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Nome: Gabriele
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perché
Lidia Marchiani
Franco Marchese
LA LETTERATURA
Storia e antologia della letteratura italiana nel quadro della civiltà europea
edizione
fuori commercio
•
riservata ai
docenti
G . B. PA L U M BO E D I TO R E
indice V
Codice Fiscale: nctgrl03r12e156z
ESPANSIONI DIGITALI 5 Metri, forme, stile, lingua . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97
VIDEO
• VIDEOLEZIONE Leopardi primo dei moderni: come dare senso alla vita 6 La prima fase della poesia leopardiana
[a cura di P. Cataldi]
• VIDEO La fisicità di Giacomo Leopardi (A. Zanzotto) [1’30’’]
(1818-1822) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98
• VIDEO Le Operette morali (L. Blasucci) [2’50’’]
• VIDEO Il Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez 7 Le canzoni civili del 1818-1822 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99
(P. Cataldi) [3’50’’]
• VIDEO Le Operette morali e la critica dell’antropocentrismo
(P. Cataldi) [3’50’’] 8 Le canzoni del suicidio (1821-1822) . . . . . . . . . . . . . . . . 101
• VIDEO Gli obiettivi fondamentali delle Operette morali (P. Cataldi)
[3’20’’] T1 Ultimo canto di Saffo [9] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101
• VIDEO L’etica Leopardiana (A. Zanzotto) [3’20’’]
• VIDEO Il Dialogo di Plotino e di Porfirio (P. Cataldi) [3’20’’]
9 Gli «idilli» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105
TESTI
• Al fratello Carlo da Roma […pistolario, 219; 25 novembre 1822]
• Alla sorella Paolina da Pisa […pistolario, 555; 12 novembre 1827] S2 informazioni • Idillio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106
• L’irriducibile asocialità degli italiani [Discorso sopra lo stato
presente del costume degl’italiani] T2 TESTO OPERA L’infinito [12] . . . . . . . . . . . . . . . . . 107
• Una grande esperienza [Pensieri, LXXXII]
• Sul materialismo [Zibaldone di pensieri, 254-5, 1025-6, 1341-2, VIDEOLEZIONE: ANALISI DEL TESTO [a cura di P. Cataldi]
4288-9]
• Proposta di premi fatta all’Accademia dei Sillografi [Operette morali] testo interattivo
• Dialogo di un folletto e di uno gnomo [Operette morali] materiali per il recupero
• Coro di morti nello studio di Federico Ruysch [Operette morali]
• Cantico del gallo silvestre [Operette morali] Perché è un testo opera? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109
• La scommessa di Prometeo [Operette morali]
• Prima il cittadino o prima la città? [Paralipomeni della
Batracomiomachia, IV, 9-16]
T3 La sera del dì di festa [14] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113
• L’aldilà dei topi [Paralipomeni della Batracomiomachia, VIII, 16-25]
10 Un periodo di passaggio (1823-1827) . . . . . . . . . . . . . . 116
SCHEDE
• Leopardi e la crisi della concezione umanistica (B. Biral)
• Leopardi, politico e moralista (C. Luporini) 11 La seconda fase della poesia leopardiana
• Zibaldone (1828-1830). I canti pisano-recanatesi . . . . . . . . . . . 117
• Ermanno Olmi, Dialogo tra un venditore d’almanacchi e un passeggere
(1954)
• Il dibattito critico da De Sanctis al Postmoderno S3 informazioni • Canzone libera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 118
• Leopardi ecologista?
T4 A Silvia [21] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 120
MATERIALI PER IL RECUPERO
• Leopardi e i Canti VIDEOLEZIONE: ANALISI DEL TESTO [a cura di P. Cataldi]
indicazioni bibliografiche T5 Le ricordanze [22] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 126
ASCOLTO
• Sintesi T6 Canto notturno di un pastore errante
MAppa concettuale dell’Asia [23] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131
• Giacomo Leopardi
VIDEOLEZIONE: ANALISI DEL TESTO [a cura di P. Cataldi]
VI indice
Codice Fiscale: nctgrl03r12e156z
T11 Sopra un bassorilievo antico sepolcrale, • L’immaginazione e il vero nella canzone Alla sua donna (L. Blasucci)
dove una giovane morta è rappresentata in atto • Federico Fellini, La voce della luna (1990)
• Leopardi e la luna: la lettura di Ungaretti e quella di Calvino
di partire, accomiatandosi dai suoi [30] . . . . . . . . . . . . . . 155 • Struttura metrica e pensiero nell’Infinito [F. Brioschi]
• L’immaginazione e il vero nella canzone Alla sua donna (L. Blasucci)
15 Ideologia e società: tra la satira e la proposta.
Il messaggio conclusivo della Ginestra . . . . . . . . . . . . 159 MATERIALI PER IL RECUPERO
• L’infinito
T12 La ginestra, o il fiore del deserto
[34] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161 indicazioni bibliografiche
LO SPAZIO E IL TEMPO Spazio idillico e spazio cosmico . . . . . . . . . . . . . . . 175
SCHEDE
T9 Charles Baudelaire Spleen
• Leopardi e l’idea di progresso [I fiori del male, LXXVI] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 198
indice VII
Codice Fiscale: nctgrl03r12e156z
T10 Eugenio Montale La casa dei doganieri T13 Franco Fortini La sublime lingua morta
[Le occasioni] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 200 della poesia [L’ospite ingrato] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 206
VIII indice
Codice Fiscale: nctgrl03r12e156z
Leopardi, La vicenda di Giacomo Leopardi si svolge tra il primo e il
quarto decennio dell’Ottocento, durante la stagione culturale
il primo
caratterizzata dal Romanticismo (cfr. la mappa cronologica).
Leopardi dichiara la propria avversione alle scelte dei roman-
tici, scegliendo una originale posizione classicista, e tuttavia
W. Goethe (1749-1832)
U. Foscolo (1778-1827)
A. Manzoni (1785-1873)
G. Leopardi (1798-1837)
K. Marx (1818-1883)
C. Baudelaire (1821-1867)
F. Nietzsche (1844-1900)
G. Pascoli (1855-1912)
S. Freud (1856-1939)
I. Svevo (1861-1928)
L. Pirandello (1867-1936)
G. Ungaretti (1888-1970)
E. Montale (1896-1981)
G G G G G G
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A. Ferrazzi, Ritratto di Giacomo Leopardi del 1820 circa. Recanati, Casa Leopardi.
VIDEOLEZIONE
Leopardi primo dei moderni: come dare senso alla vita (a cura di Pietro Cataldi)
Pietro Cataldi presenta l’opera e la riflessione di Leopardi, mettendone in rilievo la grande modernità. Leo-
pardi è infatti il creatore di un’idea innovativa della poesia che mette al centro la concreta identità dell’io,
con la sua vicenda esistenziale, le sue passioni e le sue idee. Confrontandosi con i grandi temi della felicità,
della natura e della civiltà, smascherando l’illusorietà del mito del progresso, Leopardi riassume in sé gli
aspetti più significativi di una lunga stagione storica che va dall’Illuminismo al Romanticismo e, al tempo
stesso, inaugura un nuovo orizzonte di pensiero e di arte.
• Leopardi primo dei moderni [1 min. ca.]
• Il silenzio della luna [2 min. ca.]
• Fare domande a chi non può rispondere. Il Canto notturno e A Silvia [3 min. ca.]
• Leopardi primo dei moderni. Il caso Montale [3 min. ca.]
• Come dare senso alla vita? [4 min. ca.]
• Il relativismo dei moderni e la «social catena» [5 min. ca.]
• Leopardi e la scuola. La sfida democratica del sapere sostituisce il privilegio dei dotti [4 min. ca.]
• Leopardi e i giovani: la grande esperienza [4 min. ca.]
Video • La fisicità di
Giacomo Leopardi
(A. Zanzotto)
Le prime canzoni ca di Leopardi inizia a organizzarsi in un sistema teorico originale e coerente. Ne nascono, nel 1818,
civili (1818) il Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica nonché le prime due canzoni civili (All’Ita-
lia e Sopra il monumento di Dante), che vengono pubblicate a Roma.
Il tentativo di fuga Incoraggiato da una visita di Giordani a Recanati per conoscerlo, Giacomo tenta la fuga dalla
(1819) prigionia famigliare (luglio 1819); scoperto dal padre alla vigilia della partenza, rinuncia, cadendo in
un abbattimento ancora più profondo. Anche le condizioni fisiche non sono buone: una malattia
agli occhi gli rende a lungo impossibile ogni applicazione, lasciandogli postumi che lo renderanno
sofferente per il resto della vita.
La «conversione Tra il 1819 e il 1822 Leopardi vive dunque a Recanati in tensione continua con la famiglia, che
filosofica»: il vorrebbe avviarlo alla carriera ecclesiastica. Allo Zibaldone affida un gran numero di riflessioni che
materialismo
segnano la sua cosiddetta «conversione filosofica», e cioè l’adesione a una concezione materia-
Gli idilli e le canzoni listica e atea. La ricerca poetica si svolge lungo due filoni principali: la poesia sentimentale degli
idilli (compone fra l’altro L’infinito, La sera del dì di festa e Alla luna) e la poesia impegnata delle
grandi canzoni civili (fra le quali Ad Angelo Mai, Bruto minore e Ultimo canto di Saffo).
A Roma (1822-23) Finalmente, nel novembre del 1822 Giacomo può lasciare Recanati recandosi a Roma, ospite
degli zii Antici. È una nuova delusione: i monumenti della latinità lo lasciano indifferente, la città
gli spiace, i letterati gli appaiono presi solo da una meschina e provinciale passione per l’erudizione e
l’“antiquaria”. Nelle lettere al fratello Carlo, ritrae con vivacità le proprie reazioni. Gli unici incontri
T • Al fratello Carlo interessanti sono quelli con alcuni studiosi stranieri, come i prussiani Georg Niebhur e Christian
da Roma Karl von Bunsen.
Di nuovo a Recanati Nel maggio del 1823, dopo cinque mesi, fa dunque ritorno a Recanati. Qui si getta di nuovo
nell’elaborazione filosofica e nella scrittura. La messa a punto di un pensiero rigorosamente ma-
terialistico e disincantato lo porta su posizioni di combattivo pessimismo. Alla poesia dà prov-
visoriamente l’addio con la canzone Alla sua donna, e, nel 1824, si getta nella composizione delle
Le prime Operette Operette morali, originali prose e dialoghi filosofici nei quali Leopardi critica con pungente ironia
morali (1824) l’ideologia ottimistica del suo tempo e rappresenta la propria sconsolata visione della condizione
umana.
Tra Milano e Nel luglio del 1825 Leopardi lascia di nuovo Recanati, diretto a Milano. Qui l’editore Stella lo
Bologna. Lavori per impegna in alcuni progetti editoriali (soprattutto edizioni di classici). Ne nasceranno, in particolare,
l’editore Stella
un commento al Canzoniere petrarchesco (1826), nonché due antologie della letteratura italia-
na (una Crestomazia italiana della prosa e una della poesia, uscite nel 1827 e nel 1828). Ogni tentati-
vo di trovare un’occupazione stabile però fallisce, o per ostacoli oggettivi (come opposizioni politi-
che) o per rifiuti da parte dell’interessato (che rinuncia a possibili benefici ecclesiastici nonché a in-
1827 e 1832 (due operette nel 1827, tra cui Dialogo di Plotino e di Porfirio,
Seconde Operette morali
e due nel 1832, tra cui il Dialogo di Tristano e di un amico)
Ciclo di Aspasia 1832-1834 (tra cui Il pensiero dominante, Amore e morte, A se stesso)
La ginestra 1836
ne scrittore napoletano Antonio Ranieri, e nel novembre va a vivere con lui. Intanto ha conosciu-
to l’affascinante Fanny Targioni Tozzetti, della quale si innamora. Per lei scrive (tra il 1832 e il
L’amore per Fanny
Targioni Tozzetti 1835) alcune canzoni che segnano uno dei momenti più originali e alti della sua nuova produzione
(Aspasia) poetica (Il pensiero dominante, Amore e Morte, A se stesso, Aspasia, che formano il cosiddetto “ciclo di
Aspasia”, dal soprannome assegnato alla destinataria).
Prima edizione dei Nel 1831 esce a Firenze la prima edizione dei Canti, dedicata Agli amici suoi di Toscana. Passa
Canti (1831) poi, tra il 1831 e l’anno seguente, alcuni mesi con Ranieri a Roma. Nel 1832, di nuovo a Firenze, scri-
ve gli ultimi due dialoghi delle Operette e, nel dicembre, consegna l’ultimo appunto allo Zibaldone,
che conta ormai quasi cinquemila pagine.
A Napoli con Nell’ottobre 1833 Leopardi e Ranieri si trasferiscono infine a Napoli. Le condizioni di salute di
Antonio Ranieri
(1833)
Leopardi peggiorano progressivamente; ma il suo desiderio di intervenire nella vita culturale con-
temporanea è più forte che mai: il contatto con l’ambiente fiorentino e poi con quello napoletano,
dove prevale una tendenza spiritualistica, acuisce la sua ostilità verso ogni forma dell’ideologia bor-
ghese. In particolare severa è la sua critica al mito del progresso e alla fiducia nella scienza e nella tec-
Nuovi scritti: i nica. Sulla vita sociale si concentrano i Pensieri, dettati a Ranieri tra il 1831 e il 1835. Ai moti liberali
Pensieri e i
Paralipomeni della
del 1820-21 e del 1831 è dedicata la spietata analisi allegorica dei Paralipomeni della Batracomioma-
Batracomiomachia chia, il poemetto in ottave composto a partire dal 1831. Contro la fiducia nel progresso si scaglia l’i-
ronica Palinodia al marchese Gino Capponi (1835). Contro gli spiritualisti napoletani è diretta la sa-
tira di I nuovi credenti (1835).
Difficoltà editoriali Il progetto di un’edizione completa delle opere in cinque volumi presso l’editore Starita di
Napoli, fallisce per l’intervento della censura, che sequestra i primi due volumi usciti (fra cui, nel
1835, la seconda edizione, ampliata, dei Canti). L’ipotesi di un’edizione parigina a cura del De Sinner
naufraga anch’essa; così che l’edizione delle opere approvate dall’autore uscirà postuma solamente
nel 1845, a Firenze, per cura di Ranieri.
Ai piedi del Vesuvio. Tra il 1836 e il 1837 Leopardi, Ranieri e la sorella di questi, Paolina, vivono fra Torre del Greco e
Gli ultimi canti Torre Annunziata, ai piedi del Vesuvio, anche per sfuggire all’epidemia di colera che si è intanto ab-
battuta su Napoli. Leopardi compone in questo periodo gli ultimi due canti (Il tramonto della luna e
La ginestra o il fiore del deserto.
La morte, a Napoli, Tornato a Napoli nel febbraio, si aggrava ancora e infine muore, mentre infuria il colera, il 14 giu-
nel 1837 gno 1837.
2 Le lettere
Un corpus di 931 Di Leopardi ci restano 931 lettere: da quella insolente e arguta scritta nel 1810, a dodici anni, e fir-
lettere mata «la Befana», a quella dolente indirizzata al padre da Napoli il 27 maggio 1837, diciotto giorni
prima di morire.
Numerosi sono i destinatari. Molte delle lettere più significative sono rivolte ai famigliari, e
Le lettere al padre soprattutto al padre, al fratello Carlo e alla sorella Paolina. Le lettere al padre testimoniano le diffi-
coltà del rapporto. Troppo debole per contenere il rigore repressivo della figura materna, il reaziona-
rio Monaldo è lontano anche ideologicamente dal figlio. Finisce così per incarnare un punto di riferi-
1 il quale trovato: e avendolo trovato. ammette l’esistenza, in un solo uomo, di tali virtù (cuore,
2 conceduto: concesso. ingegno e dottrina).
3 l’error mio: Leopardi, una volta conosciuto Giordani,
O chi avrebbe mai pensato che il Giordani dovesse pigliare le difese di Recanati? [...] La cau-
sa è tanto disperata che non le basta il buono avvocato né le ne basterebbero cento.4 [...]
Iddio ha fatto tanto bello questo nostro mondo, tante cose belle ci hanno fatto gli uomini,
10 tanti uomini ci sono che chi non è insensato arde di vedere e di conoscere, la terra è piena di
meraviglie, ed io di dieciott’anni potrò dire, in questa caverna5 vivrò e morrò dove sono nato?
Le pare che questi desideri si possano frenare? che siano ingiusti soverchi6 sterminati? che sia
pazzia il non contentarsi di non veder nulla, il non contentarsi di Recanati? L’aria di questa cit-
tà l’è stato mal detto che sia salubre. È mutabilissima, umida, salmastra, crudele ai nervi e per la
15 sua sottigliezza niente buona a certe complessioni.7 A tutto questo aggiunga l’ostinata nera or-
renda barbara malinconia che mi lima8 e mi divora, e collo studio s’alimenta e senza studio s’ac-
cresce. So ben io qual è, e l’ho provata, ma ora non la provo più, quella dolce malinconia che par-
torisce le belle cose, più dolce dell’allegria, la quale, se m’è permesso di dir così, è come il crepu-
scolo, dove questa9 è notte fittissima e orribile, è veleno, come Ella dice, che distrugge le forze
20 del corpo e dello spirito. Ora come andarne10 libero non facendo altro che pensare e vivendo di
pensieri senza una distrazione al mondo? e come far che cessi l’effetto se dura la causa?11 Che
parla Ella di divertimenti? Unico divertimento in Recanati è lo studio: unico divertimento è
quello che mi ammazza: tutto il resto è noia. So che la noia può farmi manco male12 che la fati-
13 però: perciò. 20 nessun ricreamento: nessuno svago. 23 dare indietro: indietreggiare [per il di-
14 mi piglio: preferisco. 21 tratto tratto: di tanto in tanto. sgusto].
15 cresce: fa aumentare. 22 sia…falsa: è un’affermazione che si 24 mi forzi di: mi costringa a.
16 vo covando: vado rimuginando. collega alla poetica delle illusioni: il falso 25 a quello…fuggire: cioè lo studio «mat-
17 di: da. splendore del mondo potrebbe aiutarlo a to e disperatissimo», che contraddistingue i
18 fomenta: alimenta. evadere – anche per poco – dall’oscurità del- suoi anni giovanili.
19 ogni dì più: ogni giorno di più. la propria disperazione.
T1 DALLA COMPRENSIONE
ALL’INTERPRETAZIONE
COMPRENSIONE
Contro Recanati Questa lettera indirizzata a Pietro vane cugino); fissa le sue impressioni nel Diario del primo
Giordani (1774-1848), un letterato classicista piacentino, è amore, piccolo capolavoro di autoanalisi psicologica e senti-
stata scritta da Leopardi a Recanati il 30 aprile 1817. È un an- mentale. La vita a Recanati è però soffocante e priva di
no decisivo nella formazione del poeta. Nel 1817 conosce stimoli: in questa lettera Leopardi accusa la rozzezza dei
Pietro Giordani col quale inizia una lunga corrispondenza suoi compaesani (a seguito della lettera inviatagli da Gior-
epistolare. E nello stesso anno avvia la composizione dello dani che conteneva una difesa di Recanati) e lamenta l’iso-
Zibaldone, una sorta di diario intellettuale e di quaderno di lamento a cui è costretto in quanto scrittore e uomo di cul-
lavoro non destinato alla pubblicazione, che è per noi lettori tura. In questo periodo si allontana sempre di più dall’in-
moderni un documento imprescindibile per comprendere il fluenza del padre, un intellettuale di provincia cattolico e
suo pensiero e la sua poetica. Sempre nel 1817 si innamora reazionario, e abbraccia decisamente le posizioni del classi-
per la prima volta della cugina Gertrude Cassi Lazzari. È un cismo illuminato e laico dell’amico e padre “elettivo” Gior-
amore platonico, che rimane allo stato di desiderio puro e dani. Alle sue spalle stanno «sette anni di studio matto e di-
inconfessato (Gertrude è sposata, e probabilmente non im- speratissimo» (tra il 1809 e il 1816) che gli hanno rovinato
magina neppure di essere l’oggetto delle attenzioni del gio- irrimediabilmente la salute.
analisi E INTERPRETAZIONE
Una lettera confessione? Il più importante critico ita- un alto tasso di letterarietà. Leopardi mira a coinvolgere
liano dell’Ottocento, Francesco De Sanctis, ha interpreta- emotivamente il destinatario rivolgendogli nella parte cen-
to questa e le altre lettere di Leopardi come una testimo- trale del testo (righi 7-22) una serie di tambureggianti do-
nianza biografica e una confessione immediata, tanto da mande retoriche, che si inanellano l’una all’altra in un cre-
vedere nell’epistolario il «pietoso racconto dei fatti della sua scendo patetico, per poi culminare nell’affermazione
vita, e quasi ritratto dell’animo di uno scrittore». La sinceri- sconsolata «tutto il resto è noia» (rigo 23).
tà della confessione però non deve farci dimenticare la ri-
cercatezza formale che caratterizza questa scrittura priva- La noia e l’infelicità In questa lettera sono presenti due
ta: la prosa del brano che abbiamo letto è caratterizzata da temi che Leopardi affronterà nella sua opera: il tema della
L’importanza della È difficile ricostruire la genesi della grande arte leopardiana. Essa nasce da un incontro di complesse
precoce e profonda circostanze storiche e individuali. Ma non c’è dubbio che un’importanza grandissima ha avuto la
formazione
culturale formazione culturale dell’autore, eccezionale sia per la quantità delle conoscenze sia per la preco-
leopardiana cità del loro possesso. La sterminata biblioteca del padre Monaldo offre a Leopardi bambino e
adolescente un’opportunità di impegno esistenziale profondo. Egli ha un’attrazione congenita ver-
so la conoscenza e verso la verifica dei valori culturali; e patisce la squallida vita recanatese, stritola-
to anche in famiglia da meschinità e freddezza. Coglie allora quell’opportunità nel modo più radica-
le e irreparabile, gettandosi nello studio. Soprattutto intensi sono i sette anni di «studio matto e
disperatissimo» tra il 1809 e il 1816. Ciò che muta dopo questo periodo non è tanto la quantità di im-
pegno intellettuale, quanto la prospettiva verso cui esso si indirizza: il rapporto con Giordani e la
scelta di impegnarsi nel presente intervenendovi, modificano l’atteggiamento leopardiano, dando
alla sua solida erudizione e alla sua competenza filologica una dimensione filosofica e civile
che vanno al di là tanto dell’erudizione che della filologia.
Il rapporto decisivo Gli ingredienti della formazione di Leopardi coincidono in larga misura con i confini della biblio-
con la vasta
biblioteca paterna
teca paterna. In un primo momento, il risultato delle vaste letture leopardiane è senz’altro ideologi-
camente composito, se non ambiguo. Leopardi accoglie dall’Illuminismo con entusiasmo la fidu-
cia nella scienza, nella ragione, nella ricerca sperimentale ed empirica della verità; si riconosce in un
modello nuovo e impegnato di intellettuale, socialmente utile e civilmente solidale, votato a porta-
re la conoscenza e a vincere i pregiudizi e l’errore. Ma applica questa formazione razionalistica e illu-
ministica a un contenuto ideologico ancora esplicitamente cattolico, nel solco delle suggestioni
Dall’erudizione paterne. Solo a partire dal 1815-16 (con la cosiddetta «conversione letteraria») si delinea un model-
all’impegno civile lo di intellettuale meno circoscritto, non più coincidente con la figura dell’erudito ma con quella del
letterato moderno. Dal 1817-18, soprattutto per influenza di Giordani, l’adesione al classicismo si
configura come un tentativo di rilanciare nel corrotto presente le virtù degli antichi, servendosi in-
nanzitutto dei loro modelli di stile.
L’eccezionale valore L’attività erudita dei primi anni, da cui nascono numerose compilazioni di storia della cultura, dà
degli studi filologici
leopardiani
i suoi risultati migliori in campo filologico. La padronanza assoluta del latino e del greco, nonché la
buona conoscenza dell’ebraico e del sanscrito , unite a una straordinaria coscienza delle specificità
stilistiche e formali e a un’erudizione non comune, fanno di Leopardi un eccellente filologo. I suoi
interventi congetturali, le sue ipotesi attributive, le sue ricostruzioni della tradizione testuale lo
pongono al livello dei maggiori filologi tedeschi del tempo e assai al di sopra degli studiosi italiani
suoi contemporanei, privi di una solida coscienza storico-testuale e piuttosto esperti di antiquaria
che di filologia.
L’attenzione alla L’attività filologica di Leopardi si accompagna a un’attenzione alla evoluzione storica delle
evoluzione storica lingue e degli stili e ai rapporti tra lingue diverse (linguistica comparata) del tutto eccezionale in
delle lingue
quegli anni. Alcune delle intuizioni leopardiane sui rapporti tra le varie famiglie linguistiche, non-
ché alcune ipotesi etimologiche, anticipano scoperte e dimostrazioni di molto successive.
Dagli studi filologici Molti scritti filologici leopardiani sono concentrati negli anni della prima giovinezza, ma
della giovinezza alle alcuni di essi furono composti durante il soggiorno romano del 1822-23, e altri, perlopiù incompiu-
polemiche degli
ultimi anni ti ma egualmente di grande importanza, ancora in seguito. Nello Zibaldone non cessarono di depo-
sitarsi occasionalmente appunti e osservazioni fino al 1832. Ancora nei Paralipomeni della Batraco-
miomachia, negli ultimissimi anni, Leopardi polemizza contro la linguistica tedesca, che era giunta
a pretendere la discendenza delle lingue classiche dal tedesco, e a rivendicare la politicità del lin-
guaggio.
Il riconoscimento Si è a lungo negato che il pensiero di Leopardi abbia una rilevanza filosofica. Esso mancherebbe dei
tardivo del valore requisiti necessari alla speculazione: sistematicità, innanzitutto, e poi coerenza e originalità. È sol-
filosofico della
riflessione tanto dopo la seconda guerra mondiale che queste posizioni vengono superate, riconoscendo l’im-
leopardiana portanza della speculazione leopardiana. La sottovalutazione ottocentesca e della prima metà
del Novecento dipende soprattutto dalla prevalenza di tendenze filosofiche antitetiche rispetto alle
posizioni espresse da Leopardi. Tanto l’idealismo (prima romantico e poi novecentesco) quanto il
Positivismo del secondo Ottocento non potevano accettare né la sfiducia di Leopardi nell’idea di
progresso, né il suo radicale pessimismo. Tanto più che il materialismo leopardiano costituiva una
ragione di fastidio sia per la cultura cattolica (fortissima in Italia) sia per la tradizione idealista.
Il rischio di esaltare Oggi si sta correndo un rischio diverso ma forse non meno grave: fare di Leopardi un pensa-
Leopardi quale
pensatore non
tore grande proprio perché non sistematico e non coerente, grande proprio perché aperto e privo di
sistematico ideologia. Ciò significa adattare Leopardi a categorie successive di asistematicità concettuale o addi-
rittura al disimpegno ideologico del nostro tempo.
Un’arte fondata sul È dunque più che mai necessario concentrarsi sulle coordinate essenziali del pensiero leo-
pensiero filosofico
pardiano, su cui si fonda ogni espressione dell’arte di Leopardi. Non c’è infatti nessun altro autore
della nostra storia letteraria, eccettuato Dante, per il quale ogni elemento della rappresentazione
sia altrettanto legato al piano concettuale (e dunque filosofico).
La ricerca di un Innanzitutto, la mancanza di un’elaborazione filosofica sistematica non vuol dire che Leo-
«sistema» e di pardi sia un pensatore asistematico. Egli stesso parla anzi spesso di «mio sistema» e definisce «te-
«teorie» generali
orie» alcune proprie riflessioni di particolare importanza generale.
Un metodo di Ciò che manca di sistematicità e può essere definito “aperto” è invece il metodo leopardiano
indagine di indagine. Esso si svolge infatti prescindendo dalle procedure professionali e istituzionali della fi-
antispecialistico,
fondato su bisogni losofia. Leopardi rifiuta un uso specialistico della speculazione filosofica. Piuttosto afferma la
esistenziali e sociali tendenza alla speculazione quale bisogno esistenziale e sociale (potremmo dire antropologico). Non
pensa cioè in quanto filosofo ma in quanto esse-
re umano e in quanto essere sociale.
I due criteri-guida sui quali Leopardi tenta di
adeguare le proprie riflessioni sono la rispon-
denza alle esigenze profonde dell’individuo, e la
rispondenza ai caratteri della condizione umana
Il vero per in sé considerata. Il vero che interessa Leopar-
l’individuo e il vero
sociale
di è il vero esistenziale dell’io ed è il vero so-
ciale dei molti. Ogni ipotesi deve perciò essere
verificata al cospetto della propria esperienza e
al cospetto della molteplicità delle esperienze
umane. Le “leggi” del sistema devono, per esser
vere, restare valide tanto davanti ai requisiti
della propria esperienza individuale quanto da-
vanti a quelli di ogni altra esperienza; devono
cioè avere valore sia soggettivo che oggettivo.
• nuovo progetto di civiltà: coscienza del vero e solidarietà tra gli uomini per opporre
impegno etico e civile resistenza alla natura crudele
(1828-1837) • poesia filosofica
corpo pensa», è «materia pensante». L’applicazione del sensismo è condotta con inflessibile
consequenzialità. La causa dell’infelicità umana è indicata nel rapporto tra il bisogno dell’indivi-
La «teoria del duo di essere felice e le possibilità di soddisfacimento oggettivo. Nasce a questo proposito quella che
piacere»: Leopardi chiama «teoria del piacere». L’uomo aspira naturalmente al piacere. Ma il piacere deside-
sproporzione tra
desiderio e rato è sempre superiore al piacere effettivamente conseguito e conseguibile. Il desiderio è anzi in se
soddisfazione stesso illimitato, e perciò destinato comunque a non essere soddisfatto. Deluso dagli insufficienti
possibile
appagamenti reali, l’uomo ne cerca di illusori, sperando sempre di raggiungere la felicità nel futuro,
oppure accontentandosi di raggiungerla solo nell’immaginazione (cfr. T4, p. 34).
Una nuova Queste riflessioni comportano una ridefinizione del concetto stesso di natura. Già nella fase
concezione della
natura, colpevole e
precedente, la natura era considerata incapace di garantire ai viventi la felicità; ma le illusioni da essa
inadeguata create per difendere l’uomo dalla coscienza del vero bastavano tuttavia a farla considerare quale ma-
dre benevola, facendo ricadere sull’uomo l’accusa di aver voluto conoscere ciò che doveva restargli
per sempre ignoto. Ora la responsabilità dell’infelicità umana è fatta invece ricadere per intero
sulla natura, che determina la tendenza umana al piacere e infonde negli uomini il bisogno di felici-
tà, senza poter poi in alcun modo soddisfare tale bisogno; e anzi facendo della vita umana un insie-
me di delusioni, di sofferenze e di noia, con l’unico scopo di procedere verso la morte.
Il pessimismo Ora non sono più le condizioni storiche a essere indicate quale causa dell’infelicità, ma le condi-
cosmico: la vita zioni esistenziali dell’uomo. Si parla perciò, per questa seconda fase del pensiero leopardiano, di
come male
“pessimismo cosmico”. Infatti è la vita stessa, nella sua organizzazione universale, a essere orien-
tata solamente alla perpetuazione dell’esistenza, senza che il desiderio di piacere degli individui
venga tenuto in alcuna considerazione.
Una valutazione Il procedere della civiltà è ancora considerato quale movimento opposto alla natura. Ma alla
complessa della condanna della civiltà si sostituisce ora una considerazione complessa e ambivalente di essa,
civiltà
positiva e negativa al tempo stesso.
La civiltà come Da una parte la civiltà è l’arma attraverso la quale l’uomo ha smascherato la verità della
coscienza
propria condizione, recuperando così, se non la possibilità di essere felice, almeno la dignità della
coscienza. Ciò è vero però solo per quelle fasi della storia umana e per quelle forme di pensiero che
non hanno esitato a sondare coraggiosamente e senza mistificazioni la verità della condizione
Esaltazione del dell’uomo sulla terra. Ne consegue un’esaltazione del razionalismo europeo che va dal Rinascimen-
razionalismo e
to al Settecento, culminando nell’Illuminismo; e una condanna di ogni forma di religione (e del Cri-
condanna del
Medioevo stianesimo), e in particolare del Medioevo (elemento non secondario di distanza rispetto ai roman-
tici). Le tendenze prevalenti durante la Restaurazione rappresentano dunque agli occhi di Leopardi
un doppio regresso: la fiducia nel progresso come processo inevitabile e la ripresa religiosa spirituali-
stica convergono nel vanificare la spregiudicatezza razionalista dell’Illuminismo.
La civiltà come D’altra parte però la civiltà, sottraendo l’uomo al dominio delle forze naturali e delle illusioni,
inautenticità ed lo ha reso più egoista e più fragile, segnando ogni momento della vita con il marchio dell’artificia-
egoismo
lità e dell’inautenticità. Le società moderne vedono una lotta disperata per l’affermazione indivi-
duale, una lotta di tutti contro tutti che Leopardi rappresenta nei termini ereditati dalla riflessione
politica di Hobbes e di Machiavelli.
S1 materiali e documenti
Pessimismo e progressismo nel pensiero di Leopardi
In questo brano, Sebastiano Timpanaro analizza l’ultima fase da un periodo (aperto negli anni delle prime Operette morali, il
del pensiero leopardiano, mettendo in risalto il nesso tra valu- 1824-25) di distacco dalla società e dai suoi problemi. Si fa
tazioni filosofiche pessimistiche e atteggiamento politico de- quindi interprete di una proposta che si fonda sulle grandi intui-
mocratico. A contatto con l’ambiente cattolico-moderato fio- zioni del razionalismo settecentesco, con lo scopo non di rico-
rentino e con lo spiritualismo napoletano, Leopardi si riscuote struire facili miti (come quello della scienza) ma di confessare
1 atarassìa: imperturbabilità; è l’atteggiamento di sereno distacco e indifferenza professato da alcune tendenze filosofiche greche.
2 xenofobia: avversione per ciò che è straniero.
Il Discorso di un Il primo pronunciamento pubblico di Leopardi in fatto di poetica appartiene alla sua prima giovinez-
italiano intorno alla za, ed è tuttavia di grande importanza: il Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica. Leo-
poesia romantica
(1818) pardi lo inviò nel marzo 1818 all’editore milanese Stella quale risposta a un articolo di Ludovico di
Breme stampato sullo «Spettatore». Lo scritto leopardiano non venne pubblicato, così come non
lo erano state, due anni prima, due sue lettere di argomento affine alla «Biblioteca italiana», sulla
quale si stava svolgendo quella polemica tra classicisti e romantici che occupa il biennio 1816-1818,
soprattutto a Milano. Non è senza significato che la più autorevole e lucida posizione antiromanti-
ca, quella appunto di Leopardi, restasse sconosciuta (cfr. anche vol. 4).
Contro il Il rifiuto del Romanticismo nel Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica riguarda in-
Romanticismo,
colpevole di aver
nanzitutto il rapporto tra poesia e sensi. I romantici, denuncia Leopardi, vogliono portare la poesia
reciso il legame tra «dal visibile all’invisibile e dalle cose alle idee, e trasmutarla di materiale e fantastica e corporale che
poesia e natura era, in metafisica e ragionevole e spirituale». I romantici recidono cioè quel legame tra poesia e
natura che è la sua unica ragion d’essere. In tal modo essi prendono atto del distacco della civiltà dal-
la natura e della contrapposizione tra ragione e natura, ma rinnegano il fondamento e la funzione
della poesia, che consistono appunto nel mantenimento di un legame forte con la natura a dispetto
della ragione e della civiltà.
Per una poesia Leopardi propone invece una poesia capace di servirsi innanzitutto dei sensi per provocare
fondata sui sensi e sul lettore un effetto forte; e rivendica così la propria formazione sensistica. L’origine di ogni emo-
sull’immaginazione
zione artistica è nel rapporto con la natura, più facile e diretto per gli antichi e difficile e artificioso
per i moderni. La poesia ha anzi la funzione di ristabilire, sul piano dell’immaginazione, quel rap-
porto primitivo e diretto (sentimentale) con la natura che la civiltà e la ragione vanno distrug-
L’imitazione degli gendo sul piano dell’intelletto. Non essendo ai moderni più possibile quel rapporto fantastico e im-
antichi maginativo con la natura che agli antichi era ancora aperto, l’unica strada che resta ai moderni per ri-
stabilire un contatto con la natura non artificiale ma primitiva è lo studio degli scrittori antichi e l’i-
mitazione dei loro procedimenti.
Il classicismo Il classicismo leopardiano si fonda innanzitutto su questa condanna del presente, cioè del-
leopardiano: la modernità, che è il punto di avvio della sua riflessione. La modernità è segnata dal distacco dalla
condanna della
modernità e difesa natura, dal prevalere della riflessione e della ragione sull’immaginazione e sulle illusioni. Alla poesia
delle illusioni compete di garantire un estremo appiglio a un vero e proprio bisogno antropologico di illudersi,
di immaginare, di fantasticare, di sentire con forza primitiva il rapporto con la natura e con l’esisten-
za. Il classicismo leopardiano ha dunque una ragione e uno scopo ben diversi da quelli degli altri clas-
sicisti italiani, compreso l’amato Giordani.
La funzione sociale Come per i romantici, che pure attacca, la poesia deve avere per Leopardi – già nel 1818 e nel
della poesia
Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica – una funzione sociale. Ma ben diversa è la pro-
secondo i romantici
e secondo Leopardi spettiva secondo cui tale funzione deve esercitarsi. Per i romantici italiani si tratta di superare il di-
stacco tra mondo della letteratura e mondo della prassi, di investire cioè anche la letteratura del ge-
nerale bisogno di rinnovamento che attraversa le strutture della società, o, anche, di mettere la let-
teratura al servizio di una prospettiva complessiva di cambiamento, facendone uno strumento di
leopardi e il romanticismo
elementi di distanza elementi di vicinanza
• classicismo originale • scissione io-mondo
• imitazione degli antichi • opposizione tra uomo e natura e tra natura e civiltà
• visione materialistica e meccanicistica della natura • temi del dolore, dell’angoscia, dell’infinito
• rifiuto dell’irrazionalismo • atteggiamento agonistico e combattivo
il primato della filosofia • opposizione tra poesia e filosofia e rifiuto della poesia (perché dà voce alle illusioni)
(1823-1827) • prose delle Operette morali
Lo Zibaldone, 4526 A diciannove anni, nell’estate del 1817, Leopardi inizia a depositare le proprie riflessioni in un
pagine redatte tra il quaderno che forma il primo nucleo di quello che lui stesso avrebbe chiamato, dieci anni dopo, Zi-
1817 e il 1832
baldone di pensieri (e che si è soliti chiamare, per brevità, semplicemente Zibaldone ). Il titolo allu-
S • Zibaldone
de alla varietà disordinata dei temi affrontati negli appunti, e al carattere frammentario e provviso-
rio della scrittura. Al primo quaderno se ne aggiungono altri, e infine lo Zibaldone arriverà a contare
lo zibaldone di pensieri
date genere e struttura
• 1817-1832 R composizione • genere autobiografico e struttura diaristica,
• 1898-1900 R pubblicazione postuma a cura di Carducci che raccoglie pensieri, riflessioni filosofiche,
note di lettura, appunti di studio, resoconti
di episodi autobiografici (questi ultimi sono
stile introdotti dal titolo «Memorie della mia vita»)
• scrittura funzionale con cui Leopardi mira a chiarire • struttura aperta, asistematica e disordinata
a se stesso i propri pensieri che rispecchia un pensiero in continua evoluzione
T2 Ricordi
OPERA Sono qui riportati quattro passi dallo Zibaldone in cui Leopardi riferisce episodi legati alla propria
Zibaldone
di pensieri, 50-1, esperienza, a volte intitolandoli «Memorie della mia vita». Si noti che spesso dal ricordo nasce la ri
353-6, 4417-8, flessione teorica, a conferma del carattere pratico della riflessione leopardiana, fondata più sull’e
4421-2
sperienza che non sulle strutture tradizionali della filosofia.
CONCETTI CHIAVE
• ricordi personali
e riflessioni [1] Dolor mio nel sentire a tarda notte seguente al giorno di qualche festa il canto notturno de’
filosofiche villani passeggeri.1 Infinità del passato che mi veniva in mente, ripensando ai Romani così ca-
• rapporto con la
madre duti dopo tanto romore e ai tanti avvenimenti ora passati ch’io paragonava dolorosamente con
• piacere della quella profonda quiete e silenzio della notte,2 a [51] farmi avvedere del quale giovava il risalto di
scrittura quella voce o canto villanesco.3
fonte
G. Leopardi, Zibaldone di
pensieri, ed. critica a cura di [2] Quanto anche la religion cristiana sia contraria alla natura, quando non influisce se non
G. Pacella, Garzanti, Milano
1991, 3 voll. sul semplice e rigido raziocinio, e quando questo solo serve di norma,4 si può vedere per5 que-
1 Dolor…passeggeri: tutto il passo si col- sul piano storico: al fragore delle armi e notte / un canto che s’udia per li sentieri /
lega con La sera del dì di festa, del quale co- dell’Impero Romano è subentrato il silenzio lontanando morire a poco a poco, / già simil-
stituisce quasi una versione in prosa. In que- indifferente del mondo verso gli accadimenti mente mi stringeva il core» (vv. 43-46).
sto primo periodo riecheggiano i vv. 24-29: storici (cfr. vv. 33-39 della Sera del dì di festa). 4 Quanto…norma: si tratta della consue-
«[…] Ahi, per la via / odo non lunge il solitario 3 a farmi…villanesco: il «silenzio della ta distinzione del primo Leopardi fra natura
canto / dell’artigian, che riede a tarda not- notte» emerge per contrasto con il «canto e ragione: il Cristianesimo, in quanto si al-
te, / dopo i sollazzi, al suo povero ostello; / e villanesco», cioè di un contadino o di una vo- lontana dalla vera natura dell’uomo, non fa
fieramente mi si stringe il core, / a pensar co- ce comunque proveniente dalle campagne. altro che rafforzare le componenti più re-
me tutto al mondo passa». Anche nella Sera del dì di festa la poesia si pressive e rigide del comportamento.
2 Infinità…notte: Leopardi instaura un chiude rievocando la presenza di una melo- 5 per: attraverso.
confronto emotivo tra il silenzio notturno e i dia che attraversa la notte e lacera il ricordo
clamori che l’hanno preceduto e lo proietta delle speranze deluse: «[…] ed alla tarda
6 Io ho…famiglia: si tratta della madre dello nascita; un altro fratello con lo stesso nome ne con quella spirituale.
stesso Leopardi, Adelaide Antici (1778-1857). morì nel 1828 all’età di 24 anni. 23 la vinceva: riusciva vittoriosa.
7 punto: per niente, espressione toscana. 16 savio: saggio. 24 bene: cioè in modo consono con gli in-
8 esattissima: assai scrupolosa. 17 in vista di essi: davanti a quelli, cioè ai segnamenti della Chiesa. Ma nell’espressio-
9 dall’incomodo: dalla fatica. difetti. ne «se erano morti bene» si percepisce un
10 nella stessa età: cioè quando essi erano 18 scemava: diminuiva. ossequio religioso davvero paradossale.
bambini, come nel caso appena richiamato. 19 veracità: cioè con una sincerità aggres- 25 aveva sortito: aveva avuto in sorte.
11 cordialmente: dentro il suo cuore. siva. 26 un calcolo matematico: quella di Ade-
12 negli uffizi: nei servizi. 20 disfavore: svantaggio. laide è una posizione che discende diretta-
13 ragguagli: notizie. 21 al produrli...collocarli: al presentarli in mente dai principi seguiti, deterministica-
14 dissimulare: nascondere. società [: nei rapporti pubblici], al trovar loro mente fondata.
15 il giorno…morte: in effetti un fratello un’occupazione. 27 Ma la ragione…barbaro: così spiega
di Giacomo, Luigi, morì nove giorni dopo la 22 temporale: terrena, in contrapposizio- Leopardi questa posizione in un passo cro-
[3] Memorie della mia vita. – Felicità da me provata nel tempo [4418] del comporre, il miglior
tempo ch’io abbia passato in mia vita,34 e nel quale mi contenterei di durare finch’io vivo. Pas-
sar le giornate senza accorgermene; parermi le ore cortissime, e maravigliarmi sovente35 io me-
60 desimo di tanta facilità di passarle. – Piacere, entusiasmo ed emulazione36 che mi cagionava-
no37 nella mia prima gioventù i giuochi e gli spassi38 ch’io pigliava co’ miei fratelli, dov’entrasse
uso e paragone di forze corporali.39 Quella specie di piccola gloria ecclissava40 per qualche tem-
po a’ miei occhi quella di cui io andava continuamente e sì cupidamente 41 in cerca co’ miei abi-
tuali studi. (30. Nov.).
65 [4] Memorie della mia vita. – Sempre mi desteranno dolore quelle parole che soleva dirmi l’O-
limpia Basvecchi42 riprendendomi del mio modo di passare i giorni della gioventù, in casa, sen-
za vedere alcuno: che gioventù! che maniera di passare cotesti anni! Ed io concepiva intimam.43
e perfettam. anche allora tutta la ragionevolezza44 di queste parole. Credo [4422] però nondi-
meno45 che non vi sia giovane, qualunque maniera di vita egli meni,46 che pensando al suo mo-
70 do di passar quegli anni, non sia per dire47 a se medesimo quelle stesse parole. (2. Dicembre.
1828. Recanati.).
nologicamente vicino: «La ragione è nemica 30 S’ella…ragione: le illusioni ci fanno 36 emulazione: senso di competizione.
della natura […]. Nemico della natura è credere con rimpianto che la morte abbia 37 cagionavano: procuravano.
quell’uso della ragione che non è naturale, sottratto la persona a una vita felice, mentre 38 spassi: divertimenti.
quell’uso eccessivo ch’è proprio solamente la ragione ci rende evidente che la realtà è 39 pigliava…corporali: mi prendevo con i
dell’uomo, e dell’uomo corrotto» (Zib. 375). soprattutto sofferenza e rimorso. Leopardi miei fratelli in cui fosse implicato l’uso e il con-
28 E anche…sopra: cfr. Zib. 3896 (novem- riprende queste riflessioni nei Canti, in Sopra fronto delle forze fisiche. È nota la polemica
bre 1823): «La ragione di cui l’uomo solo è un bassorilievo antico sepolcrale (vv. 81-109) di Leopardi contro i sistemi educativi che
provveduto […] come per mille parti è utile, e ne approfondisce il significato: anche se la non prevedono anche attività fisica.
per mille necessaria alla società, […] così per morte è liberazione, l’uomo non può, tutta- 40 ecclissava: nascondeva.
mille altre parti (come, per esempio, per la su- via, rallegrarsene, neppure per i propri cari, 41 sì cupidamente: con così grande desi-
perstizione la quale non sarebbe senza il grado perché è troppo coinvolto nei momenti tra- derio.
di facoltà mentale che noi abbiamo, e che le scorsi insieme. Chi sopravvive può solo ac- 42 l’Olimpia Basvecchi: è la moglie di Vito
bestie non hanno, e per cento mila altri effetti) centuare nel ricordo il proprio dolore. Leopardi, fratello di Monaldo, e, dunque, zia
è di una natura nocevole e anche direttamente 31 soglio: sono solito. di Giacomo.
contraria alla società degli uomini, e al loro ben 32 finalmente: in conclusione. 43 intimam.: intimamente; avverbio, co-
essere e lor perfezione nello stato sociale». 33 per essenza: cioè nella sua interna ti- me il successivo perfettam.
29 con quegli errori: sono le illusioni che pologia e costituzione. 44 la ragionevolezza: la giustezza.
sollevano – provvisoriamente – l’uomo dalle 34 Felicità…vita: risale al 1828 anche A 45 nondimeno: tuttavia.
sofferenze del quotidiano («Il più solido pia- Silvia, in cui ricorre questo motivo (vv. 15- 46 meni: conduca.
cere di questa vita è il piacer vano delle illu- 22). 47 non…dire: non possa dire.
sioni», Zib. 51). 35 sovente: spesso.
analisi
Lo stile dello Zibaldone I tre brani qui presentati danno un’i- gnali di abbreviazione («ec.», «intimam.», «perfettam.») e la
dea dello stile dello Zibaldone. Non si tratta di un’opera per il disposizione disorganica e mescolata degli appunti (possiamo
pubblico: Leopardi scrive per se stesso, annotando le proprie trovare una brusca sentenza condenzata in una riga e, subito
riflessioni, idee ed esperienze. Ecco allora spiegati i continui se- dopo, un’estesa rievocazione di un episodio d’infanzia).
interpretazione
Dal ricordo alla riflessione I testi mostrano chiaramente trascorrere la giovinezza senza approfittarne, si trasforma in
come lo Zibaldone non sia un classico diario. Anche se alcuni una legge umana generale. Leopardi sospetta infatti che lo
appunti si intitolano «Memorie della mia vita», essi non si ri- stesso rimpianto sia presente in tutti gli individui, comunque
ducono quasi mai all’immediata trascrizione del ricordo. L’e- trascorrano la propria giovinezza, perché ciascuno sentirà,
pisodio privato diventa invece uno spunto di riflessione passata quella stagione, di non averne approfittato abbastan-
universale. Consideriamo per esempio il quarto brano, in cui za. Il rimpianto della gioventù trascorsa solitariamente è il te-
il ricordo delle parole di una zia, che rimprovera Giacomo di ma del Passero solitario (cfr. cap. II, T8, p. 141).
1 in…modo: cioè solamente in quella par- 6 l’arte: in questo passo dello Zibaldone suo perfezionamento – scambiato per pro-
ticolare disposizione stabilita fin dalle origini l’arte sta a indicare – come la “téchne” greca gresso – è in realtà la fonte primaria di un di-
del tempo. – la funzione tecnica, il perfezionamento sagio che allontana sempre più dall’equili-
2 s’è…mondo: ha, dunque, voluto allarga- “artigianale” delle doti e delle capacità ini- brio originario.
re l’ambito specifico cui era stato destinato. ziali. Mentre queste ultime sono appannag- 9 il che…imperfezione: in questo primo
3 ec.: eccetera. gio di tutti i popoli (anche dei «bruti» di cui Leopardi la natura è vista ancora come «per-
4 al suo servizio: alle proprie modalità di parla vichianamente Leopardi) perché inna- fetta maestra», «norma e ragione» di ogni
utilizzazione. te nella potenzialità umana, l’arte si rivela giudizio, principio assoluto e immodificabile
5 e le stesse…naturale: Leopardi vuol di- necessaria quando l’uomo, evolvendosi, di riferimento. L’atteggiamento è quello
re che, mutando la condizione umana, non percepisce la propria impotenza e distanza rousseauiano di una natura innocente cui è
risulta – per questo – più adeguato o sponta- nei confronti della natura stessa. L’arte di- contrapposta l’artificiosità del presunto vi-
neo il rapporto con la natura. La “complica- viene surrogato e risarcimento. vere civile.
zione” che l’uomo ha introdotto nella sua 7 p. conseg.: per conseguenza. 10 tutto giorno: sempre; dal francese
esistenza non trova più risposte appropriate 8 stato vizioso: il “vizio” è dato dal cor- “toujours”.
nella scansione naturale di tutte le cose. rompersi nell’uomo del sistema naturale: il
[2] Bisogna distinguere tra il fine della natura generale e quello della umana, il fine dell’esisten-
za universale, e quello della esistenza umana, o p. meglio dire, il fine naturale dell’uomo, e quel-
lo della sua esistenza. Il fine naturale dell’uomo e di ogni vivente, in ogni momento della sua
45 esistenza sentita, non è né può essere altro che la felicità, e quindi il piacere, suo proprio; e que-
sto è anche il fine unico del vivente in quanto a tutta la somma della sua vita, azione, pensiero.
Ma il fine della sua esistenza, o vogliamo dire il fine della natura nel dargliela e nel modificar-
gliela, come anche nel modificare l’esistenza degli altri enti, e in somma il fine dell’esistenza ge-
nerale, e di quell’ordine e modo di essere che hanno le cose e per se, e nel loro rapporto alle altre,
50 non è certam. in niun17 modo la felicità né il piacere dei viventi, non solo perché questa felicità è
impossibile (Teoria del piacere),18 ma anche perché sebbene la natura nella modificazione di cia-
scuno animale e delle altre cose p. rapporto a loro, ha provveduto e forse avuto la mira19 ad alcu-
ni piaceri di essi animali, queste cose sono un nulla rispetto a quelle nelle quali il modo di essere
di ciascun vivente, e delle altre cose rispetto a loro, risultano necessariam. e costantem. in loro
55 dispiacere; sicché e la somma e la intensità del dispiacere nella vita intera di ogni animale, pas-
sa20 senza comparazione [4129] la somma e intensità del suo piacere. Dunque la natura, la esi-
stenza non ha in niun modo per fine il piacere né la felicità degli animali; piuttosto al contrario;
ma ciò non toglie che ogni animale abbia di sua natura21 p. necessario, perpetuo e solo suo fine il
suo piacere, e la sua felicità, e così ciascuna specie presa insieme, e così la università dei viventi.
60 Contraddizione evidente e innegabile nell’ordine delle cose e nel modo della esistenza, con-
traddizione spaventevole; ma non perciò men vera: misterio22 grande, da non potersi mai spie-
gare, se non negando (giusta23 il mio sistema) ogni verità o falsità assoluta, e rinunziando in cer-
to modo anche al principio di cognizione, non potest idem simul esse et non esse.24
11 si trovano…loro: in quel caso, dunque, lo 16 il suo vero…primitivo: è la posizione to dal corsivo: l’aspirazione naturale alla feli-
stato di armonia è sostanziale e non fortuito. che nei Canti è riscontrabile soprattutto in cità è impedita dalla natura stessa.
12 renitente: contraria. Alla primavera o delle favole antiche e nell’In- 22 misterio: mistero; derivato dal latino
13 gli conviene rifabbricarla: è la «secon- no ai Patriarchi. “mysterium”. Il significato latino di verità ri-
da natura» di cui parla lo stesso Leopardi in 17 niun: nessun. levabile solo agli iniziati fa emergere ancor
un altro luogo: l’uomo si finge come natura- 18 Teoria del piacere: cfr. Zibaldone 165- di più la palese contraddizione con l’inspie-
le una condizione attraversata dalla media- 6, in cui Leopardi spiega la condizione infeli- gabilità del fenomeno.
zione ideologica. ce come impossibilità di colmare un deside- 23 giusta: secondo, dal latino “iuxta”.
14 raddoppiando…l’arte: si tratta di un rio infinito. 24 non potest idem simul esse et non es
rapporto di proporzionalità inversa tra arte e 19 la mira: l’interesse, come preoccupa- se: una cosa non può nello stesso tempo esse-
natura: l’artificiosità della prima aumenta zione primaria. re e non essere. Si tratta del noto principio di
quanto più la spontaneità della seconda ten- 20 passa: supera. non contraddizione (formulato da Aristotele
de ad annullarsi. 21 di sua natura: siamo al nucleo della nella Metafisica), che il sistema leopardiano
15 menome: minime. «contraddizione spaventevole», sottolinea- revoca in dubbio con eroico scetticismo.
25 Non gli uomini...i mondi: questo pas- produzione: stami e pistilli. 37 colle…ferro: cioè con le mani o con
so è costruito con un climax ascendente che 31 mele: miele; dal latino “mel”. utensili adatti.
dal genere umano si allarga a coinvolgere 32 cruciato: tormentato; dal latino “cru- 38 qualche poco: un po’. Se la vita esiste,
nell’infelicità esistenziale tutti gli esseri vi- ciatum”, participio derivato da “crucem” essa è legata a una tenace – quanto inutile –
venti, sparsi nei sistemi planetari e nelle ga- (croce). resistenza.
lassie dell’universo. 33 zeffiretto: debole venticello. Notevole 39 di qui è: da ciò deriva.
26 ridente: piacevole. è l’uso di questi diminutivi (come «pianticel- 40 ospitale: ospedale.
27 souffrance: sofferenza; in francese. la» o più avanti «donzelletta») e, in generale, 41 cemeterio: cimitero. Leopardi vuole
28 offesa dal sole: ferita dai raggi del sole. di un lessico raffinato, ricco anche di latini- evidenziare la differenza tra l’ospedale e il
Ma «offesa» aggiunge una nota umana alla smi, per creare maggior stridere con le azio- cimitero: mentre quest’ultimo è un luogo di
sofferenza di questa rosa. ni che portano morte e distruzione. morte e coincide di fatto con la fine delle
29 si corruga: si raggrinzisce, quasi ripie- 34 brano: pezzetto. sofferenze, l’altro vede soltanto il prolun-
gandosi su se stessa. 35 donzelletta: giovane ragazza. garsi senza scopo del dolore e dell’infelicità.
30 nelle…vitali: sono gli organi della ri- 36 sterpando: strappando.
T3 DALLA COMPRENSIONE
ALL’INTERPRETAZIONE
COMPRENSIONE
Natura e civiltà I tre passi dello Zibaldone che abbiamo brano (del 1821) è testimoniato il cosiddetto «sistema del-
letto appartengono a periodi lontani e diversi. Nel primo la natura e delle illusioni»: la natura aveva creato l’uomo
analisi
Gli stili dello Zibaldone La varietà degli argomenti, e il non è la felicità R dunque l’uomo è destinato ad es-
fatto che lo Zibaldone sia stato scritto in tempi diversi, fan- sere infelice pur desiderando il contrario.
no sì che il suo stile cambi di continuo, pur mantenendo un Nel terzo brano, invece, prevale l’elemento letterario e
tono discorsivo non ricercato e sempre molto diretto. Nei descrittivo: con un effetto che a noi oggi può ricordare la
primi due pensieri la forma del pensiero leopardiano è di fotografia o il cinema, ogni piccolo particolare del “giardino
impianto decisamente filosofico. Soprattutto nel secon- della sofferenza” viene ingrandito e isolato in modo che
do si può leggere un tipo di argomentazione di tipo sillogi- all’immagine complessiva di bellezza e di armonia faccia da
stico: contrappunto una miriade di particolari che mostrano inve-
il fine dell’uomo è la felicità R ma il fine della natura ce, ovunque, infelicità e sofferenza.
interpretazione
Un pensiero che si evolve Non deve stupire se, su molte stitutivo, connaturato all’essere umano. Questa concezio-
questioni importanti, Leopardi sembra cadere in contraddi- ne deriva a Leopardi dal pensiero settecentesco e in parti-
zione. In realtà non si tratta di contraddizioni vere e proprie colare da Rousseau, che nella seconda metà del XVIII secolo
o di incongruenze logiche, ma delle conseguenze del tutto aveva contribuito a diffondere il mito del “buon selvaggio”,
ovvie di un pensiero in continua evoluzione, che cioè muta cioè dell’uomo allo stato di natura, non corrotto dalla civiltà.
nel tempo. Lo Zibaldone non è infatti un trattato, ma un qua- I critici leopardiani parlano, a questo proposito, di “pessimi-
derno di lavoro, un diario intellettuale scritto giorno per smo storico”. Nel secondo brano si vede chiaramente come
giorno, che quindi registra fedelmente il pensiero di Leopar- il pensiero di Leopardi entri in una crisi irreversibile: il fine
di nel suo farsi. I tre pensieri dello Zibaldone che abbiamo let- della vita del singolo essere umano è la felicità, che consiste
to mostrano l’evoluzione del pensiero di Leopardi riguar- nel piacere dei sensi; il fine della natura in generale, però,
do al rapporto tra natura e civiltà (che è uno dei temi cen- non è la felicità dell’individuo, ma, come si ricava da altri pas-
trali della sua riflessione). Dapprima la natura è rappresenta- si dello Zibaldone, la perpetuazione della vita in quanto tale.
ta come la perfezione assoluta: tutto ciò che è naturale è per- La natura non ha più nulla di materno e di benevolo: nel giar-
fettamente ordinato a uno scopo. Se gli uomini sono infelici, dino della sofferenza tutte le creature, senza eccezione, so-
è perché si sono allontanati dal mondo naturale facendo affi- no infelici. Siamo passati dal “pessimismo storico” iniziale al
damento sulla tecnica (l’«arte») e sulla civiltà. La loro infeli- cosiddetto “pessimismo cosmico”, cioè alla constatazione
cità è dunque un prodotto della storia e non è un dato co- che l’esistenza è in sé un male, sempre e ovunque.
1 riempierci: riempirci. 4 ingenita o congenita: connaturato o ori- il riferimento al piacere come entità genera-
2 cagione: causa. Per le posizioni qui ginario. Leopardi vuol dire che la tendenza al le e astratta che non si appaga dei soddisfa-
espresse si consideri anche il Pensiero LXVIII piacere risulta innata e comunque coinci- cimenti particolari.
dedicato alla noia. dente con le pulsioni primarie dell’esistenza. 7 materialmente: ovvero come contenu-
3 essenzialmente: cioè mirando a coglie- 5 porta: comporta. to limite di tale desiderio.
re l’essenza, la profondità assoluta e globale 6 desiderio del piacere: il corsivo (come
di tutte le cose. nel seguente il piacere) intende evidenziare
T4 DALLA COMPRENSIONE
ALL’INTERPRETAZIONE
COMPRENSIONE
Premessa, conseguenza, esemplificazione In que- un tale desiderio è destinato a rimanere inappagato per-
sto brano dello Zibaldone Leopardi espone in modo esau- ché «nessun piacere è eterno» e «nessun piacere è im-
riente la sua «teoria del piacere», attraverso un’argo- menso, ma la natura delle cose porta che tutto esista li-
mentazione rigorosa. La premessa è che l’anima umana mitatamente e tutto abbia confini, e sia circoscritto».
desidera un piacere infinito, cioè che non ha limiti «1. né L’esempio del cavallo, a conclusione del brano, dà con-
per durata, 2. né per estensione». La conseguenza è che cretezza alla tesi esposta.
1 intorno…parte: riguardo a questa materia così impor- il modello autorevole di scrittura dal mondo greco-latino
tante. Leopardi si riferisce ai numerosi trattati sull’arte in poi (Orazio, Cicerone, Quintiliano, ecc.).
poetica o sulla retorica del discorso che hanno costituito
2 con…successo: con più o meno successo. ciceroniana promosso da Pietro Bembo. La mentale. La perfezione stilistica diviene sco-
3 anco: anche, cioè persino. lingua, modellata sugli esempi classici della po essenziale della scrittura, ma a scapito
4 come…latina: nel Cinquecento si vede latinità, perde il contatto con il mondo con- dell’immediatezza e dell’efficacia nei riguar-
l’affermazione di un classicismo di impronta temporaneo e assume un aspetto monu- di della realtà.
T5 DALLA COMPRENSIONE
ALL’INTERPRETAZIONE
COMPRENSIONE
Poesia e modernità Questa riflessione rimanda al rap- sto punto di vista, la ricerca stilistica leopardiana, nei
porto tra poesia e modernità, che è, secondo Leopardi, un Canti e nelle Operette morali, si configura come un con-
rapporto conflittuale e anzi un rapporto incompatibile. sapevole anacronismo, come un radicale segno di diver-
La perfezione dello stile implica una fiducia nelle facoltà sità rispetto al presente; dunque, secondo l’espressione
dell’immaginazione, e contrasta dunque con l’aspira- di questo pensiero dello Zibaldone, come uno scrivere per
zione all’utile che caratterizza la modernità. Da que- i morti.
analisi E interpretazione
Lo Zibaldone come diario e quaderno di lavoro La pa- esemplificato da questo brano. Si tratta di una riflessione
rola “zibaldone” indica un genere di scrittura vario ed sulla poesia da cui emerge l’agonismo di Leopardi nei
eterogeneo, e infatti in questo quaderno di lavoro di confronti del proprio tempo. L’argomentazione si svi-
quasi cinquemila pagine si possono trovare osservazioni di luppa in modo rapido nell’arco di poche righe. Il brano ha
carattere filologico e pensieri filosofici, ricordi personali e quindi la forma di un appunto di diario, come se Leopardi
privati e riflessioni sulla poesia, sulla letteratura, sul co- avesse voluto fissare velocemente sulla carta l’esito di una
stume. Molte di queste osservazioni serviranno da spunto riflessione più ampia, svolta tra sé e sé. Come in ogni dia-
per le liriche dei Canti. Il carattere disorganico del libro, rio, il frammento è corredato dalla notazione della data
che infatti viene pubblicato postumo grazie a Carducci, è in forma abbreviata.
Composizione e Il 1824 è l’anno delle Operette morali. Tra il gennaio e il novembre, Leopardi scrive venti prose di
vicende editoriali argomento filosofico, di taglio satirico, in forma o di narrazione o di discorso o di dialogo. Una prima
edizione, che esce a Milano nel giugno del 1827, contiene solo le venti operette composte nel
1824; ma nel 1825 ne è stata composta un’altra, cui nel 1827 si aggiungono altre due, e due ancora
S2 INFORMAZIONI
Le Operette morali: la struttura del libro e i tempi di composizione
Si presenta qui l’elenco delle 24 operette morali che formano 1845). Tutti gli altri testi s’intendono già presenti nella prima
l’edizione definitiva del libro (del 1845), nell’ordine in cui vi edizione (Milano 1827). Il Dialogo di un lettore di umanità e di
compaiono e con indicate accanto a ognuna le date di compo- Sallustio, che occupava la quinta posizione tanto nell’edizione
sizione. Un asterisco accanto al titolo indica l’inserimento a del 1827 quanto in quella del 1834, è stato escluso dalla definiti-
partire dalla seconda edizione (Firenze 1834); due asterischi in- va, nel rispetto della volontà dell’autore.
dicano l’inserimento a partire dalla terza (postuma, Firenze
le operette morali
titolo temi
• operette R il diminutivo è una spia dell’intento • teoria del piacere
satirico • natura crudele
• morali R carattere “morale” dei testi, • civiltà dominata dall’egoismo
che smascherano la morale tradizionale • visione materialistica
e indicano nuovi modelli • infelicità dell’uomo
di comportamento (in latino mores, • critica dell’antropocentrismo
cioè ‘costumi’) per reagire all’infelicità • critica del progresso
• critica della prospettiva religiosa
• virtù disprezzata nel mondo
• critica delle illusioni umane
modello
• dialoghi greci di Luciano, basati sul paradosso
e sull’ironia
forme, lingua e stile
• ironia
• satira
struttura • registro comico e contenuto tragico
• 24 prose ordinate in una struttura unitaria, • contaminazioni e varietà di stili e di forme
ma ricca di variazioni (cambiano i personaggi, • classicismo e ricchezza espressiva
le ambientazioni e le tecniche narrative) • lingua filosofica moderna
Un classicismo Il fatto che Leopardi persegua una lingua nazionale moderna non significa che l’intenzione co-
elegante e risentito municativa venga privilegiata (come da Manzoni). L’operazione leopardiana non vuole infatti pre-
scindere da una raffinatezza e da un’eleganza che presuppongono il largo ricorso a termini arcaici, a
forme letterarie, a strutture classiche. Questa ambivalenza della lingua e dello stile delle Operet-
te dipende in primo luogo dal diverso atteggiamento di Leopardi, in confronto a Manzoni e ai ro-
Lo stile e il pubblico mantici, verso il pubblico. Mentre infatti per Manzoni il pubblico borghese dei Promessi sposi coin-
delle Operette cide con quel ceto laborioso e onesto cui deve essere affidata la costruzione di una equa società cri-
morali e dei
Promessi sposi stiana e liberale, agli occhi di Leopardi quel medesimo pubblico incarna prevalentemente un refe-
rente polemico: è il pubblico ingenuo, nella migliore delle ipotesi, complice ignaro dei miti ideologi-
ci criticati nelle Operette (lo spiritualismo cristiano, la fiducia nel progresso, l’antropocentrismo); ed
anche, però, il pubblico degli intellettuali cattolico-moderati che danno corpo e alimento proprio a
quelle ideologie. C’è dunque nella complessità stilistica delle Operette una compresenza di intento
comunicativo e persuasivo (un intento filosofico costruttivo) e di atteggiamento critico-distruttivo,
volto a colpire, attraverso gli oggetti interni della satira, i propri stessi lettori.
L’ironia, strumento Proprio da questo intento dissacratorio dipende il ricorso sistematico, anche se non unico, allo
privilegiato nella strumento dell’ironia. L’ironia implica innanzitutto un rifiuto dei topoi ipocriti e vacui della mora-
«distruzione» della
morale tradizionale le tradizionale: le Operette possono essere morali, come dice il titolo, solo a patto di proporre una
nuova forma di moralità, che prescinda da ammaestramenti e da astrazioni, smascheri (Leopardi
parla proprio di «distruzione») la morale tradizionale e si cali dentro la concreta realtà dell’esperien-
za, mettendone in luce i modi effettivi di essere.
La funzione L’ironia e il riso hanno inoltre una funzione liberatoria e positiva, anch’esse misurate su da-
liberatoria del riso ti pragmatici e non su astratti “dover essere”. Ridendo del confronto tra la reale infelicità dell’uomo
e le illusioni consolatorie, si punta a mettere in risalto il limite della condizione naturale dell’esi-
stenza; e riderne può confortare gli uomini, rendendo accettabile la scoperta del dolore. Infatti il riso
è uno dei pochi modi concessi all’uomo per accrescere la propria vitalità, cioè per dare all’esistenza
un significato (coincidente, nell’ottica leopardiana, con un’occupazione intensa e coinvolgente).
Video • Gli obiettivi Le Operette morali vogliono dunque assolvere tre funzioni fondamentali: rappresentare sen-
fondamentali delle za veli la necessità del dolore per gli uomini; smascherare e deridere le illusioni consolatorie, di
Operette morali
(P. Cataldi) nuovo prevalenti nel clima culturale della Restaurazione e condivise anche dai liberali moderati; ad-
Video • L’etica
leopardiana ditare un modello di reazione all’infelicità, consistente nelle passioni e nei gesti generosi e audaci
(A. Zanzotto) che anche la disperazione può consentire.
1 Islandese: Leopardi sceglie un abitante 6 sotto forma di gigante: è un episodio vo alla greca. Con il dosso si indica la schie-
dell’Islanda su influenza di alcune pagine di leggendario narrato dal poeta portoghese na, dal latino “dorsum” e “dossum”.
Voltaire in cui si descrivono il clima e l’am- Luis Vaz de Camões (1524?-1580) nel poema 10 un buono spazio: è sottinteso di “tem-
biente disagevoli di quel paese. I Lusiadi del 1572. po”.
2 interiore: interno. 7 degli ermi: delle erme. Le erme erano pi- 11 incognita: sconosciuta.
