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STORIA E TEORIA SOCIOLOGICA

M.Paci “Lezioni di sociologia storica”

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Parole chiave:
- Micro/ macro: non esistono fenomeni macro in sé. Essi vanno ricondotti
sempre a fenomeni di tipo micro. (Individualismo metodologico).
- Coleman’s boat: schema ideato da Coleman che mette in evidenzia le relazioni
causali tra piani macro e piani micro.
- Tecniche di ricerca di tipo qualitativo: tecniche di ricerca che a discapito della
quantità di casi studiati approfondiscono lo studio dei pochi casi presi in
esame.
- Tecniche di ricerca di tipo quantitativo: tecniche che prendono in esame un
gran numero di casi a scapito però del loro studio approfondito. Si usano in
questo campo statistiche, questionari, analisi per variabili.
- Ontologia: visione del mondo sociale.
- Epistemologia: modi con i quali le scienze sociali studiano le società.
- Realismo: convinzione che esista una realtà indipendente dai nostri schemi
mentali, dalle nostre credenze, dalle nostre proprietà linguistiche ecc…
- Storia: la sociologia storica vuole trovare il modo di studiare gli individui nel
corso della storia.

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Definizione di sociologia storica:

1) Rilevanza macrosociale dell’oggetto di studio. I fenomeni studiati devono


risultare interessanti per una gran parte della popolazione.
2) Orientamento alla causalità degli eventi. Gli eventi illustrati nello studio dei
casi devono avere relazioni causali tra loro.
3) Concezione ontologica del mondo sociale come realtà significante e culturale.
4) Metodo storico comparato per piccolo N. Ossia comparazione di un piccolo
numero di casi fra loro.
5) Non si possono studiare gli autori se non si tiene di conto della loro ontologia
( visione del mondo) e delle loro premesse sul mondo sociale.

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Durkheim
Durkheim rappresenta l’opposto della sociologia storica. I suoi studi, di impronta
positivista, servono per capire in realtà che cosala sociologia storica NON sia.
Prende appunto i fatti sociali come “cose”, che possono secondo lui essere spiegati
secondo leggi simili a quelle usate per la fisica e la chimica. Inoltre non pone
assolutamente l’accento sul ruolo degli individui nei fatti sociali, in quanto questi
ultimi sono considerati dallo studioso esterni e coercitivi. L’uomo quindi, alla sua
nascita, troverebbe il mondo sociale già costituito, e ne subirebbe l’influenza, senza
la possibilità di agire in proposito.
Nella sua opera “Il suicidio”, inoltre, Durkheim parla di una forza collettiva presente
in ogni popolo che porta l’individuo all’autodistruzione, presentando quindi il
problema del suicidio come qualcosa di prettamente sociale.
Nella visione di Durkheim, insomma, non è necessario scendere nel piano micro per
spiegare fenomeni di tipo macrosociale. I fenomeni macro si spiegano soltanto
ricorrendo a fenomeni macro antecedenti, e l‘universo microsociale può essere
esplorato solo ex post, come conoscenze accessoria.
Oggi comunque, neanche le scienze naturali sono considerate più del tutto
causaliste.
Questo studioso giunge ad una spiegazione dei fenomeni in 2 differenti modi:
1) Muove dall’alto: espone una sua teoria, che risulta essere la più convincente e
la più adatta rispetto alle altre (che scarta) e la utilizza per spiegare i
fenomeni, giungendo anche a generalizzazioni o addirittura a vere e proprie
leggi.
2) Muove dal basso: spiegazione degli esiti osservati soltanto dopo aver stabilito
un contatto con i processi storici/empirici.
L’interesse per Durkheim per la storia è scarso o addirittura nullo. La sua analisi è
quindi a-storica. Utilizza inoltre spiegazioni deterministiche, e lo studio tramite
l’analisi per variabili. Non a caso i suoi studi sulla mobilità sociale sono stati
definiti incompleti proprio perché non tenevano conto della processualità degli
eventi e delle motivazioni micro che influenzano i fenomeni macro.

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Marx
Gli studi di Durkheim influenzano in mondo di Marx, anche se quest’ultimo inizia a
muovere la sua analisi verso una via sempre più storicizzata.
Non a caso Marx inizia a tenere di conto della processualità della storia e riesce a
perdere leggermente il suo determinismo economico quando tenta di spiegare le
fasi di transizione delle società, caratterizzate da lotte sociali (ecco quindi spuntare
l’azione individuale). Inizia, con la sua analisi, inoltre, ad attribuire un ruolo
importante ai fattori culturali e sociali, anche se ancora non viene affrontata
un’indagine microsociologica vera e propria.
Nella sua ontologia, gli uomini fanno la storia, ma nei limiti imposti dalle
sovrastrutture.
Marx vede la società come formata essenzialmente tra lotte sociali fra i dominati e i
dominanti e sottoposta perciò a un continuo flusso di cambiamenti.
Sottolinea inoltre la bilateralità della storia, come prodotto dell’zione individuale e
possente vincolo da parte della struttura economica.
Il suo approccio può essere definito “realismo ontologico”. Anche gli eventi che
sembrano più irrazionali hanno in realtà una loro logica
Dal punto di vista del suo approccio alla sociologia, inoltre, è necessario mettere in
luce i suoi studi di caso e la sua “astrazione determinata”, che significa parlare di un
qualcosa contestualizzandolo, determinando le sue origini. Bisognerebbe inoltre
parlare di qualcosa a partire dal suo stadio più avanzato di sviluppo storico. Solo così
si potrà giungere a generalizzazioni valide.
In ogni caso Marx non può essere considerato un sociologo storico vero e proprio
perché non rinuncia al suo finalismo storico (la storia quindi è un disegno già scritto),
non approfondisce la posizione micro e individuale, ma si sofferma sulle motivazioni
culturali (18 Brumaio= ascesa di Napoleone III, paura del comunismo).

