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Il cinema non è una storia, ma una serie di storie, in un film il tempo non è mai lo
stesso per tutti e la storia non è lineare.
Il cinema è un Multiverso, è composto da un linguaggio che cambia, di sempre
nuove interazioni e compromessi fra vecchio e nuovo, fra un modello e l’altro, c’è
bisogno del superamento dei modelli statici e puri.
• Fantastico: attrazioni
• Didattico: cultura, venivano fatti vedere luoghi, monumenti, o oggetti vari,
aveva un effetto molto più suggestivo delle stampe
• REALISMO
• CINEMA FANTASTICO
• L’ordine
• La trasgressione
• Il ripristino dell’ordine
Un’altra grande attrazione era il colore, esistevano vari tipi di colorazione per la
pellicola in bianco e nero: viraggi, imbibizioni o colorazione a mano.
Con i viraggi si immergeva la pellicola in liquido che colorava secondo l’atmosfera,
però con questa tecnica una separazione semantica dei colori era impossibile;
combinando il viraggio con l’imbibizione si potevano ottenere colori diversi nella stessa
pellicola.
La colorazione a mano era un processo artigianale, non industriale, quindi più
affascinante, ogni copia era un’opera singola, questo lavoro era affidato alle donne.
Il cinema delle attrazioni era uno spettacolo ambulante fino al 1905-1906, non vi
erano sale destinate esclusivamente alla proiezione di film, quindi non era ancora il
soggetto rappresentato che attirava la gente, ma il cinematografo stesso, la magia
delle immagini in movimento.
Le pellicole ancora non si noleggiavano, ma si comperavano, quindi il film era ancora
più simile ad un progetto artigianale che industriale.
Solo in seguito si è cominciato ad affittare locali per aprire sale di proiezione.
Dopo il 1907 il cinema diventa un’istituzione, gli spettacoli diventano attraenti e
accattivanti, prima le vedute erano scollegate fra loro, gli spettatori andavano al
cinema attratti dalla novità, ora le modalità di coinvolgimento erano più avanzate, non
vengono usate più attrazioni scollegate l’una con l’altra, gli spettacoli raccontano
storie, e diventano più lunghe.
Nascono i Nickelodeon, sale che proiettavano ad un prezzo ridotto frequentate da un
ceto basso.
3. UNA MACCHINA CHE RACCONTA STORIE DA SOLA
Fra 1906 e 1915 avviene una trasformazione: dal cinematografo al cinema, nasce il
cinema narrativo.
Prima il cinematografo illustrava solo storie raccontate da altri, ora il cinema le
racconta da solo. La voce del presentatore però rimarrà nelle didascalie (anche se
astratta e impersonale), perché ancora non tutti erano in grado di leggere, avevano
diverse funzioni: anticipano le immagini, commentano le azioni, dicono quello che non
si vede tra le varie immagini, vengono scritti i dialoghi tra i personaggi.
Dal 1906 il cinematografo entra in crisi, con la nascita di una nuova classe di
lavoratori e l’arrivo di un’età di benessere generale il cinema deve cambiare per
adattarsi alle trasformazioni sociali, dovevano essere inventate storie nuove, ma
soprattutto lo stile doveva rinnovarsi. A questo pensò Griffith con l’invenzione del
montaggio narrativo e analitico, la vecchia inquadratura con scene lunghe e fisse
veniva abbandonata e scomposta in tante inquadrature più piccole, ognuna
corrispondeva ad un punto di vista differente, bisognava trascinare lo spettatore
dentro la storia.
l montaggio analitico si basa sul raccordo, per chi esegue il montaggio si tratta di
un’unione fisica di 2 inquadrature, per chi lo guarda invece assiste ad un cambiamento
di inquadratura, ma affinché lo spettatore capisca quello che succede ci deve essere
fluidità, sarà il codice per le narrazioni intense e appassionate.
Il montaggio narrativo nasce grazie al montaggio analitico, verrà usato come modello
per chi vorrà portare lo spettatore a riflettere, consisteva nella scomposizione di una
singola scena in tante inquadrature frammentarie, veniva eseguito attraverso i
raccordi:
L’unione del raccordo di sguardo con quello di posizione crea una figura di campo
contro campo.
L’obiettivo era favorire la costruzione di una diegesi coerente, ovvero il mondo
parallelo doveva essere coerente con le leggi fisiche vigenti nella mente dello
spettatore.
Una sequenza nasce dalla somma di un certo numero di inquadrature, diventa
un’unità di narrazione, la scena autarchica viene scomposta in più inquadrature e lo
spazio viene diviso in più punti di vista.
Dagli anni ‘10 si comincia ad usare il montaggio alternato, mostra alternativamente 2
eventi simultanei collegati. Con Griffith poi nasce la narrazione.
Il montaggio parallelo invece consiste nel mostrare alternativamente 2 scene.
Dal 1906 in poi si passa al noleggio delle pellicole, sono loro che cominciano a
viaggiare da un paese all’altro facendo diventare il cinema una sorta di istituzione
sociale.
Il genere comico è stata la prima varietà di cinema inventata, seguito poi da quello
poliziesco; all’inizio venivano girate delle serie di film che avevano in comune
personaggi, antenate delle moderne serie cinematografiche e di televisione.
In Italia Torino Milano Roma e Napoli erano le città principali in cui si giravano film, a
Roma è stato inventato il genere di film storico o in costume, un genere che diventerà
di grande importanza, il cinema italiano ha inventato uno spettacolo visionario teatrale
e musicale.
Giovanni Pastrone ha il merito della diffusione di questo tipo di cinema, con Cabiria
(1914), un film veramente innovativo per quel periodo, sia per la durata che per le
scenografie e il linguaggio usato, in più è il primo film girato con una cinepresa dotata
di carrelli, quindi poteva muoversi nello spazio.
La trama viene usata come pretesto per mettere in scena un grandioso spettacolo di
teatro, musica e immagini. Rientra ancora nel cinema con una dominante attrazione
visiva e una debole struttura narrativa, anche se lo stile è diverso dal cinema delle
attrazioni.
Il film tenta di collegare teatro, cinema, musica e pittura, creando un altro genere che
arriverà fino i giorni nostri: il film colossale-catastrofico.
