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A.A.

2018/2019
“Libertà è partecipazione”
(Giorgio Gaber)

Questi “appunti integrati” delle lezioni dei corsi di Medicina sono a cura del Gruppo Sigfied.

Per correttezza, abbiamo deciso di scrivere qualcosa sul Gruppo Sigfied, sul perché è nato e su
quali sono i suoi obiettivi.

Nel giugno dell’A.A. 2009-2010, noi, un gruppo di studenti dell’allora III anno, abbiamo deciso di
iniziare a recuperare materiali ed appunti di ogni lezione che seguivamo, a partire dal corso di
Patologia Generale. Da allora, con il contributo di numerosissimi studenti, abbiamo cominciato ad
elaborare, per tutti i corsi, appunti integrati con i materiali presentati a lezione, con informazioni
rielaborate e tratte dai testi di riferimento, con consigli utili per affrontare l’esame.

Così, spontaneamente e per rispondere ad un’esigenza comune, è nato il Gruppo Sigfied.

L’obiettivo era, ed è tuttora, la condivisione di appunti aggiornati ed organizzati, allo scopo di


rendere più proficua ed efficace la nostra attività di studio.

Il nostro è un lavoro gratuito di collaborazione fra studenti, senza fini di lucro: chiunque sia
disponibile a dare una mano, sia per aggiornare le vecchie dispense che per elaborarne di nuove,
è ben accetto.

I file degli appunti sono inviati alla Biblioteca di Medicina che provvede a metterli a disposizione
degli studenti chiedendo il rimborso dei costi sostenuti per le spese di stampa e rilegatura.

Dichiarazione di esclusione di responsabilità:

- gli appunti NON sostituiscono i libri di testo, ma costituiscono un aiuto, crediamo molto
valido, per orientarsi nello studio delle singole materie;

- per la loro stessa natura, gli appunti delle lezioni non sono privi di errori sia di forma che di
contenuto: vale la regola aurea di verificare dati e concetti consultando le fonti ufficiali.

In bocca al lupo a tutti per gli esami!!!

Gruppo Sigfied
INTRODUZIONE AL METABOLISMO DEI MACRONUTRIENTI E ALLA GLICOLISI 9
INTRODUZIONE ED EVOLUZIONE DELLA GLICOLISI 10
GLUCOSIO 11

GLICOLISI 12
ASPETTI GENERALI 13
LE DUE FASI DELLA GLICOLISI 14
FORMAZIONE DI COMPLESSI MULTIENZIMATICI 16
FOSFORILAZIONE DEGLI INTERMEDI 16
VIE ANABOLICHE E CATABOLICHE DEL GLUCOSIO 17
GLICOLISI IN CONDIZIONE AEROBIA O ANAEROBIA 17
ALTRI DESTINI METABOLICI DEL PIRUVATO 19
PERCHÉ DIECI REAZIONI? 19
CARATTERISTICHE DELL’ATP 19
DESCRIZIONE DELLE TAPPE DELLA GLICOLISI 20
PRIME CINQUE TAPPE 20
ULTIME CINQUE TAPPE 24
BILANCIO GLICOLISI 30
CONSIDERAZIONI SULLA GLICOLISI 31
FERMENTAZIONE LATTICA 31
FERMENTAZIONE ALCOLICA 32
PIRUVATO DEIDROGENASI E TIAMINA PIROFOSFATO 33
CARBOIDRATI E GLICOLISI 34

TRASDUZIONE DEL SEGNALE AD OPERA DI ORMONI 35


REGOLAZIONE ALLOSTERICA DELLA PKA 35
GLICOGENO FOSFORILASI: MUSCOLO E FEGATO 40
INGRESSO DEI GLUCIDI 43

REGOLAZIONE DELLA GLICOLISI 45


ENZIMI DI REGOLAZIONE 46
ESOCINASI 48
PFK-1 51
PIRUVATO CINASI 55
FENOMENI DI RILEVANZA BIOLOGICA 56
EFFETTO PASTEUR 56
EFFETTO WARBURG 56

GLUCONEOGENESI 58
INTRODUZIONE 58
PRECURSORI DELLA GLUCONEOGENESI 59
CONFRONTO TRA GLICOLISI E GLUCONEOGENESI 59
PERCHÈ LA GLUCONEOGENESI? 60
GLUCONEOGENESI E CICLO DI CORI 62
SCHEMA GENERALE 63
PROPIONIL-COA PRECURSORE GLUCONEOGENETICO 66
INTEGRAZIONE METABOLICA PER RIFORNIRE LA GLUCONEOGENESI 67
RECUPERO DEL PROPIONIL-COA 68
GLI AMINOACIDI COME PRECURSORI GLUCONEOGENETICI 69
CICLO DI CORI 70
DESCRIZIONE DELLE TAPPE DELLA GLUCONEOGENESI 72
VIE MITOCONDRIALI 73
VIE CITOSOLICHE 74
BILANCIO DELLA GLUCONEOGENESI 76

REGOLAZIONE DELLA GLUCONEOGENESI 76


DESTINO DEL PIRUVATO 76
CONTROLLO ORMONALE SULL’ESPRESSIONE GENICA DEGLI ENZIMI 77
IL CICLO DELL’ALANINA 79
DANNO DA ETANOLO 80

SHUNT DEI PENTOSI 81


ASPETTI GENERALI 81
NADP e NADPH 82
DOVE AVVIENE 82
BILANCIO 83
DESCRIZIONE DELLE FASI 83
PRIMA FASE 85
SECONDA FASE 86
CONTROLLO DELLA VIA 88

CICLO DI KREBS 90
METABOLISMO INTERMEDIO – DECARBOSSILAZIONE OSSIDATIVA 90
CICLO DI KREBS 93
LE OTTO TAPPE DEL CICLO DI KREBS 95
BILANCIO ENERGETICO 101
FUNZIONE ANABOLICA DEL CICLO DELL’ACIDO CITRICO 102
REGOLAZIONE DEL CICLO 107

METABOLISMO DEL GLICOGENO 111


DEGRADAZIONE DEL GLICOGENO 114
MECCANISMO D’AZIONE DELLA GLICOGENO FOSFORILASI 115
FOSFOGLUCOMUTASI 116
SINTESI DEL GLICOGENO 117
GLICOGENO SINTASI I 118
ENZIMA RAMIFICANTE 119
POTENZIALE CICLO FUTILE 119
GLICOGENO FOSFORILASI 120
REGOLAZIONE DEGLI ENZIMI DI SINTESI E DEGRADAZIONE 120

1
PATOLOGIE GENETICHE RELATIVE 125

OMEOSTASI GLICEMICA 127


GLICEMIA 127
CONDIZIONI BASALI 128
L’ASSUNZIONE DI GLUCIDI 128
REGOLAZIONE DELL’OMEOSTASI 130
LIVELLI DELLA GLICEMIA 131
TESSUTO ADIPOSO 131
CORPI CHETONICI 132
CONTROLLO ORMONALE DELLA GLICEMIA 133
CENNI SU INSULINA 133
IPERGLICEMIA e IPOGLICEMIA 135
CAUSE 135
DIABETE 136
TEST DIAGNOSTICI 136
FARMACI BIOTECNOLOGICI 143
SVANTAGGI DELLE BIOTECNOLOGIE 145
INSULINA 146
FORMAZIONE DELL'INSULINA 146
RECETTORI INSULINICI CON ATTIVITÀ TIROSINA CHINASICA 147
EFFETTI INSULINICI SUI TESSUTI BERSAGLIO 148
FUNZIONI DELL'INSULINA 150
CONSEGUENZE DATE DA CARENZA DI INSULINA 151

METABOLISMO DELLE BASI AZOTATE, DEI NUCLEOSIDI E DEI NUCLEOTIDI 152


TAPPA ZERO 156
METABOLISMO DEI NUCLEOTIDI PURINICI 157
BIOSINTESI DE NOVO DELLE PURINE 157
VIE DI RECUPERO/SALVATAGGIO 165
VIE DI INTERCONVERSIONE DELLE PURINE 166
CATABOLISMO PURINE 168
PATOLOGIE ASSOCIATE 170
METABOLISMO DEI NUCLEOTIDI PIRIMIDINICI 173
BIOSINTESI DE NOVO DELLE PIRIMIDINE 174
VIE DI RECUPERO/SALVATAGGIO DELLE PIRIMIDINE 187
VIE DI INTERCONVERSIONE DEI NUCLEOTIDI 188
CATABOLISMO DELLE PIRIMIDINE 188
PATOLOGIE ASSOCIATE 190
REGOLAZIONE DELLA SINTESI IN FUNZIONE DEL CICLO CELLULARE 192
INIBITORI DEL METABOLISMO DEI NUCLEOTIDI PURINICI E PIRIMIDINICI 193
ANTIMETABOLITI PURINICI E PIRIMIDINICI 193
EFFETTI TOSSICI DEGLI ANALOGHI 196

2
METABOLISMO DEGLI AMMINOACIDI 198
DIGESTIONE DELLE PROTEINE 200
ASSORBIMENTO DEGLI AMMINOACIDI 202
TURNOVER PROTEICO 203
DEGRADAZIONE INTRACELLULARE LISOSOMIALE 204
SISTEMA UBIQUITINA-PROTEASOMA 205
CLASSIFICAZIONE DEGLI AMMINOACIDI 207
PRINCIPALI REAZIONI DEGLI AMMINOACIDI 207
CICLO DELL’UREA 216
TAPPE DEL CICLO DELL’UREA 220
COLLEGAMENTO CICLO DELL’UREA-CICLO DI KREBS 225
DIFETTI GENETICI DEL CICLO 226
CATABOLISMO DEGLI AMINOACIDI 227
FAMIGLIA DEL PIRUVATO 229
FAMIGLIA DELL’OSSALACETATO 232
FAMIGLIA DEL GLUTAMMATO 233
FAMIGLIA DEL SUCCINIL-COA 234
FAMIGLIA DELL’ACETOACETIL-COA ed ACETIL-COA 238
FAMIGLIA DEL FUMARATO 243
COFATTORI 244
ANABOLISMO DEGLI AMMINOACIDI 250
MOLECOLE CHE DERIVANO DAGLI AMINOACIDI 262
NEUROTRASMETTITORI DAGLI AMINOACIDI 266

METABOLISMO DEL FERRO 270


IL FERRO 270
DISTRIBUZIONE DEL FERRO NELL’ORGANISMO 271
IL CONCETTO DI “METABOLISMO CHIUSO” 271
FERRO E ALIMENTI 272
ASSORBIMENTO 272
PRINCIPALI PROTEINE DEL METABOLISMO DEL FERRO 274
DMT1 274
FERRITINA 275
FERROPORTINA 275
TRANSFERRINA 275
RECETTORI DELLA TRANSFERRINA 276
MECCANISMI DI REGOLAZIONE DELLA CONCENTRAZIONE DI FERRO 279
REGOLAZIONE CELLULARE 279
REGOLAZIONE SISTEMICA 280
ALTERAZIONI DEL METABOLISMO DEL FERRO 282
EMOCROMATOSI 283
ESAMI POSSIBILI 283
TERAPIA 284

3
RIASSUNTO 285
EPCIDINA 285
MECCANISMI MOLECOLARI CHE PORTANO ALLA SINTESI DI EPCIDINA 286

GRUPPO EME e PORFIRIE 287


SINTESI DEL GRUPPO EME 287
PORFIRINE 287
GRUPPO EME 288
TAPPE DELLA SINTESI DEL GRUPPO EME 288
RIASSUNTO DELLE TAPPE 290
REGOLAZIONE DELLA SINTESI DI EME 291
PORFIRIE 291
CAUSE BIOCHIMICHE PRINCIPALI DEI DANNI NELLE PORFIRIE: 292
TIPOLOGIE DI PORFIRIE 293
RIASSUNTO 294
PATOLOGIE LEGATE ALLA SINTESI DELL’EME 295
REGOLAZIONE DELLA SINTESI DELL’EME 295
EFFETTI DEL PIOMBO 296
FONTI DI PIOMBO E ASSORBIMENTO 297
MECCANISMO DI AZIONE DEL PIOMBO 297
DEPOSITO DEL PIOMBO 297
INDICATORI ED EFFETTI DA PIOMBO 298
DEGRADAZIONE DELL’EME 299
LA BILIRUBINA 300
ITTERO 303
ITTERO PREEPATICO O EMOLITICO 303
ITTERO EPATOCELLULARE O EPATICO 304
ITTERO POSTEPATICO 304

LIPIDI 305
ACIDI GRASSI E TRIGLICERIDI 306
ACIDI GRASSI 306
TRIGLICERIDI 308
ASSORBIMENTO E TRASPORTO 310
ASSORBIMENTO 311
LA BILE 314
LE LIPOPROTEINE DI TRASPORTO 316
METABOLISMO DELLE LIPOPROTEINE 317
FORMAZIONE DELLE LIPOPROTEINE 319
CATABOLISMO 322
LIPOLISI 322
ATTIVAZIONE DEGLI ACIDI GRASSI 325
BETA OSSIDAZIONE 327
I CORPI CHETONICI 334

4
DIGIUNO 337
BIOSINTESI DEGLI ACIDI GRASSI 339
CONDIZIONI IN CUI AVVIENE 339
ACETIL-COA CARBOSSILASI 340
FAS 340
CICLO DI REAZIONI 342
REGOLAZIONE 344
SINTESI DI ACIDI GRASSI A CATENA LUNGA 346
FORMAZIONE DI DOPPI LEGAMI 347
BIOSINTESI DI TRIGLICERIDI 350
LIPIDI DI MEMBRANA 351
GLICEROFOSFOLIPIDI 353
SFINGOLIPIDI 357
DEGRADAZIONE 360
PATOLOGIE 361
FOSFOLIPIDI COME SEGNALI 363
BIOSINTESI DEI FOSFOLIPIDI DI MEMBRANA 366
REGOLAZIONE DEL METABOLISMO LIPIDICO 370
COLESTEROLO 377
COLESTEROLO PLASMATICO E LIPOPROTEINE DI TRASPORTO 379
BIOSINTESI DEL COLESTEROLO 381
REGOLAZIONE DELLA BIOSINTESI DI COLESTEROLO 386
METABOLISMO ED ESCREZIONE DEL COLESTEROLO 388
BILANCIO DEL COLESTEROLO 391
ATEROSCLEROSI 392
REGOLAZIONE DEL METABOLISMO DEL COLESTEROLO 394
FONTI DEL COLESTEROLO 395
APPROCCI TERAPEUTICI 398

MECCANISMO D’AZIONE DEGLI ORMONI 401


ORMONI STEROIDI 402
RECETTORI STEROIDI 402
FLUSSO DELL’INFORMAZIONE GENICA 404
MECCANISMO GENERALE DI AZIONE DEGLI ORMONI STEROIDI 405
HRE 409
DNA-binding domain 410
PROMOTORE 413
DNA 416
IL COMPLESSO TRASCRIZIONALE ATTIVO E L’ATTIVAZIONE DEL GENE 416
COMPLESSO TRASCRIZIONALE INIBENTE 418
I FATTORI DI TRASCRIZIONE 419
MECCANISMO D’AZIONE DEI CO-INTEGRATORI 421
MODALITA’ DI RISPOSTA 422

5
LA TRASCRIZIONE COME FENOMENO QUANTITATIVO 423
IL MECCANISMO DEL SILENZIAMENTO 424
ESTROGENI E ANDROGENI 426
MOLECOLE STRUTTURALMENTE SIMILI AL 17-β-ESTRADIOLO 426
APPLICAZIONI CLINICHE DEI SERMs 427
MECCANISMO D’AZIONE DEI SERMs 428
ANDROGENI 429
IL RECETTORE PER GLI ANDROGENI 430
PATOLOGIE LEGATE AL RECETTORE PER GLI ANDROGENI 431
ASSE ANDROGENICO 433
TUMORE PROSTATICO 434
ANDROGENI DI SINTESI E DOPING 434
MECCANISMO DI SEGNALAZIONE ORMONALE 436
SEGNALAZIONE CELLULARE E APOPTOSI 436
MECCANISMI DI COMUNICAZIONE CELLULARE 437
MOLECOLE SEGNALE 438
CLASSIFICAZIONE CHIMICA DEGLI ORMONI 438
MECCANISMO MOLECOLARE DELLA TRASDUZIONE DEL SEGNALE 438
RECETTORI 439
CARATTERISTICHE RECETTORIALI 440
LOCALIZZAZIONE E TIPI DI RECETTORI 441
RISPOSTE LENTE 441
RECETTORI DI SUPERFICIE 442
TRASDUZIONE DEL SEGNALE NELLA CELLULA 443
RECETTORI A CANALE IONICO 444
RTK: RECETTORI TIROSIN CHINASI 445
ATTIVAZIONE DI RAS DA PARTE DI UN RECETTORE RTK 447
PROTEINE ADATTATRICI 447
CICLO DI RAS, ATTIVAZIONE DELLA CASCATA DELLE MAP CHINASI E VIA DI
TERMINAZIONE DEL SEGNALE DI RAS 449
MUTAZIONI DI RAS 450
VIA DI TRASDUZIONE DEL SEGNALE ATTRAVERSO PLC GAMMA 452
VIA DI TRASDUZIONE DEL SEGNALE ATTRAVERSO PI3-K 453
RECETTORE DELL’INSULINA 454
TRASDUZIONE DEL SEGNALE SU RECETTORI TIROSIN-CHINASI 456
PI 3-CHINASI 457
ALTRI RECETTORI o LIGANDI 458
FAMIGLIA DI RECETTORI ErbB E LIGANDI 458
PROTEINE TIROSIN CHINASI NON RECETTORI 459
RECETTORE SERINA-TREONINA CHINASI 460
RECETTORI ACCOPPIATI A PROTEINE G 460
RECETTORE MUSCARINICO DI ACETILCOLINA 461
GMP ciclico 462

6
FENOMENI CHE COINVOLGONO GLI ORMONI 463
DOWN REGULATION 463
AGONISTI E ANTAGONISTI 464
DROGHE D’ABUSO: AZIONE 465
ORMONI E COMPORTAMENTO AGGRESSIVO 468

IL SURRENE 469
CATECOLAMINE 470
MECCANISMI DELLO STRESS A BREVE E LUNGO TERMINE 470
CATABOLISMO DELLE CATECOLAMINE 471
CASCATA DI TRASDUZIONE 473
DIFFERENZE TRA ADRENALINA E GLUCAGONE 475
STEROIDI 476
CORTISOLO 476
ALTRI EFFETTI DELL’ACTH 480
STEROIDOGENESI 481
PROTEINA StAR E CITOCROMO P-450 482
MODALITÀ DI TRASPORTO ORMONI STEROIDEI 483
ALDOSTERONE E OMEOSTASI MINERALE 484

TIROIDE E ORMONI TIROIDEI 488


BIOSINTESI 489
REGOLAZIONE e EFFETTI 492
DEFICIT 493

PARATIROIDI E PTH 495


AZIONI DEL PARATORMONE 496
OSTEOPOROSI 497
CALCITONINA 498
CONTROLLO DEL RIMODELLAMENTO OSSEO 500
VITAMINA D 501
INFLUENZA DELLA VITAMINA D SUL RIASSORBIMENTO INTESTINALE DI
CALCIO 502
INFLUENZA DELLA VITAMINA D SULL’OSTEOBLASTO 502

ORMONE DELLA CRESCITA 503


LE AZIONI MEDIATE DA GH E IGF-1: 505
PATOLOGIE 506

CONTRAZIONE 507
ORGANIZZAZIONE MOLECOLARE 507
SARCOMERI 507
IMPULSI NERVOSI 508
PROTEINE CONTRATTILI 508
RAPPORTI ACTINA MIOSINA NELLA CONTRAZIONE MUSCOLARE 509
IL CALCIO 511

7
PERCHÈ IL CALCIO? 511
DA DOVE ARRIVA Ca2+ ? 511
COME SI RILASCIA IL CALCIO ? 512
ALTRE INFORMAZIONI 515
CONDIZIONI DI MASSIMA FORZA MUSCOLARE 515
ACETILCOLINA 516
TIPI DI FIBRE MUSCOLARI SCHELETRICHE 516
FONTI DI ATP DEL MUSCOLO 517
EFFETTI BENEFICI DELL’ATTIVITA’ FISICA SULLA LIPIDEMIA 520
UTILIZZO DELLE FONTI ENERGETICHE NELL’ESERCIZIO FISICO 520
SUGGESTED PROTEIN INTAKE 522

DIAGNOSTICA MOLECOLARE E MEDICINA TRASLAZIONALE 524


RICERCA TRASLAZIONALE 525
FARMACI BIOTECNOLOGICI 526
FASI DELLA RICERCA CLINICA 527
ESEMPI DI FARMACI BIOTECNOLOGICI 529
VACCINI 530
IL GENOMA 531
TEST DIAGNOSTICI E TECNICHE DI MANIPOLAZIONE DEL DNA 532
IBRIDIZZAZIONE E SONDE MOLECOLARI 532
RANDOM PRIMING 533
ENZIMI DI RESTRIZIONE E ELETTROFORESI SU GEL 534
SOUTHERN BLOTTING 535
SEQUENZIAMENTO E RICONOSCIMENTO DI GENI 537
MICROARRAY 537
CLUSTERING 538
MICROSCOPIA 539
DIAGNOSTICA MOLECOLARE E CANCRO ALLA PROSTATA 540
SOTTOPOPOLAZIONI DI CELLULE TUMORALI 540
OMICS 541
RICONOSCIMENTO MORFOLOGICO DEL CaP 542
RICONOSCIMENTO MOLECOLARE DEL CaP 542
PREDIZIONE DEL CANCRO DELLA PROSTATA 543
GENE SIGNATURE 544
ANIMALI TRANSGENICI 546
REAL-TIME QUANTITATIVE PCR 548

8
INTRODUZIONE AL METABOLISMO DEI
MACRONUTRIENTI E ALLA GLICOLISI

Le macromolecole che entrano nel nostro organismo sono proteine, glucidi, lipidi e acidi
nucleici. In particolare, si introducono nell’organismo molti acidi nucleici, che vengono
metabolizzati e devono essere scissi nei loro componenti più semplici: fosfati inorganici,
zuccheri e basi azotate.
Questa scissione è necessaria poiché gli acidi nucleici assunti con la dieta – come succede
anche per carboidrati, proteine e lipidi – non sono compatibili con quelli dell’organismo e
vanno scissi nei loro componenti più semplici per essere poi riassemblati nelle
macromolecole necessarie.

Nello schema in alto si osservano le macromolecole biologiche più complesse ed il loro


flusso: le proteine vengono scomposte negli amminoacidi corrispondenti; i lipidi, ad esempio
i trigliceridi, vengono scomposti in glicerolo e acidi grassi. Per quanto riguarda i carboidrati
complessi, essi vengono digeriti da enzimi all’interno dell’apparato gastroenterico in unità più
semplici, i monosaccaridi. Il monosaccaride di maggior interesse è il glucosio ed è coinvolto
nella principale via di degradazione, ossia la glicolisi.

Bisogna tener presente che se esistono delle vie di degradazione per un tipo di molecola
esistono delle vie di biosintesi che risintetizzano tale molecola, rispettivamente vie
cataboliche e vie anaboliche: la molecola complessa viene degradata, rompendone i legami
in una molecola più semplice, dalla rottura di questi legami si libera energia la quale viene
immagazzinata sotto forma di ATP attraverso una serie di processi (di cui il primo è appunto
la glicolisi) e con la degradazione dell’ATP è possibile liberare l’energia necessaria alle vie di
biosintesi. Questa elaborazione rappresenta il metabolismo.
Anche il DNA viene continuamente riparato, sostituito e modificato, nonostante ovviamente
l’informazione resti la stessa. Allo stesso modo ciò avviene per le proteine, gli enzimi e i
fosfolipidi di membrana, la quale viene continuamente demolita e ricostruita.

9
L’efficienza di questo meccanismo è fondamentale per mantenere lo stato di salute
dell’organismo. Se qualcosa non funziona correttamente, la cellula perde l’omeostasi
energetica e strutturale.

In Biochimica la fase in cui ci sono ancora le macromolecole complesse è detta “Fase 1”, in
cui vi è sempre il passaggio per una tappa importante, ovvero la conversione in Acetil-CoA,
intermedio comune su cui convergono la maggior parte delle vie cataboliche. Questa
molecola andrà ad alimentare un meccanismo di estrazione di energia immagazzinata sotto
forma di equivalenti riducenti [argomenti di Biochimica I necessari: fosforilazione ossidativa].
Questi equivalenti riducenti sono i coenzimi NADH e FADH2 in grado di catturare elettroni e
protoni. Sostanzialmente vengono ossidate le molecole organiche per strappare equivalenti
riducenti, che temporaneamente si immagazzinano in questi coenzimi che da ossidati
diventano ridotti (da NAD a NADH e da FAD a FADH2).
Gli equivalenti riducenti vengono poi utilizzati nel mitocondrio nel processo di fosforilazione
ossidativa, la quale è accoppiata ad un gradiente protonico al fine di produrre ATP e
riossidare questi coenzimi che verranno poi riutilizzati per immagazzinare nuovo potere
riducente.
La reazione finale della fosforilazione ossidativa è la biosintesi di una molecola di H2O: gli
elettroni e i protoni della catena respiratoria cedono il loro potere riducente ad una molecola
d’ossigeno che viene ridotta appunto a H2O. È necessario l’ossigeno affinché il metabolismo
proceda, in quanto questo rappresenta l’accettatore finale della catena respiratoria, senza
cui non sarebbe possibile produrre ATP.

INTRODUZIONE ED EVOLUZIONE DELLA GLICOLISI


La glicolisi è una delle vie più importanti per il catabolismo, nella quale il glucosio viene
degradato parzialmente attraverso un processo complesso. Questa è la via metabolica
meglio conosciuta, poiché è stata la prima ad essere studiata e identificata per intero (ha
quindi una rilevanza storica), poiché tutti gli organismi noti fanno glicolisi, dagli organismi più
semplici unicellulari ai più complessi, piante comprese, di conseguenza è la più diffusa dal
punto di vista filogenetico.
Tuttavia, a seconda dell’organismo preso in considerazione, può cambiare molto il prodotto
finale e questo varia soprattutto a seconda del luogo nel quale questi organismi vivono.
Dunque, poiché le differenze possono essere anche sostanziali, lo studio si limiterà alla
glicolisi dell’organismo umano.
È fondamentale ricordare che almeno il 60% delle calorie dell’organismo sono carboidrati e
di conseguenza la maggior parte dell’energia ricavata fluisce all’interno di questa via.

Le ricerche che sono state fatte riguardo alla glicolisi hanno permesso di definire la struttura
chimica e le funzioni di ATP, di cofattori, di coenzimi come il NAD, ed inoltre a definire
meccanismi di regolazione enzimatica come quelli di tipo allosterico o covalente.
Da questi studi sono state gettate le basi per tradizionali metodi di laboratorio: metodo di
purificazione delle proteine, degli enzimi, saggi enzimatici, studi strutturali.

10
GLUCOSIO
Il glucosio (C6H12O6) è una molecola relativamente semplice che soggetta a combustione
libera energia. L’ossidazione completa del glucosio, che porta ad ottenere la massima
energia possibile da questa molecola, richiede che siano separati tutti gli atomi di carbonio,
ottenendo 6 molecole di CO2 e di H2O. Tuttavia, la glicolisi non arriva fino a questo punto.

Per ossidare completamente una molecola di glucosio, il modo più sbrigativo è bruciarla e,
facendo avvenire la combustione in una bomba calorimetrica (calcola il calore sprigionato
dalla reazione), si ottengono 4 kcal/g corrispondenti a 2840 kj/mol.
[4 kcal sono prodotte da ogni glucide soggetto a combustione, 4 kcal sono invece per
grammo di proteine e 9 kcal per grammo di lipidi]
Per farlo, però, si deve arrivare fino alla completa degradazione, dunque strappare tutto il
potere riducente, farlo entrare nei mitocondri e utilizzare la fosforilazione ossidativa che alla
fine consente di liberare CO2 e H2O.
Questo processo è detto respirazione cellulare, ovvero il percorso che compie l’ossigeno
per arrivare fino ai mitocondri ed essere utilizzato nella catena respiratoria. Come detto,
però, la glicolisi si ferma prima.

Mentre il glucosio viene degradato, si possono ottenere anche dei prodotti intermedi
prodotti dalla parziale degradazione, che sono precursori e possono essere utilizzati per altre
vie di biosintesi.

Inoltre il glucosio è una molecola che può essere facilmente conservata ad alte
concentrazioni perché scarsamente tossica. L’unico difetto di conservazione è la sua affinità
per l’acqua, data dal fatto che possiede molti gruppi OH ed ha quindi potere osmotico,
ovvero richiama acqua. Quindi, se la cellula conserva molto glucosio libero, questo richiama
molecole d’acqua, con rischio di shock osmotico.
Per poter conservare quantità maggiori di glucosio la cellula genera dei polisaccaridi, in
quanto ciò riduce il potere osmotico. Un esempio di polisaccaride di origine vegetale è
l’amido, mentre nelle cellule animali, dove si immagazzina meno glucosio, si produce il
glicogeno. Esistono poi anche disaccaridi come il saccarosio (vegetale) ed il lattosio
(animale), entrambi a scopo prevalentemente alimentare.

Il glucosio circola liberamente nell’organismo (glucosio ematico) e la sua concentrazione è


chiamata glicemia. L’organismo fa un grande sforzo per conservarla il più possibile costante
in qualsiasi condizione, attuando quindi un’omeostasi glicemica.
A riposo, il 50% del glucosio ematico è consumato dal sistema nervoso centrale e
periferico, che ne costituisce quindi il principale consumatore. I neuroni necessitano di un
costante afflusso di glucosio da utilizzare e, di conseguenza, sono i primi a subire gli effetti
della carenza: l’ipoglicemia provoca infatti coma ipoglicemico. I neuroni funzionano soltanto
in condizioni aerobie. Essi catturano il glucosio in circolo, che è una delle poche molecole
in grado di attraversare la barriera ematoencefalica, e lo utilizzano prima per la glicolisi e
successivamente anche per tutti gli altri processi fino alla fosforilazione ossidativa,
rilasciando infine CO2 e H2O.

