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UOMINI E CASE. P. Galetti. 11/01/2021.

CAPITOLO I. MODELLI INSEDIATIVI A CONFRONTO NEI PRIMI SECOLI DEL


MEDIOEVO.
Nei primi secoli del medioevo si scontrarono culture e modi di vita diversi, stabilendo contatti
diretti e prolungati. Il modello urbano tardo romano fu pian piano indebolito da quello barbaro
seminomade, accelerandone la crisi.
Le stirpi germaniche.
Nel 98, Tacito scrisse un'opera monografica intitolata De origine et situ Germanorum, sui
costumi e sulla distribuzione geografica delle popolazioni germaniche. Essa era una descrizione
minuziosa e puntuale della società e delle consuetudini germaniche, prendendo le informazioni
da opere precedenti e da testimonianze militari e mercantili. Tacito esaltava aspetti di purezza
dei costumi e della realtà dei rapporti nella primitiva società germanica, opponendolo alla
degenerazione dei costumi romani. le popolazioni germaniche non avevano fonti scritte, quindi
non disponiamo di resoconti locali. I romani, a partire da Giulio Cesare, utilizzavano il termine
generico di Germani intendendo le popolazioni sconosciute stanziate a Oriente del Reno, dopo
aver fissato su questo fiume il confine della Repubblica, distinguendo queste popolazioni dai
celti, controllati da Roma e che abitavano occidente. in precedenza, i romani distinguevano tra i
barbari due gruppi, i celti e gli sciti, che popolavano le steppe dell'Europa orientale. Alla vigilia
delle grandi migrazioni tra IV e V secolo, si verificò una semplificazione del mondo germanico,
con l'aggregazione di gruppi minori diversi attorno gruppi etnici dominati e la creazione di
stirpi di grandi dimensioni. Si fecero strada Goti, franchi, vandali, Longobardi. In età carolingia
si cominciò ad intuire l'esistenza di un qualche legame di parentela fra le differenti lingue, in
quanto tutte riferibili al ceppo germanico.
Secondo tacito i Germani vivevano in un paese boscoso e paludoso, esposto ai venti e umido
verso la Gallia. Sterile per gli alberi da frutta, fertile per il foraggio, ricco di bestiame da
pascolo, ma con un clima prevalentemente rigido. Cacciatori e razziatori, allevatori e
agricoltori; gli uomini validi erano guerrieri. Erano gruppi seminomadi e praticavano
un’agricoltura elementare, senza concimazione o riposo dei campi. La condizione socio-politica
si basava sul clan, che a sua volta formava le tribù, gruppi di famiglie discendenti da un
antenato comune, qui erano affidate le terre, la cui proprietà a livello individuale era
sconosciuta. Le comunità occupavano di volta in volta territori nuovi da coltivare in
proporzione al numero degli abitanti, dividendolo poi secondo la condizione sociale di
ciascuno. Mancavano le città ed erano presenti villaggi a maglie larghe, le cui abitazioni erano
costruite in legno. Un’edilizia semplice ed elementare basata sullo sfruttamento delle risorse
ambientali. Il fatto che venisse usato il legno ci fa capire da un lato l'abbondanza di questo
materiale, dall'altro il fatto che le costruzioni non dovessero durare a lungo nel tempo. I compiti
erano divisi in base all'età e al sesso e tacito ci parla delle loro abitudini quotidiane. Erano
accoglienti verso gli ospiti e amavano i banchetti, durante i quali bevevano e si picchiavano.
la società non era segnata rigidamente da stratificazioni sociali e questo rendeva la vita
comunitaria molto importante. Utilizzavano la pratica dell'incinerazione negli usi funebri,
l'impiego di quantità di legno in base al prestigio del defunto ed erano soliti portare amuleti a
forma di cinghiale per ottenere protezione dai pericoli. Tutte le tribù avevano un bosco o una
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foresta sacra in cui celebravano cerimonie, sacrifici e allevavano i cavalli. Questa usanza dura
nei secoli e infatti è riportato che, nella campagna militare condotta contro i sassoni, Carlo
Magno abbia battuto una quercia sacra nel 772. La foresta dominava anche le abitudini
alimentari: frutta selvatica e cacciagione. La cultura del legno fu mantenuta viva durante tutto il
periodo dell'impero.
I nomadi delle steppe.
Tacito, parlando dei peucini, veneti e fenni, non sa se considerarli Germania o sarmati,
intendendo con questo termine le popolazioni di cavalieri nomadi delle steppe. Da un lato sono
annoverati tra i germani perché hanno abitazioni fisse, portano lo scudo e si compiacciono la
propria velocità nel camminare, al contrario dei sarmati che vivono sul carro o a cavallo. per lo
storico romano i germani sono sedentari, una sedentarietà acquisita e stabilizzata dal fenomeno
delle grandi migrazioni, mentre i cavalieri sarmati erano nomadi. I nomadi delle steppe erano di
stirpe iranica o mongolica e vivevano tra la Cina e l'Ungheria. Si affacciarono nel mondo
romano scontrandosi con le popolazioni germaniche dell'oriente, in primo luogo contro i Goti
sul Mar Nero. Queste popolazioni vivevano in luoghi non adatti all'agricoltura e per questo si
dedicavano prevalentemente all'allevamento. Erano abili cacciatori, soprattutto a cavallo e abili
guerrieri.
Per il mondo bizantino il sistema di vita nomade era centrato sul possesso di cavalli, base
dell’alimentazione e del sistema militare, sulla mancanza di sedi stabili, sulla guerra come fonte
di arricchimento, sulla poliarchia tribale e su metodo di governo punitivo senza consenso.
Ovviamente i bizantini considerarono questi popoli inferiori a livello civile. Questa immagine
proposta ripetutamente portava ad un appiattimento delle singole realtà e ad una
semplificazione storica e sociale del nomadismo in modo da rendere le popolazioni nomadi
eurasiatiche tutte riconducibili agli sciti. Per i primi tre secoli dell'era cristiana predominarono i
sarmati, ma nell'ultimo trentennio del IV secolo si imposero gli Unni provenienti dall’Asia
centrale, che diedero vita ad un vasto impero che toccò il suo momento di massimo splendore
con il re Attila verso la metà del V secolo. Questo popolo migrò verso occidente entrando
nell'impero romano e coinvolgendo diverse popolazioni, tanto da suscitare la risposta anche del
centro politico dell'impero.
Lo storico della Tracia Prisco partecipò ad un’ambasciata bizantina presso il sovrano unno nel
449, descrivendo la Corte multietnica di Attila, mentre Ammiano Marcellino parlò a lungo dei
loro costumi. La descrizione che gli storici dell'epoca hanno danno degli unni era comunque
molto negativa, intendendoli come barbari e deformi. Il cavallo veniva visto come un'estensione
del Cavaliere e sempre da Marcellino il loro nomadismo veniva considerato non solo causa
della rozzezza dello stile di vita, ma anche fattore di disordine sociale politico.
Sempre questo autore ci ha parlato degli Alani, che furono sottomessi proprio degli unni,
nell’opera Rerum gestarum libri. Vengono presentati come meno selvaggi e di aspetto più bello,
alti e biondi. Anche gli alani erano allevatori nomadi senza sedi fisse e con un sistema abitativo
simile a quello degli unni. Gli accampamenti erano formati spesso dall' aggregazione dei carri e
delle abitazioni. Il loro sistema abitativo non mutò molto nel corso dei secoli arrivando a
caratterizzare aspetti della vita di pastori nomadi che non sono ancora estinti ai giorni nostri.

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un secolo dopo gli unni si affermarono gli avari, una popolazione asiatico mongolica sconfitta
da Carlo Magno. Si fecero strada anche i bulgari nel VII secolo e i turchi, i quali diedero vita a
un regno che durò a lungo. Le memorie dei Chou e la vita del pellegrino buddista Hsuan-tsang
attestano tra 629 e 645 il modo in cui vivevano i turchi. Si trasferivano da un punto all'altro in
cerca di acqua e pascoli e si occupavano di allevamento e caccia. la tenda del sovrano si apre ad
est perché da lì sorge il sole. I turchi muovevano costantemente da un pascolo all'altro in un
circuito annuale secondo il ritmo delle stagioni, ma le fonti cinesi introducono un nuovo
elemento caratteristico del sistema abitativo: la tenda di feltro, la yurta, con la sua tipica
apertura ad oriente e trasportabili sui carri. è un progresso tecnico dell'organizzazione della vita
del nomade pastore: il carro-abitazione diventa il carro-tenda laddove la stessa poteva venire
smontata, trasportata e ricostruita autonomamente.
Tra i nomadi eurasiatici, i Khazari diedero vita nel VII secolo ad un vasto dominio che durò
fino alla metà del X nella zona del basso Volga e del Mar Caspio. Le fonti musulmane parlano a
lungo di questo popolo di lingua turca, allevatore e agricoltore. In primavera fino all’autunno
vivevano nelle steppe riparandosi sotto le tende, ma in inverno si ritiravano in città dove
avevano costruito stabili abitazioni. A partire dal 652 la capitale del loro regno fu Itil sulle rive
del Volga, con quartieri separati per gli stranieri e divisioni tra zone residenziali e mercantili.
Era uno stile di vita che costituiva un preludio all’avanzamento e consolidamento di un
processo di sedentarizzazione definitivo.
Slavi, Ungari e Normanni.
A partire dal VII secolo fino all'XI fecero la loro comparsa nuovi barbari che venivano spesso
indicati come pagani, confondendoli con antichi popoli e allineando nel ricordo dei barbari
recenti con quello di altri antichi invasori, in quanto tutti ugualmente nemici della civiltà. Erano
però popoli diversi da quelli che avevano attuato le migrazioni del tardo impero. Saraceni, slavi,
ungari e Normanni.
Gli slavi avevano occupato la zona a sud dei Carpazi e a est del Dnepr, aperta a influenze
germaniche, gotiche e traciche. ricaddro sotto il controllo degli unni e poi sotto la spinta dei
Goti, che li avevano costretti a spostarsi. Sotto la guida degli avari nel VI secolo superarono il
Danubio e fecero incursioni nella penisola balcanica. Ai tempi di Carlo Magno si arrestò la loro
avanzata e gli avari furono sconfitti: il confine tra area germanica e area slava si andò fissando
in una linea tra Amburgo e Trieste. Gli slavi si divisero in occidentali, come polacchi e
slovacchi, slavi orientali come russi e ucraini e slavi meridionali come croati e macedoni.
Erano agricoltori, pastori e cacciatori, ma spesso attingevano alla pesca e la raccolta di frutti
spontanei; praticavano un'agricoltura parzialmente sedentaria e si caratterizzavano come
popolazioni nomadi o seminomadi. Procopio di Cesarea distingueva due formazioni di slavi, gli
occidentali e i sud-orientali. Dalla formazione dei primi stanziamenti si fecero strada
insediamenti più consistenti anche nelle regioni occidentali a pianta circolare, spesso con una
cinta fortificata. In alcuni casi membri della comunità si trasferivano tutti all'interno della cinta,
ma spesso lo facevano solo in caso di pericolo. Furono edificate cascine isolate per il
diffondersi della coltivazione individuale dei campi e per il progressivo abbandono dell'attività
produttiva comunitaria. Le tipologie costruttive che ebbero lunga vita furono nella zona delle
foreste le isba, nella zona delle steppe le chata e nella steppa boschiva le zemljanka.

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la prima era costruita con tronchi scortecciati, appena sgrassati incastrati gli uni sugli altri.
poteva appoggiarsi sul terreno o poteva essere sopraelevato su palafitte. Gli angoli, dove si
raccordavano le pareti e il tetto erano i punti da cui iniziava il deperimento della costruzione,
che poteva avvenire in tempi brevi. Erano abitazioni non fatte per durare nel tempo e venivano
spesso riparate o abbandonate in favore di nuove. La suddivisione interna prevedeva pochi vani,
uno dei quali riscaldato da un focolare o dal forno, originariamente di creta e poi di mattoni. il
fumo fuoriusciva attraverso uno sfogo sul tetto o la porta e in generale regnava l'oscurità.
La chata Era fatta di argilla, sassi e sabbia, di rami d'albero o canne intrecciate e poggiava
direttamente sul suolo, mentre la zemljanka era per metà interrata ed era generalmente di forma
rettangolare. Al di sopra della cavità si innalza un muro basso di tronchi e rami intonacati con
fango sul quale si posava un tetto a due spioventi ricoperto con terra. La casa interrata era molto
diffusa e raccolse sotto il suo tetto famiglie allargate.
Su oltre 140 abitazioni risalenti al VI secolo rinvenute in 12 località dell'attuale Ucraina, solo
due vantano una superficie rispettivamente di 25 e di 20 m². tre elementi particolari
caratterizzano l’edilizia di molte regioni: l'affumicatoio, il silos sotterraneo e la sauna. Gli
slavi avevano una salda igiene personale e prediligevano i bagni di vapore. I bagni riscaldati
erano sistemati dentro fosse. In seguito, furono costruite capsule con fessure otturate da
muschio. Gli slavi per immagazzinare i cereali avevano nel terreno dei silos sotterranei profondi
anche 3 m, a forma di pera o di borsa con il collo stretto. Le loro pareti in precedenza erano
seccate con il fuoco, poi ricoperte di paglia. Una volta posti cereali si chiudeva bene
l'imboccatura sigillava con l'argilla. Per conservare il pesce invece, in mancanza di sale, si
faceva essiccare al sole o lo si conservava per mezzo della cenere o lo si affumica va sul fuoco a
legna.
Il legno era la materia basilare per la costruzione delle abitazioni e dei complessi difensivi,
come i ponti. Era il materiale edile che meglio assolveva le esigenze richieste dalle condizioni
climatiche dell'Europa centrale. Le strutture erano conficcate nel terreno o interrate nelle zone
del sottofondo argilloso e compatto, ma in altri luoghi prevaleva l'edilizia fior di terra, dove si
gettavano fondamenta di travi. Era usata spesso la tecnica dei tronchi d'albero naturale,
sovrapposti orizzontalmente incastrato all’estraneità oppure si impostava un telaio di pali
riempito da un traliccio di salici. In entrambi i casi le pareti potevano essere intonacate con
l'argilla e i tetti potevano essere coperti con paglia, canne, tavole di legno o terra.
Per il riscaldamento e la cottura dei cibi il fuoco veniva acceso su focolari aperti. La luce
proveniva proprio dalla porta d'ingresso e spesso infatti veniva collocata a sud. L'oscurità
aleggiava spesso in queste abitazioni e gli oggetti di uso casalingo erano generalmente scarsi e
poco diversificati in assortimento: cucchiai di legno, vasi d’argilla e pochi coltelli di ferro.
Verso la fine del IX secolo, con la sconfitta avara e la stabilizzazione bulgara, fece la sua
comparsa una nuova popolazione, la popolazione dei Magiari o Ungari. Una stirpe di ceppo
ugro-finnico il cui nucleo originario, si mosse dalla Siberia occidentale verso la regione
compresa tra il tratto medio del Volga e le montagne degli Urali nel V secolo a.C. Intorno
all'VIII secolo gli ungari si diressero a sud in una zona boscosa della regione del Don, dove
vennero a contatto con i Kahzari. Scesero poi in Pannonia sospinti dall’etnia turca nomade dei
Peceneghi. Sconfitti dal sovrano germanico Ottone I nel 955, si stabilizzarono sul territorio, si
convertirono al cristianesimo e si organizzarono come un regno autonomo che rappresentò un
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baluardo rispetto alla minaccia dell’invasione di altre stirpi di cavalieri nomadi, fino
all’irrompere dei mongoli diversi secoli dopo. Gli ungari furono per molto tempo pastori
nomadi e la loro vita quotidiana presentava i tratti caratteristici di popoli nomadi della steppa.
Dopo la pressione dei Peceneghi, gli ungari si stabilirono nei territori della Pannonia e li vi
rimasero permanentemente. Cominciarono ad abbandonare gradualmente la tenda e le abitudini
della vita errante e cominciarono a costruire abitazioni permanenti, riunite in villaggi,
dedicandosi alla coltivazione dei campi e all'allevamento. La loro abilità di cavalieri venne
messa a frutto soprattutto nelle attività belliche di saccheggio e razzia rivolte verso i regni
occidentali, almeno fino al momento in cui anche le loro incursioni non cessarono. I
ritrovamenti archeologici sono alcune delle fonti più importanti di cui possiamo disporre per
questo popolo: sappiamo di una società stanziale intorno al X secolo, con villaggi all'interno dei
quali potevano coesistere tende e abitazioni fisse e che potevano essere delimitati da fossati. La
tipologia abitativa più diffusa per la maggioranza della popolazione era la casa monofamiliare,
per metà interrata, di forma rettangolare o quadrata, con gli angoli smussati e di modesta
dimensione. I muri erano di graticcio, mentre il tetto era perlopiù coperto con canne o paglia.
Consisteva in un solo locale, con il pavimento di terra battuta o ricoperto di legno o pietre. La
porta d'ingresso era rivolta verso sud o est per favorire la penetrazione della luce e dal terreno al
pavimento interrato si scendeva attraverso una rampa dolce. Il focolare in pietra argilla era
rinforzato con frammenti di vasellame, sassi e ossi di animali ed era posto di fronte a fianco
dell'entrata. Poteva essere scavato nel pavimento e ricavato della parità naturale interrata
dell’abitazione e il fumo fuoriusciva dalla porta e dalle fessure del tetto. all'esterno poteva
esserci un forno utilizzato per cuocere o seccare gli alimenti, silos interrati che servivano per
immagazzinare i cereali, un pozzo scavato nell’argilla o con rivestimento in legno. Alcuni usi
sono molto simili a quelli delle popolazioni slave. Dentro l'abitazione, per contenere le poche
suppellettili, si ricavavano delle nicchie dalla parete interrata, dove si scavavano sedili. Il letto è
costituito da poveri pagliericci. Il vasellame era in legno e ceramica ed è documentata una
buona produzione in ceramica di pentole, ciotole, piatti e lucerne, che presentavano
caratteristiche tipologiche autoctone e senza ascendenze orientali. L' attività metallurgica era
fitta e si fondava sulla disponibilità di materiale e su tecniche consolidate da lunghissimo
tempo. Intorno al 1968 la ricerca archeologica riportò alla luce la struttura insediativa nota
come il fortino di terra. L’opinione comune è che servissero come centri di potere: luoghi di
rifugio, di residenza dei capi delle province, o centri della vita ecclesiastica. Questi fortini
potevano sorgere su una vasta superficie e avere il terrapieno che lo cingeva, rinforzato da una
struttura di legno tramezzata. A volte, per rafforzare la capacità difensiva di questi terrapieni,
venivano costruite palizzate di legno, che si presentavano molto simili agli apprestamenti
difensivi che all'inizio del medioevo furono costruiti nei regni occidentali.
