dello Stato - su questo non si di­
scute - ma è il suo m ezzo specifico. Proprio oggi, nella fattispecie, la rela­
zione dello Stato con l’uso della forza è particolarmente stretta. In passa­
to, i più diversi gruppi sociali - a partire dal gruppo parentale (Sippe) -
hanno conosciuto l’uso della forza fisica come m ezzo del tutto normale.
O ggi, invece, noi dovremmo dire: lo Stato è quella comunità umana che
all’interno di un determinato territorio —questa componente del «territo­
rio» è caratteristica - pretende per sé (con successo) il monopolio del le­
gittimo uso della forza fisica. Infatti, la specificità del presente è quella di
assegnare a tutti gli altri gruppi sociali o singole persone il diritto all’uso
della forza fisica solo nella misura in cui lo Stato dal canto suo lo permet­
ta: è lo Stato ad essere considerato l’unica fonte del «diritto» all’uso della
forza. «Politica» dunque per noi significherà l’aspirazione alla partecipa­
zione al potere oppure all’influenza sulla partizione del potere, sia tra Sta­
ti sia, all’interno di uno Stato, tra gruppi di uomini compresi all’interno
dei suoi confini.
Q uesto corrisponde nell’essenziale anche all’uso linguistico. Se si dice
di una questione che è «politica», o di un ministro o funzionario che è un
funzionario «politico», oppure di una decisione che è condizionata «p o­
liticamente», s’ìntende sempre che gli interessi concernenti la partizione,
il mantenimento o il dislocamento del potere sono determinanti per la ri­
sposta alla questione politica, oppure ne condizionano la decisione o de­
terminano la sfera di attività del funzionario in questione. C hi pratica la
politica aspira al potere, o come m ezzo al servizio dì altre mete (ideali o
egoistiche), oppure «per amore dello stesso potere», per godere della sen­
sazione di prestigio che esso dà.
Lo Stato, proprio come le associazioni politiche che Io hanno prece­
duto storicamente, è una relazione di dominio dell’uomo sull’uomo che
poggia sul m ezzo dell’uso legittimo della forza (ciò significa: in quanto
considerato legittimo). Affinché esso sussista, gli uomini dominati devo­
no dunque necessariamente sottomettersi alla pretesa autorità dei di volta

178
L a p o litica co m e p ro fessio n e

in volta dominatori. Q uando e perché lo fanno? Su quali morivi di giusti­


ficazione intrinseca e su quali mezzi esteriori poggia questo dom inio?
In linea di principio, per iniziare da questi ultimi, ci sono tre giustifi­
cazioni intrinseche, vale a dire tre motivi di legittimità del dominio. In­
nanzitutto l’autorità dell’«eterno ieri», del costume consacrato da una va­
lidità immemorabile e dall’aspettativa abituale derivante dalla consuetudi­
ne: il dominio «tradizionale», come lo esercitavano il patriarca e ìl princi­
pe patrimoniale di stampo antico. Quindi, l’autorità del dono di grazia
personale non ordinario (carisma), la dedizione e la fiducia personali nel­
le manifestazioni, nell’eroismo o in altre qualità di capo di un singolo: il
dominio «carism atico», come lo esercitano il profeta o —nell’ambito poli­
tico - il principe eletto in guerra o il sovrano plebiscitario, il grande de­
magogo e il capo di un partito politico. Infine: il dominio in forza della
«legalità», in forza della fede nella validità di un ordinamento giuridico e
della «com petenza» obiettiva fondata su regole create razionalmente, vale
a dire in forza dell’obbedienza nel compimento di doveri conformi ad un
regolamento: un dominio come lo esercitano il moderno «servitore dello
Stato», e tutti quei rappresentanti del potere che, in questa prospettiva, gli
assomigliano. Si capisce che, in realtà, assai gravi motivi di paura e di spe­
ranza - paura della vendetta di potenze magiche o del detentorc del pote­
re, speranza di una ricompensa nell’al di là o nell’al di qua —e, accanto a
questi, interessi delle specie più diverse influiscono sulla docilità dei do­
minati. D i questo parlerò subito. Ma se ci si domanda quali siano i motivi
ili «legittimità» di questa docilità, allora senza dubbio ci si imbatte in que­
sti tre tipi «puri». E queste rappresentazioni della legittimità e la loro fon­
dazione intrinseca sono di assai grande importanza per la struttura del do­
minio, I tipi puri, tuttavia, raramente si trovano nella realtà. Ma in questa
sede non ci si può addentrare nelle variazioni estremamente complesse, nei
passaggi e nelle combinazioni di questi tipi puri: tutto ciò appartiene ai
problemi attinenti alla «dottrina generale dello Stato». A noi qui interessa
\oprattutto il secondo di quei tipi: il dominio in forza della dedizione del
seguace al «carism a» puramente personale del «capo» (Fiibrer). Q ui infat-
11 si radica il pensiero della professione (Berufs) nella sua forma più alta. La
«Iedizione al carisma del profeta o del capo in guerra o del grande dema-
l'ugo nella ekklesia o nel parlamento significa certo che questi è conside­
r a t o personalmente dagli altri uomini come il capo (Leiter) interiormente
■chiamato» (berufene), e che costoro non gli obbediscono in forza dei co­
nimi o dell’ordinamento giuridico, ma perché credono in lui. D a parte
■■na, egli stesso vive perii suo compito, «si adopera perla sua opera»1, sena­
pi r che non sia un limitato e vuoto arrivista del momento. Per la sua per-

' In questa citazione ri suonano alcuni passaggi di Così parlò Zarathustra di Nietzsche.

179
W eber, Scritti p olitici

sona e le sue qualità però l’importante è la dedizione dei suoi sostenitori:


dei discepoli, del seguito, degli iscritti al partito legati tutti alla persona in
quanto tale. In tutti i contesti e in tutte le epoche storiche la figura del ca­
po è apparsa in entrambe le più importanti figure del passato: in quella del
mago e del profeta da un lato, e dall’altro in quella del principe eletto in
guerra, del capobanda e del condottiero. Proprio dell’Occidente però è ciò
che ci riguarda più da vicino, e cioè il capo politico nella forma innanzitut­
to del libero «dem agogo», cresciuto sul terreno della città-Stato tipica del
solo Occidente, soprattutto della civiltà mediterranea; e quindi nella for­
ma del «capo partito» parlamentare, che si è imposto a partire dallo Stato
costituzionale anch’esso tipico del solo Occidente.
Tuttavia questi politici, in senso forte, di «professione», nel significato
più autentico della parola, non sono naturalmente le uniche figure deter­
minanti nel meccanismo della ìotta politica per il potere. Estremamente
decisivo è piuttosto il tipo di mezzi ausiliari a loro disposizione. A ttra­
verso quale modalità i poteri politicamente dominanti cominciano ad af­
fermarsi nel loro dominio? La domanda vale per ogni tipo di dominio,
dunque anche per il potere politico in tutte le sue forme: per il potere tra­
dizionale come per quello legale e carismatico.
Ogni esercìzio di dominio, che richieda un’amministrazione continua,
ha bisogno, da un lato, di far affidamento su di un agire umano obbe­
diente a coloro che pretendono di rappresentare il potere legittimo, e d’al­
tro lato, ha bisogno della disponibilità, mediante questa obbedienza, di
quei beni materiali eventualmente necessari per l’uso della forza fìsica del
potere, e cioè di un apparato amministrativo personale e dei mezzi con­
creti di amministrazione.
L’apparato amministrativo che rappresenta nella sua facciata esteriore
l’esercizio del dominio politico - come del resto ogni altro esercizio -
ovviamente non è legato all’obbedienza rispetto al detentore del potere
solo in virtù di quella rappresentazione della legittimità della quale par­
lavamo poco fa, bensì in virtù di due m ezzi che si appellano all’interes­
se personale: il com penso materiale e il prestigio sociale. Il feudo dei
vassalli, i benefici dei funzionari patrimoniali, lo stipendio del m oderno
servitore dello Stato - come d’altronde l’onore cavalleresco, i privilegi
di ceto, l’onore di funzionano - rappresentano la ricompensa, e l’ango­
scia di perderli è il fondam ento ultimo e decisivo per la solidarietà su s­
sistente tra l’apparato amministrativo e il detentore del potere. Q uesto
vale anche per il dom inio carismatico del capo: onore di guerra e botti­
no per i guerrieri, gli «spoils» per il seguito del dem agogo, vale a dire lo
sfruttamento dei dom inati attraverso il m onopolio delle cariche, profit­
ti condizionati polìticamente e premi concessi per solleticare la vanità
individuale.

180
L a p o litica co m e p ro fe ssio n e

Per il mantenimento di qualsivoglia dominio violento c'è bisogno di


certi beni materiali esteriori, esattamente come nel caso di un’impresa
economica. Tutti gli ordinamenti statali possono essere divisi a seconda
che siano fondati o sul principio che quell’apparato di uomini, funziona­
ri o chi per essi, - sull’obbedienza dei quali il detentore del potere deve
per forza poter contare - possiedano in proprio i mezzi di amministrazio­
ne, siano essi in denaro, edifici, materiale bellico, mezzi di trasporto, ca­
valli o quant’altro; oppure sul principio che prevede la «separazione» del­
l’apparato dai m ezzi amministrativi, nella stessa maniera in cui oggi gli
impiegati e i proletari, all’interno dell’impresa capitalistica, sono «separa­
li» dai m ezzi materiali di produzione. È necessario dunque distinguere se
il detentore dèi potere dirige lui stesso l’organizzazione dell'amministra­
zione facendola amministrare da servitori personali o funzionari o impie­
gati o favoriti o fiduciari personali, che non sono proprietari, vale a dire
die non sono possessori a proprio titolo dei m ezzi materiali di produzio­
ne, e che perciò sono dipendenti in questo dal capo - , oppure se avviene
il contrario. Q uesta differenza interessa tutte le organizzazioni ammini-
\i rati ve del passato.
U n ’associazione polìtica, nella quale Ì mezzi materiali dell’ammini-
-.1 razione siano nelle mani - in tutto o in parte - dell’apparato ammini-
■urativo dipendente, la chiamiamo u n ’associazione ripartita «secondo ì ce­
t i Il vassallo, per esempio, nell’associazione sociale feudale, faceva fron­
ti: di tasca propria all’amministrazione e alla gestione della giustizia della
■ire esenzione, si equipaggiava e si riforniva per la guerra; i suoi valvasso­
ri lacevano lo stesso. Q uesto naturalmente aveva ripercussioni sulla posi-
/ ione di potere del signore, la quale poggiava soltanto sul legame di fidu-
i in personale, e sul fatto che il possesso del feudo e l’onore sociale del vas­
e llo avevano la loro «legittimità» dal signore stesso.
Ovunque, però, fino alle primissime formazioni politiche, troviamo
.mchc la direzione propria del signore: attraverso uomini dipendenti per-
mmalmente da luì - schiavi, impiegati domestici, servitori, «favoriti» per-
.miali e prebendati pagati dalle sue dispense con compensi in natura e in
denaro -, egli cerca di mantenere in suo potere fam m i ni strazio ne, dì
provvedere i mezzi di tasca sua con i proventi del suo patrimonio, di crea­
le un esercito totalmente a lui dipendente in quanto equipaggiato e ap­
provvigionato dai suoi depositi, magazzini, arsenali. Mentre nelfassocia-
/ i i m e per «ceti» il signore domina con l’aiuto di un’«aristocrazia» indi-
pendente, con la quale dunque spartisce il dominio, in questo caso egli si
ippoggia su servitori o plebei: strati sociali nullatenenti, che mancano di
"mire sociale, materialmente in tutto dipendenti da luì, sprovvisti nel m o­
do più assoluto di un terreno su cui far crescere un potere proprio che
■incorra con quello del capo. Tutte le forme di dominio patriarcale e pa­

181
W eber, Scritti p o litici

trimoniale, di dispotism o subartico e di ordinamento statale burocratico


appartengono a questo tipo. In particolare: l’ordinamento burocratico
statale, caratteristico, nella sua formazione più razionale, anche e in mo- ;
do peculiare dello Stato moderno.
Ovunque, lo sviluppo dello Stato moderno prende l’avvio dal fatto che
da parte del principe viene avviata l’espropriazione dei rappresentanti
«privati» ìndipendenti, che come luì esercitano un potere di amministra­
zione, dunque di quei proprietari che possiedono in proprio i mezzi di
amministrazione e dì impresa militare, i mezzi di impresa finanziaria e ;
tutti i tipi di beni utilizzabili polìticamente. L’intero processo non è che
un perfetto parallelo dello sviluppo dell’impresa capitalistica attraverso la
progressiva espropriazione dei produttori indipendenti. Alla fine, vedia- ;
mo che nello Stato moderno la disponibilità dì fatto di tutti ì mezzi ne- '
cessari all’esercizio di un’impresa politica confluisce in un unico punto, e
nessun singolo funzionario è più proprietario in proprio del denaro che ■
egli spende, o degli edifici, delle scorte, degli attrezzi, delle macchine da ]
guerra di cui dispone. D unque, nello Stato attuale - questo è essenziale dal
punto di vista concettuale - si attua completamente la «separazione» del- :
l’apparato amministrativo, vale a dire dei funzionari e degli operai del- <
l’amministrazione, dai mezzi materiali di produzione. Inizia ora la fase [
più moderna dello sviluppo, la quale davanti ai nostri occhi tenta di av­
viare l’espropriazione di questo espropriatore dei mezzi politici e, con ciò,
dello stesso potere politico. Q uesto la rivoluzione lo ha effettuato per lo
meno quando al posto delle autorità costituite ha collocato dei capi che at­
traverso l’usurpazione o l’elezione si sono attribuiti il potere di disporre
dell’apparato umano polìtico e deìl’apparato dei beni materiali, e che fan- ;
no derivare la loro legittimità - c indifferente con quanto diritto - dalla i
volontà dei dominati. Altra questione è se sulla base dì questo - per lo me­
no apparente - successo, sì possa con diritto poter coltivare la speranza di
attuare l’espropriazione anche all’interno delle imprese economiche capì- '!
talisriche, la cui direzione, nonostante ampie analogie, si regola al suo in- !
terno secondo leggi del tutto diverse rispetto aH’amministrazione politi­
ca. Su questo oggi non prenderemo posizione. Form ulo questa definizio­
ne puramente concettuale, unicamente a beneficio della nostra trattazìo- ;
ne: lo Stato moderno è un’associazione di dominio conforme ad uir isti-,
tuzione, la quale, nell’ambito di un territorio, ha m onopolizzato con sue- ;
cesso l’uso legittimo della forza fisica come m ezzo di dominio, e che a
questo scopo ha riunito nelle mani del suo capo i mezzi materiali di atti­
vità espropriando tutti i funzionari di ceto che prima ne disponevano per
diritto proprio, e ponendo al loro posto ai vertici più alti il capo stesso.
Nel corso di questo processo politico di espropriazione, che si è prc- :
sentalo in tutti i paesi del mondo con alterno successo, sono comparse - 1

1H2
L a p o litic a co m e p ro fe ssio n e

dapprima al servizio dei principi - le prime categorie di «politici di pro­


fessione» in un senso diverso: gente cioè che non intendeva essere essa
stessa signore, come i capi carismatici, ma che entrava a l servizio dei si­
gnori politici. In questa lotta si mettevano a disposizione dei principi, e
dalla cura della loro politica ne ricavavano da un lato un guadagno mate­
riale, dall’altro un contenuto ideale di vita. Di nuovo, soltanto in O cci­
dente troviamo questo tipo di politici di professione anche al servizio di
potenze diverse da quelle dei principi. In passato essi erano il più impor­
tante strumento politico di potenza e di espropriazione dei principi.
Prima di addentrarci più profondamente nell’analisi di queste figure,
mettiamo in chiaro, senza ambiguità e da ogni lato possibile, la situazione
caratterizzata dall’esistenza di tali «politici di professione». SÌ può fare
politica» —vale a dire, sforzarsi di influenzare la partizione del potere tra
le formazioni politiche e all’interno del loro ambito —tanto in qualità di
politici «occasionali» quanto nelle vesti di politici dilettanti o professioni-
si i, proprio come avviene nel caso del guadagno economico. Politici «oc-
. a rionali» lo siamo tutti quando deponiamo la nostra scheda elettorale
nppurc quando attuiamo una simile espressione della volontà: come un
applauso o una protesta in una riunione «polìtica», quando facciamo un
111scorso «politico» e così via; per molti uomini il rapporto con la polìtica
a limita solo a questo. Polìtici «dilettanti» sono oggi, per esempio, tutti
quegli uomini di fiducia2 e direttori di associazioni politiche dì partito i
i piali esercitano questa attività - come è assolutamente la regola - solo in
<,isi di necessità, e che né in senso materiale né in senso ideale «progetta­
mi la loro vita» a partire in prim a istanza dall’attività politica. Ed è questo
il caso anche di quei membri di consigli di Stato c di simili organismi, 1
ipiali entrano in funzione solo se espressamente consultati. Ma anche stra­
li sociali abbastanza ampi di nostri parlamentari, che fanno politica solo
m i perìodi dì sessione, possono essere annoverati fra questi. N el passato
doviam o tali strati sociali soprattutto tra i ceti. Per «ceti» intendiamo i
; » ispessori in proprio di importanti mezzi materiali per imprese militari o
imministrative oppure i possessori di poteri sovrani personali. U na gran
pu le di essi era molto lontana dal porre la propria vita del tutto, in parte
oppure anche in m odo più che occasionale al servizio delia polìtica. Essi
pini tosto si servivano del loro potere di capi nell’interesse dell’introito dì
" miite o addirittura di guadagno e, in senso politico, diventavano attivi al

I ili ^uomini dì fiduciaw, in paiticolare in campagna o nei territori dove una circoscrizione
!■ Morale comprendeva un grande numero di comuni, costituivano fanello di congiunzione tra
• " |-ni Ilo c i suoi elettori, il compito degli uomini di fiducia stava soprattutto nella propaganda
i ■ il p a r l i l e ) come nella preparazione organizzatoria delle elezioni, come per esempio la consc-
: .Ielle schede elettorali.

183
W eber, Scritti p olitici

servizio di associazioni politiche, solo se il capo o i loro compagni di ce­


to lo richiedevano espressamente. N on diversamente accadeva per una
parte di quelle forze ausiliarie che il principe chiamava alla lotta per crea­
re in questo m odo un ambito di attività politica autonoma, che doveva ri­
manere unicamente a sua disposizione. I «consiglieri dalla loro dim ora»1
e, ancora più indietro, una parte considerevole dei consiglieri che si radu­
navano nella «curia»1 e negli altri organi consultivi del principe avevano
questo carattere. Ma naturalmente il principe non poteva farcela con que­
ste forze ausiliarie solamente occasionali o dilettantesche. Egli dovette al­
lora cercare di crearsi un apparato di forze ausiliarie dedicate del tutto ed
esclusivamente al suo servizio, forze dunque professionali. D a dove p o ­
tesse attingere queste forze ausiliarie, dipendeva per una parte assai con­
siderevole la struttura della formazione politica e dinastica che stava sor­
gendo, e non soltanto questa, ma anche l’intera impronta della civiltà in
questione. Più che mai costrette dalla stessa necessità erano quelle asso­
ciazioni che si costituivano politicamente come (le cosiddette) comunità
«libere» in virtù della completa eliminazione o dell’ampia limitazione del­
la potenza del principe; «libere» non ne! senso della libertà da un dom i­
nio violento, bensì nel senso della mancanza del potere del principe, po­
tere legittimo in forza della tradizione (per lo più consacrato religiosa-
mente) e inteso come fonte esclusiva di ogni autorità. Esse, tutte quante,
hanno storicamente avuto le loro sedi in Occidente, e la loro origine fu la
città in quanto associazione politica, così com ’è apparsa per la prima vol­
ta sulla scena della cultura mediterranea. Che aspetto avevano in tutti que­
sti casi i politici «di professione»?
Ci sono due modi di fare della politica una professione. Si vive «per»
la politica, oppure «di» politica. L a contrapposizione non è affatto esclu­
siva. Di regola, anzi, si fanno almeno idealmente, ma per lo più anche ma­
terialmente, entrambe le cose: chi vive «per» la politica, nel senso interio­
re progetta «la sua vita a partire da essa»: egli o gode il semplice possesso
della potenza che esercita, oppure alimenta il proprio equilibrio interiore
e il sentimento di sé con la coscienza di dare un senso alla propria vita at-

’ Con questo termine si caratterizzavano in alcuni territori tedeschi, a partire dal tardo me­
dioevo fino al XVI) secolo,! membri del consiglio del principe che non vivevano stabilmente nel'
palazzo del signore, ma che rendevano i loro servigi dalla loro dimora e prendevano parte al con­
siglio solo quando il principe soggiornava nella loro regione.
* La curiti regii era un'assemblea che teneva le sue sedute nei di volta in volta luoghi di sog­
giorno del sovrano e alla quale partecipavano tanto i grandi dell’Impero quanto i consiglieri per­
sonali del re c i suoi funzionari più alti. In particolare nella Francia ed Inghilterra altomedievali
i sovrani cercavano di contenere l’influenza dei vassalli, c così piano piano passarono a trattare
determinate questioni in un «Consiglio ristretto» all’interno delia curia regis, al quale partecipa­
vano i loro funzionari privati e persone di particolare fiducia. Così iniziò una specializzazione
degli affari e de! loro trattamento attraverso esperti.

184
L a p o litic a c o m e p ro fessio n e

traverso il servizio di una «causa». In questo senso interiore, ogni uom o


serio che vive per la propria causa vive anche di questa causa. L a differen­
ziazione si riferisce anche ad un lato molto più grossolano della questio­
ne e cioè al lato economico. «D i» politica come professione vive chi aspi­
ra a fare della politica una duratura fonte di guadagno; «per» la politica in­
vece vive colui per il quale le cose non stanno in questi termini. Affinché
qualcuno possa vivere in tale senso economico «per» la politica, devono
necessariamente sussistere nell’ambito dell’ordinamento della proprietà
privata alcune, se volete assai triviali, premesse: costui deve - in condizio­
ni normali —essere economicamente indipendente nei confronti dei gua­
dagni che la politica gli può portare. C iò significa, molto semplicemente,
che dev’essere benestante o godere di una condizione privata che gli frut-
lì sufficienti entrate. C osì stanno le cose per lo meno in condizioni nor­
mali. Certo, il seguito del principe in guerra non richiede affatto le condi­
zioni di normale economia come non le richiede il seguito dell’eroe rivo­
luzionario di piazza. Entrambi vivono di bottino, furto, confische, tribu­
ti, delle imposizioni di mezzi di pagamento forzoso ignobili: in pratica,
sempre la stessa cosa. Ma questi sono necessariamente fenomeni eccezio­
nali: nell’economia normale è solo il patrimonio individuale a rendere ta­
le servìzio. M a questo non basta: egli oltre a ciò deve necessariamente es­
sere «libero» dal punto di vista economico, vale a dire le sue entrate non
possono dipendere dal fatto che egli durevolmente e personalmente met­
ta la sua forza lavorativa e il suo pensiero, in maniera completa o comun­
q u e preponderante, al servizio del guadagno. Libero in questo senso è sol­

iamo, nel m odo più pieno, il titolare di una rendita, dunque colui che per-
. episcc un reddito senza lavorare, sia che si tratti di un reddito derivante
da rendite fondiarie, come i signori feudali del passato, i latifondisti e i si­
gnori delle corporazioni {Standesherren) di oggi - nell’antichità e nel me-
i hoevo esistevano anche rendite provenienti da schiavi o da servi della gle-
Im -, sia che si tratti di un reddito derivante da titoli o da simili fonti di
i rndita moderne. N é l’operaio, né - cosa su cui sì deve fare molta atten-
/ione - l’imprenditore, anche e soprattutto il grande imprenditore mo-
drrno, sono liberi in questo senso. Infatti proprio l’imprenditore - l’im-
Iii e uditore industriale molto più di quello agricolo, considerato 0 caratte-
11- stagionale dell’agri coltura - è legato alla sua impresa e non è libero. Per
Ini è per lo più molto difficile farsi sostituire, anche solo momentanea­
mente. Altrettanto poco libero è, ad esempio, il medico: quanto più è il-
lu .irc ed occupato, tanto meno sarà libero. Più semplice invece, per m o­
l i v i puramente tecnici e professionali, per l’avvocato, il quale perciò ha

e meato un ruolo estremamente importante, e spesso addirittura dom i­


l i mie, anche come polìtico di professione. N o n vogliamo proseguire ul-

1.1 nirniente questa casistica, chiariamo piuttosto alcune conseguenze.

185
Weber, Scritti p olitici

La direzione di uno Stato o di un partito per mezzo dì gente che (nel


senso economico della parola) vive esclusivamente per la politica e non di
polìtica, significa necessariamente un reclutamento «plutocratico* degli
strati politicamente preminenti. M a con ciò non è detto anche il contrario,
e cioè che una tale direzione plutocratica significhi al tempo stesso che lo
strato sociale politicamente dominante non miri anche a vivere «d i* poli­
tica, che non sìa solito dunque abusare del suo potere politico anche per i
suoi interessi economici privati. Su questo, naturalmente, non si discute.
N on è mai esistito uno strato sociale che in qualche modo non l’abbia fat­
to. L’indipendenza economica significa soltanto che Ì politici di professio­
ne non sono immediatamente costretti a cercare un compenso per la loro
prestazione politica, come deve necessariamente pretenderlo ogni perso­
na priva di mezzi. E d ’altro canto, questo non significa certo che politici
non benestanti ricerchino attraverso la politica soltanto o soprattutto il lo­
ro sostentamento economico privato, e dunque non pensino affatto, o
non pensino in maniera preponderante, «alla causa». Nulla sarebbe più
scorretto. Per l’uomo benestante la preoccupazione per la «sicurezza»
economica della propria esistenza è, secondo esperienza, - più o meno
consapevolmente - un punto cardinale per l’intero orientamento della sua
vita. L’idealismo politico irruente e incondizionato si trova, se non esclu­
sivamente per lo meno in maniera preponderante, proprio presso quegli
strati sociali che, a causa della loro mancanza di patrimonio, sono del tut­
to alieni dagli ambiti di interessati al mantenimento dell’ordine economi­
co in una determinata società: questo vale soprattutto in epoche eccezio­
nali, e dunque rivoluzionarie. Tutto ciò significa soltanto che un recluta­
mento non plutocratico degli interessati alla politica, del gruppo dirìgente
e del suo seguito, è vincolato all’ovvia premessa che a costoro vengano de­
voluti dall’impresa della politica regolari c sicuri redditi. L a politica può
essere esercitata «a titolo onorario» e dunque da indivìdui, come si suol
dire, «indipendenti», ossia benestanti, titolari di rendita soprattutto; op­
pure viene resa accessibile ad individui senza patrimonio, a cui però ne­
cessariamente deve essere corrisposto un compenso. Il politico dì profes­
sione che vive di politica può essere un puro «beneficiario» oppure un
«funzionario» stipendiato. Dunque, o egli percepisce un reddito da tasse
e retribuzioni5 per determinate prestazioni - le mance e le mazzette sono
soltanto una varietà irregolare c formalmente illegale di questa categoria
di entrate - , oppure percepisce un compenso fisso in natura o uno stipen­
dio in denaro, o entrambi insieme. Egli può assumere il carattere dì un
«imprenditore», come il condottiero o il locatario o venditore di cariche

* Retribuzioni (Sportela) a partire da) medioevo erano le tasse da versare per gli atti d ’ufficio.

186
L a p o litic a co m e p ro fessio n e

del passato6, oppure come il boss americano, il quale considera le sue spe­
se come un investimento di capitale che, attraverso l’abuso dei suo potere
d ’influenza, fa fruttare. O ppure egli può percepire uno stipendio fisso,
come un redattore o un segretario di partito o un moderno ministro o un
funzionario polìtico. N el passato feudi, donazioni di terreno, prebende di
ogni tipo erano la tipica ricompensa dì principi, conquistatori vittoriosi o
capi di partito di successo per il loro seguito; con lo sviluppo dell’econo­
mia monetaria, tuttavia, sono soprattutto le retribuzioni a fungere da ri­
compensa. Oggi sono le cariche di ogni tipo nei partiti, nei giornali, nelle
cooperative, nelle mutue, nei comuni e negli Stati ad essere distribuite dai
capi di partito per i fedeli servizi ricevuti. Tutte le lotte fra i partiti non
Ii.inno come fine soltanto mete oggettive, bensì soprattutto il patronato
delie cariche. Tutte le lotte tra le tendenze particolaristiche e centrai isti che
in Germania vertono soprattutto su quali poteri - di Berlino o di M ona-
■o, di Karlsruhe o di Dresda - debbano gestire il patronato delle cariche.
I partiti considerano uno smacco più grave le riduzioni nell’assegnazione
delle cariche che non le deviazioni dai loro fini oggettivi. Uno spostamen-
in di prefetti7voluto da partiti politici, in Francia, è stato sempre conside­
rilo come un sovvertimento maggiore e ha fatto più rumore di una modi-
in azione del programma di governo, il quale ha un significato quasi pura-
n u tne retorico. Alcuni partiti, soprattutto quelli americani, dopo la scom -
l'.iisa delle antiche contrapposizioni riguardo l’interpretazione delia C o ­
ni u/ionc, non sono che meri accaparratori di posti, c di volta involta mo-
h11! ivano il loro programma concreto a seconda delle possibilità di prende-
H voti. In Spagna, fino a pochi anni fa, i due grandi partiti® si alternavano
■' ondo un turno stabilito convenzionalmente mediante «votazioni» ge­
n ie dall’alto, al fine di sistemare il proprio seguito nelle cariche. N ei ter­
ni mi coloniali spagnoli, tanto in occasione delle cosiddette «elezioni»

Nel XVII e XVIII secolo in ampi settori d'Europa era diffuso il sistema del «traffico delle
-ii In - in quanto vendita di cariche tra privati come anche il sistema della «compralidirà delle
- - In » come traffico di cariche organizzato statalmente e istituzionalizzato.
In coerenza con le riforme dellamminist razione durante la Rivoluzione francese la Francia
■' i n i ripartita in una moltitudine di dipartimenti. Al vertice dei dipartimenti subentrarono i
l - I- ni che venivano scelti dal governo centrale soprattutto in base alla loro affidabilità politica.
! i dovevano prendersi cura non solo dell’osservanza delle leggi, ma anche controllare e in-
ii- - mi e le situazioni locali nel senso della politica uffici ale del governo. Per questo 1 prefetti era-
■ii mudo particolare sensibili ai cambiamenti di relazioni di potere nel governo centrale. Per
il io nel 1870 furono sostituiti tutti i prefetti che erano stati nominati da Napoleone III du-
■i. d ‘secondo Impero. Weber accenna qui probabilmente allo «spostamento di prefetti» nella
I ■ i lò 'pubblica. Per esempio dopo le elezioni del 1898 fu cambiato più di un terzo dei prefet-
■■In il lutto nella stampa regionale la possibilità di uno spostamento di prefetti c le sue conse-
. 1 1 ■ turono diffusamente commentate.
\'i ' accenna qui al sistema concordato dal capo dei libcral-conservatori Antonio Cànovas
' ■ - olio (1828-1897) e il capo dei liberali don Pràxedes Matco Sagasta (1827-1903) detto del
■ ni] ico» secondo il quale si alternavano un gabinetto liberal-conservatore e uno liberale.

187
W eber, Scritti p olitici

quanto delle cosiddette «rivoluzioni», si tratta sempre di mangiatoia di


Stato alla quale i vincitori desiderano pascersi. In Svizzera i partiti si spar­
tiscono tra loro pacificamente le cariche mediante il sistema proporziona­
le, e alcuni dei nostri progetti «rivoluzionari» di Costituzione, come ad
esempio il prim o tra quelli formulati riguardante il Baden’, intendevano
estendere questo sistema ai posti di ministro trattando così lo Stato e le sue
cariche come una mera istituzione di sostentamento di prebendati. Il par­
tito del centro soprattutto si entusiasmò per questa proposta tanto da fare
della partizione proporzionale delle cariche secondo le confessioni, dun­
que senza riguardo alla prestazione, addirittura un punto programmatico
nel Baden, C on l’estendersi del numero delle cariche in virtù della genera­
le burocratizzazione e l’estendersi della smania per esse viste come una
forma particolarmente sicura di sostentamento, si dilata conseguentemen­
te in tutti i partiti questa tendenza, ed essi diventano per il loro seguito
sempre più il m ezzo per raggiungere il fine di sostentarsi in questo modo,
A ciò, tuttavia, oggi si contrappone lo sviluppo del funzionariato m o­
derno verso un ceto di lavoratori intellettuali altamente qualificato, reso
particolarmente competente attraverso una preparazione di anni e anima­
to da un senso deironore di ceto altamente sviluppato nell’interesse della
propria integrità, senza il quale ci sovrasterebbe come un fatalità il peri­
colo di una paurosa corruzione e di una generale grettezza, e ad esserne
minacciata sarebbe anche la prestazione puramente tecnica dell’apparato
dello Stato, la cui importanza per l’economia - soprattutto con la cre­
scente socializzazione - è costantemente cresciuta e crescerà ancora.
L’amministrazione dilettantesca per m ezzo di politici da preda, che negli
Stati Uniti faceva soppiantare centinaia di migliaia di funzionari, finanche
il postino, a seconda dell’esito dell’elezione presidenziale, e non conosce­
va il funzionario stabile di professione, da lungo tempo è stata ridimen­
sionata dalla C ìvil Service Reform 12. Bisogni puramente tecnici e impre­
scindibili deH’amministrazione determinano questo sviluppo. In Europa
il funzionariato specializzato basato sulla divisione del lavoro si è svilup­
pato progressivamente da un m ezzo millennio a questa parte. A d iniziare
furono le città e le signorie italiane e, tra le monarchie, gli Stati sotto il do­
minio normanno. Il passo decisivo fu effettuato nei riguardi delle finanze
dei principi. Prendendo lo spunto dalle riforme dell’amministrazione del­
l’imperatore M ax11 si può vedere quanto riuscì difficile ai funzionari, pur

’ Weber intende la proposta fatta alla fine del 1918 dal socialdemocratico di Karlsruhe
Eduard Dictz (1866-1940).
11 Con la C b i/ Service Reform (il cosiddetto Pendleion Act) de! 1883 iniziò il passaggio dal
tradizionale Spoils System al Merk system, con il quale fti creato il fondamento per la formazio­
ne di un funzionariato di professione negli Stati Uniti.
" Weber intende l’imperatore Massimiliano 1 d'Asburgo (1459-1519).

188
L a p o lìtic a co m e p ro fessio n e

sotto la pressione della necessità esterna e del domìnio turco, spodestare


il principe in questo settore, che meno di tutto sopportava il dilettantismo
di un capo che a quel tempo era soprattutto un cavaliere. L o sviluppo del-
la tecnica bellica richiedeva l’ufficiale specializzato, e l’affinarsi del proce­
dimento giuridico giuristi istruiti. In questi tre settori, negli Stati più svi­
luppati, il funzionariato specializzato si impose definitivamente nel corso
del X V I secolo. A l tempo stesso dell’ascesa dell’assolutismo del principe
rispetto ai ceti iniziò il graduale affievolirsi del dominio personale di que­
sti a vantaggio dei funzionari specializzati unicamente grazie ai quali il
principe aveva potuto vincere sui ceti.
Contemporaneamente all’ascesa del funzionariato specializzato si at­
tuò anche - sebbene attraverso trapassi davvero impercettibili - lo svilup­
po dei «polìtici dirigenti». Chiaramente, tali consiglieri di fatto determi­
nanti per i principi erano esistiti da sempre e dappertutto nel mondo. In
Oriente il bisogno di scaricare il più possibile il sultano dalla responsabi­
lità personale per il successo del governo, ha determinato la tipica figura
del «G ran Visir». In Occidente all’epoca di Carlo V - l’epoca cioè di Ma­
chiavelli -, soprattutto sotto l’influsso dei resoconti delle legazioni vene­
ziane letti con entusiastico zelo negli ambienti diplomatici specializzati, la
diplomazia divenne per la prima volta un’arte coscientemente curata, i cui
adepti, per lo più formati umanisticamente, si trattavano tra di loro come
mi istruito strato sociale di iniziati, in m odo simile agli uomini di Stato
umanisti cinesi dell’ultima epoca degli Stati particolari^. L a necessità di
una direzione formalmente unitaria dell'intera politica, compresa quella
interna, tramite la figura di un uom o di Stato che facesse da capo, sorse in
maniera definitiva e cogente soltanto con lo sviluppo costituzionale. Fino
a quel momento c’erano sempre state sìngole personalità che rivestivano
la carica di consiglieri o piuttosto - formalmente - di guide dei principi.
Ma l’organizzazione degli organi di governo aveva dapprincipio, anche
nel caso degli Stati più progrediti, percorso altre vie. Erano sorti supremi
organi di governo amministrativi di tipo collegiale. In teoria e, in misura
t;i adualmente calante, in pratica essi venivano convocati sotto la presi­
denza personale del principe, il quale emetteva le decisioni. Attraverso
questo sistema collegiale, il quale produceva pareri, contropareri e voti
motivati della maggioranza e minoranza, e inoltre attraverso l’attorniarsi,
n canto ai supremi organi ufficiali di governo, di confidenti puramente
l’iTsonali - d «gabinetto» - tramite Ì quali emanava le sue decisioni sulle

11 Weber accenna qui presumibilmente all’epoca dal 770 al 221 a.C., in particolare al periodo
I r, li «Stati Combattenti» (475-221 a.C.). Un esempio calzante dell’importanza della formazìo-
' i li iterarla come qualificazione a ricoprire le cariche è Shang Yang (ca. 390-338 a.C.) il quale, in
, ' ilnà di consigliere e ministro riformò l’amministrazione.

189
Weber, Scritti p olitici

delibere del consiglio di Stato - o come altrimenti sì chiamava il supremo


organo di governo statale - , il principe, che finiva per essere sempre più
nella condizione di un dilettante, cercava di sottrarsi al peso inevitabil­
mente crescente della competenza specialistica dei funzionari, e di mante­
nere nelle sue mani la direzione suprema: questa lotta latente tra il fun­
zionar iato specializzato e l’autocrazia fu presente ovunque. Solo di fron­
te ai parlamenti e alle aspirazioni di potere dei capipartito la situazione
cambiò. Condizioni molto diverse, tuttavia, condussero all’identico risul­
tato esteriore. M a con alcune differenze. O vunque le dinastìe manteneva­
no nelle loro mani un potere reale - come soprattutto in Germania - gli
interessi del principe erano legati saldamente agli interessi del funziona­
riato contro il parlamento e le sue pretese di potenza. I funzionari aveva­
no interesse nel fatto che i posti direttivi, dunque anche i posti di mini­
stro, venissero occupati da individui provenienti dai loro ranghi, in quan­
to in questo m odo diventavano mete del loro avanzamento. Dal canto suo
il monarca aveva interesse a poter nominare a sua discrezione i ministri se­
lezionandoli dai ranghi dei funzionari a lui devoti. Entrambe le parti però
erano interessate a che la direzione politica affrontasse il parlamento in
m odo unito e compatto, e dunque a che il sistema collegiale fosse sosti­
tuito da un unico capo di gabinetto. Il monarca inoltre abbisognava - per
rimanere lontano, da un punto di vista puramente formale, dalla lotta dei
partici e dai loro attacchi —dì una singola personalità responsabile che lo
coprisse, vale a dire che rispondesse c si opponesse al parlamento, e trat­
tasse con i partiti. Tutti questi interessi operavano insieme nella stessa di­
rezione: nacque in questo modo un ministro scelto tra i funzionari che da­
va una direzione univoca all’attività politica. In questo senso ebbe una an­
cor più grande influenza lo sviluppo del potere del parlamento laddove -
come in Inghilterra - esso ebbe il sopravvento rispetto al monarca. Q ui si
sviluppò il «gabinetto» con, al vertice, un unico capo del parlamento, il
« leader» come apice di quel potere ignorato dalle leggi ufficiali, di fatto
però il solo decisivo dal punto di vista politico: il partito che si trova di
volta in volta in possesso della maggioranza. Gli organismi collegiali uffi­
ciali non erano, in quanto tali, organi del potere davvero dominante, vale
a dire del partito, c dunque non potevano essere i rappresentanti del go­
verno reale. U n partito dominante aveva piuttosto bisogno - per afferma-,
re il proprio potere alPinterno e per poter esercitare verso l’esterno una
politica di vasto respiro - di un organo potente, assolutamente fidato,
com posto solo dai suoi uomini davvero dominanti, e assolutamente affi­
dabili: e precisamente, cioè, del gabinetto; ma, d’altro canto, rispetto al
pubblico, soprattutto quello parlamentare, aveva bisogno di un capo re­
sponsabile per tutte le decisioni: vale a dire, del capo di gabinetto. Q uesto
sistema inglese è stato poi assunto nel continente nella forma dei ministe­

190
L a p o litica co m e p ro fessio n e

ri parlamentari, e solo in America e nelle democrazie da essa influenzate


gli venne contrapposto un sistema del tutto eterogeneo, che poneva al ver­
tice deirapparato di funzionari da lui nominati il capo eletto del partito
vincente attraverso un’elezione popolare diretta, e lo vincolava all’appro­
vazione del parlamento solo in materia di bilancio e di legislazione.
Lo svilupparsi della politica in un’«impresa» che esigeva un’istruzione
alla lotta per il potere e ai suoi metodi, così come l’avevano sviluppata i
partiti moderni, determinò la separazione dei funzionari pubblici in due
i .uegorie non separate in maniera assoluta, ma tuttavia distinte chiara­
mente: da un lato i funzionari specializzati, dall’altro i «funzionari politi­
vi». I funzionari «politici», nel senso autentico della parola, di regola so­
no esteriormente riconoscibili dal fatto che in ogni momento possono cs-
m tc spostati e licenziati a piacere oppure posti «a disposizione», come i

prefetti francesi e gli analoghi funzionari di altri paesi, in radicale opposi­


zione rispetto a 11’« ìnd ìpen de n za » dei funzionari con mansioni giudiziarie.
In Inghilterra appartengono a questo gruppo quei funzionari che, secon­
do una salda convenzione, in occasione di un cambio della maggioranza
parlamentare, e dunque del gabinetto, lasciano le cariche. In particolare,
■.<>rio soliti essere annoverati tra costoro quei funzionari la cui competen-
.' a abbraccia l’intera «amministrazione interna», la cui funzione «politica»
soprattutto nel com pito di mantenere l’«ordine» nel paese, e cioè
di mantenere le relazioni di dominio esistenti. In Prussia questi funziona-
ii, secondo il decreto PuttkamerB, avevano il dovere, pena il provvedi­
li ir ino disciplinare, «di appoggiare la politica del governo», e furono uti­
li// ali, proprio come ì prefetti in Francia, come apparato ufficiale per in-
Iluenzare le elezioni. L a m aggior parte dei funzionari «politici» secondo
il sistema tedesco - al contrario dì altri paesi - possedeva le qualità di tut-
11 gli altri funzionari ordinari, poiché anche il conseguimento di queste ca-
i iclie era legato allo studio accademico, ad esami specialistici e ad un de­
li uni nato servizio dì preparazione. Q uesto specifico contrassegno del
moderno funzionariato specializzato manca da noi solo ai capi dcll’appa-
i ito politico, e cioè ai ministri. G ià sotto tl vecchio regime si poteva esse-
0 ministro della Cultura prussiano senza aver mai frequentato un istitu­
to di istruzione superiore, mentre si poteva diventare consigliere relatore
■■idi.ulto avendo superato gli esami prescritti. Il capo di sezione e il consi­
gline relatore istruiti specialisticamente erano ovviamente —ad esempio

" 1 in dal 1879 il ministro prussiano degli interni Robert von Puttkamer (1828-1900) si im-
1- in j iìcìr estromettere tutti gli impiegati di sentimenti liberali dal funzionariato prussiano, ob-
I li;, nulo quest'ultimo ad un'incondizionata lealtà rispetto al governo. L’apice di questa politica
i1■ i i;;'imito con il decreto del 4 gennaio 1882 noto con il nome di decreto Puttkamer, anche se
i III iu controfirmato da Bismarck.

