Fin dalle prime disposizioni sugli appalti pubblici, la Comunità europea evita di
“personalizzare” i requisiti di capacità economica e tecnica che gli operatori devono possedere per
partecipare a gare d’appalto.
Con riferimento alla capacità economica e finanziaria, riprendendo analoghe disposizioni
contenute nelle precedenti direttive 71/304 – relativa alla soppressione delle restrizioni alla libera
prestazione di servizi in materia d’appalti di lavori pubblici e all’aggiudicazione degli appalti di
lavori pubblici tramite agenzie o succursali – e 71/305 – relativa al coordinamento delle procedure
d’aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici - l’articolo 31, par. 3 della direttiva 92/50 Servizi
(uguale previsione è contenuta nell’articolo 26 della direttiva 37/93 Lavori e nell’articolo 22 della
direttiva 36/93 Forniture), permette al prestatore di provare le capacità richieste
dall’Amministrazione mediante qualsiasi documento che l’Amministrazione aggiudicatrice ritenga
appropriato.
Per quanto riguarda la capacità tecnica, riprendendo identiche disposizioni contenute nelle
direttive del 1971 sopracitate, l’articolo 32, par. 2, lett. C), della direttiva 92/50 Servizi (ma uguale
previsione è introdotta con l’articolo 27 della direttiva 37/93 Lavori) prevede espressamente la
possibilità di comprovare la capacità tecnica del prestatore mediante l’indicazione dei tecnici o
degli organismi tecnici, siano essi parte integrante o meno dell’impresa del prestatore di servizi, di
cui quest’ultimo disporrà per l’esecuzione del servizio.
Ne risulta, quindi, che è consentito ad un operatore che non soddisfi da solo i requisiti minimi
prescritti per partecipare alla procedura di aggiudicazione di un appalto, di far valere presso
l’autorità aggiudicatrice le capacità di terzi ai quali conta di ricorrere qualora gli sia aggiudicato
l’appalto.
Questa lettura delle norme è stata chiarita dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee fin
dalle prime pronunce.
Nella prima sentenza sul tema (causa C-389/92, Ballast Nedam Groep I) la Corte di
Giustizia delle Comunità Europee, chiamata a risolvere una questione pregiudiziale in una
controversia tra una holding di diritto olandese e lo Stato belga in ordine al mancato rinnovo
dell’abilitazione concessa a questa società, ha affermato che le disposizioni comunitarie delle
direttive 71/304 e 71/305 vanno interpretate nel senso che consentono, per la valutazione dei criteri
cui deve soddisfare un imprenditore all’atto dell’esame di una domanda di abilitazione presentata da
una persona giuridica dominante di un gruppo, di tener conto delle società che appartengono a tale
gruppo, purché la persona giuridica di cui è causa provi di avere effettivamente a disposizione i
mezzi di dette società necessari per l’esecuzione degli appalti. La Corte ha aggiunto che spetta al
giudice nazionale valutare se ciò sia stato provato.
Quindi fin dall’inizio si ammette l’avvalimento di requisiti di altre imprese, ma tramite prova
di poter effettivamente disporre dei mezzi messi a disposizione da altre società.
Nella seconda sentenza del 18 dicembre 1997 /causa C-5/97 Ballast Nedam Groep II), la
Corte, chiamata a specificare se la parola “consentono” (di tener conto dei requisiti posseduti da
altri soggetti rispetto all’offerente…) pronunciata nella prima sentenza debba intendersi nel senso di
“impongono”, ha chiarito che, quando è addotta la prova che la persona giuridica dominante di un
gruppo dispone effettivamente dei mezzi delle società appartenenti al gruppo, l’autorità competente
deve necessariamente tener conto di queste società.
Nella successiva sentenza sul tema, del 2 dicembre 1999 (causa C-176/98), la Corte ribadisce
ed esplicita più espressamente che la possibilità per l’offerente di disporre effettivamente dei mezzi
necessari all’esecuzione dell’appalto non può essere presunta, indipendentemente dai rapporti di
diritto che il soggetto ha con i membri del gruppo al quale appartiene. Pertanto, il ricorso a
referenze esterne non può essere ammesso senza condizioni. Infatti, a norma dell’articolo 23 par.
1.1 della direttiva 92/50 Servizi (analoga previsione è contenuta nell’articolo 18, par. 1 della
direttiva 37/93 Lavori e nell’articolo 15, par. 1 della direttiva 36/93 Forniture), spetta all’autorità
aggiudicatrice procedere alla verifica dell’idoneità dei prestatori di servizi conformemente ai criteri
elencati. Tale verifica è diretta, in particolare, a dare all’autorità aggiudicatrice la garanzia che
l’offerente avrà effettivamente a disposizione mezzi di qualsiasi genere di cui si avvarrà durante il
periodo di durata dell’appalto. Le disposizioni comunitarie non permettono di escludere a priori
determinate modalità di prova né di presumere che il prestatore disponga dei mezzi di terzi
basandosi sulla sola circostanza che esso fa parte dello stesso gruppo di imprese.