Pastrone usa anche un montaggio che non ha la funzione di metamorfosi, ma ha
un’intenzione narrativa, cambia il punto di vista anche durante una singola scena
abbandonando l’inquadratura autarchica.
Possiamo definire Cabiria come uno spettacolo visionario, non un film narrativo.
Grazie all’uso di inquadrature non fisse (chiamate inserti) la storia era di
comprensione più facile, questa tecnica viene usata da Griffith nei suoi primi film, con
Birth of a nation (1915) vedremo pienamente all’opera il nuovo modo di raccontare, al
contrario di Cabiria questo è un’opera completamente narrativa; il dinamismo dei
personaggi, la sorprendente velocità nello svolgimento dell’azione segnano un grande
cambiamento rispetto ai film contemporanei, lenti e statici.
Con Griffith nasce il Sistema retorico narrativo, che comprende tutte le tecniche
inventate dallo stesso (raccordo sull’asse, dissolvenza e primo piano).
Soprattutto il primo piano diventa importante perché contribuisce alla costruzione
psicologica del personaggio, lui lo usa per descrivere i volti dei personaggi.
Birth of a nation è un grande discorso politico, il film sostiene una tesi politicamente
reazionaria, i neri sono considerati una razza inferiore e solo i bianchi possono
esercitare e difendere la giustizia.
Con questo film nasce anche la poetica dell’eccesso cinematografico, in cui il bene e il
male si contrappongono come valori assoluti e senza mediazioni.
In questo film si ha per la prima volta un uso sistematico delle nuove figure
cinematografiche, e della loro integrazione dentro un grande corpo narrativo.
Con Griffith nasce un nuovo ruolo, il regista, da adesso è lui che prende in mano il
destino del film.
La scomparsa dell’imbonitore invece è subito sostituita dalle didascalie, utilizzate per
presentare la scena, è come la voce simbolica del regista, diventa lui il narratore.
Un anno dopo Birth of a nation gira un film per riscattarsi dalle accuse di razzismo
causate dal primo film, con Intolerance (1916) elabora forme narrative nuovissime,
per denunciare i mali causati dall’intolleranza ha deciso di raccontare 4 storie che
scorrono alternativamente sullo schermo,
il film diventa una sintesi della violenza del mondo; le 4 storie sono: la caduta di
babilonia, la passione di cristo, lo sterminio degli ugonotti, una storia di gangster
contemporanei.
Gira questo film per riscattarsi dalle accuse di razzismo del film precedente, con
questo vuole mostrare con intento critico che l’intolleranza ha sempre la meglio, solo
nell’episodio contemporaneo traspare una visione positivistica.
È presente la figura del narratore onnisciente, una figura astratta che organizza le
immagini e le didascalie.
Le storie corrispondo ai 4 generi maggiormente usati fino a quel periodo, il film
colossale, quello storico, quello religioso, e il dramma a sfondo sociale.
Segna la nascita del film didattico e filosofico, anche l’uso del primo piano in questo
film serve come strumento poetico, che crea tante piccole liriche all’interno di una
serie narrativa di per sé giù molto complessa.
Poco dopo anche il cinema europeo si mette in moto, dai quadri fissi si passa al
montaggio dinamico e drammatico, però il montaggio resterà sempre ancorato alla
profondità di campo, invece il cinema americano si sforzerà di eliminarlo perché rende
l’inquadratura troppo difficile da comprendere.
Da questo nasce anche una diversa concezione del racconto cinematografico fra
Europa e America, quello americano sarà un film di azione e veloce, mentre quello
europeo manterrà la sua vocazione per i tempi lunghi e le inquadrature complesse.
.
5. IL FUTURISMO ITALIANO E LA RIVOLUZIONE RUSSA
In America il cinema s’impone sul piano commerciale, in Europa invece si cerca
innovazione e ci si spinge verso un mondo nuovo.
Le vecchie attrazioni di Méliès diventano gli strumenti delle nuove avanguardie, o per i
futuristi russi il cinema incarna i nuovi valori della rivoluzione: libertà, modernità,
rinnovamento.
Le avanguardie europee si costruiscono tutte intorno al tema del grande sogno della
macchina, la città diventa una macchina vivente. Primi fra tutti i futuristi italiani
lanciano il sogno di rivoluzionare la vita attraverso la macchina, seguiti poi dai russi, il
cubismo e il dadaismo.
Tutti questi movimenti avevano in comune l’interesse per il cinema, completamente
diverso da quello narrativo, le avanguardie promuovono un cinema che frantuma i
modelli conosciuti, che fa saltare in aria tutte le convenzioni.
La modernità si annuncia con la distruzione di ogni forma e modello tradizionale.
Con il futurismo italiano incontriamo il primo balzo verso la modernità, si riteneva che
il cinema fosse da considerare un’arte futurista per natura, poiché era privo di passato
e libero dalle tradizioni; i futuristi proponevano un cinema anti grazioso, deformatore
e impressionista, doveva essere la ricerca di un linguaggio nuovo rispetto a quello
vecchio e pesante del passato, loro volevano liberare il cinematografo come mezzo di
espressione per farne lo strumento ideale di una nuova arte.
La caratteristica fondamentale del cinema per loro era il montaggio, i futuristi
colgono immediatamente l’identità di cinema e movimento.
Il genere da loro prediletto era quello comico, perché celebrava il movimento e il
montaggio allo stato puro.
Gli italiani furono gli ispiratori delle avanguardie europee successive, soprattutto
quelle francesi, russe e tedesche.
Prima del futurismo il cinema era solo un’attrazione di fiera, in seguito i trucchi
diventano poesia, strumenti di un nuovo linguaggio creativo e sovversivo.
Il futurismo è la prima corrente artistica che si interessa al cinema come linguaggio e
come movimento del linguaggio.
Tra il 1915-1921 si sviluppa in Italia un nuovo genere: il diva-film, un dramma
aristocratico elegante raccontato per lunghe inquadrature con rari e lunghissimi primi
piani delle protagoniste femminili.
I primi piani sono molto diversi da quelli del cinema americano.
