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I SERVIZI ALLA PERSONA

INTRODUZIONE LIBRO
Oggi, nel territorio, ci sono servizi di ‘prima generazione, inventati negli anni 70 per accogliere le persone

che uscivano da quelle che allora furono chiamate istituzioni totali: manicomi, orfanotrofi per bambini

senza famiglia, cronicari per anziani poveri.

Aprire le istituzioni all’ambiente comportò la creazione di nuovi modelli organizzativi: comunità alloggio a

dimensione familiare, centri diurni, day hospital, laboratori protetti, comunità terapeutiche, tutti servizi che

identificano la condivisione del quotidiano come metodo per sviluppare legami di senso, educativi e

terapeutici.

Poi sono venuti i servizi domiciliari, che hanno spostato il luogo della cura a casa dell’assistito; dapprima

rivolti ad anziani e disabili, in seguito anche a bambini, nuclei fragili, famiglie affidatarie, mamme in

difficoltà che faticano a sostenere da soli i compiti genitoriali. Portare l’assistenza nell’abitazione privata ha

comportato un nuovo approccio organizzativo, questo approccio esige una lettura della vita quotidiana

come sede dei legami spontanei, dove sono i cittadini assistiti che creano l’ambiente, con le sue regole,

linguaggi, valori. L’organizzazione non può imporre le proprie logiche, pena la perdita totale di efficacia, ma

deve interagire con l’ambiente.

Questo mutamento di prospettiva ha dato vita ai servizi di seconda generazione, quelli che si reggono

sull’iniziativa dei cittadini, la capacità di auto-aiuto, gli scambi virtuosi; all’inizio degli anni 90 in alcune

regioni sono nati i centri per la famiglia, come evoluzione dei consultori e degli asilo nido, poi le banche del

tempo, i centri anziani e i centri autogestiti. Il territorio viene inteso come ambiente che sviluppa il senso di

appartenenza; compito di questi servizi è fornire strumenti e cultura organizzativi per l’esercizio della

cittadinanza attiva. Ma le novità maggiori sono venute alla fine degli anni 90 con il trasferimento a livello

locale di attività che prima erano gestite dallo stato centrale: servizi per l’impiego, assistenza alle piccole

imprese e all’autoimpresa, centri di servizio per il volontariato. Di questo filone fa parte l’istituto del reddito

minimo di inserimento, che si sta sperimentando in 39 comuni italiani. Il modo in cui è stato progettato

questo istituto impone agli enti locali di gestire in maniera contestuale il sussidio economico e l’offerta di
formazione e lavoro. Perciò nel territorio si vanno diffondendo servizi che devono adottare un modello

operativo tipico dello sportello consulenziale.

I servizi di terza generazione svolgono un ruolo connettivo tra soggetti e attori sociali che, pur operando

tutti a dimensione locale, non si conoscono o non vedono le potenzialità di metterisi in rete. La loro

efficacia sta nel saper accogliere le domande più varie che vengono dai cittadini e dotarsi di un ‘magazzino’

di conoscenze e risorse altrettanto articolate. Questi servizi non appartengono esclusivamente al comparto

sociale, sanitario,educativo ma agiscono appunto da collante tra tutti i servizi del territorio; richiedono e

costruiscono conoscenze, linguaggi, capacità trasversali. Il territorio, oltre ad essere terapeutico, oltre a

sviluppare idenitità e solidarietà, è il luogo dove va riorganizzato il sistema complessivo, al fine di ridurre la

complessità che sperimenta ogni cittadino nel vivere quotidiano, sia esso bambino o anziano, ricco o

povero, fragile o normale, straniero o italiano. Per tutto il 900, il modello burocratico e tayloristico è

sembrato perdurare incontrastato tanto nelle aziende private quanto nella pubblica amministrazione. Non

vi erano organizzazioni a rete, aperte, flessibili e interconnesse. Nonostante la situazione oggi sia diversa,

anche oggi possiamo dire che l’organizzazione qualunque organizzazione , anche quando è il frutto delle

scelte di coloro i quali ci lavorano, col tempo può allontanarsi da noi, diventarci estranea. Arriva un

momento in cui le regole che ci siamo dati non ci appartengono più, non le riconosciamo, e allora non

siamo piu in grado di usarle come risorsa. E’ come quindi se le organizzazioni avessero la tendenza a

imprigionare anche le risorse umane piu volenterose. L’antidoto sta nella cultura organizzativa perché

permette ad ogni operatore di cogliere il potere di cui dispone: potere di scegliere e di modificare, insieme

agli altri, l’organizzazione per cui lavora. Nei servizi territoriali questo potere è per tutti piuttosto ampio;

con delle differenze tra figure professionali, posizioni gerarchiche e contesti di lavoro, ma è pur sempre

significativo. Il problema è che gli operatori non conoscono o preferiscono ignorare la possibilità che hanno

a disposizione per agire sul funzionamento del loro servizio. Vi è quindi uno spreco di potenzialità suoi

metodi di intervento ma anche, sulle procedure, sui tempi, sulla distribuzione del lavoro, sui meccanismi di

comunicazione e di presa delle decisioni.