Nelle conclusioni dell’Avvocato generale della Corte, Philippe Lèger, nella medesima causa,
si osserva che il legislatore comunitario non si preoccupa della forma giuridica che rivestono i
prestatori di servizi, ma della loro capacità ad adempiere i compiti che sono loro affidati in
occasione dell’assegnazione degli appalti pubblici, vale a dire a possedere i mezzi utili per
l’esecuzione dei lavori di cui si tratti, indipendentemente dalla propria organizzazione. La non presa
in considerazione dello status giuridico degli operatori economici permette di garantire l’obiettivo
comunitario della libera circolazione dei servizi, e quindi di ampliare a vantaggio delle
Amministrazioni aggiudicatrici il ventaglio delle offerte, in particolare quelle che possono provenire
da altri Stati membri della Comunità con regimi giuridici diversi.
Tale obiettivo primario, tuttavia, deve conciliarsi con l’esigenza delle Amministrazioni di
poter contare sulla buona esecuzione degli appalti.
A questo proposito, sempre nelle conclusioni dell’Avvocato generale, si osserva che alcuni
obblighi prescritti dalla direttiva 92/50 Servizi sono finalizzati anche a limitare i rischi ai quali
possono essere esposte le Amministrazioni per il fatto che agli operatori economici è consentito di
avvalersi della capacità di altri soggetti per la partecipazione alle gare di appalto.
In particolare, l’articolo 26, par. 3 della direttiva 92/50 Servizi (tale disposizione non compare
nelle altre due direttive 37/93 Lavori e 36/93 Forniture, ma la nuova direttiva 2004/18, all’articolo
4, riprende la disposizione e la estende anche agli appalti pubblici di lavori e di forniture), nel
disporre che i candidati o gli offerenti non possono essere respinti soltanto per il fatto che, a norma
delle disposizioni vigenti nello Stato membro nel quale è aggiudicato l’appalto, essi avrebbero
dovuto essere persone fisiche o persone giuridiche, autorizza l’Amministrazione a richiedere alle
persone giuridiche di “indicare… il nome e le qualificazioni professionali delle persone che
effettuano la prestazione del servizio di cui trattasi. ”Infatti, sebbene non si possa vietare di affidare
un appalto a una persona giuridica col solo pretesto della sua forma giuridica, non si può comunque
privare l’Amministrazione delle informazioni che le consentano di valutare la capacità del
prestatore di effettuare l’offerta alle condizioni stabilite”.
Gli articoli 31 e 32 della direttiva 92/50 Servizi tutelano altresì l’interesse
dell’Amministrazione alla selezione di offerenti qualificati. Vengono, infatti, elencate le prove della
capacità finanziaria ed economica che possono essere richieste al prestatore di servizi, le modalità
che consentono di ricorrervi e la soluzione alternativa nel caso in cui il prestatore di servizi fosse
nella impossibilità di produrre le referenze richieste. Si stabiliscono anche i criteri che
caratterizzano la capacità dei prestatori di servizi a fornire i servizi richiesti, si elencano le prove
che testimoniano la loro capacità tecnica e si precisano le modalità secondo le quali
l’Amministrazione può richiederle.
Si prevede che il prestatore di servizi possa provare, a determinate condizioni, la propria
capacità economica e finanziaria… “mediante qualsiasi altro documento che l’Amministrazione
stessa ritenga appropriato”, ciò che sembra lasciare all’Amministrazione un certo margine di
discrezionalità.
L’articolo 23 della direttiva 92/50 Servizi (ripreso dall’articolo 18 della direttiva 37/93 Lavori
e dall’articolo 15 della direttiva 36/93 Forniture Forniture, disposizione poi uniformata dall’articolo
44 della direttiva 2004/18) stabilisce che gli “appalti sono aggiudicati in base ai criteri stabiliti… e
dopo che l’idoneità dei prestatori non esclusi … sia stata verificata dalle Amministrazioni
conformemente ai criteri di cui agli articoli 31 e 32.” Non importa, quindi, quale sia il metodo
utilizzato per garantire una messa a disposizione effettiva da parte dell’offerente dei mezzi e delle
garanzie richieste dall’Amministrazione giacché tale messa a disposizione può essere verificata. E
ugualmente non rileva il vincolo giuridico che unisce due imprese, perché la selezione
dell’Amministrazione è fatta nel caso concreto in base a una prova delle competenze di cui le
imprese dispongono effettivamente e della solidità delle garanzie che offrono. L’Amministrazione
dovrà effettuare un esame degli elementi di fatto e di diritto che riguardano il contenuto degli
accordi eventualmente conclusi tra l’offerente e l’impresa “avvalsa” o dei rapporti statutariamente
stabiliti tra esse, nonché il carattere vincolante del legame giuridico che unisce tali società. E’,
infatti, essenziale conoscere il contenuto degli impegni che vincolano l’impresa offerente
all’impresa terza e che possono impegnare quest’ultima nei confronti dell’Amministrazione. Del
resto, allorché un operatore si avvalga delle capacità di soggetti esterni alla propria organizzazione,
non sempre si può dare la stessa portata alle prove che sono addotte per dimostrare l’effettiva
disponibilità dei mezzi del soggetto esterno. In proposito l’Avvocato generale rileva che i dati che
riguardano la solidità finanziaria di una società, allorché sono invocati dall’impresa offerente nei
confronti dell’Amministrazione, difficilmente possono essere considerati come garanzia reale
allorché la società che ha ottenuto l’appalto non è essa stessa economicamente valida. In mancanza
di rapporto contrattuale diretto tra l’Amministrazione e la società terza, le referenze finanziarie di
quest’ultima possono rivelarsi insufficienti a preservare gli interessi dell’ente che aggiudica
l’appalto. Non è certo, in tale circostanza, che l’Amministrazione abbia interesse a limitarsi a prove
esterne all’offerente.