191
W eber, Scrìtti p o litici

sotto Althoff nel ministero prussiano della pubblica istruzione14- infini­


tamente più informati del loro capo riguardo gli autentici problemi tecni­
ci della materia. D a questo punto di vista, in Inghilterra le cose non stan­
no in m odo diverso. In conseguenza di ciò, il funzionario risultava essere
il più potente anche per quanto riguarda i bisogni quotidiani. Q uesto non
era affatto un controsenso. Il ministro era propriamente il rappresentante
della costellazione politica del potere, doveva rappresentarne i criteri po­
litici e affidarsi alle proposte dei funzionari specializzati a lui sottoposti
oppure dare loro le corrispondenti direttive di tipo politico.
In m odo del tutto simile stanno le cose in un’impresa economica pri­
vata: l’autentico «sovrano», l’assemblea degli azionisti, è del tutto privo
di influenza nella conduzione dell’impresa come lo è un «popolo» gover­
nato da funzionari specializzati, e le personalità determinanti per la poli­
tica dell’impresa, il «consiglio di amministrazione» dominato dalle ban­
che, definiscono soltanto le direttive economiche e selezionano le perso­
nalità preposte all’amministrazione, senza però essere in grado di con­
durre tecnicamente l’impresa. A questo proposito, anche l’odierna strut­
tura dello Stato rivoluzionario, il quale consegna nelle mani di dilettanti
assoluti, in quanto armati di mitragliatrici, il potere sull’amministrazione
e che vorrebbe utilizzare i funzionari specializzati come mani e teste me­
ramente esecutrici, non rappresenta certo una innovazione fondamenta­
le. Le difficoltà di questo attuale sistema stanno altrove, ma oggi non
dobbiamo occuparcene.
Interroghiamoci piuttosto sulla caratteristica tìpica del politico di pro­
fessione, tanto del «capo» (Fiihrer) quanto del suo seguito. Essa è cam­
biata nel tempo c anche oggi appare molto diversificata.
Com e abbiamo visto, nel passato i «politici di professione» si sono af­
fermati servendo i principi nella lotta contro i ceti. Vediamo brevemente
quali sono i loro tipi principali.
Per combattere i ceti, il principe si appoggiava su strati sociali politi­
camente utilizzabili di carattere non cetuale. A questo gruppo appartene­
vano i chierici dell’India anteriore e posteriore, della Cina buddista e del
Giappone, della M ongolia Jamaistica come delle regioni cristiane del me­
dioevo. Per motivi tecnici, in quanto praticavano la scrittura. L’introdu­
zione di bramini, di preti buddisti, di lama, e l’impiego di vescovi e di pre­
ti come consiglieri politici, fu ovunque determinata dal fine di ottenere
forze amministrative in grado di scrivere, le quali potessero essere utiliz-

" Friedrich Althoff, prima consigliere relatore e poi direttore ministeriale nel ministero prus­
siano della cultura, sotto ben cinque diversi ministri della Cultura influenzò in modo marcato il
sistema universitario prussiano c tedesco, inclusa la nomina dei professori, ad un punto tale che
durame il periodo in cui fu in carica, dal 1882 al 1907, si può parlare addirittura di un «Sistema
Althoff».

192
L a p o litica co m e p ro fessio n e

zate nella lotta dell’imperatore o del principe o del khan contro l’aristo­
crazia. Il chierico, soprattutto il chierico celibe, era estraneo al meccani­
sm o dei normali interessi politico-economici e non era tentato ad aspira­
re, di fronte al suo signore, ad un potere politico personale ad uso dei suoi
discendenti, come nel caso del signore feudale. Egli era «separato», in
virtù delle sue qualità di ceto, dai mezzi di impresa dell’amministrazione
principesca.
U n secondo strato sociale era rappresentato dai letterati di form azio­
ne umanistica. C i fu un tempo in cui si imparava a fare discorsi in latino e
versi in greco allo scopo di diventare consigliere politico e soprattutto sto­
riografo di un principe. Era questo il tempo della prima fioritura delle
scuole umanistiche e delle fondazioni principesche di cattedre universita­
rie di «poetica»15: da noi quest’epoca è passata velocemente, ma ha pur
sempre influito durevolmente sulla nostra organizzazione scolastica, sen­
za tuttavia avere conseguenze profonde dal punto di vista politico. Le co­
se andarono diversamente in Asia orientale. Il mandarino cinese è, o piut­
tosto era in origine, approssimativamente l’equivalente dell’umanista del­
la nostra epoca rinascimentale: un letterato istruito umanisticamente ai
monumenti linguistici del lontano passato, c che aveva superato un esame.
Se leggete i diari di Li H ung Tshang, troverete che egli è soprattutto or­
goglioso del fatto di scrivere poesie e di essere un buon calligrafo. Q uesto
strato sociale, con le sue convenzioni sviluppate su quelle antico-cinesi, ha
determinato l’intero destino della Cina, c probabilmente noi avremmo
avuto un destino simile se, al loro tempo, gli umanisti avessero avuto la
minima possibilità di affermarsi con lo stesso successo.
Il terzo strato sociale era costituito dalla nobiltà di corte. D opo che i
principi erano riusciti a spogliare la nobiltà del suo potere di ceto, l’atti­
rarono a corte per impiegarla a fini politici e diplomatici. La svolta del no­
stro sistema educativo nel secolo X V II fu determinata dal fatto che, al p o ­
sto dei letterati umanisti, dei politici di professione provenienti dalla no­
biltà di corte entrarono al servizio dei principi.
L a quarta categoria fu un prodotto specificatamente inglese; un patri­
ziato che comprendeva la piccola nobiltà e i titolari di rendita di ceto, det­
to tecnicamente «gewtry», vale a dire uno strato sociale che originaria­
mente il principe mandò contro i baroni e che insignì delle cariche del
« selfgovemment», per poi diventare egli stesso sempre più dipendente da
esso. L a «gentry» mantenne il possesso di tutte le cariche deH’ammim-
s trazione locale, assumendole gratis nell’interesse del proprio potere so-

" Imitando quanto accadeva in Italia, l’imperatore Massimiliano, ad esempio, nel 1501 ave-
v.i (ondato a Vienna il Collegtum poemrum.

193
W eber, Scritti p olitici

ciale. La «gentry» ha preservato l’Inghilterra dalla burocratizzazione, che


era il destino di tutti gli Stati continentali.
Un quinto strato sociale è stato tipico dell’Occidente, soprattutto del
continente europeo, e ha ricoperto un’importanza fondamentale per la
sua intera struttura politica: quello dei giuristi istruiti nelle università.
L’enorme influsso esercitato dal diritto romano, nella forma assunta nel
tardo Stato burocratico, si evidenzia chiaramente nel fatto che ovunque il
rivoluzionamento dell’esercìzio politico, nel senso dello sviluppo verso
10 Stato razionale, fu prodotto da giuristi istruiti. Perfino in Inghilterra,
sebbene le grandi corporazioni giuridiche nazionali impedissero la rece­
zione del diritto romano. In nessun’altra parte del mondo si trova una
qualche analogia con questo fenomeno. Tutti gli accenni di pensiero giu­
ridico razionale nella scuola indiana di Mimamsa, e il mantenimento del­
l'antico pensiero giuridico nell’Islam, non hanno potuto impedire il
soffocamento del pensiero giuridico razionale da parte di forme di pen­
siero teologiche. Soprattutto la procedura non fu razionalizzata comple­
tamente. C iò è avvenuto soltanto attraverso l’appropriazione da parte dei
giuristi italiani dell’antica giurisprudenza romana, del prodotto cioè di
una formazione politica di carattere del tutto particolare passata da città-
Stato a potenza mondiale; nonché l’«ws«s m odem m » di pandettisti e ca­
nonisti tardo-medievali1*' e le teorie gius 11aturali Stic he nate dal pensiero
giuridico e cristiano e più tardi secolarizzate. Q uesto razionalismo giuri­
dico ha avuto i suoi più grandi rappresentanti nel podestà italiano, nei
giuristi regali francesi - i quali crearono i mezzi formali per soppiantare
11 dominio dei seigneurs con la potenza regale - , nei canonisti e nei teolo­
gi del Conciliarism o17- che erano gìusnaturalisti -, nei giuristi di corte e
nei giudici eruditi dei principi continentali, nei maestri del giusnaturali­
smo e nei monarcomachi olandesi18, nei giuristi inglesi della corona e del
parlamento, nella noblesse de robe dei parlamenti francesi e infine negli
avvocati dell’epoca della rivoluzione. Senza questo razionalismo giuridi-

Le pandette sono parte del codice di Giustiniano che con la ricezione del diritto romano
ottennero considerazione anche nei territori tedeschi. All'inizio del X V II secolo all'interno del-
la disciplina giuridica tedesca cominciò a svilupparsi una direzione che si caratterizzava attraver­
so un più libero confronto con le fonti romane. Presero parte a questo sviluppo anche docenti di
diritto canonico. Questo periodo viene definito all'interno della disciplina giuridica tedesca co ­
me Ushs modernas pandecUirum.
17 La teoria del Conciliarismo nacque come reazione alla crisi del papato tra il XIV e il XV
secolo. Secondo questa teoria non solo il papa, ma anche il concilio rappresentante Tiritera Chie­
sa possiede il potere di promulgare norme vincolanti per la dottrina c la vita della Chiesa.
William Barclay (1543*1608) definì «monarcomache» quelle forze politiche che chiedeva­
no una limitazione del potere del sovrano e un diritto di resistenza sancito costituzionalmente.
Di solito si intendono con questa definizione alcuni pubblicisti francesi, tra 1 quali Francois H ot­
mail, Théodore de Bcze, Hubert Languct e Philippe Du plessi s-Mornay, che intendevano cosi far
fronte agli eventi sanguinosi della notte di San Bartolomeo (1572),

194
L a p o litica co m e p ro fe ssio n e

co il sorgere dello Stato assoluto e la rivoluzione sarebbero praticamente


impensabili. Se date un’occhiata alle rimostranze dei parlamenti francesi
o ai cabìers de doléances degli Stati Generali francesi dal X V I secolo fino
all’anno 1789, troverete ovunque lo spirito dei giuristi. E, se esaminate
con attenzione la prerogativa professionale dei membri della Convenzio­
ne francese, troverete - sebbene la Convenzione fosse eletta con suffragio
universale - un solo proletario, pochissimi imprenditori borghesi, e una
massiccia presenza di giuristi di tutti i tipi, senza i quali il peculiare spiri­
to che animava questi intellettuali radicali e i loro progetti sarebbe del tut­
to impensabile. D a allora l’avvocato moderno e la moderna democrazia
sono legati in m odo particolare; e avvocati nel senso qui inteso, vale a di­
re come ceto indipendente, esistono anch’essi solo in Occidente, a parti­
re dal medioevo, quando si svilupparono sotto l’influsso della razionaliz­
zazione del processo a partire dall’«intercessore»'* della formalistica pro­
cedura germanica.
L’importanza degli avvocati nella politica occidentale come conse­
guenza al sorgere dei partiti non è affatto casuale. L’esercizio politico at­
traverso i partiti significa esattamente esercizio di interessati; vedremo tra
poco che cosa questo significhi. Perorare efficacemente una causa in dife­
sa degli interessati è il mestiere dell’avvocato istruito. In questo - come ha
potuto insegnarci la superiorità della propaganda nemica - egli c superio­
re ad ogni «funzionario». Egli, malgrado tutto, può perorare vittoriosa­
mente - dunque «bene», in senso tecnico - una causa basata su argomen­
ti logicamente deboli, c dunque «cattiva». E inoltre è ancora soltanto l’av­
vocato a perorare vittoriosamente, dunque «bene», una causa da sostene­
re con argomenti logicamente «forti», e cioè «buona». A l contrario, trop­
po spesso il funzionario in qualità di politico rende «cattiva», mediante
una conduzione tecnicamente altrettanto «cattiva», una causa in senso
tecnico «buona»: e questo l’abbiamo dovuto esperire. Infatti, la politica al
giorno d’oggi viene ormai condotta in larga misura pubblicamente con Ì
mezzi della parola detta o scritta. Soppesarne l’effetto è competenza pe­
culiare dell’avvocato, e non del funzionario specializzato, il quale non c e
non dev’essere - considerate le sue finalità —un demagogo, e quando in­
tende diventarlo, è di solito un demagogo assai scadente.
L’autentico funzionario - e ciò è decisivo per valutare il nostro regime
precedente - per la stessa natura della sua professione non deve praticare
la politica, ma «amministrare», soprattutto apartiticamente; questo vale
anche per i cosiddetti funzionari «politici» dell’amministrazione, per lo
meno ufficialmente, fino a quando non sia in questione la «ragion di Sta-

|IJ II Fìirsptecb era il portavoce di una parte davanti al tribunale*

195
W eber, Scritti p o litic i

to», vale a dire gli interessi vitali deU’ordinamento dominante. Sine ira et
studiosi «senza ira né prevenzione», egli deve esercitare la sua carica. N on
deve dunque fare quello a cui sempre e necessariamente sono costretti il
politico, il capo e il suo seguito, e cioè lottare. Infatti, la presa di posizio­
ne, la lotta, la passione - ira et stadium - sono gli elementi peculiari del p o ­
litico. E soprattutto del capo politico. L’agire del politico è sottoposto ad
un principio di responsabilità del tutto diverso, e addirittura opposto, alla
responsabilità del funzionario. Se - nonostante il suo parere contrario -
l’organo di governo a lui preposto persevera su un ordine che ai suoi oc­
chi sembra errato, l’onore del funzionario sta nella capacità dì eseguirlo,
sotto la responsabilità di chi comanda, con coscienza e come corrispon­
desse esattamente alla sua convinzione; senza questa disciplina morale nel
senso più alto e senza questa abnegazione, sarebbe l’intero apparato a di­
sgregarsi. L’onore del capo politico, e dunque dell’eminente uom o di Sta­
to, sta invece proprio nell’assunzione dell’esclusiva responsabilità perso­
nale riguardo al suo agire, responsabilità che non può e non deve rifiuta­
re o addossare ad altri. Proprio quelle nature di funzionario elevate dal
punto di vista morale sono cattivi politici, irresponsabili nel concetto po­
litico della parola, e in questo senso, moralmente inferiori - tati nature
purtroppo noi le abbiamo sempre avute nelle posizioni direttive: questo è
ciò che noi chiamiamo «dom inio dei funzionari»; e non si macchia certo
l’onore del nostro funzionariato se portiamo alla luce ciò che di politica-
mente falso, valutato dal punto di vista del successo, c’è in questo sistema.
Ma torniamo ancora una volta ai tipi delle figure politiche.
Il «dem agogo», a partire dallo Stato costituzionale e soprattutto dalla
democrazia, è il tipo del politico eminente in Occidente. Il sapore sgrade­
vole del termine non può far dimenticare che non Cleone, bensì Pericle fu
il primo che portò questo nome. Senza carica, oppure - al contrario di
quelle occupate a seguito di estrazione a sorte nella democrazia antica -
insignito dell’unica carica elettiva, vale a dire quella di stratega supremo,
egli condusse l’ecclesìa sovrana del demos di Atene. L a moderna dem ago­
gia utilizza certo anche il discorso orale, e persino in misura mostruosa dal
punto di vista quantitativo, se solo si pensa ai discorsi elettorali che un
moderno candidato è costretto a tenere. M a ancora più efficacemente egli
utilizza la parola stampata. Il pubblicista politico, e soprattutto il giorna­
lista, è attualmente il rappresentante più importante di questo genere.
Anche solo un semplice accenno alla sociologia del moderno giornali­
smo politico sarebbe del tutto impossibile nel quadro di questa conferen­
za, e fa sotto ogni aspetto capitolo a sé. Solo poche cose rientrano neces-

“ Tacito, An notes, 1,1.

196
La politica come professione

sanamente in ciò che stiamo dicendo. Il giornalista condivide con tutti i


demagoghi, e tra parentesi - per lo meno sul continente, contrariamente
alla situazione inglese e, tra l’altro, anche alla precedente situazione prus­
siana - con l’avvocato (e con l’artista), il destino di mancare di una stabi­
le classificazione sociale. Egli appartiene ad un tipo di casta di p aria, che
in «società» viene valutata socialmente sempre a partire dai suoi rappre­
sentanti eticamente meno elevati. Sono perciò di patrimonio comune le
idee più strane sui giornalisti e sul loro lavoro. N on tutti sono consape­
voli che una prestazione giornalistica davvero buona esige per lo meno
tanto «spirito» quanto una qualunque prestazione di erudito —ovviamen­
te in condizioni assai diverse di creatività - , soprattutto in conseguenza
della necessità di essere creata subito, a comando e di dover fa r subito ef­
fetto. C he la sua responsabilità sia molto più grande, e che anche il senso
di responsabilità di ogni giornalista stimabile non stia in media assoluta-
mente più in basso di quello dell’erudito, bensì più in alto, come la guer­
ra ha insegnato, non viene quasi mai apprezzato, poiché com ’è naturale,
rimangono nella memoria - causa il loro effetto spesso spaventoso - pro­
prio le prestazioni giornalistiche più irresponsabili. E, per di più, che la di­
screzione dei giornalisti di uii qualche valore stia mediamente più in alto
della discrezione dell’altra gente, non io crede nessuno. E tuttavia è così.
Le tentazioni incomparabiimente più perniciose che questa professione
porta con sé, c le peculiari condizioni dell’attività giornalistica nel presen­
te, producono quelle conseguenze che hanno abituato il pubblico a con­
siderare la stampa con un misto di disprezzo c di pietosa viltà. Su ciò che
bisogna fare non si può parlare in questa sede. A noi qui interessa la que­
stione del destino professionale politico dei giornalisti, e della possibilità
per loro di arrivare a posizioni di comando in campo politico. Finora que­
sta possibilità era contemplata dal solo Partito Socialdemocratico. M a an­
che all’interno del Partito Socialdemocratico i posti di redattore avevano
più il carattere di una posizione tipo quella del funzionario, e non funge­
vano da base per una futura posizione di capo.
N el partiti borghesi, considerati nel loro insieme, rispetto alla genera­
zione precedente la possibilità dell’ascesa al potere politico per questa via
si era piuttosto affievolita. Naturalmente ogni politico importante aveva
bisogno dell’influenza della stampa e dunque di relazioni con essa. M a che
il capo di un partito provenisse dalle file della stampa, era - oggi non lo si
crederebbe - un’assoluta eccezione. Il morivo sta nel peggioramento del­
la condizione di «mancanza di libertà» del giornalista, soprattutto di quel­
lo non benestante e dunque legato alla professione, la quale è determina­
ta dall’enorme crescita dell’intensità e dell’attualità dell’attività giornali­
stica. L a necessità di guadagnare scrivendo articoli quotidiani o settima­
nali vincola i politici come una palla al piede, e conosco esempi in cui na-

197
Weber, Scritti p olitici

ture di capì sono state in questo modo addirittura paralizzate durevol­


mente nell’ascesa al potere sia esteriormente che, soprattutto, interior­
mente. Che le relazioni della stampa con i poteri dominanti nello Stato e
nei partiti sotto il vecchio regime siano stati il più possibile nocivi per il
giornalismo, questo costituisce un capitolo a sé stante. Queste relazioni
erano diverse nei paesi nemici. M a anche per quei paesi come per tutti gli
Stati moderni sembra valere il principio secondo il quale il lavoratore nel
giornalismo acquisisce sempre meno influenza politica, mentre il magna­
te capitalista della stampa - del tipo all’incirca di «lord» Northclìffe"1- ne
acquisisce sempre dì più.
D a noi, tuttavia, finora i grandi gruppi industriali dei giornali, Ì quali si
erano impadroniti soprattutto dei giornali con «annunci economici», del
Generalanzeiger, di regola erano i tipici alimentatori di indifferenza poli­
tica. Infatti, nella politica indipendente non c’era niente da guadagnare, e
soprattutto non c’era da guadagnare la benevolenza, utile per gli affari, dei
poteri politicamente dominanti. Il commercio delle inserzioni è anche lo
strumento attraverso il quale durante la guerra si è fatto il tentativo di in­
fluenzare in grande stihp2, dal punto di vista politico, la stampa e ora, co­
me sembra, si vuole continuare in questa direzione. Anche se ci si può at­
tendere che la grande stampa sì sottragga a questo, la situazione per i pic­
coli giornali è molto più difficile. Ad ogni modo per il momento da noi la
carriera giornalìstica, per quanto possa essere seducente, per quanta in­
fluenza e, soprattutto, responsabilità polìtica possa garantire, non c - for­
se bisogna ancora attendere per poter dire delle due l’una, e cioè o non è
più, oppure non è ancora - una via normale di ascesa per un capo polìti­
co. Se l’abbandono del principio di anonimità, ritenuto da alcuni giornali­
sti - anche se non da tutti - corretto, determinerà un cambiamento nel­
l’attuale stato di cose, è molto difficile da affermare. L’esperienza fatta du ­
rante la guerra dalla stampa tedesca di affidare la «direzione» dei giornali
a personalità dotate di qualità letterarie, ingaggiate eccezionalmente, le
quali comparivano sempre esplicitamente firmando con il loro nome, ha
purtroppo mostrato mediante alcuni casi molto noti che in questo modo
non si suscita un elevato senso dì responsabilità così come si potrebbe pen­
sare. Purono in parte - senza distinzione di partito - proprio i giornalipo-

■' Alfred Charles William Harmsworth, dal 1905 barone Northcliffe, attraverso la fondazio­
ne e l’acquisto di numerosi giornali, ira i quali il «Times», creò all’inizio del X X secolo uno dei
più influenti gruppi editoriali,
” Weber pensa qui probabilmente alla Aligemctne .4nzeìgni-Geselhckaft m.b.U. che era fi­
nanziata da circoli della grande industria tedesca. Questa società fondata nel 1917 era ufficial­
mente politicamente neutrale. Ma già solo poco tempo dopo la sua fondazione la «Frankfurter
Zeitung» denunciò una sorta di «terrorismo delle inserzioni» praticato al fine di rendere i gior­
nali ubbidienti (n. 296 del 26 ottobre 1917, prima edizione del mattino).

198
L a p o litic a co m e p ro fessio n e

polari, notoriamente i più scadenti, i quali aspiravano - e attraverso que­


sto m ezzo, riuscirono effettivamente a raggiungere —una vendita elevata.
U n vantaggio economico Ì signori in questione, gli editori come anche i
giornalisti sensazionalisti, lo hanno sicuramente ottenuto, ma senza ono­
re. C on questo, tuttavia, non possiamo dir nulla contro il principio; la
questione è molto complessa, e questo fenomeno non vale in generale.
Com unque, finora non è stata questa la via verso il conseguimento di
un’autentica posizione d ic a p o o d iu n a funzione responsabile della politi­
ca. Resta da vedere come la situazione si evolverà in futuro. In ogni caso
però la carriera giornalistica resta una delle vie più importanti per l’attività
politica professionale. U na via non per tutti. M eno che mai per caratteri
deboli, e in particolare per quegli uomini che possono mantenere il loro
equilibrio interiore solo in una condizione stabile e sicura. Anche la vita
del giovane erudito è certo esposta all’azzardo, tuttavia le salde conven­
zioni corporative costruite intorno a lui lo difendono dall’uscir di strada.
La vita del giornalista invece è, sotto ogni punto di vista, una vita azzar­
data per eccellenza, e in condizioni che mettono alla prova la sicurezza in­
tcriore in un m odo tale come difficilmente capita in un’altra situazione. Le
esperienze spesso amare della vita professionale probabilmente non sono
la cosa peggiore. Proprio dai giornalisti di successo si pretendono prove
interiori particolarmente difficili da sopportare. N on è assolutamente una
cosa da poco frequentare i salotti dei potenti della terra su un piede di ap­
parente parità, e spesso in generale essere adulati, in quanto temuti, sa­
pendo che, appena si è fuori dalla porta, il padrone di casa dovrà proba­
bilmente giustificarsi presso i suoi ospiti per i suoi rapporti con le «cana­
glie della stam pa»; come non è certo cosa da poco doversi esprimere pron­
tamente e in m odo convincente su tutto ciò che il «m ercato» richiede, e su
tutti i problemi immaginabili della vita, senza abbandonarsi non solo al­
l’appiattimento assoluto, ma soprattutto alla mancanza di dignità dell’esi­
bizione di sé e alle sue inesorabili conseguenze. Il sorprendente non è che
vi siano molti giornalisti senza valore o fuorviati dal punto di vista uma­
no, bensì che nonostante tutto proprio questo strato sociale racchiuda in
s é un così grande numero dì uomini di valore assolutamente autentici co­
me non potrebbe facilmente credere chi non è dell’ambiente.
Se il giornalista, come tipo del politico di professione, richiama alla
mente un passato pur sempre ragguardevole, la figura del funzionario di
partito appartiene invece solo allo sviluppo degli ultimi decenni e, in par­
ie, degli ultimi anni. Per cogliere questa figura all’interno dello sviluppo
■norico, dobbiam o considerare l’evoluzione dei partiti e la loro organiz­
zazione.
In tutte le associazioni polìtiche piuttosto estese, che superano cioè per
ampiezza e sfera di competenze i piccoli cantoni rurali, nelle quali Ì de­

599
Weber, Scritti p o litic i

tentori del potere vengono prescelti con elezioni periodiche, l’attività po­
litica consiste necessariamente in un esercizio d i interessati. Ciò significa
che un numero relativamente piccolo di interessati innanzitutto alla vita
politica, dunque alla partecipazione al potere politico, si crea un seguito
attraverso un reclutamento volontario, presenta sé o i suoi protetti come
candidati alle elezioni, raccoglie i mezzi finanziari e va alla caccia dei vo­
ti. È impossibile immaginare come in grandi associazioni politiche po­
trebbero in generale realizzarsi in modo appropriato delle elezioni senza
questo esercizio. Praticamente, questo significa la spaccatura dei cittadini
con diritto di voto in elementi politicamente attivi e politicamente passi­
vi, e poiché questa differenza si fonda sulla libera volontà, non può esse­
re liquidata con provvedimenti di alcun genere, come l’obbligo di voto o
la rappresentanza «secondo ceto professionale» o altre simili proposte ri­
volte esplicitamente o di fatto contro questo stato di cose, e dunque con­
tro il potere dei politici di professione. Capi e seguito, come elementi at­
tivi di reclutamento volontario sia del seguito sia, attraverso questo, del­
l’elettorato passivo per l’elezione del capo, sono elementi necessari e vita­
li di ogni partito. Diversa c però la loro struttura. I «partiti» delle città me­
dievali, ad esempio, come i Guelfi c i Ghibellini, erano un seguito pura­
mente personale. Se si legge lo Statuto della parte G uelfaa , la confisca dei
beni dei n o b ili - cioè, originariamente, di tutte quelle famiglie che vive­
vano da cavalieri, dunque che potevano ricevere un feudo —, la loro esclu­
sione dalle cariche e dal diritto di voto, le commissioni intcrlocali di par­
tito, le organizzazioni rigidamente militari e i premi per i delatori, viene
spontaneo pensare al bolscevismo con i suoi soviet, le sue organizzazioni
rigidamente selezionate di militari e - soprattutto in Russia - di spie, con
il disarmo e la perdita dei diritti politici dei «borghesi», cioè degli im­
prenditori, dei commercianti, dei titolari, di rendite, dei religiosi, dei di­
scendenti delle dinastie, degli agenti di polizia, e con le confische. E l’ana­
logia funziona in m odo ancora più sorprendente se, da un lato, si consi­
dera che l’organizzazione militare dì quel partito era un puro esercito di
cavalieri form ato secondo i ruoli, in cui i nobili occupavano quasi tutti i
posti preminenti, e, dall’altro, che i soviet, dal canto loro, hanno mante­
nuto un alto stipendio per l’imprenditore, il salario a cottimo, il sistema
taylorista, la disciplina militare e di fabbrica o addirittura li reintroduco­
no e vanno alla ricerca di capitale straniero; quindi, per farla breve: affin­
ché lo Stato e l’economia funzionassero, hanno semplicemente dovuto
ancora una volta far proprio tutto ciò che avevano combattuto come isti­
tuzioni di classe borghesi, e in più hanno richiamato in servizio come

11 In italiano nel testo.


14 In italiano nel testo.

200
L a p o litic a co m e p ro fessio n e

principali strumenti del loro potere statale gli agenti della vecchia Ochra-
na:i. M a qui da noi non abbiamo a che fare con tali organizzazioni della
violenza, bensì con politici di professione, i quali aspirano a giungere al
potere attraverso una tranquilla e «pacifica» propaganda del partito sul
mercato delle schede elettorali.
Anche questi partiti, nel nostro significato consueto, erano innanzi­
tutto, ad esempio in Inghilterra, semplici seguiti de 11’aristocrazia. Q uan­
do un Pari, per un qualunque motivo, cambiava partito tutto ciò che di­
pendeva da lui passava al partito avversario. Le grandi famiglie della no­
biltà, non ultimo il re, fino al Reform Bill disponevano di una grande
quantità di collegi elettorali. Accanto a questi partiti di nobili stanno i par­
titi dei notabili, che si svilupparono ovunque con il sorgere del potere
borghese. Gli ambienti di «cultura e possesso» si divisero —sotto la dire­
zione spirituale dei tipici strati sociali degli intellettuali dell’Occidente -
in parte secondo interessi di classe, in parte secondo tradizioni familiari,
in parte per motivi puramente ideologici, in diversi partiti, che comincia­
rono a guidare. Ecclesiastici, insegnanti, professori, avvocati, medici, far­
macisti, agricoltori benestanti, fabbricanti - e in Inghilterra quell’intero
strato sociale che sì annoverava tra i gentleman ~ formavano innanzitutto
associazioni occasionali, o eventualmente clubs politici locali; nei mo­
menti di agitazione si faceva viva la piccola borghesia, e a volte in via del
tutto eccezionale il proletariato, quando spuntavano dei capi che però di
regola non provenivano da questo strato sociale. In questo stadio tuttavia
non esistono ancora in generale nel territorio partiti organizzati interlo-
calmente come associazioni durevoli. L a coesione l’assicurano soltanto i
parlamentari; mentre per la presentazione dei candidati sono determinan­
ti Ì notabili locali. I programmi scaturiscono in parte attraverso gli appel­
li propagandistici dei candidati e in parte sulla scorta dei congressi di no­
tabili o alle deliberazioni del partito in parlamento. L a direzione dei clubs
oppure, ove questi clubs manchino {come per lo più accade), l’esercizio
del tutto superficiale della politica da parte dei pochi, in tempi normali, ad
essa durevolmente interessati, è tutt’al più una seconda occupazione o un
titolo onorifico, dunque una sorta di lavoro occasionale; solo il giornali­
sta è un politico di professione pagato, e solo il giornale è un esercizio p o ­
litico continuativo in generale. Accanto ad esso sta soltanto la sessione
parlamentare. I parlamentari e i capi partito parlamentari sanno a quali
notabili locali ci si rivolge quando un’azione politica sembra gradita. M a
solo nelle grandi città esistono associazioni durature di partiti con m ode­
sti contributi in denaro dei membri, con riunioni periodiche e assemblee

25 UOcbrana era la polizia segreta dello zar fondata nel 1881.

201
W eber, Scritti p o litici

pubbliche dove il deputato rende conto della sua attività. C ’è vita soltan­
to durante la campagna elettorale.
L’interesse dei parlamentari per la possibilità di compromessi elettora­
li interlocaìi, per la forza d ’urto dì programmi unitari, riconosciuti da am­
pi settori dell’intero paese e in generale per l’agitazione unitaria nel paese
rappresenta la forza unificatrice sempre più poderosa del partito. Ma se si
crea una rete di associazioni locali del partito anche nelle città medie e, ac­
canto a questa, nell’intero paese, una rete di «uomini di fiducia», con i
quali un membro del partito che risiede nel parlamento, in quanto capo
dell’ufficio centrale del partito, sta in continua corrispondenza, in linea di
principio resta invariato il carattere dell’apparato di partito inteso come
associazione di notabili. Mancano ancora fiinzionari pagati al di fuori del­
l’ufficio centrale; sono le persone «rispettate», in forza della stima che go­
dono, a dirigere le associazioni locali: si tratta dei «notabili» extraparla­
mentari, i quali esercitano anch’essi un’influenza accanto a quella delio
strato politico dei notabili che siedono come deputati in parlamento. L’a­
limento intellettuale per la stampa e per le assemblee locali lo procura sen-
z.a dubbio in misura crescente la corrispondenza di partito edita dal par­
tito stesso. I contributi regolari dei membri diventano indispensabili; una
parte minuscola dei quali deve servire a pagare le spese della sede centra­
le. In questo stadio si trovava, fino a non molto tempo fa, la maggior par­
te delle organizzazioni di partito tedesche. In Francia per di più domina­
va ancora, in parte, il primo stadio: unione assai labile tra i parlamentari,
piccolo numero di notabili locali diffusi su tutto il territorio, programmi
stilati dai candidati oppure messi insieme per loro dai rispettivi protetto­
ri in occasione della candidatura, sia pure —più o meno —sulla scorta del­
le deliberazioni e dei programmi dei parlamentari. Solo in parte questo si­
stema fu abolito. Il numero dei politici professionisti era in questo conte­
sto limitato; essenzialmente era composto dai deputati eletti, dai pochi
impiegati della sede centrale, dai giornalisti e per il resto - in Francia - da
quei cacciatori di posti che si trovavano in una «carica politica» o che al
momento vi aspiravano. Formalmente la politica era per la maggior parte
un’occupazione secondaria. Anche il numero dei deputati «eleggibili a
ministro» era strettamente limitato, ma a causa del carattere dei notabili lo
era anche il numero dei candidati alle elezioni. Il numero degli interessati
indirettamente all’attività politica, soprattutto dal punto di vista materia­
le, era però molto grande. Infatti, tutti i provvedimenti di un ministero c
soprattutto tutti 1 disbrighi di questioni personali venivano evasi in con­
siderazione della loro influenza sui risultati elettorali, e si cercava di rea­
lizzare ogni tipo di desiderio attraverso la mediazione dei deputato loca­
le, al quale il ministro, se egli apparteneva alla sua maggioranza - e questo
dunque lo desideravano tutti - , doveva bene o male prestare ascolto. Il

202
L a p o litica co m e p ro fessio n e

singolo deputato disponeva del patronato delle cariche e in genci .ile dt


ogni tipo di incarichi per tutte le questioni del suo collegio elettorale, e dal
canto suo manteneva un collegamento, al fine di essere rieletto, con i no
labili locali,
A questa idilliaca situazione del dominio dei circoli dei notabili e so
prattutto dei parlamentari, si contrappongono - divergendone nettameli
ic - le più moderne forme dell’organizzazione di partito. Esse sono figlie
della democrazia, del diritto elettorale di massa, della necessità della prò
paganda e dell’organizza zio ne di massa, dello sviluppo della più alta unità
della direzione e della più rigida disciplina. Il dominio dei notabili e la di­
rezione attraverso i parlamentari finisce. I politici «eminentemente pro-
lessionali» a l di fu ori del parlamento prendono nelle loro mani l’azione
politica. O in quanto «imprenditori» - come lo erano il boss americano o
.inebe l’inglese election agent -, o come funzionari pagati regolarmente,
l ormalmentc avviene un’ampia democratizzazione. N o n è più la frazio­
ne parlamentare a stilare i program m i decisivi, e non sono più i notabili
locali a decidere sulla presentazione dei candidati, bensì sono le assemblee
dei membri organizzati del partito a scegliere i candidati c a delegare i
membri delle assemblee di grado superiore, di cui presumìbilmente ne esi­
go n o parecchie prima di arrivare al «congresso generale di partito». Ma,
naturalmente, il potere sta di fatto nelle mani di coloro che svolgono di
t ontìnuo il lavoro nel contesto dell’attività politica, o di coloro invece dai
■piali - per esempio i mecenati o i capi di potenti clubs politici di interes­
s a t i { Tammany H all)26 - dipende a livello pecuniario o personale l’attività
politica. L ’importante è che questo intero apparato dì uomini - la «mac­
china», come significativamente viene chiamato nei paesi anglosassoni -,
n piuttosto quelli che lo dirigono, dia scacco ai parlamentari e sia nella
condizione di imporre loro in ampia misura la sua volontà. E questo ha
particolare im portanza per la selezione della direzione del partito. C apo
diventa soltanto chi ha la macchina dietro a sé, anche a scorno del parla­
mento. L a creazione di tale macchina significa, in altre parole, la nascita
della democrazia plebiscitaria.
Il seguito del partito - soprattutto il funzionario e l’imprenditore - si
.11tende ovviamente dalla vittoria del suo capo un compenso personale: ca-
i iche o altri vantaggi. Dal capo, e non - o, non soltanto - dai singoli par-
l.mientari: questa è la cosa decisiva. Essi sì aspettano soprattutto che l’ef-
Iic.iaa demagogica della personalità del capo nella lotta elettorale procuri
d partito voti e mandati, c quindi potere e attraverso il potere, la possibi-
Inà per Ì suoi seguaci di ottenere lo sperato compenso. E, a livello ideale,

" La Tiimmimy-Ha.ll era il quartier generale della Tammany Society, una associazione di in-
i. i escati co lliri che controllava il Partito Democratico a New York.

203
Weber, Scritti p o lìtici

la soddisfazione dì lavorare per un uomo in virtù di una dedizione perso­


nale e fideistica, e non soltanto per un programma astratto di un partito
costituito da mediocrità, rappresenta una motivazione decisiva: è questo
l’elemento «carismatico» tipico di ogni potere basato sulla figura del capo.
Questa forma si è fatta strada in misura molto diversa attraverso una la­
tente lotta costante contro i notabili locali e i parlamentari che difendono
la loro influenza; innanzitutto nei partiti borghesi degli Stati Uniti, poi -
soprattutto in Germania - nel Partito Socialdemocratico. Continui falli­
menti sopravvengono, non appena non c’è più un capo universalmente ri­
conosciuto, e devono essere fatte concessioni di tutti i tipi, anche quando
c’è il capo, alla vanità e all’interesse dei notabili di partito. Soprattutto
però può anche accadere che la macchina finisca sotto il dominio d ei/«n -
zionari di partito, nelle cui mani sta il lavoro regolare. Secondo l’opinio­
ne di alcuni circoli socialdemocratici, il loro partito sarebbe scaduto in
questa «burocratizzazione»27.1 «funzionari», comunque, si sottomettono
piuttosto facilmente ad una personalità di capo con forti doti demagogi­
che: i loro interessi materiali ed ideali sono intimamente legati all’aumen­
to di potere del partito che essi si attendono dall’opera del capo, e il lavo­
ro per un capo è in sé interiormente più soddisfacente. M olto più diffici­
le è l’ascesa del capo laddove - com ’è il caso per lo più dei partiti borghe­
si - sono i notabili, accanto ai funzionari, ad avere l’influenza sul partito.
Infatti, questi «costruiscono» a livello ideale «la loro vita» a partire da
quel posticino nel consiglio direttivo o di membro di commissione che
detengono. Il risentimento contro il demagogo in quanto homo novus, la
convinzione della superiorità dell’«esperienza» politico-partitica - che è
effettivamente molto importante - e la preoccupazione ideologica davan­
ti all’infrangersi delle antiche tradizioni di partito determinano il loro agi­
re. E nel partito essi hanno dalla loro parte tutti gli elementi tradizionali­
sti. Soprattutto l’elettore delle campagne - ma anche il piccolo borghese -
è legato ai nomi dei notabili a lui noti da lungo tempo e non si fida del­
l’uomo ai suoi occhi sconosciuto, per poi certo, una volta che questi ab­
bia raggiunto il successo, unirsi tanto più imperturbabilmente al suo se­
guito. Vediamo ora alcuni principali esempi di questo lottare delle due
forme strutturali e l’imporsi della forma plebiscitaria, descritto soprattut­
to da O strogorski23.

" Weber sì riferisce qui probabilmente a Robert Michcls, Z ar Sociologie des Parleitcesens in
der modernen Demokratie. Untersucbungen iiber die oligarchisehen Tendenzen des Gruppenle-
bens, Dr. Werner Klìnkliardt, Leipzig 1911 (trad. it .L a sociologia del partito politico nella demo­
crazia moderna, a cura dì li. M. Forni, Il Mulino, Bologna 1966).
■’* Cfr. M. Ostrogorski, Democracy and thè Organization of Politicai Parties, M acmillan, Lon­
don 1902 (trad. it. Democrazia e paniti politici, a cura di G. Quagliaricllo, Rusconi, Milano 1991 ).

204
L a p o lìtic a co m e p ro fe ssio n e

Innanzitutto l’Inghilterra: fino al 1868 l’organizzazione di partito in


quel paese era una organizzazione quasi esclusivamente di notabili2'*. I to­
rtes sì appoggiavano nella campagna sul parroco anglicano e inoltre - per
lo più - sul maestro di scuola e soprattutto sui grandi proprietari terrieri
della county in questione; i whigs, per lo più, si appoggiavano su gente del
tipo del predicatore non conformista (dove c’era), sull’ufficiale della po­
sta, sul fabbro, sul sarto, sul cordaio, su quegli artigiani dunque, dai qua­
li —poiché con essi si può discorrere con più facilità - poteva sorgere
un’influenza politica. In città i partiti si dividevano talora secondo opi­
nioni economiche, talora secondo opinioni religiose, talora semplicemen­
te secondo opinioni tramandate nelle famiglie. M a erano sempre i notabi­
li ad esercitare l’attività politica. Sopra a tutto ciò c’erano il parlamento e
i partiti con il gabinetto e con il «leader», il quale era il presidente del con­
siglio dei ministri o dell’opposizione. Q uesto leader aveva accanto a sé la
più importante personalità politica professionale dell’organizzazione di
partito: il «frustatore» (tvhìp). Egli gestiva il patronato delle cariche; a lui
dunque dovevano rivolgersi i cacciatori di posti, ed egli s’informava pres­
so i deputati dei singoli collegi elettorali. In questi collegi elettorali iniziò
lentamente a formarsi uno strato di politici di professione, in quanto fu­
rono ingaggiati agenti locali, che aU’inizio non venivano pagati, e che as­
sunsero all’incirca la posizione dei nostri «fiduciari». Accanto a questo
strato però si sviluppò per i collegi elettorali una forma di imprenditore
capitalìstico: l’eiectìon agent, la cui esistenza era inevitabile nella moderna
legislazione dell’Inghilterra che assicura la validità dell’elezione. Q uesta
legislazione cercava dì controllare i costi elettorali e di combattere la po­
tenza del denaro, obbligando il candidato a dichiarare quanto gli era co­
stata l’elezione: infatti il candidato - molto più di quanto non accadesse in
passato anche da noi - doveva sì costringere la sua voce a dure fatiche, ma
aveva anche il piacere dì mettere mano al portafoglio. L’election agent si
faceva pagare dal candidato una somma forfettaria, con cui egli era solito
fare un buon affare. Nella ripartizione del potere, nel parlamento e in
campagna, tra il «leader» e i notabili di partito, il primo aveva goduto da
sempre in Inghilterra di una posizione molto importante a partire da mo­
tivi cogenti finalizzati a rendere possibile una politica in grande stile e co­
stante per quanto riguarda l’indirizzo. Sempre grande comunque fu però
anche l’influenza esercitata dai parlamentari e dai notabili di partito.

