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un secolo dopo gli unni si affermarono gli avari, una popolazione asiatico mongolica sconfitta
da Carlo Magno. Si fecero strada anche i bulgari nel VII secolo e i turchi, i quali diedero vita a
un regno che durò a lungo. Le memorie dei Chou e la vita del pellegrino buddista Hsuan-tsang
attestano tra 629 e 645 il modo in cui vivevano i turchi. Si trasferivano da un punto all'altro in
cerca di acqua e pascoli e si occupavano di allevamento e caccia. la tenda del sovrano si apre ad
est perché da lì sorge il sole. I turchi muovevano costantemente da un pascolo all'altro in un
circuito annuale secondo il ritmo delle stagioni, ma le fonti cinesi introducono un nuovo
elemento caratteristico del sistema abitativo: la tenda di feltro, la yurta, con la sua tipica
apertura ad oriente e trasportabili sui carri. è un progresso tecnico dell'organizzazione della vita
del nomade pastore: il carro-abitazione diventa il carro-tenda laddove la stessa poteva venire
smontata, trasportata e ricostruita autonomamente.
Tra i nomadi eurasiatici, i Khazari diedero vita nel VII secolo ad un vasto dominio che durò
fino alla metà del X nella zona del basso Volga e del Mar Caspio. Le fonti musulmane parlano a
lungo di questo popolo di lingua turca, allevatore e agricoltore. In primavera fino all’autunno
vivevano nelle steppe riparandosi sotto le tende, ma in inverno si ritiravano in città dove
avevano costruito stabili abitazioni. A partire dal 652 la capitale del loro regno fu Itil sulle rive
del Volga, con quartieri separati per gli stranieri e divisioni tra zone residenziali e mercantili.
Era uno stile di vita che costituiva un preludio all’avanzamento e consolidamento di un
processo di sedentarizzazione definitivo.
Slavi, Ungari e Normanni.
A partire dal VII secolo fino all'XI fecero la loro comparsa nuovi barbari che venivano spesso
indicati come pagani, confondendoli con antichi popoli e allineando nel ricordo dei barbari
recenti con quello di altri antichi invasori, in quanto tutti ugualmente nemici della civiltà. Erano
però popoli diversi da quelli che avevano attuato le migrazioni del tardo impero. Saraceni, slavi,
ungari e Normanni.
Gli slavi avevano occupato la zona a sud dei Carpazi e a est del Dnepr, aperta a influenze
germaniche, gotiche e traciche. ricaddro sotto il controllo degli unni e poi sotto la spinta dei
Goti, che li avevano costretti a spostarsi. Sotto la guida degli avari nel VI secolo superarono il
Danubio e fecero incursioni nella penisola balcanica. Ai tempi di Carlo Magno si arrestò la loro
avanzata e gli avari furono sconfitti: il confine tra area germanica e area slava si andò fissando
in una linea tra Amburgo e Trieste. Gli slavi si divisero in occidentali, come polacchi e
slovacchi, slavi orientali come russi e ucraini e slavi meridionali come croati e macedoni.
Erano agricoltori, pastori e cacciatori, ma spesso attingevano alla pesca e la raccolta di frutti
spontanei; praticavano un'agricoltura parzialmente sedentaria e si caratterizzavano come
popolazioni nomadi o seminomadi. Procopio di Cesarea distingueva due formazioni di slavi, gli
occidentali e i sud-orientali. Dalla formazione dei primi stanziamenti si fecero strada
insediamenti più consistenti anche nelle regioni occidentali a pianta circolare, spesso con una
cinta fortificata. In alcuni casi membri della comunità si trasferivano tutti all'interno della cinta,
ma spesso lo facevano solo in caso di pericolo. Furono edificate cascine isolate per il
diffondersi della coltivazione individuale dei campi e per il progressivo abbandono dell'attività
produttiva comunitaria. Le tipologie costruttive che ebbero lunga vita furono nella zona delle
foreste le isba, nella zona delle steppe le chata e nella steppa boschiva le zemljanka.
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la prima era costruita con tronchi scortecciati, appena sgrassati incastrati gli uni sugli altri.
poteva appoggiarsi sul terreno o poteva essere sopraelevato su palafitte. Gli angoli, dove si
raccordavano le pareti e il tetto erano i punti da cui iniziava il deperimento della costruzione,
che poteva avvenire in tempi brevi. Erano abitazioni non fatte per durare nel tempo e venivano
spesso riparate o abbandonate in favore di nuove. La suddivisione interna prevedeva pochi vani,
uno dei quali riscaldato da un focolare o dal forno, originariamente di creta e poi di mattoni. il
fumo fuoriusciva attraverso uno sfogo sul tetto o la porta e in generale regnava l'oscurità.
La chata Era fatta di argilla, sassi e sabbia, di rami d'albero o canne intrecciate e poggiava
direttamente sul suolo, mentre la zemljanka era per metà interrata ed era generalmente di forma
rettangolare. Al di sopra della cavità si innalza un muro basso di tronchi e rami intonacati con
fango sul quale si posava un tetto a due spioventi ricoperto con terra. La casa interrata era molto
diffusa e raccolse sotto il suo tetto famiglie allargate.
Su oltre 140 abitazioni risalenti al VI secolo rinvenute in 12 località dell'attuale Ucraina, solo
due vantano una superficie rispettivamente di 25 e di 20 m². tre elementi particolari
caratterizzano l’edilizia di molte regioni: l'affumicatoio, il silos sotterraneo e la sauna. Gli
slavi avevano una salda igiene personale e prediligevano i bagni di vapore. I bagni riscaldati
erano sistemati dentro fosse. In seguito, furono costruite capsule con fessure otturate da
muschio. Gli slavi per immagazzinare i cereali avevano nel terreno dei silos sotterranei profondi
anche 3 m, a forma di pera o di borsa con il collo stretto. Le loro pareti in precedenza erano
seccate con il fuoco, poi ricoperte di paglia. Una volta posti cereali si chiudeva bene
l'imboccatura sigillava con l'argilla. Per conservare il pesce invece, in mancanza di sale, si
faceva essiccare al sole o lo si conservava per mezzo della cenere o lo si affumica va sul fuoco a
legna.
Il legno era la materia basilare per la costruzione delle abitazioni e dei complessi difensivi,
come i ponti. Era il materiale edile che meglio assolveva le esigenze richieste dalle condizioni
climatiche dell'Europa centrale. Le strutture erano conficcate nel terreno o interrate nelle zone
del sottofondo argilloso e compatto, ma in altri luoghi prevaleva l'edilizia fior di terra, dove si
gettavano fondamenta di travi. Era usata spesso la tecnica dei tronchi d'albero naturale,
sovrapposti orizzontalmente incastrato all’estraneità oppure si impostava un telaio di pali
riempito da un traliccio di salici. In entrambi i casi le pareti potevano essere intonacate con
l'argilla e i tetti potevano essere coperti con paglia, canne, tavole di legno o terra.
Per il riscaldamento e la cottura dei cibi il fuoco veniva acceso su focolari aperti. La luce
proveniva proprio dalla porta d'ingresso e spesso infatti veniva collocata a sud. L'oscurità
aleggiava spesso in queste abitazioni e gli oggetti di uso casalingo erano generalmente scarsi e
poco diversificati in assortimento: cucchiai di legno, vasi d’argilla e pochi coltelli di ferro.
Verso la fine del IX secolo, con la sconfitta avara e la stabilizzazione bulgara, fece la sua
comparsa una nuova popolazione, la popolazione dei Magiari o Ungari. Una stirpe di ceppo
ugro-finnico il cui nucleo originario, si mosse dalla Siberia occidentale verso la regione
compresa tra il tratto medio del Volga e le montagne degli Urali nel V secolo a.C. Intorno
all'VIII secolo gli ungari si diressero a sud in una zona boscosa della regione del Don, dove
vennero a contatto con i Kahzari. Scesero poi in Pannonia sospinti dall’etnia turca nomade dei
Peceneghi. Sconfitti dal sovrano germanico Ottone I nel 955, si stabilizzarono sul territorio, si
convertirono al cristianesimo e si organizzarono come un regno autonomo che rappresentò un
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baluardo rispetto alla minaccia dell’invasione di altre stirpi di cavalieri nomadi, fino
all’irrompere dei mongoli diversi secoli dopo. Gli ungari furono per molto tempo pastori
nomadi e la loro vita quotidiana presentava i tratti caratteristici di popoli nomadi della steppa.
Dopo la pressione dei Peceneghi, gli ungari si stabilirono nei territori della Pannonia e li vi
rimasero permanentemente. Cominciarono ad abbandonare gradualmente la tenda e le abitudini
della vita errante e cominciarono a costruire abitazioni permanenti, riunite in villaggi,
dedicandosi alla coltivazione dei campi e all'allevamento. La loro abilità di cavalieri venne
messa a frutto soprattutto nelle attività belliche di saccheggio e razzia rivolte verso i regni
occidentali, almeno fino al momento in cui anche le loro incursioni non cessarono. I
ritrovamenti archeologici sono alcune delle fonti più importanti di cui possiamo disporre per
questo popolo: sappiamo di una società stanziale intorno al X secolo, con villaggi all'interno dei
quali potevano coesistere tende e abitazioni fisse e che potevano essere delimitati da fossati. La
tipologia abitativa più diffusa per la maggioranza della popolazione era la casa monofamiliare,
per metà interrata, di forma rettangolare o quadrata, con gli angoli smussati e di modesta
dimensione. I muri erano di graticcio, mentre il tetto era perlopiù coperto con canne o paglia.