A partire dall’VIII secolo emerse fonti di nuove genti provenienti dalla Scandinavia. Le
popolazioni che formavano il nord estremo del continente europeo non formavano né un
semplice pulviscolo di tribù, né una nazione unica. vi erano danesi, I Gotar, gli svedesi e i
norvegesi. Spesso questi venivano indicati dalle fonti latine come uomini del nord, ma anche
come vichinghi. L'espansione scandinava tra IX e XI secolo è articolata in una molteplicità di
imprese dai caratteri diversi: si mosse secondo linee di tendenza ben precise: i norvegesi
andarono a occidente, verso la Scozia, Irlanda e le coste della Francia settentrionale, i danesi
andarono verso sud nella zona dell’Inghilterra, gli svedesi verso il Baltico e risalendo i fiumi, si
spinsero verso le pianure russe fino al Mar Caspio e al Bosforo. Cacciavano e razziavano,
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talvolta creando nuovi stanziamenti permanenti e premendo sulle civiltà meridionali
consolidando però la loro sovranità. Si adattarono sempre di più ad un tipo di vita più sedentaria
e regolare.
I Normanni erano contadini, artigiani, mercanti non meno che guerrieri. In patria erano
soprattutto agricoltori: gli uomini liberi, che avevano il diritto di portare le armi e di fare ricorso
alla giustizia, coltivavano la loro terra servendosi dell'aiuto degli schiavi. artigiani, fabbri e
carpentieri godevano di grande considerazione anche nella costruzione delle navi che
permetteva agli avventurosi di solcare i mari. Crearono una serie di mercati fortificati nella zona
del Baltico e nelle coste scandinave, dove vendevano e acquistavano mercanzia che poi
venivano smerciate capillarmente sui piccoli mercati locali e che servivano come luoghi di
rifornimento. Tra i luoghi più importanti emerse Birka sul lago Malaren, un centro difeso da
una cinta muraria lignea con torri e sei porte e con case sempre di legno, con tre porti e sede
dell'assemblea degli uomini liberi, di un rappresentante del re e difesa da una guarnigione
militare. Un secolo dopo (X) sorse Hedeby, che conobbe il momento più prospero sotto un re
svedese ma fu distrutta dal sanguinario re norvegese Aroldo lo Spietato. Il tessuto insediativo in
un mondo di ampi spazi forestali era costituito da piccoli borghi in Svezia e Danimarca e da
fattorie isolate in Norvegia e Islanda. Le comunità erano costituite da quello che è il nucleo più
saldo della società vichinga, la famiglia. Una famiglia allargata unita da forti legami di
solidarietà che tendeva anche ad abitare sotto lo stesso tetto. La tipologia costruttiva della
Hallenhaus di cui sono state ritrovate molte tracce archeologiche era costituita da un unico
ampio locale che poteva anche essere lungo 12 m e preceduta a volte da un modesto ingresso. la
struttura di base poteva essere allargata con l'inserimento di corpi secondari. Le pareti
longitudinali tendevano a incurvarsi leggermente a ricordare una nave capovolta ed erano
costruite da tronchi assi di legno e gli interstizi riempiti da un amalgama di argilla e paglia. Il
tetto è ricoperto da tavole di legno, paglia e da zolle erbose. Le aperture erano ridotte al minimo
per il freddo e la luce penetrava soprattutto attraverso l'ingresso e l'interno era riscaldato dalla
luce vacillante del fuoco. Lo spazio interno all'abitazione era destinato ad accogliere per lunghi
mesi e interminabili serate uomini e donne ed era arredato semplicemente. Lungo le pareti
laterali vi erano banchi di terra delimitati da assi di legno che servivano come sedili e tavole,
qualche cassone legno, i letti erano mobili e venivano sistemati solo alla sera e solo il
capofamiglia con la moglie beneficiava di una sorta di alcova, mentre tutta la famiglia dormiva
promiscuamente sui giacigli nella stanza comune. Al centro vi era il focolare che offriva luce e
riscaldamento; era internato delimitato da pietre. vi poteva essere un secondo focolare per il
cibo e la cucina poteva essere costituita da un edificio a sé stante, separato dal corpo principale.
Le stoviglie erano di legno o di metallo e la preparazione degli alimenti avveniva tramite
essiccazione o affumicatura. Le donne tessevano, di uomini costruivano attrezzi e suppellettili e
spesso anche la casa stessa. Si lavorava spesso l'osso e il metallo.
Villaggi e fattorie isolate in un mondo di foreste che costituivano il luogo in cui venivano
venerati idee prima della conversione al cristianesimo. Gli uomini compivano i loro atti religiosi
e collettivi all'aperto sotto le chiome degli alberi, vicino alla sorgente. Il legno domina ancora la
tradizione costruttiva fino ai giorni nostri.
CAPITOLO II. NELLE CAMPAGNE MEDIEVALI: LA CASA CONTADINA.
Le campagne tra tardo-antico e alto Medioevo.
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Fra il I e il II secolo i ceti dirigenti della società romana possedevano vaste proprietà fondiarie,
a volte distribuite in diverse regioni. Erano latifondi che disciplinavano masse rurali di schiavi e
di piccoli coltivatori liberi. Il fondo conviveva con la piccola proprietà, pur avendo, il primo, un
carattere dominante, anche dal punto di vista dell'organizzazione dell’habitat. La villa rustica
aveva un bel paesaggio, ma continuava ad essere punteggiata da piccoli fondi di qualche iugero,
privi di reale forza economica, ma funzionali al sistema produttivo latifondistico, che avevano
come punto di riferimento politico e amministrativo il villaggio. I principi organizzativi delle
grandi ville, dal punto di vista costruttivo, ispiravano anche le realtà minori. gli scavi
archeologici di un’abitazione rurale di medio livello nel Galles meridionale hanno messo in luce
la struttura, formata da quattro o 5 stanze raccolte attorno ad un corridoio centrale, circondata
da servizi, edifici per la manodopera e dotata di un piccolo ma completo stabilimento di bagni.
All'inizio del IV secolo fu protetta da un terrapieno, da un recinto e da un fossato.
La crisi che investì il sistema economico dell'impero tra il II e il IV secolo cominciò a
manifestarsi come crisi agricola e dell'organizzazione produttiva. Il modello di proprietà a
conduzione schiavistica andò lentamente in degrado, a causa dell'abbandono delle terre. Le
grandi aziende sopravvissero e si mantennero, dandosi nuove strutture produttive e costituirono
nella decadenza, dei pubblici poteri e nuove forti strutture di aggregazione di fronte agli assalti
dei barbari. Le grandi aziende agri di quei secoli erano formate con un'incorporazione delle
terre dei piccoli proprietari al nucleo originario e spesso godevano di una condizione di
immunità fiscale ed erano gestite secondo un sistema di conduzione mista. Questo sistema si
fece strada soprattutto con la crisi del sistema schiavistico. Alla gestione diretta si affiancò
quella indiretta, attraverso la lottizzazione di parte della proprietà in poderi affidati a un
colonato contadino costituito da schiavi affrancati e accasati e liberi coltivatori. Le case isolate
o raccolti in villaggi dei coltivatori erano contrapposti i centri direttivi delle grandi ville, spesso
fortificati e difesi da corpi di guardia. Ne sono registrate diverse centinaia nei territori
dell'Europa centro meridionale.
Tra V e X secolo, la campagna divenne sempre più luogo primario di organizzazione della vita
economica e sociale, oltre che della vita politica e religiosa. L' incontro e lo scontro tra i barbari
e l'aristocrazia militare senatoria diede esiti differenti. In Gallia si fermò abbastanza presto una
nuova aristocrazia mista e la continuità dei gruppi sociali dominanti favorirono la
sopravvivenza delle grandi proprietà. il sistema curtense altomedievale, che aveva il suo fulcro
nell’introduzione capillare delle corvees, poté così innestarsi sulla base materiale, quella della
villa, che aveva costituito un fulcro nel processo di agglomerazione degli insediamenti del tardo
impero. In Italia, l'invasione longobarda provocò una frattura con il passato. Nuovi ceti dirigenti
si affermarono e nuovi modi di gestione fondiaria si diffusero, legata alla decimazione degli
antichi grandi e medi proprietari, sostituiti da nuovi e alla capillare diffusione della piccola
proprietà contadina individuale collettiva. Il processo di espansione della grande proprietà
Fondiaria si accompagnò solo in seguito alla conquista Franca del Regno longobardo, alla
formazione del sistema curtense come forma gestionale più diffusa delle aziende rurali.
Quest'ultimo fu ben radicato e solo lentamente cedette il passo a nuove forme di conduzione
della terra.
La casa contadina: le tipologie.

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La dimora contadina è il fulcro funzionale di un'azienda agraria e costituisce la sintesi, sul piano
insediativo, delle attività che si svolgono al suo interno. Corrisponde a un determinato sistema
di conduzione della terra, a una particolare situazione dell'economia e al livello raggiunto dalle
tecniche agrarie. È difficile quindi trovare delle tipologie precise. le varianti potevano dipendere
da numerosi fattori, come la condizione sociale degli abitanti, le differenti attività economico
produttive, le modalità diverse di conduzione della stessa e di fruizione dell’abitazione. È
possibile individuare alcune tipologie prevalenti nelle campagne medievali europee, alcune
delle quali sono sopravvissute per secoli oltrepassando i confini cronologici del medioevo.
Una di queste è la cosiddetta casa a corte, aperta o chiusa. Caratterizzò tutto il periodo
medievale e si presentava con uno schema analogo sia per le case isolate sui campi che
raggruppati in villaggi, sia per d'abitazione di coltivatori dipendenti che per quelle di piccoli
medi proprietari e anche per le residenze signorili. La cosa che cambiava era l'estensione
complessiva, l'articolazione sul piano dei servizi e alla disponibilità di uno spazio di vita alla
vita privata più ampio e attrezzato. L'abitazione era circondata da numerosi rustici e servizi,
edifici separati che fungevano da forno, cucina, cantina, locale per la vinificazione, magazzino,
stalla, granaio o tettoia. Una Corte centrale, in cui era ritagliato lo spazio per l'aia ne costituiva
l'elemento di raccordo. Ci poteva essere il pozzo e vi erano orti, per la produzione di prodotti
fruibili immediatamente. Questi elementi erano percepiti come una realtà unitaria ed erano
spesso racchiusi in una recinzione naturale o artificiale. Il punto di riferimento della famiglia fu
il focolare domestico ed era “cosparso” da un’aura di sacralità.
Nel 1984 furono fatti degli scavi Lombardia, sul fiume Oglio e furono riportati alla luce edifici
che componevano un insediamento altomedievale in legno, con copertura di paglia e le strutture
adibite a dimora di forma rettangolare con pareti che poggiavano su travi orizzontali collocate
direttamente sul terreno in piccole cavità scavate. Verso la fine del medioevo si diffuse la
cascina a Corte mono aziendale, isolata sui campi, in tutto il territorio della Bassa lombarda.
Nel 1951 furono individuate in Germania, centinaia di costruzioni caratterizzate da questo
modello abitativo, diviso in unità agricole separate, ognuna delle quali costituita dalla
combinazione di circa 15 strutture raccolto intorno ad un'unica dimora. Questo è proprio lo
schema a Corte caratterizzato dalla frammentazione degli elementi insediativi, la divisione dello
spazio domestico, del lavoro, dell'allevamento e del deposito. Le più grandi costruzioni
potevano avere una pianta rettangolare o a forma di barca. i pali principali di sostegno della
struttura erano quattro nel primo caso e tre nel secondo, mentre le pareti erano sostenute da altri
pali perimetrali rinforzati da contrafforti: generalmente vi era un solo focolare. Intorno a questi
insediamenti vi erano recinti di pietra di circa 50 cm di lato che delimitavano le unità agricole,
di tre tipi di costruzioni: case di abitazione, edificio adibito alla cottura dei cibi, magazzini per
conservare le riserve cerealicole. le dimore erano suddivise in due locali, il più grande dei quali
aveva un focolare per il riscaldamento e serviva da sala comune, Mentre l'altro era utilizzato
come camera.
Nel 1979 la Francia condusse degli scavi sulla riva sinistra della Senna che portarono alla luce
insediamenti di un villaggio del X secolo, di forma allungata e costituito da almeno 8 unità
agricole. Ognuna di esse era composta da una costruzione a livello del suolo, da capanne
infossate, da silos scavati nel terreno, magazzini, granai su piloni e a volte anche un forno. Gli
edifici a livello del suolo dovevano essere la dimora vera e propria: erano quadrangolari
avevano una superficie di circa 80 m quadri. le pareti erano costituite da un'armatura di pali di
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legno verticali riempita secondo una tecnica mista. i tetti a due spioventi erano ricoperti di
paglia o di giunchi. Le capanne infossate, prive di focolari, dovevano fungere da servizi
accessori, edifici destinati a una qualche attività artigianale. Erano di forma ovale o rettangolare
e nel mezzo dei due lati corti presentavano un pilone che, insieme alla trave centrale che li
univa, reggeva i due spioventi del tetto di paglia che poggiavano sul suolo. Il villaggio
comprendeva anche un cimitero e un edificio di culto.
nel XIV secolo il tipo di casa a Corte costituiva ancora un modello della vita quotidiana dei
villaggi dell’Europa centrale. Anche in Inghilterra nel 1973, nello Staffordshire furono trovati i
resti di un villaggio del decimo secolo. uno di questi insediamenti aveva una cinta di chiusura di
circa 2500 m quadri all'interno della quale si entrava solo con un portone. Gli scavi effettuati
invece nel Wiltshire hanno permesso di evidenziare quattro fasi costruttive diverse delle
abitazioni che componevano il villaggio, a segnare il passaggio da una struttura elementare, un
edificio a dimora e stalla, fino ad un nucleo articolato recintato costituito da un’abitazione
attorno a una Corte quadrangolare.
La coabitazione di uomini e animali era prevista all’interno di una tipologia costruttiva
diffusamente attestata durante il medioevo, come realtà abitativa elementare a sé stante o come
struttura organizzativa della dimora all'interno di una casa corte. si tratta della longa domus o
longhouse tradotta in casa lunga o casa mista, che accoglieva sotto il medesimo tetto, e secondo
soluzioni diverse, le persone e il bestiame. Potevano esserci uno o due ingressi, distinti tra
uomini e animali di regola divisori che isolavano gli uni degli altri o un unico ambiente
indiviso, come pure più vani nel settore riservato agli uomini in un’unica stanza con focolare.
Questa tipologia di casa è documentata più nella zona insulare e continentale del nord Europa
per le diverse condizioni climatiche produttive. Furono fatti degli scavi in Germania che
attestarono un abitato situato su un rialzo artificiale del terreno come protezione delle acque e
costituito da unità agricole chiuse, posizionate lungo viottoli che si irraggiavano dal centro del
rialzo, all'interno delle quali vi erano due elementi, la casa lunga e un granaio, mentre nella
restante parte c'erano altre strutture. Le case erano rettangolari e lunghe, ma erano divise in due
parti da una leggera travatura lignea: la parte più grande per gli animali, quella più piccola tra
gli uomini, con al centro il focolare. La porta d'ingresso poteva essere una sola, posta sul lato
corto dell’abitazione, dalla parte adibita a stalla o sul lungo lato, al punto della divisione in due
della struttura, oppure potevano essere due, poste negli stessi punti sopraindicati. Le abitazioni
diminuirono di superficie nel corso dei secoli e si restrinse al loro interno la parte per gli
animali, cedendo il passo a edifici a fianco della casa adibita ad attività artigianali o ad altri usi.
Gli scavi condotti nello Yorkshire a partire dal 1950 attestano villaggi strutturati secondo questo
modello abitativo, abbandonato definitivamente nel 1510 per lasciare spazio ai pascoli. Le
abitazioni sorgevano all'interno di un recinto, le cui dimensioni muto nel corso del tempo punto
il recinto richiedeva sempre al suo interno un giardino, un frutteto o un orto e le case erano
divise anche qui in due parti: una per gli animali, più bassa di quella per gli uomini. L'ingresso
era posto al centro dei due lati maggiori e le più antiche erano costruite in legno, le altre in
pietra locale, il gesso di solito, o con pannelli di legno poggianti su uno zoccolo di pietra. Il
tetto ricoperto da canne o paglia.
La struttura della casa lunga unitaria è tipica dell’Inghilterra nella seconda metà del XIII secolo,
dove l'allevamento aveva un ruolo importante nell'economia. In questo tipo di abitazione, che
poteva misurare anche 30 m di lunghezza, la parte riservata agli uomini era poco più di 1/3
9
dell'intera struttura, occupata in gran parte dagli animali da lavoro e anche da una parte degli
ovini allevati. in esse vivevano le famiglie contadine più prospere ed era quasi sempre situata
dentro lotti abitativi che includevano il cortile e l'orto. Le costruzioni erano prevalentemente in
legno di quercia o di Olmo mentre nella zona delle Costwold Hills predominava la pietra locale,
facile da tagliare lavorare e consolidata con l'argilla. In entrambi i casi i tetti erano di paglia su
un'armatura lignea mentre le lastre di ardesia di cui si era iniziata la fabbricazione venivano
impiegate per le residenze signorili.