Weber accenna qui dia riforma elettorale del 1867 che mutò sensibilmente l’organizzazio­
ne dei partiti inglesi. Fino ad allora l’organizzazione del partito soprattutto nelle circoscrizioni
elettorali nelle campagne si fondava quasi esclusivamente sulle relazioni personali tra i membri
dell’alta aristocrazia c i notabili locali. La riforma del 1867 comportò invece un quasi raddop­
piamento degli aventi diritto al voto, il die costrinse i partiti a costruire una più solida organiz-
zazzione per predisporre il consenso al momento delle elezioni.

205
Weber, Scritti p olitici

A ll’incirca in questo m odo appariva l’antica organizzazione dei parti­


ti, per metà amministrazione di notabili e per metà già esercizio profes­
sionale di impiegati e di imprenditori. D al 1868, però, si sviluppò dap­
principio per le elezioni locali a Birmingham, e poi neirintero paese, il si­
stema «cit«ats»30. A dare vita a questo sistema fu un parroco non confor­
mista31 e, con lui, Joseph Chamberlain. L’occasione era la dem ocratizza­
zione del diritto elettorale. Per conquistare le masse divenne necessario
dare vita ad un enorme apparato di associazioni che mostravano un aspet­
to democratico, nonché formare in ogni quartiere cittadino un’associa­
zione elettorale, mantenere ininterrottamente l’attività in movimento, e
burocratizzare ogni cosa in maniera rigida: un numero crescente di fun­
zionari pagati rappresentava formalmente la politica di partito in quanto
costoro erano i principali intermediari con diritto di cooptazione, eletti
dai comitati elettorali locali, nei quali presto fu organizzato in tutto al­
l’incirca il 10% degli elettori. La forza motrice era costituita dai circoli lo­
cali, soprattutto da quelli interessati alla politica comunale - ovunque
fonte delle più ricche possibilità materiali -, i quali reperivano principal­
mente anche i mezzi finanziari. Q uesta macchina di nuova Costituzione,
non più diretta dal parlamento, dovette assai presto condurre un’aspra
lotta con quelli che fino ad allora avevano esercitato il potere, soprattut­
to con il whip, ma usufruendo dell’appoggio degli interessati locali, ne
uscì a tal punto vittoriosa che il whìp dovette sottomettersi e scendere a
patti. Il risultato fu la concentrazione dell’intero potere nelle mani di p o ­
chi e, infine, dell’unica persona che stava al vertice del partito. Infatti, nel
Partito Liberale l’intero sistema era nato in concomitanza dell’ascesa di
Gladstone al potere. Il fascino della «grande» demagogia gladstoniana, la
salda fede delle masse nel contenuto etico della sua politica, e soprattutto
nel carattere etico della sua personalità, furono ciò che condusse così ve­
locemente questa macchina alla vittoria sui notabili. Fece la propria com ­
parsa sulla scena politica un elemento cesaristico-plebiscitario: il dittato­
re del campo di battaglia elettorale. Q uesto si rivelò molto presto. N el
1877 il caucus fu attivato, per la prima volta, in occasione delle elezioni

’c La riforma elettorale del 1867 assegnava per la prima volta delle circoscrizioni elettorali
proprie alle grandi città industriali del Nord del paese. Per assicurare che anche la minoranza ot­
tenesse una rappresentanza, furono create le cosiddette circoscrizioni elettorali multiple con tre
mandati, ma con la norma che ogni elettore poteva dare solo due voti. Con l’aiuto dì un appara­
to di partito organizzato centralmente, il cauais appunto, Ì liberali di Birmingham sotto la guida
di Chamberlain cercarono di aggirare l’ostacolo e nel 1868 riuscì loro, attraverso precise istru­
zioni agli elettori, di assicurare ai liberali tutti e tre i mandati.
*' Weber intende brancis Sclinadhorst, a lungo collaboratore di Chamberlain, che però non
era un parroco non conformista, anche se non era membro della Chiesa anglicana c aveva parte­
cipato alla Central Noncnnformisi Committee.

206
L a p olìtica co m e p ro fe ssio n e

nazionali31. Riportò un brillante successo: il risultato fu infatti la caduta di


Disracli nel bel m ezzo dei suoi grandi successi33. N el 1886, la macchina
era già a tal punto completamente orientata sulla persona nel senso cari­
smatico, che, quando fu sollevata la questione dell’home ritle, l’intero ap­
parato dai vertici alla base non si chiese: «Siam o effettivamente sullo stes­
so terreno di G ladstone?», bensì semplicemente confluì sulla sua posi­
zione c disse: «Q ualsiasi cosa faccia, noi lo seguiremo», e piantò in asso
Chamberlaìn, il suo creatore.
Q uesto meccanismo abbisognava di un considerevole personale. Vi
sono pur sempre circa duemila persone in Inghilterra che vivono diretta-
mente della politica dei partiti. Certamente molto più numerosi sono co­
loro i quali coìlaborano semplicemente come cacciatori di posti o in quan­
to mossi da interessi, soprattutto all’interno della politica comunale. Al di
là delle possibilità economiche, per il polìtico inserito nel caucus c’è anche
la possibilità di soddisfare la propria vanità. Diventare «J.P.»34 oppure
«M .P.»33 è naturalmente la più alta aspirazione di una (normale) am bizio­
ne, e questo era appannaggio delle persone che potevano esibire una buo­
na educazione, vale a dire i «gentlemen». La somma aspirazione era il ti­
tolo di Pari, ambita in particolare dai grandi mecenati finanziari - le fi­
nanze dei partiti erano costituite per circa il 50% da donazioni da parte dì
individui che volevano restare anonimi.
Quale fu l’effetto dell’intero sistem a? Che oggi i parlamentari inglesi,
eccezion fatta per alcuni membri del gabinetto (e di alcuni originali), altro
non sono, solitamente, che ben disciplinati animali da voto. D a noi, nel
Reichstag, si usava sottolineare per lo meno attraverso il disbrigo della
corrispondenza privata sulla scrivania del proprio posto, che si era attivi
per il bene del paese. Simili gesti, in Inghilterra, non sono richiesti; il
membro del parlamento deve soltanto votare e non tradire il proprio par­
tito; deve rispondere quando i frustatori chiamano, e fare ciò che - a se­
conda delle circostanze - ordina il gabinetto oppure il leader dell’opposi­
zione. L a macchina dei caucus, in tutto il territorio, è quasi del tutto pri­
va di convinzione nel momento in cui c ’è un capo forte, e completamen­
te nelle mani del leader. Al di sopra del parlamento dunque vi è un ditta­
tore di fatto plebiscitario, che trascina dietro a sé le masse attraverso la

51 In verità, net 1877 non si verificò nessuna elezione generale. Probabilmente Weber accen­
na qui alla unificazione avvenuta nel 1877 di una moltitudine di organizzazioni partitiche libera­
li locali nella National Liberal Lederation, che nel 1880 fu la base per il successo dei liberali.
“ Nelle elezioni del 188G.
J'J.P. significaJastice o f thè Peace, giudice conciliatore; dalla fine del X III secolo era una ca­
rica onorifica non retribuita, rivestita da un uomo di fiducia della corona per la salvaguardia del­
la pace nel paese.
JS M.P. significa Member o f ParlUment, membro del parlamento.

207
W eber, Scritti p o litic i

«macchina», e per il quale i parlamentari sono solo prebendati politici che


stanno al suo seguito.
Com e avviene, allora, la selezione di questa guida? E prima di tutto a
seconda di quale attitudine? A tal fine - dopo le qualità della volontà
ovunque nel mondo decisive —è naturalmente determinante soprattutto la
potenza del discorso demagogico. Q uesto è mutato a partire dai tempi in
cui, come nel caso di C obden, si rivolgeva all’intelletto, fino a Gladstone,
il quale era un tecnico delPapparentemente spassionato *lasciar-parlare-i-
fatti», per arrivare al presente, in cui spesso si lavora in m odo puramente
emozionale - con mezzi usati anche dall’esercito della salvezza -, al fine
di mettere in movimento le masse. E lecito chiamare la situazione attuale
una «dittatura fondata sull’abuso dell’emotività delle masse». Ma l’assai
sviluppato sistema del lavoro delle commissioni nel parlamento inglese
rende possibile e, anzi, costringe ogni politico che è interessato alla parte­
cipazione alla direzione, a lavorare insieme. Tutti i più importanti mini­
stri degli ultimi decenni hanno alle loro spalle questo tirocinio tangibile
ed efficace, e la prassi del resoconto e della critica palese che caratterizza
questi dibattiti fa di queste commissioni una scuola realmente selettiva che
esclude il mero demagogo.
C osì in Inghilterra. M a il sistema cauats là in vigore era solo una for­
ma sbiadita a confronto dell’organizzazione dei partiti americana, che
portò a compimento assai presto e in maniera particolarmente pura il
principio plebiscitario. Secondo Washington, l’America doveva essere una
comunità amministrata da «gentlem em . U n tempo anche laggiù un gen­
tleman era un proprietario terriero o un uom o che era stato educato in un
college. E così effettivamente fu all’inìzio. Q uando si formarono i partiti,
sul principio i membri della Cam era dei Rappresentanti pretesero di gui­
dare il paese come in Inghilterra all’epoca del dominio dei notabili. L’or­
ganizzazione del partito era assai debole. E questa situazione durò fino al
1824. G ià prima degli anni venti in alcuni comuni - che anche in Ameri­
ca furono i luoghi primari in cui prese avvio lo sviluppo moderno —la
macchina di partito era in via di formazione. Ma solo l’elezione a presi­
dente di Andrew Jackson, che era il candidato dei contadini dell’Ovest,
mandò a monte le antiche tradizioni36. La cessazione formale della dire­
zione dei paniti attraverso i parlamentari eminenti sopraggiunse subito
dopo il 1840, quando i grandi parlamentari - Calhoun, Webster - sì riti­
rarono dalla vita politica, perché il parlamento - rispetto alla macchina

* D opo le elezioni presidenziali del 1824, in cui John Ouincy Adams si impose di poco da­
vanti a Jackson, i sostenitori di Jackson allestirono una solida organizzazione di partito, a parti­
re dalla quale si sviluppò il Partito Democratico. Grazie ad una campagna elettorale in grande sti­
le nel 1828 Jackson riuscì a sconfiggere Adams,

208
L a p o litica co m e p ro fe ssio n e

partitica - aveva perso quasi ogni potere in tutto il paese. C he la «m ac­


china» plebiscitaria si sia sviluppata in America in m odo così rapido tro­
va la sua ragione nel fatto che proprio negli Stati Uniti, e là soltanto, il ca­
po dell’esecutivo e - questo è decisivo - il capo del patronato degli im­
pieghi fosse un presidente eletto plebiscitariamente e che, in conseguenza
della «divisione dei poteri», la sua gestione fosse quasi indipendente dal
parlamento. D unque proprio in occasione dell’elezione del presidente ci
si allettava al pensiero di un vero e proprio bottino di prebende e di cari­
che quali ricompense per la vittoria. Attraverso lo spoils System elevato a
principio in m odo del tutto sistematico da Andrew Jackson furono tirate
le conseguenze di ciò.
C he cosa significa questo spoils system - l’assegnazione cioè di tutte le
cariche federali al seguito del candidato vittorioso —per la formazione dei
partiti oggi? Che si contrappongono uno all’altro partiti senza convinzio­
ni, mere organizzazioni di cacciatori di posti, le quali stilano i loro mute-
voli programmi adattandoli di volta in volta alla singola tornata elettora­
le a seconda della possibilità di raccogliere voti, modificandosi in maniera
tale che, nonostante tutte le analogie, non si trova nulla di simile da nes-
sun’altra parte. I partiti sono del tutto improntati alle lotte elettorali più
importanti per il patronato degli impieghi: quella per la presidenza del­
l’Unione e quella per i posti di governatore dei singoli Stati. Programmi e
candidati vengono stabiliti nelle N ation al Conventions dei partiti, senza la
mediazione dei parlamentari, e cioè da congressi di partito, i quali for­
malmente vengono alimentati in maniera molto democratica attraverso
assemblee di delegati, i quali dal canto loro devono il loro mandato alle
prim aries, vale a dire alle assemblee primarie degli elettori del partito37.
G ià nelle prim aries i delegati vengono eletti in base al nome dei candidati
alla carica di capo dello Stato; a ll’interno dei singoli partiti infuria la lotta
più accesa per la questione della nomination. N elle mani del presidente
stanno pur sempre da trecento a quattrocentomila nomine di funzionari,
che vengono da lui assegnate consultando soltanto i senatori dei singoli
Stati. I senatori dunque sono politici potenti. L a Camera dei Rappresen­
tanti invece è dal punto di vista politico relativamente impotente, in quan­
to le è tolto il patronato degli impieghi dei funzionari e perché i ministri
- semplici assistenti del presidente legittimato dal popolo contro tutti, an­
che contro il parlamento - possono amministrare la loro carica indipen-

!J Negli Stati Uniti la nomina dei candidati a presidente di un partito avviene nelle cosiddet­
te National Conventions, che vengono tenute pochi mesi prima dedl'elezionc c i cui delegati rap­
presentano la volontà degli iscritti al partito. Nel XVIII secolo la scelta dei delegati avveniva at­
traverso un sistema per gradi, il cui gradino più basso erano le primaries, cioè le assemblee di ade­
renti di un partito a livello locale.

209
W eber, Scritti p olitici

dentemente dalla fiducia o sfiducia della Cam era dei Rappresentanti: è


questa una conseguenza della «divisione dei poteri».
L o spoils system concepito in questo m odo era tecnicamente possìbile
in America, perché all’epoca del suo primo sorgere la civiltà americana
poteva ammettere una pura economia di dilettanti. Infatti, tre o quattro-
centomila membri di partito, che come loro unica qualifica potevano van­
tare il solo fatto di aver reso buoni servizi al partito: questa situazione ov­
viamente non poteva sussistere senza enormi inconvenienti: corruzione e
sprechi senza pari, che solo un paese con possibilità economiche ancora
illimitate poteva sopportare.
La figura che adesso entra in scena con questo sistema della macchina
plebiscitaria di partito è il boss. Chi è il bossi U n imprenditore politico ca­
pitalista che procura voti a suo rischio e pericolo. Egli può aver ottenuto
le sue prime relazioni come avvocato o come oste o come possessore dì
simili esercizi o anche prestando denaro a credito. A partire da ciò egli tes­
se le sue fila fino a che è in grado di «controllare» un determinato nume­
ro di voti. Una volta che sia giunto fin qui, entra in relazione con i bosses
del vicinato, e con lo zelo, l’abilità e soprattutto con la discrezione richia­
ma l’attenzione di coloro che sono già avanti nella carriera, e a questo
punto comincia la sua ascesa. Il boss è indispensabile per l’organizzazione
del partito che è accentrata nelle sue mani. Egli procura i mezzi essenzia­
li. Com e ne entra in possesso? In parte attraverso i contributi dei membri;
ma soprattutto attraverso la tassazione degli stipendi di quei funzionari
che sono giunti - grazie a lui e al suo partito —ad occupare una carica. In­
fine, attraverso mazzette e mance. Chi voglia infrangere una delle nume­
rose leggi senza essere punito, ha bisogno della connivenza dei bosses e li
deve pagare. Altrimenti per lui sorgono inevitabilmente dei grattacapi. Ma
con questo soltanto il necessario capitale d ’impresa non è stato ancora ac­
cumulato. Il boss è indispensabile come esattore diretto del denaro dei
grandi magnati della finanza. Questi non affiderebbero certo a nessun
funzionario pagato dal partito o a chiunque debba renderne conto pub­
blicamente il loro denaro per scopi elettorali. Il boss con la sua sagace di­
screzione in fatto di soldi e ovviamente l’uom o adatto per quei circoli ca­
pitalistici che finanziano le elezioni. Il tipico boss è un uomo assoluta­
mente dimesso. Egli non aspira all’onore sociale; il professional è disprez­
zato all’interno della «buona società». Egli cerca esclusivamente il potere,
il potere come fonte di denaro, ma anche per amore del potere stesso. A l­
l’opposto del leader inglese, egli lavora nell’ombra. N o n lo si sentirà par­
lare in pubblico; suggerisce agli oratori che cosa essi devono dire in vista
del fine da raggiungere, ma egli tace. Di regola non assume alcuna carica,
tranne quella di senatore nel governo federale. Infatti, poiché i senatori
partecipano, secondo la Costituzione, al patronato degli impieghi, spesso

210
L a p o litic a c o m e p ro fessio n e

i bosses preminenti ricoprono di persona questa carica. L a distribuzione


delle cariche dipende innanzitutto dalla prestazione effettuata per il parti­
to. Ma è prevista anche l’assegnazione di contro ad offerte in denaro, ed
esistono tasse determinate per singole cariche: un sistema di vendita delle
cariche, come lo conoscevano anche le monarchie del X V II e X V III seco­
lo inclusa quella dello Stato della Chiesa.
Il boss non ha saldi «principi» politici, ed è completamente privo di
principi morali; si chiede solo che cosa possa garantirgli un numero mag­
giore dì voti. N o n di rado si tratta di un uom o di bassa educazione Ma,
nella vita privata, suole vivere in maniera irreprensibile e corretta. Solo in
politica, com ’è naturale, si adegua all’etica media propria dell’agire politi­
co, come molti di noi hanno forse fatto all’epoca dei beni sul mercato ne­
ro, nel campo dell’etica economica. N on lo turba minimamente l’essere
di sprezzato socialmente in quanto professional, politico di professione. Il
fatto che non arrivi e non voglia arrivare a ricoprire le grandi cariche del­
l’Unione, presenta questo vantaggio: che non di rado, quando da questo i
bosses si ripromettono forza di attrazione in occasione delle elezioni, en­
trano in lizza per una candidatura intelligenze estranee al partito, e dun­
que individui d ’ingegno e non come da no! ancora e sempre i vecchi no­
tabili di partito. Proprio la struttura senza alcuna convinzione di questi
partiti, con i loro uomini che contano ma che sono socialmente disprez­
zati, ha aiutato a vincere nella corsa alla presidenza uomini capaci che da
noi non avrebbero mai potuto farsi Strada. Certo, contro un outsider che
potrebbe diventare pericoloso per le loro fonti di potere e denaro, i bos­
ses s’oppongono. Ma non di rado, nella lotta concorrenziale per conqui­
starsi il favore degli elettori, essi hanno dovuto convincersi ad accettare
proprio quei candidati considerati come avversari della corruzione.
Q ui dunque è presente un’impresa di partito fortemente capitalistica,
rigidamente organizzata dai vertici alla base, sostenuta anche da clubs
molto saldi e ben organizzati, tipo il Tammany H all, i quali aspirano
esclusivamente al conseguimento del profitto attraverso il dominio poli­
tico soprattutto delle amministrazioni comunali (anche qui il più impor­
tante oggetto di saccheggio). Q uesta struttura della vita partitica c stata
possibile a seguito dell’alto grado di democrazia presente negli Stati Uni­
ti, in quanto «paese nuovo». Q uesta contingenza determina il fatto che at­
tualmente questo sistema stia lentamente deperendo. L’America non può
più essere governata solo da dilettanti. Quindici anni fa, alla domanda
perché si lasciassero governare da polìtici che dichiaravano di dìsprczza-
re, si poteva ancora ottenere dai lavoratori americani una risposta di que­
sto tipo: «M eglio avere per funzionari gente sulla quale sputiamo piutto­
sto che, come da voi, una casta di funzionari che sputa addosso a noi».
Questo era l’antico punto di vista della «democrazia» americana: i socia­

211
Weber, Scritti p olitici

listi già da tempo la pensavano in modo del tutto diverso. Q uesta situa­
zione non reggerà più. L’amministrazione dei dilettanti non è più suffi­
ciente e la Civil Service Reform crea impieghi a tempo indeterminato con
diritto di pensione in numero sempre crescente, e fa in modo che a rico­
prire le cariche giungano funzionari istruiti al l’università, integri e capaci
come lo sono da noi. G ià da ora, circa centomila cariche non sono più og­
getto di bottino dell’elezione di turno: esse sono in grado di garantire una
pensione e la loro assegnazione è legata all’esibizione di titoli. Q uesto farà
lentamente passare in seconda linea lo spoils System, e allora il tipo dì di­
rezione di partito muterà; solo il «com e» non ci è noto.
In Germ ania le condizioni basilari dell’attività politica sono state fi­
nora essenzialmente le seguenti. Innanzitutto, l’impotenza dei parlamen­
ti, la quale ha avuto come conseguenza il fatto che molto raramente un
uom o che avesse qualità di capo volesse entrarvi. Infatti, posto il caso che
volesse entrarci, che cosa avrebbe potuto fare in quella sede? Se si fosse
liberato un posto di cancelleria, poteva dire al capo dell’amministrazione
in questione: «N el mio collegio elettorale, c’è un uomo molto capace che
sarebbe adatto per quell’impiego, prendetelo». E questo si verificava fa­
cilmente. Ma questo era all’mcirca tutto quello che un parlamentare te­
desco poteva fare per soddisfare, se li aveva, i suoi istinti di potenza. A
questo sì aggiungeva - e questo secondo punto condizionava il prim o -
l’enorme importanza in Germania del funzionariato specializzato istrui­
to. In questo, eravamo i primi al mondo. Q uesta importanza dava adito
a questo funzionariato specializzato di pretendere per sé non soltanto,
appunto, i posti di funzionario specializzato, ma anche quelli di ministro.
L’anno scorso nel Lan dtag bavarese, nel corso della discussione sulla par-
lamentarizzazione, è stato detto: «Se si mettono i parlamentari nei mini­
steri, allora i meritevoli non diventeranno più funzionari». Inoltre, l’am­
ministrazione dei funzionari si sottrasse sistematicamente ad ogni tipo di
controllo assimilabile a quello rappresentato dalle discussioni nelle com ­
missioni inglesi, mettendo così i parlamenti nell’impossibilità - a prescin­
dere da poche eccezioni - di form are al loro interno capi di amministra­
zione davvero validi.
Il terzo punto era rappresentato dal fatto che noi in Germania, al con­
trario dell’America, avevamo partiti di precisa convinzione politica, i qua­
li affermavano in buona fede (per lo meno dal punto di vista soggettivo),
che i loro membri erano portatori di una «visione del m ondo». Ma i due
più importanti fra questi partiti, e cioè, da un lato, il centro e, dall’altro, la
Socialdemocrazia erano nati, intenzionalmente, come partiti di minoran­
za. I circoli dirigenti del centro del Reich non hanno mai fatto mistero di
contrastare il parlamentarismo poiché temevano di finire in minoranza, e
dunque per loro collocare i cacciatori di posti attraverso la pressione sul

212
L a p o lìtica co m e p ro fe ssio n e

governo, com e avevano fatto fino ad allora, sarebbe diventato più difln i
le. La Socialdemocrazia era per principio un partito di minoranza e un
ostacolo alla parlamentarizzazione, poiché essa non voleva insudiciarsi
con l’ordinamento politico borghese. Il fatto che entrambi i partiti si
escludessero dal sistema parlamentare lo rendeva di fatto impossibile.
Che ne fu allora dei politici tedeschi dì professione? Essi non avevano
né potere né responsabilità, potevano solo giocare un ruolo alquanto su ­
balterno di notabili, ed in conseguenza di ciò erano, ancora fino a poco
tem po fa, animati dagli ovunque tipici istinti di corporazione. A ll’inter­
no della cerchia di questi notabili, che costruivano la loro vita a partire dal
loro piccolo posticino, era impossibile emergere per un uom o che non era
come loro. Potrei fare molti nomi di individui appartenenti ai più diversi
partiti, inclusa naturalmente la Socialdemocrazia, che rappresentano vere
e proprie tragedie di carriera politica, poiché, pur avendo l’individuo in
questione qualità di capo, proprio per questo motivo non fu tollerato dai
notabili. Tutti i nostri partiti hanno percorso questa via dello sviluppo
della corporazione di notabili. Bebel, ad esempio, per temperamento e
schiettezza di carattere, era un capo, per quanto m odesto fosse il suo in­
telletto. Il fatto che fosse un martire1®e che non tradì mai la fiducia delle
masse (ai loro occhi), ebbe come conseguenza che queste lo seguirono
ciecamente e che nessun potere all’interno del Partito Socialdemocratico
avrebbe mai potuto opporsi seriamente a lui. Tutto ciò ebbe fine dopo la
sua morte e da allora iniziò il dom ìnio dei funzionari. Giunsero ai verti­
ci i funzionari del sindacato, i segretari di partito, i giornalisti, e a dom i­
nare il partito furono istinti da funzionario; certo un funzionariato assai
onorevole come, si può dire, di rado si riscontra in riferimento alla situa­
zione di altri paesi, in particolare a riguardo dei funzionari del sindacato
americano spesso facilmente corruttibili, ma le conseguenze che abbiamo
considerate in precedenza circa il potere dei funzionari colpirono anche
questo partito.
Dagli anni ottanta, i partiti borghesi divennero vere e proprie corpo-
razioni di notabili. Occasionalmente, beninteso, i partiti dovettero, a sco­
po propagandistico, far ricorso ad intelligenze extrapartitiche per poter
dire: «N o i abbiamo questi e questi nom i». Essi evitavano il più possibile
di includerli nelle liste elettorali, e questo accadeva solo quand’era assolu­
tamente inevitabile, vale a dire quando la persona in questione non accet­
tava altre soluzioni.
N el parlamento dominava lo stesso spirito. I nostri partiti parlamen­
tari erano e sono delle corporazioni. O gni discorso che viene tenuto nel

31 Bebel fu più volte messo in carcere per le sue convinzioni politiche*

213
W eber, Scritti politici

plenum del Reichstag, è dapprim a valutato in ogni suo elemento dal par­
tito. Ci si rende conto di questo per Pincredibile noia che si prova ascol­
tandoli. Solo chi è iscritto come oratore può prendere la parola. U n più
forte contrasto rispetto al costume inglese, ma anche - per motivi del tut­
to opposti - rispetto a quello francese, è difficilmente concepibile.
Probabilmente ora, in seguito al violento crollo che si suole chiamare
rivoluzione, è in corso un cambiamento. Forse, ma non è sicuro. Innan­
zitutto si sono tentati nuovi tipi di apparato di partito. Per prima cosa ap­
parati costituiti da dilettanti. Questi sono spesso rappresentati in m odo
particolare da studenti di diverse università, i quali dicono ad un uom o al
quale attribuiscono qualità di capo: «N o i Le vogliamo fornire i mezzi ne­
cessari per il lavoro da fare, Lei lo esegua». In secondo luogo, apparati co­
stituiti da uomini d ’affari. È accaduto che alcuni individui si recassero da
uomini ai quali venivano attribuite qualità di capo, e che gli offrissero - in
cambio di un compenso fisso per ogni voto —di provvedere al recluta­
mento del seguito. Se mi chiedeste, onestamente, quale di questi due ap­
parati - da un punto di vista puramente tecnico-politico - considerassi il
più fidato, credo che preferirci quest’ultimo. Ma entrambi erano bolle
gonfiate in fretta e subito scoppiate. Gli apparati esistenti si sono ristrut­
turati e hanno continuato a lavorare. Quei fenomeni erano solo un sinto­
mo del fatto che nuovi apparati si sarebbero forse già installati se solo ci
fossero i capi. M a già la particolarità tecnica del sistema elettorale p ro­
porzionale escludeva il loro emergere. Sono sorti soltanto un paio di dit­
tatori di piazza che sono presto tramontati. E solo il seguito della dittatu­
ra di piazza è organizzato in una salda disciplina: da qui deriva la poten­
za di queste minoranze evanescenti.
Ammettiamo che questo stato di cose possa cambiare, bisogna allora
assolutamente rendere chiaro quanto detto prima, e cioè che la direzione
dei partiti attraverso capi plebiscitari determina la «rinuncia alla propria
anima» da parte del seguito, ossia - si potrebbe anche dire - la sua prole­
tarizzazione spirituale. Per essere utilizzabile come apparato per il capo,
il seguito deve necessariamente ubbidire ciecamente, essere macchina nel
senso americano del termine, non disturbato dalla vanità dei notabili e
dalle pretese di opinioni personali. L’elezione di Lincoln fu possibile solo
attraverso questo carattere dell’organizzazione di partito, e nel caso di
Gladstone si presentò, come accennato, la stessa cosa col caucus. È questo
il prezzo con il quale si paga la direzione tramite un capo. Ma c’c solo
questa scelta: o democrazia del capo con «macchina» oppure democrazia
senza capo, cioè; domìnio dei «politici di professione (Berufpolitiker)»
senza vocazione (Beruf), senza le qualità intcriori, carismatiche, che ap­
punto caratterizzano il capo. E proprio questo significa ciò che ogni vol­
ta la fronda di partito caratterizza abitualmente come il dominio della

214
L a p o litic a co m e p ro fe ssio n e

«cricca». Per il momento in Germania noi abbiamo solo quest’ultimo. E


per il futuro il suo permanere, per lo meno nel Reich, sarà favorito dal fat­
to che si ripristinerà il Consiglio Federale, e necessariamente il suo pote­
re e, dunque la sua importanza in quanto luogo di selezione dei capi, verrà
limitato. Sarà inoltre favorito attraverso il sistema proporzionale, così co­
me è considerato attualmente, un tipico fenomeno della democrazia sen­
za capi, non solo perché incoraggia il mercato delle vacche dei notabili per
l’assegnazione delle cariche, ma anche perché in futuro darà la possibilità
ai gruppi di interessati di costringere l’inserimento dei loro funzionari
nelle liste, e di creare così un parlamento impolitico nel quale autentiche
figure di capo non troveranno posto. L’unica valvola per il bisogno di gui­
da potrebbe diventare il presidente del Reich, se egli venisse eletto plebi­
scitariamente e non dal parlamento. Ma la figura di capo, sulla base del la­
voro com piuto, potrebbe sorgere ed essere selezionata soprattutto quan­
do nei grandi comuni - come negli Stati Uniti quando si voleva incalzare
con inchieste e minacce la corruzione - entrasse in scena il dittatore citta­
dino plebiscitario, con il diritto di costituire i suoi uffici in m odo del tut­
to indipendente. U n uomo simile necessiterebbe di un’organizzazione di
partito improntata a tali elezioni. Ma l’ostilità, assolutamente piccolo bor­
ghese, nei confronti del capo ostentata da tutti i partiti - inclusa in m odo
particolare la Socialdemocrazia - lascia del tutto nell’oscurità il futuro ca­
rattere della formazione dei partiti, e con ciò tutte queste possibilità.
Attualmente quindi non siamo in grado di intravvederc le forme ver­
so cui si evolverà l’esercizio della politica come «professione», c ancor
meno perciò quali possibili vie potranno aprirsi agli individui politica­
mente dotati per assumersi un com pito politico appagante. Per chi, a cau­
sa della sua condizione patrimoniale, è costretto a vivere «di» politica si
offrirà sempre l’alternativa: «G iornalism o o funzionario di partito» come
tipiche vie dirette, oppure una delle rappresentanze di interessi presso un
sindacato, una camera di commercio, una camera del l’agricoltura, una ca­
mera dell’artigianato, una camera del lavoro, un’associazione di datori di
lavoro e così via, o un buon impiego presso un’amministrazione com u­
nale. D al punto di vista esteriore non si può aggiungere che questo, e cioè
che il funzionario di partito condivide con il giornalista l’umiliazione del
«declassamento». «Scrittore a pagam ento», «oratore a pagamento»; que­
ste parole purtroppo risuoneranno sempre nelle orecchie dell’uno e del­
l’altro, anche se non saranno pronunciate in modo esplicito; chi è inerme
dal punto di vista interiore, e non è in grado di dare a se stesso la giusta ri­
sposta, stia lontano da questa carriera, la quale è una via tormentata da du­
re tentazioni, e che può dare continue delusioni. Q uali gioie interiori è
dunque in grado di offrire, e quali attitudini personali presuppone in chi
si volge ad essa?

215
W eber, Scritti p o litici

Innanzitutto, essa dona il sentimento della potenza. Anche in posizio­


ni formalmente modeste, la coscienza della propria influenza sugli uom i­
ni, del concorrere ad esercitare un potere su di essi, ma soprattutto il sen­
timento di tenere fra le mani le fila di un evento storicamente importante,
consente al politico di professione di elevarsi al di sopra della quotidianità.
Ma ora la questione che gli si presenta è questa: quali sono le qualità per
cui egli può sperare di essere degno di questo potere (per quanto sia cir­
coscritto nel caso singolo) e dunque della responsabilità che ne deriva?
C on ciò noi entriamo nel lam b ito delle questioni etiche; infatti proprio a
quest’ambito appartiene la domanda riguardante il tipo di uom o che bi­
sogna essere per poter intervenire negli ingranaggi della storia.
Si può dire che siano soprattutto tre le qualità decisive per un uom o
politico: passione, senso di responsabilità, lungimiranza. Passione nel sen­
so di Sacblicbkeit, dedizione appassionata ad una «causa» (Sacbe), al dio o
al demone che è suo padrone. N on nel senso di quel contegno interiore
che il mio defunto amico G eorg Simmeì usava definire come «sterile ec­
citazione»” , peculiare soprattutto di un determinato tipo di intellettuali
russi (non certo di tutti), e che ora, in questo carnevale che si imbelletta
con il nome superbo di «rivoluzione», gioca un ruolo così importante an­
che presso i nostri intellettuali: un «romanticismo» che sì perde nel vuo­
to, «un romanticismo dell’mtcllettualmente interessante» senza un qua­
lunque senso oggettivo di responsabilità. Infatti non è certo sufficiente la
semplice passione, anche se autenticamente vissuta. Essa non crea l’uom o
politico se, nel servire una «causa», non considera come stella polare del-
l’agire la responsabilità che ci si deve assumere nei confronti di essa. D a
qui la necessità - e questa è la qualità psicologica decisiva dell’uom o poli­
tico - della lungimiranza, e cioè della capacità di far agire su di sé la realtà
con calma e raccoglimento interiore, vale a dire: la distanza dalle cose e
dagli uomini. L a «mancanza di distacco», semplicemente in quanto tale, è
uno dei peccati mortali di ogni politico e una di quelle qualità che, colti­
vata dalle nuove leve dei nostri intellettuali, li condannerà all’incapacità
politica. Infatti il problema è proprio questo: come possono stare legate
insieme nella stessa anima la passione infuocata e la fredda lungimiranza?
L a politica si fa con la testa, non con altre parti del corpo o dell’anima. E
tuttavia la dedizione alla politica - se per politica non s’intende un frivo­
lo gioco intellettuale, ma un agire autenticamente umano - può nascere e
venire alimentata solo dalla passione. Ma quel forte controllo della pro­
pria anima, che contraddistingue l’uomo politico appassionato e lo diffe-

rl G, Simmeì, D er Begriff und dìe Tragodie der Kultur, in Phìlosaphische Ktiltur. Gesammel-
te Lssais. Dr. Werner Klinkhardt, Leipzig 191 ì (trad. it. S.igpj di cultura filosofica. L ’estetica, la
religione, la moda, la cultura femminile, a cura di M. Monaldì, Guanda, Parma 1993).

216
L a p o litic a co m e p ro fe ssio n e

renzia dal mero dilettante «sterilmente eccitato», è possibile soltanto al


traverso l’abitudine alla distanza, in tutti i sensi della parola. L a «forza» di
una «personalità» politica è legata in primissima istanza al possesso di
queste qualità.
L’uom o politico deve perciò vincere dentro sé, ogni giorno e ogni ora,
un nemico del tutto ordinario, fin troppo umano: la comunissima vanità,
nemica mortale di ogni concreta dedizione e dì ogni distanza, in questo
caso, del distacco nei confronti di se stessi.
La vanità è un difetto molto diffuso e forse nessuno ne è del tutto lìbe­
ro. N ei circoli accademici e in quelli degli eruditi appare come una sorta di
malattia professionale. Ma nel caso dell’erudito essa, per quanto possa
sembrare antipatica, è relativamente inoffensiva nel senso che non distur­
ba, di regola, l’esercizio scientifico. Le cose stanno in modo com pleta­
mente diverso nel caso del politico. L’aspirazione al potere è il m ezzo in­
dispensabile col quale lavora. L’«istinto di potenza» - come si usa espri­
mersi - appartiene perciò in effetti alle sue normali qualità. M a il peccato
contro lo Spirito Santo proprio della sua professione inizia laddove questa
aspirazione alla potenza perde di concretezza (wird unsachlicb) e diventa
oggetto dell’autoinccnsamento puramente personale, anziché porsi esclu­
sivamente a servizio della «causa». C i sono, infatti, soltanto due tipi di
peccati mortali nell’ambito della politica: la mancanza dì concretezza e -
spesso, ma non sempre, uguale ad essa - la mancanza di responsabilità. La
vanità, vale a dire il bisogno di mettersi in vista il più possibile, induce for­
temente il politico alla tentazione di percorrere una delle due vie, o anche
entrambe. Tanto più in quanto è costretto a far affidamento sull’«effetto»
che suscita, il dem agogo è costantemente in pericolo di diventare un atto­
re o di assumersi con leggerezza la responsabilità per le conseguenze del
suo agire e di preoccuparsi soltanto dell'«impressione» che egli riesce a
provocare. L a sua mancanza di concretezza lo spinge ad aspirare all’ap­
parenza fascinosa del potere anziché al potere reale; la sua mancanza di
responsabilità, invece, a godere del potere solo per amore del potere, sen­
za alcuno scopo dal punto di vista del contenuto. Infatti, sebbene, o me­
glio proprio in quanto la potenza è il m ezzo inevitabile di ogni politica e
l’aspirazione alla potenza una delle sue forze motrici, non c’è stortura
d d l’attivìtà politica più perniciosa del fare guascone tipico del potente
parvenu e del vacuo gloriarsi del sentimento di potenza, e soprattutto di
ogni culto del potere in quanto tale. Il mero «politico di potenza», come
lo cerca di trasfigurare un culto praticato con zelo presso di noi, può es­
sere fortemente efficace, ma in effetti si muove nel vuoto e nell’insensato.
In questo caso, i critici della «politica di potenza» hanno pienamente ra­
gione. Di fronte all’improvviso crollo interiore di alcuni tipici rappresen­
tanti di questo sentimento, abbiam o potuto esperire quale debolezza in­

217
W eber, Scritti p o litici

tenore ed impotenza si nasconda dietro a questi gesti boriosi, ma del tut­


to vuoti. Q uesto sentimento è il prodotto di un’indifferenza estrema-
mente misera e superficiale nei confronti del senso dell’agire umano, la
quale in verità non sa nulla della tragicità a cui ogni agire, e soprattutto
l’agire politico, è legato.
E indubbiamente vero, ed è un dato di fatto fondamentale caratteriz­
zante tutta la storia - sul quale non possiam o soffermarci più a lungo in
questa sede -, che il risultato finale dell’agire politico spesso, anzi, per me­
glio dire, dì regola sta in una relazione del tutto inadeguata, a volte addi­
rittura paradossale, con il suo significato originario. Ma appunto per que­
sto non può mancare all’agirc politico il significato di servire ad una cau­
sa, quando esso possieda una propria intima validità. Q uale debba essere
la causa al servizio della quale il polìtico aspira al potere ed usa il potere,
è una questione di fede. Egli può perseguire fini nazionali od umanitari,
sociali ed etici o culturali, intramondani o religiosi, può essere sorretto da
una forte fede nel «progresso» - non fa differenza in quale senso - oppu­
re può freddamente rifiutare questo tipo di fede, può pretendere di stare
al servìzio di un’«idea» oppure - scartando per principio questa pretesa -
voler servire fini esteriori della vita quotidiana, in ogni caso comunque
deve esserci una qualche fede. Altrimenti - questo è del tutto esatto - la
maledizione della nullità delle creature grava anche sui successi politici
esteriormente più durevoli.
C on quanto detto, abbiamo già iniziato a trattare l’ultimo problema
che dobbiamo affrontare questa sera: il problema, cioè, deli’erAos della
politica in quanto «causa». A quale vocazione può rispondere la politica,
del tutto indipendentemente dalle sue mete, nel contesto dell’intera eco­
nomia morale della condotta di vita? Q ual è, per così dire, il luogo etico
in cui essa è di casa? Q ui certamente si scontrano visioni del mondo estre­
me, tra le quali alla fine bisogna scegliere. Accostiam oci risolutamente al
problema che di recente è stato nuovamente sollevato in maniera - a mìo
avviso —totalmente sbagliata.
Innanzitutto però liberiamo il problema da una falsificazione del tut­
to banale. L’etica può, infatti, assumere un ruolo moralmente assai dan­
noso. Facciamo degli esempi. Voi raramente troverete un uomo che smet­
ta di amare una donna per essersi innamorato di un’altra, il quale non sen­
ta il bisogno di giustificarsi davanti a se stesso dicendo: «N o n era degna
del mio amore», oppure: «Mi ha deluso», o facendo ricorso ad altri simi­
li «motivi». Egli tema, con una tale mancanza di cavalleria, dì dare una
«legittimità» al nudo fatto di non amarla più - fatto che inevitabilmente la
donna è costretta ad assumersi; in questo m odo, egli sì arroga un diritto e
cerca di addossare alla donna, oltre all’infelicità, anche un torto. In ma­
niera del tutto simile si comporta il concorrente in amore che ha succes­

218
L a politica co m e p ro fessio n e —

so: il rivale deve per forza essere quello - tra i due - di mirnn v.ilim , a!
trimenti non sarebbe soccombente. Ma non c’è naturalmente d iltcn u t i
alcuna quando, dopo una qualsivoglia guerra vittoriosa, il vinciti ni* ili
chiara con una prepotenza senza dignità: «H o vinto, perché avevo t.igiu
ne». O ppure quando qualcuno, sotto il peso dell’orrore della guen a, i c
de neH’animo e invece di dire semplicemente che era troppo, sente il hi
sogno dì legittimare davanti a se stesso il suo essere stanco della guen a so
stituendovi questo sentimento: «N on potevo sopportarlo, perché dovevo
necessariamente combattere per una causa moralmente cattiva». E aitivi
tanto nel caso dello sconfìtto in guerra. D opo una guerra, invece di amia
re alla ricerca del «colpevole» secondo una vecchia consuetudine da don
nicciole - laddove invece è stata la struttura della società a provocare la
guerra -, un comportamento virile e schietto farà dire al nemico: «A bbia­
mo perso la guerra, voi l’avete vinta. Q uesto è stabilito: ora permetteteci
di parlare circa le conseguenze che sono da tirare in corrispondenza agli
interessi concreti che erano in gioco, e - questa c la cosa fondamentale —
in vista della responsabilità di fronte al futuro, la quale pesa soprattutto
sulle spalle del vincitore». Tutto il resto è privo di dignità e costa caro.
D na nazione perdona una ferita dei suoi interessi, non però una ferita del
suo onore, c meno che mai una ferita causata da una prepotenza pretesca.
O gni recente documento che torna alla luce dopo decenni fa di nuovo ri­
vivere le grida senza dignità, l’odio e l’ira, quando invece la guerra, una
volta finita, la si dovrebbe, per lo meno moralmente, seppellire. Q uesto è
possìbile solo attraverso l’oggetdvità c la cavalleria, ma soprattutto attra­
verso la dignità. Mai comunque attraverso un’ «etìca», che in verità signi­
fica una mancanza di dignità dì entrambe le parti. Invece di preoccuparsi
dì ciò che riguarda il politico, vale a dire il futuro e la responsabilità da­
vanti ad esso, essa si occupa di questioni politicamente sterili - in quanto
inestricabili —come quella della colpa commessa nel passato. Fare questo
e colpa politica, se mai ne esiste una. E in tutto ciò per giunta si perde di
vista l’inevitabile falsificazione dell’intero problema attraverso interessi
meramente materiali: l’interesse del vincitore a guadagnare il più possibi­
le - moralmente e materialmente -, le speranze del vinto di procurarsi
qualche vantaggio attraverso ammissioni dì colpa40; se esiste qualcosa di
indecente», sì tratta allora dì questo, che altro non c che la conseguenza
di questo tipo di utilizzo delì’«etica» come m ezzo di «prepotenza».
Ma qual è dunque il reale rapporto tra etica e politica? N o n hanno, co­
me occasionalmente si è detto, niente a che fare lu n a con l’altra? O ppu-
i e, al contrario, c vero che «la medesima» etica vale per l’agire politico co-

10Weber accenna qui alla politica del presidente della Baviera Kurt Eisner.

