Esplora E-book
Categorie
Esplora Audiolibri
Categorie
Esplora Riviste
Categorie
Esplora Documenti
Categorie
3. introduzione del giudice unico togato di primo grado e del giudice di pace.
A seguito dell’abolizione del pretore, le sue competenze sono state assorbite dal tribunale,
per avere una gestione più economica della giustizia. Per questo motivo si è operata la
distinzione tra procedimenti per reati attribuiti al tribunale in composizione
- collegiale
- monocratica
A differenza di quando vi erano le preture, ora gli eventuali errori di attribuzione non sono
più cause di incompetenza per materia (la forma più grave di vizio di competenza).
Inoltre, viene introdotto il giudice di pace, con competenza penale per i reati di minore
gravità ritenuti non passibili di depenalizzazione.
1) Per quanto riguarda le prime, il gradino più alto della scala gerarchica è occupato dalle
fonti sovraordinate:
- La Costituzione della Repubblica, contenente una serie cospicua di principi e regole
fondamentali per la disciplina del processo penale (che hanno subito più riforme). Si
riscontrano tre filoni culturali importanti per il legislatore e per l’interprete: conferma
del principio di stretta legalità in materia processuale; alimentazione della cultura della
giurisdizione; necessità di una cultura della prova.
Se il legislatore costituzionale del ’48 privilegiò l’ottica delle garanzie oggettive di
regolarità della giurisdizione, non mancano in Costituzione aspirazioni al diritto
naturale e quindi norme in cui si fa riferimento a diritti inviolabili (aspettative
giuridiche preesistenti al loro riconoscimento formale) in nessun modo comprimibili.
- Le norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), adottata in seno al
Consiglio d’Europa (Roma 1950), che individuano e rimarcano le situazioni giuridiche
soggettive dei protagonisti del processo, sempre nella prospettiva dei diritti inviolabili;
inoltre configurano anche doveri e obblighi dei soggetti verso i quali i diritti possono
essere attuati.
A seguito delle sentenze gemelle della Corte Cost., è stato riconosciuto a queste norme
rango sub-costituzionale ma sovra-legislativo, cioè di norme-parametro interposte per
un giudizio di legittimità costituzionale in caso di incompatibilità con le norme interne.
Lo stesso vale per il Patto internazionale sui diritti civili e politici adottato nell’ambito
dell’ONU.
- Il Trattato di Lisbona del 2009, che non solo è atto di revisione del preesistente
Trattato sull’Unione Europea, ma anche espressione primaria del diritto comunitario,
vale a dire un complesso normativo che ha il primato rispetto ai diritti anche
costituzionali degli Stati membri. Corollario della preminenza del diritto comunitario è
quindi la prevalenza delle norme in materia di processo penale contenute o richiamate
dal Trattato di Lisbona stesso.
Nello specifico il trattato è intervenuto modificando l’art. 6 TUE: riconosciuto lo stesso
valore giuridico dei trattati alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea;
riconosciuta parte del diritto dell’UE anche la CEDU in quanto principi generali;
espresso il principio di cooperazione giudiziaria; introdotto l’obbligo della pronuncia
della Corte di Giustizia europea intorno a questioni pregiudiziali.
Poi vi sono le fonti normative primarie e secondarie, sottordinate rispetto a quelle finora
esaminate:
- Corpi legislativi complementari che accompagnano le disposizioni strutturali, come le
leggi di ordinamento giudiziario.
- Il codice di procedura penale (legge-delega 81 del 1987)
- Norme di attuazione, transitorie e di coordinamento che accompagnarono l’entrata in
vigore del nuovo codice.
- D.lgs. 231/2001 introduttivo della responsabilità amministrativa delle persone
giuridiche e degli enti privi di personalità giuridica.
- Leggi in materia di giustizia minorile, patrocinio a carico dello Stato, mandato d’arresto
europeo, ordinamento penitenziario e trattamento carcerario.
2) Ogni autorità dotata di potere giurisdizionale, nell’atto conclusivo di tenore decisorio del
procedimento principale o incidentale, fissa una regola di diritto: di norma le decisioni sono
vincolanti solo per le parti in senso stretto, ma nella prassi del diritto vivente ogni sentenza
e ogni provvedimento costituisce un dictum che fa da precedente, per il consolidamento
degli ambiti interpretativi.
Inoltre, le statuizioni delle giurisdizioni superiori hanno valore vincolante diverso rispetto a
quelle dei giudici di merito e vanno intese come fonti del diritto:
- Le declaratorie di incostituzionalità hanno efficacia immediata per tutti.
- La Corte di Cassazione esercita la funzione nomofilattica, cioè assicurare l’esatta
osservanza e uniforme interpretazione della legge, nonché l’unità del diritto oggettivo
nazionale (soprattutto le Sezioni Unite).
- Le decisioni della Corte EDU, che hanno forza vincolante per gli Stati ratificanti. Infatti,
ciascuno Stato ha l’impegno politico di adottare strumenti per dare attuazione ai
contenuti decisori di queste sentenze.
3) Per completare l’insieme delle fonti conoscitive del sistema si deve fare riferimento ai
commentari, trattati, manuali, articoli, note a sentenza, dibattiti sulle riviste specializzate di
diritto e di procedura penale. Insomma, al contributo della dottrina.
CAPITOLO I – SOGGETTI
Premessa
Il codice di procedura penale del 1988 segue il modello accusatorio
≠
Il previgente codice del 1930 seguiva il modello inquisitorio (al centro la fase istruttoria)
Questa differenza è confermata, sul piano sistematico, dal confronto circa il primo libro (parte
“statica”):
nel codice abrogato, disciplinava anzitutto le azioni, dando la precedenza all’azione penale;
nel codice vigente, relativo ai soggetti, si apre con il titolo dedicato al giudice -> scelta che mette in
risalto la centralità della giurisdizione nell’ambito di un processo concepito come sistema di
garanzie.
Oltre al giudice, nel primo libro vengono presi in considerazione altri soggetti:
il pubblico ministero, la polizia giudiziaria, l’imputato, la parte civile con il responsabile civile e il
civilmente obbligato per la pena pecuniaria, la persona offesa dal reato, il difensore.
Tuttavia, restano escluse numerose figure – come il testimone, il perito, il consulente tecnico – che
pur compaiono sulla scena processuale e forniscono apporti di primaria importanza ai fini della
decisione.
N.B. è necessario distinguere tra soggetto e parte: quest’ultima qualifica spetta a chi vanta il diritto
a una decisione giurisdizionale in rapporto a una pretesa fatta valere nel processo.
Quindi non spetta alla totalità dei soggetti elencati nel libro I; sono esclusi il giudice, la polizia
giudiziaria, la persona offesa e il difensore.
La giurisdizione penale
L’art. 1 c.p.p. traspone quanto enunciato dall’art. 102, comma 1, Cost:
l’esercizio della giurisdizione penale è riservato ai giudici previsti dalle leggi di ordinamento
giudiziario.
Questo significa che soltanto il giudice, e non qualsiasi magistrato, è titolare di funzioni
giurisdizionali penali.
Il giudice è una creazione esclusiva delle norme di ordinamento giudiziario.
L’art. 178 c.p.p. disciplina il valido esercizio della funzione giurisdizionale, stabilendo a pena di
nullità l’osservanza delle disposizioni legislative circa:
- le condizioni di capacità del giudice*
- il numero dei giudici necessario per costituire i collegi
L’art. 33 c.p.p. prevede però ipotesi che non rientrano nel raggio di azione del 178; ciò significa che
il mancato rispetto delle disposizioni elencate in questo articolo (commi 2 e 3) non comporta una
nullità assoluta degli atti.
In particolare, le disposizioni riguardano:
- la destinazione dei giudici agli uffici -> questione riconducibile al concetto di capacità
del giudice, di cui però è stata sancita l’irrilevanza (la sua violazione non è causa di
nullità).
*Se ne deduce che l’unico attributo che residua come rilevante ai fini della capacità è
la qualifica richiesta per l’esercizio della funzione giurisdizionale.
- la formazione dei collegi -> questione non pertinente tanto alla capacità del giudice,
quanto alla composizione del collegio con un numero di giudici maggiore del
necessario e alle supplenze e applicazioni;
- la assegnazione dei processi a sezioni, collegi e giudici -> questione che non attiene alla
capacità dei giudici, bensì alla distribuzione delle cause tra giudici parimenti legittimati
all’esercizio della funzione giurisdizionale.
- l’attribuzione degli affari penali al tribunale collegiale o monocratico -> a seguito della
riforma che ha soppresso l’ufficio del pretore e ha riassegnato le sue funzioni al
tribunale in due diverse composizioni, è stato sancito che l’attribuzione della causa non
attiene alla capacità del giudice né al numero di giudici necessario, per cui
l’inosservanza dei criteri di riparto tra giudice collegiale e monocratico non può
comportare una nullità assoluta.
La ratio delle esclusioni è data:
- dalla difficoltà di individuare in modo rigoroso il giudice del processo
- dalla volontà di non gravare la vicenda processuale con la nullità assoluta di questioni
simili (che sono più semplicemente sindacabili da organi amministrativi)
Profili ordinamentali
La figura del giudice richiede connotati essenziali sanciti in precetti costituzionali (dedicati sia alla
magistratura nel suo complesso, sia al giudice nello specifico).
È necessario operare una distinzione in sottocategorie:
- giudici straordinari, istituiti successivamente al fatto da giudicare -> la Cost ne vieta
espressamente l’istituzione
- giudici speciali, estranei alla legge di ordinamento giudiziario -> la Cost ne vieta
espressamente l’istituzione, ad eccezione delle figure già previste dalla stessa, cioè i
tribunali militari (in relazione ai reati militari) e la Corte Costituzionale (per le accuse di
alto tradimento e attentato alla Cost promosse vs il Presidente della Repubblica)
N.B. è ammessa l’istituzione di giudici (ordinari) specializzati, in ragione dello specifico
oggetto della loro giurisdizione (es. tribunale dei minorenni)
- giudici ordinari, legittimati dalle norme di ord. giud.
In particolare, quest’ultima categoria ricomprende i seguenti organi giudicanti:
o giudice di pace (d.lgs. 274/2000) – monocratico e onorario (non professionale)
o giudice per le indagini preliminari – monocratico
o giudice dell’udienza preliminare – monocratico; il gup deve essere diverso dal
gip del medesimo procedimento e deve possedere un’elevata qualifica
professionale, nonché ha funzioni temporanee, il cui esercizio può essere
prorogato per terminare il compimento degli atti in corso o per esigenze di
servizio imprescindibili e prevalenti
o tribunale ordinario – a seconda della gravità o delle caratteristiche del reato
giudica in composizione monocratica o collegiale (numero invariabile di tre
componenti)
o corte d’assise – collegiale, otto magistrati di cui due togati (professionali) e sei
laici (c.d. giudici popolari, scelti tra i cittadini con requisiti), la cui partecipazione
all’amministrazione della giustizia è collegata all’art. 106, comma 2, Cost
o corte d’appello – collegiale (tre magistrati)
o corte d’assise d’appello – collegiale mista (come la corte d’assise)
o magistrato di sorveglianza – monocratico
o tribunale di sorveglianza – collegiale (quattro magistrati, di cui due laici e due
togati)
o Al vertice vi è la corte di cassazione, con funzione di giudice di legittimità,
composta da sette sezioni, con cinque componenti (nove quando si pronuncia a
sezioni unite)
Esistono però delle eccezioni a questo principio, come dimostra la clausola di salvezza del comma
2, e le deroghe si riferiscono a due categorie di disposizioni del codice:
in caso di controversie sulla proprietà delle cose sequestrate o confiscate, devolvono la
relativa risoluzione al giudice civile
in caso di questioni da cui dipende la decisione definitiva, disciplinano i presupposti e il
modus dell’eventuale sospensione e l’efficacia della decisione intervenuta in sede
extrapenale (art. 3 e 479)
2. ipotesi di sospensione ex art. 479, quando la controversia prioritaria verte su una qualsiasi
altra questione di competenza del giudice amministrativo o civile e ricorrono le seguenti
condizioni:
a. la risoluzione deve condizionare la decisione sull’esistenza del reato;
b. la controversia deve risultare di particolare complessità
c. deve essere già in corso il relativo procedimento presso il giudice civ. o amm.
d. che la legge civ. o amm. non ponga limitazioni alla prova della situazione soggettiva
controversa (limitazioni che il giudice penale non incontrerebbe se la risolvesse in
via incidentale)
Anche in questo caso l’ordinanza sospensiva è impugnabile in cassazione da tutte le parti,
però è escluso che l’impugnazione abbia effetto sospensivo.
In questo caso però si consente al giudice penale di revocare, anche d’ufficio, l’ord. di
sospensione qualora il giudizio civile o amministrativo non si sia concluso nel termine di un
anno. Inoltre, è precluso il riconoscimento di efficacia vincolante alla sent. extrapenale, la
quale diventa materiale probatorio per il convincimento del giudice e può da questi essere
disattesa (con l’unico limite della motivazione della divergenza).
2. competenza per territorio (art. 8), dove la regola generale è quella del luogo in cui il reato è
stato consumato (locus commissi delicti).
Il codice però prevede altre regole generali che derogano a questa in ragione della
configurazione della fattispecie delittuosa:
- nel caso del fatto che ha cagionato la morte di una o più persone, per via della
frequente sfasatura tra luogo della condotta e luogo dell’evento, si sceglie di radicare
la competenza nel luogo in cui è avvenuta l’azione od omissione, poiché lì si è creato
l’allarme sociale ed è più facile rinvenire le prove
- nel caso di reato permanente si usa il criterio del luogo dove ha avuto inizio la
consumazione
- nel caso del reato tentato si usa il criterio del luogo in cui è stato compiuto l’ultimo
atto diretto a commettere il delitto.
Inoltre, sono state aggiunte regole suppletive, per individuare il giudice territorialmente
competente, quando non trovano applicazione quelle generali. Per esse è necessario
rispettare una gerarchia interna ex art. 9:
- è prioritario il luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione od omissione
- seguono in successione i criteri di residenza, dimora, domicilio dell’imputato
- infine, vi è il criterio del luogo in cui ha sede l’ufficio del pm che ha provveduto per
primo a iscrivere la notizia di reato
La normativa si applica anche quando il reato è stato commesso in parte all’estero, mentre
in caso di reato commesso interamente all’estero occorrono adeguamenti (art. 10). Se
però è stato commesso a danno di un cittadino, se non operano i criteri dell’art. 10, la
competenza spetta al tribunale o alla corte d’assise di Roma.
Il codice poi prevede altre deroghe al locus commissi delicti (come ad esempio quando si
deve applicare il codice della navigazione per delitti avvenuti su navi o aeromobili fuori dal
mare o dallo spazio aereo territoriale), nonché introduce regole ad hoc per garantire
maggiore efficienza al processo e l’imparzialità del giudice:
questo è il caso dei procedimenti penali in cui un magistrato è imputato, persona offesa o
danneggiata dal reato, e la competenza spetta a un ufficio giudiziario del distretto in cui lo
stesso magistrato esercita o esercitava al momento del fatto le sue funzioni; allora la
competenza territoriale spetta al giudice – ugualmente competente per materia – del
capoluogo del distretto determinato dalla legge sulla scorta di tabelle incentrate sul
criterio di circolarità.
C. Ex art. 33quater, in caso di vincolo, riconducibile alle ipotesi di connessione ex art. 12, tra
procedimenti del collegiale e del monocratico, si applicano le disposizioni relative al
procedimento davanti al giudice collegiale (a cui sono attribuiti tutti i proc. connessi). N.B.
la connessione opera anche in relazione alle indagini preliminari (disposizioni libro V)
A. Difetto di giurisdizione (art. 20): può essere sollevato anche d’ufficio, in ogni stato e grado
del procedimento, quindi già a partire dalla fase delle indagini preliminari.
Se il difetto è rilevato nel corso delle indagini preliminari, il giudice provvede con ordinanza
alla restituzione degli atti al pm; dopo la chiusura e in ogni stato e grado del processo, il
giudice pronuncia sentenza e ordina il trasferimento degli atti all’autorità competente
(eccetto il vizio assoluto)
2. nel corso del dibattimento, la disciplina cambia a seconda che esso sia stato instaurato in
seguito a udienza preliminare o a decreto di citazione diretta:
a. nel primo caso, il giudice nella composizione erronea si limita a trasmettere gli atti,
con ordinanza, al giudice nella composizione corretta
b. nel secondo caso, poiché l’imputato è stato indebitamente privato dell’udienza
preliminare, l’error in procedendo è correggibile solo mediante una regressione del
processo; per cui è disposta con ordinanza la trasmissione degli atti al pm, cosicché
possa esercitare l’azione penale tramite il rinvio a giudizio ex art. 416
Le prove acquisite dal giudice in composizione errata sono pienamente utilizzabili e non è neppure
inficiata la validità degli atti compiuti.
Nonostante la loro configurazione autonoma, sono ricomprese nella stessa disciplina delle ipotesi
suddette anche le cause di incompatibilità:
esse costituiscono un motivo di ricusazione che la parte interessata deve far valere
tempestivamente, qualora il giudice sospetto non abbia ottemperato all’obbligo di astenersi.
Il loro scopo è prefigurare condizioni per garantire che il giudice sia ed appaia imparziale.