11
Altre cellule strettamente dipendenti dal glucosio sono gli eritrociti che, essendo privi di
mitocondri, sfruttano proprio la via glicolitica per ricavare energia e consumano il 25% del
glucosio.
Il fegato è il “cervello metabolico” dell’organismo e, nel caso smettesse di funzionare, il
soggetto morirebbe in quanto tutta la biochimica del suo corpo cesserebbe di funzionare. È
responsabile dell’omeostasi glicemica, dell’omeostasi lipidica, produce le albumine e tutte le
proteine sieriche ed inoltre detossifica i farmaci e le sostanze tossiche.

È importante specificare in quale compartimento cellulare avviene una reazione.


Prendendo come esempio l’epatocita si può vedere come al suo interno la sintesi dell’urea, il
ciclo dell’acido citrico, la degradazione degli acidi grassi, la biosintesi dell’eme la
fosforilazione ossidativa avvengano tutte nei mitocondri. Le reazioni di sintesi e
degradazione di un elemento si trovano in due scompartimenti separati in modo che non ci
sia pericolo che ci sia commistione.
La cosa più grave che può succedere ad una cellula è il ciclo futile. Se una via di
degradazione partisse contemporaneamente alla via di biosintesi della stessa molecola, per
il secondo principio della termodinamica, si avrebbe un bilancio energetico negativo in
quanto una parte dell’energia prodotta durante la degradazione diverrebbe calore non
utilizzabile. Per questo motivo è fondamentale che le vie metaboliche avvengano in
compartimenti diversi.

GLICOLISI
La glicolisi avviene nel citosol. Partendo da una molecola di glucosio altamente energetica
essa viene degradata in due molecole di piruvato a 3 atomi di carbonio. Il processo non è
composto da una reazione sola che scinde il glucosio, ma vi sono 10 reazioni intermedie
mediate da 10 enzimi diversi di cui 3 sono soggetti a regolazione.
Lungo il corso delle 10 reazioni il profilo energetico cambia ed infatti l’energia potenziale del
composto iniziale è più elevata di quello finale. Inoltre, il profilo non è regolare e nei 10
passaggi ci sono alcuni salti energetici molto alti ed altri molto piccoli.
Il cambiamento di energia libera è espresso dal ΔG0’ che è il modo per calcolare quali sono
le variazioni di energia che intercorrono quando la molecola A diventa B. Esso ha due
componenti: segno e modulo.
Per esempio, segno negativo vuol dire che
la molecola B ha meno energia della
molecola A e quindi la reazione è
esoergonica, ovvero che va
spontaneamente verso destra, liberando
energia definita dal modulo di ΔG0’.

Alcune reazioni della glicolisi sono


accoppiate alla produzione di ATP perché
vi è sufficiente liberazione di energia per
generarla. Questo ATP non viene prodotto
nel mitocondrio e questa via risulta quindi
particolarmente importante proprio perché
consente la produzione di ATP al di fuori
del mitocondrio.

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ASPETTI GENERALI
La glicolisi inizia con una molecola di glucosio avente sei atomi di carbonio, la quale è
soggetta a parziale degradazione fino a produrre due molecole a tre atomi di carbonio, ossia
due molecole di piruvato. La molecola di glucosio non viene semplicemente “spezzata” in
due, ma trasformata attraverso dieci passaggi in piruvato.
Il glucosio è un ottimo combustibile perché contiene una buona quantità di energia chimica
(nei legami chimici) che viene estratta e sfruttata attraverso la rottura dei suoi legami e
l’ossidazione che subiscono gli atomi di carbonio.

Il grafico rappresenta il profilo energetico della glicolisi e mostra le variazioni di energia libera
che si verificano durante le 10 tappe che permettono di ottenere il piruvato a partire dal
glucosio, passando attraverso diversi intermedi di reazione.
La prima reazione, che porta dal glucosio al primo intermedio (glucosio-6-fosfato), comporta
un grosso salto energetico, misurato operativamente dal parametro ΔG0’. Un salto
energetico elevato non c’è tra tutte le tappe, dato che alcune hanno scarsa differenza
energetica. Solo certe reazioni portano alla produzione di ATP, le altre al contrario
necessitano del consumo di questa molecola per poter procedere.

Attraverso la glicolisi la molecola di glucosio viene solo parzialmente degradata con la


conseguente estrazione di una prima frazione di energia (una porzione importante
dell’energia è ancora immagazzinata nel piruvato) che servirà per sintetizzare ATP con la
fosforilazione a livello del substrato, ovvero una fosforilazione diretta che impiega l’energia
che si libera da un substrato ad altissima energia. Questa è un’operazione molto importante
che si verifica nel citoplasma e non nel mitocondrio, di conseguenza non ha bisogno di
ossigeno e quindi di attività mitocondriale. La quantità di ATP prodotta attraverso la
fosforilazione a livello del substrato è marginale rispetto a quella prodotta a livello
mitocondriale, ma comunque fondamentale perché realizzabile anche in assenza di
adeguato rifornimento di ossigeno.

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Gli eritrociti, per riprendere l’esempio precedente, sono cellule senza mitocondri la cui
funzione è quella di trasportare di ossigeno attraverso l’emoglobina e, essendo sprovvisti di
mitocondri, lo trasportano senza mai utilizzarlo. Queste cellule soddisfano i loro bisogni
energetici soltanto attraverso la glicolisi, infatti consumano circa il 25% del glucosio assunto.

Complessivamente, la molecola di glucosio decade dal punto di vista energetico fino alle
molecole di piruvato, che possiedono un’energia inferiore rispetto a quella iniziale.
La somma algebrica di tutti i ΔG0’ delle reazioni che compongono la glicolisi restituisce un
valore negativo che rappresenta la forza termodinamica trainante che spinge il glucosio a
diventare piruvato. Pertanto, questa via metabolica è esoergonica e procede verso destra
irreversibilmente senza mai essere interrotta.

LE DUE FASI DELLA GLICOLISI


La glicolisi può essere suddivisa in due fasi:

1. Nella prima fase (5 reazioni) si assiste ad un paradossale consumo di energia in


quanto è necessario energizzazione degli intermedi, caricandoli di energia,
attraverso il consumo di ATP. Questi intermedi evolveranno spontaneamente, nella
seconda tappa, verso il piruvato, liberando più energia di quella immagazzinata per
formarli. É quindi una fase di investimento energetico.

2. La seconda fase (5 reazioni) è invece di resa energetica. Al netto delle due fasi vi
è un guadagno energetico per la cellula: l’energia investita nella prima fase è
inferiore a quella ricavata nella seconda.

Il glucosio, molecola di partenza della via metabolica, ha una sua energia e attraverso il
consumo di ATP si ottiene un intermedio metabolico, il quale contiene tutta l’energia del
glucosio più l’energia aggiunta consumando ATP. Questo intermedio energizzato decade
spontaneamente, secondo gradinate termodinamico, attraverso diverse tappe, fino al
piruvato, liberando energia. La glicolisi, nel complesso, permette un ricavo energetico alla
cellula, in quanto la somma tra energia investita ed energia ricavata è vantaggiosa.

Il bilancio energetico della via glicolitica è:


1. nella prima fase consumiamo 2 ATP;
2. nella seconda fase ricaviamo 4 ATP;
Si ha quindi una resa energetica netta di 2 ATP, viene inoltre prodotto NAD ridotto.

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La resa energetica della glicolisi non è altissima: il glucosio è un buon combustibile e se
venisse bruciato completamente (per esempio in una bomba calorimetrica) si ricaverebbero
ΔG0’= -2840 kJ/mol. Per ottenere questo, però, è necessaria la respirazione cellulare
completa: non solo la glicolisi, ma una serie di vie metaboliche che si concludono a livello
mitocondriale. La glicolisi, infatti, porta alla degradazione parziale del glucosio in due
molecole di piruvato ottenendo solo il 5,2% della resa energetica totale del glucosio, ossia un
ΔG0’= -146 kJ/mol. Il restante 95% appartiene alle molecole di piruvato, ricche di energia, di
conseguenza il destino del piruvato è importantissimo per la sopravvivenza della cellula.

Un’analisi interessante dal punto di vista della resa termodinamica è quella dell’energia
liberata dalla glicolisi. Dei 146 kJ/mole liberati dalla glicolisi:

- 61 kJ/mole diventano ATP. Si ha una resa energetica del 42%, da considerare molto
elevata. Questa resa del 42% fa riferimento soltanto alla via glicolitica (146 kJ/mole),
facendo invece riferimento alla resa energetica totale derivante dall'ossidazione del
glucosio (2840 kJ/mol) i 61 kJ/mol rappresentano circa il 2,2%. La glicolisi estrae molta
energia dal substrato e la utilizza per produrre ATP che ne misura l’efficienza del
recupero energetico.
L’uomo è una macchina molto efficiente e con il tempo migliora: infatti un
giovane ha bisogno di più calorie rispetto ad un anziano perché
quest’ultimo ottimizza il consumo; ciò spiega perché con l’avanzare dell'età,
non stando attenti all’alimentazione, si tende ad aumentare di peso.

- 85 kJ/mole sono liberate sotto forma di calore, in accordo con la seconda legge della
termodinamica. Il calore non è un sottoprodotto o uno spreco, ma è importante perché
serve a mantenere costante la temperatura corporea, essendo gli esseri umani
organismi omeotermi. Anche in condizioni di riposo il corpo necessita della produzione
di calore, per mantenere la temperatura corporea di circa 37°C.
Il calore, per esempio, può essere ricavato dalla contrazione muscolare, ma – in
condizioni di riposo – soprattutto dal fegato, la centralina termica dell’organismo. Il
fegato svolge questo ruolo in quanto in esso avvengono tutte le reazioni biochimiche
dell’organismo: elabora continuamente molecole e queste numerosissime reazioni
liberano tutte calore. Quest’ultimo si trasferisce al flusso ematico che attraversa
l’organo e, attraverso il sangue, raggiunge i tessuti periferici.

La glicolisi, una volta avviata, deve necessariamente giungere a termine con la formazione di
due molecole di piruvato. Se si interrompesse prima sarebbe controproducente, in quanto la
cellula consumerebbe soltanto energia nella fase di investimento e ci sarebbe un consumo di
glucosio ed energia senza una resa finale, con morte cellulare come conseguenza finale.
Sono quindi necessari dei meccanismi di regolazione, che svolgono un ruolo molto
importante: obbligano la via, una volta iniziata, a terminare, rendendola irreversibile. La
glicolisi è una via metabolica molto conservata e altrettanto conservati sono i meccanismi di
regolazione.

La modalità di produzione di ATP attraverso la glicolisi è indipendente dalla disponibilità di


ossigeno. Infatti, avviene nel citoplasma delle cellule e non coinvolge i mitocondri, per questo

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motivo la glicolisi è anaerobia per definizione. Ciò che dipende dalla disponibilità di
ossigeno o meno è il passaggio successivo, ossia il destino finale del piruvato.
Quando si parla di glicolisi anaerobia o aerobia si intende la condizione in cui avviene la via,
da questo dipenderà l’ambiente in cui avviene la trasformazione del piruvato.

FORMAZIONE DI COMPLESSI MULTIENZIMATICI


La glicolisi, come già detto, avviene nel citoplasma ed è catalizzata da 10 enzimi, uno per
ciascuna tappa, anch’essi presenti nel citoplasma. Questi enzimi non sono liberi nel
citoplasma, perché se così fosse ci sarebbe il problema della diffusione dei substrati, che
non sarebbero immediatamente disponibili per l’enzima successivo. I prodotti delle reazioni
della via devono essere subito disponibili per lo specifico enzima che ha il compito di
catalizzare la reazione successiva, altrimenti si avrebbe una perdita di efficienza. Il problema
è risolto attraverso l’associazione fisica degli enzimi di una via metabolica, con la
conseguente formazione di super complessi.
Gli enzimi si associano con legami di tipo non covalente e attraverso il citoscheletro
(filamenti di actina). È un’aggregazione funzionale decisamente efficiente che permette di
risolvere il problema della diffusione dei substrati mantenendo elevata l’efficienza. Gli
intermedi, allo stesso modo, non sono liberi nel citoplasma, ma passano da un enzima
all'altro all’interno di questi agglomerati multienzimatici.
Avendo 10 tappe, se in ogni tappa ci fosse un'efficienza del 90%, e quindi una perdita del
10%, non si arriverebbe alla fine. Affinché la glicolisi sia efficace deve avere un'efficienza
quasi del 100%: entra 1 glucosio ed escono 2 piruvato.

FOSFORILAZIONE DEGLI INTERMEDI


Con l’eccezione della prima e dell’ultima molecola della via metabolica, ossia il glucosio e il
piruvato, tutti gli intermedi sono fosforilati.
La fosforilazione degli intermedi è estremamente importante, non solo perché connessa con
la produzione di ATP che prevede la disponibilità e lo scambio di gruppi fosfato, ma anche
perché quando ad una molecola qualsiasi viene agganciato un gruppo fosfato, a pH
fisiologico, questo libera protoni caricandosi negativamente.
La molecola, di conseguenza, è ionizzata, carica negativamente, e in quanto tale non può
più passare attraverso la membrana biologica, che è idrofobica, e non esistono trasportatori
per il glucosio fosforilato. Ciò permette di trattenere tutti gli intermedi metabolici all’interno
della cellula, poiché – se diffondessero liberamente – si osserverebbe una riduzione
dell’efficienza della via metabolica.
Inoltre, il gruppo fosfato serve per il corretto riconoscimento e posizionamento del substrato
nel sito attivo enzimatico e l'energia del legame abbassa l'energia di attivazione e aumenta
la specificità di reazione. Senza il fosfato l'enzima non riconoscerebbe il substrato. L'enzima
una volta riconosciuto il substrato mediante il meccanismo di adattamento indotto si carica di
energia conformazionale che scarica per catalizzare la reazione.

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VIE ANABOLICHE E CATABOLICHE DEL GLUCOSIO

Il glucosio è soggetto ad una via anabolica e due vie cataboliche.


● Anabolica: il glucosio può essere immagazzinato nelle cellule sotto forma di polimeri.
Per poterlo fare è necessario rimuovere i gruppi OH, i quali conferiscono potere
osmotico e richiamano acqua all’interno della cellula. Legando tra loro le molecole di
glucosio attraverso i gruppi OH, si eliminano parzialmente questi ultimi generando
polimeri che permettono l’accumulo di glucosio minimizzando l’effetto osmotico.
○ I due polimeri principali sono l’amido per le cellule vegetali e il glicogeno per
le cellule animali.
● Catabolica: glicolisi. Si ottengono due molecole di piruvato a partire da una di
glucosio.
○ Questa via è utilizzata principalmente per la produzione di ATP.
● Catabolica: via del pentosio fosfato o shunt del pentosio fosfato. Uno dei prodotti di
questa via è il ribosio 5-fosfato.
○ Il fine di questa via non è la produzione di ATP.

GLICOLISI IN CONDIZIONE AEROBIA O ANAEROBIA


La glicolisi è un processo anaerobio per definizione, ma può avvenire sia in condizioni
aerobie, che in condizioni anaerobie. Queste condizioni differenti determinano un diverso
destino del piruvato:

1. In condizioni aerobie, ossia in presenza di ossigeno, il piruvato entra nel


mitocondrio metabolicamente attivo. Qui va incontro a decarbossilazione, si viene a
formare Acetil-CoA e viene ossidato completamente, attraverso ulteriori vite
metaboliche, in anidride carbonica e acqua. Questo destino è il più favorevole
perché permette la massima resa energetica.

L’Acetil-CoA rappresenta una molecola di convergenza in quanto può essere sintetizzata


anche a partire da acidi grassi e amminoacidi. In condizioni di accumulo eccessivo,
l’Acetil-CoA diventa il precursore per la biosintesi di acidi grassi e colesterolo; ciò spiega
perché anche mangiando troppi carboidrati si ingrassa.

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2. In condizioni anaerobie, il piruvato non è accolto nel mitocondrio ma è destinato a
diventare lattato o etanolo (questi processi vengono identificati con il termine
“fermentazione” se ci si riferisce all’azione di microrganismi utilizzati nell’industria
alimentare per la produzione di yogurt, bevande alcoliche,...). Nel corpo umano, in
condizioni anaerobie, dal piruvato viene prodotto solo il lattato o acido lattico, non
l’etanolo che è tossico per l’organismo.

Queste vie metaboliche, che non necessitano di ossigeno, esistono perché in origine
l'atmosfera terrestre era priva di ossigeno, era riducente. La vita sulla terra era comunque
presente e rappresentata da organismi caratterizzati da metabolismo riduttivo. L’ossigeno è
comparso con la nascita di organismi fotosintetici, quali alghe unicellulari, che hanno iniziato
a produrre ossigeno. Da quando l’ossigeno è stato presente gli organismi si sono
rapidamente evoluti verso un metabolismo ossidativo, il quale prevede l’impiego di ossigeno
atmosferico per l'ossidazione dei composti e la liberazione di energia.
Quelle ossidative sono vie metaboliche con resa energetica elevata rispetto alle vie riducenti,
per questo sono state rapidamente adottate nel corso dell’evoluzione.
Oggi esistono ancora microorganismi con metabolismo riduttivo, sono confinati in ambienti
privi di ossigeno e possono essere: anaerobi obbligati (ossia muoiono in presenza di
ossigeno) oppure anaerobi facoltativi (capaci di modificare il loro metabolismo in base alla
presenza o assenza di ossigeno). Uno di questi organismi è il bacillo del tetano, un
microrganismo ubiquitario che si trova nel terreno; a contatto con l’ossigeno genera spore
che contaminano il terreno e le superfici ed in caso di ferita queste spore potrebbero essere
inoculate nel derma dove, trovandosi in condizioni anaerobie, diventano metabolicamente
attive, producendo tossine tetaniche potenzialmente fatali.

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ALTRI DESTINI METABOLICI DEL PIRUVATO
- Carbossilazione ad ossalacetato: viene aggiunto un atomo di carbonio. Costituisce la
prima tappa della gluconeogenesi, via anabolica della biosintesi del glucosio.
- Transaminazione ad alanina: viene aggiunto un gruppo amminico e si viene a formare
l’alanina, uno dei 20 amminoacidi. Questo processo rientra nel metabolismo degli
amminoacidi.
[L’Alanina è coinvolta nel ciclo dell’alanina, che ha significato metabolico importante]

PERCHÉ DIECI REAZIONI?


Se dal glucosio si estraesse tutta l’energia tramite combustione diretta la cellula non
sopravvivrebbe, poiché il rilascio di energia sarebbe enorme ed istantaneo. La presenza di
dieci reazioni permette di avere una combustione controllata e la liberazione di piccoli
pacchetti di energia che non danneggiano la cellula e possono essere gestiti da quest'ultima
per produrre ATP.
Le reazioni iniziali presentano tutte una molecola a sei atomi di carbonio, che poi diventano
due a tre atomi di carbonio. Per questo, è importante ricordare la stechiometria: la seconda
fase, a differenza della prima, deve essere moltiplicata per due dal punto di vista
stechiometrico.

CARATTERISTICHE DELL’ATP
L'ATP non è mai da solo, ma è sempre unito al
magnesio a formare il complesso magnesio-ATP.
L'ATP presenta tre gruppi fosfato, che sono
ionizzati negativamente a pH 7, due di queste
cariche negative sono legate con lo ione
magnesio (lo ione chela le cariche negative
dell'ATP).
Questo complesso è indispensabile per il
riconoscimento dell'ATP da parte degli enzimi
della via glicolitica, in quanto tutti necessitano di
Mg come cofattore per funzionare correttamente,
tranne uno (la fruttosio 1,6-bisfosfato aldolasi).

Il magnesio non dà energia, ma è un cofattore necessario agli enzimi della via glicolitica.
È introdotto con l'alimentazione e, poiché contenuto in tutti gli alimenti, la sua carenza è un
evento raro, mentre il suo eccesso, come per molti altri ioni bivalenti metallici, è tossico.

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DESCRIZIONE DELLE TAPPE DELLA GLICOLISI

PRIME CINQUE TAPPE


TAPPA 1

È catalizzata dall'enzima esochinasi (fosforila una molecola a sei atomi di carbonio come
glucosio, fruttosio, mannosio e altri monosaccaridi), una fosfotransferasi che catalizza la
reazione di trasformazione del glucosio in glucosio-6-fosfato. Il glucosio viene quindi
fosforilato sul C6, che possiede un OH libero.
L'esochinasi ha bisogno di due substrati: il complesso ATP-Mg e il glucosio.
Si tratta di uno degli enzimi di regolazione della glicolisi, ovvero è soggetto a regolazione;
come meccanismo di azione sfrutta il meccanismo dell'adattamento indotto ed è presente in
tutte le cellule dell'organismo.

L'esochinasi (le chinasi in genere catalizzano le reazioni di fosforilazione e quindi


determinano delle variazioni di energia del sistema) provoca la trasformazione dei substrati
in un fosfoestere, ovvero il glucosio-6-fosfato e ADP. Questa reazione, nel complesso, ha
una variazione di energia libera di -16,7 KJ/mol. Il segno meno indica che l'equilibrio è
spostato verso destra, ossia verso la formazione dei prodotti ed il modulo è medio,
sufficiente a spingere la reazione verso destra.
Quando si parla di valori piccoli ci si riferisce a valori 1-2, valori medi sono 15-16
e valori alti sono superiori a 30, in quanto vicini all'energia liberata dall'idrolisi
dell'ATP (31,5).

Questa prima reazione permette di intrappolare il glucosio dentro la cellula, in quanto una
volta fosforilato non riesce più ad uscire attraverso la membrana con i normali trasportatori
del glucosio.
Quando si parla di glicemia si parla di glucosio libero, che – non essendo fosforilato – può
entrare ed uscire dalle cellule. Il glucosio che entra nella cellula e viene fosforilato viene
sottratto dal circolo ematico per opera dell'esochinasi.

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Attenzione, però: quando si parla del meccanismo di regolazione della glicemia non si fa
riferimento all’enzima esochinasi, ma ad un altro enzima chiamato glucochinasi
responsabile dell'accumulo di glucosio. Consumo e accumulo sono concetti diversi.
Esempio: Dato un certo livello di glicemia, questa si abbassa se si fa attività fisica poiché i
muscoli consumano glucosio per la contrazione.
Quando si assumono amidi, la glicemia si alza, e – se non si è diabetici – nel giro
di poche ore torna ai livelli normali pur non facendo attività fisica, dunque non si
parla di consumo, ma di immagazzinamento.
Il glucosio raggiunge il fegato dove si trova l’enzima glucochinasi (anche detto esochinasi
4). Si tratta di un isoenzima della esochinasi, in quanto catalizza la stessa reazione, ma ha
struttura diversa e parametri cinetici diversi, fosforila solo il glucosio e si trova solo negli
epatociti. La sua funzione è quella di accumulare il glucosio sotto forma di glicogeno epatico.
Se questo enzima fosse assente il soggetto avrebbe una glicemia troppo elevata e di
conseguenza il diabete di tipo 1. L’espressione del gene della glucochinasi è controllato
dall'insulina. Pertanto, se non c'è secrezione di insulina, il gene della glucochinasi non viene
trascritto e la glicemia rimane alta (ciò spiega il diabete insulino dipendente, o di tipo 1).

Quindi, la differenza fondamentale tra esochinasi e glucochinasi, è che l'esochinasi indirizza


il glucosio nella glicolisi, mentre la glucochinasi lo accumula trasformandolo in glicogeno.

TAPPA 2

È una isomerizzazione catalizzata dal fosfoesosio isomerasi: dal glucosio 6 fosfato si


ottiene fruttosio 6 fosfato.
Le isomerizzazioni sono in genere delle reazioni che avvengono all'equilibrio e questa in
particolare avviene con una variazione di energia libera di +1,7 KJ/mol. Il modulo positivo sta
ad indicare che c'è una leggera propensione verso sinistra (verso la formazione del glucosio
6 fosfato), ma visto il modulo molto piccolo la reazione può essere considerata all'equilibrio.
Reazioni come queste sono soggette alla legge di azione di massa (che non è un
meccanismo di regolazione), quindi la reazione può procedere in entrambe le direzioni in
funzione del destino delle due molecole (semplicemente aggiungendo o togliendo massa a
destra o a sinistra); siccome la reazione precedente produce molto glucosio 6 fosfato, la
reazione della tappa due si sposta verso destra. Contemporaneamente l'enzima della tappa
successiva sottrae prodotto (fruttosio 6 fosfato) favorendo ulteriormente il procedere della
reazione verso destra. Richiede anch’essa magnesio.

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TAPPA 3

È catalizzata dalla fosfofruttochinasi 1 (PFK1) che fosforila in C1 il fruttosio fosforilato in 6.


Il fruttosio 6 fosfato presenta un gruppo -OH legato a C1 che può essere fosforilato, quindi
reagisce con il complesso ATP-Mg producendo ADP e fruttosio 1,6 bisfosfato (poiché
fosforilato due volte). Questa molecola contiene l'energia del glucosio iniziale più quella di
due molecole di ATP. Variazione di energia della reazione: -14,1 KJ/Mol, quindi la reazione è
spostata verso destra.

Esiste anche PFK2 che non è un isoenzima di PFK1 perché non catalizza la stessa
reazione, ma una simile: fosforila lo stesso substrato, ma produce fruttosio 2,6 bisfosfato.
Non è un enzima della via glicolitica.
PFK1 è, invece, il principale enzima di regolazione della glicolisi, da questo dipende la
velocità della via poiché è sensibile a vari fattori come, per esempio, alla carica energetica
cellulare e alla AMPK.
Il fruttosio 2,6 bisfosfato, prodotto dalla PFK2, è il principale modulatore allosterico della
PFK1, quindi PFK2 regola l’attività PFK1.

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TAPPA 4

Interviene l’enzima fruttosio 1,6-bisfosfato aldolasi – più comunemente detto aldolasi –,


che spezza in due il fruttosio 1,6 bisfosfato generando due triosi fosforilati: la gliceraldeide 3
fosfato, un aldosio, e il diidrossiacetone fosfato, un chetosio.

La reazione, una condensazione aldolica reversibile, ha un ΔG0’ positivo e la predisposizione


naturale porterebbe alla condensazione (condensazione aldolica) dei due triosi. Quindi la
reazione sarebbe spostata verso sinistra, se non fosse per l’intervento di una spinta
termodinamica che sposta la reazione verso destra e per la sottrazione dei due triosi da
parte delle reazioni successive che trascinano il processo verso la conclusione.

L'aldolasi è l'unico enzima che non ha bisogno del magnesio ed impone un cambiamento
nella stechiometria: da questo momento della via in poi è necessario moltiplicare tutto per
due, essendo due le molecole in gioco.
Esistono due classi di aldolasi: le aldolasi 1 – possedute da animali e piante – e le aldolasi 2.

TAPPA 5

Dei due triosi solamente la gliceraldeide 3 fosfato può essere degradata direttamente, il
diidrossiacetone fosfato deve essere prima isomerizzato a gliceraldeide 3 fosfato dal quinto
enzima della via glicolitica: la trioso fosfato isomerasi. Anche questa reazione sarebbe
spostata leggermente verso sinistra considerato il ΔG0’, può comunque procedere verso
destra perché inserita nel contesto della via glicolitica. Da questo momento in poi si procede
con le due molecole di gliceraldeide 3 fosfato.
Gli atomi di carbonio delle due molecole, che originariamente erano numerati da 1 a 6 nel
glucosio, non si distinguono più.

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A questo punto si completa la fase preparatoria e di investimento energetico della glicolisi.
La via deve necessariamente proseguire per recuperare l’energia investita, considerato che
fino ad ora per la cellula è stata complessivamente una perdita energetica.
Facendo un bilancio parziale si osserva che per una molecola di glucosio, si ha il consumo di
due molecole di ATP e la produzione di due molecole di gliceraldeide 3 fosfato e di due
molecole di ADP.

ULTIME CINQUE TAPPE


TAPPA 6

La prima tappa della fase di recupero energetico della glicolisi è conversione, tramite
ossidazione, della gliceraldeide 3-fosfato in 1,3-bisfosfoglicerato – reazione catalizzata dalla
gliceraldeide 3-fosfato deidrogenasi (GAPDH), che non è considerato un enzima di
regolazione e la arricchisce ulteriormente di energia senza consumarla.

La reazione prevede un’ulteriore fosforilazione del trioso fosfato: la gliceraldeide 3-fosfato


viene fosforilata nuovamente, ma come fosfato inorganico come donatore di fosfato, quindi
non c’è consumo di ATP e si genera una molecola molto piccola, a tre atomi di carbonio e
fosforilata due volte (1,3 bisfosfoglicetato).

Nel fare questa operazione, l’enzima strappa anche potere riducente, che poi deposita sul
coenzima NAD in forma ossidata che diventa NAD ridotto. Questo passaggio è rilevante
perché il potere riducente viene utilizzato all’interno del mitocondrio per produrre ATP, quindi
il NAD ridotto è una componente della resa energetica che si ottiene dalla glicolisi.

Il GAPDH riesce sia ad arricchire ulteriormente di energia la gliceraldeide 3-fosfato,


fosforilandola nuovamente, sia a strappare potere riducente – il tutto con un bassissimo
costo energetico. Il ΔG0’ è +6,3 (valore leggermente positivo, ma piccolo), ed è una reazione
che dipende fortemente dell’equilibrio dell’azione di massa (sposta l’equilibrio verso destra).

È un enzima che per catalizzare la reazione ha bisogno di NAD ossidato. Infatti, perché la
reazione avvenga, servono tre substrati: gliceraldeide 3-fosfato, fosfato inorganico e NAD
ossidato. Senza quest’ultimo la reazione non avviene e la glicolisi si ferma, per cui è
fondamentale il continuo rifornimento di NAD ossidato. Tale coenzima si trova nella cellula
prevalentemente all’interno del mitocondrio (90%), dal quale non può entrare e uscire
liberamente; nel citoplasma invece è presente in piccole quantità, e per questo motivo va
continuamente riciclato (ossidato/ridotto). La fosforilazione della gliceraldeide 3-fosfato
avviene sfruttando fosfato inorganico, quindi non si consuma altra energia.