219
Weber, Scritti p olitici

me per ogni altro agire? Si è talvolta creduto che tra queste due afferma­
zioni si ponesse un’alternativa: ad essere giusta sarebbe allora o l’uno o
l’altra. Ma è poi vero che una qualsiasi etica potrebbe formulare i medesi­
m i imperativi a livello dì contenuto per relazioni erotiche e commerciali,
familiari e ufficiali, nei confronti della moglie e dell ’erbivendola, del figlio,
dei concorrenti, dell’amico, degli incriminati? Dovrebbe davvero essere
così indifferente per le pretese etiche nei confronti della politica, il fatto
che essa lavori con un mezzo molto specifico com ’è la potenza, dietro al­
la quale non c’è che la violenza? N on vediamo che gli ideologi bolscevi-
chi e spartachisti, proprio in quanto usano questo mezzo, pervengono
esattamente agli stessi risultati di un qualunque dittatore militarista? In
che cosa, se non per la persona del detentore del potere e per il suo dilet­
tantismo, si differenzia il potere dei consigli dei lavoratori e dei soldati da
un qualsiasi potente dell’antico regime? In che cosa si differenzia la pole­
mica della maggior parte dei rappresentanti della supposta nuova etica ri­
spetto alla polemica degli altri demagoghi qualsiasi? La differenza sta nel­
la nobile intenzione! - si risponde. Bene. M a è il m ezzo ciò su cui si di­
scute, perché la nobiltà delle intenzioni ultime la pretendono anche gli av­
versari, soggettivamente, in perfetta buona fede. «Chi di spada ferisce, di
spada perisce»41, e la lotta è sempre lotta. E allora, l’etica del sermone del­
la m ontagna? C on il sermone della montagna - e cioè l’etica assoluta del
Vangelo - la questione è più seria di quanto credano quelli che oggi cita­
no volentieri questi imperativi. C on quest’etica non c’è da scherzare. Va­
le per essa ciò che si è detto a proposito della causalità nella scienza: non
si tratta di una carrozza che si possa far fermare a piacere per salirvi o
scenderne42. Bensì: tutto o niente, questo c propriamente il suo senso, se
da essa deve derivare qualcosa di diverso dalla banalità. Ecco, ad esempio,
la parabola del giovane ricco: «Egli se ne andò tristemente, giacché posse­
deva molte ricchezze»41. L’imperativo evangelico è incondizionato ed uni­
voco: «Dai via ciò che possiedi; tutto, completamente». Il politico dirà:
«U na pretesa socialmente insensata finche non sarà imposta a tutti». D u n ­
que: tassazioni, espropriazioni, confische, in una parola: costrizioni ed or­
dini valevoli per tutti. Ma l’imperativo etico non chiede affatto questo, e
in ciò sta la sua essenza. O ppure, consideriamo l’imperativo: «Porgi l’al-

" Cfr. Matteo 26, 52: «Allora Gesù gli disse: “ Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quel­
li che mettono mano alla spada periranno di spada” ».
11 Questa immagine è di Arthur Schopenhauer, che la usa nel suo scritto Uber die vierfache
Wurzel des Salzes vom zurekhenden Grande (trad. it. L a quadruplice radice del principio di ra­
gion sufficiente, a cura di E. Amendola Kuhn, Bori righi eri, Torino 1959): «La legge di causalità
dunque non è cosi cortese da farsi usare come una carrozza che, giunti dove si voglia, si riman­
da a casa».
" Cfr. Matteo 19, 22: «Udito questo, il giovane se ne andò triste; poiché aveva molte ric­
chezze».

220
L a p o lìtic a co m e p ro fe ssio n e

tra guancia!»44. Incondizionatamente, senza chiedere com ’è che all’altro


spetti di picchiare. U n ’etica della mancanza di dignità - a meno che non
sì tratti di un santo. Q uesto è il punto: bisogna essere un santo in tutto,
per lo meno secondo l’intenzione bisogna vivere come Gesù, gli apostoli,
San Francesco e i suoi pari, soltanto allora questa etica è sensata ed espres­
sione di una dignità. Altrimenti no. Infatti mentre, in conseguenza dell’e­
tica acosmica dell’amore45, si dice «N o n resistere al male con la violenza»,
per il politico vale il principio opposto e cioè: «Tu devi opporti al male
con la violenza, altrimenti sei responsabile della sua propagazione». Chi
voglia agire secondo l’etica del Vangelo, si astenga dagli scioperi - essi in­
fatti sono una costrizione - e s’iscriva nei sindacati gialli46. E soprattutto
non parli di «rivoluzione». Infatti quest’etica non intende certo insegnare
che sia proprio la guerra civile l’unica guerra legittima. Il pacifista che agi­
sce secondo il Vangelo rifiuterà le armi o le getterà via, come fu consiglia­
to in Germania, come dovere etico, al fine di far finire la guerra e con ciò
ogni guerra. Il politico dirà: «Il solo m ezzo sicuro per screditare la guer­
ra, per un futuro non troppo lontano, sarebbe stata una pace di status quo».
Infatti i popoli si sarebbero chiesti: a che scopo la guerra? E ssa sarebbe
stata ridotta a d absurdum, cosa che ora non è più possibile. Infatti, per i
vincitori - o per lo meno per una parte di essi - la guerra è stata politica­
mente vantaggiosa. E di questo è responsabile quel comportamento che ci
ha reso impossibile ogni resistenza. O ra - quando l’epoca dello spossa­
mento sarà passata - sarà discriminata la pace, e non la guerra: questa è
una conseguenza dell’etica assoluta.
Infine: il dovere della verità. Esso è incondizionato per l’etica assolu­
ta. D unque se ne è tratta la conseguenza di pubblicare tutti i documenti,
soprattutto quelli che gravano sul proprio paese, e sulla scorta di questa
pubblicazione unilaterale, confessare la propria colpa, unilateralmente,
senza condizioni e senza badare alle conseguenze. Il politico troverà che
con l’imporsi di questo atteggiamento non si prom uove la verità, ma la si
oscura attraverso l’abuso e lo scatenamento delle passioni; che solo un ac­
certamento generale conforme ad un piano redatto da arbitri spassionati

AACfr* Matteo 5» 39: «M a io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti percuoto la
guancia destra, tu porgigli anche l'altra».
^ Con l'espressione «etica acosmica deil'amore»- Weber intende una «particolare fuga dal
cuondo nella forma dì una dedizione incondizionata ad un che di qualsivoglia natura, non per
nuore dell'uomo, ma puramente per amore della dedizione in se». Cfr, GesammelteÀufsatze zur
Kclìviomsoziologie, BcL 1, J* C. B* Mohr (Paul Siebeck), ìubingen 1920, p, 546 (mwG i/19, p, 490)
(d na. it. Sociologia della, religione, a cura di P. Rossi, Adizioni di Comunità, Milano 1982).
^ I sindacati «gialli» erano federazioni di lavoratori, spesso finanziate dai datori di lavoro,
<he si erano diffuse in Germania a partire dal 1905. Diversamente dai sindacati «rossi», cioè so-
•. «.«listi, i sindacati «gialli» sottolineavano la convergenza degli interessi dei padroni e dei lavora-
i u r i e rifiutavano perciò lo sciopero come mezzo per l'imposizione degli interessi dei lavoratori*

221
Weber, Scritti p olitici

può portare frutto, mentre ogni altra condotta - per la nazione che la fa
propria - può avere conseguenze che fra decenni dovranno ancora essere
riparate. M a l’etica assoluta non si interroga sulle «conseguenze».
Q ui sta il punto decisivo. D obbiam o renderci conto che ogni agire
orientato eticamente può stare sotto due massime radicalmente contrap­
poste e fondamentalmente diverse una dall’altra: può essere orientato,
cioè, secondo «l’etica della convinzione» oppure secondo «l’etica della re­
sponsabilità». N on che l’etica della convinzione si identifichi con la man­
canza di responsabilità e che l’etica della responsabilità si identifichi con
la mancanza di convinzione. Naturalmente non intendo dire questo. M a
c’è un contrasto abissale tra l’agire secondo la massima dell’etica della
convinzione, la quale, considerata dal punto di vista religioso, afferma che
«il cristiano opera giustamente e rimette il successo a D ìo»47, oppure se­
condo la massima dell’etica della responsabilità, secondo la quale si deve
rispondere delle (prevedibili) conseguenze del proprio agire. Voi potrete
esporre in maniera convincente ad un sindacalista (Syndikalisten) persua­
so dall’etica della convinzione che le conseguenze del suo operare porte­
ranno alla crescita delle possibilità della reazione, all’aumento dell’op­
pressione per la sua classe, e costituiranno un ostacolo alla sua ascesa, ciò
non gli farà alcuna impressione. Se le conseguenze di un’azione derivante
dalla pura convinzione sono negative, responsabile di ciò, ai suoi occhi,
non è chi agisce, bensì il mondo, la stupidità degli altri uomini oppure la
volontà dì D io che li creò così. L’uomo dell’etica della responsabilità, in­
vece, mette in conto proprio quei difetti riscontrabili nella media degli uo­
mini, egli non ha - come ha ben detto Fichte —nessun diritto di presup­
porre in loro bontà e perfezione48, non si sente autorizzato a scaricare su­
gli altri le conseguenze del suo operare, nella misura in cui egli le poteva
prevedere. Egli dirà: «Q ueste conseguenze saranno imputate al mio ope­
rato». L’uom o dell’etica della convinzione si sente «responsabile» solo ri­
guardo a che il fuoco della pura convinzione non si spenga, il fuoco ad
esempio della protesta contro l’ingiustizia dell’ordine sociale. Ravvivare
di continuo questo fuoco è lo scopo delle sue azioni del tutto irrazionali,
se giudicate a partire dal possibile successo, le quali possono e devono
avere soltanto un valore esemplare.
M a anche con questo la questione non è esaurita. N essuna etica al
m ondo può trascurare il fatto che il raggiungimento di scopi «buoni» è le-

Probabilmente Weber si riferisce alla lezione di 1.utero sul Genesi, in cui scrive: «/ve tuum
ofJiLiurn, et eventum Deo perniine*. Cfr. D. Martin Luthers Werke. Kritische Gcsarntausgabe,
Bd. 44, Hermann Bbhiaus Nachfolger, Weimar 1915, p. 78.
11 Cfr, lo scritto di Fichte: Uber Maehiavel!, .ih Schriflsteller, und Slellen aus seinen Scbrif-
:, n. in Johann Gottlieb Fiehtes nacbvelassene Werke, Bd. 3, Adolph-Markus, Bonn 1835, p. 420
(trad. it. Sul * Principe* di Machiavelli, a cura di G. F. Frigo, Gallio Editori, Ferrara 1990).

2 22
L a po litica c o m e p ro fessio n e

gato spesso all’utilizzo di mezzi moralmente dubbi o per lo meno pn it i 1


losi e alla possibilità o anche alla plausibilità di conseguenze collaterali in
gative; e, inoltre, nessuna etica al m ondo può stabilire quando e in che ini
sura lo scopo eticamente buono possa «giustificare» i mezzi eticamente
pericolosi e le conseguenze collaterali.
Per la politica, il m ezzo decisivo è la forza; e quanto grande sia la por
tata della tensione tra m ezzo e fine dal punto di vista etico, lo potrete ap­
prendere dal fatto che, come ognun sa, i socialisti rivoluzionari {corrente
di Zimmerwald) - già durante la guerra - si riconoscevano nel principio
che si potrebbe così formulare in m odo efficace: «Se fossim o di fronte al­
la scelta: ancora alcuni armi di guerra e poi rivoluzione, oppure subito la
pace e niente rivoluzione, sceglieremmo ancora alcuni anni di guerra!».
Alla successiva domanda: «A che cosa può portare questa rivoluzione?»,
ogni socialista istruito scientificamente avrebbe risposto che non sì sareb­
be trattato dì un passaggio ad un’economia che sì potrebbe definire socia­
lista nel senso da lui inteso, bensì che sarebbe sorta una nuova economia
borghese, la quale avrebbe soltanto potuto togliere di m ezzo gli elementi
leudali e i residui dinastici. Dunque, per questo m odesto risultato, «anco-
i ,i alcuni anni di guerra!». È certo il caso di dire, anche in presenza dì una
lortc convinzione socialista, che certo si potrebbe rifiutare lo scopo che
i ichiede m ezzi simili. N el caso del bolscevismo c dello spartachismo, e in
generale nel caso di ogni tipo di socialismo rivoluzionario, le cose stanno
‘■fittamente allo stesso m odo, ed è estremamente ridicolo, quando da que-
■ic posizioni i «politici della forza» del vecchio regime vengono condan­
nati moralmente a causa dell’uso del medesimo mezzo, per quanto possa
<-,sere assolutamente giustificato il rifiuto delle toro mete.
Q ui, su questo problema della giustificazione dei mezzi attraverso il
Ime, anche l’etica della convinzione sembra in genere dover per forza nau-
11agarc. E in effetti, logicamente, essa ha soltanto la possibilità di respin­
gere ogni agire che utilizzi mezzi moralmente pericolosi. Logicamente.
M.i, nel mondo reale, noi facciamo continuamente esperienza che l’uom o
A ll’etica della convinzione improvvisamente si trasforma nel profeta chi-
l u m i c o , e —per esempio - coloro che poco prima hanno predicato «amo-
11- contro violenza», un attimo dopo invece invitano alla violenza, alla vio­
lenza ultima, la quale dovrebbe portare all’annientamento di ogni violen­
ti possibile, allo stesso modo in cui i nostri militari dicevano ai soldati
prima di ogni attacco: «Q uesto è l’ultimo, porterà la vittoria e quindi la
l'u e». L’uomo dell’etica della convinzione non sopporta l’irrazionalità
■i u a del mondo. Egli c un «razionalista» cosmico-etìco. Chi di voi cono-
■ i l )ostoevskij ricorderà l’episodio del Grande Inquisitore, in cui il pro-
U'-nia è esposto con estrema precisione. N o n è possibile mettere d ’accor-
I" l'etica della convinzione c l’etica della responsabilità oppure decretare

223
W eber, Scritti p o litici

eticamente quale fine dovrebbe giustificare quel particolare m ezzo, se si è


fatta in generale una qualche concessione a questo principio.
Il collega F. W. Forster, verso cui personalmente nutro la massima sti­
ma per l’indubbia onestà della sua convinzione, ma che —come politico —
biasimo in maniera radicale, crede di evitare la difficoltà attraverso la sem­
plice tesi che dal bene può solo venire il bene, dal male solo male49. In que­
sto caso il problema non sussisterebbe. Ma è pur sempre sorprendente che
duemilacinquecento anni dopo le Upanishad una simile tesi tom i ancora
a vedere la luce del mondo. N o n solo l’intero corso della storia m ondia­
le, ma ogni esame franco dell’esperienza quotidiana ci dice chiaramente
l’opposto. Lo sviluppo di tutte le religioni della terra si fonda sul fatto che
è vero il contrario. Il più antico problema della teodicea, infatti, è costi­
tuito dalla questione di come sia possibile che una potenza, fatta passare
al tempo stesso per onnipotente e buona, abbia potuto creare un mondo
tanto irrazionale della sofferenza immeritata, delì’ingiustizia impunita e
della stupidità incorreggibile. O questo potere non possiede una di quel­
le due qualità, oppure a governare la vita sono princìpi completamente di­
versi di ricompensa e pena, principi che noi possiam o interpretare meta­
fisicamente o anche tali da sottrarsi per sempre alla nostra interpretazio­
ne. Questo problema dell’esperienza dell’irrazionalità del m ondo è stato
la forza motrice di ogni sviluppo religioso. La dottrina indiana del K arm a
e il dualismo persiano, il peccato originale, la predestinazione e il deus ab-
iconditus derivano tutti da questa esperienza. Anche i primi cristiani sa­
pevano benissimo che il m ondo è governato da demoni e che chi com ­
mercia con la politica, vale a dire chi usa come mezzi la potenza c la vio­
lenza stringe un patto con potenze diaboliche, e che, per quanto riguarda
il suo agire, non è vero che dal bene può venire soltanto il bene e dal ma­
le solo il male, ma anzi sovente il contrario. Chi non vede questo, non c
che un fanciullo dal punto di vista politico.
L’etica religiosa si è variamente rassegnata al fatto che noi siamo inse­
riti contemporaneamente in ordini di vita diversi, i quali sono soggetti a
leggi diverse tra loro. Il politeismo greco faceva sacrifici ad Afrodite co­
me ad Era, a D ioniso come ad A pollo ben sapendo che essi erano non di
rado in lotta tra loro. L’ordine di vita induista rendeva ognuna delle di­
verse professioni oggetto di una particolare legge etica, di un dharm a, e la
separava per sempre secondo il sistema delle caste, inserendola così in una
rigida gerarchia di ceto - dalla quale per coloro che nascevano in essa non
c’cra nessuna possibilità d’uscita, al di fuori della rinascita nella prossima

*’ Cfr. F. W. Foerstcr, Politiche Ethik und politiche Padagogik. Mit besonderer BerUcksicb-
tigung der kommenden deutschen Aufgaben, Ernst Reinhardt, Mdnchen 1918.

224
L a p o litic a co m e p ro fe ssio n e

vita - e ponendola inoltre a una distanza più o meno grande rispetto ai più
alti beni di salvezza religiosi. In questo m odo era possibile adattare il
dbarm a ad ogni singola casta, dagli asceti e bramini fino ai furfanti e alle
prostitute, in m odo corrispondente alle regole proprie immanenti a cia­
scuna professione. Tra queste c’erano anche la guerra e la politica. Il p o ­
sto assegnato alla guerra nel com plesso delPordinamento della vita lo tro­
vate determinato nella Bbagavadgita nel dialogo tra Krishna e Arjuna.
«C om pi ciò che è necessario», vale a dire P«opera» considerata un dove­
re dal dbarm a della casta guerriera e dalle sue regole, concretamente ne­
cessaria allo scopo della guerra: secondo questa fede, ciò non intacca la
salvezza religiosa, piuttosto la favorisce. D a sempre, in caso di morte eroi­
ca, il paradiso di Indra era per il guerriero indiano tanto sicuro quanto il
Walball per quello germano. Il guerriero indiano però avrebbe disdegna­
to il nirvana tanto quanto il germano avrebbe disdegnato il paradiso cri­
stiano con i suoi cori angelici. Q uesta specializzazione rese possibile al­
l’etica indiana una trattazione della politica quale arte regale affatto altera,
che seguiva soltanto leggi proprie, emancipandola così in maniera radica­
le. Il «machiavellismo» davvero radicale, nel senso popolare di questa pa­
rola, è rappresentato in modo classico nella letteratura indiana né\VArtha-
sbastra di Kautilya (di gran lunga anteriore all’era cristiana, si suppone
dell’epoca del Chandragnptd)\ a confronto il Principe di Machiavelli è in­
nocuo. N ell’etica cattolica, alla quale peraltro è vicino il professor Forster,
i «consilia e v a n g e l i c a sono notoriamente un’etica particolare per i dota­
ti del carisma della vita santa. Q ui accanto al monaco, che non può versa­
re sangue né cercare il guadagno, sta il pio cavaliere e il borghese, ai qua­
li è consentito rispettivamente di versar sangue e di guadagnare. L a diffe­
renziazione dell’etica al suo interno e il suo inserimento in un organismo
della dottrina della salvezza è meno conseguente che in India, anche se
questa partizione doveva e poteva ben darsi secondo le premesse di fede
cristiane. L a perversità del m ondo, conseguenza del peccato originale,
rendeva possibile in modo relativamente facile un inserimento della vio­
lenza nell’etica come m ezzo di correzione contro il peccato e contro gli
eretici che corrompevano l’anima. Ma le pretese acosmiche, puramente
conformi all’etica della convinzione del sermone della montagna e il di­
ritto naturale religioso che si fonda su di esso, considerato come u n ’esi­
genza assoluta, mantennero la loro potenza (Gewalt) rivoluzionaria e,
con forza elementare, entrarono in scena in quasi tutte le epoche di ten­
sione sociale. In particolare, esse diedero vita alle sette radical-pacifiste,
delle quali una in Pennsylvania fece l’esperimento di un’entità statale pri-

501 concilia evangelica sono istruzioni per una vita a imitazione di Cristo imponendo il celi­
bato, la povertà e l’obbedienza.

225
Weber, Scritti p o litici

va di violenza verso l’esterno con conseguenze tragiche nel corso del tem­
po: infatti, quando scoppiò la guerra di indipendenza, i Quaccheri non p o ­
terono difendere con le armi i loro ideali rappresentati in quella guerra. Il
protestantesimo normale invece legittimò lo Stato in quanto istituzione
divina, e dunque il m ezzo della violenza e in particolare lo Stato autorita­
rio legittimo. Lutero tolse al singolo la responsabilità etica della guerra e
l’accollò all’autorità, a cui - in faccende che non siano di fede —si può ub­
bidire senza macchiarsi di colpa alcuna. E ancora il calvinismo riconosce­
va in linea di principio la violenza come m ezzo di difesa della fede —la
guerra di religione, quindi —che nell’Islam fu fin dall’inizio un elemento
vitale. Com e si vede, non è affatto l’irreligiosità moderna, nata dal culto
degli eroi del Rinascimento, a far sorgere il problema dell’etica politica.
Tutte le religioni si sono angustiate per esso, con risultati diversi, e - dopo
quanto detto - non poteva certo essere altrimenti. Il mezzo specifico del­
la violenza legittima, semplicemente in quanto tale, posto nelle mani del­
le associazioni umane è ciò che determina la particolarità di tutti i proble­
mi etici della politica.
Chiunque scende a patti con questo m ezzo, per qualunque scopo lo
faccia —e ogni politico lo fa —costui è esposto alle sue specifiche conse­
guenze. In misura particolarmente grande ciò vale per il combattente del­
la fede, tanto quello religioso come quello rivoluzionario. Prendiamo
tranqu dia mente il presente come esempio. Chi vuole instaurare la giusti­
zia assoluta sulla terra con la fo rza, costui abbisogna a tal fine di un se­
guito, vale a dire dell'«apparato» umano. A questo apparato, egli deve per
forza prospettare i necessari premi interiori ed esteriori - un compenso
celeste o terreno —, altrimenti questo apparato non funzionerebbe. Inte­
riori: ossia - nella condizione della moderna lotta di classe —soddisfazio­
ne dell’odio e della sete di vendetta, e soprattutto del risentimento e del
bisogno pseudo-etico di affermarsi, vale a dire del bisogno di diffamare e
di calunniare l’avversario. Esteriori: ossia, avventura, vittoria, bottino, po­
tenza e prebende. Il capo è del tutto dipendente, per quanto riguarda il
suo successo, dal funzionario di questo suo apparato; perciò il capo non
c dipendente solo dai suoi propri moventi, ma anche da quelli di que­
st’ultimo. Dal fatto dunque che quei premi possano essere durevolmente
concessi al suo seguito: alla guardia rossa, alle spie, agli agitatori di cui egli
ha bisogno, dipende il suo successo. C iò che il capo, in tali condizioni, rie­
sce effettivamente a raggiungere, non è dunque determinato dal suo vole­
re, bensì gli c prescritto da quei motivi in genere eticamente cattivi che
guidano l’agire del suo seguito, il quale si può tenere a bada solo fintan­
toché un’onesta fede nella sua persona e nella sua causa animi almeno una
parte - mai la maggioranza - dei compagni. N o n solo questa fede, anche
dove essa c soggettivamente onesta, in verità nella maggior parte dei casi

226
L a po litica co m e p ro fe ssio n e

«legittima» eticamente la bramosia di vendetta, potenza, bottino e pre­


bende - su questo non ci lasciamo gabbare, poiché neppure l’interpreta­
zione materialistica della storia è una carrozza da montare a piacere, ed es­
sa non sì ferma davanti ai rappresentanti delle rivoluzioni! —, ma soprat­
tutto, dopo la rivoluzione emozionale tom a la quotidianità tradizionale,
in cui l’eroe della fede e soprattutto la fede stessa scom paiono o diventa­
no - il che è ancora più efficace - parte integrante dei luoghi comuni con­
venzionali degli uomini politici gretti e dei tecnici. Q uesto processo av­
viene, in m odo particolarmente veloce, proprio in occasione della lotta
per una fede, poiché questa suole essere diretta o ispirata da autentici ca­
pi, dai profeti della rivoluzione. Infatti come in ogni apparato sottoposto
ad un capo, anche qui lo svuotamento e l’oggettivazione, la proletarizza­
zione spirituale nell’interesse della «disciplina», è una delle condizioni del
successo. Il seguito di un combattente della fede, una volta giunto al po­
tere, suole perciò degenerare assai facilmente in uno strato del tutto ordi­
nario di prebendati.
C hi intende praticare la politica in generale e soprattutto chi intende
praticarla com e professione, deve essere cosciente dì questi paradossi eti­
ci e della propria responsabilità per ciò che a lui stesso può derivare a se­
guito della loro pressione. Ripeto, egli entra m relazione con le potenze
diaboliche che sono in agguato in ogni violenza. I grandi virtuosi dell’a­
more acosmico umano e della bontà, sia che vengano da Nazareth o da
Assisi o dai palazzi reali indiani, non hanno agito con il m ezzo politico
della violenza, il loro regno «non era di questo m ondo»51, e tuttavia ope­
rarono e operano in questo mondo, e le figure di Platon Karataev52 e dei
santi dostoevskiani sono pur sempre ancora le loro più adeguate ricostru­
zioni. Chi cerca la salute della propria anima e la salvezza di altre anime,
non le cerca sulle vie della politica, la quale persegue compiti del tutto di­
versi tali da essere risolvibili soltanto con la violenza. Il genio, o il dem o­
ne della politica vive in un’intima tensione con il dio dell’amore - anche
con il D io cristiano nella sua forma ecclesiastica —, una tensione che in
ogni momento può esplodere in un conflitto insanabile. Q uesto lo sape­
vano gli uomini anche ai tempi del dominio temporale della Chiesa. C on ­
tinuamente Firenze veniva colpita dall’interdetto - e un tempo questa era
una potenza assai più forte, per gli uomini e per la salvezza della loro ani­
ma della (per dirla con Fichte) «fredda approvazione»51 del giudizio etico

Cfr. Giovanni 18, 36: «Rispose Gesù: “ li mio regno non è di questo mondo” ».
K Uno dei personaggi di Guerra e pace.
'■ Cfr. J. G. Fichte, D as System der Sittenlehre nach den Prmcipìen der Wissenscbaftslehre, in
Johann Gotthcb i'icbtes sàmmtlìche Werke, edite da I. H. Fichte, Bd. 4, Veit & Comp., Berlin
1845, p. 167 (trad. it. li sistema della dottrina morale secondo ì principi della dottrina della scierz-
vo. a cura di R. Cantoni, Sansoni, Firenze 1957).

227
W eber, Scritti p o litici

kantiano -, ma i suoi cittadini continuavano a combattere contro lo Stato


della Chiesa. E in riferimento a tale situazione, Machiavelli in un bel pas­
so, se non erro, delle Storie Fiorentine, fa lodare da uno dei suoi eroi quei
cittadini per i quali la grandezza della città natale occupava un posto più
alto della salute della loro anima.
Se anziché città natale o «patria» - che attualmente non può rappre­
sentare per ognuno un valore univoco - dite «il futuro del socialismo» o
anche della «pacificazione intemazionale», avrete allora il problema nel
m odo in cui si pone attualmente. Infatti la «salute delfanim a» è messa in
pericolo da tutto ciò che, voluto mediante Paghe polìtico, lavora con mez­
zi violenti e sulla via dell’etica della responsabilità. Se però si persegue
questa salvezza con una pura etica della convinzione in una guerra di re­
ligione, allora essa può soffrire danni ed essere discreditata per generazio­
ni, poiché manca la responsabilità delle conseguenze. In questo caso, in­
fatti, restano ignote all’agente le potenze diaboliche che sono in gioco. E s­
se sono inesorabili e determinano nei confronti del suo agire, e anche del­
la sua interiorità, conseguenze alle quali egli c abbandonato senza alcun
aiuto, a meno che non nc abbia piena consapevolezza. «Il diavolo è vec­
chio». E non si intendono gli anni o l’età nel proverbio: «Dovete dunque
diventare vecchi per comprenderlo»^. Anch’io non sopporto di essere
m esso a tacere in una discussione a causa della data che compare nel cer­
tificato di nascita; d ’altronde però il semplice fatto che uno abbia vent’an-
ni e che io sia sopra i cinquanta non può infine indurmi a ritenere che que­
sta sia una prestazione davanti alla quale io mi debba inchinare in profon­
da reverenza. N on è importante l’età, bensì, senza dubbio, l’istruita du ­
rezza dello sguardo indagatore delle realtà della vita, la capacità dì so p ­
portarle e di essere pari ad esse dal punto di vista interiore.
In realtà, la politica vien fatta certo con la testa, ma non solo con la te­
sta. Su ciò, gli uomini dell’etica della convinzione hanno assolutamente
ragione. Se però si debba agire come l’uom o dell’etica della convinzione
o come l’uomo dell’etica della responsabilità, e quando seguire l’una e
quando l’altra, su questo non si possono fare prescrizioni per nessuno. SÌ
può dire soltanto una cosa: se in questi tempi di, come voi credete, non
«sterile» eccitazione - ma l’eccitazione non è sempre e in modo assoluto
autentica passione - , Ì politici della convinzione all'improvviso si diffon­
dessero in massa sotto la parola d ’ordine: «Il mondo è stupido e cattivo,
io no; la responsabilità per le conseguenze non mi tocca, bensì tocca gli al­
tri al cui servizio lavoro, e la cui stupidità e malvagità io estirperò», allora
direi apertamente che innanzitutto vorrei sincerarmi della misura dell’e-

44 Goethe» Faust, parte n, versi 6817-18: «<11 diavolo c vecchio, pensateci: / invecchiate e lo ca­
pirete»-

228
__________________________ . L a p o lìtic a co m e p ro fe ssio n e -----------------------------------

quilibrio interiore che sta dietro a questa etica della convinzione. H o l’im­
pressione infatti che in nove casi su dieci si abbia a che fare con fanfaroni,
i quali non sentono realmente ciò che prendono su di sé, ma si ubriacano
di sensazioni romantiche. Tutto ciò umanamente non mi interessa molto
e non mi scuote affatto. Mentre si viene colpiti in modo straordinario
quando un uom o maturo - non importa se vecchio o giovane d ’età —, il
quale senta realmente e con tutta l’anima questa responsabitità per le con­
seguenze e che agisca secondo l’etica della responsabilità, dica ad un cer­
to punto: «N o n posso fare diversamente, di qui non mi m uovo»” . Q ue­
sto è qualcosa di umanamente autentico e che commuove. Infatti, questa
situazione deve certamente prima o poi poter accadere ad ognuno di noi,
a meno che non sia interiormente morto. In ciò l’etica della convinzione
e della responsabilità non rappresentano opposti assoluti, ma elementi
complementari che soltanto insieme creano l’uom o autentico, quello che
può avere la «vocazione per la politica».
E su questo punto, egregi ascoltatori, vorrei tornare a parlare tra dieci
anni. Se allora - come purtroppo, per tutta una serie di motivi, ho da te­
mere - sarà sopraggiunto ormai da molto il tempo della reazione, e se di
ciò che certamente molti di voi c anch’io, come ammetto apertamente, ab­
biamo desiderato e sperato, sarà stato realizzato poco, forse non proprio
nulla, ma, per lo meno all’apparenza, poco - ciò è assai verosimile: saper­
lo certo non mi distruggerà, ma sì tratta comunque di un peso interiore - ,
allora vorrei proprio vedere che cosa ne è stato di coloro tra voi che ora si
sentono autentici «politici della convinzione» e che prendono parte al­
l’ebbrezza che questa rivoluzione significa, vorrei proprio sapere che c o ­
sa di loro ne è «divenuto» nel senso profondo della parola. Sarebbe certo
bello se la situazione si presentasse in termini tali da poter dire con il so­
netto 102 di Shakespeare:
O u r love w as new, and then b u t in thè spring,
When I w as wont to greet it with m y lays;
A s Philom el in su m m e r’s fron t d o tò sing,
A n d stops her pipe in growrii o f ripcr days5'1.

M a le cose non stanno in questo modo. Davanti a noi non c’ è il fiori­


re dell’estate, ma prima di tutto una notte polare di gelida oscurità e di p e ­
nuria, quale sia il gruppo che possa esteriormente vincere ora. Infatti, do-

” Accenno alle parole attribuite a Lutero a conclusione del suo discorso davanti al R e lekstag
in Worms nell’aprile del 1521.
5,1«Il nostro amore era giovane, appena nella sua primavera, / allor ch’io solevo salutarlo co’
miei canti, / simile a Filomena che in sul cominciar dell’estate canta, / ma tace al sopraegìungere
della stagione inoltrata», trad. it. di L. Darchini, in Shakespeare, Sonetti, a cura di G. Baldini, Fel­
trinelli, Milano 1984. N el Cesto di Weber non c’è l’originale inglese, bensì è riportata la traduzio­
ne tedesca fatta da Stcfan George.

229
W eber, Scritti p o lìtici

ve è nulla, non solo l’imperatore, ma anche il proletario ha perso qui il suo


diritto. Q uando questa notte lentamente scomparirà, chi vivrà ancora di
coloro la cui primavera ha fiorito apparentemente in maniera così rigo­
gliosa? E che cosa allora ne sarà divenuto dal punto di vista interiore di
tutti voi? Am arezza o grettezza, semplice accettazione ottusa del mondo
o della professione oppure, terzo e non il più raro, fuga mistica dal mon­
do per quelli che ne hanno il talento, o - spesso e disgraziatamente - per
coloro che vi ci si buttano per m oda? In ognuno di questi casi io tirerò le
stesse conseguenze e dirò che questi individui non sono stati all’altezza
del loro operare, non sono stati all’altezza neppure del mondo, così come
esso è in realtà, né della sua quotidianità; essi non hanno avuto nel senso
più interiore, oggettivamente e di fatto la vocazione per la politica a cui si
sentivano portati. Avrebbero fatto meglio a curare genuinamente e sem­
plicemente la fratellanza da uom o ad uom o e per il resto operare in m o­
do puramente oggettivo nel loro lavoro quotidiano.
Politica significa un affrontare con tenace passione c al tempo stesso
con lungimiranza un lavoro duro e difficile. E assolutamente corretto, e
ogni esperienza storica Io conferma, che non si raggiungerebbe il possibi­
le se nel mondo non si avesse sempre continuamente puntato all’im possi­
bile. Ma colui che è in grado di farlo deve essere un capo e non solo que­
sto, bensì anche, senza conferire troppa enfasi a questa parola, un eroe. E
anche coloro che non sono né uno né l’altro, devono necessariamente ar­
marsi con quella saldezza del cuore che non viene meno nemmeno col
naufragio di tutte le speranze, c questo fin da ora, altrimenti non saranno
in grado di perseguire neanche ciò che oggi è possibile. Solo chi è sicuro
di non cedere anche se il mondo, guardato dal suo punto di vista, è trop­
po stupido o cattivo per ciò che egli gli vuole offrire, e solo chi è sicuro di
poter dire di fronte a tutto ciò: «N onostante tutto, andiamo avanti!», so­
lo quest’uom o ha la «vocazione» per la politica.

230
XI. Il presidente del Reicb

1919
C o n questo intervento Weber prese posizione nel dibattito sulla nuova C ostituzione
del Reich. G ià nel dicembre de! 1918 Weber si era schierato a favore d ì un presidente del
R ek h eletto plebiscitariamente e dotato di ampi poteri. Il 16 gennaio 1919, prim a ancora
che il progetto della C ostituzion e fosse reso pubblico, Gerhard A nschiitz (cfr. l’articolo
D ie kommende Deutsche N atw nahersam m lung u n d ihre A u fgabe, in «H eidelberger Ta-
geblatt» n. 12 del 15 gennaio 1919, pp. 1 sgg., e n. 13 del 16 gennaio 1919, p. 2) attaccò la
proposta dì Weber sottolineando 1 perìcoli insiti nell’elezione popolare del presidente del
Reich, Egli paventava il potenziale rìschio di un potere dittatoriale del presidente eletto in
questo m odo, nonché il pericolo dell’autocrazia su base democratica, oltre che dubitare
della possibilità di trovare di volta in volta uomini capaci per una tale carica dittatoriale.
Anschiitz si schierò a favore di un’elezione del presidente da parte del Reichstag o da par­
te di Reichstag e Bundesrat congiunti. Ciononostante l’elezione popolare del presidente
venne inserita nel paragrafo 53 del progetto del 3 gennaio 1919, anche se il presidente ve­
niva vincolato alla controfirma dei ministri responsabili per tutte le questioni civili e mili­
tari. Il presidente aveva diritto di nomina e di revoca del governo e di scioglimento del R ei­
chstag-, poteva esprimere un veto sospensivo; aveva la facoltà dì intervenire contro i singo­
li Stati che avessero agito in m odo non conform e ai loro doveri; aveva il diritto all’uso di
un potere dittatoriale per la difesa della sicurezza e dell’ordine pubblico. D o p o l’elezione
dell’A ssem blea N azionale, il 20 gennaio 1919 fu resa pubblica una prim a versione, corret­
ta solo in pochi punti, di questo prim o progetto, L’11 febbraio, però, Friedrich E bert ven­
ne eletto presidente del Reich dall’A ssem blea N azion ale e non direttamente dal popolo.
C osì, sotto la direzione del neoeletto governo Schcidemann, il 17 febbraio si p assò all’ela­
borazione di un terzo progetto che am pliò ancora di più il potere del presidente attribuen­
dogli anche il suprem o potere militare. Ulteriorm ente discusso e m odificato, questo testo
fu presentato all’Assem blea N azionale (quarto progetto) il 24 febbraio 1919.
Il m anoscritto originale è andato perduto. L a prim a edizione apparve nella «Berliner
Bòrsenzeitung» n. 93 del 25 febbraio 1919, edizione del mattino, pp. 1 sgg. A d essa segui­
rono a breve distanza quella della «M agdcburgische Zeitung» n. 151 del 26 febbraio 1919,
pp. 1 sgg., e un’edizione abbreviata dell’«H eidelberger Zeitung» n. 48 del 27 febbraio 1919,
pp. 1 sgg. Q ueste presentano m odeste modifiche form ali rispetto al testo originario, che fu
stam pato ancora una volta, con alcune modifiche fatte da Weber, nel n. 126 della «Kònig-
sberger H artungschen Zeirung» del 15 marzo 1919, prim a edizione della sera, p. 1, Sulla
scorta di questa edizione più tarda è stato redatto il testo qui tradotto che si trova nella M ax
Weber G esam tam gabc cit., A bt. l,Bd. 16, pp. 220-4.
SCRITTI POLITICI

Il prim o presidente del Reich è stato eletto dall’Assemblea N ational?


Il prossimo presidente del Reich dovrà necessariamente essere eletto dite!
tamente d al popolo. Le ragioni a sostegno di questo punto di vi ita mum Ir
seguenti:
1. Poiché il Consiglio Federale, comunque lo si voglia chiamare e u i
munque si possano trasformare le sue competenze, in ogni caso mw m
preso in una qualche form a nella nuova Costituzione del Reich, I assolo
tamente utopico credere che coloro che detengono il potere del govrttin
e la potenza dello Stato, vale a dire i governi nominati dai popoli dei ani
goli S u ri liberi, si lascino escludere dalla form azione politica del Rvith. e
soprattutto dall’amministrazione del Reich. Stando così le cose, è del tm
to inevitabile la creazione dì un vertice statale che poggi seti/, 'alito odia
volontà dell'intero popolo, senza l’intervento di intermediari. Ovunque
l’elezione indiretta è stata abrogata, mentre nella fattispecie, per quanto 11
guarda la carica formalmente più alta, dovrebbe dunque essere mantemi
ta? Q uesto, a buon diritto, farebbe l’effetto di una presa in giro del pi in
cipio della dem ocrazia nell’interesse del mercato delle vacche p r o p r io dei
parlamentari, e getterebbe discredito sull’intero Reich.
2. Solo un presidente del Reich sostenuto dal voto di milioni di perso
ne può possedere l’autorità per avviare la socializzazione, che non si rea
lizza tramite commi di legge, ma attraverso un’amministiazione forte­
mente unitaria. Socializzazione vuol dire amministrazione. Da questo
punto di vista, è del tutto indifferente voler dar vita alla socializzazione
solo come inevitabile provvedimento finanziario, oppure, come vuole la
Socialdemocrazia, nei termini di una trasformazione dell’economia. N on
è compito della Costituzione del Reich stabilire il futuro ordine econo­
mico. E ssa deve unicamente tracciare una via percorribile e preordinare le
possibilità di soluzione per tutti Ì compiti concepibili che presu mibilmen-

233
W eber, Scritti p o litic i

te saranno affrontati dall’amministrazione, e quindi anche per questo. È


da sperare vivamente che la Socialdemocrazia non chiuda gli occhi di
fronte a queste necessità a motivo di una male interpretata concezione
piccolo borghese e pseudo-democratica. Consideri che la tanto discussa
«dittatura» delle masse esige appunto il «dittatore», un uomo di fiducia
scelto liberamente dalle masse stesse, al quale si sottomettono per il tem­
po in cui egli goda della loro fiducia. U n vertice collegiale, nel quale tutti
i maggiori Stati federali nonché tutti i maggiori partiti pretenderebbero
naturalmente ognuno un loro rappresentante, oppure un vertice designa­
to dal parlamento, destinato alla misera impotenza che contraddistingue,
per esempio, il presidente francese, non potrebbero mai portare nell’am­
ministrazione quell’unità senza la quale è impossibile una ricostruzione
della nostra economia, indipendentemente da quale sìa il suo fondamen­
to. Si faccia in m odo che il presidente del Reicb veda costantemente da­
vanti agli occhi «forca e capestro» per dissuaderlo da ogni tentativo di vio­
lare le leggi o di governare da autocrate. Eventualmente, si escludano i
membri delle dinastie, così da impedire ogni restaurazione mediante il si­
stema plebiscitario. M a si ponga però il presidio del Reicb saldo sulle pro­
prie e democratiche fondamenta.
3. Solo l’elezione di un presidente del Reicb attraverso il popolo può
essere l’occasione e il motivo per una selezione dei capi e dunque per una
nuova organizzazione dei partiti, che superi il sistema, ancora in uso an­
che se del tutto decrepito, della direzione politica da parte dei notabili. Se
questo sistema sopravvìvesse, allora in un futuro prossim o la democrazia
polìtica ed economica progressista avrebbe i giorni contati. Le elezioni
hanno mostrato che in ogni dove ai vecchi politici di professione riesce,
contro la disposizione delle masse elettorali, di eliminare gli uomini che
godono del favore delle masse a vantaggio di fondi dì m agazzino politico.
L a conseguenza è stata un radicale allontanamento delle teste migliori dal­
la politica. Solo l’elezione popolare del più alto funzionario del Reicb può
risolvere la questione.
4. L’effetto del sistema proporzionale rafforza questa esigenza. Nelle
prossime elezioni apparirà evidente ciò che in queste si è mostrato solo in
germe: le associazioni di categoria (proprietari di case, diplomati, stipen­
diati fissi, «corporazioni» di ogni tipo) costringeranno semplicemente i
partiti a mettere ai vertici delle liste elettorali i loro (delle associazioni di ca­
tegoria) segretari stipendiati, al fine di procacciare voti. Il parlamento allo­
ra diventerà un organo corporativo all’interno del quale domineranno per­
sonalità tali per cui la politica nazionale è un’-E cub a»1, c che agiranno sot-

' Cfr. Shakespeare, Amleto, li, 2.