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Gramsci
Gramsci è considerato un esponente del marxismo occidentale, in questo caso
italiano.
Compie un passo in avanti rispetto a Marx per quanto riguarda l’arrivo a una
sociologia storica vera e propria, per la quale bisognerà attendere l’arrivo di Weber.
Si rende infatti conto che, al contrario di quello che diceva Marx, non sono solo le
condizioni economiche e materiali a muovere la storia, ma anche le coscienze
individuali hanno un ruolo importante dei cambiamenti di essa. La coscienza infatti
che gli uomini hanno delle loro condizioni, e delle loro possibilità di lotta e riscatto,
serve secondo Gramsci a portare dei cambiamenti nella storia. Emerge qui il ruolo
che Gramsci affida agli intellettuali, che devono infatti servire a guidare in modo
consapevole le coscienze della popolazione e della classe operaia, consentendogli di
raggiungere l’egemonia.
Emergono con Gramsci due concetti fondamentali:
1) L’egemonia, ossia il dominio non fondato sulla forza fisica ma su la
concentrazione di apparati culturali e intellettuali, che formano idee precise
con cui guidare le masse.
2) Il conformismo, come modo di pensare e operare. La società è composta
quindi da una serie di conformismi, che entrano spesso in conflitto fra loro,
dando vita a quella che Gramsci chiama “la battaglia delle idee”, il cui
conformismo vincitore sarà quello che raggiungerà l’egemonia. Spesso i
conformismi che si impongono sugli altri rispondono a determinate esigenze
storiche del periodo in cui ciò accade.
Nell’opera di Gramsci “I quaderni dal carcere” egli analizza il caso italiano e si
chiede perché l’Italia abbia avuto un’unificazione così in ritardo rispetto alle altre
nazioni. Si sofferma proprio sul proprio Paese perché, come afferma Weber, il
sociologo deve discutere su una società specifica.
L’autore procede quindi ad uno studio di caso tramite il metodo storico
comparato e l’analisi delle “possibilità oggettive” (esperimento controfattuale),
chiedendosi se, nell’Italia del 1200, gli Svevi si fossero comportati diversamente,
le cose sarebbero andate comunque in questo modo. Ovviamente, in mancanza
di prove, quelle di Gramsci rimangono solo ipotesi.
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Gramsci afferma anche che nel Risorgimento italiano, rispetto alla Francia, ad
esempio, c’è stata una “rivoluzione passiva”, che ha portato benefici solo alla
parte della popolazione che in realtà li possedeva già (metodo storico
comparato). Questo è dovuto, secondo l’autore, ad un’incapacità delle forze
politiche di sinistra di attirare a sé un’ampia parte della popolazione. E’ mancata,
quindi, una leadership borghese in grado di mobilitare a suo favore il
malcontento popolare.
Gramsci, quindi, pone molto l’attenzione sui fattori ideologici e culturali.

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Weber
Weber è il primo sociologo che si possa definire propriamente storico. E’ il primo,
infatti, che pone davvero l’accento sulle azioni individuali ( agire sociale dotato di
senso e contestualizzato nel periodo in cui si svolge) e sul piano micro delle relazioni
causali dei fenomeni. Durkheim si serviva del piano micro solo come una cosa
accessoria, non necessaria per la spiegazione causale dei fenomeni. Weber invece
afferma che non è sufficiente conoscere i fenomeni macro in quanto tali, ma è
necessario scendere sul piano micro per conoscere le motivazioni che spingono gli
individui ad agire in un certo modo e per comprendere il significato che essi danno
alle loro azioni. Sono gli individui, secondo Weber, che danno senso alla storia a
seconda del loro punto di vista. La conoscenza della società, quindi, è inesauribile.
Weber vuole offrire una base oggettiva all’analisi dei mondi soggettivi. Nella sua
ontologia, la storia è un flusso continuo di eventi in cui tutto può accadere, visto che
sono gli uomini stessi che indirizzano le loro azioni e non le sovrastrutture, come
presumeva Marx. Il suo oggetto di studio, non sono più i fatti sociali, ma l’agire
sociale.
Nella Germania del tempo si aprì un gran dibattito sul metodo da utilizzare nelle
scienze storico sociali (Dilthey crea una distinzione tra scienze della natura e scienze
dello spirito, ad esempio).
Weber sposta l’attenzione dall’oggetto studiato al metodo utilizzato. Secondo lo
studioso, sono possibili generalizzazioni empiriche che permettono di individuare le
cause e le condizioni di un dato fenomeno. Lo studio della società inizia ad essere
complesso, perché lo studioso suo malgrado vive dentro ad essa e non ha
l’esteriorità necessaria per poterla studiare in maniera obiettiva. Lo scienziato,
secondo egli, deve scegliere innanzitutto l’oggetto di studio ed esplicitare il proprio
punto di vista valoriale, cercando però di essere a-valutativo. Lo studio deve poi
procedere utilizzando un metodo di ricerca che sia replicabile da altri scienziati,
verificato e controllato. Per questo Weber ricorre all’uso degli idealtipi (accettazione
unilaterale di una o più parti della realtà indagata).
Gli idealtipi weberiani si ottengono tramite l’accentuazione unilaterale di uno o più
punti di vista e mediante la connessione di fenomeni particolari diffusi e discreti
corrispondenti a quei punti di vista in un quadro concettuale in sé unitario. Gli