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Questo è un esempio di catalisi covalente, infatti l’enzima forma un legame covalente con il
substrato, legame intrinsecamente instabile che ha a che fare con l’effetto di induzione,
ovvero con l’adattamento indotto: l’enzima cambia conformazione, si carica di energia
conformazionale che poi scarica rompendo il legame e rilasciando il substrato, tornando, al
termine della reazione, esattamente come prima.
Inoltre, è anche un esempio di inibizione irreversibile: infatti questo enzima viene bloccato da
un composto, lo iodoacetato, che si lega covalentemente in modo irreversibile al sito
dell’enzima e non si stacca più (si tratta di un veleno che blocca la via glicolitica).

Lo schema mostra il meccanismo di azione generale di questo enzima, che ha nel sito attivo
una cisteina (gruppo -SH), la quale reagisce con il substrato, ovvero la gliceraldeide
3-fosfato, e genera il legame covalente transitorio che poi permetterà il ciclo di reazioni
(catalisi covalente).
Nella prima fase entra il substrato che si lega al gruppo -SH, inoltre l’enzima lega
covalentemente anche il NAD . Si strappa potere riducente al carbonio della gliceraldeide
3-fosfato, che quindi si ossida, invece il potere riducente viene depositato nel NAD dando
origine a NADH + H . A questo punto arriva un altro NAD libero, che a sua volta strappa il
potere riducente dal NADH, che dunque si riossida; l’entrata del fosfato inorganico che
reagisce con il carbonio destabilizza il legame covalente (doppio) che così si spezza e viene
così rilasciato il prodotto finale della reazione: 1,3 bisfosfoglicerato.
A questo punto il gruppo -SH è tornato come prima ed anche l’enzima è nella condizione
iniziale di reazione, ovvero con NAD in forma ossidata e gruppo tiolico ridotto.

Il gruppo tiolico, in particolare, può essere aggredito dallo iodoacetato, che si lega
covalentemente al gruppo SH, non si sgancia più e blocca quindi un residuo amminoacidico
che nel sito attivo è fondamentale per la catalisi della reazione (la cisteina). L’enzima dunque
è inattivato e quel inibitore è suicida perché si è sgancia 1 HI (una molecola di iodoacetato)
che va ad inattivare una molecola di enzima.

25
TAPPA 7

Si tratta del trasferimento del gruppo fosforico dall’1,3-bisfosfoglicerato all’ADP. L’enzima


coinvolto è la fosfoglicerato chinasi, che trasferisce il gruppo fosforico ad altissima energia
dal gruppo carbossilico dell’1,3-bisfosfoglicerato all’ADP, formando ATP e 3-fosfoglicerato.

È la prima reazione di fosforilazione al livello del substrato incontrata. L’enzima utilizza il


substrato ad altissima energia 1,3 bisfosfoglicerato e la scissione del legame covalente del
fosfato evidenziato (area in rosa) rilascia un’energia così elevata da essere superiore
all’energia di legame dell’ADP, che diventa ATP.
È una delle rarissime reazioni (quattro in totale) in cui viene prodotto ATP direttamente nel
citoplasma, senza intervento del mitocondrio, dell’ossigeno, della fosforilazione ossidativa o
del gradiente protonico.
La reazione di fosforilazione è diretta: questo enzima, che agisce in presenza di magnesio
(riconosce il complesso ADP-magnesio o ATP-magnesio), rompe il legame nell’1,3
bisfosfoglicerato con il fosfato e lo trasferisce all’ ADP, formando in questo modo il
3-fosfoglicerato (ha perso il fosfato in posizione 1) e ATP.

È da notare che questa reazione avviene due volte perché i triosi sono due e dunque
vengono prodotte due molecole di ATP, le quali hanno già pareggiato il conto della prima
fase della via glicolitica in cui erano state consumate 2 molecole di ATP.

Questa reazione rilascia talmente tanta energia che una quota viene utilizzata per generare il
nuovo legame e un’altra parte rimane, ovvero il -18,5 kJ/mole è rilasciata sotto forma di
calore. Questa tappa ha infatti un ΔG0’ = -18,5 kJ/mole ed è dunque esoergonica, fortemente
spostata verso destra con un effetto di trascinamento, per la legge di azione di massa, nei
confronti della reazione precedente.

L’importanza di questa reazione è data dal suo essere la prima delle due reazioni di
fosforilazione a livello del substrato, che spiegano la resa energetica della via metabolica ed
inoltre pareggia il consumo della fase d’innesco. La rottura del legame fosfato nell’ATP ha un
ΔG0’ = -30,5 KJ/mol, invece la rottura del legame dell’ 1,3 bisfosfoglicerato libera molta più
energia (-30,5 + -18,5) kJ/mole.
Riassumendo, quindi, considerando doppia questa tappa si ha il pareggio dell’energia
consumata durante la fase d’innesco e – essendo sposata verso destra – ha azione di
trascinamento, per la legge di azione di massa, anche degli enzimi precedenti.

26
TAPPA 8

Il 3-fosfoglicerato viene isomerizzato in 2-fosfoglicerato. L’enzima che catalizza la


reazione, però, non è una fosfoglicerato isomerasi, bensì la fosfoglicerato mutasi [le
mutasi sono una sottoclasse delle isomerasi].
L’enzima prende la molecola a tre atomi di carbonio, che ha un fosfato in posizione 3,
aggiunge un fosfato in posizione 2 e sottrae quello in posizione 3; in altre parole, catalizza lo
spostamento reversibile del gruppo fosforico tra gli atomi di carbonio C2 e C3 del glicerato.

Intanto, transitoriamente, si forma una molecola che ha un fosfato sia in posizione 3 che in
posizione 2: il 2,3-bisfosfoglicerato. Si tratta di un intermedio transitorio della via glicolitica
presente in tutte le cellule, che però viene subito convertito in 2-fosfoglicerato.
Invece, gli eritrociti portano via alcuni atomi di carbonio dalla via glicolitica e accumulano una
certa quantità di questo composto. Naturalmente ciò riduce la resa energetica della glicolisi:
gli eritrociti consumano circa un 25% del glucosio a loro disposizione, che viene utilizzato per
generare il 2,3-BPG (composto che regola l’affinità dell’emoglobina verso l’ossigeno, la cui
concentrazione cambia in relazione alla quota).

Questa reazione rispetta la legge di azione di massa; ha un ΔG0’ = +4,4 KJ/mole e


necessita di una fase di innesco. L’enzima per agire deve essere un fosfoenzima, donatore
del secondo fosfato (aggiunto in posizione 2). L’enzima con il residuo di istidina
(fondamentale per il meccanismo di catalisi) è in forma non fosforilata. Inoltre, abbiamo il
3-fosfogliocerato che, grazie ad un’altra chinasi e al consumo di ATP, diventa 2,3-BPG.
Quest’ultimo dona il fosfato all’enzima, diventando 3-fosfoglicerato e generando così il
fosfoenzima (enzima in forma attiva).
Questa tappa di innesco ha un costo energetico bassissimo e trascurabile in quanto il
numero di queste molecole di enzimi all’interno della cellula è molto limitato e quindi serve
pochissimo ATP per caricare l’enzima e renderlo un fosfoenzima – dunque si può dire che
non incida sulla resa energetica.
Una volta generato il fosfoenzima, entra il substrato, ovvero il 3-fosfoglicerato, l’enzima
sfrutta il suo substrato e lo aggancia generando il 2,3-bisfosfoglicerato e successivamente
si riprende il fosfato in posizione 3. In questo modo si forma il substrato ed è tornato il
fosfoenzima.
La rigenerazione di un nuovo fosfoenzima non è necessaria poiché questo meccanismo
avviene ciclicamente, di conseguenza la cellula svolge una sola volta la fase di innesco e poi
non più perché per il resto della vita avrà sempre una parte di fosfoenzima che continua a
donare un fosfato e riprenderne un altro. Quindi l’ATP consumato all’inizio, nella fase di
generazione del fosfoenzima, che è pochissimo, poi non verrà più consumato dalla cellula.

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Da notare che è in questo ciclo che il fosfoenzima genera il 2,3 bisfosfoglicerato.
Questa molecola in tutte le cellule deve proseguire la via glicolitica, per permettere il
consumo del glucosio e la massima resa energetica.
Nell’eritrocita, però, una parte di questa molecola viene messa da parte. In particolare, della
quantità di molecole consumate dall’eritrocita, il 75% serviranno per generare ATP, il 25%
circa servirà per accumulare il 2,3-bisfosfoglicerato, composto che regola l’affinità
dell’emoglobina verso l’ossigeno e la cui concentrazione varia in relazione alla quota a cui ci
si trova (va da 5 mM fino ad arrivare addirittura ad 8 mM in alta quota).

Dunque le mutasi riescono a catalizzare il trasferimento intermolecolare (e non


intramolecolare) di un atomo, all’interno della molecola; il fosfato infatti del 3-fosfoglicerato
è diverso dal fosfato del 2-fosfoglicerato. Il 2,3-bisfosfoglicerato fa anche da cofattore,
necessario in piccole quantità per innescare il ciclo, che poi serve all’enzima per potersi
rigenerare continuamente.

TAPPA 9

L’enzima enolasi strappa una molecola d’acqua dal 2-fosfoglicerato deidratandolo a


fosfoenolpiruvato. Esso toglie l’OH del carbonio 3 e l’H del carbonio 2 generando una
molecola di acqua. In questo modo introduce un doppio legame tra il carbonio 2 e il
carbonio 3.

Questa è una reazione con un piccolo costo energetico: ΔG0’ = +7,5 KJ/mole, soggetta
all’azione di massa, leggermente spostata verso sinistra. Questo riarrangiamento di atomi
all’interno della molecola però ha delle conseguenze: l’enzima, pur non essendo un enzima
di regolazione, rimuovendo una molecola d’acqua e con modesta variazione di energia
libera, modifica enormemente la variazione di energia interna della molecola.
Infatti, il fosfoenolpiruvato è un composto ad altissima energia, con il quale è possibile
produrre ATP (e non con il 2-fosfoglicerato). La nona tappa è, infatti, la seconda reazione
glicolitica che genera un composto con un alto potenziale di trasferimento del gruppo
fosforico, in grado di formare ATP agganciando un fosfato.
Il 2-fosfoglicerato e il fosfoenolpiruvato, pur avendo un legame con il gruppo fosfato
simile, sono in realtà molto diversi. Rompendo il legame fosfoestereo nel fosfoenolpiruvato
si ricava una quantità maggiore di energia rispetto a quella liberata dall’idrolisi dell’ATP,
mentre quella ricavata dal 2-fosfoglicerato è nettamente più bassa. Questo avviene perché
è stata tolta una molecola d’acqua ed i legami si sono riarrangiati.
È chiaro, dunque, che l’energia posseduta da una molecola e dai legami interni a essa
dipenda da come si organizzano tutti gli atomi della stessa.

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Il PEP o fosfoenolpiruvato diventa dunque un substrato ad altissima energia che permette
di fabbricare ATP perché è avvenuta una ridistribuzione di energia all’interno della molecola,
energia che ha caricato quel legame fosfoestereo prima inferiore.
L’idrolisi del fosfato del 2-fosfoglicerato libera poca energia, meno dell’idrolisi dell’ATP:
ΔG0’ = -17,6 KJ/mole. Quella del fosfato del fosfoenolpiruvato ΔG0’ = -61.9 KJ/mole con
una differenza di 44,3 KJ/mole. Siccome sono state consumate 7,5 KJ/mole, il
riarrangiamento, ovvero la rimozione di una molecola d’acqua catalizzata dall’enolasi,
consente il guadagno netto energetico di 44,3 - 7,5 = 36,8 KJ/mole, sufficiente per produrre
ATP.

TAPPA 10

L’ultima reazione della via glicolitica è una reazione di fosforilazione a livello del substrato,
catalizzata dalla piruvato chinasi – che richiede K oppure Mg o Mn –, e dà la resa
energetica. In particolare, due molecole di fosfoenolpiruvato (substrato ad altissima energia)
possono fosforilare direttamente due molecole di ATP con ΔG0’ = -31,4 KJ/mole. Il salto
energetico è talmente enorme che sarebbe possibile formare un’altra molecola di ATP, ma
viene impiegato per chiudere la via. Si forma così il piruvato, ovvero il prodotto finale della
via glicolitica.

In realtà, strappando al fosfoenolpiruvato un fosfato si dovrebbe generare l’enolpiruvato,


ovvero un piruvato in forma enolica, ma poiché tale composto è instabile si riarrangia
spontaneamente e va incontro a tautomerizzazione. Il doppio legame tra C e CH2, nella
forma enolica, sposta gli elettroni tra C ed O della forma chetonica e l’H passa al CH2,
diventando così CH3.

La resa netta corrisponde quindi a due ATP per ogni molecola di glucosio trasformato in due
molecole di piruvato in forma chetonica come prodotto finale. Ciò contribuisce a spostare la
reazione verso destra, perché se l’enzima volesse consumare ATP per fosforilare il piruvato
(reazione inversa) non ce la farebbe in quanto non troverebbe la forma enolica, ma quella
chetonica – che non è fosforilabile. Quindi, questa tautomerizzazione spontanea sottrae un
prodotto all’enzima e contribuisce allo spostamento verso destra della reazione.
Il piruvato è stabile, ma ancora ricco di energia (la via glicolitica infatti rilascia circa il 5%
dell’energia totale posseduta da una molecola di glucosio), non è un catabolita né un
prodotto di scarto, bensì un intermedio con destini importanti nel metabolismo cellulare.

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La piruvato chinasi richiede K , Mg o Mn ed è il terzo enzima di regolazione (la prima
tappa con l’esocinasi e la terza con la fosfofruttochinasi 1).
Inoltre, questa è la seconda fosforilazione a livello del substrato, che rappresenta la resa
energetica netta della via: 2 ATP.
Questa trasformazione spontanea del piruvato, a pH 7, dalla forma enolica a quella
chetonica, contribuisce a spingere l’equilibrio a destra e ne impedisce il ritorno; è dunque
irreversibile e il suo grande salto energetico sposta a destra anche l’equilibrio della reazione
precedente.

BILANCIO GLICOLISI
1 Glucosio + 2ATP + 2NAD+ + 4ADP + 2Pi 2 Piruvato + 2ADP + 2NADH + 2H+ + 4ATP + 2H2O
Semplificando:
1 Glucosio + 2NAD+ + 2ADP + 2Pi 2 Piruvato + 2(NADH + H+) + 2ATP + 2H2O

Si parte da una molecola di glucosio, si consumano 2 ATP nella prima fase e servono 2 NAD
in forma ossidata, 4 ADP e 2 fosfati inorganici. Si producono alla fine 2 molecole di piruvato,
2 NAD ridotto, e 2 ATP (4 prodotti – 2 consumati) e 2 H2O.
Semplificando i termini simili, otteniamo 2 piruvato, 2 NAD ridotti, 2 ATP formati e 2 H2O.
L’ATP innalza la carica energetica cellulare, contribuisce all’omeostasi energetica.

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CONSIDERAZIONI SULLA GLICOLISI
Ora è importante capire: 1. Destino del potere riducente (NADH + H+)
2. Possibili destini del piruvato (dipende dal primo punto)

In generale, il destino del potere riducente determina il destino del piruvato.


La maggior parte del NAD è bloccato all’interno del mitocondrio, infatti non può passare per
le membrane e serve a scopo energetico. Inoltre, il potere riducente è convogliato all’interno
del mitocondrio per alimentare la fosforilazione ossidativa.
Nel citoplasma, invece, c’è una quota limitata di NAD, infatti è molto facile ottenerne il
consumo totale e di conseguenza determinare il blocco della glicolisi a livello del GAPDH.
Per questo motivo deve essere continuamente riossidato. Se c’è ossigeno, il NAD non può
entrare nel mitocondrio, ma il potere riducente sì; bisogna attivare dunque dei meccanismi di
shuttle (o navetta) che permettono di trasferire il potere riducente e non la molecola, in modo
da garantire la riossidazione del NAD. Se, però, l’ossigeno manca – e quindi il mitocondrio è
in blocco, oppure mancano i mitocondri (come avviene negli eritrociti), o è in corso
un’intensa attività fisica o si verificano casi estremi come in alcune cellule della cornea o
della midollare del rene –, la fosforilazione ossidativa si blocca e vengono utilizzate altre vie.

FERMENTAZIONE LATTICA
La via in questione è la Fermentazione Lattica in cui il piruvato viene ridotto a lattato
attraverso la Lattato Deidrogenasi (LDH) con rigenerazione del NAD+. Il lattato accumulato
arriva, attraverso la circolazione sanguigna, agli epatociti dove entra nel Ciclo di Cori dove
viene riossidato a piruvato per poi diventare glucosio attraverso la gluconeogenesi.
Tuttavia, l’accumulo di lattato non può continuare all’infinito; infatti, le prestazioni fisiche col
tempo diminuiscono per poi persino fermarsi, poiché deve passare da un processo
anaerobico ad uno aerobio (soglia aerobica). Ciò succede perché l’accumulo di lattato porta
ad un abbassamento del pH che, quando raggiunge quota 7.25, ha un effetto dirompente
sulla glicolisi poiché inibisce la PFK1.
Nel caso di forte attività fisica si aggiunge anche il fatto che viene introdotto meno ossigeno
e, di conseguenza, la via glicolitica è completamente inibita. Ciò porta al blocco della
produzione di ATP e ad un azzeramento della carica cellulare. Questo è ciò che succede
negli atleti quando, dopo un enorme sforzo fisico, cadono improvvisamente a terra stremati e
senza forze.
Come anticipato, il Ciclo di Cori aiuta a limitare l’abbassamento di pH, poiché fa uscire il
lattato dalla cellula, ma anche questo meccanismo presenta dei limiti. Avviene nei batteri
lattacidi, cornea, eritrociti, midollare del rene, spermatozoi, testicolo, cervello e muscolo sotto
sforzo.

ΔG0’= - 25,1 KJ/mole

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STRUTTURA DEL LATTATO DEIDROGENASI (LDH)
LDH è un isoenzima formato da quattro subunità di tipo diverso regolate grazie alla
modulazione dell’espressione genica, ciò comporta che ogni organo avrà un LDH specifico.
Nel cuore LDH porta alla reazione inversa dando così il piruvato, in quanto la LDH cardiaca
è particolare e sottrae il lattato in circolo per dare via a metabolismo aerobico, quest’ultimo
deve essere sempre aerobico perché altrimenti sarebbe in atto un infarto.
In biochimica clinica questi isoenzimi vengono ampiamente sfruttati come indicatori, poiché
l’aumento della concentrazione di uno di questi nel sangue implica un danno dell’organo che
produce quel particolare LDH.

Le isoforme sono: - LDH1 : nel muscolo cardiaco ed eritrociti


- LDH2 : nel sistema reticolo-endoteliale (normalmente nel siero)
- LDH3 : presente a livello dei polmoni
- LDH4 : presente a livello di reni, pancreas e placenta
- LDH5 : si ritrova nel fegato e nelle cellule del muscolo scheletrico
Le subunità possono anche essere chiamate M (muscle) e H (heart) o A e B.

FERMENTAZIONE ALCOLICA
Alcuni microrganismi eseguono la fermentazione alcolica, come nel caso dei microbi dell’uva
(il passaggio da uva a vino è dato proprio da questi microrganismi presenti sulla buccia dei
chicchi). Durante la vendemmia si schiaccia l’uva affinché questi possano unirsi al succo e
farlo fermentare sfruttando due enzimi:

● Piruvato decarbossilasi che decarbossila il piruvato rilasciando CO2, e ciò spiega


perché durante il processo fermentativo vengano rilasciate delle bolle. Il prodotto di
questa reazione è l’acetaldeide.

● Alcool deidrogenasi che cattura l’acetaldeide e lo ossida dandoci come risultato


l’etanolo e ci restituisce il NAD ossidato.

32
La fermentazione può fermarsi per alcune ragioni:
A. Termina il glucosio, infatti alcuni mosti vengono fatti rifermentare attraverso la
ri-aggiunta di glucosio (ciò è, per esempio, alla base dello champagne).
B. La concentrazione di etanolo diventa troppo elevata, poiché è un potente agente
citostatico che sfrutta la disidratazione. Ciò implica che i vini non possono superare
un certo limite di etanolo (gli alcolici più forti in genere sono prodotti per distillazione).

Si può considerare la fermentazione alcolica come una


biotecnologia antichissima che, ovviamente, sfrutta organismi
non patogeni e avviene in ambienti controllati.

Oltre al vino viene utilizzata anche per la produzione di yogurt


e pane (lievitazione). Per quanto riguarda la lievitazione la
CO2 fa lievitare il pane, mentre l’etanolo che resta evapora
grazie alla cottura.

PIRUVATO DEIDROGENASI E TIAMINA PIROFOSFATO


Nelle cellule umane si trova anche un enzima che decarbossila il piruvato, chiamato
Piruvato Deidrogenasi, che ha lo stesso meccanismo d’azione del corrispettivo enzima dei
microrganismi. La Tiamina Pirofosfato (B1) è un cofattore fondamentale sia del Piruvato
Decarbossilasi sia del Piruvato Deidrogenasi, infatti il lievito di birra, che ne contiene molto, è
un ottimo integratore di B1. Serve anche in altri casi (transchetolasi e acetolattato sintetasi) e
quando vi è carenza si sviluppa una malattia chiamata Beri Beri, malattia del cervello
potenzialmente letale, soprattutto nei bambini, che può lasciare segni permanenti. Ciò
avviene perché questo enzima è fondamentale nel metabolismo cerebrale.

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CARBOIDRATI E GLICOLISI
Tutti i carboidrati alimentari danno inizio alla via glicolitica, poiché molti di essi sono polimeri
del glucosio. Nel complesso la digestione dei carboidrati è molto semplice, se confrontata
con quella di altre molecole. Un esempio di carboidrato alimentare è il glicogeno, che non è
presente in grandi quantità nella carne – tranne in quella di cavallo, a cui dà un caratteristico
sapore dolciastro, ed in quella di alcuni crostacei. Come polisaccaride è più presente
l’amido.

Tra i disaccaridi si hanno:


- Il Saccarosio che si trova nei dolcificanti
- Il Lattosio che si trova nel latte e nei latticini
- Il Trealosio
- Il Maltosio che si trova nella birra
Per quanto riguarda i monosaccaridi:
- Fruttosio che si trova nella frutta ed è, tra le molecole citate, quella più dolcificante
- Galattosio che deriva dal lattosio

Esistono molti enzimi digestivi che si occupano di scindere i legami di queste molecole:
● Amilasi che è presente nella saliva e dà inizio alla digestione dell’amido.
● Destrinasi (prodotto nel pancreas) che è un enzima deramificante.
● Disaccaridasi, di cui ce ne sono svariate, ognuna specifica per il suo disaccaride
(maltasi, lattasi, saccarasi, trealasi)

Il glicogeno è la forma di stoccaggio del glucosio nelle nostre cellule e da esso si ricava
glucosio per fosforolisi. Questo glucosio, che nello specifico è Glucosio-1-P (prodotto della
fosforolisi), viene convertito in Glucosio-6-P, grazie al fosfoglucomutasi, ed entra nella via
glicolitica. Nel complesso questo step biochimico non consuma ATP, ma si avrà consumo di
ATP per generare glicogeno. La fosforolisi è energeticamente vantaggiosa perché una parte
dell’energia del legame glicosidico viene conservata nella molecola di Glucosio-1-Fosfato.
La fosfoglucomutasi esegue una reazione di isomerizzazione, tipica delle mutasi, reversibile
e che richiede come cofattore il Glucosio-1,6-Bisfosfato. Il gruppo che viene ciclicamente
fosforilato è il gruppo ossidrilico di un residuo di serina presente nel sito attivo dell’enzima.
La glicogeno fosforilasi è controllata da due ormoni: glucagone ed insulina.

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TRASDUZIONE DEL SEGNALE AD OPERA DI
ORMONI
Il meccanismo di trasduzione del segnale avviene ad opera di ormoni. L’ormone è una
biomolecola, di varia natura, che funziona da messaggero. È solitamente immesso nel
circolo sanguigno da parte delle ghiandole endocrine, a seguito di uno stimolo, e giunge
infine all’organo bersaglio di competenza. Gli ormoni, quindi, sono regolatori del
metabolismo e dell’organizzazione metabolica tra i vari organi e tessuti.

In particolare, l’ormone che interessa la regolazione della glicogeno fosforilasi, è


l’adrenalina, una catecolamina che è anche un derivato del metabolismo degli amminoacidi.
È l’ormone del “combatti o fuggi”: l’innalzamento delle concentrazioni di adrenalina
determinano tachicardia, dilatazione pupillare, aumento della gittata cardiaca e della
frequenza respiratoria, aumento dell’eccitabilità del sistema nervoso centrale. Entra in gioco
quando si percepisce una minaccia e serve per produrre una risposta, perché l’individuo
sopravviva.

L’adrenalina, dopo essere stata rilasciata dalla midollare del surrene, interagisce con le
cellule bersaglio, cioè quelle cellule che possiedono recettori specifici per l’ormone in
questione. L’adrenalina, infatti, non entra nella cellula, ma innesca una serie di reazioni a
cascata all’interno della cellula mediante il legame con il recettore posto sulla membrana. Il
recettore, che è sempre una proteina (la cui traduzione deriva da un preciso programma
genico che è stato attivato), è il responsabile della trasduzione, cioè del trasporto del
segnale da fuori fino all’interno della cellula, affinché questa dia la risposta adeguata.

L’adrenalina stimola glicogeno fosforilasi in quanto il glicogeno è necessario nella risposta


“lotta o fuggi”: il muscolo scheletrico deve essere rifornito di combustibile e quello più
facilmente reperibile è la riserva di glicogeno, sorgente più immediata di glucosio.
Quindi, l’arrivo dell’adrenalina sul recettore determina una modifica conformazionale del
recettore che aumenta l’affinità per – e interagisce con – la proteina G, collocata sul versante
citosolico della membrana. Questo legame recettore-proteina G attiva la proteina G, che, a
sua volta cambia conformazione e attiva un enzima, l’adenilato ciclasi. Questo enzima
catalizza la reazione di trasformazione di una molecola di ATP a cAMP (e gruppo
pirofosfato); in particolare l’AMP ciclico costituisce il secondo messaggero (il primo è
l’adrenalina ed il suo arrivo e forma il legame con il recettore che determina variazioni di
concentrazione del secondo messaggero).

REGOLAZIONE ALLOSTERICA DELLA PKA


L’cAMP è un regolatore allosterico della proteina chinasi A, che è sensibile ai livelli di cAMP.
La proteina chinasi A, detta PKA, è un tetramero costituito da: due subunità catalitiche C e
due regolatorie R. Le due subunità di tipo regolatorio sono inibitrici, cioè impediscono che le
subunità C catalizzino la reazione. Quando ognuna delle subunità R lega nei propri siti attivi
2cAMP, le subunità R cambiano di conformazione, si distaccano e permettono l’attivazione
della PKA – o, meglio, delle due subunità catalitiche. Ognuna delle due subunità C, che ora
possiedono il sito attivo libero e funzionante, è una proteina chinasi A in forma attiva.

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Quindi, con concentrazioni sufficienti di cAMP, si attiva
l’enzima rilasciando due sub catalitiche e due regolatorie.
La proteina chinasi-A attiva fosforila un’altra proteina,
fosforilasi B-chinasi, consumando ATP. Solitamente si usano
le lettere A e B per indicare rispettivamente le forme attiva e
inattiva di una proteina. Dunque, la fosforilasi B è una
proteina tetramerica ed è l substrato della PKA. La proteina
chinasi- (PKA) agisce individuando i gruppi -OH degli
amminoacidi dei siti attivi della fosforilasi e li fosforila in più
punti. La fosforilazione della fosforilasi chinasi B comporta
una sua attivazione. La fosforilasi chinasi in forma attiva
fosforila, a sua volta, in presenza di Ca2+ e consumando
ATP, la glicogeno fosforilasi. Anche in questo caso, la
fosforilazione del substrato determina un’attivazione, ma non
è una regola.
La glicogeno fosforilasi, come visto in precedenza, catalizza
la reazione di fosforolisi del glicogeno, utilizzando fosfato
inorganico (Pi), dando come prodotto il glucosio 1-fosfato.
Esso verrà poi convertito in glucosio 6-fosfato che poi entra
in glicolisi.

Questa via comporta quindi la rapidissima degradazione di


una parte di glicogeno, che viene convertita non in glucosio
libero, ma in glucosio fosforilato per produrre energia, anche
in condizioni anaerobie.

Questa cascata di eventi somiglia molto a una via che riguarda il glucagone, ma presenta
delle differenze: l’adrenalina agisce prevalentemente sulla cellula muscolare e degrada il
glicogeno rimasto per produrre energia, mentre il glicogeno epatico ha un significato
metabolico diverso – cioè l’omeostasi glicemica – ed è sensibile al glucagone, ormone del
digiuno.

Tutti questi passaggi:


- Sono sensibili alla produzione di un ormone che viene messo in circolo e poi
trasdotto mediante un recettore, la proteina G e l’adenilato ciclasi;
- Dimostrano come ci siano proteine che fungono da substrato di altre proteine: enzimi
sono substrati di enzimi;
- Prevedono il consumo di ATP;
- Terminano con l’ultimo enzima che produce una specifica risposta biologica.

Il recettore per l’adrenalina sulla cellula muscolare è chiamato recettore a serpentina [in
rosa nell’immagine alla pagina successiva] perché ha 7 alfa-eliche collegate tra loro. Si tratta
di una proteina monomerica, a struttura ternaria, intrinseca di membrana capace di
attraversare tutto lo spessore. Ha una parte, il terminale amminico, verso l’ambiente
extracellulare che possiede il sito di legame per l’adrenalina e un terminale citosolico,
interno, il carbossi-terminale. Il cambiamento conformazionale è trasmesso al
carbossi-terminale la quale è in con contatto con la proteina G [in verde].