3 la linea equinoziale: l’equatore. lastri e statue in bronzo o in marmo collocati 12 a sonaglio: a sonagli.
4 intervenne: accadde. agli incroci delle strade. 13 fino all’anima: fin nel profondo.
5 Vasco di Gama: è il celebre navigatore 8 isola di Pasqua: è un’isola del Pacifico 14 tengo per fermo: sono certo.
portoghese (1469-1524) che nel 1497-98 meridionale sul cui territorio si innalzano cir- 15 sopraggiungere: capitare.
compì la prima circumnavigazione dell’Afri- ca trecento statue gigantesche in pietra e 16 a poche esperienze: già sulla base di
ca doppiando il Capo di Buona Speranza e tufo. poche esperienze.
giungendo in India. 9 appoggiato…montagna: è un accusati-
25 mente gli uni cogli altri per l’acquisto di piaceri che non dilettano, e di beni che non giovano;
sopportando e cagionandosi scambievolmente infinite sollecitudini,17 e infiniti mali, che af-
fannano e nocciono in effetto,18 tanto più si allontanano dalla felicità, quanto più la cercano.
Per queste considerazioni, deposto ogni altro desiderio, deliberai, non dando molestia a chic-
chessia,19 non procurando in modo alcuno di avanzare il mio stato,20 non contendendo21 con al-
30 tri per nessun bene del mondo, vivere una vita oscura e tranquilla; e disperato22 dei piaceri, co-
me di cosa negata alla nostra specie, non mi proposi altra cura che di tenermi lontano dai pati-
menti. Con che non intendo dire che io pensassi di astenermi dalle occupazioni e dalle fatiche
corporali: che ben sai che differenza è dalla fatica al disagio, e dal viver quieto al vivere ozioso.23
E già nel primo mettere in opera questa risoluzione, conobbi per prova come egli24 è vano a
35 pensare, se tu vivi tra gli uomini, di potere, non offendendo alcuno, fuggire25 che gli altri non ti
offendano; e cedendo sempre spontaneamente, e contentandosi del menomo26 in ogni cosa,
ottenere che ti sia lasciato un qualsivoglia luogo, e che questo menomo non ti sia contrastato.
Ma dalla molestia degli uomini mi liberai facilmente, separandomi dalla società, e riducendomi
in solitudine: cosa che nell’isola mia nativa si può recare ad effetto27 senza difficoltà. Fatto que-
40 sto, e vivendo senza quasi verun’immagine di piacere,28 io non poteva mantenermi però senza
patimento: perché la lunghezza del verno,29 l’intensità del freddo, e l’ardore estremo della sta-
te,30 che sono qualità31 di quel luogo, mi travagliavano di continuo; e il fuoco, presso al quale mi
conveniva passare una gran parte del tempo, m’inaridiva32 le carni, e straziava gli occhi col fu-
mo; di modo che, né in casa né a cielo aperto, io mi poteva salvare da un perpetuo disagio. Né
45 anche potea conservare quella tranquillità della vita, alla quale principalmente erano rivolti i
miei pensieri: perché le tempeste spaventevoli di mare e di terra, i ruggiti e le minacce del mon-
te Ecla,33 il sospetto degl’incendi, frequentissimi negli alberghi,34 come sono i nostri, fatti di le-
gno, non intermettevano35 mai di turbarmi. Tutte le quali incomodità in una vita sempre con-
forme a se medesima, e spogliata di qualunque altro desiderio e speranza, e quasi di ogni altra
50 cura, che d’esser quieta; riescono di non poco momento,36 e molto più gravi che37 elle non so-
gliono apparire quando la maggior parte dell’animo nostro è occupata dai pensieri della vita ci-
vile, e dalle avversità che provengono dagli uomini. Per tanto veduto che più che io mi restrin-
geva e quasi mi contraeva in me stesso, a fine d’impedire che l’esser mio non desse noia né dan-
no a cosa alcuna del mondo; meno mi veniva fatto che le altre cose non m’inquietassero e tribo-
55 lassero; mi posi a cangiar38 luoghi e climi, per vedere se in alcuna parte della terra potessi non
offendendo non essere offeso, e non godendo non patire. E a questa deliberazione fui mosso
anche da un pensiero che mi nacque, che forse tu non avessi destinato al genere umano se non
solo un clima della terra (come tu hai fatto a ciascuno degli altri generi degli animali, e di quei
delle piante), e certi tali luoghi; fuori dei quali gli uomini non potessero prosperare né vivere
60 senza difficoltà e miseria; da dover essere imputate,39 non a te, ma solo a essi medesimi, quando
17 sollecitudini: preoccupazioni. più all’otium latino: esso era il tempo impie- volontariamente da ogni forma di piacere,
18 nocciono in effetto: sono dannosi nelle gato nelle attività dello spirito, nello studio e come nuovo stile di vita.
conseguenze. nella riflessione. Adesso rappresenta l’inope- 29 del verno: dell’inverno.
19 non…chicchessia: non creando fastidio rosità e il disinteresse e, in quanto tale, non ri- 30 della state: dell’estate.
a nessuno. guarda l’Islandese-Leopardi. 31 qualità: caratteristiche.
20 avanzare il mio stato: migliorare la mia 24 egli: soggetto pleonastico. 32 m’inaridiva: mi seccava.
situazione. 25 fuggire: fare in modo. 33 del monte Ecla: si tratta del vulcano
21 non contendendo: senza venire a con- 26 menomo: minimo. Il primo momento Hekla, alto 1557 metri, nell’Islanda meridionale.
flitto. di consapevolezza è dato dall’impossibilità 34 negli alberghi: nelle case.
22 disperato: perduta ogni speranza. È un del convivere civile anche regredendo in un 35 intermettevano: smettevano.
participio (usato in senso assoluto) di grande minimo spazio vitale: la lotta di tutti contro 36 momento: importanza, cioè “fastidio”.
forza espressiva. tutti (descritta lucidamente da Hobbes) non 37 che: di quanto.
23 che ben sai…ozioso: Leopardi mette in consente strategie meramente difensive. 38 cangiar: cambiare.
evidenza la differenza tra “quiete” e “ozio”, 27 recare ad effetto: realizzare. 39 da…imputate: i soggetti sono la diffi-
termine – quest’ultimo – che non corrisponde 28 senza…piacere: cioè allontanandosi coltà e la miseria.
40 eglino: essi [: gli uomini]. ni naturali] di Seneca (50 a.C. ca.-40 d.C.). del piacere, condotto agli eccessi, si trasfor-
41 commozioni: perturbazioni. 50 Né: E neppure. ma in vizio e diviene pericoloso per la salute
42 formata: effettiva. 51 con tutto che: benché. psico-fisica.
43 rei: colpevoli. 52 continente dei: moderato relativamen- 57 Ma...modo: Ma comunque.
44 ordinaria: consueta. te ai. 58 disusati: non consueti.
45 mi ho: mi sono. 53 non piccola ammirazione: non poco 59 per compensarnelo: per risarcirlo di
46 mi…dileguata: mi è scomparsa; come stupore. quelli [: dei mali]; detto con amara ironia.
risucchiata da una voragine. 54 abbi ordinato: [considerando come tu] 60 Lapponi: abitanti della Lapponia, re-
47 mi è bisognato: mi è stato necessario. abbia disposto; dipende, come interrogativa gione prossima al circolo polare artico.
48 menoma: minima. indiretta, ancora da «considerando come tu». 61 ingiuriati: danneggiati.
49 un filosofo antico: Leopardi fa riferi- 55 in quanto a: per. 62 da questa…da quello: cioè dall’«aria»
mento alle Naturales Quaestiones [Questio- 56 durabilità: continuazione. Il desiderio e dal «sole».
incomodità o danno, starsene esposto all’una o all’altro di loro. In fine, io non mi ricordo aver
100 passato un giorno solo della vita senza qualche pena; laddove63 io non posso numerare quelli
che ho consumati senza pure un’ombra di godimento: mi avveggo64 che tanto ci è destinato e
necessario65 il patire, quanto il non godere; tanto impossibile il viver quieto in qual si sia modo,
quanto il vivere inquieto senza miseria: e mi risolvo a conchiudere66 che tu sei nemica scoperta
degli uomini, e degli altri animali, e di tutte le opere tue; che ora c’insidii ora ci minacci ora ci as-
105 salti ora ci pungi ora ci percuoti ora67 ci laceri, e sempre o ci offendi o ci perseguiti; e che, per co-
stume e per instituto,68 sei carnefice della tua propria famiglia, de’ tuoi figliuoli e, per dir così,
del tuo sangue e delle tue viscere. Per tanto rimango privo di ogni speranza: avendo compreso
che gli uomini finiscono di perseguitare chiunque li fugge o si occulta con volontà vera di fug-
girli o di occultarsi; ma che tu, per niuna cagione, non lasci mai d’incalzarci, finché ci opprimi.69
110 E già mi veggo vicino il tempo amaro e lugubre della vecchiezza; vero e manifesto male, anzi
cumulo di mali e di miserie gravissime; e questo tuttavia non accidentale, ma destinato da te
per legge a tutti i generi de’ viventi, preveduto da ciascuno di noi fino nella fanciullezza, e pre-
parato in lui di continuo, dal quinto suo lustro70 in là, con un tristissimo declinare e perdere71
senza sua colpa: in modo che appena un terzo della vita degli uomini è assegnato al fiorire, po-
115 chi istanti alla maturità e perfezione, tutto il rimanente allo scadere,72 e agl’incomodi che ne
seguono.
Natura Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra?73 Ora sappi che nel-
le fatture,74 negli ordini e nelle operazioni mie, trattone75 pochissime, sempre ebbi ed ho l’in-
tenzione a tutt’altro, che alla felicità degli uomini o all’infelicità. Quando io vi offendo in qua-
120 lunque modo e con qual si sia76 mezzo, io non me n’avveggo, se non rarissime volte: come, ordi-
nariamente, se io vi diletto o vi benefico, io non lo so; e non ho fatto, come credete voi, quelle
tali cose, o non fo quelle tali azioni, per dilettarvi o giovarvi. E finalmente,77 se anche mi avve-
nisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei.78
Islandese Ponghiamo caso79 che uno m’invitasse spontaneamente a una sua villa, con
125 grande instanza,80 e io per compiacerlo vi andassi. Quivi81 mi fosse dato per dimorare una cella
tutta lacera e rovinosa, dove io fossi in continuo pericolo di essere oppresso; 82 umida, fetida,
aperta al vento e alla pioggia. Egli, non che si prendesse cura d’intrattenermi in alcun passatem-
po o di darmi alcuna comodità, per lo contrario appena mi facesse somministrare il bisognevo-
le83 a sostentarmi; e oltre di ciò mi lasciasse villaneggiare,84 schernire, minacciare e battere da’
130 suoi figliuoli e dall’altra famiglia.85 Se querelandomi io seco86 di questi mali trattamenti, mi ri-
spondesse: forse che ho fatto io questa villa per te? o mantengo io questi miei figliuoli, e questa
mia gente, per tuo servigio? e, bene ho altro a pensare che de’ tuoi sollazzi,87 e di farti le buone
63 laddove: mentre. benché si autocondanni a una solitudine pri- 78 avvedrei: accorgerei.
64 avveggo: accorgo. va di solidarietà; la natura è ancora più cru- 79 Ponghiamo caso: Supponiamo. Que-
65 necessario: inevitabile. Destinato e ne- dele perché non cessa di inseguirlo e di tor- sto verbo regge anche le preposizioni se-
cessario costituiscono una dittologia sinoni- mentarlo senza vero motivo («per niuna ca- guenti. Ha qui inizio una lunga allegoria del-
mica derivante, nel significato, dal senso gione»). la nascita e della vita umana viste come la
della costruzione latina “necesse est” (è ne- 70 dal…lustro: cioè dall’età di venticinque contraddittoria e dolorosa permanenza di
cessario). anni. un ospite in una casa inabitabile.
66 conchiudere: concludere. 71 perdere: verbo usato in senso assoluto 80 instanza: insistenza.
67 ora…ora: si noti l’insistere percussivo e intransitivo che acquista perciò nuova effi- 81 Quivi: cioè nella villa.
delle iterazioni: esso rinvia ai diversi modi cacia per il numero dei sottintesi: la ragione, 82 pericolo…oppresso: il rischio è che i
con i quali viene continuamente offesa la na- l’energia, la vitalità, la memoria ecc. muri pericolanti possano ricadere sopra l’o-
tura e la dignità dell’uomo. 72 scadere: decadere. spite e schiacciarlo.
68 instituto: fondamento. È un’accusa for- 73 per causa vostra: a vostro [: degli uo- 83 bisognevole: minimo indispensabile.
te e disperata: la natura porta inscritta nella mini] vantaggio. 84 villaneggiare: offendere.
propria specificità l’umiliazione delle sue 74 fatture: forme [da me create]. 85 dall’altra famiglia: dai servi.
creature. 75 trattone: tolte. 86 Se…seco: Se lamentandomi io con lui.
69 avendo…opprimi: l’uomo può sfuggi- 76 qual si sia: qualsiasi. 87 sollazzi: piaceri.
re al contendere sociale degli altri uomini, 77 finalmente: infine.
88 non ti…egli: non è tuo compito necessa- 95 noccia: nuoccia [: rechi danno]. 99 rifiniti…inedia: stenti e magri per il di-
rio. Egli è soggetto pleonastico. 96 Tu mostri…patimento: nella risposta giuno.
89 quanto: per quanto. della Natura è tracciato in sintesi il ciclo ineso- 100 caso: fatto.
90 travaglio: dolore. rabile della materia: la vita e la morte, la na- 101 fierissimo: violentissimo.
91 senza mia saputa: a mia insaputa. scita e il dissolvimento sono parti dello stesso 102 mausoleo: monumento funebre.
92 sconsentirlo né ripugnarlo: né disappro- ingranaggio e non è dato prescinderne, pena 103 sotto…di Europa: si noti la progressi-
vare né dissentire [sulla mia venuta al mondo]. l’interruzione del meccanismo stesso. va indefinitezza delle immagini («certi… non
93 ufficio: dovere. 97 a: da parte di. so quale…»), quasi a rendere il disperdersi
94 tribolato: afflitto da sofferenze. 98 a poco andare: in breve tempo. dell’Islandese nell’indifferenza del tutto.
T6 DALLA COMPRENSIONE
ALL’INTERPRETAZIONE
COMPRENSIONE
Datazione e collocazione del testo Il Dialogo della Natu- dendoli infelici, ma un giorno – mentre si trova nel cuore
ra e di un Islandese fu scritto nel maggio del 1824. Si trova al dell’Africa – se la ritrova davanti, in figura di donna gigan-
dodicesimo posto a partire dall’edizione fiorentina del 1834 tesca. Nel dialogo la Natura si mostra del tutto indiffe-
delle Operette, e segue il Dialogo di Torquato Tasso e del suo ge- rente al desiderio di felicità degli uomini. Non le importa se
nio familiare (che però fu scritto dopo, nel giugno del 1824). un uomo soffre e muore, e non le importerebbe neanche se
l’intera specie umana si estinguesse: l’unico suo scopo è
L’argomento Un islandese è fuggito dalla Natura per quello di mantenere attivo il «perpetuo circuito di produ-
tutta la vita, convinto che essa perséguiti gli uomini ren- zione e distruzione» della vita.
analisi
La tecnica dell’accumulo e il crescendo dimostrati- all’elencazione e all’accumulo di sofferenze e disgrazie
vo Lo stile di questa operetta, che pure non manca di ri- («Tal volta… tal altra… alcune volte… Lascio i pericoli gior-
correre alla consueta ironia, si fonda soprattutto sulla tec- nalieri… Né le infermità mi hanno perdonato… delle quali
nica dell’accumulo. Bastino due esempi: «la lunghezza alcune… altre… e tutte…» (righi 71-73, 77-79 e 87-89). Pro-
del verno, l’intensità del freddo, e l’ardore estremo della gredendo nella sua analisi dell’esperienza avuta, l’Islande-
state […]; e il fuoco […] m’inaridiva le carni, e straziava gli se passa a poco a poco dalla descrizione all’accusa, tra-
occhi col fumo» ecc. (righi 41-44); «sono stato arso dal cal- sformando il proprio discorso in una vera e propria requi-
do fra i tropici, rappreso dal freddo verso i poli, afflitto nei sitoria contro l’interlocutrice. In tal modo la tecnica
climi temperati dall’incostanza dell’aria, infestato dalle dell’accumulo viene indirizzata a sostenere le accuse ri-
commozioni degli elementi in ogni dove» (righi 64-66). volte contro la Natura: «tu sei nemica scoperta degli uomi-
Più in generale, tutta la struttura dell’operetta è affidata ni» ecc. (righi 103-104).
interpretazione
Un punto di vista “comune” Per descrivere l’esperienza specie, io non me ne avvedrei» (righi 119-123); «la vita di
della vita umana, Leopardi non ha scelto un personaggio quest’universo è un perpetuo circuito di produzione e di-
importante (un filosofo, un artista, uno scienziato), come struzione» (righi 143-144). Le domande di senso che l’I-
accade in altre operette. Ha invece preferito introdurre un slandese rivolge alla Natura non possono avere nessuna
protagonista “comune”, un uomo definito solo attraverso risposta positiva, cioè soddisfacente; ma solo una risposta
la propria nazionalità (l’Islanda) e chiamato a rappresentare nei fatti, che confermano spietatamente la logica materiale
un punto di vista medio, obiettivo, fondato sulla verità del «circuito di produzione e distruzione»: che a uccidere l’I-
dell’esperienza diretta. Ciò rientra nella concezione leo- slandese siano i due leoni famelici o sia la tempesta di sab-
pardiana della filosofia, ritenuta un bisogno esistenziale bia, in ogni caso si tratta di un evento naturale. In questo
e non una professione specialistica; e serve d’altra parte a modo, la conclusione dell’operetta ribadisce la descrizione e
dare più forza alle conclusioni filosofiche del finale. Esse in- la diagnosi dell’Islandese, nonché la legge enunciata dalla
fatti risultano la conseguenza necessaria delle esperienze Natura. La ricerca di senso da parte dell’uomo resta so-
narrate nel corso del dialogo. È in qualche modo una tecnica spesa, tanto più acuta quanto meno è possibile soddisfarla.
simile a quella cui Leopardi ricorrerà nel Canto notturno di Il materialismo leopardiano si distingue così dal meccani-
un pastore errante dell’Asia, in cui affiderà al punto di vista cismo settecentesco, da cui pure in gran parte dipende, per
“ingenuo” e diretto del pastore le domande intorno al signi- questo bisogno spasmodico di significato. Per darsi una ri-
ficato dell’esistenza. sposta, Leopardi non è disposto a rinunciare alla prospettiva
materialistica, l’unica che gli sembri radicata nella realtà e
Materialismo e ricerca di senso Le tesi materialistiche nell’esperienza; ma d’altra parte le leggi materiali non rap-
non sono qui sostenute dall’Islandese, che si limita a descri- presentano ai suoi occhi un significato sufficiente: al con-
vere la propria vicenda personale e a riflettere su di essa, ma trario, la natura gli appare dominata dall’insensatezza e
dalla Natura. Questa le presenta come dati ovvi e inequivo- dall’indifferenza. All’uomo resta solo la possibilità di de-
cabili, con una sorta di cinismo: «Quando io vi offendo […] nunciare, come fa l’Islandese, la verità dolorosa che cono-
io non me n’avveggo […]; se io vi diletto o vi benefico, io non sce, e gettare verso di essa la sfida delle proprie domande di
lo so […]. Se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra significato (ancora, come nel Canto notturno).
LABORATORIO
Dall’interpretazione alla riappropriazione
appropriazione
riappropriazione
La natura come Per Italo Calvino le Operette morali sono un «libro senza uguali» nelle letterature europee: infatti
«perpetuo circuito Leopardi mette insieme la rapidità del racconto e la densità della riflessione filosofica, tratteggian-
do un quadro spietato e lucido del mondo e della vita dell’uomo.
di produzione Un pensiero altrettanto pessimistico sulla natura era stato espresso letterariamente già dal poeta
e distruzione»: latino Tito Lucrezio Caro, vissuto fra il 98 e il 55 a.C., che aveva esposto in versi la dottrina del filoso-
da Lucrezio fo greco Epicuro. Non sappiamo se Leopardi abbia letto il De rerum natura. L’opera non è presente
a Primo Levi nella biblioteca paterna e mancano richiami diretti nello Zibaldone. È possibile però che Leopardi
abbia attinto soprattutto agli autori settecenteschi, che a loro volta conoscevano Lucrezio, di cui
riportiamo qui alcuni versi:
In Lucrezio manca però il riso “terribile” con cui nelle Operette morali vengono ridicolizzate le illu-
sioni umane: quello di Leopardi è un riso «senza fede né speranze, nato dall’estrema sconfitta e
della “disperazione placida”» (P. Citati).
Con la sua crudele ironia l’eredità delle Operette morali non è stata facile da raccogliere. Tuttavia
nel secondo Novecento Italo Calvino e Primo Levi, in alcuni racconti, hanno voluto riadattare que-
sta difficile lezione leopardiana. Calvino ha recuperato la critica all’antropocentrismo nelle Cosmi
comiche, in cui la scrittura limpida e geometrica aspira alla leggerezza ed è pervasa da un’ironia
che non ha la spietatezza leopardiana. Primo Levi invece ha fatto suo lo sguardo lucido e disincan-
tato con cui Leopardi mette a nudo i meccanismi brutali dell’esistenza.
Nel Dialogo di un poeta e di un medico, compreso nella raccolta Lilít e altri racconti (1981), Levi
racconta una visita medica: un «giovane poeta» mai nominato esplicitamente, ma chiaramente ri-
conducibile a Leopardi, e un medico sono i protagonisti di questa “operetta morale” della contem-
poraneità. Il medico è senza camice bianco, volutamente dimesso, come il poeta («era in pantofo-
le, spettinato, infagottato in una veste da camera goffa e logora») . Tra i due c’è un rapporto di affi-
nità e di reciproca comprensione. Alla fine tuttavia il medico prescrive un farmaco contro la depres-
sione del paziente; il paziente, ricevuta la cura, getta via la sua poesia. In filigrana possiamo scor-
gere nel raccontino dei precisi riferimenti ad alcune opere leopardiane, e in particolare al Dialogo
della natura e di un Islandese, come emerge dall’esempio riportato sotto:
Natura. Tu mostri non aver posto mente che la vita di quest’universo è un perpetuo circui-
to di produzione e distruzione, collegate ambedue tra sé di maniera, che ciascheduna ser-
ve continuamente all’altra, ed alla conservazione del mondo; il quale sempre che cessasse
o l’una o l’altra di loro, verrebbe parimenti in dissoluzione.
G. Leopardi, Dialogo della natura e di un Islandese.
Sentiva l’universo (che pure aveva studiato con diligenza e con amore) come un’immensa
macchina inutile, un mulino che macinava in eterno il nulla a fine di nulla; non muto, an-
zi eloquente, ma cieco e sordo e chiuso al dolore del seme umano; ecco, ogni suo istante di
veglia era intriso di questo dolore, sua unica certezza.
P. Levi, Dialogo di un poeta e di un medico.
Lo spazio della L’operetta che hai letto ruota intorno all’intervento centrale dell’Islandese, che occupa due terzi
riappropriazione: del testo. Il dialogo assume dunque le forme di un monologo o meglio di una requisitoria contro la
dalla letteratura natura, condotta con la tenacia di un avvocato accusatore in un processo e culminante nella for-
mulazione dell’accusa: «tu sei nemica scoperta degli uomini, e degli altri animali, e di tutte le opere
alla vita tue» (righi 103-104). La requisitoria non si svolge tuttavia in un tribunale o in un’assemblea. È ri-
volta contro un uditore indifferente e potentissimo, che non può essere né sconfitto né persuaso:
la Natura stessa.
Elabora un’arringa di accusa o di difesa contro la natura da esporre in classe in non più di dieci
minuti. In un caso devi cercare di “condannare” la natura provandone la crudeltà; nell’altro devi
invece farla “assolvere” passando in rassegna tutti gli elementi utili per smentire la requisitoria
dell’Islandese. Entrambi i discorsi devono attualizzare i problemi posti dal testo di Leopardi, por-
tando argomenti ed esempi che si riferiscono ai nostri tempi e che affondano le radici nella tua
esperienza.
1 Gutierrez: è uno degli uomini della corte ca 100 km dalle coste dell’Africa. può dubitare se non di fronte alla più assolu-
di Ferdinando il Cattolico. 7 occorse: accadute. ta evidenza.
2 in ogni modo: in quanto tale. 8 Però vengo discorrendo: Perciò sto con- 10 dalla speculazione: dal pensiero.
3 per via di discorso: tanto per parlare. siderando. 11 seguiti: ne consegua.
4 segreta: intima. 9 aver fede: prestar fiducia. Secondo Co- 12 tra questa e quella: cioè tra acqua e
5 in forse: in dubbio. lombo «la congettura» teorico-geografica è terra.
6 Gomera: è una delle isole Canarie, a cir- fondata su basi talmente solide che non si 13 Dato che: Ammesso che.
14 ti assicuri: ti puoi accertare. ca: l’ago della bussola, in pratica, si scosta al- 23 inferire: desumere; essendo giunto alla
15 ponghiamo caso: supponiamo. quanto dal Nord celeste, segnato dalla Stel- fine della considerazione.
16 destri: abili. la Polare. 24 probabilissimi: assai credibili e verosi-
17 la natura…nostro: in questo lungo pe- 20 novissima: straordinaria. mili.
riodo, Colombo sostiene una posizione di 21 Annone: era un navigatore cartaginese 25 conferito: discusso.
estremo relativismo, lasciando aperte tutte del V secolo a.C.; scrisse in greco un Periplo 26 fallasse: fosse sbagliata.
le strade: le nuove terre possono conferma- in cui narra i suoi viaggi fino alle coste africa- 27 cavate…discorsi: dedotte da perfette
re o smentire le nostre conoscenze naturali ne della Guinea. argomentazioni.
e geografiche. 22 quasi un prato: è il mar dei Sargassi tra 28 interviene: accade.
18 propri: nostri. le Azzorre e le Antille, così chiamato per la 29 lume: cioè conoscenza ed esperienza
19 l’ago...ponente: si tratta di un feno- presenza di un’alga, uva di mare (o sargas- diretta.
meno collegato alla declinazione magneti- so), galleggiante sulla sua superficie.
30 opinione speculativa: congettura. ire un incentivo per il suo superamento. 38 molto poche: pochissime.
31 tutto giorno: sempre, francesismo da 34 succedendo l’impresa: qualora l’impre- 39 non capiremo: non staremo più.
“toujours”. sa si concluda. 40 in sullo stabile: sulla terraferma.
32 incognita: sconosciuta. 35 profittevolissima: assai vantaggiosa. 41 la giustificazione: si intendono i motivi te-
33 pieni di noia: “noia” è parola tipicamen- 36 Leucade: isola greca dello Ionio nella orici che hanno fatto intraprendere il viaggio.
te leopardiana: indica uno stato d’animo di in- regione dell’Acarnania. Sulla rupe di Leuca- 42 scandaglio: è uno strumento per misu-
differenza e di apatia, privo di stimoli conosci- de si trovava un tempio dedicato ad Apollo. rare la profondità del mare e la consistenza
tivi e di volontà. Le difficoltà possono costitu- 37 egli: soggetto pleonastico. del fondale.
43 da qualche intoppo: cioè da qualche 44 canna…fresche: si incominciano a no- 46 massime: soprattutto.
barriera naturale: isole, montagne, vegeta- tare segni di vicinanza della terra. 47 ella: cioè l’«aspettativa».
zione. 45 hanno: abbiano.
T7 DALLA COMPRENSIONE
ALL’INTERPRETAZIONE
COMPRENSIONE
Datazione e collocazione del testo Questo Dialogo fu ad altrettante osservazioni del compagno. Il primo (righi
scritto fra il 19 e il 25 ottobre 1824. Venne pubblicato pri- 11-66) ruota intorno al motivo dell’incertezza circa la cor-
ma nell’«Antologia» nel 1826 e, nello stesso anno, nel «Nuo- rispondenza fra la realtà e i fondamenti teorici che ne
vo Ricoglitore» di Milano; entrò a far parte della prima edi- permettono la descrizione: i calcoli indicano che la navi-
zione milanese (1827) delle Operette morali occupando il se- gazione condurrà a nuove terre ma non vi sono certezze
dicesimo posto. materiali che la realtà sensibile vi corrisponda, né in prece-
denza l’interpretazione dei segni è sempre risultata esatta.
La suddivisione del testo Il testo è suddivisibile in quat- Il secondo (righi 69-100) ha invece come motivo dominan-
tro parti. La prima (righi 1-10) contiene gli elementi fon- te l’idea che il rischio possa sconfiggere la noia dell’esi-
damentali entro i quali si inquadra il dialogo: i due inter- stenza, fornendo quindi momenti di illusorio piacere. Il ter-
locutori, la notte quieta, la navigazione (trattandosi di Co- zo (righi 104-116) mostra il personaggio di Colombo assorto
lombo se ne deduce che la meta è rappresentata dalle In- in nuove congetture basate sulla decifrazione di altri indizi
die), la nostalgia per la terra ferma, l’inquietudine dell’equi- che egli ha tratto dall’osservazione del mare o del cielo negli
paggio e dello stesso Gutierrez per il prolungarsi del viaggio. ultimi giorni e che lo spingono ad avere fiducia circa gli esi-
Seguono poi tre lunghi interventi di Colombo in risposta ti del viaggio.
analisi
Walter Binni e il Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro L’incipit del dialogo «Il dialogo si apre nel momento
Gutierrez Per l’analisi e l’interpretazione di questo testo più drammatico del viaggio di Colombo, quando i mari-
ci serviremo di un brano, ricavato dalla trascrizione di una nai avevano già cominciato a manifestare irrequietezza, nel
lezione, in cui Walter Binni analizza la funzione del perso- dubbio e timore di essere stati condotti a una pazza avven-
naggio di Colombo, uomo d’azione e uomo d’immagina- tura senza approdo. Da una parte ci sono questi timori e
zione, che incarna un modello umano caro a Leopardi. A es- questo ardente desiderio del toccar terra a cui dà voce l’uo-
so si contrappone l’interlocutore, Gutierrez, modello di mo comune, pratico, del “comunque vivere”, Gutierrez.
un tipo d’uomo tutto pratico, cui importa soltanto la rea- Dall’altra c’è Colombo, che esprime un profondo ideale leo-
lizzazione di risultati concreti. pardiano di uomo d’azione e insieme di fantasia, assai al di là
della figurazione di Colombo in Ad Angelo Mai».
1 Così…mio: nell’intervento che precede, e falsificata dai dubbi della ragione, antago- 8 computo: calcolo.
Porfirio si è soffermato sul fatto che gli uo- nisti della felicità. 9 propria: stessa.
mini potenti (e cita come esempio i prìncipi e 3 inimica: nemica. Plotino rivaluta l’appor- 10 cure: preoccupazioni.
sovrani dell’antichità) dovrebbero desidera- to della natura, ascrive all’uomo le sue colpe 11 contuttociò: tuttavia.
re più di altri il suicidio: avendo raggiunto il e volge il discorso verso il sentimento, po- 12 in un subito: di colpo.
vertice del potere e della felicità non posso- nendolo al centro di questa ultima, accorata 13 menomissime: infinitesimali; detto con
no sperare in un futuro migliore. Se ciò non difesa delle ragioni vitali. il superlativo di un superlativo.
si è verificato è colpa di un’errata valutazio- 4 speculazioni: riflessioni. 14 rifassi: si ricrea.
ne dei rapporti fra vita e morte: si è scelta 5 misere: cioè povere di contenuti, limita- 15 al senso dell’animo: sono tutte le fa-
spesso la prima trascurando i suoi limiti e te negli esiti. coltà sensibili, l’immaginazione, il ricordo, il
senza considerare gli enormi vantaggi della 6 l’alterazione nostra: la modificazione del- pensiero quando sospendono il peso tem-
seconda (la morte come vera liberazione dal le nostre caratteristiche [rispetto al passato]. porale e colgono la felicità del momento.
dolore). Plotino cerca di rispondere anche a 7 mal grado...nostra: per quanto dispiac- 16 nondimeno…ragione: tuttavia, nono-
questa tesi. cia alla stupidità di noi uomini. Infatti gli uo- stante la riflessione razionale.
2 natura primitiva: Leopardi, attraverso mini non si rendono conto che l’allontanarsi 17 e…e: sia…sia.
le parole di Plotino, ritorna con nostalgia dalla natura aggrava tutti i mali, e che «l’an- 18 fiero: feroce.
all’immagine di una natura originaria in cui tico», più vicino alla natura, era meno infeli- 19 vuolsi elegger: si vuole scegliere; cioè ‘si
la coscienza dell’uomo non è ancora turbata ce (perché più capace di illudersi). può preferire’.
20 consueta: cioè abitualmente frequen- 28 degl’intrinsechi: dei più vicini. tare.
tata. 29 domestici: familiari. 38 perché…compiacergliene: perché non
21 del caso: del fatto. 30 di troppo…medesimo: il suicidio, dun- dovrebbe compiacergli [: soddisfarlo]. Il di-
22 in guisa, che: in modo che. que, diviene l’atto del supremo egoismo. scorso conclusivo di Plotino si inscrive tutto
23 si trascorra: si abbandoni. 31 sordido: squallido. nel nome dell’amicizia e della reciproca soli-
24 dalla fortuna: dalla sorte. 32 men liberale: meno generoso. darietà e coincide con le posizioni propositi-
25 non abusarla: non farne [: della fortu- 33 malagevoli: difficili. ve della Ginestra.
na] cattivo uso. 34 massime: soprattutto. 39 Ora: Dunque.
26 Aver per nulla: Non considerare per 35 sollecito: preoccupato. 40 Vogli: Voglia; congiuntivo esortativo.
niente. 36 se gli offerisca: gli si presenti. 41 sofferir: sopportare, dal latino “sufferre”.
27 disgiunzione: separazione. 37 non dovria ricusare: non dovrebbe rifiu- 42 poi…spenti: dopo che saremo morti.
analisi E interpretazione
Una moralità pragmatica Il testo non riporta la conclu- ca. A rendere sbagliato e colpevole il suicidio non è nulla di
sione dei fatti, non dice cioè se infine Porfirio ceda o meno essenziale, ma solo valori relativi e terreni, anzi sociali, co-
alle insistenze di Plotino; ma lasciando a questo l’ultima pa- me il dolore delle persone care. C’è poi un invito a usare la
rola sembra voler suggerire tale soluzione. Si tenga però ragione per conoscere la verità, ma non per distruggere
presente che gli argomenti di Porfirio non vengono in quelle illusioni naturali che concordano con un comporta-
nulla sconfessati dal contraddittore: ciò su cui Plotino fa mento nobile e altruistico. Di qui deriva anche il potente
leva per convincere l’amico non è un diverso giudizio sulla messaggio solidaristico delle ultime righe, un’esortazio-
condizione umana, ma un invito a considerarne la natura ne a consolarsi e soccorrersi che anticipa il tema civile del-
sociale. Si tratta cioè di una lezione di moralità pragmati- la Ginestra.
1 almanacchi...lunari: l’almanacco (dall’arabo al- previsioni meteorologiche, nomi dei santi, ecc. Questo
manâkh) e il lunario sono dei calendari che riportano noti- dialogo si apre con la sottolineatura della loro “novità”, in
zie astronomiche, astrologiche, detti popolari, sentenze, quanto appena stampati e dedicati al tempo futuro.
2 Credete...nuovo: la vendita degli alma- gere è in cerca di riferimenti che il venditore un endecasillabo – stride con la ricerca sem-
nacchi introduce subito il tema centrale del non può dare. Ciò che può essere offerto è pre delusa di felicità e si smentisce da solo.
dialogo, il rapporto tra felicità e speranza, soltanto il rinvio generico alla realizzazione 7 e non...avanti: senza saperne niente in
attesa e disillusione. futura. anticipo. Il passeggere riporta sempre il di-
3 Più più assai: Molto di più [dell’anno passato]. 5 egli: è soggetto pleonastico. scorso al punto di partenza: unico momento
4 quello di là: quello precedente. Il passeg- 6 E pure...bella: il luogo comune – reso con davvero felice è quello dell’attesa.
8 ancor: anche. può dire ch’è sempre futuro, non è se non fu- chiama piacere».
9 chiaro: chiaramente. turo, consiste solamente nel futuro. L’atto 11 Almanacchi...lunari: il venditore ri-
10 Quella vita...futura: come si legge nel- proprio del piacere non si dà. Io spero un pia- prende la sua strada, in cerca di altri acqui-
lo Zibaldone (532), «il piacere umano [...] si cere; e questa speranza in moltissimi casi si renti di speranza.
T9 DALLA COMPRENSIONE
ALL’INTERPRETAZIONE
COMPRENSIONE
Domande e risposte Questa breve operetta si compone anni assomiglierà? Rivivresti la tua vita fino a questo mo-
di un serrato scambio di battute pronunciate da un vendi- mento, con tutti i piaceri e i dolori che l’hanno caratterizza-
tore di almanacchi e da un passante. Gli interventi del pas- ta? L’amara conclusione è tratta dallo stesso passante: «se
sante sono quasi tutti costituiti da domande, cui il vendi- a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo bene e il
tore fornisce risposte brevi e ingenue. Le principali do- suo male, nessuno vorrebbe rinascere».
mande sono: l’anno nuovo sarà felice? A quale dei passati
analisi
Il ruolo centrale del passeggere Osserva la lunghezza pronunciare una domanda, sa già la risposta che vuole ot-
delle battute che si alternano nel corso di questa breve ope- tenere: in qualche modo, la risposta altrui è già contenuta
retta. Quelle pronunciate dal passeggere sono più lunghe e implicitamente nell’interrogativo. Così il venditore, repli-
articolate; quelle del venditore, invece, sono secche e quasi cando, non fa altro che confermare, in modo ingenuo,
balbettanti. Inoltre, il passeggere, anche quando si limita a quanto il passeggere sa già.
interpretazione
La felicità dell’attesa Il venditore rappresenta un in- stesso delle battute, pronunciate con un tono indulgente e
genuo punto di vista ottimistico: l’anno a venire sarà più malinconico, come nell’esempio che segue: «Quella vita
bello di tutti i precedenti. Il passante gli contrappone però ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella
una visione pessimistica e disincantata: l’unico piacere che non si conosce; non la vita passata, ma la futura.
vero è quello che sta nel futuro, perché il piacere consiste Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me
sempre nell’attesa e nella speranza (cioè nell’illusione) e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?». Il
senza mai darsi nel presente e nella realtà. Manca però al di- secco «Speriamo» pronunciato come conferma dal vendito-
sincanto del passante ogni punta polemica o risentita: l’a- re prova l’assimilazione della lezione: la felicità si trova dav-
mara verità del suo punto di vista emerge dallo sviluppo vero solo nella speranza e nell’attesa.
1 il vostro libro: sono le Operette morali, connotazione malinconica e sostituisce un procedimento rimane costante in tutto il
uscite a Milano nel 1827. A distanza di qual- originario e più neutrale Autore. dialogo, costruito sull’ironica ritrattazione
che anno (il presente dialogo è del 1832) 3 fitta: impressa. degli argomenti.
Leopardi tenta il bilancio di un insuccesso. 4 felicissima: Tristano contraddice subito 5 in quel proposito: cioè i pensieri sull’in-
2 Tristano: questo nome ha un’implicita quello che ha appena affermato. Questo felicità della vita umana.
6 per…comuni: dal momento che i mali so- 9 scempiataggini: scempiaggini [: scioc- di mia vita» (CCCXXXI del Canzoniere): «Or
no comuni [: condivisi]. chezze]. lasso alzo la mano e l’arme rendo / a l’empia
7 E sentendo…mondo: in una lettera al De 10 non crederà…sperare: sono osserva- e vïolenta mia fortuna, / che privo m’ha di sì
Sinner (24 maggio 1833) così scrive Leopardi: zioni che si pongono in linea con le pagine dolce speranza» (vv. 7-9).
«io faccio obiezione» contro coloro che «han- conclusive dello Zibaldone (4525): esistono 14 lo scherno: l’oggetto di disprezzo.
no voluto considerare le mie opinioni filosofi- «due verità che gli uomini non crederanno 15 Parlo…dell’intelletto: come già detto
che come il risultato dei miei mali fisici e che si mai: l’una di non saper nulla; l’altra di non es- nel Dialogo di Timandro e di Eleandro (cui
sono ostinati ad attribuire a circostanze ma- sere nulla. Aggiungi la terza, che ha molta questo è affine per molti punti), anche qui
teriali particolari quel che è frutto soltanto del dipendenza dalla seconda: di non aver nulla Tristano-Leopardi allude agli errori provoca-
mio intelletto. Prima di morire, voglio prote- a sperare dopo la morte». ti da un eccesso di razionalità e non a quelli
stare contro questa invenzione della pochez- 11 setta: scuola. Nessun filosofo, cioè, se- degli antichi, legati alle gioie dell’immagina-
za mentale e della volgarità, e pregare i miei guendo queste tesi, potrebbe avere seguaci. zione e alle felici illusioni dell’uomo.
lettori di impegnarsi a demolire le mie osser- 12 angusto: limitato. 16 mirare intrepidamente: scrutare con
vazioni e i miei ragionamenti piuttosto che di 13 prontissimi…Petrarca: Leopardi fa sguardo fermo.
limitarsi ad imputarli alle mie malattie». esplicito riferimento alla prima stanza della 17 la fiera compiacenza: l’orgogliosa sod-
8 più…suo: più a proprio vantaggio. canzone petrarchesca «Solea da la fontana disfazione.
18 non più: non mai. la nascita]. parole il ciceroniano «Mens sana in corpore
19 Salomone: antico re di Israele (sec. X 23 che uno…giovanezza: è un famoso sano» [la mente è sana in un corpo sano].
a.C.), figlio di Davide e di Betsabea. Costruì il detto di Menandro (342-291 a.C.), comme- Anche sotto questo aspetto gli antichi risul-
tempio di Gerusalemme, divenendo famoso diografo ateniese. Nella traduzione «Muor tano superiori ai moderni: Tristano nega, co-
per la sua saggezza. A lui viene attribuito il li- giovane colui che al cielo è caro» compare in sì, la visione idealistica e storicistica di un se-
bro dell’Ecclesiaste, dal contenuto pessimi- epigrafe alla poesia di Leopardi Amore e colo falsamente “progressivo”.
stico e sentenzioso. morte. 28 ignominiosa: causa di vergogna.
20 Omero: come accennato subito dopo, 24 inveterati: radicati, cioè difficili da ri- 29 Ma tra noi…spirito: appare chiaro in
anche nel grande rapsodo greco e in altri au- muovere. questo passaggio l’allusione di Leopardi
tori dell’antichità (Sofocle, Mimnermo, Bac- 25 era una…decimonono: detto, come di all’esperienza personale, agli anni della gio-
chilide, Teognide) sono numerosi i riferi- consueto, con polemico sarcasmo. vinezza trascorsi sui libri della biblioteca pa-
menti all’infelicità degli uomini, collocati al 26 perfettibilità indefinita: è un principio- terna e che compromisero in modo irreversi-
grado più basso nella scala gerarchica degli chiave dell’Ottocento: la cieca fiducia nel bile la sua salute.
esseri viventi. progresso infinito dell’uomo, nel suo neces- 30 in ordine alle: rispetto alle.
21 figure: rappresentazioni. sario tendere alla perfezione. 31 cospirarono: contribuirono.
22 in cuna: nella culla [: nel momento del- 27 E il corpo…luogo: risuona in queste 32 depravarlo: corromperlo.
33 A ogni modo…acquistando: come di ri. Il fatto che, rispetto al passato, molte più pit della risposta dell’amico: «In conseguen-
consueto, le argomentazioni di Tristano su- persone sappiano poche cose non accresce za…».
biscono una svolta brusca nel periodo finale, la qualità della scienza: essa rimane, anzi, 43 Se poi…dianzi: Tristano rinvia l’inter-
lasciando disorientato l’interlocutore, co- appannaggio esclusivo di coloro già intellet- locutore alle opinioni espresse prima: l’Otto-
stretto, così, a proseguire nei suoi inutili ten- tualmente dotati. cento vede un indebolimento del corpo e
tativi di chiarimento. 40 donde…snidare: Leopardi ritiene che in una riduzione della cultura; ma l’amico non
34 lumi: sono i lumi della ragione, con ter- Germania la «dottrina» (cioè la scienza) non è coglie il riferimento e persevera nell’accerta-
minologia tratta dall’Illuminismo, per ridur- stata frantumata nei saperi individuali ed è mento della fedeltà di Tristano ai valori
re le zone di “oscurità”. ancora patrimonio unitario di intelligenze dell’ottimismo e del progresso.
35 scema: diminuisce. scelte. È probabile che l’autore abbia in men- 44 Credo…presente: Leopardi, in realtà,
36 cencinquant’anni: centocinquant’anni. te i grandi studi storico-filologici dell’Otto- contrappone sempre le effimere “verità” dei
37 la copia: il numero. cento, tutti appartenenti all’area tedesca. giornali agli studi rigorosi e severi. L’uso iro-
38 e’: egli; pleonastico. 41 sofisticare: discutere come sofisti [: con nico della palinodia ha, tuttavia, incomincia-
39 non si sparpaglia: non si disperde qua e cavilli e ricercate sottigliezze]. to ad accendere nell’amico il sospetto che
là. Leopardi sostiene qui una tesi del sapere 42 Anzi…continuo: anche questa conclu- dietro le argomentazioni e i ripensamenti si
per cui una conoscenza matura e salda non sione ribalta quanto già esposto. Emerge, celi uno scherzo e che Tristano si stia pren-
può darsi per addizione di conoscenze mino- perciò, ancor più ironico e paradossale l’inci- dendo gioco di lui.
45 sentimenti: pensieri; nel senso ideolo- calcolata di sillogismi retorici Tristano inten- occorre considerare la «mediocrità» non in
gico e filosofico. de esprimere la contrazione del tempo nella accezione negativa, ma come livello medio
46 non v’è…posteri: i processi di massifi- civiltà moderna, anche sul piano della pro- di cultura e di conoscenza. Mentre nei secoli
cazione stanno indebolendo il peso delle in- duzione letteraria: tutto è più rapido, sia nel precedenti questo grado del sapere era limi-
telligenze individuali e, dunque, secondo momento della scrittura che in quello della tato eppure abbastanza diffuso, nell’Otto-
Leopardi, risulta inutile preoccuparsi dei po- lettura, e il basso costo del libro è proporzio- cento, secondo Leopardi, prevale la «nulli-
steri: l’acquisto di conoscenza non sarà pro- nato al suo rapido consumarsi e sparire. tà», il vuoto conoscitivo rappresentato dalle
porzionale al diffondersi del sapere e nessu- 51 frego: segno di cancellatura. masse anonime.
no dovrà attendersi gloria e ricompensa. 52 l’indole: la tipologia [intellettuale]. 57 romore: rumore [: frastuono].
47 in vigilia: in veglia [: da sveglio]. 53 maneggi: traffici (più o meno leciti). 58 E così...sommi: nell’appiattimento ge-
48 gl’intendenti: coloro che si intendono. 54 elezione: scelta. nerale non è più possibile stabilire gerarchie
49 vagliono: valgono. 55 gli: li. di valore: «infimi» e «sommi» si equivalgo-
50 Ma per…costano: con una serie ben 56 In tutti…la nullità: in questo passaggio no.
59 per...anni: sono gli anni che occorrono finire. stenziale del discorso di Tristano è un’apolo-
per raggiungere il 1900 dalla data di pubbli- 63 a un tratto: cioè troppo velocemente, gia della morte liberatrice dalle sofferenze: è
cazione dell’operetta (1834). senza la necessaria gradualità. la tappa finale di una vita già privata dei pia-
60 Voi...ironico: l’amico si è finalmente 64 poco intendente: scarso conoscitore. ceri e delle illusioni del desiderio.
reso conto del sarcasmo contenuto nelle ri- 65 egli: soggetto pleonastico. 70 alcun esito: alcuna fine.
sposte di Tristano. 66 serbarlo: conservarlo. 71 pure...dentro: la voluta ambiguità del
61 che conchiudete: quali conclusioni 67 cagioni: cause. termine «sentimento» allude sia alla convin-
traete. 68 seco: con lui. zione interiore che a un presentimento libe-
62 a che…riuscire: a quale esito si vada a 69 ardisco...morte: la conseguenza esi- ratorio.
72 la favola della vita: Leopardi cita qui la gruppo dedicato al presentimento della 76 un gran concetto: una grande opinione.
conclusione del sonetto CCLIV del Canzonie- morte di Laura. 77 ch’io fo: che io faccio.
re petrarchesco: «La mia favola breve è già 73 confidenza: fiducia. 78 a risolvermi: per decidermi.
compita / et fornito il mio tempo a mezzo gli 74 disegni: progetti.
anni». Si noti che questo sonetto chiude un 75 il buon volere: la buona volontà.
interpretazione
Il destino del «libro» di Tristano In questo dialogo si di Tristano: «Oh dunque, che farete del vostro libro?» (rigo
parla di un «libro» scritto da Tristano, e dietro di esso si in- 117). E torna a insistere sul tema quando si è infine reso con-
travede un riferimento implicito alle stesse Operette to che la palinodia era apparente: «Ma in fine avete voi mu-
morali leopardiane. Dato che in Tristano si cela, con una tato opinioni o no? e che s’ha egli a fare di questo libro?» (ri-
trasparenza unica nelle Operette, la figura stessa dell’auto- go 175). A questo punto, Tristano, che aveva riso all’idea che
re, la descrizione delle reazioni di Tristano davanti al rifiuto il libro fosse tramandato ai «posteri» (righi 117 sgg.), dichia-
del libro da parte dei lettori costituisce in qualche modo ra: «Bruciarlo è il meglio. Non lo volendo bruciare, serbarlo
una testimonianza autobiografica: «da prima rimasi at- come un libro di sogni poetici, d’invenzioni e di capricci ma-
tonito, sbalordito, immobile come un sasso, e per più giorni linconici, ovvero come un’espressione dell’infelicità
credetti di trovarmi in un altro mondo» ecc. (righi 14-15). dell’autore» (righi 176-178). A una cultura radicalmente av-
Questo testo è del 1832: la prima edizione delle Operette era versa al suo pessimismo, Leopardi contrappone infine la sfi-
ormai uscita da cinque anni, e non si può dire che avesse da della testimonianza individuale, la cui forza si fonda
avuto successo. Con questo dialogo, Leopardi riepiloga- sul soggetto. È questo, fra l’altro, il senso della scelta con-
va e confermava le proprie posizioni, ma anche, in par- clusiva della morte: una sfida, appunto, all’ottimismo del
te, prendeva posizione sull’accoglienza ricevuta dal secolo, una scommessa estrema in cui si punta sull’arma
l’opera. corrosiva del riso. «Terribile […] è la potenza del riso: chi ha
Il rifiuto delle tesi sostenute nel libro da parte dei lettori il coraggio di ridere, è padrone degli altri, come chi ha il co-
apre il problema del destino delle Operette: che cosa farne? raggio di morire» aveva scritto Leopardi nello Zibaldone il 23
Lo pone già l’amico, mentre ancora crede al ripensamento settembre 1828.
10 I Canti
La produzione in versi di Leopardi è perlopiù raccolta nei Canti (su cui cfr. il Primo Piano nel seguente
cap. II). Fanno eccezione, fra i testi maggiori, i Paralipomeni e il Coro di morti nello studio di Federico
Storia del testo ed Ruysch. La prima edizione dei Canti, stampata a Firenze nel 1831, conteneva 23 testi; la seconda,
edizioni stampata a Napoli nel 1835, ne conteneva 39. A questa se ne sono aggiunti due altri nell’edizione de-
finitiva, uscita postuma a Firenze nel 1845 per cura di Antonio Ranieri, che ammonta così a 41 testi. I
sette conclusivi comprendono traduzioni, rifacimenti, frammenti e uno scherzo.
Gli anni di Il testo più antico è del 1816, i più recenti si spingono fino alla vigilia della morte di Leopardi.
composizione L’arco cronologico di composizione del libro abbraccia dunque un ventennio abbondante.
Il registro satirico Il registro satirico adoperato da Leopardi in molte Operette morali si ritrova anche in alcuni testi poe-
nell’ultimo Leopardi tici tardi: la Palinodia al marchese Gino Capponi e il capitolo in terza rima I nuovi credenti.
Un poema La prova più impegnata e alta nel registro satirico è però costituita dai Paralipomeni della Ba-
eroicomico di otto tracomiomachia, un breve poema eroicomico di otto canti in ottave. Leopardi lo compose tra il
canti in ottave
1831 e il 1835, iniziandolo dunque durante l’ultimo soggiorno fiorentino e concludendolo a Napo-
li. La pubblicazione avvenne, postuma, a Parigi nel 1842, riscuotendo un certo interesse e soprat-
tutto un giudizio unanime di condanna, tanto per la rappresentazione tagliente e antieroica del-
Un capolavoro le vicende risorgimentali quanto per le numerose divagazioni filosofiche materialistiche. Il rilan-
sottovalutato cio critico del poemetto, avvenuto dopo la seconda guerra mondiale per iniziativa di critici leopar-
diani come Binni, non gli ha ancora restituito tra i lettori il posto che merita all’interno dell’opera
leopardiana.
genere e struttura
• poema eroicomico di 8 canti in ottave, in forma di temi
favola allegorica • critica del Risorgimento
• critica dell’antropocentrismo, dello spiritualismo cristiano,
del mito del progresso
• visione materialistica
titolo
• Parapolimeni R ‘cose tralasciate’
• Batracomiomachia R ‘battaglia delle rane e dei topi’
forme e stile
(titolo di un poemetto greco tradotto da Leopardi:
• satira e ironia
il titolo quindi presenta l’opera come un’integrazione
• andamento narrativo e discorsivo, ricco di digressioni
dell’originale greco)
• stile divertito, polemico e tagliente
condo cui spetta ai granchi di garantire la giusta relazione tra gli stati esistenti (canto II). I topi
intanto eleggono un re costituzionale, Rodipane (canto III). Dopo una digressione sull’origi-
ne della civiltà viene descritta la vita di Topaia durante la monarchia costituzionale, non
T • Prima il cittadino senza ironizzare sull’inconsistenza di molti provvedimenti legislativi (canto IV). Il re dei gran-
o prima la città?
chi Senzacapo (dietro cui si riconosce il re Francesco I d’Austria) ingiunge di restaurare la mo-
narchia assoluta. Vinta la disordinata resistenza militare dei topi, battuti nonostante l’eroica
morte di Rubatocchi (per cui cfr. T12, p. 76), i granchi asserviscono Rodipane ai propri voleri
(canto V). Padroni di Topaia, i granchi danno un’ulteriore prova di malgoverno e di crudeltà.
L’ambasciatore del re Senzacapo, Camminatorto, ha facile gioco nel reprimere i velleitari ten-
tativi insurrezionali; così che il liberale Leccafondi preferisce infine l’esilio. Colto da una
tempesta, è trascinato in fantastiche avventure, durante le quali non dimentica mai di cercare
aiuto per il suo infelice popolo, ma senz’alcun successo; è evidente la parodia di quei patrioti
che contavano solo nell’aiuto straniero per liberare l’Italia dagli austriaci (canto VI). Giunto
infine presso l’unico essere umano del poemetto, il saggio Dedalo, Leccafondi è condotto da
questi in un viaggio attraverso il tempo e la civiltà. Visita dunque i popoli preistorici e giun-
ge nell’aldilà dei bruti, cioè degli esseri viventi non umani, rappresentato con tinte angosciose
(canto VII). Leccafondi visita infine la sede dei topi morti. Questi giacciono allineati in
un’immobilità agghiacciante, privi di ogni relazione reciproca e di ogni interesse per la realtà
circostante. Leccafondi interroga i trapassati sulle speranze di ottenere soccorso dagli alleati; e
tutto l’aldilà gli risponde con una specie di intrattenibile risata. Infine i morti gli suggeriscono
T • L’aldilà dei topi di seguire i consigli del generale Assaggiatore, un topo defilato dalle cospirazioni ma coscien-
te delle possibili soluzioni (in esso è stato riconosciuto un alter ego dello stesso autore). Torna-
to in Topaia e raggiunto il designato, Leccafondi riceve però da questi un rifiuto a ogni impe-
gno diretto, finché, dove dovrebbe essere riportato un solenne discorso di Assaggiatore, il rac-
conto si interrompe adducendo la scusa tradizionale di un vuoto nelle fonti antiche consulta-
te dal narratore (canto VIII).
metrica ottava rima (ABABABCC). moso potere dando vita (formando) al topo, va concesso. Filotopo: è un neologismo di
del quale [egli] ammirava le opere, l’ingegno e Leopardi, ricalcato sulla parola “filantropo”
1 Il conte rifletté molto sulla propria specie [i la condizione (stato) gloriosa; e prevedeva (colui che ama il prossimo e fa di tutto per
topi], fu filosofo morale e animato dalla vo- che dopo non molto tempo (età), sarebbe migliorare la vita degli uomini).
lontà di migliorare la vita dei topi (filotopo); e giunto a compimento (saria matura) il desti-
lodò la natura che quaggiù dimostra il suo fa- no superiore (alta sorte) che la natura gli ave-
analisi
L’ottava e il genere eroicomico Nei Paralipomeni Leo- re comico e curioso del furto di un secchio. Il rispetto forma-
pardi utilizza il metro dell’ottava, che dal Quattrocento in le delle convenzioni metriche (strofe di otto endecasillabi
poi era stato il metro del poema epico e cavalleresco (l’Or- di cui i primi sei in rima alternata, e gli ultimi due in rima ba-
lando furioso di Ariosto e la Gerusalemme liberata di Tasso so- ciata) è necessario per permettere lo svuotamento dall’in-
no appunto in ottave). Il genere eroicomico, che di quello terno dell’ideologia del genere epico: mentre questo si
epico-cavalleresco è la parodia, era già stato praticato in pas- pone, da sempre, il problema della fondazione di una civiltà,
sato, per esempio da Alessandro Tassoni, che ne La secchia a Leopardi interessa invece mostrarne lo sgretolamento e la
rapita (1641) aveva raccontato la guerra tra Modena e Bolo- crisi.
gna ai tempi di Federico II facendola scaturire dal particola-
interpretazione
Favola animale e coscienza del relativismo Nell’utiliz- verso questi i vizi e le virtù degli uomini. I topi, da questo
zare personaggi animali Leopardi si rifà alla tradizione fa- punto di vista, hanno com’è ovvio la codardia e la man-
volistica classica (Esopo, Fedro), che rappresentava attra- canza di coraggio degli italiani, sottomessi agli austriaci (i
INTERPRETARE
3. Attraverso quali forme e quali contenuti Leopardi svol-
ge qui la sua critica all’antropocentrismo?
metrica ottave. lo scudo – dove era conficcata (confitta) una (non riposò; il verbo è usato transitivamen-
orribile (orrida) e fitta foresta (selva) di lance te) mai la mano finché – essendo divenuto più
45-46 Combattendo (pugnando) così, da (aste) e di armi diverse – [lo] scagliò lontano, denso (densato) il velo [: le tenebre] della
solo contro infiniti [avversari], [Rubatocchi] [là] dove sentiva [: non potendoli vedere] notte – cadde; ma il cielo non vide il suo cade-
resistette (durò) fino a che la vista (il veder) [che] i nemici [erano] più fitti (folti). Molti ne re [e morire]. Ma…il cielo: il senso è, voluta-
non venne meno (manco) [: a causa del restarono storpiati e contusi (pesti), altri, mente, ambiguo. A causa del buio, al cielo
buio]. Dopo (poi) che il sole fu disceso verso schiacciati, sporcarono (insucidaro = insudi- (cioè agli dèi) è risparmiata la vista penosa
altre terre (ad altri liti), sentendo il corpo ciarono) [di sangue e di viscere] il campo di della morte di un eroe. Oppure: gli dèi non
mortale tormentato (afflitto) e stanco, e il battaglia (il piano). Poi (poscia), raccolte le vedono o perché sono indifferenti alle vicen-
petto e il fianco feriti e laceri [: dittologia sino- ultime forze (gli estremi spiriti), continuando de dei mortali o addirittura perché non esi-
nimica] in più punti, non potendo più reggere a combattere (pugnando), non fece riposare stono.
47 [O] bel valore (virtù), quando (qualor) il ritrovi nascosto (occulta): e [il mio spirito] si ra non sei stato (non fosti) raffigurato (dipin-
mio spirito vede che esisti (di te s’avvede) entusiasma (si scalda) non solo (non pur) ta; da collegare a «finta» del v. 1) invano, e se
esulta come per un lieto avvenimento: e non ti [quando sei] vero e reale (salda), ma anche non sei morto (peristi) con Teseo e con Ercole
reputa da disprezzare (né da sprezzar ti cre- (ancor) [quando sei solo] immaginato. (Alcide; patronimico) [: cioè, se non sei finito
de), anche se sei (sii; congiuntivo) allevata e 48 Ahi[mè], ma dove sei tu [o valore]? [Sei] con gli eroi dell’antichità], certo da allora in
coltivata (nutrita e culta; dittologia sinoni- sempre sognato o immaginato (finta = for- qua il tuo sorriso è stato (fu) ogni (ciascun)
mica) presso i (in) topi. [Il mio spirito] si inchi- mata nel pensiero)? Nessuno ti ha mai visto giorno più raro e meno splendido (adorno).
na (si prostra) sempre davanti alla tua bellez- veramente? O sei ormai (già) estinto insieme Più raro…adorno: nella modernità la virtù
za, che supera (eccede) ogni altra, sia (o) [che (a un tempo) ai topi, e la tua bellezza non ricompare sempre più raramente e in modo
ti ritrovi] noto e illustre (chiara), sia (o) [che] ti (né) sorride più fra di noi? Ahi[mè], se da allo- sempre meno completo.
interpretazione
Un eroismo senza riscatto L’eroismo di Rubatocchi si ca- di esse. Gli amici sono in fuga; i nemici appaiono un’anonima
ratterizza per l’assoluta gratuità. Manca, innanzitutto, qual- turba senza valori comuni. Il mondo eroico dell’epica, in cui
siasi possibilità di successo: egli combatte «sol contro infiniti» amici e nemici condividono i medesimi ideali di cortesia, è irri-
(45, 1). Anche i suoi compagni di lotta, gli altri topi, lo hanno mediabilmente perduto. Questo eroe si staglia in una solitudi-
vilmente abbandonato. Tuttavia combatte, secondo un ideale ne assoluta. Non c’è, a contemplare la sua morte e a darle sen-
di eroismo rappresentato quale affermazione agonistica so, neppure lo sguardo partecipe del cielo: «cadde, ma il suo ca-
assoluta (come nel Bruto minore). In secondo luogo, l’eroismo der non vide il cielo» (46, 8). L’eroismo si profila dunque agli
di Rubatocchi è senza testimoni, al contrario di quanto acca- occhi di Leopardi quale unica possibilità di comportamento
de nella tradizione epica cavalleresca: nessuno potrà riferire le non vile davanti al destino; ma è preclusa a priori ogni spe-
sue imprese; e a nessuno d’altra parte sembra importare nulla ranza di senso, di partecipazione e di riscatto.
1 Croce: B. Croce, Leopardi, in Poesia e non poesia. Note sulla letteratura europea del secolo decimonono, Laterza, Bari 1923.
Il distacco dalla tradizione religiosa familiare significò per ad azioni magnanime. La “malinconia” è frutto di una cul-
Leopardi l’inizio di una riflessione che lo contrappose non tura che ha abolito il naturale. Perciò Leopardi in una pri-
solo agli ambienti cattolici e reazionari, ma anche all’ideali- ma fase dà tanta importanza all’ambiente storico come
smo e allo spiritualismo della contemporanea cultura ro- condizione necessaria allo stimolo delle illusioni. Di qui il
mantica (cfr. § 1). giudizio positivo sulle età eroiche e rivoluzionarie e la con-
Al primato dell’anima Leopardi oppose quello del corpo. danna dell’epoca della Restaurazione, responsabile dell’i-
Il passaggio alla celebrazione del corpo, come fonte di vita- nerzia e dell’infelicità dei contemporanei.
lità spirituale, non è legato in Leopardi solo a una conver- Leopardi, coerentemente, valorizza la base corporea
sione intellettuale. Alla base del suo materialismo c’è la dell’immaginazione e della poesia, che i romantici voglio-
sofferta esperienza di chi, avendo sacrificato, in nome dei no tramutare da «materiale e fantastica o corporale che
valori dell’“intelletto”, istinti e salute in uno studio «matto era in metafisica e ragionevole e spirituale». Riprendendo
e disperatissimo», si accorge troppo tardi dell’irrimediabi- suggestioni vichiane, egli sottolinea l’importanza del rap-
le perdita del corpo e di ogni possibilità di felicità.
Ragioni biografiche ed esistenziali trovano dunque un re-
Tommaso Minardi, Autoritratto, 1807. Firenze, Galleria degli Uffizi.
ferente ideale nel pensiero illuminista, da Rousseau al ba-
rone d’Holbach, e spiegano la centralità che ha nel pensie-
ro leopardiano il problema della felicità dell’uomo in quan-
to individuo.
La felicità è vivacità di pulsioni, di stimoli vitali, slancio di
passioni. Anche il piacere della creazione artistica è parago-
nato all’entusiasmo delle gare tra fanciulli che eccitano le
energie del corpo (cfr. T2, Ricordi). L’infelicità è legata all’as-
suefazione che fa sì che la vivezza delle impressioni a poco a
poco perda di intensità. Il sensismo settecentesco costitui-
sce il sostrato della teoria leopardiana del piacere.
L’insufficienza di tutti i piaceri e la tendenza dell’uomo ver-
so un piacere infinito non derivano dal distacco dell’uomo
da Dio. La felicità di cui parla Leopardi è un «piacere ma-
teriale e sensibile», sperimentabile e vivibile su questa
terra e non in un aldilà inconoscibile, come quello promes-
so dal Cristianesimo, perché ogni facoltà dell’uomo, il pen-
siero come il respiro, «è confinata intieramente entro i li-
miti della materia».
Anche le illusioni, gli ideali scomparsi nella società moder-
na per effetto del processo di civilizzazione, erano presen-
ti negli antichi sotto forma di grandi passioni, unica spinta
SINTESI
La vita volta Recanati solo nel novembre del 1822 per un deludente
Giacomo Leopardi nasce a Recanati il 29 giugno 1798. Tra il soggiorno di pochi mesi a Roma. Tornato a Recanati, si con-
1809 e il 1816 si svolgono quei «sette anni di studio matto e geda provvisoriamente dalla poesia e si dedica alla scrittura
disperatissimo» che arrecheranno danni irreparabili alla sua delle Operette morali. A partire dal 1825 vive a lungo lontano
salute. Giacomo si impossessa delle lingue classiche e di da Recanati: dal luglio 1825 al novembre 1826 tra Bologna e
un’erudizione solidissima, non esluso l’ambito scientifico. Milano, lavorando per l’editore milanese Stella; dall’aprile
Intorno al 1816 si colloca quella che lo stesso Leopardi definì 1827 al novembre 1828 prima a Bologna e a Firenze, poi a
«conversione letteraria»: all’amore per l’erudizione si sosti- Pisa. L’ultimo soggiorno recanatese va dal novembre 1828
tuisce cioè una più accesa consapevolezza dei valori artisti- all’aprile 1830. Una sottoscrizione degli amici toscani gli per-
ci. Dopo aver iniziato nel 1817 la corrispondenza col mette di tornare a Firenze (maggio 1830), dove, dall’autun-
Giordani, Leopardi si sente sempre più a disagio nell’asfitti- no, vive insieme all’amico Antonio Ranieri. Nell’ottobre
co ambiente recanatese. Nel 1819 tenta la fuga dalla prigio- 1833 si trasferisce a Napoli. Qui muore il 14 giugno 1837.
nia familiare, ma viene scoperto dal padre. Tra il 1819 e il
1822 vive a Recanati in tensione continua con la famiglia, Le lettere
che vorrebbe avviarlo alla carriera ecclesiastica. Allo Di Leopardi ci restano 931 lettere indirizzate a numerosi desti-
Zibaldone affida un gran numero di riflessioni che segnano natari. Molte delle più significative sono rivolte a familiari, e so-
la sua cosiddetta «conversione filosofica», l’adesione cioè a prattutto al padre, al fratello Carlo e alla sorella Paolina. Le let-
una concezione materialistica e atea. Lascia per la prima tere al padre testimoniano le difficoltà del rapporto. Nelle lette-
C al materialismo D al deismo
4 Chi sono i più frequenti destinatari delle lettere di Leopardi? Perché non è possibile parlare di epistolario? (§ 2)
5 Motiva la risposta corretta. Leopardi verso il borgo natio prova un sentimento di (T1)
A amore B avversione
C indifferenza D disagio
6 Quali influenze contribuirono alla formazione del giovane Leopardi? In particolar modo, l’incontro con l’illumi-
nismo come influenzò l’ideologia esplicitamente cattolica trasmessagli dal padre? (§§ 3, 4)
11 A Lo Zibaldone è
A un romanzo autobiografico B un diario intellettuale privato
C un’opera filosofica D un saggio sulla letteratura e sull’arte
B Il pensiero di Leopardi contenuto nello Zibaldone è
A fisso B in evoluzione
C contraddittorio D incerto
12 Nello Zibaldone come evolve il giudizio sulla natura? In che modo essa si pone nei confronti dell’uomo? (T3)
13 Leggi con attenzione il testo “la teoria del piacere” (T4) e completa le seguenti affermazioni
• la felicità è tutt’uno con
• l’umano desiderio di felicità e congenito con e per questo è
• il desiderio del piacere non ha limiti di durata perché
• il desiderio del piacere non ha limiti di estensione perché
14 Spiegando il significato del titolo, chiarisci quale funzione Leopardi intende attribuire alle sue Operette morali. (§ 9)
15 Il viaggio dell’Islandese ha uno scopo diverso da quello di Cristoforo Colombo e approda a un confronto dispe-
rato con la Natura. Completa lo schema indicando come appare la Natura all’Islandese e quale immagine la Na-
tura offre di sé. (T6)
Secondo l’Islandese Secondo la Natura
La Natura La Natura
16 Secondo Colombo «lo stato rischioso e incerto» della navigazione può rendere «cara la vita». Spiega perché.
Quali elementi della leopardiana teoria del piacere puoi rintracciare nel Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pie
tro Gutierrez? (T7)
18 Leopardi non crede nel progresso, fa la satira dei liberali, considera perdente la lotta dell’uomo con la natura; in
che senso allora il critico Sebastiano Timpanaro parla di “progressismo” leopardiano? Che cosa valorizza nel
suo pensiero? (S1)
PROPOSTE DI SCRITTURA
LA TRATTAZIONE SINTETICA
Pessimismo e progressismo
1. Spiega come il pensiero leopardiano vada mutando da un iniziale pessimismo a un progressismo sociale (max 15 righe).
2. Pessimismo e progressismo, secondo te, possono coesistere? Tratta sinteticamente l’argomento, riferendoti ai testi presi
in esame (S1) (max 15 righe).