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idealtipi servono da confronto per gli oggetti studiati per misurare quanto essi vi si
scostino. Sono simili all’ “astrazione determinata” di Marx.
Alcuni idealtipi weberiani sono:
1) L’azione umana (tradizionale, emotiva, razionale orientata al valore e
razionale rispetto allo scopo)
2) L’economia (domestica, acquisitiva)
3) La società (occidentale, orientale)
Gli idealtipi, oltre che servire per misurare gli scostamenti dell’oggetto studiato da
essi, si possono usare solo dopo un contatto del ricercatore con il dato storico
empirico e servono ad aderire alla realtà senza ingabbiarla in schemi troppo generali
e teorici.
Weber pone l’attenzione sugli individui e sulle loro azioni. Per comprendere l’agire
sociale, infatti, è necessario comprendere le motivazioni che spingono gli attori
sociali ad agire in un certo modo. A questo serve il ricorso all’empatia (Versthen), il
metodo principe dello studio weberiano. In questo modo, non si può mai giungere
alla verità ma sono possibili approssimazioni.
L’ontologia di Weber è detta “individualismo metodologico”, anche se comunque
egli non trascura l’influenza del piano macrosociale.
Il metodo weberiano consiste nel:
1) Scelta dell’oggetto di studio (che deve essere di interesse generale)
2) Scelta del tipo ideale
3) Misurare gli scostamenti dell’oggetto studiato da esso
4) Evitare l’esperimento psicologico
5) Ricorso rarefatto al metodo statistico
6) Ricorso sovente al metodo storico comparato
7) Prendere in considerazione le “possibilità oggettive della storia”
8) Generalizzazioni
Uno degli studi più importanti di Weber riguarda l’emigrazione dei lavoratori agricoli
tedeschi.
Questo studio fu realizzato tramite la somministrazione di questionari, rapporti
particolareggiati e generali, conoscenze storiche preesistenti, osservazione
partecipante e storie di vita.
I contadini, con l’avvento dell’industrializzazione del lavoro agricolo, lasciarono
infatti la loro posizione di semi servilità (senza libertà, ma con vitto e alloggio
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assicurati ), per lanciarsi nel mercato autonomo delle grandi città ( libertà totale, ma
rischio di non guadagnare abbastanza per poter vivere ).
In questo caso Weber si sofferma dapprima sulla spiegazione causale di tipo macro,
che non sembra però essere sufficiente a spiegare le ragioni per cui i contadini
riuscirono ad emigrare. Lo studioso si sposta allora sul piano micro indagando le
motivazioni ideologiche e psicologiche che spinsero i lavoratori a compiere questo
gesto e si rende conto che le motivazioni individuali psico-sociologiche furono la
causa scatenante dell’emigrazione. Il desiderio di libertà, infatti, era più grande di
quello di benessere economico e materiale. C’è così una spinta motivazionale molto
importante.
Dovendo spiegare queste relazioni causali con la Coleman’s boat, vediamo sul piano
macro la relazione causale tra sviluppo dell’agricoltura intensiva e emigrazione di
massa; collegando la prima al piano micro della crisi della dipendenza servile,
relazionandola causalmente col desiderio di emigrare, tornando poi alla seconda
variabile nel piano macro.
Un’altra famosa opera dell’autore è quella sull’etica protestante e lo spirito del
capitalismo. In questo tipo di opera Weber ricorre alla comparazione di molti casi
nazionali per vedere quali sono i fattori che hanno portato allo sviluppo del
capitalismo, ponendo particolare attenzione a quelli ideologici, culturali e religiosi.
Scopre infatti che l’etica protestante ha valori molto simili a quelli del capitalismo.
Nell’etica protestante e calvinista, infatti, si prevede la natura come possibilmente
modificabile dall’uomo, si ha una grande razionalità, si eliminano tutti gli aspetti
magici e esoterici della religione e non si ha la sicurezza della salvezza eterna. Per
poterla raggiungere, infatti, chi crede in questa religione cerca finché è in vita di
essere più produttivo possibile, concependo i frutti del proprio lavoro come un
segno di Dio (ascesi intra mondana).
In questo modo, comprando appunto diversi casi nazionali, Weber giunge alla
conclusione che laddove ci siano già i fattori di tipo istituzionale e strutturale
presenti, la “scintilla” allo sviluppo del capitalismo la da’ la presenza di religione di
tipo protestante o calvinista.