234
Il p re sid e n te del R eich

to il mandato «imperativo» dei gruppi economici: ci si troverà di fronte,


dunque, ad un parlamento di uomini gretti, incapace di essere, in un qual­
siasi senso, un luogo di selezione di capi politici. Q uesto dev’essere detto
chiaramente e senza giri di parole; insieme alla circostanza che il Consiglio
Federale, con le sue decisioni, vincola ampiamente il cancelliere del Rekh,
e questo vuol dire un’inevitabile limitazione del significato puramente po­
litico del parlamento in quanto tale, significato che esige necessariamente
un contrappeso che poggi sulla volontà democratica popolare.
5. Il particolarismo rende necessaria un’istituzione che rappresenti il
principio dell’unità del Reich. N o n sappiamo se lo sviluppo dei partiti re­
gionali proceda in questa direzione. L a propensione è verso il particolari­
smo2. Tutto ciò si ripercuoterà a lungo andare inevitabilmente sulla for­
m azione della maggioranza e sulla com posizione dei ministeri del Reich.
Il movimento elettorale, tramite la designazione di un presidente attra­
verso l’elezione popolare, costituisce un argine contro l’unilaterale cre­
scere a dismisura di tali tendenze, in quanto costringe i partiti ad organiz­
zarsi in tutto il territorio del Reich in modo unitario e ad intendersi - , co­
sì come il presidente del Reich eletto dal popolo funge da contrappeso, dal
punto di vista dell’unità del Rekh, al - purtroppo inevitabile —C onsiglio
Federale, senza tuttavia minacciare con la violenza i singoli Stati.
6. Prima, nello Stato autoritario, bisognava garantire l’intensificazione
della potenza della maggioranza parlamentare, di modo che alla fine il si­
gnificato e con esso il livello del parlamento potesse essere elevato. Oggi,
invece, la situazione è tale che tutti i progetti costituzionali si sono arena­
ti su di una superstiziosa fede da carbonaio circa l’infallibilità c l’onnipo­
tenza della maggioranza non del popolo naturalmente, ma del parlamen­
to: l’estremo opposto, altrettanto antidemocratico. Si limiti come si vuole
la potenza del presidente eletto dal popolo e si faccia sì che egli possa in­
tervenire nella macchina statale del Reich solo in casi di crisi momenta­
neamente irresolubili (attraverso un veto sospensivo e attraverso la nomi­
na di ministeri formati da funzionari) - e per quanto riguarda il resto so­
lo attraverso l’invocazione del referendum. M a gli si dia tramite l ’elezio­
ne popolare un terreno proprio sotto i piedi. Altrimenti ad ogni crisi parla­
mentare —e tale crisi, se ci saranno più di quattro o cinque partiti, non sarà
certamente una rarità - vacillerebbe l’intera costruzione del Rekh.
7. Solo un presidente del R ekh eletto d al popolo può giocare a Berli­
no, accanto ai vertici prussiani dello Stato, un ruolo non meramente tol­
lerato. L a quasi totalità del patronato delle cariche resterà presso i gover-

■’Allusione alla scissione nei confronti del partito del centro operata in Baviera in seguito agli
avvenimenti di novembre da circoli federalisti della Bayerkche Volksparici. La Bay eruche Volk-
spartei risultò il primo partito alle ele7.ìoni bavaresi del 12 gennaio 1919.

235
W eber, Scritti p o litic i

ni dei singoli Stati, dunque anche presso il vertice dello Stato prussiano,
soprattutto la nomina di tutti i funzionari amministrativi interni, i quali
vengono quotidianamente in contatto con il popolo, e probabilmente an­
che la nomina per lo meno dei gradi più bassi degli ufficiali. Perciò un
presidente del Reich che non fosse stato eletto da tutto il popolo gioche­
rebbe, di fronte ai vertici dello Stato prussiano, un ruolo addirittura mi­
serevole. C osì, in una forma molto pericolosa in quanto particolaristica
risorgerebbe la superpotenza della Prussia a Berlino, e quindi si espande­
rebbe in tutto il Reich.
E di per sé comprensibile che i parlamentari non si sottopongano vo­
lentieri al l’auto sacrificio consistente nel consegnare in mani altrui l’ele­
zione dell’organo più alto del Reich. Q uesto autosacrificio tuttavia deve
necessariamente avvenire, e il movimento finalizzato a ciò non si conce­
derà pause né avrà pace. Attenzione piuttosto a che la democrazia non
metta in mano ai propri nemici questa arma di agitazione contro il parla­
mento! C om e quei monarchi agirono nel modo non solo più nobile, ma
anche più assennato, quando al momento opportuno limitarono la pro­
pria potenza a vantaggio delle rappresentanze parlamentari, così il parla­
mento liberamente possa riconoscere la M agna Charta della democrazia:
il diritto dell’elezione diretta del capo. Il parlamento, se i ministri rimar­
ranno vincolati alla sua fiducia, non si pentirà di ciò. Infatti, il grande im­
pulso della vita democratica dei partiti, che cresce sulla scorta di queste
elezioni popolari, andrà a vantaggio anche del parlamento. Un presidente
del Reich eletto dal parlam ento attraverso determinate alleanze e coali­
zioni dipartito, con lo spostamento di queste alleanze è un uomo politica-
mente morto. Invece un presidente eletto dal popolo, capo dell’esecutivo,
capo dell’apparato di controllo amministrativo e detentore di un veto so ­
spensivo e della facoltà di sciogliere il parlamento, che abbia in aggiunta
la facoltà di indire una consultazione popolare, è il palladio deU’autentica
democrazia, che non significa abbandono impotente a combriccole, ben­
sì sottomissione a capi che essa ha eletto da sé.

236
x ii. Considerazioni oggettive {a quel che si dice «politiche»)
del 19 gennaio

1920
Nel gennaio 1920 in conseguenza del processo contro il conte Anton Arco-Valley
(1897-1945, ufficiale bavarese), che il 21 febbraio 1919 aveva uccìso il primo ministro delia
Baviera, nonché capo del movimento rivoluzionario bavarese, Kurt Eisner (1867-1919, po­
litico socialista e giornalista), nell’Università di Monaco si accesero tra gli studenti violente
discussioni. Il 16 gennaio il tribunale aveva condannato Arco alla pena capitale, ma già il 17
si cominciò a parlare della possibilità di una grazia. Sempre il 17 gennaio ebbe luogo ncl-
VAuditorium Maximum dell’Università di Monaco un’assemblea in cui la maggioranza de­
gli studenti si schierò in favore della grazia e decise di inoltrare alle autorità competenti no­
tìzia di tale risoluzione (cfr. l’articolo apparso sul n. 88 della «Frankfurter Zeitung» del 3 feb­
braio 1920, prima edizione del mattino: Zum Konfhkt Max Webers mit der Studentenschaft).
Quanto accadde in quella turbolenta assemblea studentesca è all’origine dello scritto
webcriano che qui viene tradotto. Weber temeva che questo assassinio politico avrebbe po­
tuto far scuola se trattato con troppa indulgenza, e per questo ritenne doveroso interveni­
re, cosa che fece all'inizio della lezione del 19 gennaio 1920. (Di questo intervento rimane
solo una stesura stenografica di autore sconosciuto che, rivista e corretta da Marianne We­
ber, si trovava nel Zentrales Staatsarcbiv der DDR Merseburg, Repertoriuni 92, NachlaB
Max Weber, n. 30/5, foglio 11 sgg.).
Questo gesto scatenò tumultuose proteste da parte degli studenti nazionalisti che co­
strinsero Weber ad interrompere il corso. Per comprendere meglio l’atmosfera dell’epoca è
interessante sapere quel che un partecipante confidò a Weber il giorno seguente. Weber era
dì fatto considerato dagli studenti nazionalisti un ebreo e «l’intera gazzarra sarebbe sem­
plicemente (o anche) un mezzo per “disgustare fino a costringere ad andarsene” dall’Uni­
versità i professori ebrei» (lettera di Richard Horlacher a Max Weber del 22 gennaio 1920,
duplicato di copia, Zentrales Staatsarcbiv cit., n. 30/10).
Il manoscritto originale dì Weber è stato conservato nel Zentrales Staatsarcbiv cit-, n.
30/5, foglio 9 con il titolo «Sacbliche (angeblich: “poli tisehe”) Bemerkungen am 19.1», ed
è ora riprodotto nella Max Weber Gesamtausgabe cit., Abt. i, Bd. 16, p, 273.
Il conte Arco fu dapprima condannato all’ergastolo e poi nel 1927 definitivamente gra­
ziato. Nel marzo 1933 venne accusato dì aver progettato un attentato contro Hitler. Fu ar­
restato e internato temporaneamente in un Lager. Morì nel 1945.
SCRITTI POLITICI

Poiché dovevo in generale parlare dei fatti avvenuti, L oro hanno il dirit­
to di esigere nell’attuale circostanza una esplicita c franca messa in chiaro del
mio pensiero. Il conte Arco ha agito senza dubbio spinto dal sentimento del
grande disonore che l’uomo contro il quale egli si è volto ha gettato su di
noi. Egli di fronte al tribunale si è comportato in modo irreprensibile. N o ­
nostante ciò, finché vale la legge vigente, è una grave debolezza graziarlo, e
io come ministro lo avrei fatto fucilare. Q u elio che succederà ora - se, corri è
probabile, gli verrà confermata la grazia - è chiaro. La sua pietra tombale
avrebbe definitivamente esorcizzato lo spettro sempre ritornante di Kurt
Eisner. Adesso questo Eisner continuerà a vivere come «martire». E Loro?
Che cosa faranno del conte Arco attraverso queste manifestazioni? Non il­
ludetevi: un’attrazione da caffè. Io avrei sperato per lui qualcosa di meglio.
Qualunque cosa L oro pensino al riguardo, resta però un fatto contro
cui mi devo ribellare in ogni caso. E stato detto: «I nostri camerati delle for­
ze armate del Reich, reparto...1, si erano dichiarati - cosa che (soltanto) ades­
so (!) posso dire - solidali con noi». Signori miei! Questi non sono «con­
giurati» che mi possano impressionare; la loro vanita, infatti, è talmente
grande da costringerli a spiattellare pubblicamente queste cose per racco­
gliere un applauso! Sul fatto in sé non vai la pena di sprecare neppure una
parola. Ma voglio dire Loro questo: affinché la Germania possa tornare al­
la sua antica magnificenza io - se fossi ancora in politica - mi alleerei senza
dubbio con ogni potenza della terra e anche col diavolo in persona. Ma so­
lo con una potenza non scenderei mai a patti: la potenza della stupidità.
Il fatto che io, come sapete, non faccia più politica, è determinato dal­
l’impossibilità dì perseguire un’autentica politica tedesca fintantoché de­
gli stolti, siano essi di destra o di sinistra, potranno aggirarsi a pieno tito­
lo nell’ambito politico.

' Così nell'originale.

239
j

1
xm . La nazione

da Economìa e società
Il testo «Die Nation » venne pubblicato postumo a cura della moglie Marianne come
paragrafo quinto del capitolo vili della seconda parte di Economia e società. La traduzio­
ne c stata condotta sul testo: Max Weber, Wirtschaft und Gesellschaft. Grundnss der ver­
stebcnden Saziatogli’ (Mìt einem Anbang.■Die nitionalen and sozinloguchen Grundlagen
der Musik), vierte, neu herausgegebenc Auflage, bcsorgt von Johannes Winckelrnann, J.
C. B. Mohr (Paul Siebeck), Tiibingen 1956, pp. 527-30. Esso sì riallaccia direttamente al­
l’ultima frase del paragrafo precedente, di cui diamo per questo la traduzione.
SCRITTI POLITICI

I «m onarchi» devono temere una guerra perduta per il loro trono, e


i detentori della potenza e gli interessati ad una «C ostituzion e» repub­
blicana devono, al contrario, temere un «generale» vittorioso; la m ag­
gioranza dei borghesi possidenti deve temere perdite economiche come
conseguenza del ristagno del lavoro produttivo; lo strato dei notabili
dom inanti deve in certe circostanze temere un rivolgim ento violento di
potenza a favore dei non possidenti, come risultato della disorgan izza­
zione conseguente a una disfatta. Invece le «m asse» in quanto tali, al­
meno nella loro rappresentanza soggettiva, non devono temere di per­
dere direttam ente nulla di concreto - salvo, nella peggiore delle ipote­
si, la vita stessa; ma questo è un rìschio il cui apprezzam ento e la cui in­
fluenza rappresentano, proprio nella valutazione delle masse, una gran­
dezza fortemente variabile, che può essere con facilità influenzata em o­
tivamente e ridotta a zero.

L a nazione.

Il pathos di questa influenza emotiva non è, però, nella sua essenza


di origine econom ica, ma si basa su un sentimento di prestigio che ne­
gli organism i politici che vantano una ricca storia di potenza è profon ­
damente radicato nelle m asse piccolo borghesi. L’attaccamento al pre­
stigio politico si può coniugare con la fede specifica in una responsabi­
lità di fronte alle generazioni future - responsabilità che c propria del­
la grande potenza in quanto tale —relativamente alla distribuzione di
potenza c di prestigio tra la singola comunità politica e quelle stranie­
re. È ovvio che dappertutto i gruppi i quali, nell’am bito di una com u­
nità politica detengono il potere di determinare l’agire della comunità,

243
Weber, Scritti p olìtici

siano imbevuti in m assim o grado di questo pathos ideale del prestigio


di potenza e siano i sostenitori specifici e più fidati di un’idea di «Sta­
to» quale form azione di potenza imperialistica che richiede una dedi­
zione incondizionata. A loro sostegno, oltre che gli interessi im periali­
stici materiali immediati già ricordati, si schierano gli interessi materia­
li parzialmente indiretti come gli interessi ideali delle cerehie che nel­
l’ am bito di un organism o politico risultano avvantaggiati dalla sua stes­
sa esistenza. SÌ tratta dei gruppi che si sentono specificamente «co m ­
partecipi» di una specifica «cultura», la quale è diffusa nelle cerehie di
una form azione politica. Tuttavia il nudo prestigio della «potenza»,
sotto l’influsso di questi circoli, si trasform a inevitabilmente in altre
specifiche forme, e in m odo particolare nell’idea di «nazione».
«N azion e» è un concetto che, se in generale può essere definito uni­
vocamente, non lo si può tuttavia definire sulla base di qualità em piri­
che comuni a coloro che ne sono parte. Innanzitutto, questo concetto
indubbiamente significa, per coloro che di volta in volta lo usano, che
da determinati gruppi di uomini sì deve esigere uno specifico senti­
mento di solidarietà nei confronti di altri gruppi; dunque questo con­
cetto appartiene alia sfera dei valori. Eppure non vi è concordanza né
su come quei gruppi siano da delimitare, né su quale agire com unitario
debba risultare da quella solidarietà. N e ll’uso linguistico corrente, il
termine «nazione» non è prima di tutto inteso come uguale a «popolo
di uno Stato», vale a dire all’appartenenza ad una com unità politica. In­
fatti numerose com unità politiche (ad esem pio l’A u stria)1com prendo­
no gruppi di uomini che sottolineano enfaticamente l’indipendenza
della loro «nazione» contro altri gruppi, oppure (sem pre come in A u ­
stria) partì di un gruppo dì uomini considerate, da chi vi è com preso,
«nazione» unitaria. Inoltre non è uguale a comunità linguistica, poiché
questa non sempre è sufficiente (com e nel caso di serbi e croati, ameri­
cani, irlandesi ed inglesi), c d ’altro lato non sembra incondizionata­
mente necessaria (si trova l’espressione «nazione svizzera» accanto a
«popolo svizzero» anche in atti ufficiali); alcune comunità linguistiche
non si sentono «nazione» separata (così, per lo meno fino a poco tem ­
po fa, i russi bianchi). Tuttavia la pretesa di essere considerati una «na­
zione» particolare è solita unirsi con una certa regolarità al patrimonio
culturale di massa della com unità linguistica (così accade prevalente­
mente nel classico paese delle battaglie linguistiche, l’Austria, e altret­
tanto in Russia e nella Prussia orientale), ma il fenom eno può verificar­
si con un’intensità m olto diversa (ad esem pio in maniera molto lim ita­
ta in America e in Canada). Ma, allo stesso m odo, può essere rifiutata

1Weber intende l’Austria prima del 1918.

244
L a n azio n e

l ’appartenenza «nazionale» anche a mem bri della stessa com unità lin­
guistica, in quanto l’appartenenza nazionale può essere collegata a dif­
ferenze proprie dell’altro grande «patrim onio culturale dì m assa», e
cioè la confessione religiosa (così nel caso di serbi e croati), oppure a
differenze della struttura sociale e dei costum i, dunque ad elementi «et­
nici» (così nel caso degli svizzeri tedeschi e degli alsaziani nei confron­
ti dei tedeschi del Reich, o degli irlandesi nei confronti degli inglesi),
oppure soprattutto a ricordi dì com unanza di destino politico con altre
nazioni (nel caso degli alsaziani con i francesi dall’epoca della guerra ri­
voluzionaria, che è la loro comune età degli croi, o nel caso dei baltici
con i russi, ì cui destini essi hanno co de ter mi nato). C he poi l’apparte­
nenza «nazionale» non debba poggiare su una reale com unità di san­
gue, è assolutam ente evidente; ovunque, infatti, proprio i «nazionalisti»
più radicali sono spesso di origine straniera. Inoltre, la com unanza di
un tipo antropologico specifico non è certo indifferente, ma neppure
necessaria e sufficiente per fondare una «nazione». Se tuttavia l’idea di
«nazione» racchiude volentieri l’idea della com unanza di orìgine e di
una som iglianza di natura (di contenuto indeterminato), tutto ciò è
condiviso - com e abbiam o visto - dal sentimento di com unanza «etni­
ca», il quale viene alimentato da sorgenti diverse. Ma il solo sentimen­
to di com unanza etnica non costituisce ancora la «nazione». Senza
dubbio anche ì russi bianchi hanno sempre avuto, rispetto ai grandi
russi, un sentimento di appartenenza «etnica», ma difficilmente ora es­
si am birebbero ad attribuirsi il predicato di «nazione» particolare. F i­
no a non m olto tem po fa, l’idea di un sentimento di appartenenza alla
«nazione polacca» era totalmente assente presso i polacchi dell’alta Sle­
sia; essi certo si sentivano una com unità «etnica» particolare nei con­
fronti dei tedeschi, eppure erano sudditi prussiani e nìent’altro. L a p o s­
sibilità di caratterizzare gli ebrei come una «nazione», è un problem a
antico; per lo più, anche se in m odi e misure diverse, la m assa degli
ebrei russi risponderebbe negativamente proprio come gli ebrei ameri­
cani ed europei occidentali che si stanno assim ilando, i sionisti, e i p o ­
poli che li accolgono - in questo caso, in m odo estremamente diverso -
ad esem pio i russi da un lato e gli americani dall’altro (per lo meno da
coloro che ancora oggi si attengono - come si è espresso un presidente
am ericano in uno scrìtto ufficiale - alla «som iglianza dì natura» fra il ti­
po americano e quello ebreo). E gli alsaziani di lingua tedesca, i quali
rifiutano l’appartenenza alla «nazione» tedesca e curano il ricordo del­
la com unità politica con la Francia, non si annoverano affatto per que­
sto tra la «nazione» francese. I negri degli Stati Uniti si annovereranno,
al m om ento per Io meno, tra la «n azione» americana, ma difficilmente
verranno mai ascritti ad essa dai bianchi degli Stati del Sud. Ai cinesi,

245
Weber, Scritti p olitici

ancora quindici anni fa, buoni conoscitori delPOriente negavano la


qualità di «nazione», in quanto essi sarebbero da considerare soltanto
una «razza»; oggi il giudizio non solo della classe politica dirigente ci­
nese, ma anche degli stessi osservatori suonerebbe diverso; in tal m odo
si m ostra che un gruppo di uomini può «conseguire», oppure può pre­
tenderla come «conquista», la qualità di «nazione» in determinate cir­
costanze e attraverso uno specifico com portam ento, e questo entro
brevi periodi di tempo. E d ’altro canto si trovano gruppi di uomini i
quali vedono com e una «conquista» non solo l’indifferenza nei con­
fronti della nazionalità, ma anche direttamente il rigetto dell’apparte­
nenza ad una singola «nazione»; attualmente, sono soprattutto alcuni
strati dirigenti del movimento di classe del m oderno proletariato a p o r­
tare avanti questa concezione, con un risultato - m olto diverso a se­
conda dell’appartenenza politica e linguistica e anche a seconda degli
strati del proletariato - che al m om ento sembra piuttosto in calo. Tra
l ’affermazione enfatica, il rifiuto enfatico e infine la com pleta indiffe­
renza nei confronti dell’idea di «nazione» (com e all’incirca la potreb­
bero avere t! lussemburghese o quei popoli nazìonalisticamente non
«ridestati»), sta una scala senza soluzione di continuità dì un atteggia­
mento molto differente e altamente mutevole nei suoi confronti da par­
te delle cerehie sociali anche all’interno dei singoli gruppi, ai quali l’u­
so linguistico assegna la qualità di «n azion i». Strati feudali, strati di
funzionari, «borghesia» attiva delle più diverse categorie, strati «intel­
lettuali» non si com portano da questo punto di vista né in m odo
uniform e né storicamente conseguente. N o n solo i motivi sui quali vie­
ne radicata la fede di rappresentare una «n azion e» autonom a, ma anche
quel com portam ento empirico che nella realtà segue dall’appartenenza
o dalla non appartenenza ad una «nazione», sono qualitativamente as­
sai diversi. Il «sentim ento nazionale» del tedesco, dell’inglese, dell’a­
mericano, dello spagnolo, del francese, del russo non funziona nello
stesso modo. C osì - per scegliere la situazione più semplice - accade in
relazione al gruppo politico, con il cui am bito em pirico può cadere in
contraddizione l’«idea» della «nazione». Q uesta contraddizione può
avere conseguenze m olto diverse. G li italiani appartenenti al gruppo
statale austriaco com batterebbero certo solo se costretti contro truppe
italiane; e gran parte dei tedeschi austriaci com batterebbe solo con
estrema riluttanza e senza offrire alcuna garanzia contro la Germ ania;
mentre tra i tedeschi americani anche coloro che più tengono in consi­
derazione la loro «nazionalità» com batterebbero incondizionatamente,
qualora se ne presentasse l’occasione - anche se mal volentieri - , con­
tro la Germania; i polacchi del gruppo statale tedesco com batterebbe­
ro di certo contro un esercito russo-polacco, assai difficilmente contro


L a n azio n e

un esercito autonomo polacco; i serbi austriaci com batterebbero con­


tro la Serbia con sentimenti m olto divisi c solo nella speranza di rag­
giungere una comune autonom ia; i polacchi russi com batterebbero più
fidatam ente contro un esercito tedesco piuttosto che contro un eserci­
to austriaco. Il fatto che all’interno della stessa «nazione» l’intensità del
sentimento di solidarietà verso l’esterno risulti assai diversa e m utevo­
le appartiene ai fatti storici più noti. N el com plesso c aumentata, anche
dove i contrasti interni di interesse non sono diminuiti. L a K reuzzei-
tung invocava ancora sessantan ni fa l’intervento dello zar dì R u ssia in
questioni interne a! tedeschi, cosa che oggi sarebbe inconcepibile n o­
nostante i contrasti di classe. A d ogni m odo le differenze sono molto
significative e fluide, e similmente in tutti gli altri settori la dom anda
circa quali conseguenze un gruppo di uomini è pronto a trarre, per lo
sviluppo di uno specifico agire com unitario, dal diffuso «sentimento
nazionale», presente in loro con un pathos ancora enfaticamente e so g ­
gettivamente sincero, trova risposte fondamentalmente diverse. L a m i­
sura nella quale un «costum e» —o, più correttamente, una convenzio­
ne —venga mantenuto nella diaspora in quanto «nazionale», è tanto di­
versa quanto lo è il significato della com unanza di convenzioni per la
fede neìl’esistenza di una «nazione» a sé. U n a casìstica sociologica d o ­
vrebbe, nei confronti del concetto di valore empiricamente assoluta­
mente am biguo rappresentato dall’«idea di nazione», sviluppare un’a­
nalisi di tutti i singoli tipi di sentimenti, di com unanza e di solidarietà
al fine di determinare le condizioni in cu! essi sì danno c le conseguen­
ze che provocano nei riguardi dell’agire com unitario dei partecipanti.
Q u est’analisi non può essere tentata qui. Possiam o invece vedere un
p o ’ più da vicino un altro aspetto, e cioè il fatto che l’idea dì «nazione»,
nei suoi latori, sta in relazioni molto intime con gli interessi di «presti­
gio». N elle sue prime e più energiche m anifestazioni, l’idea di nazione
ha presupposto - in una form a qualunque, sia pure mascherata - la leg­
genda di una «missione» provvidenziale, la quale fu assunta da coloro
ai quali si rivolgeva ì\pathos di essere i suoi rappresentanti, e inoltre che
la rappresentazione di questa m issione fosse resa possibile proprio ed
esclusivamente attraverso la cura della particolarità individuale del
gruppo distinto come «nazione». Q uesta missione - in quanto cerca di
giustificare se stessa attraverso il valore del proprio contenuto - viene
conseguentemente rappresentata solo come una specifica m issione di
«civiltà». L a superiorità o com unque l’insostituibilità dei «beni cultu­
rali» da sviluppare e conservare solo mediante la cura della peculiarità
è ciò a cui è ancorata l’ im portanza della «nazione»; ed è perciò eviden­
te che, come i potenti nella comunità politica provocano l ’idea di Sta­
to, così quelli che all’interno di una «com unità culturale» - e cioè un

247
W eber, Scritti p o litic i

gruppo di uomini ai quali, in forza della loro particolarità, son o acces­


sibili in m odo specifico determinate prestazioni stimate come «beni
culturali» - sono predestinati in m isura specifica a propagare l’idea
«nazionale», gli «intellettuali» cioè, come noi lì abbiam o precedente-
mente chiamati, usurpino la funzione direttiva. A llora, infatti, quando
quei portatori di civiltà2...

c w r w Bt K in n 8 ut « i n a
mi*muntesi
" WGIWiso ^ '

1Qui si interrompe ii capitolo. Alcune note sul foglio manoscritto mostrano che esso avrebbe
dovuto procedere all’analisi del concetto c dello sviluppo dello Stato nazionale in tutte le epoche
storiche. A margine del foglio si trova la seguente considerazione; «Prestìgio culturale e prestigio
dì potenza sono strettamente legati. Ogni guerra vittoriosa promuove 11prestigio culturale (Ger­
mania, Giappone e cosi via). Se poi la guerra torni a vantaggio dello “sviluppo della civiltà" è un’al­
tra questione, che non si può risolvere “avalutatìvamcnte”, né in maniera univoca (la Germania do­
po il 18701), li neppure secondo segni distintivi coghbdi empiricamente: l’arte e la letteratura che
esprimono la schietta peculiarità tedesca non sono sorte nel centro politico della Germania».

248
SCRITTI POLITICI

Indice dei nomi e degli argomenti"'

Accademia militare, 103 primaria, 209 e n


action directe, 125 referendum, 160
adattamento, capacità di, 8,12,13 selfmade-man, 98
addestramento, 13n senatori, 209, 210
Adams, John Quincy, 208n università, 108
Afrodite, 224 amministrazione, 20, 160-164
agire, 224 americana, 98
comunitario, 247 burocratica, 85
orientato eticamente, 222 centrale, 151
politico, 177, 211, 218,219, 228 politica, 182
Althoff, Friedrich, 192 e n regole di, 164
Alsazia, 141 Ammon, Otto, 13n
Alsazia-Lorena, 135n anarchia, 178
ambizione sociale, 48 della produzione, 111, 114
Amburgo, 69, 147n aiutarsi da sé (Selbsthìlfe), 18 e n
America, Stati Uniti d’, 61, 109, 14In, aiuto da parte dello Stato (Staatshilfe\ 18 e n
142, 155, 173, 191,212, 246 Anschiitz, Gerhard, 232
Camera dei Rappresentanti, 208,209 Apollo, 224
Civil Service Reform, 188 e n, 212 apparato,
comunità linguistica, 244-245 coercitivo statale, 61
Costituzione, 148-149 dì partito, tipi di, 214
democrazia, 80, 95-98, 106, 139,211 umano, 226
dittatore cittadino plebiscitario, 215 appartenenza nazionale, 245
elezione del presidente, 209 Arco-Vallcy, Anton, 238-239
elezione popolare dei funzionari, 163 cn Argentina, 91
elezioni del 1824, 208n aristocrazia, 68-69, 71-72, 74, 78, 79, 89-
elezioni del 1828, 208n 91, 181, 193,201
europeizzazìone dell’, 109 in America, 95, 96, 98
National Conventions, 209 e n operaia, 26
nomination, 209 tedesca, 69
organizzazione dei partiti, 208-212 Arizona, 141 n
partiti, 187-188,209-214 aritmetica elettorale, 63, 83

* La redazione dell’indice dei nomi e degli argomenti è stata curata da Ilarìa Tani.

249
Weber, Scritti p olitici

Arjtma, 225 «Berliner Tageblatt», 90, 92


Arthashastra di Kautilya, 225 Berlino, 4, 23, 69, 78, 90, 141, 142, 141
Asia orientale, 193 150, 153, 161, 171, 187,235, 236
assemblea degli azionisti, 192 Bernstein, Eduard, 45
Assemblea Nazionale, 132, 137n, 167, Bèze, Théodore de, 194n
232, 233 Bhagavadgita, 225
assicurazione contro gli infortuni (nelle bilancio preventivo, 63, 86
cooperative di lavoro), 52 Birmingham, 206 e n
Assisi, 227 Bismarck, Otto von, 4, 14 e n, 23n, 24i
Associazione centrale degli industriali, 57 45 e n, 46, 69, 77, 78, 134 e n, 191
associazione/ associazioni, bolscevico,
dei datori di lavoro, 57 esperimento, 128
di categoria, 234 governo, 127
per ceti, 181 potere dei bolsceviche 130
politiche, 200 bolscevismo, 138, 200, 223
studentesche, 75-76 e n, 78, 79, 80, 91, borghese/borghesi, 243
92, 93, 122 classi, 26
convenzioni delle, 81 piccolo,
assolutismo del principe, 189 concezione, 234
Atene, 196 masse, 243
Australia, 161 strati, 50
Austria, 40, 56, 139, 142, 146, 147, 155, vigliaccheria del, 59
158n, 166, 244 e n società, 120, 128, 130
autocefalia, borghesia, 24, 25, 27, 118, 137, 139, 140
dei singoli Stati, 152, 161, 163, 164 143, 167, 173, 174,243
della Baviera e del Wiìrttemberg, 164 progressista, 170
autocrazia, 190 tedesca, 23-24, 25
su base democratica, 232 piccola, 25, 26, 61, 68, 76, 201, 204
autodeterminazione, 128 vigliaccheria della, 45
avvocati, 70-71, 84, 195, 197 boss americano, 187, 203, 210,2 U
aziende pubbliche, 120 Boyen, Hermann von, 78
Brema, 147n
Baden, 85, 134, 135n, 137, 165n, 188, Brest-Litovsk, 178
ballottaggio {Ballotage), 98 e n trattative di pace di, 90, 127-128
Baltico, 140 c n Briey, 140
bancarotta, 145 Brunilde, 33
banche, vedi anche statalizzazione, 50,116 Biilow, Bernhard von, 135n
banchieri, 65 Bulygin, Alexander G-, 56
Barclay, William, 194n Bundesmt, vedi anche Consiglio federa­
Bassermann, Ernst, 140n le, 93, 136, 232
Battisti, 97 Bundestag, 45n
Baumer, Gcrtrud, 38 Burckhardt, Jacob, 39 e n
Baumgarten, Eduard, 90 burocrate, 34
Baviera, 135n, 139,146, 149,162,165 e n, burocratizzazione, 32-34, 92, 123, 144,
166, 219n, 235n 194, 204
autocefalia della, 164, generale, 188
Bayeriscke Volkspanei, 235n prospettive sociali e politiche della, 33
Bcbel, August Friedrich, 213 e n universale, 109
Belgio, 116, 140n, 141 burocrazia, 29-35, 52-53, 65, 66, 70, 72,
Bcrgmann, Eugcn von, 6n 76, 78, 79,84, 109, 116
«Berliner Bòrsenzeitung», 232 capkalistico-privata, 53

250
In d ice dei n om i e d e gli argom en ti

di partito, 73 politico (Fìibrer), 192, 196, 198


dominio della, 45-46 come libero demagogo, 180
economi co-privata, 119 plebiscitari, 214
egiziana, 32 Caprivi, Leo von, 4 , 14n
gerarchia della, 32 Carducci, Giosue, 68
spirito della, 33 carisma,
statale, reclutamento della, 23 del capo (Fìibrer), 179
tedesca, 34, 35 della vita santa, 225
Carlo V, 189
cahiers de doléances, 195 cartellizzazione, 115, 120, 123
calcolabilità, 32 cartel lo/carte Ili, 65,116, 119, 122
Calhoun, John Caldwell, 208 casta/caste, 225
calvinismo, 226 convenzioni di, 80
Camera/ Camere, di paria, 197
Alta, 57-59, 60, 93n, 157 guerriera, 225
degli Stati (Szaatenhaus), 149-154,156- sistema delle, 224
158, 160,165, 166 catastrofe, teoria della, 122-123
dei Cantoni, 149 cattolici, 7,10 c n
dei Deputati, 93n cattolicesimo, 10
dei Rappresentanti, 208, 209 caitats, vedi sistema
dei Signori, 58-59, 83, 93 Central Nonconformist Committec, 206n
dell’agricoltura, 57 Cesare, nostalgia di un nuovo, 24
dell'artigianato, 57 cesarismo, vedi anche plebiscitario, 86
del lavoro, 57 ccto/ceti, 47, 48
del Popolo (Volksbaus), vedi anche burocratico, 120
Reìcbstag, 148, 149, 150-154, 156-158 contadino, 119
delle tre classi, 93 di funzionari, 163
di commercio, 57, 59 gerarchia di, 224
provinciali, 149 medio borghese, 75
sindacali, italiane, 69 politicamente egemone, 83
campagna elettorale, 202 Chambertain, Joseph, 206 e n, 207
Canada, 161, 245 Chiesa, 27 e n, 194n
Cancelliere de) Reich, 157, 235 anglicana, 2C6n
candidatura alla conduzione politica, 22 di Stato, 162
Canovas de CastìIIo, Antonio, 187n Cina buddista, 192
capacità contributiva monetaria, 144 Cipro, 112
capitale, 26,118, 129 circoscrizioni catastali, 7, 9
acquisitivo dell’imprenditore, 50 città, 23, 184, 202
finanziano, 50, 119 dell’Hansa, 81
straniero, 172 medievali, 200
capitalismo, 52-54, 69 -Stato, 180
agricolo, 5n cittadino, 64, 66
di guadagno, 50 civilizzazione, 68
di rapina, 53 da caffè, 82
capitalistici, circoli, 210 civiltà,
capo/capi, 192, 226, 227 missione di, 247
carismatico, 183 sviluppo della, 248n
di gabinetto, 190 classe/classi, 47
idealismo dei, 172 borghese/borghesi, 23, 26
partito (parlamentare), 180,190,197,201 media, 51
personalità del, 2D3 dei lavoratori, 25

251
W eber, Scritti p olitici

di commercianti industriali, 12 Consiglio Federale, 147-149, 151, 153,


operaia, 26, 125 156-158, 165, 166,215, 233, 235
tedesca, 25 svizzero, 153
politica dirigente, 23 Consiglio ristretto, 184n
Cleone, 196 consilia evangelica, 225 e n
Cobden, Richard, 208 constìtmd authority, 167
codice d’onore, 79 contadino/contadini, 8-11,128,129
collegio di governo, 157, 158, 165 Federazione dei, 57
Collegium poetar um, 193n strati, 50
collegi elettorali, 201 conteggio dei voti, 63
colonie slave, 14 contenance, educazione orientata alla, 68
colonizzazione, I5n Convenzione, 25, 26
contadina, 14 cooperative, 145
colpa, 219, 221 corporazione/coiporazioni, 62, 213, 234
colpo di Stato, 136, 138 formate secondo il ceto e la professio­
in Russia de) 1905, 50 ne, 57
Comitato Democratico, 170 elettorali, 54, 55, 56
Commissione per l’insediamento, 15n corpi elettorali politici, 55
Compagnia delle Indie Orientali, 112 corpi militari, 105
compromesso, 62-63,159 corruzione, 86
comunalizzazione, 34
Costituente, 137, 138, 140, 142, 173
comunanza,
Costituzione, 135, 138, 142, 147 e n, 156,
di destino politico, 245
160, 162, 166, 187, 188,210
di origine, 245
di tipo antropologico, 245 americana, 148
etnica, sentimento di, 245 canadese, 153
comune rurale, 7 del Consiglio Federale, 153
comuniSmo agrario, 127, 129 della Camera degli Stati, 153
comunità, del Reich, 4, 147n, 232-233
agire della, 243 del 1849, 149
corporative, 61 del 1867-1871, 149
di sangue, 245 federalistica, 166
etnica, 245 repubblicana, 243
libere, 184 russa del 1905, 50
politica, 243 svizzera, 148, 153, 157
Conciliarismo, 194 e n credito straniero, 167, 173
concorrenza (fra Imprenditori), vedi an­ crisi di Stato, 58
che anarchia di produzione, 113-114, cristianesimo, 42
118, 119, 120, 123 cultura estetica (Geschmackskultur), 68-69
confessione religiosa, 245 Cumbcrland, Wilhelm August von, 108n
e nazionalità, 9 curia regis, 184 e n
confine orientale, chiusura dei, 14 e n, Curlandia, 135n
20
conflitto costituzionale prussiano, 136n Danimarca, 85
Congress of Arts and Science, % Dante Alighieri, 16n
congresso generale di partito, 203 dare soddisfazione, capacità di, 79-80, 92
consapevolezza economica, 25 Darwin, Charles Robert, 13n
Consigli delle ferrovie, 57 decreto imperiale dell’l l luglio 1917, 44
consigli locali, 172 Delaware, 149
consiglio, Delbriick, Hans, 15n
di amministrazione, 192 demagogia, 92-93
di Stato, 59, 190 degli ammiragli, 135

252
In d ice dei n om i e degli argom en ti

dì massa, 85, Dioniso, 224


elettorale, 173 dipendenza feudale, rapporto di, 11
gladstoniana, 206 diplomazia (come arte), 189
moderna, 196 direzione,
demagogo/demagoghi, 64, 83, 196, 197, dei notabili, 234
208,217 dei partiti, 208
come homo novus, 204 di uno Stato o di un partito, 186
pangermanisti, 93 politica, aspirazione alla, 25
democratici, vedi anche partito, 84 dirigenti, 49
Demokraùscher Verein, 170 democratici, 68
democratizzazione, 69, 79-81, 84, 87, diritti politici, 62, 67
126, 134, 203 privazione dei, 66n
della Germania, 89-93 diritto,
del sistema (o diritto) elettorale, 99,206 alla determinazione comune, 66
democrazìa, 50, 67-69, 78, 82, 85, 106, canonico, 194n
129, 139, 146,156,163, 203,214 costituzionale, 148
americana, 80,95-99,107,109,191,211 di indire un referendum, 154
antica, 196 di pensione, 212
autentica, 84,138 di resistenza, 194n
borghese, 173, 174 di scioglimento del parlamento, 154 e n
delle cifre, 64 di voto, 66 e n, 67n
diretta, 84 della maggioranza, 61
ni Germania, 43-87 della minoranza, 61
occidentale, 140 della corona, 58
perìcoli della, 59 d’inchiesta (del parlamento), 85
politica ed economica progressista, 234 di stilare il bilancio preventivo, 58
plebiscitaria, 203 elettorale, 69, 203
prussiana, 142 a suffragio universale, 46
socialista, 173, 174 naturale religioso, 225
radicale, 46 relazioni di, 18
senza parlamentarismo, 85 romano, 194 e n
svizzera, 106 disciplina, 111, 113
vecchia, 108 di lavoro, 113
viltà nei confronti della, 52 gerarchica burocratica, 86
Dernburg, Bernhard, 141n disoccupati, 118
destino politico, vedi comunanza di disparità,
desiino storico, 98 economica, 66
Deutsche Demokratische Partei, 137n, 174n sociali, 64
Deutsche Volkspartei, I37n, 174n dispotismo sultanìco, 182
dharma, 224, 225 Disraeli, Benjamin, 207
«Die Frau. Monatschrift ftir das gesamte Distretto poderale, 7, 9, lOn
Frauenleben unserer Zeit», 38 distribuzione dei beni, problema della, 16
Dieta prussiana, 47 dittatore, 206, 234
Dietz, Eduard, 188n di piazza, 214
difesa militare straniera, 172 dittatura, 159, 208
differenze razziali, 6 del proletariato, 117,119,124, 127, 173
dignità, 219 di piazza, 214
dinastia/ dinastie, 137,138, 155, 190 delle masse, 233
austriaca, 134 politico-militare, 85, 127
prussiano-tedesca, 135, 136 rivoluzionaria, 136
Dio cristiano, 227 temporanea, 136