3. Facendo riferimento a un brano delle Operette morali a tua scelta, chiarisci la riflessione filosofica di Leopardi (max 15
righe).
conclusione
PRIMO PIANO
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E Per un elenco di materiali integrativi presenti nella biblioteca multimediale di
Prometeo o per attivare una ricerca cfr. p. 183
Johan Christian Dahl, Studio di nuvola e paesaggio al chiaro di luna (particolare), 1822. Fine Arts Museums of San Francisco.
1 I Canti e la lirica
L’impossibilità della La posizione di Leopardi sul rapporto tra modernità e poesia è netta: esse sono in contraddizio-
poesia nel mondo ne; addirittura incompatibili. La vera poesia è quella degli antichi: primitiva, immaginativa, col-
moderno
ma di illusioni e di indefinitezza. La modernità è invece il regno della ragione, e il primo effetto
della ragione è la distruzione delle illusioni e dell’immaginazione. La diagnosi di Leopardi comba-
cia con quella di Schiller (ripresa da Madame de Staël): ai moderni resta soltanto la poesia senti-
mentale (cfr. vol. 4), cioè una poesia mediata dalla ragione e nella quale l’immaginazione è ridotta
quasi a zero.
Dal recupero della In un primo momento, coincidente con la stesura delle canzoni civili e degli idilli, Leopardi tenta
poesia alla
distruzione delle
di ridare vita alle illusioni antiche, di favorire, attraverso lo studio degli scrittori classici e attraverso
sue illusioni un recupero dei loro grandi miti, una rinascita dell’immaginazione. In un secondo momento, coinci-
dente con i canti pisano-recanatesi e con i testi ultimi, fiorentini e napoletani, scommette invece pro-
prio sulla distruzione delle illusioni, trattandole appunto quali illusioni: o allo scopo di piangerne la
caduta, o più spesso per denunciarne la falsità. Tra i due momenti sta la prosa delle Operette morali e la
conseguente valorizzazione del discorso filosofico quale svelamento del vero e del suo potere corrosivo.
Centralità della In entrambe le stagioni creative, Leopardi afferma la centralità della lirica quale massima
lirica e suo espressione linguistica dell’uomo, l’unica rimasta ai moderni. La lirica può reclamare una funzione
rinnovamento
anche in un mondo che ha distrutto i presupposti stessi della poeticità (le «favole antiche» e le vir-
tù). Certo, essa dovrà sapersi adeguare alla nuova condizione, o rivendicando il bisogno di auten-
ticità e di valori (come accade nel primo Leopardi), o smascherando l’inautenticità e i disvalori del
mondo moderno (come accade spesso nel Leopardi più tardo). In ogni caso la lirica viene concepita e
praticata da Leopardi in modi che rinnovano profondamente la tradizione precedente, aprendo agli
sviluppi moderni, non solo italiani, del genere lirico.
primo piano
Canti capitolo II 89
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modello di petrarca novità di leopardi
• io del poeta che si propone come un modello • io concreto, biografico
esemplare • poesia come espressione non solo di emozioni,
• poesia come espressione di emozioni e sensazioni ma soprattutto di ragionamenti e pensieri
• primato della soggettività • rapporto tra soggettività e realtà oggettiva
Il soggetto- La tradizione lirica precedente si fonda sul canone impostato da Petrarca, e dunque sulla
istituzione della centralità del soggetto quale istituzione, cioè quale costruzione letteraria. Ciò vuol dire che la
tradizione
petrarchesca… condizione psicologico-affettiva del soggetto lirico è sì autentica, ma ricondotta tuttavia comunque
a un disegno generale (universalizzante), a tipologie predefinite, a un modello infine in qualche mo-
…e il soggetto do esemplare. In Leopardi (forte anche della lezione di Tasso) il soggetto diviene invece un “io”
concreto di concreto, tangibile, addirittura biografico. Le sue affermazioni in prima persona si fondano sull’e-
Leopardi
sperienza concreta. Ciò non vale solo per gli idilli («Sempre caro mi fu quest’ermo colle», per esem-
pio), ma anche per le canzoni civili, fin da quella dedicata a Mai («Io son distrutto ecc.»). La rilevanza
dell’esperienza individuale concreta si rafforza nei grandi canti pisano-recanatesi, fino a divenire la
base dimostrativa della rappresentazione filosofica della vita, come per esempio in A Silvia. Perfino
in un testo “pubblico” e ideologicamente impegnato come La ginestra si deve registrare una presen-
za forte e tangibile dell’io testimone e partecipe. Questa soggettivizzazione della lirica segna la
modernità, e Leopardi si colloca tra i suoi fondatori.
Una lirica La prospettiva leopardiana presuppone d’altra parte anche un’altra novità rilevante: la tendenza
argomentativa e all’oggettivazione, cioè all’argomentazione, alla dimostrazione teorica e dunque alla filosofia. An-
pensante
che questo dato si situa in contrasto con la tradizione petrarchesca: il soggetto petrarchesco, appunto
perché istituzionalizzato, è anche un soggetto dimezzato, senziente ma non pensante. I Canti leopar-
Pensiero teorico ed diani danno invece vita a un soggetto che, oltre che vivere e sentire, pensa. È così dall’Infinito alla Gi-
esperienza concreta
nestra. Anzi: il pensiero si fonda sull’esperienza, il ragionamento è un attributo del soggetto, deriva dalla
sua condizione specifica: senza il «guardo», senza il “sedere e mirare” non ci sarebbero lo spaurarsi del
cuore, e senza la percezione uditiva delle piante mosse dal vento non ci sarebbe il naufragio finale,
nell’Infinito; così come senza la presenza dell’io alle pendici del Vesuvio, a contemplare la distruzione, a
registrare il profumo della ginestra, a perdersi nella visione del cielo notturno, non ci sarebbero le rifles-
sioni né la polemica né le proposte della Ginestra. È in questo modo che la tendenza della poesia leopar-
diana all’oggettivazione, cioè la sua tensione filosofica, si fonda sulla forte presenza del soggetto.
Una lirica fondata La lirica moderna deve dunque a Leopardi questo grande modello di poesia fondata sul sog-
sul soggetto ma pro
tesa alla riflessione
getto concreto e protesa al pensiero oggettivo, questo modello di lirica intrinsecamente filosofi-
filosofica oggettiva ca, nuova e diversa rispetto alla ormai secolare tradizione del petrarchismo.
Il libro dei Canti La produzione poetica significativa di Leopardi è tutta raccolta nei Canti, con la sola eccezione del
poemetto in ottave Paralipomeni della Batracomiomachia. Il libro dei Canti conta quarantuno testi
di varia lunghezza (da 13 a 317 versi), composti tra il 1816 e il 1837, cioè tra i diciotto e i trentano-
ve anni. Il grosso di questa produzione si concentra nel quinquennio iniziale (1818-1822), e negli
ultimi otto anni (1828-1836). Nel quinquennio centrale (1823-1827) abbiamo due soli testi rilevan-
ti (più due frammenti): è un periodo, infatti, occupato dalla prosa delle Operette morali.
Le edizioni dei La prima edizione dei Canti, contenente ventitré testi, uscì a Firenze dall’editore Piatti nel
Canti: 1831, 1835, 1831. Una seconda edizione fu stampata a Napoli dall’editore Starita nel 1835, primo volume di una
1845
progettata edizione di tutte le opere leopardiane (poi bloccata dalla censura dopo il secondo volume):
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Canti capitolo II 91
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S1 INFORMAZIONI
La struttura dei Canti e i tempi di composizione
In questa tabella si riporta l’indice del volume secondo l’edizio- dall’autore nella seconda edizione (Napoli 1835, editore Stari-
ne definitiva: quella uscita, postuma, nel 1845 a Firenze (edito- ta); due asterischi segnalano invece i testi aggiunti da Ranieri,
re Le Monnier) a cura di Antonio Ranieri. Sono inoltre indicate secondo la volontà leopardiana, nella terza (sopra citata). Tutti
le date di composizione, certe per alcuni testi, ipotetiche per gli altri componimenti erano già presenti nella prima edizione
altri. Un asterisco accanto al titolo segnala i testi inseriti (Firenze 1831, Piatti).
2 Sopra il monumento di Dante settembre-ottobre 1818 23 Canto notturno di un pastore 22 ottobre 1829-9 aprile 1830
che si preparava in Firenze errante dell’Asia
3 Ad Angelo Mai, quand’ebbe trovato gennaio 1820 24 La quiete dopo la tempesta 17-20 settembre 1829
i libri di Cicerone della Repubblica
4 Nelle nozze della sorella Paolina ottobre-novembre 1822 25 Il sabato del villaggio settembre 1829
18 Alla sua donna settembre 1823 39 Frammento (Spento il diurno novembre-dicembre 1816
raggio)*
19 Al conte Carlo Pepoli marzo 1826 40 Dal greco di Simonide* 1823-1824
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Canti capitolo II 93
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Sera del dì di festa la rievocazione del proprio passato e quella del passato storico dell’umanità (i Ro-
mani) procedono affiancate. Dopo la rottura segnata dalle Operette morali questo sistema divie-
Il conflitto tra ne più complesso: accanto al rapporto vitale e produttivo con il passato diviene necessaria la rifles-
passato (illusioni) e sione sul conflitto tra passato e presente, tra illusioni e disillusione, tra speranze e delusione. Questa
presente
(disillusione) nuova esigenza trova la propria realizzazione più alta in testi come Le ricordanze e A Silvia. Nel pri-
mo il meraviglioso patrimonio dei ricordi infantili viene esemplarmente messo in relazione con la
successiva disillusione. In A Silvia, analogamente, il significato sta proprio nel rapporto di contrasto
e di negazione tra il passato della speranza e il presente della morte e del fallimento. Leopardi non ha
cantato Silvia mentre era viva; ma ne ha cantato la vita e le attese dopo che la morte e la disillusione
ne avevano svelato il vero significato: è dunque soltanto nella prospettiva del ricordo e del passato
che l’esperienza acquista senso.
Valore positivo e Al tema della memoria è collegato dunque quello delle illusioni; le illusioni sono anzi pro-
limiti delle illusioni fondamente segnate dalla dimensione temporale: caratterizzano l’antico, l’infanzia, il passato,
mentre si dileguano e rovinano nel moderno, nella maturità, nel presente. La morte delle illusioni
è il danno pianto nella canzone Ad Angelo Mai, dato che con le illusioni sono venuti meno ogni
possibile virtù e ogni possibile felicità; ed è però anche la conquista rivendicata, molti anni dopo,
nella Ginestra, dato che soltanto sul riconoscimento della verità (infelice) della condizione umana
può fondarsi il progetto utopico di alleanza solidale tra gli uomini. Tra i due termini della poesia dei
Canti si rileva dunque un conflitto, non raro in una ricerca sempre aperta e problematica come quel-
la leopardiana.
Il valore formativo e C’è però anche, nella vicenda dei Canti, la messa in scena di illusioni presenti e vive, e del loro
vitalizzante valore attivo di conoscenza e di esperienza positiva. È il caso dell’Infinito, una vera e propria
delle illusioni
esaltazione del significato formativo e rigenerativo dell’abbandono a immaginazioni illusorie («nel
pensier mi fingo»). Ed è soprattutto il caso di Alla sua donna, una sorta di originalissima rivendica-
S • L’immaginazione zione del diritto a illudersi, celebrando valori dei quali si conosce l’inesistenza (cfr. § 10), e del Pen-
e il vero nella canzone siero dominante, esaltazione consapevole di un «sogno» e di un «palese error», cioè illusione, tanto
Alla sua donna
(L. Blasucci) più significativa in quanto spinta ben al di là del passaggio capitale delle Operette morali e della loro
corrosione critica. La convinzione leopardiana che alla poesia competa anche il compito di accresce-
re la vitalità determina in modi diversi questa difesa del valore non solo regressivo ma anche forma-
tivo delle illusioni.
Il tema dell’amore Tanto in Alla sua donna quanto nel Pensiero dominante l’illusione rivendicata è l’amore, altro
tema importante dei Canti. Esso è presente in testi come Il primo amore e Il sogno; agisce profon-
damente nella Sera del dì di festa quale catalizzatore della angosciata interiorità del soggetto («o
La sfida estrema di donna mia ecc.»); ma soprattutto occupa il centro dell’Ultimo canto di Saffo. Qui l’amore si configu-
Saffo
ra quale sfida estrema del soggetto: brutta e respinta dalla natura stessa, Saffo scaglia il proprio amo-
re come una sonda di significato; ma come lo slancio verso la natura così anche quello verso l’amato
sono segnati dal fallimento. L’amore di Saffo è dunque un’estrema apertura di credito alla vita, dopo
la quale, in mancanza di risultati, non può che aver luogo un rifiuto radicale e definitivo. Attraverso
il gesto estremo di togliersi la vita, in realtà Saffo viene a negare l’esistenza di un valore alle cose che
lascia.
Nel sistema dei Canti la ricerca di senso, come si è visto stemperata appena dalla consapevolez-
za che essa è un’illusione, viene poi a frangersi di schianto nella epigrafica negazione di A se stesso.
La disillusione Qui, come nell’Ultimo canto di Saffo, è proclamata l’indegnità del reale rispetto ai «moti» del cuore,
di A se stesso cioè appunto all’amore: «Non val cosa nessuna / i moti tuoi». Anche il cerchio dell’amore, come
le illusioni
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Canti capitolo II 95
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Peter Rostovsky, …piphany Model 2, 2001. Collezione
privata.
L’installazione di Peter Rostovsky, costituita da una piccola
statuetta posta di fronte a una tela che raffigura un
suggestivo cielo al tramonto, traduce in termini ironici il
quadro intitolato Viandante sul mare di nebbia, del pittore
romantico Caspar David Friedrich, del 1818, una immagine
simbolo della sensibilità romantica per la natura.
L’infinito: al di là del La non corrispondenza tra io e paesaggio, cioè la mancanza nei Canti della dimensione del pa-
paesaggio esaggio-stato d’animo, trova anche in un testo concentrato come L’infinito un esempio significa-
tivo. Tutti gli elementi esplicitamente nominati del paesaggio circostante il soggetto («colle», «sie-
pe», «orizzonte», «piante») non valgono per quel che sono e per quel che esprimono, ma, proprio al
contrario, per quel che il soggetto è in grado di mettere in scena al di là di essi e perfino contro di essi:
al limite della siepe, poniamo, si sostituisce l’illimitato della propria costruzione mentale.
In ogni caso, e fino a questa esperienza estrema, il rapporto con il paesaggio naturale configu-
ra tensione e inappartenenza. Può far eccezione qualche testo qui non antologizzato (come La vi-
La minaccia del ta solitaria); ma la regola riguarda comunque i momenti “forti” della poesia leopardiana. Di più: è di
paesaggio: la natura
come distruzione e
norma presente nel dato naturale paesaggistico un elemento di distruzione o di negatività che qua-
sperpero lifica minacciosamente il rapporto con il soggetto e con l’uomo. C’è il ritrarsi delle acque e delle rive
dai piedi insicuri di Saffo; c’è il sole che ferisce gli occhi tramontando, con il suo inquietante messag-
gio luttuoso, nel Passero solitario; c’è il cielo «che sì benigno / appare in vista» e che esprime però la
ferocia della natura, la quale ha creato il soggetto solo per farlo soffrire, nella Sera del dì di festa; c’è
l’inverno che inaridisce l’erba di A Silvia.
Il Canto notturno: il Anche il paesaggio nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia contiene un nucleo ne-
paesaggio come gativo e minaccioso. Tutta la seconda strofa, dedicata all’allegoria del «vecchierel bianco, infermo»,
mancanza di
significato presenta infatti una natura ostile ed estrema: «per montagna e per valle, / per sassi acuti, ed alta re-
na, e fratte, / al vento, alla tempesta, e quando avvampa / l’ora, e quando poi gela ecc.». Ma, più che
la negatività, conta poi qui la mancanza di significato, che si esprime nella distanza e nell’indif-
ferenza tra soggetto e oggetti naturali. Alle spalle di questa condizione c’è un canto qui non antolo-
gizzato, Alla primavera, o alle favole antiche, in cui Leopardi fa il punto sulla separazione dei moder-
ni dalle cose della natura. Nel Canto notturno ciò che il pastore vorrebbe sapere dalla luna è appunto
il significato dei «deserti» che egli percorre, di «greggi, fontane ed erbe» che incontra, il significato
della «primavera» e del caldo estivo, dell’inverno con i suoi «ghiacci». La presenza del paesaggio na-
turale non rappresenta in nulla lo stato d’animo del pastore, il quale sperimenta anzi l’estraneità di
ciò che vede rispetto al proprio mondo interiore, e davanti al cielo notturno e alle stelle, cioè davanti
a una delle visioni che meglio rappresentano, tradizionalmente, l’accesso al significato delle cose e il
Originalità metrica Centrale nel sistema delle forme e dei metri romantici, la canzonetta ha pochissima rilevanza nei
dei Canti rispetto ai Canti, dove conta un’unica presenza (Il risorgimento). E d’altra parte il sonetto e l’ode, altrettanto
romantici e ai
classicisti decisivi per il versante classicistico e anche di recente illustrati dall’esempio foscoliano, sono del
tutto assenti dai Canti. Già queste due considerazioni bastano a segnalare l’originale posizione le-
opardiana anche per quel che riguarda le scelte metriche e formali. Tuttavia, tale originalità
non si configura quale audace innovazione metrica, ma piuttosto quale modificazione graduale, e
commisurata ai propri puntuali bisogni espressivi, di forme metriche tradizionali.
Metri tradizionali ed Nei Canti non vi sono metri diversi dall’endecasillabo e dal settenario, i versi portanti della tra-
effetti innovativi dizione lirica italiana. Tuttavia Leopardi forza tali metri verso sonorità nuove e personali, sia at-
tribuendo all’enjambement una funzione di primo piano, sia investendo il rapporto tra respiro metri-
co e respiro sintattico di un’eccezionale carica espressiva.
La canzone e il La scelta della canzone quale forma metrica fondamentale si giustifica con la sua tradizione ec-
progressivo celsa: almeno a partire da Dante e Petrarca, essa corrisponde infatti al livello più illustre e impegnato
distacco dal tipo
petrarchesco del discorso lirico, e ben si addice dunque ai temi civili affrontati da Leopardi tra il 1818 e il 1822. Dal
modello petrarchesco fondamentale Leopardi si affranca a poco a poco, soprattutto, mettendo
a punto una serie di innovazioni.
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Canti capitolo II 97
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La canzone libera (o Tornando a scrivere canzoni nel 1828, dopo cinque anni, Leopardi produsse infine, a partire da A
leopardiana) Silvia, un tipo di canzone radicalmente mutato, definito canzone libera o, appunto, leopardiana
(cfr. S3, p. 118). Qui si realizza appieno la libertà nell’alternanza di endecasillabi e settenari, nonché
nella disposizione delle rime; risulta inoltre libero anche il numero di versi di ciascuna strofa.
L’endecasillabo L’altra forma metrica fondamentale dei Canti, l’endecasillabo libero, o sciolto, si presta be-
sciolto: l’uso per ne al genere dell’epistola in versi e della satira. Gli esempi illustri di Parini e dei Sepolcri foscoliani in-
temi civili…
coraggiavano tuttavia anche usi civilmente impegnati. Su questa linea si collocano alcuni componi-
menti dei Canti, come l’epistola Al conte Carlo Pepoli e la Palinodia al marchese Gino Capponi.
…e l’uso lirico Prevale però nei Canti un uso più strettamente lirico dell’endecasillabo sciolto, come negli
idilli del 1819-21 (L’infinito, La sera del dì di festa, ecc.). Per questo impiego, Leopardi si è rifatto all’e-
sempio di Monti. La soluzione leopardiana risulta però intensamente originale.
La lingua e lo stile Anche nella lingua e nello stile dei Canti si osserva la tendenza leopardiana a rinnovare lo
dei Canti statuto tradizionale della lirica senza strappi vistosi. Può essere per esempio registrata l’introdu-
zione di una componente prosastica in molti testi leopardiani; e non solo in quelli più palesemen-
te “parlati” (come A se stesso, T10, p. 149, o la Palinodia) ma anche in alcuni dei più “cantabili”: nella
Quiete dopo la tempesta (cfr. T7, p. 138), poniamo, c’è la «gallina»; in A Silvia (cfr. T4, p. 120) prevale
La lingua una disposizione tutt’altro che eccezionale della sintassi. E tuttavia il ricorso alla “prosa” nei Canti si
tradizionale ma
consapevole dei
accompagna a uno stile elevato e non riguarda comunque la lingua in senso stretto: infatti la lingua
Canti cui Leopardi mira è una lingua canonica sottratta in qualche modo alla storia, una lingua dalla
quale deve innanzitutto sprigionarsi il senso di diversità nei confronti del presente.
La riflessione sulla Le scelte linguistiche di Leopardi risentono tra l’altro profondamente di una intensa elabora-
lingua
zione teorica intorno alla lingua in sé e intorno alla lingua della poesia in particolare. La predile-
zione per voci che esprimano vaghezza, distanza, indefinitezza, e d’altra parte per parole rare e per
La distinzione tra usi lontani dalla norma, si fonda in particolare sulla distinzione tra “termini” e “parole”. I termi-
“termini” e “parole”
ni «presentano la nuda e circoscritta idea» dell’oggetto cui si riferiscono, e risultano quindi partico-
larmente adatti all’uso tecnico-scientifico. Le parole, invece, «non presentano la sola idea dell’og-
getto significato, ma quando più quando meno, immagini accessorie», e risultano dunque le più
confacenti all’uso poetico. La possibile significazione multipla delle parole nei Canti non comporta,
si badi bene, imprecisione e sfocatezza, ma complessità e ricchezza, ovvero, come si esprime Leo-
pardi, facoltà di rappresentare più idee nello stesso tempo, a favorire nel lettore i «piaceri dell’imma-
Le parole ginazione». Tra le parole che Leopardi giudicava più poetiche possono essere ricordate «ultimo»,
“poetiche” «mai più», «l’ultima volta», «oscurità», «profondo», «lontano», «antico», «irrevocabile», «futuro»,
«passato», «eterno», «lungo», «alto», «solitudine», «deserto»; tutte parole che implicano un’idea di
vastità, di indefinitezza, di eccezionalità.
Apertura e ricerca Gli anni che vanno dal 1818 al 1822 sono caratterizzati da una evoluzione rapidissima delle posi-
negli anni tra il 1818 zioni leopardiane, sia per quanto attiene al pensiero, sia per la poetica, sia per i concreti tentativi di
e il 1822
scrittura. Il distacco dalla formazione cristiana e dagli atteggiamenti reazionari ereditati dal padre, il
bisogno di un nuovo orizzonte di valori, l’adesione a una prospettiva materialistica e pessimistica
determinano un bisogno di modernità, cioè un’inquieta ricerca di forme di scrittura in grado di
esprimere bisogni, intenzioni, riflessioni del tutto nuovi.
Tre direzioni di Nel campo della scrittura poetica, questa condizione produce tre direzioni fondamentali di ri-
ricerca cerca.
1. Temi quotidiani e Una prima, destinata a essere subito interrotta e rifiutata, è di tipo esplicitamente romantico,
scabrosi per i temi quotidiani e scabrosi, pur in presenza di un linguaggio classicistico; i titoli delle due can-
zoni scritte in questa prospettiva (nei primi mesi del 1819) valgono anche a riassumerne il contenu-
to: Per una donna inferma di malattia lunga e mortale e Nella morte di una donna fatta trucidare col suo
portato [il feto di cui è gravida] dal corruttore per mano ed arte di un chirurgo.
L’eliminazione dai Mentre questi tentativi legati a episodi di “cronaca nera” non entreranno mai a far parte
Canti di questo
primo filone
dei Canti, le altre due direzioni di ricerca producono i due nuclei fondamentali della prima poesia le-
opardiana. Si tratta di due direzioni assai diverse tra loro, in gran parte tentate contemporaneamen-
te da Leopardi ma destinate a integrarsi solo molti anni dopo, a partire proprio dalla prima edizione
dei Canti (1831).
2. Le canzoni civili Da una parte ci sono le canzoni civili, scritte tra il 1818 e il 1822; dall’altra gli idilli, compo-
sti tra il 1819 e il 1821. Nelle canzoni, Leopardi tenta una poesia impegnata, dapprincipio stretta-
mente patriottica, quindi civile in senso più ampio, ricorrendo alla struttura tradizionale della can-
3. Gli idilli zone petrarchesca e impiegando un linguaggio fortemente letterario. Negli idilli, sperimenta inve-
ce una poesia più modernamente lirica, di tipo “sentimentale”, con una selezione linguistica più in-
Motivi esistenziali tima e concentrata, impiegando forme metriche aperte e personali. Tanto nelle canzoni quanto
ed esigenze negli idilli si affaccia un bisogno di espressione di tipo esistenziale, nonché la tendenza alla rifles-
filosofiche
sione filosofica e alla concettualizzazione sistematica. Ciò per un verso imprime un significato lirico
anche alle oggettive canzoni civili, e, per un altro, conferisce un rigore di elaborazione teorica ogget-
tiva agli idilli.
Le canzoni del L’impegno patriottico e civile delle canzoni si conclude, dopo la delusione dei moti rivoluzionari
suicidio
del 1821, con la canzone Bruto minore, nella quale l’eroe romano, sconfitto, dichiara inutile l’impe-
gno in nome della virtù e si uccide. Un significato meno direttamente “politico” ha l’altra canzone
del suicidio, l’Ultimo canto di Saffo (cfr. T1, p. 101). Accanto alle due canzoni si collocano altri testi,
anch’essi conclusivi di questa stagione, come Alla Primavera, o delle favole antiche e Alla sua donna,
con la quale Leopardi si licenzia per cinque anni dalla poesia.
Collocazione dei Questa prima fase della poesia leopardiana è raccolta – oltre che in alcuni frammenti stampati in
testi di questo
periodo nel libro
fondo al libro – nei primi diciotto testi dei Canti (fra i quali però sono compresi anche due compo-
nimenti degli anni Trenta: Il passero solitario e Consalvo). L’ordine di disposizione fa precedere le
canzoni, seguite dagli idilli. Una funzione di conclusione provvisoria e di cerniera è assegnata alla
canzone Alla sua donna (1823), in diciottesima posizione (cfrr. S1, p. 92).
Il nucleo delle I Canti si aprono con un consistente nucleo di canzoni, la forma poetica cui Leopardi riteneva proba-
canzoni bilmente di aver affidato i risultati più convincenti della propria ricerca. Si tratta di nove delle dieci
canzoni pubblicate a Bologna nel 1824 (la decima, Alla sua donna, viene fatta slittare al di là degli
idilli, a chiudere la prima fase della poesia leopardiana): due composte nel 1818, una nel 1820, sei tra
il dicembre del 1821 e il novembre del 1822.
Un classicismo È coerente con le posizioni sostenute nel Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica la
impegnato e civile scelta leopardiana di misurarsi, a partire dallo stesso 1818 del Discorso, con un tipo di poesia nobil-
primo piano
Canti capitolo II 99
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mente impegnata, ispirata a modelli classici e suscitatrice di passioni e di virtù elevate. Il tema
prescelto è innanzitutto quello patriottico, di cocente attualità in quegli anni.
All’Italia e Sopra il Tra il settembre e l’ottobre del 1818, Leopardi scrive dunque All’Italia e Sopra il monumento
monumento di di Dante che si preparava in Firenze. Entrambe le canzoni di esordio, occupanti la prima e la seconda
Dante che si
preparava in Firenze posizione nel libro dei Canti, hanno al centro il tema della decadenza italiana e il confronto tra la
(1818) grandezza antica e la vile schiavitù presente. In entrambe si delinea, accanto al tema civile, una
tematica esistenziale: il poeta fa corrispondere alla crisi storica dell’Italia una propria crisi persona-
le, proponendosi gesti di eroico riscatto individuale.
Pubblicate a Roma, con dedica a Vincenzo Monti, le due canzoni del 1818, nel gennaio 1820 Le-
opardi ne scrive una terza, ancora centrata sul tema patriottico ma organicamente investita delle
Ad Angelo Mai problematiche filosofico-esistenziali maturate sullo Zibaldone nel corso del decisivo 1819: Ad Angelo
(1820): decadenza Mai, quand’ebbe trovato i libri di Cicerone della Repubblica. Lo spunto è offerto dal ritrovamento di
storica e ansia di
riscatto individuale una cospicua parte del De re publica ciceroniano a opera dell’erudito cui il testo è dedicato. Ancora
una volta la struttura logico-argomentativa insiste sul contrasto tra la grandezza degli antichi, la
cui voce risuona anche nelle carte appena ritrovate, e la degenerata viltà dei contemporanei, tra i
quali il poeta mira a costituire eccezione. La canzone si snoda attraverso il colloquio con alcune
grandi figure esemplari di italiani (Dante, Petrarca, Cristoforo Colombo, Ariosto, Tasso, Alfieri),
la cui progressione corrisponde fra l’altro alla scoperta, tipicamente moderna, della noia, dell’arido
T • Ad Angelo Mai, vero, del nulla come condizione reale dell’uomo, insomma di uno stato d’insanabile disagio esisten-
quand’ebbe trovato i
libri di Cicerone della ziale. Tale disagio è accresciuto dal clima asfissiante della Restaurazione di cui il poeta dà ango-
Repubblica sciata testimonianza.
Classicità e In tutt’e tre queste canzoni si riscontra la ricerca di un linguaggio capace di unire classicità e
modernità modernità, cioè sostenutezza sintattico-argomentativa e turbamento esistenziale, obiettività e
soggettività. Prende avvio in tal modo il tentativo leopardiano di fondare una poesia originalmente
fedele ai grandi modelli classici e al tempo stesso rinnovata in senso sentimentale: una sorta di clas-
sicismo romantico.
L’educazione e Il tema civile è affrontato anche nelle due canzoni che seguono – Nelle nozze della sorella Paoli-
l’agonismo, temi di na e A un vincitore nel pallone –, composte tra l’ottobre e il novembre del 1822. La prima trae oc-
Nelle nozze della
sorella Paolina e A casione da un progetto di nozze della sorella, poi fallito; la seconda è dedicata a un campione di calcio
un vincitore nel recanatese. È confermata in entrambe la diagnosi cupa della degradazione presente già pronunciata
pallone (1822)
nelle tre canzoni precedenti; e tuttavia si delineano possibili opportunità di riscatto. Nelle nozze
della sorella Paolina affronta il tema dell’educazione: la sorella è invitata dal poeta a educare i figli
senza venire a compromessi con la dominante degradazione dei valori. A un vincitore nel pallone ri-
lancia un tema già presente nella canzone a Mai e tipico della riflessione leopardiana già nel 1819: la
centralità dei valori corporali quale premessa della felicità e della nobiltà d’animo. Nella sfida ago-
nistica al destino e nel rischio dell’avventura viene prospettata l’unica possibilità di sottrarsi al nulla
e all’insensatezza della vita, soprattutto presente.
La posizione seguente, nella struttura del libro, è occupata da Bruto minore (per cui cfr. § 8):
sconsolata conclusione eroica, in negativo, delle speranze civili, nonché radicale rinuncia alla virtù
come alternativa storica ed esistenziale.
Alla Primavera, o Seguono quindi due canzoni composte nel 1822, entrambe dedicate, da diversa angolatura, al
delle favole antiche tema della natura e del rapporto tra natura e civiltà: Alla Primavera, o delle favole antiche e Inno ai
(1822): il tramonto
dei miti Patriarchi, o de’ principii del genere umano. Alla Primavera (composta nel gennaio) esalta la funzione
dell’immaginazione ripercorrendone le incarnazioni storiche negli antichi miti ovidiani, e nello
stesso tempo sottolinea il doloroso distacco dell’uomo moderno da tale rapporto di confidenza e di
Inno ai Patriarchi intimità con la natura. L’Inno ai Patriarchi (composto nel luglio) rientrava in una progettata serie di
(1822): natura e inni cristiani, poi non realizzata. Esso rappresenta il tema della felicità primitiva e originaria
civiltà
dell’uomo, nello stato di natura, in termini biblici, ma non senza influssi del pensiero di Rousseau. Il
cammino della civiltà coincide con una progressiva perdita di contatto con la natura e con la
scoperta dell’infelicità. Si tratta di un cammino inesorabile, che ormai stringe d’assedio gli ultimi
popoli incontaminati, per esempio sterminando gli indigeni americani, cui è dedicata l’ultima strofe.
Il suicidio civile e il Legate dal tema del suicidio sono due canzoni composte, rispettivamente, nel dicembre 1821 e nel
suicidio esistenziale maggio 1822: Bruto minore e Ultimo canto di Saffo (cfr. T1). La prima presenta un suicidio civile, e
chiude il tema civilmente impegnato delle prime cinque canzoni; la seconda presenta un suicidio
esistenziale, e conclude la riflessione sulla rottura moderna del rapporto armonioso con la natura
Video • Le canzoni (riflessione precedentemente affidata a Alla Primavera e all’Inno ai Patriarchi). In entrambe è intro-
del suicidio e il con-
gedo di Leopardi dalla dotto a parlare un personaggio storico, la cui riflessione delinea un’allegoria della disillusione e della
poesia (P: Cataldi) rinuncia.
Bruto minore (1821) Del Bruto minore è protagonista l’ispiratore dell’assassinio di Giulio Cesare, poi sconfitto a Filip-
pi da Ottaviano e da Antonio. Deluso dai valori repubblicani in nome dei quali ha guidato la congiu-
ra, e travolto dall’avverso destino storico, Bruto rinnega la «stolta virtù» fin allora seguita, accusa
l’indifferenza dell’universo e degli dèi ai casi infelici dell’uomo, rifiuta ogni illusione di immortalità
religiosa o di durata nella memoria degli uomini, e infine esprime il desiderio di riconfondersi,
morto e da tutti dimenticato, nella materia inerte. Ancora molti anni dopo, Leopardi indicherà
nell’ateismo materialistico e disilluso di questa canzone il nucleo del proprio atteggiamento filoso-
fico riguardo alle illusioni religiose e al senso della vita.
Ultimo canto di Nell’Ultimo canto di Saffo il conflitto è invece tra la infelice poetessa greca spiritualmente sensi-
Saffo (1822)
bile ma fisicamente brutta, e l’armonia di una natura che ella può percepire ma alla quale resta estra-
nea. Ne nasce anche in questo caso un’accusa fiera al destino dell’uomo e agli dèi, casuali distri-
butori di felicità e d’infelicità. Qui la denuncia delle illusioni perde qualsiasi connotazione storica
per definirsi in termini squisitamente esistenziali e filosofici.
OPERA Composta in una settimana nel maggio 1822, questa canzone – secondo la dichiarazione dell’auto-
Canti
re – «intende di rappresentare la infelicità di un animo delicato, tenero, sensitivo, nobile e caldo
CONCETTI CHIAVE [appassionato], posto in un corpo brutto e giovane». Tanto la bruttezza di Saffo (la grande poetes-
• il tema del suicidio
• la natura sa greca vissuta nel VII-VI secolo a.C.) quanto il suo amore infelice per un giovane di nome Faone ap-
come trionfo partengono alla leggenda; così come il suicidio, dalla rupe di Leucade.
dell’apparenza Se nel contrasto tra interiorità sensibile e appassionata e aspetto fisico brutto Leopardi poteva pro-
• impossibilità del
rapporto uomo- iettare la propria personale esperienza, bisogna tuttavia guardarsi dal ridurre a ragioni biografiche
donna il contrasto qui istituito tra soggetto e mondo: esso risponde a un solido esito filosofico della ricerca
fonte leopardiana, rilanciando sia il tema dell’insensatezza della virtù e dell’indifferenza degli dèi al desti-
G. Leopardi, Canti, ed. critica
a cura di E. Peruzzi, Milano
no umano (già nel Bruto minore), sia quello della mancanza di armonia tra la condizione naturale e
1981. l’uomo (già in Alla Primavera e nell’Inno ai Patriarchi).
primo piano
Canti capitolo II 101
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Placida notte, e verecondo raggio Alla misera Saffo i numi e l’empia
Della cadente luna; e tu che spunti Sorte non fenno. A’ tuoi superbi regni
Fra la tacita selva in su la rupe, Vile, o natura, e grave ospite addetta,
Nunzio del giorno: oh dilettose e care 25 E dispregiata amante, alle vezzose
5 Mentre ignote mi fur l’erinni e il fato, Tue forme il core e le pupille invano
Sembianze agli occhi miei; già non arride Supplichevole intendo. A me non ride
Spettacol molle ai disperati affetti. L’aprico margo, e dall’eterea porta
Noi l’insueto allor gaudio ravviva Il mattutino albor; me non il canto
Quando per l’etra liquido si volve 30 De’ colorati augelli, e non de’ faggi
10 E per li campi trepidanti il flutto Il murmure saluta: e dove all’ombra
Polveroso de’ Noti, e quando il carro, Degl’inchinati salici dispiega
Grave carro di Giove a noi sul capo, Candido rivo il puro seno, al mio
Tonando, il tenebroso aere divide. Lubrico piè le flessuose linfe
Noi per le balze e le profonde valli 35 Disdegnando sottragge,
15 Natar giova tra’ nembi, e noi la vasta E preme in fuga l’odorate spiagge.
Fuga de’ greggi sbigottiti, o d’alto
Fiume alla dubbia sponda Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso
Il suono e la vittrice ira dell’onda. Macchiommi anzi il natale, onde sì torvo
Il ciel mi fosse e di fortuna il volto?
Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella 40 In che peccai bambina, allor che ignara
20 Sei tu, rorida terra. Ahi di cotesta Di misfatto è la vita, onde poi scemo
Infinita beltà parte nessuna Di giovanezza, e disfiorato, al fuso
metrica canzone di quattro stanze di di- (dell’onda) di un fiume profondo (alto) [stan- celli colorati, né (e non) lo stormire (il mur-
ciotto versi ciascuna, tutti endecasillabi tol- do] presso la (alla) sponda insicura (dubbia). mure) dei faggi: e dove un ruscello (rivo) lim-
to il penultimo, settenario. Liberi da rime so- È notte, poco prima dell’alba: la luna tra- pido (candido) stende (dispiega) il [suo] puro
no i primi sedici, legati da rima baciata gli ul- monta (come si legge in uno dei più noti corso (seno) all’ombra dei salici piangenti (in-
timi due. frammenti di Saffo) e sorge Venere, prece- chinati), sottrae con disprezzo (disdegnan-
dendo il sole. Ma un paesaggio così dolce è do) la mobile (flessuose) acqua (linfe) dai
1-18 [O] notte calma (placida), e raggio di- ormai inadatto all’interiorità appassionata e miei piedi (piè) che scivolano (lubrico), e rico-
screto (verecondo = pudico) della luna che sofferente della protagonista. Divenuta pre (preme) fuggendo (in fuga) le spiagge
tramonta (cadente); e tu, [astro] annunzia- consapevole, attraverso l’amore, dell’infeli- profumate (odorate). La bellezza armoniosa
tore (nunzio) del giorno [: Venere], che sorgi cità umana, ella sceglie paesaggi e situazioni della natura è rappresentata in pochi tratti di
(spunti) sulle rupe fra la selva silenziosa (taci- estreme e violente, di gusto preromantico. alta intensità evocativa (il cielo stellato, la
ta); oh visioni (sembianze) piacevoli (dilet- Erinni: divinità greche degl’Inferi (chiamate terra umida di rugiada, l’alba, gli uccelli che
tose) e care ai miei occhi, finché (mentre) mi Furie dai Romani), persecutrici degli assassi- cantano, il rumoreggiare di un albero, un ru-
furono (fur) sconosciuti (ignote) il tormento ni e ministre della vendetta; il riferimento è scello che scorre tra i fiori). A questa bellezza
(l’erinni) [d’amore] e il destino (il fato) [av- qui metaforico. Carro di Giove: identificato si contrappone l’infelicità di Saffo, che ne è
verso]; ormai (già) non dà piacere (arride) nella mitologia classica con il tuono. crudelmente esclusa. Il suo amore per la na-
uno spettacolo dolce (molle) a chi è disperato 19-36 O cielo divino (divo), la tua volta (il tura, non apprezzato né ricambiato, antici-
(ai disperati affetti = a sentimenti dispera- tuo manto) [è] bella, e bella sei tu, [o] terra pa l’amore infelice per Faone. I passi insicuri
ti). La rara (insueto = inconsueto) gioia (gau- rugiadosa (rorida). Ahi, di questa infinita bel- della protagonista che si avvicina a un ru-
dio) mi rallegra (noi…ravviva; noi = me, lezza gli dèi (i numi) e la malvagia (l’empia) scello bastano a suggerire «un’impressione
complemento oggetto) quando il turbine (il sorte non concessero (non fenno = non fece- di corpo maldestro» (Muscetta), al contatto
flutto; metafora) polveroso dei venti (de’ ro) nessuna parte alla misera Saffo. O natura, con il quale pare che gli stessi oggetti inani-
Noti) corre (si volve = turbina) attraverso [essendo io] assegnata (addetta) ai tuoi regni mati della natura preferiscano rifiutarsi: il
(per) il cielo limpido (l’etra liquido) o attra- superbi [quale] ospite spregevole (vile) e sgra- corso del ruscello devia verso i fiori (belli),
verso i campi sconvolti (trepidanti), e quando dita (grave), e [quale] amante [da te] disprez- pur di non toccare i piedi di Saffo.
il carro, il pesante (grave) carro di Giove, tuo- zata, alle tue bellezze (vezzose…/forme) in- 37-54 Quale colpa (fallo) mai, quale pecca-
nando, squarcia (divide) l’aria buia (tenebro- vano rivolgo (intendo) supplichevole il cuore to (eccesso) così terribile (sì nefando) mi
so). A me piace (noi…giova) nuotare (natar) e lo sguardo (le pupille). A me non arridono macchiò (macchiommi) [la coscienza] prima
[: perdermi] tra le nuvole (tra’ nembi) lungo (non ride) i luoghi soleggiati (l’aprico margo; di nascere (anzi il natale), per cui (onde) il
(per) i dirupi (le balze) e le valli profonde, e a margo = margine = sponda), e la luce (albor) cielo e l’aspetto (il volto) della sorte mi fosse-
me [piace] la vasta [: affollata] fuga delle del mattino [che si affaccia] dalla porta del ro così ostili (torvo)? In che ho peccato [da]
greggi intimorite (sbigottiti), o il suono e la cielo (eterea) [: da Oriente]; me [: comple- bambina, allora che la vita è ignara di [: non
trionfante (vittrice) furia (ira) delle acque mento oggetto] non saluta il canto degli uc- ha] colpe (misfatto), per cui (onde) poi il filo
grigio (il ferrigno…stame) della mia vita evocate delle spiegazioni che sono comun- sperati e [di tante] piacevoli (dilettosi) illusio-
(mio) scorresse (si volvesse) al fuso della que negate agli uomini; o forse riguarda la ni (errori), mi resta (m’avanza) la morte (il
Parca inesorabile (indomita) privo (scemo; inutilità delle rivendicazioni; o anche, infine, Tartaro); e il [mio] ingegno valoroso (prode)
da “scemare”) di giovinezza e sfiorito (disfio- il rischio che la scoperta della propria inno- [: complemento oggetto] [lo] hanno la dea
rato)? La tua [: detto a se stessa] bocca (lab- cenza possa rigenerare in qualche modo infernale (tenaria) [: Proserpina], e la notte
bro) emette (spande) parole (voci) audaci nuove illusioni riguardo alla vita. Nostro do- nera (atra) [: dell’oltretomba], e la riva silen-
(incaute): una volontà (consiglio) misteriosa lor: secondo alcuni il plurale sta qui per un ziosa (silente) [: dei fiumi infernali; cioè: la
(arcano) provoca (move) gli eventi stabiliti singolare (come evidentemente al v. 8 e al v. morte]. Presa la decisione di uccidersi, Saffo
dal destino (destinati). Tutto è misterioso, 55); secondo altri (per esempio Binni) c’è in- qualifica il suicidio come un estremo risarci-
fuorché il nostro dolore. [Noi esseri umani] vece una portata universalizzante della pro- mento dell’errore crudele del destino, che
siamo nati (nascemmo) per piangere (al testa (nella parafrasi si è accolta questa se- l’ha fatta brutta e sensibile. Augura quindi
pianto), [quali] figli disprezzati (negletta conda ipotesi). La ragione…si posa: è for- all’amato Faone di essere felice, essendo
prole) [dalla natura], e la ragione [di ciò] sta mula omerica. Il Padre: con amara ironia: d’altra parte consapevole dei limiti assai
(si posa) con gli dèi (in grembo de’ celesti) tutt’altro che paterno si è infatti mostrato stretti posti alla felicità umana. Per sé, infat-
[: la sanno gli dèi]. Oh preoccupazioni (cure), Giove. Lira: lo strumento a corde con cui i ti, tutta la felicità si è limitata alle illusioni
o speranze (speme) degli anni giovanili (più greci accompagnavano il canto dei testi po- della giovinezza. Di esse non resta ormai più
verd’<i>)! Il Padre [: Giove] diede (diè) eterno etici. nulla; e quell’ingegno eccezionale che aspi-
potere (regno) sugli uomini (nelle genti) alle 55-72 Morirò (morremo) [: mi ucciderò]. rava alla gloria sta invece per essere accolto
sembianze [esteriori], alle belle (amene) sem- Lasciato (sparto; da “spargere”) a terra l’in- dalle ombre della morte. Il velo indegno…
bianze [: alle apparenze di bellezza]; e nono- degno involucro (velo; metafora) [del corpo], /l’ignudo animo: è della tradizione, soprat-
stante (per) imprese eroiche (virili), nono- l’animo nudo si rifugerà (rifuggirà) presso gli tutto petrarchesca, la definizione metafori-
stante una poesia còlta e musicale (dotta lira Inferi (a Dite), e correggerà (emenderà) il ca del corpo quale velo (o veste) dell’anima,
o canto), il valore (virtù) non brilla (non luce; crudele (crudo) errore (fallo) del cieco destino che senza il corpo resta dunque nuda. Dite:
verbo) in una veste (ammanto) senza bellez- (dispensator de’ casi = che assegna gli è la divinità romana dell’oltretomba (corri-
za (disadorno) [: in un corpo brutto]. Le due eventi). E tu [: Faone] al quale (cui) mi legò spondente al greco Plutone); indica spesso,
domande iniziali sono domande retoriche: (strinse) inutilmente (indarno) un lungo in generale, l’aldilà. Nato mortal: gli uomini,
Saffo sottolinea la propria innocenza (non amore, e una lunga fedeltà (fede), e un’inutile distinti dagli dèi (che erano a loro volta “na-
può aver acquistato colpe prima di nascere, (vano) passione (furor) di desiderio (desio) ti”, ma per essere immortali). Doglio avaro:
né nell’infanzia) per meglio mettere in risal- implacabile, [tu] vivi felice, se sulla terra visse annota Leopardi: «quel vaso pieno di felicità
to l’inspiegabile gratuità delle sofferenze su- [mai] felice un essere umano (nato mortal). che Omero pone in casa di Giove. Avaro
bite. Ma è appunto la fiducia in una ragione Giove non bagnò (asperse) me del meravi- perché Giove soleva dispensare la felicità
ultima delle cose, cioè in un significato tra- glioso (soave) liquido (licor) del suo vaso (do- con molta avarizia». Tartaro: nella mitolo-
scendente, che viene qui a cadere: l’unica glio) avaro, dal momento in cui (poi che) mo- gia greca era in origine la parte dell’aldilà ri-
certezza è quella del dolore. Le attese della rirono (perìr) le illusioni (gl’inganni) e i sogni servata ai malvagi; ma ben presto il senso si
prima giovinezza restano inevitabilmente della mia fanciullezza. Tutti (ogni) i giorni più allargò a comprendere il regno dei morti in
deluse, e nel mondo viene apprezzata solo lieti della nostra vita (età) [: la giovinezza] genere. La tenaria Diva: Proserpina, dea
la bellezza superficiale dell’aspetto fisico, fuggono (s’invola) per primi (primo). Giungo- degli Inferi pagani, il cui ingresso era colloca-
senza porre riguardo ai valori dell’interiorità. no (sottentra) la malattia (il morbo), e la to presso il capo Tenaro (oggi capo Mata-
Incaute voci: l’imprudenza di Saffo consiste vecchiaia, e l’ombra della morte gelida. Ecco pan), nel Peloponneso.
forse nel reclamare dalle misteriose divinità di tanti successi (palme; quelle di trionfo)
primo piano
Canti capitolo II 103
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T1 DALLA COMPRENSIONE
ALL’INTERPRETAZIONE
COMPRENSIONE
Datazione e collocazione del testo L’Ultimo canto di una mancanza di sintonia tra sé e il paesaggio circostante.
Saffo, seconda canzone del suicidio (la prima è Bruto mino- Altre sono infatti le immagini che sente come confacenti al
re, composta nel dicembre 1821), risale al maggio del 1822 e suo animo: i venti forti, le tempeste e le corse degli animali
chiude il primo nucleo dei Canti, quello delle canzoni civili. spaventati, lo scorrere rapinoso di un fiume, perché i senti-
menti che lei prova sono sentimenti di disperazione. Nella
Perché Saffo? In questa canzone chi dice ’io” e parla in pri- seconda strofa (vv. 19-36) Saffo si sente esclusa dall’armo-
ma persona non è il poeta, ma un personaggio diverso da lui, e nia della natura e si lamenta con gli dei, il destino e la natu-
per di più di sesso femminile. Si tratta di Saffo, una celebre ra stessa per questa esclusione. La donna vorrebbe godere
poetessa greca vissuta tra il VII e il VI secolo a.C. Una leg- dell’armonia e della bellezza circostante ma ha l’impressione
genda vuole che si sia gettata da una rupe dell’isola di Leuca- che la natura si ritragga da lei. Nella terza strofa (vv. 37-54)
de perché il giovane da lei amato, Faone, non avrebbe corri- giunge alla pessimistica conclusione che l’unica certezza
sposto al suo amore. Sempre la voce popolare narra che fosse umana è il dolore: il dolore non è più solo un destino perso-
brutta e storpia. A questa figura storica (ma trasfigurata dal nale, ma è connaturato alla condizione umana. Alla fine della
mito) Leopardi dedica la nona lirica dei Canti. È lo stesso poe- strofa emerge la “colpa” di Saffo: il suo è un corpo brutto e gli
ta a rivelare la sua fonte nella Premessa all’Ultimo canto di Saf- esseri umani apprezzano solo le «amene sembianze». Virtù
fo: «Il fondamento di questa Canzone sono i versi che Ovidio come l’eroismo e la sensibilità artistica non sono apprezzati
scrive in persona di Saffo». Il riferimento è alla lettera che il se sono contenuti in un corpo sgraziato e non attraente che,
poeta latino Ovidio fa scrivere in prima persona da Saffo nel per questo motivo, è destinato a non essere amato e dunque a
suo libro intitolato Heroides [Le eroine], una raccolta di ven- soffrire di infelicità. L’ultima strofa affronta il tema del sui-
tuno epistole in versi che il poeta latino immagina scritte da cidio (vv. 55-72): Saffo si prepara al suicidio, che diventa per
diciotto eroine ai loro amanti lontani. lei la sola via d’uscita non solo perché è la risposta al rifiuto di
Faone, ma anche perché è un gesto di sfida alla natura che
Le tappe della riflessione di Saffo La prima strofa (vv. l’ha creata così sgraziata escludendola dalla sua bellezza. In
1-18) si apre su un paesaggio notturno: è quasi l’alba; Saffo questa poesia, infatti, la natura non è ancora la matrigna
contempla la natura silenziosa e illuminata dal raggio della cattiva della Ginestra, ma un luogo felice dal quale la pro-
luna («verecondo», cioè timido, discreto), ma subito scopre tagonista è respinta.
analisi
Un lessico e uno stile “peregrini” e “vaghi” Intorno ecc. La complessità sintattica coopera a creare uno stile
all’espressione «di tante / sperate palme e dilettosi errori» arduo e lontano dall’uso. Notevole è soprattutto il ricorso
Leopardi annota: «Lo stesso incerto, e lontano, e ardito, e all’inversione, con continui iperbati e anastrofi. Un forte
inusitato, e indefinito, e pellegrino di questa frase le con- iperbato è ai vv. 4-6: gli aggettivi «dilettose e care», legati
ferisce quel vago che sarà sempre in sommo pregio appres- grammaticalmente a «sembianze», ne sono separati da un
so chiunque conosce intimamente la poesia […]. Il luogo intero verso.
sta bene così, e non bisogna guastarlo». Questa testimo-
nianza mostra la consapevolezza con la quale Leopardi ap- Il tema del suicidio Il suicidio è un tema diffuso nella
plica all’Ultimo canto di Saffo le proprie conclusioni intor- letteratura del Sette-Ottocento ed è legato a quello del tra-
no alla poeticità dell’indeterminato e del vago nel lin- monto delle illusioni. È espressione del disagio storico
guaggio poetico. Un modo indicato spesso dal poeta per che vive l’intellettuale, consapevole del proprio isola-
conseguire un simile effetto di vaghezza consiste nell’im- mento e della perdita di importanza della poesia di fronte
piego di termini e di espressioni “peregrini”, cioè rari alla scienza.
oppure antichi e non più in uso. In questo modo il linguag- Bruto e Saffo, come già Werther e Ortis, incarnano il mo-
gio tradizionale della lirica assume un nuovo valore, e il dello del suicidio eroico, teorizzato dallo stoicismo antico
classicismo acquista una nuova espressività. Questa (Seneca) quale gesto di libertà interiore, e come tale ripre-
canzone è piena di esempi simili. Al campo della mitolo- so anche dal Catone dantesco.
gia appartengono per esempio «erinni» v. 5, «Giove» vv. 12 Leopardi giustifica il suicidio e contesta la concezione che lo
e 64, «Parca» v. 43, «Dite» v. 56, «Tartaro» v. 70, «tenaria considera un gesto contro natura. L’uomo non vive più se-
Diva» v. 71. Latinismi sono, fra i tanti, «liquido» v. 9, condo natura, ma secondo ragione. Ha acquistato una se-
«Noi… giova» vv. 14 sg., «Vittrice» v. 18, «addetta» v. 24, conda natura che ci «mostra ad evidenza l’utilità del mori-
interpretazione
La disarmonia tra paesaggio e soggetto Il paesaggio ha trate sulla individualità raziocinante di Saffo e sulle sue
nell’Ultimo canto di Saffo un’importanza decisiva. Inizial- conclusioni esistenziali. Un frammento degradato di pae-
mente esso si presenta in termini di serena contemplazio- saggio si riaffaccia nell’ultimo verso della canzone, con l’al-
ne. Ma questa situazione dura soltanto i primi quattro ver- lusione alla nera notte infernale e ai silenziosi fiumi dell’al-
si; dopo di che il v. 5, con il richiamo drammatico alle «erin- dilà (vv. 70-72).
ni» e al «fato», spezza l’incanto: lo «spettacol molle» della
natura e del paesaggio diviene privo di valore per i «disperati L’ideologia di Saffo: il trionfo delle apparenze La critica
affetti» (v. 7). È una situazione profondamente costitutiva ha richiamato l’attenzione sull’importanza del sostantivo
della maggiore poesia leopardiana, che presenta spesso una «sembianze», che compare al v. 6, in un momento decisivo
natura seducente e placida, ma priva di rapporto con di passaggio del testo (cfr. il punto precedente). Le sembianze
l’uomo. All’armonia del paesaggio-stato d’animo (tipico della natura sono «dilettose e care», cioè piacevoli e amate:
della tradizione petrarchesca) Leopardi sostituisce una con- ma si tratta tuttavia solo di apparenze, che l’esperienza deci-
dizione di disarmonia e di distanza. La rottura con il pae- siva del dolore e della privazione smaschera nella loro infon-
saggio naturale rende preferibile, per Saffo, una natura datezza. Le illusioni della giovinezza si specchiano
tempestosa ed estrema (cfr. vv. 8-18), in cui si avverte il ri- nell’apparente bellezza della realtà naturale; ma la loro
cordo della tradizione preromantica. successiva caduta comporta la scoperta del vero volto delle
La disarmonia tra Saffo e la natura si fonda, come informa la cose, quello squallido e turbinoso dei vv. 8-18. Inoltre alla
seconda strofa, sulla mancata partecipazione della donna bellezza apparente della natura corrisponde il trionfo, tra gli
alla bellezza generale dell’universo. La bellezza del paesag- uomini, delle apparenze: la virtù di Saffo non può brillare per-
gio resta una bellezza per sé e in sé, dalla quale Saffo è esclu- ché priva di adeguata “apparenza”, cioè di quella bellezza di
sa e respinta. La terza e la quarta strofa, dunque, prendono superficie che Leopardi al v. 54 chiama «ammanto», ripren-
atto della disarmonia tra soggetto e paesaggio e della con- dendo significativamente il «manto» del cielo del v. 19. Il «ve-
trapposizione tra la bruttezza di quello e la bellezza di que- lo» da spargere a terra (v. 55) è quello del corpo sensibile di
sto: il paesaggio naturale, dominante nelle prime due stro- Saffo, ma è anche il velo che ricopre e mistifica la realtà, ridu-
fe, è del tutto assente nella terza e nella quarta, tutte cen- cendola a un dominio di «sembianze».
9 Gli «idilli»
Il taglio soggettivo Parallelamente alla stesura delle canzoni civili nascono, tra il 1819 e il 1821, gli «idilli» (cfr. S2, p.
ed esistenziale 37). Così sono definiti da Leopardi cinque testi (L’infinito, La sera del dì di festa, Alla luna, Il sogno, La
degli idilli
vita solitaria) che nell’edizione definitiva dei Canti occupano i numeri 12-16. In un appunto di qual-
che anno più tardi, il poeta definirà gli idilli «situazioni, affezioni, avventure storiche del mio ani-
mo», sottolineando il carattere soggettivo ed esistenziale di questi testi, in contrapposizione al si-
gnificato civile e tendenzialmente oggettivo delle coeve canzoni.
primo piano
Canti capitolo II 105
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S2 INFORMAZIONI
Idillio
Il termine “idillio” deriva dal greco eidýllion che significa ‘piccola prese rinascimentali, a partire dall’Arcadia di Sannazaro. Diviene
immagine; quadretto’, e dunque ‘poesia breve’. Il vocabolo pas- essenziale il motivo del paesaggio agreste quale spazio definito
sò già nella Grecia antica a indicare un genere di poesia bucolica, della rappresentazione e quale codice convenzionale dell’e-
agreste, in cui l’autenticità della vita di campagna viene contrap- spressione soggettiva. Con il movimento dell’Arcadia queste te-
posta alle difficoltà della vita cittadina. Ciò avvenne soprattutto matiche raggiungono il massimo sviluppo, ricevendo poi una ri-
sulla base dei testi del poeta Teocrito (310-250 a.C.), nei quali tali vitalizzazione in alcuni poeti preromantici (come lo svizzero
tematiche sono espresse per mezzo di una scrittura raffinata e Gessner, autore di una raccolta intitolata Idilli). In questo ambito
armoniosa. Il modello divenne canonico nei continuatori, sia gre- il paesaggio diviene un’occasione per riflessioni esistenziali, e il
ci (Bione e Mosco) sia romani (Tibullo e Ovidio, e le stesse Eglo- genere idillico si avvicina dunque all’uso che caratterizzerà più
ghe di Virgilio). La sua fortuna non si spense durante il Medioevo, tardi alcuni testi giovanili di Leopardi. Gli idilli leopardiani regi-
fino a Dante e Petrarca (autore di un Bucolicum carmen). La ca- strano d’altra parte una dimensione riflessiva e un’indagine sui
nonizzazione moderna è comunque affidata soprattutto alle ri- dati memoriali che ne assicurano l’originalità).
Il primo amore e Il Nella struttura dei Canti tra le canzoni, che giungono al numero 9, e gli idilli vi sono due testi
passero solitario, (Il primo amore e Il passero solitario) che fungono da cerniera tra i due diversi filoni di ricerca. Il
cerniera tra le
canzoni e gli idilli primo amore (in terzine dantesche) risale al 1817 e si sofferma sull’esperienza d’amore per la cugina
Gertrude Cassi Lazzari. Il passero solitario (per cui cfr. anche § 11 e T8, p. 141) è invece da assegnare
agli anni più tardi del poeta (quasi senz’altro dopo il 1830); fu posto qui per ragioni prevalentemente
tematiche, approfittando del fatto che esso è scritto dal punto di vista della giovinezza e che ben an-
nuncia il tema della solitudine e della giovinezza sprecata che attraversa, senza lo stesso taglio tragi-
co, altri idilli (come La vita solitaria).
Temi esistenziali e Gli idilli presentano dunque, a differenza delle canzoni, un punto di vista lirico-soggettivo. Ciò
ricerca filosofica non esclude tuttavia un orientamento riflessivo, e perfino filosofico e argomentativo. L’espressione
negli idilli
di una condizione interiore personale si associa (soprattutto nell’Infinito e nella Sera del dì di festa) a un bi-
sogno di interrogazione e di riflessione speculativa, acquistando una valenza conoscitiva e filosofica.
Uno stile, rispetto Un’altra importante differenza rispetto alle canzoni riguarda il linguaggio, che negli idilli ri-
alle canzoni, più
comune e piano
duce al minimo la componente erudita (classicista e arcaizzante) per scegliere un lessico più comune e
piano, nobilitato tuttavia dalla ricerca del «vago» e del «pellegrino». Anche lo stile si avvicina a quello
di un colloquio intimo, evitando le inversioni troppo pronunciate o le metafore inconsuete.
La metrica: Dal punto di vista metrico, è abbandonata la forma della canzone per l’endecasillabo sciolto,
adozione più consono a un filone di ricerca voluto da Leopardi il più aperto e sfumato possibile. Il verso sciolto
dell’endecasillabo
sciolto può infatti esprimere senza difficoltà i momenti più distesi e narrativi di questi testi, d’altra parte
ben prestandosi anche a registrarne le intensificazioni riflessive ed esistenziali, soprattutto attra-
verso un ricorso sapientissimo agli enjambements.
L’infinito (1819) L’infinito (1819) presenta in soli quindici versi un complesso itinerario immaginativo e conoscitivo.
L’infinitamente grande nello spazio e nel tempo è definito attraverso il confronto con una situazione di
limite sensoriale: la visione di un colle e di una siepe che ostacolano lo sguardo del poeta (cfr. T2).
La sera del dì di La sera del dì di festa (1820) alterna il confronto con un intenso paesaggio notturno dominato
festa (1820) dalla luna e dalla distanza indifferente della donna amata e la riflessione turbinosa sull’immensità
del passato (individuale e storico) perduto e irrecuperabile (cfr. T3, p. 113).
Alla luna Alla luna (forse 1819) presenta ancora un paesaggio notturno rischiarato dalla luce lunare; ma la
ricorrenza di un anniversario rende questa volta con leggerezza la sofferta solitudine del poeta, che
può abbandonarsi al piacere del ricordo e dell’immaginazione.
Il sogno Il sogno (1820 o 1821) e La vita solitaria (1821) hanno un più spiccato impianto narrativo, e uno
svolgimento conseguentemente più ampio. Il primo narra di un sogno avente a oggetto l’incontro con
una giovane donna morta amata in passato dal poeta; il taglio poetico e l’abbandono sentimentale in-
La vita solitaria fondono un evidente pathos romantico al tema petrarchesco. La vita solitaria è, dei cinque idilli, il più
(1821) vicino al modello dell’idillio campestre preromantico, rappresentando l’immersione del poeta, all’in-
terno di un paesaggio naturale ora contemplato con affetto, ora osservato con doloroso distacco.
metrica endecasillabi sciolti. poco frequentato e selvaggio (ermo). Ma: si “stagione”) suono. Così tra questa immensità
contrappone alla chiusura della vista a opera il mio pensiero si smarrisce (s’annega; meta-
1-8 Mi furono (fu; con due soggetti) sempre della siepe. Nel pensier mi fingo: costruisco fora): e naufragare [: perdermi] in questo ma-
cari questo colle solitario (ermo) e questa sie- nell’immaginazione. Ove: negli spazi, nei si- re [: in questa vastità] mi dà piacere (m’è dol-
pe, che esclude la vista (il guardo) dell’oriz- lenzi e nella quiete appena immaginati al di ce). Il suon di lei: il rumore del presente, in
zonte estremo (ultimo) per così grande (da là della siepe, e nei quali il poeta si è come contrasto con il silenzio dell’infinito passato
tanta) parte [: che impedisce di vedere gran immerso. così come lo stormire delle foglie è in con-
parte dell’orizzonte]. Ma sedendo e guardan- 8-15 E non appena (come) odo stormire il trasto con l’infinito silenzio immaginato.
do (mirando), [al] di là di quella [siepe] io im- vento tra questi alberi (piante), io vado con- S’annega…/naufragar…mare: non si tratta
magino (mi fingo) nel pensiero [che vi siano] frontando (vo comparando) quell’infinito si- di uno smarrimento mistico (non si potreb-
spazi interminabili e silenzi sovrumani e una lenzio [prima immaginato] a questo suono be immaginare niente di meno leopardia-
pace (quiete) profondissima; nei quali (ove = (voce; metafora) [degli alberi]: e mi torna in no), quanto piuttosto del prevalere provvi-
dove) il [mio] cuore per poco non si spaventa mente (mi sovvien = mi ricordo) l’eterno, e il sorio delle sensazioni e delle immaginazioni
(spaura). Colle: è il monte Tabor, non lonta- tempo passato (le morte stagioni), e il [tem- sulle facoltà razionali: causa, secondo Leo-
no da palazzo Leopardi, all’epoca del poeta po] presente e vivo, e il suo (di lei; riferito a pardi, di un piacere profondo.
primo piano
Canti capitolo II 107
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T2 TESTO
OPERA
T2 DALLA COMPRENSIONE
ALL’INTERPRETAZIONE
COMPRENSIONE
Datazione e collocazione del testo L’infinito è stato al di là di essa, mette in moto un processo immaginativo
composto a Recanati nel 1819. In dodicesima posizione e fantastico assai piacevole, permettendo al poeta di fanta-
nella struttura dei Canti, esso apre la serie dei cinque idil- sticare sul concetto-limite di infinito proprio a partire da
li, perché rappresenta la sintesi e quasi il programma della quella sensazione di limitatezza. Il vicino rumore delle fo-
poetica idillica, costituendo un bilanciamento tra ragioni glie mosse dal vento, confrontato con le immagini di infini-
paesaggistiche e ragioni esistenziali, cioè tra descrizione to evocate dal poeta, chiama in causa un secondo concetto-
e confessione lirica. limite, quello di eterno. E l’abbandono alle sensazioni e al-
le immaginazioni suscitate da questa esperienza fantastico-
Il limite e il suo superamento Il dato materiale di par- sensoriale coincide con il raggiungimento di un piacere
tenza è una siepe posta su un colle poco lontano dall’abita- indefinito.
zione del poeta; la siepe, impedendo la vista di ciò che sta
analisi
La metrica e lo stile Il testo è formato da quindici ende- (v. 9), che indica invece il dato lontano e assente, ovvero
casillabi sciolti, che presentano una grande varietà nella solo immaginabile («quello/infinito…»).
struttura ritmica. Il breve componimento può così aderire
alla complessa evoluzione immaginativa e sentimentale. I temi Il componimento è costruito sul tema del rappor-
Quasi tutti i versi sono segnati da una forte asimmetria tra to tra esperienza e riflessione. L’esperienza è rappresen-
ritmo metrico e andamento sintattico. La figura chiave tata dal «colle», dalla vista della «siepe», dallo stormire del
della metrica è infatti l’enjambement, che riguarda la mag- «vento» tra le «piante»: eventi semplici e quotidiani. La ri-
gior parte dei versi (particolarmente forti i seguenti: «inter- flessione apre un dialogo tra questi dati oggettivi e la pro-
minati/spazi», «sovrumani/silenzi», «quello/infinito silen- pria reattività personale, tracciando un percorso di cono-
zio»). Gli enjambements rappresentano la tensione fortissi- scenza e di ricerca che non può avere limite. A questo tema
ma che attraversa il testo, in cui il discorso è di continuo pro- si affianca l’affermazione di una non coincidenza tra dato
teso verso uno sviluppo ulteriore. Restano estranei alla lo- sensoriale oggettivo e reazione immaginativa: è anzi pro-
gica degli enjambements il primo e soprattutto l’ultimo prio il limite rappresentato dalla siepe ad accendere, per
verso, nei quali si dà coincidenza tra metrica e sintassi. In contrasto, il bisogno di immaginare l’infinito, cioè di ne-
questo modo l’esperienza emozionale e conoscitiva rappre- gare e superare quel limite; così come è dalla limitatezza del
sentata nell’Infinito viene definita e incorniciata entro i so- suono delle foglie che nasce l’ulteriore allargamento in sen-
lidi confini formali dell’inizio e della fine, cioè tra la radi- so temporale: dall’infinito spaziale, infatti, l’immaginazio-
cale materialità e “normalità” dell’occasione poetica («Sem- ne si allarga all’infinito temporale, l’«eterno». Si tratta di
pre caro mi fu quest’ermo colle») e la conquista dello smarri- un’esperienza psicologico-affettiva che il pensiero non rie-
mento dei sensi e della mente quale meta di un provvisorio sce a dominare, di cui cioè non sa darsi interamente ragione,
appagamento («E il naufragar m’è dolce in questo mare»). e tuttavia si tratta di un’esperienza piacevole e appagante. È
Dal punto di vista strettamente stilistico, sono particolar- importante notare come non ci sia alcuna confusione tra i
mente rilevanti il polisindeto che riguarda i vv. 11-13, co- due piani (quello dell’esperienza dei sensi e quello dell’im-
me a suggerire il rapido succedersi di nuove suggestioni im- maginazione): da una parte stanno il vedere e il sentire,
maginative, e la replicazione dei deittici “questo/questa” dall’altro l’immaginare e il pensare, affidati a due verbi che
(vv. 1, 2, 9, 10, 13, 15), che indicano la concreta presenza costituiscono gli assi portanti del testo («mi fingo» v. 7, «vo
degli oggetti considerati, in contrapposizione a «quello» comparando» v. 11).
interpretazione
La contestualizzazione Al tema sopra considerato si af- basa sulla elaborazione settecentesca della poetica del sensi-
fianca la specifica ricerca filosofica leopardiana degli anni at- smo. Tanto le reazioni emotive quanto le riflessioni raziona-
torno alla composizione dell’Infinito. Allo Zibaldone sono per li del soggetto lirico si sviluppano a partire da ben definiti
esempio affidate varie riflessioni sul potere di tutto ciò che è dati sensoriali: qui il guardare («il guardo», «mirando») e
limitato di accendere l’immaginazione, spingendola a figurar- l’udire («odo», «voce», «suon»; e anche «silenzi» e «silen-
si uno spazio che sfondi quel limite. Questa considerazione si zio»). D’altra parte le stesse reazioni emotive del soggetto liri-
Perché sintetizza L’infinito condensa la riflessione filosofica di Leopardi. Nel testo sono presenti infatti alcuni dei
i temi centrali della concetti-chiave dell’intero sistema di pensiero leopardiano: il tema della finitezza del mondo
ricerca filosofica (simboleggiata dalla «siepe» che limita lo sguardo del soggetto) come stimolo all’immaginazione
e il tema del piacere come desiderio al tempo stesso illimitato e irraggiungibile. Il testo è dunque
leopardiana: strettamente collegato alle idee esposte nello Zibaldone in cui, tra l’altro, si legge: «L’anima s’im-
lo spazio, il tempo, magina quello che non vede. Che quell’albero, quella siepe, quella torre gli nasconde, e va errando
la quiete in uno spazio immaginario, e si figura cose che non potrebbe, se la sua vista si estendesse da per
tutto, perché il reale escluderebbe l’immaginario» (Zib., 171).
primo piano
Canti capitolo II 109
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T2 TESTO
OPERA
Questa centralità assegnata al rapporto tra spazio finito e non finito ritorna anche in altre poesie
della raccolta, come La sera del dì di festa e La vita solitaria. Ragionando su questi temi, Leopardi
traspone in poesia concetti che circolavano nell’ambito del sensismo settecentesco: al centro
del suo discorso vi è infatti la percezione del soggetto, che vede («mirando», v. 4), pensa, immagi-
na («nel pensier mi fingo», v. 7). Il testo sottende inoltre una particolare attenzione, anch’essa de-
rivante dalla cultura settecentesca, per la consapevolezza della marginalità dell’uomo nello spa-
zio e nel tempo. L’infinito traduce questa ricerca filosofica leopardiana in alcune immagini poeti-
che ricorrenti: in particolare il «silenzio» e la «quiete» che caratterizzano uno spazio in cui l’uomo
è assente (i «sovrumani / silenzi», vv. 5-6, sono silenzi letteralmente non accessibili all’uomo). La
quiete («profondissima», v. 6) rinvia anche alla morte (descritta come «quiete altissima» nell’o-
peretta morale Cantico del gallo silvestre). Il pensiero, dunque, si smarrisce nell’infinità e lo smarri-
mento crea, al contempo, angoscia e piacere.