Sono in parte previste in parte dalle norme di ordinamento giudiziario, in parte da codice di rito, e
in quest’ultimo si distinguono:
- quelle determinate da ragioni di parentela, affinità o coniugio
- quelle determinate da atti compiuti nel procedimento; in particolare, si delineano quattro
gruppi di situazioni:
o il giudice che ha pronunciato o concorso a pronunciare sentenza in un grado del
procedimento non può esercitare funzioni di giudice negli altri gradi, né nel giudizio
di rinvio dopo l’annullamento per cassazione, né in quello di revisione
o non può partecipare al giudizio il giudice che ha pronunciato il provvedimento
conclusivo dell’udienza preliminare o ha disposto il giudizio immediato o ha emesso
decreto penale di condanna, né che ha deciso l’impugnazione vs sentenza di non
luogo a procedere del gup
(portata ampliata da sentenze additive della Corte costituzionale a specifiche
situazioni idonee a compromettere l’imparzialità)
o il giudice che ha esercitato le funzioni di giudice per le indagini preliminari non può
nello stesso procedimento emettere decreto penale di condanna, né partecipare al
giudizio, né svolgere la funzione di giudice per l’udienza preliminare
(un comma aggiunto introduce deroghe per cui non si ha incompatibilità a seguito
dell’adozione di determinati provvedimenti, inidonei a determinare pregiudizio)
o non può esercitare la funzione di giudice chi in quel procedimento ha esercitato
funzioni di pubblico ministero, ha svolto atti di polizia giudiziaria ovvero un altro
ruolo idoneo a comprometterne l’imparzialità; altresì è incompatibile chi ha
proposto la notizia di reato e chi ha deliberato l’autorizzazione a procedere
Procedimento:
- per l’astensione è prevista una procedura semplificata, per cui la dichiarazione è
presentata al presidente della corte o del tribunale che decide con decreto senza formalità
di procedura
- per la ricusazione si ha un impianto normativo che persegue un triplice obiettivo:
o accentuare il carattere giurisdizionale della procedura incidentale
o escludere un’automatica sospensione dell’attività processuale
o assicurare criteri oggettivi per l’individuazione del giudice che sostituisce quello
ricusato
Dalla dichiarazione scatta il divieto per il giudice di pronunciare sentenza fino a che non sia
intervenuta l’ordinanza di inammissibilità o di rigetto;
i termini entro cui e le modalità per presentare la domanda sono previsti a pena di
inammissibilità dall’art. 41;
gli organi competenti a decidere sull’istanza sono:
o per un giudice del tribunale, della corte d’assise o della corte d’assise d’appello -> la
corte d’appello
o per un giudice della corte d’appello o della cassazione -> una sezione diversa della
stessa corte
1. Si ha una prima fase di filtro in cui può intervenire dichiarazione di inammissibilità per:
o mancanza di legittimazione soggettiva
o inosservanza di forme e termini
o manifesta infondatezza dei motivi addotti
la decisione consegue ad una procedura senza avvisi alle parti e nell’assenza di
contraddittorio; è però previsto un controllo successivo mediante ricorso per cassazione
(camera di consiglio), al quale sono legittimate tutte le parti.
2. Superata la fase di ammissibilità, la corte decide nel merito della ricusazione con le
forme ex art. 127 (ordinanza), dopo aver assunto le opportune informazioni; può anche
disporre che il giudice ricusato sospenda temporaneamente l’attività processuale o si
limiti ai soli atti urgenti. L’ordinanza è ricorribile in cassazione.
3. Effetti della dichiarazione di ricusazione: la sola presentazione non comporta per il
giudice ricusato alcuna limitazione di poteri nello svolgimento dei compiti istituzionali,
né l’insorgere di un obbligo di astensione; l’unico divieto riguarda la pronuncia di
sentenza.
*Le Sezioni Unite hanno stabilito che la decisione del giudice ricusato conserva la sua
validità qualora la richiesta venga ritenuta inammissibile o rigettata, mentre sarà viziata
da nullità assoluta qualora la ricusazione venga accolta.
L’accoglimento della dichiarazione di ricusazione o astensione ha come effetto automatico
il divieto assoluto per il giudice di compiere qualsiasi atto del procedimento; ma la corte
decidente può disporre espressamente la conservazione dell’efficacia degli atti compiuti da
esso.
Alla pronuncia di accoglimento consegue la sostituzione del giudice astenutosi o ricusato
con altro magistrato dello stesso ufficio, designato secondo le leggi di ordinamento
giudiziario (art. 43).
Tutte le ordinanze di merito emesse dalla corte competente a decidere sono
immediatamente eseguibili.
*All’ordinanza di inammissibilità o di rigetto è collegata una condanna a pena pecuniaria
facoltativa, di cui il soggetto passivo può essere solo la parte privata che ha proposto la
dichiarazione di ricusazione.
La rimessione può essere chiesta in ogni stato e grado del processo di merito – dall’esercizio
dell’azione penale all’eventuale secondo grado (non in sede di indagini preliminari, né di giudizio
di legittimità).
I soggetti legittimati sono:
- l’imputato, con richiesta sottoscritta da lui personalmente o da un suo procuratore
speciale, depositata in cancelleria e notificata entro 7 giorni alle parti, il tutto a pena di
inammissibilità
- il procuratore generale presso la corte d’appello
- il pubblico ministero presso il giudice procedente
*non è legittimata la parte civile
La richiesta e la documentazione, una volta depositate, sono immediatamente trasmesse alla
cassazione ad opera del giudice procedente, che può formulare proprie osservazioni aggiuntive.
Gli effetti della richiesta sono stati novellati rispetto al codice abrogato (art.47):
1. sospensione facoltativa – in seguito alla presentazione della richiesta, il giudice procedente
può disporre con ordinanza la sospensione del processo fino a intervenuta ordinanza di
inammissibilità o rigetto; analogamente può fare la cassazione, dopo essere stata investita
della richiesta.
Nel silenzio del legislatore, si ritiene che i presupposti siano da rinvenire nei requisiti del
fumus boni iuris e del periculum in mora.
2. sospensione obbligatoria – superato positivamente il vaglio di ammissibilità in cassazione,
quando la richiesta è assegnata a una sezione diversa da quella filtro o alle sezioni unite, il
giudice procedente deve sospendere il processo prima dello svolgimento delle conclusioni
o della discussione e resta preclusa sia la pronuncia del decreto che dispone il giudizio sia
della sentenza (fino a che la corte non emetta ordinanza di inammissibilità o di rigetto)
*La sospensione è esclusa quando una nuova richiesta non è fondata su motivi diversi da
quelli della precedente rigettata o dichiarata inammissibile.
In pendenza della sospensione sono sospesi i termini di prescrizione del reato e, se la richiesta
proviene dall’imputato, anche quelli di durata massima della custodia cautelare.
Sono comunque consentiti gli atti urgenti.
Quanto alla conservazione degli atti del processo oggetto di rimessione, il giudice designato
procede alla rinnovazione degli atti quando una qualsiasi delle parti ne faccia richiesta; due sole
eccezioni riguardano gli atti di cui è divenuta impossibile la ripetizione e le situazioni ex art. 190bis
commi 1 e 1bis, che prevedono limitazioni per taluni tipi di atti.
Le parti esercitano gli stessi diritti e facoltà ad esse riservati davanti al primo giudice.
Il pm risponde del suo operato solo difronte alla legge e gode delle stesse garanzie del giudice
circa il reclutamento, l’inamovibilità della sede e la soggezione al controllo del CSM.
Non a caso, il conferimento delle funzioni sia giudicanti che requirenti avviene all’esito di un
concorso unitario, ma le due funzioni sono tenute distinte (norme riguardo il passaggio dall’una
all’altra).
- l’art. 50, comma 1, conferisce al pm la titolarità dell’azione penale; l’art. 231 disp. att.,
disponendo l’abrogazione di eccezioni (affidamento ad altri soggetti), sancisce il monopolio
dell’azione in capo al pm, eliminando la possibilità di azione penale privata (conferita alla
persona offesa dal reato) e popolare (attribuita al quisque de populo)
- sempre il comma 1 enuncia il principio di obbligatorietà dell’azione penale (in armonia con
il 112 Cost.), il cui unico limite è la richiesta di archiviazione
*Viene meno la distinzione tra inizio ed esercizio dell’azione penale, eccetto per il fatto che
le sole attività di inizio, e non anche quelle di proseguimento, sono presidiate da nullità a
regime assoluto.
La lettura combinata con l’art. 405 – che elenca gli atti tipici di esercizio dell’azione penale,
contenenti tutti la formulazione dell’imputazione – individua il momento di inizio del
processo penale in senso proprio, riservando la fase delle indagini preliminari al mero
procedimento; inoltre, l’art. 60 chiarisce che dall’esercizio dell’azione penale (formulazione
dell’imputazione) discende l’assunzione della qualità di imputato (prima indagato)
- l’art. 50, comma 2, ribadisce il principio dell’officialità dell’azione penale, secondo cui
questa è esercitata d’ufficio quando non sono necessarie condizioni di procedibilità
*l’elenco di condizioni fornito (querela, richiesta, istanza, autorizzazione a procedere) non
è esaustivo ed è più adeguata la formula aperta dell’art. 345, comma 2.
N.B. Le condizioni di procedibilità sono fatti o atti giuridici in mancanza dei quali il pm non
può agire validamente.
Possibile contrasto con il principio di obbligatorietà dell’azione penale, poiché fanno
dipendere l’attivazione dell’obbligo da una volontà esterna agli organi giudiziari:
o nulla quaestio se la scelta è demandata a soggetti privati, liberi di avvalersi o meno
della protezione loro accordata dalla legge penale
o se invece l’opzione spetta ad organi pubblici è necessario che le condizioni siano
poste a tutela di interessi costituzionalmente rilevanti, così da prevalere, in sede di
bilanciamento, con il principio ex art. 112 Cost.
L’organizzazione e la distribuzione del lavoro tra gli uffici del pubblico ministero
A. La divisione in rapporto agli sviluppi procedimentali (funzionale) è retta da criteri volti ad
evitare le sfere di concorrenza.
1. Ex art. 51, comma 1 lett. a, le funzioni di pm nelle indagini preliminari e nei procedimenti di
primo grado sono esercitate dai magistrati della procura della Repubblica presso il
tribunale.
Il capo dell’ufficio coordina l’ufficio di collaborazione del procuratore della Repubblica,
distribuendo il lavoro mediante assegnazioni automatiche e vigilando su i c.d.
viceprocuratori (vpo), i quali coadiuvano il magistrato togato con atti preparatori utili per la
funzione giudiziaria.
La delega di funzioni di pm varia a seconda che il procedimento di primo grado sia svolto
davanti al giudice di pace o al tribunale in composizione monocratica.
2. Ex art. 51, comma 1 lett. b, le funzioni di pm nei giudizi di impugnazione sono esercitate dai
magistrati della procura generale della Repubblica presso la corte d’appello, mentre nei
giudizi in cassazione dai magistrati della procura generale presso la stessa.
È comunque ammessa, sulla base di una valutazione di opportunità operata dal
procuratore generale presso la corte d’appello, la sostituzione con il rappresentante
dell’ufficio presso il giudice di primo grado, che quindi partecipa al giudizio d’appello.
Nel corso delle indagini preliminari si aprono canali informativi tra le procure della Repubblica e le
relative procure generali presso la corte d’appello.
Avocazione:
è l’unico strumento con cui il procuratore generale presso la corte d’appello subentra nella
titolarità delle indagini preliminari al procuratore della Repubblica del proprio distretto; comunque
non si tratta di un potere generalizzato, ma soggetto a tassative previsioni legislative,
caratterizzandosi come istituto eccezionale.
N.B. L’avocazione non istituisce né corrisponde ad una catena gerarchica tra le procure!
Il presupposto dell’avocazione automatica è dato da situazioni tassativamente elencate,
accomunate dal fatto di rappresentare un’inerzia dell’ufficio le cui funzioni vengono avocate.
Tuttavia, esistono anche casi di avocazione discrezionale.
Copia del provvedimento è sempre trasmessa al CSM e ai procuratori della Repubblica interessati,
in modo da consentire loro di proporre reclamo al procuratore generale presso la corte di
cassazione: se egli lo accoglie, revoca il decreto e dispone la restituzione degli atti.
Gli effetti dell’avocazione disposta nel corso delle indagini preliminari perdurano al di là di tale
fase, nell’udienza preliminare e nell’intero processo di primo grado (garanzia di efficienza all’ufficio
dell’accusa).
C. Per quanto riguarda i criteri di distribuzione del lavoro tra i diversi uffici, egualmente
titolari in base alle funzioni, non si può parlare di competenza; tuttavia, il parametro
adottato è il medesimo, posto che il pm trae la propria titolarità alle funzioni –
legittimazione – in modo riflesso dalla competenza del giudice del dibattimento presso il
quale è istituito.
Possono nascere dei contrasti tra i diversi uffici del pm:
1. negativi -> quando il pm ritiene che la competenza a conoscere il reato spetti ad un
giudice diverso rispetto a quello presso cui esercita le sue funzioni, trasmette
tempestivamente gli atti all’ufficio del pm presso il giudice competente; il ricevente,
ove dissenta (non potendo ritrasmetterli), demanda la risoluzione al procuratore
generale presso la corte d’appello o di cassazione (qualora appartenga a distretto
diverso), trasmettendogli tutti gli atti del procedimento.
Il contrasto è risolto esclusivamente all’interno degli uffici del pm, senza
contraddittorio.
L’organo risolutore potrebbe anche designare un ufficio terzo rispetto a quelli in
contrasto.
La statuizione del procuratore generale ha efficacia solo nella fase delle indagini
preliminari e unicamente nei confronti degli appartenenti all’ufficio del pm.
Gli atti compiuti prima della trasmissione o della designazione mantengono la propria
efficacia, così pure le misure cautelari.
2. positivo -> quando si verifica una sovrapposizione delle indagini preliminari da parte di
uffici diversi.
Occorre il duplice presupposto che le indagini preliminari abbiano ad oggetto il
medesimo fatto storico (seppure magari diversamente qualificato) e che siano a carico
della stessa persona.
La procedura è in parte analoga, per cui il procuratore generale determina con decreto
motivato, secondo le regole di competenza del giudice, quale ufficio debba procedere.
È prevista l’ipotesi di risoluzione anticipata, qualora prima della designazione uno degli
uffici procedenti desista, trasmettendo gli atti all’altro.
Anche qui gli atti sono utilizzabili nei casi e modi ex lege.
N.B. se due gip vengono investiti contemporaneamente di una richiesta relativa al medesimo fatto,
si verifica un vero e proprio conflitto di competenza, che verrà risolto dalla cassazione.
L’astensione
Ex art. 52 l’astensione, e la conseguente necessità di sostituzione del magistrato designato con un
altro, è prevista come
- non obbligatoria sotto il profilo processuale (potrebbe essere doverosa sotto quello
disciplinare)
- fondata genericamente su “gravi ragioni di convenienza”
- presuppone una dichiarazione motivata
- è decisa dal capo dell’ufficio o dal procuratore generale presso la corte d’appello/di
cassazione (se riguarda i capi dei rispettivi uffici)
La sostituzione si ha con un magistrato appartenente ad un medesimo ufficio, derogabile nel caso
si tratti del capo, che può essere sostituito da un magistrato di diverso ufficio, egualmente
legittimato per materia, individuato coi parametri ex art. 11
N.B. Il pm non può essere ricusato data la sua qualità di parte.
Gli art. 70 comma 4 ord. giud. e 53 comma 1 c.p.p. tutelano la piena autonomia del magistrato del
pubblico ministero, rispetto al titolare dell’ufficio.
Tuttavia, questa autonomia può considerarsi assicurata solo nell’ udienza, mentre non pare
riferibile alle indagini preliminari, in cui la sostituzione operata dal titolare dell’ufficio non incontra
i rigorosi limiti ex art. 53 comma 2.
2. per quanto riguarda invece la fase delle indagini preliminari, parrebbe che il magistrato del
pubblico ministero goda di un certo grado di autonomia; però il capo può comunque
fissare regole generali per la migliore efficienza dell’ufficio, nonché dettare singole
direttive.
Il magistrato che contravvenga a simili disposizioni può essere legittimamente sostituito
con provvedimento motivato di revoca dell’ordinanza di designazione.
*È sempre fatto salvo il potere del magistrato designato di chiedere di essere sostituito.
I procedimenti cui si applica questa disciplina speciale sono previsti dagli articoli:
- 51 comma 3-bis -> reati associativi esplicazione della criminalità organizzata (ambito di
applicazione originario)
- 51 comma 3-quater e 3-quinquies -> estensione dell’ambito di applicazione, eliminando il
riferimento esclusivo alla criminalità organizzata, anche ai reati con finalità terroristiche
Per tutti questi reati tassativamente indicati le funzioni di pm nelle indagini preliminari e nei
procedimenti di primo grado sono attribuite all’ufficio che ha sede presso il tribunale del
capoluogo del distretto di corte d’appello, dove il procuratore della Repubblica costituisce una
direzione distrettuale antimafia (Dda) per la trattazione dei solo procedimenti relativi ai reati ex
art. 51 comma 3bis, designando magistrati con specifiche attitudini ed esperienze professionali.
La concentrazione dell’attività investigativa nelle direzioni distrettuali accresce l’efficienza per due
ordini di ragioni:
- tendenziale specializzazione dei magistrati addetti
- conduzione ab origine unitaria delle indagini preliminari per i reati in elenco, facendo
venire meno l’esigenza di coordinamento informativo ed operativo
N.B. Ciò non toglie che si possano comunque verificare dei contrasti positivi o negativi tra i diversi
uffici circa la legittimazione a procedere:
1. tra diverse direzioni distrettuali -> la risoluzione è affidata al procuratore generale presso la
cassazione, con funzione consultiva del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo
2. interni al medesimo distretto -> soluzione demandata al procuratore generale presso la
corte d’appello
Inoltre, nell’ambito della procura generale presso la corte di cassazione, è stata istituita la
direzione nazionale antimafia (Dna), diventata poi anche antiterrorismo, intesa ad esercitare
funzioni di impulso all’attività investigativa e preventiva pure per la seconda tipologia di reati
(manovra non replicata in sede locale).
Ad essa sono preposti:
- un procuratore nazionale
- due procuratori aggiunti
- dei sostituti procuratori
tutti scelti sulla base di specifiche attitudini, capacità organizzative ed esperienze nella
trattazione di procedimenti in materia di criminalità organizzata e terroristica.
Gli incarichi hanno durata quadriennale con possibilità di un solo rinnovo.
Questa direzione assume la fisionomia di ufficio del pubblico ministero specializzato e per questo è
sottoposta alla sorveglianza del procuratore generale presso la cassazione.
N.B. solo per i delitti di cui all’art. 51 comma 3bis la direzione si avvale della direzione investigativa
antimafia (Dia) e dei servizi centrali e interprovinciali delle forze di polizia; diversamente, per i
delitti di terrorismo non si può avvalere della Dia.