L’interpretazione che deve quindi essere data alle disposizioni comunitarie deve porsi al punto
di equilibrio tra i due obiettivi essenziali, che sono la ricerca di una liberalizzazione il più ampia
possibile degli appalti e la fissazione di norme che garantiscano all’Amministrazione delle
prestazioni di servizi di qualità. Tale interpretazione tiene anche conto dei rischi di frode che
possono annullare gli effetti protettivi delle norme. Le conseguenze di una soluzione che consista
nell’ammettere che le condizioni normative fissate dalla direttiva 92/50 Servizi siano soddisfatte da
persone diverse rispetto all’impresa offerente, di conseguenza devono essere valutate attentamente.
Nelle conclusioni dell’Avvocato generale L.A. GEELHOED, presentate il 20 novembre 2003
(nel procedimento C-314/01), si pone nuovamente l’accento sui mezzi di prova dei requisiti. E’
ribadito che “i potenziali candidati per un appalto non possono essere esclusi per il fatto di non
poter disporre in proprio di tutte le competenze necessarie all’esecuzione di un appalto. Un siffatto
divieto potrebbe determinare, soprattutto per appalti di grandi dimensioni e tecnicamente complessi,
una forte riduzione della cerchia dei candidati e avrebbe pertanto l’effetto di frustrare l’obiettivo
perseguito dalla direttiva 92/50 Servizi. Invece l’ente aggiudicatore, per garantire che l’appalto una
volta aggiudicato sia correttamente eseguito, può esigere che l’offerente, ove si avvalga delle
competenze di altri soggetti, si renda garante della disponibilità dei mezzi di questi ultimi”.
L’articolo 47 della direttiva n° 18 (che, è bene ricordarlo, riunisce i settori lavori, forniture e
servizi) al comma 2 introduce una disposizione non contenuta nelle precedenti tre direttive. Essa è
costruita quale riconoscimento di facoltà per il concorrente, ma in realtà contiene un ordine positivo
alle stazioni appaltanti (o, se si vuole, agli Stati membri perché lo impongano a loro volta alle
proprie stazioni appaltanti), cioè di considerare soddisfatto il requisito della capacità economica e
finanziaria facendo affidamento, o avvalendosi se si preferisce, sulle capacità di altri soggetti. La
direttiva precisa che sono del tutto ininfluenti gli eventuali legami esistenti con i soggetti avvalsi.
Tale avvalimento, precisa la norma, può avvenire solo per un determinato appalto, se del caso.
L’espressione “se del caso” appare a prima vista misteriosa. Il senso in italiano è: “ove se ne
presenti l’occasione”, ovvero: “ove lo ritenga opportuno”. Il confronto con le altre lingue aiuta in
parte. In francese, le cas échéant, rende il medesimo concetto che in italiano, mentre sia in tedesco
sia in inglese, l’espressione rispettivamente “gegebenfalls” e “where appropriate” rendono più il
concetto di “all’occorrenza”, “ove necessario”.
L’interpretazione da dare, dunque, è che l’avvalimento può avvenire, e non può essere
rifiutato dalla Stazione Appaltante, ove il concorrente lo ritenga necessario per integrare un
requisito altrimenti carente, e dunque che non può essere richiesto dalla Stazione Appaltante, ma
solo subìto. In altri termini, non può essere imposto l’avvalimento per soddisfare il requisito, si
deve solo accettare che esso si realizzi, se necessario.
La norma precisa, però, anche che l'avvalimento può avvenire solo per un determinato
appalto.
La norma si pone in correlazione con quanto disposto dal successivo articolo 52. In esso,
come meglio vedremo, si dispone che le condizioni di iscrizione agli elenchi ufficiali di operatori o
delle certificazioni da parte di organismi pubblici o privati previste dagli stati membri devono
adeguarsi alle disposizioni dettate dagli articoli 45, paragrafi 1 e 2 (i requisiti soggettivi o situazioni
personali), 46 (il possesso di una abilitazione) 49 (qualità) e 50 (garanzie ambientali), oltre al 47,
che stiamo esaminando, ma non ai paragrafi 2 e 3 di questo articolo che sono appunto quelli che
introducono il concetto di avvalimento.
In sintesi, l’avvalimento, quanto ai requisiti economici e finanziari, deve essere accettato per
la partecipazione alla singola gara, ma non per l’iscrizione all’albo delle imprese o per ottenere la
certificazione (SOA nel nostro caso).
Sorge, a questo punto, un problema interpretativo sulla possibilità che lo Stato membro
estenda la facoltà di avvalimento anche all’iscrizione all’albo ed alle certificazioni, che
esamineremo più avanti.
Ancora la norma intima alla Stazione Appaltante di accettare l’avvalimento operato nei
confronti di un soggetto qualsiasi.
Questo è descritto dalla direttiva solo in termini negativi, vale a dire che di esso si postula solo
la assoluta indifferenza nei riguardi dei legami economici e giuridici che eventualmente possano
intercorrere preventivamente tra avvalente e avvalso.
L’ampiezza della norma ci conduce, dunque, a ritenere che il legame non solo può essere di
svariata natura (contrattuale, fattuale, di garanzia, di incrocio azionario senza caratteristiche di
dominanza etc.), ma anche, a fortiori, può non esistere minimamente.
Questa affermazione deve essere chiarita.