36
La Proteina G ha un meccanismo
molecolare che la mantiene ancorata
alla membrana e ha una struttura
quaternaria, infatti possiede tre
subunità: α, β e γ. Si chiama così
perché riesce a legare il GDP o il
GTP. A riposo la subunità α ha legato
il GDP.
Quando il recettore cambia di
conformazione, la proteina G separa
la subunità α da β e γ, ed α si muove
lungo la membrana e viene attivata in
quanto sostituisce GDP con GTP.
L’attivazione della proteina G attiva
così l’adenilato ciclasi [AC- in blu].
Quest’ultimo è un enzima citosolico
che ha una bassa attività: se viene
stimolato diventa AC attivo e
catalizza più velocemente la
conversione di ATP in cAMP, con
rilascio di pirofosfato.

La cAMP opera sulla PKA (proteina chinasi A) la quale non solo scatena la degradazione del
glicogeno, ma attiva anche una serie di proteine che causano le reazioni fisiologiche tipiche
della paura (aumento della frequenza cardiaca, della gittata, ecc). Questa risposta quindi
coinvolge il sistema nervoso centrale, aumentando la sua eccitabilità.
Per far abbassare i livelli di cAMP agiscono le fosfodiesterasi, in particolare la nucleotide
ciclico fosfodiesterasi, che trasformano cAMP in 5’-AMP, con abbassamento dei livelli di
cAMP e anche della soglia di eccitazione. Le fosfodiesterasi rompono il legame
fosfodiestereo, introducendo una molecola di acqua, e così ripristinano l’AMP.

Nel momento in cui l’cAMP è degradato, cessa l’attivazione della PKA e termina l’effetto
adrenalinico. I recettori adrenalinici sono detti adrenergici. Questo è β adrenergico di tipo 2,
agisce aumentando cAMP.

La reazione che porta alla formazione di cAMP a partire da ATP è catalizzata dall’adenilato
ciclasi. Questo enzima rimuove i due fosfati terminali, il gruppo pirofosfato uscente, e
catalizza la sintesi di un legame fosfodiestereo, cioè il fosfato rimasto ciclizza tra i carboni 5
e 3 dello zucchero. Si forma in questo modo l’ Adenosina 3’-5’ monofosfato ciclico, con
consumo di energia.

La PKA fosforila sia la fosforilasi B chinasi sia la glicogeno sintasi, due enzimi con azioni
antagoniste: la prima degrada glicogeno, la seconda produce glicogeno. La fosforilazione
non va sempre ad attivare il substrato, ma in questo caso con la fosforilazione il catabolismo
si attiva, l’anabolismo viene disattivato. Questo meccanismo evita il ciclo futile, impedisce
che ci sia dispendio energetico e permette una risposta biologica adeguata.

37
La PKA fosforila quei bersagli enzimatici che hanno una sequenza consenso amminoacidica,
riconosciuta dalla pka: un amminoacido fosforilabile, con gruppi -OH liberi, serine o tirosine.
La conseguenza è che, se la struttura amminoacidica riceve le cariche negative del fosfato,
si determinano grandi cambiamenti strutturali e ciò può diventare un’attivazione o
un’inibizione.

Nel fegato viene attivata la piruvato chinasi, enzima della glicolisi. Quindi, non solo si
produce un intermedio della glicolisi, ma viene stimolato il decimo enzima della via che serve
a trascinare le reazioni precedenti e a chiudere la via stessa.

Il processo a cascata consente un’amplificazione del segnale, l’effetto è imponente. Gli


ormoni agiscono in concentrazioni di 10^-14 molare, cioè bassissime concentrazioni che
devono essere necessariamente amplificate. Basti pensare che questa piccola
concentrazione è in grado di determinare le reazioni “combatti o fuggi”, grazie proprio alla
struttura a cascata. Per ogni molecola di adrenalina si formano 40 di cAMP, da ognuna di
queste 10 di PKA attive, e così via.

A seconda che siamo in una cellula epatica o in una cellula muscolare, il destino del glucosio
cambia molto.
- La cellula muscolare mantiene il glucosio in forma fosforilata, che non esce dalla
cellula, accumula glicogeno per sè e lo consuma nelle sue vie metaboliche.
- Nel fegato, invece, che non ha elevate esigenze metaboliche, la maggior parte del
glucosio esce dalla cellula e immessa nel sangue. Ma perché possa uscire bisogna
che sia defosforilato ad opera dell’enzima che è presente solo nel fegato.

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Il glicogeno epatico ha un significato metabolico diverso: regola la glicemia. Un innalzamento
della glicemia avviene per degradazione del glicogeno epatico, non per glicogeno
muscolare. Il glucosio messo in circolo viene impiegato soprattutto dal sistema nervoso
periferico e dagli eritrociti.

SOSTANZE ECCITANTI
The e caffè sono bevande psicotrope eccitanti, contengono molecole con due proprietà.
Infatti, caffeina e teofillina, una volta assorbite ed entrate in circolo,
1) superano la barriera emato-encefalica
2) inibiscono le fosfodiesterasi: quindi il cAMP non viene degradato, di conseguenza i
livelli di cAMP rimangono alti e dunque l’effetto adrenalinico permane
Da qui si spiega l’effetto eccitante di queste sostanze psicotrope.

Le droghe d’abuso agiscono allo stesso modo, con relative dipendenze e crisi d’astinenza.
Assumendo regolarmente una certa dose di queste sostanze psicotrope, le cellule tendono
ad abituarsi aumentando le fosfodiesterasi. L’effetto eccitante è azzerato e si recupera
l’omeostasi. L’adattamento delle cellule ad una dose della sostanza psicotropa corrisponde
alla dipendenza: se si ricerca nuovamente l’effetto eccitante, è necessario aumentare le dosi
finché – però – non si arriva ad una dose tossica e letale della sostanza.
Ogni sostanza ha dosi letali. Alcune hanno dosi nocive più basse di altre, hanno cioè una
differenza minore tra la dose letale e quella tollerabile. Vuol dire che è molto facile arrivare
alle dosi letali, non considerando poi le complicazioni. Un esempio di queste è l’eroina.

Nel caso in cui si interrompa immediatamente e senza diminuire le dosi della sostanza che
dà dipendenza, le fosfodiesterasi, che si trovano in alte concentrazioni per far fronte
all’abituale assunzione della sostanza eccitante, azzerano completamente cAMP.
Per questa ragione si manifesta la crisi d’astinenza, che corrisponde ad una perdita delle
funzioni cognitive ed a modifiche del comportamento.

AMP CICLICO
L’AMP ciclico è il secondo messaggero di molti ormoni e segnali come il glucagone,
l’istamina, l’FSH, l’LH, l’ormone paratiroideo, le prostaglandine e la somatostatina.
L’AMP ciclico, filologicamente, è stato uno dei primi segnali messo appunto dagli organismi,
è dunque antico, diffuso ed approfonditamente studiato. È stato visto come meccanismo di
segnale tra organismi unicellulari antichi che si scambiano l’AMP ciclico come segnale.

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GLICOGENO FOSFORILASI: MUSCOLO E FEGATO
MUSCOLO
Nel muscolo la conversione dalla glicogeno fosforilasi B alla sua forma A è regolata
covalentemente dall’adrenalina attraverso specifico recettore, ma c’è anche necessità di ioni
Ca++ (lo ione calcio è rilasciato contestualmente alla contrazione muscolare, di cui è
secondo messaggero ed induce l’attività del sarcomero). Il rilascio di Ca++ si accoppia con
la necessità di ATP: quando AMP prevale su ATP l’equilibrio allosterico è spostato verso lo
stato R, attivo, della forma B. Al contrario, ATP ed G6P, agiscono come effettori allosterici
negativi, spostano l’equilibrio allosterico verso lo stato T inattivo della forma B. La glicogeno
fosforilasi A, a prescindere dai livelli di AMP, ATP e G6P, è attiva.

FEGATO
Nel fegato la conversione dalla glicogeno sintetasi B alla sua forma A è regolata in modo
covalente dal glucagone, che è l’ormone del digiuno. Nel caso di un soggetto a digiuno la
glicemia si abbassa proprio per via della condizione di digiuno, con il rischio di mettere in
crisi il metabolismo del cervello e degli eritrociti; per questo interviene il glucagone, che ha
una struttura completamente diversa da quella della glicogeno fosforilasi – e presenta per
questo un recettore diverso –, ma agisce con un meccanismo di regolazione simile.
Il risultato finale è che il glicogeno è degradato con produzione di glucosio libero, che può
uscire dalla cellula ed essere immesso nel circolo sanguigno, innalzando così la glicemia o
facendo in modo che sia mantenuta stabile. Nel fegato, lo scopo della glicogenolisi è quello
di fornire glucosio agli altri tessuti quando la glicemia è bassa. Quando la glicemia è tornata
a valori normali, la concentrazione del Glucosio, che sposta l’equilibrio allosterico verso lo
stato T inattivo della forma A, inattiva la glicogeno fosforilasi A.

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La glicogeno fosforilasi nel fegato può essere attivata per fosforilazione, ma l’enzima
presenta dei siti di legame per il glucosio che, quando lo legano, portano ad un cambiamento
conformazionale dell’enzima.
La forma attiva dell’enzima è quella fosforilata, ed è quella che si osserva quando ci sono
alte concentrazioni di glucosio sia in circolo sia all’interno della cellula: in queste condizioni, il
glucosio cambia la conformazione dell’enzima, che espone siti diversi da quelli fosforilati, ed
in risposta a ciò agiscono dunque altre proteine – le fosfatasi.

Le fosfatasi sono proteine che defosforilano gli enzimi riportandoli alla condizione iniziale,
quindi in presenza di glucosio la glicogeno fosforilasi è vulnerabile all’azione delle fosfatasi
perché espone i fosfati all’esterno. L’azione delle fosfatasi è semplice: attuano un taglio del
fosfato inorganico senza recupero di ATP e l’enzima torna alla sua forma nativa non
fosforilata. [Si ricorda che alcune proteine sono attivate da questo meccanismo di
defosforilazione; nel caso della glicogeno fosforilasi, però, l’enzima è reso inattivo]
È un meccanismo a feedback di regolazione, che viene attivato quando il glucosio
scarseggia, e disattivato quando il glucosio è abbondante.
La glicogeno sintasi viene attivata, l’enzima torna alla sua condizione iniziale tramite un
meccanismo allosterico e il glucosio agisce come un modulatore allosterico cambiando la
conformazione degli enzimi.

DEGRADAZIONE GLICOGENO

Il glicogeno, per essere degradato in maniera significativa, ha bisogno dell’azione combinata


di due enzimi: uno che rompa i legami α1,4 ed uno che agisca sui legami α1,6.

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Il primo enzima è una glicogeno fosforilasi, di struttura semplice, che inizia a rompere i
legami α1,4 fino a quattro residui (nell’immagine in rosso) dal legame α1,6.
A questo punto agisce un enzima deramificante, che ha una doppia attività enzimatica: per
prima cosa sposta tre dei quattro residui (indicati in rosso in figura) e poi taglia i restanti,
avendo come risultato finale quello di avere una catena lineare.
La sua azione apre la strada all’azione della glicogeno fosforilasi, che rompe i legami α1,4
fino a quando di nuovo arriva a quattro residui dal legame α1,6; il secondo enzima ricomincia
la sua funzione, così da deramificare la catena e permettere una nuova azione della
glicogeno fosforilasi.

Se agisse solo il primo enzima, il prodotto (privo dell’esterno il grano di glicogeno fino a
quattro residui dal legame α1,6) prende il nome di destrina limite, perché non si può
procedere oltre se non interviene l’enzima deramificante.

Nel grano del glicogeno i residui più scuri (indicati in nero in figura) sono quelli che possono
essere degradati per azione dell’α-amilasi: se venisse introdotto amido con l’alimentazione,
l’amilasi eliminerebbe i primi residui e si fermerebbe alla destrina limite. È poi necessario
l’intervento dell’enzima deramificante affinché sposti i residui, tagli ed esponga un'altra parte
del grano di glicogeno all’azione dell’enzima.

Procedendo così si può arrivare ad una degradazione sempre maggiore che però, nel caso
del glicogeno, non è mai completa. I granuli di glicogeno nel nostro organismo aumentano o
diminuiscono di dimensioni, ma non spariscono. Persino il muscolo di un atleta sottoposto ad
intenso e prolungato sforzo fisico presenta ancora granuli.
L’organismo umano è in grado di degradare circa la metà del glicogeno, non oltre: ogni
granulo rimane per poi essere ricostruito e non può essere degradato oltre ad un certo livello
di degradazione.
Il livello di degradazione del glicogeno è uno dei segnali di fatica che partecipa a bloccare
l’attività della fibra, che – quando ha dimezzato il suo contenuto di glicogeno – si ferma.

Al centro del grano di glicogeno c’è la glicogenina, che fa


da nucleo di aggregazione. È una proteina prodotta da
specifici geni e particolarmente espressa nelle cellule che
necessitano di glicogeno.
È sostanzialmente una glicoproteina che viene glicosilata:
espone siti con gruppi –OH a cui si possono agganciare
dei glucidi e, su questi, si agganciano dapprima monomeri
di glucosio (costituendo una struttura dendridridica) e con
successive polimerizzazioni il granulo assume una forma
tridimensionale molto compatta che ramifica in tutte le
direzioni.

L'attività della glicogeno fosforilasi è regolata sia allostericamente sia covalentemente.


Nella regolazione allosterica intervengono: ioni calcio e AMP (attivatori), ATP (inibitore) ed il
glucagone. Nella regolazione covalente, interviene la fosforilazione della glicogeno
fosforilasi b, e quindi la sua attivazione in glicogeno fosforilasi a, mentre la
defosforilazione comporta la sua inattivazione.

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INGRESSO DEI GLUCIDI
Le molecole negli alimenti entrano nell’organismo o come nutrienti – se si hanno gli enzimi
per gestirle – o sono tossiche.

MANNOSIO
Il mannosio è un monosaccaride introdotto con l’alimentazione che può essere generato per
degradazione di glucidi complessi.
Il mannosio entra nella via glicolitica tramite consumo di ATP. Una volta entrato si ha l’azione
della esochinasi – mannosio e glucosio ne sono substrati – e si ha il mannosio-6-P.
Dal mannosio 6-P poi c’è l’azione dell’isomerasi fosfomannoisomerasi, che lo converte in
fruttosio 6-fosfato e il mannosio così entra nella via glicolitica, con lo stesso bilancio
energetico.

FRUTTOSIO
Il fruttosio può trovarsi libero nel flusso ematico. Ci sono due possibili vie per far entrare il
fruttosio nella via glicolitica:
1) Semplice: l’esochinasi fosforila il fruttosio consumando ATP in posizione 6 e
facendolo diventare fruttosio 6-P, con lo stesso bilancio energetico.
2) Complessa: è una sorta di glicolisi collaterale, nella quale il fruttosio è preso dalla
fruttochinasi, che lo fosforila in posizione 1 trasformandolo in fruttosio 1 fosfato. Il
fruttosio 1-P viene catturato da un’aldolasi alternativa e diventa fruttosio 1 P
aldolasi. L’aldolasi rompe il fruttosio, ottenendo due triosi – uno fosforilato ed uno no,
dato che si aveva un solo fosfato legato al fruttosio.

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Quindi l’azione della via complessa, e dell’aldolasi alternativa in particolare genera,
gliceraldeide e diidrossiacetonfosfato.
Il diidrossiacetonfosfato è già un intermedio della via glicolitica, mentre la gliceraldeide deve
essere fosforilata dalla trioso fosforilasi, che la fosforila con consumo di ATP diventando
gliceraldeide 3-P. Il bilancio energetico risulta essere uguale.

GALATTOSIO
Il galattosio è un monosaccaride presente nel lattosio (formato da galattosio e glucosio,
l’azione della lattasi rompe il legame tra glucosio e galattosio liberandoli).
Il glucosio non richiede vie particolari, mentre il galattosio ha bisogno di una via specifica,
che richiede l’azione di 3 enzimi.
Il primo enzima è la galattocinasi che fosforila con consumo di ATP il galattosio in
posizione1, ottenendo galattosio 1-P.
Agisce poi l’enzima uridiltransferasi, la cui reazione prevede che i substrati galattosio 1-P e
UDP glucosio agiscano insieme: dapprima il galattosio è preso dall’UDP glucosio, poi l’UDP
galattosio è catturato da una epimerasi.
Infine la UDP glucosio 4-epimerasi gira la posizione del gruppo –OH trasformandolo UDP
glucosio, che diventa poi donatore del glucosio.

Per far entrare il galattosio nella via glicolitica necessita di:


- galattochinasi
- uridiltransferasi
- 4-epimerasi
Tutti e tre questi enzimi devono essere presenti per
funzionare in maniera adeguata, altrimenti si va incontro a
galattosemia.

E’ una malattia metabolica genetica, che porta


all’incapacità della gestione del galattosio con
conseguenze letali. La diagnosi deve essere fatta prima
della nascita, per evitare l’allattamento. Se non venisse
diagnosticata, l’assunzione del latte materno porterebbe
alla scissione del lattosio, tramite lattasi, in glucosio e
galattosio; tuttavia il galattosio va in circolo senza essere
differenziato con conseguenze potenzialmente letali (morte
o danni psicomotori gravissimi).
Per questo è usato latte artificiale senza lattosio, ma con
glucosio o maltosio – altre fonti glucidiche diverse dal
galattosio, che comunque non è indispensabile.

La galattosemia è completamente diversa dall’intolleranza


al lattosio: il galattosemico non è intollerante al lattosio, per
definizione, e nessun neonato è intollerante al lattosio.

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REGOLAZIONE DELLA GLICOLISI
La via glicolitica degrada parzialmente il glucosio con lo scopo di produrre ATP in modo
indipendente dalla presenza di O2. Contestualmente a questo si ha la produzione anche di
altri intermedi, o utilizzati per altre vie metaboliche o precursori per altre vie metaboliche,
come NADH + H+.
La cellula deve mantenere l’omeostasi energetica e strutturale, in modo il più possibile
indipendente dalla disponibilità di nutrienti, mantenendo una carica elettrica interna intorno al
0.7 - 0.8 e ripristinando le molecole che sono soggette a degradazione.

La via glicolitica è soggetta a stretta regolazione, in quanto deve poter regolare e soddisfare
le esigenze metaboliche conservando l’omeostasi. La velocità dello scorrimento di atomi di
carbonio lungo questa via dev’essere velocemente adattabile alle necessità della cellula.
Gli organismi operano in uno stato stazionario che non è in equilibrio con l’ambiente esterno,
con cui sono indipendenti. Si deve poter controllate e alterare i flussi molecolari ed energetici
delle vie metaboliche in modo efficiente e rapido per mantenere l’omeostasi.

Per regolare una via, in questo caso composta da dieci reazioni diverse, è sufficiente
regolare solo i punti chiave della via, che corrispondono ai punti dell’attività di enzimi di
regolazione. Questi enzimi agiscono come valvole molecolari e la loro attività modifica
l’attività di tutta la via.

Gli altri enzimi sono soggetti all’azione di massa, dipendono dalla concentrazione del
substrato che viene fornito e funzionano a concentrazioni di substrati molto minori di quella
saturante. La velocità, pertanto, è regolata dalla concentrazione istantanea del substrato.
Se l’enzima precedente per qualche ragione non va, necessariamente si fermano anche gli
altri perché non hanno un substrato al quale legarsi e con il quale funzionare.

REGOLAZIONE COORDINATA DI VIE CATABOLICHE/ANABOLICHE


Glicolisi e gluconeogenesi sono regolate in modo coordinato e reciproco. Le vie metaboliche
devono esserlo perché la cellula non vada incontro a morte.

Le tappe soggette a regolazione sono quelle irreversibili, con ∆G0’ negativo. La regolazione
avviene tramite enzimi allosterici, che sono regolati in modo reciproco da effettori o
modulatori di cui gli enzimi allosterici sono sensibili. Il modulatore può essere positivo o
negativo e può provocare la formazione di una conformazione più o meno efficiente per la
catalizzazione della reazione. Al di sopra dei modulatori c’è la regolazione che è ormonale.

L’enzima di regolazione, essendo un modulatore allosterico, ha una curva sinusoide ed è


sempre fatto da più subunità con una struttura quaternaria. Ha dunque bisogno di almeno
due geni, ed ha dunque un maggiore costo sia in termini proteici essendo più complesso sia
in termini di informazioni.

Tutti gli enzimi della via glicolitici sono assemblati in complessi enzimatici nel citoplasma, gli
enzimi di regolazione sono tre: – Esochinasi 1° enzima
– PFK-1 3° enzima
– Piruvato chinasi 10° enzima

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ENZIMI DI REGOLAZIONE

Questa via catabolica è attentamente regolata in tre punti attraverso tre enzimi di
regolazione, che fungono da valvole molecolari del flusso di carboni che le attraversano:
l’esocinasi, la fosfofruttocinasi-1 (o PFK-1) e il piruvato cinasi.
Queste tappe comportano il consumo (nel caso dei primi due enzimi) o la produzione (come
avviene per il piruvato cinasi) di ATP, tappe nelle quali il ∆G°’ ha un modulo elevato.

Prendendo in considerazione la via, con i suoi principali intermedi, agli estremi si trovano il
glucosio, che rappresenta il substrato di partenza della via, ed il piruvato, prodotto finale
della glicolisi, che – in caso di carenza di ossigeno e conseguente blocco dei mitocondri – è
destinato ad essere convertito in lattato (ciclo di Cori).

La prima tappa prevede la fosforilazione in posizione 6 del glucosio in glucosio 6-fosfato con
consumo di una molecola di ATP, che funge così da donatore del gruppo fosfato, ad opera
del primo degli enzimi di regolazione, l’esocinasi (la quale isoforma è presente in tutte le
cellule dell’organismo perché tutte fanno glicolisi).

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Il principale modulatore allosterico di questo enzima è lo stesso prodotto della reazione che
catalizza: il glucosio 6-fosfato. Questo, con meccanismo a feedback retroattivo negativo
(tipico dell’esocinasi), inibisce l’attività dell’esocinasi stessa.
Ciò accade perché il prodotto fosforilato non deve accumularsi all’interno della cellula perché
si sarebbe utilizzato ATP inutilmente, se questo non venisse consumato con le reazioni
successive – quindi senza che il glucosio assunto con la dieta abbia potuto produrre
l’energia per cui l’organismo lo ha assimilato.

Lo scopo della reazione è dunque produrre un intermedio, il glucosio 6-fosfato, che deve
essere immediatamente consumato.
Qualora ci fosse accumulo di prodotto, immediatamente questo andrebbe a bloccare
l’esocinasi con meccanismo di inibizione allosterica negativa, facendo sì che la curva
sigmoide che ne contraddistingue l’attività venga schiacciata a destra, evitando l’ulteriore
consumo di ATP. Se, invece, il prodotto è consumato regolarmente e l’enzima risulta di
conseguenza attivo, dopo la successiva tappa di isomerizzazione a fruttosio 6-P, si osserva
l’intervento del terzo enzima della via, la PFK-1 – il secondo degli enzimi di regolazione ed il
più importante.

Questo enzima è soggetto a diversi effetti di modulazione e catalizza l’ulteriore fosforilazione


del fruttosio 6-P a fruttosio 1,6-bisfosfato con consumo di una seconda molecola di ATP
(anche in questo caso si tratta dunque di una tappa critica).
Come per l’esocinasi, anche il prodotto della PFK-1 non deve accumularsi nella cellula,
perché, in caso contrario, si avrebbe la paradossale situazione di assumere glucosio e di
consumare ATP senza poi produrne.

A seguito dell’azione della PFK-1 si ha un prodotto estremamente energizzato (fruttosio


1,6-bisfosfato), in quanto ha accumulato in sé l’energia di due molecole di ATP.
Le tappe successive consistono in una serie di reazioni dal ∆G°’ vicino allo zero o talvolta
positivo, come nel caso dell’aldolasi.

Per poter arrivare al termine, questa via ha bisogno dell’ultima reazione, quella di
conversione del fosfoenolpiruvato in piruvato ad opera della piruvato cinasi, terzo ed ultimo
enzima di regolazione della via, che presenta il ∆G°’ più negativo ed esoergonico, proprio
con l’obiettivo di spostare verso la formazione dei prodotti l’equilibrio dell’intera via,
garantendo il consumo di glucosio 6-P e la resa energetica finale di 2 ATP netti.
Qui assistiamo ad uno dei pochi esempi fisiologici di meccanismo di regolazione
feedforward, rappresentato dall’azione di induzione del fruttosio 1,6-bisfosfato sulla piruvato
cinasi, che, con meccanismo di modulazione allosterica positiva, sposta verso sinistra la
curva sigmoide dell’attività dell’enzima.
Qualora, quindi, questo intermedio iniziasse ad accumularsi, subito andrebbe a stimolare
l’attività dell’enzima, che vede aumentata la propria attività catalitica, consumandolo in
maniera indiretta.
(ATTENZIONE: meccanismo molto importante per il prof, da sapere assolutamente)

Gli enzimi che, invece, non sono di regolazione, sono soggetti alla legge dell’azione di
massa.

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Oltre che dal fruttosio 2,6-bisfosfato, la piruvato cinasi è soggetta ad altre regolazioni, tra cui:
l’ATP (con effetto di inibizione; la carica energetica influisce quindi sulla via glicolitica
contemporaneamente su due fronti, tramite la PFK-1 da una parte, e tramite la piruvato
cinasi dall’altra) e l’alanina. Questo è un amminoacido con effetto inibitorio sull’attività
dell’enzima, che fa parte del pool amminoacidico cellulare per la sintesi proteica; un aumento
nella concentrazione di queste molecole si ha in seguito ad un’aumentata proteolisi, un
meccanismo di difesa attuato dalla cellula in caso di carenza di substrati energetici, e, nella
cellula epatica, questo amminoacido è poi utilizzato come substrato di partenza per la via
gluconeogenetica. Di conseguenza la cellula, per evitare il ciclo futile, in caso di eccesso di
alanina, stimola contemporaneamente la via gluconeogenetica ed inibisce quella glicolitica,
agendo sulla piruvato cinasi. Dunque sia la regolazione del fruttosio 2,6- bisfosfato, che
agisce su PFK-1, sia quella dell’alanina, che agisce sulla piruvato cinasi, impediscono il ciclo
futile.

ESOCINASI
E’ il primo enzima di regolazione della via glicolitica, presente in tutte le cellule, che permette
l’utilizzo del glucosio a fini energetici e la produzione del primo intermedio della via. Presenta
Km rispetto al glucosio molto bassa (0,1mM). Il suo substrato è in grado di entrare all’interno
della cellula grazie a trasportatori specifici, con meccanismo di trasporto passivo senza
consumo di ATP, che altrimenti inciderebbe sulla resa energetica. A questo esiste
un’eccezione: a livello dell’intestino, il trasportatore, chiamato SLUGT 1, sfrutta un
co-trasporto che consuma ATP per muovere contro gradiente il glucosio dal lume intestinale
all’interno delle cellule dell’epitelio intestinale stesso.

Il glucosio ematico ha concentrazioni diverse a seconda che l’ultimo pasto sia avvenuto da
pochissimo (iperglicemia, concentrazione di glucosio fra i 15-20mM), da poche ore
(normoglicemia, 4-5mM) oppure da molte ore (ipoglicemia, 1-2mM).
In tutti questi casi, l’esocinasi si trova a lavorare in condizioni saturanti, in quanto la
concentrazione di glucosio ematico è sempre molto maggiore della Km ( [glucosio] >> Km ), e
ciò gli consente di lavorare sempre alla Vmax. Ciò indica che l’attività catalitica della esocinasi
non è sensibile al valore esatto della glicemia, in questo modo è in grado di funzionare
anche in condizioni di ipoglicemia.
L’unico metabolita che ne influenza l’attività è il suo prodotto, il glucosio 6-P, dal cui
accumulo deriva un rallentamento delle successive tappe della via glicolitica (rallentamento
che influisce sull’attività del l’enzima in questione).
Nel fegato, invece, è presente un enzima diverso: la glucocinasi o esocina.

GLUCOCINASI
La glucocinasi è un enzima esclusivamente delle cellule epatiche, di cui ne rappresenta
una peculiarità. La glucocinasi non serve ad alimentare la via glicolitica, ma regola la
glicemia. L’espressione della glucocinasi nel fegato è indotta dall’insulina: in assenza di
insulina non si ha glucocinasi.
Il diabetico di tipo I presenta pertanto un danno molecolare: non esprime glucocinasi nel suo
fegato, quindi non può abbassare la sua glicemia. Da qui il sintomo principale del diabetico:
l’iperglicemia. La glucocinasi regola la glicemia abbassandola.

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Una volta che il glucosio si trova nel circolo ematico, attraverso il trasportatore passivo per
gradiente di concentrazione entra nella cellula (con lo stesso principio può anche uscirne) e
se viene fosforilato viene bloccato all’interno. Più glucosio nella cellula viene fosforilato
tramite glucocinasi più ne risulta sottratto al circolo. Questo è il meccanismo di
abbassamento della glicemia.

Osservazioni:
1. Per poter fosforilare il glucosio continuativamente per sottrarlo al circolo è evidente che
la glucocinasi debba essere insensibile al suo prodotto: infatti, il glucosio-6-fosfato non
inibisce la glucocinasi. Esso si può accumulare nella cellula e la glucocinasi continua a
funzionare. Questa è la differenza principale rispetto all’esocinasi.
Questo eccesso di G6P potrà in minima parte esser consumato dal fegato nella glicolisi,
ma la maggior parte verrà usata nella sintesi del glicogeno: la glicogenosintesi.

2. Dato che la glucocinasi non è inibita dal suo prodotto (G6P) e che la sua Km = 10 mM,
cosa “blocca” l’enzima?
Non l’iperglicemia – per la quale la concentrazione di glucosio è di circa 20 mM, 2-3 volte
la Km –, ma sono le condizioni di normoglicemia (4-5 mM, meno della metà della Km) e
la ipoglicemia (1 mM, un decimo della Km) a inibirlo.
La glucocinasi è regolata dalla glicemia: quando la glicemia è alta l’enzima è attivo, la
sua attività diminuisce la glicemia e, arrivando ad essere normoglicemia, si ferma perché
arriva ad avere una Km molto alta.

3. Caratteristiche della glucocinasi: non è sensibile all’inibizione del prodotto, ha una Km


molto alta, indice del suo ruolo diverso da quello dell’esocinasi: non alimenta la glicolisi,
abbassa la glicemia ed alimenta la sintesi del glicogeno.