L’art. 55 riassume le funzioni da essa espletate (poi riconsiderate nella parte dinamica del codice):
1. l’attività che la polizia svolge anche di propria iniziativa – senza un previo impulso
dell’autorità giudiziaria – segue una tripartizione classica:
a. attività informativa, che si sostanzia nell’acquisizione della notizia di reato, secondo
le forme dell’apprensione diretta o della ricezione, e nel riferirla al pm
b. attività investigativa, consistente nella ricerca dell’autore del reato mediante atti
tipici e atipici
c. attività assicurativa, riferita alle fonti di prova, nel rispetto della formazione della
prova in sede dibattimentale
Inoltre, vengono menzionati: l’obbligo di raccogliere quant’altro possa servire per
l’applicazione della legge penale (formulazione ampia) e l’obbligo di impedire che i reati
siano portati a conseguenze ulteriori (tipico della polizia di sicurezza)
*data la portata riassuntiva è escluso che dalla norma possa discendere un ampliamento
dei poteri e che quindi possano ammettersi atti preventivi atipici diversi dal sequestro
preventivo
L’art. 57 distingue le qualifiche di ufficiale e di agente di polizia giudiziaria, non solo sul piano
organizzativo interno, ma anche in vista della titolarità a compiere una serie di atti riservati solo al
primo.
In posizione del tutto particolare si situano coloro che fanno parte della Direzione investigativa
antimafia, istituita nell’ambito del dipartimento della pubblica sicurezza. Essa svolge funzioni di
investigazione preventiva attinenti alla criminalità organizzata ed effettua le indagini di polizia
giudiziaria relative esclusivamente a delitti di associazione di tipo mafioso o comunque ricollegabili
all’associazione medesima.
Infine, una disponibilità meno intensa è attribuita a qualsiasi autorità giudiziaria nei confronti delle
sezioni, dei servizi e dei restanti organi di polizia giudiziaria.
Al procuratore generale presso la corte d’appello è demandata la sorveglianza sul rispetto delle
norme in ordine alla diretta disponibilità della polizia da parte dell’autorità giudiziaria.
I rapporti di subordinazione
È stata concepita una dipendenza organizzativa della p.g. dall’autorità giudiziaria, per rendere
effettiva quella funzionale (direzione attuativa dell’art. 109 Cost) -> l’autorità giudiziaria è investita
di una serie di poteri di natura gerarchica.
L’art. 59 disciplina il rapporto di subordinazione (si atteggia diversamente a seconda della tipologia
di struttura della p.g.):
1. le sezioni – unità organiche – sono in un rapporto di subordinazione con il procuratore
della Repubblica che dirige l’ufficio presso cui sono istituite.
Per evitare interferenze con l’amministrazione di appartenenza è previsto il divieto di
distogliere gli ufficiali e agenti dalla loro attività, se non per disposizione del magistrato da
cui dipendono; destinatarie del divieto sono le singole amministrazioni.
La destinazione esclusiva a compiti di polizia giudiziaria può essere derogata solo in casi
eccezionali o per necessità di istruzione o addestramento, previo consenso del capo
dell’ufficio della procura.
2. per i servizi il rapporto di subordinazione si attenua poiché gli ordini dell’autorità giudiziaria
sono mediati dalle gerarchie amministrative.
L’ufficiale preposto al servizio è quindi l’unico personalmente responsabile per l’adeguata
organizzazione del servizio, la sorveglianza delle attività da parte del personale dipendente
e le sue stesse funzioni (per fatto proprio) -> dal punto di vista disciplinare, la resp. si pone
nei soli confronti del procuratore della Repubblica presso il tribunale.
Il rapporto di subordinazione è rafforzato dall’obbligo, in capo alle singole amministrazioni,
di ottenere il consenso del procuratore della Repubblica o del procuratore generale per
allontanare, anche provvisoriamente, dalla sede o assegnare ad altri uffici i dirigenti dei
servizi e di vincolare altresì le promozioni al parere favorevole dei magistrati predetti.
Nella prima fase l’attribuzione di un reato (addebito provvisorio) ha carattere precario dovuto allo
stato fluido delle indagini; in sede processuale invece, superato il dubbio circa la non infondatezza
della notizia di reato, l’addebito si cristallizza nella formulazione dell’imputazione, che a sua volta
si risolve nell’indefettibile accertamento giurisdizionale.
L’art. 62 – di ampia portata – prescrive che le dichiarazioni comunque rese nel corso del
procedimento dall’imputato e dall’indagato non possono formare oggetto di testimonianza.
Caratteristiche del divieto:
1. investe non solo le dichiarazioni sollecitate, ma anche quelle rilasciate dal soggetto di
propria iniziativa
2. vale nei confronti di coloro a carico dei quali emergano indizi di reità per effetto delle
dichiarazioni rese e di coloro che fin dall’inizio dovevano essere sentiti in qualità di
imputato o di indagato
3. copre le dichiarazioni rese, nel contesto del procedimento, dinnanzi all’autorità giudiziaria,
alla polizia giudiziaria, nonché ad altre persone abilitate a riceverle; di conseguenza, la
regola di esclusione probatoria non si sovrappone, ma è più ampia del regime di
incompatibilità a testimoniare ex art. 197 lett. d, nei confronti del giudice, del pm e dei loro
ausiliari; non solo: per effetto di interpretazione estensiva della corte cost., il divieto vale
anche nei confronti di ogni altra persona che abbia inteso le dichiarazioni, rese
dall’imputato in occasione del compimento di un qualsiasi atto della sequenza
procedimentale.
*Pertanto, sono escluse dal novero soltanto le dichiarazioni rilasciate prima dell’avvio o al
di fuori del procedimento (c.d. res gestae)
4. infine, poiché il divieto ha natura oggettiva, è inibito l’ingresso pure alla testimonianza di
chi riferisca il contenuto delle dichiarazioni, anche avendolo appreso da altri.
Questa regola esplica la sua funzione nei confronti delle dichiarazioni rese al di fuori
dell’assistenza di un difensore.
In definitiva, il legislatore ha voluto dare efficacia probatoria solo alla documentazione
appositamente redatta e utilizzabile entro i limiti stabiliti in funzione dello sviluppo
procedimentale.
L’inosservanza del divieto comporta la sanzione processuale dell’inutilizzabilità.
Il presupposto comune è che da tali dichiarazioni emergano indizi di reità – anche non gravi, ma
non meri sospetti – a carico di chi non è (ancora) imputato o indagato.
Quando emergono gli indizi, in capo all’autorità procedente sorgono tre obblighi:
1. interrompere l’esame e l’eventuale assunzione di informazioni
2. avvertire la persona dichiarante che potranno essere svolte indagini nei suoi confronti per
effetto della mutuata veste processuale (mera eventualità di future indagini)
*in modo alquanto discutibile la norma non contempla l’obbligo di avvertire l’indiziato che
le sue dichiarazioni potranno sempre essere utilizzate nei suoi confronti -> non è avvisato
degli effetti sfavorevoli che potrebbero scaturire da ulteriori dichiarazioni rese prima
dell’inizio dell’interrogatorio o delle sommarie informazioni
3. invitare la persona che ha rilasciato le dichiarazioni indizianti a nominare un difensore
L’art. 63 comma 2 prevede invece l’ipotesi in cui un soggetto, che dovrebbe già essere imputato o
sottoposto a indagini, sia sentito fin dall’inizio senza che l’autorità procedente faccia risultare
siffatta qualità.
In questo caso si suppone che la doverosa applicazione delle regole del contraddittorio sia stata
illegittimamente disattesa dall’organo che procede.
L’accertamento della qualifica soggettiva del dichiarante spetta solo al giudice di merito, che deve
farlo in termini sostanziali, prescindendo da ogni riscontro formale.
La conseguenza è l’inutilizzabilità assoluta delle dichiarazioni rese, quindi anche nei
confronti di coloro che dalle dichiarazioni sono comunque coinvolti (c.d. patologica)
*La ratio sta nella volontà di disincentivare l’adozione di comportamenti contra legem intesi ad
acquisire dichiarazioni accusatorie a carico di terzi.
L’interrogatorio
A. Nella fase delle indagini preliminari, il pm procede all’interrogatorio della persona
sottoposta a misura cautelare personale, ad arresto o a fermo, nonché di chi si trova a
piede libero mediante invito a presentarsi (se non vi ottempera, l’accompagnamento
coattivo deve essere autorizzato dal giudice).
Egli è libero di scegliere il momento in cui assumere l’atto, salvo che si tratti di persona
sottoposta a custodia cautelare (l’interrogatorio del giudice deve precedere quello del pm).
Inoltre, il titolare dell’accusa è libero di non procedervi nel corso delle indagini, se vuole
chiedere l’archiviazione (che sarà inaudita altera parte).
Tuttavia, se non intende formulare la richiesta, deve notificare un avviso di conclusione
delle indagini all’indagato e al suo difensore, contenente l’avvertimento che l’indagato ha
facoltà do presentarsi per rilasciare dichiarazioni ovvero chiedere di essere sottoposto ad
interrogatorio.
Il pm è tenuto a procedere all’interrogatorio, se il soggetto lo richiede, e se non osserva la
prescrizione suddetta o non invia l’avviso si avrà nullità della richiesta di rinvio a giudizio o
del decreto di citazione a giudizio.
Infine, se il pm vuole innescare il giudizio immediato, deve procedere (o almeno disporre)
all’interrogatorio sui fatti dai quali emerge l’evidenza della prova.
Dal punto di vista delle modalità del suo svolgimento è disciplinato in modo da assicurarne la
natura di strumento di difesa:
- assistenza tecnica – diritto del difensore di essere avvisato del compimento dell’atto così
da potervi sempre assistere (la sua presenza è talora condizione di validità dell’atto)
- difesa personale – gli art. 64 e 65 lo modellano in maniera idonea a garantire una
partecipazione libera e cosciente da parte del soggetto
N.B. il sistema realizza l’obiettivo di equiparare le modalità di svolgimento di altre figure a quelle
dell’interrogatorio dell’imputato:
- sommarie informazioni assunte dagli ufficiali di polizia
- dichiarazioni degli imputati in un procedimento connesso o di un reato collegato
- dichiarazioni rilasciate dalla persona sottoposta alle indagini a seguito della presentazione
spontanea al pubblico ministero
Nel corso dell’interrogatorio non possono essere impiegati, ancorché con il consenso della
persona sottoposta, metodi o tecniche idonei ad influire sulla libertà di autodeterminazione o ad
alterare le capacità mnemoniche o valutative (preclude l’utilizzo di strumenti come l’ipnosi, la
narcoanalisi, il lie-detector …)
concezione dell’interrogatorio come sede di dichiarazioni liberamente prestate in assenza
di ogni condizionamento psicologico.
In questo quadro si colloca l’art. 64 comma 3, contenente il nucleo essenziale della disciplina del
diritto al silenzio della persona sottoposta a interrogatorio.
Prima che inizi l’interrogatorio vero e proprio, l’organo procedente ha l’obbligo di rivolgere
alla persona interrogata un triplice avvertimento:
1. (lett. a) il soggetto deve essere edotto che le dichiarazioni che renderà potranno essere
utilizzate nei suoi confronti
2. (lett. b) deve essere avvertito che, fermo restando l’obbligo di fornire le proprie generalità,
gli compete la facoltà di non rispondere ad alcuna domanda, ma che in ogni caso il
procedimento proseguirà il suo corso
Per garantire effettività a tali prescrizioni, alla loro omissione è ricollegata l’inutilizzabilità
assoluta delle dichiarazioni – tanto nei confronti dell’interrogato, quanto dei terzi
3. (lett. c) deve altresì essere avvertito che, se renderà dichiarazioni sui fatti che concernono
la responsabilità di altri (chiamata in correità), assumerà in ordine a tali fatti l’ufficio di
testimone -> attribuzione coattiva della qualifica.
A tutela del diritto di difesa e della presunzione di non colpevolezza, la norma fa salve le
incompatibilità a testimoniare ex art. 197, nonché le garanzie inerenti alla conduzione
dell’esame testimoniale ed il regime di utilizzabilità delle dichiarazioni contro chi le ha rese.
*La ratio è di bilanciare il diritto di difesa dell’indagato con il diritto della persona da lui
accusata di poter procedere, in dibattimento, al controesame del dichiarante.
Anche al mancato avvertimento in parola fa seguito una duplice sanzione:
o la persona interrogata non potrà assumere, in ordine ai fatti riferiti e concernenti la
responsabilità di altri, l’ufficio di testimone
o le dichiarazioni eventualmente rese contra alios non saranno utilizzabili nei
confronti dei terzi coinvolti, ferma restando la loro utilizzabilità nei confronti del
dichiarante.
N.B. L’avviso della facoltà di non rispondere deve essere somministrato, ai sensi di una direttiva UE
del 2012, anche subito dopo l’esecuzione delle più severe restrizioni della libertà personale; il
giudice dovrà poi verificare, in sede di interrogatorio, che alle persone sottoposte a misure
cautelari personali sia stata data la dovuta comunicazione e, se del caso, provvedere a dare o
completare la comunicazione o l’informazione.
Analogamente in caso di arresto e di fermo, salvo farlo nell’immediatezza oralmente.
Dall’esercizio del diritto di non rispondere – ossia di non collaborare – l’organo procedente non
può ricavare conseguenza alcuna, in quanto insindacabile espressione del diritto di difesa
personale.
L’art. 65 detta le prescrizioni per l’interrogatorio nel merito, che entrano in gioco quando il
soggetto dichiari di voler rispondere:
*carattere specifico perché operano esclusivamente per l’atto assunto dall’autorità giudiziaria
- obbligo di contestare in forma chiara e precisa alla persona il fatto attribuitole
- obbligo di renderle noti gli elementi di prova
- obbligo di comunicargliene le fonti, se non ne deriva pregiudizio per le indagini
- invito ad esporre quanto la persona ritenga utile per discolparsi*
- mancata riproduzione dell’invito a indicare le fonti di prova a proprio favore*
- assenza dell’obbligo di dire la verità (salvi i limiti dati dalle norme che incriminano
l’autocalunnia, la calunnia e il favoreggiamento personale) *
- facoltà di non rispondere a singole domande sul merito, benché di ciò debba farsi
menzione nel verbale*
*espressione dell’interrogatorio come strumento di difesa.
Le domande sono poste in via diretta dal solo organo procedente.
B. Identità fisica:
coincidenza tra la persona nei cui confronti è esercitata l’azione penale e quella in effetti
assoggettata a processo.
*Può difettare ad esempio nel caso di omonimia (al vero imputato si sostituisce quello apparente)
Se il dubbio sorge:
- nella fase delle indagini preliminari, è il pm a dover disporre gli accertamenti del caso;
N.B. il codice non affronta il problema dell’errore sull’identità fisica nel corso delle indagini
preliminari (occupandosene solo in sede di esecuzione) -> sopperisce l’ampia formulazione
dei casi che consentono al pm di richiedere il decreto di archiviazione (art. 411)
- nel processo, le determinazioni in materia saranno tratte dal giudice dell’udienza
preliminare o del dibattimento;
se risulta l’errore, il giudice dovrà pronunciare sentenza ex art. 129 (immediata
declaratoria di una causa di non procedibilità)
N.B. si tratta di una sentenza meramente processuale e non di merito, per cui sfornita di
efficacia preclusiva -> la persona erroneamente estromessa dal processo torna ad esservi
assoggettata se risulti essere il vero imputato
*L’incertezza sull’età minorile è sciolta dal giudice minorile – specializzato – con le forme di quel
rito -> in caso l’autorità giudiziaria ritenga che l’imputato o l’indagato sia minorenne, trasmette gli
atti al procuratore della Rep presso il tribunale minorile
C. Esistenza in vita:
l’incertezza non è più disciplinata dal codice.
Premesso che non conta la dichiarazione di morte presunta pronunciata dal giudice civile, se il pm
risolve il dubbio nel senso della morte – causa estintiva del reato – chiede l’archiviazione;
invece, se viene accertata nel corso del giudizio, il giudice proscioglie.
N.B. la relativa declaratoria è subordinata alla gerarchia delle formule ex art. 129 -> il giudice può
comunque adottare la formula di merito se il fatto non sussiste, l’imputato non l’ha commesso o il
fatto non costituisce reato.
*L’esito rileva ai fini dell’efficacia della sentenza nel giudizio civile o amministrativo di danno
intentabile contro gli eredi.
Infine, la sentenza erroneamente dichiarativa dell’estinzione del reato per morte non impedisce
un nuovo esercizio dell’azione penale per il medesimo fatto a carico della medesima persona
deroga al principio del ne bis in idem!
(Quando non deve essere pronunciata sentenza di non luogo a procedere o proscioglimento ex
art. 129) la valutazione sull’esistenza dell’infermità di mente:
- non è necessariamente subordinata all’esito di un’indagine peritale -> il giudice può
persuadersi sulla base di perizie appena espletate o di manifestazioni conclamate
- può essere ottenuta con una perizia psichiatrica, la cui disposizione porta limitazioni
all’attività giudicante (paralisi parziale) -> assunzione, solo su richiesta delle parti, delle sole
prove che possono condurre al proscioglimento o altre prove in caso di pericolo nel ritardo.
Durante le indagini preliminari, la perizia è disposta dal gip solo su richiesta delle parti con
le forme dell’incidente probatorio*.
Accertata l’incapacità processuale, pur reversibile, il giudice emette ordinanza di sospensione del
procedimento (art. 71 comma 1) -> effetti:
- obbligo di nominare un curatore speciale a favore dell’imputato, dotato di ampi diritti
- assunzione delle prove con le condizioni e i limiti stabiliti per l’espletamento della perizia
psichiatrica*
- obbligatoria separazione del processo
- inoperatività della regola ex art. 75 comma 3 circa la sospensione del processo civile
- anteriormente consisteva anche in una causa di sospensione del termine di prescrizione del
reato; tuttavia si era creato il problema dei c.d. “eterni giudicabili” -> imputati affetti da
infermità psichica irreversibile che restano assoggettati alla giurisdizione penale per tutto il
resto della loro vita.
Sul punto si era pronunciata la Corte costituzionale, prima con sentenza monito al
legislatore circa l’inaccettabilità della situazione, poi dichiarando l’illegittimità
costituzionale della disciplina della prescrizione per irragionevolezza: gli effetti permanenti
contrastano con il progressivo venir meno dell’interesse punitivo cella comunità e con il
diritto all’oblio. Da ciò la necessità che l’irreversibilità della condizione mentale non
impedisca la decorrenza della prescrizione, per cui il giudice deve pronunciare sentenza di
non luogo a procedere per intervenuta estinzione del reato
Nel 2017 è stato introdotto con riforma l’art. 72-bis: se dagli accertamenti risulta che lo
stato mentale è tale da impedire la cosciente partecipazione al procedimento in maniera
irreversibile, il giudice revoca l’ordinanza sospensiva ed emette sentenza di non luogo a
procedere o di non doversi procedere.