La parte finale del paragrafo, al fine di non lasciare scoperte le Amministrazioni in balia di un
truffatore qualsiasi, richiede una precisa condizione perché l’avvalimento debba essere accettato, e
cioè che l’avvalente dimostri di disporre dei mezzi necessari.
Poiché si sta trattando dei requisiti economici e finanziari, la dimostrazione tende
sostanzialmente a garantire due aspetti:
a) La capacità di finanziamento dell’opera e dunque il credito goduto dall’impresa;
b) La solidità economica a garanzia patrimoniale del creditore (Amministrazione).
Che questo sia il contenuto del requisito economico finanziario si evince con facilità
esaminando il primo paragrafo dell’articolo 47. In esso la capacità economica e finanziaria, evocata
nella rubrica, non è definita, ma indirettamente se ne dà una definizione indicando quali siano le
referenze (vale a dire l’espressione di aspettative positive) ovvero: dichiarazioni bancarie o polizze
assicurative contro i rischi professionali, i bilanci, il fatturato. Si tratta di documenti che mirano a
garantire, da un lato, il ricorso al credito, dall’altro la solidità patrimoniale.
L’istituto dell'avvalimento opera una cesura tra l’affidabilità finanziaria e patrimoniale
dell’appaltatore e la sua soggettività giuridica, avviene, un po’ come quando ci si affida ad un
medico sconosciuto solo perché questo ha dimostrato di avere operato efficacemente centinaia di
altre persone. Solo che, nell’esempio evocato le referenze di cui si è avvalso il medico possono
servire a tranquillizzare psicologicamente il paziente, mentre nel caso che ci occupa le referenze
devono servire a garantire la Stazione Appaltante. Questa deve avere certezza che, da un lato,
l’impresa sia in grado di approntare i capitali necessari all’intrapresa, dall’altro che, in caso di
danni, il suo patrimonio sia sufficiente a ristorare l’Amministrazione.
La direttiva, dunque, nell’imporre alla Stazione Appaltante di accettare l’avvalimento di un
quisque de populo, permette di pretendere una dimostrazione della effettiva disponibilità dei mezzi
dichiarati.
Orbene, in cosa si concreta questa disponibilità? Non è il caso qui di operare una casistica, ma
appare abbastanza evidente che dimostrare la disponibilità di mezzi debba intendersi in due sensi:
- In primo luogo che l’avvalso possegga quei requisiti che gli sarebbero stati necessari
per partecipare egli stesso alla gara;
- In secondo luogo che quegli stessi mezzi sono posti a disposizione dell’avvalente.
Commenteremo nella terza parte questo articolo ponendo in luce i pericoli dell’istituto, per ora
ci limitiamo alla esegesi.
La disponibilità dei mezzi può scaturire solo da un rapporto giuridico intercorrente tra
l’avvalente e l'avvalso. Ed infatti, se è vero che, in linea astratta, non rileva la natura giuridica dei
legami tra loro, in realtà un legame giuridico non può non esistere, intendendosi con questo termine
un legame che produca effetti giuridici, i quali, nella specie, sono appunto quelli di garantire il
creditore sotto il profilo finanziario e patrimoniale.
In questo senso, dunque, il legame tra i due può anche non sussistere, se lo si interpreta in
termini economici, ma un rapporto giuridico non può non esistere. Ed allo stesso modo, può
sussistere un legame economico o fattuale, ma ciò che rileva è il rapporto giuridico che da ciò
scaturisce. Ciò che vuole dire la norma, dunque, non è che i due soggetti possano essere del tutto
svincolati l’uno dall'altro, il che farebbe venire meno la stessa messa a disposizione dei mezzi, ma
che l’Amministrazione può solo pretendere la prova della esistenza del rapporto giuridico che pone
a disposizione i mezzi, la provvista del requisito per così dire, disgiunto da un qualsiasi legame
preesistente, o successivo, che non sia di mera natura obbligatoria funzionale all’avvalimento.
Il divieto di attribuire rilevanza ai legami preesistenti tra i due soggetti, tuttavia, non opera nel
senso opposto, cioè di vietare l’avvalimento tra soggetti che godano di questi legami. Dunque
l'avvalimento può avvenire con qualsiasi soggetto, anche se legato all’avvalente.
L’esempio presentato dalla norma, quindi, più che esempio deve essere qualificato come la
sostanza della disposizione, poiché., a prescindere dai casi di avvalimento tra imprese dello stesso
gruppo o legate da rapporti di controllo, è fin troppo evidente che in qualsiasi altro caso l’avvalso
non potrà non formalizzare in un negozio giuridico le garanzie che intende e può prestare, sotto la
forma giuridica più idonea allo scopo.
Si osservi, ancora, che il plurale utilizzato dalla disposizione induce a ritenere che lo Stato
membro debba disporre per l'avvalimento anche frazionato, tanto che la sommatoria dei requisiti
avvalsi costituisca il requisito richiesto.
E’ appena il caso di osservare che queste disposizioni, ove siano da recepire senza un minimo
di aggiustamento, travolgono le distinzioni oggi esistenti tra i consorzi con e senza personalità
giuridica, le cooperative etc. circa le limitazioni, nel settore lavori, nel far riferimento ai requisiti
posseduti dalle società consorziate.
Le nuove direttive comunitarie: 2004/17 che coordina le procedure di appalto degli enti
erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi
postali (ex settori esclusi)
E’ lo strumento con il quale è attuata una sinergia tra imprenditori per la partecipazione ad una
gara, senza tuttavia che ciò comporti la creazione di un autonomo soggetto di diritto, né la
costituzione di una stabile organizzazione di impresa.