All'abitazione a Corte si contrappone quella definita casa a struttura unitaria o elementare: a
un complesso di edifici separati rispondenti a diverse esigenze si contrappone un unico edificio
costituito da un vano multiuso o partito al suo interno. Era possibile quindi ritagliare uno spazio
per il bestiame solo in caso di una casa lunga. Se andiamo verso rientri sembra che la casa
Elementare abbia caratterizzato anche gli insediamenti rurali nei territori bizantini.
nella zona rurale di Bisanzio le campagne erano popolate intorno al villaggio in cui si
intrecciavano legami di parentela e di vicinanza. era un’unità amministrative fiscale e poteva
configurarsi come un centro tendente all'accentramento o sparpagliato, con i Casali contadini
dislocati e lontani dal centro strutturale dell’insediamento. La sua popolazione era diseguale
socialmente e questo si rifletteva sul livello qualitativo delle abitazioni. Le case rurali avevano
solitamente una pianta rettangolare o irregolare, con una o tre stanze, una delle quali dotata di
focolare in cui si bruciava legna o in certe aree dell'Asia minore, una miscela di sterco e paglia.
Nel caso di edifici con più vani uno veniva dedicato al focolare, un altro alla conservazione
delle scorte cerealicole immagazzinate in pithoi, grandi recipienti di terracotta o in goubai,
pozzi scavati nel terreno, mentre le scorte del vino erano contenut in grandi recipienti di nome
pitharia. quando l'abitazione si sviluppava verso l'alto, al piano superiore vi era la dimora della
famiglia, dotata di pochi arredi e suppellettili, mentre quello inferiore c'erano i servizi. I territori
bizantini erano diversi tra loro ma con caratteri comuni, come la prevalenza di un terreno
roccioso e la penuria d'acqua. Si impiegavano pietre e mattoni e meno spesso in legno. Questo
anche per le estati calde.
Ritornando nell’Europa occidentale, in particolare nella provincia di Siena, sono state rinvenute
strutture tipo capanna che dovevano costituire una parte di un villaggio altomedievale. È una
struttura unitaria elementare, di modeste dimensioni, a forma quadrata, rettangolare e circolare,
dotata a volte di un focolare aperto e costituita in legno con intonaco in argilla e tetto di paglia.
Una di esse presenta maggiori dimensioni e la suddivisione secondo tre ambienti: una zona
domestica, una zona magazzino e una ad uso misto. Nel Suffolk, in Inghilterra, fu trovato un
villaggio risalente al V-VII secolo, riportato alla luce tra gli anni 60 e gli anni 70 del XX secolo,
la cui semplicità d'impianto e rapidità dei tempi di esecuzione rispondeva alle esigenze di un
popolamento che non si è ancora stabilizzato definitivamente. Gli edifici richiamano molto
quelli della zona senese ed erano rettangolari di media taglia a un unico ambiente, costruito
interamente in legno con il tetto di paglia e a volte dotati di un pavimento fatto di tavole di
legno. L'insediamento aveva anche edifici minori che fungevano da abitazione e potevano
ospitare attività artigianali.
La divisione in due vani della casa elementare costituì il modello prevalente durante il XIV
secolo nei villaggi della Borgogna. I resti di alcune abitazioni testimoniano le differenti fasi di
frequentazione, fino alla sua distruzione in un incendio verso il 1360. Erano fabbricati in grosse
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pietre grazie tenuti insieme dall’argilla, di forma quadrata e con superfici abitative di circa 90
m², all'inizio destinati ad un'unica famiglia ed erano suddivisi in due stanze, ognuna con una
porta, e alcune erano dotate di un soppalco sopraelevato che fungeva da granaio. Il tetto era di
lastre di calcare e all'inizio furono ricavate due abitazioni distinte per far posto a un maggior
numero di abitanti.
Viene proposta una diversa tipologia costruttiva, quella della casa con piano superiore
sviluppata verso l'alto. La sopraelevazione poteva riguardare le abitazioni a struttura unitaria o
le abitazioni a Corte. Fu una tipologia che si affermò lentamente nelle campagne europee
perché a lungo perdurò la tradizione costruttiva che voleva gli edifici rurali sviluppati a
pianterreno. Questo perché per la maggior semplicità architettonica delle casae terrenae, la cui
edificazione era resa possibile da conoscenze tecniche diffuse tra la popolazione rurale e
consolidate da una lunga tradizione. Inoltre, per il costo economico maggiore delle case
solariatae in termini di materiali e di manodopera. In terzo luogo, perché la casa a sviluppo
verticale costituì a lungo modello architettonico cittadino o di centri insediati accentrati di una
qualche consistenza, all'interno dei quali problemi di organizzazione dello spazio erano più
pressanti. Non a caso essa si diffuse nelle aree rurali dapprima dove il processo di rinascita della
vita cittadina si sviluppò più precocemente e dove i centri urbani instaurarono presto lo stretto
rapporto con i loro contadi. In particolare, quindi, nell’Italia centro settentrionale. La diffusione
di queste abitazioni in Francia e segnalata nel XIV secolo, mentre per Germania Inghilterra
all'inizio dell'età moderna.

La casa contadina: materiali e tecniche.


l'inizio del cambiamento delle tecniche e dei materiali di costruzione si verificò tra il XII e il
XIII secolo. Prima di questo periodo venivano utilizzati materiali deperibili, fragili e
scarsamente resistenti all'azione del tempo. Il legno sotto varie forme veniva usato in primo
luogo nelle strutture o nell’ossatura delle pareti, nei sistemi di rinforzo delle stesse e
nell'armatura dei tetti. Le pareti potevano essere edificate secondo il sistema di clayonnage, cioè
un graticcio di rami, vimini, riempito negli interstizi con torchis, argilla amalgamata con paglia,
spesso mischiato anche con ciottoli e piccoli detriti, oppure con mattoni crudi ottenuti con terra
argillosa pressata e mischiata a paglia e ciottoli. Struttura interamente lignee convivevano
accanto ad altre costruite con tecnica mista. Vi potevano essere fondazioni di legno, di ciottoli,
pietrisco, argilla, pietra su cui insistevano le pareti, oppure queste ultime erano infossate
direttamente nel suolo. Ci potevano essere anche diverse tipologie di strutture portanti
dell'edificio.
Una recente indagine sull’edilizia dei materiali deperibili relativa all'alto medioevo ha
individuato 12 differenti tipi di strutture portanti di edifici rurali:
1. a due pali contrapposti.
2. A pali angolari.
3. A pali perimetrali.
4. A palo centrale.
5. A tecnica mista.
6. A due navate.
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7. Ha tre o più navate.
8. Con pavimento sopraelevato.
9. senza di esso.
10. Su palafitta.
11. Senza pali.
12. Fachwerk.
Sono state individuate 9 diverse tecniche per la costruzione degli elevati:
1. struttura aperta o senza elevati.
2. Tavolato ligneo orizzontale.
3. Stabbau , pareti di assi o paletti verticali infissi sul terreno o su una trave di Fondazione.
4. A intreccio.
5. Materiale deperibile pressato.
6. Materiale deperibile generico.
7. Tecnica mista.
8. Blockbau, a travi orizzontali sovrapposti incastrati.
9. Palisandenbau, triplo allineamento di pali perimetrali a tenda, riempito di argilla
utilizzato per palizzate fortificatorie.
Dalla combinazione di tutti questi elementi sono stati individuati due gruppi di strutture: a
livello del suolo e semi scavate.
Del primo gruppo fanno parte diverse tipologie costruttive punto tra di esse, quella ad armatura
di pali, distribuiti in pianta secondo vari criteri determinanti la struttura portante, quella
blockbau, riscontrabile in ambito alpino europeo orientale, quella a canaletta, caratterizzata da
una struttura importante in armatura di pali dentro una canaletta perimetrale, quella a pali
inclinati, con pali esterni inclinati a sostegno dei pali perimetrali. Inoltre, quella con basamento
in pietra, solitamente a secco, ed elevati in materiali deperibili, quelli con basamento in legno su
cui si innestano elevati in assi, paletti, tavolate, quella tecnica mista, quella della casa costruita
con blocchi di terra pressata e messa in opera, quella a fachwerk.
Del secondo gruppo fanno parte soprattutto capanne con la struttura portante all'interno di una
escavazione, tra le quali sono stati individuati diversi tipi che rimandano le strutture
precedentemente descritte: armatura di pali, a blockbau, a canaletta, a tecnica mista, con
basamento in pietra, a fachwerk.
Il legno, ovviamente, rimase uno dei materiali più importanti nella storia dell’edilizia
medievale. Tra i legni vigeva quello di quercia, forte pesante, ma anche durevole e facilmente
accessibile; il legno di Abete, castagno o olmo a seguire. Non troviamo riferimenti scritti sulla
stagionatura del legno, ma si conoscono soprattutto i rapidi tempi di realizzazione dell’edilizia
lignea, la sua flessibilità, modificabilità e sostituibilità. È documentata la pratica di smontare gli
edifici per poterne utilizzare gli elementi diversamente. Gli abitanti delle campagne sapevano
bene come utilizzare il legno, perché quasi sempre erano loro a costruirsi le case. Il bagaglio
culturale di queste popolazioni, in particolare i germani, non comprendeva cognizioni ed
esperienze nella tecnica muraria in pietra o laterizio, ma in quella in legno. I vocaboli pertinenti
all’architettura nelle lingue germaniche erano imperniati sulla radice bau e suggerivano le
origini rurali della loro arte del costruire. Anche in età romana il legno costituiva un materiale
costruttivo largamente impiegato, ma con l'arrivo dei popoli barbari il suo impiego si
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generalizzò, anche in ambito urbano, sostituendosi ai materiali più solidi come pietra e laterizio
che solo alla fine del medioevo ripresero ad essere messi largamente in opera. La pietra
cominciò a rispondere meglio alle esigenze della società attraverso l'elaborazione di modi di
abitare differente rispetto al passato. Si assistette a un vero e proprio cambiamento di mentalità:
gli uomini cominciarono a integrarsi nel paesaggio naturale, adeguandovisi e sfruttandolo,
lasciando da parte la volontà del dominio, che si accompagnava la colonizzazione alla
sostituzione di un’economia silvo-pastorale con una agraria.
È a partire dal XII secolo che materiali e tecniche dell'architettura rurale cominciarono a
cambiare. si perfezionarono le tecniche di carpenteria, con l'impiego di legno lavorato e
squadrato, il perfezionamento dei sistemi di assemblaggio del materiale, l'adozione di strutture
di base più robuste. Si afferma la tendenza ad utilizzare materiali resistenti all’azione del tempo,
come la pietra. Gli edifici in legno continuarono ad essere costruiti. Cominciarono a coesistere
case in pietra e case in legno, ma senza una netta divisione geografica come si tende a credere.
A causa della scarsa disponibilità di legname nella zona del nord Europa, l'edilizia residenziale
in pietra superò quella in legno. Utilizzo diffuso della pietra presentava inoltre tutta una serie di
problemi di non poco conto: l'approvvigionamento non sempre facile, il trasporto del materiale
dalla cava al cantiere, l'attrezzatura particolare per la sua lavorazione, il ricorso a manodopera
specializzata per la messa in opera. I costi lievitavano e così i tempi di edificazione, ma i
manufatti durarono più a lungo. Anche i mezzadri potevano vivere in una casa di pietra, poiché
era redditizio per il padrone borghese investire in miglioramenti nella propria azienda,
portandola ad un buon livello di rendita e non per fare in modo di consolidare la figura
emergente del mezzadro.
Anche il mattone cotto lentamente si fece strada nel tardo medioevo. L'industria laterizia pian
piano andò scemando e mattoni cotti vennero impiegati come sostituto. Spesso erano materiali
di reimpiego, provenienti dallo spoglio di edifici antichi, riutilizzati anche sotto forma di
miscela con la malta. La produzione laterizia sembrava essersi mantenuta più durevolmente nei
manufatti e nella copertura dei tetti: in particolare nelle tegole. Nel ‘400, nelle campagne di
Rimini, 1/3 degli edifici rurali non era ancora in muratura: la casa murata prevaleva soprattutto
nei centri incastellati e nei villaggi, ma si faceva più rado negli insediamenti sparsi. Nonostante
l'Europa riscoprì i mattoni e la pietra nel XII secolo, in Gran Bretagna arrivò tre secoli dopo.
la diffusione del laterizio per la copertura dei tetti costituisce un altro fattore di trasformazione
nell’architettura rurale dei secoli centrali e finali del medioevo. Questo sistema era diffuso in
età antica per la città e la campagna ed era caduto in desuetudine nei primi secoli dell’età di
mezzo, sopravvivendo solo in alcune zone, come in Italia. Quando si ridiffuse, a fine del
medioevo, soprattutto per le costruzioni di qualità e come tecnica di importazione cittadina, fu
anche introdotta nella casa contadina. Il sistema antico fatto di tegole piane, embrici, poste in
fila accostate e unite da tegole ricurve (coppi), necessitava di forti strutture di sostegno ed era
sempre stato associato la costruzione di pietra, ma fu abbandonato e sostituito dalla messa in
opera di sistemi più leggeri, o di sole tegole piatte. La tegola piatta era tipiche dell'edilizia
europea centro settentrionale, mentre il coppo, incurvato, rimase il modello dell'Europa
meridionale e mediterranea.
Tra gli altri sistemi di copertura dei tetti rimasero quelli vegetali, come la paglia e le canne, in
legno sotto forma di tavolette. Questi materiali isolavano bene dalle piogge dal freddo, ma non
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duravano a lungo e necessitavano di costante manutenzione. La copertura vegetale fu pian piano
sostituita nel tardo medioevo caratterizzando però l'edilizia più povera. Dove crescevano folti
manti erbosi, nelle regioni settentrionali d'Europa venivano impiegate anche zolle erbose. Dove
prevaleva l'edilizia in pietra, i tetti potevano essere provvisti da lastre di pietra calcarea, lavica e
di scisto o anche di ardesia.
La casa contadina: arredi e suppellettili.
La casa elementare e la dimora vera e propria all'interno di un nucleo abitativo a corte potevano
essere costituite da un unico locale o da più d’uno. i vani erano polifunzionali, all'interno dei
singoli ambienti si mescolavano attività e oggetti diversi. Non vi era una netta differenziazione
funzionale dello spazio interno alla casa, l'unica vera separazione era lo spazio tra gli uomini gli
animali, che però potevano convivere sotto lo stesso tetto. Il perfezionamento delle tecniche
costruttive permise l'edificazione nelle campagne di case di maggiori dimensioni e complesse, a
volte sopraelevate, favorendo una maggiore articolazione dello spazio interno. a lungo però,
soprattutto tra i poveri, continuavano ad essere frequentate strutture modeste con un unico vano.
In questo caso l'unica stanza era generalmente quella del focolare, del riposo, della
conservazione di alcune scorte, di custodia degli attrezzi. Se invece c'erano due vani, le attività
potevano dislocarsi differenziandosi, ma senza un rigido confine. Nel caso di un edificio
solariato, al piano terra si potevano trovare i servizi, mentre nel solaio la parte abitativa della
famiglia. in un altro caso, al piano terra si poteva trovare il focolare e al piano di sopra il
ricovero notturno.
Un carattere comune a tutte le costruzioni era l'oscurità. le aperture erano molto poche e la porta
d'ingresso era la principale fonte di luce che poteva filtrare anche da eventuali interstizi tra le
pareti o dal colmo del tetto. I contadini lavoravano fino al calare del sole. Di notte era
prevalentemente la luce del fuoco che rischiarava l'ambiente, oltre a fornire calore e serviva per
la cottura dei cibi. In alcuni casi ci serviva di candele di sego, mentre i più benestanti di lucerne
a olio. L'installazione del focolare dentro un edificio presentava due rischi: il rischio di incendi
e Far fuoriuscire il fumo. In alcuni casi, soprattutto nelle dimore a corte, il focolare era posto al
di fuori dell'abitazione, in un nesso separato dalla casa che fungesse da cucina, utilizzando per il
riscaldamento degli scaldini o dei bracieri. Un'altra soluzione fu quella di posizionare il focolare
al centro del locale o lungo le pareti laterali cercando di isolare il più possibile il fuoco con
pietre, argilla o infossandolo nel pavimento. Questo portava ad un ambiente pieno di fumo, che
poteva trovare sbocco solo nella porta di ingresso o in un foro praticato sul tetto. Con
l'introduzione delle stufe da riscaldamento abbinate a stanze riscaldate e libere dal fumo, la
condizione di vita dei contadini migliorò e con la costruzione dei camini con la cappa sì risolse
il problema del fumo. Il termine stube indicava un locale riscaldato, libero dal fumo, perché il
calore proveniva da una stufa murata con argilla e pietra e la cui parte posteriore era posta in un
vano esterno, mentre la parte ad arco da cui si diffondeva il calore era all'interno. La stufa così
poteva essere alimentato esternamente il fumo non invadeva la stanza interna. Il primo sviluppo
di questo strumento fu nella zona germanica del XII secolo.
La struttura del camino preservava da incendi e fumo. Si trattava di una cappa posta sul focolare
collegata a un condotto di lastre rivestite di argilla sovrapposte alle pareti, che portava il fumo
all'esterno. in seguito, però, il condotto trovò posto all'interno del muro, nel caso delle
costruzioni in pietra o laterizio. Tra il focolare aperto e il camino a muro è stato individuato
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dagli scavi un tipo intermedio, che prevedeva sul focolare centrale una cappa retta da quattro
supporti collegata al foro sul colmo del tetto per la fuoriuscita del fumo. Qualche esempio
precoce si trovava in edifici palaziali in pietra del X secolo, ma è a partire dai secoli XII e XIII
che il camino cominciò a prendere piede. Nelle abitazioni più agiate il camino era sospeso su
un’ampia base in laterizio che serviva da appoggio al fuoco ed era corredato da una serie di
utensili: alari, pinze, palette, catena per sorreggere i recipienti usati per cuocere le vivande.
L'estrema semplicità della vita contadina faceva sì che non venissero previsti servizi igienici
nell’interno. Si individuavano luoghi adatti a tali funzioni, non sempre appartati. in una novella
bolognese del XV secolo, viene raccontato che un mezzadro era solito ritirarsi per espletare le
sue funzioni corporali sopra una massa di letame fuori dalla stalla. Questo veniva utilizzato per
concimare i campi a causa della scarsità di letame.