La glucocinasi viene attivata solo quando la glicemia è alta (condizione postprandiale): deve
essere almeno di 10 mM e oltre. Questo dipende da molti fattori, che vanno da cosa e
quanto si è mangiato all’indice glicemico.
Non essendo inibita dal suo prodotto, continua ad accumularlo nella cellula epatica, che sarà
indirizzata verso la biosintesi del glicogeno, che a sua volta viene immagazzinato.
Dopo aver mangiato un piatto di pasta ed aver riposato la glicemia sarà diminuita non per
consumo di glucosio, bensì per sottrazione del glucosio dal circolo sanguigno e suo
accumulo come glucosio epatico. Facendo invece un’attività fisica intensa una buona parte
del glucosio acquisito tramite la dieta sarà consumato.

La glucocinasi è inibita dal fruttosio-6-fosfato, attraverso una proteina regolatrice della


glucocinasi. Questo sistema ha a che fare con il sensore della glicemia delle cellule beta del
pancreas.

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Le cellule beta del pancreas hanno dei trasportatori del glucosio insulino-indipendenti
tramite cui il glucosio entra in esse e aumenta la carica energetica cellulare, rendendo inoltre
disponibili diversi intermedi. Questo è il segnale che consente il rilascio dell’insulina.

Riassumendo, quindi:
Il glucosio nella cellula entra tramite GLUT2 , l’esocinasi IV o glucocinasi lo fosforila, una
gran parte di questo viene indirizzato verso la sintesi del glicogeno, una parte è invece
consumato nella via glicolitica generando fruttosio-6-fosfato, il quale regola l’esocinasi IV che
può essere portata nel nucleo da una proteina regolatrice dove sarà inibita (non trova più
glucosio da fosforilare). Se sganciata dalla proteina regolatrice sarà nuovamente
disponibile a fosforilare nel citoplasma.

La glucocinasi si trova solo nella cellula epatica poiché il gene della glucocinasi è indotto
dall’insulina in maniera specifica. Il diabetico di tipo I, non producendo insulina, è carente di
questo enzima nel fegato e se mangia un cibo ricco di glucidi, la glicemia aumenta e poi
rimane alta. L’unica soluzione per questo soggetto, suppletiva all’iniezione di insulina, prima
di andare in coma chetoacidosico, è incrementare il consumo di glucosio.

Cosa accade in caso di digiuno prolungato:


Se un individuo non mangia da 2 settimane ha livelli molto bassi di insulina in circolo, e
quindi di glucocinasi. Se all’improvviso consuma un pasto glucidico abbondante, la glicemia
sale, ma non si ha la glucocinasi: si è funzionalmente diabetici. Si rischia il coma
chetoacidosico. Soggetti in digiuno prolungato necessitano di esser rieducati
all’alimentazione.

DIFFERENZA GRAFICA TRA GLUCOCINASI ED ESOCINASI

L’esocinasi ha una curva che impenna


immediatamente con una concentrazione di 1mM.
La glucocinasi con 5mM è ancora insatura. La
saturazione si raggiunge con valori glicemici più
elevati. Queste due curve evidenziano molto bene
la differenza tra i due enzimi.

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PFK-1
La PFK-1 è il terzo enzima della via glicolitica, sensibile alla carica energetica cellulare,
inibito dal citrato (tramite sincronizzazione della velocità del ciclo di Krebs alla velocità della
glicolisi), e dipende fortemente dal fruttosio 2,6-bisfosfato per poter essere cataliticamente
attivo.

Questo enzima funge da “interruttore” molecolare della via, potendola bloccare interamente
quando inibito. Se, infatti, gli giungessero dei segnali di inibizione, questa tappa non
avverrebbe, impedendo quindi al fruttosio 6-P di essere convertito in fruttosio 1,6-bisfosfato e
bloccando di conseguenza le reazioni successive per la carenza di substrato.
In più, le quantità sempre minori di questo prodotto inibiranno il piruvato cinasi e, venendo
meno la sua forza trainante sull’intera via, rallenteranno così ulteriormente tutte le reazioni
successive alla produzione del fruttosio 1,6-bisfosfato.
Viceversa, nelle prime reazioni, l’accumulo di fruttosio 6-P porta, per la legge dell’azione di
massa, l’equilibrio della reazione di isomerizzazione verso i reagenti, generando un eccesso
di glucosio 6-P, che, a sua volta, inibirà l’esocinasi, bloccando la via dall’inizio, ed il glucosio
non verrebbe impiegato per produrre energia, ma destinato a reazioni alternative come la
sintesi di glicogeno.

Il blocco di questa tappa, dovuto ad un’inibizione della PFK-1, porta i prodotti delle reazioni
successive ad essere consumati rapidamente, mentre gli intermedi delle reazioni precedenti
si accumulano. Questo causa un aumento di AMP, a discapito delle concentrazioni di ADP e
ATP, che verranno via via consumati durante le altre vie metaboliche della cellula. Il
consumo di ADP e ATP genera delle oscillazioni nella concentrazione del glucosio, che verrà
consumato per produrre ATP in relazione alla carica energetica stessa, fino a giungere ad
uno stato di equilibrio, seppur oscillante.

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I modulatori allosterici della PFK-1 sono:
- La carica energetica cellulare, in particolare l’AMP, che svolge un ruolo di attivatore
allosterico, e l’ATP, che viceversa funge da inibitore.
Questo avviene perché la via glicolitica ha come scopo fondamentale quello di
produrre ATP nel citoplasma, anche in condizioni anaerobie, mediante fosforilazione
a livello del substrato. Quindi, quando nella cellula la concentrazione di ATP e quindi
la carica energetica risulterà elevata (intorno ad un valore di 0,8), non sarà più
necessario consumare glucosio attraverso questa via, verrà dunque risparmiato e
indirizzato a reazioni diverse, come la sintesi di glicogeno, in cui viene
immagazzinato. Viceversa, valori bassi della carica energetica (quindi alte
concentrazioni di AMP cellulare), stimolano l’attività di questo enzima, affinché si
consumi più glucosio per ritornare a valori fisiologici.
- Gli ioni H+, e quindi il pH. Appena il pH si abbassa anche solo di 1-2 decimi, l’enzima
subisce una denaturazione, dovuta al fatto che la molecola, tramite i suoi gruppi
laterali, cattura gli ioni H+, che ne modificano la carica elettrica interna, generando un
cambiamento conformazionale che porta ad una forte inibizione dell’attività
dell’enzima. Questa situazione si verifica in seguito alla produzione del lattato, che
porta alla riduzione del NAD+ a NADH e alla liberazione di ioni H+. A causa del fatto
che vengono prodotti anche questi ioni, che – denaturando la PFK-1 – portano ad
una interruzione della via glicolitica, sotto sforzo intenso si ha accumulo di lattato fino
ad una certa soglia, raggiunta la quale è necessario ridurre le prestazioni.
- Il citrato, primo intermedio del ciclo di Krebs (o ciclo dell’acido citrico o ciclo degli
acidi tricarbossilici), una via metabolica che consiste in una serie di reazioni che
avvengono in presenza di ossigeno nel mitocondrio e che consentono di ricavare dal
piruvato potere riducente, e quindi ATP, in grande quantità.
Questo modulatore funge da inibitore allosterico dell’attività della PFK-1 in seguito ad
un rallentamento del ciclo di Krebs, dovuto all’aumento della carica energetica
cellulare oppure all’accumulo di potere riducente nel mitocondrio. Perché il citrato
possa svolgere questo compito, dal mitocondrio dove viene prodotto, attraverso
specifici trasportatori sulla membrana mitocondriale, viene portato nel citoplasma, e
utilizzato poi per diverse reazioni metaboliche, tra cui la biosintesi degli acidi grassi e
del colesterolo, e contemporaneamente – se non viene consumato – andrà ad inibire
l’attività della PFK-1. Quest’ultimo passaggio avviene in virtù del fatto che glicolisi e
ciclo di Krebs sono sincronizzate, e viaggiano alla stessa velocità nella logica della
massima economia di risorse all’interno della cellula. Quando il ciclo di Krebs
rallenta, manda un segnale di stop alla glicolisi, che dipende dall’energia posseduta
dal mitocondrio.
Riassumendo: il ciclo di Krebs rallenta ed il citrato si accumula quando la cellula
molto ricca di energia.
- La PFK-2, diversa dalla PFK-1 per struttura e funzioni, svolge un ruolo regolatorio nei
confronti della glicolisi (senza intervenire direttamente nelle reazioni che portano alla
formazione del piruvato) tramite la produzione di fruttosio 2,6-bisfosfato, principale
modulatore allosterico positivo indispensabile alla PFK-1. Questo avviene soprattutto
a livello del fegato, dove questa regolazione svolge un ruolo chiave anche nella
gluconeogenesi, che viene modulata in maniera opposta rispetto alla glicolisi allo
scopo di evitare la realizzazione del ciclo futile.

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Essendo la PFK-1 un enzima di regolazione multimerico, la sua cinetica di legame seguirà
un andamento sigmoidale [vedi immagine precedente], soggetto a fenomeni di regolazione
allosterica che ne faranno spostare verso destra o verso sinistra la curva, a seconda che
interagisca rispettivamente con un inibitore o con un attivatore.

In particolare, la carica energetica cellulare a valori elevati sposta la curva verso destra,
schiacciandola e rendendo l’enzima meno efficiente, mentre bassi valori la sposta verso
sinistra, rendendola simile ad un’iperbole (è sempre sigmoide, solo molto schiacciata).
Queste variazioni sulla posizione della curva incidono sul valore della Km, tanto minore tanto
più l’enzima risulta attivo. All’effetto della carica energetica sull’attività della PFK-1 si
aggiunge quello del fruttosio 2,6-bisfosfato. In totale assenza di questa molecola, la curva
risulta particolarmente schiacciata verso il basso, spostando la Km molto verso destra ed
abbassando notevolmente l’attività catalitica dell’enzima, che quasi smette di funzionare. Se,
invece, la quantità è sufficiente, la curva risulta più spostata verso sinistra, con un forte
aumento dell’attività.
Quando sono presenti contemporaneamente entrambi questi effetti (alta concentrazione di
fruttosio 2,6-bisfosfato e bassa carica energetica cellulare), essi cooperano positivamente, si
vedrà un potenziamento ulteriore dell’attività.

PFK2
La PFK-2, che produce il fruttosio 2,6-bisfosfato indispensabile per la PFK-1, è un
complesso bifunzionale, in quanto è in grado di svolgere alternativamente due azioni
catalitiche opposte, catalizzando reazioni di fosforilazione (cinasi) o di defosforilazione
(fosfatasi), senza che vengano mai contemporaneamente inibite.
Quando agisce come cinasi, converte il fruttosio 6-fosfato in fruttosio 2,6-bisfosfato,
consumando ATP; se, invece, è attiva la fosfatasi, catalizza la reazione opposta,
defosforilando il fruttosio 2,6-bisfosfato a fruttosio 6-P, liberando Pi (fosfato inorganico).

La sua azione modifica, all’interno della cellula epatica, la concentrazione delle due
molecole, e la regolazione di questo processo e della direzione in cui procede è data dalla
proteina cinasi A. Questa molecola deriva dalla cascata di reazioni attivate dal legame del
glucagone col suo recettore, costituito da 7 α-eliche transmembrana, simile per struttura ma
non per ligando al recettore β-adrenergico dell’adrenalina (quest’ultimo presente soprattutto
a livello muscolare, dove il glicogeno viene degradato per alimentare la via glicolitica).
Il recettore del glucagone viene esposto sulla membrana plasmatica dell’epatocita con lo
scopo di bloccare la glicolisi quando non necessaria, in modo da evitare il ciclo futile. Il
legame del recettore con il glucagone genera un cambiamento conformazionale del recettore
stesso che consentirà la trasduzione del segnale all’interno della cellula.

Il primo effetto di questa modifica è l’attivazione di una proteina G, la quale può così
scambiare il GDP che legava in forma inattiva con GTP, e ciò permette il distacco dalla
subunità α. Quest’ultima va ad interagire con l’adenilato ciclasi, la quale catalizza la
conversione di ATP in cAMP, con liberazione di pirofosfato.
L’AMP ciclico funge da modulatore allosterico della proteina cinasi A (PKA), legandosi in
numero di due molecole per ognuna delle due subunità regolatorie (per un totale di 4
molecole per ognuna di enzima).

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Ciò permette il rilascio delle due subunità catalitiche, che possono così fosforilare tutti quei
substrati (come la PFK-2) che presentano un particolare dominio nella propria sequenza di
struttura. Una volta fosforilato, questo enzima catalizza le reazioni di defosforilazione,
azzerando la quantità di fruttosio 2,6-bisfosfato e bloccando così la glicolisi.
Per questo il glucagone è anche noto come “ormone del digiuno”, ragion per cui nel fegato in
condizioni di ipoglicemia non avviene glicolisi bensì gluconeogenesi.

ATTENZIONE: l’adrenalina permette la glicolisi, il glucagone no ed al contrario la


inibisce; dunque quello che accade nella cellula muscolare è differente da quello che
accade nella cellula epatica. La PKA viene attivata anche nella cellula muscolare, ma il
complesso bifunzionale non c’è, non regola il fruttosio 2,6- bisfosfato, quindi la glicolisi
è permessa.

Quando la concentrazione di glucosio si abbassa, il glucagone aumenta, viene attivata la


PKA che è in grado indirettamente di riconoscere e modulare l’attività di diversi bersagli
molecolari, tra cui:
- la fosforilasi cinasi, che, fosforilato dalla proteina cinasi A, attiva la glicogeno
fosforilasi per la demolizione del glicogeno;
- la glicogeno sintasi, che, catalizzando la reazione contraria alla glicogeno
fosforilasi, verrà inibita;
- la PFK-2, che, quando fosforilata, abbassa la quantità di fruttosio 2,6-bisfosfato nella
cellula epatica, e di conseguenza inibisce la PFK-1 e la glicolisi nel suo insieme;
- la piruvato cinasi, con effetto di inibizione, sempre con lo scopo di bloccare la
glicolisi.

Durante il digiuno, quindi, il glicogeno nella cellula epatica viene demolito, mentre la
biosintesi dello stesso e la glicolisi vengono inibiti. Questo avviene perché il glucosio,
trovandosi più concentrato all’interno della cellula rispetto che nel sangue, può uscire
dall’epatocita secondo gradiente, dopo essere stato defosforilato e senza essere consumato
nel metabolismo della cellula, per sostenere la glicemia, impedendo così che continui ad
abbassarsi. Inoltre, questo glucosio sostiene il fabbisogno di glucosio delle altre cellule.

Se questo periodo di digiuno si dilunga, questo meccanismo non è più sufficiente, per cui è
necessario ricorrere ad altre vie di compensazione a medio e lungo termine, tra cui la
gluconeogenesi.
Queste comportano, per le cellule epatiche, il blocco della glicolisi, ricavando l’energia di cui
hanno bisogno da altri nutrienti, come gli acidi grassi e i corpi chetonici. Invece, nel caso
della cellula muscolare, il glucosio liberato dalla demolizione del glicogeno rimane fosforilato,
prima in posizione 1 e poi isomerizzato a glucosio 6-P, rimanendo intrappolato all’interno
della membrana plasmatica per poter essere consumato tramite glicolisi.

Se la proteina cinasi A, che ha permesso ai meccanismi appena descritti di avvenire,


venisse spenta, allora entrerebbero in gioco le fosfoproteine fosfatasi, che
defosforileranno, con liberazione di Pi, il complesso bifunzionale, che in questo modo
fungerà da cinasi.

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Negli epatociti, il contenuto di fruttosio 2,6-bisfosfato indirizza la cellula verso la glicolisi o
verso la gluconeogenesi a seconda che sia più o meno presente nel citosol.
La sua concentrazione viene regolata dal glucagone, particolarmente presente in
ipoglicemia, e il suo ormone antagonista è l’insulina, rilasciata in seguito ad un
innalzamento del valore glicemico, che agisce sugli stessi meccanismi (seppur con esito
opposto) stimolando la glicolisi ed inibendo la gluconeogenesi, e che fa sì che il complesso
bifunzionale si trovi defosforilato.
La glicemia viene regolata modificando il rapporto relativo tra le concentrazioni di questi due
ormoni, che sono sempre in circolo insieme. Infatti, in condizioni di digiuno prolungato, una
piccola quantità di insulina è comunque presente, mentre subito dopo un pasto l’insulina è
liberata in grandi quantità, ed il glucagone resterà in circolo, stavolta in piccole dosi.
Eccezione a questa situazione si ha nel quadro patologico del diabete di tipo I, in cui il
soggetto affetto non è in grado di produrre insulina. La regolazione di questi ormoni permette
di modulare la risposta cellulare per il mantenimento dell’omeostasi glicemica.

PIRUVATO CINASI
Ne esistono 3 diversi isoenzimi nei vertebrati. L’isoenzima del fegato è quello potentemente
attivato per feedforward dal fruttosio-1,6-bisfosfato e risulta inibito quando la carica
energetica cellulare è elevata da alanina ed anche da Acetil-coA e dagli acidi grassi liberi a
catena lunga. Questo è un collegamento col metabolismo dei lipidi: nella cellula c’è molta
disponibilità di acidi grassi a catena lunga quando c’è degradazione dei trigliceridi, ovvero
lipolisi, condizione del digiuno estremo. In condizione di digiuno estremo avviene
proteolisi, che aumenta la concentrazione di alanina, e la lipolisi che aumenta la
concentrazione di acidi grassi a catena lunga. Questi segnali inibiscono la piruvato cinasi
perché è necessario svolgere gluconeogenesi.
Questo enzima è anche regolato covalentemente dalla PKA. Nel fegato è presente questo
enzima che è fosforilato (inibendolo) da una specifica via di trasduzione del glucagone.
Questo enzima è anche fosforilato dalla AMPK, il sensore per la carica energetica cellulare.
Quindi la PKA è regolata in vario modo: c’è una regolazione ormonale avviata dal glucagone,
ed una legata alla carica energetica cellulare, che agisce per tramite dell’AMPK, attraverso
un meccanismo di regolazione covalente (l’AMPK viene indotta quando la carica energetica
cellulare è bassa, fosforila direttamente la piruvato cinasi, inibendola).

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La piruvato cinasi può esser fosforilata o defosforilata, e questo può avvenire per tramite
della PKA che la fosforila, e della fosfoproteina fosfatasi che riporta la situazione a quella
iniziale. AMPK ha ruolo analogo.
Il gene della piruvato cinasi è sensibile alla dieta: se questa è ricca di carboidrati si ha
rilascio di molta insulina e questo gene viene indotto. Mangiando almeno tre volte al giorno si
rilascia una quantità di insulina sufficiente a mantenere sempre l’espressione di questi
enzimi.

FENOMENI DI RILEVANZA BIOLOGICA

EFFETTO PASTEUR
Pasteur lavorava su liquidi soggetti a fermentazione ricchi di zucchero, come la birra.
Inizialmente nelle condizioni sperimentali c’era ossigeno, quindi i microrganismi facevano
metabolismo aerobio e l’ossigeno veniva rapidamente consumato. Da qui partiva la
fermentazione: dapprima decarbossilazione del piruvato, (enzima piruvato decarbossilasi),
seguita dalla trasformazione di acetaldeide in etanolo (alcol deidrogenasi). Pasteur misurava
la quantità di glucosio nella soluzione e osservava che in condizioni anaerobie si consumava
molto più glucosio.
La spiegazione è che essendo l’obiettivo della cellula l’omeostasi energetica cellulare
(C.E.=0.8), se c’è ossigeno bastano meno molecole di glucosio rispetto alla sola via
glicolitica per ottenere la stessa C.E. Se l’ossigeno non c’è e si va in glicolisi anaerobia, si
producono meno molecole di ATP da una molecola di glucosio. Occorrerà bruciare più
glucosio per mantenere la C.E costante. Pasteur osservò che la quantità totale di glucosio
consumata dai lieviti era molto più elevata in condizioni anaerobie.
La resa energetica della glicolisi in condizioni di anaerobiosi è circa 15/18 volte più bassa
rispetto all’aerobiosi. Per ottenere lo stesso numero di molecole di ATP devo bruciare
glucosio dalle 15 alle 18 volte più rapidamente. La glicolisi genera due molecole di ATP in
condizioni anaerobiche. In condizioni aerobiche si può arrivare fino a 32/38 molecole di ATP.
In condizioni di anaerobiosi si produrrà anche più catabolita finale, etanolo o lattato.

EFFETTO WARBURG
È un caposaldo della trasformazione neoplastica, fondamentale per capire come funzionano
le cellule di cancro. Warburg osservò che le cellule di cancro bruciano glucosio molto più
rapidamente delle cellule normali, arrivandone a consumare 10 volte in più. Tuttavia, se
bruciano quantità così maggiori di glucosio, lo fanno perché sono in condizioni anaerobie.
Resistono molto di più delle cellule normali in condizioni anaerobie, una delle caratteristiche
di forza, di vitalità e sopravvivenza di queste cellule. Per questo, esse sono anche forti
produttrici di lattato.
Nei pazienti affetti da cancro in condizioni terminali, c’è molto lattato in circolo. L’equilibrio si
sposta dalla fosforilazione ossidativa alla fosforilazione a livello del substrato, alle condizioni
anaerobiche. Ciò perché avvengono delle mutazioni di geni che favoriscono le
trasformazione neoplastica (oncogeni) e di geni che ostacolerebbero la trasformazione, ma
mutati non riescono più a ostacolarla (oncosoppressori).

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Questo porta a variazioni metaboliche. La maggior parte di questi geni mutati sono enzimi.
Sono trasformazioni massive che colpiscono enzimi chiave, di regolazione. La cellula mutata
ha un metabolismo alterato, perché i suoi enzimi mutati non rispondono più alle regolazioni.
Si hanno acetilazione degli istoni, metilazioni del DNA, alterazioni del ciclo di Krebs. Il cancro
è dunque una malattia metabolica che si autosostiene.

Per queste cellule la via glicolitica è importante in quanto l’ipossia è una loro condizione
costante. L’ipossia è dovuta all’aumento della massa tumorale: finché questa è piccola,
l’ossigeno arriva per diffusione, ma quando questa diventa di una certa dimensione o arriva
un vaso che la irrora o va in necrosi. Molti noduli tumorali se non inducono l’angiogenesi
muoiono. Quando si arriva a 100-200 micron di distanza dai capillari le cellule vanno in
carenza di ossigeno, quindi o muoiono oppure si adattano a vivere senza ossigeno: alterano
i mitocondri, mutano le proteine mitocondriali, mutano gli enzimi della via glicolitica ed
aumentano la glicolisi anaerobia.

C’è un isoenzima dell’esocinasi associato al lato citosolico della membrana interna dei
mitocondri che è insensibile all’inibizione del suo prodotto: nella cellula di cancro questo non
accade più.
Il fattore di trascrizione che si chiama HIF-1 (Hipoxia Induced Factor), fattore indotto
dall’ipossia, è una proteina che agisce nel nucleo come fattore di trascrizione: riconosce gli
elementi di regolazione del promotore di geni bersaglio, li attiva, e controlla l’espressione di
almeno 8 enzimi su 10 della via glicolitica. Quando la cellula va in carenza di ossigeno scatta
questo sensore dell’ipossia, che induce la via glicolitica. Anche questo fattore è mutato nel
cancro e si attiva anche se l’ipossia non c’è.

Applicazioni cliniche:
Tecniche di Imaging: Le metastasi possono
essere visualizzate nell’organismo tramite
PET o MRI.
Con la PET si usa l’FDG
(18-fluoro-2-deossi-2-fluoro-D-glucosio), un
analogo del glucosio. Questa molecola viene
iniettata nel paziente, va in circolo, è captata
dai trasportatori del glucosio, entra nelle
cellule ma non viene però metabolizzata ed
emette un segnale. È un tracciatore. Si
accumula nelle cellule e non esce (uptake),
si illumina quel gruppo di cellule che ha
catturato molto di questo tracciante.
Si accendono, quindi, le metastasi.
La ricerca ha sviluppato farmaci antiglicolitici, con effetti collaterali, che possono esser
veicolati nelle cellule tumorali e bloccare la glicolisi in esse.

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GLUCONEOGENESI

INTRODUZIONE
La gluconeogenesi (il termine significa “generare nuovo glucosio”) è una via metabolica di
biosintesi che per definizione produce glucosio a partire da precursori non glucidici. Infatti,
fabbricare glucosio isomerizzando il galattosio, o il fruttosio o il mannosio non significa
produrre nuovo glucosio.

Questa via metabolica è collegata al digiuno: se ci si nutre, ovvero non si introducono


glucidi, si ha diminuzione della glicemia. Tuttavia, l’organismo comprende organi e tessuti il
cui metabolismo dipende da un adeguato rifornimento di glucosio.
Quindi, cosa succede se la glicemia dell’organismo scende? Se non fossimo in grado di
produrre glucosio in certe condizioni, non potremmo sopravvivere a tre giorni di digiuno. In
realtà, si può sopravvivere per tempi più lunghi: un adulto ben nutrito può sopravvivere
anche un mese (a patto che abbia acqua a disposizione).
L’organismo è rifornito di glucosio anche quando questo manca tramite una via anabolica di
biosintesi, che parte da precursori più semplici per costruire un prodotto finale più
complesso, il glucosio; quest’ultimo è nuovo, e viene prodotto con consumo di energia.

È una forma di paradosso: durante il digiuno prolungato l’energia c’è (non se ne è privi, il
sistema omeostatico energetico funziona molto bene); se dopo due o tre giorni di digiuno si
azzerasse la carica energetica cellulare non sopravviveremmo. Quindi l’energia c’è (e
bisognerà capire come viene prodotta) e sarà necessaria, dal momento che consumiamo
molta energia per produrre glucosio in quanto il costo energetico della gluconeogenesi è
elevato. Conseguentemente, risulterà importante evitare il ciclo futile per non cadere in una
“spirale” dagli effetti negativi.

La mappa metabolica mostra che i polisaccaridi


possono essere degradati a monosaccaridi.
Successivamente si ha la glicolisi che porta il
glucosio a diventare piruvato (infine, il piruvato
seguirà uno dei suoi possibili destini metabolici,
ad esempio diventerà lattato.

Osserviamo la corrispondente via anabolica:


- Risale dal piruvato verso il glucosio;
- Consiste in una risalita contro gradiente
termodinamico: è una via costruttiva, di
biosintesi, e per questo motivo richiede
un’alimentazione costante di energia;
- Richiede dei precursori, degli atomi di
carbonio che verranno utilizzati per
produrre glucosio.

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PRECURSORI DELLA GLUCONEOGENESI
Il rifornimento consiste prevalentemente di aminoacidi (ottenuti tramite proteolisi) che
vengono messi a disposizione nella cellula al fine di procedere con la biosintesi. L’alanina è
un regolatore negativo della glicolisi ed è il principale substrato gluconeogenetico. Anche altri
aminoacidi possono diventare alanina o possono contribuire in maniera indiretta.

È fondamentale ricordare che non si può fare gluconeogenesi dai lipidi. È, cioè, proibito
metabolicamente produrre glucosio a partire dagli acidi grassi. Infatti, la maggiore risorsa
lipidica che si ha nell’organismo è rappresentata dai trigliceridi (molecole che contengono
glicerolo esterificato tre volte con tre acidi grassi). Quindi, se i trigliceridi vengono demoliti
(lipolisi) si ottengono acidi grassi, i quali non sono spendibili per fare gluconeogenesi.
Tuttavia, è possibile ricavare tre atomi di carbonio da un trigliceride attraverso glicerolo, una
fonte marginale di atomi di carbonio (la maggior parte degli atomi di carbonio che ricavo
degradando i trigliceridi sono acidi grassi, i quali avranno un altro scopo metabolico). Tale
molecola non è un lipide, ma un alcol trivalente derivato dai lipidi. Esso può dare un
contributo quando la glicolisi è molto intensa.

CONFRONTO TRA GLICOLISI E GLUCONEOGENESI


La glicolisi è una via che degrada il glucosio parzialmente (fino a piruvato) con almeno tre
salti energetici molto importanti, ossia salti i cui tre ∆G°’ sono molto grandi e negativi (si
tratta della prima reazione, catalizzata dall’esocinasi; della terza, catalizzata dalla PFK1;
dell’ultima, catalizzata dalla piruvato cinasi). È evidente che la risalita prevederà salti
energetici diversi.
Gli enzimi non di regolazione che hanno un ∆G°’ vicino a 0 o positivo e quelli che rispondono
alla legge di azione di massa possono essere sfruttati dalla via gluconeogenetica, perché in
questo caso è molto facile spostare l’equilibrio dalla parte opposta.
Il problema della gluconeogenesi è rappresentato dai salti energetici maggiori con ∆G°’
negativi molto grandi. In particolare il primo salto è quello più alto: la piruvato cinasi ha
infatti un ∆G°’ = -61,5 kJ/mole (una parte dell’energia liberata è ATP, la rimanente è dispersa
sotto forma di calore).

È importante ricordare che la gluconeogenesi non è la glicolisi al contrario: è un’altra e


differente via metabolica. Un esempio di ciò: la glicolisi è fatta di dieci enzimi e dieci tappe, la
gluconeogenesi è fatta di undici enzimi e undici tappe.
Tuttavia, la gluconeogenesi sfrutta sette enzimi della via glicolitica.

Si tratta di quelli che hanno un ∆G°’ vicino a 0, ovvero:


- quelli non di regolazione
- quelli soggetti alla legge di azione di massa.

Le altre tappe, invece, usano enzimi esclusivamente gluconeogenetici:


- l’ultima della glicolisi che sarà la prima della gluconeogenesi,
- la terza della glicolisi che sarà la terzultima della gluconeogenesi,
- la prima della glicolisi che sarà l’ultima della gluconeogenesi,

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Questi enzimi sono:
• Completamente diversi;
• Soggetti a regolazioni completamente diverse rispetto agli enzimi glicolitici;
In particolare le regolazioni sono reciproche, perché la cellula evita il
ciclo futile (non può produrre glucosio e poi smontarlo, perché nel fare
questo si perderebbe energia);
• Collocati in ambienti cellulari diversi da quelli degli enzimi glicolitici, citoplasmatici;
La gluconeogenesi comincia nel mitocondrio, poi esce e termina nel
citoplasma, richiedendo quindi due differenti compartimenti cellulari: il
mitosol (la matrice mitocondriale) e il citoplasma. Le prime due tappe
avvengono nel mitocondrio, la cui membrana è selettiva.