Perché esemplifica In questo testo, come più in generale nella sintassi e nella metrica dei Canti, è presente la tenden-
le scelte metriche za a rinnovare lo statuto tradizionale della lirica, pur senza strappi vistosi. Leopardi impiega infat-
e linguistiche ti una forma metrica tradizionale, l’endecasillabo, sciolto tuttavia dall’obbligo della rima e dotato di
una straordinaria carica espressiva. La forza del verso leopardiano deriva innanzitutto dall’attribu-
dei Canti zione all’enjambement di una funzione fortemente innovativa: quella di veicolare un discorso lan-
ciato in avanti e sempre interrotto, potentemente proteso verso uno sviluppo ulteriore ma conti-
nuamente spezzato (cfr. «interminati / spazi»; «sovrumani / silenzi»).
Al sorvegliato rinnovamento delle forme metriche corrisponde la cura delle scelte linguistiche: il
lessico dell’Infinito, come quello di molti Canti, risente della più generale riflessione di Leopar-
di intorno alla lingua della poesia. In particolare la preferenza per le voci che esprimono vaghez-
za, distanza, indefinitezza affonda le sue radici in una precisa teoria linguistica elaborata da
Leopardi e fondata sulla distinzione fra «termini» e «parole»: per l’autore i termini precisi ed
esatti sono adatti alla lingua della scienza, mentre le parole indefinite e vaghe danno vita alla
lingua poetica e accendono i «piaceri dell’immaginazione». La tensione verso l’infinito, e la con-
seguente vertigine dell’infinità, è trasmessa, dunque, anche attraverso le caratteristiche forma-
li del testo. “Segnali dell’infinito” sono dati dalle specifiche scelte lessicali: nella poesia compa-
iono infatti termini lunghi, formati da almeno quattro sillabe («orizzonte», «interminati», «so-
vrumani», «profondissima», «immensità»), tutti collegati all’idea di indeterminatezza e al con-
cetto di infinito.
primo piano
Canti capitolo II 111
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T2 TESTO
OPERA
OPERA Composto nel 1820, questo idillio presenta una articolazione più ampia e mossa dell’Infinito, del
Canti
quale riprende in parte il tema, confrontando i segni del presente con l’infinità del tempo entro il
CONCETTI CHIAVE quale essi sono collocati. Inoltre questa poesia ospita una riflessione sul tema della perdita e della
• isolamento
angoscioso del vanità di ogni cosa (il biblico tema dell’ubi sunt? ‘dove sono?’): da qui il riferimento tanto ai «popoli
poeta antichi» scomparsi, quanto alla personale esperienza dell’io, a cui rimanda anche il canto di un arti-
• indifferenza della giano che torna a casa, alla fine del giorno festivo.
natura e della
donna amata
fonte Dolce e chiara è la notte e senza vento,
G. Leopardi, Canti, cit. E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
Posa la luna, e di lontan rivela
Serena ogni montagna. O donna mia,
5 Già tace ogni sentiero, e pei balconi
Rara traluce la notturna lampa:
Tu dormi, che t’accolse agevol sonno
Nelle tue chete stanze; e non ti morde
Cura nessuna; e già non sai né pensi
10 Quanta piaga m’apristi in mezzo al petto.
Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno
Appare in vista, a salutar m’affaccio,
E l’antica natura onnipossente,
Che mi fece all’affanno. A te la speme
15 Nego, mi disse, anche le speme; e d’altro
Non brillin gli occhi tuoi se non di pianto.
Questo dì fu solenne: or da’ trastulli
Prendi riposo; e forse ti rimembra
In sogno a quanti oggi piacesti, e quanti
20 Piacquero a te: non io, non già, ch’io speri,
Al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo
Quanto a viver mi resti, e qui per terra
metrica endecasillabi sciolti. perenne (antica) [: rimasta immutata [cielo] si schiude, / e vedesi ogni stella, e ne
dall’antichità, eterna] [e] onnipotente, che gioisce / il pastor dentro all’alma”». Tu dor-
1-16 La notte è mite (dolce) e chiara [: ri- mi generò (mi fece) per farmi soffrire (all’af- mi…tu dormi: l’anafora sottolinea la ripre-
schiarata dalla luna] e senza vento, e la luna, fanno). «A te – mi disse [la natura] – nego la sa del topos classico dell’indifferenza della
placida (queta), sta (posa = riposa) sopra i speranza (speme), perfino (anche) la spe- donna alla sofferenza dell’innamorato. C’è,
tetti e in mezzo agli orti, e in lontananza (di ranza; e [decido che] i tuoi occhi non lùccichi- inoltre, un’analogia tra l’indifferenza della
lontan) rivela serena ogni montagna. O don- no (non brillin; congiuntivo ottativo) d’altro donna e quella della natura. A te…pianto:
na da me amata (mia), tutti (ogni) i sentieri se non di pianto [: dunque non di amore né la natura parla in prima persona e pronuncia
ormai (già) tacciono, e qua e là (rara; riferito di gioia]!». Dolce e chiara…: il modello è un la maledizione.
a lampa), dalle finestre (pei balconi), trape- passo dell’Iliade (VIII, 555-59), tradotto dallo 17-37 Questo è stato (fu) un giorno di festa
la la luce di qualche lampada (lampa) nottur- stesso Leopardi nel Discorso di un italiano (dì…solenne): ora ti riposi (prendi riposo)
na: tu [: si rivolge alla donna] dormi, poiché intorno alla poesia romantica: «Una notte [: la donna amata] dagli svaghi (da’ trastul-
(che) il sonno ti accolse prontamente (age- serena e chiara e silenziosa, illuminata dalla li); e forse in sogno ti viene in mente (ti ri-
vol) nelle tue stanze tranquille (chete); e non luna, non è uno spettacolo sentimentale? membra) a quanti [uomini] oggi sei piaciuta,
ti tormenta (morde) nessuna angoscia (cu- […] Ora leggete questa similitudine di e quanti sono piaciuti a te: io no – non che io
ra); e certo (già) non sai e non (né) immagini Omero: “Sì come quando graziosi in cielo / [lo] speri, certo (non già, ch’io speri) –, non ti
(pensi) quale profonda ferita (quanta piaga) rifulgon gli astri intorno della luna, / e l’aere ritorno (ti ricorro) in mente (al pensier). In-
mi apristi in mezzo al petto. Tu dormi: io mi è senza vento, e si discopre / ogni cima de’ tanto [: mentre tu dormi] io chiedo (chieggo)
affaccio a salutare questo cielo, che a vederlo monti ed ogni selva / ed ogni torre; allor che quanto [tempo] mi resti da vivere, e qui [: nel-
(in vista) appare così benevolo, e la natura su nell’alto / tutto quanto l’immenso etra la mia stanza] mi getto per terra, e grido e mi
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Canti capitolo II 113
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Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi 35 De’ nostri avi famosi, e il grande impero
In così verde etate! Ahi, per la via Di quella Roma, e l’armi, e il fragorio
25 Odo non lunge il solitario canto Che n’andò per la terra e l’oceano?
Dell’artigian, che riede a tarda notte, Tutto è pace e silenzio, e tutto posa
Dopo i sollazzi, al suo povero ostello; Il mondo, e più di lor non si ragiona.
E fieramente mi si stringe il core, 40 Nella mia prima età, quando s’aspetta
A pensar come tutto al mondo passa, Bramosamente il dì festivo, or poscia
30 E quasi orma non lascia. Ecco è fuggito Ch’egli era spento, io doloroso, in veglia,
Il dì festivo, ed al festivo il giorno Premea le piume; ed alla tarda notte
Volgar succede, e se ne porta il tempo Un canto che s’udia per li sentieri
Ogni umano accidente. Or dov’è il suono 45 Lontanando morire a poco a poco,
Di que’ popoli antichi? or dov’è il grido Già similmente mi stringeva il core.
agito (fremo). Oh giorni orribili in un’età così l’armi, e il fragorio; endiadi) che si propagò de dolore (doloroso), insonne (in veglia), mi ri-
giovane (verde)! Ahi[mè], sento per la via, non (n’andò) per la terra e per l’oceano? Intanto… giravo nel letto (premea le piume; piume =
lontano (non lunge), il canto solitario dell’arti- fremo: cfr. la lettera al Giordani del 24 aprile ‘letto’); e, a tarda notte, un canto che si sentiva
giano, che a tarda notte torna (riede) alla sua 1820: «Io mi getto e mi ravvolgo per terra, do- (s’udia) affievolirsi (morire) a poco a poco
povera casa (ostello), dopo i divertimenti (sol- mandando quanto mi resta ancora da vivere. mentre s’allontanava (lontanando) per i sen-
lazzi) [del giorno di festa]; e il cuore mi si strin- La mia disgrazia è assicurata per sempre: tieri mi stringeva il cuore già allo stesso modo
ge crudelmente (fieramente), nel pensare co- quanto mi resterà da portarla? quanto?». (già similmente) [di adesso]. Già similmen-
me tutto al mondo passa, e quasi non lascia Dov’è…dov’è: tópos letterario dell’ubi sunt? te…core: tanto nell’infanzia quanto nell’età
traccia (orma). Ecco, il giorno (dì) festivo se n’è [dove sono?, latino], di origine biblica, molto presente (cfr. v. 25) il canto che si ode nel si-
andato (è fuggito), e il giorno lavorativo (vol- diffuso nella poesia preromantica. lenzio notturno dà origine alla sensazione
gar) viene dopo (succede) il festivo, e il tempo 38-46 Tutto è pace e silenzio, e il mondo inte- dell’infinità del tempo e della natura, di fronte
porta via (se ne porta) ogni vicenda (acciden- ro (tutto) riposa (posa), e non si parla (non si alla quale la vita del singolo si caratterizza,
te) umana. Dov’è ora il risuonare (il suono) ragiona) più di loro [: di quei popoli antichi]. negativamente, per la propria finitezza e ca-
[delle imprese] di quei popoli dell’antichità? Nella mia infanzia (prima età), quando si ducità. È questo il motivo ricorrente di una li-
Dov’è la fama (il grido) dei nostri famosi ante- aspetta con ardente desiderio (bramosamen- rica che a molti interpreti (da Flora a Contini)
nati (avi)? E il grande impero della grande Ro- te) il giorno di festa, dopo (or poscia) che que- è parsa invece troppo frammentaria e discon-
ma (di quella Roma)? E il fragore delle armi (e sto (egli) era terminato (spento), io, con gran- tinua.
T3 DALLA COMPRENSIONE
ALL’INTERPRETAZIONE
COMPRENSIONE
Una poesia in tre momenti Questa poesia si apre con la gesta di Roma) sia destinata a svanire nello sperpero di-
descrizione di una notte rischiarata dalla luna (vv. 1-4) e sordinato del tempo: è il motivo biblico dell’ubi sunt?;
ruota intorno a tre nuclei tematici: c) il ricordo d’infanzia dell’attesa piena di speranza del
a) l’indifferenza della donna amata (e per analogia im- giorno di festa, cui aveva fatto seguito un’ansia e un’in-
plicita anche l’indifferenza della natura), che – al termi- quietudine inspiegabili; analogamente all’episodio che
ne del giorno di festa – riposa ignara del dolore in cui ha si verifica nel presente della poesia, anche nel ricordo in-
gettato il poeta, che si agita disperato nella sua stanza; fantile un canto solitario aveva rotto il silenzio nottur-
b) il canto di un artigiano proveniente dall’esterno, che no e allentato l’angoscia.
sembra suggerire l’idea che ogni cosa (persino le antiche
analisi
L’infinito e La sera del dì di festa Scritto poco dopo L’infi- poli antichi. Il percorso della lirica è un ritorno verso l’io: il
nito, questo idillio presenta un tema simile e una struttura canto dell’artigiano, infatti, non suscita solo il ricordo di Ro-
diversa. Nell’Infinito, infatti, prevale una dimensione più ma, ma anche quello della propria infanzia, e su quello si
intensamente soggettiva, mentale e solitaria; qui, invece, conclude. Tuttavia, si tratta appunto di un ritorno (mentre
il personaggio che dice io è posto di fronte non solo al mon- nell’Infinito la struttura era aperta: non si concludeva con la
do naturale esterno, ma anche al mondo umano esterno: riaffermazione di sé, ma con lo smarrimento nel «mare»
quello della donna amata, dell’artigiano che rincasa, dei po- dell’«immensità»). La conoscenza del mondo esterno riaf-
interpretazione
La lettura di Blasucci Il critico Luigi Blasucci segnala l’ap- Lo schema di un simile trapasso dal proprio dolore alla conside-
partenenza della Sera del dì di festa alla stessa area tematica razione della sua nullità era stato già fissato in un appunto del-
e allo stesso motivo cui appartengono L’infinito e altri idilli: lo Zibaldone […]: “Tutto è nulla al mondo, anche la mia dispera-
il confronto tra l’esperienza individuale della perdita e la rifles- zione [...]. Misero me, è vano, è un nulla anche questo dolore,
sione sull’infinito come compresenza di consolazione e di an- che in un certo tempo passerà e s’annullerà, lasciandomi in un
nullamento. Qui il motivo si incentra sulla dimensione tem- voto universale...”. La novità tematica della Sera rispetto a quel-
porale, lasciando sullo sfondo il corrispettivo propriamente la traccia è che il nulla qui s’identifica con la stessa infinità del
spaziale. Riportiamo uno stralcio delle osservazioni di Blasucci. tempo […].
«In questa varietà di motivi due fattori generali di unificazione Siamo dunque nel bel mezzo di quella “fenomenologia
sono […] individuabili entro la compagine del canto: l’uno ricon- dell’infinito” che costituisce la tematica maestra degli idilli:
ducibile alla presenza di un paesaggio notturno che, distesa- una fenomenologia qui esperita sul versante del tempo, ma
mente evocato nella parte iniziale, incombe come realtà ora sot- i cui lineamenti si possono rinvenire nella stessa lirica eponima
tintesa, ora chiamata per piccoli tocchi, in tutto il resto del com- [L’infinito], ossia nell’evocazione dello stormire del vento come
ponimento; l’altro riferibile alla stessa “voce” del poeta-perso- suscitatore di pensieri sulle “morte stagioni”. In entrambi i casi
naggio, contrassegnata da una serie di movimenti e di “gesti” si parte da uno stimolo acustico percepito su uno sfondo di si-
verbali (esclamazioni, interrogazioni, allocuzioni) che differen- lenzio per arrivare alla rivelazione dell’immensità del tempo.
ziano il discorso della Sera da quello, poniamo, tutto interiore e […]
mentale dell’Infinito. Ma la ricerca di elementi unificanti può Questa ascrizione del motivo all’area tematica dell’infinito può
procedere oltre quei livelli minimali, solo che si riconosca la pe- dar ragione di quanto a suo modo catartico esso risulti nello
culiarità tematica della lirica non tanto nello sviluppo di un mo- svolgimento della lirica: di quanto cioè la considerazione del
tivo, quanto in una dinamica di motivi, diciamo pure in una “vi- fluire infinito degli eventi, non che incrementare la disperazio-
cenda”. Il momento culminante di questa vicenda è costituito ne iniziale […] tramuti quella disperazione nella contemplazio-
dall’introduzione del canto dell’artigiano che interrompe le ne “rasserenante-struggente” (Binni) di un destino finale di an-
considerazioni del poeta sulla propria infelicità di escluso, av- nullamento. Lo sviluppo tematico (e, aggiungiamo, poetico)
viando le sue riflessioni sulla fine di tutte le glorie umane. […] della Sera è appunto in una vicenda di vanificazione accorata
Ora la vicenda della Sera è appunto in questa deviazione: per del dolore personale (si ricordi: «Tutto è nulla al mondo, anche
mezzo di essa “la mente del poeta si stacca dal suo dolore pre- la mia disperazione»), piuttosto che in un processo di universa-
sente, considerandolo commisto e quasi confuso nel flusso infi- lizzazione di quel dolore: l’io degli «idilli», a differenza di quello
nito degli eventi” (Levi). dei canti pisano-recanatesi, è ancora un io singolare».
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Canti capitolo II 115
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10 Un periodo di passaggio (1823-1827)
1823-1827: un All’estate del 1822 appartiene l’Inno ai Patriarchi; alla primavera del 1828, risalgono Il risorgi-
periodo dedicato mento e A Silvia. Nei sei anni che separano tali titoli Leopardi si dedica soprattutto alla prosa
alla prosa
(scrivendo gran parte delle Operette morali) e compone due soli testi poetici: Alla sua donna e Al
conte Carlo Pepoli. Entrambi presentano caratteristiche eccezionali, rispetto ai due blocchi prece-
denti delle canzoni e degli idilli: Alla sua donna è una canzone, ma, diversamente da quelle compo-
ste tra il 1818 e il 1822, presenta una schietta tematica amorosa, ispirandosi originariamente al mo-
dello petrarchesco; Al conte Carlo Pepoli è un’epistola in versi sciolti (l’unica di Leopardi) e riaffronta
i temi filosofico-civili tipici delle canzoni del 1818-22 servendosi di una forma e di un genere nuovi,
Alla sua donna e Al coerentemente al rinnovamento delle posizioni dell’autore. La collocazione dei due testi nella
conte Carlo Pepoli, struttura dei Canti, di cui occupano il centro, serve a mettere in comunicazione la parte più anti-
uno snodo formale
e ideologico nella ca delle canzoni e degli idilli con quella invece successiva dei grandi canti pisano-recanatesi,
struttura dei Canti fiorentini e napoletani: è uno snodo formale, in quanto apre a strutture metriche più articolate e
mosse, ed è uno snodo ideologico, in quanto propone i temi già presenti dell’amore e della società
da un punto di vista radicalmente rinnovato (critico-negativo e pessimistico anziché idealizzato ed
eroico). Per valorizzare questa funzione di snodo, Alla sua donna, decima ed ultima delle canzoni
stampate a Bologna nel 1824, veniva fin dalla prima edizione dei Canti (1831) separata dalle altre no-
ve (numeri 1-9) e posta al di là degli idilli, in sedicesima posizione (diciottesima, però, a partire dalla
seconda edizione a causa dell’inserimento del Passero solitario e di Consalvo).
Alla sua donna Alla sua donna (settembre 1823) si ricollega alla tradizione della lirica amorosa petrarchesca,
(1823): l’arido vero e ma con un presupposto di negatività che ne sconvolge i termini. La «donna» cui Leopardi si rivol-
le illusioni
ge è per costituzione assente e anzi non esistente; è cioè una pura immaginazione, o illusione,
del soggetto poetico. Il canto d’amore si rivolge dunque a un’immagine di cui viene negata non solo
la realtà ma anche la possibilità. In questo modo a essere cantata è la forza di quelle illusioni che
la conoscenza del reale distrugge: la cara immaginazione afferma la propria funzione consolatoria
nel confronto con l’arido vero del mondo. Tuttavia, più forte ancora del risarcimento illusorio è il
peso dell’accusa che si leva da questo testo: l’assenza e l’impossibilità di ciò che l’uomo concepi-
sce quale unica possibile consolazione ai mali della vita valgono a provare la negatività e l’orrore di
T • Alla sua donna un mondo dove «son gli anni infausti e brevi». Lo stile sostenuto e colloquiale insieme, l’originale
S • L’immaginazione soluzione metrica (arditamente a mezza via tra la canzone petrarchesca e la canzone libera), il paca-
e il vero nella canzone
Alla sua donna to intento dimostrativo fanno di questa canzone un’anticipazione suggestiva dei risultati leo-
(L. Blasucci)
pardiani più tardi.
Al conte Carlo Pepoli L’epistola in endecasillabi sciolti Al conte Carlo Pepoli fu letta presso un’accademia bolognese il
(1826): disincanto e 28 marzo 1826. Essa testimonia in modo esplicito la volontà di distacco dalla poesia e dalle illusioni
scelta dell’«acerbo
vero» che essa porta necessariamente con sé, costituendo uno dei documenti più interessanti del peculia-
re atteggiamento di Leopardi in questi anni di primo contatto con la società italiana fuori da Recana-
ti: di fronte alle grandi speranze delle ideologie progressiste e liberali, egli si pone in un atteg-
giamento disincantato e scettico, facendo ricorso a una continua corrosione critica delle consue-
tudini culturali e sociali. Nel pacato tono raziocinante dell’epistola, spicca la scelta, apertamente di-
chiarata, dell’«acerbo vero», cui il poeta dichiara di voler dedicare tutti i propri studi, rinunciando al-
le illusioni e alle consolazioni comuni agli altri uomini.
Le ragioni del Il provvisorio distacco dalla poesia testimoniato dal silenzio poetico quasi completo di questo
provvisorio periodo dipende dalla crisi dell’idea di poesia che Leopardi aveva nel periodo precedente. Tanto l’im-
abbandono della
poesia pegno in chiave classicistica e patriottica delle canzoni, quanto la rappresentazione negli idilli di oc-
casioni esistenziali di particolare significato conoscitivo tramontano a vantaggio di un bisogno di
verità filosofica che meglio si esprime nella prosa delle Operette. L’adesione a un pessimismo inte-
grale e la perduta fiducia nel valore compensativo della natura, quali si esprimono appunto nelle
Operette, rappresentano le basi ideologiche dell’abbandono della poesia. L’inizio del silenzio poetico
primo piano
Canti capitolo II 117
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S3 INFORMAZIONI
Canzone libera
La corrosione del modello canonico petrarchesco di canzone – tuttavia nei fatti escluso che le rime manchino completamen-
con numero di versi, posizione di endecasillabi e settenari e di- te; così che resta ben netta una differenza rispetto a un’alter-
sposizione di rime obbligati – si annuncia già in alcuni testi nanza libera di endecasillabi e settenari.
quattro-cinquecenteschi, nei quali però l’eccezione al modello L’esempio di Guidi ha scarsa fortuna, anche per il declinare
è isolata e di scarso rilievo formale o espressivo. Per un abban- dell’interesse per la canzone come forma metrica, soprattutto
dono più consapevole e radicale si deve aspettare un poeta del nel Settecento. È dunque la prestigiosa ripresa leopardiana a
Seicento, Alessandro Guidi, al quale si fa risalire tradizional- conferire importanza storica alla forma della canzone libera,
mente la prima sperimentazione vera e propria di canzone libe- che prende non casualmente a chiamarsi anche “canzone leo-
ra. Restano, della canzone classica, i soli obblighi di impiegare pardiana”. Va peraltro osservato che il ritrovamento da parte di
endecasillabi e settenari suddivisi in stanze; mentre divengono Leopardi di tale forma non è tanto favorito dall’esempio di Gui-
liberi tanto la lunghezza delle varie stanze quanto l’alternanza di, quanto da una personale sperimentazione a partire dalla
di endecasillabi e settenari quanto, infine, la disposizione delle canzone petrarchesca. La prima canzone libera leopardiana è
rime. Mentre è lecito che alcuni versi restino liberi da rima, è A Silvia (1828).
A Silvia (1828), A Silvia (cfr. T4, p. 120), composta a Pisa tra il 19 e il 20 aprile 1828, è il primo esempio, nella poe-
primo esempio di sia leopardiana, di canzone libera (cfr. S3). La libertà del metro e delle rime, che porta alle estreme
canzone libera
conseguenze l’esperimento di Alla sua donna, si associa a una sensibilità musicale di altissima sugge-
stione; ed è a componimenti come questo che si appoggia il titolo complessivo di Canti. Il tema ri-
Video • A Silvia porta alla giovinezza recanatese, rievocata con tenerezza e abbandono nel momento stesso in cui
(P. Cataldi) ne viene impietosamente diagnosticato il fragile destino di disillusione e di morte; la tisi che uccide
Silvia e la delusione che colpisce tutte le speranze di Giacomo sono testimonianza di un destino ge-
nerale dell’uomo; in ogni caso irrealizzate restano le illusioni e le speranze della giovinezza, la cui
estinzione suona quale inesorabile condanna rivolta al destino e alla condizione umana. Forse nes-
Esaltazione della sun altro poeta ha saputo ritrarre con altrettanta intensità l’autentico sapore dell’adolescenza di
giovinezza e
svelamento della
quanto faccia qui Leopardi, in un componimento dove di quella stagione vengono poi svelati la cru-
sua crudeltà deltà e il necessario disinganno. Il rivelarsi tragico della verità, con la morte di Silvia, suscita la
protesta del poeta nei confronti della natura, crudele ingannatrice e persecutrice degli uomini.
Video • La canzone Così che la verità della condizione umana, infine svelata, coincide con la perdita di ogni speranza e
libera (L. Blasucci) con il fissarsi dello sguardo sulla morte.
Tornato a Recanati per l’ultimo soggiorno nella cittadina natale, Leopardi vi compone, tra l’a-
gosto del 1829 e l’aprile del 1830, altri quattro testi.
Le ricordanze In parte affine al tema di A Silvia è Le ricordanze (cfr. T5, p. 126), una sorta di originale poemet-
(1829), un ritorno to narrativo in endecasillabi sciolti composto tra l’agosto e il settembre del 1829. Tanto il me-
alla giovinezza
recanatese tro quanto l’ondeggiare delle sensazioni e della memoria quanto infine il tema squisitamente reca-
natese fanno di questo testo il più prossimo, tra i canti pisano-recanatesi, agli idilli giovanili, e l’uni-
co per il quale potrebbe al limite accettarsi la definizione (comunque non leopardiana) di “grande
idillio”. La rievocazione del passato, delle sue attese e delle successive delusioni si affida a un «an-
damento a onde di ricordo» (Binni), originate a partire da specifiche sensazioni del presente o per
associazione di idee. L’introduzione nell’ultima strofa di una fanciulla morta, Nerina, stabilisce un
punto di contatto con A Silvia, della quale è però qui assente il rigore dimostrativo.
La posizione Nella struttura dei Canti, alle Ricordanze tiene dietro Canto notturno di un pastore errante
rilevata del Canto
notturno nella
dell’Asia, composto però dopo i due testi che lo seguono (La quiete dopo la tempesta e Il sabato del
struttura del libro villaggio). Il tema recanatese di questi ultimi è in tal modo distanziato dall’eguale tema di A Silvia e
delle Ricordanze, venendo il testo più compiutamente filosofico e riepilogativo (il Canto notturno) a
occupare il centro del quintetto.
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Canti capitolo II 119
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T4 A Silvia [21]
OPERA Nei Ricordi d’infanzia e di adolescenza Leopardi rievoca: «[...] cenare allegramente del cocchiere in-
Canti
tanto che la figlia stava male, storia di Teresa da me poco conosciuta e interesse ch’io ne prendeva
CONCETTI CHIAVE come tutti i morti giovani in quello aspettar la morte per me [...]. Canto mattutino di donna allo sve-
• fisicità delle
sensazioni gliarmi, canto delle figlie del cocchiere e in particolare di Teresa mentre ch’io leggeva [...]». La morte
giovanili di Teresa Fattorini per tisi (il 30 settembre 1818) è il dato biografico alla base di questo componi-
• passato delle mento. Il nome della giovane donna è cambiato con quello della ninfa protagonista dell’Aminta di
illusioni vs
presente del Tasso, Silvia appunto.
disinganno Al di là del riferimento concreto alla vicenda di Silvia, contano qui, da un lato, la rievocazione appas-
fonte sionata delle dolci speranze giovanili e, dall’altro, la dimostrazione rigorosa della infelicità costituti-
G. Leopardi, Canti, cit.
va del genere umano. Infatti, come le attese di Silvia sono state troncate dalla morte prima di rag-
Videolezione giungere alcun soddisfacimento, così anche quelle di Giacomo, benché questi non sia morto, sono
analisi del testo state deluse dal contatto con la verità della vita adulta. In tal modo l’esperienza dell’io supera il con-
fine esistenziale prevalente negli idilli giovanili, e viene invece ad assumere un significato generale
e filosofico, in linea con la poetica del Leopardi maturo. L’impiego della canzone libera (qui per la pri-
ma volta) e la distesa cantabilità appassionata e comunicativa di questo canto gettano le fonda-
menta di una nuova stagione poetica, portando al suo compimento l’intensa meditazione leopar-
diana sulle facoltà della lirica come forma di espressione totale e piena. A momenti più cantabili e
distesi si alternano tuttavia accenti più risentiti e duri, che esprimono la dolorosa caduta delle illu-
sioni.
metrica canzone libera di sei strofe di di- morta si riverbera anche negli insistiti pro- cientemente (assai) contenta di quell’avveni-
versa lunghezza; i settenari (34) prevalgono nomi personali ai vv. 2, 4 e 5 (e così nel segui- re vago [: bello e indefinito] che avevi in men-
sugli endecasillabi (29); 27 versi sui 63 totali to del testo). Ancora: indica (come il deittico te. [Quando ciò succedeva] era un maggio
sono privi di rima; gli altri, liberamente rima- quel) la distanza del punto di vista da cui il profumato (odoroso): e tu eri solita (solevi)
ti (l’ultimo verso di ognuna delle sei strofe è soggetto parla; indizio di un lungo trascorre- trascorrere (menare) il giorno così. La secon-
sempre un settenario, rimato con uno dei re del tempo, o, anche, di episodi significati- da strofa è dedicata a rappresentare la vita
versi che precedono). vi avvenuti nel frattempo. Ridenti…penso- della giovane Silvia, scegliendo il momento
sa: le due coppie di aggettivi possono essere esemplare di una primavera radiosa, le cui
1-6 [O] Silvia, ricordi (rimembri) ancora il associate, facendo corrispondere lieta a ri- caratteristiche s’identificano con quelle del-
(quel) tempo della tua vita mortale [: prima denti, e pensosa a fuggitivi. Il limitare…sa- la stessa giovinezza della donna. Silvia lavo-
della morte], quando la bellezza (beltà) livi: indica, esprimendo quasi un procedere ra al telaio, canta e pensa al futuro, felice di
splendeva nei tuoi occhi ridenti e sfuggenti faticoso, il momento nel quale si apre la gio- questa attesa densa di speranze.
(fuggitivi), e tu, lieta e pensosa, stavi rag- vinezza vera e propria; la Silvia cui il poeta si 15-27 Io, lasciando talora gli studi piacevoli
giungendo (salivi) il confine (il limitare) della riferisce è dunque propriamente un’adole- (leggiadri) e le carte faticose (sudate), in cui
giovinezza? La rievocazione della giovane scente. (ove = dove) si consumava (si spendea) la
donna è introdotta dall’invocazione del no- 7-14 Al tuo canto continuo (perpetuo) ri- mia giovinezza (il tempo mio primo) e la par-
me (Silvia), che trova circolarmente una suonavano le [mie] stanze silenziose (quiete) te migliore di me [: la salute fisica], dai balconi
perfetta eco anagrammatica nella conclu- e le vie dintorno, allorché sedevi occupata (in- (d’in su i veroni) della casa (ostello) paterna
sione della strofa in salivi. La presenza della tenta) nelle attività (opre) femminili, suffi- porgevo gli orecchi al suono della tua voce e al
suono della mano (alla man) veloce che attra- voloso), agli orti (indice di fertilità; benché si lendo una definizione pessimistica del destino
versava (percorrea) la tela faticosa [: tessen- avverta la presenza dell’etimo latino “hortus” dell’uomo quale sinonimo di dolore e una de-
do]. Guardavo (mirava; con desinenza arcai- = ‘giardino’); il tutto, ricostruito secondo un nuncia della natura quale sventura in se stessa
ca) il cielo sereno, le vie dorate [dal sole] e gli or- realistico giro d’occhi, dal cielo alle strade ai per i viventi.
ti, e da qui (quinci) il mare in lontananza (da campi al mare e ai monti. 40-48 Tu, prima (pria) che l’inverno inaridisse
lungi), e da qui (quindi) le montagne (il mon- 28-39 Che pensieri dolci (soavi) [provavamo]! l’erba, combattuta e vinta da una malattia oc-
te). Parole umane (lingua mortal) non posso- Che speranze, che cuori [avevamo], o mia Silvia! culta (da chiuso morbo) [: la tisi], morivi (peri-
no esprimere (non dice) quel che io provavo Come (quale) ci apparivano allora la vita umana vi), o dolcezza (tenerella) [: Silvia]. E non cono-
(sentiva) dentro (in seno). L’attenzione si e il destino (il fato)! Quando mi ricordo (sovvi- scevi (non vedevi) il fiore [: il meglio] dei tuoi
sposta qui sul soggetto poetico, che descrive emmi) di una così grande speranza (di cotanta anni [: la giovinezza piena]; la dolce [: gradita]
la propria “giornata tipo” durante l’adole- speme) mi angoscia (mi preme) un sentimento lode ora dei capelli neri (negre chiome), ora del-
scenza, affiancando le proprie attività di studi (un affetto) doloroso (acerbo) e disperato lo sguardo che innamora (innamorati) e schivo,
a quelle, allora tipiche delle ragazze, di Silvia. (sconsolato), e riprendo a dispiacermi (tornami non ti allietava (non ti molceva) il cuore; né le
Gli studi…carte: tra studi e carte non c’è pro- a doler) della mia sventura. O natura, o natura, compagne discorrevano (ragionavan) con te
babilmente differenza (a non voler circoscri- perché poi [: al dunque] non dài (non rendi) quel (teco) d’amore nei giorni di festa (ai dì festivi).
vere il significato di carte a quelle scritte dal che prima (allora) prometti? perché inganni così L’attenzione torna di nuovo a concentrarsi sul-
poeta); il chiasmo sottolinea in ogni caso tanto (di tanto) i tuoi figli [: gli uomini]? Dopo la sola Silvia, così come nella seconda strofa; e
l’ambivalenza nella fatica degli studi leggia- essersi soffermato sui diversi modi di vita di Sil- viene infine svelato il tragico destino di morte
dri ma faticosi (sudate). Le «sudate carte», via (nella seconda strofa) e di se stesso (nella della fanciulla. Segue quindi l’elenco dei beni
rimproverate da qualche lettore, dipendono terza), il poeta unifica qui, nella quarta strofa, i perduti con la giovinezza: il piacere di essere
da Orazio e hanno un significato metonimico due destini, considerandoli dal punto di vista lodata da ammiratori per la propria bellezza, il
(= faticose così da far sudare); cfr. però anche delle comuni aspettative del futuro (vv. 28-31); piacere di parlare dei primi amori con le ami-
l’Analisi del testo. Porgea gli orecchi…alla e dice dunque ci (v. 30). D’altra parte si annun- che durante i giorni di festa… Il destino di Silvia
man veloce ecc.: c’è zeugma, se s’intende il cia anche, al tempo stesso, una divaricazione si definisce per questi beni non vissuti, e dun-
lavoro di tessitura condotto dalla mano di Sil- dei due destini, come indica il riproporsi (ai vv. que in negativo. Pria…verno: cioè in autunno,
via quale attività percepibile attraverso la vi- 32, 33 e 35) del pronome di prima persona sin- prima che sopraggiungesse l’inverno a seccare
sta; ma c’è metonimia, se Leopardi intende golare; e si annuncia un evento, per ora non di- i prati; in collegamento (e contrapposizione)
dire che del lavoro della fanciulla percepiva, chiarato, che ha interrotto e deluso quelle con il «maggio» della seconda strofa. Sguardi
come è più probabile, il solo rumore del tela- aspettative di futuro, e che si pone ora tra quel innamorati e schivi: riprende e intensifica (an-
io, come testimonia la variante «percotea» tempo e il presente, giustificando l’angoscia che con l’ausilio della comune rima -ivi) la defi-
(percuoteva) in luogo di «percorrea». Mira- della delusione (vv. 32-35) e consentendo la nizione degli «occhi ridenti e fuggitivi» del v. 4:
va…monte: è un insieme di suggestioni posi- protesta verso la natura (vv. 36-39). Significati- innamorati corrisponde a ridenti e schivi a
tive, dal cielo sereno, alle vie dorate (che ve le rime fato : sconsolato e sventura : natu- fuggitivi; ma la maggiore forza di entrambi i
suggeriscono un cammino propizio, quasi fa- ra, entrambe intensamente semantiche, va- termini di questa nuova coppia aggettivale ri-
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Canti capitolo II 121
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Anche peria fra poco I diletti, l’amor, l’opre, gli eventi
50 La speranza mia dolce: agli anni miei Onde cotanto ragionammo insieme?
Anche negaro i fati Questa la sorte dell’umane genti?
La giovanezza. Ahi come, 60 All’apparir del vero
Come passata sei, Tu, misera, cadesti: e con la mano
Cara compagna dell’età mia nova, La fredda morte ed una tomba ignuda
55 Mia lacrimata speme! Mostravi di lontano.
Questo è quel mondo? questi
trae il passaggio dall’adolescenza alla giovi- morte, ma egualmente non ha portato ciò ma strofe. Come a dire, insomma, che, mor-
nezza piena, con il conseguente definirsi di una che egli sperava. Al contrario, l’apparire ta Silvia, il dialogo del poeta è proseguito
consapevole sensualità in luogo della ignara del«vero» (v. 60) ha distrutto quelle speran- con la speranza, ma per poco (cfr. v. 49): an-
malizia precedente. ze così come la morte ha distrutto quelle di che la speranza, come Silvia, sarebbe presto
49-63 Poco dopo (fra poco) morì (peria = Silvia. In ogni caso le attese dell’adolescenza morta. Infine, il gesto di indicare la tomba
moriva) anche la mia dolce speranza [: le mie si sono rivelate illusorie; così che, alla luce di pertiene, sì, alla speranza, ma, ancora, non
illusioni giovanili]: anche alla mia vita (agli una casistica non ristretta all’esperienza del senza un’eco fantasmatica di Silvia, alla qua-
anni miei) il destino (i fati) ha negato (nega- soggetto né a un solo dato, è possibile addi- le appartiene l’altra «mano» nominata nel
ro = negarono) [di vivere] la giovinezza. Ahi tare la disillusione quale destino comune e testo (v. 21): lì quella mano, tessendo, co-
come, come sei passata [veloce], mia speran- necessario dell’uomo in generale (v. 59): con struiva la tela del futuro; qui, questa mano,
za [ora] rimpianta (lacrimata), cara compa- conclusione prettamente filosofica. Una indicando la tomba e la morte, addita la di-
gna della mia età giovanile (nova)! Questo questione interpretativa di questa strofa ul- struzione, e rivendica così il significato più
[che ora ho conosciuto] è [: sarebbe dunque] tima riguarda la personificazione della spe- vero dell’esistenza. La fredda…ignuda: si
quel mondo [che mi aspettavo]? questi [sa- ranza e la presenza di Silvia. Secondo l’inter- noti il chiasmo; la morte e la tomba sono
rebbero] i piaceri (i diletti), l’amore, le attività pretazione più ovvia la fanciulla sarebbe ri- quelle del poeta, cioè il suo destino inesora-
(l’opre = le opere), i fatti (gli eventi) intorno chiamata soltanto dai due «anche» dei vv. bile di morte; ma sono anche quelle di Silvia,
ai quali (onde) così tanto (cotanto) abbiamo 49 e 51 (che significano ‘come nel caso di Sil- la cui presenza sulla scena dell’esperienza
discorso (ragionammo) insieme [: con la spe- via’). Per il resto, il poeta si rivolgerebbe alla del soggetto ne ha segnato un principio di
ranza]? Questa [è] la sorte del genere umano speranza (direttamente nominata ai vv. 50 e disillusione; sono anche, in generale, il senso
(dell’umane genti)? Tu, [mia] povera (mise- 55), personificandola allorché la chiama ultimo dell’esistenza, la cui ombra viene a
ra) [speranza], sei crollata (cadesti) all’appa- «compagna» (v. 54), le dichiara di aver parla- stendersi sulla vita intera. Di lontano: “al-
rire della verità: e con la mano indicavi (mo- to a lungo con lei (v. 58), la definisce «mise- lontanandoti”, se si riferisce alla speranza, in
stravi) da lontano la morte fredda e una tom- ra» (v. 61), le attribuisce una «mano» (v. 61) quanto essa è ormai in fuga; oppure, se si ri-
ba spoglia (ignuda). Come alla seconda stro- e il gesto di indicare la morte e la tomba (vv. ferisce (meno bene) alla tomba e alla morte,
fa, dedicata alle illusioni di Silvia, segue la 62 sg.). Tale personificazione risente della fi- indicherà che, per quanto lontano, quello è
terza, dedicata a quelle del poeta, così alla gura di Silvia, che in qualche modo viene a comunque il destino finale del poeta e di tut-
quinta strofa, dedicata alla disillusione di Sil- sovrapporsi a quella della speranza: «tu, mi- ti gli uomini. Più in generale, l’avverbio con-
via (morta), segue la sesta, dedicata alla di- sera, cadesti» ricorda da vicino il «Tu […] / clusivo conferma quel sentimento di distan-
sillusione del poeta. La cui giovinezza, a dif- perivi, o tenerella» (vv. 40 e 42) rivolto a Sil- za (e di perdita) con il quale il testo si è aper-
ferenza di Silvia, non è stata impedita dalla via, alla quale spettava il tu fino alla penulti- to grazie all’altro avverbio «ancora».
T4 DALLA COMPRENSIONE
ALL’INTERPRETAZIONE
COMPRENSIONE
La composizione: una doppia svolta A Silvia viene prima ragione della sua importanza, e il segno di una pri-
composta a Pisa il 19 e 20 aprile 1828. Qualche giorno do- ma svolta: la scoperta della possibilità di poetare in modo
po, Leopardi scrive così alla sorella Paolina: «Dopo due an- “antico” anche dopo la scoperta disperante dell’arido
ni, ho fatto dei versi quest’Aprile; ma versi veramente vero filosofico. La seconda ragione di importanza di que-
all’antica, e con quel mio cuore di una volta». Due anni sto testo, e il segno di una ulteriore svolta, come vedremo
prima aveva composto l’epistola Al conte Carlo Pepoli; ma più avanti, si lega al suo carattere metrico.
si trattava di un testo d’occasione, e perciò non scritto,
come A Silvia, «veramente all’antica» e con il cuore di una Silvia e il poeta A Silvia inaugura la serie dei canti
volta, cioè della giovinezza, del periodo1818-1822, quello pisano-recanatesi che, se in parte si richiamano agli idil-
della prima grande fase creativa del poeta. A Silvia segna li giovanili (per via dell’accostamento di descrizione pae-
dunque (insieme a Il risorgimento che la precede di pochi saggistica e riflessione esistenziale), costituiscono però
giorni) la ripresa della creatività poetica leopardiana, e un nuova fase della poesia leopardiana: la metrica si fa
l’inizio di una nuova fortunatissima stagione. Questa è la più libera e si affacciano nuovi temi come la comparteci-
analisi
La metrica: l’esordio della canzone libera Dal punto quest’ultimo costituisce il secondo piano temporale, ma
di vista metrico, Leopardi non è un poeta rivoluzionario; o non più come futuro: ora è divenuto presente, ed è il pre-
almeno la sua rivoluzione non è appariscente. Se egli ri- sente in cui si parla; cioè il tempo dell’azione principale:
fiuta la forma metrica meglio consacrata dalla tradizione quello della rievocazione. E al presente quelle attese risul-
(soprattutto grazie all’esempio petrarchesco), il sonetto, tano tutte deluse: la realtà non ha rispettato ciò che ci si
utilizzato invece per esempio da Alfieri e da Foscolo, im- aspettava da lei; il futuro, realizzandosi, ha mostrato un
piega tuttavia con larghezza una forma non meno canoni- volto ben diverso da quello con il quale lo si era immagina-
ca, quella della canzone. Tuttavia va poi operando al suo to.
interno una costante opera di corrosione e di rinnovamen- I due piani temporali formano nel testo due serie parallele
to, in particolare puntando sulla mobilità del rapporto fra e giustapposte. Fin dalla prima strofa, la distinzione è net-
respiro metrico e respiro sintattico (su questi temi, cfr. an- ta, benché implicita: da una parte c’è il tempo delle illusioni
che B4). D’altra parte, rispetto al modello petrarchesco («quel tempo» v. 2), con i suoi verbi all’imperfetto («splen-
già la canzone d’esordio dei Canti (All’Italia, 1818) presen- dea» 3, «salivi» 6); dall’altra c’è il tempo da cui si va interro-
ta significative eccezioni strutturali. Ora, nella piena ma- gando quel passato, il tempo del presente («rimembri» v. 1)
turità della sua arte, Leopardi mette a punto a partire da A e della distanza («ancora» v. 1). Il tentativo sembra essere
Silvia una forma di canzone che raccolga l’eredità della tra- quello di stabilire un contatto tra il presente e il passato per-
dizione ma che gli consenta d’altra parte di valorizzare al duto, un contatto che può essere stabilito però solo attra-
massimo la propria originale organizzazione ritmico-sin- verso il ricordo, e possibilmente attraverso la condivisione
tattica. Nasce così la canzone libera (cfr. S3, p. 118), di cui del ricordo («Silvia, rimembri ancora / quel tempo […]?»).
A Silvia è il primo esempio nei Canti (almeno, nella crono- Nella seconda e nella terza strofa, di rievocazione, domi-
logia: Il passero solitario, che precede A Silvia nella struttu- nano ancora i tempi imperfetti (vv. 7, 11, 12, 13, 18, 20, 22,
ra, la segue infatti nell’ordine di composizione). L’impor- 23, 27); e la rievocazione fa sì che il tempo principale del
tanza della forma metrica della canzone libera può essere presente, il tempo da cui il soggetto lirico parla nel testo,
ben apprezzata considerando che Leopardi la utilizzerà venga guardato come futuro, quasi ignorandone l’adempi-
per oltre la metà dei testi composti in seguito (e in quasi mento: «quel vago avvenir» (v. 12), «quel ch’io sentiva in se-
tutti i più importanti). no» (v. 27).
La quarta strofa, per la prima volta, rende esplicita l’esi-
«Questo è quel mondo». Lo stile dell’illusione e della stenza del disinganno, affidandone la rappresentazione
disillusione Fin dall’inizio del canto, viene sottolineata innanzitutto a un presente («sovviemmi» v. 32) posto al
la presenza di due piani temporali: l’uno lontano e inde- centro esatto del testo, quasi suo ombelico concettuale. In
finito, l’altro prossimo e definito. Il piano lontano è quello questa strofa, il pronome deittico «quel» torna (v. 38) alla
del tempo delle illusioni e della speranza, quando Silvia funzione già presente nella prima strofa (v. 2), indice del
era in vita e i due giovani condividevano l’attesa di un fu- tempo lontano e perduto. Si tratta di una funzione diversa
turo felice, benché indefinito. La felicità del tempo delle e complementare rispetto a quella assunta nelle strofe se-
illusioni, dunque, si fondava su una implicita previsione, o conda e terza (vv. 12 e 27). La contrapposizione tra un pri-
scommessa, riguardante il tempo del futuro. Appunto ma illusorio e un dopo di disillusione è sottolineato anche,
primo piano
Canti capitolo II 123
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nella quarta strofa, dall’opposizione di «poi» e di «allor» che è tangibile e reale (il presente vero e sperimentato);
(vv. 37 sg.). mentre «quel» resta riservato ai precorrimenti illusori del
Dopo una strofa, la quinta, tutta attraversata dalla negazio- futuro (come nella seconda e nella terza strofa) o alla rievo-
ne (vv. 42, 44 e 47) e aperta, eccezionalmente, da tre ende- cazione inutile delle passate speranze (come nella prima e
casillabi, la strofa sesta riassume la contrapposizione tra il nella quinta), e in ogni caso a un dato indefinito e indefini-
presente della disillusione e il passato delle illusioni, ri- bile, oltre che privo di esistenza. «Questo» è il «vero» (v. 60)
conoscendo il dominio del tempo e della sua carica distrutti- infine apparso a smentire «quel mondo». In tal modo si rive-
va: al prevalere degli imperfetti, solo eccezionalmente pro- la impossibile il congiungimento del presente abbandonato
blematizzati dai presenti, si sostituisce una ricca gamma di dalla speranza con il passato illuso. Tra «questo [mondo]» e
tempi verbali, dal passato remoto (cfr. soprattutto i vv. 51 «quel mondo» non c’è nessun rapporto: l’accostamento tra i
e 61: «negaro» e «cadesti») al passato prossimo («passata due piani temporali è servito soltanto a mostrare l’assoluta
sei» v. 53) al presente (esplicito nell’importante v. 56, im- non coincidenza, e non potrà mostrare altro in eterno.
plicito ai vv. 57 e 59) allo stesso imperfetto («mostravi» v. All’imperfetto dei ricordi che domina le strofe dalla prima
63; ma vedi oltre). All’alternanza questo/quel si assegna un alla quinta segue quello conclusivo di «mostravi»: al ricordo
valore di vera e propria contrapposizione semantica, con al- consolatorio o produttivo di senso si è sostituita per sempre
ta intensificazione espressiva: è il caso della domanda «Que- la coscienza della verità squallida che domina l’esistenza; ed
sto è quel mondo?» (v. 56). Infatti «questo» si riferisce a ciò essa sola è destinata a durare.
interpretazione
La riflessione sulla fanciulla nello Zibaldone In un la indicibile fugacità di quel fiore, di quello stato, di quel-
appunto dello Zibaldone del 30 giugno 1828 si leggono le bellezze […] ne segue un affetto il più vago e il più su-
le seguenti riflessioni. È da notare che la stesura di A Sil- blime che possa immaginarsi».
via precede il pensiero qui riportato, e che dunque si trat-
ta di uno dei casi in cui la prosa dello Zibaldone riprende e La passione dei sensi e l’allegoria della giovinezza La
chiarisce un pensiero già precedentemente formulato in canzone è costruita come un’allegoria: c’è una intenzio-
poesia: non è dunque da ritenere che Leopardi mettesse ne dimostrativa di cui un dato concreto si fa portatore, se-
sempre in versi riflessioni esistenziali e filosofiche pre- condo un procedimento costruttivo e dimostrativo ra-
cedentemente svolte in prosa; a volte accadeva il contra- zionale. I due destini di Silvia e del poeta sono tale dato; e
rio. Ecco il brano: «Una donna di venti, venticinque o l’intenzione dimostrativa riguarda il punto d’arrivo della di-
trenta anni ha forse più d’attraits, d’illecebre [di attratti- sillusione costituito dal «vero» dell’esperienza.
ve, di fascino], ed è più atta a ispirare, e maggiormente a La rappresentazione ha una forza appassionata che può
mantenere una passione […]. Ma veramente una giovane sfuggire a prima vista: essa tuttavia non ha luogo nonostante
dai sedici ai diciotto anni ha nel viso, ne’ suoi moti [movi- l’intenzione allegorica, ma proprio grazie al bisogno leopar-
menti], nelle sue voci, salti ecc. un non so che di divino, diano di esprimere con forza e verità la condizione appassio-
che niente può agguagliare. Qualunque sia il suo caratte- nata della giovinezza e la passione dolorosa della perdita.
re, il suo gusto; allegra o malinconica, capricciosa o grave, Il corpo ha uno spazio tutt’altro che trascurabile: agli «oc-
vivace o modesta; qual fiore purissimo, intatto, freschis- chi» di Silvia (v. 4) tengono dietro la «man veloce» (v. 21) e
simo di gioventù, quella speranza vergine, incolume che le «negre chiome» (v. 45), per non dire del «core» (v. 44) e
gli si legge nel viso e negli atti, o che voi nel guardarla degli «sguardi» (v. 46); del poeta vengono nominati «gli
concepite in lei e per lei; quell’aria d’innocenza, d’igno- orecchi» (v. 20). Più in generale, il canto è colmo di espe-
ranza completa del male, delle sventure, de’ patimenti; rienze fisico-sensoriali, comunicate dal canto di Silvia (vv.
quel fiore insomma, quel primissimo fior della vita; tutte 7-9 e 20), dal suo lavoro al telaio (vv. 21 sg.), dal paesaggio
queste cose, anche senza innamorarvi, anche senza inte- primaverile (vv. 13 e 23-25). Tant’è che Leopardi usa il verbo
ressarvi, fanno in voi un’impressione così viva, così pro- “sentire” (cioè ‘provare’) per esprimere i propri sentimenti:
fonda, così ineffabile, che voi non vi saziate di guardar «lingua mortal non dice / quel ch’io sentiva in seno» (vv. 26
quel viso, ed io non conosco cosa che più di questa sia ca- sg.), cioè l’espressione poetica è inadeguata a esprimere le
pace di elevarci l’anima, di trasportarci in un altro mon- sensazioni provate dal soggetto. Ancora espressioni di forte
do, di darci un’idea d’angeli, di paradiso, di divinità, di fe- fisicità sono «molceva il core» (v. 44), cioè ‘accarezzava i
licità […]. Del resto se a quel che ho detto, nel vedere o sentimenti’ e quasi ‘faceva provare il piacere corporeo di
contemplare una giovane di sedici o diciotto anni, si ag- sentirti piaciuta’. A riprova, si può osservare che anche la
giunga il pensiero dei patimenti che l’aspettano, delle rappresentazione della perdita è puntata in prevalenza su
sventure che vanno ad oscurare e a spegner ben tosto dati materiali («i diletti, l’amor, l’opre, gli eventi» v. 57; e
quella pura gioia, della vanità di quelle care speranze, del- cfr. anche i vv. 32-35 e 55).
primo piano
Canti capitolo II 125
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T5 Le ricordanze [22]
OPERA Dopo aver vissuto per quattro anni tra Milano, Bologna, Firenze e Pisa, Leopardi è stato costretto a ri-
Canti
tornare a Recanati, nella casa del padre: il suo progetto di emancipazione è (per il momento) fallito. Ri-
CONCETTI CHIAVE vedendo i luoghi dell’infanzia, Giacomo ricorda ora con malinconia le speranze e i sogni dell’infanzia e
• dedica a una
fanciulla morta dell’adolescenza: speranze irrealizzate, che si sono infrante contro la dura realtà della vita adulta.
• fisicità delle
sensazioni
Vaghe stelle dell’Orsa, io non credea
• passato delle
illusioni vs Tornare ancor per uso a contemplarvi
presente della Sul paterno giardino scintillanti,
disillusione
E ragionar con voi dalle finestre
fonte
G. Leopardi, Canti, cit. 5 Di questo albergo ove abitai fanciullo,
E delle gioie mie vidi la fine.
Quante immagini un tempo, e quante fole
Creommi nel pensier l’aspetto vostro
E delle luci a voi compagne! allora
10 Che, tacito, seduto in verde zolla,
Delle sere io solea passar gran parte
Mirando il cielo, ed ascoltando il canto
Della rana rimota alla campagna!
E la lucciola errava appo le siepi
15 E in su l’aiuole, susurrando al vento
I viali odorati, ed i cipressi
Là nella selva; e sotto al patrio tetto
Sonavan voci alterne, e le tranquille
Opre de’ servi. E che pensieri immensi,
20 Che dolci sogni mi spirò la vista
Di quel lontano mar, quei monti azzurri
Che di qua scopro, e che varcare un giorno
Io mi pensava, arcani mondi, arcana
Felicità fingendo al viver mio!
25 Ignaro del mio fato, e quante volte
Questa mia vita dolorosa e nuda
Volentier con la morte avrei cangiato.
metrica endecasillabi sciolti divisi in sette (allora che), in silenzio (tacito), seduto su di (scopro) e che io pensavo di varcare un gior-
strofe (o meglio periodi ritmici) di varia lun- un prato (zolla; per sineddoche) verde, io ero no, immaginando (fingendo) mondi scono-
ghezza (da un minimo di 15 a un massimo di solito (io solea) passare gran parte delle sere sciuti (arcani) e una felicità sconosciuta (ar-
38 versi). contemplando (mirando) il cielo e ascoltando cana) alla mia vita (al viver mio)! E quante
il gracidìo (il canto) delle rane lontane (rimo- volte, ignaro del mio destino (fato), avrei
1-27 [O] belle (vaghe) stelle dell’Orsa ta) per la (alla) campagna! E le lucciole vaga- scambiato (cangiato) volentieri questa mia
[maggiore]! Io non credevo di tornare di nuo- vano (errava) presso (appo) le siepi e sulle ai- vita dolorosa e spoglia (nuda) [: priva di gioia
vo, (ancor), come ero solito fare (per uso), a uole, mentre i viali profumati (odorati) ed i ci- e di speranze] con la morte. Vaghe stelle: è
contemplarvi scintillanti sul giardino [: della pressi là nel bosco (nella selva) stormivano espressione già petrarchesca (in Petrarca
casa paterna] e [a] parlare (ragionar) con voi (susurrando) al vento; e nella casa paterna vaghe = erranti), ma caricata qui di un signi-
dalle finestre di questa dimora (albergo) dove (sotto al patrio tetto; sineddoche) risuona- ficato sentimentale diverso e più intenso,
abitai da fanciullo e [dove] vidi la fine delle vano voci, alternandosi, e [i rumori de]i tran- fatto di indeterminatezza e di lontananza. E
mie gioie. Un tempo quante immaginazioni quilli lavori (le tranquille opre) della servitù. delle gioie…fine: e dove, insieme con la fine
(immagini) e quante fantasticherie (fole) su- E che pensieri infiniti (immensi), che dolci so- dell’infanzia, il poeta conobbe anche la fine
scitava (creommi) nel mio pensiero la vostra gni mi ispirò la vista di quel mare lontano, [di] delle illusioni. Susurrando…nella selva: ge-
vista (aspetto) e [quella] delle [altre] stelle quei monti azzurri [: per effetto della lonta- rundio assoluto con valore temporale
(luci) vostre compagne! In quel tempo in cui nanza], che da questo luogo (di qua) vedo (“mentre i viali e i cipressi…”).
28-49 Né il cuore mi diceva che sarei stato to), inutilmente, in questo luogo (soggiorno figurati armenti), e il sole che nasce sulla
[con]dannato a consumare la giovinezza = il luogo e l’atto del soggiornare) disuma- campagna solitaria (romita) offrirono (por-
(l’età verde) in questo borgo incivile (sel- no, tra tante sofferenze (intra gli affanni). ser) mille svaghi (diletti) al mio ozio quando
vaggio) dove sono nato (natio), tra gente Borgo selvaggio: sia il sostantivo sia l’ag- (allor che) mi era sempre al fianco, ovunque
incolta (zotica) e rozza (vil); per la quale gettivo connotano forte disprezzo per indi- io fossi, e [mi] parlava (parlando), la mia po-
(cui) “cultura” (dottrina) e “sapere” sono care che a Recanati la civiltà e la cultura tente capacità di illudermi (il mio possente
parole estranee (strani) e spesso oggetto di non sono ancora arrivate e gli intellettuali errore). In queste sale antiche, al chiarore
riso e di scherzo (trastullo); [tra gente] che sono emarginati e incompresi. della neve, mentre il vento sibilava (sibilan-
mi odia e mi evita (fugge), non certo per invi- 50-76 Il vento mi porta (viene...recando) do il vento) intorno a queste ampie finestre,
dia, dato che (che) non mi ritiene superiore a il rintocco (il suon) dell’ora dalla torre del rimbombarono il divertimento (i sollazzi) e
se stessa (maggior di se), ma perché crede borgo. Questo suono era di conforto – mi ri- le mie voci festose, al tempo in cui il mistero
(estima) che io mi ritenga tale [: cioè supe- cordo (mi rimembra) – alle mie notti, quan- doloroso (acerbo) e intollerabile (indegno)
riore] in cuor mio, sebbene io non ne faccia do da bambino, nella stanza buia, stavo sve- dell’esistenza (delle cose) ci appare (a noi si
mai mostra (non ne fo segno) a nessuno (a glio a causa di (per) incessanti paure (assi- mostra) pieno di gioia (dolcezza); il giovi-
persona; è un francesismo). Qui passo gli dui terrori), aspettando con ansia (sospi- netto (il garzoncel), come un amante ine-
anni, solitario, sconosciuto (occulto), senza rando) il mattino. Qui non c’è cosa che io ve- sperto, sogna appassionatamente (vagheg-
amore, senza [vera] vita; e, controvoglia (a da (vegga) o senta dalla quale (onde) non ri- gia) la propria vita futura, [che gli si rivelerà]
forza), divento scostante (aspro) in mezzo a torni dentro [di me] un’immagine e non sor- ingannevole, [come se fosse un’amante] ver-
questa schiera (stuol) di malevoli: qui perdo ga un lieto (dolce) ricordare (rimembrar). gine (indelibata) e intatta (intera), e raffi-
(mi spoglio di) la compassione (pietà) e il Lieto in se stesso (per se); ma il pensiero del gurandosela nel pensiero (e…fingendo)
valore (virtudi), e divento (mi rendo) uno presente subentra (sottentra) con dolore; [ne] ammira la bellezza divina (celeste). Ri-
che disprezza gli uomini, a causa del (per la) [subentra] un desiderio (un desio) inutile membrar…sorga: il ricordo nasce sponta-
gregge [umano] che ho intorno (appresso) (vano) [: perché non esaudibile] del passato neo, evocato da stimoli esterni, provenienti
[: a causa della stupidità dei concittadini]: e anche se infelice (ancor tristo), e il dire: io fui dai luoghi dell’infanzia; nell’Infinito Leopar-
intanto la cara età (tempo) giovanile se ne [: cioè non sono e non sarò più quello di un di usa l’espressione «mi sovvien» con lo
va (vola); [età] più cara della fama e della tempo]. Quella loggia là (colà), rivolta verso stesso significato, per indicare cioè il ricor-
gloria (allor<o>), più [cara] della chiara (pu- gli ultimi (agli estremi) raggi del sole (del dì do involontario e incontrollato. Indelibata,
ra) luce del giorno e della vita (spirar<e> = = del giorno) [: a occidente, in direzione del intera: la vita futura è immaginata come
respirare): oh [gioventù], unica cosa bella tramonto]; queste mura affrescate (dipinte) un’esperienza incorrotta, mai provata da
(unico fiore) della vita arida, ti perdo senza [: le pareti del salone di palazzo Leopardi], altri e perciò unica, ricca di valore e degna
[aver provato mai] una sola gioia (un dilet- quelle mandrie raffigurate nei quadri (quei di essere vissuta.
primo piano
Canti capitolo II 127
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O speranze, speranze; ameni inganni L’esser vissuto indarno, e la dolcezza
Della mia prima età! sempre, parlando, Del dì fatal tempererà d’affanno.
Ritorno a voi; che per andar di tempo,
80 Per variar d’affetti e di pensieri, E già nel primo giovanil tumulto
Obbliarvi non so. Fantasmi, intendo, 105 Di contenti, d’angosce e di desio,
Son la gloria e l’onor; diletti e beni Morte chiamai più volte, e lungamente
Mero desio; non ha la vita un frutto, Mi sedetti colà su la fontana
Inutile miseria. E sebben vóti Pensoso di cessar dentro quell’acque
85 Son gli anni miei, sebben deserto, oscuro La speme e il dolor mio. Poscia, per cieco
Il mio stato mortal, poco mi toglie 110 Malor, condotto della vita in forse,
La fortuna, ben veggo. Ahi, ma qualvolta Piansi la bella giovanezza, e il fiore
A voi ripenso, o mie speranze antiche, De’ miei poveri dì, che sì per tempo
Ed a quel caro immaginar mio primo; Cadeva: e spesso all’ore tarde, assiso
90 Indi riguardo il viver mio sì vile Sul conscio letto, dolorosamente
E sì dolente, e che la morte è quello 115 Alla fioca lucerna poetando,
Che di cotanta speme oggi m’avanza; Lamentai co’ silenzi e con la notte
Sento serrarmi il cor, sento ch’al tutto Il fuggitivo spirto, ed a me stesso
Consolarmi non so del mio destino. In sul languir cantai funereo canto.
95 E quando pur questa invocata morte
Sarammi allato, e sarà giunto il fine Chi rimembrar vi può senza sospiri,
Della sventura mia; quando la terra 120 O primo entrar di giovinezza, o giorni
Mi fia straniera valle, e dal mio sguardo Vezzosi, inenarrabili, allor quando
Fuggirà l’avvenir; di voi per certo Al rapito mortal primieramente
100 Risovverrammi; e quell’imago ancora Sorridon le donzelle; a gara intorno
Sospirar mi farà, farammi acerbo Ogni cosa sorride; invidia tace,
77-103 Oh speranze, speranze; piacevoli il- la fine (il fine) della mia sventura; quando la bandonava (il fuggitivo spirto) in compagnia
lusioni (ameni inganni) della mia fanciullez- terra sarà per me (mi fia) una valle straniera, del silenzio della notte (co’ silenzi e con la
za (prima età)! Nei miei discorsi (parlando) e il futuro (l’avvenir) scomparirà (fuggirà) notte; endiadi), e durante la malattia (in sul
ritorno sempre da voi; poiché (che), per quan- dal mio sguardo; certamente mi ricorderò (ri- languir) cantai a me stesso un canto funebre.
to il tempo se ne vada (per andar di tempo), sovverrammi) di voi [: speranze di un tem- Nel primo giovanil tumulto: cfr. Petrarca,
per quanto i sentimenti ed i pensieri cambino po]; e quell’immagine [di voi] mi farà sospira- Canzoniere I, v. 3 «in sul mio primo giovenil
(per variar d’affetti e di pensieri), non rie- re ancora, l’essere vissuto invano (indarno) errore [= turbamento amoroso]». Morte
sco a dimenticarvi (obbliarvi non so). La glo- mi renderà dolente (farammi acerbo), e me- chiamai…dolor mio: si veda questo appun-
ria e l’onore – lo so (intendo) – sono illusioni scolerà (tempererà) con l’ansia (d’affanno) to dallo Zibaldone (82,1819): «Io era oltre-
(fantasmi); i piaceri (diletti) e la gioia (beni) la dolcezza del giorno della morte (del dì fa- modo annoiato della vita, sull’orlo della va-
[sono] un desiderio (desio) irrealizzabile tal). Poco…la fortuna: se la gloria e l’onore sca del mio giardino, e guardando l’acqua e
(mero = puro e semplice); la vita non ha uno erano solo illusioni, allora la delusione non curvandomici sopra con un certo fremito,
scopo (frutto), [è] privazione (miseria) senza può avere tolto quasi nulla al poeta. Valle: pensava: “S’io mi gittassi qui dentro…”».
ricompensa (inutile). E sebbene la mia vita allude all’espressione biblica per cui la vita è Poscia…cadeva: il poeta allude qui al mani-
(gli anni miei) sia vuota [: perché privata una «valle di lacrime». festarsi, intorno al 1815-16, dei primi segni
delle illusioni] e sebbene la mia condizione di 104-118 E già nel corso dei primi turbamen- evidenti della sua fragile salute, minata
uomo (il mio stato mortal) [sia] solitaria ti (nel primo…tumulto) giovanili di conten- dall’eccessivo sforzo nello studio. Della cer-
(deserto) [e] buia (oscuro), il destino (la for- tezza (di contenti), di angosce e di desiderio tezza, in quel periodo, di dover morire pre-
tuna) mi toglie poco, lo so bene (ben veggo). (desio), più volte invocai la morte, e mi sedetti sto, Giacomo parla in alcune lettere a Gior-
Ahimè, ma [ogni] qualvolta ripenso a voi, o a lungo là sulla fontana pensando (pensoso) dani. Funereo canto: si tratta della cantica
mie speranze antiche [: di un tempo], e a di concludere (cessar; usato transitivamen- L’appressamento della morte, composta nel
quel mio giovanile (primo), caro fantasticare te) le mie speranze e il mio dolore dentro 1816.