Anche per arredi suppellettili domestiche si ci sono alcune costanti, pur all'interno di situazioni
differenti. Erano pochi oggetti e gli arredi utili per la casa, distinti dalla quantità e dalla qualità.
La presenza esigua di suppellettili non rispondeva solo a una scelta imposta da problemi
economici, ma anche ad un preciso atteggiamento mentale legato la funzionalità. I principali
pezzi del mobilio erano di legno costituiti dal letto, dal tavolo, da sgabelli e panche, o da
cassoni. Ganci e scansie servivano per appendere e riporre vestiti oggetti d'uso comune, gli
armadi non erano nella tradizione del tempo. Vi potevano essere utensili per il fuoco, recipienti
contenitori, taglieri, piatti e posate. Potevano essere in legno, ceramica o più raramente metallo.
CAPITOLO III. NELLE CAMPAGNE MEDIEVALI: LA RESIDENZA SIGNORILE.
Con la caduta dell'impero romano e le invasioni barbariche, si erano verificati diversi fenomeni
di decadenza dei centri urbani e dei ceti cittadini, con il progressivo indebolimento nelle
campagne dei piccoli e medi proprietari, causato dalla crisi agricola e dalla pressione fiscale.
Questo aveva creato diverse divergenze sociali tra i pochi ricchi e la maggioranza povera.
intorno ai grandi proprietari terrieri e ai loro possedimenti si erano sviluppate nuove strutture di
aggregazione, anche del popolamento rurale.
La “villa” tardo-antica.
La villa tardoantica era posta sotto la Sovrintendenza di un fattore, il villicus, controllata a sua
volta da un amministratore, il conductor, e aveva un suo centro direttivo che costituiva un vero
e proprio insediamento. Su di esso si contrapponevano la residenza signorile, la villa urbana e
la fattoria, la villa rustica. Quest'ultima doveva avere tutte le strutture necessarie all'eventuale
lavorazione conservazione dei prodotti dell'azienda, dalle attività agricole all’allevamento e
aveva anche cucine e alloggi per il ricovero temporaneo della manodopera salariata o per quello
fisso degli schiavi. La villa urbana era destinata al dominus e tese ad avvicinarsi nella
disposizione nel lusso alle Domus della città, anche se generalmente erano di maggiori
dimensioni, poi che potevano estendersi in un tessuto non urbano. La parte urbana della villa,
costruite in pietra, mattoni e leganti, secondo la tecnica dell'opus incertum o dell'opus
reticulatum, si articolava in diversi locali decorati con marmi, mosaici, affreschi disposti attorno
all'atrio scoperto e al peristilio, il cortile centrale scoperto attorniato da un colonnato. Lo spazio
destinato al dominus si ampliata fino a comprendere portici laterali, giardini e Terme. Vicino a
Roma fu rinvenuto il complesso della villa dei Sette Bassi, esteso per circa 7 ettari e la cui
costruzione fu iniziata intorno al II secolo. La parte padronale è costituita da alcuni edifici
isolati, da un corpo centrale, da un ippodromo-giardino ed edifici termali : il tutto era fornito
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d'acqua da un apposito acquedotto derivato dall’aqua Claudia. Sono registrate ville anche nel
resto d’Europa, con affreschi e mosaici. Alcune di queste ville avevano la parte urbana che si
estendeva per più di 10 acri. Della tradizione romana del sistema della villa fecero tesoro i
franchi, elaborando quella forma organizzativa dell'economia e del lavoro che fu l'azienda
curtense.
Dalla “curtis” alla villa rinascimentale.
La Curtis, costituiva un centro di aggregazione insediativa, sociale e politica e fu anche una
grande struttura di base economica: fu alla base dello sviluppo di veri e propri poteri signorili.
A partire dal IX secolo per l'Italia, e prima per l'area Franco-tedesca, rappresentano il sistema
più diffuso dell'organizzazione della terra: prima le grandi proprietà laiche ed ecclesiastiche e
poi anche le piccole proprietà contadine acquisirono questa fisionomia e allora si potrà parlare
di sistema curtense. La sua caratteristica è la divisione dell'azienda agricola in due parti,
complementari tra loro: la parte dominicale, la pars dominica e il massaricio, la pars
massaricia. La prima era gestita dal proprietario attraverso il lavoro dei servi, simili per
condizione gli antichi schiavi, che dovevano prestare un certo numero di giornate lavorative su
quel terreno (corvees/operae). La seconda era frazionata in aziende minori date in concessione a
coltivatori dipendenti di condizione libera o servile, che se ne occupavano in maniera autonoma
e dovevano rispondere al concedente, oltre alle prestazioni di lavoro sulla riserva dominicale
che garantivano l'unità funzionale della Curtis, un canone annuo e dei donativi. Il rapporto tra
signore e contadini si configurava come un rapporto di potere oltre che di lavoro, infatti, il
signore aveva anche il compito di gestire l'esercizio della giustizia per le cause minori. Il centro
della Curtis era la residenza del dominus di solito. Il proprietario non abitava continuativamente
nel centro direttivo di una singola azienda curtense virgola in quanto poteva possederne di più
in zone diverse.
Il monastero di San Germain de Près, in base all' inventario compilato dall' Abate Irminione, tra
825 e 830, era proprietario di un'azienda curtense e la riserva signorile era dotata di case, edifici
rustici oltre che di due mulini da farina. In Italia abbiamo il monastero femminile di Santa
Giulia di Brescia che, in base inventario degli anni 879-906 possedeva una Corte con un centro
direttivo funzionale. Il capitulare de villis, che fra VIII e IX secolo stabiliva norme dettagliate
sulle modalità di gestione delle ville del patrimonio imperiale, prevedeva che sui loro centri
Dominici vi fossero la residenza padronale, i locali per la vinificazione, le cantine i magazzini o
stalle utili per il ricovero degli animali. Inoltre, dovevano esserci materiali e strumenti per la
filatura e la tessitura, oltre a cucine, Peschiere ed edifici per alloggiare la manodopera servile. Il
modello curtense in Italia si diffuse in epoca successiva, a causa del dominio longobardo dei
primi secoli del medioevo.
Il centro direttivo delle Curtis era spesso protetto da recensioni che ne facevano una clausura,
dando vita ad una struttura insediativa a Corte.
Tra le residenze padronali e quelle servili mutavano i materiali: da un lato la pietra, dall'altro in
legno. La residenza signorile era caratterizzata da una maggiore solidità costruttiva, ma anche di
maggiori dimensioni, complessità costruttiva articolazione interna. Spesso però, le residenze
signorili assomigliavano agli altri esempi di edilizia rurale minore nello schema organizzativo e
nella scelta dei materiali delle tecniche, differenziandosene solo per un'area abitativa
maggiormente estesa e articolata sul piano di diversi accessori. Si dotarono di elementi difensivi
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intorno al IX secolo, affinché fosse garantita una maggiore protezione nei confronti di attacchi
esterni. Molti di essi così diventarono veri e propri centri fortificati evolvendosi verso la
struttura del castello. Nel capitulare de villis sono riportate le descrizioni di tutte le suppellettili
e gli strumenti necessari per i possedimenti regi: vicino agli utensili per la vita domestica, come
materassi, lenzuola e tavoli, sono annoverati anche strumenti per la carpenteria e la ferramenta,
in modo da confermare la destinazione polifunzionale dello spazio interno la casa e della stretta
commistione tra attività produttive vita domestica. Nel monastero di San Tommaso Reggio
Emilia virgola e compilatori registrano soprattutto i mezzi di lavoro e si comprende che le
uniche suppellettili domestiche fossero soltanto i recipienti che dovevano servire per contenere
grano e vino. Questa penuria di suppellettili e di arredi riflettevano il livello poco confortevole
della vita di grandi e medi proprietari e ci fanno capire quanto l'economia domestica fosse
precaria è difficile la condizione di vita.
Nei secoli posteriori al 1000, la crescita agricola e demografica provocarono trasformazioni
nella vita delle campagne. i cambiamenti nella vita agricola riguardano il regime della proprietà,
le condizioni personali dei contadini, i modi di organizzazione e conduzione della terra, i
sistemi culturali e le relazioni con la città. si ricercarono nuove forme di organizzazione
produttiva con la trasformazione della società rurale. Le grandi proprietà organizzative in forme
curtense signorili rimasero ancora per lungo tempo, per cedere lentamente il passo ad un mondo
di veri e propri signori territoriali. L'aspetto funzionale classico del sistema curtense entrò in
crisi e si verificò il frazionamento in lotti del dominico, la scomparsa delle corvee e
l'alleggerimento dei servizi contadini, con una diffusione sempre più estesa del censo in denaro.
Questo progressivo cambiamento rese la Curtis un organismo fondiario diverso dal passato, in
quanto costituito da un insieme di poderi bilanciati tra loro, senza un riferimento preciso a un
centro dominicale. Quest'ultimo si presentava come una grande fattoria strutturata a Corte
secondo l'antica maniera, autonoma rispetto alle aziende minori del massaricio, ma spesso
anch'esso era indipendente. Nella regione delle Costwold in Inghilterra, verso la fine del XIII
secolo si registra il manor, cioè l'azienda curtense, di Cam, suddiviso in una parte dominicale e
una parte data in locazione a fittavoli. la residenza signorile era situata sulla riserva domenicale
ed era formata dalla dimora, da servizi e rustici, tra i quali una colombaia e due mulini ad
acqua. Il tutto è recintato e separato dai campi. Nella zona inglese si registrano moltissime
residenze strutturate similmente, sviluppando caratteristiche particolari. la fattoria-dimora era
costruita in due fasi nel corso del XV secolo e consisteva in un edificio di legno, di pianta
rettangolare con pareti intonacate di argilla e il tetto di canne, il pavimento di terra battuta,
affiancato da un granaio-fienile, da ricovero tra gli animali e da un orto. L'abitazione è articolata
in due parti, quella più estesa era la grande hall, centro della vita pubblica, con un focolare
aperto che di fatto divide la zona destinata al signore da quella per la servitù domestica; Quella
meno estesa prevedeva un solaio all'interno del quale erano ricavati due locali, una stanza
polifunzionale e una vera e propria camera da letto, che costituivano la parte privata
dell'abitazione riservata alla famiglia, al piano terra vi erano tre piccoli vani di servizio che
servivano come dispensa, magazzino e latteria. Questo è il modello base delle residenze del
medioevo inglese.
L'organizzazione della proprietà in forme curtense signorili risultò di forte tenuta e il progresso
verso nuove forme si attuò lentamente. Le città ebbero una forte influenza, infatti la borghesia
cittadina e dopo anche i nobili, investire i loro capitali proprietà terriere e così fecero anche i
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comuni cittadini che riuscirono ad imporsi sui signori del contado. Furono organizzate le
proprietà in strutture diverse, viene sistemata in forme più compatte la frammentazione
Fondiaria che era stata uno degli elementi di crisi del sistema curtense e furono introdotti nuovi
tipi di contratti agrari che miravano definire criteri di gestione economica e razionale delle terre,
più che diritti di possesso-proprietà. I nuovi proprietari cittadini, attenti al guadagno e
all'ottenimento di una buona rendita da un investimento in beni terrieri, volevano stabilire un
diretto controllo sulla terra stessa, per cui contratti con i coltivatori erano di breve durata. Il
denaro portava ad un utile e sorsero nuovi tipi di contratti, tra cui anche la mezzadria,
comportando spesso la creazione di nuove unità di conduzione compatte e la diffusione di un
insediamento di tipo poderale. I nuovi proprietari attraverso la razionalizzazione dell’agricoltura
e un impiego a tempo pieno delle capacità lavorative delle famiglie coloniche, destinavano
fondi per migliorare l'insediamento, ricorrendo spesso alla manodopera specializzata nel campo
edile. Spesso, per controllare al meglio i lavori, si recavano nei terreni nei momenti più
importanti del calendario agricolo. A fianco della casa da lavoratore spesso si aggiungeva una
casa da signore, nella quale il padrone si recava per controllare l'attività dei suoi amministratori
e sorvegliare le operazioni agricole. Era un’abitazione a metà strada fra fattoria, centro
organizzativo di un'azienda e la villa dell’ozio, del riposo, in quanto il proprietario vi si recava
per villeggiare e ritemprare lo spirito. Era una dimora arredata con estrema essenzialità, non ben
riscaldata e con una cattiva azione, molto simile alle case contadine.
Il modello di questa casa che ebbe grande fortuna nel medioevo, è tramandato dal trattato
dell'agricoltura del bolognese Pier de Crescenzi, intorno al 1305. Concepito come manuale
professionale per i nuovi proprietari cittadini, alterna consigli e norme dettate dall’osservazione
dell'esperienza con indicazioni tratte dagli scrittori antichi medievali. Il primo libro del trattato è
dedicato alla scelta dei luoghi in cui è preferibile acquistare un possedimento, in base alle
caratteristiche logistiche e organizzative e materiali dello spazio. Si fa riferimento alla Corte
recintata da Fossati o siepi, nel mezzo della quale doveva essere posta la porta d'ingresso
sovrastato da una tettoia. La Corte doveva essere divisa in due settori: da una parte la casa del
Signore, dall'altra quelle dei lavoratori e i rustici. La parte della Corte abitata dal padrone
doveva avere un giardino-frutteto-orto. La presenza del verde garantiva ozio, ma anche uno
scopo utilitaristico. Il settore frequentato dai contadini doveva comprendere, attorno ad un
cortile centrale, le case per i lavoratori, le stalle la fossa per il letame, il pollaio, il pozzo, il
forno, i granai, il fienile e le cantine.
Nella regione francese della Brie, è stata rinvenuta una carta del 1377 che ci testimonia una
grande dimora, con una sala e tre vani al pianterreno e tre locali al piano superiore, tutti
riscaldati, un edificio adibito a stalla al piano terra e a granaio nel solaio, un altro grande
granaio ricoperto di tegole, una colombaia, un giardino e una casa di due stanze con una cantina
interrata per la famiglia servile. L'insediamento era circondato da recinzioni di muratura. Pier de
Crescenzi, a fianco di questa villa-fattoria individua un’altra possibile struttura insediativa
padronale, rispondente in questo caso le esigenze dei più ricchi e potenti proprietari terrieri: è il
preludio alla villa signorile fuori città, luogo di villeggiatura improntata all' ostentazione
dell’eccessivo e del lusso. Si inseriva in una campagna riconquistata, riordinata, in un paesaggio
agrario in cui l'uomo aveva cominciato a imprimere forme elaborate e che non rispondevano più
solo alle valutazioni di carattere tecnico, ma anche estetico. La villa italiana del Rinascimento
coltiva l'interesse per il bel paesaggio, curandosi dei giardini domestici con simmetrie e
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semplicità. La costruzione signorile sembra riprendere le forme del castello e staccarsi dal
paesaggio circostante, contornata da piantagioni di alberi simmetricamente disposti e ingentilita
da un esteso giardino all'italiana. Tra il 1475-81 Giovanni II Bentivoglio costruì una
fortificazione intorno ad una villa che accogliesse i membri della Corte della famiglia
bolognese. Secondo le fonti di cui disponiamo era una villa sfarzosa con diverse stanze,
sviluppata su due piani.
Le residenze fortificate.
Già in età tardoantica, nelle campagne europee, di fronte al senso diffuso di insicurezza dovuta
alla crisi del potere centrale e alle invasioni barbariche, case isolate di contadini, residenze
signorili e villaggi rurali si erano circondati di recinzioni per proteggersi dai pericoli esterni e
offrire protezione a chi non era in grado di assicurarsela. A fianco di queste strutture ve n’erano
altre per cui era prevalente l'aspetto militare rispetto a quello insediativo, come i castra che
punteggiavano il confine tra territori Longobardi e bizantini citati da Paolo Diacono nella sua
storia dei Longobardi. Ma fu fra IX e X secolo che in seguito la crisi dell'impero carolingio e il
pericolo delle nuove popolazioni europee, che nelle campagne cominciò a svilupparsi
organizzazione difensiva diffusa. Castra-castella di antica Fondazione si sommarono ad una
fortificazione di nuclei insediativi preesistenti ed ai centri direttivi di strutture curtensi e a
fortificazioni di nuova progettazione, edificate in siti scelti che rappresentarono un fattore di
profonda rottura nelle forme del popolamento e nella struttura agraria precedente. Nella
debolezza delle grandi strutture di inquadramento territoriale la società trovò nuove forme di
aggregazione. I signori territoriali crearono una fitta rete di insediamenti fortificati e ne
battezzarono uno come sede privilegiata, spostandosi da uno all'altro e promuovendo fitte reti di
collaborazione. Non è possibile trovare una struttura incastellata come modello per il medioevo
europeo, poiché vi fu una grande varietà nell’aspetto materiale delle fortificazioni e secondo le
epoche, ma anche in base al territorio. La realtà incastellata italiana del X e XI secolo sembra
differenziarsi rispetto a quello inglese e continentale. Qua il termine castrum viene usato per
indicare il villaggio fortificato, all'interno del quale abitava il signore, il suo corpo di armati e la
popolazione civile. La fortezza era caratterizzata da interesse militare ed era anche sede del
potere signorile.
La realtà incastellata signorile doveva rispondere a due esigenze primarie: quella di essere una
struttura concepita per essere difesa e quella di servire da abitazione ad un signore, alla sua
famiglia, ai suoi soldati, i suoi servitori. una struttura particolare caratterizzò Francia, Germania
e Gran Bretagna e si è sviluppata anche in Sicilia: la motta, intendendo con questo termine un
accumulo artificiale di terra battuta circondato da un fossato, da una palizzata, sul quale si
reggeva una torre, inizialmente quadrangolare e di legno. Al pianterreno della torre vi erano
depositi e magazzini, mentre al primo piano risiedeva il signore. Vi poteva essere un ulteriore
recinto esterno rispetto al circuito della motta che serviva a proteggere edifici di servizio e
abitazioni. Questa tipologia di castello si rinnovò nel corso dei secoli con la sostituzione delle
strutture interne lignee con altre in muratura. La torre quadrangolare definita donjon passò ad
una pianta poligonale o circolare, perfezionando così le sue capacità difensive e conciliando
meglio la necessità residenziale con quella difensiva. Il castello a motta non sembra aver avuto
però diffusione in Italia prima del XII secolo e anche nei secoli successivi fu limitato a impieghi
secondari, ad esempio come apprestamento a sé stante dentro un sistema difensivo più ampio
con un castello. Il castello-villaggio che sembra aver caratterizzato la realtà italiana constava di
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una serie di opere di difesa diverse: in primo luogo una posizione favorevole, in secondo luogo
un apparato fortificatorio che consisteva, tra X e XI secolo, soprattutto infossati, terrapieni e
palizzate dotate di merlatura e torri. il castello di quei secoli si presentava rafforzato da opere
difensive prevalentemente in legno e terra, materiali lentamente sostituiti da una muratura in
pietra, sotto forma di ciottoli fluviali o di conci lavorati. Per quello che riguarda le dimensioni
sono state individuate per la nostra penisola quattro classi di ampiezza dell'area racchiusa nel
giro delle fortificazioni:
- le più alte erano oltre due ettari.