Crea una condizione di improcedibilità che prevale su ogni altra formula di proscioglimento
ex art. 129
La riforma opera anche nei confronti dei reati imprescrittibili (puniti con l’ergastolo)
L’art. 72-bis non si applica alle fattispecie in cui si debba attuare una misura di sicurezza diversa
dalla confisca; per esse è imposto lo svolgimento di accertamenti periodici sulla permanenza della
pericolosità sociale, ma comunque per prevenire l’ipotesi di c.d. “ergastoli bianchi” è stabilito
anche un termine di durata massima per le misure di sicurezza detentive.
*L’unico caso in cui permane il problema dell’eterno giudicabile è il seguente: imputato,
irreversibilmente incapace, a cui sia stato addebitato un reato imprescrittibile, sottoposto a misura
di sicurezza detentiva con accertamenti periodici che continuano a dare esito positivo circa la
permanenza della pericolosità.
La parte civile
Si colloca tra le parti c.d. eventuali (poiché il processo può prescindere dalla loro presenza);
il suo intervento è finalizzato a ottenere le restituzioni o il risarcimento del danno ricollegabili al
reato oggetto dell’accertamento in sede penale.
*Nel sistema codicistico previgente vi era una forte sollecitazione nei confronti dei soggetti
legittimati ad inserire la pretesa restitutoria o risarcitoria all’interno del processo penale;
≠
invece, nel nuovo contesto processuale, sebbene non si sia optato per una totale autonomia tra
processo penale e civile avente ad oggetto le obbligazioni da reato, tale sollecitazione è venuta
meno, anzi risulta orientata in senso opposto.
Il danneggiato si costituisce parte civile per mezzo di un procuratore speciale – difensore munito di
una procura ad hoc, ma non è legittimato un sostituto eventualmente nominato dal difensore.
La parte civile può stare in giudizio solo per mezzo del difensore con procura speciale
Ai fini di una regolare costituzione, devono essere rispettate, a pena di inammissibilità, tutte le
formalità previste all’art. 78.
Nel caso di carenza di capacità processuale, il danneggiato deve essere rappresentato, assistito o
autorizzato, nelle forme prescritte per l’esercizio delle azioni civili.
L’art. 77 prevede due correttivi al caso in cui sia impedito l’inserimento dell’azione civile all’interno
del processo penale:
1. eventuale nomina di un curatore speciale
a. nel caso in cui manchi la persona a cui potrebbe spettare la rappresentanza o
l’assistenza e ricorrano ragioni d’urgenza
b. oppure quando sussista conflitto di interessi tra l’incapace e il suo legale
rappresentante
2. si consente che il pubblico ministero eserciti l’azione civile, solo sul presupposto di
un’assoluta urgenza, nell’interesse del minore o dell’infermo, finché non subentri il legale
rappresentante o il curatore speciale
N.B. le ordinanze con cui la parte civile viene ammessa o esclusa sono di carattere meramente
processuale, quindi non hanno alcuna ulteriore implicazione:
- l’ammissione non pregiudica la successiva decisione sul suo diritto alle restituzioni e al
risarcimento del danno;
- l’esclusione è priva di riflessi sull’esercizio dell’azione civile in sede propria
2. revoca -> esodo volontario, spontaneo recesso del danneggiato che può avvenire in due
modi:
a. espressa, in ogni stato e grado del procedimento, mediante apposita dichiarazione,
resa personalmente o per mezzo di un procuratore speciale (forma orale se in
udienza, o mediante atto scritto da depositare in cancelleria e notificare alle parti)
b. tacita, o meglio presunta, nelle ipotesi tassativamente previste dall’art. 82 comma
2, ovvero in caso di mancata presentazione, in sede di discussione dibattimentale,
delle conclusioni riservate al difensore della parte civile, oppure il promovimento
dell’azione di danno davanti al giudice civile
N.B. la revoca non preclude il successivo esercizio dell’azione aquiliana in sede propria
L’art. 75, occupandosi delle possibili interferenze tra processo penale e parallela azione di danno
esercitata davanti al giudice civile, ha optato a favore dell’autonomia dei rispettivi giudizi:
- il comma 1 disciplina la trasferibilità nel processo penale dell’azione già promossa dal
danneggiato nel processo civile -> subordinata a due condizioni:
o una attinente allo stadio di progressione del giudizio a quo, per cui l’azione iniziata
in sede civile può essere trasferita in sede penale solo fino a che non sia intervenuta
in sede civile una sentenza di merito, anche non definitiva
o una attinente invece al giudizio ad quem, per cui non è consentito l’inserimento
dell’azione civile nel processo penale oltre il termine finale previsto per la
costituzione di parte civile.
Lo spostamento di sede processuale comporta l’estinzione del giudizio civile per rinuncia
agli atti e la devoluzione al giudice penale della decisione sulle spese afferenti al processo
civile interrotto.
- il comma 2 prevede che l’azione di danno esercitata nella sede naturale possa procedere in
assoluta autonomia rispetto al parallelo processo penale.
Ciò deve essere coordinato con gli art. 651 e 652, per cui la sentenza penale di condanna
irrevocabile ha efficacia di giudicato nel giudizio civile (a favore del danneggiato), mentre
non vale lo stesso per la sentenza assolutoria.
- il comma 3 prevede in via di eccezione che il processo civile rimanga sospeso, in attesa del
giudicato penale, quando l’azione sia stata proposta in sede civile
o dopo la sentenza penale di primo grado
o dopo la precedente costituzione di parte civile nel processo penale
*comunque, sono fatte salve le eccezioni previste dalla legge, per cui il processo civile
prosegue senza interruzioni quando l’esodo dal processo penale sia dipeso da una
situazione subita dal danneggiato, e non da una sua libera scelta (vedi elencazione).
Il responsabile civile
Si tratta di un soggetto – persona fisica o ente plurisoggettivo (anche non personificato) – tenuto
ex art. 185 comma 2 c.p., a norma delle leggi civili*, a rispondere per il fatto dell’imputato.
Egli dunque è obbligato in solido con il protagonista del processo penale.
Il danneggiato può agire per le restituzioni o per il risarcimento anche nei suoi confronti.
Il giudice procedente ordina la citazione con decreto, il cui contenuto è indicato art. 83 comma 3
N.B. tralascia inspiegabilmente un elemento essenziale della vocatio in iudicium – l’indicazione
della data e del luogo dell’udienza, rispetto alla quale deve essere garantita l’osservanza dei
termini dilatori -> occorre interpretazione correttiva che lo preveda.
Il decreto è notificato a cura della parte civile alle parti che potrebbero avere interesse
all’estromissione.
La citazione è nulla se, per omissione o erronea indicazione di elementi essenziali, il resp. civ. non
sia stato in grado di esercitare i suoi diritti nell’udienza preliminare o nel giudizio, ovvero se risulta
nulla la notificazione.
Ex art. 84 comma 1, il resp. civ. regolarmente citato non è per ciò solo tenuto a intervenire nel
processo -> può rinunciare a costituirsi, ma ciò non neutralizza il potere del giudice di addebitargli
in sentenza la responsabilità per il fatto dell’imputato.
Costituzione:
- il resp. civ. può costituirsi in ogni stato e grado del giudizio, depositando nella cancelleria o
presentando in udienza una dichiarazione contenente a pena di inammissibilità gli elementi
ex art. 84 comma 2.
- sta in giudizio per mezzo di un difensore
- gli è estesa la regola dell’immanenza della costituzione
La sua assenza – se la citazione è regolare – non determina la sospensione o il rinvio del
dibattimento, né una nuova fissazione dell’udienza preliminare
B. Intervento volontario:
qualora non sia stato citato, il resp. civ. può intervenire di propria iniziativa nel processo, sempre
che vi sia stata costituzione di parte civile.
*Se decidesse di non intervenire non potrebbe essere pronunciata condanna nei suoi confronti e
non subirebbe l’efficacia extrapenale di un eventuale giudicato di condanna; tuttavia, ne
deriverebbe un notevole pregiudizio in sede civile.
Per la forma dell’intervento vale quanto disposto dall’art. 84 commi 1 e 2, con riferimento alla
costituzione su richiesta di parte
Termine finale a pena di decadenza -> effettuazione, nel dibattimento di primo grado, degli
accertamenti relativi alla costituzione delle parti.
Anche qui se avviene oltre al termine esclude la facoltà di presentare la lista di testimoni, periti e
c.t.
C. Esclusione:
oltre alle ipotesi di estromissione suddette, vi è la possibilità di una sua esclusione
- su richiesta di parte o d’ufficio -> le parti legittimate sono l’imputato, la parte civile o il pm,
che non abbiano chiesto la sua citazione
- volontaria -> lo stesso resp. civ. può chiedere la propria esclusione oltre che per ragioni
legate alla legittimazione, anche qualora gli elementi di prova raccolti prima della citazione
possano recare pregiudizio alla sua difesa
La richiesta non deve avvenire oltre il termine degli accertamenti relativi alla costituzione delle
parti.
Viene accolta con ordinanza dal giudice quando:
- è accertata la mancanza dei requisiti per citazione o intervento
- è accolta dal giudice la richiesta di giudizio abbreviato (per via della sua stessa fisionomia,
in quanto implica una decisione “allo stato degli atti”, cioè sulla base del materiale
probatorio raccolto durante le indagini preliminari, alle quali il resp. civ. è estraneo)
Vale anche per il resp. civ. la rilevanza meramente processuale dei provvedimenti di ammissione
ed esclusione.
N.B. se l’esclusione è stata deliberata su istanza della parte civile, viene meno per il danneggiato la
possibilità di esercitare l’azione riparatoria ex delicto in sede propria.
Il civilmente obbligato per la pena pecuniaria e l’ente responsabile per l’illecito amministrativo
dipendente da reato
A. una persona (fisica o giuridica) può essere assoggettata, in via sussidiaria ed eventuale, ad
una obbligazione civile pecuniaria pari all’importo della multa o dell’ammenda inflitta al
condannato, quando quest’ultimo risulta insolvibile.
Non è ammessa l’intervento volontario del civilmente obbligato (al quale non avrebbe
interesse)
È invece prevista la sua citazione – per l’udienza preliminare o per il giudizio – su richiesta:
o del pubblico ministero, il quale ha interesse a che la sanzione pecuniaria inflitta non
resti infruttuosa
o dell’imputato, il quale ha interesse a che la pena pecuniaria insoluta non si converta
in libertà controllata o lavoro sostitutivo (pene incisive della libertà personale)
Per quanto riguarda citazione, costituzione ed esclusione l’art. 89 comma 2 rinvia alla
normativa prevista per il responsabile civile, ad eccezione dell’art. 87 comma 3 (il civ.
obbligato non viene escluso dal giudice che accoglie la richiesta di giudizio abbreviato)
Il codice gli riserva un ruolo non particolarmente incisivo, a differenza delle fonti sovrannazionali
europee, in cui si prevede a carico dei singoli Stati il compito di assicurare un ruolo effettivo e
appropriato alla vittima che intervenga nel processo penale.
In particolare, la direttiva 2012/29/UE detta norme minime (che quindi non impediscono agli Stati
di prevedere standard più elevati) in materia di diritti, assistenza e protezione;
la volontà è di evitare il deleterio paradosso della c.d. vittimizzazione secondaria.
Proprio grazie all’influenza delle direttive europee, il legislatore italiano ha integrato la normativa
codicistica, considerando più attentamente le esigenze della persona offesa -> maggiori garanzie:
- disposizioni per il contrasto della violenza di genere
- introduzione dell’incidente probatorio c.d. protetto, quando tra i soggetti, anche
maggiorenni, interessati all’assunzione della prova figuri una persona offesa che versi in
condizione di “particolare vulnerabilità” (diritti in tema di audizione della persona offesa)
il d.lgs. attuativo 212/2015 ha introdotto l’art. 90quater in cui vengono indicati i criteri
dai quali è desumibile la suddetta condizione:
o età della vittima
o eventuale stato di infermità o deficienza psichica
o tipo di reato
o modalità e circostanze del fatto per il quale si procede
qualora si riscontri la particolare vulnerabilità, alla persona offesa devono essere assicurate
varie forme di tutela, tutte accomunate dall’intento del legislatore di rispettare, mediante
la creazione di un’apposita normativa di favore, la fragilità psico-emotiva di persone
seriamente ferite dal reato commesso nei loro confronti.
- ordine di protezione europeo, che consente di estendere al territorio di altro Stato
membro nel quale la persona risieda le misure:
o ex art. 282bis allontanamento dalla casa familiare
o ex art. 282ter divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona
*la persona ha diritto ad essere informata della revoca di queste misure
- indennizzo da parte dello Stato alle vittime di un reato intenzionale violento, anche se
commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui il richiedente risiede (d.lgs.
122/2016)
*Ad ogni modo, gli interventi del legislatore sono, oltre che privi di sistematicità, inadeguati per
difetto rispetto alle direttive europee a cui intendevano dare attuazione.
N.B. Emerge chiaramente dal codice l’intenzione del legislatore di distinguere nettamente le
posizioni di persona offesa e di parte civile:
in particolare, ciò risulta ben riuscito nella fase delle indagini preliminari, dove la persona offesa ha
poteri incisivi mentre la parte civile è latente (si può costituire solo dopo l’esercizio dell’azione
penale);
invece dopo tale momento alla persona offesa vengono riconosciuti poteri assai ridotti;
comunque, spesso le qualifiche di danneggiato e persona offesa coincidono in capo al medesimo
soggetto, per cui quest’ultima è in grado di costituirsi parte civile.
I diritti e le facoltà della persona offesa
L’art. 90 comma 1 rinvia ai diritti e alle facoltà della persona offesa garantiti da specifiche
previsioni legislative e puntualizza che a prescindere da tali attribuzioni l’offeso è sempre
legittimato in via generale a:
- presentare memorie lungo l’intero arco del procedimento -> elaborati scritti di vario
contenuto con cui avanzare istanze, illustrare questioni o toccare temi rilevanti per il
processo; possono essere indirizzate al pm o al giudice procedente, ma in entrambe le
ipotesi non corrisponde, di regola, il loro dovere di deliberare sulle medesime.
- indicare elementi di prova in ogni stato e grado del procedimento (escluso il giudizio
davanti alla corte di cassazione) -> la sede naturale dell’esercizio di questo potere sono le
indagini preliminari, ma può essere esercitato anche nei confronti del giudice
N.B. il binomio “diritti” e “facoltà” dipende dalla diversa robustezza delle posizioni soggettive di cui
è titolare la persona offesa: se all’iniziativa di questa corrisponde una situazione di obbligo in capo
al destinatario (diritto) oppure no (facoltà).
*Un settore in cui è particolarmente valorizzato il ruolo della persona offesa è la sospensione del
processo con messa alla prova:
qui la sua partecipazione è assicurata non solo nell’udienza in cui si esaminano i presupposti della
sospensione, ma anche in quelle nelle quali si valuta l’esito della messa alla prova nonché
l’eventuale revoca della misura sospensiva.
A differenza di quanto previsto per le parti private, la legge autorizza, ma non obbliga, la persona
offesa a nominare un difensore (art. 101 comma 1) -> l’interessato quindi potrà validamente
operare anche in prima persona.
Ad ogni modo, la persona offesa ha diritto ad essere immediatamente informata di questa sua
facoltà.
2. un’integrazione al comma 3 dell’art. 90, per cui è sancita ope legis un’estensione soggettiva
delle prerogative riservate alla persona offesa, allorché quest’ultima sia deceduta in
conseguenza del reato: si avvantaggiano dell’estensione i prossimi congiunti e le persone
che oltre ad essere a essa legate da una relazione affettiva, convivano stabilmente con la
medesima (anche la parte di un’unione civile tra persone dello stesso sesso).
3. l’art. 90bis, in attuazione degli art. 4 e 6 della direttiva UE contenenti i diritti dell’offeso a
essere informato su una pluralità di profili della vicenda processuale che lo riguarda.
La persona offesa deve essere informata, in una lingua a lei comprensibile e sin dal primo
contatto con l’autorità procedente, circa i seguenti profili:
a. modalità di presentazione della querela
b. facoltà di ricevere comunicazioni sullo stato del procedimento
c. facoltà di essere avvisata della richiesta di archiviazione (a cui ha diritto di opporsi)
elencazione articolata dei diritti informativi riconosciuti alla persona offesa
N.B. nella prassi, tutte queste informazioni confluiscono in un atto scritto, dal tono
inevitabilmente burocratico, che risulta poco fruibile dalla stragrande maggioranza delle
persone offese.
Purtroppo, è stata scartata l’idea della commissione giustizia della camera dei deputati di
creare, all’interno di ogni tribunale, un apposito ufficio per le vittime di reato, che sarebbe
stato più idoneo a soddisfare il loro bisogno di conoscenza.
Quando l’ente non risulta direttamente danneggiato e non può quindi inserire la sua
pretesa risarcitoria nel processo mediante la costituzione di parte civile, può partecipare al
processo in veste di accusatore privato al fianco della persona offesa disposta ad accettare
il suo intervento, senza che ciò comporti alcun trasferimento di poteri.
N.B. la coincidenza di poteri non è perfetta: a parte le facoltà di presentare memorie e indicare
elementi di prova, l’ampiezza di diritti e facoltà riconosciuti in relazione a specifici contesti
processuali è diversa.
Gli art. 91 e 92 indicano i requisiti perché l’ente assuma la qualifica di soggetto processuale:
- che non abbia scopo di lucro
- che gli siano state riconosciute in forza di legge “finalità di tutela degli interessi lesi dal
reato”
- che il riconoscimento sia avvenuto anteriormente alla commissione del fatto per cui si
procede
attributi idonei ad un’appropriata caratterizzazione dell’ente collettivo e posti a garanzia
della sua affidabilità (art. 91)
- esigenza del costante consenso della persona offesa, che deve essere prestato con atto
pubblico o scrittura privata autenticata; è ammessa la possibilità di una revoca, con le
stesse forme della prestazione, in qualsiasi momento dell’iter processuale (dopo la revoca,
per la persona offesa è in assoluto esclusa la possibilità di essere nuovamente
fiancheggiata da un ente ex art. 91); inoltre, il consenso può essere prestato ad un unico
ente ed in caso contrario saranno inefficaci
rapporti intercorrenti tra ente medesimo e soggetto passivo del reato
Intervento:
il difensore dell’ente, munito di procura, deve presentare all’autorità procedente un atto di
intervento
- da notificare alle parti
- oppure presentandosi in udienza
il cui contenuto deve essere conforme, a pena di inammissibilità, alle indicazioni ex art. 93 comma
1; inoltre, deve presentare la dichiarazione di consenso della persona offesa.