(immaginar); e poi (indi) considero (riguar- quell’acqua. Poi (poscia) giunto al rischio di 119-135 Chi può ricordarvi (rimembrar vi)
do) la mia vita [attuale] così priva di valore morire (condotto della vita in forse) per una senza sospirare, o primo inizio (entrar) di gio-
(sì vile) e così infelice (dolente), e [vedo] che malattia (malor) nascosta (cieco) [rim]piansi vinezza, o giorni fascinosi (vezzosi) e impossi-
quello che oggi mi resta (m’avanza) di tanta la bella giovinezza e il fiore dei miei poveri an- bili da raccontare (inenarrabili), quando le ra-
speranza (di cotanta speme) è la morte; [al- ni, che moriva (cadeva) così prematuramente gazze (donzelle) sorridono per la prima volta
lora] sento che il cuore mi si stringe (serrarmi (sì per tempo): e spesso, a tarda ora, seduto (primieramente) all’uomo (al…mortal)
il cor), sento che non so consolarmi del tutto (assiso) sul letto [che mi era] testimone (con- estasiato (rapito)? [Quando] ogni cosa, intor-
(al tutto) del mio destino. E quando final- scio), scrivendo versi pieni di dolore (doloro- no, fa a gara nel sorridere? [Quando] l’odio
mente (pur) questa morte tanto invocata mi samente…poetando) alla fioca [luce di una] (invidia; con sineddoche) non si fa sentire
sarà vicina (sarammi allato), e sarà giunta lucerna, piansi (lamentai) la vita che mi ab- (tace), [perché] ancora non [è stato] risveglia-
to (desta) oppure (ovver) [perché] benevolo? rarmi)? Altri tempi. La tua vita (i giorni tuoi) (la rimembranza acerba) sarà (fia) la com-
E [quando] il mondo – oh insolita (inusitata) è passata (furo<no>), mio dolce amore. Sei pagna di ogni mia piacevole fantasticheria
meraviglia! – quasi gli [: al giovane] porge la [ormai] passata (passasti). Ad altri, oggi, è (d’ogni mio vago immaginar), di tutti i miei
mano (la destra) in suo soccorso (soccorre- toccato in sorte (è sortito) di passare attra- sentimenti più delicati (teneri sensi), [delle]
vole), perdona (scusa) i suoi errori, festeggia verso (per) la terra e di abitare questi colli pro- tristi e care emozioni (moti) del cuore. La rap-
il suo primo ingresso (il novo suo venir) nella fumati (odorati). Ma sei passata [troppo] ra- presentazione della morte è tutta affidata a
vita, e inchinandosi (inchinando) sembra pidamente; e la tua vita è stata (fu) [evane- immagini concrete e sensoriali, in coerenza
(mostra) accoglierlo e chiamarlo come [suo] scente] come un sogno. Procedevi (ivi; dal con la concezione materialistica di Leopardi.
padrone (per signor)? [O] giorni fugaci! Si so- verbo “ire”) [come] danzando; la gioia ti Alla percezione dell’insensatezza e al senti-
no dileguati come un lampo. E quale uomo splendeva sulla fronte, [ti] splendeva negli oc- mento luttuoso, il poeta reagisce però con
(mortale) può essere ignaro della sventura, chi quell’immaginazione fiduciosa (confiden- uno scatto psicologico che sembra voler ne-
se per lui (a lui) [è] già trascorsa quella bella te) [nel futuro] e quella luce (quel lume) della gare la scomparsa della fanciulla: egli infatti
età (quella vaga stagion), se il suo tempo mi- gioventù, quando [all’improvviso] il destino li la ama come prima (cfr. vv. 157 sg.), benché
gliore (buon tempo), se la giovinezza – spense (spegneali il fato) e tu giacesti [mor- tale amore sia in sostanza inutile e illusorio
ahimè, la giovinezza! – è finita (spenta)? ta]. Ahi Nerina! In cuore mi governa (mi re- (rispetto a Nerina). Nerina: il nome è quello
136-173 O Nerina! Non sento forse questi gna) l’amore passato (antico) [: per te]. Se di una ninfa compagna di Silvia, nell’Aminta
luoghi parlare anche (e) di te? Sei forse scom- mai ancora (anco) mi reco (movo) talvolta a di Tasso. Secondo alcuni commentatori,
parsa (caduta) dal mio pensiero? Dove sei an- feste o a ritrovi (radunanze), dico fra me e dietro il nome di Nerina si nasconderebbe
data (gita), che qui trovo soltanto il ricordo (la me: «O Nerina, tu non ti prepari (non ti ac- Teresa Fattorini (a cui è in parte ispirata la fi-
ricordanza) di te, dolcezza mia? Questa terra conci) e non ti rechi più a ritrovi e a feste». Se gura femminile di A Silvia); secondo altri,
che ti ha visto nascere (natal) [: Recanati] ritorna maggio, e gli innamorati (gli amanti) Maria Belardinelli, morta ventisettenne nel
non ti vede più: quella finestra, dalla quale vanno portando (recando) alle ragazze ra- 1827, cioè solamente due anni prima della
(onde) eri solita (usata) parlarmi (favellar- moscelli [fioriti] e canzoni (suoni) [d’amore], composizione della poesia. Il volto scolorar-
mi), e dalla quale (onde) [: riflessa sui vetri] dico: «Nerina mia, per te la primavera non tor- mi: così come la storia di Lancillotto fa im-
[adesso] brilla (riluce) tristemente (mesto) la nerà mai più, l’amore non tornerà». Ogni gior- pallidire Paolo e Francesca («scolorocci il vi-
luce (il raggio) delle stelle, è deserta. Dove no sereno e ogni prato (piaggia) in fiore che io so»: Dante, Inferno V, 131). Se torna mag-
sei, che non odo più risuonare (sonar) la tua osservo (miro), ogni piacere (goder) che io gio: c’è un riferimento alla festa di Calendi-
voce come un tempo (siccome un giorno), sento, dico: «Nerina ora non prova più piaceri maggio (il 1° maggio), in cui si celebra il ri-
quando ogni parola (accento) delle tue labbra (più non gode); non osserva [più] i campi e sveglio della natura e si portano omaggi alle
che da lontano giungesse [fino] a me era soli- l’aria». Ahi, tu sei passata, eterno rimpianto fidanzate.
ta (soleva) farmi impallidire (il volto scolo- (sospiro) mio: sei passata; e il ricordo amaro
primo piano
Canti capitolo II 129
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T5 DALLA COMPRENSIONE
ALL’INTERPRETAZIONE
COMPRENSIONE
Una lunga poesia dall’impianto narrativo Questa poe- fa il poeta si rivolge direttamente alle speranze (è una pro-
sia è stata composta tra il 26 agosto e il 12 settembre 1829, sopopea o personificazione), consapevole che la vita non ha
dopo il ritorno di Leopardi a Recanati. Il testo ha un im- scopo ed è privazione senza ricompensa (con implicito e po-
pianto narrativo ed è composto da 173 versi suddivisi in lemico riferimento alla religione cristiana, che promette in-
sette strofe. Il grande tema della lirica è il ricordo della vece di risarcire la sofferenza terrena con la vita eterna). Nel
fanciullezza e dell’adolescenza unito alla riflessione finale, con un crescendo d’intensità, si rovescia un luogo co-
presente sul senso della vita. La prima delle sette strofe mune: l’avvicinarsi della morte non sarà alleviato dal ricor-
presenta il contesto da cui prende spunto la riflessione poe- do delle illusioni infantili, ma al contrario quel momento (di
tica: costretto suo malgrado a fare ritorno alla casa del padre per sé positivo perché porrà fine a una vita di infelicità e in-
(a Recanati), il giovane Leopardi confronta il fallimento e le sensatezza) sarà reso più amaro dalla consapevolezza di
frustrazioni della sua vita presente (dolorosa e nuda, cioè avere vissuto senza scopo e quindi di avere sprecato l’esi-
priva di gioia e di speranze) con le illusioni benefiche dell’in- stenza. La quinta e la sesta strofa offrono una rievocazio-
fanzia. La seconda strofa è tutta incentrata sulla estraneità ne della giovinezza amareggiata dalla tristezza e dalla ma-
dell’io lirico rispetto agli altri: Recanati è una cittadina abi- lattia, ma anche ricca di speranze e drammaticamente fuga-
tata da popolani e piccoli borghesi di provincia, che non ce. Con un crescendo d’intensità nella settima e ultima
hanno mai veramente conosciuto la civiltà e disprezzano gli strofa è introdotto il personaggio di Nerina: il nome è quel-
intellettuali e la cultura. La terza strofa rievoca l’infanzia e lo di una ninfa amica di Silvia nell’Aminta di Tasso. Il trave-
le notti di paura a palazzo Leopardi. Come in altre liriche dei stimento letterario potrebbe nascondere la stessa Teresa
Canti, benché attraversata da paure e angosce, l’infanzia Fattorini che aveva ispirato la poesia A Silvia, oppure un’al-
con le sue illusioni è ricordata con piacere dal giovane che, tra donna: Maria Berardinelli, anche lei di Recanati. Il ricor-
ora, percepisce il passare del tempo, la sua irreversibilità e do della ragazza morta porta al culmine la carica drammati-
conosce il mistero orribile dell’esistenza. Nella quarta stro- ca della poesia.
analisi
Un grande testo narrativo e lirico-sentimentale Le ri- causa il passato. Entrambi i piani temporali sono disposti se-
cordanze è uno dei testi dei Canti più distesi e narrativi. Il condo un procedimento di raffigurazione prolungato e arti-
metro è quello caratteristico della poesia narrativa; d’altra colato, cioè secondo un procedimento narrativo, e un tratta-
parte l’endecasillabo sciolto è anche il metro della lirica mento narrativo è in particolare riservato al rapporto tra i due
sentimentale, secondo l’esempio di Monti (cfr. i Pensieri momenti. Nella terza strofa, ad esempio, il suono che al pre-
d’amore) e secondo l’esperienza leopardiana giovanile degli sente proviene dalla torre rievoca le notti insonni e le paure
idilli. A quell’esperienza questo canto si ricollega anche per passate della fanciullezza; e tutte le cose presenti (la «loggia»,
la tematica recanatese, presente anche in altri componi- le «mura», le «sale», le «finestre»: vv. 61-69) hanno un tempo
menti coevi (come Il sabato del villaggio e La quiete dopo la accolto una diversa esperienza. Le ricordanze narrano di un
tempesta) o di poco precedenti (come A Silvia) e tuttavia qui suo ritrovamento nell’età adulta, narrano di essa qual era; ma
rievocata in modo sistematico e completo. soprattutto narrano della diversità di due momenti della vita,
La narrazione è duplice: riguarda il presente e richiama in trascorsi nello stesso contesto della casa paterna.
interpretazione
Il presente e il ricordo; le speranze e le disillusioni Se luogo di una verifica. E se il passato ora ricordato trabocca-
nel testo sono continuamente messi a confronto il presente va di attese (cfr. almeno i vv. 19-24, 28-30, 61-76, 77-94,
e il passato, tuttavia nessuno dei due momenti riesce mai a 119-132), il presente è la testimonianza della loro delusione.
conquistare un primato rispetto all’altro: il presente è di Dunque il passato non può risorgere perché è cancellato per
continuo minato dal doppio fondo che si apre, lasciando ap- sempre il suo carattere fondamentale, la speranza. D’altra
parire il passato quale un diverso nell’identico; il passato parte esso non può neppure estinguersi, né il presente può,
non può d’altra parte resuscitare perché il presente ne di conseguenza, essere vissuto senza la “doppia vista” dei
smentisce con forza i caratteri fondamentali, cioè le speran- ricordi; infatti stava proprio in quelle speranze il valore
ze e le attese. Il presente è infatti, al tempo stesso, il luogo fondamentale dell’esistenza. Il poeta si aggira dunque tra le
della rievocazione, del ricordo (o delle “ricordanze”), e il loro rovine, fondando nel ricordo la consapevolezza della
OPERA Composto tra l’autunno del 1829 e la primavera del 1830, il Canto notturno è l’ultimo dei grandi can-
Canti
ti pisano-recanatesi. Ciò che più colpisce rispetto ad altre liriche leopardiane è la totale assenza di
CONCETTI CHIAVE autobiografismo: non ci sono né i luoghi né le figure note all’autore, ma la riflessione sul senso della
• ricerca del senso
della vita umana vita è affidata alla voce di un pastore nomade dell’Asia, all’abitante di un mondo totalmente diverso
• indifferenza della da quello del lettore, e proprio per ciò assume un valore universale e assoluto, valido in ogni luogo e
natura per condizione sociale. L’idea di oggettivare il proprio pensiero affidandolo alla voce di uno scono-
fonte sciuto pastore asiatico venne a Leopardi leggendo un articolo del «Journal des Savants», dove si ri-
G. Leopardi, Canti, cit.
feriva l’uso dei pastori kirghisi (una popolazione nomade di origine mongola, abitante nell’Asia cen-
Videolezione trale) di trascorrere la notte seduti su una pietra rivolti alla luna, improvvisando parole tristi su me-
analisi del testo lodie malinconiche.
metrica canzone libera di sei strofe di va- la dimensione esistenziale del testo, essendo tà (e la vanità) di tale inchiesta e di tale ricer-
ria lunghezza (da un minimo di 11 a un mas- la notte il momento canonico dei grandi in- ca. Il polisenso è stato introdotto variando,
simo di 44 versi), con rima obbligata in -ale terrogativi sul senso della vita; ed esprime, in con una correzione inserita a partire dalla se-
nell’ultimo verso di ogni strofa. aggiunta, la mancanza di certezze, cioè il conda edizione dei Canti, l’originale «vagan-
buio che circonda le domande di senso del te» in «errante». Fra l’altro «pastore errante»
Canto…dell’Asia: ogni elemento del titolo pastore. Pastore evoca una funzione di guida implica, alla luce del significato biblico della
ha un’importanza nella definizione del conte- e, nel caso specifico, quasi di avanscoperta voce “pastore”, una sorta di paradosso. L’A-
sto filosofico. Canto rimanda ovviamente alla della verità e della strada da seguire, anche sia evocava infine ai tempi di Leopardi, assai
dimensione lirica e melodica del testo, rife- con riferimento alla tradizione scritturale (i più di quanto non accada oggi, una dimensio-
rendosi anche al titolo generale del libro; e, pastori di anime). Errante significa ‘che si ag- ne di distanza radicale e di ignoto. L’insieme
più specificamente, testimonia lo spunto of- gira senza meta’ e ben esprime dunque tanto del titolo definisce una condizione umana
ferto a Leopardi da alcune testimonianze sul- il carattere nomade del pastore in oggetto esemplarmente assoluta, e cioè un’inquieta
le abitudini di certe popolazioni nomadi asia- quanto l’inquieto aggirarsi della sua inchiesta solitudine ricercante; con una costruzione al-
tiche, che passerebbero la notte a guardare la in cerca di un significato; significa anche ‘che legorica, fin dal titolo, intensamente funzio-
luna cantando tristemente. Notturno esalta erra’ cioè ‘che sbaglia’, suggerendo la difficol- nalizzata al progetto testuale.
primo piano
Canti capitolo II 131
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Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai Con gravissimo fascio in su le spalle,
Silenziosa luna? Per montagna e per valle,
Sorgi la sera, e vai, 25 Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
Contemplando i deserti; indi ti posi. Al vento, alla tempesta, e quando avvampa
5 Ancor non sei tu paga L’ora, e quando poi gela,
Di riandare i sempiterni calli? Corre via, corre, anela,
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga Varca torrenti e stagni,
Di mirar queste valli? 30 Cade, risorge, e più e più s’affretta,
Somiglia alla tua vita Senza posa o ristoro,
10 La vita del pastore. Lacero, sanguinoso; infin ch’arriva
Sorge in sul primo albore Colà dove la via
Move la greggia oltre pel campo, e vede E dove il tanto affaticar fu volto:
Greggi, fontane ed erbe; 35 Abisso orrido, immenso,
Poi stanco si riposa in su la sera: Ov’ei precipitando, il tutto obblia.
15 Altro mai non ispera. Vergine luna, tale
Dimmi, o luna: a che vale È la vita mortale.
Al pastor la sua vita,
La vostra vita a voi? dimmi: ove tende Nasce l’uomo a fatica,
Questo vagar mio breve, 40 Ed è rischio di morte il nascimento.
20 Il tuo corso immortale? Prova pena e tormento
Per prima cosa; e in sul principio stesso
Vecchierel bianco, infermo, La madre e il genitore
Mezzo vestito e scalzo, Il prende a consolar dell’esser nato.
1-20 [O] luna, che fai tu in cielo? dimmi, si- una ripetizione di gesti uguali, con una circo- condizione umana; descrizione condotta dal
lenziosa luna, che fai? Sorgi di (la) sera, e vai larità che nell’uomo provoca noia (come si punto di vista dell’esperienza e limitandosi a
[: ti sposti nel cielo], contemplando i deserti vedrà) e non suggerisce sbocchi di senso. Un una verifica nella pratica, prescindendo cioè
[: la terra, perlopiù inabitata]; infine (indi) ti diverso atteggiamento da parte della luna da quei possibili, eventuali significati che al
riposi [: tramonti]. Ancora non sei tu sazia aprirebbe anche per il pastore la possibilità pastore sfuggono e che sperava potessero
(paga = appagata) di ripercorrere (riandare) di qualche risposta valida per sé. Tuttavia la essergli rivelati dalla luna. L’allegoria del
gli stessi (sempiterni = eterni) percorsi (calli luna, intensamente interrogata (dimmi, ri- “vecchierello” che si affatica e soffre per cor-
= strade)? Ancora non ti sei nauseata (non petuto tre volte: vv. 1, 16, 18), tace; è anzi rere verso la distruzione e la perdita di co-
prendi a schivo), ancora sei desiderosa (va- costitutivamente silenziosa. Il rapporto tra scienza raffigura la vita umana, ritratta nella
ga) di osservare (mirar) queste valli [: della io e paesaggio, tra io e natura, è ormai inter- sua mancanza di significato e di scopo, qua-
terra]? La vita del pastore somiglia alla tua vi- rotto (come annunciato già, nel sistema dei le semplice, futile preparazione all’annulla-
ta. Si alza (sorge; metaforico) alla prima luce Canti, da Alla primavera). mento segnato, infine, dalla morte. Tutta la
(in sul primo albore), spinge (move…oltre) 21-38 [Un] vecchietto canuto (bianco), ma- strofa, peraltro, riprende e rovescia una can-
il gregge attraverso i campi (pel campo), e ve- lato (infermo), seminudo (mezzo vestito) e zone di Petrarca (Canzoniere L, «Ne la sta-
de greggi, fonti ed erbe; poi, stanco, si riposa a scalzo, con un gravissimo peso (fascio) sulle gion che il ciel rapido inchina») ben presente
sera (in su la sera): non spera mai altro. O lu- spalle, corre via, corre, si affatica (anela) at- a Leopardi: lì una «vecchierella» «raddoppia
na, dimmi: che valore ha (a che vale) per il (al) traverso (per) montagne e valli, su (per) sassi i passi, et più et più s’affretta» per essere in-
pastore la sua vita, la vostra vita [di corpi cele- pungenti (acuti), e sabbia (rena) alta, e ster- fine «consolata / d’alcun breve riposo, ov’el-
sti] per (a) voi? dimmi: verso dove si svolge paglie (fratte), al vento, alla tempesta, e la oblia / la noia e ’l mal de la passata via» (vv.
(ove tende) [: che fine hanno] questo mio ag- quando il tempo (l’ora) è rovente (avvampa), 5-11), ristabilendo un equilibrio esistenziale
girarmi (vagar) [di] breve [durata], il tuo viag- e poi quando gela, attraversa (varca) torrenti che implica la fiducia nel significato della vi-
gio (corso) eterno (immortale)? Le domande e stagni, cade, si rialza (risorge), e si affretta ta (garantito da Dio); qui il procedimento è
rivolte alla luna sono interrogativi intorno al sempre più (e più e più), senza riposo (posa) o opposto, dato che la fine delle fatiche è la
significato dell’esistenza, cioè sul suo valore consolazione (ristoro), ferito (lacero), san- morte, e dato che questa non rappresenta
e sul suo scopo (come attestano i due punti guinante; finché (infin ch’<e>) arriva là (colà) altro che un immenso e orribile nulla in cui
interrogativi posti a conclusione di strofe). dove il [suo] cammino (la via) e dove la [sua] l’identità individuale si estingue. L’allegoria
Esse riguardano tanto l’esistenza in sé (rap- grande (tanto) fatica (affaticar) furono rivol- del «vecchierello» verrà a meglio precisarsi
presentata dalla luna e dal cielo stellato) te (fu volto): [un] abisso [: la morte] orrido, nella raffigurazione diretta della infelice vita
quanto la propria personale esistenza. Da immenso, precipitando nel quale (ov’<e> = umana, nella strofa seguente.
ciò deriva il confronto tra la vicenda lunare e dove) egli (ei) dimentica (obblia) tutto [ciò 39-60 L’uomo nasce a fatica, e la nascita (il
la propria, con uno scambio di attribuzioni che è successo fino ad allora]. [O] vergine lu- nascimento) costituisce (è) un rischio di mor-
(la luna è antropomorfizzata: contempla, si na, la vita degli uomini (mortale) è così (tale). te. Per prima cosa [: appena nato] prova pena
riposa, ecc.; il pastore dal canto suo sorge). Alle richieste di senso della prima strofa – e tormento; e all’inizio (in sul principio) stes-
Tanto la breve vicenda del pastore quanto non premiate da alcuna risposta – segue una so [della vita] la madre e il padre (il genitore)
quella eterna della luna sembrano limitate a descrizione intensamente allegorica della si dedicano (prende) a consolarlo (il…conso-
lar) di essere nato. Dopo (poi) che viene cre- versa condizione per quelle forme di esi- comprendi il perché delle cose, e vedi lo scopo
scendo, l’uno e l’altro [: madre e padre] lo so- stenza che, come la luna, trascendono i limi- (il frutto; metafora) del mattino, della sera,
stengono (il sostiene), e di seguito (via pur) ti della umana caducità. Si prospetta così la del silenzioso (tacito), infinito scorrere (an-
sempre con gesti (atti) e con parole si danno nuova apertura di interrogazioni della strofa dar) del tempo. Tu certamente sai, tu, a quale
da fare (studiasi) per incoraggiarlo (fargli co- seguente. Tuttavia, già nella conclusione di suo caro (dolce) amante (amore; metoni-
re) e [per] consolarlo di esser uomo (dell’u- questa la diversità presunta della luna, la sua mia) arrida (rida) la primavera, a chi procuri
mano stato): non si compie (fa; verbo vica- perfetta alterità, fa sospettare l’indifferenza vantaggio (a chi giovi) il caldo (l’ardore), e
rio) altra attività (ufficio) più gradita (più nei confronti della sorte terrena dell’uomo, che [cosa] ottenga (procacci) l’inverno (il ver-
grato) da parte dei genitori (da parenti) ver- come già annunciato dal silenzio che rispon- no) con il suo ghiaccio. Tu sai numerosissime
so i loro figli (alla lor prole). Ma perché [allo- de alle richieste della prima strofa: oltre che (mille; indeterminato) cose [e] ne scopri [di
ra] dare alla luce (al sole), perché sostenere muta, la luna è forse anche sorda. Si dura: il continuo] di più, che [invece] sono nascoste
(reggere) in vita chi [: i figli] poi bisogna (con- verbo è stato interpretato da molti com- (celate) al semplice pastore. Questa strofa
venga; congiuntivo) consolare di quella mentatori come ‘si sopporta’. In questo caso centrale tenta un’ipotesi circa il significato
[: della vita]? Se la vita è [una] sventura, per- il senso della domanda è: perché gli uomini dell’esistenza: esso è nascosto all’umile
ché da noi [: tra gli uomini] dura (si dura; sopportano una vita che è solo sventura? sguardo del pastore (e dell’uomo), ma tutta-
pseudoriflessivo)? [O] luna intatta, la condi- Perché, cioè, non pongono fine alle infinite via esiste ed è solo noto alla luna (cioè a
zione umana (lo stato mortale) è così (tale). sofferenze dell’esistenza col suicidio? Intat- qualcuno, divinità o natura, superiore all’uo-
Ma tu non sei mortale, e forse ti importa (ti ta luna: cioè, etimologicamente, ‘non toc- mo). L’ipotesi prende corpo, con un signifi-
cale) poco delle mie parole (del mio dir). Sul- cata’; così poteva scrivere Leopardi, dato cativo passaggio dal forse del v. 62 al certo
la base di alcune constatazioni – che la vita che nessun uomo si era potuto avvicinare al- dei vv. 69 e 73. Nel momento stesso in cui
provochi dolore e che sia necessario conso- la luna. questa ipotesi (relativamente ottimistica)
lare i bambini –, il pastore si chiede perché la 61-78 Tuttavia (pur) tu, [o] solitaria (solin- viene formulata, si va accumulando uno
vita continui, nonostante la mancanza di si- ga), eterna viaggiatrice (peregrina), che sei sperpero di referti materiali sulla inanità
gnificato e il prevalere inutile della sofferen- così pensosa, forse tu capisci (intendi) che dell’esistenza: la sofferenza, la morte, la
za; denuncia cioè un’incoerenza tra ciò che [cosa] siano questa vita (viver; infinito so- perdita e il lutto, il susseguirsi dei giorni, del-
l’uomo sa della propria condizione e ciò che stantivato) terrena, il nostro [: degli uomini] le stagioni e del tempo. Insomma: l’ipotesi
poi fa riguardo a essa. Il momento della na- soffrire (patir), il sospirare; [forse capisci] che che un significato vi sia ma sfugga al pastore
scita, in questa strofa, diviene il momento [cosa] sia questa morte, questo estremo (su- non riesce a determinare una prospettiva fi-
esemplare della condizione infelice dell’uo- premo) impallidire (scolorar) del volto (del duciosa verso la realtà, che continua a esse-
mo. Tuttavia questa condizione è ipotizzata sembiante), e sparire (perir) dalla terra, e ve- re guardata quale inutile dissipazione, soffe-
quale specifica dell’uomo, in quanto essere nir meno a ogni compagnia consueta (usata) renza e morte. Questo viver...questo mo-
mortale, implicitamente alludendo a una di- e affezionata (amante). E tu certamente rir: i pronomi deittici sottolineano la presen-
primo piano
Canti capitolo II 133
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Spesso quand’io ti miro Per tornar sempre là donde son mosse;
80 Star così muta in sul deserto piano, Uso alcuno, alcun frutto
Che, in suo giro lontano, al cielo confina; Indovinar non so. Ma tu per certo,
Ovver con la mia greggia Giovinetta immortal, conosci il tutto.
Seguirmi viaggiando a mano a mano; 100 Questo io conosco e sento,
E quando miro in cielo arder le stelle; Che degli eterni giri,
85 Dico fra me pensando: Che dell’esser mio frale,
A che tante facelle? Qualche bene o contento
Che fa l’aria infinita, e quel profondo Avrà fors’altri; a me la vita è male.
Infinito seren? che vuol dir questa
Solitudine immensa? ed io che sono? 105 O greggia mia che posi, oh te beata,
90 Così meco ragiono: e della stanza Che la miseria tua, credo, non sai!
Smisurata e superba, Quanta invidia ti porto!
E dell’innumerabile famiglia; Non sol perché d’affanno
Poi di tanto adoprar, di tanti moti Quasi libera vai;
D’ogni celeste, ogni terrena cosa, 110 Ch’ogni stento, ogni danno,
95 Girando senza posa, Ogni estremo timor subito scordi;
za concreta dell’esperienza vitale e della superbo [: meraviglioso e impenetrabile], sia sono disposte, dal punto di vista metrico-sin-
morte, facendone i parametri fondamentali (e) delle famiglie innumerevoli [di forme di vi- tattico, in modo da rallentarne al massimo lo
della vicenda umana. Questo morir...com- ta]; [sia] poi di tanto darsi da fare (adoprar), svolgimento: la prima presenta una intensa
pagnia: rappresentazione della morte con- di tanti movimenti (moti) di ogni astro ([cor- ellissi del verbo principale; la seconda si av-
dotta secondo un’ottica tutta umana, senza po] celeste), [di] ogni cosa terrena, che girano vale di una replicazione dell’aggettivo “infi-
la luce di alcuna speranza di redenzione: la (girando; il gerundio vale un participio pre- nito”, rilanciato la seconda volta da profon-
morte è una crisi estrema della corporalità sente) senza tregua (senza posa), per ritorna- do e sottolineato dal chiasmo; un enjambe-
(un impallidire irreparabile del volto), uno re [infine] sempre là da dove (donde) [si] sono ment sospende e prolunga tanto la seconda
staccarsi dal mondo (perir dalla terra è un mosse [: là da dove erano partite]. Ma tu cer- quanto la terza domanda; rime e assonanze
sintagma forzato a esprimere la scomparsa tamente, o giovinetta immortale [: la luna], (anche interne) legano il v. 86 al v. 84 (facelle
e l’annullamento determinati dalla morte), conosci [: capisci] tutto ciò (il tutto). Io cono- : stelle), il v. 87 ai vv. 89 e 90 (profondo : sono
un evento la cui esperienza non riguarda chi sco e sperimento (sento) questo: che degli : ragiono), il v. 88 ai vv. 89 e 91 (questa : im-
la sperimenta in prima persona, indifferente eterni movimenti circolari (giri) [degli astri], mensa : superba). E della stanza…non so: la
in quanto annullato rispetto all’esistere, ma che della mia esistenza (esser) fragile (frale) lunga e complessa struttura sintattica di
chi vi assiste subendo la perdita dei propri forse qualcun altro (fors’altri) ricaverà (avrà) questi versi, con la posposizione del periodo
cari (ed ecco la intensa giustificazione, inte- qualche bene o piacere (contento); [ma] per principale e reggente, ben esprime un acca-
ramente umana e materiale, di amante (a) me la vita è sofferenza (male). La presen- tastarsi di rilievi materiali cui stentino a tener
compagnia). Il perché…il frutto: sono i ter- za della luna, rievocata ai vv. 79-83 quale dietro un inquadramento razionale e una
mini-chiave della ricerca di senso: la causa e compagna silenziosa delle solitarie notti del spiegazione. Giovinetta immortal: ripren-
lo scopo; verranno ripresi, con variazione, ai pastore, non trasmette la fiducia in un signi- de, con affettuoso e tenue richiamo mitolo-
vv. 97 e 103. Tu sai, tu certo: sottinteso “non ficato, ma accresce, con la sua distanza im- gico, i precedenti epiteti rivolti alla luna (cfr.
io”, annunciando la svolta della seconda me- perturbabile, il bisogno di interrogarsi sul soprattutto i vv. 37 e 57). Qualche bene o
tà della strofe. perché dell’universo, della vita e di se stessi. contento: qualche vantaggio materiale o
79-104 Spesso quando io ti osservo (miro) Le domande del pastore abbracciano tanto semplicemente qualche gioia; con ripresa
stare così muta sulla pianura deserta, che, la dimensione schiettamente esistenziale meno esplicitamente polemica (stante la di-
all’orizzonte (in suo giro lontano), confina quanto un più generale bisogno teorico di mensione meno consona del componimen-
con il (al) cielo; oppure (ovver) [ti vedo] seguir- conoscenza. In conclusione di strofe viene to) di un passo dell’Al conte Carlo Pepoli (vv.
mi con il mio gregge spostandoti (viaggiando) però rivendicato il valore dell’esperienza ma- 143 sg.): «[cercherò di capire] a cui / tanto
via via (a mano a mano); e quando vedo bril- teriale quale fondamento della conoscenza nostro dolor diletti e giovi» (= a chi dia diver-
lare (arder) le stelle in cielo; dico pensando fra (cfr., al v. 100, «questo io conosco e sento», timento o vantaggio il nostro immenso dolo-
me: perché (a che) tante scintille (facelle) [: le cioè ‘conosco per prova diretta’): e dall’espe- re di uomini).
stelle]? che [cosa] significa (fa) lo spazio (l’a- rienza materiale del pastore deriva la certez- 105-132 O mio gregge che ti riposi, oh beato
ria) infinito, e quel profondo cielo (seren) infi- za del male quale carattere indubitabile del- te, che – credo – non conosci (non sai) la tua
nito? che [cosa] vuol dire questa immensa soli- la propria vita (e della vita dell’uomo). Muta: infelicità (miseria)! Quanto ti invidio (quanta
tudine? Ed io che [cosa] sono? Così penso tra il silenzio della luna, annunciato già all’inizio invidia ti porto)! Non solamente perché sei
me e me (meco ragiono = discorro con me del canto, non sembra dunque essere occa- (vai) quasi senza (libera) sofferenza (affan-
stesso): e non so indovinare nessuna (alcun) sionale ma costitutivo: né ora né mai si udrà no); dato che (ch<e>) scordi subito ogni sten-
utilità (uso), nessuno scopo (frutto) sia (e) una sua risposta alle domande poste dal pa- to, ogni danno, ogni timore [benché] forte
dell’universo (la stanza) infinito (smisurata) e store. A che…sono?: le quattro domande (estremo); ma soprattutto (più) perché non
provi mai (giammai; è più forte) noia (tedio). ferimenti della propria condizione. La luna rando all’<a> = guardando alla) condizione
Quando tu stai (siedi) all’ombra, sopra l’erba, sa rispondere alle domande di senso; le pe- (sorte = destino) altrui: forse il giorno della
tu sei calmo (queta) e appagato (contenta); core evitano di porsele: per questo il pastore nascita (il dì natale) è funesto per (a) chi na-
e trascorri (consumi) senza noia gran parte ipotizza che siano felici. Lui invece e gli uo- sce, in qualsiasi forma o condizione (in qual
dell’anno in tale condizione (in quello stato). mini in generale si fanno domande e non forma [che sia], in quale stato che sia), den-
Ed io pure sto (seggo) sull’erba, all’ombra, e sanno più darsi risposte, ma solo, al massi- tro una tana (covile) o [dentro] una culla (cu-
[però] una sensazione angosciosa (un fasti- mo, formulare ipotesi. La meditazione sulla na) [: animale o uomo]. La strofa conclusiva
dio) mi occupa (m’ingombra) la mente, e un condizione animale qui introdotta risente di ha la funzione di spezzare le congetture fin
bisogno (uno spron<e>; è, fuor di metafora, una diffusa riflessione affidata alle pagine qui avanzate circa la possibilità di forme di
il pungente attrezzo metallico con cui si sol- dello Zibaldone. Tedio: è parola-chiave, che vita (o semplicemente di esistenza) felici. Lo
lecita il cavallo) quasi mi stimola (mi punge) ritorna al v. 112 e al v. 132, rilanciato dai fa in forma in parte indiretta, e per di più ser-
così che, stando fermo (sedendo), più che pressoché sinonimi noia (v. 116) e fastidio vendosi del forse (ripetuto tre volte), per co-
mai sono lontano (lunge) dal trovare pace o (v. 118); la felicità della condizione animale erenza con il tono non polemico ma medita-
riposo (loco = luogo). Eppure non desidero non consisterebbe nel possesso di quei beni tivo e perfino ingenuo del componimento. E
(non bramo) nulla, e non ho per il momento cui l’uomo aspira inutilmente, ma nella igno- tuttavia la conclusione ne emerge egual-
(fino a qui) ragione di pianto. Di che cosa ranza di essi e nella impossibilità di valutare mente con chiarezza: non basterebbe esse-
(quel che) o quanto tu [: il gregge di pecore] la distanza incolmabile tra desiderio e appa- re come la luna e vedere le cose dall’alto (vv.
goda non so certo (già) dire; ma sei fortunato. gamento: è infatti da questo sentimento di 133-138), né esser come un animale e vivere
E anch’io (io…ancor), o mio gregge, godo po- vanità dei piaceri non solo effettivamente senza coscienza (vv. 141-143, con il riferi-
co, né mi lamento (mi lagno) soltanto di que- sperimentati ma umanamente possibili che mento al covile); l’ipotesi più probabile (an-
sto. Se tu sapessi parlare, io [ti] chiederei: nasce la “noia” leopardianamente intesa. che perché posta in sede conclusiva) è che la
dimmi, perché giacendo comodamente (a All’ombra, sovra l’erbe: i due termini ritor- vita sia in se stessa una sventura, in ogni
bell’agio), senza far nulla (ozioso), ogni ani- nano, identici ma invertiti, per il gregge (v. condizione. In tal modo tutte le ipotesi fatte
male si appaga; [e invece] se io giaccio a ripo- 113) e per il pastore (v. 117); e l’inversione an- circa esistenze diverse da quella umana ven-
sarmi (in riposo) la noia mi (me) assale? Do- nuncia già il diverso significato che per le gono revocate in dubbio, quali errori (vv.
po aver tentato una risposta intorno al signi- due condizioni esistenziali viene ad assume- 139-140), stendendo questa sfiducia sull’in-
ficato dell’esistenza rivolgendosi verso una re un medesimo atto. tera canzone che precede. Errar, erra: le
realtà lontana e presumibilmente superiore 133-143 Forse se io avessi le ali per (da) vo- due accezioni del verbo “errare” sono qui
(la luna), il pastore si misura ora con una re- lare sulle nuvole (nubi), e contare (noverar) le impiegate, non casualmente, l’una dopo l’al-
altà invece prossima e apparentemente in- stelle ad una ad una, o [potessi] viaggiare (er- tra, la prima volta (v. 136) nel senso di ‘giro-
feriore (le pecore). L’ipotesi di felicità in pre- rar) di monte in monte (di giogo in giogo) co- vagare’ e la seconda (v. 139) nel senso di ‘di-
cedenza attribuita alla luna viene qui, con me il tuono, sarei più felice, [o] mio amato scostarsi [dal vero]’, cioè ‘sbagliare’; non è
nuova ipotesi, attribuita al gregge: nel primo (dolce) gregge, sarei più felice, [o] candida lu- improbabile un consapevole rapporto con
caso, la felicità deriva dal sapere il perché di na. O forse il mio pensiero si discosta (erra) l’«errante» del titolo.
tutte le cose; nel secondo, dall’ignorare i ri- dalla verità [: sbaglia], riflettendo sulla (mi-
primo piano
Canti capitolo II 135
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T6 DALLA COMPRENSIONE
ALL’INTERPRETAZIONE
COMPRENSIONE
Datazione e collocazione del testo Datato 22 ottobre (vv. 61-68), il trascorrere inspiegabile del tempo e delle
1829-9 aprile 1830, il componimento è dunque l’ultimo a stagioni (vv. 69-76). Ne consegue una riflessione sullo
essere composto prima della partenza definitiva di Leo- smarrimento esistenziale, ancora una volta centrato sulla
pardi da Recanati; e tuttavia il poeta volle che precedesse, personale testimonianza del pastore (vv. 79-104). Da tutte
nella struttura dei Canti (entro la quale occupa il ventitree- queste osservazioni deriva la consapevolezza della inevita-
simo posto), La quiete dopo la tempesta e Il sabato del villag- bilità del dolore umano: la vita appare un’alternanza di no-
gio, così da collocarlo al centro della serie dei canti pisa- ia e di sofferenza, senza alcuna risposta al bisogno di signifi-
no-recanatesi, probabilmente per la sua natura più accen- cato, cioè senza alcun valore certo che dia senso all’esistere.
tuatamente filosofica. Questa serie di riflessioni prende corpo soprattutto nella
terribile raffigurazione allegorica della vicenda umana che
La vicenda rappresentata: la condizione dell’uomo Il occupa la seconda strofa. Qui la corsa affannosa e dolente
Canto notturno si concentra su una rappresentazione del «vecchierel» si mostra una crudele beffa del destino, ri-
dell’uomo il più possibile fedele all’esperienza concreta. So- velandosi infine indirizzata verso un «abisso orrido, im-
no così rifiutate fin dall’inizio ogni sublimazione o idealiz- menso» (la morte) nel quale tutto finisce e viene dimenti-
zazione. La ricerca di senso del pastore prende le mosse cato. Al dolore che preparerebbe la ricompensa divina, pro-
dalla vita quotidiana del protagonista: il levarsi all’alba, il prio di molte visioni religiose della vita, Leopardi contrap-
cammino al seguito del gregge durante la giornata, il riposo pone un dolore senza significato e senza redenzione. Alla
serale (vv. 11-15). Viene poi via via riepilogata la comune idealizzazione della fede viene qui sostituita la deduzione
esperienza dell’esistenza umana: la nascita e l’infanzia rigorosa che deriva dalla esperienza.
(vv. 39-54), i molti dolori senza spiegazione e la morte
analisi
La metrica e lo stile Il testo costituisce una canzone li- to del pastore errante, a tratti più duri, fino alla concitazio-
bera, secondo il modello metrico inaugurato con A Silvia e ne massima della seconda strofa, incastonando dentro il
da quel momento prevalente nella scrittura in versi leopar- punto di vista “primitivo” del protagonista una rivendica-
diana. Le sei strofe hanno dunque estensione assai varia- zione concettuale più risentita e consapevole. Le strutture
ta (dagli undici versi dell’ultima ai quaranta della seconda, sintattiche sono per lo più ampie e distese, ora per accre-
con una media di poco meno di ventiquattro), libera alter- scere, con l’accelerazione, il senso di orrore e di vanità (co-
nanza di endecasillabi (80) e settenari (63), con prevalen- me nella seconda strofa), ora per dilatare lo spazio descrivi-
za dei secondi nelle prime tre strofe (38 contro 22) – a sug- bile dallo sguardo del soggetto contemplante, quasi miman-
gerire un ritmo più mosso e incalzante – e degli endecasilla- do lo smarrimento davanti all’immensità inutile e priva di
bi nelle ultime tre (58 contro 25) – a suggerire un ritmo in- significato (così è soprattutto nella quarta strofa, e partico-
vece più rallentato e meditativo; ed hanno infine libera di- larmente ai vv. 79-98). Benché prevalga la mimesi dell’inge-
sposizione di rime e di altre figure foniche (anche interne), nuità del pastore, non mancano tratti segnati dall’argomen-
ma con obbligo di rima -ale in conclusione di strofe, la de- tazione logico-concettuale, secondo una modalità già pre-
sinenza che permette di congiungere i due poli della tensio- sente in A Silvia, nella Quiete dopo la tempesta e nel Sabato
ne qui rappresentata: quello «immortale» che chiude la pri- del villaggio: è così nella conclusione della quarta strofa
ma strofa e quello «mortale» che chiude la seconda, e anche («Questo io conosco e sento, / che degli eterni giri, / che
il «male» del v. 104 e le «ale» del v. 133. Le soluzioni stilisti- dell’esser mio frale, / qualche bene o contento / avrà fors’al-
che del componimento presentano una grande varietà: si tri; / a me la vita è male») e in vari passaggi della quinta, con
passa da momenti di calma descrizione (come nella prima il confronto divergente tra la reattività delle pecore e quella
strofa), che riprendono il punto di vista ingenuo e immedia- umana del pastore.
interpretazione
Relazioni intertestuali: Petrarca e Leopardi Il Canto la pellegrina» che anticipa il «vecchierel» della seconda stro-
notturno stabilisce un collegamento assai stretto con la can- fa leopardiana e un «pastore» raffigurato in modi molto si-
zone L del canzoniere di Petrarca, «Ne la stagion che ’l ciel mili a quelli del Canto notturno. Tuttavia in Leopardi la ri-
rapido inchina», in cui si incontra una «stancha vecchiarel- presa di termini e situazioni è poi destinata a un vero e pro-
primo piano
Canti capitolo II 137
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5. Quale dimensione è introdotta dal tedio nell’orizzonte LE MIE COMPETENZE: COLLABORARE, ricercare, PRODURRE
pastorale? La poesia di Leopardi inaugura un nuovo orizzonte della
6. LINGUA E LESSICO Quali aggettivi sono usati da Leo- poesia e del pensiero. La sua lezione “moderna” influen-
pardi per descrivere la luna? Sottolineali nel testo. zerà profondamente la letteratura successiva non solo
L’argomentazione del testo dal punto di vista formale, ma anche da quello tematico e
concettuale. Scegli il tema che ti è più congeniale tra
7. A quale scelta sintattica è affidata l’affermazione radi- quelli del Canto notturno e, collaborando con un gruppo
cale del pessimismo del pastore? di compagni, sviluppalo in un prodotto multimediale che
tratti uno di questi argomenti:
INTERPRETARE
• La natura come distruzione e desolazione. Da Leopardi al
8. trattazione sintetica Rileggi il sonetto di Pe- dibattito attuale sull’ecologismo
trarca «Movesi il vecchierel canuto et biancho» (cfr. vol. 1: • L’uomo e la luna. Un percorso attraverso i secoli
in un breve testo poni a confronto il «vecchierel» leopar- Puoi realizzare:
diano con quello petrarchesco); rifletti sulle ragioni del- • una galleria di immagini, con eventuale aggiunta di au-
la ripresa di Leopardi e spiega il significato dell’allego- dio e testi
ria. • un video, utilizzando materiale realizzato da te o spez-
zoni di filmati reperibili in rete
• una presentazione multimediale
• un’antologia di testi in formato elettronico con imma-
gini ed espansioni audio.
OPERA La composizione di questo canto avvenne a Recanati tra il 17 e il 20 settembre 1829, prima dunque
Canti
del Canto notturno, che pure lo precede nella struttura del libro. In tal modo La quiete dopo la tempe-
CONCETTI CHIAVE sta veniva a concludere, insieme al Sabato del villaggio, i Canti come si presentavano nell’edizione
• gioia apparente
• l’unico piacere non del 1831. Sono testi, dunque, tutt’altro che leggeri e innocenti, come spesso sono stati proposti.
illusorio deriva Il tema è quello del piacere, centrale nel “sistema” leopardiano. La tesi è che l’unico piacere autenti-
da un dolore che co (non illusorio) concesso all’uomo è quello che deriva da un dolore che cessa. Ciò basta a rivelare,
finisce
con sarcasmo più che con ironia, la ferocia della natura, nonché a valorizzare la morte quale estre-
fonte
G. Leopardi, Canti, cit. ma cancellazione di tutti i dolori.
Il «conflitto tra poeticità e prosasticità» (Contini) rilevabili in questo testo si basa sulla presenza di
un lessico spesso quotidiano e tutt’altro che aulico («gallina», per esempio) accanto a termini in-
vece nobilitanti (come «augelli»), nonché sulla coesistenza di stile colloquiale («ogni cor si ralle-
gra») e di innalzamento stilistico (a partire dall’iperbato d’apertura).
metrica canzone libera di tre strofe di di- li (augelli; arcaismo) fare festa, e [sento] la [della foschia], e il fiume appare distintamen-
versa lunghezza; la seconda e la terza, colle- gallina, tornata sulla via, che ripete il suo ver- te (chiaro) nella valle. Ogni animo (cor) si ral-
gate dalla significativa rima offese : cortese. so. Ecco [che] il sereno rompe [le nuvole] là da legra, da ogni parte (in ogni lato) riprendono i
occidente (da ponente), verso la (alla) mon- rumori (risorge il romorio) [della vita quoti-
1-24 La tempesta è passata: sento gli uccel- tagna; la campagna si libera (sgombrasi) diana], ricomincia (torna) il lavoro di sempre
(usato). L’artigiano, con il [suo] lavoro (l’o- cano testimonianze dell’uso qui proposto in senza verbo principale (vv. 32-41) con fun-
pra) in mano, cantando, si affaccia (fassi = si parafrasi (cfr. per esempio Tasso: «Conosci – zione appositiva. Si rallegra ogni core: ri-
fa) sulla porta [della bottega] per contempla- or dice – il mio valore a prova», Ger. lib. VI, prende a distanza il v. 8 («Ogni cor si ralle-
re (a mirar) il cielo umido; la popolana (la 33, 7). La femminetta…acqua: cfr. Dante, gra») e funge da collegamento con la prima
femminetta) esce (vien fuor) provando se Purgatorio, XXI, 2-3: «…l’acqua onde la fem- strofa. Onde…abborria: la paura della mor-
sia possibile (a prova) raccogliere (a còr; for- minetta / samaritana domandò la grazia». te supera in intensità la lucida determinazio-
ma sincopata di “cogliere”) [: da apposite «Femminetta» è la donna del popolo. ne (originata dalla noia e dalla consapevo-
vasche] l’acqua della pioggia recente (della 25-41 Ogni animo (core) si rallegra. Quan- lezza dell’assenza di uno scopo) di porre fine
novella piova); e l’ortolano (l’erbaiuol) ripe- do la vita è così dolce e così gradita come ora alla propria vita.
te (rinnova) di sentiero in sentiero il richiamo [: cioè dopo la tempesta]? Quando l’uomo si 42-54 O natura benevola (cortese; con iro-
di tutti i giorni (il grido giornaliero). Ecco il dedica (intende) con tanto amore alle sue oc- nia), sono questi i tuoi doni! Sono questi i pia-
sole che ritorna, ecco [che] risplende (sorride) cupazioni (studi; latinismo)? O torna al lavo- ceri (diletti) che tu offri ai mortali! Fra noi [uo-
per i poggi e per i casolari (ville). La servitù (la ro (all’opre)? O intraprende (imprende) una mini] il piacere (diletto) consiste (è) nel cessa-
famiglia) apre le finestre (balconi), apre [le nuova attività (cosa nova)? Quando si ricor- re di soffrire (uscir di pena). Tu spargi pene in
porte dei] terrazzi e [delle] logge: e dalla via da meno dei suoi mali? Il piacere [è] figlio del gran quantità (a larga mano); il dolore (duo-
principale (corrente) si sente (odi) un lontano dolore (affanno); [è] una gioia illusoria (va- lo) [ne] nasce spontaneo [: da quelle pene se-
tintinnio di sonagli [: quelli appesi alla barda- na), che è il prodotto (frutto) del timore pas- minate dalla natura]: e quel tanto di piacere
tura degli animali da tiro]; il carro del vian- sato, [di quella paura] a causa della quale che per prodigio (mostro) e [per] miracolo na-
dante (passegger), che riprende il suo viag- (onde) chi odiava (aborria) la vita si scosse ed sce talvolta dal dolore (d’affanno) è un gran-
gio, stride [: rimettendosi in moto]. La prima ebbe il terrore (paventò) della morte; [di quel- de guadagno. [O] genere umano (umana
strofa corrisponde al momento descrittivo la paura] a causa della quale (onde) le perso- prole) caro agli dèi (agli eterni)! [Puoi ritener-
della poesia. Per le immagini, i commenta- ne (le genti) raggelate (fredde), ammutolite ti] abbastanza (assai) felice se ti è permesso
tori rinviano a fonti letterarie (Ossian, Fosco- (tacite), pallide (smorte), con tormento pro- (se…ti lice) di tirare il respiro (respirar) [per
lo) e a componimenti giovanili dello stesso lungato, sudarono (sudàr<ono>) [freddo] ed un po’] da qualche dolore: [puoi ritenerti addi-
Leopardi. Da notare, sul piano metrico, l’uso ebbero il batticuore (palpitàr<ono>) vedendo rittura] beato se la morte ti guarisce (te…risa-
frequente dei settenari e delle rime (e la ri- fulmini (folgori), nuvole (nembi) e vento di- na) da ogni dolore. La terza e ultima strofa
ma al mezzo dei vv. 1-2 tempesta : festa). retti a colpirci (mossi alle nostre offese). La contiene la riflessione gnomica sull’infelicità
Passata…tempesta: l’anticipazione del ver- seconda strofa rappresenta il commento della condizione umana. Da notare la pro-
bo rispetto al soggetto è un fenomeno co- all’evocazione della quiete dopo il tempora- gressiva astrazione concettuale sottolineata
stante in tutta la prima strofa. A prova: in le, e precisamente «la denuncia dalla vanità dall’intensificazione dei termini astratti (na-
genere i commentatori spiegano ‘a gara di quell’effimera gioia» (Blasucci). La strut- tura, mortali, pena ecc.). Per mostro e mi-
[con l’artigiano]’, sulla base di altri luoghi tura è bipartita: alle interrogazioni retoriche racolo: dittologia sinonimica (mostro è un
della tradizione e di Leopardi; ma non man- (vv. 26-31) segue un unico lungo periodo latinismo).
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Canti capitolo II 139
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T7 DALLA COMPRENSIONE
ALL’INTERPRETAZIONE
COMPRENSIONE
La struttura bipartita La poesia si presenta divisa in versa sia da quella degli idilli veri e propri, caratterizzati
due parti ben distinte: la prima strofa offre una descri- dalla predominanza dell’elemento lirico-descrittivo, sia
zione “idilliaca” di vita paesana, mentre le altre strofe dalle grandi canzoni filosofiche come il Canto notturno o
sviluppano il tema filosofico del piacere (seconda stro- La ginestra, dove l’elemento descrittivo e quello filosofico
fa) e subito dopo quello della natura come causa dell’in- sono strettamente intrecciati.
felicità (terza e ultima strofa). La struttura è quindi di-
analisi
La rappresentazione della gioia È questo uno dei can- esempio quello «folgori, nembi e vento» del v. 41). Ma
ti dove la rappresentazione della gioia umile e quotidiana non meno importanti nella sottolineatura della gioia so-
trova la sua espressione più intensa. Essa si affida a vari no le espressioni che indicano novità e sorpresa
elementi. La metrica, con i vari gruppi di settenari rag- («odo… far festa» v. 2, «ecco il sereno» v. 4, «rompe…
gruppati, invita a un ritmo veloce e leggero. L’introdu- sgombrarsi… appare» vv. 5-7, «vien fuor…» v. 14, «ecco il
zione di numerose forme di parallelismo accresce il senti- Sol che ritorna, ecco sorride» v. 19 ecc. ) associate ad altre,
mento di abbandono gioioso: anafore e replicazioni numerose, che indicano continuità e ciclicità («tornata»
(«Ecco… ecco… ecco…», vv. 4 e 19; «ogni cor si rallegra, In v. 3, «ripete» v. 4, «risorge» v. 9, «torna» v. 10, «rinnova»
ogni lato» e «si rallegra ogni core», vv. 8 e 25; «apre… v. 16, «giornaliero» v. 18, «ripiglia» v. 24). La gioia è data
apre…», vv. 20 sg.; «sì dolce, sì gradita», v. 26; «quand’è…? anche dal presentarsi della novità all’interno di una di-
Quando…? quando…?», vv. 27, 28 e 31; «onde… onde…», mensione naturale e sociale ben nota, che riprende e pro-
vv. 34 e 37; «son questi… questi… sono», vv. 43 sg.; «dilet- segue il proprio ritmo; è data, cioè, dall’impressione prov-
ti… diletto…», vv. 44 e 46; «dolor… dolor…», vv. 53 sg. ), visoria di novità e di sorpresa che sorge dalle attività con-
corrispondenze nella disposizione dei termini (al gruppo suete, dopo che queste erano state, per un breve momen-
triplice «fredde, tacite, smorte» del v. 38 corrisponde per to, interrotte.
interpretazione
La figura chiave dell’antifrasi La terza strofa si affida Il rigore strutturale È parso a molti lettori che da una
a due punti di riferimento fondamentali; la «natura cor- strofa all’altra vi sia un salto di tono e di prospettiva che
tese» (v. 42) e gli «eterni» (v. 51). Essi rappresentano gli nuoce alla riuscita artistica del canto. Il rilievo è senz’al-
agenti o autori della condizione umana. In apparenza il tro fondato; ma la specificità di questo testo sta forse
poeta rivolge loro un riconoscimento e un ringraziamen- proprio nella rappresentazione per quadri staccati di
to («natura cortese», «umana / prole cara agli eterni!»). un dato concreto (prima strofa), della riflessione su di es-
Ma si tratta in realtà di un riconoscimento antifrastico: so (seconda strofa), della conclusione generale che se ne
tutt’altro che «cortese» risulta la natura, alla luce della può trarre (terza strofa). C’è un allargarsi dei dati consi-
terribile descrizione che precede (vv. 37-41) e grazie an- derati: il momento in cui, cessata la tempesta, la quiete
che alla “spia” della rima «offese» : «cortese» che collega incoraggia la ripresa dell’attività consuete (prima strofa);
questo inattendibile giudizio all’aggressione rappresen- la dialettica tra tempesta, descritta ora anch’essa, e la sua
tata nella strofa precedente; tutt’altro che «cara» agli dèi cessazione (seconda strofa); la prospettiva generale
si rivela la specie umana, la cui felicità consiste tutta in dell’esistenza, con il suo intrecciarsi di tempeste e di
pochi sospiri di sollievo che interrompono il dolore domi- quieti, metaforiche e no (terza strofa). Più semplicemen-
nante (cfr. vv. 51-53 e 47-50) e la cui beatitudine (non te, un collegamento tra la prima e la seconda strofa è
senza l’amaro impiego parodico di un termine spiccata- garantito dalla ripresa variata, in posizione iniziale, di
mente religioso come «beata») può consistere soltanto un verso della prima nella seconda: «ogni cor si rallegra»
nella morte. Sulla base di questa chiave interpretativa, (v. 8), «si rallegra ogni core» (v. 25); mentre un collega-
l’intero slancio gioioso del componimento diviene mento tra la seconda e la terza strofa è sostenuto dalla
inquietante, come sotto il sospetto di un falso, di un ro- rima «offese» : «cortese», che riguarda, di nuovo, l’ini-
vesciamento antifrastico. zio della strofa nuova.
OPERA La lirica vede un accostamento tra le abitudini del passero e il poeta stesso: il volatile trascorre iso-
Canti
lato la primavera, così come il poeta vive in solitudine la giovinezza (che è la primavera della vita).
CONCETTI CHIAVE Ma il futuro distinguerà i due destini: il passero invecchierà e morirà, infatti, senza rimpiangere le
• parallelismo
passero-poeta scelte compiute, le quali sono frutto dell’istinto e volute dalla natura; il poeta, al contrario, sarà cer-
• speranze vs tamente aggredito dal rimpianto.
delusione
fonte D’in su la vetta della torre antica, Non ti cal d ’allegria, schivi gli spassi;
G. Leopardi, Canti, cit.
Passero solitario, alla campagna 15 Canti, e così trapassi
Cantando vai finché non more il giorno; Dell’anno e di tua vita il più bel fiore.
Ed erra l’armonia per questa valle.
5 Primavera dintorno Oimè, quanto somiglia
Brilla nell’aria, e per li campi esulta, Al tuo costume il mio. Sollazzo e riso,
Sì ch’a mirarla intenerisce il core. Della novella età dolce famiglia,
Odi greggi belar, muggire armenti; 20 E te german di giovinezza, amore,
Gli altri augelli contenti, a gara insieme Sospiro acerbo de’ provetti giorni,
10 Per lo libero ciel fan mille giri, Non curo, io non so come; anzi da loro
Pur festeggiando il lor tempo migliore: Quasi fuggo lontano;
Tu pensoso in disparte il tutto miri; Quasi romito, e strano
Non compagni, non voli, 25 Al mio loco natio,
metrica canzone libera di tre strofe di en- muggire; gli altri uccelli, contenti, insieme, l’aggettivo non ha – o non ha solo – valore
decasillabi e settenari. come se gareggiassero (a gara), compiono generico).
innumerevoli evoluzioni (fan mille giri) nel 17-44 Ahimè, come il mio [modo di vivere]
1-16 Da sopra la cima (d’in su la vetta) cielo libero [: che non frappone ostacoli al somiglia al tuo modo di vivere (costume)! Non
dell’antico campanile (torre) [: quello della loro volo, ma anche sgombro da nubi, sere- mi curo – non so perché (io non so come) – del
chiesa di Sant’Agostino, a Recanati], [o] no], intenti solo (pur) a festeggiare la stagio- divertimento (sollazzo) e del riso [: dittologia
passero solitario, canti ripetutamente (can- ne migliore della loro vita (il lor tempo mi- sinonimica], [che sono] la compagnia piacevo-
tando vai; verbo frequentativo) verso (alla) gliore): tu [: passero solitario] pensoso os- le (dolce famiglia) dell’età giovanile (della no-
la campagna, finché il giorno non termina servi (miri) tutto ciò (il tutto) [standotene] vella età), e [non mi curo di] te amore, fratello
(non more); e l’armonia [di quel canto] si in disparte; [per te] non [ci sono] compagni, (german<o>) della giovinezza e [motivo di]
diffonde (erra) per questa valle. Intorno la non [ci sono] voli, a te non interessa (non ti amaro (acerbo) rimpianto (sospiro) negli anni
primavera fa risplendere l’aria (brilla nell’a- cal) l’allegria, eviti (schivi) i divertimenti (gli della maturità (de’ provetti giorni), anzi, qua-
ria) e gioisce (esulta) nei (per li) campi, tan- spassi); canti, e in questo modo trascorri si fuggo lontano da loro; trascorro (passo) la
to che (sì ch<e>), contemplandola (a mirar- (trapassi) il periodo più bello (il più bel fio- primavera della mia vita [: la giovinezza] come
la), il cuore [: soggetto] si intenerisce. Si pos- re) dell’anno [: la primavera] e della tua vita un eremita (quasi romito), e [come se fossi]
sono sentire (odi; impersonale) greggi [di [: la giovinezza]. Passero solitario è la desi- estraneo (strano) al luogo dove sono nato (al
pecore] belare, mandrie (armenti) [di buoi] gnazione di una specie particolare (quindi mio loco natio). Nel nostro paese (borgo), è
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Canti capitolo II 141
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Passo del viver mio la primavera. 45 Tu solingo augellin, venuto a sera
Questo giorno ch’omai cede alla sera, Del viver che daranno a te le stelle,
Festeggiar si costuma al nostro borgo. Certo del tuo costume
Odi per lo sereno un suon di squilla, Non ti dorrai; che di natura è frutto
30 Odi spesso un tonar di ferree canne, Ogni vostra vaghezza.
Che rimbomba lontan di villa in villa. 50 A me, se di vecchiezza
Tutta vestita a festa La detestata soglia
La gioventù del loco Evitar non impetro,
Lascia le case, e per le vie si spande; Quando muti questi occhi all’altrui core,
35 E mira ed è mirata, e in cor s’allegra. E loro fia vóto il mondo, e il dì futuro
Io solitario in questa 55 Del dì presente più noioso e tetro,
Rimota parte alla campagna uscendo, Che parrà di tal voglia?
Ogni diletto e gioco Che di quest’anni miei? che di me stesso?
Indugio in altro tempo: e intanto il guardo Ahi pentirommi, e spesso,
40 Steso nell’aria aprica Ma sconsolato, volgerommi indietro.
Mi fere il Sol che tra lontani monti,
Dopo il giorno sereno,
Cadendo si dilegua, e par che dica
Che la beata gioventù vien meno.
usanza (si costuma) festeggiare questo gior- dell’Annunciazione, collocata al principio muti [: non saranno più capaci di comunicare
no che ormai (omai) sta cedendo [il posto] al- della primavera. Intanto…vien meno: men- nulla] al cuore degli altri e a essi [: ai miei oc-
la sera. Si può sentire (odi; come al v. 8) per il tre lo sguardo è per un attimo assorto, pia- chi] il mondo sarà (fia) [per me] senza interes-
[cielo] sereno un suono di campana (di squil- cevolmente sprofondato nella contempla- se (vòto = vuoto) e il domani (il dì futuro) [sa-
la), si può sentire spesso un tuonare di fucili zione dell’idillio primaverile (dell’aria apri- rà per me] più noioso e più triste (tetro) del
(ferree canne), che rimbomba lontano di ca- ca), il raggio del sole al tramonto colpisce gli giorno presente? Che cosa [mi sembrerà] di
solare (villa) in casolare. La gioventù del luo- occhi e riconduce bruscamente alla realtà il questi miei anni [: degli anni della gioventù]?
go, tutta vestita a festa, lascia le case e si ri- poeta. Che cosa [mi sembrerà] di me stesso?
versa (si spande) nelle vie; e guarda e si fa 45-59 Tu, uccellino solitario (solingo au- Ahi[mè], mi pentirò, e spesso, ma inconsolabi-
guardare (e mira ed è mirata), e dentro di sé gellin), giunto al termine (venuto a sera) del- le (sconsolato), guarderò (volgerommi = mi
(in cor) se ne compiace (s’allegra). Io, la vita (del viver) che il destino (le stelle) ti girerò) indietro [: al mio passato, rimpian-
uscendo[mene] da solo (solitario) in questa darà, certamente (certo) non dovrai ramma- gendolo]. La condizione della vecchiaia è,
parte solitaria (rimota) [del paese], [e dirigen- ricarti (non ti dorrai) del tuo modo di vivere per Leopardi, insopportabile perché soffoca
domi] verso la (alla) campagna, rinvio (indu- (costume); perché (che) ogni vostro [: di voi quei sentimenti e quelle passioni che, comu-
gio) a un altro tempo ogni divertimento (di- animali] desiderio (vaghezza) ha origine (è nicate e ‘ispirate’ anche agli altri, dirigono e
letto) e gioco: e intanto il sole, che dopo il frutto) dalla natura [: è, cioè, istintivo e non danno significato all’esistenza del singolo
giorno sereno svanisce (si dilegua) cadendo soggetto a scelta]. A me [invece] – se non ot- individuo. Impetro: “impetrare” significa
tra monti lontani, mi ferisce (fere) lo sguardo terrò (impetro) di evitare la soglia detestata ‘ottenere attraverso suppliche’; il presente
(il guardo) disteso (steso) nell’aria luminosa della vecchiaia [: cioè se non riuscirò a morir per il futuro indica qui che il poeta sta già
(aprica), e sembra che [, tramontando,] dica giovane] – che cosa sembrerà (parrà) di un si- pregando per ottenere ciò che desidera,
che la gioventù beata sta finendo (vien me- mile desiderio (voglia) [: della scelta di vivere cioè di scongiurare la vecchiaia, morendo
no). Questo giorno: forse il 25 marzo, festa in solitudine], quando questi occhi [saranno] prima.
T8 DALLA COMPRENSIONE
ALL’INTERPRETAZIONE
COMPRENSIONE
Datazione e collocazione del testo Assai incerta e di- di essi l’ombra del rimpianto tardivo. Tuttavia, non si può
battuta è la datazione di questo canto. Non presente nel- escludere a priori che il canto fosse stato abbozzato prima
la prima edizione dei Canti (1831), fu incluso da Leopardi del 1831 e che agli anni più maturi spetti solo la stesura de-
nella seconda edizione (1835), ad aprire la sezione degli finitiva.
idilli del 1819-1821. Questa collocazione in un contesto
cronologico fuorviante non è casuale: essa orienta la lettu- Attraverso le strofe La prima strofa è giocata sulla con-
ra degli idilli quasi compendiandone in anticipo i temi del- trapposizione tra il volontario isolamento del passero
la solitudine e dell’isolamento esistenziale, e gettando su solitario e l’atmosfera di gioia che accompagna il ritorno
analisi
Il canto e il rimpianto È stata osservata da molti commen- e spesso, / ma sconsolato, volgerommi indietro» (che conten-
tatori la presenza, in questo canto, di una tendenza melodica gono ben tre quadrisillabi, contro i sei presenti nei 57 versi che
particolarmente accentuata, introdotta già dal suono festoso precedono; e dove la posizione enclitica del pronome persona-
di campana dell’inizio («D’in»). Essa pare ad alcuni espressione le su due dei tre termini accresce la pesantezza). Eguale con-
di abbandono felice e spensierato; ad altri espressione malinco- trapposizione è riscontrabile nella scelta dei verbi, dinamici e
nica di un punto di vista sulla giovinezza e sulle sue illusioni co- vitali nelle parti relative alla primavera/giovinezza, spenti
munque distaccato e disilluso. In ogni caso versi come «can- o addolorati nei casi riferiti allo stile di vita del poeta e al
tando vai finché non more il giorno» (v. 3), «ed erra l’armonia suo tardivo rimpianto. La prima serie presenta: «cantando vai»
per questa valle» (v. 4), «dell’anno e di tua vita il più bel fiore» v. 3, «brilla» ed «esulta» v. 6, «intenerisce» v. 7, «belar» e «mug-
(v. 16), «questo giorno ch’omai cede alla sera» (v. 27), e altri, so- gire» v. 8, «festeggiando» v. 11, «festeggiar» v. 28, «s’allegra» v.
no anche più musicali e cantabili di quanto accada solitamente 35; la seconda: «schivi» v. 14, «fuggo» v. 23, «cede» v. 27, «indu-
in Leopardi. A questo “canto” si contrappone la pesantezza gio» v. 39, «cadendo si dilegua» v. 43, «vien meno» v. 44, «pen-
polisillabica dei due risolutivi versi finali: «Ahi pentirommi, tirommi» v. 58, «volgerommi» v. 59.
interpretazione
Il passero solitario e A Silvia La strutturazione del canto, per
accostamento di descrizione-evocazione, da una parte, e ar-
gomentazione e riflessione, dall’altra, richiama quella di A Silvia
(cfr. T4, p. 120), con la variante di uno slittamento nei nessi tem-
porali: in A Silvia il contenuto filosofico si sprigiona dal con-
tatto tra passato e presente; nel Passero solitario dal contatto
tra presente e futuro, più esattamente: tra un presente che, nel-
la prospettiva del domani, viene letto in modo retrogrado come
passato, e il futuro. «Qui si dà una sorta di corto circuito tra
passato [l’oggi della scrittura] e futuro, con il riferimento a
un futuro in cui il soggetto presente avrebbe guardato verso il
passato: un riferimento che, con ogni probabilità, Leopardi sen-
tiva avverato al momento in cui scriveva questi versi, per la con-
sapevolezza di aver perduto per sempre la giovinezza» (Ferro-
ni). Diversa è poi la conclusione, non riguardante, qui, la vanità
delle illusioni giovanili ma, in forma complementare, il rim-
Vincent van Gogh, Passeri, 1885. Amsterdam, Van Gogh Museum.
pianto per non aver saputo viverle fino in fondo.
primo piano
Canti capitolo II 143
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T8 LAVORIAMO SUL TESTO
COMPRENDERE 3. LINGUA E LESSICO Nel testo domina, come in A Sil-
via (T4, p. 120), lo stile del rimpianto e del rammarico;
1. Quale analogia e quale differenza il poeta individua tra soffermati sui verbi che indicano il vedere, l’apparire, in
se stesso e il passero? entrambi i componimenti, per i vari personaggi. Trova e
motiva analogie e differenze.
ANALIZZARE E INTERPRETARE
2. La seconda strofa introduce un paragone fra passero e
poeta; la struttura delle due strofe ti sembra simmetrica?
OPERA Questo testo fu composto a Recanati nel settembre 1829, subito dopo La quiete dopo la tempesta,
Canti
della quale condivide la tematica recanatese e la struttura, rigidamente articolata in parte lirico-de-
CONCETTI CHIAVE scrittiva e parte filosofica.
• il tema della
delusione delle
speranze La donzelletta vien dalla campagna, Già tutta l’aria imbruna,
fonte In sul calar del sole, Torna azzurro il sereno, e tornan l’ombre
G. Leopardi, Canti, cit.
Col suo fascio dell’erba; e reca in mano Giù da’ colli e da’ tetti,
Un mazzolin di rose e di viole, Al biancheggiar della recente luna.
5 Onde, siccome suole, 20 Or la squilla dà segno
Ornare ella si appresta Della festa che viene;
Dimani, al dì di festa, il petto e il crine. Ed a quel suon diresti
Siede con le vicine Che il cor si riconforta.