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Elias
Elias è definito l’ultimo sociologo classico.
Compie i suoi studi in solitudine perché, nella sua condizione di ebreo tedesco, viene
isolato e costretto all’esilio. Per cercare di scappare dal dolore che gli procura la
propria nazione, si rifugia nello studio delle “buone maniere” francesi e sul motivo
della nascita del nazismo.
Propone inoltre una soluzione ai dilemmi classici che opponevano individuo/società,
piano macro/piano micro e concettualizzazione astratta/dimensione storico
empirica.
Secondo questo studioso, infatti, non esistono individui che da soli affrontino la
società, né la società potrebbe esistere se non fosse formata dalle azioni e dalle
relazioni individuali (concezione ontologica “relazionale”)
Vede la realtà sociale come processuale e dinamica. Nell’opera sulla nascita delle
buone maniere in Francia, infatti, coglie la società in una fase di transizione.
Comprende infatti che la violenza individuale viene assorbita man mano nella storia
dallo Stato che diventerà poi il monopolista assoluto della violenza e della forza
fisica.
Tutto ciò avviene per gradi e in maniera impercettibile.
Riguardo allo studio sulla produzione del nazismo da parte della Germania, invece,
egli trae la conclusione che il ritardo dell’unificazione tedesca e la presenza di
numerose lotte interne ed esterne, associati ad un forte potere dell’aristocrazia
guerriera (che diffonde e tramanda quindi i propri valori di violenza) e alla vittoria
della guerra franco-tedesca hanno contribuito a portare alla luce questo regime.
Un suo terzo studio, sempre dal taglio storico, riguarda la figura di Mozart, che viene
posto a confronto con i valori e la società del suo tempo, traendone la conclusione
che forse la sua intuitività non venne compresa proprio perché la sua società non
era ancora in grado di accettare una mente così progressista. Nasce quindi il
collegamento tra società e individuò, tra sociogenesi e psicogenesi.
I processi storici sono regolati dalla legalità, ossia dai criteri che regolano, nel lungo
periodo, l’evoluzione storica.

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Nella storia gli uomini non sono né del tutto liberi né del tutto condizionati dalla
società.

La rete di interdipendenze formata dagli individui nella società viene forma le


“configurazioni, simili ai campi bourdesiani.
Elias introduce inoltre il concetto di “habitus”, formato da tutte quelle tradizioni,
abitudini culturali, pensieri e credenze proprie della società ma interiorizzate
inconsciamente dagli individui.
Gli aspetti del metodo eliasiano su cui è necessario soffermarci sono:
1) Configurazioni descritte per esempi
2) Scrittura a spirale
3) Poca considerazione di statistiche e studi quantitativi
4) Preferenze per approcci di tipo antropologico ed etnografico
5) Introduzione dei “tipi reali”

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Sociologia americana prima degli esuli tedeschi:
In America la sociologia del tempo era ispirata sostanzialmente al paradigma
struttural-funzionalista di Parsons, di impronta positivista, e che prevedeva una
visione della società come un insieme di strutture che collaboravano tra loro in
maniera funzionalistica (un po’ come succede in biologia), con impronta anche neo-
evoluzionista.
Oltre a Parsons, credeva in questa visione della società anche Smelser, che con lo
studioso precedentemente menzionato aveva collaborato a lungo.
Smelser propone, dopo la collaborazione con Parsons, un modello che spiega il
funzionamento di ogni società:
1) Insoddisfazione verso il sistema
2) Risposte di ansia, aggressività e fantasia
3) Fenomeni di disturbo da porre sotto controllo e orientamento delle energie
verso soluzioni più specifiche
4) Vengono incoraggiate nuove linee di azione futura
5) Queste linee vengono specificate
6) Vengono poi messe alla prova
7) Se funzionano, si consolidano creando un cambiamento in seno alla società.
Questo modello era però da accettare a priori e del tutto arbitrario, col rischio che i
sociologi che lo utilizzavano potessero studiare solo le società che si accordano con
esso.
Con questo modello, inoltre, non si tiene di alcun conto il fatto che la storia e la
società possano andare in maniera diversa, si perde il ruolo degli attori, e quello
delle “possibilità oggettive”.

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Moore, Roth e Bendix
Furono i primi studiosi a introdurre in America la sociologia storica, e cercarono di
superare il paradigma struttural-funzionalista che vigeva in quegli anni.