L’intervento produce i suoi effetti in ogni stato e grado del giudizio.
Per quanto riguarda i limiti temporali, si hanno analogie con quanto previsto per le parti eventuali,
con un’importante differenza:
se è vero che il termine finale si colloca nella fase del dibattimento dedicata alla verifica della
regolare costituzione delle parti, il termine iniziale prevede che l’intervento si possa collocare già
nella fase delle indagini preliminari, anche prima dell’esercizio dell’azione penale
favor presentiae ricollegato al ruolo di accusatore privato
Estromissione:
può essere disposta dal giudice con ordinanza (inoppugnabile), in seguito ad un’opposizione di
parte oppure ex officio, allorché si riscontri un motivo di inammissibilità o un vizio attinente alla
capacità processuale del soggetto intervenuto.
Se l’intervento è avvenuto prima dell’esercizio dell’azione penale, la decisione compete al gip,
mentre sono competenti, rispettivamente, il gup e il giudice del dibattimento rispetto agli
interventi verificatisi in udienza preliminare e nel processo di primo grado, ferma restano
l’osservanza per la dichiarazione di opposizione dei termini stabiliti a pena di decadenza
(rispettivamente prima che sia dichiarata aperta la discussione e prima dell’accertamento sulla
costituzione delle parti).
Il giudice dispone d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento, l’estromissione quando
mancano i requisiti di legge per l’intervento: il dies a quo corrisponde all’inizio del processo, per
cui nella fase delle indagini preliminari, l’estromissione deve essere necessariamente collegata ad
un’opposizione di parte.
Il querelante
Anche se nel nostro sistema il regime prevalente è quello della procedibilità d’ufficio, per una serie
di reati espressamente indicati, l’esercizio dell’azione penale da parte del pm è subordinato ad
un’esplicita voluntas persecutionis:
la persona offesa o, in sua vece, gli altri soggetti menzionati agli art. 120 e 121 c.p. devono
esprimerla nella forma della querela
appartiene alla categoria delle notizie di reato e, più specificamente, alla sottocategoria
delle condizioni di procedibilità.
La posizione del querelante è di maggior rilievo rispetto a quella degli autori di altri tipi di notitiae
criminis, come si deduce dalle disposizioni che sanzionano con nullità la sua omessa citazione in
giudizio e che gli conferiscono la legittimazione ad impugnare il capo della sentenza che lo
condanna alla rifusione delle spese.
Tuttavia, il legislatore non lo ha annoverato tra i soggetti processuali.
Rinuncia:
*perché si possa procedere, occorre che non sia intervenuta
- opera automaticamente nei confronti di tutti gli autori del reato
- può essere espressa – ma non sottoposta a termini o condizioni – o tacita, cioè desumibile
da fatti incompatibili con la volontà di una posteriore iniziativa persecutoria
In questo contesto, il difensore dell’imputato – cui l’art. 99 comma 1 attribuisce le facoltà e i diritti
che la legge riconosce all’imputato stesso – viene investito di un ruolo più importante e di riflesso
più impegnativo:
deve non solo dimostrare la scarsa significatività degli elementi di prova a valenza accusatoria, ma
anche individuare e acquisire elementi probatori che scagionino l’imputato o alleggeriscano la sua
posizione.
A conferma della sua essenzialità, viene negato qualsiasi spazio all’ipotesi di un’esclusiva
autodifesa dell’imputato.
Al primo posto nel titolo VII del codice troviamo il difensore di fiducia dell’imputato:
- egli ha diritto a nominare non più di due difensori di fiducia, per cui si deve considerare
inefficace l’investitura di ulteriori difensori finché non sia stata revocata la nomina di
almeno uno dei due precedentemente indicati
- tre possibili modalità di nomina:
o dichiarazione orale resa dall’interessato all’autorità procedente
o dichiarazione scritta consegnata alla medesima dal difensore
o documento di nomina trasmessole con raccomandata
non è necessaria l’autentificazione dell’autografia del difensore e non si tratta di ipotesi
tassative -> in realtà è un atto a forma libera, il cui unico requisito è che esprima
chiaramente la scelta del suo autore; inoltre, la nomina può essere fatta in via preventiva,
cioè per l’eventualità che si instauri un procedimento penale
- il difensore deve essere in possesso dei requisiti richiesti dalla legge professionale per
assistere e rappresentare l’imputato nel processo a suo carico; diversamente si avrà un
vizio equiparabile all’assenza del difensore.
La nomina produce i suoi effetti, salvo che intervengano cause risolutive del rapporto contrattuale,
per tutto l’arco del processo di cognizione; inoltre, ai fini dell’istanza volta alla concessione di una
misura extracarceraria al proprio assistito (ormai condannato con sentenza irrevocabile), è
prevista una proroga automatica in executivis dell’investitura.
Per il soggetto la cui libertà personale è ristretta da una misura carceraria, la legge legittima i
prossimi congiunti della persona arrestata, fermata o sottoposta a custodia cautelare, ad attivarsi
in sua vece nominando il difensore; quest’ultimo cessa di operare non appena l’interessato
manifesti una diversa volontà.
Per evitare i condizionamenti della volontà ricollegabili allo stato di soggezione, è inoltre fatto
divieto agli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, nonché a tutti i dipendenti dell’amministrazione
penitenziaria, di dare consigli sulla scelta del difensore di fiducia.
Il difensore d’ufficio
Qualora l’imputato non abbia nominato un difensore di fiducia o ne sia rimasto privo, deve essere
assistito da un difensore d’ufficio:
- la sua presenza è da correlare all’imputato (anche se è stata introdotta la medesima
previsione pure per il testimone c.d. assistito)
- il suo ruolo è sussidiario rispetto a quello del difensore di fiducia, per cui cessa dalle
funzioni non appena l’imputato proceda alla nomina di quest’ultimo
- mentre il difensore di fiducia è libero di accettare la nomina, quello d’ufficio ha l’obbligo di
prestare il patrocinio salvo ricorrano giustificati motivi; in tal caso, dovrà nominare un
sostituto, altrimenti sarà tenuto ad avvisare immediatamente l’autorità giudiziaria perché
proceda a una nuova designazione
È diventata ancor più pregnante l’esigenza di adeguare l’istituto a criteri che ne garantiscano
l’effettività, soprattutto dopo l’entrata in vigore del nuovo art. 111 Cost., che sancisce il principio
del contraddittorio tra le parti in condizioni di parità e la possibilità per l’accusato di disporre del
tempo e delle condizioni necessarie per preparare al meglio la sua difesa
evitare che si aggravi la discriminazione a danno degli imputati con scarse risorse
economiche.
La regolamentazione della difesa d’ufficio è contenuta agli art. 97 comma 2 e 29 disp. att., così
come modificati dal d.lgs. 6 del 2015, con il proposito di garantire ad essa un più alto livello
qualitativo:
- i requisiti per essere iscritti nell’elenco nazionale dei difensori d’ufficio sono stati resi più
selettivi -> dimostrare di essere in possesso di almeno uno dei seguenti:
o partecipazione e superamento dell’esame di un corso di formazione e
aggiornamento professionale in materia penale
o iscrizione all’albo da almeno 5 anni, accompagnata da documentata esperienza
nella materia penale
o conseguimento del titolo di specialista in diritto penale
o ulteriori requisiti peculiari per il processo minorile
- i compiti di predisposizione e aggiornamento trimestrale dell’elenco dei difensori sono stati
trasferiti dai singoli ordini forensi al Consigli nazionale forense (più adeguato controllo sui
requisiti)
- nelle assegnazioni si è mirato ad ottenere un più alto tasso di automatismo, per ridurre il
più possibile le scelte discrezionali degli organi procedenti:
l’ufficio, con recapito centralizzato ed istituito presso l’ordine forense del capoluogo del
distretto di ogni corte d’appello, fornisce, sulla base di una selezione automatica, il
nominativo del difensore d’ufficio quando richiestogli dall’autorità/polizia giudiziaria.
*Però, per evitare che questo meccanismo si ritorca contro il soggetto a favore del quale è
progettato, si prevede di non fare ricorso alla procedura informatizzata quando la materia
oggetto della notitia criminis riguardi competenze specifiche (non viene però indicato come
debba procedersi in questo caso di deroga)
Nei casi in cui debba compiersi un atto per cui è richiesta la presenza del difensore e quest’ultimo
non sia stato reperito, non sia comparso o abbia abbandonato la difesa, la scelta del difensore
destinato a subentrare è stata resa più vincolata:
- l’iniziativa deve essere assunta dal pm o dalla polizia giudiziaria, con l’attivazione della
procedura informatizzata stabilita per la (prima) nomina.
Tuttavia, nei casi d’urgenza, previa adozione di un provvedimento motivato, si può
procedere alla designazione di un difensore – discrezionalmente individuato dall’organo
procedente – che sia immediatamente reperibile
- mentre, se spetta al giudice affrontare la situazione di stallo, questo – organo super partes
– può designare come sostituto un altro difensore immediatamente reperibile, senza che
quello originario sia soppiantato
- infine, se la necessità si palesa nel corso del giudizio, può essere nominato sostituto solo un
difensore che risulti iscritto nell’elenco dei difensori d’ufficio
Gli art. 116 e 117 del t.u. in materia di spese di giustizia si occupano della retribuzione del
difensore d’ufficio:
la persona sottoposta alle indagini viene tempestivamente informata del fatto che non le è
consentito fare a meno del difensore, nonché del suo obbligo di retribuire il dif. d’ufficio qualora
non sia ammessa al patrocinio a spese dello Stato.
Patrocinio dei non abbienti e poteri del difensore
La costituzione fa conseguire dalla proclamata inviolabilità del diritto di difesa la necessità
dell’impegno dello Stato ad assicurare ai non abbienti “i mezzi per agire e difendersi davanti ad
ogni giurisdizione” (art. 24 comma 3).
L’art. 98 rinvia a un’emananda legge sul patrocinio, ma anticipa menzionando un’ampia gamma di
destinatari:
- imputato
- persona offesa
- danneggiato che intenda costituirsi parte civile
- responsabile civile
Attualmente l’intera materia è disciplinata dal t.u. in materia di spese di giustizia (d.p.r. 115/2002):
il soggetto ammesso al patrocinio sceglie quale difensore un libero professionista, il cui compenso
viene poi liquidato dall’autorità giudiziaria ed è a carico dello Stato.
L’art. 81 contempla l’istituzione, presso ogni consiglio dell’ordine, di un elenco degli avvocati
idonei ad essere nominati difensori da colui che è ammesso al patrocinio.
Circa l’inserimento nell’elenco delibera il consiglio dell’ordine, che valuta una serie di requisiti.
La l. 25/2005 specifica che è necessaria un’esperienza professionale specifica, ma che è comunque
sufficiente l’iscrizione all’albo degli avvocati da almeno due anni.
*Art. applicabile a tutte le ipotesi di gratuito patrocinio
L’art. 80 invece rimuove una condizione limitativa ammettendo la nomina del difensore anche
extra districtum, precisando che in tal caso non saranno dovute le spese e le indennità di trasferta
previste dalla tariffa professionale.
Per ovviare al rischio che vengano ammessi soggetti i quali, contrariamente alle loro attestazioni,
non versino in realtà nella situazione di “non abbienza”, si è previsto che l’istanza vada respinta
qualora il tenore di vita, le condizioni personali e familiari, nonché le attività economiche
eventualmente svolte dal richiedente offrano al giudice fondati motivi per ritenere – anche in base
alle verifiche effettuate dalla Guardia di finanza – che il reddito da prendere in considerazione
superi il tetto stabilito dalla legge.
Inoltre, vige una presunzione circa il superamento del livello di reddito richiesto, per il soggetto già
condannato con sentenza definitiva a determinati reati “ostativi”:
- associazione a delinquere di stampo mafioso (nonché i delitti comuni ad essa ricollegati)
- associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti o al contrabbando
di tabacchi lavorati esteri
N.B. La presunzione aveva inizialmente carattere assoluto e prescindeva da quanto fosse remota
nel tempo la condanna, ma una sentenza della Corte cost. ha dichiarato parzialmente illegittima la
norma, rendnedo superabile la presunzione de qua tramite un’idonea prova contraria
(trasformandola in relativa).
Ambito di applicazione:
la copertura garantita al soggetto ammesso al patrocinio è stata estesa dal processo principale a
tutte le eventuali procedure, derivate e incidentali, comunque connesse.
In questa formulazione omnicomprensiva si devono ritenere ricomprese anche le procedure
davanti agli organi giurisdizionali internazionali, in particolare alla Corte europea dei diritti
dell’uomo.
Effetti:
anche se inizialmente non figurava nel novero, il difensore del soggetto ammesso può oggi
nominare
- un sostituto
- un investigatore privato autorizzato
- un consulente tecnico (direttamente il soggetto)
Scelte consentite anche al di fuori dell’ambito distrettuale.
Il difensore delle parti eventuali, della persona offesa e degli enti rappresentativi di interessi lesi dal
reato
Poiché le altre parti private diverse dall’imputato sono portatrici di diversi interessi, anche la
regolamentazione della difesa tecnica è differente:
la parte civile, il responsabile civile e la persona civilmente obbligata stanno in giudizio col
ministero di un solo difensore (nomine in soprannumero – art. 24 disp. att.) munito di procura
speciale
- relativa al processo in corso
- che si presume conferita solo per un determinato grado, salvo espressione di diversa
volontà nell’atto
- apposta in calce o a margine degli atti con cui avviene l’ingresso della parte nel processo
- l’autografia della cui sottoscrizione è certificata dal difensore
- oppure conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata
Poteri:
- quale rappresentante della parte privata, il difensore può compiere e ricevere tutti gli atti
del procedimento, tranne quelli riservati espressamente al rappresentato, il cui domicilio è
automaticamente eletto presso il difensore stesso
- solo con procura ad hoc può compiere atti di disposizione del diritto in contesa
La presente normativa opera anche nei confronti degli enti rappresentativi degli interessi
lesi dal reato.
≠
Lo stesso non vale per quanto riguarda la persona offesa (non parte ma soggetto proc.):
per essa la nomina di un difensore è solo facoltativa!
Al difensore eventualmente nominato però spetta:
- l’esercizio dei diritti e facoltà riconosciuti alla persona offesa
- il potere, riconosciuto al difensore in quanto tale, di presentare in ogni stato e grado del
processo memorie e richieste
- infine, è legittimato a svolgere le investigazioni difensive
Per la nomina rileva unicamente la volontà del difensore, in quanto non è più richiesto addurre un
caso di impedimento; anzi, la l. sulle indagini difensive ha introdotto la possibilità della nomina di
un sostituto anche per mere esigenze di organizzazione interna dell’ufficio della difesa.
Tutto dipende dall’adeguamento a canoni deontologici.
*Una facoltà così ampia di sostituzione rischia di ripercuotersi negativamente sul principio di
effettività:
caso limite – difensore d’ufficio che, dopo essere stato ritualmente investito ex art. 97, nomini un
sostituto per tutta la durata del procedimento.
Ciò è consentito dalla legge; infatti all’art. 30 comma 3 disp. att. si prevede che si attivi
la procedura per una nuova investitura solo se il difensore d’ufficio, impossibilitato ad
adempiere l’incarico, non abbia provveduto a nominare un sostituto.
1. Ispezioni e perquisizioni
se effettuate negli uffici dei difensori – qualunque sia la parte o il soggetto assistiti – sono
consentite in sole 2 ipotesi:
a. quando il difensore o altre persone che svolgono stabilmente la loro attività nel suo
ufficio sono indagati o imputati -> gli atti devono essere finalizzati esclusivamente
all’accertamento del reato ad essi attribuito
b. quando si tratta di rilevare – a prescindere da chi sia imputato – tracce o altri effetti
materiali del reato ovvero di ricercare cose o persone specificamente
predeterminate
Disposizione completata da quella che limita in negativo il materiale sequestrabile presso i
difensori, investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento,
consulenti tecnici:
sono sottoponibili a sequestro le carte e documenti relativi all’oggetto della difesa solo
quando costituiscano il corpo del reato
N.B. il divieto opera anche in relazione all’attività difensiva concernente un diverso
procedimento.
2. Regole procedurali
operano su un duplice versante:
a. avviso che, a pena di nullità, l’autorità giudiziaria deve comunicare al locale
consiglio dell’ordine per consentire al presidente o ad un suo delegato di
presenziare alle operazioni
b. limitazione inerente ai soggetti legittimati a procedere -> devono agire in prima
persona, senza possibilità di delegare l’atto alla polizia giudiziaria, il giudice o,
durante le indagini preliminari, il pubblico ministero
Profilo sanzionatorio:
oltre ai divieti di utilizzazione ex art. 271 e la nullità ex art. 103 comma 3, in caso di inosservanza
delle rimanenti disposizioni i risultati delle operazioni compiute non possono essere utilizzati.
Per neutralizzare poi i condizionamenti che possono scaturire dalla conoscenza delle
intercettazioni contra legem, ex comma 7 art. 103 il loro contenuto non può essere trascritto
neppure sommariamente e nel verbale ci si limita a dare atto della data, ora e dispositivo su cui la
registrazione è avvenuta.
Il colloquio del difensore con l’imputato privato della libertà personale
La normativa previgente prevedeva che l’imputato in vinculis potesse avere il primo colloquio col
difensore solo dopo la conclusione degli interrogatori; tuttavia, la legge delega gli ha riconosciuto il
diritto di conferire immediatamente o comunque non oltre sette giorni dal momento in cui è stato
eseguito il provvedimento limitativo della libertà personale.