Per aggirare il primo ostacolo, ossia il salto termodinamico più grande (∆G°’=-61,5
kJ/mole), non basta un solo enzima, ma ne sono necessari due: questa tappa è, infatti,
spezzata in due reazioni.
L’unico modo (e ciò vale per tutti gli organismi) per poter tornare indietro – ossia passare da
piruvato a fosfoenolpiruvato – è rompere il gradiente termodinamico in due reazioni
successive (sono necessari due gradini perché il salto termodinamico è troppo alto): questo
spiega perché la gluconeogenesi richiede undici tappe.

PERCHÈ LA GLUCONEOGENESI?

Nell’immagine sono illustrate le cellule che fanno gluconeogenesi in maniera efficace. Infatti
non basta che questa via sia efficiente, cioè accesa in determinate condizioni, ma è
necessario che la via termini con il prodotto finale – ossia il glucosio libero (libero di essere
messo in circolo). La gluconeogenesi serve a conservare l’omeostasi glicemica, a mantenere
una glicemia relativamente costante anche in condizioni di digiuno. Quindi, se il glucosio non
esce, ovvero non viene liberato nel torrente sanguigno, è inutile.

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Sono solo due i tessuti che fanno gluconeogenesi efficace:
- il fegato, che in condizioni di digiuno estremo produce almeno l’80% del glucosio
ematico;
- la corticale dei reni, che può contribuire producendo fino a un 20% del glucosio
ematico (pur essendo una quantità inferiore rispetto a quella prodotta dal fegato,
in condizioni di digiuno estremo è comunque importante).

Gli altri organi illustrati sono invece i potenziali utilizzatori di glucosio. Si tratta di:
- Sistema Nervoso Centrale e Periferico: i neuroni hanno infatti un metabolismo
che sfrutta il glucosio come fonte principale di energia in condizioni aerobiche (se
c’è un ostacolo al flusso sanguigno del cervello c’è ictus, che ha conseguenze
drammatiche: il cervello non resiste a una carenza di ossigeno che duri più di
qualche secondo);
- Eritrociti, che non hanno mitocondri e quindi non hanno un metabolismo aerobio
(trasportano ossigeno per poi cederlo, ma non lo utilizzano); tuttavia essi fanno
glicolisi in condizioni anaerobie, inoltre fanno anche un’altra via metabolica
fondamentale che richiede glucosio, lo shunt. È dunque necessario rifornire
continuamente gli eritrociti, e se questi muoiono la sopravvivenza è
compromessa.

Inoltre, vi sono molti altri potenziali utilizzatori di glucosio, quali:


- Midollare dei reni
- Tessuto muscolare
- Tessuto cardiaco
Tuttavia, a molti di questi ultimi organi, l’uso del glucosio verrà proibito.
Se infatti il glucosio, generato ad alto costo energetico e con una discreta fatica metabolica
da parte di due soli organi, venisse abbondantemente utilizzato da tutti questi tessuti, la
gluconeogenesi sarebbe inutile. Deve scattare un meccanismo che faccia sì che questo
glucosio prezioso sia destinato principalmente a sistema nervoso centrale, periferico ed
eritrociti e sia “pescato” pochissimo da tutti gli altri tessuti.

La gluconeogenesi è una piccola parentesi interessante dal punto di vista biologico.

È una via molto importante nelle piante: esse sono fissatori di anidride carbonica che
producono glucosio sfruttando energia solare, fanno dunque gluconeogenesi. Le piante
fanno gluconeogenesi di giorno, quando ci sono luce ed energia sufficienti (il glucosio è un
accumulatore di energia solare che viene poi trasformato in disaccaridi come fruttosio o in
polisaccaridi come l’amido), e durante la notte, quando manca energia, fanno glicolisi. Non si
entra in un ciclo futile grazie al fatto che le piante hanno tantissima energia durante il giorno
(hanno un sistema fotosintetico), che viene accumulata sotto forma di glucosio attraverso la
gluconeogenesi.

I carnivori, nutrendosi solo di carne, che contiene una percentuale bassissima di glucosio
degradano la carne in aminoacidi sfruttati per fare gluconeogenesi. Quindi, il glucosio
circolante nei grandi carnivori è prodotto per gluconeogenesi.

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I grandi erbivori si nutrono di cellulosa, che viene digerita grazie al rumine e grazie a stomaci
in cui albergano, in simbiosi obbligata con l’organismo ospitante, microorganismi (protozoi) in
grado di produrre cellulasi (queste ultime rompono legami β1-4). Quindi l’erbivoro è un
“incubatore”, che cattura cellulosa sotto forma di erba, e questa cellulosa diventa il cibo dei
microorganismi che albergano nei suoi stomaci e che sono in grado di digerirla. Questi
microorganismi vengono digeriti dall’erbivoro che ne ricava proteine: gli erbivori ottengono
glucosio soprattutto per gluconeogenesi e dipendono da essa per l’omeostasi glicemica.

GLUCONEOGENESI E CICLO DI CORI


Dal ciclo di Cori si sa che in certe condizioni si produce lattato: a seguito di un esercizio di
potenza (che dura poco, meno di un minuto), la glicolisi è praticata in maniera anaerobica,
prevalgono il debito di ossigeno e dunque la biosintesi del lattato per restituire il NAD alla
GAPDH. Quando cessa l’esercizio di potenza, si entra nella fase di recupero, cioè nella
seconda parte del ciclo di Cori: si abbassa fortemente la sintesi del lattato, il muscolo si
rimette in condizioni aerobiche.
Il lattato che è stato generato dal muscolo e liberato in circolo, verrà intercettato dal fegato
(il fegato è infatti l’organo gluconeogenetico). La seconda fase del ciclo di Cori richiede
quindi gluconeogenesi, perché il lattato tornerà a piruvato con LDH epatica (isoenzima) e il
piruvato diventerà substrato gluconeogenetico: due molecole di piruvato diventeranno una di
glucosio tramite la via gluconeogenetica. A questo punto, il fegato restituirà il glucosio al
muscolo, il quale in condizioni di riposo, recupero, o attività a basso livello, può sfruttare
questo glucosio a scopo energetico o per rigenerare glicogeno.

Il Ciclo di Cori è trattato più approfonditamente a pag. 70

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SCHEMA GENERALE

Il prodotto finale è il glucosio. In certe condizioni, una parte di questo glucosio può essere
captata dal muscolo o dal cervello e può generare glicogeno e si può dunque avere un
ulteriore anabolismo.

Nell’immagine alla pagina successiva, è possibile vedere:


1) A destra, in blu: lo schema generale della glicolisi, che procede dall’alto verso il
basso, ossia dal glucosio, passando per gli intermedi della via glicolitica fino ad
arrivare a fosfoenolpiruvato e piruvato.
2) A sinistra, in rosso: la gluconeogenesi, che non è una banale inversione della
glicolisi. Quali sono le differenze? La tappa della piruvato cinasi non può tornare
indietro con una singola tappa, ne sono necessarie due: si hanno due enzimi
gluconeogenetici, i quali riporteranno il piruvato a fosfoenolpiruvato. Su questi enzimi,
in particolare sul primo, esisteranno regolazioni importanti. Successivamente a
queste tappe, le altre sono quelle della glicolisi (con gli enzimi enolasi, fosfoglicerato
mutasi, fosfoglicerato cinasi, aldolasi…).

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Verranno dunque sfruttati enzimi con un
∆G°’ vicino a 0 (quello dell’aldolasi è
addirittura positivo): è molto facile
rovesciare queste reazioni, se la spinta
termodinamica è nell’altra direzione.
Naturalmente servirà qualcosa che
“spinge da sotto” queste reazioni, ma
anche qualcosa che “tira dall’alto”,
ovvero ∆G°’ negativi: in cima si hanno
enzimi gluconeogenetici.

Infatti:
- La tappa della PFK1 verrà revertita
da un apposito enzima
gluconeogenetico, che è
completamente diverso.
- La tappa dell’esocinasi verrà
revertita da un apposito enzima
gluconeogenetico, il quale è
responsabile della produzione di
glucosio libero (e non fosforilato):
è essenziale, e si trova solamente
nel fegato e nella corticale dei reni
(nessun altro tessuto produce
questo enzima).

Poiché il glucosio libero è l’unico che può


uscire dalla cellula, il fegato ha la
responsabilità di regolare la glicemia: il
fegato è un organo vitale, se smette di
funzionare salta l’omeostasi glicemica.

Perché può uscire solo glucosio libero?


Si sa che i trasportatori del glucosio
sono passivi, non consumano energia e
vanno secondo gradiente.
Considerando la situazione in cui l’organismo è a digiuno prolungato (glicemia bassa) e
nuovo glucosio viene prodotto per gluconeogenesi dalla cellula epatica: la concentrazione
del glucosio viene rovesciata. In altre parole, si ha tanto glucosio nella cellula epatica e poco
fuori: di conseguenza, il trasportatore permette al glucosio di uscire secondo gradiente.

È importante anche il gradiente termodinamico. Facendo la somma algebrica di tutti i ∆G°’


della glicolisi si ottiene un numero negativo: la via glicolitica è esoergonica, ed è
irreversibile (quando parte, finisce). Se partisse, producendo glucosio 6-fosfato
consumando ATP, e continuasse con fruttosio 1,6-bisfosfato consumando due ATP, per poi
fermarsi, ci sarebbero gravi conseguenze. La glicolisi arriva fino in fondo sia grazie ad una
serie di regolazioni sia grazie al gradiente termodinamico.

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Reazione ∆G°’

Piruvato + CO2 + ATP + H2O → Ossalacetato + ADP + Pi + 2H+ x2 - 4.2

Ossalacetato + GTP Fosfoenolpiruvato + CO2 + GDP x2 + 5.8

Fosfoenolpiruvato + H2O 2-Fosfoglicerato x2 - 3.4

2-Fosfoglicerato 3-Fosfoglicerato x2 - 9.2

3-Fosfoglicerato + ATP 1,3-Bisfosfoglicerato + ADP x2 + 37.6

1,3-Bisfosfoglicerato + NADH + H+ Gliceraldeide-3-fosfato + NAD+ + Pi x2 - 12.6

Gliceraldeide-3-fosfato Diidrossiacetone fosfato - 7.6

Gliceraldeide-3-fosfato + Diidrossiacetone fosfato Fruttosio-1,6-Bisfosfato - 23.9

Fruttosio-1,6-Bisfosfato + H2O → Fruttosio-6-fosfato + Pi - 16.3

Fruttosio-6-fosfato Glucosio-6-fosfato - 1.7

Glucosio-6-fosfato + H2O → Glucosio + Pi - 12.1

Bilancio netto: - 47.6


2 Piruvato + 4 ATP + 2 GTP + 2 NADH + 6H2O → Glucosio + 2 NAD+ + 4 ADP + 2 GDP + 6 Pi +
2H+

Similmente alla glicolisi anche la gluconeogenesi se parte, finisce: ciò perché il gradiente
termodinamico è a favore della fine, partendo da piruvato ed arrivando a glucosio libero (se il
fosfato è sganciato), ciascuna delle 11 reazioni ha il proprio ∆G°’.

Attenzione: la prima parte della gluconeogenesi va raddoppiata, al contrario


della glicolisi. Se nella glicolisi era nella prima parte che si avevano 6 atomi di
carbonio, e dalla tappa dell’aldolasi in poi si avevano dei triosi, qui è l’inverso:
partendo da due molecole di trioso, cioè da due molecole di piruvato (a 3 atomi di
carbonio) si genera una molecola a sei atomi di carbonio, da cui si procede con
una via singola.

La somma algebrica dei ∆G°’ è -47,6, quindi la reazione è fortemente spinta verso destra
(esoergonica): com’è già stato ribadito, se la via comincia, finisce.

Il bilancio netto della gluconeogenesi è:


2 Piruvato + 4 ATP + 2GTP + 2NADH + 6H2O → Glucosio + 2NAD+ + 4ADP + 2GDP + 6Pi + 2H+

Dunque essa richiede due molecole di piruvato, quattro di ATP, due di GTP e di NAD ridotti.
Il bilancio netto della glicolisi è di 2 ATP, mentre in questa via ne vengono consumati 4.
Dunque, quando si smonta una molecola di glucosio a piruvato si ricavano 2 ATP, ma
quando la si ricostruisce a partire da piruvato si consumano 4 ATP + 2 GTP = 6.
Ogni volta che una molecola di glucosio viene smontata e rimontata la cellula perde 4
molecole di ATP nette, quindi se la cellula facesse ciclo futile morirebbe.

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Fare biosintesi di glucosio costa molto più che fare degradazione di glucosio: ecco perché
questo glucosio è prezioso e riservato ai tessuti nobili, ed ecco perché serve una fonte di
energia (devo avere una carica energetica alta nella cellula: servono molti ATP e GTP).
Di conseguenza, epatociti e cellule della corticale del rene devono avere una carica
energetica elevata durante il digiuno prolungato, affinché in queste circostanze l’organismo
abbia sufficiente energia metabolica.

Conclusione: Per via dei costi maggiori, la gluconeogenesi deve attivarsi in


particolari condizioni metaboliche, e quando si attiva è necessario che la glicolisi
sia spenta – le regolazioni devono necessariamente essere reciproche. Inoltre,
questo glucosio rilasciato in circolo dal fegato deve essere precluso a organi che
possono farne a meno e deve essere riservato a organi che ne hanno assoluto
bisogno. Queste regolazioni sono ormonali e fondamentali per l’omeostasi
glicemica: infatti quando si introduce molto glucosio prevale l’azione dell’insulina,
mentre a digiuno prolungato prevale l’azione del glucagone.

PROPIONIL-COA PRECURSORE GLUCONEOGENETICO


Anche il Propionil-CoA è un precursore gluconeogenetico.

Negli erbivori e nell’uomo si può sottolineare un aspetto interessante: gli acidi grassi
vengono prodotti nell’organismo con un numero pari di atomi di carbonio, perché il
meccanismo di biosintesi prevede l’aggiunta di due atomi di carbonio alla volta. Tuttavia
esistono acidi grassi in numero dispari: questi acidi grassi sono prodotti dal metabolismo
procariote e anche di eucarioti unicellulari quali i protisti, che producono acidi grassi a tre
atomi di carbonio. Essi sono tantissimi nello stomaco degli erbivori, ma si trovano anche in
simbiosi nella flora batterica intestinale umana.

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Quindi anche l’essere umano, partendo da un acido grasso con un numero dispari di atomi
di carbonio, prodotto dalla flora batterica intestinale, comincia a tagliare via due atomi di
carbonio alla volta (il meccanismo di degradazione degli acidi grassi, analogamente alla
biosintesi – che prevede l’aggiunta di due carboni alla volta –, prevede di toglierne due alla
volta), arriva ad un acido grasso a tre atomi di carbonio, ossia il propionil-CoA.
A quest’ultimo, attraverso una particolare via, viene aggiunto un atomo di carbonio, e diventa
un composto a 4 atomi di carbonio che così entra nella via gluconeogenetica.

Nel caso dell’uomo questa strada è marginale, ma importante: spiega come un propionile
che si può generare nell’intestino umano non sia tossico, ma venga sfruttato per fare
glucosio (in genere, quando non abbiamo enzimi per metabolizzare una molecola, essa
risulta tossica).
Nel caso degli erbivori questo meccanismo è fondamentale, perché gli erbivori digeriscono la
flora batterica intestinale, ricavano aminoacidi, che sono substrato gluconeogenetico e una
grande quantità di acidi grassi in numero dispari di atomi di carbonio: essi usano molto
anche il propionile per fare la gluconeogenesi.

INTEGRAZIONE METABOLICA PER RIFORNIRE LA


GLUCONEOGENESI
Dall’immagine si osserva che:
- Muscolo che fa esercizio di potenza rilascia lattato;
- Eritrociti, indipendentemente dall’attività fisica,
rilasciano sempre lattato.

Un po’ di Ciclo di Cori avviene sempre nell’organismo,


ed un certo livello di lattato in circolo c’è sempre.
Questo lattato viene catturato dal fegato e per
gluconeogenesi deve tornare a diventare glucosio
libero e deve essere restituito. Poi, se l’esercizio di
potenza è sostanziale, prevale la trasformazione di
glucosio in lattato. Durante la fase di recupero prevale
la trasformazione del lattato in glucosio, che viene
restituito al muscolo.

C’è anche il ciclo dell’alanina. Durante un esercizio di potenza prolungato (resistenza) e in


condizioni di proteolisi spinta (si parla di overtraining quando si sta facendo un esercizio di
resistenza superiore alle proprie capacità e si consumano fibre muscolari, si è in bilancio
azotato negativo), viene mandata alanina – piruvato con gruppo aminico – dal muscolo al
fegato. Questo è anche un modo per mandare gruppi azotati al fegato, che verranno smaltiti
tramite il ciclo dell’urea. Il ciclo dell’alanina favorisce la gluconeogenesi, recuperando questi
tre atomi di carbonio a glucosio.

Nell’immagine viene rappresentato anche il tessuto adiposo. In condizioni di lipolisi, o


durante un digiuno estremo o durante un esercizio fisico di resistenza - es. una maratona -,
viene liberato glicerolo, che viene anch’esso convertito in glucosio nel fegato.

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RECUPERO DEL PROPIONIL-COA
Il propionil-CoA, con consumo di ATP, viene carbossilato dalla propionil-CoA carbossilasi,
la quale utilizza uno ione bicarbonato. Nel nostro organismo è possibile aggiungere un
atomo di carbonio sfruttando HCO3-, la forma solubile dello ione bicarbonato prodotta
dall’anidrasi carbonica (CO2 + H2O → H2CO3 ; H2CO3 ionizza e diventa HCO3-).
Quindi l’anidrasi carbonica fornisce anche atomi di carbonio utilizzabili per reazioni di
carbossilazione. La propionil-Coa carbossilasi aggiunge un atomo di carbonio generando il
metilmalonil-CoA (a 4 atomi di C). L’epimerasi fa diventare il D-metilmalonil-CoA
L-metilmalonil-CoA. Si ha poi l’azione di una mutasi, che trasforma il metilmalonil-CoA in
succinil-CoA (spostando un atomo di C). Il succinil-CoA può entrare nella via glucogenetica
per generare glucosio. Inoltre il succinil-CoA è anche un intermedio del ciclo di Krebs.

Per cui, attraverso i seguenti passaggi:


- carbossilasi
- epimerasi
- mutasi
il propionil-CoA può essere introdotto nella via glucogenetica.

Detto ciò, ci si potrebbe chiedere: ma allora anche gli organismi animali sono
fissatori di carbonio? Hanno fissato un atomo di carbonio trasformandolo da una
molecola a tre atomi di carbonio a una molecola a quattro atomi di carbonio,
quindi sono capaci di incorporare anidride carbonica nell’organismo?
La risposta è no, perché successivamente
quell’atomo di carbonio verrà perso. Si
possono fare reazioni di carbossilazione, con
enzimi che carbossilano, cioè aggiungono un
atomo di carbonio ad una molecola. Tuttavia,
subito dopo, quell’atomo di carbonio verrà
perso e non viene mai mantenuto. Il bilancio
è zero. Gli animali non fissano il carbonio
perché il bilancio netto è sempre zero.

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GLI AMINOACIDI COME PRECURSORI GLUCONEOGENETICI

Non tutti gli aminoacidi possono essere utilizzati come substrati gluconeogenetici: lisina e
leucina non possono generare glucosio per gluconeogenesi, sono chetogenici (e non
gluconeogenetici). I rimanenti 18 aminoacidi sono gluconeogenetici, ed alcuni sono sia
glucogenici sia chetogenici.

Gli aminoacidi sono quindi ottimi substrati gluconeogenetici (tranne due).


- L’alanina genera subito piruvato.
- Gli altri aminoacidi sono stati classificati a seconda del sito di ingresso.
In altre parole, qual è l’intermedio della via gluconeogenetica che possono generare?

1. Ce ne sono cinque (alanina, cisteina, glicina, serina, triptofano) che possono, in


maniera più o meno complessa (ognuno di questi ha una sua via con i suoi enzimi)
generare direttamente piruvato (classico substrato di partenza).
2. Isoleucina, treonina, valina e metionina generano il succinil-CoA (che può entrare
nella via gluconeogenetica).

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3. Asparagina e aspartato generano ossalacetato.
4. Fenilalanina e tirosina generano fumarato.
5. Arginina, glutammato, glutammina, istidina e prolina generano
α-chetoglutarato.

I substrati direttamente gluconeogenetici sono due: piruvato e ossalacetato. Invece


succinil-CoA, fumarato e α-chetoglutarato sono intermedi del ciclo di Krebs. Dal ciclo di
Krebs poi ci si aggancia alla gluconeogenesi.

Quindi 18 aminoacidi su 20 possono generare o direttamente intermedi della


gluconeogenesi o intermedi del ciclo di Krebs.
Per cui, si può osservare che:
1. Questi aminoacidi possono essere glucogenetici;
2. Il fatto che alcuni aminoacidi generino intermedi del ciclo di Krebs, spiega come mai
si ricavino calorie dalle proteine. Si possono digerire le proteine, assimilare gli
aminoacidi e l’eccesso di aminoacidi è preventivamente deaminato. Viene quindi
sganciato il gruppo aminico e poi detossificato tramite il ciclo dell’urea. Gli atomi di
carbonio che rimangono danno intermedi del ciclo di Krebs e quindi sono sfruttabili
per generare, alla fine di un percorso abbastanza complesso, ATP.
Ciò spiega perché da un grammo di proteine si ricavano 4 kcal, praticamente come
da un grammo di glucidi.

Tuttavia il significato metabolico è completamente diverso: i carnivori stretti mangiano solo


carne, mentre l’essere umano ha bisogno di una certa quota indispensabile di carne nella
sua dieta, senza tuttavia avere necessità di introdurre troppe proteine animali..

Ogni aminoacido ha la propria via metabolica per contribuire alla gluconeogenesi. Le


reazioni attraverso le quali ciascun aminoacido diventa un intermedio del ciclo di Krebs o
della gluconeogenesi sono catalizzate da enzimi diversi.

CICLO DI CORI
Il ciclo di Cori è un ciclo fatto di due parti:
1. La prima parte trasforma il glucosio in lattato e avviene nel muscolo scheletrico
durante l’esercizio fisico di potenza: prevale dunque l’attività che porta il piruvato a
diventare lattato per restituire NAD ossidato alla GAPDH (fase indispensabile, ma nel
tempo dura poco).
2. Il lattato può uscire dalla cellula muscolare, perché – quando raggiunge
concentrazioni elevate – blocca la via glicolitica (ciò spiega la limitazione temporale).
Ci sono trasportatori passivi che consentono al lattato di uscire dalla cellula secondo
gradiente: il lattato entra quindi in circolo.
Dopo aver terminato un esercizio fisico molto intenso bisogna fare defaticamento,
un’attività leggera aerobica: ciò serve a far sì che il muscolo sia perfuso, a far sì
che entri sangue nel muscolo. Il sangue, infatti, non solo porta ossigeno e reverte
il metabolismo rapidamente da anaerobio ad aerobio, ma porta via il lattato (lo fa

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entrare nel circolo e uscire dalla cellula). Quindi rimette in funzione la glicolisi ed
evita ulteriore accumulo di lattato, riportando il muscolo in efficienza.
Il lattato, attraverso il circolo, raggiunge il fegato, ma solo in condizioni aerobie (è la fase di
defaticamento o recupero). Il fegato in condizioni aerobie ha una carica energetica molto
elevata. Questo spiega perché può fare gluconeogenesi: se il fegato fosse in carica
energetica bassa la gluconeogenesi non potrebbe avvenire.
Per questo ha bisogno di molta energia e deve essere in recupero e aerobiosi. Grazie alla
carica energetica elevata, necessaria per far fronte al consumo equivalente di 6 ATP (4 ATP
e 2 GTP), il lattato è portato a glucosio e restituito al muscolo. Dunque, a riposo, il
muscolo a cui viene restituito glucosio ricostituisce le riserve di glicogeno (sono quelle che
sono state consumate molto rapidamente nell’esercizio di potenza).

Perché nell’esercizio di potenza un essere umano consuma glicogeno più


rapidamente che in qualunque altra condizione?
Per l’effetto Pasteur: se il muscolo si mette in condizioni anaerobiche (carenza di
ossigeno), per mantenere la carica energetica cellulare alta, poiché da ogni
glucosio vengono prodotti solo 2 ATP e non 32, deve bruciare molto più glucosio.
Quindi in condizioni anaerobiche e durante un esercizio di potenza si brucia
glicogeno molto rapidamente. Non appena cessa questo esercizio il muscolo
deve subito ricostituire le riserve di glicogeno.

Un grande atleta ha bisogno di un fegato efficiente: se non dovesse andare non potrebbe
recuperare il lattato.
A danneggiare il fegato sono alcol, farmaci, doping, sostanze esogene, alimentazione
sbagliata; ma anche mangiare troppe proteine, perché significa dover smaltire troppi gruppi
aminici: il fegato deve lavorare molto e viene danneggiato. Per questo bisognerebbe evitare
il consumo eccessivo di albume d’uovo: oltre a danneggiare il fegato, contiene la proteina
avidina che blocca la vitamina biotina (causa quindi una carenza vitaminica).
Un atleta non dovrebbe assumere aminoacidi, possono invece aiutare destrine limite e
glucidi. Tuttavia i consumi medi di proteine degli italiani sono smisurati, ben oltre il doppio del
necessario (vengono già superati i livelli di pericolosità).

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Il grafico spiega ciò che succede durante l’esercizio fisico, indicando la concentrazione di
lattato nel sangue in funzione del tempo (espresso in minuti): inizialmente il soggetto
esaminato è fermo, ma non appena inizia l’esercizio fisico la concentrazione di lattato
subisce una brusca variazione in un tempo molto breve (di due o tre minuti), poi il movimento
cessa e circa un’ora dopo la concentrazione di lattato è scesa fino a raggiungere livelli simili
all’inizio.

Alla luce del grafico ci sono alcune domande che è opportuno porsi:
- Perché la concentrazione di lattato di questo soggetto non è uguale a 0?
Perché gli eritrociti producono in maniera continuativa il lattato, per cui c’è un
livello di partenza “standard”.
- Perché la concentrazione di lattato aumenta molto rapidamente con la corsa?
Perché si tratta di un esercizio di potenza in condizioni anaerobiche (che
infatti ha durata breve).
- Perché la concentrazione di lattato diminuisce dopo la corsa?
A causa del fegato, ed in particolare del ciclo di Cori: durante la corsa prevale
la prima parte, dopo la corsa prevale invece la seconda.

Da notare come il recupero a carico del fegato sia ben più lento della velocità con cui il
muscolo produce il lattato (se, per ipotesi, chiedessimo al soggetto descritto dal grafico di
compiere un nuovo sforzo a 20 minuti di distanza dal primo questo si troverebbe in una
situazione di fatica).
Il tempo di recupero è generalmente lento, però – confrontando lo stesso soggetto prima e
dopo un allenamento – quello che si riscontra è un picco di lattato più basso ed un recupero
più veloce. L’allenamento è quindi in grado di modificare la soglia aerobica, oltre che la
capacità di produrre lattato e di smaltirlo, e questo perché gli enzimi della via
gluconeogenetica hanno bisogno di uno stimolo induttivo (in questo caso la produzione del
lattato).

DESCRIZIONE DELLE TAPPE DELLA GLUCONEOGENESI


Com’è già stato spiegato, la gluconeogenesi impiega per sette passaggi gli stessi enzimi
della glicolisi; si tratta delle reazioni reversibili. I tre passaggi irreversibili sono bypassati da
reazioni catalizzate da specifici enzimi gluconeogenetici.
In breve, questi sono:
(1) Conversione del piruvato dapprima ad ossalacetato ed infine a PEP
(fosfoenolpiruvato), catalizzata da piruvato carbossilasi e da PEP carbossichinasi
Si tratta della parte biochimicamente più difficile dell’intera via
(2) Defosforilazione di Fruttosio-1,6-Bifosfato grazie a FBPasi-1
(3) Defosforilazione di Glucosio-6-Fosfato grazie a Glucosio-6-Fosfatasi

La gluconeogenesi è una via compartimentalizzata, richiede l’integrazione tra citoplasma e


mitocondrio. Essa parte o dal piruvato o potenzialmente dall’alanina (purché deaminata):
all’interno del mitocondrio avvengono le prime due tappe, mentre le altre avvengono nel
citoplasma.

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VIE MITOCONDRIALI
TAPPA 1
La prima reazione viene catalizzata dalla piruvato carbossilasi.
Carbossilare significa prendere un atomo di carbonio che deriva, in genere, dalla forma
solubile della CO2 (ione carbonato), continuamente fornito dall’anidrasi carbonicA.

Questa reazione ha sempre bisogno di un ATP (che in realtà


saranno 2 in quanto l’inizio della via gluconeogenetica va
raddoppiata, altrimenti non si arriverebbe alla produzione di una
molecola di glucosio).

Il piruvato viene quindi carbossilato dalla piruvato carbossilasi


con consumo di ATP generando un composto a quattro atomi di
carbonio che prende il nome di ossalacetato.

Oltre all’ATP, questo enzima di regolazione necessita di biotina, che è un coenzima


indispensabile in quanto aggancia temporaneamente l’atomo di carbonio che poi verrà
utilizzato dalla sintesi dell’ossalacetato. La biotina è legata a residui di lisina (che insieme
formano la biocitina o biotiminlisina). La biocitina è quindi un trasportatore di ione
bicarbonato ed è modulata positivamente dall’acetilCoA.

Questa reazione, oltre ad essere la prima della via gluconeogenetica ha anche un altro
significato: è infatti una reazione anaplerotica (termine che significa “di riempimento”), serve
cioè a riportare la concentrazione nel mitocondrio di ossalacetato a livelli utili.