Con il futurismo russo invece si propone di trasformare realmente sia l’arte che la vita,
si doveva costruire un’arte nuova per un mondo nuovo.
In questo cambiamento la rivoluzione russa ha giocato un ruolo fondamentale, in
quanto è stata un’esplosione artistica e culturale, oltre che popolare, essa fu un
grande evento distruttivo, di liberazione sociale, ma anche costruttivo, di
rinnovamento artistico e di creazione di nuovi modelli espressivi.
Nel caso della Russia la rivoluzione nel giro di pochi anni iniziò a cristallizzarsi, divenne
una formula rigida, quasi uno stereotipo.
Ma nel periodo d’oro dei moti rivoluzionari vi fu un’intensa produzione artistica e di
riflessione, l’interesse per la macchina creava una nuova estetica anti-tradizionale.
Il cinema russo parte da un rifiuto dello spettacolo tradizionale in cui lo spettatore
s’immerge passivamente, si pone contro la diegesi e distrugge il cinema narrativo,
vengono proposte forme di cinema-festa, nel quale lo spettatore è sempre attivo e
stimolato a nuove invenzioni e continui cambiamenti.
Nel 1925 si sviluppa la teoria del cine-occhio, secondo cui ogni cosa se viene
osservata con gli occhi quotidiani appare banale, ma se viene osservata con gli occhi
del cinema e del montaggio appare straniera e nuova.
Vertov, il creatore di questa teoria, crea un montaggio definito poetico, straniante e
straniato, per scoprire gli aspetti sconosciuti del mondo. Nel suo film “L’uomo con la
macchina da presa (1929) esalta la macchina della città accostandola a quella del
cinema, mostra il suo linguaggio con un’ironia atroce e improduttiva, in quanto i giochi
di montaggio deludono sempre gli spettatori che cercano un significato definito e
definitivo, lui usa il mondo per mostrare il cinema.
Kulešov ha individuato per primo il montaggio come base di produzione di senso.
Viene definito effetto Kulešov uno dei suoi esperimenti più famosi, ha accostato la
stessa inquadratura della faccia di un uomo a 3 immagini diverse: un piatto di
minestra, un cadavere e un bambino; anche se l’immagine era sempre la stessa gli
spettatori attribuivano sempre sentimenti diversi al suo volto, quindi si accorse che il
senso dell’immagine cambia a seconda dell’immagine che le sta vicino, quindi il senso
è generato non dalle inquadrature, ma dal montaggio. Con questo esperimento
dimostra il ruolo attivo dello spettatore.
Quindi si inizia ad usare il montaggio in modo metaforico.
Colui che porta a compimento la piena maturità del montaggio è Ėjzenštejn, lui
riteneva che teatro e cinema dovessero scuotere lo spettatore dal letargo tradizionale
della sala buia. Il concetto di attrazione diventa fondamentale, il montaggio delle
attrazioni quindi diventa una tecnica finalizzata a suscitare nello spettatore
associazione di nuove idee, questa teoria trova la prima manifestazione nel film
“Sciopero” (1924), il montaggio di pezzi brevissimi ci porta direttamente dentro il caos
della rivoluzione e della lotta.
Ėjzenštejn parte dalla lezione di Griffith, ma cerca di superarlo, il suo montaggio è
molto diverso dal montaggio parallelo o alternato americano, il montaggio delle
attrazioni è disordinato, è finalizzato a dare allo spettatore un senso del caos che
domina la vita reale.
È stato formato dal regista Mejerchol'd, quindi venne influenzato dalle sue teorie, il
maestro sosteneva che l’attore è un corpo biologico, la sua abilità fisica è molto
importante, lo spettacolo deve lavorare sulla sensibilità dello spettatore ignorando la
sua componente conscia.
Ėjzenštejn è anche contrario all’inquadratura autarchica, se il film mostra tutto, lo
spettatore non fa niente e non ha niente da immaginare.
Quindi formula la teoria degli stimoli, il montaggio deve stimolare l’immaginazione
e il lavoro intellettuale, tutto deve essere incompleto e frammentario, le azioni parziali
devono essere completate dallo spettatore. È anche contrario alla linearità temporale,
il montaggio deve ribaltare tutto, invertire l’ordine degli eventi, inseguito parlerà
anche di cine-pugno, il film deve colpire lo spettatore con un effetto shock.
La Corazzata Potëmkin è l’attuazione delle sue teorie del montaggio delle attrazioni,
il film tratta di un cine-poema che canta di una tragedia dell’umanità, lo sfruttamento
e la ribellione, unisce in modo unico la narrazione alla poesia.
Non vi è un protagonista unico, ma è la folla che assume il ruolo di personaggio
principale.
Le scene più drammatiche vengono enfatizzate tramite il montaggio con la ripetizione
della stessa inquadratura, la donna che cade dalla scalinata ci viene mostrata cadere
due volte. Il regista non porta mai a termine una scena, accumula una violenza con
l’altra senza lasciare mai allo spettatore il tempo per capire, arriva allo scontro tra le
inquadrature oltre a quello tra le persone.
Il montaggio alternato viene intervallato dal montaggio intellettuale, come nella scena
in cui vengono riprese delle statue raffiguranti dei leoni, simbolo del popolo che deve
risvegliarsi.
Ėjzenštejn pubblica anche degli scritti su teorie cinematografiche, come quella sul
suono che deve essere completamente autonomo e porsi in conflitto con le immagini.
Nel 1929 propone la teoria del montaggio intellettuale, nella quale spiega che per lui il
cinema può esprimere concetti astratti, quindi può diventare strumento di riflessione
filosofica. Gira i suoi ultimi film tutti incentrati sulla figura di Stalin paragonandolo a
Ivan il terribile nell’omonimo film (1944).
6. LE AVANGUARDIE FRANCESI
Le avanguardie francesi vedono il cinema come una grande potenzialità come i russi,
ma in un altro senso, con un’accezione meno ideologico-sociale e più filosofica,
interessata alla connessione fra il reale e il fantastico, soggettivo-oggettivo, il
cinema doveva essere una poesia visiva.
Le vecchie attrazioni dei tempi di Méliès vengono rilanciate come strumenti di nuovo
linguaggio nel quale l’osservazione della realtà si intreccia con il gioco degli effetti
speciali, si inaugurerà un filone che avrà il suo culmine nella nouvelle vague.