- le minime inferiori ai 1000 m².
- quelle medie da mezzo ettaro a un ettaro e mezzo.
- quelle basse fra 1/10 di ettaro e mezzo ettaro.
La dimensione delle fortificazioni è dovuto a fattori diversi, come la consistenza numerica della
popolazione da proteggere o del contingente militare che poteva proteggere le mura.
Lo spazio interno al recinto fortificato era generalmente occupato da case ed edifici rustici di
legno, con il tetto di paglia e più raramente materiali in pietra, affiancati da orti, vigne e alberi.
Vi doveva essere una piazza, con edifici religiosi, un cimitero, dei pozzi e la dimora del
Signore. nei castelli dei signori più ricchi, l'architettura doveva essere più complessa, spesso
con un piano alto, confortevole anche per quello che concerne il riscaldamento. In Italia arrivò
dopo questa tendenza a ornare e arredare i castelli, infatti il castello italiano dell'XI secolo aveva
una struttura molto povera e un tipo di insediamento difensivo precario. Nei secoli successivi si
svilupparono i mezzi di attacco e questo portò ad un miglioramento dei sistemi di difesa. Si
cercò maggiore stabilità costruttiva delle mura, aumentandone lo spessore ricorrendo spesso alla
pietra e al mattone. si provvide alla scarpatura di torri e cortine, si raddoppiarono i fossati, si
introdusse il sistema di accesso controllato delle porte e si perfezionarono difese periferiche. Si
costruirono torri di forma circolare e fu rinforzata la copertura delle stesse e del palazzo
signorile. Gli elementi fortificatori erano in genere scaglionati su tre ordini concentrici: la prima
era la cerchia muraria esterna, una nuova cinta più interna che delimitava il dongione, poi il
complesso costituito dal Torrione e dal palazzo signorile. Il termine dongione non aveva lo
stesso significato del termine francese omonimo, in quanto indicava non un Torrione, ma un
ridotto difensivo interno del castello, a sua volta fortificato con un fossato che racchiudeva gli
edifici più importanti, come la dimora signorile e la torre maggiore, che costituivano il simbolo
del potere della famiglia sul castello e sul territorio dipendente da esso, mentre fra la cinta più
esterna e il dongione si estendeva la bassa Corte, come edifici abitativi e di servizio. Mentre il
Torrione rappresentava l'ultimo ridotto difensivo, il signore soggiornava nel palatum, dotato di
elementi fortificatori.
La dimora garantiva sicurezza, ma doveva essere strutturata e organizzata in modo da rendere
confortevole il soggiorno del Signore ed evidenziato il suo prestigio. Probabilmente era un
edificio a più piani con un portico e una loggia, rispettivamente ai piani bassi e alti, locali di
servizio al pianterreno e stanze private e ampi locali riscaldati in alto. la cucina e il forno
potevano essere separati dal corpo principale della struttura o potevano esserne incorporati. È
netta la distinzione tra bassa Corte alta Corte, tra piani alti e bassi, che rispecchiava la
separazione sociale tra signori e dipendenti. Nella dimora signorile, pubblico e privato si
compenetravano. Tra gli spazi pubblici poteva esserci la cappella, ma sempre vi era la grande
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sala, riscaldata a partire dal tardo medioevo da un camino, in cui signore amministrava la
giustizia, riceveva ospiti, teneva Corte e consumava i pasti in suppellettili di pregio. Un
elemento importante dell’arredo è rappresentato da prodotti tessili come arazzi, stoffe, che
proteggevano dall' umidità e davano prestigio all'ambiente in cui venivano esercitate funzioni di
comando. Lo spazio privato caratterizzava lo stile di vita a tutti i livelli della società e
consisteva nei locali spesso riscaldati in cui si svolgeva la vita domestica della famiglia
signorine, in cui le persone tendevano ad ammassarsi, svolgendo le attività quotidiane e la vita
di uomini e donne poteva più facilmente integrarsi. Il pezzo più importante dell’arredamento era
il letto guarnito, oltre a panche e cassoni, in cui venivano riposti capi d'abbigliamento e di
biancheria. Anche i signori vivevano essenzialmente all'aperto, allenandosi alla guerra,
cacciando ed esercitandosi per i tornei. Si ritagliarono uno spazio verde costituito dal giardino o
dal frutteto, oppure da un simulacro di foresta in cui anche la donna poteva perdersi e
ritemprarsi, e mettere a frutto le sue capacità.
CAPITOLO IV. NELLA CITTA’ MEDIEVALE.
Il fatto che l'etimologia Latina della parola cittadino , civiltà e città è la stessa ci fa capire
quando nel mondo antico fosse importante la relazione tra il cittadino e la città. La Fondazione
della città e il suo sviluppo come centro della vita associata e dell'organizzazione di un territorio
erano considerati elementi propulsivi del processo di civilizzazione virgola che di fatto equivale
va alla romanizzazione delle regioni dominate. Il contrario di Roma su di esse si basava anche
su l'imposizione delle proprie strutture di organizzazione economica, sociale e politica virgola
che avevano come punto di riferimento la città.
Il periodo tardo- antico e alto medievale.
L'impero romano, alla sua massima espansione, dominava su popoli diversi e sul territorio
estesi. Un elemento di continuità dei popoli mediterranei è rappresentato dal fatto che la
preminente forma di organizzazione sociale politica era costituita dalla città. Esistevano
ovviamente differenziazioni, come tra l'area mediterranea, caratterizzata dalla presenza di città
prospere e collegate tra loro, e altre aree europee, asiatiche e africane, all'interno delle quali
erano diffusi ancora insediamenti rurali, semi nomadi o nomadi. Roma considerava le città
indispensabili per l'esistenza e il benessere dell'impero, infatti lo sviluppo del processo di
urbanizzazione venne ampiamente favorito. Le città romane occidentali presentavano alcuni
tratti caratteristici comuni, come la conformazione generale e la dotazione di servizi e di edifici,
oltre che gli spazi per la vita pubblica. Si cercò di creare concretamente una forma ideale di
città, basata su una pianta bidimensionale e sul sistema stradale ortogonale. Entro isolati definiti
dalle strade, organizzate in una pianta viaria geometrica a scacchiera, si situavano vasti
complessi di edifici pubblici, civili e religiosi aggrappati su spazi più o meno aperti, e con
strutture monumentali abitazioni. La crisi economica dell'impero, che si protrasse fino al IV e al
V secolo d.C., determinò la decadenza dei ceti urbani e la crisi delle città, nei suoi aspetti
funzionali, ma anche nella loro conformazione materiale. Lo scontro-incontro tra Roma e le
popolazioni barbariche provocò una profonda trasformazione nell’organizzazione del tessuto
urbano e anche nell’edilizia abitativa. Le abitazioni della gente comune erano spesso su uno o
due piani e di modesta dimensione, al piano inferiore spesso vi erano botteghe, spazi di lavoro e
alcune stanze ad uso abitativo al piano superiore. Le case a più piani, chiamate insulae, erano
diverse dalle Domus unifamiliari. Le insule si innalzavano su più piani, anche 4 o 5, e avevano
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la facciata principale sulla strada e quella secondaria su cortili scoperti. Il pianterreno era
destinato a locali per le attività commerciali, mentre i piani superiori erano suddivisi in
appartamenti di diversa metratura. Erano alloggi popolari e vere e proprie case-dormitorio, non
vi erano servizi idraulici, cucine o focolari. I loro abitanti potevano soddisfare i loro bisogni
servendosi di taverne e botteghe ubicate al pianterreno.
Le Domus signorili presentavano variazioni tipologiche. Su una pianta tendenzialmente
regolare, quadrata o rettangolare, alcuni elementi si combinano tra loro diversamente nel
complesso abitativo: l'atrio era spesso costituito da una tettoia sorretta da colonne e sconfinava
nella strada, il peristilio, il cortile interno, l'impluvio, destinato alla raccolta dell'acqua piovana.
Il peristilio era circondato a volte da un colonnato e abbellito da impianti ornamentali.
L'elevazione era ridotta al minimo: un piano solo nella maggior parte dei casi trovava posto su
di un terreno e generalmente qui alloggiava la parte privilegiata della servitù domestica, mentre
la restante parte doveva accontentarsi di giacigli improvvisati e mobili. Dove non c'era l'atrio,
sul fronte stradale, si poteva ospitare delle botteghe affittate estranei o destinata allo smercio di
prodotti da parte del proprietario. Potevano anche essere ricavati appartamenti separati da
affittare.
Sul peristilio si affacciano locali eterogenei e autonomi, separati da corridoi, pareti o porte: una
o più stanze da pranzo (triclinium), luogo dei grandi pasti serali di ricevimento, nel quale i letti
su cui si consumava il cibo erano disposti secondo un rigoroso ordine gerarchico; Lo studio del
padrone di casa, tablinium, riservato agli affari e agli amici; Le camere da letto, all'interno delle
quali il padrone poteva essere posto su di una pedana di poco sopra elevata. La cucina era
generalmente decentrata e dotata di focolari, mentre pavimenti, pareti e soffitti erano decorati
con mosaici e dipinti, elemento importante di arredi e di prestigio. Generalmente erano presenti
due tipi di letto, per dormire per mangiare, tavoli e tavolinetti, sedie e armadi. Lucerne a olio e
bracieri per produrre luce e calore. In Italia abbiamo moltissimi esempi di strutture abitative
fatto su questo modello, come attestano gli scavi di Pompei e di Roma. Nel campo dell'edilizia
abitativa si assistette alla sostituzione dei materiali da costruzione di tipo deperibile con altri in
grado di assicurare una maggiore solidità: il conglomerato cementizio, basato sul calcestruzzo,
associato a pietra e mattoni, e il laterizio, sotto forma di mattoni cotti o di copertura per tetti. Il
legno veniva ancora usato per i piani superiori soprattutto per gli elementi accessori di sostegno.
Dopo la caduta della parte occidentale dell'impero romano, si assistette ad una trasformazione
dell’edilizia abitativa urbana. Tra IV e VI secolo infatti, si verificò la dissoluzione di una
diffusa edilizia residenziale di livello medio-alto, rappresentata da lussuose Domus e da
strutture abitative tradizionali comuni, come edifici a più piani, costruiti in muratura e con pochi
grandi ambienti. Solo una cerchia ristretta di grandi proprietari poteva continuare permettersi di
abitare nelle Domus di maggiore rilevanza costruttiva. Erano presenti al loro interno aule di
ricevimento, Terme e latrine private, biblioteche e abbellimenti vari.
Da questo frazionamento urbano, si svilupparono unità abitative familiari caratterizzate da un
più basso livello costruttivo, con pareti di legno e pavimento in terra battuta, sui quali venivano
impiantati focolari per il riscaldamento e la cottura dei cibi. La tecnica edilizia più diffusa allora
era quella mista, dove si integravano il recupero il reimpiego di murature antiche aggiunto
all’uso del legno e di altri materiali deperibili. Con l'arrivo dei Longobardi in Italia e
successivamente dei franchi, la trasformazione del tessuto edilizio urbano continuò a
trasformarsi. Molti generali i capi dei popoli barbarici preferirono abitare nelle residenze di
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campagna piuttosto che nelle domus. Anche i sovrani carolingi, pur avendo una sede
privilegiata di residenza ad Aquisgrana, preferivano mantenere una Corte prevalentemente
itinerante. L'arrivo dei Longobardi portò ad una rottura in Italia degli equilibri precedenti,
modificando le strutture istituzionali, economiche, sociali e urbanistiche. la decadenza urbana si
accentua e la campagna divenne il luogo primario di organizzazione della vita economica,
sociale e politica, mantenendo questo ruolo fino alla dominazione franca.
Le fonti ci mostrano centri urbani che presentavano un aspetto realizzato, con la presenza di
campi, orti, giardini e frutteti. La presenza di superfici coltivate dentro le città è stata
confermata anche dalla ricerca archeologica, che ha individuato negli strati corrispondenti al
periodo, depositi di terra scura. La stessa edilizia residenziale prefigurava una configurazione
delle abitazioni molto vicina a quella che abbiamo individuato per quelle rurali, anche per
l'organizzazione dello spazio interno e gli arredi domestici. Anche in ambito urbano quindi si
trovava la struttura a Corte, il nucleo insediativo articolato costituito da diversi elementi
sviluppati a pianterreno, caratterizzata al suo interno dell'esistenza costante di cortili e orti.
Strutture monumentali che caratterizzavano il paesaggio della città antica, non essendo più
utilizzate secondo la loro originaria funzione, potevano servire come cave di materiale da
costruzione. Oltre al materiale di reimpiego, è stato in legno ad essere messo in opera secondo
varie tecniche costruttive anche per i tetti. L'archeologia individuo da un lato, una edilizia di
relativa buona qualità che testimonia la continuità di tecnologie costruttive romane, soprattutto
per edifici religiosi e palazzi pubblici; Dall'altra parte, un’edilizia fragile e precaria realizzata
esclusivamente in ambito familiare e di gruppo, utilizzando la lavorazione del legno con
generiche conoscenze tecnologiche. L'edilizia in legno viene documentata anche per i secoli
successivi all'invasione longobarda e sono stati individuati tre tipi principali di edifici costruiti
in legno:
- edifici con pali portanti infissi nel terreno.
- Edifici con pareti di tavole i pali verticali insistenti su un basamento in muratura.
- Edifici con pareti di legno variamente strutturate e infisse su travi orizzontali incassate
nel terreno.
risulta difficile individuare la tecnica del clayonnage, se non da resti di argilla da rivestimento
che reca ancora l'impronta dell'intreccio della ramaglia. Sono edifici a un solo vano per lo più,
con pavimento senza solida pavimentazione, sul quale era dislocato in focolare e per i quali
valgono le considerazioni già fatte sulle case contadine e signorili rurali.
Nei territori rimasti più a lungo intonsi dalla dominazione straniera, il legame con la tradizione
romana si mantenne più stretto, attraverso la mediazione bizantina. Qui le città continuano ad
avere un ruolo primario nell’organizzazione della vita politica, economica e sociale anche del
loro territorio, che continua ad essere strutturato secondo schemi antichi di derivazione romana,
anche se trasformati e diversamente vissuti. La documentazione scritta ci rimanda la presenza di
un’edilizia residenziale cittadina complessa e articolata, che presentava caratteri diversi rispetto
a quelli delle città dell'area germanica. Troviamo dimore per lo più a due piani, suddivise in
vani con funzioni diverse indicati con la terminologia Latina classica. Al pian terreno vi erano i
servizi e le botteghe che si affacciavano sulla strada, mentre al piano superiore vi erano i locali
di abitazione. Le case potevano avere un portico sul fronte e di fianco, sul retro, un cortile. Le
pareti degli edifici erano in muratura, mentre i tetti avevano tegole ed embrici. Vi erano anche
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edifici con il pianterreno in muratura e il primo piano in legno: in questo caso la copertura dei
tetti era assicurata da scandulae lignee. Moltissimi edifici furono costruiti su materiali di
reimpiego.
Nel periodo tardo-antico e altomedievale si registrarono, nei territori dell'impero d'oriente,
notevole vitalità urbane, ma vi fu un periodo tra VII e VIII secolo, di crisi della vita cittadina
che riprese intorno alla metà del IX secolo con l'affermazione della dinastia macedone 867-
1057.
Il periodo pieno-tardo medievale.
A cavallo del nuovo millennio, lo sviluppo agricolo demografico e l'incremento degli scambi
locali e regionali, favorirono il risveglio delle città. Si formavano nuovi centri nell’Europa
centro settentrionale soprattutto, mentre alcuni antichi si ripopolarono. Lo sviluppo cittadino fu
considerevole per l'ampiezza della sua diffusione, ma anche perché all'interno delle città si
andarono configurando nuovi assetti sociali e si sperimentarono nuove forme di vita politica,
con l'emersione di valori civili culturali. Con il lento aumento demografico si andò quindi a
registrare un aumento degli insediamenti urbani. All'interno delle città iniziarono ad essere
documentate abitazioni solariate, come edilizia in pietra o mattone a fianco di quella lignea, che
comunque continuava ad essere prevalente. Lo sviluppo dei centri urbani nei secoli del tardo
medioevo fu generalizzato, ma si manifestò diversamente nelle varie regioni europee. Le città
dell'Italia centro settentrionale beneficiarono della perdurante vitalità dell’urbanesimo antico in
alcune aree, anche durante la stagnazione altomedievale, mentre al sud lo sviluppo delle realtà
cittadine fu limitato dal controllo della monarchia. Nelle periferie settentrionali e orientali
l'espansione urbana fu più lenta e tardiva, mentre in Inghilterra non portò alla nascita di centri di
grossa dimensione ad eccezione di Londra. La studiosa tedesca Edith Ennen ha suddiviso le
città europee in base al popolamento in 5 gruppi:
- sotto i 500 abitanti. Sono le città molto piccole.
- Da 500 a 2000 abitanti, le città piccole.
- Da 2000 a 10.000 abitanti, le città medie.
- Da 10.000 20.000 le città grandi.
- Sopra i 20.000 abitanti le città maggiori.