Roth:
Fu uno stretto collaboratore di Bendix, entrambi infatti volevano introdurre in
America il pensiero di Max Weber. Fanno parte dei cosiddetti esuli tedeschi, i
sociologi che a causa del nazismo furono costretti ad emigrare in America per poter
continuare i loro studi.
L’opera più famosa di Roth si occupa di comprendere il ruolo della socialdemocrazia
tedesca nel periodo tra il crollo dell’Impero tedesco e la nascita della Repubblica di
Weimar.
Si avvia quindi all’analisi di un caso particolare in maniera oggettiva, per
comprenderne i meccanismi. La sua ontologia non è scuramente determinista,
anche perché vede le vie della storia come complesse ed imprevedibili.
Come Weber, utilizza anch’egli dei tipi ideali:
1) L’integrazione negativa
2) L’integrazione ugualitaria
3) L’integrazione autoritaria
Giunge alla conclusione che la socialdemocrazia tedesca è sempre stata vista come
una subcultura, perciò non è mai riuscita a prendere in mano il potere della nazione,
almeno per un lasso di tempo efficace per poter cambiare la storia.
Fu infatti a causa dell’inefficienza della socialdemocrazia che durante gli anni della
Prima Guerra Mondiale questa non riuscì ad influenzare le masse con i propri ideali
e lasciò che il governo cadesse in mano nuovamente ad un regime di tipo militare.
Nella crisi del ’29, poi, il popolo tedesco perse completamente la fiducia nella
socialdemocrazia, favorendo l’insediamento di Hitler.
Si può inoltre dedurre del metodo di Roth:
1) IL ruolo importante del contesto storico
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2) Scelte degli attori significative e dotate di senso
3) Rapporto macro/micro
4) Possibilità oggettive
5) Confronto con altri casi.

Bendix:
Supera la divisione tra storia e sociologia (come gli altri due autori) e insiste
sull’importanza del metodo storico comparato per piccolo N. Bendix in particolare fa
di Weber il suo esempio a tal punto da essere soprannominato anch’egli “Il piccolo
Weber”.
Alcune sue somiglianze con Weber sono:
1) Scelta dell’oggetto di studio di grande rilievo sociale
2) Ruolo importante del popolo
3) Privilegia i fattori culturali rispetto ad altri di tipo strutturale
4) Assenza di una teoria precostituita
5) Premessa di valore implicita, tecnica a-valutativa (anche se facilmente
deducibile il suo punto di vista)
6) Uso degli idealtipi (che si trovano a metà tra ciò che è valido per tutte le
società e ciò che lo è per una sola di esse).
Si differenzia da Roth inoltre, per il fatto che, al contrario di quest’ultimo, Bendix
ricorre sistematicamente a prendere in esame molti casi per compararli fra loro.
Secondo Bendix, inoltre, la comparazione non è un punto di arrivo dello studio ma
un punto di partenza, un effetto dimostrativo della sua teoria a proposito di un
Paese.
In “Lavoro e autorità dell’industria” Bendix studia diversi Paesi che si avviano alla
modernizzazione e all’industrializzazione per contrastare, appunto, la precedente
teoria sulla modernizzazione che vedeva le storie dei Pesi in maniera un po’
evoluzionistica. Egli esegue una giustapposizione di casi, per vedere se in altri Paesi
si è verificato lo stesso evento che in quello da lui selezionato (modello anglo
americano) come modello di studio, e se sì, a causa di quali fattori esplicativi.
Non può, secondo lui, essere indicato un finalismo storico comune a tutti i Paesi che
iniziano la loro storia nello stesso modo perché, essa, non è invariabile. A seconda
dell’esito osservato, lo studioso, farà luce sul ruolo del popolo. Assicura quindi un
fondamento micro all’analisi di fenomeni macro.

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Il caso delle Tigri Asiatiche, che si sviluppano in maniera apparentemente diversa
dagli altri Stati, mette in discussione nuovamente la teoria della modernizzazione e
si deduce che questa è data non da un evoluzionismo storico ma da:
1) Ruolo dello Stato efficiente e ben burocraticizzato
2) Ruolo del capitale sociale che ha un peso positivo sullo sviluppo dei Paesi.
Un’altra opera importante di Bendix è “Re o popolo”, dove egli studia il processo di
legittimazione del potere da “in nome di Dio” a “In nome del popolo”.
I fattori importanti che portano a questo cambiamento di legittimazione del potere,
secondo lo studioso, sono:
1) Ruolo degli intellettuali
2) Eredità culturali
3) Contesti politici nazionali
4) Ispirazione a Paesi già precedentemente sviluppati in questo senso (effetto
dimostrativo).
Rimane scettico invece su fattori di tipo materiale.

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Moore:
Moore compie una sintesi tra le ontologie di Marx e Weber:
1) Ruolo decisivo delle ideologie nel processo di modernizzazione
2) Importanza degli aspetti strutturali della società, degli interessi materiali e dei
conflitti che su queste basi si determinano
3) Motivazioni e scelte degli attori sociali importanti ma influenzate dai fattori
strutturali presenti nel contesto in cui si muovono.
Tutto ciò si può notare in uno degli studi di B. Moore: “Le origini sociali”, incentrato
sull’allargamento della partecipazione politica anche alle grandi masse della
popolazione. In questo studio Moore si sofferma sul ruolo decisivo delle scelte degli
uomini, che però alle volte vengono vanificate da fattori di tipo materiale e
strutturale o dall’imprevisto svolgersi degli eventi.
Le conseguenze dell’azione umana, quindi, possono avere effetti diversi da quelli
inizialmente previsti.
Moore diffida inoltre dalle elaborazioni astratte e formali della sociologia
contemporanea, astorica e acritica, ma anzi, dà giudizi di valore espliciti e fa uno
scarso appello alla teoria.
Un altro suo importante studio consiste nella comparazione di 6 Paesi per capire
quali caratteristiche del passato di ognuno di essi li hanno portati a sviluppare “le 3
vie”, della democrazia, del comunismo e del fascismo.
La via democratica risulta quindi caratterizzata da una rivoluzione di tipo borghese,
quella comunista da un forte senso comunitario e stretti legami sociali, quella
fascista da una forte aristocrazia militare che riesce ad imporsi.
Il metodo usato in questo caso è quello storico comparato, con analisi delle
“possibilità oggettive”, dell’effetto dimostrativo.