La Francia in questo periodo vive una fase di benessere, una sorta di proseguimento
della Belle Époque. La Parigi di quel tempo era il cuore della cultura europea, e tutti
parlavano di cinema creando nuove tecniche e teorie; Leopold Survage per esempio
propone l’idea di un cinema puro, cioè composto solo da forme geometriche, senza
figure o contenuto. Anche se all’inizio ebbe buon seguito si estinse molto presto per la
ripetitività delle pellicole, anche se la forma era essenziale il contenuto rimaneva
sempre indispensabile.
A livello industriale la Francia era diversa dall’America, le case produttrici favorivano i
piccoli autori liberi dalle necessità commerciali, l’industria francese rimaneva più
aperta, legata alla piccola e media borghesia. Quindi il cinema riesce a svilupparsi in
modo più indipendente da quello americano.
Il cinema francese di quegli anni girava intorno un concetto chiave: la fotogenia.
Un teorico ungherese, Béla Balàzs sviluppa questo concetto con un paragone: il volto
umano ingrandito diventa un autentico paesaggio naturale, cambia con il passare delle
ore e dei sentimenti, come la natura che cambia aspetto secondo il tempo e la luce.
Lui coglie per primo una straordinaria tecnica: con il primo piano l’anima umana
diventa visibile. D’ora in avanti questa tecnica diventa uno strumento per fondare
un’arte del tutto nuova, un’immagine visibile per mostrarne una invisibile; un volto
per un sentimento o un pensiero.
La fotogenia quindi rappresenta una rivoluzione intellettuale e poetica che da una
grande spinta allo sviluppo del cinema documentaristico e antropologico, ma sempre
con una forte dimensione poetica. Tutte le avanguardie europee faranno del primo
piano il loro cavallo di battaglia, al contrario il cinema americano continuerà a farne un
uso narrativo, il cinema europeo si orienta verso un uso simbolico, diventa
essenziale per esprimere il dolore, la crudeltà, la perfidia o la malinconia.
Il danese Dreyer sarà colui che darà massima espressività a questa tecnica con il suo
film Giovanna d’Arco (1928), raggiunge un’espressività che il cinema non aveva mai
conosciuto fino ad allora. Questo grande film poema si incentra del tutto sulla
sofferenza e sul volto umano. Non ha né tempo né luogo, il dolore sovrasta ogni cosa
mostrato in mille forme diverse che però sono sempre la stessa.
Con i primi piani a Giovanna d’Arco e ai suoi accusatori il regista esprime tutto il
dolore possibile in un animo umano.
L’importanza del dettaglio genera quella riflessa del fuori campo, l’insieme non viene
mai mostrato, ma suggerito, quindi ciò che non viene mostrato rimane invisibile,
quindi altrettanto pauroso rispetto al visibile.
Tutta la sua opera è un monumento alla solitudine della donna.
Con l’arrivo del cubismo il cinema subisce uno scossone, il movimento artistico
tendeva a scomporre lo spazio e gli oggetti per farli diventare forme geometriche
ponendosi il problema di restituire la tridimensionalità; questo ideale viene trasmesso
precocemente al cinema.
• L’Espressionismo
• Il Kammerspiel
• La Nuova Oggettività
Il cinema espressionista per realizzare queste distorsioni adotta i vecchi trucchi usati
come strumenti per creare allucinazioni. Spazi immaginari si fondono con gli spazi
reali potenziando a dismisura il mondo fantastico.
Un nuovo trucco, l’effetto Schüftan permetteva di creare luoghi immaginari. Tramite
un gioco di specchi si poteva ricreare un ambiente immaginario, come per esempio
nella scena dello stadio nel film Metropolis.
È il perfezionamento dei trucchi di Méliès, oppure l’antenato del green screen
contemporaneo.
Anche il primo piano assume aspetti demoniaci e persecutori, oppure sofferenti e
vittimistici fino allo spasimo, nel cinema tedesco il volto assume un grande valore
espressivo.
Il cinema tedesco trascura il montaggio e predilige su tutto gli effetti, ogni
inquadratura diventa un mondo completo su sé stesso.
Secondo Albin Gau il mondo rappresentato rimane racchiuso dentro i limiti
dell’inquadratura, al di fuori del quale non c’è assolutamente niente, quello del film
deve essere uno spazio a due dimensioni.
Il Kammerspielfilm è all’opposto del cinema espressionista, questo genere nasce
come tipo di teatro per pochissimi spettatori , che poi si diffonde anche nel cinema;
è caratterizzato da una straordinaria mobilità della cinepresa che segue da vicino i
personaggi fino quasi alla persecuzione, quindi la recitazione deve essere diversa in
quanto la mimica doveva essere portata al minimo.
Il nuovo rapporto che si stabilisce tra la cinepresa e l’attore anticipa quello che sarà il
cinema moderno.
La cinepresa acquisterà la sua massima mobilità con Murnau, arriverà quasi a
diventare un “occhio che scivola nello spazio”. La soggettiva diventa la chiave di volta,
tutto il suo cinema è una soggettiva dal punto di vista della cinepresa.
È da qui che nasce il cinema come sguardo, grazie a lui la cinepresa diventa un vero
e proprio essere vivente.
Questo nuovo genere, chiamato La nuova oggettività è stato soprattutto un genere
documentaristico che serviva a descrivere le condizioni della Germania degli anni 20.
Al di fuori delle 3 correnti del cinema tedesco si posiziona uno dei più importanti
registi tedeschi di quel tempo: Fritz Lang, descrive la Germania del suo tempo come
il fosco regno della criminalità organizzata in Il dottor Mabuse (1922), ma il suo
capolavoro sarà Metropolis (1926) un film che diventerà un cult per molte
generazioni, grande fonte di ispirazione per molti registi.
Introduce l’idea di un mondo dispotico, nella città in cui viene ambientato si nota una
mescolanza tra passato e futuro, la vediamo come una gigantesca macchina che
lavora senza sosta, al di sotto di essa troviamo una città speculare che ospita le
famiglie degli operai-schiavi, gli uomini si recano a lavorare come fossero degli automi
senza volto; all’opposto in superficie i ricchi si godono il loro paradiso in terra, questa
ristretta massa domina il popolo, è una prefigurazione del nazismo.