Su la scala a filar la vecchierella, I fanciulli gridando
10 Incontro là dove si perde il giorno; 25 Su la piazzuola in frotta,
E novellando vien del suo buon tempo, E qua e là saltando,
Quando ai dì della festa ella si ornava, Fanno un lieto romore:
Ed ancor sana e snella E intanto riede alla sua parca mensa,
Solea danzar la sera intra di quei Fischiando, il zappatore,
15 Ch’ebbe compagni dell’età più bella. 30 E seco pensa al dì del suo riposo.
metrica canzone libera. agile] era solita (solea) danzare la sera in venuto tramonto del sole, allorché il cielo,
mezzo a coloro (intra di quei) che ha avuto sbiancato durante le ore vicine al tramonto,
1-15 Al tramonto (in sul calar del sole), (ebbe) [come] amici (compagni) nell’età più torna a mostrare il turchino carico del pro-
una ragazza (la donzelletta) arriva (vien) bella [: la giovinezza]. Centrato sul rapporto prio sereno; mentre la luna, sorta da poco,
dalla campagna con il suo fascio d’erba; e por- tra attesa e realizzazione, il componimento disegna a terra nuove ombre, che succedo-
ta (reca) in mano un mazzolino di rose e di si apre con le due figure esemplari della gio- no a quelle fino a poco prima stampate dalla
viole, delle quali (onde), come è sua abitudine vinetta (che rappresenta ovviamente l’atte- luce solare.
(siccome suole), ella si prepara (si appresta) sa, cioè il sabato della vita) e della vecchia 20-30 Ora la campana (la squilla) segnala
a ornar[si] il petto e i capelli (il crine), domani, (che rappresenta da parte sua la realizzazio- (dà segno) la festa che avanza (che viene)
al giorno festivo (al dì di festa). Una vecchiet- ne, evidentemente deludente e limitata, di [: la domenica]; e, a [sentire] quel suono, dire-
ta sta seduta con le vicine sulla scala [di casa] quell’attesa). sti che il cuore si consola (si riconforta). I fan-
a filare, là nella direzione in cui (incontro… 16-19 Ormai (già) tutta l’aria scurisce (im- ciulli gridando in gruppo (in frotta) sulla piaz-
dove) il giorno tramonta (si perde); e va rac- bruna), il cielo sereno (il sereno) torna azzur- zola, e saltando qua e là, fanno un rumore al-
contando (novellando vien) dei suoi anni fe- ro, e al biancheggiare della luna appena sorta legro (lieto): e intanto il contadino (il zappa-
lici (del suo buon tempo) [: della sua giovi- (recente) tornano le ombre [disegnate] in ter- tore) ritorna (riede) fischiando alla sua pove-
nezza], quando nei giorni di festa [anch’]ella ra (giù) dai colli e dalle case (da’ tetti). Inten- ra (parca) mensa [: casa] e pensa fra sé (seco)
si ornava, e ancora sana e snella [: in forma e sa notazione paesaggistica che indica l’av- al giorno del suo riposo [: alla domenica].
Garzoncello scherzoso,
Cotesta età fiorita
45 È come un giorno d’allegrezza pieno,
Giorno chiaro, sereno,
Che precorre alla festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
Stagion lieta è cotesta.
50 Altro dirti non vo’; ma la tua festa Il sabato del villaggio, testo autografo di Giacomo Leopardi.
Ch’anco tardi a venir non ti sia grave. Napoli, Biblioteca Nazionale.
31-37 Poi quando intorno è spenta ogni al- no (recheran) tristezza e noia, e ciascuno nei (precorre) della festa della tua vita. Sii felice
tra luce (face = torcia), e tutto il resto (l’altro) suoi pensieri farà ritorno [: ciascuno penserà (godi), [o] mio fanciullo; codesta [età] è una
[del paese] tace, odi [: puoi udire; impersona- continuamente] al lavoro (al travaglio) con- condizione beata (stato soave), una stagione
le] il martello battere (picchiare), odi la sega sueto (usato). La felicità del sabato si defini- lieta. Non voglio (non vo’) dirti altro; ma non
del falegname (del legnaiuol), che sta sveglio sce in opposizione all’ansia che caratterizza ti dispiaccia (non ti sia grave) [il fatto] che la
(veglia) nella bottega chiusa, alla [luce della] invece la domenica, benché, d’altra parte, la tua festa [: la vita adulta] tardi ancora ad arri-
lucerna, e si affretta e si dà da fare (s’adopra) felicità del sabato stia tutta appunto nell’at- vare (a venir). La composizione si conclude
di terminare (fornir) il lavoro (l’opra) prima tesa della domenica. È un paradosso che con una malinconia tutta implicita, tenera-
della luce (anzi il chiarir) dell’alba. È un mo- prospetta allegoricamente il rapporto tra mente rivolgendosi a un ideale destinatario
mento successivo, che isola l’alacre tentati- giovinezza e vita adulta, infatti affrontato adolescente al quale si vorrebbe comunicare
vo del falegname di liberarsi del lavoro pri- nella strofa successiva e ultima. in anticipo l’inevitabile delusione della vita
ma di giorno, così di poter godere la dome- 43-51 Ragazzo (garzoncello) allegro rispetto alle attese giovanili e che però, al
nica senza pensieri. (scherzoso), codesta [tua] età fiorita [: in fio- tempo stesso, si vuole anche proteggere,
38-42 Questo [: il sabato] è il giorno più gra- re; cioè l’adolescenza] è come un giorno pie- finché è possibile, proprio da quella dolorosa
dito dei sette, pieno di speranze (speme) e di no di allegria [: cioè come il sabato], [come consapevolezza. Di qui la reticenza che con-
gioia: domani le ore [che avanzano] porteran- un] giorno chiaro, sereno, che viene prima clude il testo.
T9 DALLA COMPRENSIONE
ALL’INTERPRETAZIONE
COMPRENSIONE
Datazione e collocazione del testo Il sabato del villaggio Il piacere è nell’attesa La prima strofa rappresenta le
fu composto nel settembre del 1829, subito dopo La quiete varie attività che caratterizzano, in una cittadina, il sa-
dopo la tempesta (17-20 settembre 1829). Occupa il venticin- bato, concentrandosi in particolare sul momento del tra-
quesimo posto nella edizione definitiva dei Canti. Subito monto: una ragazza torna dalla campagna, e insieme
dopo, con Il pensiero dominante, si apre il “ciclo di Aspasia”. all’erba raccolta per lavoro porta i fiori con i quali si ador-
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Canti capitolo II 145
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nerà il giorno seguente, per la festa; una vecchietta chiac- superiorità dell’attesa sulla verifica, richiamando il tipico
chiera con le vicine; i bambini giocano con rumorosa alle- tema leopardiano del rapporto tra illusioni e realtà. La
gria; un contadino torna a casa fischiando. La seconda quarta e ultima strofa, infine, rivolge a un generico fan-
strofa allarga la descrizione fino alle ore notturne, segna- ciullo l’invito accorato a godere i piaceri della fanciul-
te dall’attività rumorosa di un falegname che vuole finire lezza, concentrata nell’attesa e nella speranza, lascian-
il lavoro prima della festa domenicale. La terza strofa di- do intendere che la vita non potrà comunque eguagliare il
chiara la superiorità del sabato sulla domenica, e cioè la piacere di quell’attesa.
analisi
La leggerezza metrico-formale Tanto le scelte me- giaca che ben si riscontra già nelle figure che popolano il
triche quanto quelle lessicali e stilistiche esprimono in componimento – la «donzelletta» (v. 1), la «vecchierella»
questo canto leggerezza, slancio, semplicità. A livello (v. 9), i «fanciulli» (v. 24), lo «zappatore» (v. 29), il «le-
metrico la prevalenza del ritmo endecasillabico, più gra- gnaiuol» (v. 34), il «garzoncello» (v. 43) – e in molti degli
ve e sostenuto, cede il passo ai numerosi settenari, spes- oggetti nominati – il «fascio dell’erba» (v. 3), il «mazzolin
so in serie. Ciò è particolarmente evidente ai vv. 20-27 di rose e di viole» (v. 4; Pascoli sottolineò – poco opportu-
(otto settenari di seguito), dedicati alla rappresentazione namente – l’incongruenza botanica per cui stanno nello
della gioia festiva e dei fanciulli che giocano. Nel com- stesso mazzo «rose di maggio e viole di marzo»), la «sca-
plesso del componimento il numero dei settenari egua- la» (v. 9), il «martel» e la «sega» (v. 33), la «bottega» e la
glia quasi quello degli endecasillabi (venticinque con- «lucerna» (v. 35). Anche la sintassi, infine, è per lo più
tro ventisei). Sul piano lessicale è esclusa qui la ricerca- piana e affabile, con un ricorso alle inversioni ridotto al
tezza ardua di altri canti a vantaggio di una umiltà ele- minimo.
interpretazione
Il non-detto tragico Alla leggerezza metrico-formale, suggerito dall’uso del termine «festa» (v. 50) per indicare
che esprime la felicità della festa, si affianca però un’om- la vita: «festa» come la domenica. L’ombra tragica resta vo-
bra, appena sfiorata e tuttavia decisiva per la comprensio- lutamente sfumata, e il poeta dichiara apertamente di non
ne del significato autentico del testo: alla gioiosa attesa, voler turbare le felici illusioni del «fanciullo»: «altro dirti
caratteristica del sabato, terrà dietro la disillusione non vo’» (v. 50). L’«altro» è appunto la delusione che grava
della domenica («diman tristezza e noia / recheran l’ore», sul futuro, smentendo nella vita adulta le speranze della
vv. 40-41). Quest’ombra tragica resta sullo sfondo, relega- giovinezza così come la domenica delude le attese del sa-
ta in una sfera di non-detto; e tuttavia, se all’attesa del sa- bato. Restando per una volta entro un tono leggero, Leo-
bato corrispondono le speranze della giovinezza (affidate pardi ha scelto qui di affidare alla reticenza e all’allusio-
ai personaggi della «donzelletta» e dei «fanciulli» della pri- ne quella denuncia solitamente ben esplicita e marcata
ma strofa), alla delusione della domenica corrisponde, nei suoi testi filosoficamente connotati; e non è detto che,
parallelamente, quella della vita adulta. La conclusione ben considerato il meccanismo della reticenza nel suo
del canto allude appunto a questo implicito parallelismo, complesso, l’effetto sia meno forte.
INTERPRETARE
3. Paragona la «donzelletta» a Silvia (T4, p. 120); sottoli-
nea analogie e differenze nelle due figure.
Il definitivo abbandono di Recanati, nel 1830, e l’impegnativo contatto con l’ambiente fiorentino
dei cattolici moderati dell’«Antologia», il presentarsi di nuove e intense esperienze esistenziali, so-
prattutto d’amore, infine il confronto negli anni napoletani con una tendenza culturale dominante
di tipo spiritualistico-regressivo; tutto un insieme insomma inedito e significativo di vicende
Un radicale spinse Leopardi, nei sei o sette anni conclusivi della propria vicenda biografica, a tentare un nuo-
rinnovamento
poetico
vo, radicale rinnovamento poetico. È una fase della sua scrittura a lungo trascurata e considerata
secondaria e involutiva; da alcuni decenni invece riscattata quale proposta ulteriore e modernissima
della poesia di Leopardi. Il rinnovamento riguarda tanto l’aspetto tematico quanto quello stili-
stico-formale.
Le direzioni della Sul piano tematico i testi di questo periodo si orientano in tre direzioni fondamentali: l’a-
ricerca leopardiana more quale passione concreta e vissuta (il “ciclo di Aspasia”), la riflessione filosofica in ottica dura-
tarda: l’amore, la
riflessione filosofica mente negativa e antiidealistica (soprattutto le canzoni sepolcrali e La ginestra), l’intervento ideo-
e politica logico-politico sia per rifiutare i miti moderati di progresso e di riforma sociale sia per avanzare una
personale proposta di solidarietà fondata sulla disillusione (soprattutto la Palinodia al marchese Gino
Capponi e La ginestra).
La metrica Sul piano formale, resiste la novità centrale della canzone libera, sperimentata tanto quale
strumento di massima incisività espressiva (come, per esempio, nel Pensiero dominante) quanto
quale veicolo di ampio e disteso procedere argomentativo (come nella Ginestra). Accanto alla can-
zone libera compaiono tentativi nuovi, come la brevissima A se stesso (metricamente consistente
Lo stile in una eccentrica canzone di un’unica stanza), o come i versi sciolti della Palinodia. Lo stile abban-
dona perlopiù ogni troppo scoperta movenza di canto, di effusione lirica, di abbandono sentimenta-
le, e definisce una nuova concentrazione espressiva fondata innanzitutto su un uso spesso estre-
mo della sintassi (con alternanza di periodi brevissimi, anche di una sola parola, e di periodi invece
interminabili, frutto di un accumulo concettuale e rappresentativo al limite della saturazione). An-
Il lessico che il lessico si apre a termini finora assenti dal repertorio leopardiano, capaci di aderire, magari sar-
casticamente, al nuovo orizzonte culturale del “progresso”, o di confrontarsi con una civiltà e con
una società concrete e presenti con i loro nomi specifici.
La nuova poetica Più in generale, la novità riguarda proprio la poetica leopardiana, come è stato dimostrato
leopardiana soprattutto da Binni. Alla valorizzazione del ricordo, della distanza e della vaghezza segue ora la
scelta del presente, del tangibile e della concretezza: ed è trasformazione che riguarda sia i temi
che i modi espressivi. O che parli d’amore o che si scagli contro i miti del progresso o contro l’ideali-
smo spiritualista, in ogni caso Leopardi si rappresenta nel vivo di un’esperienza coinvolgente; il che
Video • La poetica
dell’ultimo Leopardi resta vero anche nei casi più direttamente speculativi e teorici, le canzoni sepolcrali, nelle quali è la
(P. Cataldi) visione diretta e presente di effigi funebri a suscitare domande e ipotesi.
primo piano
Canti capitolo II 147
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13 Il “ciclo di Aspasia”
L’amore per Fanny Amettere inizialmente in moto il rinnovamento poetico leopardiano è l’esperienza dell’amore,
Targioni Tozzetti vissuta con intensità negli anni fiorentini tra il 1830 e il 1833. A suscitare la violenta passione del
poeta fu la bellissima Fanny Targioni Tozzetti, da lui amata senza essere ricambiato. La donna è
chiamata «Aspasia» solo nell’ultimo dei testi a lei dedicati. “Aspasia” è il nome di una prostituta
amata da Pericle; il significato «infamante» (Peruzzi) dal punto di vista etimologico (il termine si-
gnifica all’incirca ‘donna da letto’) ne rende in qualche modo impropria l’utilizzazione, ormai con-
sueta, per l’intero ciclo. Il quale si compone di cinque testi composti tra la primavera del 1831 e
quella del 1834.
Il pensiero dominan- Il più antico è con ogni probabilità Il pensiero dominante, ostinatamente dedicato a una defini-
te: l’esperienza eroi- zione e rappresentazione concettuale dell’esperienza amorosa. La forza e il significato dell’amore
ca e vivificante
dell’amore quale esperienza del soggetto hanno più rilevanza della stessa vicenda biografica da cui tale espe-
rienza si origina. E tuttavia è la concretezza del pensiero, cioè i suoi effetti e le sue conseguenze, a
T • Il pensiero interessare al poeta. La struttura e lo stile definiscono una originale ripresa del versante tragico
dominante dello Stilnovismo (Cavalcanti), benché il pensiero d’amore non venga rappresentato per ora in ter-
mini destabilizzanti ma piuttosto quale inesorabile rafforzamento (perfino eroico) dell’io, la cui di-
versità dal presente superbo e sciocco viene esaltata al massimo grado, con implicita condanna di
tutto ciò che esula dal cerchio vivificante dell’amore. Quest’ultimo si definisce come sfida estrema
alla negatività del mondo, di cui l’io rimane cosciente pur disponendosi a fare proprio il punto di vi-
sta vitalmente illusorio dell’amore.
Amore e Morte: le Il tema squisitamente romantico di Amore e Morte (forse dell’estate 1832) è affrontato con un
consolazioni degli originale rovesciamento dei pregiudizi comuni: la morte è raffigurata quale una «bellissima fanciul-
uomini
la» purché si abbia il coraggio di fissarla senza viltà, avvertendo il nesso profondo che la lega all’amo-
re. Ancora una volta l’esperienza radicale e privilegiata dell’amore si presenta quale antitesi al
«mondo sciocco» e quale unica consolazione, insieme appunto alla morte, concessa ai mali degli
uomini. L’augurio per chi sappia vivere con eroica passione è dunque di sperimentare l’uno o l’altro
dei due «fratelli», l’amore o la morte.
Consalvo, quasi una Consalvo presenta gli stessi temi di Amore e Morte, ma diversissima strutturazione formale. Si
novella romantica tratta di una narrazione in endecasillabi sciolti che risente in profondità della novella romantica
in versi
in versi, rappresentando in Consalvo la figura del poeta e in Elvira l’amata. Per Consalvo la morte
coincide con il primo e unico momento felice della vita. Informata infine dell’amore di cui è da tem-
po oggetto, la bellissima Elvira si decide infatti a coprire il volto dell’innamorato morente di baci pie-
tosi. La eccentricità rispetto agli altri testi del ciclo spinse Leopardi a dislocare il testo tra il grup-
po degli idilli e la canzone Alla sua donna, allontanandolo dalle composizioni cronologicamente e te-
maticamente affini.
La novità formale di Una novità formale di altissimo valore e di sconcertante modernità espressiva è invece il brevis-
A se stesso simo A se stesso (cfr. T10), composto probabilmente intorno al maggio 1833. Qui la forza e l’irrevoca-
bilità delle affermazioni supera il bisogno di sfogo in una condanna durissima della negatività
Video • A se stesso dell’esistenza, che sembra quasi rimandare a un dio del male che «a comun danno impera». È il te-
(P. Cataldi) ma dell’abbozzo dell’Inno ad Arimane progettato, e mai realizzato, in questo stesso periodo (cfr. S5,
p. 152). La fine dell’amore per Fanny coincide con una disillusione senza scampo riguardo al senso
dell’esistenza.
Aspasia: la fine Una rievocazione della vicenda dell’amore per Fanny è l’ultimo dei cinque canti del ciclo,
dell’illusione erotica
Aspasia (composto, pare, nella primavera del 1834). Qui è ricordato l’incontro con la donna, «dot-
ta allettatrice», puntando su pochi intensi elementi scenografici e psicologici. La riconquista della
propria integrità sentimentale, cioè la riuscita elaborazione del fallimento, viene quindi a oc-
Video • Il “ciclo di cupare il centro del canto, che si chiude rivendicando la solitaria libertà del soggetto al cospetto
Aspasia” (L. Blasucci) della realtà.
OPERA Composto forse nel maggio del 1833, A se stesso registra in presa diretta il momento della disillu-
Canti
sione. Ne consegue un invito disperato alla propria interiorità a non illudersi più, a disperare per
CONCETTI CHIAVE sempre che esista qualcosa nella realtà che sia degna della passione provata. Il disprezzo per la vi-
• espressioni
di dolore e di ta stessa prosegue tuttavia la linea già tracciata dai precedenti canti d’amore, benché il contrasto
negatività tra io e mondo assuma qui una configurazione tragica e negativa nuova.
• temi del La sintassi e la metrica cooperano nel definire uno stile nuovo, concentrato e incisivo: la presenza
pessimismo
leopardiano di energici periodi verbali e nominali, il dominio della paratassi, il tono sentenziante e apodittico, il
fonte vigore degli enjambements fanno di questa prova leopardiana un caso estremo di audacia speri-
G. Leopardi, Canti, cit. mentale, che guarda verso esiti addirittura novecenteschi. Per integrare l’analisi, può essere utile
leggere i brani critici proposti in S4, p. 151.
metrica endecasillabi e settenari liberamente alternati e rimati. [: smetterò di amare per sempre]. È morta (perì) l’ultima illusione
Può intendersi quale strofa unica di canzone libera o, secondo una (l’inganno estremo), che io avevo creduta (mi credei) eterna. È mor-
suggestiva lettura di Monteverdi, quale libero rifacimento del ma- ta. Sento bene [che] in me (in noi) è finito (spento) il desiderio di piace-
drigale, con struttura tripartita (cinque versi per sezione con sette- voli (cari) illusioni, oltre che (non che) la speranza.
nari sempre in prima e quarta posizione), conclusa da un endecasil- 6-10 Riposa per sempre. Hai battuto (palpitasti) [: hai amato] abba-
labo. stanza (assai). Nessuna cosa merita (val<e>) i tuoi sentimenti (moti =
movimenti), né la terra è degna di sospiri. La vita [è] amaro [: dolore] e
1-5 Ora avrai riposo (poserai) per sempre, [o] mio cuore stanco noia, [e non è] nulla altro mai; e il mondo è fango.
primo piano
Canti capitolo II 149
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T’acqueta omai. Dispera
L’ultima volta. Al gener nostro il fato
Non donò che il morire. Omai disprezza
Te, la natura, il brutto
15 Poter che, ascoso, a comun danno impera,
E l’infinita vanità del tutto.
11-16 Ormai càlmati (t’acqueta). Perdi de- (a comun danno), e la infinita inutilità (vani- così indifferente a tutto da non provare né
finitivamente ogni speranza (dispera l’ulti- tà) di tutto. Dispera l’ultima volta: l’espres- speranze né disperazione)’. Il brutto po-
ma volta). Al nostro genere [: agli uomini] il sione può essere interpretata secondo di- ter…impera: questo rimando quasi blasfe-
fato non ha concesso (non donò) [altro] che verse sfumature: ‘perdi definitivamente mo a una sorta di divinità negativa, il cui po-
la morte (il morire; infinito sostantivato). Or- ogni speranza’, ‘fa’ in modo che questa disil- tere sull’universo si esplica nascostamente a
mai disprezza [: imperativo] te [stesso], la na- lusione sia l’ultima che tu provi (cioè: non il- danno di tutti gli esseri, rimanda all’abbozzo
tura, il cattivo (brutto) potere che, nascosto luderti più, non innamorarti in futuro, ecc.)’, dell’Inno ad Arimane (cfr. S5, p. 152), all’in-
(ascoso), governa (impera) per il male di tutti ‘smetti in futuro di disperarti (cioè: diventa circa dello stesso periodo.
analisi
I suoni e le forme del dolore e della denuncia Il dolore «poserai»/«Posa» vv. 1 e 6, «sempre» vv. 1 e 6, «Perì» vv. 2 e 3,
penetra nei suoni di questo testo a partire dalla ripetizione, «inganno»/«inganni» vv. 2 e 4, «omai» vv. 11 e 13. Vi sono poi
ben cinque volte in sedici versi, del gruppo /ai/ (con valore di altre figure di allitterazioni, soprattutto in posizioni chiave,
interiezione dolorosa: “ahi!”): «poserAI» v. 1, «assAI» v. 6, come nel primo periodetto, aperto e chiuso dal gruppo /or/
«mAI» v. 10, «omAI» vv. 11 e 13. Fitta è poi la serie di termini («OR… cOR»). Un valore esplicito di denuncia hanno poi, ol-
con valore radicale di rottura o di inesorabilità: «sempre» tre che le affermazioni dei terribili vv. 7-10, le insistenti ne-
vv. 1 e 6, «estremo» v. 2, «eterno» v.3, «spento» v. 5, «per sem- gazioni che con varia funzione attraversano il testo («non»:
pre» v. 6, «nessuna» v. 7, «mai» e «nulla» v. 10, «omai» vv. 11 e vv. 5, 7, 13; «nessuna»: v. 7, «né»: v. 8; «nulla»: v. 10) e le vio-
13, «l’ultima volta» v. 12, «morire» v. 13, «tutto» v. 16. C’è poi lente rime conclusive: «dispera» : «impera» (rafforzata
l’insistenza sui medesimi termini, con varie ripetizioni: dall’assonanza «disprezza») e «brutto» : «tutto».
primo piano
Canti capitolo II 151
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E S4
to, così scevro di civetteria del dolore, che non può non pro- che poesia, una notazione di sentimenti o di propositi, che
durre (e sempre ha prodotto) profonda impressione e ispira- non vanno oltre la cerchia dell’individuo.
to una sorta di riverenza. Ma non è da disconoscere, d’altra
parte, che in questi come in altri casi simili si ha, piuttosto B. Croce, Leopardi, in «La Critica», 20 luglio 1922.
S5 materiali e documenti
Ad Arimane. L’abbozzo di un canto non scritto
Il modo di lavorare di Leopardi escludeva la stesura “ispirata” e cristiana nella bontà del mondo e del creato, Leopardi contrap-
a caldo. Egli piuttosto stendeva, in genere, prima un abbozzo pone questa protesta disperata e aggressiva, al limite della be-
in prosa, cui far seguire, dopo un certo distanziamento tempo- stemmia. Si tratta dunque di un testo terribile per la durezza
rale, la versificazione. In alcuni casi gli abbozzi sono giunti fino con cui viene denunciata la reale natura della condizione uma-
a noi, come per questo progettato inno Ad Arimane, poi non na e la irreversibilità di questa condizione. Il male non è un “in-
versificato, che è tematicamente affine ad A se stesso e risale cidente di percorso” nella rettilinea traiettoria della storia, ma
allo stesso periodo (è comunque anteriore al giugno del 1833, è ontologico. Tanto più “deliranti” appaiono dunque i tentativi
data in cui Leopardi avrebbe compiuto quei trentacinque anni di chi vorrebbe cambiare «ordini», nella vana ricerca di miglio-
che egli esplicitamente chiede ad Arimane di non compiere ramenti impossibili (è qui ripresa la polemica contro i falsi miti
mai). di chi ancora crede nelle «magnifiche sorti e progressive»
L’intenzione di dedicare un inno ad Arimane, dio persiano del dell’umanità).
male, costituisce la rivendicazione della malvagità dominante L’abbozzo riportato si apre con quattro versi già stesi: tre ende-
nell’universo e sulla terra (Arimane è infatti qui proclamato casillabi e un settenario, con avvio quasi certo della tipica can-
«autor del mondo», cioè suo creatore). Alla fiducia idealistica o zone libera leopardiana. Segue una rapida annotazione in pro-
1 Re delle cose: si tratta di Arimane; nel 8 Vecchiezza...amore: è questo il desti- umani erano frutto dell’invidia degli dei (è
parsismo, religione fondata da Zarathustra no che implacabilmente attende ogni uo- lo fthónos theõn della tragedia greca), ge-
(VI secolo a.C.?), esistono due princìpi divi- mo: invecchiare (e la vecchiaia è già, in sé, losi e vendicativi nemici degli uomini.
ni in eterno conflitto tra loro: un principio un male) tra tedio, sofferenza e disperazio- 14 Animali...Nume pietoso ec.: Mentre
buono, Ahura Mazda (Ormuzd), e uno mal- ne. Osserva quanta efficacia riepilogativa è sufficientemente chiara l’allusione conte-
vagio, Arimane (Ahriman). Quest’ultimo è assuma la parola «amore» posta dopo i nuta nella prima affermazione (alcuni ani-
dunque il dio del male, responsabile di ogni due punti. mali sembrano essere stati creati solo per
male storico. «Non prevedendo l’opposi- 9 Fato, natura e Dio: sono i diversi nomi alimentarne altri, in una catena cieca di vi-
zione di Arimane ad alcun Ormuzd [...], la con cui i popoli civilizzati chiamano Arima- ta e morte), gli altri due spunti («Serpente
concezione professata da Leopardi assu- ne. Ma al di là di questo nominalismo occa- boa. Nume [Dio] pietoso») sono troppo
me [...] il carattere di un nero monismo» sionale resta il dato sostanziale: il mondo è frammentari per indicare come Leopardi
(M.A. Rigoni). governato da Arimane, cioè dal male. intendesse svilupparli.
2 Arcana: Misteriosa; le ragioni del male 10 Tu dai gli ardori e i ghiacci: risuona in 15 travagliarci: tormentarci.
sono al di là della capacità di comprensione queste parole l’eco di alcune affermazioni 16 Perché...nostro passato ec.?: un
umana. del Dialogo della natura e di un Islandese mondo interamente dominato dal male
3 reggitor del moto: Arimane governa (cfr. cap. I, T6, p. 45). Insomma, la natura, sarebbe forse più sopportabile di uno in cui
ogni movimento, è la causa prima di ogni che parla il linguaggio di Arimane, «Madre è possibile godere di qualche «apparenza
vicenda umana e cosmica. è di parto e di voler matrigna» (cfr. T12, La di piacere», tra cui va certamente annove-
4 questo: quanto detto nei pochi versi ginestra, v. 125, p. 161). rato l’amore. La disillusione che segue alla
precedenti. 11 l’opra: l’opera. cessazione di questi momentanei e illusori
5 per uccider partorisce: cfr. T11, Sopra 12 Taccio le tempeste...sarà oppresso piaceri non fa che rendere più cocente il
un bassorilievo antico sepolcrale, vv. 46-7: ec. ec.: i doni di Arimane altro non sono dolore. La dimensione della «ricordanza»,
«Natura, illaudabil maraviglia, / che per uc- che mali terribili che causano devastazione così tipicamente leopardiana, è qui asso-
cider partorisci e nutri», p. 155. e morte (tempeste, pestilenze, caldo e ciata al “travaglio”. Ricordare, confrontare
6 patimen.: patimento, sofferenza. Il «si- freddo insopportabili). Se il mondo è in- il presente con il «tempo nostro passato»,
stema del mondo» è incardinato sulla sof- trinsecamente malvagio, perché è espres- significa soffrire.
ferenza, ma una sofferenza vuota, gratui- sione di un dio oscuro, è veramente un “de- 17 Io non so...Ma io non mi rassegne-
ta, senza alcuna speranza di riscatto cri- lirio” quello di chi spera in un nuovo ordine rò, ec.: la lode che si addice ad Arimane è
stiano in un aldilà che dia senso al male pa- positivo e giusto. L’opera di Arimane non il pianto, la prova che gli uomini soffrono
tito. può essere modificata, l’inganno avrà sem- e che dunque il suo ordine malvagio
7 Natura...il fatto: La Natura è come un pre la meglio sulla lealtà, la temerarietà trionfa. Ma pur nella consapevolezza di
bambino [capriccioso] che, annoiato di quel- sulla moderazione (nota la disposizione questo trionfo, Leopardi, con l’atteggia-
lo che ha appena fatto, lo distrugge subito. chiastica dei termini «ardimento», «ingan- mento agonistico che tante altre volte
Ancora un accenno alla gratuità e insensa- no», «sincerità», «modestia»), una casuali- abbiamo incontrato nei Canti, nega il suo
tezza del male, condotto questa volta at- tà capricciosa prevarrà sul merito, che non personale tributo di pianto ad Arimane;
traverso una similitudine. Lo stesso motivo riuscirà mai a imporsi. È questo il trionfo di egli continuerà a lottare, senza rasse-
ritorna nella Palinodia al Marchese Gino Arimane. gnarsi mai.
Capponi, ai versi 154-164. 13 Invidia...uomini: per gli antichi i mali
E
primo piano
Canti capitolo II 153
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E S5
passi il 7° lustro.18 Io sono stato, vivendo, il tuo maggior pre- (non ti chiedo ricchezze ec. non amore, sola causa degna di
dicatore ec. l’apostolo della tua religione.19 Ricompensami. vivere ec.).20 Non posso, non posso più della vita.
Non ti chiedo nessuno di quelli che il mondo chiama beni: ti
chiedo quello che è creduto il massimo de’ mali, la morte G. Leopardi, Poesie e prose, vol. I, a cura di M.A. Rigoni, Mondadori, Milano 1990.
18 concedimi ch’io non passi il 7° lustro: timentali e culturali, con cui gli uomini cer- gior predicatore» di Arimane.
concedimi che io non superi i trentacinque anni. cano di sottrarsi alla signoria di Arimane. 20 Non ti chiedo...degna di vivere ec.:
19 Io sono stato...l’apostolo della tua La denuncia del «brutto / poter che, asco- l’unica cosa che Leopardi chiede ad Arima-
religione: Leopardi ha sempre demistifica- so, a comun danno impera» (cfr. T10, A se ne è di morire presto, dal momento che so-
to gli autoinganni, individuali e sociali, sen- stesso, v. 15, p. 149) fa di Leopardi il «mag- lo la morte può porre fine alla sofferenza.
14 Le canzoni sepolcrali
Dalla soggettività Quanto nelle canzoni d’amore domina il coinvolgimento emotivo, tanto in quelle successive è ten-
dell’amore tato un esercizio di distacco e di obiettività. Accanto a testi di più diretto impegno ideologico-politi-
all’oggettività della
riflessione sulla co, come la Palinodia e la Ginestra, si collocano le due canzoni sepolcrali, composte probabilmen-
morte te tra il 1834 e il 1835, a Napoli.
Entrambe affrontano il tema della morte, con una ripresa del precedente foscoliano dei Sepol-
Una riflessione sulla cri e di una tradizione tematica assai diffusa nel periodo neoclassico e preromantico. I testi leopar-
morte come lutto e diani si distinguono però per un più vivo senso della caducità e della perdita, le quali vengono
come tragedia
senza significato rappresentate senza alcuna prospettiva di possibile riscatto, né umanistico come in Foscolo né reli-
gioso come in tanta poesia sepolcrale preromantica. La morte riacquista in Leopardi la dimensione
tragica del lutto che è presente in certi scrittori classici. L’esperienza della perdita diviene l’occasio-
ne per interrogare energicamente l’intera vicenda umana, sottoponendo a una verifica esistenziale
la condizione dei viventi. Vengono in tal modo coinvolti nell’analisi tutti i grandi temi già spe-
rimentati dalla ricerca leopardiana: la natura, il piacere, il dolore, il senso dell’esistenza.
Sopra un Le due canzoni sepolcrali sono per molti aspetti testi gemelli, condividendo il tema e la disposi-
bassorilievo antico zione dilemmatica della ricerca. Sopra un bassorilievo antico sepolcrale, dove una giovane morta è rap-
sepolcrale: gli affetti
e la perdita presentata in atto di partire, accomiatandosi dai suoi (cfr. T11) s’interroga sul senso della morte, con-
siderata a partire dal caso esemplare di una giovane donna. Posta materialisticamente per certa l’in-
terruzione di ogni forma di vita e dunque l’irreparabilità della fine, non è tuttavia possibile accerta-
re se morire sia sorte peggiore che vivere; mentre certamente preferibile appare la condizione di
chi muore confrontata a quella dei suoi cari, che sperimentano la perdita. Due, le accuse rivolte alla
natura e alla condizione umana: aver reso la morte orribile e temuta agli occhi umani; aver voluto e
previsto la perdita delle persone care, evento intollerabile, che viene a spezzare quei legami attraver-
so i quali l’uomo riesce faticosamente a dare senso a una vita che in sé mostra di esserne priva.
Sopra il ritratto di Sopra il ritratto di una bella donna scolpito nel monumento sepolcrale della medesima si sofferma
una bella donna: sul contrasto tra la bellezza della donna quale è ritratta sulla lapide funebre e l’orrore della sua
bellezza e
distruzione condizione ora che, morta, si va decomponendo nella tomba. La condizione materiale dell’uomo
determina dunque una contraddizione dolorosa tra la sensibilità acutissima alla bellezza e agli altri
valori umanamente condivisi, e la loro fragilità e deperibilità: la natura corporea dell’uomo ne mor-
tifica senza speranza le aspirazioni più nobili, svelandone il debole fondamento.
Commozione e In entrambe la canzoni si affiancano ingredienti appassionati e partecipi, commossi e vi-
distacco branti, da una parte, e un tono distaccato e perfino sarcastico, dall’altra. L’interrogarsi dolente
non esclude un falsetto e una leggerezza che implicano la consapevolezza di parlare di questioni es-
senziali dal limitatissimo punto di vista dell’esperienza umana: il tema impegnato rifiuta il linguag-
gio dell’assoluto e sceglie di affidarsi a un’alternanza di interrogazioni o dilemmi trepidanti e di ri-
sposte desolate e secche; la pietà si riversa sulle domande e rifugge dalle risposte, improntate al-
la sconsolata ipotesi pessimistica che sta al fondo del sistema leopardiano.
metrica canzone libera con molte rime e cato stesso dell’esistenza umana, conside- 18-26 La morte ti chiama; l’ultimo istante
assonanze, anche al mezzo. rata nel momento risolutivo del trapasso. [di vita, arrivato] al cominciare del giorno
8-17 [Hai] gli occhi (il ciglio) asciutti [: non [: nella giovinezza]. Alla casa (nido; metafo-
1-7 Dove vai? chi ti chiama lontano (lunge) piangi] e [sei] coraggiosa (animosa) nell’at- ra) da cui (onde) ti allontani (ti parti) non tor-
dai tuoi famigliari (cari), [o] bellissima fanciul- teggiamento (in atto), ma tuttavia (pur) tu nerai. Lasci per sempre la vista (l’aspetto) dei
la (donzella)? Abbandoni da sola [e] così pre- sei triste (mesta). Da quel tuo aspetto serio tuoi amati (dolci) genitori (parenti). Il luogo
sto (sì per tempo), per un viaggio sconosciuto (grave) non (mal) s’indovina [se] la via [che verso cui vai (a cui movi) è sottoterra: lì (ivi)
(peregrinando), la casa (il…tetto; sineddo- percorri] sia piacevole (grata) o spiacevole, sarà (fia) per sempre (d’ogni tempo) il tuo
che) paterna (patrio)? tornerai tu a queste [se] il luogo (il ricetto) verso (a) cui ti dirigi soggiorno. Forse sei beata; ma tuttavia (pur)
porte (soglie)? un giorno renderai (farai) tu (movi) [sia] triste o gioioso (giocondo). Ahi chi guarda (mira) al tuo destino sospira pen-
lieti costoro (questi) [: i famigliari] che oggi ti ahi, e non potrei neppure (né già potria) sta- sando tra sé (seco). Le quattro domande de-
stanno (son) intorno piangendo? Le cinque bilire (fermare) io stesso dentro di me (in me), cisive della prima strofe (le prime due e le ul-
domande che aprono il canto suggeriscono né forse si è ancora riusciti a capire (s’intese time due) trovano qui, tutte, la risposta, ed è
il soggetto rappresentato nel bassorilievo: ancor), se tu [debba] essere considerata (no- una risposta senza speranza. I due versi con-
una bella giovane che si allontana dalla casa mata = detta) maledetta (in disfavore) o ca- clusivi di questa strofe prospettano d’altra
paterna, dove i famigliari restano piangen- ra al cielo, se tu debba [essere considerata] parte il contrasto tra possibile felicità di chi
do; e l’immagine allude alla morte della fan- sventurata (misera) o fortunata. Il mistero muore e sofferenza certa di chi resta, tema
ciulla. D’altra parte le domande riguardano della morte riguarda tanto l’atteggiamento centrale già nel Dialogo di Plotino e di Porfi-
anche il mistero della morte, e il suo possibi- della donna ritratta nel bassorilievo quanto, rio.
le riscatto: le prime due (dove? chi?) alludo- più in generale, le idee del poeta e dell’uma- 27-43 Non vedere mai la luce [: non nasce-
no al mistero della morte in se stesso, le ulti- nità tutta. Questa seconda strofa ha la fun- re] sarebbe stato (era), credo, la cosa miglio-
me due (tornerai? farai lieti?) alludono inve- zione di sospendere le domande della pri- re. Ma [una volta] nata [: riferito alla fanciulla
ce alla possibile sopravvivenza dell’anima. A ma, prolungandone la durata verso le rispo- morta], sparire (dileguarsi) così quasi non
essere posto in questione è dunque il signifi- ste sconsolate offerte dalla terza strofa. [ancora] apparsa (sorta), come una nebbia
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Canti capitolo II 155
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35 I lúgubri suoi lampi il ver baleni; Questa sensibil prole!
Come vapore in nuvoletta accolto Piacqueti che delusa
Sotto forme fugaci all’orizzonte, Fosse ancor dalla vita
Dileguarsi così quasi non sorta, 60 La speme giovanil; piena d’affanni
E cangiar con gli oscuri L’onda degli anni; ai mali unico schermo
40 Silenzi della tomba i dì futuri, La morte; e questa inevitabil segno,
Questo se all’intelletto Questa, immutata legge
Appar felice, invade Ponesti all’uman corso. Ahi perché dopo
D’alta pietade ai più costanti il petto. 65 Le travagliose strade, almen la meta
Non ci prescriver lieta? anzi colei
Madre temuta e pianta Che per certo futura
45 Dal nascer già dell’animal famiglia, Portiam sempre, vivendo, innanzi all’alma,
Natura, illaudabil maraviglia, Colei che i nostri danni
Che per uccider partorisci e nutri, 70 Ebber solo conforto,
Se danno è del mortale Velar di neri panni,
Immaturo perir, come il consenti Cinger d’ombra sì trista,
50 In quei capi innocenti? E spaventoso in vista
Se ben, perché funesta, Più d’ogni flutto dimostrarci il porto?
Perché sovra ogni male,
A chi si parte, a chi rimane in vita, 75 Già se sventura è questo
Inconsolabil fai tal dipartita? Morir che tu destini
A tutti noi che senza colpa, ignari,
55 Misera ovunque miri, Né volontari al vivere abbandoni,
Misera onde si volga, ove ricorra, Certo ha chi more invidiabil sorte
(vapore) raccolta in una nuvoletta con (sot- vinti che si tratti di una sorte fortunata’. bile alla vita (corso) umana. Ahi, perché dopo
to) forme fuggevoli (fugaci) all’orizzonte, e 44-54 [O] natura, madre temuta e pianta il percorso doloroso (le travagliose strade)
scambiare (cangiar) i giorni (i dì) futuri [: la vi- [: che provoca paure e dolori] fin (già) dall’ori- [della vita] non [hai voluto] stabilirci (non ci
ta da vivere] con i silenzi della tomba oscura gine (dal nascer) degli esseri viventi (dell’ani- prescriver) lieta almeno la meta? E invece
(oscuri; riferito a «silenzi» è ipallage), quan- mal famiglia), portento indegno di lode (illau- (anzi) [hai voluto] ricoprire (velar) di vesti
do (al tempo che) la bellezza si manifesta (si dabil meraviglia), che partorisci e nutri [i vi- (panni) nere e circondare (cinger) di un’om-
dispiega) regalmente (reina) nel corpo (nelle venti] per uccider[li], se il morire prematuro bra così luttuosa (trista) colei [: la morte] che
membra) e nel volto, e il mondo incomincia a (immaturo perir) degli uomini (del mortale) è con certezza (per certo) portiamo sempre, vi-
inchinarsi (ad atterrarsi) davanti a lei (verso un male (danno), come consenti [che] ciò (il) vendo, davanti (innanzi) all’anima (all’alma)
lei) di lontano; nel momento in cui fioriscono [avvenga] in quegli individui (capi = teste) in- [quale cosa] futura, colei che i nostri dolori
tutte le speranze (in sul fiorir d’ogni speran- nocenti [che muoiono giovani]? Se [la morte (danni) ebbero [quale] unica consolazione
za), e molto prima che il vero faccia balenare prematura è un] bene, perché rendi (fai) fune- (solo conforto), e mostrarci (dimostrarci)
(baleni; ) i suoi lampi funebri (lúgubri) davan- sto tale distacco (dipartita = partenza) [: la spaventoso a vedersi (in vista) il porto [: la
ti (incontro) al [tuo] volto (fronte; sineddo- morte], perché [lo rendi] inconsolabile più (so- morte] più di ogni tempesta (flutto = onda
che) allegro (festosa); questo se appare [un vra = sopra) di ogni [altro] male, per (a) chi se marina)? Prosegue l’accusa rivolta alla natu-
evento] felice all’intelletto, [tuttavia] riempie ne va (si parte) [: muore]; per chi rimane in vi- ra: infelice in ogni suo passaggio, la vita
(invade) [anche] ai più coraggiosi (costanti) il ta? La critica rivolta alla natura riprende un umana non è neppure consolata dall’idea
petto di profonda (alta) pietà. Assai comples- tema centrale nella riflessione leopardiana, della morte, che priva di ogni sofferenza i vi-
sa è la struttura sintattica di questa strofe: a con un procedere argomentativo costruito su venti: da sempre gli uomini temono la morte
un periodo brevissimo (vv. 27 sg.), di valore due possibilità (vv. 48-50 e 51-54), entrambe più ancora di quella vita, per quanto doloro-
lapidario (non nascere è meglio che nasce- atte a dimostrare la crudeltà della natura. sa, dalla quale la morte li deve liberare. L’al-
re), segue un’articolata riflessione appassio- 55-74 Questa stirpe (prole) sensibile [: l’u- legoria del porto per indicare la meta della
natamente umana, quasi carezzando un’ec- manità] [è] infelice (misera) dovunque guardi vita umana, paragonata implicitamente a
cezione a quella regola generale in nome (miri), infelice da qualunque parte si giri (on- una navigazione (così che i flutti rappresen-
della quale la strofe si apre. Si tenga in ogni de si volga), ovunque (ove = dove) cerchi tano le difficoltà della vita), assai diffusa nel-
caso presente che il «Ma nata» del v. 28 si conforto (ricorra)! Hai voluto (piacqueti) [: ri- la tradizione poetica è di solito inserita in un
collega al «dileguarsi» del v. 38. Il senso è: volto alla natura] che le speranze giovanili contesto cristiano: il porto rappresenta la
‘non nascere è meglio che nascere, sì: ma, fossero deluse dalla vita stessa (ancor); [che] salvezza dell’anima dopo la morte. Leopardi
una volta nati, morire proprio nel pieno della l’avanzare (l’onda; metafora) degli anni [fos- rovescia qui tale tradizione.
giovinezza, quando la vita dà i suoi doni mi- se] pieno di sofferenze (d’affanni); [che] l’uni- 75-109 Se è già una sventura questo morire
gliori e non si è ancora avuto modo di perce- ca difesa (schermo) dai mali [fosse] la morte; che tu [: la natura] destini a tutti noi [uomini]
pire il triste vero, è un destino che impietosi- e questa ponesti [quale] meta (segno) inevi- che senza colpa, ignari e non desiderosi (né
sce, anche qualora si sia razionalmente con- tabile, questa [ponesti quale] legge immuta- volontari) [di essere venuti al mondo] abban-
doni a vivere [: fai nascere senza poi curarte- co, [di strappare] il fratello al fratello, i figli (la spira. E tornano dunque – ma con un di più di
ne], certo chi muore ha una sorte invidiabile ri- prole) al genitore, all’amante colui che ama passione e di sdegno – le domande che han-
spetto a (a) colui che sperimenta (sente) la (l’amore): e morto (estinto) l’uno, conservare no aperto il canto, occupandone la prima
morte dei suoi cari. Dato che se in verità (nel in vita l’altro? Come hai potuto (potesti) fare strofe. Tuttavia sopravviene infine una con-
vero) vivere è una sventura, morire un dono necessario tra noi [uomini] un dolore così gran- clusione secca e dura, che dichiara insensate
(grazia), come io credo (estimo) con fermezza de (tanto), [il fatto] che un essere umano (il le richieste di spiegazione rivolte alla natura:
(per fermo), [tuttavia] chi mai però potrebbe mortal) sopravviva a un [altro] essere umano questa infatti non tiene in alcuna considera-
– ciò (quel) che pure si dovrebbe – desiderare continuando ad amarlo (amando)? Ma da zione il bene o il male degli uomini, cioè la lo-
(desiar) la morte (il giorno estremo) dei pro- [parte della] natura nei suoi atti si bada (si cu- ro felicità o infelicità. Lo scenario dell’esi-
pri (suoi) cari, così da (per) dover egli rimanere ra) ad altro che al nostro male o al nostro be- stenza umana assume così i tratti inquietanti
[come] privo (scemo) di se stesso, vedere por- ne. In questa lunga strofe conclusiva la rap- di un universo senza senso, occupato dalla
tar (levar) via dalla porta (d’in su la soglia) [di presentazione dell’infelicità umana, accre- casualità e dal dolore. Chi però…dovrebbe:
casa] la persona amata (diletta) con cui (con sciuta dalla separazione tra congiunti che la si dovrebbe desiderare che le persone care
chi) avrà passato insieme molti anni, e dire a morte rende inevitabile, diviene a poco a po- muoiano, dato che la morte è una liberazio-
quella addio senza nessuna (altra) speranza di co più appassionata, trasformando la prote- ne dai mali; e tuttavia ciò non è possibile, per
rincontrarla ancora nel mondo (per la mon- sta del poeta contro il destino voluto dalla le ragioni già considerate nel Dialogo di Ploti-
dana via); poi abbandonato da solo (solitario) natura per l’umanità in un dolente sguardo di nio e di Porfirio: si insiste qui su quel contrasto
sulla terra, guardando[si] attorno, nelle ore e pietà per gli esseri umani che soffrono. In tra «intelletto» e sentimenti già rilevato ai vv.
nei luoghi consueti (usati) ricordare (rimemo- questa prospettiva, la morte appare doloro- 41-43. Scemo…stesso: chi assiste alla morte
rar) la passata (scorsa) compagnia [di chi ora sa soprattutto per i superstiti, che vengono di una persona cara resta come privo di sé in
è morto]? O natura, come, ahi come hai il co- privati dell’affetto dei propri cari senza alcu- quanto con chi muore perde tutta una parte
raggio (il cor ti soffre = il [tuo] cuore ha la for- na speranza fondata di risarcimento, proprio del proprio mondo affettivo e della propria
za) di strappare l’amico dalle braccia dell’ami- come accade nel bassorilievo cui il canto s’i- identità.
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Canti capitolo II 157
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analisi
Il significato dei suoni Il significato dei testi poetici si infine la rima «natura»:«si cura» ai vv. 107-109 suggella l’in-
definisce anche per mezzo della loro superficie fonica. Ciò differenza della natura al destino degli uomini; e si noti an-
può riguardare l’impiego di fenomeni tradizionali e appari- che che la desinenza -ura ritorna altre volte nel testo, tan-
scenti come la rima; oppure la presenza di fenomeni più im- to, ovviamente, le altre due volte in cui si presenta il voca-
pliciti e nascosti. In questo testo le rime non hanno una bolo “natura” (vv. 46 e 98), quanto, per esempio, ad aper-
posizione obbligata, come sempre nella canzone libera; e tura dell’ultima strofa nel non casuale sostantivo «sventu-
dunque le rime presenti, a volte in fine di verso e a volte in- ra» (vv. 75 e 83).
terne, hanno a maggior ragione un valore anche semanti- Quale esempio di fenomeno fonico più segreto e sottile può
co. Qualche esempio: la rima «intelletto»:«petto» ai vv. 41- essere segnalata la ricorrenza del gruppo /ai/ nella prima
43 sottolinea la contrapposizione tra i due termini, raffor- strofe (vAI, dAI, tornerAI, farAI), rafforzato dall’assonanza
zando quanto affermato esplicitamente; la rima su /a/ ed /i/ di cArI. È in tal modo anticipata l’esclamazione
«mortale»:«male» ai vv. 48-52 conferma la necessità del do- di dolore del v. 13 («Ahi ahi»), ripresa poi anche al v. 64 (do-
lore umano; la rima «affanni»:«anni» ai vv. 60 sg. lega con ve giunge anticipata da affAnnI, AnnI, AI mAlI, inevitAbIl)
più forza il concetto di dolore al trascorrere stesso della vita; e al v. 98 (anticipata questa volta da AI e da usAtI).
interpretazione
La morte senza riscatto secondo il materialista Leopar- lano, a un’analisi stringente e spregiudicata, causa di dolore
di Il tema di questo canto è analogo a quello affrontato da e nient’altro. La morte, oggetto tra i più frequenti dell’arte
Foscolo nei Sepolcri: il significato della morte. Analoga è di tutti i tempi, è qui considerata, eccezionalmente, nella
anche la prospettiva materialistica da cui muovono i due prospettiva tutta umana del dolore e della perdita, senza ce-
poeti. Tuttavia Foscolo reagisce alla mancanza di senso dere a tentazioni consolatorie di risarcimento. In pochi altri
della morte materialisticamente intesa proponendo un testi è possibile riscontrare una rappresentazione altrettan-
sistema di valori di tipo umanistico, fondato sulla civil- to umana e appassionata del lutto, accompagnata da una ri-
tà e sulla virtù, anziché sulla fede e sulla trascendenza. Leo- sentita protesta contro la natura che ha reso necessario
pardi, al contrario, prospetta qui una visione sconsolata un meccanismo così doloroso.
della morte e dell’esistenza umana. L’una e l’altra si rive-
Joseph Weight of
Derby, Il Vesuvio
visto da Posillipo,
1788 circa. New
Haven
(Connecticut),
Yale Center for
British Art.
primo piano
Canti capitolo II 159
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Palinodia al La Palinodia al marchese Gino Capponi, composta al principio del 1835, ricorre al modello pari-
marchese Gino niano degli endecasillabi sciolti e della satira fondata sull’antifrasi. Fingendo di essersi pentito del
Capponi (1835):
contro i miti dei proprio pessimismo e di aderire ai miti dei progressisti moderati fiorentini (dei quali il Capponi è un
moderati fiorentini esponente di spicco), in realtà Leopardi deride la fiducia di questi ultimi, mettendone in risalto tan-
to la superficialità quanto la infondatezza. I miti del progresso, della perfettibilità indefinita
dell’uomo, delle nuove scienze (come la statistica) sono ridotti a fragili illusioni salottiere, a
scambio di idee senza costrutto tra privilegiati frequentatori di caffè e oziosi lettori di giornali, espo-
nenti di un mondo borghese che non sa discernere il puro accumulo di beni materiali e di possibilità
tecniche dalla concreta individuale condizione degli individui (che resta la sofferenza). Il messaggio
conferma infine la sostanziale infelicità della condizione umana e la incorreggibile cattiveria
dell’uomo nella sua dimensione sociale.
Il tramonto della Il tramonto della luna resuscita per l’ultima volta lo scenario idillico di un paesaggio lunare mes-
luna: i ritmi della so a confronto con il destino individuale dell’uomo. L’ultima luna leopardiana è una luna che tra-
natura e quelli
dell’individuo monta, lasciando deserto e oscuro il cielo notturno. Così passa dalla vita dell’uomo la giovinezza.
Mentre però il paesaggio naturale è inserito dentro un ritmo circolare che vedrà presto affacciarsi il
sole, la vita umana è invece destinata, una volta passata la giovinezza, a inabissarsi verso il buio della
vecchiaia, avendo quale unica meta il termine squallido e insensato della morte. La grande similitu-
dine tra scenario naturale ed esperienza umana si configura dunque come una mesta allegoria, vol-
ta a definire l’asimmetria tra i ritmi naturali e quelli individuali, così da lanciare una definitiva valu-
tazione pessimistica intorno al senso della vita umana.
La ginestra, o il fiore Con La ginestra, o il fiore del deserto (cfr. T12), composta a Torre del Greco, nei pressi di Napoli, nella
del deserto (1836):
un grande testo sul
primavera del 1836, Leopardi consegna quello che può in qualche modo essere considerato il suo te-
senso della vita e sul stamento ideale, nonché un testo che per complessità e vastità d’orizzonti può essere paragonato, tra i
destino dell’uomo contemporanei, solo ai Sepolcri foscoliani, e che, quanto a tenuta formale e a tensione intellettuale, tro-
va l’eguale solo nel lontano modello della poesia dantesca. Le sette parti strofiche in cui i 317 versi so-
no distribuiti (con una lunghezza ineguagliata negli altri testi dei Canti) si soffermano su un complesso
tessuto problematico, che affianca una ricognizione esistenziale intorno al senso e al destino dell’uo-
mo a una discussione serrata e vivace con le posizioni ideologiche dominanti, fino ad avanzare una pro-
posta sociale fondata sull’alleanza tra gli uomini e su un modello equo e solidale di società.
Il desolato Il paesaggio desolato del Vesuvio è il luogo-simbolo della condizione umana sulla terra, e con-
paesaggio sente di smentire ogni facile ottimismo consolatorio. Su questa considerazione si innesta la critica,
vesuviano e i limiti
materiali della condotta con acuto disprezzo, verso le tendenze filosofiche dominanti negli anni della Re-
condizione umana staurazione, improntate a uno spiritualismo religioso e a una prospettiva sociale progressista, ma
in ogni caso fiduciose nel valore privilegiato della specie umana. Leopardi rinfaccia a tali tendenze di
Video • Il paesaggio aver rinnegato la grande stagione del razionalismo settecentesco culminata nel pensiero degli illu-
della Ginestra ministi. Contro il pensiero «servo» dominante gli anni della Restaurazione, Leopardi rivendica la di-
(P. Cataldi)
gnità del proprio andare controcorrente, e il dovere di denunciare la infelicità costitutiva e non mo-
dificabile della condizione umana: sempre, infatti, il dolore, la vecchiaia, la malattia, la morte rende-
ranno dolorosa la vita dell’uomo sulla terra.
Verso un’umanità Questa rivendicazione di tipo filosofico non si accontenta però di reclamare la propria fondatez-
liberata
za obiettiva nei dati di fatto, ma si propone quale modo di sentire per tutti, quale coscienza diffusa di
una futura umanità liberata da tutte le interessate e fuorvianti mitologie consolatorie della religio-
ne e del progresso tecnico-scientifico. Sta forse qui, in questo passaggio a una prospettiva sociale
Video • Intervista a allargata, il dato più nuovo e originale della posizione leopardiana: la verità, ovvero la obiettiva
W. Binni sul coscienza delle cose quali esse sono in realtà, non è più concepita quale puro dato filosofico ma ha
messaggio dell’ultimo
Leopardi valore in quanto consapevolezza diffusa, quale coscienza di tutti gli uomini. Agli intellettuali com-
pete semmai di favorire questa presa di coscienza, invece di mistificare i dati reali in nome di ideolo-
gie interessate e infondate. Tale consapevolezza di massa riguardo all’infelicità e alla fragilità della
condizione umana può quindi consentire l’individuazione del vero nemico degli uomini, la natura;
Alleanza tra gli uomi ed è contro di essa che deve compiersi un’alleanza tra tutti gli uomini, tesi a costruire una rete
ni e solidarietà sociale
di solidarietà e di soccorso reciproco. Modelli positivi sono l’uomo malato e povero che riscatta la
OPERA Composta a Torre del Greco nella primavera del 1836, La ginestra contiene l’estremo messaggio
Canti
della riflessione leopardiana. Tale messaggio è un invito a prendere atto della infelicità degli uomini,
CONCETTI CHIAVE come individui e come specie, così da stabilire un rapporto di solidarietà (il «vero amore») tra tutti i
• critica delle
illusioni componenti del genere umano, che devono allearsi contro la vera nemica, la natura. Da questa ma-
ottimistiche turazione della coscienza può derivare una svolta della civiltà caratterizzata da un nuovo assetto
fonte sociale, utopicamente connotato. Mentre è sottolineata la continuità con il razionalismo illuministi-
G. Leopardi, Canti, cit.
co, viene aggredita e derisa la regressione filosofica spiritualistica allora in atto con le sue sconsi-
Video
derate apologie del progresso tecnologico quale garanzia di benessere per tutti.
La ginestra
(P. Cataldi) Καὶ ἠγάπησαν οἱ ἄνθρωποι μᾶλλον τὸ σχότος ἢ τὸ φῶς.
Testo interattivo E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce.
giovanni, III, 19*
Ascolto
Qui su l’arida schiena
Alta leggibilità Del formidabil monte Una pianta di ginestra in fiore.
Sterminator Vesevo,
La qual null’altro allegra arbor né fiore,
5 Tuoi cespi solitari intorno spargi,
Odorata ginestra,
* Il versetto evangelico posto in epigrafe allude alla difficoltà con cui la verità si fa
largo tra gli uomini, i quali preferiscono illudersi di cose false (le tenebre) e consolato-
rie piuttosto che prendere coscienza di cose vere (la luce) ma dolorose. Non è da
escludere, nel riferimento alla luce, un’allusione all’Illuminismo (e cfr. anche «il lume»
del v. 81). Quanto alla fonte sacra da cui l’epigrafe è tratta, il contesto materialistico e
antireligioso del componimento costringe a rovesciare il senso che nel testo giovan-
neo hanno i termini tenebre e luce: mentre, secondo l’evangelista, la luce è la parola
divina, secondo Leopardi la luce è la coscienza della solitudine e dell’infelicità dell’uo-
mo sulla terra. Alle tenebre appartengono, secondo Leopardi, tutte le illusioni, reli-
giose o laiche, che allontanano da questa presa di coscienza dolorosa ma necessaria.
Non si può d’altra parte escludere, in questa citazione, l’intenzione di assegnare al
canto un significato profetico, e magari di raccogliere l’invito cristiano alla fratellanza
tra gli uomini nel momento stesso in cui si rifiuta senza mezzi termini ogni consola-
zione religiosa trascendente.
1-16 Qui sulle brulle pendici (su l’arida schiena) del monte terrificante (formidabil)
[e] distruttore (sterminator) Vesuvio (Vesevo), che non rallegra nessun altro albero
(arbor<e>) né fiore, spargi intorno i tuoi cespugli solitari, [o] profumata (odorata) gine-
primo piano
Canti capitolo II 161
Codice Fiscale: nctgrl03r12e156z
Contenta dei deserti. Anco ti vidi 30 Che coi torrenti suoi l’altero monte
De’ tuoi steli abbellir l’erme contrade Dall’ignea bocca fulminando oppresse
Che cingon la cittade Con gli abitanti insieme. Or tutto intorno
10 La qual fu donna de’ mortali un tempo, Una ruina involve,
E del perduto impero Dove tu siedi, o fior gentile, e quasi
Par che col grave e taciturno aspetto 35 I danni altrui commiserando, al cielo
Faccian fede e ricordo al passeggero. Di dolcissimo odor mandi un profumo,
Or ti riveggo in questo suol, di tristi Che il deserto consola. A queste piagge
15 Lochi e dal mondo abbandonati amante, Venga colui che d’esaltar con lode
E d’afflitte fortune ognor compagna. Il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
Questi campi cosparsi 40 È il gener nostro in cura
Di ceneri infeconde, e ricoperti All’amante natura. E la possanza
Dell’impietrata lava, Qui con giusta misura
20 Che sotto i passi al peregrin risona; Anco estimar potrà dell’uman seme,
Dove s’annida e si contorce al sole Cui la dura nutrice, ov’ei men teme,
La serpe, e dove al noto 45 Con lieve moto in un momento annulla
Cavernoso covil torna il coniglio; In parte, e può con moti
Fur liete ville e colti, Poco men lievi ancor subitamente
25 E biondeggiàr di spiche, e risonaro Annichilare in tutto.
Di muggito d’armenti; Dipinte in queste rive
Fur giardini e palagi, 50 Son dell’umana gente
Agli ozi de’ potenti Le magnifiche sorti e progressive.
Gradito ospizio; e fur città famose
stra, appagata (contenta) dei deserti. Ti ho palazzi (palagi), ricovero (ospizio) gradito (progressive) del genere umano (dell’uma-
visto (ti vidi) [già] abbellire dei tuoi rami (ste- per i riposi (agli ozi) dei potenti, e furono città na gente). Il confronto tra il paesaggio di
li) anche i borghi abbandonati (l’erme con- famose, le quali (che; compl. ogg.) il monte rovina che caratterizza nel presente le pen-
trade) che circondano (cingon) la città [: Ro- superbo (altero) [: il Vesuvio; sogg.] ricoprì dici del Vesuvio e lo splendore che contrad-
ma] che (la qual) fu in passato (un tempo) si- (oppresse) dei (coi) suoi torrenti [di lava], in- distingueva gli stessi luoghi al tempo
gnora (donna) degli uomini (de’ mortali), e sieme agli abitanti, lanciando fiamme (fulmi- dell’antica Roma, prima della terribile eru-
[che] pare che, con il [loro] aspetto solenne nando) dalla bocca infuocata (ignea). Ora zione vulcanica del 79 d.C., spinge a riflette-
(grave) e taciturno [: i borghi abbandonati] intorno un’unica (una) distruzione (ruina = re sulla fragilità della condizione umana,
offrano (faccian) a chi passa (al passeggero) rovina) abbraccia (involve) tutto, [lì] dove tu nonché sulla indifferenza crudele della na-
testimonianza (fede) e ricordo della grandez- stai (siedi), o fiore nobile (gentile) [: la gine- tura. Ed entrambe le cose fanno contrasto
za passata (del perduto impero) [di Roma]. stra], e quasi commiserando le disgrazie (i con le ideologie ottimistiche dominanti tra i
Ora ti rivedo in questo suolo [: le pendici del danni) degli altri (altrui), mandi al cielo un moderati fiorentini contro i quali in partico-
Vesuvio], [tu che sei] amante di luoghi tristi e profumo di odore dolcissimo che consola il lare Leopardi si scaglia in questa parte del
abbandonati da tutti (dal mondo) [: solitari], deserto. Chi (colui che) è solito (ha in uso) canto. Espressioni quali amante natura e
e sempre (ognor) compagna di destini (fortu- esaltare con [le sue] lodi la nostra condizione dura nutrice ben rappresentano la venatura
ne) infelici (afflitte). L’incipit del canto mette (stato) [umana] venga in queste campagne sarcastica di questo canto. Cavernoso…co-
subito al centro dell’attenzione i due refe- (piagge), e veda (vegga) [di persona] quanto niglio: allitterazione volta a sottolineare lo
renti fondamentali del testo: il desolato pae- il nostro genere [umano] è caro (in cura) alla squallore che domina quei luoghi un tempo
saggio vulcanico e la consolazione umile natura affettuosa (amante; ironico). E qui fiorenti. Città famose: Ercolano, Pompei e
portata dalla ginestra alla distruzione, qui potrà anche (anco) valutare (estimar = sti- Stabia, tutte distrutte dall’eruzione e rico-
come nella campagna romana. mare) con giusta misura [: correttamente] la perte dalla lava. le magnifiche... progressi-
17-51 Questi campi cosparsi di ceneri sterili forza (la possanza = il potere) della stirpe ve: annota beffardamente Leopardi: «Paro-
(infeconde), e ricoperti di lava dura come (seme) umana, che (cui: complemento og- le di un moderno, al quale è dovuta tutta la
pietra (impietrata), che risuona sotto i passi getto) in un momento la crudele (dura) nutri- loro eleganza». Il «moderno» è il cugino Te-
del viandante (al peregrin); [questi campi] ce [: la natura] distrugge (annulla) in parte, renzio Mamiani (di un anno più giovane di
dove la serpe si annida e si contorce al sole, e quando meno se l’aspetta (ov’ei men teme), Giacomo e come lui marchigiano), che le
dove il coniglio torna alla consueta (al noto) con un leggero movimento (con lieve moto), impiegò nella dedica dei suoi Inni sacri editi
tana (covil<e>) sotterranea (cavernoso): e può anche (ancor) con movimenti poco me- nel 1832. A Mamiani apparteneva, in parti-
[questi campi] furono [un tempo] poderi (vil- no leggeri annullare (annichilare) del tutto di colare, una concezione religiosa del pro-
le) ridenti (liete) e coltivazioni (colti) e bion- colpo (subitamente). In queste pianure (ri- gresso. L’espressione è divenuta in qualche
deggiarono di spighe [di grano], e risuonaro- ve) sono raffigurate (dipinte) le sorti splendi- modo proverbiale, per alludere a ogni facile
no dei muggiti degli armenti; furono giardini e de (magnifiche) e destinate al progresso fiducia nella storia o nella trascendenza.
52-86 Guarda (mira) qui e specchiati (ti quale (che) sola guida i destini collettivi (i favorevoli a interpretare in prospettiva tra-
specchia) qui, [o] secolo superbo e sciocco, pubblici fati) verso il (in) meglio [: verso il scendente la sorte dell’uomo. In particolare
che hai abbandonato (abbandonasti) la via progresso autentico]. A tal punto (così) ti è significativa appare l’accusa dei vv. 72-77:
(il calle) fino (insino) allora segnata avanzan- dispiaciuta (ti spiacque) la verità (il vero) sul Leopardi smaschera l’ipocrita affermazione
do (innanti) dal pensiero rinato (risorto) destino infelice (dell’aspra sorte) e sul luogo di libertà politica che spesso si associava alla
[: dopo il Medioevo], e, rivolti i [tuoi] passi misero (depresso) che la natura ci assegnò (ci difesa di idee fondate sul principio di autori-
all’indietro, ti vanti di ritornare [indietro] e lo dié = ci diede). Per questo rivolgesti vigliacca- tà e non di rado facilmente strumentalizza-
(il) chiami avanzare (procedere). Tutti gli in- mente le spalle (il tergo) alla luce (al lume) bili dal potere (e pertanto idee serve: cfr. vv.
gegni [: gli intellettuali] di cui la loro sorte che rese (fe’) palese ciò (il); e, mentre torni in- 72 sg.): si tratta insomma di una critica dell’i-
sventurata (rea) ti fece padre [: nati per loro dietro (fuggitivo), definisci (appelli) vile chi deologia moderata, sotto le cui aspirazioni
sfortuna proprio in questo secolo] adulano segue quella (lui) [: la luce], e [definisci] nobile politiche di trasformazione si nasconde di
continuamente (vanno adulando) il tuo com- (magnanimo) soltanto (solo) colui che, pren- fatto un’idea di società assai tradizionale.
portamento puerile (al tuo pargoleggiar), dendo in giro (schernendo) se [stesso] o gli al- Leopardi stabilisce insomma un nesso tra li-
benché (ancora ch’<e>) talora ti abbiano in tri, furbo (astuto) o folle [: interessato o inge- bertà autentica di ricerca intellettuale, pro-
scherno (a ludibrio) in cuor loro (fra se; se = nuo], innalza (estolle) il livello degli uomini (il gresso civile e benessere sociale. Se scher-
sé). Io non scenderò sottoterra [: non morirò] mortal grado) fin sopra le stelle (gli astri) nendo…folle: chi sostiene la natura divina
con tale vergogna; ma piuttosto [prima di mo- [: sostenendo il carattere divino degli uomi- degli uomini appare a Leopardi inteso a in-
rire] avrò mostrato per quanto è possibile (si ni, o almeno delle loro anime]. La polemica gannare se stesso o gli altri, cioè o in buona o
possa) esplicito (aperto) il disprezzo [verso] di contro il presente e contro le sue ideologie in cattiva fede; e dunque in ogni caso o furbo
te che è racchiuso (si serra) nel mio petto [: nei diviene qui esplicita. Al secolo diciannovesi- (perché interessato alle falsità che sostiene)
miei sentimenti]; benché io sappia che l’oblio mo, cioè al suo, qui personificato e affronta- o folle (perché ingenuamente fiducioso nella
colpisce (preme) chi ha dato troppo fastidio to quale un interlocutore concreto, Leopardi propria posizione).