In base a questo schema, è stato stabilito che il 95% delle città medievali europee era costituito
da centri piccoli. Erano veramente poche le città europee che potevano vantare un numero
molto alto di abitanti. L'Italia poteva vantare di avere alcune delle città più popolose d'Europa e
uno dei tratti caratteristici fu quello della costruzione di torri, usate come strumento di
residenza, di difesa, di offesa e di lotta armata. Le torri servivano ad esibire la ricchezza e la
potenza di una famiglia o di un signore ed erano simboli di prestigio e dell’elevata condizione
sociale di chi l’ergeva. Appoggiate alle torri erano spesso abitazioni con portici e volte, fino a
formare un complesso di edifici interdipendenti. la moltiplicazione delle case-torri rifletteva in
modo particolare secondo il quale l'aristocrazia interpretava spazi e luoghi della città, prima
come simbolo della coesione di una consorteria di riferimento dei suoi membri e poi come
ideale occasione di affermazione sociale politica. Le case-torri si presentavano come robuste e
alte, il cui interno era diviso in stanze sovrapposte, senza o con scale fisse. Da porte poste
all'altezza dei vari piani si accedeva a ballatoi esterni, generalmente di legno. A causa
dell'ascesa di regimi popolari molte di esse furono alterate o abbassate, per diminuire l'efficacia
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sul piano bellico e impedire un uso militare. la norma De turribus exquadrandis dello statuto
del Podestà di Firenze del 1325 imponeva che per il futuro l'altezza massima degli edifici non
potesse superare le 50 braccia e che si proponeva di tenere a freno la superbia per le torri troppo
alta. dopo che fu appurato che non rispondevano più alle esigenze dell’aristocrazia, molte torri
furono affittate, per ricavarne botteghe e magazzini rispettivamente al piano terra e ai piani
superiori.
Nel corso del XV secolo si fece strada un nuovo tipo di insediamento urbano, il palazzo. Nato
all'inizio come configurazione strutturata dell'accorpamento di più abitazioni, dotato di un'unica
facciata sul fronte stradale e riunito in un unico edificio, in seguito all’indebolimento dei legami
parentali diventa il passo successivo dell'elite aristocratica. I palazzi presentavano poche
finestre sulla facciata al pianterreno e pesanti portali. La struttura era in genere incentrata sul
cortile porticato, punto d'incontro fra spazio privato al pubblico. Quasi tutto il primo piano è
occupato da spaziose sale di rappresentanza, le cui finestre si affacciavano sulla via, mentre le
vere e proprie stanze ad uso abitativo ne occupavano uno spazio ristretto o ubicato al secondo
piano. Spesso i piani erano due e lo spazio destinato alla funzione rappresentativa era più ampio
rispetto a quello destinato all'uso privato. Firenze ne aveva moltissimi e ancora oggi abbiamo
traccia, come palazzo Strozzi che fu edificato a partire dal 1489. Sul piano costruttivo si
situavano anche case borghesi e case popolari per il popolo minuto, dando vita ad un tessuto
edilizio mosso e articolato, risultato del carattere disordinato dell'espansione urbana tra XI e
XIII secolo.
La tipologia edilizia più diffusa è rappresentata da un edificio affacciato su una via, costruito su
un lotto edificabile di forma ed estensione diversa, sul retro del quale si trovava in un'area vuota
delimitata sul fronte opposto. La facciata sulla strada era soggetta a regolamentazione da parte
degli statuti comunali, in merito alla sua ampiezza, il numero delle finestre, alla presenza di
sporti, mentre lo spazio della casa in profondità e la sua organizzazione interna erano lasciati
liberamente alle scelte di chi risiedeva. Questi edifici insistevano su più piani a causa della fame
di spazio che caratterizza la città in seguito all' incremento demografico che la coinvolse fino
alla metà del XIV secolo. la necessità di spazio portò alla formazione di blocchi di abitazioni
con un fronte unico sulla strada. Questi blocchi edilizi erano poi separati gli uni dagli altri da
stretti vicoli che collegavano tra loro le direttrici viarie di maggiore importanza. Il modulo base
completo dei singoli edifici prevedeva in certi casi seminterrato, una bottega, un ricovero per
animali e magazzini nel piano terra, mentre i piani superiori erano adibiti ad uso abitativo e si
raggiungevano attraverso scale interne o esterne, poste sul retro. in questa fase cittadina,
soprattutto nei centri italiani, la fusione in uno stesso edificio di attività Lavorativa e domestica
era consueto. Al primo piano vi erano le stanze di rappresentanza, al secondo le stanze private e
nella soffitta, in ripostiglio e la cucina. Quando si cominciarono a diffondere i camini, si
sostituirono i focolari e furono posti in modo che il fumo fuoriuscisse dal tetto o da una finestra.
La cucina era isolata all'ultimo piano come misura cautelare contro gli incendi e poteva essere
allestita per lo stesso motivo in un locale separato in fondo al cortile. Le stanze erano divise da
tramezzi di assi di legno o da murature e lo spazio retrostante l'edificio era occupato
generalmente da un cortile aperto che costituiva uno spazio di socialità, al quale Si aggiungeva
un orto o un giardino con cisterne e pozzi.
Nella Firenze del XV secolo, all'ultimo piano della casa si aggiunge un nuovo elemento
architettonico, la loggia, affacciato sul cortile. La casa poteva allargare il suo spazio a spese di
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quello pubblico, protendendosi al piano superiore verso la strada, edificando portici come nel
caso della città di Bologna. Istituti cittadini sottoposero queste pratiche a controllo e tassazione,
ma si mantenne a lungo nelle città medievali. Le abitazioni del popolo minuto prevedevano
spazi abitabili molto esigui a disposizione: nel caso migliore l'associazione sala-camera era
prevalente, mentre nel caso peggiore si trattava di un unico locale polifunzionale. L' intimità era
scarsamente protetta e la promiscuità era la norma. L'acqua si attingeva da fontane e pozzi
pubblici posti nelle piazze, nei cortili potevano esserci pozzi privati o cisterne per l'acqua
piovana. I servizi igienici mancavano nell’edilizia popolare e lo scarico si faceva direttamente
sulla strada, nonostante i divieti. A partire dal XIV secolo furono inventati strumenti che
facessero convergere i liquami direttamente nelle fogne.
Per gran parte del medioevo abbiamo visto che i cibi furono riscaldati da focolari isolati nel
mezzo di una stanza, garantendo la fuoriuscita del fumo dal tetto. Questi sistemi portarono a
moltissimi incendi e i camini a muro, diffusi successivamente, cominciarono a prendere piede
nelle case. Parallelamente alla diffusione del camino a muro, scomparve l'uso della parola
caminata, che per lungo tempo indicò il locale che veniva riscaldato in modo diverso dagli
altri. Il freddo, l'umidità e il caldo penetravano facilmente nelle abitazioni. Le finestre erano
aperte e protette generalmente da tendaggi o da scuri di legno e la sostituzione a partire dal ‘200
di questi ultimi con impanate, cioè intelaiatura nelle quali si tendevano pezzi di stoffa incerata
che permettevano alla luce di filtrare, ma non isolare interni, cambiò la vita domestica. Questa
introduzione fu vista come motivo di orgoglio e di ostentazione. legno laterizio e pietra
rimasero fortemente utilizzati nella costruzione di edifici e con il tempo furono vietate le
utilizzazioni di materiali combustibili per i tetti, a causa del fenomeno dilagante degli incendi.
Le strutture meno solide erano generalmente quelle popolari. nel corso dei secoli furono
utilizzati materiali caratterizzanti di una città: la pietra forte e il macigno a Firenze, il rosso
mattone a Siena eccetera.
Uno degli strumenti utili per individuare le diverse tecniche di costruzione degli edifici e il
metodo della lettura archeologica degli alzati. Questo è però un metodo ancora sperimentale e
relativamente giovane. Per quanto riguarda gli arredi domestici, qualità e quantità erano
determinate in base alla ricchezza dei padroni di casa e al gusto personale. Il letto del povero era
costituito da un pagliericcio posato su un telaio di legno o per terra, quello di un cittadino di
livello sociale più alto era un mobile più o meno importante, in legno pregiato con
un'incasellatura che permetteva di richiuderlo con cortine e circondato da cassoni per riporre la
biancheria. Casse i cassoni contenevano il corredo della padrona di casa e altri arredi, le carte le
ricchezze della famiglia, mentre il povero generalmente ammassava le sue vesti su stanghe di
legno fissate alle pareti. Le pareti dei più ricchi erano spesso dipinte e adornate da arazzi, non
solo per questioni ornamentali, ma anche per proteggere dal freddo e dall' umidità. l'essenzialità
dell'arredo si conservò nei palazzi del patriziato fino al Rinascimento, per essere sostituito
dall'imponenza dei mobili e da piccoli capolavori artistici. Nel corso del medioevo si affermò
l'idea di abbellire le città per testimoniare la loro importanza. La crisi del XIV secolo e la
ripresa successiva portarono nuovi assetti urbani di una nuova architettura, legata ai palazzi
signorili di ispirazione dell'equilibrio classico e della simmetria.
CAPITOLO V. L’OCCIDENTE E GLI “ALTRI”.

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La conoscenza del mondo extra europeo derivava dall’osservazione conferita dalla realtà e da
apporti culturali diversi, ma anche da un'immagine fantastica di quel mondo che era stata creata
dal mito e dalla tradizione letteraria. Con l'ampliarsi delle conoscenze geografiche, si
ampliarono gli orizzonti percorsi. Molti viaggiatori da tutto il mondo scrivevano e pubblicavano
i loro resoconti e questo portò sempre più persone a spingersi sempre più lontano. Quello che
non si conosceva poteva facilmente sfociare nell’immaginario fantastico, a causa dell'incapacità
di comprendere esperienze del tutto dissimili dalla propria quotidianità. Molti territori asiatici e
africani rimasero ignoti agli europei fino alla fine del periodo medievale, anche se con il
continente asiatico i rapporti furono più stretti a partire dal XIII secolo. L'incapacità di
comprendere fino in fondo realtà diverse fece in modo che realtà e fantasia si mescolassero
creando un mondo lontano distorto dalla realtà. Le caratteristiche del paesaggio visitato erano
sicuramente le prime cose che colpivano i viaggiatori in un continente extra europeo, seguito
dalle organizzazioni delle varie popolazioni e dei loro insediamenti. L'osservazione naturalistica
era sempre vicina all'osservazione antropologica. Quello che colpiva maggiormente i
viaggiatori europei era insediamento spesso nomade di alcune popolazioni. Non avere una sede
fissa o un'abitazione dentro una città era qualcosa che non si poteva concepire. La tenda, in tutte
le sue variabili, rappresentava la sintesi dei modi di vita completamente dissimili dai propri,
influenzando l'organizzazione dei più diversi aspetti della vita quotidiana. La tenda
rappresentava la mancanza di un punto di riferimento sicuro per la propria identità e questo era
avvertito con forza dei viaggiatori lontani da casa. L'idea dei viaggiatori europei era quella ti
compiere una vera e propria missione.
L’Asia centrale e settentrionale.
A partire dal XIII secolo soprattutto, l'orizzonte asiatico si ampliò a causa delle invasioni
mongole e della formazione dell'impero di Gengis Khan che si estese dal Mar Nero fino al Mar
del Giappone. Egli ebbe il merito di unire le tribù nomadi della steppa mongolica e avviare una
vasta opera di conquista nei confronti dell'impero cinese, diviso al suo interno in tre stati ostili
fra loro. egli unificò turchi e mongoli accomunati dalla stessa struttura economica e sociale.
Infatti, la struttura sociale dell'impero era aristocratica e fondata sui clan, mentre l'economia si
basava sul possesso del bestiame e sull'ampiezza dei diritti di pascolo. Ata-Malik Juvaini,
persiano del XIII secolo, descrive con dovizia di particolari il funzionamento dell'impero
mongolo. L'espansione mongola provocò enormi danni alle grandi civiltà agrarie, come quella
cinese, a causa dei loro metodi di guerra fondati sulle stragi e prevedendo la devastazione di
campi e dei sistemi di irrigazione. Il rapporto con queste popolazioni sedentarie sottomesse
portò il successore di Gengis Kahn, il figlio Ogodei (1229-41) a porsi il problema di
un’organizzazione amministrativa e senti la necessità di creare una capitale. E questa fu
Qaraqorum al centro della Mongolia. Intorno al 1223 vi furono incursioni mongole verso le
pianure russe e l'occidente, ma la vera invasione dell’Europa cominciò nel 1236, arrivando fino
ai confini del Friuli e in Dalmazia. Con la morte del sovrano e i problemi nell’elezione del
successore, l'impero mongolo perse potere.
Le invasioni mongole destarono nell'occidente grande scalpore e paura, anche per la narrazione
della presenza di esseri mitologici e dei domini del leggendario Prete Gianni. I primi che si
spinsero ad Oriente furono i domenicani ungheresi: nel 1235 frate Giuliano d'Ungheria si
addentrò nella pianura russa e raccolse notizie su quelli che chiamò con il nome di tartari. Nel
1245 Papa Innocenzo IV decise di inviare i suoi ambasciatori ai mongoli per capire le loro
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intenzioni in vista di una possibile alleanza militare contro i musulmani. Domenicani e
francescani attuarono le prime ma importanti opere di proselitismo cattolico e molti di questi
ambasciatori ci hanno lasciato i loro resoconti. L'importanza maggiore la rivestono due
francescani, Giovanni di Pian di Carpine e Guglielmo di Rubruck. Il primo era ministro
provinciale in Germania, Spagna, Sassonia e attento organizzatore di attività missionarie. Aveva
già avuto esperienze in campo diplomatico e aveva relazionato il suo viaggio nella Historia
mongalorum. Il secondo invece aveva accompagnato Luigi IX nella crociata, spinto dal sovrano
francese a stabilire rapporti e apprendere informazioni. anche lui aveva avuto diverse esperienze
in campo mongolo e scrisse il suo resoconto in una relazione nel 1255. Il Khan Mongke (1251-
59) lanciò l'ultima offensiva verso occidente spingendosi in Polonia e venne fermato dalla
controffensiva dei mamelucchi d'Egitto nel 1260. Il suo successore Qubilai (1260-94) spostò la
capitale in Cina. La Mongolia cessò di essere il cuore dell'impero e fu costruita una nuova
capitale, l'odierna Pechino. Questo paese, il Catai, cominciò a divenire meta dei mercanti
europei, veneziani e genovesi attraverso la via della seta o la via dell’Oceano indiano: tra di loro
sono importanti i veneziani Nicolò, Matteo e Marco Polo tra il 1260- 95.
Dopo i primi ecclesiastici e i mercanti, moltissimi missionari rimasero per lungo tempo in
questi paesi asiatici, come Giovanni da Montecorvino e frate Odorico da Pordenone, il quale
si recò in Cina percorrendo l'Oceano indiano in un viaggio durato 12 anni. Nella relazione di
Odorico, la narrazione si amplia con il racconto di usi e costumi di altri paesi dell'oriente, come
le isole dell’Oceano indiano e la stessa India, fino ad arrivare all'influenza che aveva esercitato
il Catai. Anche Marco Polo aveva parlato delle diverse tappe del suo viaggio a Rustichello da
Pisa nel suo libro. Nel corso del XIV secolo il quadro asiatico si ampliò, e i canali con il regno
mongolo si conclusero con la sua caduta nel 1368.
Un popolo di nomadi.
Il primo capitolo della Historia mongalorum di Giovanni di Pian di Carpine si apre con la
descrizione del territorio abitato dai tartari e subito viene evidenziata l'estraneità dello scrittore
nei confronti di un paesaggio presentato come ostile alla vita umana, crudo e dal clima
variabile. Egli fa riferimento al fatto che il territorio impediva in larga parte l'agricoltura e che
quindi era l'allevamento l'unica attività permessa. Il riferimento agli accampamenti mobili, in
cui le persone vivevano dentro le tende. Il modello di tenda utilizzato fino ad oggi è la yurta. I
più ricchi venivano spesso sepolti insieme a una delle loro tende, con un recipiente pieno di
cibo e una tazza di latte di cavalla e venivano tumulati con lui una cavalla con il puledro in
modo che nell'aldilà avesse tutto quello necessario per vivere. I mongoli avevano elaborato una
struttura abitativa funzionale alla vita nomade che sfruttava materiali da costruzione quanto la
natura circostante poteva offrire. Le tende dei principi mongoli, delle loro mogli e
dell’imperatore si distinguevano dalle altre, ma non tanto per la struttura di base, Quanto per la
loro ampiezza e la ricchezza di stoffe di copertura. Le tre tende dell'imperatore erano
rispettivamente: la prima fatta di stoffa bianca con intorno una palizzata di legno dipinta, due
porte principali; la seconda era posta su colonne ricoperte da lamine d'oro e fissate ad altri legno
con chiodi d'oro. nella parte superiore e dentro le pareti vi era un baldacchino, mentre l'esterno
era di panno. La terza fatta di panno rosso.
La prima era il luogo delle lezioni dell'imperatore, la seconda quello della cerimonia di
insediamento e la terza delle udienze. Le tre tende erano molto grandi e spaziose, quelle delle
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mogli erano di feltro bianco. I tartari erano poligami e ognuna delle mogli aveva una propria
tenda con i propri servi. Proprio per la vita nomade e la semplicità dello stile di vita, gli
arredamenti interni erano ridotti al minimo: panche, giacigli, casse o nel caso dei più poveri,
sacche di cuoio. Al centro della tenda era posto il focolare il cui fumo usciva dal tetto ed era
alimentato con sterco di buoi e cavalli. Giovanni sottolinea la scarsità di legno in questi territori,
tanto utilizzato invece nel suo continente. i mongoli non apparecchiavano una mensa quando
mangiavano, ma si accosciavano davanti al fuoco e non usavano tovaglie o tovaglioli, si
pulivano sui gambali o sull'erba. Non lavavano le stoviglie se non con il brodo delle carni che vi
avevano cotto dentro. Dentro le tende erano presenti i numi tutelari, i grandi comandanti hanno
sempre con loro un’immagine caprina detta Hyrcum. collocavano all'esterno davanti alla porta
di casa altri idoli fatti di stoffa di seta su di un carro ornato e coperto. Questi avevano funzione
propiziatoria e di protezione dello spazio rappresentato dalla tenda, simbolo della comunità
familiare. Se qualcuno pestava la soglia della tenda di un capo veniva punito con la pena
capitale, in quanto il gesto è considerato alla stregua di un insulto e di segno di disprezzo verso
il capo clan. Se qualcuno profanava la tenda era imposta la purificazione, che prevedeva il
passaggio della tenda tra due fuochi.