N.B. il tempestivo colloquio col difensore deve essere contemperato con le esigenze di carattere
investigativo, per cui è stata introdotta un’eccezione alla regola:
in presenza di specifiche ed eccezionali ragioni di cautela, è consentita la dilatazione del colloquio
con il difensore per un termine non superiore a cinque giorni.
Inizialmente ciò era possibile a prescindere dal tipo di reato addebitato al soggetto sottoposto alle
indagini; tuttavia attualmente l’intervento operato dall’art. 1 comma 25 della l. 103/2017 ha
stabilito che sia consentito rinviare il colloquio solo quando si proceda per i delitti di cui all’art. 51
commi 3bis e 3quater, cioè quelli rispetto ai quali la direzione delle indagini è affidata alla c.d.
procura distrettuale.
Intento del legislatore italiano di adeguarsi a direttiva 2013/48/UE, al cui art. 3 § 2 lett. c
prevede che dopo la privazione della libertà personale, agli indagati e agli imputati debba
essere riconosciuto il diritto di avvalersi del difensore senza indebito ritardo.
*La soluzione del legislatore italiano del 2017 tuttavia presenta dubbi di compatibilità con questa
direttiva, soprattutto in relazione alla disposizione che, in circostanze eccezionali, ammette come
unica giustificazione di un ritardato contatto col difensore la “lontananza geografica” tra
quest’ultimo e il suo assistito (e non determinati tipi di reato).
N.B. se la motivazione del decreto in cui si esplicano le specifiche ed eccezionali ragioni di cautela,
poste a fondamento dell’opzione dilatoria, difetta o è insufficiente, la sanzione è la nullità,
suscettibile di estendersi agli atti successivi.
L’art. 106 comma 4bis (introdotto dalla l. 45/2001 – normativa sulla protezione e sul trattamento
sanzionatorio dei collaboratori di giustizia) prevede invece un’ipotesi peculiare:
è preclusa la difesa da parte di uno stesso difensore di più imputati che, pur trovandosi in posizioni
processuali da cui non scaturisce alcun conflitto di interessi, abbiano reso dichiarazioni accusatorie
nei confronti di un altro soggetto, imputato nello stesso procedimento o in un procedimento
connesso.
N.B. la ratio del divieto risiede nella necessità di tutelare il diritto di difesa del soggetto accusato,
poiché si ritiene che la presenza di un “anello di congiunzione” (il difensore comune) tra le fonti di
prova convergenti possa sacrificare maggiormente questo diritto.
*Termine a difesa:
può essere richiesto dal nuovo difensore anche in caso di incompatibilità e abbandono.
Non può essere inferiore a 7 giorni, ma si può scendere al di sotto entro il limite minimo
invalicabile delle 24 ore solo se ricorre una delle tre situazioni ex comma 2:
- consenso dell’imputato o del suo difensore
- specifiche esigenze processuali che possono determinare la scarcerazione dell’imputato
- specifiche esigenze processuali che possono determinare la prescrizione del reato
2. Segretario:
è ausiliario del pm e svolge funzioni analoghe a quelle del cancelliere; inoltre comunica gli
atti del pm e riceve quelli ad esso destinati.
3. Ufficiale giudiziario:
afferisce sia al giudice che al pm e la sua principale funzione è quella di curare le
notificazioni, corollario della quale è la relazione di notificazione, che documenta l’attività
svolta in relazione all’atto da notificare; inoltre gli compete il corretto svolgimento
dell’udienza.
Premessa
Il libro II contiene regole valide per l’intero procedimento, anche se ciò non impedisce che in
rapporto alla progressione del rito vengano poste regole speciali, come ad esempio la disciplina
della documentazione degli atti.
Tale libro si rifersice agli atti che si formano nel contesto del medesimo procedimento, mentre i
documenti prodotti da un’attività svoltasi fuori dal procedimento o in un procedimento penale
diverso, sono disciplinati dal libro dedicato alle prove.
Distinzione:
- fatto giuridico, cioè un accadimento consistente tanto in un fenomeno naturale quanto in
un comportamento umano, il quale può essere sia positivo che negativo
- atto giuridico, distinto dal fatto giuridico (di cui comunque è una species) a causa di una
componente psichica umana, ossia la volontarietà in ordine agli effetti
I comportamenti umani, dal punto di vista della condotta, si risolvono in dichiarazioni di volontà o
di scienza, esternate verbalmente, per iscritto o in maniera gestuale, oppure in operazioni, come
gli esperimenti giudiziari e le ispezioni.
Se il nucleo naturalistico dell’atto è la condotta, allora si dovrebbe parlare di atto in senso proprio
solo riguardo all’accezione dinamica, ossia come attività, ma il legislatore spesso definisce atto il
risultato dell’attività.
Dunque la legge riserva il termine di “documento” solo agli atti formati al di fuori del
procedimento di cui si tratta.
Mancando una esplicita definizione legislativa di atto processuale penale, si ritiene che:
- sul piano soggettivo sono tali quelli posti in essere dai soggetti del procedimento (quindi
anche privati)
- sul piano oggettivo, un’opinione passata li riteneva contraddistinti dall’attitudine a
produrre effetti giuridici dotati di rilevanza processuale penale e dal realizzarsi nel contesto
del processo penale, ma oggi questa definizione ha perso di significato in quanto il
legislatore ha scelto di scindere in due distinte sequenze il “procedimento” e il “processo”,
separate dall’esercizio dell’azione penale da parte del pm.
Il libro II è stato intitolato “atti”, senza precisare “processuali”, dunque le disposizioni in esso
contenute valgono anche nei confronti degli atti del procedimento, ma vanno comunque
individuati l’atto iniziale e finale del medesimo:
1. atto iniziale – gli atti posti in essere prima che la notizia di reato sia venuta ad esistenza
non possono mai costituire atti del procedimento; esigenze sistematiche conducono a
far coincidere il primo atto con quello immediatamente successivo alla ricezione della
notizia di reato da parte della polizia giudiziaria o del pubblico ministero, escludendo
che gli atti in cui si sostanzia la notizia stessa siano parte del procedimento penale.
Le notizie di reato apprese di propria iniziativa dalla polizia giudiziaria o dal pubblico
ministero non trovano mai consacrazione originaria in un atto tipico:
o se la notizia è stata acquisita dal pm, il procedimento ha inizio con l’iscrizione
obbligatoria nell’apposito registro
o se invece viene formata dalla polizia giudiziaria, è da escludere che la successiva
informativa al p.m. valga allo scopo, almeno tutte le volte in cui la polizia compia nel
frattempo un qualche atto di indagine preliminare.
Dunque, in mancanza di un atto tipico, il primo atto del procedimento sarà costituito da
quello cronologicamente anteriore tra gli atti compiuti dopo l’acquisizione della notizia
di reato.
Devono infine essere considerati atti processuali penali a tutti gli effetti quelli relativi al
procedimento di esecuzione e al procedimento di sorveglianza, e non rileva che entrambe le
sequenze siano poste in essere dopo il passaggio in giudicato della sentenza o del decreto di
condanna.
Il divieto di pubblicazione
L’art. 114, nello stabilire il divieto di pubblicare gli atti del procedimento penale, cerca di conciliare
diversi interessi:
- tutelare la segretezza delle indagini (comma 1)
- assicurare l’imparzialità del giudice dibattimentale (commi 2, 3 e 7)
- tutelare la riservatezza delle parti private (commi 4, 6 e 6bis)
- tutelare l’ordine pubblico e il buon costume (comma 5)
Partendo dall’analisi del comma 1, che si riferisce agli “atti segreti”, viene subito in rilievo la
distinzione tra due tipologie di segretezza:
a. segretezza “interna”, riferita agli atti di indagine di cui solo il pm può essere a conoscenza
(ad esempio, le intercettazioni non verbalizzate o le dichiarazioni dei collaboratori di
giustizia o di persone informate sui fatti, destinati ad assumere la qualità di testimoni)
b. segretezza “esterna”, caratterizzante gli atti che anche le parti possono conoscere, ma che
non possono essere portati a conoscenza dell’intera collettività per mezzo della
pubblicazione (ad esempio l’interrogatorio, che deve essere svolto in presenza del
difensore); in verità il divieto di pubblicazione per questa seconda tipologia di atti è
disciplinato al comma 2 del presente articolo
N.B. esiste una distinzione anche per quanto riguarda i tipi di divieto di pubblicazione con il mezzo
della stampa o con altro mezzo di diffusione:
- uno concernente la riproduzione totale o parziale dell’atto, quale risulta dalla
documentazione procedimentale
- uno invece relativo a quanto l’atto esprime dal punto di vista concettuale, contenutistico,
per cui rileva pure la pubblicazione fatta in modo riassuntivo o meramente informativo
Per quanto riguarda gli atti coperti da segretezza interna (art. 329), cioè gli atti di indagine, il
divieto di pubblicazione previsto al comma 1 deve ritenersi assoluto (tutti e due i suddetti tipi) e
opera finché l’imputato non possa averne conoscenza, e comunque per tutta la durata delle
indagini preliminari.
*Tale divieto non riguarda le indagini difensive.
N.B. vi sono atti che esulano da questa categoria (non sono atti di indagine), come ad esempio
l’informazione di garanzia, i quali sorgono senza il presidio del divieto di pubblicazione.
Poi comunque il divieto si modella in funzione del regime di conoscenza dei singoli atti, nonché
varia per effetto dei decreti motivati del pm (segretazione e desegretazione di singoli atti).
Ad ogni modo la violazione del divieto in questione comporta un delitto, sanzionato ex art. 326 c.p
Il comma 4 rinvia all’art. 472 c.p.p., che prevede la possibilità di celebrazione del giudizio
dibattimentale a porte chiuse, limitando l’accesso al pubblico, specie per tutelare le esigenze di
riservatezza di determinati soggetti coinvolti nel processo.
È ulteriormente previsto che il giudice, sentite le parti, possa porre un divieto di pubblicazione per
gli atti già utilizzati per le contestazioni.
La stessa ratio è presente nei commi 6 e 6 bis: in particolare, il primo prevede il divieto di
pubblicazione di dati (generalità e immagini) che potrebbero arrecare pregiudizio alla personalità
del minore che assuma la qualità di testimone, persona offesa o danneggiato, consentendone
l’identificazione; mentre il secondo vieta riprese audiovisive di persone soggette a limitazioni della
libertà personale sottoposte all’uso di manette ai polsi, con lo scopo di evitare la compromissione
della presunzione di non colpevolezza.
Ad ogni modo il divieto ha scarsa efficacia, non essendo prevista alcuna sanzione in caso di
violazione, ad eccezione di una debole responsabilità disciplinare.
Il comma 5 allude ai procedimenti speciali privi della fase dibattimentale, prevedendo un divieto di
pubblicazione degli atti non segreti, in ragione di esigenze di pubblica sicurezza ed ordine pubblico
(circa le stesse che potrebbero portare alla rimessione del procedimento).
In questi casi, non è possibile dare notizia degli atti di quel procedimento, che di per sé sarebbero
risultati pubblicabili con la chiusura delle indagini preliminari o al termine dell’udienza preliminare.
Il comma 2 afferma che gli atti dell’indagine non più coperti da segreto (interno, ma ancora coperti
da segretezza esterna), non possono comunque essere pubblicati fino alla fine della fase
preliminare (compresi gli atti dell’udienza preliminare).
La ratio del divieto in questione era originariamente riferita all’esclusiva protezione dell’attività
investigativa e della verginità conoscitiva del giudice dibattimentale, mentre non assumeva alcun
rilievo (fino a prima della riforma) la tutela della riservatezza della persona sottoposta alle indagini.
Infatti, esulavano dal divieto atti investigativi quali le intercettazioni di comunicazioni e
conversazioni, una volta che la difesa ne fosse venuta a conoscenza: ad esempio, perché il pm vi
fondava la richiesta di una misura cautelare poi accolta con ordinanza dal gip (motivata sulla base
delle stesse intercettazioni), la quale, non essendo un atto di indagine, poteva essere pubblicata.
Tuttavia, l’esigenza di tutela della riservatezza si era fatta sempre più pregnante, tant’è che alcuni
procuratori della Repubblica avevano emesso una serie di linee guida che demandavano ai pm il
compito di espungere, dal materiale sottoposto al giudice, le intercettazioni inutilizzabili o
irrilevanti per l’accertamento della colpevolezza.
Questa impostazione è poi stata recepita nel d.lgs. 216/2017, il quale ha aggiunto al comma 2
dell’art. 114 una deroga al divieto integrale di pubblicazione, relativa alle ordinanze cautelari di cui
all’art. 292 c.p.p.
Tale esclusione si coniuga con la modifica apportata al contenuto delle richieste e
conseguentemente delle stesse ordinanze, nelle quali devono essere riprodotti solo i brani
essenziali delle intercettazioni.
Il materiale investigativo formatosi nel corso delle indagini preliminari, viene consegnato al gup
perché decida; a seguito del rinvio a giudizio, egli opera una suddivisione di tale materiale:
- alcuni atti, nonostante si siano formati nella fase preliminare, vengono inseriti nel fascicolo
del dibattimento e come tali sono comunque conosciuti dal giudice del dibattimento (cfr.
art. 431);
- i restanti atti, che dovrebbero essere la maggioranza, non sono invece conosciuti dal
giudice del dibattimento, andando a confluire nel fascicolo del p.m.
Il comma 3 disciplina la durata dell’efficacia dei divieti, modulandola con riguardo alla funzione
dell’atto:
- se non si procede a dibattimento, il divieto cade con la conclusione delle indagini
preliminari o con il termine dell’udienza preliminare
- se si procede a dibattimento, gli atti del relativo fascicolo non sono pubblicabili fino alla
pronuncia della sentenza di primo grado, mentre quelli del fascicolo del pm non lo sono
fino alla pronuncia della sentenza di secondo grado (appello), poiché anche i giudici di
questa fase devono essere tutelati nella loro imparzialità
N.B. è sempre consentita la pubblicazione degli atti utilizzati per le contestazioni.
Questi divieti sono previsti al fine di non vanificare la suddivisione interna fra fase preliminare e
fase dibattimentale, che verrebbe pregiudicata se il giudice potesse, seppur indirettamente,
conoscere gli atti del pubblico ministero.
Una simile disciplina si pone in netta antitesi rispetto al codice previgente, in cui il giudice era a
conoscenza di tutti gli atti del p.m. Tali divieti si pongono quindi in continuità con il regime delle
incompatibilità ex art. 34.
Mentre la divulgazione di atti a segretezza interna costituisce un delitto, l’art. 684 c.p. prevede una
sanzione meramente contravvenzionale per la divulgazione di atti a segretezza esterna.
Il comma 7, infine, afferma che è sempre consentita la pubblicazione del contenuto degli atti non
coperti dal segreto; il riferimento sono quindi gli atti a segretezza esterna di cui al comma 2.
Attraverso tale norma spesso vengono resi pubblici alla collettività molti atti del procedimento,
poiché la stessa consente di pubblicarne una rielaborazione o un riassunto del contenuto.
Benché il mero contenuto di un atto non possa realmente compromettere il convincimento del
giudice, che deve invece basarsi sull’atto vero e proprio, questa norma appare comunque
incoerente con la ratio di impedire il condizionamento della collettività; ad ogni modo, una simile
norma permette una sorta di divulgazione che non risulta perseguibile neppure ai sensi dell’art.
684 c.p.
Le forme dei provvedimenti e le classificazioni delle sentenze
In via di prima approssimazione, in riferimento alla forma come struttura legislativamente
predeterminata degli atti, sembra che il codice contrapponga:
- atti compiuti nel procedimento, inteso come fase delle indagini preliminari, per i quali
sussiste libertà delle forme, con prevalenza per il raggiungimento dello scopo e senza
descrizione analitica del modo di procedere
- atti posti in essere nel processo, per i quali si prevedono invece forme vincolare, tassative o
tipiche, in quanto non ammettono equivalenti.
In realtà a ben vedere, l’amorfismo degli atti delle indagini preliminari va confutato, e anzi si deve
propendere per un maggiore formalismo e irrigidimento delle forme, sulla base di varie ragioni:
- tutela di valori costituzionali come la libertà personale e domiciliare, la compressione dei
quali è subordinata all’osservanza dei casi e modi previsti dalla legge
- esigenza di assicurare la libertà morale dell’indagato, che impone avvertimenti e avvisi da
parte dell’autorità procedente
- impiego di questi atti ai fini decisori nel dibattimento o nei giudizi speciali
Quindi, benché non manchino atti a forma libera, in tutto il procedimento prevalgono sicuramente
quelli a forma vincolata.
Il legislatore fornisce una disciplina unitaria della forma tipica solo per quanto riguarda gli atti del
giudice che si traducono in provvedimenti, prefigurando tre modelli:
Ancora, si distinguono, sulla base dell’efficacia di cui sono dotate in sede extrapenale, le
sentenze:
o di merito, risolvono la questione circa il dovere di punire (vi si ascrivono quelle di
condanna, assoluzione e dichiarative dell’estinzione del reato)
o processuali, sciolgono mere questioni di rito (es. annullamento, competenza o
improcedibilità dell’azione)
La scelta di una forma piuttosto che un’altra per un provvedimento è frutto di un’opzione
demandata al legislatore, ossia il criterio nominalistico:
ad esempio, per quanto riguarda l’archiviazione, se la richiesta viene accolta de plano allora l’atto
è un decreto motivato, mentre se viene pronunciata dopo il procedimento in camera di consiglio,
si avrà un’ordinanza.
La motivazione:
N.B. i decreti, a differenza delle sentenze e delle ordinanze, non ne hanno bisogno, se non è
diversamente disposto.
Essa consiste nella concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto che fondano il
dispositivo del provvedimenta (vale a dire del comando dell’autorità giudiziaria).
La mancanza di motivazione nelle sentenze, nelle ordinanze e, ove prescritta, nei decreti è
punita con la nullità – relativa, per dare piena attuazione all’art. 111 comma 6 Cost.
Questa nullità investe la motivazione intesa in senso grafico o strutturale, ma non i vizi logici
(per non interferire con il motivo di ricorso per cassazione ex art. 606 comma 1 lett. a).
L’art. 125, oltre ad occuparsi delle forme dei provvedimenti, disciplina anche la relativa
deliberazione in camera di consiglio, caratterizzata per:
- l’immediatezza rispetto alla chiusura della trattazione
- l’immutabilità dei giudici rispetto alla trattazione
- la continuità delle operazioni
Dalla fase deliberativa sono escluse sia le parti che l’ausiliario, il quale di regola assiste il giudice in
tutti i suoi atti (ex art. 126).