Viene ambientato nel 2026, quello che appare è un mondo assolutamente negativo.
La trama di questo film è un vero e proprio apologo sulla necessità di obbedienza
sociale, la visione di Lang è considerata quasi come una profezia della società futura e
dei problemi che ancora interessano il nostro mondo.
Il regista dava grande interesse alla composizione dell’inquadratura, e al contrario
delle avanguardie lui non rifiutava il cinema narrativo, ma faceva in modo che la
narrazione fosse sempre parallela alla creazione di immagini travolgenti e simboliche.
Quindi nella sua opera troviamo la piena fusione delle due grandi massime del
cinema: mostrare e raccontare.
8. Il CINEMA CLASSICO HOLLYWOODIANO
Dagli anni 30 Hollywood riesce a sviluppare un’industria cinematografica nella quale lo
spettatore si sente al centro del mondo, questa illusione di realtà è dovuta alla
continuità narrativa costruita attraverso il montaggio.
La forma narrativa classica prevede che le attrazioni siano presenti raramente dentro
il film, subordinate al racconto di una storia, prende le sue basi dal cinema moralista
inglese.
Si intende cinema classico quello apparente al periodo 1927-1960. Dagli anni 30
Hollywood diventa il centro del cinema mondiale.
Lo stile narrativo del cinema classico non è da ricondurre alla volontà dei singoli
autori, ma da un sistema di produzione che tracciava modelli standard, il modo di
produzione quindi rappresentava anche lo stile del film. Nascono da qui i mestieri che
ancora oggi sono presenti dentro l’industria cinematografica, e soprattutto spicca una
figura che domina tutte le fasi di produzione di un film: il produttore.
La crisi del 29 causò un’ondata di malessere e malumore in tutti gli stati uniti e in
tutto il mondo, solo grazie al New Deal di Roosevelt si ricominciò a ricostruire quello
che la crisi aveva distrutto, il cinema contribuì a rilanciare la fiducia nelle istituzioni
sociali. Per far ciò però c’era bisogno di un cinema chiaro e accessibile a tutti, il
modello fu trovato nel romanzo dell’800, in più occorreva un apparato produttivo
molto solido, venne quindi ideato lo studio system, un sistema di produzione in cui
tutte le fasi di produzione del film sono sotto il controllo di una sola casa produttrice, è
basato sul fordismo e sulla parcellizzazione del lavoro.
In questo tipo di cinema la nozione di stile cambia profondamente, non è più una
caratteristica individuale come prima, ma una marca collettiva.
Negli anni 20 le grandi case produttrici non consideravano ancora il sonoro un
investimento necessario, solo la Warner Bros, una casa minore che rischiava il
fallimento decise accettare il rischio, nel 1927 così uscì Il cantante Jazz, un film
musicale che ancora aveva il suono solo nella parte del cantato.
In breve tempo tutte le case produttrici si adeguarono dato il tale successo che ebbe il
film. Grazie al sonoro la storia raccontata ebbe un grande impulso, non erano più le
attrazioni o gli effetti speciali l’elemento che attirava di più, ma i fatti narrati, in più
viene rotta la discontinuità causata dalle didascalie.
Il sonoro però estromise tutti quegli attori che lavoravano con il proprio corpo.
La nuova priorità nell’azione divenne la leggibilità, ora la chiarezza drammatica del
contenuto era di primaria importanza.
Una seconda regola è la gerarchizzazione, in una scena ci deve essere sempre una
netta differenza tra ciò che sta in primo piano e ciò che è nello sfondo, in più deve
essere sempre chiaro chi è il protagonista.
Terzo imperativo è la drammatizzazione, i contrasti di luce, di piani o di azione
devono tutti fornire parametri di valutazione chiari.
Il film classico è sempre caratterizzato da due aspetti principali: la norma e la
trasgressione. C’era il bisogno di regole e l’opposto, di varianti e deviazioni personali.
Le Major, le case produttrici principali erano 5: la mcm, la Paramount, la fox, la
Warner Bros e l’RKO; le case minori formarono un cartello, la MPPDA, insieme
divennero padrone del mercato grazie anche all’appoggio di Roosevelt in cambio
dell’aiuto per il rilancio del New Deal.
Il cinema hollywoodiano si struttura su due grandi assi portanti guidati dalla pressione
delle case produttrici:
Questi risultati si ottengono grazie al montaggio narrativo che crea una realtà illusoria
con una continuità temporale e spaziale.
Nel cinema classico vedere e sapere sono ugualmente importanti, recupera la fiducia
di acquistare una coscienza attraverso la visione.
Il cinema con queste regole diventa un linguaggio, elabora un sistema prospettico
spazio temporale in cui lo spettatore è al centro, si deve sentire inconsciamente al
posto di Dio, poiché è onnipresente, onnisciente e invisibile.
In Accade una notte (1934) per esempio in una scena i due personaggi dividono una
camera d’albergo, viene separata in 2 parti da un telo, la macchina da presa si sposta
da una parte all’altra per far vedere allo spettatore le azioni di entrambi.
Il cinema classico è caratterizzato da un continuo gioco stilistico tra norme e
trasgressioni, gli effetti speciali per esempio erano trasgressioni che acquistavano
forza grazie alla loro rarità.
Anche nelle trame e nelle storie raccontate vigeva un rapporto tra legge e
trasgressione, come nella durata del film (90 min.), e nella divisione dei generi, in
quanto si poteva distinguere 3 momenti in ogni storia: ordine, trasgressione e
ripristino dell’ordine.
L’happy ending era una fondamentale, però anche se il film hollywoodiano era
ottimista conteneva sempre una dialettica fra legge e trasgressione anche sul piano
del contenuto.
Il cinema americano classico può essere visto come un lungo sogno in cui lo
spettatore sogna sempre lo stesso problema, che sempre viene risolto e sempre
ricomincia con un’enorme serie di variazioni.
I generi rappresentano un orizzonte di attese che guida la produzione, il regista e lo
spettatore nelle sue scelte, dagli anni 50 cominciano a rinnovarsi e a mescolarsi.