Anche Guglielmo di Rubruk riporta nella sua opera il divieto di toccare la soglia dell'abitazione
dei potenti. Il frate francescano Brtolomeo da Cremona inciampò accidentalmente nella soglia
della tenda imperiale e si salvò dalla morte soltanto perché straniero, ma fu bandito per sempre
di fronte al sovrano. Guglielmo, a differenza di Giovanni, si dimostrò molto più incline ad una
testimonianza ricca basata sull’osservazione etnologica. Le descrizioni di Guglielmo sono più
dettagliate e più precise di quelle di Giovanni. Nella divisione dei compiti sull'organizzazione
della vita quotidiana tra uomini e donne, erano queste ultime che dovevano occuparsi di
produrre i panni di feltro per la copertura delle case, oltre a guidare i carri, scaricare le casse
dagli stessi, mungere le vacche, lavorare il latte e conciare le pelli. Gli uomini dovevano
costruire case e carri e dovevano fabbricare le armi, mungere le cavalle, custodire i cavalli e
occuparsi di otri e cammelli. I bovini erano lasciati alla gestione femminile, gli equini a quella
maschile, oltre ai cammelli, mentre degli ovini e dei caprini si occupavano tutti. Le tende di
lusso dei principi e dell’imperatore dovevano essere costruite da artigiani specializzati,
particolarmente apprezzati per la loro creatività artistica. Quando si trasferivano da un luogo
all'altro, le corti erano precedute da indovini che sceglievano il posto in cui fissare il campo.
L'aspetto finale dell’insediamento appariva agli occhi occidentali come grandi città abitate da
un numero molto limitato di persone. All'interno della tenda lo spazio organizzato in ordine
gerarchico: partendo da nord le persone si disponeva nei rispettivi settori secondo il loro sesso e
secondo un ordine gerarchico decrescente. Il nord era la zona di massimo onore, la sede del
Signore, della signora e delle divinità. il sud, dove c'era la porta, rappresentava il luogo in cui
sorgeva il fuoco celeste, il sole, iniziando a svolgere la sua azione purificatrice. Il tetto
rappresentava il cielo e l'apertura al suo culmine permetteva la luce del sole di penetrare dentro
e faceva defluire all'esterno il fuoco acceso all'interno della tenda. Gli utensili venivano
contenuti in casse quadrangolari che venivano ricoperte di stoffa nera imbevuta di grasso o di
latte di pecora. Un arredo essenziale era il letto, con materassi coperte, dove si stava sdraiati per
dormire e per ricevere da mangiare. Nella parte nord della tenda era posto quello del padrone di
casa sul quale egli sedeva in compagnia della moglie favorita. Per sedersi utilizzavano delle
banche che erano usate anche come piccoli tavoli ed una era presente sempre all'ingresso della
tenda, con sopra un otre di latte e una tazza a disposizione della famiglia dei visitatori. Al centro
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vi era il focolare costituito da un braciere, da un treppiede con un piatto di metallo su cui
bruciava il fuoco e contribuiva insieme a piccole lucerne all'illuminazione.
Come contenitori per alimenti bevande utilizzavano otri ricavati dalla pelle dei buoi fatte
seccare con il fumo o dalla pelle di intestino di montone. In un grande otre veniva versato il
latte delle cavalle che veniva sbattuto con un attrezzo e se ne ricavava una delle bevande più
diffuse presso i mongoli, il comos, dal sapore simile al latte di mandorla. Per il vino di riso che
si beveva alla Corte imperiale si usavano bottiglie dal collo stretto e per cuocere i cibi venivano
usate pentole e scodelle di metallo. Le posate erano ridotte al minimo. Guglielmo non trovò mai
insediamenti urbani simili a quelli occidentali, Ma trovò anche in tribù sedentarie agglomerati
in capanne. Spostandosi più a sud verso la via della Seta, il frate incontrò alcune città un tempo
fiorenti riunite intorno ad un grande mercato. Nel suo resoconto emergono abitudini diverse
rispetto alle popolazioni mongole, nomadi e senza sedi stabili. Egli descrisse in maniera molto
colpita la Corte di Batu, come si presentò alla mente del viaggiatore arabo Abu Abdallah ibn
Battuta, che nel 1332 circa incontrò nella pianura di Kuban-azov il Khan Ozbek. Anche i
nomadi mongoli con il tempo sentirono però la necessità di creare una capitale, creando un vero
e proprio modello urbano. La capitale era stata descritta da Guglielmo come una città a metà
strada tra l'accampamento e la sede fissa, costituita da un nucleo stabile e dagli attendamenti
mobili dei signori e dei loro clan. Era circondato da un muro di terra e ha quattro entrate e al
suo interno vi erano due quartieri: questo nucleo aveva al suo interno un quartiere mercantile
frequentato per la vicinanza della Corte e definito dei saraceni; Dall’altro il quartiere artigianale
del Catai. Erano poi i grandi palazzi dei segretari di Corte e 12 luoghi di culto di sette
idolatriche di diversi paesi, due moschee e una chiesa cristiana. Fuori dalle mura della città,
recintato da un muro di mattoni, vi era il palazzo imperiale. All'interno del recinto imperiale vi
erano poi dei magazzini per le vettovaglie e per custodire le ricchezze del sovrano. Creata da
Gengis Khan nel 1220, la capitale fu fortificata nel 1235 e abbandonata nel 1260 per favorire il
trasferimento a Pechino. La decadenza dell'impero mongolo portò alla rovina della capitale al
cui posto fu eretto il monastero buddista di Erdeni-dzo.
Alla metà del XX secolo furono fatti degli scavi che hanno rivelato la morfologia di questi
insediamenti. Gli scavi hanno testimoniato l'ampia diffusione all'interno della città della
lavorazione del metallo attraverso il ritrovamento di fornaci per la fusione, di resti di bottega da
fabbro e di manufatti. Nel corpo di guardia è stato scoperto un sistema di riscaldamento
abbastanza complesso formato da una stufa di mattoni con un foro circolare da cui partivano
condotti coperti da lastre di pietra che potevano aria calda per tutta la costruzione. La capitale
mongola era da un lato il centro politico e amministrativo dell'impero, dall’altro il simbolo
concreto del potere superiore del khan, che dal suo quartiere separato, imponeva la sua volontà.
La Cina.
Con il trasferimento della capitale a Pechino, il nuovo khan si servì di funzionari locali per
l'amministrazione. La Mongolia divenne una provincia, non più al centro dell'impero, e le
regioni più occidentali godettero di un’ampia autonomia con i loro signori. Con la conquista
della Cina meridionale nel 1280 il continente asiatico fu unificato politicamente sotto un
sovrano mongolo, ma ormai l'impero si stava sempre più degradando. La diretta testimonianza
occidentale dei territori cinesi ci deriva dal Marco Polo, che sfruttando la pax mongolica è
riuscito ad infiltrarsi nei territori orientali attraverso gli scambi commerciali. Erano due i
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sentieri per arrivare in Oriente: il primo era marittimo e prevedeva di solcare il Mar Rosso fino
al mare Arabico e procedere verso est nell'Oceano indiano; il secondo sentiero prevedeva una
serie di piste che congiungevano Kiev con la Mongolia passando dal Mar Caspio ed evitando il
massiccio altaico. Una terza strada era la via della seta che si dirigeva a Baghdad, Persia,
Samarcanda fino ad arrivare a Shanghai. Marco Polo, seguendo la scia del padre e dello zio
arrivò alla Corte di Qubilai nel 1275 e soggiornò per circa 17 anni in Cina ritornando a Venezia
nel 1295. Nella sua opera, il Milione, traspare la mentalità del mercante, aperta e dinamica. Egli
rivolge la sua attenzione all'impianto economico dei luoghi visitati descrivendo informazioni sui
territori e sulla sicurezza dei percorsi. Egli contrappone questa nuova civiltà alla precedente vita
dei tartari. Ibn Battuta descrisse una Corte itinerante in cui il sovrano aveva dietro di sé un’orda
ha fatta di carri, persone e animali.
Marco Polo sottolinea il fatto che gli abitanti fossero dediti all'agricoltura, all’artigianato e al
commercio e solo in ultimo all’allevamento. L'abitazione tradizionale di questi popoli rimaneva
la tenda ed egli racconta che nel viaggio fatto con il padre e lo zio attraversando il fiume Tigri,
egli vide soltanto tende come dimore. Le descrizioni dei dettagli delle tende e delle abitudini dei
mongoli risultano meno dettagliate rispetto a quelle di Giovanni e di Guglielmo. Egli, infatti,
riteneva più vicina a sé e alla cultura occidentale la nuova civiltà mongolo-cinese piuttosto che
quella tradizionale mongola, ormai ridotta a civiltà di provincia. Delle città visitate, Marco Polo
ricordò soprattutto le risorse economiche, dedicando poca attenzione al loro impianto
urbanistico. Ehi parla della città di Quinsai, Hang-chou, detta la più nobile città del mondo, con
un perimetro di 100 miglia e accerchiata d'acqua. 12 corporazioni artigianali esercitavano al suo
interno e si diceva che avesse 12.000 ponti di pietra. Egli descrive la città come dotata di case e
torri di pietra e con strade lastricate di mattoni e circa 3000 bagni per uomini e donne. Stando a
questa descrizione risulta un centro di notevoli dimensioni, il cui spazio urbano era ripartito fra
quartieri residenziali abitati da nobili e con altri quartieri votate all'esercizio delle attività
artigianali. Anche i quartieri popolari erano presenti, caratterizzati da un'edilizia povera in legno
minacciata dal pericolo degli incendi. La città di Pechino aveva un perimetro complessivo di 24
miglia e una regolare pianta quadrata e presentava due centri, uno antico e uno nuovo. viene
descritta la città come dotata anch'essa di palazzi nobiliari e con un Palazzo Reale. Entro la
cinta muraria non si potevano sotterrare i morti.
Nel Palazzo Reale, il gran Khan risiedeva nei mesi invernali, per dirigersi a marzo verso
l'Oceano pacifico e cacciare fino a Pasqua. Poi tornava in Cina e si dirigeva di conseguenza in
Mongolia durante l'estate. La Corte era itinerante e il sovrano poteva soggiornare dentro palazzi
oppure in accampamenti mobili. Il Khan aveva tende per sé e la propria famiglia, oltre che per i
suoi servitori. Quella dei suoi Baroni era così grande che poteva ospitare 1000 cavalieri e aveva
la porta rivolta verso sud. Tra i palazzi reali invece, il più importante era proprio quello di
Cambaluc, costituito con intorno due cinte murarie di forma quadrata e su ciascuna di esse
erano posti 8 palazzi. Tra le due cinte murarie erano presenti giardini che ospitavano diverse
specie di animali selvatici, a nord ovest un lago lago pieno di pesci e a nord una collina di alberi
sempreverdi. Nella grande sala del Palazzo Reale si tenevano banchetti, dove i commensali
erano serviti in vasellame d'oro e d'argento. La tavola dove mangiava il sovrano era più in alto
rispetto alle altre con il viso rivolto a sud. alla sua sinistra era seduta la prima moglie e alla sua
destra i maschi della sua famiglia; Ancora più giù i Baroni e a sinistra le donne della famiglia
imperiale.
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La residenza estiva in Mongolia costituiva il tratto di Unione tra le antiche consuetudini e le
nuove. Già lo stesso Qubilai aveva fatto costruire una città che ruotava intorno alla residenza
imperiale: da un lato vi era un palazzo di marmo e dall'altra un palazzo di legno. Il primo era
per le occasioni ufficiali, mentre quello di legno doveva essere in realtà una tenda per la vita
quotidiana.
Lontano dalla vita del Signore, vi era la quotidianità degli artigiani e dei mercanti, e anche degli
agricoltori. Oltre alle strutture prevalentemente in legno, il letto doveva essere un componente
importante dell’arredo, come le casse di legno e le stoviglie.
Un altro che parla della Cina e Odorico da Pordenone, che era partito per l'oriente nel 1318 ed
era arrivato in Cina probabilmente nel 1323 passando a sud e dopo aver toccato la Persia e
l'India. Egli soggiornò per un po' e ritornò in Italia nel 1330. Ritornato in patria scrisse una
relazione del suo viaggio che fu tramandata, Sulla scia di quello che aveva già detto Marco
Polo. la relazione di Odorico conferma il milione di Marco Polo, aggiornandolo e integrandolo.
Odorico confronta i paesaggi asiatici con i paesaggi che conosce, fornendo tutto sommato
un'immagine della Cina positiva. Secondo questa relazione l'impero mongolo non aveva
problemi di decadenza o di mancata prosperità, ma al contrario la grandiosità e la magnificenza
della sua Corte riflettevano un benessere generale. Egli non poteva criticare un regime
assolutista come quello della curia Pontificia.
Egli fa riferimento alla popolazione maggiormente concentrata nei territori della Cina, mentre,
man mano che ci si avvicinava la Mongolia, il popolamento diminuiva. Egli riporta che nei
territori di confine con la Mongolia la popolazione dimorava in tende fatte di feltro nero
secondo l'antica tradizione mongola, messa in comunicazione tra loro da una fitta rete viaria su
cui erano previste locande e ostelli. Erano chiamati iam case e cortili per i viaggiatori, mentre i
chidebo erano a distanza di tre miglia e servivano per i corrieri. Odorico descrive alcune città,
paragonandole alla rete fluviale di Venezia.
Nella descrizione dei due viaggiatori della vita di Corte, la differenza sta nel fatto che il
francescano non nomina mai un eventuale soggiorno del sovrano per la caccia, ma per tutto il
resto coincidono salvo qualche particolare. Il francescano descrive gli ambienti cinesi come
attraenti e bellissimi, mentre il resto dei territori asiatici fuori dalla Cina viene presentato come
spaventoso e pericoloso.
L’India e le isole dell’Oceano Indiano.
Odorico da Pordenone aveva toccato le coste indiane durante il suo viaggio verso la Cina ed era
sbarcato vicino a Bombay a fine Aprile del 1321. Aveva continuato il viaggio toccando le coste
di Sumatra, Java e dell'Indocina, quindi toccò le coste dell’India centro meridionale e alcuni
porti. Al mondo indiano il frate francescano dedica una parte della sua Relatio e del Memoriale,
raccontando in una successione disordinata le tappe del suo percorso, gli usi i costumi e le
caratteristiche di abitanti e luoghi. Egli contrappone nettamente il mondo indiano da quello
cinese facendo leva su aspetti positivi e su aspetti negativi. Egli parla poco delle modalità del
popolamento nella penisola indiana, ma sappiamo che il quadro di riferimento
dell’insediamento è la città: città intesa come scali commerciali e qualificate delle loro
principali risorse e attività economiche.

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Anche nel Milione l'attenzione le dinamiche del popolamento nella penisola indiana è
decisamente scarsa. Marco Polo fornisce le indicazioni di distanze, clima e delle risorse
economiche degli abitanti, contrapponendo il tutto all'occidente. L'esperienza di prima persona
e l'inserimento pieno in quest’altra compagine sociale manca, nonostante i 17 anni di soggiorno.
L'immagine dell'India come terra di meraviglie fa breccia nel cuore di Marco Polo, che recupera
elementi di fantasia a fianco di considerazioni sulle concrete condizioni di vita in quella terra e
sulle ricchezze. Egli racconta fantasticamente i tre modi attraverso i quali erano soliti procurarsi
diamanti gli uomini del Regno che si estendeva dal Maabar alla valle del Kistna. Egli al
contrario di Odorico, rispetta l'ordine dell'elencazione dei suoi scali, da Oriente a Occidente.
Egli racconta delle isole dell’Oceano indiano, coperte da un fitto manto boschivo e
descrivendone le caratteristiche. Il modello urbano come centro organizzativo del popolamento
e della vita associata era considerato uno degli elementi determinanti per valutare il grado di
civilizzazione di un luogo da parte di un rappresentante della cristianità occidentale.
Tra Mediterraneo e l'Oceano indiano esistevano relazioni commerciali fin dal I secolo a.C., i
rapporti si erano interrotti con la caduta dell'impero e si erano sviluppati nuovamente con la
mediazione bizantina e musulmana dei mercanti persiani e arabi. L'espansione medievale aveva
portato a diversi incontri di culture differenti, come il Libro di Ruggero, scritto dal geografo Al-
Idrisi nel XII secolo per il re normanno Ruggero, libro che raccoglie le informazioni che gli
provenivano da mercanti e viaggiatori, descrivendo le coste di Sumatra. Anche il persiano al-
Qazwini, vissuto nel XIII secolo, ci ha lasciato un testo di cosmografia e uno di geografia. Il
più importante scrittore di queste terre e sicuramente Ibn-Battuta, nato a Tangeri intorno al 1304
e morto intorno al 1369. egli fece un viaggio dal 1325 al 1353 attraverso il mondo musulmano
percorrendo Africa e Asia. Egli dopo il suo viaggio dettò le sue memorie e le mise per iscritto.
Egli annota che era arrivato via terra in India ed era rimasto lì dal 1333 al 1343. Poi si era
spostato come ambasciatore in Cina toccando diverse isole durante il viaggio, come le Maldive.
Egli racconta che non c'erano città vere e proprie e l'unico insediamento degno di nota era
quello sull'isola di Male. Erano costruzione interamente in legno con tetto di paglia. gli apparve
meglio organizzata l'isola di Ceylon, pur suddivisa tra potentati diversi. percorse le sue coste e
poi si diresse verso la Cina, la cui descrizione però, risulta più confusa e meno accurata. I
traffici in India e Cina erano condotti da mercanti musulmani, ma dopo il 1368 e l’arrivo della
dinastia Ming, vi furono forti reazioni xenofobe e una chiusura all’esterno.