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Gli studi sul welfare state
Inizialmente gli studi sul welfare state vennero fatti secondo convergenza evolutiva,
anche se, dopo gli studi di Bendix, Roth, Moore e Skocpol presero un taglio più
storico e diversificato.
I primi studi (Timtuss, Smith e Marshall) furono giudicati privi di sensibilità
comparativa ed erano caratterizzati da un approccio idiografico e narrativo. Gli studi
di Timtuss, in particolare però, furono importanti perché misero alla luce
l’importanza del “terzo settore” (solidarietà, volontariato…) come fattore
importante per la nascita dei sistemi di welfare. Afferma inoltre che, senza una
forma così solida di solidarietà sociale, l’Inghilterra non avrebbe potuto resistere agli
orrori della Secondo Guerra Mondiale.
Questo concetto verrà ripreso poi dai Woman’s studies negli anni ’90.
Successivamente si ebbe una sorta di evoluzione in questo campo di studi, con un
nuovo filone di ricerca caratterizzato da:
1) Analisi per variabili
2) Grande numero di casi
3) Generalizzazioni di vasta portata
4) Regressione standard
5) Associazioni statistiche evidenti
Ci riferiamo in questo caso ai lavori di Flora, Wilensky e Stephens, i quali mettono in
rilievo le cause dell’introduzione del welfare state in diversi Paesi, sottolineando il
ruolo dei movimenti operai, della burocrazia statale e della crescita economica.
Questi studi si dimostrano però deludenti, perché, non essendo stati effettuati su un
piccolo numero di casi, lasciano spazio a troppe variabili e ad un enorme quantità di
dati esplicativi. Si inizia a pensare che l’approccio statistico sia inadeguato in questa
circostanza.

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Studi sui regimi di welfare nazionale
Visto il fallimento degli studi precedenti, era necessario trovare un metodo giusto
che permesse di svolgere un’analisi approfondita dei vari sistemi di welfare.
Iniziarono perciò dei nuovi studi riguardanti il welfare nazionale, caratterizzati da:
1) Scelta di un approccio storico comparato con piccolo N
2) Fattori causali determinanti diventano il ruolo della burocrazia statale e dello
Stato
3) Più preciso scrutinio delle ipotesi sul ruolo dei diversi attori politici
4) Oltre all’analisi storica sono presenti anche dati statistici, come sostegno allo
studio
5) Teoria della path dependence (influenza nel presente di eventi storici accaduti
in un lontano passato)
6) Scelta degli eventi significativi da prendere in considerazione per la path
dependence
Un esempio di questi nuovi studi sono quelli di Flora, Orloff e Skocpol e Ferrera.
Flora divide i sistemi di welfare in anglo scandinavo e continentale, a seconda di
quanto lo Stato vi entri nel merito.
Orloff e Skocpol vedono il ritardo degli Usa nella costituzione di un welfare state
come conseguenza dell’assenza di un’amministrazione centrale efficiente.
Ferrera da la colpa al mancato conseguimento di un sistema di welfare
all’inefficienza dello Stato e all’assenza di una burocrazia centrale
professionalizzata.

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I vantaggi del metodo storico comparato per piccolo
N
1) Orientamento all’analisi causale di processi che si svolgono nel tempo
2) Il ricorso alla comparazione sistematica, contestualizzata e ricorsiva e
limitata ad un piccolo numero di casi
3) Ricorso alla tecnica narrativa e alla ricostruzione del ruolo degli eventi e
delle sequenze di eventi nel quadro delle vicende storiche prese in esame
4) Differente dall’analisi statistica per variabili
5) Nell’analisi storica comparata la realtà è come in un film, nel caso
precedente come in una fotografia
6) Visione della realtà come dinamica e pocessuale
Anche lo studio di un singolo caso può generare una comparazione, in questo caso
implicita, con altri casi (lo studioso che si accinge a fare un lavoro del genere deve
possedere già le conoscenze necessarie per effettuare questo tipo di comparazione).