Consisteva in un solo locale, con il pavimento di terra battuta o ricoperto di legno o pietre. La
porta d'ingresso era rivolta verso sud o est per favorire la penetrazione della luce e dal terreno al
pavimento interrato si scendeva attraverso una rampa dolce. Il focolare in pietra argilla era
rinforzato con frammenti di vasellame, sassi e ossi di animali ed era posto di fronte a fianco
dell'entrata. Poteva essere scavato nel pavimento e ricavato della parità naturale interrata
dell’abitazione e il fumo fuoriusciva dalla porta e dalle fessure del tetto. all'esterno poteva
esserci un forno utilizzato per cuocere o seccare gli alimenti, silos interrati che servivano per
immagazzinare i cereali, un pozzo scavato nell’argilla o con rivestimento in legno. Alcuni usi
sono molto simili a quelli delle popolazioni slave. Dentro l'abitazione, per contenere le poche
suppellettili, si ricavavano delle nicchie dalla parete interrata, dove si scavavano sedili. Il letto è
costituito da poveri pagliericci. Il vasellame era in legno e ceramica ed è documentata una
buona produzione in ceramica di pentole, ciotole, piatti e lucerne, che presentavano
caratteristiche tipologiche autoctone e senza ascendenze orientali. L' attività metallurgica era
fitta e si fondava sulla disponibilità di materiale e su tecniche consolidate da lunghissimo
tempo. Intorno al 1968 la ricerca archeologica riportò alla luce la struttura insediativa nota
come il fortino di terra. L’opinione comune è che servissero come centri di potere: luoghi di
rifugio, di residenza dei capi delle province, o centri della vita ecclesiastica. Questi fortini
potevano sorgere su una vasta superficie e avere il terrapieno che lo cingeva, rinforzato da una
struttura di legno tramezzata. A volte, per rafforzare la capacità difensiva di questi terrapieni,
venivano costruite palizzate di legno, che si presentavano molto simili agli apprestamenti
difensivi che all'inizio del medioevo furono costruiti nei regni occidentali.
A partire dall’VIII secolo emerse fonti di nuove genti provenienti dalla Scandinavia. Le
popolazioni che formavano il nord estremo del continente europeo non formavano né un
semplice pulviscolo di tribù, né una nazione unica. vi erano danesi, I Gotar, gli svedesi e i
norvegesi. Spesso questi venivano indicati dalle fonti latine come uomini del nord, ma anche
come vichinghi. L'espansione scandinava tra IX e XI secolo è articolata in una molteplicità di
imprese dai caratteri diversi: si mosse secondo linee di tendenza ben precise: i norvegesi
andarono a occidente, verso la Scozia, Irlanda e le coste della Francia settentrionale, i danesi
andarono verso sud nella zona dell’Inghilterra, gli svedesi verso il Baltico e risalendo i fiumi, si
spinsero verso le pianure russe fino al Mar Caspio e al Bosforo. Cacciavano e razziavano,
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talvolta creando nuovi stanziamenti permanenti e premendo sulle civiltà meridionali
consolidando però la loro sovranità. Si adattarono sempre di più ad un tipo di vita più sedentaria
e regolare.
I Normanni erano contadini, artigiani, mercanti non meno che guerrieri. In patria erano
soprattutto agricoltori: gli uomini liberi, che avevano il diritto di portare le armi e di fare ricorso
alla giustizia, coltivavano la loro terra servendosi dell'aiuto degli schiavi. artigiani, fabbri e
carpentieri godevano di grande considerazione anche nella costruzione delle navi che
permetteva agli avventurosi di solcare i mari. Crearono una serie di mercati fortificati nella zona
del Baltico e nelle coste scandinave, dove vendevano e acquistavano mercanzia che poi
venivano smerciate capillarmente sui piccoli mercati locali e che servivano come luoghi di
rifornimento. Tra i luoghi più importanti emerse Birka sul lago Malaren, un centro difeso da
una cinta muraria lignea con torri e sei porte e con case sempre di legno, con tre porti e sede
dell'assemblea degli uomini liberi, di un rappresentante del re e difesa da una guarnigione
militare. Un secolo dopo (X) sorse Hedeby, che conobbe il momento più prospero sotto un re
svedese ma fu distrutta dal sanguinario re norvegese Aroldo lo Spietato. Il tessuto insediativo in
un mondo di ampi spazi forestali era costituito da piccoli borghi in Svezia e Danimarca e da
fattorie isolate in Norvegia e Islanda. Le comunità erano costituite da quello che è il nucleo più
saldo della società vichinga, la famiglia. Una famiglia allargata unita da forti legami di
solidarietà che tendeva anche ad abitare sotto lo stesso tetto. La tipologia costruttiva della
Hallenhaus di cui sono state ritrovate molte tracce archeologiche era costituita da un unico
ampio locale che poteva anche essere lungo 12 m e preceduta a volte da un modesto ingresso. la
struttura di base poteva essere allargata con l'inserimento di corpi secondari. Le pareti
longitudinali tendevano a incurvarsi leggermente a ricordare una nave capovolta ed erano
costruite da tronchi assi di legno e gli interstizi riempiti da un amalgama di argilla e paglia. Il
tetto è ricoperto da tavole di legno, paglia e da zolle erbose. Le aperture erano ridotte al minimo
per il freddo e la luce penetrava soprattutto attraverso l'ingresso e l'interno era riscaldato dalla
luce vacillante del fuoco. Lo spazio interno all'abitazione era destinato ad accogliere per lunghi
mesi e interminabili serate uomini e donne ed era arredato semplicemente. Lungo le pareti
laterali vi erano banchi di terra delimitati da assi di legno che servivano come sedili e tavole,
qualche cassone legno, i letti erano mobili e venivano sistemati solo alla sera e solo il
capofamiglia con la moglie beneficiava di una sorta di alcova, mentre tutta la famiglia dormiva
promiscuamente sui giacigli nella stanza comune. Al centro vi era il focolare che offriva luce e
riscaldamento; era internato delimitato da pietre. vi poteva essere un secondo focolare per il
cibo e la cucina poteva essere costituita da un edificio a sé stante, separato dal corpo principale.
Le stoviglie erano di legno o di metallo e la preparazione degli alimenti avveniva tramite
essiccazione o affumicatura. Le donne tessevano, di uomini costruivano attrezzi e suppellettili e
spesso anche la casa stessa. Si lavorava spesso l'osso e il metallo.
Villaggi e fattorie isolate in un mondo di foreste che costituivano il luogo in cui venivano
venerati idee prima della conversione al cristianesimo. Gli uomini compivano i loro atti religiosi
e collettivi all'aperto sotto le chiome degli alberi, vicino alla sorgente. Il legno domina ancora la
tradizione costruttiva fino ai giorni nostri.
CAPITOLO II. NELLE CAMPAGNE MEDIEVALI: LA CASA CONTADINA.
Le campagne tra tardo-antico e alto Medioevo.
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Fra il I e il II secolo i ceti dirigenti della società romana possedevano vaste proprietà fondiarie,
a volte distribuite in diverse regioni. Erano latifondi che disciplinavano masse rurali di schiavi e
di piccoli coltivatori liberi. Il fondo conviveva con la piccola proprietà, pur avendo, il primo, un
carattere dominante, anche dal punto di vista dell'organizzazione dell’habitat. La villa rustica
aveva un bel paesaggio, ma continuava ad essere punteggiata da piccoli fondi di qualche iugero,
privi di reale forza economica, ma funzionali al sistema produttivo latifondistico, che avevano
come punto di riferimento politico e amministrativo il villaggio. I principi organizzativi delle
grandi ville, dal punto di vista costruttivo, ispiravano anche le realtà minori. gli scavi
archeologici di un’abitazione rurale di medio livello nel Galles meridionale hanno messo in luce
la struttura, formata da quattro o 5 stanze raccolte attorno ad un corridoio centrale, circondata
da servizi, edifici per la manodopera e dotata di un piccolo ma completo stabilimento di bagni.
All'inizio del IV secolo fu protetta da un terrapieno, da un recinto e da un fossato.
La crisi che investì il sistema economico dell'impero tra il II e il IV secolo cominciò a
manifestarsi come crisi agricola e dell'organizzazione produttiva. Il modello di proprietà a
conduzione schiavistica andò lentamente in degrado, a causa dell'abbandono delle terre. Le
grandi aziende sopravvissero e si mantennero, dandosi nuove strutture produttive e costituirono
nella decadenza, dei pubblici poteri e nuove forti strutture di aggregazione di fronte agli assalti
dei barbari. Le grandi aziende agri di quei secoli erano formate con un'incorporazione delle
terre dei piccoli proprietari al nucleo originario e spesso godevano di una condizione di
immunità fiscale ed erano gestite secondo un sistema di conduzione mista. Questo sistema si
fece strada soprattutto con la crisi del sistema schiavistico. Alla gestione diretta si affiancò
quella indiretta, attraverso la lottizzazione di parte della proprietà in poderi affidati a un
colonato contadino costituito da schiavi affrancati e accasati e liberi coltivatori. Le case isolate
o raccolti in villaggi dei coltivatori erano contrapposti i centri direttivi delle grandi ville, spesso
fortificati e difesi da corpi di guardia. Ne sono registrate diverse centinaia nei territori
dell'Europa centro meridionale.
Tra V e X secolo, la campagna divenne sempre più luogo primario di organizzazione della vita
economica e sociale, oltre che della vita politica e religiosa. L' incontro e lo scontro tra i barbari
e l'aristocrazia militare senatoria diede esiti differenti. In Gallia si fermò abbastanza presto una
nuova aristocrazia mista e la continuità dei gruppi sociali dominanti favorirono la
sopravvivenza delle grandi proprietà. il sistema curtense altomedievale, che aveva il suo fulcro
nell’introduzione capillare delle corvees, poté così innestarsi sulla base materiale, quella della
villa, che aveva costituito un fulcro nel processo di agglomerazione degli insediamenti del tardo
impero. In Italia, l'invasione longobarda provocò una frattura con il passato. Nuovi ceti dirigenti
si affermarono e nuovi modi di gestione fondiaria si diffusero, legata alla decimazione degli
antichi grandi e medi proprietari, sostituiti da nuovi e alla capillare diffusione della piccola
proprietà contadina individuale collettiva. Il processo di espansione della grande proprietà
Fondiaria si accompagnò solo in seguito alla conquista Franca del Regno longobardo, alla
formazione del sistema curtense come forma gestionale più diffusa delle aziende rurali.