Anche le Majors tendono a specializzarsi in certi generi.
La commedia rappresenta il genere principale del periodo classico, il cinema
americano raccoglie i modelli della commedia che risalgono ad Aristotele e li porta a
nuova vita, tutto viene usato per evidenziare e criticare le abitudini e i difetti umani.
Uno dei più importanti registi che trattarono la commedia fu Capra, la sua era una
commedia ottimista solo in parte, in quanto i suoi film avevano una serie di finali
improvvisi e posticci, lo spettatore può scegliere se accettare l’inganno piacevole
oppure ragionare in modo realistico.
In Accadde una notte per esempio il finale è molto ottimista, e lo spettatore è libero di
pensare che nella realtà le cose non vadano così bene come nel film.
Lo spettatore è portato a pensare che prima o poi le cose sono destinate a cambiare.
9. DENTRO E FUORI HOLLYWOOD, LO STILE E LA POETICA.
Il cinema è diverso dalla letteratura o dalla pittura, non è un’opera individuale,
richiede la partecipazione di molte persone e un rapporto intenso con il pubblico.
Questo rapporto è strettamente legato al rapporto fra tradizione e innovazione.
In America l’idea di regista era molto diversa da quella che abbiamo ora, a quel tempo
c’era una grande lotta tra il regista e lo sceneggiatore o il produttore per rivendicarsi
la proprietà del film.
La figura dell’autore nel cinema hollywoodiano può essere collocata fra due esigenze
fondamentali:
Ad Hollywood lo studio system era basato su una stretta divisione del lavoro e sul
sistema della sceneggiatura di ferro, il suo compito era limitare l’autonomia del
regista ed impedirgli di abbandonarsi a improvvisi estri creativi.
In questa sceneggiatura vi era già scritto tutto, fino alle singole inquadrature; una
volta completata la sceneggiatura veniva consegnata al regista e lui aveva il compito
di realizzare il film così com’era scritta, senza quasi nessun margine di variazione.
I
registi inserivano in ogni film più o meno consapevolmente dei tratti stilistici costanti:
le marche d’autore.
Il cinema western per esempio era il tratto distintivo per Ford, interpretato da lui
come il momento di conferma e definizione dell’identità nazionale.
Nei suoi film non sempre esalta la cultura americana, spesso avanza dubbi e critiche,
si permetteva sempre di gettare dubbi ed ombre sulla storia ufficiale dove quasi mai i
buoni sono veramente buoni. In ogni film riesce sempre a inserire la sua visione
complessa del mondo e della vita.
Con Orson Welles si raggiunge il primo grande caso di rottura dell’illusione della
realtà e dell’unità spazio temporale, le sue storie sono quasi sempre pretesti per
mostrare immagini di straordinaria violenza, in cui è visibile l’influenza dello stile
espressionista tedesco.
Divenne famoso grazie ad un programma radiofonico in cui raccontava l’arrivo dei
marziani come se fosse un fatto di cronaca. Questa sua idea gli fruttò un contratto per
un film con assoluta libertà e budget illimitato.
Realizzò così Citizen Kane (1941) il suo capolavoro, una profonda riflessione
sull’identità dell’uomo moderno, basata su potere e ricchezza.
I suoi film spesso hanno un doppio livello di lettura, le storie gialle sono spesso
riflessioni sull’atto di guardare, troviamo la sua massima espressione in
La finestra sul cortile (1954). Il suo stile consiste nella simulazione dello stile di
Hollywood, dietro un finto predominio della narrazione, i movimenti di macchina
costruiscono situazioni di incertezza continua che smentiscono la leggibilità del
racconto classico e abbassano la priorità dell’azione rispetto all’importanza dello
sguardo, si rompe la differenza tra vedere e sapere, ora domina l’incertezza.
In questo film la soggettiva acquista un’importanza fondamentale, Jeff è costretto
a guardare degli oggetti lontani e parziali, si costruisce un’idea sui personaggi che
appaiono e scompaiono dalla scena.
In Vertigo (1958) la scena dell’incubo viene ripresa dal cinema d’avanguardia, il
protagonista vive un’esperienza extrasensoriale, con il risveglio si ritorna alla vita
normale.
In Psyco (1960) si spinge al di là del codice Hays, anche se in questo momento i
parametri erano meno severi, il film fa trasparire la nostalgia delle attrazioni di
Ėjzenštejn.
,
10. IL NEOREALISMO
Il Neorealismo rappresenta uno sconvolgimento visivo nella storia del cinema, dopo la
guerra nasce una nuova percezione del mondo, gli errori tecnici aumentano sempre di
più, ci sono troppe cose da dire allo spettatore, quindi non si tiene più conto degli
errori che si commettono. Questo disordine diventa la base di un nuovo cinema, più
espressivo e meno raffinato, pieno di sentimento ed idee nuove, la narrazione non
verrà però abbandonata, ma trasformata e rielaborata.
Il neorealismo è considerato il punto riferimento di molti registi contemporanei,
dovunque accada qualcosa nel cinema il neorealismo è presente.
Si hanno però delle interpretazioni discordanti su questo movimento, alcuni autori si
soffermano sulla narrazione dei problemi sociali e della vita autentica dei poveri, altri
si concentrano sulle riprese di esterni reali con attori non professionisti.
In generale possiamo considerare il neorealismo come uno sconvolgimento visivo.
Gran parte di questa rivoluzione era stata preparata in Italia già prima della guerra, la
cinematografia fascista era già piena di storie realistiche, il regime aveva fatto inoltre
grandi investimenti nella cinematografia e cinecittà era uno degli studi più avanzati
tecnologicamente d’Europa; in più la mostra del cinema di Venezia era una delle
vetrine più importanti del mondo. Alcuni futuri registi come de Santis discutevano già
intorno al concetto di realismo, invece altri come Antonioni volevano seguire i maestri
francesi Carné o Renoir.
È stato però il cinema di guerra la vera svolta, nel cinema americano si proponeva la
figura del soldato eroe che si ricopre di gloria con grandi azioni, al contrario nei film
italiani si parla di guerra dura e ingrata, non si voleva criticare il regime, ma i soldati
italiani sono uomini che hanno come unica speranza quella di tornare a casa in vita.