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Pierre Bourdieu
Nasce in un umile famiglia della profonda provincia francese e i suoi studi sono
sempre orientati verso oggetti umili, combinando diversi metodi di studio
(politeismo metodologico).
In Bourdieu confluiscono le idee di molti pensatori, dando vita alla sua ontologia
denominata “strutturalismo costruttivista”.
E’ contrario alle suddivisioni disciplinari classiche e afferma che la sociologia e la
storia, ad esempio debbano per forza andare di pari passo, perché sono l’una il
completamento dell’altra. Vuole fondare una scienza delle pratiche umane, con
grande attenzione anche verso il corpo, spesso non considerato dai sociologi
precedenti.
Durante la sua militanza in Algeria ha una conversione, da filosofo diventa un
sociologo, perché il contatto con quel luogo lo rende più abile di comprendere la
realtà sociale moderna.
Bourdieu dà una doppia lettura del mondo sociale: oggettività del primo ordine
(costituita dalle strutture oggettive della società, come quelle materiali, economiche
ecc) e soggettiva del secondo ordine (con le strutture mentali, i modi di pensare
ecc…). La realtà sociale quindi guida gli agenti nelle loro azioni, che sono tuttavia ciò
che costituisce la realtà sociale. Come afferma Elias, anche secondo Bourdieu non si
può distinguere la società dall’individuo, perché funzionano insieme allo stesso
tempo.
I temi che lo studioso analizza sono la genesi dello Stato e del dominio, il modo con
cui la società tende a perpetuare un sistema che prevede delle forti asimmetrie tra
dominanti e dominati. Elabora perciò la teoria del dominio, per capire come il
dominio si esercita pacificamente nelle nostre società ma pur sempre svantaggiando
i dominati.
Per spiegare le sue teorie Bourdieu si affida a 3 concetti principali:

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1) Habitus: meccanismo che guida il comportamento individuale, struttura
profonda prodotta dall’interiorizzazione delle strutture sociali esterne.
Prodotto dalla storia, l’habitus produce a sua volta la storia. E’ allo stesso
tempo una struttura strutturante e strutturata. E’ il cosiddetto istinto sociale.
2) Campo: il concetto di campo consente a Bourdieu di pensare l’oggettività di
quel mondo sociale che gli individui interiorizzano. Il campo è una rete di
relazioni oggettive tra posizioni. Ogni posizione è oggettivamente definita in
base alla sua relazione oggettiva con altre posizioni. Il campo rappresenta
un’organizzazione della società, ed esiste solo fin quando nel suo interno vi
saranno le forze adeguate a farlo funzionare. I campi sono spazi dove si
svolgono continue lotte tra gli attori sociali per arrivare a possedere una fetta
sempre più alta di capitale che consente di accedere a posizioni più alte.
L’illusio ci fa credere di poterci muovere liberamente nei campi per poter
cambiare le cose, ma in realtà abbiamo già avuto un’accettazione del campo
tale per cui le nostre azioni darebbero modo al campo solo di riprodursi (gioco
del Monopoli).
3) Capitale: insieme di risorse che acquisisco o posseggo. Le forme di meta
capitale sono quelle di capitale simbolico e statuale; le forme di capitale
propriamente detto sono quelle di capitale economico, culturale e sociale.
Ciascuno di noi possiede una parte di almeno un tipo di capitale ed ogni
capitale rappresenta a posta in gioco nelle lotte sociali. Quello simbolico, è la
posta in gioco di tutte le lotte, perché il suo possesso determina l’accesso a
posizioni di potere. Le lotte per i diversi tipi di capitali si svolgono
quotidianamente ma noi non ce ne accorgiamo perché si svolgono sotto
forma di violenza simbolica e non fisica, altrimenti sarebbero troppo fragili.
Bourdieu pensa che i pensatori classici vadano portati a nuova vita, per renderli
più attuali. Così facendo aggiunge al concetto di violenza fisica di Weber quello di
violenza simbolica, che precede l’altra. La violenza simbolica non si fonda sulla
coercizione e sulla forza ma sulle strutture cognitive, come l’istruzione, la scuola
pubblica, le regole ufficiali ecc.… gli individui spesso non colgono questo tipo di
violenza perché spesso lo Stato tende a far passare per ovvie e naturali leggi in
realtà artificiali. Inoltre sia i dominati vivono secondo gli stessi habitus imposti dai
dominanti, assoggettandosi così un’altra volta a loro. La violenza simbolica è
quella forma di violenza che costringe i dominanti a farsi dominare col loro stesso
consenso.

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Per lacerare il velo della violenza simbolica è necessario l’intervento
dell’intellettuale impegnato, che con la sua riflessività riesce a distruggere i falsi
miti che rivestono l’esercizio del potere e che perpetuano il dominio.
Secondo Bourdieu la sociologia è una scienza per forza politica e non potrebbe
essere altrimenti. Il mondo sociale inoltre è popolato da strutture ontiche
culturali che si consolidano nel tempo e rappresentano nel presente il vissuto
storico del passato.
I problemi dapprima privati (tossicodipendenza, suicidio ecc.…) diventano così
oggetti di studio di tipo pubblico.
Bourdieu sviluppa una “nuova teoria dell’azione”, che scende al piano micro
osservandone e capendone i meccanismi che servano a spiegare il piano macro. Il
compito della sociologia è infatti quello di scoprire i modi con cui la società si
perpetua in questa forma di asimmetria tra dominati e dominanti.
Visto che le sue opere denunciano spesso il potere legittimo dello Stato e
l’accademismo, ed essendo anch’egli un professore, per uscire dalle critiche che
gli davano del “venduto”:
1) Trasforma la sua carriera in qualcosa di cui scrivere e parlare (oggettivazione
del soggetto oggettivante)
2) Si sforza di parlare dello Stato parlando di sé stesso che parla dello Stato
3) Partecipazione politica.
Tutto in Bourdieu è legato alla storia. L’autonomia di un campo è sempre
storicamente in pericolo. Si possono infatti creare collisioni fra più campi facendo sì
che i problemi di uno solo di essi diventino problemi di tutti (maggio ’68 francese).
Bourdieu si schiera contro ogni tipo di dualismo, che serve secondo lui solo ai
professori per aprire inutili dibattiti. Bisogna perciò concepire il mondo come
qualcosa di puramente relazionale, dove tutto funziona se messo in relazione col
resto.
Una delle cose che riesce ad unire il mondo sociale, composto da lotte continue, è
l’opinione pubblica, che fa apparire come naturale ciò che non lo è.
Lo Stato, oltre ad essere monopolista della violenza simbolica, è anche posto al
vertice di tutti i campi e possiede il monopolio dell’universale. Per essere riuscito ad
arrivare a ciò, lo Stato si è servito di una molteplicità di atti di stato che nessuno si è
preso la briga di giudicare o contestare. Perciò c’è stata un’accettazione comune.
Il metodo di Bourdieu si può riassumere in:
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1) Combinazione di varie tecniche di studio
2) Non costrittivo
3) Non si pone il problema della verifica dei risultati né della replicazione dello
studio da parte di terzi
4) Tutti i metodi sono buoni purché funzionali alla teoria
5) I dati vanno costruiti
La boxe è lo sport dove più si vedono i concetti di habitus e della sua
interiorizzazione d parte del corpo. La teoria della pratica in tal modo si trasforma in
pratica completa.