Quest'ultimo fu ben radicato e solo lentamente cedette il passo a nuove forme di conduzione
della terra.
La casa contadina: le tipologie.
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La dimora contadina è il fulcro funzionale di un'azienda agraria e costituisce la sintesi, sul piano
insediativo, delle attività che si svolgono al suo interno. Corrisponde a un determinato sistema
di conduzione della terra, a una particolare situazione dell'economia e al livello raggiunto dalle
tecniche agrarie. È difficile quindi trovare delle tipologie precise. le varianti potevano dipendere
da numerosi fattori, come la condizione sociale degli abitanti, le differenti attività economico
produttive, le modalità diverse di conduzione della stessa e di fruizione dell’abitazione. È
possibile individuare alcune tipologie prevalenti nelle campagne medievali europee, alcune
delle quali sono sopravvissute per secoli oltrepassando i confini cronologici del medioevo.
Una di queste è la cosiddetta casa a corte, aperta o chiusa. Caratterizzò tutto il periodo
medievale e si presentava con uno schema analogo sia per le case isolate sui campi che
raggruppati in villaggi, sia per d'abitazione di coltivatori dipendenti che per quelle di piccoli
medi proprietari e anche per le residenze signorili. La cosa che cambiava era l'estensione
complessiva, l'articolazione sul piano dei servizi e alla disponibilità di uno spazio di vita alla
vita privata più ampio e attrezzato. L'abitazione era circondata da numerosi rustici e servizi,
edifici separati che fungevano da forno, cucina, cantina, locale per la vinificazione, magazzino,
stalla, granaio o tettoia. Una Corte centrale, in cui era ritagliato lo spazio per l'aia ne costituiva
l'elemento di raccordo. Ci poteva essere il pozzo e vi erano orti, per la produzione di prodotti
fruibili immediatamente. Questi elementi erano percepiti come una realtà unitaria ed erano
spesso racchiusi in una recinzione naturale o artificiale. Il punto di riferimento della famiglia fu
il focolare domestico ed era “cosparso” da un’aura di sacralità.
Nel 1984 furono fatti degli scavi Lombardia, sul fiume Oglio e furono riportati alla luce edifici
che componevano un insediamento altomedievale in legno, con copertura di paglia e le strutture
adibite a dimora di forma rettangolare con pareti che poggiavano su travi orizzontali collocate
direttamente sul terreno in piccole cavità scavate. Verso la fine del medioevo si diffuse la
cascina a Corte mono aziendale, isolata sui campi, in tutto il territorio della Bassa lombarda.
Nel 1951 furono individuate in Germania, centinaia di costruzioni caratterizzate da questo
modello abitativo, diviso in unità agricole separate, ognuna delle quali costituita dalla
combinazione di circa 15 strutture raccolto intorno ad un'unica dimora. Questo è proprio lo
schema a Corte caratterizzato dalla frammentazione degli elementi insediativi, la divisione dello
spazio domestico, del lavoro, dell'allevamento e del deposito. Le più grandi costruzioni
potevano avere una pianta rettangolare o a forma di barca. i pali principali di sostegno della
struttura erano quattro nel primo caso e tre nel secondo, mentre le pareti erano sostenute da altri
pali perimetrali rinforzati da contrafforti: generalmente vi era un solo focolare. Intorno a questi
insediamenti vi erano recinti di pietra di circa 50 cm di lato che delimitavano le unità agricole,
di tre tipi di costruzioni: case di abitazione, edificio adibito alla cottura dei cibi, magazzini per
conservare le riserve cerealicole. le dimore erano suddivise in due locali, il più grande dei quali
aveva un focolare per il riscaldamento e serviva da sala comune, Mentre l'altro era utilizzato
come camera.
Nel 1979 la Francia condusse degli scavi sulla riva sinistra della Senna che portarono alla luce
insediamenti di un villaggio del X secolo, di forma allungata e costituito da almeno 8 unità
agricole. Ognuna di esse era composta da una costruzione a livello del suolo, da capanne
infossate, da silos scavati nel terreno, magazzini, granai su piloni e a volte anche un forno. Gli
edifici a livello del suolo dovevano essere la dimora vera e propria: erano quadrangolari
avevano una superficie di circa 80 m quadri. le pareti erano costituite da un'armatura di pali di
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legno verticali riempita secondo una tecnica mista. i tetti a due spioventi erano ricoperti di
paglia o di giunchi. Le capanne infossate, prive di focolari, dovevano fungere da servizi
accessori, edifici destinati a una qualche attività artigianale. Erano di forma ovale o rettangolare
e nel mezzo dei due lati corti presentavano un pilone che, insieme alla trave centrale che li
univa, reggeva i due spioventi del tetto di paglia che poggiavano sul suolo. Il villaggio
comprendeva anche un cimitero e un edificio di culto.
nel XIV secolo il tipo di casa a Corte costituiva ancora un modello della vita quotidiana dei
villaggi dell’Europa centrale. Anche in Inghilterra nel 1973, nello Staffordshire furono trovati i
resti di un villaggio del decimo secolo. uno di questi insediamenti aveva una cinta di chiusura di
circa 2500 m quadri all'interno della quale si entrava solo con un portone. Gli scavi effettuati
invece nel Wiltshire hanno permesso di evidenziare quattro fasi costruttive diverse delle
abitazioni che componevano il villaggio, a segnare il passaggio da una struttura elementare, un
edificio a dimora e stalla, fino ad un nucleo articolato recintato costituito da un’abitazione
attorno a una Corte quadrangolare.
La coabitazione di uomini e animali era prevista all’interno di una tipologia costruttiva
diffusamente attestata durante il medioevo, come realtà abitativa elementare a sé stante o come
struttura organizzativa della dimora all'interno di una casa corte. si tratta della longa domus o
longhouse tradotta in casa lunga o casa mista, che accoglieva sotto il medesimo tetto, e secondo
soluzioni diverse, le persone e il bestiame. Potevano esserci uno o due ingressi, distinti tra
uomini e animali di regola divisori che isolavano gli uni degli altri o un unico ambiente
indiviso, come pure più vani nel settore riservato agli uomini in un’unica stanza con focolare.
Questa tipologia di casa è documentata più nella zona insulare e continentale del nord Europa
per le diverse condizioni climatiche produttive. Furono fatti degli scavi in Germania che
attestarono un abitato situato su un rialzo artificiale del terreno come protezione delle acque e
costituito da unità agricole chiuse, posizionate lungo viottoli che si irraggiavano dal centro del
rialzo, all'interno delle quali vi erano due elementi, la casa lunga e un granaio, mentre nella
restante parte c'erano altre strutture. Le case erano rettangolari e lunghe, ma erano divise in due
parti da una leggera travatura lignea: la parte più grande per gli animali, quella più piccola tra
gli uomini, con al centro il focolare. La porta d'ingresso poteva essere una sola, posta sul lato
corto dell’abitazione, dalla parte adibita a stalla o sul lungo lato, al punto della divisione in due
della struttura, oppure potevano essere due, poste negli stessi punti sopraindicati. Le abitazioni
diminuirono di superficie nel corso dei secoli e si restrinse al loro interno la parte per gli
animali, cedendo il passo a edifici a fianco della casa adibita ad attività artigianali o ad altri usi.
Gli scavi condotti nello Yorkshire a partire dal 1950 attestano villaggi strutturati secondo questo
modello abitativo, abbandonato definitivamente nel 1510 per lasciare spazio ai pascoli. Le
abitazioni sorgevano all'interno di un recinto, le cui dimensioni muto nel corso del tempo punto
il recinto richiedeva sempre al suo interno un giardino, un frutteto o un orto e le case erano
divise anche qui in due parti: una per gli animali, più bassa di quella per gli uomini. L'ingresso
era posto al centro dei due lati maggiori e le più antiche erano costruite in legno, le altre in
pietra locale, il gesso di solito, o con pannelli di legno poggianti su uno zoccolo di pietra. Il
tetto ricoperto da canne o paglia.
La struttura della casa lunga unitaria è tipica dell’Inghilterra nella seconda metà del XIII secolo,
dove l'allevamento aveva un ruolo importante nell'economia. In questo tipo di abitazione, che
poteva misurare anche 30 m di lunghezza, la parte riservata agli uomini era poco più di 1/3
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dell'intera struttura, occupata in gran parte dagli animali da lavoro e anche da una parte degli
ovini allevati. in esse vivevano le famiglie contadine più prospere ed era quasi sempre situata
dentro lotti abitativi che includevano il cortile e l'orto. Le costruzioni erano prevalentemente in
legno di quercia o di Olmo mentre nella zona delle Costwold Hills predominava la pietra locale,
facile da tagliare lavorare e consolidata con l'argilla. In entrambi i casi i tetti erano di paglia su
un'armatura lignea mentre le lastre di ardesia di cui si era iniziata la fabbricazione venivano
impiegate per le residenze signorili.
All'abitazione a Corte si contrappone quella definita casa a struttura unitaria o elementare: a
un complesso di edifici separati rispondenti a diverse esigenze si contrappone un unico edificio
costituito da un vano multiuso o partito al suo interno. Era possibile quindi ritagliare uno spazio
per il bestiame solo in caso di una casa lunga. Se andiamo verso rientri sembra che la casa
Elementare abbia caratterizzato anche gli insediamenti rurali nei territori bizantini.
nella zona rurale di Bisanzio le campagne erano popolate intorno al villaggio in cui si
intrecciavano legami di parentela e di vicinanza. era un’unità amministrative fiscale e poteva
configurarsi come un centro tendente all'accentramento o sparpagliato, con i Casali contadini
dislocati e lontani dal centro strutturale dell’insediamento. La sua popolazione era diseguale
socialmente e questo si rifletteva sul livello qualitativo delle abitazioni. Le case rurali avevano
solitamente una pianta rettangolare o irregolare, con una o tre stanze, una delle quali dotata di
focolare in cui si bruciava legna o in certe aree dell'Asia minore, una miscela di sterco e paglia.