Questa idea di realismo però era ostacolata dall’ideologia del regime che non
permetteva di mostrare la realtà sociale fino in fondo, il cinema era uno strumento
troppo importante per poter essere lasciato libero di guardarsi intorno realmente.
La parola neorealismo indica un punto di riferimento per tutti quelli che in quel periodo
volevano guardarsi intorno, nel cinema italiano nasce dopo la guerra una nuova
maniera di guardare. Ritroviamo al suo interno molti stereotipi del cinema narrativo
classico, la sua novità sta nella maniera di filmare, nel cambiamento nella forma di
enunciazione, che era il modo di raccontare le storie.
I film appartenenti alla stagione del neorealismo (1945-1948) contengono tutti
qualcosa di nuovo, i codici del cinema classico vendono abbandonati, il montaggio
tradizionale, l’inquadratura e la recitazione classica e pulita diventano assurde difronte
la necessità di esprimere le nuove condizioni del mondo; André Bazin dirà che l’unità
base del racconto cinematografico da ora in poi sarà il fatto, l’evento bruto ancora
confuso.
La novità del neorealismo sta nel caos della realtà quotidiana, non c’è più tempo per le
belle immagini, è più importante vedere quello che accade e farlo vedere allo
spettatore, con il quale nasce un nuovo rapporto, ci si indirizza verso di lui spesso con
la voce fuori campo o lo sguardo in macchina.
Questa sovversione dei codici crea il rovesciamento nella forma narrativa,
realismo significa quindi la rinuncia ai vecchi modelli e ricerca di nuove forme e idee
per interpretare il nuovo mondo terribilmente diverso.
La soggettività della ripresa è una nuova tecnica del neorealismo, può essere definita
come una caratteristica del reportage cinematografico più che del cinema narrativo.
Il secondo film ci presenta un Roma devastata dalla guerra dove i due protagonisti
sono alla disperata ricerca di una bicicletta, diventa quasi la ricerca del sacro Graal,
nel corso del film si avventureranno nelle zone più scure della città dove troveranno
infine il ladro, che però è in condizioni peggiori di loro.
Il viaggio del padre e del figlio li conduce a scoprire un mondo ignoto al cinema, la
bicicletta diventa un simbolo della vita stessa, rubata ai due personaggi.
Il film è un pretesto per filmare le condizioni della Roma degli anni 40 tramite gli occhi
del protagonista.
Ciò che accomuna i 3 grandi registi è il senso tragico della vita, che contrasta
nettamente il positivismo del cinema classico.
11. LA NOUVELLE VAGUE
La nouvelle vague rappresenta lo sconvolgimento visivo del cinema classico, da esso
si inaugurano nuovi modi di raccontare e apre nuove infinite possibilità, la narrazione
viene reinventata e nasce il racconto moderno.
Da ora in poi il cinema comincerà a parlare di sé stesso.
In questo periodo tutta l’Europa soffriva la grande espansione dell’industria di
Hollywood, i ragazzi nati nella generazione degli anni 30 cominciano a sentire il
bisogno di un cinema che sia uno strumento di comunicazione e conoscenza, in tutta
Europa di cerca di demolire i vecchi stereotipi narrativi, si cercano argomenti più reali
e attuali. Anche la tecnologia contribuisce questo processo con le nuove
apparecchiature che resero possibile un cinema meno costoso, più sbrigativo ed
aderente alla realtà; il primo movimento che aderirà a questi nuovi canoni sarà la
Nouvelle Vague(nv).
La critica è la novità che contraddistingue i giovani registi francesi da tutti gli altri, loro
combattono nelle varie riviste per una nuova idea di cinema, inteso come mezzo di
comunicazione e non come spettacolo.
Il termine nv indica una svolta radicale, significa nuova ondata, c’era il desiderio di
distruggere tutto quello che apparteneva al passato. Il termine venne coniato nel
1957 da un giornale francese, ma già da prima si era già parlato di un cinema come
scrittura per descrivere la vita, riflettere e pensare.
La rivista Cahiers du Cinema fu la prima grande rivista della cinefilia moderna, vi
parteciparono grandi registi come Truffaut, Godard, Rohmer o Rivette; tutti quanti
erano impegnati allo stesso tempo in una difesa del cinema americano classico, e del
nuovo cinema povero nato dal neorealismo. Tutto il resto viene fatto a pezzi, vogliono
demolire le figure paterne e imporre un nuovo tipo di stile, che si basi su una
maggiore consapevolezza del linguaggio delle immagini.
Il cinema moderno deve mostrare non dimostrare, e abbandonare le storie con
una tesi predefinita per osservare le cose e le persone.
La profondità di campo e il piano sequenza sono gli strumenti di questa nuova
estetica, si tratta guardare il mondo come appare. L’idea di autore è fondamentale,
senza autori non c’è cinema, non è più lo studio system o il produttore che fanno il
film, ma gli autori.
Il nuovo cinema nascerà proprio dall’unione del cinema americano, che esalta i miti,
con il cinema francese, uno sguardo disilluso nella modernità; il mondo delle favole
viene riletto attraverso la consapevolezza del mondo moderno o viceversa.
Il primo film di Godard, À bout de souffle (1960), è un doloroso confronto fra i sogni
e la realtà, la storia di un delinquente parigino che sogna di essere come i grandi
gangster del cinema americano, il regista ritiene questo film come un viaggio sia nel
cinema gangster americano, sia nel mondo di Alice nel paese delle meraviglie, ma
anche una riflessione sul cinema, sui miti, sui sogni che genera nel suo incrocio con il
cinema americano. Le riprese possono essere considerate quasi amatoriali, la
cinepresa veniva tenuta a spalla, le riprese di interni sono state girate in vere stanze,
non in studio. Le carrellate vengono eseguite da un operatore seduto in una sedia a
rotelle, non vengono usati i carrelli, in questo modo il movimento era più immediato e
leggero. Godard parte dal cinema classico, poi propose un racconto trasparente, lo
spettatore deve rendersi conto che qualcuno sta raccontando la storia.