(chi troppo...increbbe) al proprio tempo rinfaccia di aver interrotto la tradizione ra- 87-110 Un uomo di condizione (stato) po-
(età). Di questo male [: essere dimenticato], zionalistica del pensiero tra il Rinascimento vera e [di] corpo malato (membra inferme)
che sarà per me (mi fia) comune con te (teco), e il Settecento, grazie alla quale ci si era ri- che sia generoso e nobile (alto) d’anima
fin da ora (finor) non mi curo affatto (assai... sollevati dalla decadenza medievale. La cau- (dell’alma) non si (se = sé) definisce (chiama)
mi rido). Vai sognando la libertà [: parli a van- sa di questa interruzione sarebbe da ricerca- né considera (stima) ricco di oro o (né) robu-
vera di libertà], e contemporaneamente (a un re nel rifiuto delle verità sconsolate imposte sto (gagliardo), e di vita dispendiosa (splen-
tempo) vuoi di nuovo [che] il pensiero [sia] as- da quella ricerca, fondata su un’analisi empi- dida) o di fisico sano (di valente persona)
servito (servo), [il pensiero] grazie al quale rica e realistica della condizione umana, e non fa tra la gente un’esibizione ridicola (risi-
soltanto (sol per cui) siamo risorti (risorgem- dunque materialisticamente atteggiata. Il bil mostra); ma senza vergogna si mostra
mo) in parte dalla barbarie, e grazie al quale bisogno di illudersi avrebbe fatto rifiorire (se…lascia parer; se = sé) e [si] dice (noma),
soltanto si progredisce (si cresce) in civiltà, la nuovi miti consolatori di tipo spiritualistico, parlando, apertamente privo (mendico = bi-
primo piano
Canti capitolo II 163
Codice Fiscale: nctgrl03r12e156z
Fa stima al vero uguale. Mostra se nel soffrir, né gli odii e l’ire
Magnanimo animale 120 Fraterne, ancor più gravi
Non credo io già, ma stolto, D’ogni altro danno, accresce
100 Quel che nato a perir, nutrito in pene, Alle miserie sue, l’uomo incolpando
Dice, a goder son fatto, Del suo dolor, ma dà la colpa a quella
E di fetido orgoglio Che veramente è rea, che de’ mortali
Empie le carte, eccelsi fati e nove 125 Madre è di parto e di voler matrigna.
Felicità, quali il ciel tutto ignora, Costei chiama inimica; e incontro a questa
105 Non pur quest’orbe, promettendo in terra Congiunta esser pensando,
A popoli che un’onda Siccome è il vero, ed ordinata in pria
Di mar commosso, un fiato L’umana compagnia,
D’aura maligna, un sotterraneo crollo 130 Tutti fra se confederati estima
Distrugge sì, che avanza Gli uomini, e tutti abbraccia
110 A gran pena di lor la rimembranza. Con vero amor, porgendo
Nobil natura è quella Valida e pronta ed aspettando aita
Che a sollevar s’ardisce Negli alterni perigli e nelle angosce
Gli occhi mortali incontra 135 Della guerra comune. Ed alle offese
Al comun fato, e che con franca lingua, Dell’uomo armar la destra, e laccio porre
115 Nulla al ver detraendo, Al vicino ed inciampo,
Confessa il mal che ci fu dato in sorte, Stolto crede così qual fora in campo
E il basso stato e frale; Cinto d’oste contraria, in sul più vivo
Quella che grande e forte 140 Incalzar degli assalti,
sognoso) di forza [fisica] e di ricchezza (di te- la strofa (ai vv. 98-110) è intanto considerato detraendo), dichiara (confessa) il male che ci
sor), e valuta (fa stima) la sua condizione (di il caso della simulazione, che riguarda evi- è stato assegnato (ci fu dato) in sorte, e la
sue cose) rispettando la verità (al vero ugua- dentemente il comportamento dominante condizione (stato) umile (basso) e fragile
le). Io non credo davvero (già) [che sia] un vi- nelle ideologie diffuse negli anni in cui Leo- (frale); [è un carattere nobile] quello che si (se
vente (animale) nobile (magnanimo), ma pardi compone il canto, e che configura il = sé) mostra grande e forte nel soffrire, e non
stupido (stolto), quello che, [essendo] nato bersaglio polemico centrale delle sue argo- (né) aggiunge (accresce) alle proprie soffe-
per morire (a perir) [e] vissuto tra i dolori (nu- mentazioni: le felicità sconosciute promesse renze (alle miserie sue) gli odii e le ire fraterni
trito in pene), dice: “Sono fatto per godere” e con insopportabile orgoglio in innumerevoli [: degli altri uomini], incolpando l’uomo
riempie i suoi scritti (le carte) di orgoglio di- scritti sono appunto il progresso al quale si [: questo o quel suo simile] del proprio dolore,
sgustoso (fetido), promettendo sulla terra appellavano gli intellettuali moderati. Con- ma dà [invece] la colpa a quella [: la natura]
destini (fati) meravigliosi (eccelsi) e felicità tro tale orgoglio e contro tali promesse di fe- che è veramente colpevole (rea), che è madre
sconosciute (nove), quali non solo (pur) que- licità, Leopardi rievoca in sintesi alcune ra- degli uomini (de’ mortali) quanto a generarli
sto [nostro] mondo (orbe) ma l’universo (il gioni della fragilità degli uomini: disastri na- (di parto), e matrigna quanto al trattamento
ciel) intero (tutto) ignora, a popoli che un’on- turali, epidemie. In questo modo (e soprat- (di voler = relativamente a ciò che vuole e
da di maremoto (di mar commosso; com- tutto con il riferimento al maremoto e al ter- stabilisce [per loro]). Costei [: la natura] [egli]
mosso = agitato), un alito (un fiato) di aria remoto) si stabilisce anche un implicito col- chiama [: giudica] nemica; e pensando [che]
contaminata (d’aura maligna) [: un’epide- legamento con l’ambientazione generale la società (compagnia) umana sia (esser) as-
mia], un crollo sotterraneo [: un terremoto] del testo (che si svolge nei luoghi dove si è sociata (congiunta) e organizzata (ordinata)
distruggono al punto (sì) che di essi (di lor; ri- verificata una celebre distruzione dovuta fin dal principio (in pria) contro di questa, così
ferito a «popoli») resta (avanza) a gran fati- proprio a eventi di questo genere). Non è fra come è in realtà (siccome è il vero), conside-
ca (pena) il ricordo (la rimembranza). È la l’altro azzardato individuare nell’esempio ra (estima) gli uomini tutti alleati (confede-
prima parte di un esempio allegorico che ab- dell’uomo povero e fisicamente segnato an- rati) fra loro (fra se), e abbraccia tutti con
braccia l’intero sistema di questa strofa. Un che un riferimento autobiografico, con im- amore autentico (vero) [: cioè generoso],
uomo povero e malato può comportarsi in plicita attestazione della propria umile di- porgendo e aspettando aiuti validi e tempesti-
due modi: o mostrarsi e considerarsi lui stes- gnità. Magnanimo: riprende, negandola, la vi (pronta) nei pericoli alterni e nelle sofferen-
so quale veramente è (e dimostrare così di qualifica assegnata dalle ideologie domi- ze (angosce) della guerra comune [contro la
essere nobile), oppure simulare una ricchez- nanti agli esaltatori della grandezza umana, natura]. E armare la mano (la destra) contro
za e una prestanza fisica posticce (e divenire così quale si è incontrata già al v. 84. (alle offese) gli [altri] uomini, e porre ai vicini
così ridicolo e sciocco). È evidente che a tro- 111-144 È [invece] un carattere (natura) trappole (laccio) e ostacoli (inciampo) reputa
varsi nella condizione dell’uomo povero e nobile quello che osa (ardisce) sollevare gli (crede) sciocco (stolto) così come (qual) sa-
malato è, nella prospettiva leopardiana, l’u- occhi mortali [: umani] verso (incontra = con- rebbe (fora) in un accampamento (in campo)
manità intera, alla quale si offrono dunque le tro) il destino (fato) comune [degli uomini], e assediato (cinto = circondato) di truppe ne-
due stesse alternative considerate per il ca- che con parole sincere (con franca lingua), miche (d’oste contraria), durante il più vio-
so singolo dell’esempio. In questa parte del- senza togliere nulla alla verità (nulla al ver lento (in sul più vivo) incalzare degli assalti,
dimenticando (obbliando) i nemici, intra- dell’uomo antico, capace ancora di genero- Leopardi parla sono quelle sinteticamente
prendere (imprender) feroci scontri (acerbe sità, di altruismo e di virtù pubbliche, all’e- evocate ai vv. 151-153: onestà, lealtà, senso
gare) con gli amici, e seminare (sparger) la goismo individualistico che caratterizza le della giustizia, solidarietà. La loro effettiva
fuga e uccidere (fulminar) con la spada (col società moderne, con crescente disinteresse diffusione tra gli uomini può essere garanti-
brando) fra (infra) i guerrieri propri [alleati]. e ostilità verso il destino degli altri e verso le ta, secondo il poeta, dal recupero delle ra-
Questa seconda parte della terza strofa pro- sorti pubbliche. Vero amor: cioè amore ge- gioni originarie che hanno motivato il “con-
spetta un nuovo modello di moralità e di neroso, volto al bene del prossimo; e non tratto sociale” (Rousseau) tra gli uomini, e
comportamento sociale, definendo i valori amore egoistico e interessato, qual è, secon- cioè il terrore della natura; recupero che pe-
di una possibile civiltà fondata sul coraggio do Leopardi, l’unico di cui i moderni siano rò dovrà avvenire alla luce di un sapere fon-
della verità e su di un generoso spirito soli- ancora capaci. dato sul vero, cioè sulla realtà oggettiva,
dale. Viene ripreso e approfondito il caso già 145-157 Quando pensieri come questi (così anziché, come presso le società primitive,
tracciato più succintamente ai vv. 87-97, al- fatti) saranno (fien), come [già] furono (fur) su timori superstiziosi e su ipotesi fantasti-
largandolo dal caso singolo dell’esempio al [in passato], evidenti (palesi) al popolo (al che. Si tratta insomma di associare il genui-
caso generale della effettiva condizione volgo), e quel terrore (orror) che in origine no bisogno di socialità che sta alla base dei
umana. Questa parte della strofa, inoltre, si (primo) unì (strinse) gli uomini (i mortali) in rapporti umani alle conquiste della civiltà
contrappone simmetricamente ai vv. 98- un’alleanza sociale (in social catena) contro quali si sono sviluppate soprattutto tra Ri-
110, che definiscono il modo comune (e do- (contra) la natura malvagia (empia), sarà nascimento e Illuminismo; ovvero di unire il
minante al presente) di affrontare la rifles- (fia) riportato (ricondotto) in parte [: senza primitivo bisogno di solidarietà reciproca
sione sulla condizione umana e di vivere la residui superstiziosi] da un sapere veritiero alle moderne cognizioni scientifiche positi-
dimensione sociale. Fra l’altro due possibili- (verace) [: fondato sul vero], allora l’onesto ve.
tà di comportamento sono delineate anche e leale (retto) consorzio civile (conversar cit- 158-201 Spesso (sovente) di notte siedo
nei vv. 111-144; si può infatti reagire alle sof- tadino), e la giustizia e la solidarietà (pieta- (seggo) in questi campi (rive) [: le pendici del
ferenze inevitabili della vita o accusando gli de) avranno [ben] altro fondamento (radice) Vesuvio] desolati che il corso (flutto) indurito
altri uomini (vv. 119-123 e 135-144) oppure che non invenzioni (fole = favole) superbe [della lava] ricopre (veste) di nero (a bruno),
accusando la natura (vv. 123-126) e dunque [: la religione], [essendo] fondata sulle quali e sembra ondeggiare (e par che ondeggi); e
considerando gli altri uomini quali preziosi (ove = dove), la virtù (probità) degli uomini sul triste paesaggio (su la mesta landa) vedo
alleati nella comune lotta contro di essa (vv. (del volgo) sta di solito (star suole) tanto so- (veggo) dall’alto scintillare (fiammeggiar) le
126-135). Dalla definizione di un atteggia- lida (così…in piede) quanto (quale) può sta- stelle, nel cielo limpidissimo (in purissimo az-
mento dignitoso e nobile da parte del singo- re ciò (quel) che ha il fondamento (la sede) zurro), alle quali (cui) in lontananza (di lon-
lo individuo si risale alla configurazione di un sull’errore. È la conclusione di quanto detto tan) fa [da] specchio il mare, e [vedo] intorno
modello sociale collettivo, che porti tutti gli nella parte di strofa che precede. Il giorno in (in giro) il mondo intero (tutto) brillare di luci
uomini a conoscere e dichiarare la infelicità cui la coscienza dell’infelicità naturale (scintille) attraverso l’aria sgombra (per lo
della propria condizione, a definire l’ostilità dell’uomo diverrà un fatto comune e si rico- vòto seren). E dopo (poi) che fisso (appunto)
della natura verso di essi, a stabilire un’alle- noscerà il senso della civiltà in un’alleanza gli occhi su (a) quelle luci [: le stelle], che a essi
anza con gli altri uomini e a soccorrersi contro la natura, allora le virtù civili saranno (a lor) [: agli occhi] sembrano un punto, e [in-
scambievolmente nei bisogni ora dell’uno fondate su una base solida, cioè sul ricono- vece] sono immense, così che (in guisa che) la
ora dell’altro. Fra l’altro questo meccanismo scimento del comune interesse nel rispet- terra e il mare sono veramente (veracemen-
è quello che ha spinto in origine gli uomini tarle e sull’identità di specie; mentre ora es- te) un punto rispetto a loro (a petto lor); alle
(come sostiene Rousseau) ad associarsi, se si vorrebbero affidare a invenzioni prive quali [stelle] è del tutto sconosciuto non sol-
dando origine alla civiltà, così come ricorda- di vera forza morale, come la paura della tanto (non pur) l’uomo, ma [anche] questo
no i vv. 127-129: come in altre occasioni, punizione o il desiderio di ricompense dopo pianeta (globo) [: la terra] sul quale (ove)
Leopardi contrappone la sapienza sociale la morte. Le virtù civili (la probità) di cui l’uomo [non] è nulla; e quando osservo (miro)
primo piano
Canti capitolo II 165
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175 Quegli ancor più senz’alcun fin remoti Mortal prole infelice, o qual pensiero
Nodi quasi di stelle, 200 Verso te finalmente il cor m’assale?
Ch’a noi paion qual nebbia, a cui non l’uomo Non so se il riso o la pietà prevale.
E non la terra sol, ma tutte in uno,
Del numero infinite e della mole, Come d’arbor cadendo un picciol pomo,
180 Con l’aureo sole insiem, le nostre stelle Cui là nel tardo autunno
O sono ignote, o così paion come Maturità senz’altra forza atterra,
Essi alla terra, un punto 205 D’un popol di formiche i dolci alberghi,
Di luce nebulosa; al pensier mio Cavati in molle gleba
Che sembri allora, o prole Con gran lavoro, e l’opre
185 Dell’uomo? E rimembrando E le ricchezze che adunate a prova
Il tuo stato quaggiù, di cui fa segno Con lungo affaticar l’assidua gente
Il suol ch’io premo; e poi dall’altra parte, 210 Avea provvidamente al tempo estivo,
Che te signora e fine Schiaccia, diserta e copre
Credi tu data al Tutto, e quante volte In un punto; così d’alto piombando,
190 Favoleggiar ti piacque, in questo oscuro Dall’utero tonante
Granel di sabbia, il qual di terra ha nome, Scagliata al ciel profondo,
Per tua cagion, dell’universe cose 215 Di ceneri e di pomici e di sassi
Scender gli autori, e conversar sovente Notte e ruina, infusa
Co’ tuoi piacevolmente, e che i derisi Di bollenti ruscelli,
195 Sogni rinnovellando, ai saggi insulta O pel montano fianco
Fin la presente età, che in conoscenza Furiosa tra l’erba
Ed in civil costume 220 Di liquefatti massi
Sembra tutte avanzar; qual moto allora, E di metalli e d’infocata arena
quella specie di ammassi (nodi quasi) di rilanciando (rinnovellando) questi miti (i… ammassi stellari e, forse meglio ancora, ga-
stelle [: le galassie] ancor più infinitamente sogni) [già] derisi [: dall’Illuminismo]; dun- lassie. Non so se il riso…prevale: forse si
(senz’alcun fin) lontani (remoti), che a noi que infine (allora…finalmente) quale senti- può immaginare che il riso prevalga nella
appaiono simili a (qual) nebbia, a cui non so- mento (qual moto) o qual pensiero provo (il prospettiva del pensiero, e la pietà in quel-
lo l’uomo e la terra, ma tutte insieme (in cor m’assale) verso [di] te, [o] infelice di- la dei sentimenti (cfr. moto): ridicolo ri-
uno) le nostre [: visibili a noi] stelle, infinite scendenza umana (mortal prole)? Non so se spetto alla ragione, il comportamento
di numero e di grandezza (della mole), insie- prevale il riso o la pietà. È la grande strofe dell’uomo è tuttavia comprensibile e per-
me al sole dorato (aureo), o sono ignote o cosmica del canto, dantesca per l’ampiezza donabile, tenuto conto proprio della sua
appaiono così come essi alla terra, [cioè] un della struttura e della concezione, ma lon- fragilità costitutiva qui ripetutamente ri-
punto di luce nebbiosa (nebulosa); che sem- tanissima dalla prospettiva religiosa di cordata.
bri allora al mio pensiero, o stirpe (prole) Dante. Il mistero spaventoso della gran- 202-236 Come un piccolo frutto (pomo),
dell’uomo [: umanità]? E ripensando (ri- dezza dell’universo non spinge Leopardi a che nell’autunno inoltrato (tardo) la maturità
membrando = ricordando) al tuo stato [in- vedere la necessità di una divinità creatrice; senza altra forza fa crollare (atterra) [pro-
felice] quaggiù [sulla terra], di cui è testimo- al contrario, diviene la dimostrazione della prio] là, cadendo da un albero (arbor<e>)
nianza (fa segno) il suolo che io calpesto solitudine e della marginalità dell’uomo. schiaccia, annienta (diserta) e seppellisce
(premo) [: la lava]; e [ripensando] poi d’altra Minima parte sulla terra, che è minima par- (copre) di colpo (in un punto) i cari (dolci) ri-
parte che tu ti (te) credi assegnata all’univer- te di un sistema solare sperduto e ignoto coveri (alberghi) di una colonia (d’un popol)
so (al Tutto) [quale] padrona (signora) e tra infiniti altri, l’uomo pretende di essere il di formiche, scavati con gran lavoro nella ter-
scopo (fine), e [ripensando] a quante volte centro del creato e di aver ricevuto spesso ra (gleba) molle, e [insieme] le costruzioni
hai voluto (ti piacque) fantasticare (favo- visite degli dei creatori; e continua a pre- (l’opre) [: le gallerie] e le ricchezze [: le prov-
leggiar) che scendessero (scender) per te tendere ciò anche dopo una stagione, co- viste] che gli animali tenaci (l’assidua gente)
(per tua cagion = per causa tua) in questo me quella del razionalismo tra Cinquecento aveva con lunga fatica radunato a gara (a
sconosciuto (oscuro) granello di sabbia che e Settecento, che sembrava aver liberato prova) durante l’estate (al tempo estivo);
(il qual) ha il nome di terra i creatori (gli au- per sempre la civiltà da questi «sogni». Ac- così piombando dall’alto, [dopo essere stata]
tori) delle esistenze universali (dell’univer- canto alla vena antireligiosa, questi versi lanciata (scagliata) dalle viscere (dall’utero)
se cose) [: gli dei], e conversassero (conver- presentano una contestazione della men- tuonanti [del vulcano] verso il (al) cielo più al-
sar) spesso (sovente) piacevolmente con i talità antropocentrica di gran parte dei si- to (profondo), la oscura distruzione (notte e
tuoi [simili], e che perfino (fin) il tempo (età) stemi di pensiero esistenti, in particolare ruina) [costituita] di ceneri e di pomici e di sas-
presente, che in conoscenze e in civiltà (in ci- fortunati nell’epoca della Restaurazione, si, mescolata (infusa) di ruscelli bollenti [di la-
vil costume) sembra superare (avanzar) tra il provvidenzialismo cattolico e l’ideali- va], o un’immensa piena di massi fusi (lique-
tutte [le altre età], offende (insulta) i saggi smo laico. Nodi quasi di stelle: nebulose, fatti) e di metalli e di sabbia (arena) infuoca-
ta, scendendo lungo la parete del monte (pel esemplificate nella formica per la sua picco- per nulla (nulla mai) divenuta (fatta) più mi-
montano fianco) con violenza (furiosa) tra lezza. Anche in questo modo viene smentita te, ancora sorge (siede) tremenda, ancora mi-
l’erba travolse (confuse) e distrusse (infran- ogni pretesa antropocentrica e ogni privile- naccia distruzione (strage) a lui ed ai [suoi] fi-
se) e ricoprì in pochi istanti le città che il mare gio dell’uomo sulla terra o nel cosmo. Sul gli ed ai loro miseri (poverelli) beni (averi). E
bagnava (aspergea) là sulla costa più lonta- piano della costruzione retorica, è da osser- spesso il poveretto (il meschino), stando
na (su l’estremo lido): per cui (onde) ora su vare la perfetta corrispondenza tra i due fe- (giacendo) tutta la notte insonne all’aria
quelle [città] pascola (pasce) la capra, e dalla nomeni considerati, quello quotidiano e co- aperta (alla vagante aura) sul tetto della
parte opposta (dall’altra banda) sorgono mune di un frutto che vada a distruggere, [sua] abitazione rustica (dell’ostel villerec-
nuove città, a cui le [città] sepolte fanno da cadendo, un formicaio, e quello, eccezionale cio), e balzando più volte [in piedi], controlla
(son) sgabello [: da base], e il monte ostile e storicamente enfatizzato dagli uomini, di (esplora) il corso della lava (bollor) temuta,
(arduo) [: il Vesuvio] sembra calpestare (qua- un vulcano la cui eruzione distrugga città fa- che si riversa dalle viscere (grembo) instanca-
si calpesta) alla propria base (al suo piè) le mose. La diversa grandezza dei due eventi bili (inesausto) [del vulcano] sul fianco arido
mura abbattute (prostrate) [delle città di- non implica una diversa importanza, se non (sull’arenoso dorso) [del monte], al cui [ri-
strutte]. La natura non riserva (ha) più stima nell’ottica specifica dell’uomo, mentre la di- flesso] brilla (riluce) la costa (la marina) di
o [più] attenzione (cura) al genere umano (al versa frequenza ha ragioni tutte naturali e Capri e il porto di Napoli e Mergellina. E se lo
seme dell’uom) che alla formica: e se la stra- materiali: l’uomo si riproduce con più lentez- vede avvicinare (appressar), o se nel fondo
ge è più rara in quello [: presso il genere uma- za delle formiche. Fra l’altro si ripresenta an- (nel cupo) del pozzo domestico ode per caso
no] che nell’altra [: nella formica], ciò non av- cora una volta il paesaggio fondamentale (mai) l’acqua bollire (gorgogliar) per il calore
viene per altra ragione (d’altronde) se non del canto: il Vesuvio e lo scenario della com- (fervendo), sveglia (desta) i figli, sveglia in
che (fuor che) l’uomo ha le proprie generazio- piuta distruzione. fretta la moglie, e fuggendo via con quanto
ni (sue prosapie) meno feconde [: è meno 237-268 Sono trascorsi (varcàr = varcaro- possono afferrare (rapir) delle loro cose, vede
prolifico delle formiche]. Messe in risalto, no) ben mille ed ottocento anni da quando in lontananza (lontan) la sua abitazione (ni-
nella strofa precedente, la marginalità e la (poi che) i centri abitati (i popolati seggi) [: le do; metafora) consueta (usato), e il piccolo
solitudine dell’uomo nell’universo, in questa città romane] sparirono, sepolte (oppressi) campo, che fu per lui (gli fu) unico riparo
strofa Leopardi si concentra sulla sua fragili- dalla forza del fuoco (ignea) [: dall’eruzione (schermo) contro la (dalla) fame, [divenuti]
tà. La strofa è occupata in gran parte da una vulcanica], e il misero contadino (il villanello) preda del liquido (flutto) rovente [della lava]
vastissima similitudine («come…», vv. 202- dedito (intento) ai vigneti, che in questi cam- che giunge crepitando, e inesorabile si disten-
212; «così…», vv. 212-230), cui segue una pi la terra (la zolla) morta e bruciata (incene- de (si spiega) per sempre (durabilmente) so-
concisa conclusione: il comportamento del- rita) nutre a stento, ancora solleva lo sguardo pra di essi (sovra quei). La penultima strofa
la natura non è diverso nei confronti dell’uo- timoroso (sospettoso) verso la (alla) vetta del canto ha come tema di fondo la relatività
mo e nei confronti delle altre forme di vita, funesta (fatal) [del vulcano], la quale (che), del tempo storico degli uomini: la distruzio-
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Canti capitolo II 167
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Torna al celeste raggio 290 Ch’ei chiama antiche, e del seguir che fanno
270 Dopo l’antica obblivion l’estinta Dopo gli avi i nepoti,
Pompei, come sepolto Sta natura ognor verde, anzi procede
Scheletro, cui di terra Per sì lungo cammino
Avarizia o pietà rende all’aperto; Che sembra star. Caggiono i regni intanto,
E dal deserto foro 295 Passan genti e linguaggi: ella nol vede:
275 Diritto infra le file E l’uom d’eternità s’arroga il vanto.
Dei mozzi colonnati il peregrino
Lunge contempla il bipartito giogo E tu, lenta ginestra,
E la cresta fumante, Che di selve odorate
Che alla sparsa ruina ancor minaccia. Queste campagne dispogliate adorni,
280 E nell’orror della secreta notte 300 Anche tu presto alla crudel possanza
Per li vacui teatri, Soccomberai del sotterraneo foco,
Per li templi deformi e per le rotte Che ritornando al loco
Case, ove i parti il pipistrello asconde, Già noto, stenderà l’avaro lembo
Come sinistra face Su tue molli foreste. E piegherai
285 Che per vòti palagi atra s’aggiri, 305 Sotto il fascio mortal non renitente
Corre il baglior della funerea lava, Il tuo capo innocente:
Che di lontan per l’ombre Ma non piegato insino allora indarno
Rosseggia e i lochi intorno intorno tinge. Codardamente supplicando innanzi
Così, dell’uomo ignara e dell’etadi Al futuro oppressor; ma non eretto
ne operata dal Vesuvio diciotto secoli prima gliore della lava luttuosa (funerea), che in natura, tra civiltà e materia. Leopardi invita
può ripetersi ancora, e anzi si ripete in effet- lontananza (di lontan) rosseggia attraverso a tenere conto della prevalenza delle leggi
ti. Questa prima parte della strofa è appunto le tenebre (per l’ombre) e colora (tinge) i luo- materiali rispetto alle condizioni storiche,
occupata da una vicenda di distruzione pre- ghi intorno intorno, come una torcia (face) lu- cioè a valutare attentamente la subordina-
sente, che colpisce un esempio della fragilità gubre (sinistra) che si aggiri tenebrosa (atra) zione dell’uomo innanzitutto alle forze della
umana: una famiglia povera di contadini, cui attraverso (per) palazzi disabitati (per vòti natura. Si tratta di una critica implicita a tut-
la lava devasta senza pietà la casa e il campi- palazzi), corre tra i (per li) teatri deserti (va- te le filosofie idealistiche della storia, porta-
cello da cui può derivare l’unico sostenta- cui), tra i templi sformati (deformi) e tra le te a sottolineare invece il primato dell’attivi-
mento possibile. La tenerezza e la pietà con case distrutte (rotte), dove il pipistrello na- tà umana. L’indifferenza della natura alle
cui Leopardi rappresenta la tragedia del vil- sconde i [suoi] parti. Così la natura resta (sta) brevi vicende umane e, per contrasto, la pre-
lanello (già questo diminutivo ha valore af- sempre (ognor) giovane (verde), ignara suntuosa pretesa dell’uomo di essere eter-
fettuoso) rafforza il contrasto tra la tenera dell’uomo e delle epoche (dell’etadi) che egli no, rilanciano per l’ultima volta il tema della
fragilità umana (cfr. anche il riferimento al (ei) chiama antiche, e del succedersi (del se- marginalità dell’uomo nell’universo e sulla
nido) e la insensibile crudeltà delle vicende guir che fanno) dei nipoti ai progenitori (do- terra. Torna al celeste raggio…Pompei: si
naturali (cfr. soprattutto i vv. 266-268). Ca- po gli avi), anzi [la natura] si muove (proce- allude ai lavori di scavo della città, iniziati già
pri…Mergellina: sono nominate le località de) per una via (cammino) così lunga [: si nel 1748 e proseguiti anche oltre i tempi di
eminenti visibili dalle pendici del Vesuvio: l’i- evolve così lentamente] che sembra stare Leopardi. Foro: il centro dell’attiviità civile
sola di Capri, il porto di Napoli, il sobborgo di [immobile]. Intanto cadono (caggiono) i re- nelle città romane. Il bipartito giogo: le due
Mergellina, a nord di Napoli. O se nel cu- gni, passano popoli (genti) e linguaggi: ella vette del vulcano, il Vesuvio e il Somma.
po…gorgogliar: il riscaldamento dell’acqua [: la natura] non lo (nol) vede: e l’uomo pre- 297-317 E tu, [o] ginestra flessibile (lenta),
nel pozzo annuncia l’avvicinarsi della lava tende (s’arroga) il vanto di essere eterno (d’e- che adorni di selve profumate (odorate) que-
rovente. ternità). La forza della natura consiste nella sti campi (campagne) spogli (dispogliate),
269-296 La distrutta (l’estinta) Pompei sua durata, nella lentezza delle sue trasfor- anche tu soccomberai presto alla crudele po-
torna alla luce del sole (al celeste raggio) do- mazioni, e perciò nell’indifferenza al breve tenza (possanza) del fuoco sotterraneo
po l’antico obblio (obblivion<e>), come uno respiro delle vicende umane: sono passati [: della lava], che ritornando ai luoghi (al lo-
scheletro sepolto che (cui) l’avidità (avarizia) diciotto secoli dalla distruzione di Pompei, co) già noti [: già colpiti altre volte], distende-
[di tesori] o la pietà restituisce (rende) all’a- ora ritornata alla luce per i primi scavi arche- rà il suo mantello (lembo) serrato (avaro) sul-
perto [togliendolo] dalla (di) terra; e dal foro ologici, e sembra essere passato un giorno, le tue foreste cedevoli (molli). E [allora] pie-
deserto il visitatore (il peregrino) in piedi (di- dato che dal vulcano ancora proviene la gherai senza ribellarti (non renitente) la tua
ritto) tra (infra) le file dei colonnati troncati stessa minaccia, ancora giunge la stessa di- testa (il tuo capo) innocente sotto il peso (fa-
(mozzi) contempla in lontananza (lungi) la struzione, in uno scenario terrificante di ci- scio) mortale: ma non piegata fino allora inu-
vetta (il…giogo) divisa (bipartito) e la cima viltà passata e distrutta. Il grande tema pre- tilmente (indarno) per supplicare (supplican-
(cresta) fumante [del Vesuvio], che ancora romantico delle rovine, già presente nei Se- do) vigliaccamente (codardamente) davanti
minaccia le rovine sparse [alle sue pendici]. E polcri, dà qui una rappresentazione inquie- (innanzi) al [tuo] futuro oppressore; ma non
nell’orrore della notte oscura (secreta) il ba- tante e grandiosa del confronto tra storia e innalzata (non eretto) con orgoglio folle (for-
sennato) verso le stelle né sul deserto, dove to, abbellisce e profuma i luoghi segnati dal- tà proprio da quella forza, né tenta di conso-
sia (e) la sede sia la nascita (i natali) hai avuto la distruzione e dalla morte, offrendo un larsi con folli affermazioni di immortalità, sia
(avesti) non per scelta (non per voler) ma per contributo positivo alla difficile situazione che si fondino sulla fede religiosa nell’aldilà
caso (per fortuna); ma più saggia, ma tanto nella quale è stata posta dal destino; e ciò ri- (l’innalzamento verso le stelle), sia che si ba-
meno insensata (inferma) dell’uomo quanto chiama l’invito rivolto agli uomini perché si sino invece sulla fiducia laica ma egualmen-
non credesti [che] le tue fragili (frali) stirpi aiutino a vicenda senza aggravare la propria te infondata nella capacità dell’uomo di pro-
[erano] rese (fatte) immortali o dal fato o da condizione con odi fratricidi. Ma soprattutto curarsi da solo, per mezzo dei valori cultura-
te. L’ultima strofa, circolarmente, torna a la ginestra si comporta, davanti alla forza li, una durata oltre la morte e attraverso il
parlare della ginestra, già presentata nella che la uccide, con una dignità sconosciuta tempo (l’innalzamento sul deserto). Questo
prima e messa in risalto dal titolo del com- all’uomo: cede senza inutili impennate d’or- secondo caso, di tradizione umanistica, è
ponimento. È anzi affidata proprio a questi goglio, benché innocente, alla forza che la quello invece fatto proprio da Foscolo nei
versi conclusivi la funzione di chiarire il signi- annulla; e tuttavia non commette la viltà – Sepolcri.
ficato di questa allegoria. La ginestra, intan- tipica invece degli uomini – di implorare pie-
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Canti capitolo II 169
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realismo la nostra condizione (di esseri mortali, fragili, con- zioni e gli altri cataclismi naturali fanno meno vittime tra gli
dannati alla sofferenza) e non promettere agli altri e a noi uomini è perché la popolazione umana è numericamente in-
stessi, con sciocco entusiasmo, una felicità irrealizzabile. La feriore a quella degli insetti. La sesta strofa è caratterizzata
vera virtù è la capacità di allearsi, di formare una comunità da un potente realismo visivo, che mette il lettore di fronte
di persone pronte ad aiutarsi tra loro e non a combattersi e allo spettacolo terribile della potenza del vulcano. Come
a prevaricarsi vicendevolmente: questa forma di socialità è, la prima strofa, anche la sesta crea un cortocircuito fulmi-
tra l’altro, quella che spinse in origine gli uomini (secondo nante tra il passato e il presente (la grande eruzione del 79
Rousseau) a dare vita alla civiltà e a un tipo di società “buo- d.C. e le colate laviche che ancora ai tempi di Leopardi erano
na” fondata sull’altruismo e sulle virtù pubbliche, da con- piuttosto frequenti). Il risultato è una grandiosa immagine
trapporre all’individualismo egoistico della moderna società della fragilità dell’uomo in ogni tempo e sull’indifferenza
borghese. La quarta strofa estende lo sguardo del poeta a della natura alle sue sorti. La settima e ultima strofa ri-
una dimensione cosmica, collocando l’uomo e la Terra nella prende circolarmente l’immagine allegorica della gine-
posizione marginale confermata dalle scoperte scientifiche stra (e la relativa personificazione) della prima. Anch’essa
del Seicento e del Settecento, che hanno messo in luce la destinata ad essere sommersa dalla lava, la ginestra non si
piccolezza della specie umana nell’universo. La quinta sottrae vigliaccamente al suo destino ma lo accetta con di-
strofa continua a ragionare sulla fragilità e sulla debolezza gnità offrendo idealmente i suoi arbusti flessibili e rivolti
umana, sviluppando un paragone tra il frutto che si abbat- verso il basso (non orgogliosamente protesi al cielo) al fuoco
te sul formicaio e la violenza eruttiva del Vesuvio. Dal che prima o poi la consumerà esattamente come la morte
punto di vista della natura un disastro vale l’altro, e se le eru- consumerà l’uomo.
analisi
Lo stile “sinfonico” e il ragionamento materialisti- tonante / scagliata al ciel profondo, / di ceneri e di pomici e
co Lo stile della Ginestra rappresenta una sfida estrema da di sassi / notte e ruina, infusa / di bollenti ruscelli, o pel
parte di Leopardi. La sintassi vede infatti la prevalenza di montano fianco / furiosa tra l’erba ecc.»). C’è inoltre uno
periodi lunghi e spesso lunghissimi, nei quali si succedo- sviluppo delle varie “sezioni” ritmico-discorsive, orga-
no svariate frasi subordinate, a volte preposte alla principa- nizzate perlopiù secondo una progressione in “crescen-
le. Attraverso il ricorso a questa sintassi “tentacolare”, Le- do” (e con tempo sempre più “stretto”): così succede, per
opardi esprime il distendersi di un pensiero sempre aperto e esempio, ai vv. 98-110 («Magnanimo animale…») o 111-125
proteso verso nuove conquiste, sempre in cerca di ulteriori («Nobil natura…») o 202-230 («Come d’arbor…»). Si parte,
sviluppi e connessioni, nonché teso a rappresentare la com- in questi e in altri casi, da un tempo lento, disteso e pacato,
plessità (e la totalità) delle questioni considerate. Tutt’altro il quale va poi a poco a poco animandosi a mano a mano che
che prosastico, come pure è sembrato a numerosi interpreti il ragionamento procede e il pensiero acquista corpo, sino a
del passato, questo stile configura un’audace novità, non finali di periodo incalzanti e perentori.
solo nella poesia leopardiana, ma nella tradizione lirica ita- Questa caratteristica dello stile leopardiano della Ginestra
liana in generale. Domina La ginestra non una ricerca di me- dipende anche dal modo in cui è organizzata l’argomenta-
lodia (secondo la lezione di Petrarca e del petrarchismo), zione filosofica. Le varie affermazioni portanti non sono
bensì una musicalità “sinfonica” (come ha scritto Binni): mai offerte quali premesse o quali opinioni teoriche, ma si
vi sono cioè varie linee musicali che si succedono, che si in- presentano quali conseguenze logiche ricavate da osserva-
trecciano, si giustappongono e contrappongono; con vari zioni puntuali della realtà. Anche in questo modo Leopardi
“temi” e ritmi. All’“adagio” pensoso di passi come quello contrappone un procedimento materialistico di conoscen-
dei vv. 158 sgg. («Sovente in queste rive, / che, desolate, a za alle ideologie idealistiche dominanti contro cui si scaglia
bruno / veste il flutto indurato, e par che ondeggi, / seggo la (le quali non facevano derivare la bontà della condizione
notte ecc.») può tener dietro l’“allegro” impetuoso di altri, umana e il suo necessario progresso da un’analisi concreta
come ai vv. 212 sgg. («… così d’alto piombando, / dall’utero della realtà, ma da premesse teoriche astratte).
interpretazione
L’allegoria e la dimostrazione Nella Ginestra Leopardi anzi muta; bisogna dunque che l’uomo azzardi da solo rispo-
tenta un nuovo metodo di ragionamento, riconducibile alle ste possibili; e bisogna che su questa base si riformuli una
procedure dell’allegoria moderna. nuova gerarchia di valori, non più basata su certezze religio-
Nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia si riscon- se ma rischiosamente affidata a una verifica tutta centrata
tra il fondamento dell’allegoria moderna: la natura, inter- sulla realtà materiale e storica dell’uomo.
rogata, non dà più risposte di senso soddisfacenti, sembra Nella Ginestra viene messo in pratica questo metodo, d’al-
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S6 il conflitto delle interpretazioni materiali e documenti
La ginestra
La lettura di Binni: appello alla solidarietà sociale tutti gli inganni mitologico-religiosi o mitologico-prome-
e non consolazione teici e invitato – anzi comandato – a romper per sempre una
Nella lettura di Walter Binni, La ginestra viene a occupare il concezione di accettazione della forza che lo opprime e una
punto più coraggioso ed esplicito della polemica ideologico- concezione boriosa e retorica della propria sorte privilegiata
politica di Leopardi, configurando anche una proposta di alle- e immortale (individuale o collettiva), accettando solo co-
anza e di solidarietà sociale tra gli uomini. L’intero impianto del raggiosamente la verità della sua tragica e «innocente» si-
testo si baserebbe su questo nucleo affettivo-filosofico, così da tuazione e combattendo tutti i suoi vani sforzi di velarla e
escludere che Leopardi intendesse proporre il mito della gine- colorirla con cieli metafisici e facili paradisi in terra, che co-
stra quale equivalente della consolazione che gli uomini posso- stituiscono altrettante prove della sua disperata, istintiva
no conseguire per mezzo della poesia e delle bellezza. coscienza del male che lo assedia e lo limita e lo spinge a si-
mili «deliri» della mente e della fantasia. Né l’uomo può ac-
EE La ginestra è l’espressione più lontana possibile dalla cettare il soave profumo di quel fiore come una gentile gra-
poesia che rasserena e distacca dalla realtà dei problemi zia consolatrice della poesia, rifiutandone il perentorio invi-
massimi dell’uomo. E non inganni – a scanso di grossi equi- to ad un diverso comportamento, magari riducendo questo
voci – la stessa gentile e disadorna bellezza del «fiore che i ad un rilancio di «cristiana» «pazienza» e di «fraternità» di
deserti consola» (dov’è la «rosa», dove sono i fiori dei giardi- miseri, senza comprendere l’aspetto eversivo che quella
ni poetici tradizionali?), perché la sua consolazione è in ve- stessa solidarietà sostiene e ad essa conduce con l’implaca-
rità assai singolare, se essa – nelle forme di parabola evange- bile e trascinante consequenziarietà entro l’organico e deci-
lica-antievangelica che il Leopardi ha scelte con polemica e sivo «moltiplicatore» della poesia. Ché quella solidarietà è
geniale invenzione agganciata al capovolgimento dei ver- duramente impiantata nella nozione di un interesse comu-
setti del mistico vangelo giovanneo: «gli uomini preferiro- ne faticosamente attuabile solo accettando l’itinerario che
no le tenebre alla luce» – presenta una virile immagine ad essa conduce con coraggio di verità e di volontà.
dell’uomo sottratto a tutte le illusioni, a tutte le speranze, a W. Binni, La protesta di Leopardi, [1973], Sansoni, Firenze 19773, pp. 157-158.
La lettura di Gioanola: la consolazione della poesia to estremo tra la potenza cieca e la resistenza coraggiosa e
Nella lettura di Gioanola, puntata sul dato biografico e portata fragile della creatura-vittima: questo è il confronto che ani-
a sottovalutare l’elemento filosofico e ideologico, la ginestra ma poeticamente il testo, molto più di quello tra le due ide-
rappresenterebbe – a differenza di quanto affermato da Binni – ologie, che è eco polemica del primo. [...]
proprio la consolazione concessa agli uomini dalla bellezza e È una situazione molto simile a quella rappresentata dal
dunque dalla poesia; mentre il tema sociale e politico sarebbe «pastore errante», con la differenza che quel componimen-
secondario. La linea interpretativa di Binni (e poi anche di Tim- to era costruito attraverso una lunga serie di accorate inter-
panaro) avrebbe insomma forzato i testi leopardiani, dandone rogazioni, questa strofa invece dichiara lo stato deietto2
una lettura impropriamente ideologica. dell’uomo con la semplice e diretta mostra dell’immensità
dell’universo. In entrambi i casi, siamo di fronte alla costitu-
EE Per i critici della vincente linea Binni-Timpanaro1 [...] il zione del soggetto lirico come filosofo dell’esistenzialità, a
merito principale del testo, con drastica scelta contenutisti- fronte del nulla d’essere dell’uomo e del mistero di tutte le
ca, sarebbe dovuto all’invenzione della «social catena», que- cose [...].
sto tema mai così esplicitamente dichiarato come qui, se- La ginestra segna il vertice di questo atteggiamento, nel
condo il quale gli uomini devono confederarsi per combat- confronto radicale e ultimo del “filosofo” con l’alterità3 sen-
tere il vero nemico dell’umanità, la natura, abbandonando za scampo della natura, rappresentata dalla potenza indiffe-
le illusioni dell’«Universal amore» dileggiato nella Palinodia rente del vulcano e dalla vertigine dei mondi senza fine: è il
e le «superbe fole» della bontà dell’uomo e del progressi- religioso secondo Leopardi, tutto in negativo ma non per
smo. [...] Vero progressismo contro falso progressismo, se- questo meno profondo, non certo risolvibile in termini “po-
condo questi critici, rivoluzione contro reazione; ma forse litici”. Ma l’umile fiore che nasce nel deserto non simboleg-
c’è qualche sovradeterminazione ideologica in queste inter- gia soltanto la condizione esistenziale e ideologica del filo-
pretazioni. sofo-poeta, bensì anche la poesia che da quella condizione si
La ginestra è ben altro che polemica ideologico-politica origina [...]. La ginestra è la gratuità della poesia al di là di
[…]. In effetti i protagonisti veri del componimento sono il qualsiasi messaggio si voglia trarre da essa.
Vesuvio e la ginestra, cioè la natura e il poeta, in un confron- E. Gioanola, Leopardi, la malinconia, Jaca Book, Milano 1995, pp. 484 e 487-490.
1 Timpanaro: l’ostilità di Gioanola verso no Timpanaro, delle cui opinioni critiche su 2 deietto: abbandonato.
Timpanaro è esibita in più occasioni dal cri- Leopardi non condivido pressoché nulla 3 alterità: diversità, estraneità.
tico, che dichiara apertamente: «Sebastia- […]» (p. 326 dell’op. cit.).
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Canti capitolo II 173
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lirico e idillico (positivamente connotato) e un Leopardi prosastico-filosofico (di scarso valore
artistico). Mentre però la contrapposizione individuata da De Sanctis tra cuore e ragione vuole sot-
tolineare la modernità dell’autore, in Croce la teorizzata inconciliabilità tra poesia e pensiero induce
a condannare la maggior parte dei testi leopardiani. Nei Canti si troverebbero dunque gli uni accanto
agli altri tanto gli scarsi momenti autentici e riusciti degli idilli quanto i prevalenti interessi ideologi-
ci, filosofici, civili delle canzoni.
Le varianti della Le varie interpretazioni nate durante il lungo periodo (un secolo circa) dominato dall’asse De
lettura idealistica Sanctis-Croce accentuano questo o quell’elemento, ma restano in qualche modo tutte riconducibili
ai presupposti idealistici considerati. Ci può essere, negli anni Venti, la forzatura in senso religioso
del critico tedesco Karl Vossler, che sottolinea il senso del mistero e il bisogno d’infinito caratteri-
stici dei Canti: oppure, poco dopo, la lettura della lirica leopardiana quale esempio estremo di sem-
plicità formale e di immediatezza espressiva (Mario Fubini, con riprese successive per esempio in
I commenti ai Canti Emilio Bigi e in altri critici cattolici). Anche i numerosi commenti ai Canti nati in questo periodo
di ispirazione risentono dell’impostazione critica dominante, con una valorizzazione dei momenti giudicati più
crociana
autentici e poetici e la sottolineatura sistematica di quelli considerati invece marginali e impoetici.
La svolta del La svolta segnata nel secondo dopoguerra dagli studi di Walter Binni e di Cesare Luporini (e
secondo poi di Sebastiano Timpanaro) costringe a una rilettura del paradigma desanctisiano e crociano,
dopoguerra
riaccendendo l’interesse per il nesso poesia-pensiero e per la componente non idillica dei Canti. So-
prattutto l’ultima fase della poesia leopardiana, dal “ciclo di Aspasia” alla Ginestra, viene valo-
rizzata per la prima volta, con la riabilitazione anche delle soluzioni stilistiche estreme di un testo
come A se stesso, già utilizzato quale modello negativo da Croce (cfr. S4, p. 151). In questa prospettiva
nascono nuovi commenti ai Canti, e nascono, numerosi, nuovi studi critici, tra i quali spiccano quel-
li di Luigi Blasucci, di Emilio Peruzzi e di Franco Brioschi.
La nuova prospettiva critica, non da tutti accolta con eguale convinzione ma tuttavia innega-
bilmente più prossima allo spirito dei Canti e meglio in grado di comprenderne le ragioni culturali e
artistiche, è stata dominante soprattutto tra gli anni Cinquanta e i Settanta, dopo i quali si sono
Leopardi e il mondo avuti arricchimenti e ripensamenti, ma anche conferme e prosecuzioni. Tuttavia, come spesso acca-
della scuola de, il mondo della scuola ha stentato a recepirla e, soprattutto per quanto riguarda la scelta dei testi
da antologizzare e da studiare, è resistita e resiste ancora la centralità degli idilli giovanili e dei canti
pisano-recanatesi, mentre marginali restano l’esperienza delle canzoni civili, quella del “ciclo di
Aspasia” e quella delle “sepolcrali”. Non è raro che dell’ultimissimo Leopardi vengano ignorate la Pa-
linodia e i Paralipomeni, letta in chiave esistenziale la Ginestra, valorizzato quale idillio ritardato Il
tramonto della luna. C’è insomma uno scollamento tra il canone attualmente considerato dagli stu-
diosi di Leopardi e quello trasmesso attraverso i testi e l’insegnamento scolastico. E c’è dunque, per
la cultura nazionale, ancora un Leopardi da scoprire.
e spazio cosmico
La rappresentazione leopardiana della natura è influen- scino che ha anche su Leopardi la tensione romantica ver-
zata da fattori psicologici e filosofici, legati al sensismo, so l’illimitatezza e l’eternità (cfr. T2).
e, dopo il 1823, dalla visione meccanicistica di un univer- Un paesaggio lunare limpidissimo apre La sera del dì di fe-
so materiale illimitato, l’universo di Copernico, Newton e sta. La luce investe pochi particolari dello spazio paesano (i
Laplace. tetti, gli orti) e si dilata immediatamente al lontano orizzon-
Le convinzioni sensiste inducono Leopardi ad associare il te dei monti. L’opposizione spaziale chiuso-aperto, supe-
piacere al sentimento dell’infinito. L’infinito, la lontananza, rata nell’Infinito dall’immaginazione, diventa invalicabile:
la rimembranza costituiscono le coordinate spaziali e il poeta contempla la bellezza della natura dalla finestra,
temporali dell’immagine poetica della natura. Lo Zibaldo- non vi è immerso. Sperimenta la distanza, il contrasto tra
ne è ricco di note sul «contrasto... sublimissimo» tra il fini- l’intensità della quiete notturna e la propria diversità, che lo
to e il non-finito. Di qui l’essenzialità dei paesaggi leopardia- esclude dall’umanità comune (cfr. T2).
ni, la predilezione per i notturni lunari e per l’evocazione di All’opposizione io-natura (tema, questo, presente anche
ampie spazialità. nel Passero solitario) corrisponde una percezione com-
Sul rapporto finito-infinito si incentra l’idillio L’infinito. L’e- plessa e stratificata del tempo, che riassorbe la vicenda
sperienza sensoriale del limite visivo (siepe) e uditivo (ru- del soggetto, la festa paesana e la storia dei popoli antichi
more del vento) fa sperimentare nell’immaginazione l’idea nella precarietà di un’unica dimensione del tempo percepi-
di un infinito spaziale e temporale, che dà al poeta una sen- to come annientamento. L’infinità temporale si identifica
sazione di smarrimento e di felicità. Questo infinito non ha con il senso della distruzione e non è più fonte di piacere
un carattere mistico-religioso, ma è evocato nella fantasia (cfr. T8).
del poeta da precise sensazioni fisiche, pur rilevando il fa- Il rapporto finito-infinito nella canzone Ad Angelo Mai diven-
ta opposizione tra natura e ragione, tra il «caro immaginar»
e il «vero». La ragione scientifica, la finitezza cancellano il
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Canti capitolo II 175
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LO SPAZIO E IL TEMPO Spazio idillico e spazio cosmico
potere illimitato dell’immaginazione e delle antiche illusio- La contrapposizione passato/presente diventa opposizio-
ni. Ma la loro caduta è inevitabile. ne tra il luminoso spazio idillico della giovinezza («le vie
PERCORSI TEMATICI
Il suicidio di Saffo e Bruto Minore, sullo sfondo di una landa dorate e gli orti», il «lontano mar», «i monti azzurri»), e lo
deserta e della tenebrosa riva infernale, segna la rottura spazio negativo della perdita e dell’assenza. Il tempo della
violenta di ogni possibilità di intesa tra l’uomo e la natura. memoria colora il ricordo di struggente nostalgia non per-
Il paesaggio dell’Ultimo canto di Saffo (cfr. T1) rivela la mol- ché irrevocabile, ma perché illusorio e tragicamente dissol-
teplicità contraddittoria dei volti della natura, l’aspetto idilli- to (cfr. A Silvia, T4; Le ricordanze, T5; La quiete dopo la tem-
co (negato a Saffo), l’aspetto sconvolgente e minaccioso, pesta, T7).
l’aspetto funereo («l’atra notte, e la silente riva»). Nel Canto notturno scompare anche la memoria dell’idillio e
Tra il 1819 e il 1823 l’esperienza della malattia e la riflessio- il pastore è eretto a simbolo di un’oggettività esistenziale
ne sul vero distruggono l’illusione di una natura buona. universale. Nessuna traccia del familiare paesaggio reca-
L’antica armonia tra bellezza e bontà si è spezzata per natese. L’antico colloquio con la luna si spezza in una serie
sempre. di domande senza risposta. Lo spazio sconfinato e unifor-
Questa svolta è chiarita filosoficamente nel Dialogo della me della terra e del cielo, misurato dai «sempiterni giri»,
Natura e di un Islandese (1824). Scompare ogni apparenza dal «tacito infinito andar del tempo», rimanda a un presen-
idillica. Lo spazio, dilatato all’intero globo terrestre in una te atemporale, sempre uguale a se stesso. Il paesaggio è al-
ossessiva sequenza di paesaggi inospitali, rivela ora il vero legoria della condizione di non-senso e di angoscia dell’uo-
volto della natura. Personificata con gli attributi della donna mo nell’universo (cfr. T6).
fatale (figura gigantesca con il volto tra «bello e terribile»), Anche il paesaggio della Ginestra ha una natura allegorica,
la natura mostra l’indifferenza cosmica di un perpetuo ciclo è un paesaggio di rovina e di distruzione («arida schiena»,
di creazione e distruzione della materia, dove risulterebbe «formidabil monte / sterminator Vesevo» «ceneri infecon-
in «suo danno» se esistesse nell’universo «cosa alcuna li- de», «impietrata lava», «tutt’intorno una ruina involve»,
bera da patimento» (cfr. cap. I, T6). «sepolto scheletro», «estinta Pompei»). Questa immagi-
Leopardi ha aderito al materialismo meccanicistico prima ri- ne grandiosa della natura distruttrice nega ogni progres-
fiutato: non più la società e la civiltà, ma la natura appare la so (impero romano) o quiete idillica (il villanello). Lo spa-
principale nemica dell’uomo. Di qui la nascita dei grandi pa- zio desolato della natura si sovrappone a quello precario
esaggi cosmici delle Operette morali, dominati da un uni- della storia («Questi campi cosparsi di ceneri infeconde...
verso immenso e vuoto, metafora del nulla. Scompare l’idea fur città famose»), come la lentissima durata dei tempi bio-
idillica dell’infinito: il «silenzio nudo», la «quiete altissima», logici domina il tempo della storia e della vita individuale, di-
«lo spazio immenso» sono ora percepiti come negazione di struggendo ogni sopravvivenza di oggetti e di valori. Uomi-
vita. Lo spazio cosmico rifiuta l’uomo, non è più luogo dell’av- ni, formiche e piante sono accomunati dalla stessa sorte di
ventura dell’anima e dell’immaginazione, ma luogo della nu- annientamento.
da materia, la cui unica logica è quella del deperire, trapas- Dalla contemplazione delle rovine nasce tuttavia il «verace
sare secondo una legge «unicamente intenta e indirizzata saper» e il fiore gentile della «odorata» ginestra oppone
alla morte» (come nel Cantico del gallo silvestre). all’aridità e al deserto una reale possibilità di vita: la resi-
La sola eternità concepita da Leopardi è quella del non es- stenza alla forza devastante della natura può nascere solo
sere, che l’uomo porta in sé nel quotidiano deperire. Questa da un «vero amor» tra gli uomini, che li unisca in più civili e
coscienza esprime il Coro di morti, che apre il Dialogo di Fe- onesti rapporti sociali (cfr. T12).
derico Ruysch e delle sue mummie; i morti consumano le
«età vote e lente» in un astratto e vano tempo cosmico. La
vita contemplata dalla sponda della morte appare loro un Joseph Mallord William Turner, Paesaggio, 1840-1850 circa.
punto doloroso travolto nel silenzio infinito e senza senso. Liverpool, Walker Art Gallery.
I canti pisano-recanatesi del 1828-’30 sono un apparente ri-
torno all’idillio, in quanto rivisitano il passato delle illusioni,
della giovinezza, alla luce di una dolorosa esperienza esi-
stenziale. Essi presentano una analoga struttura spaziale: la
serenità delle immagini iniziali è smentita, con un brusco ef-
fetto di contrasto, dalla verità filosofica. Materializzano poeti-
camente «la contraddizione spaventevole» della natura
enunciata nel 1825 in un celebre passo dello Zibaldone, per
cui ogni essere è animato da una “naturale” tendenza alla fe-
licità che la natura stessa nega e distrugge (cfr. cap. I, T3, La
natura e la civiltà). La ragione ora impone lo smascheramen-
to degli inganni non più benefici, ma dolorosi, della natura.
L’amore è, per Leopardi, la più potente delle illusioni natu- gioni Tozzetti. Riferendosi a questa esperienza, Leopardi,
rali dell’animo umano, e sarà l’ultima a morire nella sua po- in un celebre pensiero, rivela un’ottica nuova nella consi-
esia (cfr. T10, A se stesso). Esso è concepito romantica- derazione dell’amore. Non insiste più sull’illusione e
mente come passione totale che coinvolge l’intera espe- sull’immaginazione, contrapposte al reale, ma sulla gran-
rienza esistenziale dell’individuo, esaltandone l’energia de passione concepita come banco di prova della cono-
e la vitalità fisico-psichica. scenza di sé, della propria forza e valore nei rapporti con il
Nei pensieri giovanili, annotati nello Zibaldone nel 1819, il mondo.
poeta sottolinea l’effetto di vagheggiamento solitario e di Il pensiero dominante segna questa svolta dal ripiega-
astrazione dalla realtà operato dal pensiero amoroso, mento interiore di un amore sognato all’esperienza della
«sempre immobile e potentissimo». Il potenziamento del- passione vissuta con totale abbandono, che ha tuttavia i
la sensibilità dell’io accentua la sua diversità e il suo isola- caratteri esaltanti della felicità cantata in Alla sua donna.
mento dalla volgarità del mondo. Questo dato resterà co- Dall’amore il poeta attinge un senso di pienezza del pro-
stante nella rappresentazione leopardiana dell’amore. prio essere e una consapevolezza della propria dignità mo-
All’effusione patetica delle prime poesie d’amore, sempre rale che lo isolano ancora dal volgo, ma gli consentono di
legata a una condizione dolorosa di perdita o di assenza, si affrontare la lotta contro il destino.
tratti della partenza (Primo amore), della morte (Il sogno) Alla tensione nostalgica del canto Alla sua donna, il poeta
o dell’indifferenza (La sera del dì di festa, T3) della donna oppone un’energia dell’animo e un anelito alla vita che ri-
amata, succede, nel 1823, il canto felice Alla sua donna, scattano l’esistenza dell’angoscia del nulla, un sogno sì
un inno all’amore in sé e per sé, disincarnato da una don- vivo e forte «che incontro al ver tenacemente dura, / e
na reale. spesso al ver s’adegua, / né si dilegua pria, che in grembo a
Fallita la ricerca di un dialogo con gli altri, dopo il viaggio a morte» (cfr. § 13 e espansioni digitali T, Il pensiero domi-
Roma, l’inappagato bisogno di amore trova espressione nante).
nel ripiegamento del desiderio verso i propri sogni. «In ef- Leopardi ripropone il binomio romantico che associa amo-
fetti – osserva Leopardi – appartiene solo all’immaginazio- re e morte (soprattutto nella canzone Amore e morte). La
ne di procurare all’uomo la sola specie di felicità positiva di morte non è più concepita come distruzione delle illusioni
cui sia capace». Alla sua donna è l’espressione estrema e (cfr. Ultimo canto di Saffo, T1; A Silvia, T4; Le ricordanze,
consapevole della scissione incomponibile tra l’ideale e la T5), ma come prova suprema del senso magnanimo ed
realtà di «questo arido suolo». Il poeta si appaga così del- eroico che suscita nell’animo la passione d’amore.
l’«imago», che non è, né potrà mai essere, reale, relegata L’«amore vero e possente» fa sperimentare a un livello
in una lontananza astrale, al di fuori di questo mondo, e ri- estremo di intensità la «contraddizione spaventevole»
vendica, con un atto estremo di non rassegnazione, la fun- dell’esistenza umana, la tensione cioè verso la felicità e la
zione consolatrice dell’illusione nei confronti del «secol te- sua irrealizzabilità. «A sé la terra / forse il mortale inabita-
tro». bil fatta / vede omai senza quella / nova, sola, infinita / feli-
Questa passione senza oggetto e senza speranza si tra- cità che il suo pensier figura» (Amore e morte).
sforma in passione reale nel ciclo delle poesie per Aspa- Passione concreta, ispirata da una donna reale, ma espe-
sia (1830-33), nate dall’amore travolgente per Fanny Tar- rienza unilaterale, altissima idea di perfezione potente-
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Canti capitolo II 177
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L’AMORE E LA DONNA La passione d’amore: un’ilusione formativa essenziale nella vita dell’uomo
mente accarezzata dall’immaginario soggettivo del poe- tazione della superiorità dell’uomo capace di grandi pas-
ta, essa non regge il confronto con la realtà. «A quella ec- sioni, la sublimazione erotica, la concentrazione nell’espe-
PERCORSI TEMATICI
celsa imago / sorge di rado il femminile ingegno», com- rienza amorosa dell’intera esperienza esistenziale e intel-
menta Leopardi in modo polemicamente misogino in lettuale del soggetto, la frattura tra ideale e reale, l’asso-
Aspasia. ciazione amore e morte.
Tuttavia anche l’atroce delusione non implica un ripiega- L’originalità di Leopardi anche nei confronti della contem-
mento nella rassegnazione, ma un lucido distacco dalle il- poranea lirica europea sta tuttavia nell’esclusione di ogni
lusioni del cuore, che corrisponde a un congedo definitivo atteggiamento mistico-panteista, che fa dell’amore e della
dalla poetica idillica. donna un tramite per il ricongiungimento al Tutto. La rap-
I canti d’amore del ciclo di Aspasia hanno un’importanza presentazione dell’esperienza amorosa, come potenzia-
fondamentale nella nascita della nuova poetica dell’ulti- mento delle capacità sensitive, conoscitive ed etiche
mo Leopardi (cfr. § 13). Alla poetica della rimembranza su- dell’io, si spoglia di ogni elemento patetico e sentimentale
bentra il confronto con il presente, il vivo dell’esperienza e ribadisce le principali convinzioni filosofiche dell’autore
diretta, un atteggiamento combattivo nutrito non solo da in polemica con il «secol superbo e sciocco». La potente il-
un’orgogliosa coscienza di sé e del valore delle proprie lusione amorosa dà inoltre al poeta la forza di una sfida
idee, ma anche da una più cordiale apertura verso i rappor- estrema alla negatività del mondo, a partire da un senti-
ti umani e sociali. mento nuovo di amore e di solidarietà per l’uomo che impo-
Concludendo, nella rappresentazione leopardiana dell’a- ne il dovere, altrettanto eroico rispetto al suicidio di Bruto,
more confluiscono vari temi della cultura romantica: l’esal- di una resistenza collettiva al male del mondo.
la prima fase (1818-1822) anni della prosa (1823-1827) la seconda fase (1828-1830)
• amore come illusione non • aspirazione e deperibilità della • indagine sul senso della vita e sul
smascherabile bellezza destino dell’uomo
• amore come sfida estrema • morte come tragedia senza • limiti materiali della condizione
dell’uomo significato umana
• solidarietà sociale
• verso un’umanità liberata
SINTESI
Composizione e storia dei Canti di pensare al libro dei Canti, Leopardi pubblica numerose
La produzione poetica significativa di Leopardi è tutta rac- stampe parziali dei testi via via composti, fra cui Canzoni
colta nei Canti, con la sola eccezione del poemetto in ottave (1824) e Versi (1826). Tali edizioni attestano la consapevolez-
Paralipomeni della Batracomiomachia. Il libro dei Canti conta za leopardiana di aver lavorato su due filoni assai diversi, uno
41 testi di varia lunghezza, composti tra il 1816 e il 1837. Il di tipo patriottico-civile-filosofico e uno evocativo-senti-
grosso di questa produzione si concentra tra il 1818 e il 1822 e mentale-esistenziale; il primo coincidente all’incirca con le
tra il 1828 e il 1836. Tra il 1823 e il 1827 invece si collocano le canzoni e il secondo con gli idilli. Nella disposizione struttu-
Operette morali. La prima edizione dei Canti, contenente rale dei testi all’interno dei Canti, Leopardi non segue rigoro-
ventitré testi, esce nel 1831; una seconda di trentanove testi samente l’ordine cronologico di composizione; tuttavia ri-
viene stampata nel 1835; la terza e definitiva edizione esce spetta tale ordine in molti casi e dispone i testi secondo bloc-
postuma nel 1845 ed è composta da quarantuno testi. Prima chi anche cronologicamente omogenei. Non vi è neppure
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Canti capitolo II 179
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DAL RIPASSO ALLA VERIFICA
una suddivisione rigida per generi, benché anche questo cri- una lingua canonica, da cui si sprigiona il senso di diversità
terio agisca spesso in modo coerente (soprattutto per il nei confronti del presente. Prevalgono infatti termini che
gruppo delle Canzoni civili e degli Idilli). La struttura dei Canti esprimono vaghezza, distanza, indefinitezza, parole rare e
è dunque il risultato di varie esigenze e intenzioni. Il criterio usi lontani dalla norma. Lo stile risente inoltre di una signifi-
cronologico, quello di genere e quello tematico si incrociano cativa componente prosastica.
nella struttura del libro, ora convergendo verso soluzioni ot-
timali, ora subendo inevitabili compromessi. Il titolo Canti fa La prima fase della poesia leopardiana (1818-22)
riferimento, inoltre, all’intonazione musicale dei testi e sug- I Canti si aprono con un gruppo di nove canzoni concluso dal-
gerisce una lettura molteplice del libro: da una parte sfogo li- la seconda canzone del suicidio, l’Ultimo canto di Saffo.
rico-soggettivo, cioè manifestazione diretta dell’io e della Parallelamente alla stesura delle canzoni civili nascono, tra il
sua interiorità; dall’altra espressione segnata dalla materiali- 1819 e il 1821, gli «idilli». Si tratta di cinque testi (L’infinito, La
tà della voce e delle parole “cantate”, cioè pronunciate. sera del dì di festa, Alla luna, Il sogno, La vita solitaria) che
nell’edizione definitiva dei Canti occupano i numeri 12-16.
I temi Tra le canzoni e gli idilli vi sono due testi (Il primo amore e Il
Uno dei grandi temi che attraversano il libro dei Canti è quel- passero solitario) che fungono da cerniera tra i due diversi fi-
lo civile, spesso esplicitamente delineato in senso ideologi- loni di ricerca. Gli idilli, a differenza delle canzoni, presentano
co-politico, a cui si lega il problema della società in quanto un punto di vista lirico-soggettivo. Ciò non esclude, tuttavia,
istituzione storica. Collegata strettamente al tema civile è la un orientamento riflessivo o filosofico-argomentativo.
questione del rapporto tra antichi e moderni, che Leopardi
eredita da una diffusa tradizione precedente. Come agli anti- La seconda fase della poesia leopardiana (1828-30)
chi appartenevano le illusioni, e di conseguenza, le virtù, l’e- Nei sei anni che vanno dal 1822 al 1828 Leopardi si dedica al-
roismo, i valori; così ai moderni appartengono la cognizione la prosa delle Operette morali e compone solo due testi poe-
del vero, e dunque i vizi, le viltà, l’egoismo. Da ciò deriva che tici: Alla sua donna e Al conte Carlo Pepoli. La loro collocazio-
la poesia, caratteristica del mondo antico di sentire e di espri- ne centrale nella struttura dei Canti serve a mettere in co-
mersi, è divenuta impossibile o difficile per i moderni. Un al- municazione la parte più antica delle canzoni e degli idilli
tro importante tema è quello della memoria: il poeta moder- con quella successiva dei grandi canti pisano-recanatesi, fio-
no deve trarre dal passato dell’umanità il rapporto con la re- rentini e napoletani. Nella primavera del 1828 Leopardi ri-
altà e il sostegno delle illusioni, e deve pure ricorrere al pro- torna alla poesia, componendo in poche settimane, a Pisa, Il
prio passato individuale quale serbatoio di esperienze anco- risorgimento e A Silvia. Nei due anni successivi, a Recanati,
ra non segnate dalla disillusione e dal vero. Al tema della me- nasceranno Le ricordanze, Canto notturno di un pastore er-
moria è dunque collegato quello delle illusioni profonda- rante dell’Asia, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del vil-
mente segnate dalla dimensione temporale: queste caratte- laggio; forse anche Il passero solitario.
rizzano l’infanzia, l’antico, il passato, mentre si rovinano e di-
leguano nel moderno, nella maturità e nel presente. C’è però La terza fase della poesia leopardiana (1831-37)
anche la messa in scena di illusioni presenti e vive, e del loro Un insieme inedito e significativo di vicende umane e culturali
valore attivo di conoscenza e di esperienza positiva. Un altro spinse Leopardi, negli anni conclusivi della sua vita, a tentare
tema importante è l’amore quale catalizzatore dell’angoscia- un radicale rinnovamento poetico. Sul piano tematico la pro-
ta interiorità del soggetto o quale sfida di apertura alla vita. duzione di questo periodo si orienta in tre direzioni fondamen-
tali: l’amore come passione concreta e vissuta (i cinque testi
La lingua e lo stile del “ciclo di Aspasia”); la riflessione filosofica in un’ottica dura-
I metri usati nei Canti sono l’endecasillabo e il settenario, ti- mente negativa e antidealistica (soprattutto le due canzoni se-
pici della tradizione lirica italiana. Tuttavia Leopardi forza polcrali e La ginestra); l’intervento ideologico-politico sia per
tali metri verso sonorità nuove e personali e la scelta della rifiutare i miti moderati di progresso sia per avanzare una per-
canzone, quale forma metrica fondamentale, si giustifica sonale proposta di solidarietà fondata sulla disillusione (so-
con la sua tradizione eccelsa. La lingua usata da Leopardi è prattutto la Palinodia al marchese Gino Capponi e La ginestra).