Nel caso di edifici con più vani uno veniva dedicato al focolare, un altro alla conservazione
delle scorte cerealicole immagazzinate in pithoi, grandi recipienti di terracotta o in goubai,
pozzi scavati nel terreno, mentre le scorte del vino erano contenut in grandi recipienti di nome
pitharia. quando l'abitazione si sviluppava verso l'alto, al piano superiore vi era la dimora della
famiglia, dotata di pochi arredi e suppellettili, mentre quello inferiore c'erano i servizi. I territori
bizantini erano diversi tra loro ma con caratteri comuni, come la prevalenza di un terreno
roccioso e la penuria d'acqua. Si impiegavano pietre e mattoni e meno spesso in legno. Questo
anche per le estati calde.
Ritornando nell’Europa occidentale, in particolare nella provincia di Siena, sono state rinvenute
strutture tipo capanna che dovevano costituire una parte di un villaggio altomedievale. È una
struttura unitaria elementare, di modeste dimensioni, a forma quadrata, rettangolare e circolare,
dotata a volte di un focolare aperto e costituita in legno con intonaco in argilla e tetto di paglia.
Una di esse presenta maggiori dimensioni e la suddivisione secondo tre ambienti: una zona
domestica, una zona magazzino e una ad uso misto. Nel Suffolk, in Inghilterra, fu trovato un
villaggio risalente al V-VII secolo, riportato alla luce tra gli anni 60 e gli anni 70 del XX secolo,
la cui semplicità d'impianto e rapidità dei tempi di esecuzione rispondeva alle esigenze di un
popolamento che non si è ancora stabilizzato definitivamente. Gli edifici richiamano molto
quelli della zona senese ed erano rettangolari di media taglia a un unico ambiente, costruito
interamente in legno con il tetto di paglia e a volte dotati di un pavimento fatto di tavole di
legno. L'insediamento aveva anche edifici minori che fungevano da abitazione e potevano
ospitare attività artigianali.
La divisione in due vani della casa elementare costituì il modello prevalente durante il XIV
secolo nei villaggi della Borgogna. I resti di alcune abitazioni testimoniano le differenti fasi di
frequentazione, fino alla sua distruzione in un incendio verso il 1360. Erano fabbricati in grosse
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pietre grazie tenuti insieme dall’argilla, di forma quadrata e con superfici abitative di circa 90
m², all'inizio destinati ad un'unica famiglia ed erano suddivisi in due stanze, ognuna con una
porta, e alcune erano dotate di un soppalco sopraelevato che fungeva da granaio. Il tetto era di
lastre di calcare e all'inizio furono ricavate due abitazioni distinte per far posto a un maggior
numero di abitanti.
Viene proposta una diversa tipologia costruttiva, quella della casa con piano superiore
sviluppata verso l'alto. La sopraelevazione poteva riguardare le abitazioni a struttura unitaria o
le abitazioni a Corte. Fu una tipologia che si affermò lentamente nelle campagne europee
perché a lungo perdurò la tradizione costruttiva che voleva gli edifici rurali sviluppati a
pianterreno. Questo perché per la maggior semplicità architettonica delle casae terrenae, la cui
edificazione era resa possibile da conoscenze tecniche diffuse tra la popolazione rurale e
consolidate da una lunga tradizione. Inoltre, per il costo economico maggiore delle case
solariatae in termini di materiali e di manodopera. In terzo luogo, perché la casa a sviluppo
verticale costituì a lungo modello architettonico cittadino o di centri insediati accentrati di una
qualche consistenza, all'interno dei quali problemi di organizzazione dello spazio erano più
pressanti. Non a caso essa si diffuse nelle aree rurali dapprima dove il processo di rinascita della
vita cittadina si sviluppò più precocemente e dove i centri urbani instaurarono presto lo stretto
rapporto con i loro contadi. In particolare, quindi, nell’Italia centro settentrionale. La diffusione
di queste abitazioni in Francia e segnalata nel XIV secolo, mentre per Germania Inghilterra
all'inizio dell'età moderna.
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La conoscenza del mondo extra europeo derivava dall’osservazione conferita dalla realtà e da
apporti culturali diversi, ma anche da un'immagine fantastica di quel mondo che era stata creata
dal mito e dalla tradizione letteraria. Con l'ampliarsi delle conoscenze geografiche, si
ampliarono gli orizzonti percorsi. Molti viaggiatori da tutto il mondo scrivevano e pubblicavano
i loro resoconti e questo portò sempre più persone a spingersi sempre più lontano. Quello che
non si conosceva poteva facilmente sfociare nell’immaginario fantastico, a causa dell'incapacità
di comprendere esperienze del tutto dissimili dalla propria quotidianità. Molti territori asiatici e
africani rimasero ignoti agli europei fino alla fine del periodo medievale, anche se con il
continente asiatico i rapporti furono più stretti a partire dal XIII secolo. L'incapacità di
comprendere fino in fondo realtà diverse fece in modo che realtà e fantasia si mescolassero
creando un mondo lontano distorto dalla realtà. Le caratteristiche del paesaggio visitato erano
sicuramente le prime cose che colpivano i viaggiatori in un continente extra europeo, seguito
dalle organizzazioni delle varie popolazioni e dei loro insediamenti. L'osservazione naturalistica
era sempre vicina all'osservazione antropologica. Quello che colpiva maggiormente i
viaggiatori europei era insediamento spesso nomade di alcune popolazioni. Non avere una sede
fissa o un'abitazione dentro una città era qualcosa che non si poteva concepire. La tenda, in tutte
le sue variabili, rappresentava la sintesi dei modi di vita completamente dissimili dai propri,
influenzando l'organizzazione dei più diversi aspetti della vita quotidiana. La tenda
rappresentava la mancanza di un punto di riferimento sicuro per la propria identità e questo era
avvertito con forza dei viaggiatori lontani da casa. L'idea dei viaggiatori europei era quella ti
compiere una vera e propria missione.
L’Asia centrale e settentrionale.
A partire dal XIII secolo soprattutto, l'orizzonte asiatico si ampliò a causa delle invasioni
mongole e della formazione dell'impero di Gengis Khan che si estese dal Mar Nero fino al Mar
del Giappone. Egli ebbe il merito di unire le tribù nomadi della steppa mongolica e avviare una
vasta opera di conquista nei confronti dell'impero cinese, diviso al suo interno in tre stati ostili
fra loro. egli unificò turchi e mongoli accomunati dalla stessa struttura economica e sociale.
Infatti, la struttura sociale dell'impero era aristocratica e fondata sui clan, mentre l'economia si
basava sul possesso del bestiame e sull'ampiezza dei diritti di pascolo. Ata-Malik Juvaini,
persiano del XIII secolo, descrive con dovizia di particolari il funzionamento dell'impero
mongolo. L'espansione mongola provocò enormi danni alle grandi civiltà agrarie, come quella
cinese, a causa dei loro metodi di guerra fondati sulle stragi e prevedendo la devastazione di
campi e dei sistemi di irrigazione. Il rapporto con queste popolazioni sedentarie sottomesse
portò il successore di Gengis Kahn, il figlio Ogodei (1229-41) a porsi il problema di
un’organizzazione amministrativa e senti la necessità di creare una capitale. E questa fu
Qaraqorum al centro della Mongolia. Intorno al 1223 vi furono incursioni mongole verso le
pianure russe e l'occidente, ma la vera invasione dell’Europa cominciò nel 1236, arrivando fino
ai confini del Friuli e in Dalmazia. Con la morte del sovrano e i problemi nell’elezione del
successore, l'impero mongolo perse potere.
Le invasioni mongole destarono nell'occidente grande scalpore e paura, anche per la narrazione
della presenza di esseri mitologici e dei domini del leggendario Prete Gianni. I primi che si
spinsero ad Oriente furono i domenicani ungheresi: nel 1235 frate Giuliano d'Ungheria si
addentrò nella pianura russa e raccolse notizie su quelli che chiamò con il nome di tartari. Nel
1245 Papa Innocenzo IV decise di inviare i suoi ambasciatori ai mongoli per capire le loro
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intenzioni in vista di una possibile alleanza militare contro i musulmani. Domenicani e
francescani attuarono le prime ma importanti opere di proselitismo cattolico e molti di questi
ambasciatori ci hanno lasciato i loro resoconti. L'importanza maggiore la rivestono due
francescani, Giovanni di Pian di Carpine e Guglielmo di Rubruck. Il primo era ministro
provinciale in Germania, Spagna, Sassonia e attento organizzatore di attività missionarie. Aveva
già avuto esperienze in campo diplomatico e aveva relazionato il suo viaggio nella Historia
mongalorum. Il secondo invece aveva accompagnato Luigi IX nella crociata, spinto dal sovrano
francese a stabilire rapporti e apprendere informazioni. anche lui aveva avuto diverse esperienze
in campo mongolo e scrisse il suo resoconto in una relazione nel 1255. Il Khan Mongke (1251-
59) lanciò l'ultima offensiva verso occidente spingendosi in Polonia e venne fermato dalla
controffensiva dei mamelucchi d'Egitto nel 1260. Il suo successore Qubilai (1260-94) spostò la
capitale in Cina. La Mongolia cessò di essere il cuore dell'impero e fu costruita una nuova
capitale, l'odierna Pechino. Questo paese, il Catai, cominciò a divenire meta dei mercanti
europei, veneziani e genovesi attraverso la via della seta o la via dell’Oceano indiano: tra di loro
sono importanti i veneziani Nicolò, Matteo e Marco Polo tra il 1260- 95.
Dopo i primi ecclesiastici e i mercanti, moltissimi missionari rimasero per lungo tempo in
questi paesi asiatici, come Giovanni da Montecorvino e frate Odorico da Pordenone, il quale
si recò in Cina percorrendo l'Oceano indiano in un viaggio durato 12 anni. Nella relazione di
Odorico, la narrazione si amplia con il racconto di usi e costumi di altri paesi dell'oriente, come
le isole dell’Oceano indiano e la stessa India, fino ad arrivare all'influenza che aveva esercitato
il Catai. Anche Marco Polo aveva parlato delle diverse tappe del suo viaggio a Rustichello da
Pisa nel suo libro. Nel corso del XIV secolo il quadro asiatico si ampliò, e i canali con il regno
mongolo si conclusero con la sua caduta nel 1368.