253
Weber, Scritti p o litic i

divisione dei poteri, 210 Eigenbrodt, August, 93n


dominio, Eìsner, Kurt, 144,167n, 172n, 174n,219n,
carismatico, 179 238-239
dei funzionari», 1%, 213 Elba, 74, 147
della cricca, 214-215 elementi etnici, 245
dell 'uomo sull’uomo, 117, 123, 178- elezione,
179 del primo cittadino, 163
in forza della legalità, 179 diretta del capo, 236
normanno, 188 del capo dello Stato, 85
patriarcale e patrimoniale, 181-182 parlamentare (del presidente), 62, 149,
personale, 189 157
politico, 180 popolare del presidente, 155, 157, 232,
straniero, 167, 174 234, 235
temporale della Chiesa, 227 dei funzionari, 163
tradizionale, 179 diretta su base regionale, 149-151
turco, 189 con sistema proporzionale, 157
violento, 181 regionale della Camera degli Stati, 156
Dostoevskij, Fèdor, 223 presidenziale plebiscitaria, 159
dovere, elezioni, 200
davanti alla storia e ai posteri, 40 nel territori coloniali spagnoli, 187-188
delta verità, 221 eloquenza, 68
etico, 221 emarginazione economica, 10
Dresda, 187 emigrazione, 11
Duma russa, 56 Engels, Friedrich, 116, 118
Duplessis-Momay, Philippe, 194n Era, 224
esercito,
Ebert, Friedrich, 132, 232 Costituzione ufficiale del contingenta­
ecclesia, 196 mento dell’, 164
economia, imperiai-regio, 102-103
borghese, 223 parlamentare, 136
capitalistica, 60 espansione oltremare, 25
cattolica, 225 esperimenti elettorali corporativo-pro-
collettiva (o collettivistica), 52,65,114,146 fessìonali, 56
corporativa, 55 espropriazione, processo politico di, 182
della solidarietà, 52 ethos, 53
di cooperativa, 52 capitalistico, 54
di guerra, 53, 54, 65, 86, 112,144-145 della politica, 218
di imprenditori, 145 etica, 34,218-225
di pace, 86 acosmica dell’amore, 221 e n
di transizione, 51 assoluta, 220-222
libera, 146 cristiana della fratellanza, 61-62
moderna, 55 come mezzo di prepotenza, 219
pianificata, 112 degli affari, 54
politica, 15,16,17, 19 del dovere e dell’onore professionale,
costruzione organica della, 52 53
privata, 111-112, 116,123,145 della convinzione, 222,223,225,228-229
regolamentazione consociativa dell’, 65 della responsabilità, 222,223, 228-229
socialista, 223 della mancanza di dignità, 221
educazione, 75-77 e n, 81 della solidarietà economica, 53
effìctency, 35 del sermone della montagna, 220, 225
egoismo nazionale, 17 del Vangelo, 220-221

254
In d ice dei n om i e degli argom en ti

d’impresa razional-capitalistìca, 53 Francia, 69, 75, 124, 139,154, 184n, 202


economica, 52, 54, 211 come stato di titolari di rendita, 50
e politica, 176 dittatura polìtico-militare, 85
indiana, 225 elezione parlamentare del presidente,
religiosa, 224 157
violenza nell’, 225 parlamentarismo puro, 156 e n
Europa, 108,188 prefetti, 187 e n, 191
occidentale, 130 Terza Repubblica, 156n, 187n
americanizzazione dell’, 109 Francoforte, 142,170
evangelici, 8 «Frankfurter Zeitung», 92-93, 132, 170,
evoluzionismo, 128 198n, 238
evoluzionisti, 126 Freisinnige Volkspartei, 4, 25n
evoluzionistico/evoluzionistica, Freistudentische Bund, 176
clima, 123 Friburgo, 4
concezione, 122 frustatore (whip), vedi Inghilterra
funzionariato,
fabbisogno, 65-66, 112, 114,126 libero da ogni controllo, 85
famiglia, 17 moderno (specializzato), 188-190
fede, 218,226,227 funzionario/funzionari, 84, 98, 115, 120,
combattente della, 226 122,144-146, 151, 192, 195,209
eroe della, 227 ceto di, 108-109,182
federalismo, 146, 151-153 della Riforma prussiana, 78
federazione svizzera, 152 di amministrazione, 70, 80
Federico 1di Hohenstaufen (Barbarossa), di partito, 73, 123, 199, 203, 204, 215
23 n di professione, 98, 106-107, 111, 162-
felicità, 16, 17,26,27 163, 188
Fiandre, 140 dominio dei, 85, 196
Fichte, Johann Gottlieb, 222 e n, 227 e n elezione popolare dei, 86
fidecommessi, 162 e n gerarchia di, 31
filisteismo politico, 25 politici, 191, 195
Firenze, 227 pubblici, 34,191
fiscalismo, 66 responabilità del, 196
fisco, 65 specializzato, 92, 108, 191, 192, 195,
Foerster, Friedrich Wilhelm, 27n, 176, 212
224 e n, 225 statali, 33
Fontenoy, battaglia di, 108 e n Stato dei, 87
formalismo, 70 funzione economica, 55
forma statale, 131 futuro, 16,17, 24
forma tedesca, 78 della pacificazione internazionale, 228
formazione, del socialismo, 228
come elemento di differenziazione di politico, 25
ceto, 64 responsabilità davanti al, 219
politica permanente, 26
differenze di, come fondamento del si­ gabinetto, 189, 190,205
stema elettorale, 47-48 Galizia, 14n
Fortscbittliche Volkspartei, 132,141n Genesi, 222n
Fortscbittliche Volksverem, 170 Genova, 112
forza, 226 gentleman, vedi Inghilterra
come mezzo della politica, 223 gentry, vedi Inghilterra
uso legittimo della, 178,182 germanesimo, 8, 14 e n, 39, 78
forze ausiliarie professionali, 184 orientale, 15

255
W eber, Scritti p o litic i

Germania, vedi anche Reich, 22, 42, 50, 69, del Rekh, 151, 153
74-5, 77-9, 108-9, 122-7, 128, 141 e n, di letterati, 173
145,161,166,190,204,221 e n, 239,248n monarchico, 50
aristocrazia, 89-93, popolare prerivoluzionario, 158
austrizzazione della, 51 proletario, 143, 173
autorità militare, 103-105 rivoluzionario, 172
costituenti, 137 socialista, 144
democrazia, 84-87 Grande Inquisitore, 223
economia collettivistica, 114-116, grande proprietà, 9, 11
espansione oltremare, 25 Gran visir, 189
forma statale della, 131-167 gruppi,
futuro della, 49, 139 economici, 235
nuova, 169-174 di interesse come corpi elettorali parla­
paralisi della, 52 mentari, 56
partiti, 212-215 di interessi economici, 59-60, 61, 65
politica bellica, 66, 92-93 sociali, 178
politica estera, 82-83 gruppo parentale (Sippe), 178
referendum, 160, 166 guardie rosse, 138
sentimento nazionale, 246-247 Guglielmo il, 4, 23, 83,132, 135n, 136n
sistema elettorale, 43-87 Guelfi, 200
Triade degli Stati tedeschi, 158 e n guerra, 38, 39, 41, 47, 49, 68, 81, 85, 92,
unificazione della, 26 108, 114, 115,122,128nl29, 130, 136n,
Gcrvinus, Georg Gottfried, 21n 140n, 142, 176, 197, 198,219, 22), 223,
Geselkchaft fitr etbische Kultur, 27n 225, 243, 248n
Gesù, 221 civile, 128, 129, 130, 137, 138
Ghibellini, 200 di religione, 228
Giappone, 192, 248n di rivoluzione, 245
giornalismo (polìtico), 196, 198, 215 moderna, 67
giornalista/giornalisti, 196-197, 199, 201, sottomarina, 141 e n
202,215 Gunther, 33
giudice, 70 gusto estetico, 69
penale, 58
giudizio/guidizi, Harmsworth, A. Charles William (lord
di valore, 16,19, 20 Korthcliff), 198 e n
della storia, 21 Hay, Charles, lOSn
giuristi, 194 Heidelberg, 93, 95, 96
giusnaturalismo, 194 «Heidelberger Neueste Nachrichten», 96
giustificazione dei mezzi attraverso il fi­ «Heidelberger Tageblatt», 96, 232
ne, 223 «Heidelberger Zeitung», 96, 232
Giustiniano, codice di, I94n Henckel-Donnersmarck, Guido 54
giustizia, Herzen, Alexander, 81
assoluta, 226 Hitler, Adolf, 238
sociale, 16 Hohcnlohe-Schillìngsfùrst, Chlodwig, 45
Gizycki, Georg von, 27n Hohenzollern, 147rt
Gladstone, William F.wart, 206,207,208,214 honesty ri thè hest pohey, 53
Gneisenau, August Wilhelm Anton, 78 Horlacher, Richard, 238
Gompcrs, Samuel, 98 Hotmann, Francois, 194n
governi dei singoli Stati, 150-153 Hugenberg, Alfred, 55
governo,
borghese, 144 ideale/ideali, 19,48
centrale, 152 borghesi, 25

256
In d ice dei n om i e d e gli argom en ti

di nazionalità autonomistico, 141 parlamento, 190, 205


di nobiltà, 68 proprietari terrieri, 73
di vita burocratici, 33 questione àeW'home rule, 207
etici, 27 referendum, 160
polìtico-sociali, 27 Reform Bill, 201
tipi generici di, 20 riforma elettorale del 1867, 205 e n,
idealismo, 206n
politico, 186 selfgovemment, 79
primitivo, 11 Trade Uniom, 121
ideologi, 172 whip (frustatore), 205, 206, 207
bolsccvichi e spartachisti, 220 Instmann, 11 e n
immaturità politica, 25 intellettuali, 83,126,127
imperatore, 153, 193 interesse/interessi,
impiegati, 34,122 capitalista al profitto, 65
impoverimento, teoria dell’, 118 di partito, 158
imprenditore/imprenditori, economici, 60, 186
agricoli, 74 ideali, 244
borghese, 173 imperialistici materiali, 244
capitalisti, 65, 146 materiali indiretti, 244
giganti, 54 plutocratici di classe, 72
moderno, 71, 185 politici, 56
politico, 203, 210 professionali, 56, 57
privato, 109, 111, 114-115, 116, 118- Intesa, 129, 137, 138
119, 121, 122, 125, 143-146 irrazionalità (etica) del mondo, 223-224
impresa, irreligiosità moderna, 226
capitalìstica, 71,182 Islam, 194,226
di partito, 211 istinto/istinti,
economica privata, 192 politico/politici, 22,27
industriale, 113 di massa, 82
razionale borghese, 53 di potenza, 26, 217
India, 112, 225 istituzioni,
individualismo, come libertà dalle con­ di classe borghesi, 200
venzioni, 78 giuridiche, 41-42
infrastruttura economica, 21,144 istruzione professionale, 64
Inghilterra, 85, 112, 139, 184n,207, 208 Italia, 75
avvocatura, 71
Camera Alta, 58 Jackson, Andrew, 208 e n, 209
caucus, vedi sistema Junker, 7, Un, 12, 22, 74-75, 91,167
club/clubs, 76, 201, 203
convenzioni, 79 Kaempf, Johannes, 14 In
electìon &gent, 203, 205 khan, 193
funzionari politici, 191 Kanitz, H. Wilhelm Alexander, 15n
gentleman!gentlemen, 76, 78, 79, 201, Karataev, Platon, 227
207, 208 Karlsruhc, 187, 188n
gentry, 193-194 Kautsky, Karl, 118,13ón
Justice of thè Peace (J.P.), 207 e n Keller, Gottfried, 40
leader, 190, 205, 207,210 Kelley, Florence, 96
Member of Parliament (M.P.), 207 e n Kempner, Maximilian, Min
partiti, 201,205 karma, 224
tories, 205 Kirdorf, Emi!, 55
whigs, 205 Klcher, 92

2 57
W eber, Scritti p olitici

«Kònigsberger Hartungschen Zeitung», Lincoln, Abraham, 214


232 Uste elettorali, 213, 234
Konitz, 9, lOn lotta/lptte,
Krishna, 225 contro i ceti, 192
Krupp, ditta, 52, dell’uomo contro l’uomo, 16,41
Krupp von Bohlen und Halbach, Gustav, 54 di emancipazione delle classi emergen­
Kiìhlmann, Richard von (crisi Kiihl- ti, 20
mann), 92 n d’interessi, 34, 56, 72, 73, 74, 105
Kulturkampf, 10 economica, 15, 63, 71
Kyffhauser, 23 e n per l’esistenza, 6,16, 41, 48
per la potenza, 25
Lamprecht, Karl, 19n elettorale, 56, 63, 124, 141, 203, 209
Landauer, Gustav, 167n fra i partiti, 187
lotndtag, 212 per l’affermazione della propria cultu­
Lange, Friedrich Albert, 13n ra, 17
Lange, Heiene, 38 per la potenza, 17
Languet, Hubert, 194n per la propria esistenza e il proprio
Lassalle, Ferdinand, 18n, 45 onore, 84
lavoratore/lavoratori, 114,116,137, 145 per l’autodeterminazione economica, 17
migranti, 12,14 per il mercato, 49
separazione del lavoratore dai mezzi dì politica per il potere, 180
produzione, 109-111, 113 lungimiranza, 216,230
lavoro, Lutero, Martin, 222n, 226, 229n
capitalistico borghese, 74 Luxburg, Karl, 91n-92n
di educazione economica, 26
di educazione politica, 25, 27 macchina burocratica, qualità etica della,
dì informazione (Aufklaritng), 104, 34
135 e <1,136 Machiavelli, Niccolò, 189, 225
economico, 53 machiavellismo, 225
politico, 71, 73 «Magdeburgische Zeitung», 232
politico-sociale, 26 Magna Charta della democrazìa, 236
privato, 49 Manifesto comunista, 116-118, 119, 120,
stagionale, 11,12 122-124, 146
statale, 49 Marienwerder, 9
Lega pangermanica (AUdeutscber Ver- Markow, Alexis, 6n
band), 14n Marx, Karl, 116,119
legge, marxismo, 124,128,129,130
contro i socialisti, 4 man in thè Street, 82
elettorale (in Germania), 45-47 massa/masse, 26,27,45,48,118,123,208,
sul servizio di soccorso del 5 die. 1916, 243
105n cittadine, 82, 87
leggi evangeliche, 38 della nazione, 22
legittimità dinastica, rifiuto della, 140 democratiche, 68
letterati di formazione umanistica, 193 elettorali, 234
liberale/liberali, vedi anche Partito, 45 piccolo borghesi, 243
dottrina liberale, 11 e n, 16 popolari, 25,
lìbero scambio, lln qualità emozionali della, 73
libertà, 84 Massimiliano l d’Asburgo (Max), 188 e n,
della burocrazia, 84 193n
dallo Stato, 67 materialismo volgare, 12
Li Hung Tshang, 193 matriarcato, 18, 19n

258
In dice dei n om i e d egli argom en ti

maturità polìtica, 21, 25, 26, 48 Napoleone ili, 83, 187n


meccanismo burocratico, 32 National Conventiom, 209 e n
meccanizzazione, National Liberal Federation, 207n
burocratica, 31 nativismo, 98
industriale, 32 Nazareth, 227
dell’amministrazione dello Stato e del­ nazionalismo, 46
la politica, 32 nazionalizzazione, 32
Mecklenburg-Strelitz, 147n nazionalità, 6, 7, 9,10,12, 13,14
Mendelssohn, Franz von, 54 nazional-liberali, 24n
menscevichi, 128 nazione, 241-248
Merit System, 188n negro/negri, 97
Messer, August, 76 diritto di voto dei, 97
Messico, 140 e n, I41n matrimonio tra bianchi e, 97
Michels, Robert, 204n Neumann, Friederich Julius, 6 e n
Mill, John Stuart, 42 neutralità antimilitarista degli svizzeri, 41
Mìllerand, Alexandre, 124 e n New Mexico, 141 n
mille randismo, 124 e n New York, 149,203n
Mìmamsa, 194 Nietzsche, Friedrich, 81, 179
ministero parlamentare/ministeri parla­ nobili, 200
mentari, 156, 190-191 nobiltà, vedi anche aristocrazia, 201
ministri, di corte, 193
come funzionari specializzati, 158 terriera, 12,23, 74
del Reich, 159n nomina dei supremi dirigenti tecnici del­
parlamentari, 158 l’amministrazione, 165
Mitteleuropa, 78 Nordbeck, Gesine, 38
Miquel, Johannes von, 74 Norimberga, 142
Moellendorff, Wichard von, 114n notabili, 201, 203-206,213,215, 234, 243
Moltke, Hcimuth Karl, 78
Mommsen, Theodor, 21n Ochrana, 201 e n
Monaco, 69, 142, 171, 187,238 odio dei popoli, 142
monarca/monarchi, 92,190, 243 Olanda, 85, 139
moderni, 68, 73, 85 Oldenburg, 147
spirituale universale, come vertice di Oncken, Hermann, 97 e n
una «struttura piramidale», 62 operaio/operai, vedi anche lavoratore,
monarchia, 69, 82, 85,132,135 109-111, 113, 115, 117-121, 125, 126,
parlamentare, 134 185
monarcomachi, 194 e n addestrati, 121
Mongolia lamaistica, 192 americano, 107
monopolio dei cereali, 15 e n rappresentanti degli, 115
Moritz von Sachsen, 108n socialista radicale, 129
Mosse, Rudolf, 90, 93 specializzati, 121
movimento, vedi anche classe
dei lavoratori, 26,125 ordinamento,
di classe del moderno proletariato, 246 politico borghese, 213
elettorale, 235 statale burocratico, 182
irredentista tedesco, 142 ordine, 33
popolare, 73 organismo/o rganis mi,
rivoluzionario di Monaco, 167n ai controllo, 64,
municipalizzazione, 143 di rappresentanza, 161
Muhsam, Erìch, 167n di voto, 151
Miinsterberg, Hugo, 108n politico, 243, 244

259
W eber, Scrìtti p o litici

organizzazione, 146 dei lavoratori, 105


capitalistica della società, 117-118 democratici, 46, 73, 106
dell’economia nazionale, 65 di centro, 78, 137, 174, 188, 212, 235
di partito, 61, 203, 205, 206, 234 di nobili, 201
moderni concetti razionalistici di, 62 direzione plutocratica dei, 73
organizzazioni, nazionalista, 67
su base volontaristica, 60 socialisti, 67, 116, 117,125
ufficiali dei ceti e delle professioni, 60 vita democratica dei, 236
Ostrogotaki, Moisei, 204 e n Partito,
ostruzionismo, 56 Conservatore, 78
del Centro, 78
pace, 15-17,139, 142,145,167,172n, 173, Democratico, 170
221, 223 (ìn America), 208n
e Rivoluzione russa, 127-130 Liberal-conservatore, 78
pacifismo/pacifista, 41,92,141,142,176,221 Liberale, 206
pangermanico, problema, 139 Liberale Unitario, 174n
pangermanisti, 90 Nazional-liberale, 140 e n
papa, 194n Repubblicano Democratico, 174
paradiso cristiano, 225 Socialdemocratico, vedi anche Social-
paradiso di Indra, 225 democrazia, 132,155n, 197, 204, 213
paradossi etici, 227 Indipendente, 155n
paragrafi, fiducia nei, 160 Maggioritario, 155n
Pari, 58, 201,207 partizione,
Parigi, 83 delle professioni in ceti, 63
Comune di, 130 organica della società secondo «natura­
parità, 66 li gruppi professionali economici», 62
tra gentlemen, 76 parvenu, 68, 74, 77, 78, 81, 217
parlamentali, 160, 201,202, 205, 207, 208 passione/passioni, 28, 82
parlamentarismo, 50, 63, 82, 92, 156-157, politica, 82, 216, 230
159n, 160, 166,212 patria,
lotta contro il, 86 come paese dei posteri, 139
parlamentarizzazionc, 84,157, 212, 213 tedesca, 81
della Germania, 92-93 patrimonio/patrimoni,
parlamento/parlamenti, 86,115,125,166, azionari, 49
190, 201,202, 205, 235, 236 delle rendite, 50
classista, 83 paupers, 118
come organo corporativo, 234 Pennsylvania, 225
dei profittatori di guerra, 93 Pericle, 196
dei singoli Stati, 151,154,156 Platone, 13n
di uomini gretti, 235 plebiscitario,
eletto a suffragio universale, 66 capo, 214
moderno, 62, 71 elemento cesaristico-, 214
prussiano, 93 plebiscito, 140, 156
significato polìtico del, 235 plebeo/plebei, 74, 76, 77
tedesco, vedi anche Reichstag, 24 strati, 68
particolarità individuale, cura della, 247 Plcngc, Johann, 112n
partito/partiti, 56, 59-60, 61, 63, 93, 104, plutocrazia, 47, 71, 135
105, 106, 140, 160, 187, 190, 200, 202, politeismo, 42
204, 205, 209, 212, 234 greco, 224
borghesi, 123,155,197,204, 213 politica, 84, 85, 177-178, 216, 223, 225,
conservatori, 67 227, 228, 230

260
In dice dei n om i e degli a r g o m e n t i__

agraria prussiana, 15 del Parlamento, 65


bancaria, 162 del presidente clctiu dal popolu, ÌÌ5
colpa, 219 economica, 20, 21, 22, 61)
come occupazione secondaria, 202-203 guerra per la, 42
come professione, 175-185, 227 interessi di, 21, 22, 26, IH, 41,41
commerciale, 146, 162 nazionale, 22
dedizione alla, 216 politica, 39
del ceto medio, 51 politico di, 2 17 fe-ì- :
di guerra, 155n relazioni economiche db | |
di interessi, 25 rivoluzionaria, 225
di potenza, 24, 26,217 sentimento di, 211, 244
dì potenza d’oltremare, 24 situazione politica d|, | |
di «strada», 82-83 valore di, 35
economica, 3, 14, 15, 16, 17, 18 potere/poteri, 2ÌH
emotiva, 82 autoritari, 172
estera, 34, 78, 83, 134 autoritario dello
ethos della 218 capitalistici, 55
industriale, 162 carismatico, 204
interna, 135 dei partiti, 9?
internazionale, 85 dittatoriale del pr
nazionale, 47, 234 esecutivo, 134-I li,
negativa, 156, 158 legislativo, 13(6
pacifista, 40 militare, 14J
parlamentare, 63 nello Stato, 67
personalità, 217 politico, acpintrirrtl
razionale, 82 pragina {Metthb”
sociale, 18, 33, 34 unitario statale, 61
statale, 45 prebenda) i, 41
vocazione per la, 230 prefetti, 1H7 e ti
politici, in l'ianela, IHt e
borghesi, 24 presidente,
della convinzione, 229 degli Stati lfilili, IH
della forza, 223 della repubbllcl fj
dilettanti, 183 del fteirh, 154* '
di professione, 183,185, 186, 192, 199- eletto dal patii
203, 205, 214, 216, 234 eletto dal popu
dirigenti, 189 eletto plebiiciUi
occasionali, 183 pici>i«filarini l l |
politicizzazione dell’esercito, 135 presti gl n,
polizia di Stato, 61 cult tu ale, -MHn
portafoglio, 64, 173 mtrre««i di, 247
Posnania, 6 di nuteMM; 244j t
possesso demaniale, 14 pulitini, 241
possesso privato di beni reali, 62 PreuH, I (ujpi, IMrt
posticino, spirito del, 32 punto iiiiniiiiH NHP
posto di lavoro, problema del, 172 puoi ipe, | M IM,
potenza, 220, 224 Pani ifip di Mài hit
battaglia economica per la, 21 pimi ipiii,
carattere diabolico della, 39 drlrgaiieio, vedt H (Il
capitalistica, 57 151
della maggioranza parlamentare, 235 d ella « ululai i n a 64

5,1
W eber, Scritti p olitici

di responsabilità, 1%, 197 occidentale, 5, 6, 9,10


plebiscitario, vedi anche sistema, 208 orientale, 245
proporzionale, 160 parlamento prussiano, 93
rappresentativo, vedi anche sistema, privilegi formali della, 143
149 spirito prussiano, 78
privilegio/privilegi, sistema elettorale delle tre classi, 83n,
detentori di, 62 92
elettorale, 46, 52, 83 smembramento della, 147 e n, 148n
protezione dei, 139 suffragio universale, 83 e n, 84
problema politico-sociale, 26 pubblicista politico, 1%
produzione, pubblico impiego, 92
dei beni, 16 puritanesimo, 97
industriale, 113 Puttkamer, Robert von (decreto), 191 e n
professional, vedi anche politici di profes­
sione, 210,211 qualifica militare, 66
professione/professioni, 54, 55 qualità degli uomini, 16
profeta chiliastico, 223 questione alsaziana, 135
profitto/profitti,
capitalistico, 54, 66, 71, 114, 115, 116 radicali, 137,167
di guerra, 52 ragion di Stato, 18,195-196
nobilitazione dei, 47 rappresentanza/ rappresentanze,
programma di governo, 187 dell’intelligenza esperta in politica, 59
proletario/proletari, 118, 119, 230 del fabbisogno, 66
proletariato, vedi anche dittatura del, 45, delle particolarità regionali, 149
124, 174, 201 delle singole individualità politiche,
industriale, 11, 82 149
moderno, 25 di corporazioni, 52
tedesco, 26 di interessi, 54, 57
d’Inghilterra e Francia, 26 economica, 63
proletarizzazione, 122 parlamentare, 56, 236
spirituale, 214 popolare, 54, 58
propaganda, 203 Rathenau, Walther, 54
del partito, 201 razionalismo giuridico, 194
libera, 61 razionalizzazione del lavoro economico
psicologica, 172 (dell’economia), 50, 51
proprietà, 64 razza, 79, 246
dei mezzi di produzione, 123 Realpolitik, 35, 78, 142
privata, 73, 144 reclutamento,
sui mezzi d’azienda (Betriebsmitteln), giurìdicamente libero, 60, 61
110-111 plutocratico, 186
terriera, grande, 145 volontario, 200
proprietario terrierio/proprietari terrieri, referendum, 86,154-155,159-160,166,235
12, 14 ,15n, 31, 57, 71, 73, 74, 129 reduci,
prospettiva economica in giurisprudenza, di guerra, 66
19 dal fronte, 67
Protestantesimo, 10 regioni, 150
protestami, lOn Regno egiziano, antico, 32
Prussia, 4,22, 31, 74 ,158n, 162n, 236 Reich, 4, 6, 9, 23, 38, 40, 41, 66, 93, 112n,
ampliamento del numero dei Pari, 58 134, 141, 153-154,160-166, 171, 212
come Stato unitario, 153 annessione del Baltico, 140n
dominio della, 148 costituente, 137

262
In d ice dei n o m i e degli argom en ti

Costituzione del, 147-150, 162, 166 russa, 56, 134


legge elettorale, 45-46, Roetger, Max, 140n
ministeri del, 235 Roma, 68, 83
più alte istanze del, 164 antica, 74,112
politica coloniale, 4 terza, 68
presidente del, 215, 231-236 romanticismo, 216
principio dell’unità del, 235 Rosenberg, 9
socialismo, 123 rotation in office, legge della, 163n
struttura egemonica panprussiana del, 142 Rotteck, Karl von, 21n
suffragio universale, 83-84, Russia, 12,14n, 67,81,128,130,134,138,142
svizzerizzazione del, 40 comunità linguistica, 245
Reìcbsbank, 177 dittatura politico-militare, 85
Reicbstag, 24n, 59, 135n, 136, 137, 138, esperimenti elettorali corpo rativo-pro-
141n, 150, 155, 156, 159n, 166, 167, fessionali, 56
173, 207, 229n, 232 governo bolscevico, 127
rendita, soviet, 200
titolari di, 48-50, 120,185, 186 spinta espansionistica della, 41
titoli di rendita, 50 vedi anche bolscevismo, Rivoluzione
statale, 50
Renner, Karl, 112n Saar, pozzi carboniferi della, 115
repubblica, 132, 134, 138-140 Sagasta, Pràxedes Mateo, don, 187n
federale, 147 salario, 121
parlamentare, 85 San Bartolomeo, notte dì, 194n
sociale e democratica, 170 San Francesco, 221
responsabilità, 227 saturazione (Sdttigung) politica, 24
di fronte alla storia, 17, 27, 39 Sacbsenwald, 23
di fronte alle generazioni future, 243 Scharnhorsr, Gerhard Johann David von, 78
delle conseguenze, 228 scheda elettorale/schede elettorali, 67
etica della guerra, 226 come strumento di potere, 66
mancanza dì, 217 come ultima ratio, 60, 62-63
senso di, 216 mercato delle, 201
revisionismo, 123 Scheidemann, Philipp (governo), 232
Richtcr, Eugen, 25n, 59 Schiffer, Eugen, 140n
riflessione economico-politica, 15 Schlosser, Friedrich Cristoph, 21n
riforma elettorale, 58, 83 Schmoller, Gustav, 15, 34 e n
del 1867 in Inghilterra, 205n, 2Q6n Schnadhorst, Francis, 206n
Rinascimento, culto degli eroi del, 226 Schopenhauer, Arthur, 22On
rinuncia al trono, 135 Schulze, Robert Alfred, 148n
rivoluzionario/rivoluz io narìa, Schulze-Delìtzch, Hermann, 18n
carnevale, 174 scienza,
comitato, 138 economica, 27
movimento, 138 della politica economica come ancella
speranza, 124,126 della politica, 18
spirito, 124 sciopero/scioperi, 105,115,125, 126, 177
rivoluzione/rivoluzioni, vedi anche mo­ come mezzo dell’imposizione degli in­
vimento, 118, 128-130, 132, 136, 137n, teressi dei lavoratori, 22In
138, 167, 170, 171, 195, 216,223, 229 come strumento di lotta politica eco­
emozionale, 227 nomica, 173
rappresentanti delle, 227 scuola storica tedesca, 20
Rivoluzione, scuole per funzionari, 75
francese, 82, 187n Secondo Impero, 187n

263
Weber, Scritti p olitici

selezione, 17 elettorale, 59, 63-64, 67, 68


dei capi, 234, 235 a suffragio universale, 44, 84, 93n
di funzionari, 75 basato sulla formazione, 48
principio di, 13,113 basato sulle professioni, 44
processo/processi di, 12, 113 caucm, 206 e n, 207,208, 214
selfgovemment, vedi Inghilterra del ceto medio, 48
selfmade-man, vedi America delle tre classi in Prussia, 83, 92
Senato, 149 in Germania, 43-48
americano, 165 parlamentare, 64
senatore/senatori, 209, 210 per classi, 58
senso, proporzionale, 46, 159, 188, 214,
dell’agire umano, 218 215,234
dell’onore, 80 prussiano, riforma del, 83n
politico, 22 militare puramente difensivo, 142
sentimento, monarchico, 132
economico, 52 parlamentare, 68, 85, 90, 99, 213
dell'impotenza, 77n plebiscitario, 234
dell’onore, 105 proporzionale,
di solidarietà, 244, 247 rappresentativo, vedi anche principio
monarchico, 52 rappresentativo, 148-149
nazionale, 246, 247 taylorista, 200
separatismo, 147, 164 Slesia superiore, 245
separazione, smilitarizzazione radicale, 142
dell’apparato amministrativo dai mezzi Socialdemocrazia, vedi anche Partito So­
materiali di produzione, 182 cialdemocratico, 4, 24n, 72, 105, 115,
de) lavoratore dai mezzi di produzio­ 118, 123, 129, 155, 170, 171, 215, 233-
ne, vedi lavoratore 234
Serbia, 247 socialismo, 92, 101-102, 105-106, 109,
Shakespeare, "William, 229, 234n 111, 113-117, 119, 120, 123-130, 167,
Shang Yang, 189 171
sicurezza economica, 186 americano, 98
Sigfrido, 33 di consumatori, 116
Simmel, Georg, 216 c n di imprenditori, 116
sindacalismo, 124, 125 di Stato, 115,144
sindacalista/sindacalisti, 125-126,222 rivoluzionario, 223
sindacato/sindacati, 33, 57, 61, 105 e n, socializzazione, 116, 146, 158, 159, 160,
115, 123, 124 e n, 125, 126, 143, 146, 161, 163, 164 e n, 165, 170, 171, 172,
161,164,173, 177, 213 173, 233
capi del, 83 società,
del carbone, 65 di sconto, 54
gialli, 173 e n, 221 c n in accomandita per azioni (Maone), 112
rossi, 221 n per azioni, 120
Singer, Paul, 72 Società delle Nazioni, 140-142, 170
sistema, società socialista, 128,129,130
burocratico, 53 sociologia, 54
cesaristico, 85 solidarietà professionale, 57
collegiale, 189, 190 soluzione,
delegatizio, vedi anche principio della centralistica, 152-153
delega, 148-149 decentrativa, 161
delle paghe sindacali, 127 unitaria, 161
educativo, 193 So mbart, Werner, 176

264
In dice dei n om i e degli argom en ti

sopravvalutazione dell’economico, 21 rivoluzionario, 192


sovranità del popolo, 137 struttura dello, 67
sovrastruttura, 22 unitario, 143
Spagna, 187 zarista russo, 50
spartachismo, 223 Stein, Karl vom, 158n
spartachisti, 142 Sthum, 9, lOn
spirito, Stìnnes, Hugo, 54
corporativo, 92 St. Louis, 95, 108n
del lavoro, 48 storia,
della sicurezza, 139 della civiltà, 18
economico, 19 della politica, 18
prussiano, 78 economica, 18
tedesco, 81 interpretazione materialistica della, 227
Spoils system, 163, 180, 188n, 209, 210, mondiale, 24
212 tedesca, 24
statalizzazione, 34, 50, 112 c n, 114 e n, Storie fiorentine di Machiavelli, 228
115-116,146 Stresemann, Gustav, 140n, 141n
delle banche, 144 struttura,
delle ferrovie in Francia, 34 economica moderna, 56
delle società per azioni, 144 panprussiana, 152
Stati combattenti (periodo degli), 189n parlamentare, 148
Stati di massa, 160 plebiscitaria, 148
Stari generali, 195 professionale, 56
Stari militari, 53 sociale dell’Est, 22, 83 c n
Stato, suffragio universale, vedi anche sistema
assoluto, 195 elettorale, 46, 51, 59, 66, 82, 106
autoritario, 87, 235 come «democrazia delle cifre», 63-64
burocratico, 194 in Prussia, 68
classista, 68, 115 sviluppo,
come associazione politica, 177-178 agrario dell’Est, 23
come formazione di potenza imperiali­ economico, 17, 20
stica, 244 Svizzera, 40, 42, 106, 149, 152, 153, 157,
come istituzione dì sostentamento di 160, 162, 188
prebendari, 188 svizzerizzazìone, 40
come saggio regolatore dell’economia,
65 Taaffe, Eduard, 46
corporativo, 58, 61, 62 Tammany Hall, 203 e n, 211
costituzionale, 63, 180 teodicea, 224
della Chiesa, 69, 228 terrore, 125
democratico, 59 Terza Repubblica, vedi Francia
dì potenza, 39, 40, 41, 42 Texas, 14 In
fede rale/fc dorali, 143, 165, 166 Thyssen, August, 54
inglese, 50 «Times», 198n
italiano, 68 Toblcr, Mina, 90
moderno, 62, 66, 82, 1.11, 178,182,198 Tuller, Ernst, 167n
monarchico, 86 Tolstoj, Lev N., 41, 42
nazionale, 3, 15, 18, 22, 248n Tònnìcs, Ferdinand, 27n
parlamentare, 59 Trade Unìons, vedi Inghilterra
prussiano, 22 traffico delle cariche, 187n
vertice dello, 236 Trotzkìj, Lev D., 127, 128n, 130, 178
razionale, 194 trust, 119, 122

265
Weber, Scritti p o lìtici

Tuchel, 9, lOrt Vienna, 69, 102,127, I93n


Turiti già, 147n, 148 violenza, 220, 224, 226, 227
legittima, 226
Ufficio, ultima, 223
per la difesa contro la propaganda ne­ Vistola, 6, 7, 8
mica, 102 vocazione,
Reale Prussiano di Statistica, 63 per la conduzione politica della nazio­
uguaglianza naturale degli uomini, 64 ne, 21
ultimatum al Bundestag dì Francoforte, politica, 23
45 volontà
Umsturzvorlage del die. 1894,4,24n, 27n democratica popolare, 235
Ungheria, 46 di impotenza, 139
unificazione sociale, 26 statale, 63
Unioni di Consumo, 116 VoUtsbund fiir Freiheit und Vaterland,
universalità del voto come essenza dello 96, 97
Stato moderno, 64
Unni, sconfitta degli, ai Campi Catalau- Wagner, Adolph, 31 e n, 32, 34
nici, 18 Walhall, 225
uomini di fiducia, 183 e n, 202 Wallenstein, Albrecht Wenzel E „ 112
uomo politico, 216-217 Wasinghton, Booket T., 96, 208
Upanishad, 224 Weber, Alfred, 31 e n
Usus modemus pandectarum, 194n Weber, Marianne, 30, 90, 238,242
Weber-Schàfer, Max (fondo), 90
Vaterlan dspartei, 135n Webster, Daniel, 208
Vallentin, Wilhelm, 6n Weismann, August, 13n
valore/valori, 39 Wilson, Thomas Woodrow, 142, 167
criterio politico dì, 21 Windscheid, Bernhard, 19n
culturali, 40 Worms, 229n
formali, 80-81 Wiiraemberg, 85, 164, 165n
lotta di, 42
sfera dei, 244 yankee, 106
valutazione, criteri di, 19
Vangelo, 41,220 zar, 201n, 247
Giovanni, 227n zarismo, 126, 171
Matteo, 22Qn, 221n Zedlitz-Triitzschler, Robert von, 27n
vanità, 217 zelo per l’organizzazione, 60
Versiti Berliner Kaufleute und Indu- Zentrum, 137n
stneller, 90, 91 Zimmermann, Arthur, 140n, 141n
Verein fiir Sozialpolitik, 3 In, 32, 34 e n Zimmerwald (corrente dì), 223
veto sospensivo, 232, 235,236 Zurigo, 69

266
ì*
Finito di stam pare il 29 settembre 1998
per conto di D onzelli editore s.r.l.
presso la StilG raf della San Paolo Tipografica Editoriale
Via di V igna Jacobm i, 67/c - 00149 Rom a
SCRITTI POLITICI

M ax Weber, o dell’ambiguità
Introduzione di Angelo Bolaffi

«In politica le idee raffinate


hanno sempre prodotto confusione»
Edmund Burke

«La vera grandezza è un mistero»


Jacob Burckhardt

«D as Wahre ist die Wahrheit», il vero è la verità, sussurrò. E poi, così


racconta la moglie Marianne, m orm orò, «bambini adesso lasciate perde­
re, tanto non serve a nulla»5, era la sera del 14 giugno 1920, quando Max
Weber morì. La prim a repubblica tedesca aveva poco meno di due anni e
la Costituzione di Weimar era stata approvata da soli dieci mesi. A
Versailles la Germ ania era stata punita per ÌI suo folle «assalto al potere
mondiale» con una pace cartaginese. Hitler era ancora solo uno tra i tanti
f requentatori della vasta galassia ultranazionalista e antisemita. In Russia
il comunismo era già dittatura, mentre si combatteva ai suoi confini una
feroce guerra civile. Gli ebrei in Germania si cullavano nella illusione di
esser diventati cittadini tedeschi e quei pochi tra loro che parlavano anco­
ra l’ebraico non potevano neppure lontanamente immaginare la catastro­
fe dì cui sarebbe diventata metafora il termine Shoà. In Italia, a Torino, gli
operai avevano occupato le fabbriche mentre il fascismo metteva in prova
la sua capacità di contrapposizione violenta, in attesa di marciare su
Roma. In Europa, infine, nessuno o quasi ricordava che Oshwiegìm, una
cittadina della Polonia occidentale, su alcune vecchie carte geografiche era
riportata con il suo antico nome tedesco, quello di Auschwitz.
C on qualche ritardo, forse, sull’anagrafe cronologica, il Novecento, il
secolo che Eric H obsbaw m ha definito «breve», ma che è stato certamen­
te altrettanto «sm isurato»1, era appena iniziato; ma all’orizzonte geo-poli-

1 Marianne Weber, Max Weber, Ein Lebensbild, J. C. B. Mohr (Paul Stebeck),


Tiibingen 1984 (trad. it. Il Mulino, Bologna 1995, p. 795).
1Lorenzo Ornaghi, Un secolo smisurato. GU eccessi della politica e la politica degli
eccessi, in, Aa.Vv., '900, un secolo innominabile, Marsilio, Venezia 1998, pp, 35 sgg.
A n g e lo B o la ffi

tico del vecchio continente c’erano tutte, e ben visìbili, le premesse di


quanto sarebbe avvenuto. Per questo, ritornare a discutere quello che
ormai un certo uso gergale ha convenuto di definire «il Weber politico»
non significa interrogarsi solo su ciò che è vivo e ciò che morto della sua
riflessione teorico-politica. Significa anche ripensare tutto il secolo con
cui si chiude il secondo Millennio. E dunque verificare se oggi sia ancora
attuale il paradosso sottolineato, a metà degli anni ottanta, da David
Beetham in uno dei lavori più importanti dedicati alla teoria politica di
Max Weber, quello per il quale «uno scrittore la cui coscienza politica si
era formata inequivocabilmente in modo tanto deciso sui problemi della
Germania guglìelmina, il cui impegno era così fermamente legato alla
causa nazionale del suo paese, possa anche contribuire a definire i proble­
mi fondamentali del nostro tem po»3. O se, invece, il suo pensiero secon­
do il quale soggetto e teatro dell’azione politica è solo lo Stato-nazione,
non sia espressione di una costellazione storica e di una concezione etico­
politica lontane, estranee alla nostra condizione attuale, che definiamo
post-moderna proprio per far risaltare gli elementi di diversità rispetto a
quella dell’età di Weber.
In verità è forte la sensazione che per gli studi weberiani, e in partico­
lare per quella parte della sua produzione che viene indicata come «scrit­
ti politici», si sia aperta una nuova fase nella quale, molto più che in pas­
sato, a prevalere siano domande e incertezze. Quelli che solo fino a ieri
erano convincimenti non solo unanimemente condivisi ma persino con­
siderati scontati, appaiono, invece, destinati ad essere revocati in dubbio.
Tanto che uno studioso come N orberto Bobbio, tra i massimi conoscito­
ri del pensiero politico di Weber, ma anche tra coloro che con maggiore
decisione in passato ne hanno sostenuto una interpretazione in chiave
«liberale», di recente ha riaperto polemicamente la discussione proprio a
proposito dei possibili limiti e delle contraddizioni della elaborazione
weberiana. Bobbio si è chiesto infatti se l’affermazione della figura del
«capo carismatico» quale soggetto decisivo e «catastrofico* nella vicenda
politica del nostro secolo, non possa essere stata favorita dalla confusione
concettuale relativa alla differenza, che spesso è stata invece dimenticata,
tra un leader democraticamente eletto e un capo plebiscitario, e se tale
confusione «non possa essere stata alimentata dallo stesso M ax Weber»4.