12 Distingui le affermazioni giuste da quelle sbagliate. Tra il 1823 e il 1827 Leopardi (§ 10)
A V F abbozza i nuclei essenziali dei canti pisano-recanatesi
primo piano
Canti capitolo II 181
Codice Fiscale: nctgrl03r12e156z
DAL RIPASSO ALLA VERIFICA
13 Indica (§ 13)
• l’evento biografico che dà origine al “ciclo di Aspasia”
• quale svolta si profila nella poesia leopardiana
14 Colloca nei rispettivi contesti le espressioni che seguono e spiegane il significato in rapporto alla teoria del piacere
• «Piacer figlio d’affanno»
• «Questo di sette è il più gradito giorno»
15 Segna con una crocetta, tra i testi elencati, quelli ispirati alla poetica del vago
A Canto notturno di un pastore errante dell’Asia
16 Confronta l’incipit (primi otto versi) dell’Ultimo canto di Saffo (T1) con quello dell’Infinito (T2). Completa quindi
lo schema indicando le principali differenze di stile.
17 La figura di Silvia a quale destino del poeta, e più in generale dell’uomo, allude? (T4)
18 Perché il Canto notturno non può essere annoverato tra gli idilli? (T6)
19 Il rapporto io/natura nel Passero solitario a quale fase del pensiero leopardiano può essere attribuito? Dimo-
stralo con precisi riferimenti al testo. (T8)
20 Nelle canzoni sepolcrali la riflessione sulla morte si incentra soprattutto su chi resta. Per quale ragione? Che no-
vità introduce questo spostamento di ottica rispetto ai canti pisano-recanatesi? (§ 14)
21 Chi sono i veri protagonisti della Ginestra e quale confronto simboleggiano? (§ 15, T12)
22 Il «vero amor» che auspica il poeta nella Ginestra si riferisce (§ 15, T12)
A ad una passione amorosa che risveglia le illusioni
23 In che senso nel Pensiero dominante il poeta rivaluta il «sogno», anche se «palese error»? (T espansioni digitali )
PROPOSTE DI SCRITTURA
LA TRATTAZIONE SINTETICA
Il tema amoroso nella poesia leopardiana
In una trattazione sintetica delinea la parabola del tema amoroso dal suicidio di Saffo (T1) alla poesia A se stesso (T10).
LA RELAZIONE
La funzione del “vero” in Leopardi
Esamina in una relazione come cambia nel corso della riflessione leopardiana la funzione del “vero”. Considera i seguenti
punti (T4, T10, T12)
IL TEMA
La miseria della condizione umana della Ginestra e il rapporto tra vedere, sentire e pensare
Lo spazio desolato della Ginestra (T12), attesta la condizione esistenziale di nullità dell’uomo e sostiene insieme la polemica
contro l’antropocentrismo. Individua in questo testo il collegamento, tipico di tutta la lirica leopardiana, tra vedere, sentire
e pensare. (§§ 4 e 15)
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I INTERSEZIONI Scienza ed etica
I MODULO TEMATICO INTERDISCIPLINARE Lo specchio della luna
I VIDEO le idee e le immagini Pietro Cataldi, Leopardi
I VIDEO lezione d’autore Luigi Blasucci, Il sabato del villaggio
I VIDEO Emanuele Zinato, Confronto fra autori: Levi e Leopardi
primo piano
Canti capitolo II 183
Codice Fiscale: nctgrl03r12e156z
Capitolo III Leopardi e la modernità:
temi e percorsi
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Paul Klee, Il sorgere della luna a St. Germain (Tunisi), 1915. Essen, Museo Folkwang.
La riflessione La natura è al centro della riflessione leopardiana. Dapprima sentita quale territorio benefico di
leopardiana sulla illusioni che la ragione avrebbe distrutto con danno della felicità umana, nella fase più matura del-
natura
la ricerca leopardiana la natura diventa la manifestazione di una bellezza tragica e distante, ne-
gata al contatto con l’umanità, e addirittura il teatro necessario dell’infelicità. È la natura che ritrae
sdegnosa il candido ruscello dal piede della misera Saffo destinata alla solitudine dall’aspetto brutto
(cfr. cap. II, T1, p. 101); è la natura che discutendo con l’Islandese in una nota “operetta morale” affer-
ma la propria indifferenza crudele alle sorti degli uomini (cfr. cap. I, T6, p. 45); è la natura che con la
banale caduta di una mela può distruggere un formicaio e con la poco più grande eruzione di un vul-
cano può annientare intere città (cfr. i vv. 202-236 della Ginestra: cap. II, T12, p. 161).
Dalla natura In un passo agghiacciante dello Zibaldone (cfr. cap. I, T3, p. 30) questa indifferenza ostile della natu-
«matrigna» di ra viene registrata in un giardino di fiori nella stagione più bella, con il rovesciamento del tópos antico
Leopardi al «male di
vivere» di Montale del locus amoenus (cioè del ‘luogo di delizie’), con una generalizzata affermazione del male universale
della quale si ricorderà Montale in un testo famoso degli Ossi di seppia: «Spesso il male di vivere ho incon-
trato». Dalla natura «matrigna» della quale Leopardi parla nella Ginestra (v. 125) siamo passati al
«male di vivere» di Montale; con l’aggravante che mentre Leopardi confida infine nella opportuni-
tà per gli esseri umani di allearsi in una lotta solidale contro la natura, soccorrendosi a vicenda, al-
meno nella stagione iniziale della sua ricerca Montale ipotizza solo la speranza, davvero minima, di
una individuale difesa nell’indifferenza, cioè nel distacco e nella rinuncia alle passioni (cfr. T1).
La natura in Pascoli L’anelito verso una natura capace ancora di accogliere il bisogno umano di protezione, di auten-
ticità e di senso si ritrova frustrato anche in quegli autori moderni che tentano ancora questa strada,
come Giovanni Pascoli (1855-1912). La natura raffigurata nella sua poesia ha spesso i tratti mi-
nacciosi di una presenza ostile, che pare alludere comunque alla infelicità della condizione morta-
le e alla cattiveria degli uomini (cfr. vol. 5).
T1 Eugenio Montale
«Spesso il male di vivere ho incontrato»
OPERA Questo breve componimento è tratto dal primo libro di …ugenio Montale (1896-1981), Ossi di seppia
Ossi di seppia
(1925). Nella prima quartina si presentano tre esempi della sofferenza prodotta dalla vita in se stessa
CONCETTI CHIAVE («il male di vivere»); nella seconda, tre esempi di non sofferenza. Mentre il male è la norma («Spes-
• la sofferenza è
connaturata alla so»), il bene è un’eccezione («prodigio»). Peggio ancora, il bene sta nell’«indifferenza», cioè nella ca-
vita pacità di rinunciare alle passioni e quasi quasi alla vita stessa, tenendosene il più lontani possibile.
• il bene della
«divina Spesso il male di vivere ho incontrato:
indifferenza»
era il rivo strozzato che gorgoglia,
fonte
E. Montale, L’opera in versi,
era l’incartocciarsi della foglia
a cura di R. Bettarini e
G. Contini, Einaudi, Torino
riarsa, era il cavallo stramazzato.
1980.
5 Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.
metrica due quartine di endecasillabi, essere vivente). Era: la triplice anafora serve presentato in un progressivo innalzamento,
con l’eccezione dell’ultimo verso, un martel‑ a valorizzare e quasi a soppesare ogni singo‑ in contrasto con la terrestrità bassa delle tre
liano o doppio settenario. Il sistema delle ri‑ lo caso. Il verbo “gorgogliare” e il termine immagini della prima quartina (e la rima
me, ricco e complesso, è il seguente: ABBA, “strozza” si trovano uniti in un luogo dell’In- stramazzato : levato sottolinea un’antitesi
CDDA. La simmetria costruttiva delle due ferno di Dante (VII, v. 125), segno non isolato propriamente spaziale). Prodigio: è il tema
quartine è sottolineata dall’identica posizio‑ del dantismo (in chiave espressionistica) di dell’eccezione miracolosa alla necessità, fre‑
ne di un enjambement tra il terzo e il quarto Montale. Incartocciarsi: l’arrotolarsi su se quente nella poesia montaliana. Schiude: in
verso di ciascuna strofa. stessa della foglia, come una carta spiegaz‑ contrasto con le immagini di chiusura della
zata. Riarsa: prosciugata dalla aridità, con strofa precedente (strozzato, incartocciar-
1-4 Ho incontrato spesso il male della vita evocazione di una tematica frequente nel si). Divina Indifferenza: la maiuscola di In-
(di vivere): era [: si manifestava in] il ruscello primo libro montaliano. differenza segnala una vera e propria perso‑
(rivo) impedito (strozzato) [: nello scorrere, 5-8 Non ho conosciuto (non seppi) il bene, nificazione, come alludendo al nome di una
per una strettoia] che gorgoglia, era l’accar- all’infuori (fuori) del miracolo che il distacco dea. La statua… /del meriggio: è qui impli‑
tocciarsi (incartocciarsi; più raro e letterario) (Indifferenza) [: soggetto] divino [: superio‑ cata senza dubbio la vita umana, alla quale
della foglia secca (riarsa), era il cavallo morto re] consente (schiude = apre): era [: si mani‑ compete la sonnolenza nelle ore calde del
(stramazzato). Tre immagini di impedi‑ festava in] la statua nel mezzogiorno pieno di giorno e di cui si ritrovano le fattezze nella
mento, di aridità (cioè di privazione), di mor‑ sonno (nella sonnolenza del meriggio) e statua. Ma la condizione umana appare
te: con un doppio climax: dalla difficoltà a [era] la nuvola, e [era] il falco sollevato (leva- doppiamente degradata a causa della pietri‑
esistere (il rivo) alla vita sul punto di finire (la to) [in] alto. Alle tre immagini negative della ficazione e del sonno. Falco alto levato: il
foglia) alla morte (il cavallo), e dall’esisten‑ prima quartina si contrappongono le tre po‑ falco in volo può essere anche un’immagine
za inanimata a quella vegetale a quella ani‑ sitive di questa, espressione dell’unico bene di chiaroveggenza. Eccedendo i limiti metri‑
male. Il male di vivere: il dolore che è impli‑ possibile: il distacco e l’indifferenza. Si noti ci degli altri versi e presentando una triplice
cito nella vita, e anzi nell’esistenza (il primo come accanto all’opposizione male vs bene assonanza, l’espressione si solleva anche fo‑
dei tre esempi che seguono non presenta un si delinea quella basso vs alto: il bene è rap‑ nicamente dalla struttura testuale.
T2 Clemente Rebora
«Dall’intensa nuvolaglia»
OPERA In una riedizione più tarda del testo che segue il poeta ha aggiunto il titolo Turbine. La descrizione di un tem-
Frammenti lirici
porale è fatta qui con il linguaggio violento e convulso caratteristico del poeta, con ardite tensioni sintatti-
CONCETTI CHIAVE che e martellanti effetti fonici. Vi è una contrapposizione tra gli effetti del temporale in campagna e in città:
• la descrizione
espressionistica di mentre in campagna esso si manifesta come violenza aperta e come scontro con gli uomini, in città agisce
un temporale in modo occulto e inavvertito, fondendosi all’angoscia consueta e uccidendo senza neppure combattere.
• natura vs città
fonte Dall’intensa nuvolaglia
C. Rebora, Le poesie, a cura Giù – brunita la corazza,
di G. Mussini e V. Scheiwiller,
Garzanti, Milano 1988. Con guizzi di lucido giallo,
Con suono che scoppia e si scaglia –
5 Piomba il turbine e scorrazza
Sul vento proteso a cavallo
Campi e ville, e dà battaglia;
metrica vari metri liberamente alternati, (guizzi) di giallo luminoso (lucido) [: i fulmini], nalmente transitivo) campi e paesi (ville), e
con prevalenza di ottonari e di novenari; due con un suono che esplode (scoppia) e si rompe aggredisce (dà battaglia) [ogni cosa]. Il tem‑
settenari e un endecasillabo si susseguono, (si scaglia) [: il tuono] – si abbatte (piomba) porale è presentato come un guerriero a ca‑
eccezionalmente, ai vv. 11‑13. Molte rime. verso il basso (giù) [scendendo] dalle intense vallo che porta il suo attacco distruttivo con‑
nuvole diffuse (nuvolaglia) e lanciato (prote- tro la campagna e contro i borghi dove passa.
1-7 Il turbine – con l’armatura (corazza) luci- so) a cavallo sul vento [: con velocità e violen‑ Brunita la corazza: è un accusativo alla gre‑
da (brunita) [: le nuvole compatte], con lampi za] attraversa con furia (scorrazza; eccezio‑ ca, e vuol dire con la corazza brunita.
8-14 Ma quando colpisce (urta) una città [il sogno di] combattere. Prosegue qui la meta‑ mere l’aspetto stesso dell’angosciosa vita
turbine] si rompe (scardina) in ogni pezzo fora del temporale/guerriero a cavallo. Ma in cittadina e sotto tale volto colpire e uccide‑
(maglia = le parti che formano la rete metal‑ città la sua violenza non ha bisogno di com‑ re. Occhiaia: probabilmente i ‘lividi scuri’
lica dell’armatura), diventa scuro (s’inom- battere per uccidere, perché non trova nes‑ (cfr. s’inombra) ‘che si formano sotto gli oc‑
bra) come un’occhiaia, e trasforma (tramuta) suna resistenza; lo scontro aperto tra uomo chi per stanchezza o per malattia’ (secondo
sia (e) i lampi (guizzi) sia (e) i rumori (suono; e minaccia naturale sullo scenario di campa‑ il significato più comune del termine), o for‑
il sing. è qui una metonimia) [: i tuoni, il fi‑ gna dei primi sette versi diviene qui, nello se le stesse ‘cavità che contengono i globi
schiare del vento, il battere della pioggia] sia scenario cittadino, una specie di implicita al‑ oculari’ (secondo un’accezione più scientifi‑
(e) il vento in angoscia (ansietà) di (d’) peno- leanza tra la minaccia e l’uomo stesso: la ci‑ ca). In tormento: che provocano sofferenza
se (in tormento) attività (faccende) di mas- viltà non ferma la violenza del turbine, ma la sia a chi agisce sia a chi è riguardato dall’a‑
sa (affollate): e uccide (ammazza) senza [bi- rende subdola e strisciante, capace di assu‑ zione.
T3 Andrea Zanzotto
Quel de la Ginestra
OPERA Riportiamo qui una breve sezione del poemetto Filò (1976), scritto da Andrea Zanzotto (nato nel
Filò
1921) in dialetto friulano e formato da oltre 300 versi, sul modello dei Sepolcri foscoliani e soprattutto
CONCETTI CHIAVE della Ginestra di Leopardi, esplicitamente evocata nel frammento antologizzato e già in precedenza.
• la violenza della
natura Fra i temi trattati nel poemetto ci sono i gravi terremoti che nel maggio e poi nel settembre del 1976
• le colpe degli avevano colpito la terra del poeta, il Friuli, provocando quasi 1000 morti. La natura è rappresentata
uomini come nel leopardiano Dialogo della Natura e di un Islandese (nelle Operette morali): indifferente al
fonte bene degli uomini e dunque, di fatto, ostile. … tuttavia poi Zanzotto riprende e allarga la prospettiva
A. Zanzotto, Le poesie e prose
scelte, a cura di S. Dal Bianco della Ginestra, secondo la quale l’incapacità umana di difendersi dalla natura è un male ancora più
e G.M. Villalta, Mondadori,
Milano 1999.
grave di quelli inflitti dalla natura stessa.
metrica versi tradizionali alternati e com‑ 3-4 vena…forza: si allude qui in particola‑ vederlo. È il tema leopardiano della ragione
binati con la massima libertà, con frequenti re agli studi geologici, che avrebbero potuto che sola può aiutare a sconfiggere i danni
endecasillabi (come i vv. 3-5) ma anche dop‑ scongiurare o almeno rendere assai meno della ragione.
pi settenari (per esempio il v. 10), settenari gravi gli effetti del terremoto del 1976. 11 quello della Ginestra: Leopardi, ovvia‑
più quinari o viceversa (per esempio i vv. 22 10 se strabici…strabismo: ammesso che mente; ricordato dal titolo del componi‑
e 9), endecasillabi più quinari (per esempio il noi umani, portatori di un punto di vista tan‑ mento al quale Zanzotto si sente qui più vici‑
v. 8), ecc. to difforme nei confronti della nostra condi‑ no, e del quale riprende nei versi successivi i
zione, si possa essere capaci egualmente di ragionamenti solidaristici.
21 che è vinta…obbedendo: il testo friula‑ 31 i morti del Vajont: quelli (quasi 2000) questo altro disastro potevano e dovevano
no evidenzia la citazione latina del pensatore provocati nel 1963 dall’inondazione, evitabi‑ essere del tutto evitati, e sono da imputare
inglese rinascimentale Bacone. Alla lettera: le e da imputarsi a responsabilità e interessi, per intero all’avidità umana e alle leggi spie‑
‘che non è vinta se non obbedendole’. Per di‑ causata dalla fuoriuscita di milioni di tonnel‑ tate del profitto, che spingono a violentare
fendersi dalla natura, cioè, bisogna che gli uo‑ late di acqua e fango dalla diga sul fiume Va‑ la natura e a peggiorarne gli effetti.
mini si uniscano, sì, ma innanzitutto nel rispet‑ jont (nell’attuale provincia di Pordenone). 34-35 Seppure…uomini: l’errore della ter‑
to delle leggi profonde della natura stessa. Se i morti causati da un terremoto potevano ra, e della natura, potrebbe essere addirittura
29 chi: i detentori di maggiori responsabi‑ essere molti di meno solo che l’umanità si di aver procreato, con l’umanità, una specie in
lità e potere. fosse presa cura della terra, quelli causati da grado di distruggere la natura stessa e la terra.
Il mito del progresso Un’idea fiduciosa della storia caratterizza la prima metà dell’Ottocento e la stagione risorgi-
nella prima metà mentale. La realizzazione dell’unità nazionale diviene in Italia solo una delle molte prove possibili
dell’Ottocento in
Italia del progresso continuo e inevitabile della storia umana. In particolare lo sviluppo delle conoscenze
scientifiche e delle applicazioni tecniche diffonde il mito del progresso, che culmina dopo la metà
dell’Ottocento nell’ottimismo positivistico .
Leopardi rifiuta di Tale fiducia nel progresso è condivisa in Italia, sia pure con atteggiamenti diversi, da tutti gli au-
condividere questo
mito
tori romantici, incluso Manzoni; ma non da Leopardi. Quest’ultimo punta invece il dito sui danni
provocati dalla civiltà alla condizione umana, e non può d’altra parte fare a meno di cogliere pre-
cocemente perfino i limiti storici della prospettiva politica e sociale del Risorgimento (come avvie-
ne nel poemetto tardo Paralipomeni della Batracomiomachia: cfr. cap. I, § 11).
Le ragioni del rifiuto L’aumento del sapere scientifico risulta a Leopardi un dato solamente quantitativo, che riduce
lo spazio dell’immaginazione e delle illusioni generose. La conoscenza del “come” non appaga il
bisogno del “perché” delle cose, e lascia l’umanità in uno stato di desolazione e di disillusione. Più
cose si sanno, meno se ne capisce il significato e il valore: «discovrendo solo il nulla si accresce», de-
nuncia Leopardi nella canzone Ad Angelo Mai (1820).
Il progresso come Il progresso esaltato da tutti i pensatori contemporanei di Leopardi pare a questi un’illusione pe-
illusione pericolosa
ricolosa, incapace di risolvere le vere ragioni di fondo dell’infelicità umana (cioè l’infelicità naturale)
e invece in grado di legittimare modelli di civiltà destinati ad accrescerla in quanto fondati sullo svi-
luppo del sapere tecnico anziché degli stili di vita sociale, cioè sulla competizione e sul privilegio an-
ziché sulla collaborazione e sulla solidarietà.
La critica Questa critica del progresso anticipa il senso di smarrimento che coglierà la cultura europea
leopardiana del
progresso anticipa il
tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, allorché certi limiti del modello perseguito di-
successivo pensiero verranno evidenti e l’ottimismo risorgimentale e romantico cederà il passo a un pensiero della crisi.
della crisi Si svilupperanno varie riletture critiche dell’ottimismo progressista, sia in campo filosofico che in
campo politico e sociale.
Il pessimismo In campo letterario lo stimolo del pessimismo leopardiano incoraggerà la posizione di grandi autori
leopardiano della tradizione materialista (e anche per questo sensibili al pensiero di Leopardi): Giovanni Verga negli
influenza Verga, De
Roberto, Pirandello ultimi decenni dell’Ottocento (cfr. T4), Federico De Roberto (1861-1927, autore di una monografia su Leo
e Pasolini pardi e influenzato dal pensiero leopardiano nei romanzi I Viceré e L’imperio) a cavallo fra i due secoli, Luigi
Pirandello all’inizio del Novecento (cfr. T5, p. 192). E questo filone di critica del progresso si svilupperà in
profondità nel Novecento, anche grazie all’influenza del pensiero di Nietzsche, di Freud e poi di alcuni
pensatori tedeschi degli anni Trenta e degli anni Sessanta, da Walter Benjamin a Herbert Marcuse. Lo ri-
troviamo perciò anche in scrittori della seconda metà del secolo come Pier Paolo Pasolini (cfr. T6, p. 193).
Egli andava a visitare il carcame del grigio1 in fondo al burrone, e vi conduceva a forza anche Ra-
nocchio,2 il quale non avrebbe voluto andarci; e Malpelo gli diceva che a questo mondo bisogna
avvezzarsi a vedere in faccia ogni cosa, bella o brutta; e stava a considerare con l’avidità curiosa
di un monellaccio i cani che accorrevano da tutte le fattorie dei dintorni a disputarsi le carni del
5 grigio. I cani scappavano guaendo, come comparivano i ragazzi, e si aggiravano ustolando3 sui
greppi4 dirimpetto, ma il Rosso non lasciava che Ranocchio li scacciasse a sassate. «Vedi quella
cagna nera, – gli diceva – che non ha paura delle tue sassate? Non ha paura perché ha più fame
degli altri. Gliele vedi quelle costole al grigio? Adesso non soffre più». L’asino grigio se ne stava
tranquillo colle quattro zampe distese, e lasciava che i cani si divertissero a vuotargli le occhiaie
10 profonde, e a spolpargli le ossa bianche; i denti che gli laceravano le viscere non gli avrebbero
fatto piegare di un pelo, come quando gli accarezzavano la schiena a badilate per mettergli in
corpo un po’ di vigore nel salire la ripida viuzza. «Ecco come vanno le cose! Anche il grigio ha
avuto dei colpi di zappa e delle guidalesche,5 anch’esso quando piegava sotto il peso, o gli man-
cava il fiato per andare innanzi, aveva di quelle occhiate, mentre lo battevano, che sembrava di-
15 cesse: “Non più! non più!”. Ma ora gli occhi se li mangiano i cani, ed esso se ne ride dei colpi e
delle guidalesche, con quella bocca spolpata e tutta denti. Ma se non fosse mai nato sarebbe sta-
to meglio».6
1 il carcame del grigio: il cadavere in de- 3 ustolando: mugolando dalla fame. del proprio pensiero e intravede nella morte
composizione di un asino grigio, morto di fa‑ 4 greppi: pendii scoscesi. l’unica alternativa alla sofferenza umana. In
me e di stenti, e nel quale dunque Malpelo 5 guidalesche: piaghe formate dai fini‑ tal senso la frase sviluppa gli spunti già pre‑
identifica il proprio destino infelice. menti del basto sulla pelle degli animali da senti nella prima parte del testo («Così cre‑
2 Ranocchio: un ragazzo fragile e sfruttato tiro. perai più presto!» aveva detto all’asino men‑
verso il quale Malpelo ha modo di manife‑ 6 Ma se…meglio»: Malpelo è ormai giun‑ tre lo percuoteva) e al tempo stesso anticipa
stare un istinto protettivo. to a una sistemazione a suo modo organica la soluzione finale del racconto.
T5 Luigi Pirandello
La critica del progresso
OPERA Uno dei temi più significativi del Fu Mattia Pascal (1904) è la critica del progresso e dei risultati della
Il fu Mattia Pascal
scienza e della tecnica. In questo modo Luigi Pirandello (1867-1936) prende precocemente posi-
CONCETTI CHIAVE zione contro il Positivismo, rilanciando la critica di Verga e soprattutto di Leopardi al progresso.
• la civiltà delle
macchine La critica del progresso si esprime in questo brano, tratto dalla conclusione del capitolo IX, in due
• il progresso «non modi: al cospetto delle novità tecnologiche (per esempio il tram) e nella meditazione sul rapporto
ha nulla a che fare con la natura. Il prevalere della tecnologia nella vita umana determina uno svuotamento dell’inte-
con la felicità»
• l’impossibile riorità e mette così a rischio l’esperienza reale: gli esseri umani divengono artificiali, cioè maschere,
dialogo con la come concluderà presto Pirandello.
natura
fonte
L. Pirandello, Tutti i romanzi,
Ed ecco, mi cacciavo, di nuovo, fuori, per le strade, osservavo tutto, mi fermavo a ogni nonnulla,
a cura di G. Macchia riflettevo a lungo su le minime cose; stanco, entravo in un caffè, leggevo qualche giornale, guar-
e M. Costanzo, vol. I,
Mondadori, Milano 1973. davo la gente che entrava e usciva; alla fine, uscivo anch’io. Ma la vita, a considerarla così, da spet-
tatore estraneo, mi pareva ora senza costrutto e senza scopo; mi sentivo sperduto tra quel rime-
5 scolìo di gente. E intanto il frastuono, il fermento continuo della città mi rintronavano.
«Oh perché gli uomini,» domandavo a me stesso, smaniosamente, «si affannano così a ren-
dere man mano più complicato il congegno della loro vita? Perché tutto questo stordimento di
macchine? E che farà l’uomo quando le macchine faranno tutto? Si accorgerà allora che il così
detto progresso non ha nulla a che fare con la felicità? Di tutte le invenzioni, con cui la scienza
10 crede onestamente d’arricchire l’umanità (e la impoverisce, perché costano tanto care), che
gioja in fondo proviamo noi, anche ammirandole?»
In un tram elettrico, il giorno avanti, m’ero imbattuto in un pover’uomo, di quelli che non
possono fare a meno di comunicare a gli altri tutto ciò che passa loro per la mente.
«Che bella invenzione!» mi aveva detto. «Con due soldini, in pochi minuti, mi giro mezza
15 Milano.» Vedeva soltanto i due soldini della corsa, quel pover’uomo, e non pensava che il suo
stipendiuccio se n’andava tutto quanto e non gli bastava per vivere intronato di questa vita fra-
gorosa, col tram elettrico, con la luce elettrica, ecc., ecc.
Eppure la scienza, pensavo, ha l’illusione di rendere più facile e più comoda l’esistenza! Ma,
anche ammettendo che la renda veramente più facile, con tutte le sue macchine così difficili e
20 complicate, domando io: «E qual peggior servizio a chi sia condannato a una briga vana,1 che
rendergliela facile e quasi meccanica?»
Rientravo in albergo.
Là, in un corridojo, sospesa nel vano d’una finestra, c’era una gabbia con un canarino. Non
potendo con gli altri e non sapendo che fare, mi mettevo a conversar con lui, col canarino: gli ri-
25 facevo il verso con le labbra, ed esso veramente credeva che qualcuno gli parlasse e ascoltava e
forse coglieva in quel mio pispissío2 care notizie di nidi, di foglie, di libertà... Si agitava nella gab-
1 a una briga vana: a una inutile fatica (la lotta per l’e‑ 2 pispissìo: voce onomatopeica, costruita sui versi
sistenza, resa inutile dalla mancanza di scopi reali e dai (“pss pss”) rivolti da Mattia al canarino.
meccanismi della moderna divisione del lavoro).
[...] mi sembra che ci siano delle buone ragioni per sostenere che la cultura di una nazione (nella
fattispecie l’Italia) è oggi espressa soprattutto attraverso il linguaggio del comportamento, o
linguaggio fisico, più un certo quantitativo – completamente convenzionalizzato e estrema-
mente povero – di linguaggio verbale.
5 È a un tale livello di comunicazione linguistica che si manifestano: a) la mutazione antropo-
logica degli italiani; b) la loro completa omologazione a un unico modello.
Dunque: decidere di farsi crescere i capelli fin sulle spalle, oppure tagliarsi i capelli e farsi
crescere i baffi (in una citazione protonovecentesca); decidere di mettersi una benda in testa
oppure di calcarsi una scopoletta sugli occhi; decidere se sognare una Ferrari o una Porsche; se-
Oggi anche nelle città dell’Occidente – ma io voglio parlare soprattutto dell’Italia – camminan-
do per le strade si è colpiti dall’uniformità della folla: anche qui non si nota più alcuna differen-
za sostanziale, tra i passanti (soprattutto giovani) nel modo di vestire, nel modo di camminare,
nel modo di esser seri, nel modo di sorridere, nel modo di gestire, insomma nel modo di com-
5 portarsi.
La proposizione prima di tale linguaggio fisico-mimico è [...] la seguente: «Il Potere ha deci-
so che noi siamo tutti uguali.»
L’ansia del consumo è un’ansia di obbedienza a un ordine non pronunciato. Ognuno in Ita-
lia sente l’ansia, degradante, di essere uguale agli altri nel consumare, nell’essere felice, nell’es-
10 sere libero: perché questo è l’ordine che egli ha inconsciamente ricevuto, e a cui «deve» obbedi-
re, a patto di sentirsi diverso. Mai la diversità è stata una colpa così spaventosa come in questo
periodo di tolleranza. L’uguaglianza non è stata infatti conquistata, ma è una «falsa» uguaglian-
za ricevuta in regalo.
Leopardi precorre i L’elaborazione concettuale di Leopardi si presenta ai nostri occhi come una precoce enciclopedia
temi della della modernità. I temi affrontati nello Zibaldone, nelle Operette morali, nei Canti sono in gran parte
modernità
gli stessi che caratterizzeranno i quasi due secoli successivi.
La contrapposizione È innanzitutto ben chiaro il sentimento di una frattura storica di civiltà, che Leopardi analizza
antichi/moderni contrapponendo antichi e moderni. Questi ultimi si caratterizzerebbero per un modello di civiltà
T7 Italo Svevo
Il marinaio e l’inetto
OPERA Il brano che segue è tratto dalla parte finale del romanzo Senilità (1898) di Italo Svevo (1861-
Senilità
1928), e rappresenta una meditazione del protagonista al cospetto del mare agitato e di un mari-
CONCETTI CHIAVE naio che lotta contro la forza della natura: la debolezza dell’intellettuale sta nell’aver perduto il rap-
• inerzia e
inettitudine porto fra pensiero e azione, divenendo un inetto.
dell’intellettuale
fonte La notte era fonda; del mare non si vedeva che qua e là biancheggiare qualche onda che il caos
I. Svevo, Romanzi, a cura di
M. Lavagetto, Einaudi- aveva voluto infranta prima di giungere a terra. Sui battelli, alla riva, si era sull’attenti e si vede-
Gallimard, Torino 1993.
va qualche figura di marinaio, in alto, su quegli alberi che facevano la solita varia danza nelle
quattro direzioni, lavorare nella notte e nel pericolo.
5 Ad Emilio parve che quel tramestìo si confacesse al suo dolore. Vi attingeva ancora maggiore
calma. L’abito letterario gli fece pensare il paragone fra quello spettacolo e quello della propria
vita. Anche là, nel turbine, nelle onde di cui una trasmetteva all’altra il movimento che aveva
tratto lei stessa dall’inerzia, un tentativo di sollevarsi che finiva in uno spostamento orizzonta-
le, egli vedeva l’impassibilità del destino. Non v’era colpa, per quanto ci fosse tanto danno.1
10 Accanto a lui un grosso marinaio piantato solidamente sulle gambe coperte di stivaloni, ur-
lò verso il mare un nome. Poco dopo gli rispose un altro grido; egli allora si gettò su una colonna
vicina, ne slegò una gomena2 che v’era attortigliata, l’allentò e la saldò di nuovo. Lentamente,
quasi impercettibilmente, uno dei maggiori bragozzi3 s’allontanò dalla riva ed Emilio comprese
ch’era stato attaccato ad una boa vicina per salvarlo dalla terra.
1 danno: sofferenza.
2 gomena: grossa corda per ormeggi.
3 bragozzi: imbarcazioni da pesca a vela.
4 diavoleto: la burrasca.
S1 INFORMAZIONI
La fine dell’esperienza nella civiltà postmoderna
La civiltà cosiddetta postmoderna, che caratterizza in occiden‑ fronte all’altro. La tendenza è a cercare forme di comunicazio‑
te il periodo che va dagli anni Cinquanta del Novecento a oggi ne sempre più mediate e virtuali per sfuggire il senso di inade‑
(ma in Italia la svolta avverrebbe in ritardo, a partire dagli anni guatezza e di frustrazione che il contatto reale con gli altri e
Settanta), appare segnata dal trionfo della comunicazione in con le situazioni comporta: un sms invece di una telefonata,
tutte le sue forme (televisione, cibernetica, elettronica, Inter‑ una mail invece di un appuntamento, l’acquisto on line invece
net, ecc.) e dalla prevalenza di forme di esperienza indirette e che in un negozio, ecc.
mediate, quando non addirittura virtuali. In contatto con l’inte‑ È in questa prospettiva che molti osservatori hanno parlato di
ro mondo attraverso la televisione, il cellulare e il computer, fine dell’esperienza, cioè di fine dell’esperienza come è stata
l’individuo postmoderno patisce in realtà un senso acuto di iso‑ concepita e praticata per secoli. Va da sé che la fine dell’espe‑
lamento per quanto riguarda le ragioni profonde della propria rienza non è che l’altra faccia della fine dell’interiorità e della
emotività: comunica e riceve comunicazioni ininterrottamen‑ morte dell’inconscio (o della sua colonizzazione: cfr. S2, p.
te, ma sente un oscuro disagio e un’insoddisfazione. È come se 203). Invaso e posseduto da modelli così forti e totalizzanti da
il fare ininterrottamente esperienza mediata delle relazioni e non percepirne più neppure la presenza e da non potersene
del mondo rendesse difficile e perfino impossibile farne espe‑ difendere, il soggetto vive al servizio di una logica di produ‑
rienza diretta e reale. Si può “chattare” o “messaggiarsi” con zione-consumo nella quale la perdita della profondità esi‑
partner lontani e semisconosciuti, confidandosi sensazioni inti‑ stenziale ed emotiva è solo uno degli ingredienti e degli effet‑
me, ma diventa difficile o impossibile parlare davvero l’uno di ti inevitabili.
T8 Giacomo Leopardi
Elogio della noia
OPERA Riportiamo qui il pensiero numero 68, nel quale Leopardi porta a conclusione, a pochi mesi dalla
Pensieri, 68
morte, una lunga riflessione sulla noia. Considerata in precedenza la condizione peggiore per l’ani-
CONCETTI CHIAVE mo umano (per esempio nel Dialogo di Torquato Tasso e del suo genio famigliare e implicitamente in
• la noia è «il
più sublime molte altre Operette morali, come il Dialogo fra Cristoforo Colombo e Pietro Gutierrez: cfr. cap. I, T7, p.
dei sentimenti 54), la noia diviene qui la misura della grandezza dell’animo umano. Minacciata dal mondo nuovo
umani»
nato dalla rivoluzione industriale, l’interiorità rivendica anche in questo modo la propria grandezza,
fonte scoprendo che l’intero universo può essere poco rispetto al proprio desiderio di felicità.
G. Leopardi, Canti, ed. critica
a cura di E. Peruzzi, Milano
1981.
La noia è in qualche modo il più sublime dei sentimenti umani. Non che io creda che dall’esame
di tale sentimento nascano quelle conseguenze che molti filosofi hanno stimato di raccorne1
ma nondimeno il non potere essere soddisfatto da alcuna cosa terrena, né, per dir così, dalla ter-
ra intera; considerare l’ampiezza inestimabile dello spazio, il numero e la mole maravigliosa dei
5 mondi, e trovare che tutto è poco e piccino alla capacità dell’animo proprio; immaginarsi il nu-
mero dei mondi infinito, e l’universo infinito, e sentire che l’animo e il desiderio nostro sarebbe
ancora più grande che sì fatto universo, e sempre accusare le cose d’insufficienza e di nullità, e
patire mancamento e voto2 però3 noia, pare a me il maggior segno di grandezza e di nobiltà, che
si vegga4 della natura umana. Perciò la noia è poco nota agli uomini di nessun momento5, e po-
10 chissimo o nulla agli altri animali.
T9 Charles Baudelaire
Spleen
OPERA Questo componimento porta il numero 76 dei Fiori del male (1857) di Charles Baudelaire (1821-
I fiori del male, LXXVI
67). La parola «Spleen» che dà il titolo a questo testo e ad altri del libro, viene dall’inglese ma ha ori-
CONCETTI CHIAVE gine greca e indica la milza e gli umori da essa prodotti, con riferimento all’“umor nero” che la medi-
• la noia e la vita
interiore cina antica attribuiva loro; e vale dunque ‘malinconia’: una condizione non lontana da quella della
fonte noia leopardiana, e caratterizzata dalla straordinaria ricchezza interiore in mezzo a un «mondo in-
C. Baudelaire, I fiori del male e differente» nel quale l’interiorità non ha più né spazio per esprimersi né modo per essere ricono-
altre poesie, trad. di G. Raboni,
Einaudi, Torino 1987. sciuta.
metrica il verso alessandrino francese è reso dal traduttore con vari metri, dall’endecasillabo a versi doppi.
metrica quattro strofe (le dispari di cin‑ anche voler dire ‘addolorata’. Sciame: l’uso 12-16 Ne tengo [: del filo] ancora un capo
que versi, le pari di sei), con prevalenza di metaforico del termine allude qui – come [: un’estremità]; ma la casa si allontana e la
endecasillabi, in gran parte ipermetri, o di l’aggettivo irrequieto – alla mobilità psico‑ banderuola affumicata in cima al tetto gira
versi lunghi variamente formati in cui s’al‑ logica e intellettuale della donna, connotata senza interruzione (senza pietà). Ne tengo
ternano spesso la formula settenario + qui‑ positivamente come disponibilità e vitalità: [: del filo] [ancora] un capo; ma tu resti sola e
nario (per esempio, al v. 2 o al v. 6) o quinario sostò irrequieto è quasi un ossimoro. non (né) respiri [: non sei presente] qui [con
+ settenario (al v. 4 o al v. 14). Un settenario 6-11 [Il vento] Libeccio [: da sud-ovest] col- me] nel buio (nell’oscurità). Prosegue la
chiude la prima strofa. Le rime sono nume‑ pisce (sferza = frusta) da anni le vecchie mura elencazione di segni di perdita e di minaccia,
rose e collegano una strofa all’altra, secondo [della casa] e il suono del tuo riso non è più fe- ai quali la fedele memoria del poeta tenta in‑
lo schema ABBAc, DCDEEF, FGHGH, IBIILL lice (lieto): la bussola si muove (va) senza vano di opporsi (si noti la duplice ripresa del
(dove A, B e D sono consonanti e I presenta senso (impazzita) da una parte e dall’altra riferimento al filo della strofa precedente):
la quasi rima -ende : -ente). (all’avventura) e la somma (il calcolo) dei per due volte alla sua resistenza (ne tengo
dadi non è più corretta (più non torna). Tu un capo, cioè ricordo ancora, per parte mia,
1-5 Tu non ricordi la casa dei doganieri [che non ricordi [quei fatti]; un altro tempo [: una I’episodio) si contrappone un ma (il tempo
stava] su un rilievo (sul rialzo) a picco (a stra- diversa dimensione temporale] distrae (fra- passa e allontana le cose; la donna è separa‑
piombo) sulla costa di scogli (scogliera): ti storna) la tua memoria; si riaggomitola [: vie‑ ta dal poeta e assente). Ne tengo ancora un
aspetta (t’attende) abbandonata (desolata) ne ritirato e aggomitolato] (s’addipana) un capo: I’immagine del poeta che cerca di con‑
dalla sera nella quale (in cui) vi entrò la ric- filo. La seconda e la terza strofa insistono trollare e bloccare la perdita causata dal tra‑
chezza (lo sciame) dei tuoi pensieri, e vi si fer- sulla dimensione di perdita e di separazione scorrere del tempo si associa qui a quella di
mò (vi sostò) con inquieta vivacità (irrequie- che minaccia il poeta, la casa e il ricordo; chi cerca di recuperare una strada seguendo
to). La prima strofa fissa subito il confronto cioè il venir meno del significato dell’espe‑ un filo disteso verso la meta (il ‘filo di Arian‑
– e il contrasto – tra due situazioni e due rienza, inghiottita e annullata dal tempo, co‑ na’; così che non è da trascurare il rimando
tempi: quello ormai lontano (la sera in cui...) sì come è accaduto alla donna. Tutte le im‑ nascosto al nome della ispiratrice Arletta/
della visita con la donna alla casa, e quello magini suggeriscono l’idea dell’aggressione Annetta). La banderuola affumicata: la
presente in cui la interlocutrice ha dimenti‑ (libeccio sferza...altro tempo frastorna), banderuola è una ‘piccola bandiera metalli‑
cato l’episodio (tu non ricordi) e la casa stes‑ del disorientamento (la bussola va impazzi- ca (solitamente di latta) fissata sui tetti per
sa è in stato di abbandono. Tu non ricordi: il ta...) e della irrazionalità (il calcolo dei da- indicare la direzione del vento’; è qui definita
sintagma è ripetuto tre volte (all’inizio, a di...). Il suono del tuo riso…lieto: perché la affumicata – con imprecisione lessicale –
metà e alla fine della poesia), così da mette‑ donna è morta o, comunque, cambiata ri‑ perché posta in corrispondenza del comi‑
re in evidenza il tema centrale del ricordo e spetto alla sera della visita alla casa, incalza‑ gnolo e perciò ‘annerita dal fumo’ del cami‑
della interruzione ormai del rapporto con il ta dal trascorrere del tempo. Il calcolo...non no. Il suo continuo movimento rotatorio (gi-
poeta, il quale evidentemente ricorda. Il tu è torna: si può spiegare: non si ripete più il col- ra senza pietà) indica che il vento proviene
per una giovane donna, Arletta o Annetta, po fortunato che ci fece incontrare. Un filo da direzioni incostanti e significa due cose: il
conosciuta da Montale e poi morta, o co‑ s’addipana: il filo dei ricordi che lega il pre‑ trascorrere del tempo (l’alternanza dei ven‑
munque presentata dal poeta secondo que‑ sente al passato e il poeta alla donna si riav‑ ti) e la perdita di punti di riferimento affida‑
sti riferimenti. Sul rialzo: «la rupe dei doga‑ volge su se stesso, lasciando il poeta in una bili (cfr. perciò il richiamo precedente alla
nieri» dirà Montale tornando sul tema nel solitudine senza più riferimenti certi (cfr. il v. bussola).
Diario del ’72 (Annetta, v. 6). Desolata: può 15 e la conclusione).
17-22 Oh l’orizzonte che si allontana (in fu- all’esperienza in questione, dichiarando di cora) dei fenomeni che si ripetono. Tu non
ga), sul quale (dove) raramente (rara) si ac- non sapere più chi sia veramente rimasto fe‑ ricordi...chi va e chi resta: la conclusione ri‑
cende la luce di una (della) petroliera! È qui il dele a quel ricordo, se la donna che ha pas‑ prende il tema centrale della incomunicabi‑
passaggio (varco)? (L’onda che si rompe (il sato il varco (dell’assenza e della morte) o il lità tra il poeta e la donna, ma ne rovescia in
frangente) riappare (ripullula) ancora sul poeta che è rimasto nel mondo del tempo e sostanza la prospettiva. Il ricordo – al quale il
precipizio (balza) che scende (scoscende; in‑ della sua apparente continuità (di presenza poeta è rimasto e rimane fedele – si è rivela‑
transitivo). Tu non ricordi la casa di questa e di identità). L’orizzonte in fuga: perché to in ogni senso una dimensione di lonta‑
mia sera. Ed io non so chi [di noi due] va e chi non è possibile mai raggiungerlo, o forse nanza e di perdita; e dunque: la interlocutri‑
resta. All’oscurità che conclude la strofa perché sembra allontanarsi con l’allontana‑ ce, è vero, non ricorda, ma questo fatto non
precedente si contrappone qui il segnale mi‑ mento della petroliera; è un segno anch’es‑ significa che lei si sia allontanata più del poe‑
sterioso di una luce lontana, percepita dal so di confine e di limite, così che la luce sem‑ ta dagli eventi passati o che li abbia persi più
poeta come una possibilità di vita vera o di bra indicare un punto di passaggio (il varco): di lui. Forse, al contrario, è lei che è restata,
passaggio al di là di quel confine che lo tiene tema caro alla poesia montaliana. Qui: con la morte, legata a essi; mentre il poeta è
separato dalla donna. Ma il confronto tra la nell’orizzonte, come ha chiarito lo stesso andato oltre incalzato dalla vita e dal tra‑
identità dello scenario e la trasformazione poeta. Ripullula: ‘torna di continuo a for‑ scorrere del tempo. Chi apparentemente è
profonda intervenuta nella condizione del marsi’, con riferimento alle onde che si rom‑ restato (nella vita) forse ha per questo speri‑
soggetto spinge il poeta a interrogarsi sulla pono e con allusione ancora al passare del mentato la lontananza dall’autenticità
reale condizione sua e della donna rispetto tempo e alla apparente continuità (cfr. an- dell’esperienza passata e la perdita di essa.
Io sono il dottore di cui in questa novella si parla talvolta con parole poco lusinghiere. Chi di psi-
co-analisi s’intende, sa dove piazzare l’antipatia che il paziente mi dedica.
Di psico-analisi non parlerò perché qui entro se ne parla già a sufficenza. Debbo scusarmi di
aver indotto il mio paziente a scrivere la sua autobiografia; gli studiosi di psico-analisi arricce-
5 ranno il naso a tanta novità. Ma egli era vecchio ed io sperai che in tale rievocazione il suo passa-
to si rinverdisse, che l’autobiografia fosse un buon preludio alla psico-analisi. Oggi ancora la mia
idea mi pare buona perché mi ha dato dei risultati insperati, che sarebbero stati maggiori se il
malato sul più bello non si fosse sottratto alla cura truffandomi del frutto della mia lunga pa-
ziente analisi di queste memorie.
10 Le pubblico per vendetta e spero gli dispiaccia. Sappia però ch’io sono pronto di dividere con
lui i lauti onorarii che ricaverò da questa pubblicazione a patto egli riprenda la cura. Sembrava
tanto curioso di se stesso! Se sapesse quante sorprese potrebbero risultargli dal commento del-
le tante verità e bugie ch’egli ha qui accumulate!...
DOTTOR S.
S2 INFORMAZIONI
La colonizzazione dell’inconscio
Secondo lo studioso americano Fredric Jameson (autore del ma più semplicemente di portarlo a sentire e a pensare per
fondamentale Postmodernismo, ovvero la logica culturale del mezzo di strumenti che saltino la mediazione intellettuale: for‑
tardo capitalismo, Fazi, Roma 2007; ma la prima edizione ame‑ me raffinate e complesse di persuasione occulta. Ogni indivi‑
ricana è del 1991), il tardo capitalismo, coincidente con la fase duo è portato in questo modo a sentire, desiderare, compor‑
definita di solito Postmoderno (cfr. S1, p. 196), si accompagne‑ tarsi nel modo in cui anche tutti gli altri fanno, in vista di una
rebbe alla colonizzazione dei due grandi continenti ancora ri‑ omologazione di massa che cancella la vita interiore come è
sparmiati dal capitalismo fino a quel momento, la Natura e l’in‑ stata concepita in passato.
conscio. Il continente della Natura patirebbe ora uno sfrutta‑ L’io non è più soltanto un intreccio inestricabile di «verità e bu‑
mento sistematico e capillare, con la cancellazione della stessa gie», ma è il ricettore passivo di modelli di massa: crede di desi‑
capacità di distinguere fra prima e seconda natura (cioè fra na‑ derare ciò che gli viene fatto desiderare e che tutti gli altri an‑
tura propriamente detta e condizioni artificiali create dalla ci‑ che desiderano.
viltà). L’inconscio, da parte sua, verrebbe raggiunto attraverso Che cosa resta, se le condizioni sono davvero queste, della in‑
tecniche nuove e sofisticate di conquista, così da ottenerne teriorità e dell’originalità individuale? Molto poco, certo. Eppu‑
una completa complicità alla logica del profitto. Non si tratte‑ re su quel poco possiamo ancora puntare per conoscere meglio
rebbe più, cioè, di persuadere qualcuno per mezzo di ideologie, il mondo che ci circonda, e noi stessi.
S3 INFORMAZIONI
Ungaretti e Leopardi: misurarsi con le rovine dell’antico
Fra i poeti del Novecento che hanno dichiarato in modo più tazione, tradizione e innocenza. E questa sarà la scommessa di
esplicito il proprio debito con Leopardi sta Giuseppe Ungaretti Ungaretti: nella rottura profonda del suo primo libro (L’Alle-
(1888-1970). Appartenente a una generazione che sentiva con gria, 1931, ma con poesie soprattutto degli anni Dieci), nella ri‑
forza la precarietà dei modelli trasmessi e si apprestava a scon‑ costruzione progressiva dei successivi (a partire da Sentimento
volgerli con forme di sperimentazione d’arte radicali, Ungaretti del tempo, 1933).
è interessato a quegli autori che abbiano dovuto fare i conti con Raramente Ungaretti si è rifatto a situazioni e a temi leopardia‑
salti bruschi di civiltà: Petrarca, che per primo sente la fine del ni, considerando il modello dei Canti piuttosto un punto di rife‑
mondo antico e la separazione irreparabile dalla classicità; i rimento ideale che un serbatoio di motivi, ma in qualche caso si
manieristi e i barocchi (Shakespeare, Góngora, Tasso), chia‑ incontrano dei rifacimenti, come questo Canto quarto (da Sen-
mati a misurarsi con la crisi del Rinascimento e del suo armo‑ timento del tempo), che con l’allusione al «colle» e alla fusione
nioso equilibrio; Leopardi, sentito quale primo dei moderni, miracolosa di «spazio e tempo» ripropone in estrema sintesi i
cioè quale primo a vedere lo sterminato patrimonio della cultu‑ termini dell’Infinito (cfr. cap. II, T2, p. 107).
ra precedente quale cumulo di rovine. La metafora delle rovine
è spesso impiegata proprio da Ungaretti, e applicata a Leopar‑
di più che a qualsiasi altro autore. Canto quarto
Fare i conti con le rovine non vuol dire trovare un modo per Mi presero per mano nuvole.
sbarazzarsene, come pensavano i futuristi, e ripartire da zero;
implica piuttosto la necessità di usare le rovine per una costru‑ Brucio sul colle spazio e tempo.
zione nuova e originale, adeguata ai tempi ma consapevole Come un tuo messaggero,
della profondità storica. Si tratta di unire classicità e sperimen‑ come il sogno, divina morte.
metrica due strofe di endecasillabi, uno dei quali divi‑ 11 fredda ardesia: pietra del davanzale.
so in due segmenti da una disposizione a scalino. 15 Adesso: ora che è passato del tempo, il poeta non è
più «piccolo» (v. 1) ma adulto, e ha provato egli stesso
4 di lor: dei libri. l’esperienza di ubriacarsi.
metrica versi liberi, scanditi in modo da ponimento della più alta tradizione lirica del mai) me stesso, ma [conoscerò] tutti attra-
rafforzare l’energia sintattica e da valorizza‑ quale si è persa la memoria] la lingua in cui io verso la conoscenza di (in) me stesso. Ovvero:
re la disposizione interna degli accenti, con scrivo (la mia lingua) è la lingua illustre (su- interpretando la storia alla luce della mia
chiusura su un endecasillabo con accento di blime) [: quella della poesia lirica italiana] esperienza, della mia limitata, individuale
quinta (e dunque irregolare) e un risolutivo della borghesia (borghese) [: caratterizzata biografia, io non conoscerò soltanto la mia
decasillabo anapestico tronco (v. 6). come lingua delle classi alte]. L’uso di una propria personale vicenda ma anche il modo
lingua apertamente definita come illustre e con cui quella di ciascun individuo fa parte
1 Non imiterò [altri] che me stesso [: non borghese permette di tenere sempre in evi‑ del destino complessivo dell’umanità.
avrò altri riferimenti che me], Pasolini. Si al‑ denza che la poesia è compromessa (appar‑ 5-6 La mia limitatezza (prigione) [: la scel‑
lude qui alla molteplicità dei registri e degli tenendo storicamente alle classi alte), senza ta consapevole di uno strumento espressivo
stili dello sperimentalismo sostenuto e pra‑ abbandonarsi cioè con ingenua fiducia a es‑ limitato] permette di vedere (vede) [: di capi‑
ticato da Pasolini e contestato da Fortini. sa, considerandola un valore positivo privo re] più della tua libertà [: stilistica ed espres‑
2-3 Più lontana (morta) [dal nostro tempo] di contraddizioni e di ambiguità interne. siva].
di un inno religioso (sacro) [: cioè di un com‑ 4-5 Conoscerò soltanto (non conoscerò
Zanzotto Pasolini
SINTESI
La critica del progresso e il tema della natura La soggettività e la difesa della vita interiore
Nella prima metà dell’Ottocento è largamente diffusa Il tema leopardiano della vita interiore attraversa il corso
un’idea fiduciosa della storia e del progresso. Il mito del della maggiore lirica europea moderna, da Baudelaire, a
progresso è condiviso da tanti autori romantici, ma non Ungaretti e Montale. Il contrasto fra autenticità della vita in‑
da Leopardi, che al contrario denuncia i danni provocati teriore e inautenticità sociale agisce anche nella grande nar‑
dalla civiltà alla condizione umana. Questa critica del rativa europea fra Ottocento e Novecento, segnando in
progresso anticipa il pensiero della crisi che caratterizze‑ Italia, per esempio, l’opera di Verga. La crudeltà narrativa di
rà la cultura europea tra la fine dell’Ottocento e l’inizio Verga, tuttavia, dimostra che lo spazio dell’interiorità è de‑
del Novecento. In campo letterario lo stimolo del pessi‑ stinato a essere travolto e annullato dalla «banche» e dalle
mismo leopardiano influenzerà la posizione di grandi au‑ «imprese industriali». La maggiore narrativa del Novecento
tori della tradizione materialista: Verga, De Roberto, si svilupperà a partire da queste premesse, facendo della vi‑
Pirandello e, nella seconda metà del Novecento, Pasolini. ta interiore il luogo inautentico nel quale si intrecciano veri‑
La natura è al centro della riflessione leopardiana, nelle tà e menzogne, come in La coscienza di Zeno di Italo Svevo,
sue fasi successive. Il tema della natura ritornerà in o comunque il territorio dal quale erompono forze irraziona‑
Montale, ma è presente – con diverse modalità – anche in li e misteriose, come in tanti romanzi e novelle di Luigi
Pascoli, Rebora e Zanzotto. Pirandello.
Leopardi anticipa i temi del moderno La crisi della poesia e la reazione leopardiana
L’elaborazione concettuale di Leopardi costituisce una preco‑ Secondo Leopardi, il destino della poesia nella società indu‑
ce enciclopedia della modernità. I temi affrontati nelle sue striale moderna è l’estinzione. A questa condizione di crisi
opere sono in gran parte gli stessi dei quasi due secoli succes‑ Leopardi reagisce rivendicando per la poesia il dovere di
sivi: il sentimento del nulla, cioè dalla perdita dei significati e usare una lingua morta e di rivolgersi ai morti: non cioè di
dei valori, lo smarrimento con cui i moderni scoprono la pro‑ tentare l’adeguamento al nuovo sistema di valori culturali,
pria condizione di precarietà e il conflitto fra natura e civiltà, ma di esibire la propria inattualità, nella fiducia che in que‑
l’individualismo di massa, il divorzio tra idee e azione. È a par‑ sto modo possa resistere per la poesia la funzione di far sen‑
tire da una rivisitazione della riflessione leopardiana che na‑ tire ai moderni la voce degli antichi, cioè la forza delle pas‑
sce la figura primonovecentesca dell’inetto, che trova ampio sioni autentiche e generose in mezzo ai valori dominanti
spazio nelle opere di Svevo, Pirandello e Tozzi. dell’utile e del funzionale.
PROPOSTE DI SCRITTURA
IL SAGGIO BREVE
Ti proponiamo tre saggi brevi. Puoi sceglierne uno fra i tre proposti.
Trova un titolo adeguato alla tua trattazione e, se lo ritieni opportuno, organizza la trattazione suddividendola in paragrafi
ai quali potrai dare sottotitoli specifici.
La volontà di potenza
I
l mondo che scompare. E con lui la vita. Una notte silenziosa come solo tra le montagne può capitare,
viene squarciata da un boato. Inaspettato, improvviso ma non imprevedibile. Pochi attimi e un pezzo
di mondo ne cancella un altro. Era la notte del 9 ottobre 1963 quando la valle del Vajont si trasformò in
un inferno d’acqua e terra.
LA DIGA
I progetti della SADE (Società Adriatica Di Elettricità) erano chiari: una diga sul fiume Vajont, all’altez-
za dei paesi di Erto e Casso, avrebbe assicurato energia elettrica a Venezia e a tutto il Triveneto anche in
periodi di secca dei fiumi. I controlli geologici iniziarono nel 1949. Nonostante le proteste degli abitanti
della valle, costretti ad abbandonare le proprie abitazioni per ragioni di sicurezza, e i forti dubbi degli or-
gani preposti al controllo del progetto, nel 1956 iniziarono i primi espropri fondiari e la preparazione del
cantiere. A seguito della registrazioni di frane e scosse sismiche, la SADE istituì ulteriori rilevazioni geo-
logiche che mostrarono l’esistenza di una paleofrana sul versante sinistro del monte Toc, ai bordi di
quello che sarebbe stato il bacino formato dalla diga. A questo seguirono molti altri studi, ognuno dei
quali presentava un profilo diverso della situazione, ma tutti erano concordi che, prima o poi, la monta-
gna sarebbe venuta giù. Anziché interrompere i lavori, la SADE si preoccupò di calcolare le modalità di
costruzione affinché la struttura resistesse alle sollecitazioni previste nelle peggiori delle ipotesi: qua-
ranta milioni di metri cubi di terra franata nel bacino avrebbe generato onde non più alte di trenta me-
tri. Nessun problema, la struttura resisterà. Fu così che, tra le più rosee aspettative, nel 1960, la diga sul
Vajont fu realizzata.
IL DISASTRO
Con una precisione drammaticamente profetica, il Monte Toc (contrazione del friulano patoc, “zuppo”,
“marcio”) tenne fede al suo nome: alle 22.39 del 9 ottobre 1963 dal versante sinistro del monte si staccò
una frana lunga due km che riversò 270 milioni di metri cubi di terra nel bacino della diga. Le onde gene-
rate si propagarono lungo due direzioni: una risalì il corso d’acqua riversando la propria furia distruttiva
sulle frazioni di Erto e Casso, l’altra superò l’argine della diga portando con sé 50 milioni di metri cubi
d’acqua che, correndo ad una velocità media di sei metri al secondo, puntarono sul comune di Longaro-
ne, a valle. La maggior parte degli edifici dei tre comuni e di quelli limitrofi venne spazzata via nel giro di
E
E pochi minuti: su 1.225 abitazioni se ne salvarono solo la metà. Interi km di strade furono rese inagibili.
Fonti attendibili parlano di 1909 morti , ma non esiste un numero accertato delle vittime: circa un terzo
non furono identificabili, senza contare i dispersi (circa 500) e chi mancò a causa delle ferite riportate e i
traumi.
[…]
46 ANNI DOPO
Domani a Longarone, Erto, Casso, Castellavazzo e nel nuovo comune di Vajont, si procederà alla comme-
morazione civile dei caduti, alla deposizione delle corone, fino ad arrivare alle 22.39 quando tutta la valle
osserverà un minuto di silenzio. Sarà facile che il pensiero vada anche alla tragedia messinese.1 Entrambe
condividono il triste attributo di “disastro evitabile”, la responsabilità del quale grava sulla cupidigia uma-
na di imporsi ad ogni costo, volontà di (onni)potenza. A 46 anni di distanza sembra che la storia non sem-
pre riesca a farci arrivare i suoi insegnamenti. Ma forse sarebbe più giusto dire che siamo noi a non volerli
cogliere.
Pietro Crippa, 8 ottobre 2009, www.ilfaromag.com
1 tragedia messinese: la notte tra il 29 e il 30 settembre colpito una zona immediatamente a sud della città di Messi‑
del 2009 un violento nubifragio ha colpito l’area della Sicilia na, che, malgrado fosse a elevato rischio idrogeologico, era
nord-orientale. Il nubifragio ha provocato lo straripamento stata oggetto di una intensa cementificazione. Il bilancio
di corsi d’acqua e diversi eventi franosi, a cui è seguito lo sci‑ tragico dell’alluvione, oltre alla distruzione di case e ai danni
volamento a valle di colate di fango e detriti. L’evento ha economici, è di circa 40 morti e di centinaia di sfollati.
4. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della
velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo…
un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia.
11. Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree
multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne, canteremo il vibrante fervore notturno
degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche, le stazioni ingorde, divoratrici di serpi
che fumano, le officine appese alle nuvole pei contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che
scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli; i piroscafi avventurosi che fiutano l’oriz-
zonte, le locomotive dall’ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbriglia-
ti di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra ap-
plaudire come una folla entusiasta.
F.T. Marinetti, Teoria e invenzione futurista, a cura di L. De Maria, Mondadori, Milano 1983, pp. 10-14.
La comunicazione virtuale
D
ai finestroni entra trasversalmente un raggio di luna, del diametro di circa due metri, tocca le
schermature del calcolatore, si insinua tra le fessure dei lineamenti minori.
– Tu sei un calcolatore? – domanda la luna.
– Sì, un calcolatore elettronico.
– Non ti conoscevo, ma ho sentito parlare di te.
– Tu sei la luna?
– Sì.
– Anch’io ho sentito parlare di te, alcuni dei miei sono stati programmati per la tua conoscenza.
Anch’io ho qualche dato su di te. Potrei dirti con precisione dove sarai fra trecento anni a quest’ora.
– Lo so anch’io.
– Ma non conosci la curva dei tuoi luoghi praticabili, approdi possibili, ora per ora, e nemmeno l’esatta
dislocazione dei medesimi. Dove accoglierai domani, a quest’ora, un’astronave?
– Non lo so. Ma io non devo accogliere nessuno, e il mio corso ha una fissità più grande di me e di qualsi-
asi calcolo tu possa fare.
– Cosa credi di sapere e di fare?
– Poco. Devo girare e guardar correre il mondo. La corrente dei miei sguardi lo influenza senza nemme-
no ch’io lo voglia.
– Anch’io guardo correre il mondo, i suoi capitali e influenzo l’uno e gli altri con dati e proiezioni. Tu sai
che una navicella è atterrata su di te? Con tre uomini a bordo? Ed è già ripartita?
– Una navicella giunta in volo dalla terra e che poi vi è ritornata?
– Sì, con navigatori a bordo, tornati in buona salute. Hanno parlato bene di te. Veramente più di se stes-
si che di te. Ti hanno visto soprattutto come un traguardo, una misura già presto superabile.
– Ma perché sono venuti?
– Appunto, non certo per toccare il tuo viso, ma per prepararsi ad andare più lontano.
E
Isaac Asimov
Il maestro meccanico
M
argie lo scrisse perfino nel suo diario, quella sera. Sulla pagina che portava la data 17 maggio
2157, scrisse: “Oggi Tommy ha trovato un vero libro!” Era un libro antichissimo. Il nonno di
Margie aveva detto una volta che, quand’era bambino lui, suo nonno gli aveva detto che c’era
stata un’epoca in cui tutte le storie e i racconti erano stampati su carta. Si voltavano le pagine, che erano
gialle e fruscianti, ed era buffissimo leggere parole che se ne stavano ferme invece di muoversi, com’era
previsto che facessero: su uno schermo, è logico. […]
– Dove l’hai trovato? – gli domandò.
– In casa. – Indicò senza guardare, perché era occupatissimo a leggere. – In solaio.
– Di cosa parla?
– Di scuola.
– Di scuola? – Il tono di Margie era sprezzante. – Cosa c’è da scrivere, sulla scuola?
Io, la scuola, la odio.
Margie aveva sempre odiato la scuola, ma ora la odiava più che mai. L’insegnante meccanico le aveva
assegnato un test dopo l’altro di geografia, e lei aveva risposto sempre peggio, finché la madre aveva scosso
la testa, avvilita, e aveva mandato a chiamare l’Ispettore della Contea.
Era un omino tondo tondo, l’Ispettore, con una faccia rossa e uno scatolone di arnesi con fili e con qua-
dranti. Aveva sorriso a Margie e le aveva offerto una mela, poi aveva smontato l’insegnante in tanti pezzi.
Margie aveva sperato che poi non sapesse più come rimetterli insieme, ma lui lo sapeva e, in poco più di
un’ora, l’insegnante era di nuovo tutto intero, largo, nero e brutto, con un grosso schermo sul quale erano
illustrate tutte le lezioni e venivano scritte tutte le domande. […]
Tommy la squadrò con aria di superiorità. – Ma non è una scuola come la nostra, stupida! Questo è un
tipo di scuola molto antico, come l’avevano centinaia e centinaia di anni fa. – Poi aggiunse altezzosamen-
te, pronunciando la parola con cura. – Secoli fa.
Margie era offesa. – Be’ io non so che specie di scuola avessero, tutto quel tempo fa. – Per un po’ conti-
nuò a sbirciare il libro, china sopra la spalla di lui, poi disse: – In ogni modo, avevano un maestro.
– Certo che avevano un maestro, ma non era un maestro regolare. Era un uomo.
– Un uomo? Come faceva un uomo a fare il maestro?
– Be’, spiegava le cose ai ragazzi e alle ragazze, dava da fare dei compiti a casa e faceva delle domande.
Domenico Parisi
Quali sono i veri problemi della scuola?
S
e le nuove tecnologie realizzeranno le loro potenzialità, almeno due elementi portanti della vecchia
struttura della scuola saranno esposti a trasformazioni radicali: da un lato l’edificio stesso della scuo-
la (ad esempio le aule) e il suo modo di funzionare (classi, corsi, programmi, lezioni), dall’altro gli in-
segnanti. La scuola come struttura anche fisica potrebbe trasformarsi in una «casa dell’apprendimento
flessibile», luogo aperto (ventiquattr’ore su ventiquattro?) avente la funzione di permettere l’apprendi-
mento flessibile come l’abbiamo definito. Oppure potrebbe essere affiancata da «case dell’apprendimento
flesssibile», magari ricavate da una trasformazione delle biblioteche/mediateche pubbliche, e con esse po-
trebbe coordinare la sua funzione educativa.
Per quanto riguarda gli insegnanti, il primo passo da compiere è smettere di pensare che il problema at-
tuale sia quello che gli insegnanti debbano essere formati, selezionati, aggiornati e pagati meglio. Certa-
mente gli insegnanti oggi sono formati, selezionati, aggiornati e pagati male. Ma i problemi veri della
scuola non sono questi, ed è un errore dedicarsi a formare, selezionare, aggiornare e pagare meglio le vec-
chie figure professionali degli insegnanti. La nuova configurazione dei sistemi educativi che si profila ri-
E
E chiede prima di tutto una radicale revisione della figura professionale unica dell’insegnante, e la sua sosti-
tuzione con un insieme di figure professionali anche molto diverse tra loro:
– gli esperti che progettano e realizzano i nuovi sistemi tecnologici con funzione educativa: persone in
parte simili a quelle che li progettano per altre funzioni ma certamente diverse da chi oggi scrive i libri
di testo e i libri in genere;
– i tecnici che fanno funzionare in modo fluido la tecnologia nella scuola;
– l’«insegnante» come tutor individuale e di gruppo che regola le interazioni tra gli studenti e la tecnolo-
gia, e non solo le loro interazioni tra se stesso e gli studenti o tra gli studenti tra loro;
– l’«insegnante» (non necessariamente la stessa persona del tutor) come guida allo sviluppo psicosociale
degli studenti;
– gli amministratori/gestori delle nuove organizzazioni dell’educazione.
Domenico Parisi, Scuol@.it, Mondadori, Milano 2000.
IL TEMA
Scegli una delle seguenti tracce.
1. La natura e le responsabilità dell’uomo. La natura è da sempre stata amica/nemica dell’uomo. La natura è fonte di vita, è il
luogo in cui l’uomo si sente in sintonia con l’universo, ma può essere anche causa di distruzione e di morte o il luogo in cui
proiettare solitudini o angosce esistenziali. Mostra i due modi opposti di sentire la natura attraverso esempi concreti delle
catastrofi naturali, molte delle quali sono da imputare all’incosciente irresponsabilità dell’uomo.
2. Lo sviluppo della scienza e della tecnologia genera nel corso dell’Ottocento il mito di un progresso senza limiti che avrebbe
portato agli uomini felicità e benessere, ma molti non condividono questa fiducia, sia perché sono consapevoli della preca‑
rietà e dei limiti dell’uomo, sia perché paventano uno stravolgimento dei valori. Individua le varie posizioni e attualizza l’ar‑
gomento esprimendo la tua opinione in proposito.
3. Oggi è possibile navigare in un mare infinito di informazioni ed entrare in contatto col mondo intero attraverso Internet. Pa‑
radossalmente la comunicazione virtuale rende sempre più rara e difficile la comunicazione reale e autentica tra gli indivi‑
dui. La fantascienza – racconti, romanzi, film – ci mostra talora un mondo robottizzato e virtuale che ci rende nostalgici ver‑
so il passato e ci porta a difendere i valori che ancora sopravvivono. Esprimi la tua opinione in proposito.
Fortini, Franco 204 Parini, Giuseppe 42, 43, 72, 204 Zanzotto, Andrea 185
Foscolo, Ugo 72, 154, 173 Pascoli, Giovanni 184
Freud, Sigmund 190 Pasolini, Pier Paolo 190
Fubini, Mario 174 Pepoli, Carlo 7, 42
Fortini, Franco 206 Pasolini, Pier Paolo 193 Verga, Giovanni 191
Pirandello, Luigi 192
Gioanola, Elio 172 Zanzotto, Andrea 187
Rebora, Clemente 186
Leopardi, Giacomo 10, 26, 30, 34, 35, 45,
54, 59, 61, 64, 75, 76, 101, 107, 113, 120, Sbarbaro, Camillo 205
prometeo 3.0
Ulteriori brani antologici
sono presenti nel webook dell’opera e nel sistema Prometeo