La costituzione formale di un RTI avviene mediante il conferimento di un mandato collettivo
con rappresentanza da parte delle imprese interessate ad una di queste, denominata capogruppo, che
assume il compito di formulare l’offerta e partecipare alla gara in nome e per conto delle mandanti.
Contrariamente ai consorzi stabili, il RTI attua una semplice contitolarità del rapporto
obbligatorio: in applicazione del principio civilistico della solidarietà passiva ex articolo 1294 c.c.
tutte le imprese sono vincolate nei confronti della Stazione Appaltante all’adempimento della
prestazione nascente dal contratto di appalto.
La partecipazione alle procedure di affidamento delle associazioni temporanee e dei consorzi
ordinari è ammessa a condizione che il mandatario o il capogruppo, nonché gli altri partecipanti,
siano già in possesso dei requisiti di qualificazione, accertati e attestati per la quota percentuale
indicata nel regolamento.
Per le associazioni temporanee di imprese e per i consorzi ordinari di tipo verticale, i requisiti
economico-finanziari e tecnico-organizzativi sono posseduti dalla capogruppo nella categoria
prevalente; nelle categorie scorporate ciascuna mandante possiede i requisiti previsti per l’importo
dei lavori della categoria che intende assumere e nella misura indicata per l’impresa singola. I
requisiti relativi alle lavorazioni scorporabili non assunte da imprese mandanti sono posseduti
dall’impresa mandataria con riferimento alla categoria prevalente (articolo 95, co. 2 D.P.R.
21.12.1999, n. 554 – Regolamento di attuazione della legge 109/94 -).
Se l’impresa singola o le imprese che intendano riunirsi in associazione temporanea hanno i
requisiti, possono associare altre imprese qualificate anche per categorie e importi diversi da
quelli richiesti dal bando, a condizione che i lavori eseguiti da queste ultime non superino il 20%
dell’importo complessivo dei lavori e che l’ammontare complessivo delle qualificazioni possedute
da ciascuna sia almeno pari all’importo dei lavori che saranno ad essa affidati (articolo 95, co. 4
DPR 554/99).
Al mandatario spetta la rappresentanza esclusiva, anche processuale, delle imprese mandanti
nei confronti della Stazione Appaltante per tutte le operazioni e gli atti di qualsiasi natura
dipendenti dall’appalto, anche dopo il collaudo dei lavori, fino alla estinzione di ogni rapporto. La
Stazione Appaltante, tuttavia, può far valere direttamente le responsabilità facenti capo alle imprese
mandanti (articolo 95, co. 6 DPR 554/99).
Le imprese riunite dopo l’aggiudicazione possono costituire tra loro una società anche
consortile per l’esecuzione unitaria, totale o parziale, dei lavori.
La società subentra, senza che ciò costituisca ad alcun effetto subappalto o cessione di
contratto e senza necessità di autorizzazione o di approvazione, nell’esecuzione totale o parziale del
contratto, ferme restando le responsabilità delle imprese riunite (articolo 96 DPR 554/99).
In caso di riunione di concorrenti, le garanzie fideiussorie e le garanzie assicurative sono
presentate, su mandato irrevocabile, dall’impresa mandataria o capogruppo in nome e per conto di
tutti i concorrenti con responsabilità solidale nel caso di concorrenti associati o di consorzi ordinari,
e con responsabilità pro quota nel caso di associazioni temporanee di tipo verticale (articolo 108
DPR 554/99 -per associazione temporanea di tipo verticale si intende una associazione temporanea
di concorrenti, nell’ambito della quale uno di essi realizza i lavori della o delle categorie prevalenti;
per lavori scorporabili si intendono lavori non appartenenti alla o alle categorie prevalenti e così
definite nel bando di gara, assumibili da uno dei mandanti -).
E’ consentita la presentazione di offerte da parte delle associazioni temporanee e dei consorzi
ordinari anche se non ancora costituiti ( in linea con quanto previsto dalla normativa comunitaria
che dispone che “Ai fini della presentazione di un’offerta o di una domanda di partecipazione le
Amministrazioni aggiudicatrici non possono esigere che i raggruppamenti di operatori economici
abbiano una forma giuridica specifica; tuttavia al raggruppamento selezionato può essere imposto di
assumere una forma giuridica specifica una volta che gli sia stato aggiudicato l’appalto, nella
misura in cui tale trasformazione sia necessaria per la buona esecuzione dell’appalto”).
In tal caso l’offerta deve essere sottoscritta da tutte le imprese che costituiranno i
raggruppamenti o i consorzi e contenere l’impegno che, in caso di aggiudicazione della gara, le
stesse imprese conferiranno mandato collettivo speciale con rappresentanza ad una di esse, da
indicare in sede di offerta e qualificata come capogruppo, la quale stipulerà il contratto in nome e
per conto proprio delle mandanti (articolo 13, co. 5 L. 109/94).
Criticità sono state invece evidenziate con riferimento alla disciplina del nostro ordinamento
che, nei settori speciali, impone alle imprese che vogliono partecipare alle gare di appalto
aggregandosi di costituire formalmente il raggruppamento – articolo 23, co. 2 – prima della
presentazione dell’offerta, anche se in dottrina si è osservato che mancherebbe una ratio sostanziale
in base alla quale differenziare la disciplina all’interno dei settori speciali rispetto ai settori
“ordinari”.