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Abrams e Abbott
Anche secondo questi studiosi non ci sono differenze tra la storia e la sociologia.
Secondo loro infatti l’importante è decidere l’obiettivo dello studio, non la disciplina
su cui verte. La storia e la società sono prodotte dall’azione umana, che è prodotta a
sua volta dalla storia e dalle società.
La sociologia deve essere in grado di spiegare gli eventi importanti della storia, quelli
che hanno fatto sì che la storia procedesse in un verso piuttosto che in un altro. Va
perciò eseguita una selezione tra i dettagli importanti della storia e quelli superflui,
in modo da schiarire completamente il quadro dello studioso.
Secondo questi studiosi, la narrazione temporale è indispensabile nello studio
causale, ma deve essere ben sostenuta da un modello teorico e analitico di
riferimento per far capire al lettore entro quale quadro lo studioso si muove ed
agisce.
Abbott vede la realtà sociale con la sua natura processuale, che ha quindi strutture
sociali mutevoli, e rende molta importanza alle interazioni sociali, vedendo così una
realtà sociale interattiva. E’ ritenuto un positivista narrativo perché, secondo la sua
ontologia, la narrativa è utile solo se riesce a spiegare i fenomeni accaduti e a
misurarli. Dà comunque una valutazione positiva al metodo storico comparato.

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Griffin e la nuova sociologia storica
Griffin è il primo esponente di quello che viene chiamato il filone della “nuova
sociologia storica”.
Il metodo principe che il sociologo deve utilizzare secondo lui è la narrazione, così da
spiegare al meglio quei fenomeni che si accordano con la teoria di path dependence.
Il suo metodo inoltre prevede l’analisi delle strutture degli eventi:
1) Ricostruzione delle sequenze di azioni e la collocazione di ciascuna azione in
tali sequenze
2) Ricorso all’opinione di testimoni privilegiati circa i legami causali tra azioni
3) Definizione di relazioni causali entro il contesto narrativo
Effettua quindi una rottura con i sociologi storici precedenti dando vita al filone della
“nuova sociologia storica”.

Di questo filone sono esponenti anche Orloff, Adams e Clemens, che cercano di
portare a oggetto di studio “l’efflorescenza” dei fenomeni, ossia quei fenomeni con
natura “efflorescente”, che stanno nascendo piano piano, che hanno una natura
emergente. La nascita di questi nuovi fenomeni è la causa di una nuova forma
d’identità, la groupness, o appartenenza a un gruppo. Secondo questi studiosi ogni
oggetto di studio ha bisogno di un particolare metodo di studio, per cui non può
esistere un metodo più giusto, tutto dipende dall’oggetto studiato. In ogni caso
hanno una predilezione per un approccio antropologico o qualitativo.

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La sociologia degli eventi di Sewell
Sewell riconosce un ruolo cruciale ai simboli e ai significati dando vita a quel filone
chiamato “sociologia degli eventi”.
Nella sua concezione la sensibilità degli storici andrebbe unita alle capacità dei
sociologi per creare una collaborazione.
Pone l’accento sull’intervento essenziale degli uomini (presa della Bastiglia).
Secondo Sewell la società è formata da due tipi di strutture: quelle profonde, con un
cambiamento lento e processuale, e quelle ordinarie, dinamiche.
Il metodo narrativo rimane anche per lui primario e cruciale, eseguendo le dovute
comparazioni dopo il racconto.

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Differenze tra “sociologia storica classica” e “nuova
sociologia storica”
Secondo Barbera e Santoro, le differenze principali tra “sociologia storica classica” e
“nuova sociologia storica” sono:
1) Attori invece che variabili
2) Tempo diacronico invece che sincronico
3) Eventi e narrative di eventi invece che strutture
4) Causalità narrativa invece che statistica

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