La semplicità costruttiva delle abitazioni delle isole è confermata anche dal viaggiatore veneto
Niccolò di Conti, che visitò l’Oriente tra il 1415-39 e dettò a Poggio Bracciolini, cancelliere
papale, la narrazione dei suoi viaggi. Egli descrive l’isola di Sumatra come dotata di case basse,
per difendersi dall’eccessivo ardore del sole. Sulla stessa linea si pongono le osservazioni
dell’Itinerario di Lodovico de Varthema, che tra il 1500-08 si spostò tra il Mediterraneo e il
Medio Oriente. Si sofferma a lungo a Sumatra. Un carattere comune delle case isolane era
quindi quella di essere bassa e sviluppate a pianterreno. Anche nell’arcipelago delle Molucche
si riscontra questo tipo di insediamento. Man mano che il tempo passava, gli esploratori si
spingevano più a fondo nella perlustrazione del continente asiatico e le memorie di viaggio
tendono progressivamente a perdere l'elemento favolistico presentando maggiore attenzione alla
concretezza delle condizioni di vita delle popolazioni con cui viaggiatori venivano a contatto.
Questo fu comunque un processo lento, poi che l'oriente suscitava sempre grande stupore e
mistero. Venne creato quindi nell'immaginario collettivo medievale un mondo fantastico posto
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ai margini delle terre conosciute in cui poteva avverarsi l'antico sogno cristiano di trovare la
chiave d'accesso al paradiso terrestre. Dell'india erano soprattutto frequentati e conosciuti porti
gli scali commerciali, verso i quali si erano diretti in un primo momento i mercanti musulmani e
in seguito anche i viaggiatori occidentali. Giovanni da Montecorvino frequentò quei mercati e li
descrisse all'interno di un territorio molto ampio e politicamente frammentato. Egli descrive le
grandi città come una serie di edifici vi aspetto miserabile costruiti in fango e frasche. Le
osservazioni di Nicolò di Conti presentano un carattere riepilogativo, essendo riferite non a
singole realtà locali ma in gran parte dell'india. Egli descrive che a tavola il cibo veniva servito
con stoviglie e tovaglie, risultando questo fattore discriminante a livello sociale: i poveri
dovevano accontentarsi di mangiare accovacciati servendosi delle mani, mentre i ricchi
mangiavano a tavola. Ludovico di Varthema si sposta di città in città ma ricorda elementi
distintivi del singolo centro e di tutte le regioni collegate adesso. come è avvenuto per Nicolò,
anche Ludovico era interessato ai nuclei urbani, ma a differenza del primo, l'elemento
discriminante che li caratterizza non è la loro dimensione quanto il fatto di essere ben murati
come le città europee. I descrive Calicut e le città limitrofe definendo la città portoghese di
Cananor come una città grandissima con il palazzo del suo sovrano pieno di ricchezze. A
colpire l'italiano è l'abbondanza delle luci che di notte illuminavano la sala delle udienze,
considerata simbolo di sfarzo e lusso. Il sovrano mangiava seduto in terra assumendo il cibo
posato su di una grande foglia all'interno di un bacino di legno che gli veniva preparato e porto
da quattro bramini.
L'arabo Ibn Battuta arrivò in India per via terra, provenendo dall' Asia centrale e ci ha lasciato
importanti notazioni sulla parte continentale del paese. dopo aver attraversato il passo Khyber
penetrò nella valle dell'Indo raggiungendo nel 1333 Multan, che all'epoca era la capitale
militare delle terre di confine occidentale del sultano di Dehli. Nel 1206 la città di Delhi fu
proclamata capitale di un nuovo stato militare musulmano che estese la sua influenza su gran
parte dell'india. Nel 1333 il governante era Muhammad Tughluk, della dinastia dei thuglukidi
(1320-1414) e Ibn Battuta si pose il suo servizio per molto tempo come giudice e custode del
mausoleo del sultano sovrintendendo alle diverse funzioni connesse a questo incarico. Questo
mausoleo prevedeva una moschea, un Accademia, un eremo e ostelli per poveri e viaggiatori.
La popolazione si distribuiva in due capitali, Delhi e Daulatabad, fondata nel 1326. Gli abitanti
di questa seconda capitale avevano abitazioni comuni di fango e paglia, in contrasto con la
capitale principale. La prima Delhi musulmana era un campo fortificato dentro la città vecchia
degli indù. qui fu costruita la moschea pubblica è un complesso di mausolei, oltre a una grande
torre in blocchi di arenaria. Ibn Battuta ricevette in dotazione in questa zona una casa dove visse
per diversi anni. Egli scrive nella sua Rihla da un lato Delhi come una delle più grandi città
dell’India, ma dall'altra parte la descrive come spopolata e vuota. Nel 1341 lasciò
definitivamente Delhi essendo stato nominato capo di una missione diplomatica dal sultano
presso l'imperatore mongolo. Egli arrivò a Daulatabad, a quell'epoca già decaduta, ma ancora
prospera per i commerci. La città era composta di due parti: una Cittadella fortificata ubicata
sulla sommità di un'altura di granito con pareti a strapiombo che si stagliavano sulla pianura
circostante e raggiungibile solo con passerelle e scale, e la città vera e propria, che si estendeva
sud e ad est del castello ed era circondata da una cinta muraria del diametro di 4 km. Come per
la città di Delhi, sembra esserci una netta separazione del nucleo fortificato, dalla parte
militarizzata del centro urbano, della parte residenziale dello stesso, punteggiata dagli edifici
pubblici.
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L’area islamica.
Il pensatore tunisino Abd az-Rahman ibn Khaldun (1332-1406), scrivendo tra il 1375-78 i
Prolegomeni alle tre parti del suo Libro degli esempi storici e utilizzando come materia
principale delle osservazioni le vicende della sua patria, elabora una visione del divenire storico
avente come tema centrale il ciclico scontro del mondo nomade e del mondo sedentario. I
contatti tra nomadi-pastori del deserto delle steppe e le società stanziali, da tempi lontanissimi si
erano sviluppati all’insegna di un atteggiamento pacifico, favorendo lo scambio di merci di
elementi culturali, all’insegna della minaccia dei primi nei confronti delle seconde, più ricche e
prospere. A partire dal XVIII secolo a.C. Invasori nomadi si riversarono su insediamenti
agricoli a più riprese saccheggiando le città e devastando i territori. L'ultimo grande movimento
nomade si verificò nel XIII secolo con i mongoli e i loro alleati turchi che mossero dall'Asia
centrale fino all'occidente. Ma gruppi di popolazioni nomadi continuarono anche in seguito,
soprattutto a livello locale, a costituire una minaccia intermittente per le comunità sedentarie.
Questo si verificò nel Nord Africa a scapito delle comunità di agricoltori berberi che abitavano
le vallate dell’entroterra, sfidando l'autorità dei mamelucchi. Anche l'islam si era affacciato
sulla scena mondiale nel VII secolo in concomitanza con la massiccia fuoriuscita dal deserto
dell’Arabia di pastori nomadi di lingua araba sotto la guida di Maometto. l'Arabia preislamica
aveva una struttura politica sociale ed economica diversa a seconda delle latitudini: a sud vi
erano tribù organizzate in città stato dedito all'agricoltura e commerci; A nord tribù beduine
nomadi che si spostavano tra steppe e deserti dedicandosi alla pastorizia; al centro beduini e
città attiva commercialmente. Soprattutto al centro sud il confine tra nomadi e sedentari era in
continua oscillazione, in quanto la vita nomade poteva essere una scelta imposta da raccolta
insufficienti e la si poteva abbandonare per tornare a un regime di vita stanziale agricolo.
L'espansione araba verso il Medio Oriente e lungo le direttrici occidentali portò i cavalieri del
deserto a contatto con due grandi stati in crisi, l'impero bizantino e quello sassanide: nella vita
sociale questo incontro-scontro comportò profondi cambiamenti legati alla presa di possesso dei
vasti e fertili domini continentali, punteggiati di centri urbani con una lunga storia alle spalle, a
volte attivi e vivaci e a volte solo testimonianze dei passati splendori. Il mondo musulmano fu
teatro di un prodigioso rigoglio urbano tra VIII e XI secolo; in questo periodo la preminenza del
centro urbano fu una costante nel mondo musulmano. La vasta rete urbana guidata dai
musulmani andò da Samarcanda a Cordova e supera di molto in quanto a forza ed estensione il
movimento di urbanizzazione dell'impero romano ed è pari al grande movimento di creazione
urbana del periodo ellenistico. Dall' XI al XVI secolo si assistette ad una continua espansione
dell'islam, come fede religiosa e modello coerente di civilizzazione. Questa diffusione dell'islam
in nuove zone fu favorita da un lato dall’avanzata delle popolazioni di nomadi musulmani turchi
dell'Asia centrale al Medio Oriente ed alla loro espansione verso l'Oriente sino all'India, e
dall'altro dall’ininterrotta migrazione dei mercanti musulmani nelle terre che si affacciavano
sull’Oceano indiano. Le conquiste dei mongoli furono una grave minaccia per l'esistenza della
civiltà islamica, per la loro politica di massacri e saccheggi e manifestazione del loro rifiuto
iniziale per la vita sedentaria, urbana e agricola. Alla fine, si dovettero confrontare con molti
aspetti del mondo musulmano. Ibn Battuta e Marco Polo ebbero modo di vedere quei territori e
di rendersi conto di quanto alcune di queste aree potessero essere spopolate e inospitali. Marco
Polo sottolinea il ruolo prevalente dei centri commerciali sottolineando talvolta l'aspetto di
città-giardino e l'apparato fortificatorio. Il frate Niccolò da Poggibonsi, che nel 1346 si recò in
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pellegrinaggio in Terra Santa, faceva fatica a concepire una vita priva di radici. Egli incontrò a
Damasco pastori nomadi che attaccarono la sua carovana. Quello che però colpiva ancora i
viaggiatori occidentali nel mondo musulmano e sempre la presenza di grandi e popolose città.
Nel territorio che prima della conquista islamica faceva parte dell'impero sassanide, la forza
urbana si poggiava su una tradizione antichissima rivitalizzata a partire dal califfo al-Mansur,
che fondò nel 762 la città di Baghdad, sullo sbocco nel Tigri del canale navigabile che lo
collegava al fiume Eufrate. Artigiani e operai edificarono un centro urbano di pianta rotonda
raccolto intorno al palazzo e alla moschea principale e formato da una serie di cinte
concentriche, e racchiusi entro un bastione munito di 360 torri, quattro porte d'accesso e un
fossato. L'espansione della popolazione favorì un’estensione della città a sud dove si sviluppò il
quartiere del commercio dell'artigianato e verso est, dove, attraversato da un ponte di barche fu
edificato un quartiere residenziale con il palazzo del califfo. Il declino avvenne a partire dai
turchi selgiuchidi e si compì definitivamente con la conquista mongola nel 1258.
L'ebreo Beniamino di Tudela raccontò in un diario redatto in ebraico il suo viaggio in Asia.
Egli parla di Baghdad come una città molto grande circondata da mura e situata fra palmizi, orti
e giardini. La sua non è l'unica testimonianza di questa florida città e di altre città della
Mesopotamia. Baghdad era ubicata all'incrocio di vie fluviali e il principale materiale da
costruzione era l'argilla dei terreni alluvionali, seccata al sole o cotta nel forno. Il legno era raro
e bisognava importarlo dalle regioni limitrofe e a grande prezzo. Nel mondo musulmano i
boschi erano pochi e spesso le popolazioni l’ottenevano attraverso razzie. Anche la pietra era
poco utilizzata tranne che per le opere di piccole dimensioni. La tecnica costruttiva più diffusa
nel mondo musulmano era la muratura in mattoni, impiegati per le volte, a causa della scarsità
del legno. I muri delle abitazioni erano solitamente di mattoni e ricoperti internamente di
rivestimenti di gesso scolpito e dipinto o più frequentemente di piastrelle di maiolica decorata.
La tecnica del mosaico rimase in auge grazie all’influenza dei territori un tempo bizantini, ma
l'argilla dominava per i mattoni cotti al sole dei muri delle costruzioni e per la terra cotta
verniciata dei rivestimenti murali.
Nella parte orientale dei territori un tempo sassanidi la posizione delle città era determinata
dalle piste carovaniere. Una delle più importanti era Samarcanda, ubicata in una posizione
strategica: essa aveva una pianta a raggiera suddivisa in quattro cerchi concentrici delimitati da
altrettante cinte murarie. Al centro vi era la cittadella, poi la città propriamente detta, i
sobborghi e infine la zona coltivata a orti dell'oasi. Le strade erano lastricate e un canale forniva
l'acqua al centro urbano, abbellito da fontane e giardini. Baghdad fu la capitale della dinastia
abbaside, mentre Damasco in passato era stata la capitale della dinastia omayyade. La sua
posizione di antica città centro di mercato, poi sottoposta al dominio bizantino, aveva permesso
ai califfi di godere delle comodità cittadine e di dedicarsi ai piaceri della vita beduina e della
caccia. Beniamino di Tudela la descrisse come una città bellissima circondata da fiumi, giardini
e mura. Altri mercanti e viaggiatori rimasero incantati da questa meravigliosa città e dai suoi
giardini.
Il legno veniva utilizzato come materiale da costruzione e per la pavimentazione veniva
utilizzato il mosaico. La Siria settentrionale era la zona più ricca di foreste all'epoca e per
questo il suo legno era molto richiesto. Frate Nicolò sottolinea nella sua relazione di viaggio i
lavori che potevano essere trovati in quella zona e vengono identificati anche dei lavoratori che
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preparavano da mangiare per strada. Altri pellegrini ci attestano questa usanza appunto anche il
fiorentino Simone Sigoli parla di Damasco e la descrive come una città che utilizzava tecniche
di muratura piuttosto che del legno e le case avevano spesso un cortile interno come oasi di
frescura e di svago.
Nei territori ex bizantini egiziani, i centri di Alessandria e del Cairo ebbero notevole sviluppo.
Essi si sviluppavano come città al centro della vita fluviale ed all'età ellenistica in avanti ebbero
sempre grande fioritura. Ciò che colpisce pellegrini di queste città e la grandezza delle stesse e
la grande densità di popolazione. Sia Sigoli che frate Nicolò riportano che la città del Cairo non
era circondata da mura, ma era delimitata da un fossato e dal fiume Nilo. Il Cairo divenne la
capitale del Regno mamelucco e la residenza di quasi tutta la classe dominante turca, oltre che
essere punto di incrocio delle vie commerciali e di traffico dal Mar Rosso al Nilo. Erano
disseminati nella città il castello del sultano, chiese e moschee, piazze, mercati e abitazioni,
spesso molto alte. Nella zona del deserto svettavano le piramidi, che cominciavano lentamente
ad interessare i viaggiatori. Nel 1303 il Cairo era stato vittima di un violento terremoto che
aveva distrutto parte degli edifici pubblici. gli architetti mamelucchi preferivano utilizzare le
pietre ai mattoni e alla calce. In legno era scarso e molto caro, come il ferro, in gran parte di
importazione. Alcune fonti confermano che la carestia di legname aveva obbligato gli uomini
ad usare come combustibile foglie di datteri e sterco di cammelli. Le abitazioni erano molto
essenziali per quanto riguarda arredi e suppellettili domestiche: amache fatte con i rami delle
palme da dattero o pagliericci posti sul pavimento o su di una lettiera, coperti o meno di drappi.
Questi fungevano da letti e vista la scarsità di legno erano poche le panche e i cofani per riporre
le cose. Inoltre, i fiaschi di cuoio e ceste fatte con le foglie di datteri erano il massimo della
comodità. Nel corso del ‘400 la città si presentava agli occhi dei viaggiatori immutata nel suo
splendore, non circondata da un circuito murario ma frammentata in isole delimitate, in quanto
ogni strada e ogni piazza erano chiuse da proprie porte con moschee, il castello del sultano e
all'esterno le case povere. Ludovico di Varthema trovò la città un po' decaduta a inizio del
secolo successivo.
La città di Alessandria apparve ai viaggiatori una città dotata di mura, templi e bellissimi
palazzi, chiassosa e trafficata. Le alte case erano edificate sul vuoto per mezzo di arcate e
pilastri, con un sistema sotterraneo di canali e pozzi. Il porto aveva un faro collegato alla terra
ferma da un lungo molo ed era facile distinguere la città vecchia dalla nuova. Le case erano
sviluppate verso l'alto con cortili interni e loggiati. Il governatore della città per conto del
sultano dimorava in un palazzo molto grande e spazioso. Nel suo Itinerario di Terra Santa, il
frate Faostino da Toscolano descrisse la città ormai decaduta aggiungendo particolari
sull’edilizia residenziale dopo aver soggiornatovi nel 1633. Come materiale da costruzione fu
usata ampiamente la pietra arenaria che in quella zona abbondava.
Anche nell'occidente arabo si sviluppavano fenomeni di rinascita urbana. Nella penisola iberica
crebbero soprattutto i centri antichi e particolarmente, la città di Cordova. In Sicilia si sviluppò
Palermo che fu descritta dal monaco Teodosio nell’878 come città rinomata e popolosa. Poco
dopo il 670 fu fondata la città di Tunisi, che si affermò come ottimo porto, ben difeso da un
complesso di fortificazioni. Lo sviluppo urbano in Africa settentrionale fu favorito
dall’intensificarsi delle relazioni con la penisola iberica e la Sicilia e con l'aprirsi di un nuovo
orizzonte commerciale con il Sudan. Nel corso dei primi secoli medievali si andò a sviluppare
anche il regno del Ghana consolidando il commercio dell'oro delle proprie ragioni. Nel XIII
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secolo si sostituì ad esso il regno del Mali. Nell'impero del Mali si recò Ibn Battuta nel 1351 e
dopo un viaggio lungo e difficile raggiunse la capitale. Era una cittadina priva di mura e situata
in una zona verdeggiante collinare, con i palazzi fortificati del sovrano, uno dei quali era stato
intonacato e dipinto con disegni colorati. Le moschee e le abitazioni della popolazione erano
case di fango non intonacate e ricoperte da cupole di legno e canne. La civiltà musulmana
dall'Africa all' Asia e passando per l'Europa si espanse privilegiando le città come insediamenti.

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