Si è cercato di tratteggiare sia la disciplina comunitaria sia il rapporto, a diritto vigente, con il
sistema italiano. Non ci si può nascondere il fatto che l’apertura manifestata dalla giurisprudenza
anche prima della direttiva n° 18, soprattutto nel settore dei servizi e forniture, è stata non solo
confermata dalla attuale direttiva, ma decisamente trasformata da uno stretto sentiero in una
autostrada a più corsie.
Il quadro si presenta, purtroppo, dipinto a fosche tinte.
L’analisi delle problematiche operative deve basarsi sulla constatazione fondamentale per cui
si è definitivamente spezzato il legame biunivoco e necessario esistente tra la stazione appaltante e
l’appaltatore, sia potenziale sia effettivo.
Il sistema degli appalti, o per meglio dire delle procedure ad evidenza pubblica, persegue
sostanzialmente due obiettivi: la scelta del contraente migliore sotto il profilo della capacità
professionale e dei costi; la prevenzione dell’uso improprio di risorse pubbliche, sia sotto il profilo
della corruzione dei pubblici funzionari, sia sotto quello del favoreggiamento nei confronti di
imprese predeterminate.
Il sistema delineato nella legislazione di settore italiana, per la verità non molto dissimile da
quello in vigore negli altri paesi a diritto amministrativo, si basa su due capisaldi: la
predeterminazione di un “mercato” delle imprese, la oggettività e trasparenza delle procedure di
gara.
Sotto il primo profilo la “predeterminazione” di un mercato di imprenditori non significa la
chiusura dello stesso, ma solo la necessità che l’ingresso tra i potenziali contraenti della P.A. sia
concesso solo a soggetti dotati di sufficienti requisiti soggettivi ed oggettivi. Il possesso di tali
requisiti deve soddisfare il bisogno di sicurezza della stazione appaltante, sotto i diversi profili
variamente ipotizzabili nella gestione di un rapporto contrattuale complesso quale l’appalto: la
solidità economica del contraente, la sua capacità professionale, l’onestà, l’assenza di legami con
organizzazioni malavitose, il rispetto delle norme sociali e di sicurezza e mille altre ben note a tutti.
In parole povere, la stazione appaltante pubblica deve essere posta in grado di compiere una
scelta del contraente percorrendo il medesimo iter logico che un privato qualsiasi, anche non
imprenditore, segue nell’affidare un appalto di lavori, sia pure modesto: egli compara i prezzi, ma
anche l’affidabilità dell’imprenditore, desunta dai suoi precedenti rapporti contrattuali, dalle
conoscenze acquisite da terzi, dalla “fama” di affidabilità goduta nell’ambiente e da altri mille
segnali di cui ciascuno si fida nell’esercizio della propria prudenza contrattuale.
Ciò presuppone, all’evidenza, che il mercato dei contraenti con la P.A. non sia propriamente
un mercato totalmente aperto, ma al contrario ristretto, nel senso che ad esso può partecipare solo
un imprenditore dotato di determinati requisiti, tali per cui la P.A. di lui “si possa fidare”.
L’apertura, come sempre in uno stato di diritto e soprattutto in uno stato liberale, è data dalla
inesistenza di elementi di discriminazione e dunque dalla massima potenzialità alla partecipazione,
alla chance potremmo dire, sì che tutti coloro che posseggano i requisiti soggettivi e oggettivi
positivi, e siano privi del requisiti soggettivi e oggettivi negativi, hanno diritto a partecipare al
mercato.
In questo si realizza il massimo della concorrenza e della apertura.
Il feticcio della concorrenza, vivo e malamente interpretato dal Legislatore europeo, cozza con
questa impostazione che, a chi scrive, appare di piana comprensione, sì che il tentativo di estendere
quanto più possibile lo slogan della concorrenza, finisce con travolgere non solo i principi, ma, ciò
che più conta i bisogni per la cui soddisfazione è nata la procedura ad evidenza pubblica.
L’eterogenesi dei fini, sempre in agguato nella produzione normativa, in questo caso
determina la conseguenza per cui l’obiettivo della tutela degli interessi pubblici sia fallito proprio a
causa dell’eccesso di misure concorrenziali, le quali pongono le stazioni appaltanti in condizioni
deteriori rispetto a quelle in cui si troverebbe un qualsiasi imprenditore medio nella scelta del suo
contraente.
La strada prescelta dalla direttiva che qui commentiamo va esattamente in questa direzione.
Essa infrange il principio della legittima ristrettezza del mercato delle imprese attaccando lo
strumento principale posto a base del sistema, cioè a dire la corrispondenza biunivoca e necessaria
tra l’imprenditore, come qualificato e descritto dai suoi requisiti soggettivi e oggettivi, e la sua
responsabilità.
La direttiva opera una mutazione genetica del mercato delle imprese e della figura stessa
dell’imprenditore contraente con la P.A..
Il mercato delle imprese contraenti con la P.A. è oggi caratterizzato da soggetti inseriti nella
logica della fornitura dell’opera o del servizio quale scopo fondamentale della propria intrapresa.
