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Vedete ch’i son un che vo piangendo   


    e dimostrando il giudicio d’Amore     
    e già non trovo sì pietoso core             
    che, me guardando, una volta sospiri.   

     Novella doglia m’è nel cor venuta,     


     la qual mi fa doler e pianger forte;
     e spesse volte avèn che mi saluta
     tanto di presso l’angosciosa Morte,
     che fa ’n quel punto le persone accorte,
     che dicon infra lor: « quest’ha dolore,
     e già, secondo che ne par de fòre,
     dovrebbe dentro aver novi martiri.»

     Questa pesanza ch’è nel cor discesa,


     ha certi spirite’ già consumati,
     i quali eran venuti per difesa
     del cor dolente che li avea chiamati.
     Questi lasciaro li occhi abbandonati
     quando passò nella mente un romore,
     il qual dicea: «dentro, Biltà, ch’e’ more;
     ma guarda che Pietà non vi si miri!»

SCHEMA METRICO: Ballata grande di tutti endecasillabi (quelli pari della ripresa
con rima al mezzo sul quinario) con ripresa W YYZ e due strofe a schema AB, AB;
BYYZ 

RIPRESA (vv. 1-4)

 Vedete ch’i son un che vo piangendo


 e dimostrando il giudicio d’Amore
 e già non trovo sì pietoso core
 che, me guardando, una volta sospiri.

Vedete che io sono uno che piange e rende visibile la condanna che ha subito da
Amore, eppure non trovo un cuore che per quanto pietoso, guardandomi, riesca a
sospirare anche una sola volta. 
v.1: verso ripreso da Dante nella Commedia (Inf. VIII 36): «[…] Vedi che son un che
piango»;
v.2 «giudicio»: significa propriamente ‘sentenza’ e quindi la punizione che tale
sentenza comporta;
v.2 «Amore»: personificazione;
v.4 «sospiri»: di compassione (nessuno prova pietà, insomma, per una condanna
ritenuta giusta).

STANZA (vv. 5-12)

     Novella doglia m’è nel cor venuta,


     la qual mi fa doler e pianger forte;
     e spesse volte avèn che mi saluta
     tanto di presso l’angosciosa Morte,
     che fa ’n quel punto le persone accorte,
     che dicon infra lor: «quest’ha dolore,
     e già, secondo che ne par de fòre,
     dovrebbe dentro aver novi martiri.»

Un dolore inaudito mi ha raggiunto il cuore e mi fa lamentare e piangere con forza: e


spesso capita che la Morte piena di angoscia mi saluti così da vicino che in quel
momento tutti si accorgono di quanto sta accadendo e dicono tra loro: «Costui soffre,
e, a vedere quello che ne appare all’esterno, deve patire dentro di sé delle torture
incredibili».

v.5 «Novella»: come «novi» al v. 12 indica l’eccezionalità della «doglia» patita;


vv. 7-8 «Mi saluta… Morte»: anastrofe e iperbato; è come se Cavalcanti trovasse
davanti a sé la morte che lo chiama. «Morte» è personificazione; 
vv. 11: il dolore interno si traduce in immediata visibilità (cfr. coppia di versi
all’inizio della ballata) di esso, così da rendere ancora più terribile l’indifferenza della
donna. Le persone, infatti, sono «accorte» da rendersene bene conto.

STANZA (vv. 13-20)

    Questa pesanza ch’è nel cor discesa,


     ha certi spirite’ già consumati,
     i quali eran venuti per difesa
     del cor dolente che li avea chiamati.
     Questi lasciaro li occhi abbandonati
     quando passò nella mente un romore,
     il qual dicea: «dentro, Biltà, ch’e’ more;
     ma guarda che Pietà non vi si miri!»
Questo dolore che è sceso nel cuore ha già distrutto alcuni spiriti che erano arrivati a difendere il cuore dolente che li aveva chiamati a soccorso.
Questi spiriti avevano lasciato gli occhi indifesi quando nella mente giunse un rumore che diceva: «Dentro, presto, Bellezza, che egli sta morendo; ma
fa’ attenzione che Pietà non si faccia vedere!»
v. 13 «pesanza»: provenzalismo diffuso nella poesia stilnovista (cfr. Giacomo da Lentini, S’io doglio no è meraviglia 12-13:
«S’eo veggendo avea allegranza, / or no la veggio ò allagranza / tant’hai nel mio cor data, fino amore, / che pesanza non credo mai sentire», Chiaro
Davanzati, Quando mi  membra lassa 9-10: «Ma io nonn ho valore / null’altro ma pesanza» et al.) ed è sinonimo della «Novella doglia» del v. 5 (il
meccanismo descritto, infatti, è lo stesso: qui «è nel cor discesa», là «è nel cor venuta»;
v.14 «consumati»: vale come ‘completamente distrutti’. Cavalcanti ricorre a un lessico e a immagini militari: in questo caso, a un assedio;
v.15 «per difesa»: per rafforzare la forza vitale del cuore messa a repentaglio dall’amore;
v.17 «abbandonati»: senza presidio, come una porta;
v.18 «romore»: accezione guerresca di tumulto;
v.19 «Dentro»: come chi esorta a occupare una piazzaforte. «Biltà»: è una vera e propria personificazione della donna amata, che è appunto
bellezza assoluta e spietata. Forma: riduzione del dittongo da «Bieltà»; il dittongo è di derivazione dal francese biauté. Il termine «biltate» si trova
anche nel sonetto di Dante Amore e ‘l  cor gentil sono una cosa  (Vita nova 11, 3-5).

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