Un popolo di nomadi.
Il primo capitolo della Historia mongalorum di Giovanni di Pian di Carpine si apre con la
descrizione del territorio abitato dai tartari e subito viene evidenziata l'estraneità dello scrittore
nei confronti di un paesaggio presentato come ostile alla vita umana, crudo e dal clima
variabile. Egli fa riferimento al fatto che il territorio impediva in larga parte l'agricoltura e che
quindi era l'allevamento l'unica attività permessa. Il riferimento agli accampamenti mobili, in
cui le persone vivevano dentro le tende. Il modello di tenda utilizzato fino ad oggi è la yurta. I
più ricchi venivano spesso sepolti insieme a una delle loro tende, con un recipiente pieno di
cibo e una tazza di latte di cavalla e venivano tumulati con lui una cavalla con il puledro in
modo che nell'aldilà avesse tutto quello necessario per vivere. I mongoli avevano elaborato una
struttura abitativa funzionale alla vita nomade che sfruttava materiali da costruzione quanto la
natura circostante poteva offrire. Le tende dei principi mongoli, delle loro mogli e
dell’imperatore si distinguevano dalle altre, ma non tanto per la struttura di base, Quanto per la
loro ampiezza e la ricchezza di stoffe di copertura. Le tre tende dell'imperatore erano
rispettivamente: la prima fatta di stoffa bianca con intorno una palizzata di legno dipinta, due
porte principali; la seconda era posta su colonne ricoperte da lamine d'oro e fissate ad altri legno
con chiodi d'oro. nella parte superiore e dentro le pareti vi era un baldacchino, mentre l'esterno
era di panno. La terza fatta di panno rosso.
La prima era il luogo delle lezioni dell'imperatore, la seconda quello della cerimonia di
insediamento e la terza delle udienze. Le tre tende erano molto grandi e spaziose, quelle delle
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mogli erano di feltro bianco. I tartari erano poligami e ognuna delle mogli aveva una propria
tenda con i propri servi. Proprio per la vita nomade e la semplicità dello stile di vita, gli
arredamenti interni erano ridotti al minimo: panche, giacigli, casse o nel caso dei più poveri,
sacche di cuoio. Al centro della tenda era posto il focolare il cui fumo usciva dal tetto ed era
alimentato con sterco di buoi e cavalli. Giovanni sottolinea la scarsità di legno in questi territori,
tanto utilizzato invece nel suo continente. i mongoli non apparecchiavano una mensa quando
mangiavano, ma si accosciavano davanti al fuoco e non usavano tovaglie o tovaglioli, si
pulivano sui gambali o sull'erba. Non lavavano le stoviglie se non con il brodo delle carni che vi
avevano cotto dentro. Dentro le tende erano presenti i numi tutelari, i grandi comandanti hanno
sempre con loro un’immagine caprina detta Hyrcum. collocavano all'esterno davanti alla porta
di casa altri idoli fatti di stoffa di seta su di un carro ornato e coperto. Questi avevano funzione
propiziatoria e di protezione dello spazio rappresentato dalla tenda, simbolo della comunità
familiare. Se qualcuno pestava la soglia della tenda di un capo veniva punito con la pena
capitale, in quanto il gesto è considerato alla stregua di un insulto e di segno di disprezzo verso
il capo clan. Se qualcuno profanava la tenda era imposta la purificazione, che prevedeva il
passaggio della tenda tra due fuochi.
Anche Guglielmo di Rubruk riporta nella sua opera il divieto di toccare la soglia dell'abitazione
dei potenti. Il frate francescano Brtolomeo da Cremona inciampò accidentalmente nella soglia
della tenda imperiale e si salvò dalla morte soltanto perché straniero, ma fu bandito per sempre
di fronte al sovrano. Guglielmo, a differenza di Giovanni, si dimostrò molto più incline ad una
testimonianza ricca basata sull’osservazione etnologica. Le descrizioni di Guglielmo sono più
dettagliate e più precise di quelle di Giovanni. Nella divisione dei compiti sull'organizzazione
della vita quotidiana tra uomini e donne, erano queste ultime che dovevano occuparsi di
produrre i panni di feltro per la copertura delle case, oltre a guidare i carri, scaricare le casse
dagli stessi, mungere le vacche, lavorare il latte e conciare le pelli. Gli uomini dovevano
costruire case e carri e dovevano fabbricare le armi, mungere le cavalle, custodire i cavalli e
occuparsi di otri e cammelli. I bovini erano lasciati alla gestione femminile, gli equini a quella
maschile, oltre ai cammelli, mentre degli ovini e dei caprini si occupavano tutti. Le tende di
lusso dei principi e dell’imperatore dovevano essere costruite da artigiani specializzati,
particolarmente apprezzati per la loro creatività artistica. Quando si trasferivano da un luogo
all'altro, le corti erano precedute da indovini che sceglievano il posto in cui fissare il campo.
L'aspetto finale dell’insediamento appariva agli occhi occidentali come grandi città abitate da
un numero molto limitato di persone. All'interno della tenda lo spazio organizzato in ordine
gerarchico: partendo da nord le persone si disponeva nei rispettivi settori secondo il loro sesso e
secondo un ordine gerarchico decrescente. Il nord era la zona di massimo onore, la sede del
Signore, della signora e delle divinità. il sud, dove c'era la porta, rappresentava il luogo in cui
sorgeva il fuoco celeste, il sole, iniziando a svolgere la sua azione purificatrice. Il tetto
rappresentava il cielo e l'apertura al suo culmine permetteva la luce del sole di penetrare dentro
e faceva defluire all'esterno il fuoco acceso all'interno della tenda. Gli utensili venivano
contenuti in casse quadrangolari che venivano ricoperte di stoffa nera imbevuta di grasso o di
latte di pecora. Un arredo essenziale era il letto, con materassi coperte, dove si stava sdraiati per
dormire e per ricevere da mangiare. Nella parte nord della tenda era posto quello del padrone di
casa sul quale egli sedeva in compagnia della moglie favorita. Per sedersi utilizzavano delle
banche che erano usate anche come piccoli tavoli ed una era presente sempre all'ingresso della
tenda, con sopra un otre di latte e una tazza a disposizione della famiglia dei visitatori. Al centro
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vi era il focolare costituito da un braciere, da un treppiede con un piatto di metallo su cui
bruciava il fuoco e contribuiva insieme a piccole lucerne all'illuminazione.
Come contenitori per alimenti bevande utilizzavano otri ricavati dalla pelle dei buoi fatte
seccare con il fumo o dalla pelle di intestino di montone. In un grande otre veniva versato il
latte delle cavalle che veniva sbattuto con un attrezzo e se ne ricavava una delle bevande più
diffuse presso i mongoli, il comos, dal sapore simile al latte di mandorla. Per il vino di riso che
si beveva alla Corte imperiale si usavano bottiglie dal collo stretto e per cuocere i cibi venivano
usate pentole e scodelle di metallo. Le posate erano ridotte al minimo. Guglielmo non trovò mai
insediamenti urbani simili a quelli occidentali, Ma trovò anche in tribù sedentarie agglomerati
in capanne. Spostandosi più a sud verso la via della Seta, il frate incontrò alcune città un tempo
fiorenti riunite intorno ad un grande mercato. Nel suo resoconto emergono abitudini diverse
rispetto alle popolazioni mongole, nomadi e senza sedi stabili. Egli descrisse in maniera molto
colpita la Corte di Batu, come si presentò alla mente del viaggiatore arabo Abu Abdallah ibn
Battuta, che nel 1332 circa incontrò nella pianura di Kuban-azov il Khan Ozbek. Anche i
nomadi mongoli con il tempo sentirono però la necessità di creare una capitale, creando un vero
e proprio modello urbano. La capitale era stata descritta da Guglielmo come una città a metà
strada tra l'accampamento e la sede fissa, costituita da un nucleo stabile e dagli attendamenti
mobili dei signori e dei loro clan. Era circondato da un muro di terra e ha quattro entrate e al
suo interno vi erano due quartieri: questo nucleo aveva al suo interno un quartiere mercantile
frequentato per la vicinanza della Corte e definito dei saraceni; Dall’altro il quartiere artigianale
del Catai. Erano poi i grandi palazzi dei segretari di Corte e 12 luoghi di culto di sette
idolatriche di diversi paesi, due moschee e una chiesa cristiana. Fuori dalle mura della città,
recintato da un muro di mattoni, vi era il palazzo imperiale. All'interno del recinto imperiale vi
erano poi dei magazzini per le vettovaglie e per custodire le ricchezze del sovrano. Creata da
Gengis Khan nel 1220, la capitale fu fortificata nel 1235 e abbandonata nel 1260 per favorire il
trasferimento a Pechino. La decadenza dell'impero mongolo portò alla rovina della capitale al
cui posto fu eretto il monastero buddista di Erdeni-dzo.
Alla metà del XX secolo furono fatti degli scavi che hanno rivelato la morfologia di questi
insediamenti. Gli scavi hanno testimoniato l'ampia diffusione all'interno della città della
lavorazione del metallo attraverso il ritrovamento di fornaci per la fusione, di resti di bottega da
fabbro e di manufatti. Nel corpo di guardia è stato scoperto un sistema di riscaldamento
abbastanza complesso formato da una stufa di mattoni con un foro circolare da cui partivano
condotti coperti da lastre di pietra che potevano aria calda per tutta la costruzione. La capitale
mongola era da un lato il centro politico e amministrativo dell'impero, dall’altro il simbolo
concreto del potere superiore del khan, che dal suo quartiere separato, imponeva la sua volontà.
La Cina.