Pur nella divisione del lavoro che si attua nelle figure collettive, l’imprenditore partecipa alla gara
per l’acquisizione di un contratto che soddisfa il suo scopo ontologico, e a tal fine pone a
disposizione non solo l’organizzazione imprenditoriale, ma anche, e soprattutto, l’azienda, intesa in
senso tecnico, e quindi anche il suo avviamento, la sua credibilità e affidabilità nel settore. Il nuovo
mercato ipotizzato dalla direttiva è costituito da soggetti parcellizzati, i quali partecipano in vista
della messa a disposizione di un elemento non solo del ciclo produttivo, ma della qualificazione del
soggetto, potendo rimanere del tutto estranei alla produzione, ma pure contribuendo in maniera
determinante all’affidamento della sua realizzazione.
Contemporaneamente, e direi quasi per corollario, cambia la natura dell’imprenditore. Egli
non è più il centro di riferimento unitario dell’intrapresa, ma si scioglie in una serie di soggetti
avvalsi, estranei al mercato vero e proprio del settore, ma di fatto richiamati in esso dalla volontà
avvalitrice. Potenzialmente il nuovo imprenditore è una scatola vuota, una sorta di holding
dell’avvalimento: egli acquisisce l’appalto privo dei requisiti positivi soggettivi e oggettivi, per i
quali si avvale di soggetti del tutto estranei al mercato potenziale degli appalti, perché privi, a loro
volta, di tutti i requisiti soggettivi e oggettivi richiesti. Astrattamente il nuovo imprenditore è un
mero coordinatore della attività altrui, di mezzi, finanziari e tecnici, di uomini, di capacità e di
organizzazioni messe a disposizioni da altri.
Si potrebbe obiettare che l’apertura ai soggetti collettivi quali le ATI, i consorzi etc. ha già
determinato questo fenomeno. Ma l’obiezione non coglierebbe nel segno perché mancherebbe di
evidenziare la profonda diversità nella struttura di tali fenomeni rispetto all’avvalimento.
Le associazioni temporanee di impresa o comunque le altre forme abilitate alla partecipazione
non sono che uno dei multiformi aspetti del fenomeno della cooperazione societaria nel
raggiungimento di un fine. La collaborazione sia verticale sia orizzontale non elide il rapporto
finalistico dell’attività dell’impresa partecipante, la quale può anche essere affidataria della
realizzazione di una parte trascurabile e minima dell’appalto, ma ciò nonostante partecipa con
caratteristiche di indispensabilità all’appalto stesso. Senza la sua sia pur minima realizzazione
l’opera non è completa. Essa è, in sintesi, pienamente inserita nel ciclo produttivo ed assume
responsabilità contrattuali, limitate o meno alla sua quota di partecipazione, consustanziali alla
realizzazione dell’opera. Non si tratta qui di precisare se la sua responsabilità sia solidale o meno,
ciò che conta è di sottolineare che essa, insieme alle altre imprese del soggetto collettivo, è
corresponsabile della buona riuscita dell’opera a prescindere dal tasso di responsabilità civile che le
può essere giuridicamente addossata. Essa acquista lo status di socio nell’opera, realizza cioè una
delle caratteristiche fondamentali dell’homo sapiens, quella di sapersi aggregare per la risoluzione
di problemi che trascendono le capacità del singolo.
Viceversa, l’avvalso è fuori della logica della societas. L’impresa avvalsa non collabora alla
riuscita dell’opera e non ne assume la responsabilità finale, né nel senso atecnico sopra utilizzato,
cioè la responsabilità morale dell’opera intera, né in quello più propriamente giuridico, poiché
risponderà (ma v’è da chiedersi nei confronti di chi: la stazione appaltante o l’avvalitore?) solo per
l’inadempimento dell’obbligo di porre a disposizione i mezzi finanziari o tecnico-professionali
richiesti e non già per la cattiva riuscita dell’opera che dovrà essere imputata all’appaltatore
avvalente.
Cerchiamo di enumerare, più che analizzare alcune conseguenze scaturenti dalla decisa rottura
del rapporto tra il soggetto appaltatore e i requisiti oggettivi richiesti.
La direttiva delinea un quadro in cui per la partecipazione alla singola gara non è più
necessario il possesso della qualificazione derivante dal sistema di qualificazione ( sempre
nell’ambito dei requisiti oggettivi economici e tecnici beninteso). Ed infatti, se l’articolo 52 non
prevede l’avvalimento per tali sistemi, ad eccezione che per i gruppi, non lo vieta neppure, come si
è visto, il che significa che confina l’avvalimento al momento della singola gara, in tal caso
permettendo di prescindere dalle categorie di qualificazione, atteso che i requisiti concreti per la
singola gara sono momento diverso dai requisiti per la qualificazione.
Di fatto l’avvalimento pone in crisi il sistema delle SOA poichè non richiede neppure che
l’avvalso sia esso stesso un soggetto qualificato, dato che non partecipa alla gara; la direttiva chiede
solo che l’avvalso garantisca, in qualche modo, la disponibilità dei mezzi finanziari e tecnici.
Si dà così impulso alla nascita di soggetti avvalsi per professione e, dall’altro lato, si permette
alle imprese prive della qualificazione legale di partecipare comunque alle gare avvalendosi dei
requisiti di un soggetto estraneo, sostanzialmente, non solo al rapporto, ma anche al mondo stesso
degli appalti.
Si può ipotizzare con facilità la costituzione di una società finanziaria che, in qualche modo,
garantisca l’apporto di capitali e la copertura della responsabilità patrimoniale, ovvero di una
società proprietaria di attrezzature tecniche, o al limite l'intervento di una agenzia di lavoro
interinale che si impegni a fornire il personale necessario. Si apre cioè uno scenario di sostanziale
svuotamento del soggetto appaltatore che, in paradosso, può ridursi ad una scatola vuota il cui
contenuto è fornito dall’esterno.
La prospettiva potrebbe non essere drammatica se non ponesse inquietanti interrogativi in
ordine alla verifica dei requisiti soggettivi degli avvalsi.
Atteso che la direttiva si rivolge solo ai soggetti potenziali appaltatori nei cui confronti
autorizza la verifica dei requisiti soggettivi (ad esempio di moralità) e non ai soggetti avvalsi, ne
consegue che sarebbe contraria ad essa una norma che pretendesse di verificare il possesso di tali
requisiti anche negli avvalsi, perché ciò potrebbe diminuire il ricorso da parte dei soggetti della
direttiva all’istituto dell’avvalimento e la loro partecipazione alle gare. Non vi è chi non veda che il
pericolo del riciclaggio del denaro sporco e dell’introduzione dei capitali di provenienza illecita nel
mondo degli appalti, cacciato dalla porta, rientra dalla finestra.
Né si può ritenere che la soluzione del problema si sposti all’atto della valutazione della prova
della disponibilità. La direttiva, infatti, affida alla Stazione Appaltante, e ne limita l'attività, solo un
compito di valutazione della prova, ma non di valutazione del soggetto avvalso. Né si potrebbe fare
riferimento alle norme ordinarie che limitato la capacità di contrarre della P.A. con soggetti
delinquenti o a rischio, poiché, in realtà, nessun rapporto giuridico sembra instaurarsi tra la P.A. e
l’avvalso, atteso che è sempre e solo quest’ultimo responsabile nei confronti dell’appaltatore.
Un ulteriore problema si pone in ordine alla effettiva garanzia della Stazione Appaltante sotto
il profilo della reale e soddisfacente esecuzione dell’opera.
Il ricorso all’avvalimento sino ad oggi accolto nel nostro ordinamento sotto l'influsso della
giurisprudenza, di fatto si limitava alle situazioni in cui tra avvalente ed avvalso preesistesse un
rapporto giuridico. Pur dichiarando ossequio al principio comunitario di massima apertura, la nostra
Giurisprudenza di fatto si è occupata di caso in cui l'avvalso era un soggetto o facente parte del
gruppo, o del consorzio, o legato ad una impresa del raggruppamento etc.
La norma sembra invece autorizzare, pleno jure, il ricorso all'avvalimento di un terzo del tutto
estraneo, e ciò fa sottolineando la assoluta indifferenza del legame tra i due soggetti.
Recidendo completamente il rapporto tra avvalente ed avvalso, e quindi ipotizzando
l'avvalimento con un terzo del tutto estraneo, si ammette che questi possa fornire avvalimento a più
di un soggetto. Potrebbe trasformarsi, sostanzialmente, in un “avvalificio” potendosi verificare la
circostanza per cui il medesimo soggetto finanziario, ad esempio, fornisca la copertura del requisito
economico per un numero indeterminato di società e gare.
Deve, in tal caso, ritenersi legittima una norma che permetta alla Stazione Appaltante di
verificare la situazione concreta dell’avvalso per accertare che la messa a disposizione dei mezzi sia
effettiva?
Secondo il tenore della direttiva e, soprattutto, la sua ratio ed il modo ben noto di intendere il
feticcio della concorrenza in auge a Bruxelles, la risposta non può che essere negativa. Gli articoli
47 e 48 della direttiva n° 18 e l'articolo 54 paragrafi 5 e 6 della direttiva n° 17 (per l'avvalimento
nelle singole gare) e gli articoli 52 paragrafo primo, secondo alinea della direttiva n° 18 e 53,
paragrafi 4 e 5 della direttiva n° 17 per i sistemi di qualificazione, nella misura in cui ammettono
l'avvalimento lo legano alla rigorosa prova della disponibilità dei mezzi economici o tecnici. La
formulazione sembra riferirsi esclusivamente alla rigorosa prova del rapporto obbligatorio tra
avvalente ed avvalso, tanto che unico esempio che il Legislatore comunitario è stato in grado di
proporre è quello di esibire l’impegno dell'avvalso a mettere a disposizione risorse economiche e
mezzi tecnici, con il che non si è risolto nulla in termini sostanziali.
Viceversa, la garanzia per l'Amministrazione non può che essere quella di interpretare il rigore
della prova nel senso che il soggetto dovrà altresì dimostrare che l’avvalso è effettivamente in grado
di fornire i mezzi, il che costituisce quasi una probatio diabolica, atteso che il terzo, come si è detto,
può essere del tutto estraneo all’avvalente, è legato a questi solo da un rapporto obbligatorio, ben
può rifiutarsi di fornire all'avvalente qualsiasi informazione circa altri suoi eventuali impegni o
fornirla di comodo, senza che l'avvalente abbia la minima possibilità di verificarla.
Si potrebbe ovviare a ciò ipotizzando elenchi di avvalsi o autorità cui obbligatoriamente
debbano essere comunicati gli avvalimenti, ai fini di tenere il conto delle esposizioni finanziarie e
della disponibilità anche globale dei mezzi tecnici, etc., ma come si vede ciò corrisponderebbe solo
ad una complicazione del sistema e, in buona sostanza, alla costituzione di un albo o di un sistema
di qualificazione degli avvalsi, il che contraddice totalmente lo spirito e la finalità della apertura
comunitaria.