' David Beetham, Max Weber and thè Tbeory of Modem Politks, Polity Press-
Basil Blackwell, Cambridge-Oxford 1985 (trad, it. 11 Mulino, Bologna 1989, p. 22).
4 Attenti al carisma, la violenza viene dal capo, intervista a Norberto Bobbio di
Giancarlo Bosetti, in «Reset», maggio 1998, 48, p. 5. Per la verità già molti anni or
sono Gian Enrico Rusconi aveva messo in luce gli aspetti problematici della riflessio­
ne weberiana sulla Fubrerdemokratie-. «1 suoi limiti non stanno tanto nelle possibili
implicazioni fascistoìdi - del tutto estranee alle intenzioni di Weber - quanto nella

VITI
In tro d u z io n e

Probabilmente, le ragioni della svolta che si annuncia nella discussio­


ne attorno a colui che è unanimemente considerato il massimo filosofo
della politica del nostro secolo - qualcuno lo ha definito un Machiavelli
del N ovecento - stanno, per così dire, dentro l’attuale spirito del tempo.
Infatti è finalmente arrivato il momento di liberare la discussione su sìgni-
ticato, portata e limiti del contributo weberiano all’analisi del M oderno e,
per quanto qui interessa specificatamente, alla riflessione sulla natura e le
(orme della politica, da una sorta dì vera c propria ipoteca: quella rappre­
sentata dalla guerra civile spirituale che ha attraversato il Novecento. E
giunto cioè il momento di sottoporre a revisione l’opera di Weber libe­
randola dagli equivoci provocati da contrapposizioni ideologiche tipiche
dell’epoca della guerra fredda. A ben vedere, proprio questa ipoteca ideo­
logica sta all'origine di quella «incomprensibilità» di Weber su cui ha
richiamato l’attenzione un autore come Wilhelm H ennis5. N ell’ultimo
cinquantennio, infatti, Weber più che tema di studio è stato oggetto di
polemica. La sua opera si è trasformata in una sorta dì campo di battaglia,
un luogo interpretativo sul quale si è com battuto un duro scontro tra con-
i rapposte, totalizzanti visioni del mondo. Il pensiero politico dì Weber è
divenuto il terreno di una guerra ideologica. Per trovare conferma di ciò
basta ritornare con la memoria al convegno tenutosi, sotto l’egida della
soci età tedesca di sociologia, nel 1964 ad Heidelberg in occasione del cen­
tenario della nascita di Weberi. In quella sede la durissima polemica su chi
tosse Weber - Horkheimer contro Parsons e Topisch, A dorno e Marcuse
contro gli allievi di Popper, e nel mezzo una inedita alleanza tra Habermas
r Aron - si rivelò metafora del conflitto allora in corso tra due prospetti­
vi- filosofiche, tra loro inconciliabili, impegnate nella lotta per la conqui­
si,i dell’ egemonia culturale. La posta in gioco era altissima: quale dovesse
essere l’atteggiamento da assumere nei confronti della modernità e delle
sue contraddizioni; se fosse lecita una critica radicale della condizione

piesunzione che risorse di una forte personalità individuale possano controllare la


v.isiità e la radicalità dei processi in atto. L’applicazione del concetto di carisma diret-
i unente alle forme della vita politica contemporanea avrebbe richiesto una riflessione
pin critica» (Razionalità, razionalizzazione e burocratizzazione, in Aa.Vv., Max
Weber e l ’analisi del mondo moderno, Einaudi, Torino 1981, p. 207.
'' «Alla difficoltà d'interpretazione c alia possibilità di fraintendimenti che offre
l'opera di Weber, si somma fa sua ira-comprensibilità», Wilhelm Hennis, Max Webers
I >-tvesttilung. Studien zar Biographie des Werks, J. C. B.Mohr (Paul Siebeck),
liibingen 1987 (trad. it. Il problema Max Weber, prefazione di Franco Ferrarotti, La-
i' i ai, li orna-Bari 1991, p. 13).
'■ Aa.Vv., Max Weber und die Soziologie beute, Verhandìungen des 15,deutschen
\n.‘iiilogcntages vom 28, bis30, Aprii 1964 in Heidelberg,]. C. B. Mohr (Paul Sicbeck),
I iilniigcn 1965 (trad. ìt. Max Weber e la, sociologia oggi, Jaca Book, Milano 1967).

IX
A n g e lo B o la ffi

materiale e spirituale del tempo o se, invece, un simile atteggiamento non


fosse semplicemente l’ennesima riedizione della critica romantica della
storia. Sappiamo come sarebbe andata a finire. Solo qualche anno più
tardi, avrebbero trionfato le posizioni uropistico-rivoluzionarie di matri­
ce marxista. Semmai il vero paradosso di cui nessuno sem brò avere con­
sapevolezza è che, in fondo, tutte e due le posizioni che allora si confron­
tarono a Heidelberg, quella analìtica e quella dialettica, a ragione potero­
no rivendicare di restituire il senso profondo sotteso alla diagnosi webe­
riana della società borghese moderna. C iò spiega anche perché a M arcuse
riusci di «usare Weber contro Weber», ovvero di appropriarsi di una parte
degli argomenti weberiani per criticare le contraddizioni immanenti al
processo di razionalizzazione.
Il fatto, poi, che la Germania sia oggi tornata, dopo la sua riunifica-
zione, ad occupare la posizione di «potenza del centro» quale l’aveva
immaginata la strategia di Bismarck, e tuttavia sia culturalmente e geopo-
liticamente una nazione agli antipodi di quella nata dalla Reichsgriindung
del 1871 è conferma di due elementi contraddittori. L a attualità della
riflessione di Weber, che - «orfano di Bism arck», secondo la definizione
di Franco Ferrarotti - genialmente intuì quali sciagure al suo paese avreb­
be provocato il dilettantismo di una élite politica restata immatura e irre­
sponsabile (e proprio per colpa dello stesso Bismarck). M a anche la
distanza che separa la nostra epoca dalla sua, non ancora segnata dagli
orrori del N ovecento e dalla esperienza delle m ostruose potenzialità della
politica. N o n educata, per usare le parole di Isaiah Berlin, dalla constata­
zione «che uomini di sufficienti energie e crudeltà potevano raggiungere
un livello di potere capace di trasformare le loro società in m odo molto
più radicale di quanto si fosse mai pensato»7.
N o n è certo un caso se oggi noi siamo diventati m olto più cauti, su
questo punto, di quanto non possa esserlo stato Weber. Difficilmente
faremmo nostra la tesi che davvero, secondo la celebre affermazione con­
tenuta nella lezione dedicata alla Politica come professione, l’alternativa
per garantire la governabilità dei sistemi democratici si ponga nei termini,

7 L ’orfano di Bismarck è il suggestivo tìtolo di un volume di Franco Ferrarotti,


Armando, Roma 1982. Perii giudizio di Isaiah Berlin, si veda II senso della realtà. Una
dote che non viene dalla scienza, in «Reset», ottobre 1997, 41. (Si tratta di brani di un
inedito risalente al 1953, pubblicato in due numeri successivi della rivista. La seconda
parte è apparsa con il titolo, Che cos’è il talento polìtico, in «Reset», novembre 1997,
42; alcune parti erano già state anticipate dalla «Rivista dei libri», nel n. 4 del novem­
bre 1996. lì testo completo c apparso in Isaiah Berlin, The Sense ofReality. Studies in
Ideas and their Hìstory, a cura ai Henry Hardy, Chatto and Windus, London 1996 (in
corso di traduzione in italiano presso Adelphi, Milano).
In tro d u z io n e

«o democrazia autoritaria {Fuehrerdemokrarie) e organizzazioni di tipo


“ macchina”, o democrazia senza capo, vale a dire dominio dei “ politici di
professione” senza vocazione, senza le qualità carismatiche che appunto
creano un capo»8. N é sottoscriveremmo oggi l’idea secondo cui il senso e
l’essenza delta politica siano da individuare solo nella sua natura agonale
e polemologica.

Prima di accennare a qualche motivo di riflessione sulla grammatica della


politica e sui concetti delì’agire del politico sviluppati dal «più grande socio­
logo del nostro secolo» - secondo la definizione che ne diede Leo Strauss,
che pure di Weber è stato uno dei critici più severi9 - occorre preliminar­
mente indicare le ragioni che hanno consigliato di proporre al lettore italia­
no questa raccolta dei suoi Scritti politici, richiamando brevemente i criteri
con cui essa è stata costruita. La prima ragione è di ordine squisitamente filo­
logico: da qualche anno, finalmente, possiamo disporre dell’edizione critica
dell’opera di Weber10. Si tratta di un fatto di grandissima rilevanza. Weber,
com’è noto, è stato autore prolificissimo e insieme terribilmente avaro, basti
pensare che i suoi scritti, comprendendo ovviamente il vasto epistolario, in
corso di pubblicazione, andranno a riempire nell’edizione critica ben 33
volumi, mentre in vita egli ha pubblicato poco, anzi pochissimo. Anche se è
forse esagerato sostenere che abbia “ pubblicato solamente due libri “ veri e
propri” [...] la tesi di laurea e il saggio perla libera docenza” ".

* Cfr. infra, p. 214,


9 Leo Strauss, Naturai Right and History, The University of Chicago Press,
Chicago-Illinois 1952 (trad, it. Diritto naturale e storia, Neri Pozza, Venezia 1957, p.
52). Per le critiche di Strauss alla distinzione weberiana tra «fatti» e «valori» cfr. cap. il e,
in particolare pp. 66-7: «l’interdire alla scienza sociale l’uso di giudizi dì valore porte­
rebbe a questa singolare conseguenza, che ci sarebbe permesso di descrivere fedelmente
le azioni manifeste che si osservano in un campo di concentramento, e forse dì analiz­
zare, sempre attenendoci strettamente ai fatti, i motivi efie spingono gli indivìdui agen­
ti, ma non ci sarebbe permesso dì parlare di crudeltà». Karl Lowith ha polemizzato con
queste critiche di Strauss, Cfr. la nota a pp. 238-9 del saggio del 1964 Max Weber
Stellung zur Wissenschaft, in Vortrdge und Abbandlungen. Zur Kritik der christlichen
Uberlieferung, Kohlhammer, Stuttgart 1966 {trad. ÌL Max Weber e il disincanto del
mondo, in Karl Lowith, Marx, Weber, Schmitt, prefazione dì Ernst Nolte, Laterza,
Roma-Bari ) 994. Ma la traduzione italiana si discosta notevolmente dall’originale tede­
sco. Ad esempio la nota succitata è omessa ed c saltato anche il passo in cui Lowith rivol­
ge a Cari Schmitt l’accusa di aver dato prova di «irresponsabile etica della convinzione»),
,s Max Weber Gesamteausgabe, a cura di Horst Baicr, M. Rainer Lepsius,
Wolfgang J. Mommsen, Wolfgang Schlucther, Johannes Winckelmann, edizione criti­
ca pubblicata da J. C. B. Monr (Paul Siebeck), Tiibingen 1986-... Allo stato attuale
sono stati pubblicati 20 volumi degli .Scritti e discorsi, e 2 volumi del Carteggio.
11 Cfr. Hennis, Il problema Max Weber cit., p. 13.
A n g e lo B o la ffi

Weber era davvero dotato di una cultura sterminata, come ricorda con
forza il profilo di Weber tracciato da Karl Jaspers, il filosofo che più di
altri si è sofferm ato a raccontarci la tragedia dell’uom o Weber e non solo
il travaglio del suo pensiero, nelle pagine conclusive di quella che resta la
più com m ossa rievocazione della personalità e dell’opera di Weber,
«L’uomo che nacque nel m ondo di O m ero e dei profeti ebrei non sì è defi­
nitivamente perduto con Nietzsche. Egli ha trovato l’ultima, per ora,
grande apparizione in M ax Weber [...]. N o n possediam o più un grande
uom o che in questo m odo sappia avvicinare noi a noi stessi. Egli è stato
l’ultimo» 12. Alla erudizione si accompagnava peraltro una altrettanto
sconfinata curiosità intellettuale. Egli si lasciò tormentare dal dubbio della
ricerca fino a fam e una vera e propria malattia, imponendo a se stesso
quello che qualcuno ha efficacemente chiamato l’«eroism o del rigore». In
questo senso dobbiam o intendere l’affermazione, sempre di Jaspers,
secondo la quale Weber «fu la più ricca e più profonda incarnazione del
significato del naufragio del nostro tem po». Egli rimase infatti preda di
una sorta di volontà autopunitiva. Forse nella consapevolezza che la sua
pretesa di dominare un sapere universale, secondo il modello «inattuale»
dell’intellettuale rinascimentale, trasgrediva quanto egli stesso aveva nor­
mativamente indicato essere l’unico destino possibile per l’intellettuale
moderno. L a scelta della Entsagung, la consapevole rinunzia, la coscienza
del limite, «il limitarsi al lavoro professionale colla rinunzia alla universa­
lità faustiana —aveva detto —è nel m ondo moderno il presupposto dì ogni
azione degna di stim a»13. C iò spiega l’esiguità relativa dei testi da lui effet­
tivamente pubblicati.
Ma proprio la discrasia tra l’enorme vastità della produzione di idee
contenute nelle migliaia di pagine postum e, ad esempio in Economia e
società, e il numero molto limitato dei saggi dati alle stampe, ha favorito
in seguito alcune discutibili operazioni editoriali, con le quali si è anche
cercato di forzare in una determinata e unilaterale direzione la lettura di
Weber. C iò spiega soprattutto come m ai, nel corso del tempo che ci divi­
de dalla sua morte, del significato della sua opera siano state date letture
tra loro assolutamente discordanti. Si pensi, ad esempio, a quella in chia­
ve «critico-filosofica» contenuta dai magistrali saggi pubblicati negli anni

12 Karl Jaspers, Max Weber. Politiker, Forscber, Pbilosoph, Piper Verlag, Munchen
1932 (trad. it. Morano, Napoli 1969, pp.15 e 98).
,J Max Weber, Die protestantische Etbik Hnd der Geist des Kapìtalismus, in
Gesammelte Aufsatze zar Religionsoziologie, j . C. B. Mohr, Tubingen 1922 (trad. It.
L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Sansoni, Firenze 1945 (ma le citazioni si
riferiscono alla seconda ed. del 1965, p. 304).
In tro d u z io n e

venti e trenta da autori quali Landshut e Low ith" la quale ci appare lette­
ralmente agli antipodi rispetto a quella rigidamente «sociologica», di cui
un interprete quale Talcott Parsons è stato in qualche modo l’antesigna­
no15. E sulla scia della quale è poi avvenuta la ricezione di Weber da parte
della cultura anglosassone.
In realtà, ed è questa già una importante acquisizione su cui ci preme
richiamare l’attenzione del lettore, nella lunga vicenda delle interpretazio­
ni weberiane è arrivato un momento davvero non più procrastinabile,
quello della «definitiva presa di congedo dall’idea che esìsta un Weber
“ autentico U n ’ipotesi, questa, che generalmente ha coinciso, nella
storia della critica, con la centralità attribuita a Economia e società o alla
Wissenscbaftslehre17, e che ha fatto perno sulla proposta di una totale

" Siegfried Landshut, Kritik der Soziologie. Freiheit und Gleichkeit ali
Urspungsproblem der Soziologie, Miinchen-Leipzig 1929 (nuova edizione in S.
Landshut, Kritik der Soziologie und andere Scbriften zur Politik, Neuwied/Rhein-
Beriin 1969, pp. 11-117. Si veda dello stesso autore il fondamentale saggio, Dos Wesen
der modemen Gesellschaft nach Karl Marx und Max Weber, in « Polirisches Denken»,
Jahrbuch 1995, 6. Si tratta della traduzione dall’ebraico del saggio scritto dall’autore
durante l’esìlio dalla Germania nazista e apparso per la prima volta nel 1945 a
Gerusalemme sulla rivista «lyyum. Philosopnische Hefte», 1945, 1, pp. 102-25. È
opportuno ricordare che si deve a Landshut l’edizione in collaborazione con Jacob Peter
Mayer dei cosiddetti «scritti giovanili» di Marx nel volume Der bistoriiche
Materialismus. Dìe Fruhschriften, Leipzig 1932,2 voli. La vicenda intellettuale e perso­
nale di Landshut è ottimamente ricostruita da Rainer Nicolaysen, Siegfried Landshut.
Die Wiederentdeckung der Politik. Eine Biograpbie, Judischer Verlag, Frankfurt/M.
1997. Karl Lowith, Max Weber und Karl Marx, in «Archìv fùr Soziaiwissenschaft und
Sozialpolitik», 1932, 67, pp. 53-99 e 175-214, raccolto con lievi modifiche in
Gesammeke Abbandlungen. Zur Kritik der zescbicbtlicben Existenz, Kohlhammer,
Stuttgart 1960, pp. 1-67 (trad. it. in Karl Lowith, Critica dell’esistenza storica, Morano,
Napoli 1967, pp. 9-110 e successivamente in Id., Marx, Weber, Schmitt cit.).
15Talcott Parsons, The Strutture of Social Action, McGraw-Hill, New York 1937,
seconda ed. The Free Press, Glencoe-lllinois 1949 (trad. it dalla seconda edizione, IÌ
Mulino, Bologna 1962, in particolare pp. 877 sgg.) e Polìtìcs and Sodai Structure, The
Free Press, New York 1969 (trad. it. Giuffrè, Milano 1975, in particolare pp. 162 sgg.).
11 Furio Ferraresi, Max Weber nella critica recente, in «Filosofia politica», IX,
dicembre 1995, 3.
171 saggi metodologici di Weber sono raccolti nel volume Gesammelte Aufsatze
zur Wissenscbaftslehre, J. C. B. Mohr, Ttibingen 1922. Nc fanno parte i quattro saggi
raccolti in Max Weber, Il metodo delle sdenze sodali, a cura di Pietro Rossi, Einaudi,
Torino 1958; i due raccolti in Max Weber, Saggi sulla dottrina della sdenta, a cura di
Antonio Roversi, De Donato, Bari 1980; alcuni scritti polemici nei riguardi di
Stammer, Lujo Brentano e Ostwald; i cosiddetti Sozìologische Gmndbegriffe, che
costituiscono una parte integrante di Economia e società, di cui rappresentano le pagi­
ne iniziali, e infine il testo della conferenza del 1918 La sdenza come professione, pub­
blicato insieme con La politica come professione nel volume a cura di Delio Cantimori
intitolato II lavoro intellettuale come professione, Einaudi, Torino 1948, 1967J.
A n g e lo B o laffi

«positivizzazione» dell’opera di Weber. U na tale revisione critica apre


inattese e per molti versi sorprendenti prospettive interpretative. Sia a
proposito delia scansione evolutiva interna alla riflessione weberiana: ad
esempio riguardo agli aspetti di continuità e ai momenti di rottura indivi­
duabili tra una fase giovanile, più sensibile a tematiche propriamente filo­
sofiche, e quella successiva delia maturità, caratterizzata in senso più mar­
catamente scientifico e sociologico16. Ma anche, per quello che qui ci inte­
ressa, a proposito dei contenuti e delle eventuali aporie della sua riflessio­
ne più immediatamente attinente ai temi della politica. E questo, certa­
mente, ci consente di meglio intendere anche il senso degli avvenimenti
politici del suo tempo, di cui Weber fu spettatore e in qualche caso anche
attore, che produssero la crisi e poi il crollo della monarchia guglielmina
e successivamente portarono alla nascita della Repubblica di Weimar. Ma
ci porta anche a spiegare alcune clamorose contraddizioni che la lettura
weberiana sembra contenere. Infatti alcuni dei saggi centrali di questa rac­
colta, quelli scritti da Weber negli anni ’ 17-’ 19, intitolati Sistema elettora­
le e democrazia in Germania, L a fu tu ra form a statale della Germania, L a
nuova Germania e II Presidente del Reich, vennero concepiti dall’autore
non semplicemente come astratti contributi alla riflessione politologica
del suo tempo, ma come veri e propri interventi militanti, volti a influen­
zare l’andamento degli avvenimenti politici. Tra l’altro questo ci aiuta a
comprendere alcune brusche svolte nelle posizioni di Weber, come pure a
superare definitivamente la classica vexata quaestio della letteratura
weberiana, e cioè se l’adesione di Weber alla tesi «presidenzialistìca»,
sostenitrice di un contrappeso carismatico alla “ deriva” parlamentaristica,
da ricercarsi nella figura di un Reichspràsident eletto plebiscitariamente,
rispetto alla precedente adesione al parlamentarismo, debba essere inter­
pretata come una drammatica soluzione di continuità nella riflessione
weberiana, come gli rimproverò anche il fratello Alfred1’. Addirittura
come «un tradimento» degli ideali liberali, che avrebbe contribuito a spia­
nare la strada alla formulazione nella costituzione di Weimar del famige­

11Sorprendente risulta l’analogia tra la discussione sulla Interpretazione dell’opera


di Marx, distinta in una fase «filosofica» giovanile e una «economica» della maturità,
c quella sull’opera dì Weber, sulla quale poco si è riflettuto anche da pane di studiosi
come Lowith, Landshut o Hennis che pure hanno cercato di mettere in luce i punti di
contatto nella impostazione critica dei due autori.
l‘J «La cosa per me più sconvolgente di Max Weber nei primissimi anni dell’età di
Weimar è stata il suo evidente scivolare verso il romanticismo. Una manifestazione di
ciò fu la sua idea di un presidente eletto dal popolo», Alfred Weber, lettera dell’l l apri­
le 1(J58 a Theodor Heuss, Primo Presidente della Repubblica federale tedesca, In
Kduarti Baumgartcn, Max Weber. Werk und Person, J. C. B. Mohr (Paul Siebeck),
Tubingrn ]%4, p, 550.
In tro d u z io n e

rato artìcolo 48, relativo alle competenze del Reìchspràsident. Ed in parti­


colare alla facoltà di dichiarare lo «stato d ’eccezione», che successivamen­
te C ari Schmitt avrebbe indicato come la manifestazione essenziale del
potere sovrano. In realtà è facile constatare che la posizione di Weber è
molto meno di principio di quanto si possa pensare e molto più legata a
motivi tattici, del tutto contingenti. E , com unque, la sua presa di posizio­
ne a favore del «presidente eletto direttamente dal popolo», è accompa­
gnata da tutta una serie di osservazioni volte proprio a limitarne la libertà
d’azione, circoscrivendo le autorizzazioni concesse al «capo plebiscita­
rio». Si tratta, come si vede, di un Weber m o lto distante dalle posizioni
che, su sollecitazione di altri costituzionalisti, com e un H ugo Preuss, si
affermarono nel testo approvato a Weimar nell’agosto del 1919. C he poi
il nostro, per formazione e cultura, condividesse, come giustamente osser­
vato da Ernst Fraenkel23, il «pregiudizio antiparlamentare» molto diffuso
tra politologi e costituzionalisti dell’età guglielmina è tutto un altro
discorso. Q uesto argomento tra l’altro ci dice che se Weber fu un liberale
lo fu in un senso motto particolare, tipicamente tedesco, dunque assai dif­
ferente dalla accezione che tale definizione aveva nella cultura anglosas­
sone e in particolare nella vita polìtica inglese.
D a un più generale punto dì vista sistem atico questa raccolta vuole
funzionare da stimolo a riaprire la discussione a tutto campo sulle tesi
portanti della diagnosi weberiana sulla natura e sul destino della demo­
crazia nelle società di massa, la quale ai su oi occhi ha subito una drastica
e irreversibile metamorfosi. Essa avrebbe quasi completamente perduto
tutti i suoi attributi classici. N o n è più né strum ento di compartecipazio­
ne al potere né m ezzo per realizzare un «buon governo» della cosa pub­
blica. Ma è diventata un’altra democrazia, quella, per intenderci, le cui
caratteristiche verranno successivamente elaborate da Schumpeter anche
se, in fondo, sono già in nuce presenti in Weber. Secondo questa nuova
impostazione, la democrazia non è un valore m a semplicemente una tec­
nica, uno strumento per realizzare la selezione d ei capi politici. D i parti­
colare attualità risulteranno a questo fine alcune osservazioni sviluppate
da Weber circa le conseguenze che sul funzionam ento della democrazia e
dei sistemi politici ha prodotto la grande novità rappresentata dalla cre­
scente funzione svolta dai partiti politici nel processo di parlamentarizza-
zione e di selezione dei gruppi dirigenti, in presenza della inarrestabile

23 Ernst Fraenkel, Detttschland und dìe westlichcn Demokratien, Kohlhammer,


Stuttgart 1964, trad. ìt. parziale, La componente rappresentativa e plebiscitaria nello
aato costituzionale democratico, a cura dì Luigi Ciaurro e Clemente Forte,
( ìiappiehelli, Torino 1994.

XV
A n g e lo B o laffì

assunzione di responsabilità da parte dello Stato di funzioni di tutela


sociale e di intervento nell’economia. Esattamente quella realtà che appe­
na tre anni dopo la morte di Weber, nel 1923, verrà polemicamente discus­
sa nel saggio di Cari Schmitt intitolato L a situazione storico-spirituale del­
l'attuale parlam entarismo21, il più furibondo attacco che da parte conser­
vatrice sia mai stato portato nei confronti dell’istituzione parlamentare,
volto proprio a contestare la tesi weberiana che il parlamentarismo fosse
lo strumento per realizzare la selezione delle élites. L’obiettivo essenziale
che oggi si prospetta, l’orizzonte critico entro il quale vorremmo iscrive­
re questa raccolta degli Scritti politici weberiani è dunque chiaro, rilegge­
re Weber per sondare attualità e limiti della sua diagnosi su ruolo e desti­
no della politica als Beruf, come professione.

Il criterio guida che ha orientato la scelta dei testi di questa antologia è


stato quello di offrire al lettore una panoramica, la più complessiva possi­
bile, della riflessione weberiana, privilegiando al tempo stesso i saggi in
cui più consistente risulta l’impegno teoretico dell’autore. A questo scopo
la raccolta si apre con la Prolusione accademica del 1895 che ha per tema
L o Stato nazionale e la politica economica tedesca e si conclude con l’in­
tervento di Weber del 1920 a proposito del cosiddetto «caso A rco», l’ul­
tima presa di posizione politica dì Weber di cui sia rimasto documento.
U na significativa novità di questa raccolta, rispetto alle altre precedenti
comparse in italiano3’, consiste nella scelta di affiancare ai tradizionali testi

11 Cari Schmitt, Die geistesgeschichtliche Lage des beutigen Parlamentarìsmus,


Duncker & Humblot, Miinchen-Leipzig 1923. Ma la versione che in qualche modo fa
testo c sulla quale è stata condotta la riedizione del 1969 è la seconda, apparsa sempre
per lo stesso editore nel 1926, preceduta da una fondamentale Vorbemerkung {Uber
den Gegensatz von Parlamentarismus and Demokratie), che va letta anche come una
risposta al saggio pubblicato da Hans Kelsen nel 1924 intitolato Das Problem des
Parlamentarìsmus (trad, it. in Hans Kelsen, La democrazia, Il Mulino, Bologna 1955,
quarta ed. 1981).
“ Max Weber, Scritti politici, con un saggio introduttivo di Antonino Bruno,
Gìannotta Editore, Catania 1970 (una ristampa di questa edizione è comparsa per i tipi
della Scam, Roma 1998; Max Weber, Parlamento e governo e altri scrittipolitici, a cura
di Luigi Marino, introduzione di Wolfgang J. Mommsen, Einaudi, Torino 1982 (la
prima traduzione di questo testo weberiati o in italiano fu quella, pubblicata nel 1919
col titolo Parlamento e governo nel nuovo ordinamento della Germania, da Laterza
su esplicita sollecitazione di Benedetto Croce. La politica come professione, che qui
abbiamo compreso nella nostra raccolta, fu dapprima pubblicata, come si è visto, nel
già citato volume II lavoro intellettuale come professione. Ne sono poi apparse altre
due recenti edizioni, la prima a cura di Carlo Donolo, Anabasi, Milano 1994, e la
seconda, con una introduzione di Luciano Cavalli, Armando editore, Roma 1997.
In tro d u z io n e

che documentano l’analisi sviluppata da Weber degli avvenimenti politici


tedeschi coevi e immediatamente successivi alla prima guerra mondiale -
il crollo della monarchia, la form azione della repubblica e la discussione
sulla sua futura forma costituzionale - il saggio del 1919 intitolato Politica
come professione. Cioè il momento più alto della riflessione weberiana
sulla politica, un’opera imprescindibile per chi voglia riflettere sulle forme
della politica moderna. In questa direzione va anche la riproposizione del
testo dedicato all’analisi della burocrazia. L a scelta di presentare al letto­
re i passi tratti da Economia e società dedicati al tema della nazione tiene
ovviamente conto del rinnovato interesse che, in Italia e in Europa, la dif­
fusione di movimenti localistici e secessionisti ha riacceso attorno alla
questione di cosa si debba intendere per «nazione», se esista qualcosa che
possa venire indicata come identità nazionale e in che m odo essa si defi­
nisca. E, al tempo stesso, vuol essere anche un contributo a orientare tale
discussione in senso razionale, rispondendo con la forza degli argomenti
e della ricerca alla diffusione di confuse ideologie animate da populism i
viscerali. Gli eventi accaduti in Europa e nel mondo a seguito del crollo
del M uro di Berlino nel 1989 c della dissoluzione dell’U rss hanno con­
fermato il carattere davvero profetico dell’analisi critica sviluppata da
Weber nel saggio del 1918 intitolato II socialismo. E d in particolàre della
doppia constatazione in esso contenuta che se è vero che «ogni operaio
sarà sempre, in qualche modo socialista» è altrettanto innegabile che «il
destino di chi lavora in miniera non cambia in alcun m odo se questa
miniera è privata o statale»3 . È davvero impressionante constatare non
solo che le ragioni indicate da Weber del perché un’economia pianificata
in m odo centralistico non avrebbe potuto funzionare si siano tutte dim o­
strate esatte, ma anche come abbia trovato conferma la sua ipotesi secon­
do la quale un’economia pianificata inevitabilmente avrebbe dovuto par­
torire una sorta di superfetazione burocratica il cui esito sarebbe uno stato
totalitario. N on è per questo esagerato sostenere che molti degli argo­
menti che, dagli anni quaranta in poi, vennero sviluppati dai critici dei
«socialism o reale» di ispirazione trotzkista o di formazione neomarxista,
riecheggino sostanzialmente quanto sostenuto da Weber molti anni
prima. Ma non certo con l’intenzione di criticare una «degenerazione»
rispetto a un giusto ideale; quanto semmai per dimostrarne il carattere
illusorio e ideologico.
Naturalmente non viene qui riproposto il pur importantissimo lavoro
pubblicato da Weber nel 1918 con il titolo Parlamento e governo nel
nuovo ordinamento della Germania, che per la sua stessa mole costituisce

Cfr. infra, pp. 111 c 115.

V 17TT
A n g e lo B o la ffi

un lavoro a sé e che è del resto già accessibile in ottime edizioni al lettore


italiano. Vale la pena ricordare, al proposito, che lo stesso Weber giudicò
quel testo in qualche m odo superato prima ancora che venisse pubblica­
to. Infatti, come egli osservò nella premessa introduttiva datata 15 dicem­
bre 1918 allo scritto intitolato L a futura form a statale della G erm ania,
apparso sotto forma di opuscolo nel gennaio del 1919 (qui riproposto alle
pagine 133 sgg.) gli avvenimenti avevano reso obsoleta la diagnosi conte­
nuta in quel saggio, «il quale - partendo dal dato di fatto dell’egemonia
prussiana e delle dinastie - poteva indicare nella parlamentarizzazione
l’unico sbocco possibile alla situazione politica della Germania»14, Nel
frattempo, il Kaiser era già stato costretto ad abdicare ed era stata procla­
mata la repubblica.
In coerenza con i criteri che hanno orientato questa raccolta si è deci­
so di tralasciare gli scritti dedicati da Weber all’esame di contingenti que­
stioni di polìtica internazionale, ma anche quelli, pure importantissimi,
dedicati da Weber all’analisi degli avvenimenti rivoluzionari in Russia nel
1903-6 e poi nel 191725; o quell) dedicati alla discussione della posizione
tedesca nel contesto dell’equilibrio europeo; o, infine, quelli concernenti
il tema della «colpa» sollevato dalle potenze vincitrici dopo la sconfitta
della Germania26, Scritti che meriterebbero di venire raccolti in un volu­
me a sé, anche per tentare una ricostruzione complessiva dell’interpreta­
zione weberiana del ruolo strategico e della funzione geo-politica della
Germania nel contesto della politica europea e mondiale.

«Addentrarsi nell’opera di M ax Weber è un azzardo»3', questo avver­


timento merita davvero di venir preso sul serio. Per questo nell’affronta-
re il tema Weber occorre davvero grande equilibrio e molto rigore. A d
esempio, per motivi facilmente comprensibili ma non per questo giustifi­

24Cfr., infra, p. 133.


“ M ix Weber, Zur Lage der burgerlichen Demokratie in Russland, in «Archiv fiir
Soziaiwissenschaft und Sozialpolink», X X I I, 1906, 1; Russlands Ubergang zum
SchcinbùstitutìonaUsrmts, in «Archiv fiir Soziai wissenschaft und Sozìalpolitik», X X i n ,
1906,1, supplemento; Russlans Ubergang zur Scheindemokratie, in «Die Hìlfe», 6-4-
1917 (trad. it. Sulla Russia 1905/6 1917, presentazione di Pier Paolo Giglioli, Il
Mulino, Bologna 1981).
Max Weber, Zum Tbema der «Kriegsschuld* (gennaio 1919); Zur Untersuchung
der Schtddfrage (marzo 1919); Bemerkungen zum Berichi der Kommìssion der alliier-
ten und assoziierten Regierungen uber die Verantwortlichkeh der Ubrheber des
Krieges (maggio 1919), 1 primi due articoli sono tradotti in italiano in Weber, Scritti
politici, Catania 1970, cit., pp. 359-63.
17 Hennis, Il problema Max Weber cit., p. 7.
In tro d u z io n e

cabili, nel secondo dopoguerra si è spesso cercato, per così dire, di «deger­
m anizzare» Weber con l’intento di sottrarre la sua opera all’ipoteca terri­
bile della tragedia tedesca. «Alcuni studiosi nella Repubblica federale
tedesca e negli Stati Uniti - ha scritto Raym ond Aron - hanno avuto la
tendenza a presentare Max Weber come un buon democratico, dì stile
occidentale, conforme aU’immagine che ce se ne può fare dopo la secon­
da guerra m ondiale»18. Una operazione, ovviamente, non solo filologica­
mente molto discutibile ma «assolutamente lontana dalla realtà», la quale
ha decisamente contribuito a indirizzare su sentieri sbagliati la discussio­
ne, im pedendo in particolare di rintracciare e mettere in evidenza le matri­
ci profondamente tedesche del pensiero weberiano. La conseguenza è
stata molto grave: la ricerca relativa alla Bildung, alla formazione spiritua­
le di Weber è, oggi, ancora in larga misura tutta da fare, nonostante la
bibliografia dedicata all’argomento Weber sia praticamente sterminata” .
Q uesto spiega - come ha giustamente osservato Wilhelm Hennis, che ha
cercato di riportare sul giusto binario la discussione nel volume non a caso
intitolato II problema Weber —perché «non esiste, su Weber, un libro che
possa essere paragonato al Jean-Jacques Rousseau et la Science politique de
son temps di R obert Derathé»50. Mentre per avere notizie concernenti la
biografia intellettuale di Weber o informazioni su quali siano state le sue
relazioni con i protagonisti del dibattito culturale del suo tempo, siamo
ancora costretti ad affidarci alle informazioni contenute nella ricostruzio­
ne non proprio esemplare (e soprattutto noiosissima) della moglie
Marianne. In conclusione, non è poi così esagerato sostenere, da questo
punto di vista, che Weber sia oggi un pensatore ancora in larga misura
sconosciuto.
Lu ogo d ’origine di tante letture di Weber, davvero «scotom izzanti», è
la sistematica rimozione nell’esame del suo mondo culturale di riferimcn-

a R a y m o n d A r o n , Mani Currents in Sociologica! Tbougbt, B a s ic B o o k s In c.


P u b lish e r s, L o n d o n 1 9 6 7 (tr a d . it. Le tappe del pensiero soóologtco, M o n d a d o r i,
M ila n o 1 9 7 2 , p. 5 1 6 ).
is P e r le te n d e n z e p iù re ce n ti si v e d a l’im p o r ta n te c o n tr ib u to d i B r u n o A c c o r in o ,
Nuovi sondaggi nell'universo weberiano, in « F ilo s o f ia P o litic a » , Hi, d ic e m b r e 1 9 8 9 ,2 ,
d o v e g iu s ta m e n te si d e fin isc e tr a g ic a l’ o s c illa z io n e d i W eb er « t r a u n lib e r a lis m o a ttr a ­
v e r sa to d a fo r ti sp in te n a z io n a listic h e e la c o n s a p e v o le z z a c h e lo S t a to so c ia le , e c io è
l’a lte r a z io n e d e ll’ a s s e tto « p u r o » d e llo S ta to lib e rale , è u n d a to o r m a i ir re v e rsib ile ». Si
v e d a a n c h e l’u tilissim a r a sse g n a d i L u c a M a n fr in , Un quinquennio di studi su Max
Weber. Dimensioni e implicazioni concettuali del dibattito, in « F ilo s o f ì a P o litic a » , X,
a p r ile 1996, 1; e ivi, x n , a p rile 1 9 9 8 , 1.
JC H e n n is ,11 problema Max Weber cit., p . 15. L ’o p e r a d i D e r a th é è a p p a r s a nel 1950
p r e s s o la L ib r a ir ie P h ilo s o p h iq u e J . V rin , P a ris (se c o n d a ed . 19 7 0 ). L a trad . it. è c o m ­
p a r sa p c s s o II M u lin o , B o lo g n a 1993.
A n g e lo B o la ffi

to, dei suoi «rapporti con le inquietudini della “ modernità letteraria” »31. E,
soprattutto, il mancato riconoscimento del significato, davvero decisivo,
esercitato da Nietzsche sulla formazione dei fondamentali principi filosofici
della dottrina weberiana. In un famosissimo p asso della sua conferenza dedi­
cata alla Scienza come professione, confutando anticipatamente le interpreta­
zioni riduttive e semplificanti del suo pensiero, Weber afferma:
D ì q u e sto , s e n o n a ltr o , o g g i sia m o c e n i: [...] c h e q u alco sa p u ò esse re b e llo n o n
s o lo an ch e se n z a esse re b u o n o b en sì in q u a n to n o n è tale, come a b b ia m o im p a ra to
d a N ie tz sc h e , e an c h e p r im a lo tr o v ia m o i llu s t r a t o nelle Fleures da mal, c o m e
c h ia m ò B a u d e la ir e il su o v o lu m e d i p o e sie ; e d è i n f i n e u n a verità d i tu tti i g io rn i che
q u a lc o s a p u ò esse re v e r o se b b e n e e in q u a n to n o n s i a bello, né sac ro , ne b u o n o 51.

Dunque, la critica della «filosofia dei v a lo ri», che rappresenta il pre­


supposto «m etafisico» della teoria w eberiana della politica, è del tutto
incomprensibile al di fuori della premessa ch e rispetto ad essa costituisce
la Umwertung der Werte, il capovolgim ento dei valori operato da
Nietzsche. U na clamorosa conferma che q u e st’ultimo sia stato il decisivo
punto di riferimento nella costellazione spiritu ale di Weber è in un passo
fam oso delle Considerazioni di un impolitico di Thomas Mann, dal quale
risulta che non solo Nietzsche fu l’educatore «d i una intera generazione
di pensatori tedeschi»55, ma addirittura costitu ì uno degli autori da cui
prese ispirazione la moderna critica sociologica:
L ’id ea c h e l ’u o m o d el p r o fitt o , tip ic o d e l c a p it a lis m o m o d e rn o , il bourgeois
c o n la s u a c o n c e z io n e a sc e tic a d el d o v e r e p r o f e s s i o n a l e , sia una c re a tu r a d e ll’ etic a
p r o te sta n te , p u r ita n a e c alv in ista, è u n ’ id e a c h e i o h o sentita e s c o p e r ta d a so lo ,

31 F e r ra r e si, Max Weber nella critica recente c i t ., p . 4 9 0 , c da u ltim o E d ìth W eiller,


Max Weber tmd die literariscbe Moderne. Ambivalente Begegnungen zweier
Ktdtwren, M e tz le r V c rla g , S tu ttg a rt-W e im a r 1 9 9 4 .
31 M a x W eber, La scienza come professione c it ,, p . 3 1 .
33 H e n n is , Il problema Max Weber cit., p . 1 9 7 , p a r l a dì «clim a n ie tz sc h ia n o ch e
a v v o lse la g e n e r a z io n e d i W eb er». In q u e s t o s e n s o si ved a il d e c is iv o s a g g io d i
F e r d in a n d T ò n n ìe s, Der Nietzsche-KuItus, L e i p z i g 1 8 9 7 . Il tem a d e ll’ in flu e n z a d i
N ie tz s c h e su W eb er è s ta t o u n v e r o e p r o p r io t a b ù d e l l a ricerca w eb erian a. Si p e n si ch e
in u n lib r o q u a le q u e llo p e r altri v ersi p u r i m p o r t a n t e d i R eihard B e n d ix , Max Weber,
C a lifo r n ia P a p e r b a c k E d itio n , L o s A n g e le s 1 9 7 7 ( m a la p rim a ed izion e r isa le al I9 6 0 ),
il n o m e di N ie t z s c h e a p p a r e s o lo u n a v o lta n a s c o s t o n e ll’ u ltim a riga d i u n a n o ta (tra d .
it. Z a n ich e lli, B o lo g n a 1 9 84, p. 3 4 1 ) in cu i si a f f e r m a ch e la «d en u n cia d e llo s p ir ito
b u r o c r a tic o e m ilita r istic o d e l p o p o lo e r a d if f u s a s i a t r a i liberali p e r r a g io n i p o litic h e
e e c o n o m ic h e ch e tr a i critic i d e lla c u ltu r a p e r r a g i o n i estetich e. N a tu ra lm e n te le g r a n ­
d i p o le m ic h e d i N ie tz s c h e s o n o rilev an ti a q u e s t o p r o p o s it o » . O g g i fo rtu n a ta m e n te
a p p a r e d el tu tto o v v io s o s te n e r e ch e la p o s iz io n e d i W e b e r sia la c o n se g u e n z a p iù r a d i­
cale d el « n ic h ilism o » n ie tz sc h e a n o . In q u e s t o s e n s o efr. A n d re a G erm er, Wissenschaft
und Leben. Max Webers Antwort a u f eine Frage Friedrich Nietzscbes, V a n d e n h o e c k
& R u p r e c h t, G o tt in g c n 1994.
In tro d u z io n e

s e n z a a u silio d i le ttu re , p e r m ia d ir e tta in tu iz io n e ; s o lo p iù ta r d i, d ì re c e n te , h o


v is to c h e c o n te m p o r a n e a m e n te e r a s ta t a r a g io n a t a e d e s p r e s s a a n c h e d a d o t t i p e n ­
sa to r i. M a x W eb er a H e id e lb e r g e d o p o d i lu i E r n s t T r o e ltsc h h a n n o tr a tta to d e l­
l ’e tic a p r o te sta n te e d e llo sp ir ito d e l c a p ita lism o ; p o r ta ta al lim ite q u e s t ’ id ea sì
r itr o v a n e l Borgh ese d i W ern er S o m b a r t, u sc ito nel 1913 [...] C o m e e le m e n to n u o v o
v o rre i a g g iu n g e r e la su p p o siz io n e , e q u iv a le n te a u n a c e rte z z a , ch e la n o s tr a id en tità
d i v e d u te su lla c o n se g u e n z a p sic o lo g ic a « c a lv in ism o , sp ir ito b o rg h e se , e r o ism o »
su ssìste in f o r z a d i u n c a ta liz z a to re p iù alto , d el p iù a lto m e z z o sp ir itu a le , cioè
N ie tz sc h e . S e n z a tale ev e n to ch e d o m in a s o v r a n o su tu tto il n o s tr o te m p o , ch e inci­
d e su o g n i e sp e rie n z a sp iritu ale fin o n ei su o i d e tta g li e stre m i, e ch e c o stitu ì u n a
fo r m a a sso lu ta m e n te n u o v a e m o d e r n a d ì e sp e rie n z a e ro ica, in d u b b ia m e n te qu el
s o c io lo g o n o n si sa r e b b e im b a ttu to n ella su a fo r m a er o ic o -p r o te sta n te , né il ro m a n ­
z ie re a v r e b b e p o tu to v e d e re la f ig u r a d el su o « e r o e » c o sì c o m e la vid e31.