Con il trasferimento della capitale a Pechino, il nuovo khan si servì di funzionari locali per
l'amministrazione. La Mongolia divenne una provincia, non più al centro dell'impero, e le
regioni più occidentali godettero di un’ampia autonomia con i loro signori. Con la conquista
della Cina meridionale nel 1280 il continente asiatico fu unificato politicamente sotto un
sovrano mongolo, ma ormai l'impero si stava sempre più degradando. La diretta testimonianza
occidentale dei territori cinesi ci deriva dal Marco Polo, che sfruttando la pax mongolica è
riuscito ad infiltrarsi nei territori orientali attraverso gli scambi commerciali. Erano due i
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sentieri per arrivare in Oriente: il primo era marittimo e prevedeva di solcare il Mar Rosso fino
al mare Arabico e procedere verso est nell'Oceano indiano; il secondo sentiero prevedeva una
serie di piste che congiungevano Kiev con la Mongolia passando dal Mar Caspio ed evitando il
massiccio altaico. Una terza strada era la via della seta che si dirigeva a Baghdad, Persia,
Samarcanda fino ad arrivare a Shanghai. Marco Polo, seguendo la scia del padre e dello zio
arrivò alla Corte di Qubilai nel 1275 e soggiornò per circa 17 anni in Cina ritornando a Venezia
nel 1295. Nella sua opera, il Milione, traspare la mentalità del mercante, aperta e dinamica. Egli
rivolge la sua attenzione all'impianto economico dei luoghi visitati descrivendo informazioni sui
territori e sulla sicurezza dei percorsi. Egli contrappone questa nuova civiltà alla precedente vita
dei tartari. Ibn Battuta descrisse una Corte itinerante in cui il sovrano aveva dietro di sé un’orda
ha fatta di carri, persone e animali.
Marco Polo sottolinea il fatto che gli abitanti fossero dediti all'agricoltura, all’artigianato e al
commercio e solo in ultimo all’allevamento. L'abitazione tradizionale di questi popoli rimaneva
la tenda ed egli racconta che nel viaggio fatto con il padre e lo zio attraversando il fiume Tigri,
egli vide soltanto tende come dimore. Le descrizioni dei dettagli delle tende e delle abitudini dei
mongoli risultano meno dettagliate rispetto a quelle di Giovanni e di Guglielmo. Egli, infatti,
riteneva più vicina a sé e alla cultura occidentale la nuova civiltà mongolo-cinese piuttosto che
quella tradizionale mongola, ormai ridotta a civiltà di provincia. Delle città visitate, Marco Polo
ricordò soprattutto le risorse economiche, dedicando poca attenzione al loro impianto
urbanistico. Ehi parla della città di Quinsai, Hang-chou, detta la più nobile città del mondo, con
un perimetro di 100 miglia e accerchiata d'acqua. 12 corporazioni artigianali esercitavano al suo
interno e si diceva che avesse 12.000 ponti di pietra. Egli descrive la città come dotata di case e
torri di pietra e con strade lastricate di mattoni e circa 3000 bagni per uomini e donne. Stando a
questa descrizione risulta un centro di notevoli dimensioni, il cui spazio urbano era ripartito fra
quartieri residenziali abitati da nobili e con altri quartieri votate all'esercizio delle attività
artigianali. Anche i quartieri popolari erano presenti, caratterizzati da un'edilizia povera in legno
minacciata dal pericolo degli incendi. La città di Pechino aveva un perimetro complessivo di 24
miglia e una regolare pianta quadrata e presentava due centri, uno antico e uno nuovo. viene
descritta la città come dotata anch'essa di palazzi nobiliari e con un Palazzo Reale. Entro la
cinta muraria non si potevano sotterrare i morti.
Nel Palazzo Reale, il gran Khan risiedeva nei mesi invernali, per dirigersi a marzo verso
l'Oceano pacifico e cacciare fino a Pasqua. Poi tornava in Cina e si dirigeva di conseguenza in
Mongolia durante l'estate. La Corte era itinerante e il sovrano poteva soggiornare dentro palazzi
oppure in accampamenti mobili. Il Khan aveva tende per sé e la propria famiglia, oltre che per i
suoi servitori. Quella dei suoi Baroni era così grande che poteva ospitare 1000 cavalieri e aveva
la porta rivolta verso sud. Tra i palazzi reali invece, il più importante era proprio quello di
Cambaluc, costituito con intorno due cinte murarie di forma quadrata e su ciascuna di esse
erano posti 8 palazzi. Tra le due cinte murarie erano presenti giardini che ospitavano diverse
specie di animali selvatici, a nord ovest un lago lago pieno di pesci e a nord una collina di alberi
sempreverdi. Nella grande sala del Palazzo Reale si tenevano banchetti, dove i commensali
erano serviti in vasellame d'oro e d'argento. La tavola dove mangiava il sovrano era più in alto
rispetto alle altre con il viso rivolto a sud. alla sua sinistra era seduta la prima moglie e alla sua
destra i maschi della sua famiglia; Ancora più giù i Baroni e a sinistra le donne della famiglia
imperiale.
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La residenza estiva in Mongolia costituiva il tratto di Unione tra le antiche consuetudini e le
nuove. Già lo stesso Qubilai aveva fatto costruire una città che ruotava intorno alla residenza
imperiale: da un lato vi era un palazzo di marmo e dall'altra un palazzo di legno. Il primo era
per le occasioni ufficiali, mentre quello di legno doveva essere in realtà una tenda per la vita
quotidiana.
Lontano dalla vita del Signore, vi era la quotidianità degli artigiani e dei mercanti, e anche degli
agricoltori. Oltre alle strutture prevalentemente in legno, il letto doveva essere un componente
importante dell’arredo, come le casse di legno e le stoviglie.
Un altro che parla della Cina e Odorico da Pordenone, che era partito per l'oriente nel 1318 ed
era arrivato in Cina probabilmente nel 1323 passando a sud e dopo aver toccato la Persia e
l'India. Egli soggiornò per un po' e ritornò in Italia nel 1330. Ritornato in patria scrisse una
relazione del suo viaggio che fu tramandata, Sulla scia di quello che aveva già detto Marco
Polo. la relazione di Odorico conferma il milione di Marco Polo, aggiornandolo e integrandolo.
Odorico confronta i paesaggi asiatici con i paesaggi che conosce, fornendo tutto sommato
un'immagine della Cina positiva. Secondo questa relazione l'impero mongolo non aveva
problemi di decadenza o di mancata prosperità, ma al contrario la grandiosità e la magnificenza
della sua Corte riflettevano un benessere generale. Egli non poteva criticare un regime
assolutista come quello della curia Pontificia.
Egli fa riferimento alla popolazione maggiormente concentrata nei territori della Cina, mentre,
man mano che ci si avvicinava la Mongolia, il popolamento diminuiva. Egli riporta che nei
territori di confine con la Mongolia la popolazione dimorava in tende fatte di feltro nero
secondo l'antica tradizione mongola, messa in comunicazione tra loro da una fitta rete viaria su
cui erano previste locande e ostelli. Erano chiamati iam case e cortili per i viaggiatori, mentre i
chidebo erano a distanza di tre miglia e servivano per i corrieri. Odorico descrive alcune città,
paragonandole alla rete fluviale di Venezia.
Nella descrizione dei due viaggiatori della vita di Corte, la differenza sta nel fatto che il
francescano non nomina mai un eventuale soggiorno del sovrano per la caccia, ma per tutto il
resto coincidono salvo qualche particolare. Il francescano descrive gli ambienti cinesi come
attraenti e bellissimi, mentre il resto dei territori asiatici fuori dalla Cina viene presentato come
spaventoso e pericoloso.
L’India e le isole dell’Oceano Indiano.
Odorico da Pordenone aveva toccato le coste indiane durante il suo viaggio verso la Cina ed era
sbarcato vicino a Bombay a fine Aprile del 1321. Aveva continuato il viaggio toccando le coste
di Sumatra, Java e dell'Indocina, quindi toccò le coste dell’India centro meridionale e alcuni
porti. Al mondo indiano il frate francescano dedica una parte della sua Relatio e del Memoriale,
raccontando in una successione disordinata le tappe del suo percorso, gli usi i costumi e le
caratteristiche di abitanti e luoghi. Egli contrappone nettamente il mondo indiano da quello
cinese facendo leva su aspetti positivi e su aspetti negativi. Egli parla poco delle modalità del
popolamento nella penisola indiana, ma sappiamo che il quadro di riferimento
dell’insediamento è la città: città intesa come scali commerciali e qualificate delle loro
principali risorse e attività economiche.
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Anche nel Milione l'attenzione le dinamiche del popolamento nella penisola indiana è
decisamente scarsa. Marco Polo fornisce le indicazioni di distanze, clima e delle risorse
economiche degli abitanti, contrapponendo il tutto all'occidente. L'esperienza di prima persona
e l'inserimento pieno in quest’altra compagine sociale manca, nonostante i 17 anni di soggiorno.
L'immagine dell'India come terra di meraviglie fa breccia nel cuore di Marco Polo, che recupera
elementi di fantasia a fianco di considerazioni sulle concrete condizioni di vita in quella terra e
sulle ricchezze. Egli racconta fantasticamente i tre modi attraverso i quali erano soliti procurarsi
diamanti gli uomini del Regno che si estendeva dal Maabar alla valle del Kistna. Egli al
contrario di Odorico, rispetta l'ordine dell'elencazione dei suoi scali, da Oriente a Occidente.
Egli racconta delle isole dell’Oceano indiano, coperte da un fitto manto boschivo e
descrivendone le caratteristiche. Il modello urbano come centro organizzativo del popolamento
e della vita associata era considerato uno degli elementi determinanti per valutare il grado di
civilizzazione di un luogo da parte di un rappresentante della cristianità occidentale.