L’ossalacetato a questo punto può:


• Rimanere nel mitocondrio e diventare PEP mitocondriale;
• Uscire dal mitocondrio, ma non come tale (non esiste un trasportare per
l’ossalacetato).
Può infatti essere ridotto a L-malato dal NAD (è necessario quindi un potere
riducente elevato nel mitocondrio, nonché un gradiente energetico alto), il
L-malato può uscire dal mitocondrio e, nel citosol, viene ossidato ad
ossalacetato e il NAD ossidato viene di nuovo ridotto.
Questa tappa è importante non solo perché porta l’intermedio fuori dal
mitocondrio, ma anche perché porta fuori potere riducente (indispensabile
affinché la via non si blocchi).

In quali condizioni il mitocondrio fa uscire PEP direttamente e in quali fa uscire il malato?


Questo dipende dalla necessità di potere riducente del citoplasma: se il potere riducente è
già presente, il mitocondrio fa uscire PEP, mentre se scarseggia fa uscire il malato.
Importante notare che il fatto che il potere riducente sia presente o meno dipenda dal
substrato di partenza (se si parte dal lattato entrambe le tappe sono mitocondriali perché
questo genera il potere riducente, se si parte direttamente dal piruvato la prima tappa è
mitocondriale e la seconda tappa è esterna in quanto esportando il L-malato si esporta
anche il potere riducente).

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TAPPA 2
Sorge spontaneo, alla luce della prima tappa, chiedersi se l’uomo sia in grado di assimilare
anidride carbonica e organicare il carbonio.

Questo non avviene perché la seconda tappa è


catalizzata dalla PEPCK (fosfoenolpiruvato
carbossi-cinasi), che è un enzima che rompe il
legame appena formato con consumo di un GTP
(anch’esso da raddoppiare nel bilancio energetico
finale), restituendo l’anidride carbonica – che diventa
nuovamente ione bicarbonato – e formando il
fosfoenolpiruvato, molecola ad altissima energia che
ha immagazzinato dentro di sé l’energia di un ATP e
di un GTP.

Il fosfato del GTP consumato dalla PEPCK serve per


fosforilare PEP (fosfoenolpiruvato).
Inoltre, l’enzima richiede magnesio, e il ΔG° della sua
reazione è abbasta vicino a 0 (mentre nella prima
tappa è negativo).

VIE CITOSOLICHE
Successivamente agiscono diversi enzimi glicolitici già noti, perché presenti anche nella
glicolisi. Sono qui riassunti:

Fosfoenolpiruvato + H2O 2-Fosfoglicerato x2


2-Fosfoglicerato 3-Fosfoglicerato x2
3-Fosfoglicerato + ATP 1,3-Bisfosfoglicerato + ADP x2
1,3-Bisfosfoglicerato + NAD + H+ Gliceraldeide-3-Fosfato + NAD+ + Pi x2
Gliceraldeide-3-Fosfato Di-Idrossiacetone fosfato
Gliceraldeide-3-Fosfato + Di-Idrossiacetone fosfato Fruttosio-1,6-Bisfosfato

Non appena si arriva al fruttosio 1,6 bisfosfato (cioè l’equivalente della terza tappa glicolitica)
si ha l’azione di uno specifico enzima gluconeogenetico.

TAPPA 9
L’enzima gluconeogenetico che opera a questo livello è il fruttosio 1,6 bisfosfatasi, il quale
sgancia il fosfato dalla posizione 1. Si tratta di una reazione semplice che rilascia fosfato
inorganico, e richiede magnesio.

74
Si tratta in sostanza di un enzima di regolazione che risponde a rovescio rispetto a tutti gli
stimoli di modulazione sulla PFK1 (tutto quello che induceva la PFK1 inibisce questo enzima
che si chiamerà FBPasi 1 e viceversa).

I regolatori dei complessi bifunzionali sono gli ormoni (glucagone e insulina).


In particolare, è la concentrazione del fruttosio 2,6 bisfosfato a svolgere un ruolo chiave
all’interno della cellula epatica, agendo come un interruttore molecolare che sposta il
metabolismo da una parte o dall’altra. Questo complesso in sostanza funziona sempre:
quando prevale l’azione insulinica funziona perché ha attività PFK2, quando prevale il
glucagone funziona perché prevale l’attività FBPasi 2.

Dopo questo agisce un’isomerasi (tappa 10) e si arriva a produrre Glucosio 6-Fosfato.

TAPPA 11
L’ultima tappa della via è anche l’ultima a richiedere un enzima gluconeogenetico, ossia la
glucosio 6 fosfatasi.

Questo enzima defosforila irreversibilmente il Glucosio-6-P a Glucosio e richiede Mg++.


È un enzima importantissimo perché, defosforilando il glucosio, questo viene reso disponibile
al rilascio e, attraverso il trasportatore, può uscire dalle cellule epatiche, mantenendo una
glicemia costante anche durante il digiuno (contribuendo al suo aumento).

La glucosio 6 fosfatasi è presente solo nel reticolo endoplasmatico delle cellule epatiche e di
quelle della corticale del rene.
L’enzima non è espresso in altri tessuti che possono fare gluconeogenesi o che fanno
glicogenolisi (come muscolo e cervello, che, quando degradano i granuli di glicogeno,
ottengono glicogeno 1 fosfato e poi glicogeno 6 fosfato che entra nella via glicolitica).
Questa mancanza implica quindi che il glicogeno non verrà mai fosforilato e, pertanto, non
potrà mai uscire dalle cellule di questi tessuti (che sono per questo definiti tessuti “egoisti”).
Dunque solo il glicogeno epatico è utile per regolare la glicemia.

Alla luce di questo è importante mettere in evidenza che i trasportatori del glucosio di
cervello ed eritrociti sono insulino-indipendenti e, al contrario, i muscoli hanno trasportatori
per il glucosio insulino-dipendenti. Ciò significa che ai muscoli è consentito captare glucosio
solo quando l’insulina è in circolo (se siamo in condizioni di digiuno prolungato i recettori dei
muscoli vengono introflessi nella cellula).

75
Nel caso in cui l’accesso al glucosio sia impedito, i muscoli (ma anche molti altri tessuti,
come per esempio quello epatico) sono infatti “costretti” a servirsi del metabolismo lipidico (si
servono di β-ossidazione, ottenendo molta energia dagli acidi grassi).

N.B. Il fegato è l’unico organo che possiede sia l’enzima per abbassare la glicemia
(glucocinasi) sia quello per alzarla (glucosio 6 fosfatasi), ed è pertanto il responsabile
dell’omeostasi glicemica.

BILANCIO DELLA GLUCONEOGENESI


In termini economici, per fare la biosintesi di una molecola di glucosio, avendo a disposizione
gli atomi di carbonio necessari, sono consumati 6 legami ad alta energia (4 ATP + 2GTP).
Sono necessari anche due equivalenti riducenti che o vengono prodotti quando il lattato
diventa piruvato o vengono esportati con lo shuttle del malato dal mitocondrio, perché sono
assolutamente necessari per la reazione in senso gluconeogenetico della GAPDH.
Il consumo di ATP e GTP garantisce che il processo gluconeogenetico, come per la glicolisi,
sia irreversibile. Ciò che fa decidere alla cellula se fare glicolisi o gluconeogenesi – per
evitare il ciclo futile – è l’“interruttore molecolare” che è operato dal meccanismo d’azione
dell’insulina o del glucagone: sono gli ormoni a imporre alla cellula epatica la scelta della via.

REGOLAZIONE DELLA GLUCONEOGENESI

DESTINO DEL PIRUVATO

La regolazione è reciproca, è necessario


evitare i cicli futili perché altrimenti la cellula
guadagnerebbe 2 ATP ma perderebbe 4 ATP +
2 GTP, e ciò ne causerebbe la morte.
È molto importante anche il destino del
piruvato. Infatti, in condizioni di insufficienza di
ossigeno, il piruvato diventa lattato, ma questo
non è il suo destino preferenziale. Il piruvato,
infatti, è una molecola che contiene molta
energia in quanto la glicolisi estrae soltanto
circa il 5% dell’energia totale di una molecola di
glucosio, quindi il destino privilegiato è quello di
entrare nel mitocondrio, prendere parte al ciclo
di Krebs ed essere completamente
decarbossilato in CO2 ed H2O, dando la
massima resa energetica. Questo presuppone
l’azione di un enzima che fa da cerniera tra la
via glicolitica e il ciclo di Krebs: la piruvato
deidrogenasi.

76
La piruvato deidrogenasi è un enzima mitocondriale che, oltre a ossidare (in quanto
deidrogenasi), decarbossila il piruvato generando l’Acetil-CoA, la molecola che entra nel
ciclo di Krebs.

Il piruvato in questione che si trova nel mitocondrio, il luogo in cui prende inizio la
gluconeogenesi: può intraprendere la strada anabolica [freccia verso l’alto nell’immagine],
dove viene carbossilata dalla piruvato carbossilasi, diventa ossalacetato e procede lungo
la via gluconeogenetica, fino alla sintesi del glucosio.
Tuttavia, sempre all’interno del mitocondrio, il piruvato può essere catturato dalla piruvato
deidrogenasi [freccia in basso nell’immagine] che lo decarbossila, lo fa diventare
Acetil-CoA e lo immette nel ciclo dell’acido citrico (ciclo di Krebs) con lo scopo di aumentare
la carica energetica cellulare e di estrarre equivalente riducente, producendo NADH+H+ e
FADH2.

Questi due enzimi (piruvato carbossilasi e piruvato deidrogenasi) competono per lo stresso
substrato, dunque è necessaria una regolazione che suggerisca al sistema molecolare della
cellula la scelta migliore tra le due strade: questo è compito di un importantissimo
modulatore molecolare dell’azione degli enzimi, l’Acetil-CoA.
L’Acetil-CoA è un modulatore positivo della piruvato carbossilasi. In altre parole,
quando nel mitocondrio c’è abbondanza di questo intermedio, viene stimolata la piruvato
carbossilasi e viene inibita la piruvato deidrogenasi.
Se la cellula si trova in carenza energetica la sua necessità prioritaria è aumentare la carica
energetica cellulare, l’Acetil-CoA quindi viene consumato nel ciclo di Krebs e non raggiunge
concentrazioni elevate.
Se invece la cellula è ricca di energia, condizione necessaria per la gluconeogenesi, ci sarà
un’elevata concentrazione di Acetil-CoA, che è il prodotto della beta-ossidazione, ovvero la
degradazione degli acidi grassi. In caso di digiuno prolungato, si avrà un’intensa
degradazione degli acidi grassi che porterà sia a una carica energetica cellulare elevata sia
ad un’alta concentrazione di Acetil-CoA, che si accumula e dà luogo a varie conseguenze
metaboliche, tra cui la regolazione reciproca degli enzimi sopra nominati, inibendo la
piruvato deidrogenasi e inducendo la piruvato carbossilasi, spingendo quindi la cellula verso
la gluconeogenesi.

CONTROLLO ORMONALE SULL’ESPRESSIONE GENICA DEGLI


ENZIMI
Gli enzimi della via gluconeogenetica sono regolati, nella loro espressione, dall’equilibrio
ormonale fra l’insulina e il glucagone. In sostanza, se una persona mangia tre volte al giorno,
rilasciando insulina tre volte al giorno, la glucocinasi è in alte concentrazioni e gli enzimi della
glicolisi sono bene espressi; in questa situazione non sono espressi a livelli rilevanti gli
enzimi della via gluconeogenetica.
Invece, quando il corpo va in digiuno per un certo tempo [si raggiunge il massimo della via
gluconeogenetica fra le 36 e le 48 ore di digiuno] spesso va in moto anche la proteolisi, la
degradazione delle proteine.

77
Per questo motivo per avviare la proteolisi e la gluconeogenesi è necessario che il digiuno
sia prolungato: se così non fosse il corpo verrebbe considerato a digiuno durante le ore
notturne e per mantenere l’omeostasi glicemica la massa muscolare costruita di giorno
verrebbe persa durante la notte (e banalmente i bambini non riuscirebbero a crescere).

Gli enzimi della via gluconeogenetica sono sotto il controllo del glucagone dal punto di
vista anche dell’espressione genica.
Il glucagone ha un recettore transmembrana a 7 α-eliche che attraversa la membrana
completamente, lega il ligando e attraverso la proteina G attiva l’adenilato ciclasi e
aumenta il cAMP [vedi lezione n.5].

La PKA, che viene così attivata, fosforila gli enzimi chiave riconoscendo un dominio
strutturale e funzionale, quindi riconosce i bersagli e il residuo amminoacidico fosforilabile.
Riconosce inoltre una proteina che si chiama CREB, un fattore trascrizionale che risponde ai
livelli del cAMP per tramite della PKA. La PKA fosforila la proteina CREB che diventa
CREBP, e questa – una volta fosforilata – agisce nel nucleo come fattore trascrizionale
che va a riconoscere nel promotore dei geni bersaglio il CRE, l’elemento di risposta al cAMP.

Il CRE è dunque una corta sequenza specifica di basi azotate che viene riconosciuta dalla
proteina attivata dal cAMP. Questo elemento CRE è presente all’interno del promotore della
PEPCK, della FBPasi-1 e della glucosio 6-fosfatasi.
Quindi, attraverso questo meccanismo, il glucagone attiva il fattore trascrizionale CREB che
riconosce e lega, una volta fosforilato, l’elemento di regolazione CRE nel promotore dei geni
degli enzimi gluconeogenetici che vengono attivati: si parla di regolazione trascrizionale
positiva. Dunque all’interno del fegato aumenta la trascrizione di mRNA maturi, aumenta la
sintesi proteica, aumenta il livello di questi enzimi e la gluconeogenesi risulta attiva.

È importante notare che negli stessi geni, negli stessi promotori, c’è un altro elemento di
regolazione che è l’IRE (I sta per insulina), ossia l’elemento di regolazione dell’insulina:
anche l’insulina riconosce questi geni come geni bersaglio. L’insulina ha anch’essa un
recettore di membrana che può dimerizzare e che attiva una complessa cascata di chinasi
che porta ad attivare dei fattori di trascrizione che riconoscono gli elementi IRE.
Quando il fattore trascrizionale si attiva, riconosce l’IRE e vi si lega spegnendo
l’espressione genica degli enzimi gluconeogentici.

Quindi, mangiando tre volte al giorno, avendo quindi tre aumenti glicemici, vengono
mantenuti repressi, attraverso questo meccanismo, gli enzimi gluconeogenetici, che
lavorano a dei livelli molto bassi. Questo meccanismo protegge l’individuo dalla
degradazione proteica, dal consumo di amminoacidi in direzione gluconeogenetica.

78
IL CICLO DELL’ALANINA

Il piruvato può diventare alanina con un meccanismo complesso che può essere semplificato
ad una transaminazione: è il Ciclo dell’Alanina. Il Ciclo dell’Alanina è diverso dal Ciclo di
Cori: quest’ultimo avviene in risposta ad uno sforzo improvviso di potenza, mentre il Ciclo
dell’Alanina può procedere per tempi più lunghi, va in moto in casi di endurance estrema.

Ci sono delle condizioni, ad esempio durante una maratona, in cui il muscolo svolge uno
sforzo non di potenza, ma di resistenza estrema, e lavora molte ore: in queste condizioni la
glicemia inizia ad abbassarsi in maniera sensibile, nell’individuo si avrà la degradazione del
glicogeno epatico per tamponare la situazione e all’interno del muscolo consumo di
glicogeno muscolare.
Si arriva ad una condizione in cui, se l’individuo deve perseguire nello sforzo, dà inizio alla
proteolisi delle proteine muscolari, le quali potrebbero essere utilizzate per aumentare la
carica energetica muscolare, ma perché questo avvenga è necessario sganciare il gruppo
amminico reso disponibile dall’intensa degradazione delle fibre muscolari.
Il gruppo amminico viene tolto dagli amminoacidi avviati alla degradazione con lo scopo di
produrre ATP.

79
Si compie glicolisi in condizioni anaerobica: la maggior parte del piruvato prodotto non
viene consumato, ma riceve il gruppo amminico e diventa alanina; l’alanina attraverso il
circolo va nel fegato, che a sua volta recupera il gruppo amminico, e lo avvia al ciclo
dell’urea per la detossificazione, uno degli scopi del ciclo dell’alanina.

Dunque, con questo meccanismo, il muscolo sotto sforzo estremo manda i gruppi amminici
al fegato, ottenendo di nuovo del piruvato disponibile con cui il fegato fa gluconeogenesi,
restituendo glucosio. Attraverso questo meccanismo, l’alanina viene utilizzata non solo per
inviare tre atomi di carbonio in gluconeogenesi, ma anche per detossificare il muscolo
dall’eccesso di gruppi amminici.
Queste condizioni si manifestano nel caso di over-training, in cui il bilancio complessivo
prevede che il soggetto stia perdendo massa muscolare. Se si compie un’attività di questo
tipo, successivamente c’è bisogno di un tempo di recupero molto più lungo per recuperare la
massa magra.

DANNO DA ETANOLO
L’etanolo è una molecola priva di effetti benefici: viene assunto con tempi rapidissimi e
senza alcuna digestione, perché attraversa la mucosa della bocca, ed una volta entrato in
circolo viene intercettato dal fegato, nel quale prevale l’azione dell’alcol deidrogenasi.
È un enzima epatico inducibile che trasforma l’etanolo in acetaldeide: l’alcol deidrogenasi
epatica prende un NAD+ e lo trasforma in NADH+H+ per ossidare l’etanolo.
Non si tratta di detossificazione, poiché l’acetaldeide è una sostanza tossica per l’organismo
ed è un carcinogeno epatico: uccide le cellule epatiche e le trasforma in neoplasie epatiche.

La conversione dell’etanolo in acetaldeide avviene nel citoplasma e comporta la riduzione di


NAD+, quindi nel citoplasma del fegato il NAD+ si riduce tutto molto rapidamente. Se il NAD+
è totalmente ridotto, gli unici modi che ha il fegato per restituire NADH+H+ sono la
conversione del piruvato in lattato e la conversione dell’ossalacetato in malato, in questo
modo però vengono sottratti substrati gluconeogenetici. L’alcol, quindi, inibisce la
gluconeogenesi.
L’etanolo passa la barriera emato-encefalica,
agisce sulle cellule del SNC e provoca i tipici effetti
dell’alcol, ma con il passare del tempo gli effetti
spariscono perché l’alcol è smaltito e trasformato
in acetaldeide, con effetti di carcinogenesi.
L’alcol deidrogenasi è indotta dall’etanolo, ciò
significa che se una persona regge l’alcol produce
tanta alcol deidrogenasi perché è abituata a bere,
ma avrà un fegato meno sano di una persona che
non regge l’alcol, cioè che ha l’alcol deidrogenasi a
livelli più bassi.
L’eccessiva assunzione di alcol comporta per un
alcolista la perdita di coscienza, ovvero il coma
etilico: una situazione di digiuno e, poiché la sua
gluconeogenesi è inibita, il coma etilico diventa
coma ipoglicemico, con conseguenze anche letali.

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SHUNT DEI PENTOSI

ASPETTI GENERALI
Questa via rappresenta un altro destino catabolico del glucosio e viene considerata come
una deviazione della via glicolitica. Da questo deriva l'uso del termine shunt (deviazione).
Lo shunt dei pentosi necessita della prima tappa della via glicolitica, dopodiché devia
compiendo altre reazioni, per poi terminare producendo delle molecole che possono tornare
alla via glicolitica.

Com’è stato visto, è possibile degradare parzialmente il glucosio e ricavarne ATP, ma questa
via, pur essendo degradativa, ha un significato completamente diverso da quella della
glicolisi – ulteriore dimostrazione dell’importanza del glucosio per le cellule umane, le quali
non ne ricavano soltanto energia.
Lo shunt dei pentosi è una via catabolica, cioè ossidativa, attraverso la quale il glucosio
viene parzialmente ossidato ed ha scopi differenti da quelli della via glicolitica. Dunque, la
cellula deve avere dei meccanismi che siano in grado di determinare la direzione del
glucosio verso la glicolisi piuttosto che verso lo shunt.

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Lo shunt dei pentosi ha come scopi:
- La riduzione del NADP a NADPH;
- La produzione di D-ribosio, un intermedio a 5 atomi di C, componente
fondamentale dei nucleotidi, necessari per la formazione di acidi nucleici;
- L'interconversione tra monosaccaridi: all'interno della via è presente una fase in
cui compaiono tutti i monosaccaridi di interesse alimentare, che possono essere tutti
trasformati l'uno nell'altro e diventare alla fine intermedi della via glicolitica. Ciò indica
che possediamo gli enzimi per modificare e manipolare queste molecole, le quali,
proprio per questo motivo, non rappresentano un rischio per quanto riguarda la
tossicità.

NADP e NADPH
Il NADPH (forma ridotta) è considerato la seconda moneta di scambio energetico (dopo
l’ATP). E' fondamentale non confonderlo con il NAD, il quale in larga misura si trova nel
mitocondrio: sul NAD ossidato vengono scaricati gli equivalenti riducenti che vengono
strappati dalle macromolecole, dopodiché la sua forma ridotta alimenta la catena di trasporto
degli elettroni e la formazione del gradiente protonico, necessari per la sintesi di ATP.
Chiaramente, il NAD ridotto si può considerare come forma di energia, però il potere
riducente in esso contenuto finisce nell'ATP, quindi si parla sempre di ATP.
Il NADP differisce dal NAD in quanto, innanzitutto, si trova in larga maggioranza nel
citoplasma e non nel mitocondrio, il quale mantiene le molecole separate attraverso la sua
membrana che opera un controllo scrupoloso dei trasporti di molecole mediante
trasportatori.
NADH e NADPH in forma ridotta non sono intercambiabili. Non sono la stessa cosa, perché
le deidrogenasi che utilizzano il NADPH non sono in grado di usare NADH e viceversa.
Questo accade perché la presenza del fosfato consente il riconoscimento del nucleotide
giusto da parte dell'enzima, quindi gli enzimi che non sono in grado di riconoscere il NADPH
non sono nemmeno in grado di servirsene. Le deidrogenasi che usano NADPH hanno un
significato diverso: sono enzimi collocati in vie di biosintesi. Se degradare significa ossidare,
biosintesi significa ridurre, quindi ci sono tappe riduttive essenziali in alcune vie di biosintesi
che per procedere verso destra hanno bisogno di potere riducente, che viene ceduto dal
NADPH. Il NADPH è in grado di donare direttamente energia sotto forma di potere riducente
a tappe di biosintesi. Questa energia è immediatamente spendibile, non passa dall'ATP né
serve per produrlo. E' fondamentale che la cellula ricarichi costantemente il NADP, cioè che
lo riduca a NADPH, in quanto non ne possiede in grandi quantità. Questa è la via
responsabile della gran parte del ricarico, ma non è l'unica.

DOVE AVVIENE
Lo shunt dei pentosi avviene in tutte le cellule, in quanto tutte le cellule hanno la necessità di
generare NADPH ridotto e nucleotidi e di interscambiare i monosaccaridi tra loro. In
particolare, all'interno della cellula, lo shunt avviene nel citoplasma.
I tessuti prevalentemente coinvolti sono il fegato (si considera che il 30% della degradazione
di glucosio in questa via avvenga a livello epatico) e i tessuti che compiono due vie
biosintetiche molto importanti: la biosintesi di acidi grassi (che diventano trigliceridi nel

82
tessuto adiposo o entreranno a far parte dei fosfolipidi di membrana) e la biosintesi del
colesterolo.
Queste due vie avvengono nel tessuto adiposo, nel quale viene depositato l'eccesso di
energia metabolica sotto forma di trigliceridi, ma anche nella ghiandola mammaria. Quando
la ghiandola mammaria è metabolicamente attiva, produce latte che contiene proteine,
fosfocaseinato di calcio, glucidi (come il lattosio) e lipidi sotto forma di trigliceridi e
colesterolo. Queste componenti vengono biosintetizzate dalla ghiandola mammaria, tranne
per quanto riguarda vitamine, sali minerali e acqua. Ciò comporta che una ghiandola attiva
consumi molto glucosio, sia per introdurlo nel latte, sia per ottenere NADPH e compiere la
sintesi di acidi grassi. E' necessario, dunque, che una donna in fase di allattamento debba
idratarsi ed evitare carenze vitaminiche.

BILANCIO
Per avere una stechiometria sensata è opportuno partire da 3 molecole di G6P
(glucosio-6-fosfato). Ciò indica che la via necessita della prima tappa della glicolisi, in quanto
il G6P non è altro che il prodotto dell'esocinasi, che fosforila il glucosio in posizione 6 con
consumo di ATP.
Da 3 molecole di G6P si ottengono 2 molecole di fruttosio-6P e una di gliceraldeide-3P.

Da 18 molecole di C che entrano nella via se ne ottengono 15 sotto forma di intermedi della
via glicolitica, nella quale potranno rientrare. I 3 atomi di C mancanti vengono decarbossilati:
la via produce anche 3 molecole di CO2, che poi diventerà ione carbonato.
La decarbossilazione spiega come la via sia degradativa, seppur parziale, in quanto tra i
prodotti ho sì due molecole a 6 atomi di C, ma anche una a 3 atomi di C. Le degradazioni,
che sono ossidazioni, comportano la liberazione di potere riducente che viene accumulato
sul NADP, il quale si riduce a NADPH. Dalla via si ottengono 6 NADPH, che rappresentano
per la cellula un quantitativo rilevante.

3 G6P + 6 NADP+ + 3 H2O → 6 NADPH + 6 H+ + 3 CO2 + 2 F6P + GAP

DESCRIZIONE DELLE FASI


La via avviene nel citoplasma: l'ossidazione del NADP, come la sua riduzione, non ha a che
fare con il mitocondrio. Essa si divide in due parti:

1. Nella prima parte avvengono le reazioni decarbossilative e la formazione delle 6


molecole di NADPH. La via inizia da 3 molecole di G6P, che è l'intermedio attraverso
cui lo shunt devia dalla via glicolitica. Questa prima parte consiste di 3 reazioni e al
loro termine si ottengono 3 molecole a 5 C: partendo, infatti, da tre molecole a 6 C
che subiscono decarbossilazione, se ne ottengono tre a 5 C. La molecola a 5 C è
rappresentata dal ribulosio-5P.

2. Nella seconda parte non sono presenti ossidazioni né perdita di atomi di C, dunque
essa non è né ossidativa né degradativa. Qui avvengono le interconversioni tra
monosaccaridi a seconda delle necessità della cellula. La via termina con le due
molecole a 6 C di fruttosio-6P e con una molecola a 3 C, che è la gliceraldeide-3P.

83
In alto si vedono 3 reazioni lineari che procedono verso destra, mentre la parte successiva
presenta delle ramificazioni.

A questo punto i prodotti possono intraprendere due vie:


- Rientrare nella via glicolitica, se alla cellula non interessa più fare shunt;
- Essere riciclate, se l'esigenza di fare shunt persiste. Per fare ciò, è necessario che i
prodotti passino attraverso la via gluconeogenetica, in maniera tale da essere
trasformati in G6P.

Tuttavia, è da considerare che questo meccanismo non è un ciclo perfetto, in quanto nella
via entrano 18 atomi di C, ma ne escono 15. Per cui, ogni volta ne vengono persi tre.
I tre atomi di C persi devono essere reintrodotti, se la cellula continua a fare shunt. Dunque,
affinché la via proceda, bisogna introdurre altri atomi di C.

84
PRIMA FASE
Essa consiste di tre reazioni catalizzate da tre enzimi, due dei quali sono deidrogenasi (il
primo e il terzo), responsabili della riduzione del NADP. E' necessario tenere a mente, per la
resa energetica, che si parte da tre molecole di G6P.

1a TAPPA: richiede per prima l'azione dell'esocinasi. L'enzima coinvolto è la G6P


deidrogenasi, un enzima tipico dello shunt che non funziona con un NAD, ma soltanto col
NADP. La G6P deidrogenasi ossida il G6P e lo trasforma in un estere ciclico: il
6-fosfoglucono-∂-lattone. L'enzima strappa potere riducente, che viene depositato su NADP,
il quale si riduce a NADPH. Si genera, così, un NADPH per ogni molecola di G6P.
Questo enzima è responsabile della regolazione, che è basata sul rapporto tra NADP e
NADPH nella cellula: se il NADP è tutto ridotto l'enzima è inibito, mentre se il NADP è tutto
ossidato l'enzima è attivato. La cellula non può mai permettersi di avere solo NADP ossidato.
Questo enzima si occupa anche di incanalare il G6P nello shunt.
Gli altri enzimi della via non sono enzimi di regolazione. Agiscono con un ΔG0' di circa 0,
quindi una volta che il glucosio è entrato, la via procede irreversibilmente.

2a TAPPA: l'enzima è la 6-fosfoglucono-∂-lattone lattonasi, che introduce una molecola di


acqua, la quale rompe un legame dell'anello. Ne consegue che la struttura si linearizza.
Si forma il 6-fosfogluconato, che rappresenta un intermedio fondamentale nel fegato, dove è
coinvolto in meccanismi di detossificazione da farmaci o da altre molecole. In questo caso, la
reazione è spontanea da sé, ma l’enzima va a incrementarne la velocità affinché l'efficienza
aumenti.

3a TAPPA: avviene a questo livello la seconda deidrogenasi, catalizzata dalla


6-fosfogluconato deidrogenasi, che, oltre a questo, riduce il NADP a NADPH. Questo
enzima catalizza una decarbossilazione ossidativa: ossida il suo substrato strappandogli
potere riducente e un atomo di C. Partendo da 3 molecole, si ottengono 3 CO2, 3 NADPH e
3 molecole di prodotto, che è costituito dal ribulosio-5P.

Da questa prima fase si ottengono, quindi, 6 NADPH, 3 CO2 e 3 molecole di ribulosio-5P.

85
SECONDA FASE
Essa è costituita dalle reazioni di interconversione tra monosaccaridi. Da questo punto in poi
le reazioni hanno un ΔG0' vicino a 0 e sono tutte soggette alla legge di azione di massa.
Vanno verso destra se viene tolto il prodotto, vanno a sinistra se viene portato via il
reagente; quindi vengono regolate in base alle esigenze della cellula.