Al comma 4 è collocata la previsione del segreto sulla deliberazione, penalmente tutelato.
Tuttavia, al comma 5 vi si prevede una deroga, per cui in provvedimenti collegiali e purché lo
richieda un componente del collegio che abbia votato in modo difforme alla decisione, è compilato
sommario verbale contenente l’indicazione:
- del dissenziente
- dell* question* cui si riferisce il dissenso
- dei motivi del dissenso
Tale verbale è conservato presso la cancelleria e potrà servire a chi a dissentito per liberarsi da
ogni eventuale responsabilità, se i componenti del collegio dovessero rispondere in sede civile
(rimane quindi comunque segreto).
Vi sono però dei casi in cui si rinvia integralmente alle forme dell’art. 127 e dei casi in cui la norma
speciale introduce adattamenti anche piuttosto sensibili.
La deviazione dal modello si giustifica in relazione al modo di realizzazione del contraddittorio:
- modello “forte”, per cui si ha una garanzia maggiore nell’area dei procedimenti in cui è
imposta la partecipazione necessaria del difensore della persona sottoposta alle indagini,
dell’imputato o dell’interessato, nonché del p.m.
- modello “debole”, cioè casi in cui il contraddittorio è assicurato ad un livello inferiore
rispetto al modello dell’art. 127, assumendo una forma meramente cartolare
Esclusa la questione della tassatività dell’elenco dei procedimenti in camera di consiglio, è certo
che questo procedimento non deve essere sempre adottato allorché il giudice assume una
deliberazione in camera di consiglio.
Lo stesso articolo 127 mette in risalto l’esistenza di due categorie, quando contrappone, alle forme
da seguire allorché si deve procedere in camera di consiglio, l’adozione di un provvedimento
anche senza formalità di procedura: ciò sta a dimostrare che continuano a configurarsi i
provvedimenti assunti de plano, cioè senza formailtà.
Il procedimento si svolge nel contesto spaziale e temporale dell’udienza (non più riferita solo
alla fase dibattimentale), anche se – a differenza del dibattimento – non è ammessa la
presenza in aula del pubblico.
Dopo aver compiuto gli atti introduttivi volti ad accertare la regolare costituzione delle parti, la
relazione orale è svolta da uno dei componenti il collegio, previa designazione del presidente, in
funzione della natura dialettica del procedimento.
Il pubblico ministero, gli altri destinatari dell’avviso ed i difensori sono sentiti a pena di nullità se
compaiono; da ciò si ricava che non è prescritta la partecipazione necessaria del p.m. e del
difensore della persona sottoposta alle indagini, dell’imputato o dell’interessato, eccetto i casi
richiamati poco fa.
L’interessato detenuto o internato in luogo situato fuori della circoscrizione del giudice
procedente, se ne fa richiesta, deve, a pena di nullità, essere sentito prima del giorno dell’udienza
dal magistrato di sorveglianza del luogo in cui è ristretto.
Per quanto riguarda invece il procedimento di riesame di una misura coercitiva, la Corte
costituzionale ha precisato che il combinato disposto degli artt. 127 comma 3 e 309 comma 8 non
vieta di disporre la comparizione dell’imputato se questi ne abbia fatto richiesta o se il giudice
competente lo ritenga opportuno.
Mentre per il solo imputato o condannato, che abbia richiesto di essere sentito personalmente e
non si trovi in diversa circoscrizione, se sussiste legittimo impedimento sarà necessario disporre il
rinvio dell’udienza.
N.B. la violazione del principio di immutabilità del giudice nel corso della trattazione o
deliberazione è casua di nullità assoluta, in quanto investe la capacità del giudice.
Per quanto riguarda invece i provvedimenti deliberati in camera di consiglio, senza far luogo
al procedimento descritto (de plano), l’art. 127 comma 9 considera soltanto i provvedimenti
conseguenti all’inammissibilità dell’atto introduttivo, le cui cause si trovano all’art. 591.
Per mezzo del deposito, entrambe le due tipologie di provvedimenti entrano a far parte
dell’ordinamento.
Se il provvedimento è suscettibile di impugnazione, l’avviso di deposito deve essere comunicato al
p.m. e a tutti i titolari del diritto di impugnazione.
L’art. 129 elenca le formule terminative del processo, disponendole secondo un ordine di priorità
improntato alla tutela dell’innocenza dell’imputato:
- il fatto non sussiste
- l’imputato non lo ha commesso
- il fatto non costituisce reato
- il fatto non è previsto dalla legge come reato
- il reato è estinto
- manca una condizione di procedibilità -> interpretata in senso estensivo, comprendente
anche la mancanza di una causa di proseguibilità o la violazione del divieto di bis in idem
Inoltre, la norma va interpretata in via analogica per dare modo alla cassazione di sindacare la
pena illegittimamente irrogata in contrasto con la regola ex art. 1 c.p. (riserva di legge)
N.B. si è previsto che la presente declaratoria operi solo nel contesto del processo e non anche
nella fase delle indagini preliminari, dove non esiste un giudice procedente, ma un compito
equivalente è svolto dall’istituto dell’archiviazione:
- archiviazione della notizia infondata per le formule in facto
- la mancanza di una condizione di procedibilità, l’estinzione del reato o l’essere il fatto non
previsto dalla legge come reato per le formule in iure, nonché la particolare tenuità del
fatto
Inoltre, la norma non si applica nemmeno nei procedimenti incidentali, poiché non vi è un giudice
investito della cognizione del fatto per il quale la causa di non punibilità dovrebbe operare.
Limiti applicativi dell’art. 129 comma 1, dipendenti dalla struttura del processo:
1. all’esito dell’udienza preliminare, le formule per la sentenza di non luogo a procedere non
coincidono con quelle in discorso:
a. ex art. 425 residuano le sentenze che dichiarano la persona non punibile per
qualsiasi causa, o perché gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori
o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio;
b. inoltre in ragione della funzione stessa dell’udienza preliminare, se in tale sede la
prova risulta insufficiente o contraddittoria, la sentenza di non luogo a procedere
verrà pronunciata nelle sole ipotesi in cui è fondato prevedere che l’eventuale
istruzione dibattimentale non possa fornire utili apporti per superare il quadro di
insufficienza o contraddittorietà probatoria, altrimenti dovrà emettersi il
provvedimento di rinvio a giudizio.
4. nei gradi di impugnazione, l’applicabilità d’ufficio dell’art. 129 comma 1 configura una
deroga all’effetto parzialmente devolutivo dell’appello (principio della domanda), e al
carattere del giudizio in cassazione quale controllo di legittimità vincolato ai motivi. In sede
di cassazione, la declaratoria per il fatto non previsto dalla legge come reato, per il reato
estinto o perché l’azione penale non doveva essere iniziata o proseguita, si risolve in un
annullamento senza rinvio.
Al comma 2 sono espresse:
- una regola di giudizio – prevalenza della formula di merito su quella estintiva
- una regola istruttoria – la suddetta prevalenza deve risultare evidente dagli atti, nel senso
che la prova della sussistenza dei presupposti per la pronuncia della formula di merito deve
essere già stata acquisita quando si accerta la causa estintiva (non si applica l’in dubio pro
reo).
Tali regole soccorrono nel caso in cui in riferimento al medesimo procedimento si rilevino più
cause concorrenti di non punibilità tra quelle elencate all’art. 129, nello specifico l’estinzione del
reato e una formula di merito.
Sia per le sentenze di assoluzione che per quelle di non luogo a procedere, la prevalenza del
merito vale anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussista o
che l’imputato l’abbia commesso, che il fatto costituisca reato o che il reato sia stato commesso da
persona non imputabile.
Tuttavia, una lettura attenta del comma 2 porta a ritenere prevalenti su tutte le altre formule le
cause di improcedibilità, precludendo al giudice ogni indagine nel merito nel caso sia in presenza
di una di esse.
Diverso atteggiarsi dell’applicabilità dell’art. 129 comma 2, in relazione alla struttura del rito:
1. negli atti preliminari al dibattimento nulla quaestio, perché il proscioglimento anticipato nel
merito non vi trova spazio, non potendosi in quella sede pronunciare sentenze di
assoluzione; infatti la clausola di salvezza dell’art. 469 impone in questo caso il passaggio a
giudizio, anche se dagli atti risulti già evidente la prova dell’innocenza dell’imputato
2. nel dibattimento, se l’imputato vuole esercitare il suo diritto alla prova si realizza un
contrasto tra la regola di giudizio circa riconoscimento della sua innocenza e la regola
istruttoria in tema di evidenza ex actis: se non risulta ancora evidente dagli atti la causa di
non punibilità di merito, ma nel frattempo è intervenuta l’estinzione del reato
(generalmente per prescrizione), il giudice deve dichiarare quest’ultima, impedendo così
all’imputato di ottenere una pronuncia assolutoria nel merito (sicuramente più favorevole).
Tuttavia, per evitare detto contrasto residua il diritto dell’imputato a rinunciare all’amnistia
sopravvenuta, nonché alla prescrizione nel frattempo maturata, rendendo così inoperante
l’obbligo dell’immediata declaratoria delle corrispondenti cause estintive.
3. nel giudizio di cassazione, può essere pronunciata la formula di merito quando il giudice di
primo o secondo grado abbia applicato una causa estintiva, purché l’evidenza della prova
risulti dalla motivazione
Art. 129 con riferimento all’istituto dell’assenza dell’imputato (legge n. 67/2014 che ha introdotto
gli art. 420quater e ss.):
- in caso di impossibilità della notifica personale all’imputato, assente in udienza preliminare
o dibattimentale, prima di emettere l’ordinanza di sospensione del processo si valuta se
debba essere pronunciata sentenza ex art. 129
N.B. in questo caso cadono le limitazioni sopra esposte, per cui le sentenze
predibattimentali di proscioglimento possono pronunciarsi anche con le formule di merito
- l’ipotesi in cui debba essere pronunciata sentenza ex art. 129 si colloca tra le cause di
revoca dell’ordinanza sospensiva del processo per irreperibilità dell’imputato
Infine, il 129 trova applicazione anche in caso di richiesta di messa alla prova, ove il giudice ritenga
sufficienti le prove per prosciogliere l’imputato.
N.B. La sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto non è stata inserita tra le
cause di non punibilità soggettiva dell’art. 129, perché implica l’effettuazione di accertametni circa
la sussistenza del fatto tipico, l’illiceità penale e la colpevolezza, che sono incompatibili con la
caratteristica essenziale di immediatezza dell’art. 129.
Inoltre, nella logica prioritria questa sentenza si pone al di sotto di tutte le altre formule sia di rito
che di merito.
N.B. vi sono casi non riparabili ex art. 130, per i quali il rimedio consiste nell’impugnazione anche
autonoma del relativo capo.
Competenza a procedere:
- giudice autore dell’atto, anche d’ufficio
- giudice ad quem, se proposta impugnazione
*salvo che sia dichiarata inammissibile
Procedimento:
in camera di consiglio con le forme ex art. 127; l’ordinanza conclusiva deve essere notificata per
intero ed è ricorribile per cassazione anche quando sia rigettata o dichiarata inammissibile la
richiesta di correzione.
Questa procedura non si applica al caso in cui la corte di cassazione ha omesso di dichiarare nel
dispositivo di annullamento parziale quali parti della sentenza diventino irrevocabili.
Il rimedio è invece una procedura de plano tramite ordinanza, pronunciata ex officio o a seguito di
domanda presentata senza formalità, del giudice competente per il rinvio, del pm presso quel
giudice o della parte privata interessata.
Le Sezioni unite hanno ritenuto questo procedimento di correzione operante pure nel giudizio di
cassazione.
*≠ procedura di rettificazione della sentenza impignata.
Infine, anche le sentenze applicative della pena su richiesta delle parti possono essere correte ex
art. 130, ove l’errore investa la denominazione o il computo della species e del quantum di pena.
N.B. si parla di documentazione in senso proprio solo per gli atti esternalizzati mediante
dichiarazioni verbali o consistenti in operazioni, poiché solo in questi casi l’attività intesa a
documentare la confezione dell’atto assume autonoma rilevanza rispetto all’attività di confezione.
Infatti, la distinzione si coglie:
- sul piano soggettivo, perché l’autore dell’atto documentato non coincide – di regola – con
quello della documentazione
- sul piano oggettivo, perché il risultato è un atto che rappresenta un’entità distinta dal suo
suo supporto materiale
Il comma 4 aggiunge che se le modalità risultano insufficienti può essere aggiunta la riproduzione
audiovisiva, se assolutamente indispensabile -> a essa è attribuita una mera funzione aggiuntiva.
≠
Essa è in ogni caso consentita per le dichiarazioni rese dalla persona offesa che versi in condizioni
di particolare vulnerabilità secondo i parametri definitori dell’art. 90 quater (cade il requisito
dell’assoluta indispensabilità).
Le trascrizioni e le riproduzioni
A. Trascrizioni:
ex art. 138 i nastri impressi con i caratteri della stenotipia sono trascritti in caratteri comuni
non oltre il giorno successivo a quello in cui sono stati formati* (anche se con la tecnologia
odierna la trascrizione può avvenire simultaneamente).
*Termine, non perentorio, derogato per il verbale del dibattimento: trascritto non oltre tre
giorni dalla formazione.
Competente alla trascrizione è chi ha impresso i nastri; in caso di impossibilità il giudice la
affida ad una persona idonea anche esterna all’amministrazione dello Stato.
B. Riproduzioni:
le riproduzioni fotografiche e audiovisive sono trascritte senza limiti di tempo a cura del
personale tecnico giudiziario; se le parti consentono, il giudice può anche disporne
l’omissione (ad esempio se la sentenza non è impugnata le parti non hanno intenerisse alla
trascrizione, e si cerca quindi di effettuare un’economia processuale).
Sono poi incluse nel fascicolo del procedimento.
Ex art. 139 comma 2, nel verbale viene indicato il momento di inizio o di cessazione delle
operazioni di riproduzione fonografica.
N.B. Se una parte della riproduzione non ha avuto esito o non è chiaramente intellegibile,
allora fa prova il verbale redatto in forma riassuntiva, e dunque la fonoregistrazione ha una
funzione probatoria (art. 139 comma 3).
Ex comma 2, quando viene redatto solo il verbale in forma riassuntiva, il giudice ha l’obbligo di
vigilare che venga riprodotta nell’originaria genuina espressione la parte essenziale delle
dichiarazioni, e che siano descritte le circostanze nelle quali esse sono rese se ciò serve a valutarne
la credibilità.
L’art. 142 pone una clausola di salvezza riferita alla disciplina delle ricognizioni:
la mancata menzione nel verbale di determinati adempimenti e dichiarazioni, e delle relative
modalità di svolgimento, determina la nullità del mezzo di prova.
Qui la documentazione dell’atto è condizione di validità del suo contenuto.
La trascrizione non è obbligatoria, ma avviene solo su richiesta di parte, mentre il giudice non la
potrebbe teoricamente disporre ma ciò rientra nei suoi poteri ufficiosi.
Nel processo penale la maggioranza degli atti è a forma vincolata (≠ processo civile, in cui entro
certi limiti vige il principio della libertà delle forme)
perfezione (conformità allo schema tipico) ed efficacia (attitudine a produrre effetti
giuridici) dell’atto si implicano a vicenda.
N.B. teoricamente la mancanza anche di un solo elemento della fattispecie non dovrebbe
consentire la produzione dei relativi effetti; tuttavia non ogni difformità comporta l’invalidità e
dunque l’inefficacia degli atti, poiché alcune sono irrilevanti e costituiscono una mera irregolarità.
Inoltre, anche nelle ipotesi di difformità giuridicamente rilevanti per cui l’atto è invalido, quasi mai
può dirsi del tutto inefficacie
infatti il legislatore, per ragioni di economia e speditezza, si avvale del principio di
conservazione degli atti imperfetti:
l’atto, pur dando vita ad un’altra fattispecie, diviene idoneo a produrre effetti, anche se a
carattere precario, in attesa di trovare uno dei due sbocchi
o sanatoria del vizio – dà vita ad un’altra fattispecie con effetti equivalenti a quella
viziata, ma integrata da uno o più fatti ulteriori, detti cause di sanatoria
o declaratoria di invalidità dell’atto – di natura costitutiva, con cui il giudice elimina gli
effetti dell’atto ex tunc
entrambe hanno effetti retroattivi.
Ratio dell’invalidità:
l’adozione modello di stampo accusatorio comporta la creazione di adeguati meccanismi
sanzionatori che hanno funzione di
- supporto rispetto all’osservanza delle forme
- assicurare rispetto delle regole sull’ammissione, acquisizione e valutazione della prova
Forme di invalidità:
- inesistenza
- inammissibilità
- inutilizzabilità
- nullità (unica disciplinata dal Titolo VII c.p.p.)
Inammissibilità:
si riferisce alle domande di parte o di chi si fa parte (es. giudice che solleva questione di
competenza)
Benché ad essa non esplicitamente riferito, si può ritenere esteso il principio di tassatività; infatti
nei casi in cui l’inammissibilità è menzionata senza indicarne la causa, questa va rintracciata con
riferimento a tutte le condizioni della domanda richieste dalla legge.
Trattamento:
- dichiarata d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, a meno che non siano previsti
limiti temporali alla sua rilevazione (ad esempio nella costituzione di parte civile, le relative
cause di inammissibilità non possono rilevarsi dopo la dichiarazione di apertura del
dibattimento)
- oggetto di autonomo motivo di ricorso per cassazione
- unica causa di sanatoria è il giudicato
Inutilizzabilità:
- sanzione processuale fornita di una sua autonomia (art. 191)
- elevata ad autonomo motivo di rcorso per cassazione
- riguarda solo gli atti probatori, potendo investire investire sia le prove in senso proprio
che gli atti delle indagini preliminari
funzionale ad una esigenza di tutela della legalità della prova.
N.B. la varietà di ipotesi ad essa riconducibili rende difficile costruire una teoria unitaria
dell’inutilizzabilità, per questo non è stato enunciato in suo riferimento il principio di tassatività;
ciò nonostante, molti ritengono che le ipotesi di inutilizzabilità integrino un numero chiuso.