M a l’imbarazzante ritardo della ricerca weberiana, è ulteriormente


confermato da almeno altre quattro inoppugnabili constatazioni. N on
esiste nessuna attendibile ricostruzione del ruolo che un autore come
Burckhardt ha avuto nella sviluppo del pensiero di Weber, in particolare
attraverso le riflessioni sulla natura qualitativamente nuova delle crisi nel­
l’età della m assificazione, sviluppate dallo storico svizzero nelle
Weltgeschichtlicbe Betracbtungen, che per altro Weber cita in più di una
occasione55. Salvo due o tre encomiabili eccezioni56, nessuno ha ancora
provato a realizzare una sistematica comparazione tra la diagnosi della
«dem ocratizzazione» sviluppata da Tocqueville nei suoi studi sulla
Dem ocrazia in America e la teoria weberiana della Demokratisierung.

54 T h o m a s M a n n , Betracbtungen eines Unpolitischen, F isc h e r V e rla g , B e rlin 1918


(tra d . it. C o n sid erazio n i d i un im politico , a c u r a d i M a r ia n e llo M aria n e lli e M a r lis
In g e n m e y , A d e lp h i, M ila n o 1997, p p , 1 6 0 -1 , Q u e s t a e d iz io n e r ip r o d u c e s o s ta n z ia l­
m e n te la p r im a , se m p r e a c u r a d i M a r ìn e llo M arin e lli, D e D o n a t o , B a r i 1967).
J5 J a c o b B u r c k h a r d t, Sitilo stu d io della storia. L e z io n i e conferenze (1868-1873), a
c u r a d i M a u r iz io G h e la r d i, E in a u d i, T o r in o 1998 (m a d e ll’o p e r a e siste u n a p r e c e d e n ­
te e d iz io n e a c u r a d i M a z z in o M o n tin a r i, B o r in g h ie ri, T o r in o 19 5 8 ). A d e s e m p io
W eb er c ita B u r c k h a r d t n e i sa g g io Tra due legg i (cfr. in fra , p . 3 9 ), r ic o r d a n d o « le c o n ­
sid e r a z io n i s p e s s o a c c o lte c o n s t u p o r e c ir c a il c a r a tte re d ia b o lic o d e l p o te r e » ed e s p li­
c ita m e n te f a rife r im e n to alle W eltgeschichtlicbe B etracb tu n gen nei sa g g io d e ll’o tt o b r e
1936 in tito la to D eu tscb la n d u n ter den europaischen W eltmachten (L a G e rm an ia tra le
g r a n d i p o te n ze europee).
56 Si v e d a a d e s e m p io F r a n c e s c o T u c cari, 7 dilem m i della dem ocrazia m oderna. M a x
Weber e R o b ert M icbels, L a te r z a , B a r i- R o m a 1 9 9 3 , in p a r tic o la r e p p . 116 sg g . O p p u r e
H e n n is , I l p ro b lem a M a x Weber cit., p . 2 5 4 d o v e o p p o r tu n a m e n te si r ic o r d a « l ’a ffa sc i­
n an te a n a lisi» d i R . C . B o e sc h e nel sa g g io , The stran ge L iberalism o f A lexis de
Tocqueville, in « H i s t o r y o f P o litic a i T h o u g h t » , U, 1981, p p . 4 9 5 -5 2 4 , « il p r im o ch e d à
u n fo n d a m e n to s e n sa to al p a r a g o n e tr a q u e sti d u e p e n sa to r i c o sì d e c isa m e n te “ c o n tro -
c o rr e n te ” r isp e tto a l lo r o te m p o » . M a s o p r a ttu tt o cfr. il sa g g io in tr o d u ttiv o d i S ie g frie d
L a n d s h u t alla a n to lo g ìa in tito la ta A lexis d e Tocqueville , D a i Z eitalter d e r Gleichkeit.
A u sw a h l a u s Werken u n d Briefen, W e std e u tsc h e r V erlag, K ò ln - O p la d e n 1967,
A n g e lo B o la ffi

Anzi, la situazione è talmente confusa, che non siamo ancora neppure


certi se davvero Weber abbia mai letto Tocqueville37. L o stesso colpevole
ritardo va segnalato a proposito dell’esame comparato dell’opera di
Kelsen rispetto a quella di Weber, in particolare per quanto riguarda il
nesso «politeismo dei valori», parlamentarismo ed «essenza della demo­
crazia». Infatti a differenza di Weber, che enfatizza la radicale inconcilia­
bilità dei rispettivi «giudizi di valore», il carattere demoniaco del con­
fronto dei «punti di vista», «il reciproco eterno conflitto di quelle divinità,
ossia, fuor di metafora, l’impossibilità di conciliare e risolvere l’antagoni­
sm o tra le posizioni ultime in generale rispetto alla vita, vale a dire la neces­
sità di decidere per l’una o per l’altra», Kelsen propende per una interpreta­
zione relativizzante: la filosofìa della democrazia - dice Kelsen - è «il rela­
tivismo filosofico». Anch’egli, come Weber, sostiene la necessità di una
rigida separazione tra «proposizioni relative al reale e genuini giudizi di
valore»; ma poiché i giudizi di valore - ed è questa la differenza tra i due -
«non si riferiscono a valori immanenti in una realtà assoluta, essi non p o s­
sono stabilire valori assoluti, ma solo relativi. U n a filosofia relativistica è
decisamente empirica e razionalistica e, di conseguenza, ha una franca
propensione allo scetticism o»18. Se l’essenza del m etodo democratico è il
compromesso, questo presuppone non solo la reciproca tolleranza tra i
differenti punti di vista, ma una propensione di ciascuno di essi a relati­
vizzarsi. L’alternativa, altrimenti, è quella del decisionismo e della logica
amico-nemico. N on a caso, proprio questo aspetto della filosofia webe-
riana, quello di una assoluta inconciliabilità nel conflitto dei valori, a pro­
posito dei quali egli parla di «una lotta mortale senza possibilità di conci­
liazione, come tra “ d io” e il “ dem onio” », tra cui «non è possibile nessu­
na relatìvizzazione e nessun com prom esso»15, è diventato oggetto di
furiose polemiche. A cominciare da quella sollevata nel 1940 da Karl

17 A n c h e s e W eb er n o n c it a m a i T o c q u e v ille , se m b r a a s s o d a t o ch e c o n o s c e s s e i su o i
sc ritti. In q u e sto s e n s o si v e d a la te s tim o n ia n z a d e lla m o g lie M a r ia n n e , la q u a le in u n a
le tte ra a J a k o b P. M a y e r, c h e a tal p r o p o s it o l’a v e v a in te rr o g a ta , sc riv e : « A m ìo a v v iso
è f u o r d i d u b b io ch e M a x W e b e r c o n o s c e s s e le o p e r e d i T o c q u e v ille , b e n c h é i o n o n
p o s s a fo rn ir e a lc u n a p r o v a [...]. L a p a r e n te la sp ir itu a le tr a le v e d u te sto ric h e e s o c i o lo ­
g ich e d e i d u e p e n sa to r i m i se m b r a u n a c o s a m o lto p la u sib ile » (cit. in T u c c a ri, 1 dilem­
mi della democrazia c it., p . 108.
M K e lse n , La democrazia cit., p . 216.
J’ Q u e s t a tesi è s o s te n u ta d a W eb er in d iv e r si p a ss i. Sì v e d a , a d e s e m p io infra, p. 42.
O p p u r e nel sa g g io d el 1917 in tito la to f i significato della « avalutatività» delle scienze
sociologiche e economiche, in 11 metodo delle scienze storico-sociali cit., p . 3 3 2 , c p r a ti­
c a m e n te n eg li ste ssi te n n in i u n a n n o d o p o n ella c o n fe r e n z a d al tito lo Scienza come
professione, in / / lavoro intellettuale cit., p . 31. O v v ia m e n te W e b e r u s a « s tr u m e n ta l­
m e n te » l’a ffe r m a z io n e di S tu a r t M ill.
In tro d u z io n e

Low ith e poi ripresa nel secondo dopoguerra da Leo Strauss40. Q uesto,
infatti, segnerebbe il più evidente punto di continuità tra la riflessione
weberiana e il «decisionism o» di Cari Schmitt, al punto che H aberm as ha
sostenuto che «non possiam o non prendere atto che Cari Schmitt è un
legittimo scolaro dì M ax Weber»41. Indubbiamente questa pretesa incon­
ciliabilità dei punti di vista solleva non pochi interrogativi, il prim o dei
quali è com e essa possa coniugarsi con una concezione davvero liberale
della vita politica. E , in secondo luogo, se essa non debba venire interpre­
tata com e una sorta di illegittima trasposizione e assolutizzazìone da parte
di Weber nella sfera del giudìzio di aspetti della realtà storica a lui con­
temporanea, «le discussioni di valore, condotte acutamente, non portano
gli uomini ad un avvicinamento, ma mostrano loro il contrasto incolmabi­
le, dal quale sono necessariamente divisi. Q ui è postulata una sovranità del­
l’individuo intangibile e delle sue convinzioni, che ha una sorprendente affi­
nità con la sovranità degli stati di potenza. VI è in effetti un parallelo che è
il punto non solo problematico ma chiaramente debole nelle posizioni
weberiane»42.

Ultim a infine, ma non certo per importanza, è la questione del rap­


porto tra Marx e Weber. C om ’è noto, secondo quella che è una sorta di
leggenda metropolitana del dibattito filosofico del Novecento, M ax
Weber rappresenterebbe l’anti-Marx, il «M arx della borghesìa», il padre
nobile della tradizione liberale e il difensore delle ragioni della ratio capi-

10 K a r l L o w ith , Max Weber und seine Nacbfolger, in « M a s s u n d W e r t» , in , 1 9 3 9 ,


b im e str a le p e r la «fre ie d e u tsc h e K u lt u r » d ir e tto a a T h o m a s M a n n e K o n r a d F a lk e
(e d . it. c o n il tito lo Max Weber e Cari Schmitt, a c u r a d i A n g e lo B o la f fi, in
« M ic r o m e g a » , 1 9 8 7 , 2). S u c c e ssiv a m e n te L o w it h h a p a r z ia lm e n te r iv isto le s u e o s s e r ­
v a z io n i c r itic h e n e i rig u a rd i d e lle ev e n tu ali r e sp o n s a b ilità d i W eb er n ella a ffe r m a z io n e
d i p o s iz io n i te o rich e a n tid e m o c r a tic h e e illib e rali. Q u a n t o a L e o S t r a u s s , cfr. la n o t a 8.
41 Jìir g e n H a b e r m a s , in te rv e n to a l c o n v e g n o d el 1964, in Max Weber e la sociolo-
gia oggi c it., p . 10 7 . S e c o n d o il f ilo s o f o fr a n c o fo r te s e «W eb er, d u r a n te la p r im a g u e r r a
m o n d ia le , h a sv ilu p p a to l’ im m a g in e d i u n a d e m o c r a z ia d itta to ria le c e sa r ia n a , s u lla
b a s e d i u n im p e r ia lism o n a z io n a lis tic o » ( ibid.). Si v e d a a n c h e J ì i r g e n H a b e r m a s ,
Dogmatismus, Vernnnft und Entscbeidung, in Theorie und Praxis, L u c h t e r h a n d
V e rla g , N e u w ìe d a m R n e in - B e r lin 1963 (tr a d . it. Teoria e prassi, Il M u lin o , B o lo g n a
1971). S u l r a p p o r t o tra W e b e r e S c h m itt si v e d a in o ltre W o lfg a n g M o m m s e n , Max
Weber und die deutsche Politik, 1890-1920, J . C . B M o h r, T tib in g e n 1974 (tr a d . it. Max
Weber e la politica tedesca, Il M u lin o , B o lo g n a 1 9 93, in p a r tic o la r e p p , 57 5 s g g .) . S u l
p r o b le m a d el p o s s ib ile n e s s o tra « r e la tiv is m o » e « d e c is io n is m o » crr. C h r is t ia n G r a f
v o n K r o c k o w , Die Entscbeidung. Etne Untersuchung Uber Ernst funger, Cari Schmitt,
Martin Heidegger, F e r d in a n d E n k c V e rla g , S t u tt g a r t 1958.
43 E d u a r d B a u m g a rte n , in Max Weber e la sociologia oggi cit., p . 189.

X X lll
A n g e lo B o la ffi

talistica. In realtà una tale interpretazione - basta aver letto i saggi di


Lowith o di Landshut, per saperlo - è non solo fuorviarne, ma compieta-
mente falsa. Almeno per tre ragioni. L a prima è tanto semplice quanto
incontestabile: Weber considerava Marx accanto a Nietzsche come un
autore decisivo nel suo processo di formazione. «L ’onestà intellettuale, e
specialmente di un filosofo del nostro tempo, può essere misurata dalla
sua posizione nei riguardi di Nietzsche e di Marx. Chi non ammette che
senza l’opera di questi due pensatori non sarebbero stati possibili neanche
parti essenziali della propria opera, inganna se stesso e gli altri. Lo stesso
mondo spirituale nel quale noi viviamo è il larga misura segnato da M arx
e da N ietzsche»45. L a seconda ragione è che nessuna idea fu mai tanto lon­
tana da Weber quanto quella di voler essere il «M arx della borghesia».
Tanto meno, poi, di quella tedesca, della cui «volontà di im potenza» e
immaturità politica egli fu critico spietato sin dalla Prolusione accademica
del 1895: «Io sono un membro della classe borghese, mi sento tale c sono
stato educato alle sue vedute e ideali. Ma è com pito della nostra scienza
dire ciò che non si ascolta dì buon grado, e quando mi domando se la bor­
ghesia tedesca sia oggi matura per diventare la classe polìtica della nazio­
ne, allora a tutt’oggi non sono in grado di rispondere affermativamente»44.
Infine Weber, al contrario di quanto sostenuto da una interpretazione
superficiale e riduttiva, non si propose mai l’obiettivo dì «falsificare» il
marxismo. La sua critica «positiva» della concezione materialistica della
storia, come pure la sua notissima lezione agli ufficiali del regio-imperial
esercito di Cacania dedicata al Sozialismus, non ha né banali intenzioni
apologetiche, né tanto meno è m ossa da una volontà polemica nei con­
fronti dell’opera di Marx, cui, invece, come abbiamo visto, egli riconosce
una grande rilevanza anche quale contributo alla critica dell’ideologia.
C om e ci conferma una affermazione della moglie Marianne, «Weber dif­
fida di tutte le precedenti metafisiche dello Stato come di una s o m di
mimetismo con cui le classi privilegiate proteggono se stesse dalla ridefi­
nizione delie sfere di potere. Condivide, su questo punto, la concezione
dello stato c dell’ideologia dello stato di M arx»45. C ontro il diritto natura­
le, ad esempio, Weber usa una argomentazione assolutamente «marxista».
Dunque, lo scopo della polemica di Weber non fu affatto quello di nega­
re il ruolo decisivo occupato dal fattore economico nella dinamica della
storia o la sua importanza quale motivo dell’agire politico, «In ogni
epoca», sostiene, ad esempio, sempre nella Prolusione accademica, «è stato

45 B a u ru g arteli, M a x Weber. Werk and Persosi cit., p. 5 5 4 ,


44Cfr. infra, p. 23.
45 M a ria n n e W eber, M a x Weber cit., p . 6 7 1 .

XXIV
In tro d u z io n e

il conseguimento della potenza economica ciò che ha fatto nascere in una


classe 1 idea del a sua candidatura alla guida politica. È pericoloso e alla
unga inconciliabile con 1 interesse della nazione se una classe economica­
mente dedm ante conserva il potere politico»48.
n realta, obiettivo della critica di quella che Weber chiama « l’inter­
pretazione materialistica», è versione caricaturale e deformata che del
marxismo veniva sostenuta da autori ortodossi quali K au tsk y o
ec anov, « er coloro, in cu; j) desiderio di conoscere le cause non si
p aca senza un interpretazione ec0nomica (materialistica, come purtrop-
po ancora si dice), si osservi qui, che io ritengo molto rilevante l’influen­
za dello svtluppo economico sulla form azione dei concetti religiosi, e più
tardi cercherò di esporre Come si sono conformati nel nostro caso agli
a attamenti e e relazioni reciproche. M a quei contenuti religiosi non si
possono asso utamente dedurre dall’economia»47. Q ui Weber riprende,
aCj n m 6 SUC ~ come. m °h i anni or sono giustamente era stato sottolinea-
to a assimo Cacciati ~ (e osservazioni critiche che erano state solle­
vate ne ambito delia cosiddetta Revisionionismusdebatte nei confronti
del determinismo storico, dell’ideologia del Sozialismus e del materiali­
sm o volgare che pretendeva d i trasformare il fattore economico in una
sorta 1 meta tsica «ultima istanza» dell’agire collettivo. E, in particolare,
sem ra condividere molte delle osservazioni sviluppate in quella sede da
que marxista «revisionista^ e anomalo, davvero una sorta di «Weber del
movimento socialista», che risponde al nome di Eduard Bemstein. Un
autore c e, non a caso, W eber cita con approvazione in più di una occa­
sione. Certo sarebbe assurdo pretendere di negare o relativizzare l’enor­
me istanza di metodo e dì sostanza che separa l’approccio al problema
storico da parte di Marx da quello dì Weber, se non altro perché l’uno era
a ievo ' H egel e altro d ì N ietzsche. E tuttavia la differenza vera tra
anc e e er non va cercata là dove, invece, pretende di individuarla una
certa interpretazione di Weber. «Il tema specifico delle loro ricerche» ha
scritto òwith, è il m edesJm o _ £ sso è relativo alla «problematica del

■ -tr‘ P; . ■ o c o P C irn a (p , 1 8 ) W e b e r a ffe rm a , « o s s e r v ia m o c h e in tu tti ì


f r lJ l f Unt(v ■' v l,s ta « or^ c o s ta g u a d a g n a n d o te r r e n o . L a p o litic a so c ia le al
p o s o e a p q tica, e r e la z io n i e c o n o m ic h e d i p o te n z a al p o s t o d e lle re la z io n i d i
ìri o , a sto n a e a c iv iltà e b s t o r i a e c o n o m ic a al p o s t o d e lla s t o r ia p o litic a o c c u -
P a n ° rrmPw Pu U T pO St° C e n ln ile « o g n i a n a lisi» .
« ji/* • e etica protestante e lo spirito del capitalismo c it., p. 2 9 2 .
a ssim o a c c ia ri p a r a d j « p a g in e b e rn ste in ia n e d e lla c ritic a w e b e r ia n a d el
' ar 1Sw/*!*’ "c ;U° in te r v e n to Weber e la critica della ragione socialista, p u b b lic a to
in Max Weber. Sul socialismo rea le , in t r o d u z ìo n e d i M a u r iz io C ia m p a , c o n in te rv e n ti
d i M a ssim o C a c c .a n e G i u s e p p e B e d e s c h i , S a m o n à e Sav e lli, R o m a 1 9 79, p . 81.
A n g e lo B o la ffi

mondo umano moderno, il quale sotto il rispetto economico è "capitali­


stico” e sotto quello politico è '‘borghese” » 4’ . L a sola, vera, fondamentale
distanza che separa l’autore del Capitale da colui che ha provato a pensa­
re la genesi del moderno spirito capitalistico dall’etica protestante è che
«mentre M arx offriva una terapia, Weber forniva solo una diagnosi»” . E
quest’ultima era profondamente intrisa di apocalittico pessimismo sulla
sorte futura dell’umanità e sul destino del singolo nel contesto della dina­
mica dell’epoca moderna. Weber era letteralmente ossessionato dall’idea
che l’epoca borghese fosse minacciata da una endogena dinamica dissolu­
tiva, come se nel suo codice genetico celasse una malattia mortale. Se in
Marx fa continuamente capolino una teoria del crollo economico, non è
esagerato dire che in Weber serpeggia una teoria del crollo spirituale, «egli
è stato troppo marxista nella sua interpretazione della società moderna;
cioè troppo pessimista; non ha colto con esattezza né le prospettive di
benessere per le masse derivanti dall’aumento della produttività né l’atte­
nuazione dei conflitti dì classe e, forse, tra le nazioni»51.
In fondo quella proposta da Weber in alcune pagine della sua opera, e
in particolare in quelle finali dell’etica protestante, è una riedizione, sia
pure sui generis, della diagnosi di quella Kutturkritìk che dal romantici­
sm o in poi ha profondamente permeato la cultura tedesca ed è stata l’ori­
gine di un diffuso atteggiamento di radicale pessimismo verso la moder­
nità, sempre pericolosamente in bilico tra disincantato nichilistico e tragi­
ca filosofia della storia: «m a il destino fece del mantello una gabbia di
acciaio [...]. N essuno sa ancora chi nell’avvenire vivrà in questa gabbia e
se alla fine di questo enorme rivolgimento sorgeranno nuovi profeti o una
rinascita di antichi pensieri ed ideali o, qualora non avvenga né l’ una cosa
né l’altra, se avrà luogo una specie di impietramento nella meccanizzazio­
ne, che pretende di ornarsi di un’importanza che essa stessa nella sua feb-
brilità si attribuisce»52. Che pensatori come Lukàcs e Marcuse, Low ith e
Bloch, Voegelin e Strauss siano stati profondamente affascinati dal pen­
siero di Weber e abbiano per tutta la loro vita continuato a confrontarsi
con la sua opera si spiega anche sulla base dì questo contraddittorio, dif­
ficile, controverso legame che M ax Weber manifestò nei confronti dell’età
borghese, del suo «orrore» per il disincanto radicale del m ondo e per la
sua profonda diffidenza nei confronti dell’idea di progresso.

4’ Lowith, M a x W eber e K a r l M a rx cit., p. 90.


K Ib id ., p. 50, In questo senso cfr. anche G unther À bram o wski, D o s G escbich tsbìld
M a x Webers, Stuttgart 1966.
51 Aron, L e tappe d e l pensiero sociologico cit., p. 518.
Weber, L ’etica protestan te e lo spirito d e l capitalism o c it, p. 306.

YYVI
In tro d u z io n e

Sì è chiesto, e ci chiede, Raym ond Aron, «Perché M ax Weber, circa un


secolo dopo la sua morte, accende ancora tante passioni?». Forse perché,
com e egli giustamente sostiene, la sua opera «è cosi ricca e al contempo
così ambigua che ogni generazione la legge, rinterroga, l’interpreta in
maniera diversa»” . Ricchezza e ambiguità, dunque. Pochissimi, come lui,
hanno in questo secolo difeso le ragioni dell’intelletto e respinto le sua­
denti sirene che ne chiedevano «il sacrificio», «il “ sacrificio deU’mteUetto”
conduce, com ’è naturale, il discepolo al profeta e il credente alla chiesa.
M a non è ancora sorta una nuova profezia semplicemente per il fatto che
molti intellettuali [...] abbiano sentito il bisogno di arredare, per dir così,
la loro anima con oggetti antichi originali»54. Quella dì Weber è stata una
vera e propria estetica del rigore spirituale che, non a caso, rintracciamo
come un filo rosso dall’inizio alla fine della sua opera. «N o n l’approva­
zione, ma le obiezioni che queste mie argomentazioni hanno incontrato
presso molti ascoltatori mi hanno indotto a pubblicarle»55.Q uesta affer­
mazione è posta all’inizio della vita spirituale di Weber, sulla cui lapide
andrebbe incisa l’ultima frase da lui pronunciata in pubblico, «Io, se fossi
in politica, mi alleerei senza dubbio con ogni potenza della terra e anche
col diavolo in persona. M a solo con una potenza non scenderei mai a
patti, la potenza della stupidità»54. N el secolo segnato dal «tradimento dei
chierici, ecco un intellettuale che nulla concesse ai nuovi dei o alle nuove
ideologie («chi ha voglia di visioni del m ondo vada al cinematografo»
ripeteva) e che per questo è ben più di un semplice buon esempio. Egli
rappresenta piuttosto un vero e proprio antidoto spirituale. E proprio per
questo, forse, ci appare come un personaggio tragico, che non potè resta­
re coerente con se stesso. Il gelo che sentiva diffondersi in un m ondo
«m eccanizzato e senz’anima» accese in lui la speranza che nuovi profeti o
eroi potessero apparire sulla scena del m ondo per tentare l’impossibile,
salvare l’individuo e la sua libertà dal destino altrimenti ineluttabile della
«gabbia di acciaio della dipendenza». D i qui l’ambiguità che attraversa
tutta la sua riflessione politica, e che ritroviamo letteralmente squaderna­
ta nelle parole conclusive della sua conferenza sulla Politica come profes­
sione, «L a politica consiste in un lento e tenace superamento di dure dif­
ficoltà, da com piersi con passione e discernimento. E perfettamente esat­
to, e confermato da tutta l’esperienza storica, che il possibile non verreb­

55 A r o n , L e tappe d e l pen siero sociologico cit, p p . 5 1 4 e 5 1 9 ,


44 W eber, L a scien za com e p rofessione, in I I lav oro intellettuale com e profession e
cit., p p . 4 0 -4 1 .
55 C fr , in fra, p . 5.
54 C fr . in fra, p . 2 3 9 .
A n g e lo B o la ffi

be raggiunto se nel m ondo non si ritentasse sempre l’im possibile»57.


Com e dire che non esiste un agire politico responsabile disgiunto da un
agire politico convìnto, un’etica della responsabilità senza un’etica della
convinzione: nessuno può restare indifferente alle conseguenze delle pro­
prie azioni; e tuttavia nessuno può sottrarsi, in certe situazioni, alle esi­
genze interiori che vengono dall’imperativo categorico, anche se grande
può essere il rischio che ne deriva. Per questo, e certamente a ragione, Ralf
D ah ren dorf, in un «ritratto» di Weber ha parlato di «tensione, anzi di
ambivalenza che in questo caso diventa evidente, fino ad attraversare l’in­
tero pensiero di Weber relativo allo Stato e alla politica»5*.

Dunque: l’ambiguità che caratterizza complessivamente il pensiero di


Weber, e che ne è in un certo senso anche il massimo elemento di fascino,
culmina proprio là dove, secondo una diffusa interpretazione, egli avreb­
be, invece, raggiunto una esemplare chiarezza concettuale, nel tentativo di
dare un fondamento razionale all’agire politico. Una ambiguità del resto
clamorosamente messa in luce proprio dal ricorso al termine B eru f che
contiene due significati - quello di vocazione e quello di professione —tra
loro potenzialmente contraddittori. N on a caso è lo stesso Weber che al
termine della sua argomentazione deve tragicamente prendere atto che, a
differenza di quanto accade nella sfera economica, nell’ambito dell’agìre
politico è impossibile riuscire a separare con chiarezza un comportamen­
to razionale da uno irrazionale. Le due etiche, quella della responsabilità
e quella della convinzione, benché normativamente indicate come reci­
procamente alternative, risultano, invece, coesistere nella realtà, al punto
da costituire una sorta di presupposto reciproco grazie al quale I’una rice­
ve senso proprio dall’altra. Ecco perché non è vero che ogni atto di
Realpolitik sia testimonianza di un atteggiamento responsabile, mentre,
invece, talvolta è vero proprio il contrario. E cioè che seguire «irrespon­
sabilmente» l’imperativo dell’etica della convinzione in determinate
costellazioni risulta l’unica forma decente dì esercizio dì etica della
responsabilità. L’unica vera Realpolitik. Il tentativo di indicare 0 fonda­
mento razionale di una scienza grazie alla quale poter ex ante indicare le
caratteristiche che distinguono un grande leader da un volgare demagogo,

57 C fr. in fra, p .2 3 0 .
** R a lf D a h r e n d o r f, N ac b w o rt a , M a x W eber P olitik a h B e r u f P h ilip p R e c la r a ju n .,
S tu ttg a r t 1992, p . 91. D a h r e n d o r f p a r la d i u n a v e r a e p r o p r ia sc h iz o fr e n ia c o n c e ttu a le
ili W eber; « n o n sa r e b b e u n a e rra ta s u p p o s iz io n e so s te n e r e ch e la te s ta d ì W eb er rico -
i insci' il p r o c e s s o d ì fo r m a z io n e d el d o m in io leg ale, il s u o c u o r e , p e rò , b a tte p e r i p e r ­
si m aggi str a o r d in a ri, p e r i F u h r e r » .

X X V iii
In tro d u z io n e

un lungimirante uom o politico da un avventuriero animato solo da una


luciferina «volontà di potenza», è destinato a restare una nobile aspira­
zione. «C h e cosa cì fa distinguere Cesare A ugusto o Enrico IV di Francia
o Rìchelieu o Washington o C avour da uomini in un certo senso non
meno importanti come Giovanni di Leiden o Robespierre o H itler o
Stalin? Q uale è il segreto del successo dei primi? Com e sapevano cosa fare
e quando farlo? Perché il loro operato dimora ancora con noi, mentre il
lavoro di uomini, altrettanto determinati, eruditi e impavidi si è dissolto
lasciando spesso dietro di se solo miseria umana inespressa ?»” . C om e giu­
stamente osserva Isaiah Berlin, la sfera della politica in quanto regno del­
l’intuizione, è dominata da elementi difficilmente razionalizzabili, rispet­
to ai quali «nessuna formula, nessun rimedio, nessuna ricetta generale,
nessuna capacità di identificare in situazioni specifiche leggi generali può
sostituirsi»60. Certo, Weber sa benissimo che solo una esilissima linea
d’om bra divide la professione dalla vocazione, e che quindi l’agire politi­
co risulta sempre in bilico tra sobria accettazione delle necessità della
gestione quotidiana, pericolosamente però esposta al rìschio di degradar­
si in mera amministrazione, ed eroica tendenza «a ricercare l’impossibile»,
a sua volta terribilmente sbilanciata in senso vitalistico e romantico. Per
questo ricorrendo al termine B e ru fc gli ha creduto di poter venire a capo
di quella che è la oggettiva contraddizione della politica. D unque la poli­
tica com e «professione» si adatta alla quotidianità, alla situazione norma­
le, per realizzare quello che Weber definisce «un lento superamento di
dure difficoltà, da compiersi con passione e discernimento». L a politica
come «vocazione», invece, quella che anima i «veri capi e gli eroi» si mani­
festa solo in determinati momenti, quelli in cui il continuum storico cono­
sce una sorta di stato d ’eccezione. L a prima è il linguaggio che la politica
parla nei giorni feriali, la seconda è quella «del dì di festa», quando si rea­
lizzano grandi cambiamenti, radicali soluzioni di continuità. Estrem iz­
zando potrem m o dire che è un m odo per riformulare un noto quesito,
riforma o rivoluzione? Weber era ossessionato dall’idea che un processo
di universale burocratizzazione arrivasse a imprigionare l’individuo e la
sua libertà nella «gabbia di acciaio della dipendenza», a fare dell’umanità
una m assa di uomini senz’anima. Per questo si fece affascinare dalla equi­
voca prospettiva dello stato d’eccezione, dalla speranza che l’azione di
grandi personalità riuscisse se non a capovolgere quanto meno a rallenta­
re la deriva immanente alla secolarizzazione. O ggi, alla fine del N ove­
cento, noi sappiam o che una simile impostazione è non solo illusoria ma

i! Berlin, C h e co s’è il talen to p olitico cit,, p. 57,


60 Ib id .
A n g e lo B o la ffi

anche fatale: «Bisogna riconoscerlo, M ax Weber, con la sua filosofia del­


l’impegno, non offre necessariamente un più sicuro baluardo contro il
ritorno dei barbari. Il capo carismatico doveva fornire un rimedio contro
il potere anonimo della burocrazia: noi abbiamo imparato a temere le pro­
messe dei demagoghi più delle banalità dell’organizzazione razionale»41. II
fenomeno del totalitarismo è stato una terribile testimonianza degli orro­
ri che è in grado di compiere un Fùhrer che disponga del dominio legale
su un apparato burocratico. E sappiam o pure che la democrazia di una
società complessa non può funzionare senza una classe di professionisti
della politica, di uomini che come mestiere abbiano quello di trovare,
attraverso ragionevoli compromessi tra gli interessi contrapposti e le dif­
ferenti opzioni di valore, le soluzioni meno dannose ai problemi posti
dalla vita collettiva. N o n serve che abbiano qualità carismatiche; è suffi­
ciente che siano animati da spirito di servizio. Le grandi smentite della
storia che hanno drammaticamente caratterizzato questo secolo che si sta
chiudendo ci hanno reso guardinghi nei confronti dei grandi disegni uto­
pistici e diffidenti verso il facile ottimismo alimentato dalle illusioni del
progresso. E, tuttavia, occorre evitare di confondere sobrietà e disincanto
con un atteggiamento di irresponsabile nichilismo. Ad esempio abbiamo
dovuto constatare che non è affatto vero quello che, invece, sembrò ovvio
a Nietzsche, e cioè che l’idea di umanità sia solo un inutile pregiudizio.

Roma, settembre 1998 A. B.

61 A r o n , L e tappe d e l pensiero sociologico cit., p . 5 1 9 .

XXX
SCRITTI POLITICI

N otizie sulla vita dell’autore '

1864 Karl Emil Maxi miliari Weber nasce il 21 aprile a Erfurt da Max Weber,
uomo politico e giurista, parlamentare al Reichstag di Berlino e da Helene
Fallenste'm.
1882 Si iscrive all’università dì Heidelberg frequentando i corsi di giurispru­
denza, ma segue anche lezioni di storia, economia e teologia. Succes­
sivamente la sua vita universitaria prosegue nelle città di Strasburgo,
Berlino e Gottinga,
1889 Con una dissertazione intitolata, Zar Geschìchte der Handelsgesctl-
scbaften in Mittelalter (Storia delle società commerciali nel medioevo)
consegue il titolo di dottore in diritto commerciale.
1891 D opo l’abilitazione, sempre in diritto commerciale, conseguita con una
ricerca intitolata Die romiscbe Agrargeschichte in ìhrer Bedeutung ftir das
Staats und Privatsrecht (La storia agraria romana dal punto di vista del
diritto pubblico e privato) inizia la sua carriera accademica.
1893 Matrimonio con Marianne Schnitger. La moglie curerà dopo la morte la
pubblicazione di molti dei suor scritti e dedicherà alla vita e all’opera del
marito una monumentale biografia (Marianne Weber, Max Weber. Eìn
Lebensbild, J. C . B. Mohr, (Paul Sìebeck), Tiibingen 1984, trad. it. Il
Mulino, Bologna 1995).
1896 Ottiene l’incarico di insegnamento di economia politica presso l’univer­
sità dì Heidelberg,
1899 A seguito di una grave malattia nervosa sospende ogni impegno accade­
mico. Numerosi viaggi e lunghi soggiorni in Italia,
1903 Lascia definitivamente l’insegnamento accademico, mantenendo sola­
mente il titolo di professore onorario.
1904-5 Pubblica le prime due parti di Dìe protestantische Etbik und der Geist des
Kapitalismus {L ’etica protestante e lo spirito del capitalismo) ed il saggio
Dìe #Objektivitàt» sozialwissenschaftlicber und soziopolitischer
Erkenntnis (tradotto in italiano col titolo L ’«oggettività» deUa conoscen­
za sociale). Viaggio negli Stati Uniti dove in occasione di un convegno di
sociologia tiene una conferenza a Saint Louis.
1907 Grazie ad una cospicua eredità, può rinunciare alla attività accademica e
dedicarsi completamente alle sue ricerche.

XXXI
N o tiz ie su lla vita d e ll’au tore

1909 I n i z i a a s c r iv e r e Wirtschaft und Gesellschaft (Economia e società) c h e


a p p a r i r à p o s t u m a n e l 1 9 2 2 , a c u r a d e lla m o g lie .
1913 S c r iv e Uber einige Kategorien der verstehenden Sociologie (Su alcune
categorie della sociologia comprendente)
1 9 1 6 - 9 P u b b l i c a s u ll’ « A r c h iv f iir S o z i a lw is s e n s c h a f t u n d S o z i a l p o l i t i k » l ’i n t r o ­
d u z io n e e il c a p i t o l o d e d i c a t o al c o n f u c i a n e s i m o e a l t a o i s m o d i Die
Wìrtschaftsethik der Weltreligionen (L’etica delle religioni mondiali).
S e g u i r a n n o i c a p it o li d e d ic a t i a i n d u i s m o , b u d d i s m o e g iu d a e s ìm o a n tic o .
1918 O t t i e n e u n in c a r ic o d i in s e g n a m e n t o , c u i s u c c e s s iv a m e n t e r in u n c e r à , d a l ­
l ’ u n iv e r s it à d i V ie n n a , c it tà n e lla q u a le tie n e la f a m o s a l e z i o n e d e d ic a t a al
Sozialismus. P a r t e c ip a a ttiv a m e n te a lla v it a p o li t i c a d e l s u o p a e s e r i m a ­
n e n d o p e r ò f o r t e m e n t e d e l u s o d a lla m a n c a t a e le z io n e a d e p u t a t o . T ie n e a
M o n a c o u n a le z io n e d a l t i t o lo Wissenschaft ah Beruf (Scienza come pro­
fessione).
1919 R i t o r n a a lla a t tiv it à a c c a d e m ic a p r e s s o l ’ u n iv e r s it à d i M o n a c o d o v e il 2 8
g e n n a io , q u a s i u n a n n o d o p o la p r e c e d e n t e le z io n e , n e tie n e u n a s e c o n d a
in t i t o l a t a Politik ah Beruf (Politica come professione), e sv o lg e u n c o r s o d i s t o ­
ria e c o n o m ic a , ch e sa r à p u b b lic a to p o s t u m o n e l 1 9 23, c o l tito lo Wktschafts-
geschichte. Abrifi der universalen Soziai-und Wirtschaftsgeschichte (Storia
economica. Linee di storia universale dell’economia e della società).
1920 II 1 4 g i u g n o m u o r e p e r le c o n s e g u e n z e d i u n a p o lm o n it e .
S C R IT T I P O L IT IC I

Principali traduzioni italiane delle opere di Weber

L ’etica protestante e lo spirito del capitalismo, tr a d . d i P i e r o B u r r e s i , i n t r o d u ­


z i o n e d i E r n e s t o S e s t a n , S a n s o n i , F i r e n z e 1 9 4 5 (1 9 8 3 ) .
Il lavoro intellettuale come professione, t r a d . d i A n t o n i o G i o l i t t i, a c u r a d i
D e l i o C a n t i m o r i, E i n a u d i, T o r i n o 1 9 4 8 (1 9 8 0 ) .
I l metodo delle scienze storico-sociale, a c u r a d i P ie t r o R o s s i , E i n a u d i, T o r in o
1 9 5 8 (1 9 7 4 ) .
Economia e società, a c u r a d i P ie t r o R o s s i , C o m u n it à , M i l a n o 1 9 6 1 , 2 v o li.
( 1 9 8 0 in 5 v o li.) .
Saggi sulla dottrina della scienza, tr a d . d i A n t o n i o R o v e r s i e C l a u d i o
T o m m a s ì, s a g g i o i n t r o d u t t i v o a c u r a d i A n t o n i o R o v e r s i, D e D o n a t o , B a r i 1 9 8 0 .
Sociologia delle religioni, t r a d . d i C h i a r a S e b a s t ia n i, U t e t , T o r in o 1 9 7 6 , 2 v o li,
( s i v e d a a n c h e l ’e d i z i o n e a c u r a d ì P ie t r o R o s s i , C o m u n it à , M i l a n o 1 9 8 2 , 2 v o li.) .
Storia economica e sociale dell'antichità. I Rapporti agrari, t r a d . d i B ia n c a
S p a g n u o ì o V ig o r it a , p r e f. d i A r n a l d o M o m i g l i a n o , E d i t o r i R i u n i t i , R o m a 1 9 8 1 .
Storia economica. Linee d i storia universale dell’economia e della società, tr a d .
d i S a n d r o B a r b e r a , i n t r o d u z i o n e d i C a r l o T r ig iiia , D o n z e lli , R o m a 1 9 9 3 (1 9 9 5 ) .
Considerazioni intermedie. I l destino dell’Occidente, a c u r a d i A l e s s a n d r o
F errara, A r m a n d o , R o m a 1995.

v v v t ri
Indice
Indice dei nomi e degli argomenti ___________________________________________249
Introduzione di Angelo Bolaffi. Max Weber, o dell'ambiguità _____________________268
1. Lo Stato nazionale e la politica economica tedesca 1895_________________________3
Questa Prolusione __________________________________________________4
Premessa. _________________________________________________________5
2. Sulla burocrazia 1909 ____________________________________________________29
Questo testo ______________________________________________________30
Vi prego di perdonarmi _____________________________________________31
3. Tra due leggi 1916 ______________________________________________________37
Con questa lettera a Gertrud Baumer _________________________________38
La discussione circa il significato della nostra guerra _____________________39
4. Sistema elettorale e democrazia in Germania 1917 _____________________________43
Nel novembre del 1917 _____________________________________________44
Il complesso problema della democrazia________________________________45
5. Aristocrazia e democratizzazione in Germanaia 1918 __________________________89
Il 15 gennaio 1918 ________________________________________________90
II professor Max Weber_____________________________________________91
6. Democrazia e aristocrazia nella vita americana 1918____________________________95
Il 23 marzo 1918 Weber ____________________________________________96
La locale sezione cittadina del Volksbund fiir Freiheit und Vaterland _______97
7. Il socialismo 1918______________________________________________________101
Weber si era dichiarato disponibile ___________________________________102
Egregi Signori!___________________________________________________103
8. La futura forma statale della Germania 1918 _________________________________131
Ancora all'inizio del novembre 1918 __________________________________132
Premessa _______________________________________________________133
9. La nuova Germania 1918 ________________________________________________169
Diversamente che negli altri grandi centri _____________________________170
Il professor Weber ha suscitato ______________________________________171
10. La politica come professione 1919 ________________________________________175
La politica come professione era i! secondo intervento ___________________176
La conferenza che, per vostro desiderio _______________________________177
11. il presidente del Reich 1919 _____________________________________________231
Con questo intervento Weber ______________________________________232
Il primo presidente del Reich ________________________________________233
12. Considerazioni oggettive (a quel che si dice "politiche") del 19 Gennaio 1920 _____237
Nel gennaio 1920 ________________________________________________238
Poiché dovevo in generale __________________________________________239
13. La nazione da Economia e società ________________________________________241
Il testo «Die Nation » ______________________________________________242
I «monarchi» devono temere ________________________________________243
Notizie sulla vita dell’autore________________________________________________292
Principali traduzioni italiane delle opere di Weber ______________________________294

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