Tra Mediterraneo e l'Oceano indiano esistevano relazioni commerciali fin dal I secolo a.C., i
rapporti si erano interrotti con la caduta dell'impero e si erano sviluppati nuovamente con la
mediazione bizantina e musulmana dei mercanti persiani e arabi. L'espansione medievale aveva
portato a diversi incontri di culture differenti, come il Libro di Ruggero, scritto dal geografo Al-
Idrisi nel XII secolo per il re normanno Ruggero, libro che raccoglie le informazioni che gli
provenivano da mercanti e viaggiatori, descrivendo le coste di Sumatra. Anche il persiano al-
Qazwini, vissuto nel XIII secolo, ci ha lasciato un testo di cosmografia e uno di geografia. Il
più importante scrittore di queste terre e sicuramente Ibn-Battuta, nato a Tangeri intorno al 1304
e morto intorno al 1369. egli fece un viaggio dal 1325 al 1353 attraverso il mondo musulmano
percorrendo Africa e Asia. Egli dopo il suo viaggio dettò le sue memorie e le mise per iscritto.
Egli annota che era arrivato via terra in India ed era rimasto lì dal 1333 al 1343. Poi si era
spostato come ambasciatore in Cina toccando diverse isole durante il viaggio, come le Maldive.
Egli racconta che non c'erano città vere e proprie e l'unico insediamento degno di nota era
quello sull'isola di Male. Erano costruzione interamente in legno con tetto di paglia. gli apparve
meglio organizzata l'isola di Ceylon, pur suddivisa tra potentati diversi. percorse le sue coste e
poi si diresse verso la Cina, la cui descrizione però, risulta più confusa e meno accurata. I
traffici in India e Cina erano condotti da mercanti musulmani, ma dopo il 1368 e l’arrivo della
dinastia Ming, vi furono forti reazioni xenofobe e una chiusura all’esterno.
La semplicità costruttiva delle abitazioni delle isole è confermata anche dal viaggiatore veneto
Niccolò di Conti, che visitò l’Oriente tra il 1415-39 e dettò a Poggio Bracciolini, cancelliere
papale, la narrazione dei suoi viaggi. Egli descrive l’isola di Sumatra come dotata di case basse,
per difendersi dall’eccessivo ardore del sole. Sulla stessa linea si pongono le osservazioni
dell’Itinerario di Lodovico de Varthema, che tra il 1500-08 si spostò tra il Mediterraneo e il
Medio Oriente. Si sofferma a lungo a Sumatra. Un carattere comune delle case isolane era
quindi quella di essere bassa e sviluppate a pianterreno. Anche nell’arcipelago delle Molucche
si riscontra questo tipo di insediamento. Man mano che il tempo passava, gli esploratori si
spingevano più a fondo nella perlustrazione del continente asiatico e le memorie di viaggio
tendono progressivamente a perdere l'elemento favolistico presentando maggiore attenzione alla
concretezza delle condizioni di vita delle popolazioni con cui viaggiatori venivano a contatto.
Questo fu comunque un processo lento, poi che l'oriente suscitava sempre grande stupore e
mistero. Venne creato quindi nell'immaginario collettivo medievale un mondo fantastico posto
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ai margini delle terre conosciute in cui poteva avverarsi l'antico sogno cristiano di trovare la
chiave d'accesso al paradiso terrestre. Dell'india erano soprattutto frequentati e conosciuti porti
gli scali commerciali, verso i quali si erano diretti in un primo momento i mercanti musulmani e
in seguito anche i viaggiatori occidentali. Giovanni da Montecorvino frequentò quei mercati e li
descrisse all'interno di un territorio molto ampio e politicamente frammentato. Egli descrive le
grandi città come una serie di edifici vi aspetto miserabile costruiti in fango e frasche. Le
osservazioni di Nicolò di Conti presentano un carattere riepilogativo, essendo riferite non a
singole realtà locali ma in gran parte dell'india. Egli descrive che a tavola il cibo veniva servito
con stoviglie e tovaglie, risultando questo fattore discriminante a livello sociale: i poveri
dovevano accontentarsi di mangiare accovacciati servendosi delle mani, mentre i ricchi
mangiavano a tavola. Ludovico di Varthema si sposta di città in città ma ricorda elementi
distintivi del singolo centro e di tutte le regioni collegate adesso. come è avvenuto per Nicolò,
anche Ludovico era interessato ai nuclei urbani, ma a differenza del primo, l'elemento
discriminante che li caratterizza non è la loro dimensione quanto il fatto di essere ben murati
come le città europee. I descrive Calicut e le città limitrofe definendo la città portoghese di
Cananor come una città grandissima con il palazzo del suo sovrano pieno di ricchezze. A
colpire l'italiano è l'abbondanza delle luci che di notte illuminavano la sala delle udienze,
considerata simbolo di sfarzo e lusso. Il sovrano mangiava seduto in terra assumendo il cibo
posato su di una grande foglia all'interno di un bacino di legno che gli veniva preparato e porto
da quattro bramini.
L'arabo Ibn Battuta arrivò in India per via terra, provenendo dall' Asia centrale e ci ha lasciato
importanti notazioni sulla parte continentale del paese. dopo aver attraversato il passo Khyber
penetrò nella valle dell'Indo raggiungendo nel 1333 Multan, che all'epoca era la capitale
militare delle terre di confine occidentale del sultano di Dehli. Nel 1206 la città di Delhi fu
proclamata capitale di un nuovo stato militare musulmano che estese la sua influenza su gran
parte dell'india. Nel 1333 il governante era Muhammad Tughluk, della dinastia dei thuglukidi
(1320-1414) e Ibn Battuta si pose il suo servizio per molto tempo come giudice e custode del
mausoleo del sultano sovrintendendo alle diverse funzioni connesse a questo incarico. Questo
mausoleo prevedeva una moschea, un Accademia, un eremo e ostelli per poveri e viaggiatori.
La popolazione si distribuiva in due capitali, Delhi e Daulatabad, fondata nel 1326. Gli abitanti
di questa seconda capitale avevano abitazioni comuni di fango e paglia, in contrasto con la
capitale principale. La prima Delhi musulmana era un campo fortificato dentro la città vecchia
degli indù. qui fu costruita la moschea pubblica è un complesso di mausolei, oltre a una grande
torre in blocchi di arenaria. Ibn Battuta ricevette in dotazione in questa zona una casa dove visse
per diversi anni. Egli scrive nella sua Rihla da un lato Delhi come una delle più grandi città
dell’India, ma dall'altra parte la descrive come spopolata e vuota. Nel 1341 lasciò
definitivamente Delhi essendo stato nominato capo di una missione diplomatica dal sultano
presso l'imperatore mongolo. Egli arrivò a Daulatabad, a quell'epoca già decaduta, ma ancora
prospera per i commerci. La città era composta di due parti: una Cittadella fortificata ubicata
sulla sommità di un'altura di granito con pareti a strapiombo che si stagliavano sulla pianura
circostante e raggiungibile solo con passerelle e scale, e la città vera e propria, che si estendeva
sud e ad est del castello ed era circondata da una cinta muraria del diametro di 4 km. Come per
la città di Delhi, sembra esserci una netta separazione del nucleo fortificato, dalla parte
militarizzata del centro urbano, della parte residenziale dello stesso, punteggiata dagli edifici
pubblici.
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L’area islamica.
Il pensatore tunisino Abd az-Rahman ibn Khaldun (1332-1406), scrivendo tra il 1375-78 i
Prolegomeni alle tre parti del suo Libro degli esempi storici e utilizzando come materia
principale delle osservazioni le vicende della sua patria, elabora una visione del divenire storico
avente come tema centrale il ciclico scontro del mondo nomade e del mondo sedentario. I
contatti tra nomadi-pastori del deserto delle steppe e le società stanziali, da tempi lontanissimi si
erano sviluppati all’insegna di un atteggiamento pacifico, favorendo lo scambio di merci di
elementi culturali, all’insegna della minaccia dei primi nei confronti delle seconde, più ricche e
prospere. A partire dal XVIII secolo a.C. Invasori nomadi si riversarono su insediamenti
agricoli a più riprese saccheggiando le città e devastando i territori. L'ultimo grande movimento
nomade si verificò nel XIII secolo con i mongoli e i loro alleati turchi che mossero dall'Asia
centrale fino all'occidente. Ma gruppi di popolazioni nomadi continuarono anche in seguito,
soprattutto a livello locale, a costituire una minaccia intermittente per le comunità sedentarie.
Questo si verificò nel Nord Africa a scapito delle comunità di agricoltori berberi che abitavano
le vallate dell’entroterra, sfidando l'autorità dei mamelucchi. Anche l'islam si era affacciato
sulla scena mondiale nel VII secolo in concomitanza con la massiccia fuoriuscita dal deserto
dell’Arabia di pastori nomadi di lingua araba sotto la guida di Maometto. l'Arabia preislamica
aveva una struttura politica sociale ed economica diversa a seconda delle latitudini: a sud vi
erano tribù organizzate in città stato dedito all'agricoltura e commerci; A nord tribù beduine
nomadi che si spostavano tra steppe e deserti dedicandosi alla pastorizia; al centro beduini e
città attiva commercialmente. Soprattutto al centro sud il confine tra nomadi e sedentari era in
continua oscillazione, in quanto la vita nomade poteva essere una scelta imposta da raccolta
insufficienti e la si poteva abbandonare per tornare a un regime di vita stanziale agricolo.