4 / 5a TAPPA: il ribulosio-5P può prendere due strade: può essere sottoposto sia a
isomerizzazione sia a epimerizzazione. L'equilibrio tra le due varia in base ai bisogni della
cellula. Può essere catturato da una isomerasi e diventare ribosio-5P, oppure da
un’epimerasi e diventare xilulosio-5P. I due enzimi competono per il substrato e siccome
sono in equilibrio, se la cellula porta via uno dei due prodotti, la reazione che lo produce
verrà accelerata.

Sia nei tessuti in cui c'è un'elevata proliferazione (cellule epiteliali, cellule delle mucose), sia
nel caso in cui la cellula sia indotta alla proliferazione da stimoli mitogeni (come nel caso di
un taglio), aumenta la sintesi di DNA e quindi la richiesta di ribosio-5P, la quale comporta che
il ribulosio-5P prediliga l'isomerizzazione e talvolta anche che entri un maggior quantitativo di
glucosio-6P nella via. Lo shunt, infatti, è molto stimolato poco prima della fase S: prima che
la cellula proceda alla duplicazione, prepara l'occorrente e ciò comporta un aumento della
sinesi di nucleotidi e dello shunt dei pentosi.
Se, invece, la cellula non è stimolata alla proliferazione, ma deve attuare una via come la
biosintesi, che richiede molto NADPH, la via prosegue e i prodotti finali vengono riciclati
mediante gluconeogenesi, in maniera tale da ricaricare sempre più NADPH.

86
6 / 7 / 8a TAPPA: dopo aver ottenuto ribosio-5P e xilulosio-5P, agiscono una transchetolasi e
una trandaldolasi, che staccano blocchi di due o tre atomi di C e li spostano da una molecola
ad un’altra, rompendo un legame e riformandolo.

La transchetolasi, se ha a disposizione una molecola di ribosio-5P e una di xilulosio-5P


(servono entrambe), stacca dallo xilulosio-5P due atomi di C e li sposta al ribosio-5P.
Il risultato è che, da due strutture di 5 C ciascuna, se ne ottengono una di 7 C
(sedoeptulosio-7P, che è il monosaccaride più grande) e una a 3 C (la gliceraldeide-3P).
Nella reazione deve essere mantenuto il medesimo numero di atomi di C sia destra che a
sinistra.

Dopodiché, una transaldolasi stacca 3 C dal sedoeptulosio-7P e li riporta sulla


gliceraldeide-3P, in maniera tale da ottenere fruttosio-6P ed eritrosio-4P. Il fruttosio-6P è uno
dei prodotti finali.

Torna ad agire nuovamente la transchetolasi, che prende 2 C da una nuova molecola di


xilulosio-5P e li lega all' eritrosio-4P precedentemente ottenuto, in maniera tale da ottenere
fruttosio-6P e gliceraldeide-3P.

E' necessario mantenere costante tra reagenti e prodotti il numero di atomi di C:


- Prima azione della transchetolasi: 5+5 = 7+3 = 10
- Azione della transaldolasi: 7+3 = 4+6 = 10
- Seconda azione della transchetolasi: 5+4 = 3+6 = 9

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Al termine della via si formano come prodotti due molecole di fruttosio-6P e una di
gliceraldeide-3P, che possono entrare nella glicolisi diventando piruvato e producendo alla
fine ATP.

Se, invece, i prodotti vengono riciclati, entrano prima nella gluconeogenesi:


- Il fruttosio-6P viene riconvertito in glucosio-6P;
- Servono due molecole di gliceraldeide-3P per poter arrivare a riformare glucosio-6P.

In questa via compaiono ribosio, ribulosio, xilulosio, sedoeptulosio, eritrosio. Ciò indica che il
nostro corpo è in grado di assumerli come alimenti e utilizzarli tutti, perché dispone degli
enzimi necessari per l'interconversione, in maniera tale che possano essere sfruttati nella via
glicolitica o come precursori per vie biosintetiche. Essendo presenti gli enzimi adatti, questi
monosaccaridi non risultano tossici e possono dunque essere metabolizzati.

CONTROLLO DELLA VIA


La regolazione della via, come già accennato, può dipendere dalla richiesta della cellula di
coenzima in forma ridotta: si parla quindi di NADPH.
Se c’è bisogno di ricaricarlo, la via deve andare a compimento, quindi per riciclare i prodotti
finali la transaldolasi e la transchetolasi lavorano e convertono il ribosio-5 fosfato e il
ribulosio-5 fosfato nei prodotti finali, riciclati, che sono F6P (fruttosio-6 fosfato), GAP
(gliceraldeide 3-fosfato) e attraverso la gluconeogenesi possono rientrare nella via.
La via è regolata anche quando c’è prelievo di ribosio, per fare sostanzialmente la sintesi
degli acidi nucleici.

Il controllo complessivo dello shunt è operato dalla Glucosio 6-P Deidrogenasi, regolato dal
rapporto tra la forma ridotta e la forma ossidata del NADP.
Questo enzima è importante perché giustifica una particolare patologia, cioè il favismo.

Il favismo è una malattia genetica che comporta un difetto sul gene che produce la
glucosio-6-fosfato deidrogenasi: i soggetti affetti hanno una regolazione non corretta di
questo enzima. La patologia deve il suo nome alle fave, un alimento che, come tanti altri,
contiene molecole che inducono stress ossidativo: il fegato deve detossificare queste
molecole e per farlo necessita di potere riducente che ricava dal NADPH.
Un soggetto sano che non è affetto da questa malattia mangia fave o alimenti simili ed il
metabolismo delle molecole contenute in questi alimenti determina consumo di NADPH nel
fegato producendo così una risposta, nella quale viene indotta la glucosio-6-fosfato
deidrogenasi, consumando così più glucosio per ricaricare il NADP che ridiviene ridotto.
Quindi, le persone sane possono mangiare le fave o alimenti simili perché il loro sistema si
adatta.
Un soggetto malato ha la glucosio-6-fosfato deidrogenasi che non risponde al segnale. Se il
NADPH viene rapidamente ossidato, l’enzima non si attiva e pertanto in questi soggetti il
mangiare questi alimenti provoca rapido azzeramento della quantità di NADPH. Ciò
determina, nella situazione peggiore (in cui si hanno un alto livello di penetranza della
malattia e un'elevata dose ingerita dell’alimento) la morte degli eritrociti, che conduce ad
un'anemia acuta fulminante ed alla morte in 2-4 ore.

88
Gli eritrociti sono colpiti principalmente perché usano molto gli shunt; infatti, nell’eritrocita
circa il 30% del glucosio è usato per produrre shunt, mentre il 70% è usato per la glicolisi.
Ciò avviene perché gli eritrociti devono continuamente mantenere un alto livello di NADPH
per contrastare i radicali dell’ossigeno, i quali sono molto presenti in queste cellule.
Tutte le cellule si difendono dallo stress ossidativo facendo reagire i radicali liberi
dell’ossigeno con altre molecole che impediscono l’attacco dei radicali alle biomolecole
importanti. Infatti, i radicali liberi dell’ossigeno possono attaccare i doppi legami come quelli
dei fosfolipidi di membrana, provocandone la rottura e generando aldeidi e chetoni (ciò che
determina la rottura della membrana degli eritrociti) provocando emolisi. All’emolisi consegue
il rilascio in circolo dell’emoglobina libera, la quale non è più in grado di rilasciare ossigeno
perché il ferro al suo interno non è più 2+ ma 3+ ed è quindi completamente ossidato.

Tutti i farmaci sono molto pericolosi per i soggetti favici perché provocano alti livelli di stress
ossidativo. I migliori antiossidanti sono i carboidrati perché da essi si ricava glucosio, il quale
permette di avere glucosio-6-fosfato deidrogenasi, che permette infine di avere NADPH.

Ciò premesso, il glutatione è un tripeptide prodotto dal nostro organismo e contiene nel suo
centro una molecola di cisteina che permette di creare un ponte disolfuro con un altro
glutatione. Il glutatione ridotto è G-SH, mentre quello ossidato è G-S-S-G. La cellula si
difende dai radicali con il glutatione in forma ridotta rendendolo ossidato, ma il glutatione
ossidato non è tossico e può essere ritrasformato in glutatione ridotto. Per compiere tale
“ritrasformazione”, occorre il potere riducente fornito dal NADPH.

Riassumendo: La cellula consuma glucosio ricaricando il NADPH, il quale a sua volta


ricarica il glutatione ridotto che la difende dallo stress ossidativo. Fino a
quando questo meccanismo avviene, è possibile difendersi dallo stress
ossidativo di alimenti, farmaci, invecchiamento, attività fisica frequente, …

89
CICLO DI KREBS

METABOLISMO INTERMEDIO – DECARBOSSILAZIONE


OSSIDATIVA
Il metabolismo intermedio fa da cerniera tra la parte iniziale di degradazione delle
macromolecole biologiche e la parte finale, in cui la completa ossidazione porta ad utilizzare
l’equivalente riducente per generare ATP all’interno del mitocondrio.
Le varie vie degradative di nutrienti come carboidrati, proteine o acidi grassi convergono
sulla produzione di un intermedio comune che è l’acetil-CoA. Questo a sua volta diventa il
combustibile per il metabolismo intermedio nel quale il Ciclo di Krebs (o ciclo degli acidi
tricarbossilici o ciclo dell’acido citrico) svolge un ruolo fondamentale.

Il ciclo di Krebs avviene all’interno della


matrice mitocondriale (matrigel, molto densa
poiché ricca di proteine) ed è un ciclo
prevalentemente degradativo, ma che può
essere utilizzato anche in maniera anabolica
– per questo è definito infatti come anfibolico.

Con la glicolisi il glucosio si degrada


parzialmente a due molecole di piruvato, ma
qual è il destino di quest’ultimo?

In scarsità di ossigeno, o in mancanza di


mitocondri come negli eritrociti, questo viene
catturato all’interno del citoplasma dalla
lattato deidrogenasi generando acido lattico.

Tuttavia, il destino ottimale e preferenziale


avviene in condizioni aerobie e con
mitocondri attivi ed è quello di estrarre tutta
l’energia possibile dalle molecole di piruvato
poiché ancora molto energeticamente ricche.
Affinché ciò avvenga è necessario che il
piruvato venga convertito in acetil-CoA, in
quanto sarà questa molecola quella in grado
di entrare all’interno del ciclo di Krebs.

L’acetil-CoA, nel Ciclo di Krebs, produce gli


equivalenti riducenti che vengono utilizzati
durante la respirazione cellulare e ciò
permette di sfruttare al massimo la molecola
di glucosio dal punto di vista energetico.

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La tappa cerniera tra glicolisi e tale ciclo prende il nome di decarbossilazione ossidativa
ed è mediata dall’enzima piruvato deidrogenasi. Essa è una tappa necessaria, che avviene
nel mitocondrio, ma che NON fa parte del ciclo di Krebs.
Il piruvato può entrare secondo gradiente di concentrazione all’interno del mitocondrio grazie
ad un trasportatore presente sulla membrana esterna mitocondriale.
Nel matrigel si forma il complesso enzimatico della piruvato deidrogenasi dotato di 5 attività
enzimatiche – 3 catalitiche (E1, E2, E3) e 2 regolatorie – il quale ha bisogno di 5 cofattori
derivati da vitamine (tiamina pirofosfato TPP, FAD, CoA, NAD e lipoato) per funzionare.
La piruvato deidrogenasi è soggetta a regolazione sia allosterica sia covalente (modificazioni
per fosforilazione e defosforilazione). Ogni enzima catalitico è formato da molte unità
proteiche che si aggregano.

La reazione necessita di tre substrati e genera tre prodotti.


Nel suo complesso la reazione ha bisogno del piruvato, del CoA-SH in forma libera e del
NAD in forma ossidata. Necessita di tutte e tre le attività enzimatiche e al termine di questa
azione si generano tre prodotti: acetil-CoA, anidride carbonica e NAD ridotto.
Nel complesso la reazione è una decarbossilazione ossidativa: il piruvato viene sia
decarbossilato sia ossidato. Il NAD ridotto, poiché la reazione avviene nel mitocondrio, sarà
immediatamente sequestrato dal Complesso I per produrre energia e va quindi calcolato nel
conto della resa energetica. L’anidride carbonica verrà invece catturata dalla anidrasi
carbonica diventando ione bicarbonato.
Il ∆G°’ è negativo e sposta la reazione fortemente verso destra.

La reazione è del tutto irreversibile in quanto:


- La NADH deidrogenasi sequestra subito il NADH riossidandolo e non rendendolo più
disponibile alla reazione inversa.
- L’anidride carbonica viene subito catturata dalla anidrasi carbonica che non la rende
disponibile come substrato per la reazione inversa.
- L’acetil-CoA viene sottratto dalla citrato sintasi, enzima della prima tappa del ciclo di
krebs.

91
Il CoA è costituito da adenina, ribosio 3-fosfato, acido pantotenico e ß-mercaptoetilammina
la quale presenta un gruppo tiolico -SH che è il centro di reazione, il gruppo attivo, in quanto
oscilla tra uno stato ridotto e un ossidato. È un trasportatore che può presentarsi in forma
libera o in forma legata all’acetile.

L’enzima, in particolare E2, ha bisogno del coenzima lipoato che possiede residui di lisina e
un gruppo amminico che lega covalentemente un residuo di acido lipoico attraverso un
legame carbonio-azoto. Questo presenta una lunga catena con due gruppi tiolici terminali
che possono ossidarsi e chiudersi ad anello formando un ponte disolfuro. Quando il lipoato è
ridotto questi gruppi possono agire da trasportatori per l’acetile formando la forma acetilata.

Il complesso della piruvato deidrogenasi contiene:


- Enzima E1 che è chiamato propriamente piruvato deidrogenasi
- Enzima E2 o diidrolipolil-transacetilasi, il quale sfrutta l’acido lipoico per trasportare il
radicale acetile
- Enzima E3 detto diidrolipolil-deidrogenasi, che serve a ricostituire l’acido lipoico in
forma ossidata, senza il quale non si potrebbe ripartire con la reazione.

E1 ha covalentemente legata una molecola di tiamina pirofosfato (TPP), E2 ha legato l’acido


lipoico, E3 ha legato una molecola di FAD in forma ossidata.

92
1. Nella prima reazione il piruvato viene catturato da E1, avviene la decarbossilazione
che porta alla fuoriuscita di una molecola di CO2. Si forma quindi un radicale attivo che
viene agganciato alla TPP.
2. Nella seconda tappa interviene E2: il lipoato ossidato accetta l’acetile su uno dei due
gruppi tiolici, mentre l’altro è ridotto ad -SH.
3. Nella tappa successiva entra il CoA libero in forma ridotta, sostituendo il proprio
gruppo -SH con quello coinvolto nel legame fra lipoato e acetile, formando acetil-CoA.
Il braccio del lipoato a questo punto si trova in forma ridotta e quindi si apre l’anello.
4. L’enzima E3 è responsabile dell’ossidazione dei 2 gruppi tiolici del lipoato attraverso il
FAD che strappa potere riducente e diventa FADH2.
5. Poiché E3 deve tornare con il FAD ossidato, il potere riducente passa dal FADH2 ad un
NAD+ libero che interviene nella reazione. Tutto questo è possibile poiché il potenziale
redox del FAD legato è più alto di quello del NAD. Se il FAD fosse libero tale reazione
non potrebbe avvenire poiché il NAD in generale presenta un potenziale redox più alto
del FAD. Si forma quindi NADH e il complesso ritorna allo stato originale.

La carenza di tiamina pirofosfato causa una sindrome chiamata Beri Beri. Produce sintomi
a carico del sistema nervoso poiché il tessuto nervoso utilizza esclusivamente glucosio. Il
piruvato non riesce ad essere degradato all’interno del mitocondrio bloccando la produzione
di energia.
L’alcolismo, per definizione, è una malnutrizione: l’alcol deidrogenasi produce NADH il quale
genera calorie, definite “calorie vuote”, poiché non vengono ingerite insieme vitamine o altre
sostanze nutrizionali utili.

CICLO DI KREBS
Il ciclo di Krebs è una via metabolica che parte da un determinato composto, l’ossalacetato,
e termina con la formazione del medesimo composto.
È costituito da 8 reazioni che erano già conosciute, ma il merito di Krebs, che scoprì
l’omonimo ciclo nel 1937 ed il ciclo dell’urea 1932, fu quello di associarle sfruttando il calcolo
del ΔG’°, mentre Kennedy e Lehninger scoprirono che tutte queste reazioni avvengono
completamente nei mitocondri.

Delle 8 tappe, le prime 4 sono di tipo ossidativo/degradativo, in cui NAD e FAD prendono
potere riducente grazie alla decarbossilazione di acetil-CoA, mentre le ultime 4 hanno lo
scopo di rigenerare la molecola di partenza.

Il ciclo funziona grazie all’ossalacetato, un accettore costituito da 4 atomi di carbonio che


lega l’acetile (a due atomi di carbonio) grazie all’enzima citrato sintasi, formando una
molecola a 6 atomi di carbonio, il citrato. Alla fine del ciclo si deve rigenerare l’ossalacetato,
altrimenti non può entrare nel ciclo un'altra molecola di acetil-CoA: il ciclo infatti richiede una
stechiometria 1:1 tra ossalacetato e acetil-CoA.

Se non c’è sufficiente disponibilità di ossalacetato, anche se si produce una grande quantità
di acetil-CoA grazie alla degradazione di glucosio, aminoacidi e acidi grassi, questo non può
essere utilizzato ed è proprio per questo sono fondamentali le reazioni di rigenerazione.

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Nelle tappe ossidative il potere riducente viene conferito agli enzimi classici, NAD e FAD.
Per ogni acetile che entra nel ciclo si generano 3 NADH e 1 FADH: gli NADH, una volta
ridotti nella matrice mitocondriale dalla NADH deidrogenasi, portano alla formazione di 2,5
ATP ciascuno, mentre il FADH porta alla produzione di 1,5 ATP, per un totale di 9 ATP (2,5 x
3 + 1,5 = 9 ATP).
Esiste inoltre una tappa del ciclo nella quale si genera anche una molecola di GTP (un
equivalente dell’ATP) grazie a una fosforilazione a livello del substrato che avviene nella
matrice mitocondriale (non richiede il gradiente protonico e il flusso di elettroni, ma di un
intermedio ad alta energia che fosforila direttamente GTP).

Quindi in totale per ogni acetile che entra nel ciclo si producono 10 molecole di ATP, mentre
la resa totale del metabolismo ossidativo del glucosio è di 32 molecole di ATP.

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Riassumendo, dunque, i prodotti del ciclo dati dal consumo, attraverso decarbossilazione, di
acetil-CoA sono 3 NADH + H+, 1 FADH2 ed 1 GTP.
Inoltre, al termine del ciclo, l’accettore di acetil-CoA (ossalacetato) viene rigenerato.

Durante il ciclo l’acetil-CoA viene completamente decarbossilato e vengono rilasciate anche


due molecole di CO2. Tuttavia, in termini biochimici non è corretto dire che i due atomi di
carbonio dell’acetile sono gli stessi che vanno a formare l’anidride carbonica, in quanto
durante il ciclo viene attuato un complesso processo di riciclo degli atomi di carbonio
[dimostrato grazie alla marcatura dei carboni].
In ogni caso, la reazione rimane bilanciata: a partire dai 3 atomi di carbonio del piruvato si ha
la formazione di una prima molecola di CO2 (con un atomo di carbonio) durante il passaggio
da piruvato ad Acetil-CoA grazie alla piruvato deidrogenasi, mentre le altre due molecole di
CO2 (e gli altri due atomi di carbonio) derivano dalla decarbossilazione dall’acetil-CoA.
Quindi tutti e sei gli atomi di carbonio del glucosio iniziale vengono ossidati a CO2 e acqua.
La rottura di tutti i legami permette la massima resa energetica.

LE OTTO TAPPE DEL CICLO DI KREBS

PRIMA TAPPA: formazione del Citrato

Il piruvato, una volta entrato nel mitocondrio,


viene decarbossilato ossidativamente dalla
piruvato deidrogenasi che va a generare
acetil-CoA libero, che viene immediatamente
catturato dalla citrato sintasi (è una sintasi,
quindi genera un legame carbonio-carbonio).
La citrato sintasi sgancia l’acetile dal CoA e
lo aggancia all’ossalacetato in modo da
formare il citrato, un acido tricarbossilico
composto da sei atomi di carbonio con tre
gruppi acidi (tre gruppi COO- a pH
fisiologico).
Il CoA-SH libero torna invece alla piruvato
deidrogenasi che lo ricarica sfruttando il
piruvato.
La reazione è spostata a destra (ΔG’° = -32 kJ/mole).

La reazione è un esempio di catalisi covalente: l’enzima forma dei legami covalenti molto
instabili con gli intermedi, che di conseguenza si rompono spontaneamente rilasciando il
prodotto, mentre l’enzima torna nel suo stato iniziale. Nella reazione si forma l’intermedio
citril-CoA che rimane temporaneamente legato alla superficie dell’enzima (tramite un legame
covalente debole) il quale subisce un adattamento indotto, successivamente l’energia si
scarica rompendo il legame e viene rilasciato il prodotto.
Questa tappa è fondamentale perché per ogni molecola di ossalacetato si consuma una
molecola di acetil-CoA.

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La citrato sintasi subisce diversi modificazioni conformazionali: il primo adattamento
indotto avviene per il legame con l’ossalacetato che crea il sito di legame per l’acetil-coA,
dopo il legame con l’acetil-CoA avviene la seconda modificazione che porta alla rottura del
legame covalente rigenerando l’enzima nella sua forma originale.

SECONDA TAPPA: formazione dell’Isocitrato attraverso il cis-aconitato

È una reazione di isomerizzazione in cui si passa dal citrato all’isocitrato grazie all’enzima
aconitasi che dapprima elimina una molecola d’acqua e poi la aggiunge nuovamente in
posizione diversa, in modo da cambiare la posizione del gruppo -OH passando per un
intermedio, il cis-aconitato.

La reazione è spostata verso destra per la legge di azione di massa (ΔG’°= -13 kJ/mole) e
potrebbe avvenire anche spontaneamente, ma l’enzima, che contiene un centro Fe-S, ne
aumenta sensibilmente l’efficienza.

TERZA TAPPA: formazione dell’α-chetoglutarato

La terza tappa è la prima delle due decarbossilazioni ossidative, in cui viene rilasciato il
primo atomo di carbonio.
Questa reazione è catalizzata dall’isocitrato deidrogenasi, una decarbossilasi/deidrogenasi
che sgancia dall’isocitrato un atomo di carbonio e contemporaneamente ossida la molecola
portando via due atomi di idrogeno strappando potere riducente che verrà poi dato a NAD,
producendo il primo NADH (esiste anche un isoenzima presente in quantità minore nel
mitocondrio che sfrutta NADP) andando a formare α-chetoglutarato che ha 5 atomi di
carbonio.
La reazione è sempre spostata a destra (ΔG’°= -21kJ/mol).

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QUARTA TAPPA: formazione di NADH, CO2 e succinil-CoA

È la seconda decarbossilazione
ossidativa ed è catalizzata dal
α-chetoglutarato deidrogenasi che è
sempre una decarbossilasi/
deidrogenasi.
L’enzima porta via un altro atomo di
carbonio e si viene a formare un
composto a 4 atomi di carbonio che
viene ossidato tramite l’attacco al
coenzima A. Il potere riducente che si
ricava viene dato a un altro NAD.

Questa reazione prevede quindi tre


substrati: α-chetoglutarato, CoA in
forma libera e NAD+.
I prodotti sono NADH, CO2 e succinil-CoA, composto da 4 atomi di carbonio uniti al gruppo
tiolico del CoA.
La reazione è spostata a destra (ΔG’0= -33,5 kJ/mol)

Nota bene:
La prima e la quarta tappa sono molto simili tra loro, per questo con il Beri Beri viene
danneggiata sia l’azione della piruvato deidrogenasi sia l’azione del α-chetoglutarato
deidrogenasi: hanno una struttura simile, usano gli stessi coenzimi e sono entrambi
complessi multienzimatici; di conseguenza viene compromessa l’azione dell’intero ciclo.

Le successive 4 tappe (reazioni di rigenerazione) sono fondamentali per il recupero di 4


atomi di carbonio per riformare l’ossalacetato per il rilascio del CoA.

QUINTA TAPPA: formazione del succinato

Il succinil-CoA, come l’acetil-CoA, ha un’energia libera fortemente negativa per l’idrolisi del
suo legame tioestere (ΔG’°= -36 kJ/mole). In questa tappa del ciclo, quindi, l’energia
rilasciata dalla rottura del legame tioestere è usata per favorire la sintesi di un legame
fosfoanidridico sotto forma di GTP o ATP con un ΔG’° netto di soli 2,9 kJ/mole (quindi meno
spostata a destra, dato che gran parte dell’energia è convogliata nella produzione di GTP).

Il processo porta alla formazione di succinato (un acido bicarbossilico) ed è possibile grazie
all’enzima succinil-CoA sintetasi, che separa il succinil-CoA in succinato e CoA libero (in
questo modo può essere riutilizzato).
Inoltre, questo legame è ad alta energia, quindi l’energia che si libera dalla sua rottura può
essere sfruttata per la fosforilazione a livello del substrato di un GTP (esiste però un
isoenzima minore che genera direttamente ATP).

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Il GTP può essere utilizzato come tale o cedere la sua energia all’ATP grazie all’azione
dell’enzima nucleoside difosfato chinasi che viene fosforilato per trasportare il gruppo
fosfato: GTP + ADP GDP + ATP → ΔG’°=0, quindi è una reazione all’equilibrio, in cui né
si assorbe né si perde energia perché i nucleotidi trifosfato sono energeticamente
equivalenti. Questo è fondamentale per la regolazione delle concentrazioni dei nucleotidi al
variare delle necessità della cellula (per esempio per la contrazione muscolare serve
maggiormente ATP, per la sintesi proteica serve principalmente GTP, mentre altre vie
metaboliche richiedono CTP o UTP).

L’enzima succinil-CoA sintetasi ha nel


suo sito attivo un residuo di istidina: nel
momento in cui l’enzima entra nella
reazione, il coenzima A viene sganciato
ed il radicale succinico viene agganciato
a un fosfato inorganico. L’enzima in
questo modo ha legato un
succinil-fosfato.
L’istidina prende poi il fosfato e sgancia
il succinato in modo da formare un
fosfoenzima (intermedio ad alta energia)
con l’istidina fosforilata che cederà poi il
fosfato a una molecola di GDP.

SESTA TAPPA: formazione del Fumarato

Il succinato viene ossidato a fumarato in


configurazione trans. L’enzima la
succinato deidrogenasi, ed in quanto
deidrogenasi strappa potere riducente al
secondo e al terzo atomo di carbonio
del succinato.
Il succinato ha una formula molto
semplice: è un acido dicarbossilico a 4
atomi di carbonio.
Una molecola di coenzima FAD fa da
accettore di potere riducente diventando FADH2. Questo FADH2, dal momento che il ciclo
avviene nel matrigel, viene utilizzato per produrre ATP.

Questo enzima è il Complesso II della fosforilazione ossidativa.

Il ciclo di Krebs dunque è composto da sette enzimi che si trovano nella matrice
mitocondriale ma uno, che è appunto questo, è incastonato nella membrana mitocondriale
interna. Automaticamente il destino del FADH2 è obbligato, cioè la succinato deidrogenasi
sfrutta il succinato per produrre FAD ridotto e immediatamente ossida il FAD ridotto e scarica
potere riducente sul coenzima Q.

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È una reazione a ∆G’0 praticamente zero, quindi all’equilibrio. Gli enzimi precedenti avevano
una forte spinta termodinamica verso destra. Per cui questo gradiente termodinamico genera
molto succinato, il quale spinge la reazione verso il fumarato.

La succinato deidrogenasi è un esempio di inibizione competitiva. Il succinato è il


substrato naturale ed è molto simile a un’altra molecola: il malonato. Quest’ultimo è
anch’esso un acido dicarbossilico, ma ha un solo atomo di carbonio (CH2) invece di due. Il
malonato, grazie alla sua forma, può entrare senza problemi nel sito attivo dell’enzima, ma in
questo caso non si può strappare potere riducente dal suo unico carbonio e – fino a quando
il sito attivo è occupato da questa molecola – l’attività enzimatica è inibita. Se però si
aumenta la concentrazione di succinato, a sua volta il succinato compete col malonato, entra
nel sito attivo e la reazione riparte.

Una molecola che inibisce un'enzima, che è coinvolta sia nel ciclo di Krebs sia nella catena
di trasporto degli elettroni, è ovviamente nociva; il malonato infatti è un veleno. Se si
incamera quantità sufficienti da provocare inibizioni importanti della succinato deidrogenasi,
le conseguenze sono letali. Qui c’è anche la chiave di cosa può essere l’antidoto: quando un
enzima chiave del metabolismo viene inibito da una molecola, che ha una similitudine
strutturale col substrato, il modo più rapido per rimuovere l’inibizione è aumentare la
concentrazione del substrato naturale.

Della succinato deidrogenasi e della reazione che catalizza dunque bisogna ricordare che:
1. è una reazione reversibile, spostata verso destra dalla spinta termodinamica
precedente
2. è legata alla membrana interna mitocondriale
3. è il complesso II (l’unico dei complessi che non è una pompa protonica)
4. contiene tre centri Fe-S, un FAD legato covalentemente
[N.B. per la descrizione dettagliata fare riferimento alle lezioni di Biochimica I]
5. è un esempio di inibizione competitiva ad opera del malonato

SETTIMA TAPPA: formazione del Malato

La reazione successiva è catalizzata


dalla fumarasi.
Il fumarato ha un doppio legame tra il
secondo e il terzo carbonio in
configurazione trans. È catturato dalla
fumarasi, che come l’enzima precedente
è stereospecifico (cioè funziona solo
con il fumarato in configurazione trans).
La fumarasi, introducendo una molecola
d’acqua, aggredisce il doppio legame.
Dispone un OH su uno dei due carboni e
un H sull’altro dalla parte opposta.
La disposizione è asimmetrica: il carbonio
2 (quello con il gruppo OH) è chirale.

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