N.B. i vizi della volontà considerati dal codice civile non sono riferibili agli atti processuali penali
(data l’autosufficienza del relativo sistema delle nullità): per cui ad es. un atto inficiato da violenza
o minaccia è comunque processualmente valido.
≠
Assoluto difetto di volontà, dovuto alla coazione fisica:
essendo la volontarietà il coefficiente psichico minimo di ogni atto processuale penale, una
dichiarazione di scienza coatta non può considerarsi atto processuale, ma ci si trova in un’ipotesi di
inesistenza giuridica.
*Tra le nullità non sono inquadrabili errores in iudicando, ossia i vizi sostanziali dei provvedimenti
del giudice, i quali sono autonomo motivo di ricorso per cassazione; essi rientrano però nella
teoria dell’invalidità.
Inesistenza giuridica:
- categoria comprendente quei vizi così macroscopici da indurre il legislatore a non
ipotizzarne neppure l’eventualità, e l’interprete a non collocarli tra gli atti giuridici
- vizio rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, compreso quello di esecuzione, ma
anche oltre tramite una semplice azione di accertamento, poiché sono così gravi da
impedire la formazione del giudicato.
B. Nullità speciali:
contrapposte alle prime in quanto stabilite da un’apposita previsione legislativa, quindi costruite in
via residuale.
Di esse il legislatore si occupa solo in sede di trattamento.
N.B. non sempre la previsione in via specifica comporta il regime consueto delle nullità speciali.
Distinzione:
a. tra nullità generali e speciali, riguarda la differenza di tecnica di previsione
b. tra nullità assolute, intermedie e relative, allude al regime di trattamento previsto dalla
legge per le diverse specie di nullità.
Le nullità assolute
2. la rilevabilità d’ufficio da parte del giudice in ogni stato e grado del processo
N.B. ma ciò non è caratterizzante in quanto comune anche alle nullità intermedie e ad
alcune nullità relative
Le nullità intermedie
Anche se il regime delle nullità generali, dettato dall’art. 180 non pone ulteriori sottodistinzioni,
sembra opportuno definire alcune nullità come intermedie perché il relativo trattamento si trova
in una posizione mediana tra quello delle nullità assolute e quello delle nullità relative:
- come le prime sono rilevabili d’ufficio
- come le seconde sono sanabili in un momento anteriore all’irrevocabilità della sentenza
Infine, le nullità intermedie possono essere conosciute dal giudice dell’impugnazione, purché
dedotte nel grado precedente, anche senza che vengano menzionate nei motivi -> devoluzione
automatica (c.d. perpetuatio nullitatis)
N.B. dal momento che l’inosservanza delle disposizioni che riguardano l’intervento, l’assistenza e
la rappresentanza delle altre parti private è sempre tutelata da nullità intermedia, allora l’omessa
o invalida citazione di questi soggetti è sottoposta ad un regime più blando di quello previsto per
l’omessa o invalida citazione dell’imputato.
Infatti, una sentenza costituzionale del 1975 ha affermato la razionalità di una tutela difensiva
differenziata tra imputato e parti private.
Per quanto riguarda l’inosservanza delle disposizioni sulla citazione a giudizio della persona offesa
e del querelante, l’inserimento di questo vizio tra le nullità intermedie sembra un riconoscimento
dell’esigenza che queste nullità siano rilevabili anche d’ufficio, a differenza delle relative.
Le nullità relative
Si ricavano per esclusione dall’art. 181:
le nullità non generali o non definite come assolute da specifiche disposizioni di legge.
Dunque sono tutte nullità speciali, perché la loro esistenza dipende da un’espressa
comminatoria.
N.B. non tutte le nullità speciali sono però relative, potendo essere anche riconducibili allo
schema delle nullità generali e dunque seguire il regime delle assolute o delle intermedie.
L’interprete che rileva una nullità a previsione speciale deve individuarne il trattamento
tramite una serie di operazioni successive:
1. dovrà impegnarsi a ricondurla all’interno delle nullità generali
2. se ci è riuscito, dovrà accertare se essa rientri nell’ambito delle nullità assolute, e – nel
caso non ci riesca – dovrà necessariamente considerarla una nullità intermedia
3. solo se non può collocarla nell’ambito delle generali potrà concludere che la nullità a
previsione speciale vada assoggettata al regime proprio delle nullità relative
Caratteristica fondamentale:
devono essere dichiarate dal giudice solo su eccezione della parte interessata.
risvolto negativo:
lascia il giudice privo di strumenti per prevenire il diffondersi agli atti successivi dipendenti di una
nullità che egli non può rilevare d’ufficio (anche se può comunque disporre la rinnovazione
dell’atto di cui è l’autore)
per circoscrivere questo pericolo sono stati compressi i termini di sanatoria delle nullità
relative rispetto a quelli delle nullità a regime intermedio:
- le nullità che riguardano le indagini preliminari o l’incidente probatorio o gli atti
dell’udienza preliminare vanno eccepite in termini sempre brevi ma distinti a seconda
che si tenga o no l’udienza preliminare:
a. se si tiene, eccepite prima della pronuncia del provvedimento conclusivo
dell’udienza ai sensi dell’art. 424
b. se non si tiene, eccepite subito dopo avere compiuto per la prima volta
l’accertamento della costituzione delle parti in giudizio, facendo sì che
l’eccezione di nullità diventi oggetto di una questione preliminare.
- per le nullità che riguardano il decreto che dispone il giudizio o gli atti preliminari al
dibattimento; per le nullità che riguardano gli atti delle indagini preliminari e quelli
compiuti nell’incidente probatorio (quando si procede a giudizio); per le nullità
concernenti gli atti dell’udienza preliminare che – già regolarmente eccepite – non
siano state a suo tempo dichiarate => vale il termine di cui alla lettera b.
- le nullità relative verificatesi nel giudizio devono essere eccepite tramite
l’impugnazione della sentenza.
N.B. il principio in base al quale le cause di nullità relativa, per sfuggire alla sanatoria del grado
successivo, devono convertirsi in altrettanti motivi di impugnazione, viene enunciato solo con
riguardo alle nullità verificatesi nel giudizio.
Due nullità rilevabili anche d’ufficio introdotte nel 1995:
1. la prima sull’indicazione delle esigenze cautelari quando vi sia pericolo per l’acquisizione
delle prove
2. la seconda relativa al contenuto dell’ordinanza che dispone la misura cautelare
In realtà sembrano una sorta di quartum genus perché hanno caratteristiche delle nullità
intermedie (sono rilevabili d’ufficio) ma anche di quelle relative (sono comunque “nullità diverse
da quelle previste dagli artt. 178 e 179”).
La deducibilità e le sanatorie
La sanatoria è un fatto successivo che, combinandosi con la fattispecie imperfetta, determina
un’equivalenza di effetti rispetto al corrispondente atto perfetto.
N.B. questo istituto non va riferito alle ipotesi in cui sussiste un difetto di legittimazione a fare
valere la nullità.
La deducibilità delle nullità relative e intermedie (ma non delle assolute) ha un duplice limite
soggettivo (art. 181 comma 1) – non può essere dedotta o eccepita:
- né da chi vi ha dato, o concorso a darvi, causa
- né da chi non ha interesse all’osservanza della disposizione violata
L’art. 182 comma 2, pone un limite temporale per cui la nullità va eccepita:
- prima del compimento dell’atto -> previene il verificarsi
- se non è possibile, immediatamente dopo -> previene il propagarsi sugli atti successivi
dipendenti
I termini per rilevare o eccepire queste nullità sono stabiliti a pena di decadenza.
N.B. con parti (abilitate a dedurre) si intendono solo il difensore (o il pm) e non l’indagato o altre
parti private, prive delle competenze tecnico-giuridiche per ravvisare le nullità.
La clausola di salvezza all’art. 183 esclude che le sanatorie generali operino nei confronti delle
nullità assolute insanabili, mentre le sanatorie generali valgono per le nullità relative e per quelle
intermedie.
L’art. 184 prevede una sanatoria speciale nei confronti del p.m., delle parti private e dei loro
difensori per la nullità di una citazione o di un avviso, e delle relative comunicazioni e notificazioni:
la loro comparizione personale (la comparizione dell’avvocato non sana una nullità riguardante
l’imputato) e volontaria.
N.B. la comparizione ha effetto sanante anche se la parte non è consapevole del vizio o non è
intenzionata a sanarlo.
La parte che invece dichiari di essere comparsa solo per far rilevare l’irregolarità non impedisce il
verificarsi della sanatoria, ma ha diritto ad un termine a difesa non inferiore a cinque giorni. Solo
per la citazione a comparire al dibattimento, il termine a difesa non può essere inferiore a venti
giorni, e questo termine parrebbe valere anche per il giudizio davanti al tribunale in composizione
monocratica, per il quale il codice stabilisce invece un termine di sessanta giorni per la
comparizione.
Premessa
La sistematica del libro III, interamente dedicato alle prove, è la seguente:
- titolo I contiene disposizioni generali
- titolo II contiene disciplina dei mezzi di prova
- titolo III contiene disciplina dei mezzi di ricerca della prova
La scelta di racchiudere in un unico libro la disciplina delle prove risponde a una duplice esigenza:
a. sottolineare la centralità del tema nell’ambito del processo di stampo accusatorio
b. ripudiare la frammentarietà tipica dei previgenti codici, ravvisando nella fase delle indagini
anziché in quella dibattimentale il baricentro del processo
La ragione per cui la disciplina degli atti probatori non è stata inserita nel libro dedicato al giudizio
sta nel fatto che vi si ricomprendono anche disposizioni destinate ad incidere sulla tematica
probatoria pur al di fuori della fase dibattimentale.
L’unitarietà formale di collocazione del regime delle prove si riverbera sull’unitarietà sostanziale
delle previsioni che vi sono dettate, in vista della costruzione di un vero e proprio sottosistema
normativo dedicato alle prove penali, articolato sul diritto alla prova.
Alla base vi è l’aspirazione legislativa verso un maggiore rigore sul piano della legalità della prova,
allo scopo di sottolineare la funzionalità delle relative regole rispetto alla formazione del
convincimento del giudice.
Le disposizioni generali poste all’inizio del libro III fungono da catalogo dei principi-guida in
materia probatoria, a causa della loro attitudine unificatrice e dei loro contenuti innovatori sono
probabilmente uno dei settori di più elevato risalto ideologico e culturale dell’intero codice.
Segue: il problema della sfera di incidenza della normativa contenuta nel libro sulle prove
Le disposizioni del libro III si applicano sicuramente nelle aree processuali tecnicamente destinate
alla formazione della prova:
- fase del dibattimento
- svolgimento dell’incidente probatorio (anticipazione ante iudicium garanzie dibattimentali)
N.B. con riferimento all’individuazione dell’oggetto, non si potrà qui parlare di imputazione
(non ancora formulata) ma di ipotesi di imputazione risultante da altri adempimenti del pm
ma possono o devono applicarsi anche al di là di esse?
Poiché nel codice c’è un’apposita ed autonoma disciplina per gli atti di indagine del p.m. omologhi
ai tipici mezzi di prova, le norme previste per questi ultimi nel libro III si applicano riguardo ai primi
solo in via residuale, in quanto hanno lo scopo di stabilire le idonee garanzie minime per il relativo
procedimento di acquisizione probatoria, le quali, se assenti, fanno risultare il procedimento
deficitario rispetto ai principi fondamentali del sistema.
La definizione dell’oggetto della prova dunque avviene con riferimento al tema della decisione:
il criterio-guida e cardine per l’intero sistema nonché il limite oggettivo al potenziale
espandersi dei poteri di acquisizione e formazione probatoria è il requisito della
pertinenza*.
L’elencazione dei fatti suscettibili di diventare oggetto della prova = thema probandum,
corrisponde ed è circoscritto all’area delle questioni poste attraverso l’esercizio dell’azione penale:
- fatti che si rifersicono all’imputazione
- fatti concernenti la punibilità dell’imputato
- fatti concernenti la determinazione della pena o della misura di sicurezza
- questioni derivanti dall’esercizio dell’azione civile in sede penale (quando vi sia costituzione
di parte civile) -> fatti inerenti alla resp. civile e ai danni prodotti dal reato
- fatti dai quali dipende l’applicazione di norme processuali
*La pertinenza è anche parametro di fondo per la verifica della rilevanza della prova in vista della
sua ammissione e per la soluzione di problemi circa l’assunzione di determinate prove.
Classificazioni:
A. una prima distinzione è quella che si profila tra:
- prove dirette – si riferiscono immediatamente al tema probatorio principale, avendo per
oggetto il fatto da provare
- prove indirette – non si riferiscono immediatamente al thema probandum, avendo ad
oggetto un altro fatto da cui il giudice può risalire a quello da provare attraverso
un’operazione mentale induttiva, fondata sulle regole della logica o su massime di
esperienza; per questo sono dette anche prove critiche o indiziarie, per sottolineare la
struttura tipicamente inferenziale della regola di valutazione, riferita agli indizi.
N.B. ≠ dagli indizi usati come presupposto per es. di una misura cautelare o di
un’intercettazione telefonica: elementi conoscitivi di varia natura, idonei di per sé soltanto
a concretare una situazione di fumus commissi delicti, legittimamente acquisiti ma non
necessariamente dotati di efficacia probatoria piena (solo potenziale).
B. Alla distinzione di cui sopra si fa talaora corrispondere quella tra:
- prove storiche (rappresentative) – il fatto da provare viene descritto o riprodotto
immediatamente davanti al giudice
- prove critiche (logiche o non rappresentative) – è necessario l’intervento di inferenza del
giudice sulla base di un’iter logico-critico
In realtà, le due classificazioni non sono perfettamente coincidenti, per via dell’eterogeneità dei
criteri che le ispriano:
a. la prima fa leva sull’eventualità che la circostanza oggetto di prova si riferisca direttamente
o meno al tema da provare
b. la seconda si concentra sul processo logico seguito dal giudice per ritenere raggiunto il
risultato probatorio su quel tema
Ad esempio, infatti, una prova storica (es. testimonianza, documento) può avere ad oggetto anche
un fatto diverso rispetto a quello da provare, e sarebbe così una prova indiretta, e viceversa una
prova critica (es. registrazione della voce dell’autore del reato nel momento della consumazione)
potrebbe avere ad oggetto il fatto da provare, e sarebbe così una prova diretta.
Dunque, spetta al giudice decidere di volta in volta se la prova, non riconducibile ad alcuna figura
legislativamente predeterminata, possa entrare in sede processuale, tramite una verifica
subordinata a due distinte e concorrenti valutazioni:
- che risulti idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti
- che non pregiudichi la libertà morale della persona*
Se la prova viene ritenuta ammissibile, spetta ancora al giudice definire in concreto le modalità
della sua assunzione, sentite le parti sulle cadenze processuali.
Oltre al profilo dell’attendibilità delle risultanze, l’esigenza di garantire la libertà morale della
persona, ha un ruolo determinante rispetto all’esito della valutazione:
- ex art. 189 nessuna provva può essere ammessa qualora possa derivarne una lesione alla
libertà morale del soggetto che ne è coinvolto
- ex art. 188 non possono essere utilizzati, neppure col consenso dell’interessato, tecniche o
metodi idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di
ricordare o valutare i fatti
principio di fondo*: nessuna prova ammessa o assunta se presuppone il ricorso a
metodiche tali da vanificare o compromettere la normale attitudine della persona
all’autodeterminazione e all’esercizio delle facoltà mnemoniche e valutative (es.
narcoanalisi, ipnosi, lie-detector, sieri della verità ecc.)
*già menzionato in sede di interrogatorio dell’indagato e opportunamente riprodotto in
qiesta sede.
Diritto alla prova e criteri di ammissione
Alle parti è riconosciuto, come corollario della disciplina sulle modalità di assunzione, un vero e
proprio diritto alla prova (manifestazione del diritto di difesa):
l’art. 190 sancisce il principio, di impronta accusatoria, per cui le prove sono ammesse a richiesta
di parte; quindi impone al giudice di provvedere senza ritardo con ordinanza alla deliberazione di
ammissibilità.
Ribalta la logica inquisitoria sottesa all’iniziativa ufficiosa del giudice in materia di prove,
relegando a mere eccezioni i casi in cui la prova può essere assunta d’ufficio.
L’art. 190bis sancisce una deroga per i procedimenti contro i delitti di criminalità organizzata
indicati nell’art. 51 comma 3 bis:
se viene richiesto l’esame di un testimone o di uno dei soggetti dell’art. 210, che abbiano già reso
dichiarazioni in sede di incidente probatorio o in dibattimento, purché nel contraddittorio con la
persona nei cui confronti le dichiarazioni dovranno essere utilizzate, ovvero all’interno di un
procedimento abbiano reso dichiarazioni i cui verbali siano stati acquisiti ai sensi dell’art. 238,
l’esame di tali soggetti è ammesso solo se riguarda fatti o circostanze diversi da quelli oggetto
delle precedenti dichiarazioni, o quando il giudice o una delle parti lo ritengano necessario sulla
base di specifiche esigenze.
Disciplina estesa anche ai casi previsti all’art. 190bis comma 1bis:
per l’esame testimoniale di un minore di 16 anni e in ogni caso quando riguardi una persona offesa
in condizione di particolare vulnerabilità.
Ratio della deroga – esigenza di:
- tutelare le persone da esaminare dall’usura psicologica derivante da reiterate deposizioni
sugli stessi temi
- evitare ad esse l’esposizione a ripetuti rischi o disagi personali.
soddisfatte nell’ambito di una disciplina che:
a. assicura la garanzia del contraddittorio
b. subordina il potere del giudice di ammettere o no la rinnovazione dell’esame di questi
soggetti all’accertamento di un presupposto ben definito, o comunque ad una valutazione
di necessità circa l’eliminazione di incompletezze o lacune del quadro probatorio;
valutazione che spetta sempre al giudice, secondo i principi generali in tema di ammissione
della prova, senza alcun vincolo alle richieste avanzate da “taluna delle parti” (anche
perché un vincolo vanificherebbe la ragion d’essere dell’art. 190bis)
N.B. categoria dell’inutilizzabilità, intesa come vizio e come sanzione processuale generale nel caso
di violazione dei divieti probatori risultati ex legge
≠
tradizionale sanzione di nullità, riservata ai vizi di forma degli atti per cui essa venga
espressamente comminata.
La differenza vi