À bout de souffle ci pone contro il cinema classico, fa un’opera di decostruzione,
mostra allo spettatore come funziona, parte da una storia che potrebbe essere quella
di un qualunque film hollywoodiano, ma lo infrange continuamente volutamente,
per esempio i suoni e le immagini proseguono per 2 piani distinti, i rumori che i
personaggi provocano non vengono prodotti da loro veramente, si evidenzia il fatto
che il cinema è finzione.
Sviluppa tutta la trama per mostrare che il personaggio principale è un debole, ci
vuole portare dal mito alla realtà.
I grandi registi della nv vedono il cinema americano come un cinema di grandi eroi, di
grandi imprese, ma appartiene al passato, viene definito classico perché non cesserà
mai di parlare alla nostra immaginazione e di stimolare la nostra fantasia, i personaggi
della nv sono così, ma molto lontani da quel vecchio cinema di eroi, Michel Poiccard, il
protagonista di À bout de souffle, è il primo grande antieroe della storia, ai divi di
Hollywood sempre perfetti la nv sostituisce uomini e donne comuni, l’autobiografia
entra nel cinema.
La nv non abbandona la narrazione classica, però la modifica in maniera
fondamentale, il primato dell’osservazione subentra a quello dell’azione, il racconto si
allunga e si complica con varie digressioni e derivazioni che mostrano l’ambiente
circostante.
I principi fondamentali del racconto classico entrano subito in crisi, la drammaturgia si
complica diventa difficile distinguere fra buoni e cattivi, la leggibilità delle storie si
confonde, i luoghi o lo sfondo sono più interessanti del primo piano.
Con lo sconvolgimento della narrazione di Godard emerge la potenza suggestiva del
linguaggio filmico.
Con Truffaut invece avviene una riproposta della narrazione, più importante della
storia stessa è l’atto di raccontare, diventa l’aspetto principale del film, con la
coscienza che non sempre è possibile capire i personaggi e i loro sentimenti.
I suoi film sono delle riflessioni politiche.
La narrazione è come uno specchio rotto, in ogni frammento c’è una piccola parte di
verità; a volte si può trovare anche una linearità invertita, l’arresto di un fotogramma
può fissare una determinata scena.
Con Rohmer troviamo una ridiscussione della narrazione, con lui l’azione si dissolve
in una serie di attese, proposte, sguardi, tensioni fra i personaggi, fra il detto e il non
detto, fra pensiero e azione. Il cinema di Rohmer è il trionfo del non detto,
dell’implicito, del non visibile.
Nello stile cinematografico della nv si può trovare il rapporto tra tradizione e
innovazione, vengono spezzati i codici hollywoodiani e nello stesso tempi vengono
ripresi, in un continuo gioco di sovversione e tradizione; cambiano i tempi e i luoghi
tradizionali dell’inquadratura, spesso si allungano oltre il necessario o si interrompono
troppo presto. La narrazione è discontinua, si accelera il montaggio con il jump cut,
oppure si rallenta la narrazione con lunghe conversazioni con lunghi frammenti e
movimenti della cinepresa.
La moralità del nuovo cinema consiste nel mostrare non l’azione, ma l’atto di
raccontare, ciò che si vuole mostrare è il cinema con le sue immagini.
Truffaut riprende dal passato i mascherini del cinema muto, pause che rimandano
all’atto di raccontare, vuole insistere sul fatto che l’atto di raccontare è più
affascinante della storia raccontata, critica il cinema per essere basato
sull’omogeneizzazione e sull’uso dei soliti metodi, definisce l’uso dei soliti stereotipi
come un cinema basato sulla qualità mediocre, contropropone a questa visione un
cinema d’autore.
Grazie alle nuove tecnologie, la possibilità di registrare il suono in presa diretta si
riesce ad arrivare al rinnovamento del linguaggio, viene introdotta la camera car, non
vengono più usati i carrelli, ma le cineprese vengono agganciate ad una macchina;
in più si abbandona la sceneggiatura di ferro, il copione si fa più snello, diventa solo
un supporto al film, il cinema si fa più vicino al reale, ma a differenza del cinema
narrativo classico non cerca più l’illusione della realtà.
Il film Les quatrecents coups (1959) inizia con delle riprese, girate in camera car,
della città di Parigi, possiamo definire la città come uno dei personaggi principali, il
film parla di un ragazzo, Antoine, vive in una famiglia con diversi problemi, verrà
mandato in riformatorio in seguito ad un furto, da quale però scapperà, il ragazzo
viene ripreso durante una lunga corsa che lo segue fino il mare, simbolo di libertà, il
finale rimane aperto, lascia allo spettatore il compito di trovarne uno possibile.
I lunghi movimenti di cinepresa hanno un profondo senso morale, il cinema è un vero
occhio soggettivo, l’unico che guarda Antoine con rispetto, tramite le riprese, sempre
vicino a lui che lo segue fino alla deriva solo e abbandonato da tutti.
12. IL RINASCIMENTO CINEMATOGRAFICO ITALIANO
In Italia è mancata la nv, però un dialogo fra due generazioni, quella dei neorealisti e
quella più giovane ha permesso la nascita di un nuovo tipo di sguardo
cinematografico, lo sguardo inquieto.
L’eredita del Neorealismo va in due direzioni:
• La commedia all’italiana
• Il nuovo cinema d’autore
Tra tutti questi autori qualcuno mantiene un proprio spazio muovendosi in equilibrio
fra il film commerciale e lo stile personale, David Lynch e Alba Ferrara sono gli
esempi principali, contrastano il citazionismo, i loro film raccontano storie in modo
sconnesso e tenebroso, mantengono il loro senso sospeso. Il loro obiettivo principale è
sollevare dei problemi, conservano l’idea di una storia, ma tolgono allo spettatore
l’illusione di comprenderla. Per tutti e due l’immagine è il contrario di quello che è per
gli altri, è un mistero, un enigma che va indagato senza sosta.
Questo stile si chiama postmoderno pessimista, il cinema è considerato come una
forma di suono nell’interiorità degli individui, Lynch per esempio eredita il surrealismo
e lo porta nel postmoderno.
Possiamo distinguere nella storia della nostra cultura 3 tipi di immagini: