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Giacomo Leopardi

LA VITA E LE OPERE
Nasce a Recanati nel 1798 dal padre conte Monaldo e dalla madre marchessa Adelaide, la
cui durezza inciderà sulla persona di Giacomo, che la ritrae in modo inquietante. La sua
formazione culturale è stata affidata a precettori, ovvero ecclesiastici ed è legata
strettamente alla biblioteca paterna.
Tra il 1809 e il 1816 si svolgono i "sette anni di studio matto e disperatissimo", durante i
quali fa proprie le lingue classiche (traduce omero, esiodo, orazio...) e comincia a scrivere le
prime opere, tra cui tragedie e trattati di tipo scientifico, filosofico e logico.
Nel 1816 si ha la cosidetta "conversione letteraria": egli acquisisce maggiore
consapevolezza dei valori artistici e riconosce come l'ambiente familiare e recanatese gli
stia stretto. Da qui comincia a scrivere le prime opere di rilievo, come l'idillio Le
rimembranze e la cantina L'appressamento della morte.
Un anno più tardi (1817) comincia a scrivere le prime pagine dello Zibaldone, la cui lettura
permette di ricostruire lo sviluppo del suo pensiero filosofico (pessimismo storico,
pessimismo cosmico, social catena)
Una persona decisiva nella vita di Giacomo è stato il letterato Pietro Giordani, che lo ha da
subito incoraggiato nell'attività letteraria e ha favorito l'affermarsi di una coscienza
illuministica e classicistica, rintracciabile nelle canzoni civili scritte tra il 1818 e il 1822
(All'Italia, Ad Angelo mai etc...)
Nel 1819 tenta la fuga, che viene però scoperta dal padre. È in questo anno che si rintraccia
la sua "conversione filosofica", rintracciabile nello Zibaldone: aderisce ad una concezione
materialistica e atea.
Tra il 1818 e il 1822 si dedica alla produzione di opere che collochiamo in due grandi filoni:
le canzoni civili (Ultimo canto di Saffo, Bruto minore) e la poesia sentimentale degli idilli
(L'infinito, La sera del dì di festa, Alla luna).
Gli anni a partire dal 1823 sono segnati da diversi spostamenti da città a città:
-Roma, ma non ne rimane coinvolto e ritorna 5 mesi dopo a Recanati. In questo periodo
comincia a dare forma alla sua posizione pessimista e comincia a scrivere le Operette
Morali, che verranno pubblicate 4 anni dopo a Milano.
-Milano, qui conosce l'editore Stella che lo impegna in alcuni progetti, quali un commento al
Canzoniere petrarchesco e due antologie italiane (Crestomazia (=studio delle cose utili)
della prosa e della poesia).
-Firenze, ma si trova in un rapporto antitetico con le posizioni ideologiche e artistiche degli
intellettuali fiorentini, egli infatti era antiromantico.
-Pisa, il clima accogliente della cittò favorisce il ritorno alla scrittura poetica: scrive A Silvia,
aprendo il ciclo pisano-recanatese.
-Recanati, per 16 mesi rimane nella città natale e scrive altri quattro canti del ciclo ( La
quiete dopo la tempesta, Il sabato del villagio, Il canto notturno di un pastore errante
dell'Asia e Le ricordanze)
-Firenze, consolida la sua amciizia con lo scrittore Antonio Ranieri. Nello stesso anno si
innamora di Fanny Tozzetti, per la quale scrive delle poesie che formano il "ciclo di Aspasia"
(prima di era innamorato della cugina Gertrude e per lei aveva scritto l'elegia Il primo
amore). Viene pubblicata la prima edizione dei Canti (contiene 41 delle poesie
leopardiane).
-Ultima tappa: Napoli, dove si trasferisce con Ranieri. In questo periodo (1833) cominciano
a rendersi evidenti i primi problemi di salute, che però non lo fermano: scrive i Pensieri, in
cui critica il progresso e la fiducia della scienza, che vengono maggiormente messi in risalto
nella Palinodia al marchese Gino Capponi.
Leopardi desidera raccogliere tutte le sue opere in un'unicamente edizione, ma questo
progetto svanisce a causa della censura. Negli ultimi anni di vita scrive gli ultimi due canti Il
tramonto della luna e La ginestra o il fiore del deserto.
Muore nel 1837.

ROMANTICISMO EUROPEO, CONFRONTO CON SCHILLER E PRIME OPERE


Problema che ha interessato i critici: Leopardi è classicista o romantico? (Non si identifica
mai in una sola corrente).
→Classicismo: 1730, recupero dell'arte classica, dei classici latini e dei concetti antichi quali
il concetto di armonia ed equilibrio.
Bisogna distinguere due tipi di romanticismo:
→Romanticismo italiano:
→Romanticismo europeo (tedesco): I maggiori rappresentanti romantici tedeschi
appartengono al movimento dello "Sturm und Drang" e alla rivista "Athenuem", ma il
termine romanticismo nasce già nel 1600 come etichetta che vuole definire negativamente
tutto ciò che è in contrasto con la perfezione della natura, infatti veniva indicato come
romantico tutto ciò legato ai sentimenti, alle fantasie. (La natura era invece modello
perfetto per l'arte classica)
Il romanticismo diventa poi sinonimo di sublime: l'arte romantica cerca di superare
l'approccio razionale della realtà che è proprio invece dell'arte classica, fatta di canoni, di
misure. Il romanticismo si oppone alla razionalità classica, figlia dell'Illuminismo e fa suo il
concetto di ignoto, mistero: gli uomini non si propongono più di indagare la realtà, la natura
secondo processi razionali. (Per esempio prediligono una notte cupa al giorno, un grigio
edificio gotico ad un cielo stellato...)
C'è un termine tedesco che indica questo desiderio che spinge i romantici a prediligere
l'indefinito→ Sehnsucht (trad. desiderio del desiderio)
L'espressione filosofica del romanticismo è la filosofia idealista post-kantiana, definita
anche filosofia dello spirito(= l'uomo)
I filosofi idealisti definiscono una nuova metafisica, che non si basa più sull'indagine della
natura ma sull'io: guardano il mondo attraverso la soggettività.
Il romanticismo si sviluppa in seguito al crollo della realtà razionale dell'Illuminismo: molti
critici hanno visto nell'illuminismo il padre putativo della rivoluzione francese, che si pone
come espressione militante della razionalità: forza della razionalità umana. L'illuminismo
fallisce perchè fallisce la rivoluzione francese.
Nel 1756 lo scrittore e poeta Burke definisce i canoni estetici di riferimento del
romanticismo: un cielo nuvoloso, la notte fitta. Viene proposto un nuovo ideale di bellezza→
il sublime, sinonimo di romanticismo e di perfezione,bellezza secondo la concezione
romantica.
Il filosofo più importante del romanticismo tedesco fu Schiller, il cui pensiero è
strettamente e direttamente legato a quello di Leopardi, che vede il romanticismo non come
manzoniano o lombardo, ma come europero.
Schiller compie un'analisi antropologica, ponendo al centro dell'indagine l'uomo.
NATURA - UOMO - MODERNITA
Schiller scrive che l'evoluzione necessaria all'uomo è quella che passa da uno stato di
natura, e quindi da uno stato di armonia, di stretta comunione con il tutto (per Leopardi lo
stato di natura era la condizione primitiva dell'uomo).
Passata la contemporaneità si è verificato un contrario: l'uomo moderno per Schiller è
segnato da una crisi, che si manifesta dal contrasto tra un'interpretazione sensistica della
vita e la ragione.
Per Schiller la ragione, che è la conseguenza dell'uomo moderno, prende il sopravvento sui
sensi e andando incontro ad un progresso culturale, allontana l'uomo dall'armonia con la
stessa natura. L'uomo di Schiller è un uomo razionale, che non interpreta più la natura
attraverso i sensi e che addirittura forse non è più in grado di stabilire un'intima
connessione con la natura.
L'uomo non è ormai più in grado di tornare allo stato di natura, perchè pervaso di cultura.
L'ignoto è infatti la conseguenza di questa rottura del rapporto con la natura.
La nuova realtà dell'uomo, lontana dai sensi, è infinita, atemporale e aspaziale: i canoni che
danno possibilità all'uomo romantico di poter ricercare un proprio equilibrio non
provengono più dalla razionalità, ma dall'attività dello spirito, della soggettività.
L'infinito si sostituisce al finito della razionalità settecentesca: sono proprio l'ignoto e
questa tensione verso l'infinito che pongono una cesura tra il razionalismo settecentesco e
quello romantico.
Questa realtà infinita, come fallimento di un approccio razionale alla realtà, si raggiunge
attraverso un percorso artistico e poetico (poesia sentimentale), e quindi attraverso
l'intelletto soggettivo (non riproducendo la realtà).
L'uomo può ormai cogliere soltanto ciò che si trova oltre, perchè ciò che si coglie attraverso
i sensi non è più raggiungibile.
Leopardi nel 1819 inizia a scrivere il suo primo idillio "L'infinito", dove afferma che è
costretto a passare da una poesia legata alla natura a una poesia sentimentale (come
Schiller).
La poesia sentimentale è una poesia basata sulla soggettiva percezione di realtà, sulla
memoria e nostalgia, sul desiderio di infinito, sull'incertezza.
È proprio a partire da questo anno che Leopardi sviluppa un nuovo pensiero, in cui l'uomo
non si trova più in armonia con la natura.
Nel 1818 Leopardi scrive "Il discorso di un italiano intorno alla poesia romantica": mai
pubblicata, scritta in risposta a Ludovico di Breme che aveva recensito positivamente una
novella di Lord Byron, uno degli scrittori inglesi più noti che portava avanti un'idea di
romanticismo italiano.
Le sue novelle avevano uno stampo esotico: viaggi, avventure, storie d'amore.
Di Breme, sostenitore del romanticismo, criticava fortemente il classicismo in letteratura:
egli riteneva che i poeti antichi hanno eccessivamente rappresentato la natura seguendo
quella che lui definisce "una balorda immaginazione". Egli critica il loro eccessivo ricorso
all'immaginazione.
Secondo lui bisogna concentrarsi attraverso i sentimenti sul vero (non necessariamente
identificabile come razionale), ovvero ciò che appare oggettivo → romanticismo italiano (=
"l'utile per storico, il vero per soggetto, interessante per mezzo" cit. Manzoni).
I romantici italiani, dunque, si oppongono alla poesia dell'immaginazione, della fantasia.
Leopardi polemizza contro Di Breme, affermando di dover ritornare ad un'inclinazione al
primitivo e a fare dunque poesia attraverso la fantasia→ "La natura dà all'uomo la
possibilità di recuperare la fantasia"
Il progresso, però, ha cambiato la storia e per questo la natura non si palesa più all'uomo
come prima ma si nasconde. Si deve, dunque, recuperare un intimo rapporto con la natura e
ciò è possibile solo attraverso le allusioni.
Dunque l'arte che si basa sul vero, sull'oggettivamente visibile per Leopardi non è da
considerarsi dilettevole.
Contro l'impostazione romantica lombarda, Leopardi difende l'illusorio che, in polemica
con un certo romanticismo europeo, non si raggiunge necessariamente in qualcosa di
tenebroso gotico, ma anche in un paesaggio notturno, lunare. In questi termini Leopardi
può essere considerato classicista.
"Pur tuttavia benchè sia evidente la distanza cronologica tra uomini antichi e moderni,
l'uomo vive nella sua vita un periodo che è associabile per caratteristiche e affine all'uomo
primitivo: la fanciullezza" → La condizione dell'uomo nella fanciulezza è simile all'uomo
primitivo, infatti il fanciullo è ancora in grado di percepire la bellezza delle fantasie, delle
illusioni finchè non arriva il vero a distruggere le illusioni. La natura si rivela adesso
matrigna, e arriverà il vero a distruggere le illusioni. Il recupero del periodo della
fanciullezza si ha grazie alla memoria, il ricordo.
(La poesia lirica non si identifica nella lirica greca, ma diventa sinonimo di espressione
dell'individualità dei sentimenti dell'io. Vedremo, infatti, che nelle sue poesie Leopardi usa
sempre l'io poetante)
Il 1819 è l'anno degli idilli (=avventure storiche, situazioni del suo anno) e l'anno della
mutazione→ La sua condizione oggettiva di malessere, causata da problemi fisici, porta
Leopardi ad una riflessione più ampia che lo spinge a parlare di una mutazione personale:
da poeta diventa filosofo. Egli non abbandona, però, la poesia ma la sua produzione amplia
l'orizzonte passando da una condizione soggettiva di fantasia come i popoli antichi ad una
rappresentazione del mondo che coinvolge tutti gli uomini. Dalla sua singola esperienza di
dolore passa alla consapevolezza di un dolore che accomuna tutti gli uomini e che lo spinge
a proferire questo pensiero: occorre fare poesia sentimentale, riflettendo sui problemi e le
cause di infelicità di tutti gli uomini, dato che la felicità è destinata a terminare. Bisogna in
questo modo cercare l'infinito, ovvero quella dimensione atemporale e aspaziale di cui
parla Schiller.

IL TEMA DELLA FELICITÀ, DEL PIACERE E I PENSIERI DEL 1823 E 1824


Leopardi tratta il tema della felicità e la teoria del piacere nell'opera Zibaldone, diario
personale che raccoglie riflessioni e appunti scritti tra il 1817 e il 1832. I due temi
subiranno delle diversificazioni, dunque il pensiero leopardiano si distingue in due periodi:
→Pensiero del 1823→ Secondo Leopardi la condizione primitiva è il punto massimo di
felicità intima in armonia con la natura. La felicità è l'obiettivo primario dell'uomo, che si
raggiunge quando si prova il piacere, non spirituale o intellettuale, ma fisico, sperimentato
dai sensi → concezione sensistica
La tendenza innata dell'animo umano è quella volta al conseguimento di un piacere, ed è
una tendenza innata, costante e infinita. Questo perchè non viene mai completamente
soddisfatta, l'uomo è infatti in costante ricerca.
Il piacere non viene mai raggiunto perchè l'uomo può provare solo piaceri circoscritti:
l'animo umano è mosso da un'infinita volontà del piacere che non si esaurisce mai volta al
fallimento, perchè non potrà mai raggiungere il vero piacere. L'uomo non si accontenta mai,
infatti raggiunto un piacere ne desideriamo di altri. Il piacere è dunque figlio di un affanno,
che si prova tra un piacere ed un altro ed è conseguenza della fine di questo.
Paradosso→ pur essendo fondamentale la ricerca del piacere, l'uomo è destinato
all'infelicità (non raggiunge mai il piacere sommo).
Il vero motivo dell'infelicità, però, non è il dolore, perchè necessario intermezzo tra un
piacere ed un altro, ma la noia, il taedium vitae.
La noia è conseguenza dell'assenza di felicità e di dolore→ il problema più grande
dell'uomo moderno.
Leopardi prova il piacere attraverso il ricordo e il sogno, egli ha infatti raggiunto il piacere
nel periodo della giovinezza.
(Si possono raggiungere singoli piaceri, mai piacere assoluto!!!)
Le uniche forme di felicità concesse dalla natura sono le illusioni e l'immaginazione.
-Pessimismo storico (principio ermeneutico, interpretativo della realtà) → l'uomo moderno
non può più provare piacere come l'uomo primitivo, perchè con l'evoluzione l'uomo viene
allontanato dalla natura(=tutto ciò che è materia), ma paradossalmente viene salvato dalla
natura stessa grazie alle illusioni e l'immaginazione→ natura benigna
L'uomo per accettare la vita può solo attaccarsi a tutto quello che la natura offre. Il critico
Timpanaro definisce il pessimismo leopardiano come energetico, perchè non si arrende al
vero.
→Pensiero del 1824→ l'uomo non riceve più l'ausilio della realtà, è ontologicamente infelice
(pessimismo cosmico).
Vi è un'evoluzione negativa del pensiero leopardiano: il piacere dell'uomo coincide con i
piaceri della natura? No, perchè il fine ultimo della macchina dell'universo non è il piacere
dell'uomo ma la sua conservazione. La natura produce e si conserva attraverso la
distruzione delle sue componenti che alimentano la presenza stessa della natura. La natura
come macchina va alla ricerca del suo obiettivo dato dall'autoconservazione, ignorando gli
elementi che vivono al suo interno, ovvero l'uomo → natura matrigna
Questa è la chiave interpretativa dell'operetta "Dialogo della natura e di un irlandese". In
questo dialogo il poeta metterà in bocca alla natura tali parole: "io non mi accorgo di cosa
succede all'uomo, se tutto finisce non me ne accorgo".
L'uomo è però creatura della natura, dunque Leopardi arriva a confutare la realtà del
principio di non contraddizione aristotelico: non potest idem simul esse et non esse (una
stessa cosa non può essere e non essere contemporaneamente).
Ciò è falso, infatti l'uomo con i suoi obiettivi esiste all'interno di un sistema, ovvero la
natura, che ne ha altri ben diversi.

POESIA SENTIMENTALE
Esprime per la prima volta la sua concezione sulla poetica nel 1818 nel “Discorso di un
italiano intorno alla poesia romantica” (mai pubblicato).
Lo scritto è una risposta critica a Ludovico di Breme, il quale sosteneva che i poeti antichi
hanno eccessivamente rappresentato la natura seguendo una “balorda” immaginazione e
quindi bisogna concentrarsi attraverso i sentimenti
sul vero e reale (non si deve ricorrere a fantasie).
Leopardi rifiuta il Romanticismo italiano, poiché ritiene i Romantici recidano il
fondamentale rapporto poesia-sensi e quindi il legame tra poesia e natura.
Leopardi, di contro, propone una poesia fondata sui sensi e sull’immaginazione, cercando di
ristabilire, sul piano dell'immaginazione, il rapporto primitivo uomo-natura.
Il poeta infatti condanna la modernità, poiché si distacca dalla natura, in modo tale che
prevalgano ragione e riflessione su immaginazione e illusioni.
Come per i romantici, invece, la poesia deve avere una funzione sociale: per i Romantici,
però, la poesia deve essere un mezzo di propaganda, progetto, trasformazione, per Leopardi
si tratta di tenere sveglie le sensazioni dell’uomo sviluppatesi nell’antichità e che rischiano
di andare perse nel mondo moderno

LO ZIBALDONE DEI PENSIERI


Nell’estate del 1817, Leopardi inizia a riportare le proprie riflessioni in un quaderno che
forma lo Zibaldone di pensieri, alludendo con il titolo alla varietà disordinata dei temi
affrontati al carattere frammentario della scrittura. Arriverà a contare ben 4526 pagine,
l’ultimo ha la data 1832. Lo Zibaldone non nasce come opera per il pubblico, è un diario
intellettuale: egli fissa le proprie riflessioni intorno a questioni letterarie e filosofiche e
annota anche episodi autobiografici.
Nello Zibaldone si rintracciano dei temi ricorrenti, quali il rapporto natura-civiltà, permetto
così al lettore di tracciare l'evoluzione del pensiero leopardiano.

La natura e la civiltà, Zibaldone dei pensieri


Vengono riportati tre diversi passi dello Zibaldone di anni diversi che permettono di
tracciare l'evoluzione del pensiero leopardiano riguardo il rapporto uomo-natura.
[1] Nel primo passo dello Zibaldone del 1821 emerge chiaramente un pessimismo di tipo
storico: secondo questa visione l'uomo è destinato ad un'eterna infelicità non a causa della
natura, ma per sua stessa colpa e per quello che il poeta qui definisce "perfezionamento".
Dietro il termine perfezionamento si nasconde lo sviluppo storico, che ha causato la rottura
del rapporto-uomo natura. Adesso la natura non è più abbastanza per l'uomo, che ricorre
all'arte, la quale diventa surrogato. Qui Leopardi non fa riferimento all'arte come sapere
tecnico, ovvero come tèchne, a pannaggio di tutti (scrive anche sei bruti), ma di un prodotto
intellettuale necessario all'uomo, che evolvendosi, riconosce la propria impotenza.
Qui Leopardi solleva la natura da ogni colpa, porta avanti il concetto rousseauiano di natura
innocente a cui si contrappone l'artificiosità del vivere civile: scrive infatti che ogni essere
nel proprio stato di perfezione, si trova in un rapporto armonioso con la natura, che aveva
prima ordinato perfettamente quella parte di mondo destinata all'uomo.
La colpa di questa rottura deve essere attribuita all'uomo che tenta di "rifabbricare" la
natura secondo i suoi piaceri, i suoi desideri e i suoi fini e quindi alla sua tendenza alla
costruzione di un rapporto con natura riscontrabile nell'atemporalità e nell'aspazialità.
Leopardi individua tra la natura e l'arte un rapporto di proporzionalità inversa: più l'arte è
artificiosa, quindi più l'uomo tenta di giungere al massimo perfezionamento, più muterà la
natura e di conseguenza maggiormente si danneggerà l'equilibrio originario dell'uomo.
Date tutte queste premesse, l'uomo dovrebbe tornare al proprio stato di natura, ma questa
condizione non è più raggiungibile.
[2] In questo testo emerge l'evoluzione del pensiero leopardiano riguardo il rapporto
natura-natura. Qui scinde il fine della natura e dell'uomo, che lo porterà poi a negare la
validità del principicio di non contraddizione.
Leopardi scrive, che il fine naturale dell'esistenza umana non può che essere la felicità,
mentre il fine della natura non è la felicità poichè impossibile, ma è la perpetuazione della
vita in quanto tale.
È la natura stessa ad impedire la realizzazione della felicità, pertanto ne deriva che saranno
più le "somme di dispiacere" che "le somme di piacere".
Ciò non impedisce, però, che l'uomo "di sua natura, per necessario" ricerchi la felicità.
(Siamo qui alle porte del pessimismo cosmico)
[3] Nel terzo testo si giunge all'affermazione del pessimismo comisco e quindi della
negatività dell'universo in tutte le forme di vita, che Leopardi rende attraverso la metafora
del "giardino di piante, d'erbe e di fiori".
Questo si mostra apparentemento armonioso, ma in realtà è percorso in ogni parte dalla
"souffrage", la sofferenza. Qui Leopardi non nega la vita, anzi mette in risalto la sofferenza
attraverso metafore, paragoni e descrizioni accurate degli elementi naturali: la rosa “offesa
dal sole”, il “giglio succhiato crudelmente da un’ape”, l'albero "infestato da un formicaio,
bruchi, mosche, lumache, zanzare, dall’aria o dal sole” etc...
Egli paragona poi questo giardino all'ospedale, luogo ancora più "deplorabile" di un
"cemeterio". Leopardi vuole qui evidenziare la differenza tra ospedale e cimitero: mentre
quest'ultimo è luogo di morte e coincide con la fine delle sofferenze, l'altro vede il
prolungarsi del dolore e della sofferenza.

La teoria del piacere, Zibaldone di Pensieri


In questo brano Leopardi espone la sua teoria del piacere. La premessa è che l'uomo
desidera un piacere infinito, cioè che non ha limiti “né per durata né per estensione”.
La conseguenza è che un tale desiderio è destinato a rimanere in appagato perché “nessun
piacere è eterno” e “nessun piacere è immenso, infatti in natura tutto "ha confini ed è
circoscritto".
Leopardi qui predilige un lessico astratto e filosofico, tuttavia facile: il poeta insiste sempre
sullo stesso concetto, analizzandola ripetutamente per chiarirlo così maggiormente al
lettore: si tratta di un modo di scrivere tipico dello Zibaldone.

I CANTI (unione canzoni e idilli)


Per leopardi poesia e modernità sono nettamente contrapposte, da un lato abbiamo infatti
la poesia che è primitiva degli antichi e piena di illusioni, mentre la modernità è il regno
della ragione e per questo delle illusioni distrutte. In un primo momento, che coincide con
le canzoni civili e gli idilli, leopardi vuole ridare vita alle illusioni antiche attraverso lo
studio e il recupero degli scrittori classici, mentre poi si dedica alla distruzione delle
illusioni nei canti pisano-recanatesi; a metà tra le due fasi si colloca la stesura delle operette
morali, in cui vi è lo svelamento del vero.
In entrambi i momenti Leopardi afferma la centralità della lirica, come massima
espressione linguistica dell'uomo. In questa infatti viene messo in risalto l'io poetante, che è
qui io concreto, biografico, mentre nella tradizione petrarchesca la condizione del soggetto
era esempio di un'universalità.
Inoltre l'esperienza individuale diventa rappresentazione filosofica della vita.
I Canti raccoglie circa 41 testi delle tre fasi della poesia leopardiana:
-prima fase (1818-1822): canzoni civili, canzoni del suicidio e idilli
-seconda fase (1828-1822): canti pisano-recanatesi
-terza fase (1813-1837): testi d'amore del Ciclo d'Aspasia, canzoni sepolcrali e La Ginestra
Nell'opera vengono trattati diversi temi:
-tema civile, che compare nel brano "All'Italia" e che si collega alla questione del rapporto
tra antichi e moderni. A causa della rappresentazione negativa della modernità si assiste ad
una sfiducia nell'impegno politico, che avrà poi approccio satirico e polemico.
-tema della memoria: la rimembranza è il centro della poetica leopardiana, infatti il passato
è il catalizzatore di ogni poesia. Infatti il poeta deve ritornare al passato con
l'immaginazione e ricordare il sostegno delle illusioni (tema delle illusioni)
-tema dell'amore: tema centrale dell'Ultimo canto di Saffo.
Se in petrarca il paesaggio soccorre il soggetto e asseconda il suo stato d'animo, in leopardi
accade esattamente l'opposto: si verifica una tensione tra soggetto e paesaggio che
richiama il rapporto uomo-natura. Per esempio, nella Sera del dì di festa, il paesaggio
notturno contiene l'angoscia del poeta.
-tema del suicidio: le canzoni legate al tema del suicidio sono "Bruto Minore" e "Ultimo
canto di Saffo": guarda post-it.

GLI IDILLI (prima fase)


Tra il 1819 e il 1821 Leopardi scrive 5 testi (L'infinito, La sera del sì di festa, Alla luna, Il
sogno, La vita solitaria). In questi brani, rispetto alle canzoni, si rintraccia un maggiore
coinvolgimento dell'io poetante nel tema trattato, ciò non significa però che non ci siano
anche riflessioni filosofiche o argomentative.
Si differenzia con le canzoni anche nel linguaggio qui più comune, nello stile colloquiale e
nella brevità della poesia.

L'infinito (1819)
La poesia "L'infinito" fa parte degli idilli dello Zimbaldone.
L'idillio è un testo poetico in cui si affrontano avventure storiche del tempo, aggiungendo
componenti biografiche (io lirico).
Il termine idillio fa riferimento alla poesia pastorale greca (Mosco e Bione), infatti duranti i
suoi studi giovanili Leopardi studia anche la letteratura greca. Leopardi, però, non riprende
i caratteri di questa poesia, non fa dunque una descrizione quasi fotografica di una natura
armonica (ruscelli, campi, etc), ma attiva una riflessione filosofica, concettuale partendo
dalle avventure storiche e biografiche.
L'elemento paesaggistico è comunque presente all'inizio della poesia, questo non si
ripresenta però nel corso della poesia: l'elemento paesaggistico lascia posto a riflessioni di
diverso carattere.
Questa non è una poesia sentimentale, emotiva laddove si intende la rappresentazione di
uno stato d'animo legato all'amore, alla giovinezza o alle illusioni. Nella poesia si rintraccia
uno stato d'animo, che non si ricollega però immediatamente all'amore, ma fa riferimento
ad una concezione generale della poesia.
Questo potrebbe essere considerato una sorta di manifesto della nuova poetica leopardiana,
che trae spunto dal concetto di romanticismo europeo: distacco da un rapporto con la
natura e una tendenza al raggiungimento di questo in modo atemporale e aspaziale.
Da un punto di vista metrico, la poesia si compone di indecasillabi sciolti: con Leopardi si
assiste ad una modificazione della tendenza di costruzione del testo poetico.
Per esempio, nei Canti egli non scrive odi o sonetti, ma su modello petrarchesco scrive
canzoni in endecasillabi e settenari.
Leopardi predilige la "poesia pensiero" scritta in endecasillabi sciolti, infatti l'assenza di
schema metrico fa si che la poesia si sviluppi un po' come una narrazione.
L'infinito rappresenta una nuova esigenza culturale, che già si avvertiva nei romantici e se si
vuole collegare la poesia ad un dato biografico, si può sottolineare che questa sia stata
scritta il giorno dopo il tentivo di fuga.
Leopardi viveva, infatti, una situazione familiare che lo soffocava, artisticamente e non.
La tendenza all'infinito, presente in questa poesia, è la ricerca infinita del piacere: la voglia
di volgere lo sguardo oltre la siepe potrebbe essere interpretata come il desiderio di
giungere ad un piacere infinito attraverso i sensi.
Il piacere è legato alla vista e all'udito ("mirando" v.4, "il guardo" v.3, "odo" v.9, "voce" v.10,
"suon" v.13) e non al corpo, dunque legato a qualcosa di razionale, intellettuale e non alla
sfera corporea. L'infinito qui viene raggiunto e goduto psicologicamente e intelletualmente,
scrive infatti "io nel pensier mi fingo" (sa di non poter conoscere, quindi lo immagina)
Questa poesia è un risarcimento psicologico dell'impossibilità di godere di un piacere
infinito a partire dai sensi.
Si considera una delle più importanti poesie leopardiane, è infatti manifesto del
romanticismo.
ANALISI
-"mi" v.1 → io lirico
-si pu� creare un parallelismo tra la solitariet� del colle e del poeta: come il colle �
"ermo" allo stesso modo il poeta siede in solitudine.
- "sedendo e mirando" v.4 → usa il gerundio che indica vaghezza, indeterminatezza. Questi
sono dei termini ricercati dal poeta.
-"ove per poco il cor non si spaura" v. 7,8 → l'immaginazione degli spazi al di l � della siepe
e del colle gli provoca profondo turbamento.
-uso frequente dell'enjambement, con cui l'autore rende una fortissima tensione in visione
di un ulteriore sviluppo del discorso (interminati/spazi), (sovrumani/silenzi),
(quello/infinito silenzio).
-i primi 9 versi sono segnati da termini che si ricollegano alla sfera della vista, nei successivi
troviamo termini legati alla sfera dell'udito.
-"si annega il pensier mio"v. 14 : non si tratta di un'esperienza indolore, ma si mette in luce
gi� un piacere figlio d'affanno.
-"naufragar m'� dolce in questo mare" v.15: metafora del piacere, nel dolore si rintraccia
un certo piacere. Visione ossimorica dell'esperienza.
-riporta coppie di aggettivi e sostantivi che danno la percezione dello spazio:
questo colle
questa siepe
interminati spazi
sovrumani silenzi
profondissima quiete

La sera del dì di festa (1820)


Questa poesia riprende alcuni temi dell'infinito, peraltro le poesie "L'infinito", "La sera del
dì di festa" e "Alla luna" sono considerate fortemente indicative della produzione idillica
(1819-1821).
Questa rappresenta dal punto di vista filosofico e contenutistico una sorta di
rappresentazione della concezione del mondo leopardiana.
Qui Kant riprende il tema dell"ubi sunt, quindi il tema della perdità e della vanità di ogni
cosa: concezione negativa della realtà in tutto è vano e destinato a perdersi. Qui la
dimensione biografica è molto più evidente rispetto all'Infinito: nell'infinito l'esperienza
soggettiva si ritrova sì in tutta la poesia, ma lessicalmente è resa unicamente dal "mi"
iniziale, mentre qui è meglio resa anche grazie al tema dell'amore, anche questo illusione
destinata a terminata.
Qui si rintraccia una rappresentazione paesaggistica: inizia con uno dei più famosi notturni
lunari leopardiani, che è una rivisitazione del VII libro dell'Illiade che si apre proprio con un
paesaggio notturno lunare.
Il paesaggio in Leopardi cela un'armonia che non si rivela nell'io lirico, mentre in Petrarca il
paesaggio diventa consolazione dell'uomo, qualcosa in cui esso può specchiarsi e
riconoscersi. (rivoluziona il rapporto natura-stato d'animo).
La poesia si apre con questa descrizione paesaggistica della notte e ruota poi intorno a tre
nuclei:
-l'indifferenza della donna che, terminato il giorno di festa, riposa ignara del dolore che ha
causato nel poeta.
-il canto dell'artigiano che porta con sè il tema dell'ubi sunt
-il ricordo d'infanzia: anche se nella concezione leopardiana l'infanzia è quel momento
felice in cui l'uomo riesce ancora a rintracciare il bello, qui Leopardi afferma che anche
quando lui era fanciullo, una volta finito il dì di festa, scattava la consapevolezza della fine di
quel piacere, gli "stringeva il core".
Si realizza qui un rapporto a tre, un parallelismo tra l'io lirico, la donna e l'artigiano: il poeta
è opposto a due categorie umane, ovvero all'artigiano come rappresentazione dell'umanità
che vive in un rapporto sereno con la natura (più l'uomo diventa filosofo, più si affaccia al
vero e la sua concezione è pessimistica, ma ciò non sussiste nell'artigiano) e alla donna,
come espressione dell'amore che gli è negato.
Tra la donna e la natura è possibile rintracciare un parallelismo: come la donna è
espressione di un amore negato, allo stesso modo la natura è espressione di un piacere
negatogli.
ANALISI
-vv. 1-5: Leopardi scrive questi primi versi su modello di un passo dell'Illiade tradotto dallo
stesso Leopardi
-v.3: la luna di cui scrive Leopardi simboleggia la natura che guarda dall'alto il poeta
-v.5: "Già tace ogni sentiero" è la traduzione di un passo di Virgilio del IV libro dell'Eneide.
(poesia fitta di rimandi classici)
-v. 4→ tema della donna e ricordo di un'esperienza amorosa non vissuta ma immaginata,
che dal punto di vista poetico viene interpretata come impossibilit � di giungere all'amore,
come � impossibile giungere al piacere
-v.7 e 11: L'anafora "Tu dormi" sottolinea la ripresa del topos classico dell'indifferenza della
donna alla sofferenza dell'innamorato
-v.14: "...che mi fece l'affanno" : natura matrigna che genera l'uomo per farlo soffrire
-v.15: "Nego, mi disse, anche la speme": qui Leopardi immagina che la natura stessa gli stia
parlando pronunciando la maledizione
-vv. 29-30: si rintraccia in questi versi il tema dell'ubi sunt, tutto nel mondo infatti passa e
non lascia traccia di s�.
-vv. 33, 34: ancora tema dell'ubi sunt.

Natura → luna
io lirico donna artigiano
Rintracciamo segni di contrasto dell'io lirico con ciascun elemento della poesia, anche con
l'artigiano perchè dopo il dì di festa ritorna felice nel suo ostello, a differenza del poeta che
si dimena nella sua stanza a causa dell'amore.

Alla luna (originariamente "La ricordanza")


In questa poesia Leopardi si rivolge alla Luna, allegoria dell'armonia e della bellezza.
La Luna di questa poesia è diversa dalla luna del "Canto Notturno": qui è consolatrice
(1819), lì è spettatrice muta dei dolori umani.
Qui riprende il tema della fanciullezza e del ricordo:
Sappiamo che Leopardi riteneva che l'uomo primitivo vivesse in uno stato di felicità, che
l'uomo non può più raggiungere, ma a cui può avvicinarsi attraverso la fanciullezza.
In questa poesia Leopardi smonta in parte il suo pensiero, infatti anche attraverso il piacere
che si prova nel ricordo della fanciullezza, l'uomo non ritornerà mai a quell'armonia, ma
vivrà un piacere limitato.
Qui inoltre la fanciullezza è un'età tutt'altro che felice, a descriverla stanno infatti stanno
termini quale "angoscia", "travagliosa" e "affanno".
Qui il ricordo è soccorrittore dell'uomo, infatti ha il potere di mitigare l'ansia, e di provocare
un piacere, anche se limitato, anche nel ricordo di un passato angosciante e travaglioso.
Con questa poesia si chiude il trittico del naufragio:
-Poesia Infinito: naufragar m'è dolce in questo mare → naufragio positivo spazio-temporale
-Poesia "La sera del dì di festa" → naufragio storico, nella vanità di tutte le cose, e
individuale, infatti il poeta si relaziona al mondo circostante.
-Poesia "Alla luna" → naufragio come perdizione nel pozzo della memoria, come possibilit�
di perdersi in un qualcosa che genera un piacere figlio d'affanno.
Il naufragio rende l'idea di idillio, di avventura storica e romantica (poesia sentimentale)
che coinvolge personalmente l'io lirico.

CANTI PISANO-RECANATESI (seconda fase)


I canti pisano-recanatesi sono:
-Il risorgimento
-A Silvia
-Il canto notturno di un pastore errante dell'Asia
-Le ricordanze
-La quiete dopo la tempesta
-Il sabato del villaggio
Questi canti presentano un io lirico, che adesso affronta in modo meno coinvolto e sofferto
la realtà. Qui Leopardi veste gli abiti del filosofo, ragiona infatti sulla fine delle illusioni.
I canti pisano-recanatesi vengono così chiamati perchè composti tra Pisa e Recanati dal
1818 al 1830.
Da un punto di vista tecnico-poetico il poeta diventa filosofo: Leopardi riprende i temi
trattati negli Idilli, ma non vi è più un coinvolgimento emotivo del poeta che soffre il
rapporto uomo-natura. Adesso il poeta analizza le varie tematiche, con un certo distacco, in
maniera lucida, come conseguenza della sscoperta del vero.
Questo nuovo atteggiamento è eredità della filosofia delle Operette Morali, nelle quali
rintracciamo due obiettivi:
- la critica feroce a ogni spiritualismo, atteggiamento irrazionale che si muove nella
direzione di un'interpretazione trascendente della realtà (religione)
- critica al presunto antropocentismo da parte dell'uomo, che si sente al centro di un
progetto stabilito dal dio (per religione l'uomo è il fine del progetto divino). L'uomo non
può sentirsi al centro del progetto, ma è solo una parte→ affronta il tema della solitudine,
del male.
L'uomo deve trovare il modo di sopravvivere al male dentro sè stesso → tema della social
catena. Questo si traduce in questi canti in termini di consapevolezza delle tematiche.

A Silvia (1828)
Questo è il primo esempio di canzone libera, composta nel 1828.
Con questa poesia Leopardi dà il via alla poetica della memoria. Il tema della memoria era
già presente in Alla Luna, ma in forma differente: in questa poesia la memoria diventa
concetto, infatti il poeta diventa un filosofo che riflette in termini generali sull'idea di
memoria
ANALISI
→Prima strofa: introduce la figura di Silvia, come una giovinetta "lieta e pensosa", dagli
occhi "ridenti e fuggitivi" che stava raggiungendo il tempo della giovinezza "il limitare di
giovent� salivi" (la vita come ascesa).
Si individua qui la prima interpretazione della figura di Silvia, che nasconde in s � una
duplice interpretazione:
-Teresa Fattorini, figlia del cocchiere di casa Leopardi morta giovane di tisi
-allegoria della giovinezza tradita, infatti non � ancora giunta alla stato di giovinezza,
perch� destinata ad andare incontro alla morte.
→Seconda strofa: Si rintraccia qui il tema della primavera, scrive infatti "era il maggio
odoroso" v.13: attraverso questo tema Silvia diventa rappresentazione metaforica del ciclo
della natura che ogni risveglia per poi morire di nuovo (relazione vita-morte).
Importante � l'uso del termine vago al v.12, che fa parte del lessico leopardiano. Questo ha
sia accezione di bello che di indefinito, qui utilizzato.
→Terza strofa: attraverso flashback, si rievocano scene parallele della loro infanzia: come
Silvia nella seconda strofa lavora al telaio, canta e pensa al futuro, Leopardi si dedicava allo
studio, e "lasciando le sudate carte" sentiva il canto della donna, che gli provocava un
sentimento che "lingua mortal non dice".
Riprende qui il tema dell'ineffabilit�: il poeta non pu� spiegare la sensazione scaturita da
quel canto, che rappresenta la felicit� della giovinezza.
→Quarta strofa: l'attenzione si sposta da Silvia al poeta, che unifica i due destini dal punto
di vista delle comuni aspettative del futuro. Qui ritorna il tema della natura come
ingannatrice, che non d� all'uomo ci� che promette.
→Quinta e sesta strofa: disillusione di Silvia e Leopardi, la cui giovinezza non � stata
impedita dalla morte, ma egualmente non ha portato a ci� che sperava.
Infatti "l'apparir del vero" ogni tipo di speranza.
→Sesta strofa: la poesia si conclude con l'identificazione di Silvia con la speranza: com'�
morta Silvia, allo stesso modo anche la speranza � destinata a morire. La morte di Silvia
rappresenta il distacco del mondo dalla natura e l'impossibile ritorno.

La quiete dopo la tempesta (1829)


Questa poesia insieme al "Sabato del villaggio" può essere considerato come caso unicum
nella produzione leopardiana: entrambe affrontano il tema del piacere e della felicità,
inserendolo in una rappresentazione popolare della vita di Recanati, in cui vengono
descritti paesaggi che nascondono insidie.
Il paesaggio non è qui descrittivo, fine a sè stesso, ma diventa funzionale all'
argomentazione filosofica.
Si parla della poesia come un dittico allusivo: attraverso la descrizione del paesaggio si
allude ad una serenità apparente, che è conseguenza del piacere e della felicità dell'uomo.
→Prima strofa: è incentrata sul paesaggio, Leopardi presenta infatti una scenografia dai
toni idillici, metafora di una vita e di un'età gioise.
Il poeta dipinge la felicità di tutti quelli che, finito il temporale, si dedicano alle proprie
attività, incuranti dell'angoscia dell'esistenza: l'artigiano si affaccia sull'uscio della bottega,
la ragazza raccoglie l'acqua caduta, gli animali si rasserenano e i campi e le acque si
illuminano.
La serenità del paesaggio viene resa anche a livello formale: periodi coordinati per
asindeto, rime e rimandi sonori ("tintinnio di sonagli").
→Seconda strofa: in questa strofa comincia l'argomentazione filosofica.
Questa si apre con una serie di domande retoriche, che fanno emergere Leopardi come
filosofo, che ricerca e si pone delle domande, a differenza dell'uomo comune che subisce
passivamente.
Il poeta si chiede in quali altri momenti l'uomo possa essere felice com' � felice dopo la
tempesta: viene enunciata la teoria del piacere, Leopardi infatti scrive che "Piacer figlio
d'affanno": il piacere non � altro che immediata conseguenza del dolore, � dunque una
gioia vana destinata a terminare, a causa della natura matrigna che genera solo affanni.
Vi � qui un riferimento al tema della morte: il dolore di cui il piacere � figlio ha "scosso"
anche chi voleva ricorrere al suicidio e gli provoc� il "pavento" della morte. (Negazione
della morte come atto di eroismo e titanismo).
→Terza strofa: il poeta si rivolge alla natura, definendola ironicamente gentile ("cortese"),
che dona agli uomini dolore "a larga mano", cio� di grande abbondanza, e di conseguenza
altrettanto abbondante sar� il piacere.
Questa � la triste sorte che gli dei, e quindi i "mostri", riservano gli auomini, che Leopardi
ancora con ironia chiama "umana prole cara agli eterni".
Nella conclusione del canto afferma che l'unica beatitudine della condizione umana, la vera
quiete dopo la tempesta � la morte, infatti anche il piacere stesso non � gioia, ma solo un
sollievo.

Il sabato del villaggio (1829)


Questa canzone e "La quiete della tempesta" sono due canzoni che affrontano lo stesso
problema nello stesso modo: si parte con la rappresentazione borgatara della città di
Recanati che nella parte di chiusa del canto (da v.31) dà la possibilità all'io poetante,
partendo da questa, di operare una riflessione filosofica.
Questa poesia è espressione di una maturità già evidente, in cui si rintraccia un sentimento
di accettazione del vero, di consapevolezza che non si rende però in modo patetico.
ANALISI
-Prima strofa vv. 1-15: all'inizio della canzone si individua il nucleo della donzelletta, che
rappresenta la fanciullezza e l'attesa, cioè il sabato della vita e della vecchierella, che
rappresenta il ricordo e la realizzazione, probabilmente deludente, dell'attesa.
Si procede con la prima descrizione della cittadina al calar del sole: quelle ore sono segnate
dalle campane che "squillano" annunciando l'arrivo del dì di festa, i fanciulli che giocano e
gridano nella piazza e il fischiettio di un contadino che torna a casa.
-Seconda strofa vv. 31-37: si individua qui il nucleo del falegname, che si affatica di
terminare il lavoro per godere del giorno di riposo.
Vi è un passaggio dall'esterno all'interno: dalla campagna, la casa della vecchia e i fanciulli
in piazza alla bottega del falegname.
-Terza strofa vv. 38-42: inizia qui la riflessione filosofica, che può apparire paradossale. Qui
Leopardi afferma la superiorità del sabato al giorno stesso della festa, affermando
implicitamente che il vero piacere si rintraccia nell'attesa del piacere stesso (=piacer figlio
d'affanno). Infatti mentre il sabato è "pien di speme e di gioia", la domenica porterà
"tristezza e noia".
-Quarta strofa vv.43-51: Leopardi immagina di rivolgersi un adolescente, a cui vorrebbe
anticipare l'inevitabile delusione della vita (scoperta del vero) e che vorrebbe invitare a
godere delle piacevoli attese dell'"età fiorita" (metafora del fiore, della giovinezza).

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