L'espansione araba verso il Medio Oriente e lungo le direttrici occidentali portò i cavalieri del
deserto a contatto con due grandi stati in crisi, l'impero bizantino e quello sassanide: nella vita
sociale questo incontro-scontro comportò profondi cambiamenti legati alla presa di possesso dei
vasti e fertili domini continentali, punteggiati di centri urbani con una lunga storia alle spalle, a
volte attivi e vivaci e a volte solo testimonianze dei passati splendori. Il mondo musulmano fu
teatro di un prodigioso rigoglio urbano tra VIII e XI secolo; in questo periodo la preminenza del
centro urbano fu una costante nel mondo musulmano. La vasta rete urbana guidata dai
musulmani andò da Samarcanda a Cordova e supera di molto in quanto a forza ed estensione il
movimento di urbanizzazione dell'impero romano ed è pari al grande movimento di creazione
urbana del periodo ellenistico. Dall' XI al XVI secolo si assistette ad una continua espansione
dell'islam, come fede religiosa e modello coerente di civilizzazione. Questa diffusione dell'islam
in nuove zone fu favorita da un lato dall’avanzata delle popolazioni di nomadi musulmani turchi
dell'Asia centrale al Medio Oriente ed alla loro espansione verso l'Oriente sino all'India, e
dall'altro dall’ininterrotta migrazione dei mercanti musulmani nelle terre che si affacciavano
sull’Oceano indiano. Le conquiste dei mongoli furono una grave minaccia per l'esistenza della
civiltà islamica, per la loro politica di massacri e saccheggi e manifestazione del loro rifiuto
iniziale per la vita sedentaria, urbana e agricola. Alla fine, si dovettero confrontare con molti
aspetti del mondo musulmano. Ibn Battuta e Marco Polo ebbero modo di vedere quei territori e
di rendersi conto di quanto alcune di queste aree potessero essere spopolate e inospitali. Marco
Polo sottolinea il ruolo prevalente dei centri commerciali sottolineando talvolta l'aspetto di
città-giardino e l'apparato fortificatorio. Il frate Niccolò da Poggibonsi, che nel 1346 si recò in
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pellegrinaggio in Terra Santa, faceva fatica a concepire una vita priva di radici. Egli incontrò a
Damasco pastori nomadi che attaccarono la sua carovana. Quello che però colpiva ancora i
viaggiatori occidentali nel mondo musulmano e sempre la presenza di grandi e popolose città.
Nel territorio che prima della conquista islamica faceva parte dell'impero sassanide, la forza
urbana si poggiava su una tradizione antichissima rivitalizzata a partire dal califfo al-Mansur,
che fondò nel 762 la città di Baghdad, sullo sbocco nel Tigri del canale navigabile che lo
collegava al fiume Eufrate. Artigiani e operai edificarono un centro urbano di pianta rotonda
raccolto intorno al palazzo e alla moschea principale e formato da una serie di cinte
concentriche, e racchiusi entro un bastione munito di 360 torri, quattro porte d'accesso e un
fossato. L'espansione della popolazione favorì un’estensione della città a sud dove si sviluppò il
quartiere del commercio dell'artigianato e verso est, dove, attraversato da un ponte di barche fu
edificato un quartiere residenziale con il palazzo del califfo. Il declino avvenne a partire dai
turchi selgiuchidi e si compì definitivamente con la conquista mongola nel 1258.
L'ebreo Beniamino di Tudela raccontò in un diario redatto in ebraico il suo viaggio in Asia.
Egli parla di Baghdad come una città molto grande circondata da mura e situata fra palmizi, orti
e giardini. La sua non è l'unica testimonianza di questa florida città e di altre città della
Mesopotamia. Baghdad era ubicata all'incrocio di vie fluviali e il principale materiale da
costruzione era l'argilla dei terreni alluvionali, seccata al sole o cotta nel forno. Il legno era raro
e bisognava importarlo dalle regioni limitrofe e a grande prezzo. Nel mondo musulmano i
boschi erano pochi e spesso le popolazioni l’ottenevano attraverso razzie. Anche la pietra era
poco utilizzata tranne che per le opere di piccole dimensioni. La tecnica costruttiva più diffusa
nel mondo musulmano era la muratura in mattoni, impiegati per le volte, a causa della scarsità
del legno. I muri delle abitazioni erano solitamente di mattoni e ricoperti internamente di
rivestimenti di gesso scolpito e dipinto o più frequentemente di piastrelle di maiolica decorata.
La tecnica del mosaico rimase in auge grazie all’influenza dei territori un tempo bizantini, ma
l'argilla dominava per i mattoni cotti al sole dei muri delle costruzioni e per la terra cotta
verniciata dei rivestimenti murali.
Nella parte orientale dei territori un tempo sassanidi la posizione delle città era determinata
dalle piste carovaniere. Una delle più importanti era Samarcanda, ubicata in una posizione
strategica: essa aveva una pianta a raggiera suddivisa in quattro cerchi concentrici delimitati da
altrettante cinte murarie. Al centro vi era la cittadella, poi la città propriamente detta, i
sobborghi e infine la zona coltivata a orti dell'oasi. Le strade erano lastricate e un canale forniva
l'acqua al centro urbano, abbellito da fontane e giardini. Baghdad fu la capitale della dinastia
abbaside, mentre Damasco in passato era stata la capitale della dinastia omayyade. La sua
posizione di antica città centro di mercato, poi sottoposta al dominio bizantino, aveva permesso
ai califfi di godere delle comodità cittadine e di dedicarsi ai piaceri della vita beduina e della
caccia. Beniamino di Tudela la descrisse come una città bellissima circondata da fiumi, giardini
e mura. Altri mercanti e viaggiatori rimasero incantati da questa meravigliosa città e dai suoi
giardini.
Il legno veniva utilizzato come materiale da costruzione e per la pavimentazione veniva
utilizzato il mosaico. La Siria settentrionale era la zona più ricca di foreste all'epoca e per
questo il suo legno era molto richiesto. Frate Nicolò sottolinea nella sua relazione di viaggio i
lavori che potevano essere trovati in quella zona e vengono identificati anche dei lavoratori che
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preparavano da mangiare per strada. Altri pellegrini ci attestano questa usanza appunto anche il
fiorentino Simone Sigoli parla di Damasco e la descrive come una città che utilizzava tecniche
di muratura piuttosto che del legno e le case avevano spesso un cortile interno come oasi di
frescura e di svago.
Nei territori ex bizantini egiziani, i centri di Alessandria e del Cairo ebbero notevole sviluppo.
Essi si sviluppavano come città al centro della vita fluviale ed all'età ellenistica in avanti ebbero
sempre grande fioritura. Ciò che colpisce pellegrini di queste città e la grandezza delle stesse e
la grande densità di popolazione. Sia Sigoli che frate Nicolò riportano che la città del Cairo non
era circondata da mura, ma era delimitata da un fossato e dal fiume Nilo. Il Cairo divenne la
capitale del Regno mamelucco e la residenza di quasi tutta la classe dominante turca, oltre che
essere punto di incrocio delle vie commerciali e di traffico dal Mar Rosso al Nilo. Erano
disseminati nella città il castello del sultano, chiese e moschee, piazze, mercati e abitazioni,
spesso molto alte. Nella zona del deserto svettavano le piramidi, che cominciavano lentamente
ad interessare i viaggiatori. Nel 1303 il Cairo era stato vittima di un violento terremoto che
aveva distrutto parte degli edifici pubblici. gli architetti mamelucchi preferivano utilizzare le
pietre ai mattoni e alla calce. In legno era scarso e molto caro, come il ferro, in gran parte di
importazione. Alcune fonti confermano che la carestia di legname aveva obbligato gli uomini
ad usare come combustibile foglie di datteri e sterco di cammelli. Le abitazioni erano molto
essenziali per quanto riguarda arredi e suppellettili domestiche: amache fatte con i rami delle
palme da dattero o pagliericci posti sul pavimento o su di una lettiera, coperti o meno di drappi.
Questi fungevano da letti e vista la scarsità di legno erano poche le panche e i cofani per riporre
le cose. Inoltre, i fiaschi di cuoio e ceste fatte con le foglie di datteri erano il massimo della
comodità. Nel corso del ‘400 la città si presentava agli occhi dei viaggiatori immutata nel suo
splendore, non circondata da un circuito murario ma frammentata in isole delimitate, in quanto
ogni strada e ogni piazza erano chiuse da proprie porte con moschee, il castello del sultano e
all'esterno le case povere. Ludovico di Varthema trovò la città un po' decaduta a inizio del
secolo successivo.
La città di Alessandria apparve ai viaggiatori una città dotata di mura, templi e bellissimi
palazzi, chiassosa e trafficata. Le alte case erano edificate sul vuoto per mezzo di arcate e
pilastri, con un sistema sotterraneo di canali e pozzi. Il porto aveva un faro collegato alla terra
ferma da un lungo molo ed era facile distinguere la città vecchia dalla nuova. Le case erano
sviluppate verso l'alto con cortili interni e loggiati. Il governatore della città per conto del
sultano dimorava in un palazzo molto grande e spazioso. Nel suo Itinerario di Terra Santa, il
frate Faostino da Toscolano descrisse la città ormai decaduta aggiungendo particolari
sull’edilizia residenziale dopo aver soggiornatovi nel 1633. Come materiale da costruzione fu
usata ampiamente la pietra arenaria che in quella zona abbondava.
Anche nell'occidente arabo si sviluppavano fenomeni di rinascita urbana. Nella penisola iberica
crebbero soprattutto i centri antichi e particolarmente, la città di Cordova. In Sicilia si sviluppò
Palermo che fu descritta dal monaco Teodosio nell’878 come città rinomata e popolosa. Poco
dopo il 670 fu fondata la città di Tunisi, che si affermò come ottimo porto, ben difeso da un
complesso di fortificazioni. Lo sviluppo urbano in Africa settentrionale fu favorito
dall’intensificarsi delle relazioni con la penisola iberica e la Sicilia e con l'aprirsi di un nuovo
orizzonte commerciale con il Sudan. Nel corso dei primi secoli medievali si andò a sviluppare
anche il regno del Ghana consolidando il commercio dell'oro delle proprie ragioni. Nel XIII
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secolo si sostituì ad esso il regno del Mali. Nell'impero del Mali si recò Ibn Battuta nel 1351 e
dopo un viaggio lungo e difficile raggiunse la capitale. Era una cittadina priva di mura e situata
in una zona verdeggiante collinare, con i palazzi fortificati del sovrano, uno dei quali era stato
intonacato e dipinto con disegni colorati. Le moschee e le abitazioni della popolazione erano
case di fango non intonacate e ricoperte da cupole di legno e canne. La civiltà musulmana
dall'Africa all' Asia e passando per l'Europa si espanse privilegiando le città come insediamenti.
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