Chiaramente, non tutte le regole sono decise dagli operatori, alcune sono dovute a decisioni prese fuori dai

servizi, sono contenute nelle leggi regionali, nazionali e nei contratti di lavoro. Ma gli operatori hanno il
compito e l’onere di interpretare le norme e adattarle alla situazione locale, alle esigenze interne proprie di

ogni gruppo di lavoro. Per questo i servizi territoriali sono innovativi. La maggior parte degli operatori è per

lo più profondamente insoddisfatta del funzionamento dei servizi, ma, si tratta di un sentimento solo

depressivo se si adotta una logica razionale e percettiva delle organizzazioni che ci fa vedere le stesse al di

sotto del modello astratto di riferimento. L’insoddisfazione invece, puo agire in modo positivo dentro una

logica diversa, ovvero, quella dell’organizzazione in progress. In questo modo gli operatori non guardano

piu al modello, ma si interrogano sulle potenzialità per trovare al proprio interno l’equilibrio ottimale,

sapendo già in partenza che cambierà, deve cambiare e sarà sempre perfettibile. Dunque, nelle

organizzazioni a potere molto distribuito, tutti i membri dovrebbero diventare esperti nella produzione

delle regole collettive. Il problema è che ancora non ci sono le competenze e la cultura diffusa che

permettano l’esercizio pieno del potere organizzativo dal basso.

Bisognerebbe vedere (descrivere, rappresentare visivamente, dire, rendere comprensibile a se stessi e ad

altri l’organizzazione in cui si lavora); riconoscere (riconoscere l’organizzazione come elemento vivo e come

risorsa utilizzabile nel proprio lavoro); cambiare (valutarne l’adeguatezza e poterla modificare secondo

necessità). Le prime due fasi sono quelle piu semplici, piu euforiche, è la terza fase cioè il cambiamento

quella piu difficile. La possibilità di evoluzione in termini di apertura e flessibilità, adeguatezza, sta nella

cultura degli operatori in quanto questi ultimi devono essere consapevoli del proprio potere nel

cambiamento cosi da fare parte in maniera attiva nell’organizzazione e di non trasformare quest’ultima nel

frutto di scelte fatte dall’alto.

(APPUNTI LEZIONE) “Servizio sociale” ≠ “servizi sociali”: Il servizio sociale è l’attività professionale
dell’assistente sociale ed è propria degli assistenti sociali
Servizi sociali al plurale è invece un’articolazione o della pubblica amministrazione o di ente privato che ha
la funzione di occuparsi degli interventi socio-assistenziali. All’interno dei servizi sociali, c’è anche il servizio
sociale, ma non solo.
Sinonimi di “servizi sociali”: servizi socio -assistenziali; servizi alle persone.
Ciò vuol dire che nei servizi sociali non lavorano solo assistenti sociali ma anche altri operatori.
Le funzioni dei servizi sociali:
- Funzioni di aiuto sociale (educatori professionali, operatori socio sanitari che svolgono assistenza a
domicilio
- Funzioni complementarità quelle di aiuto o assistenza (personale amministrativo o di segreteria)
- Funzioni dirigenziali e di coordinamento
Attività che svolgono gli operatori:
Gli operatori all’interno dei ss devono dare attuazione a ciò che viene stabilito all’interno delle politiche
sociali. Finalizzata a dare individualizzazione e realizzazione concreta alle indicazioni di politica sociale.
Le politiche sociali prevedono interventi particolari per determinati soggetti; i servizi alle persone utilizzano
le politiche sociali per fare questo. Invece quando paliamo di misure di politica sociale si fa la distinzione tra
misure rivolte a ….:
MISURE DI POLITICA SOCIALE sono:
- rivolte alla generalità di cittadini o categorie che non richiedono di essere realizzate in maniera
individualizzata
- Rivolte alla generalità di cittadini o categorie che richiedono la realizzazione di interventi specifici per ogni
singolo caso, che ogni volta andranno adattati alla situazione di quella persona, famiglia o gruppo in
difficoltà.

- Una misura di politica sociale è ad esempio la manovra economica del “reddito di cittadinanza”, che
costituisce una misura di politica sociale che mira a ridurre il numero di soggetti che si trovano in una
determinata condizione di bisogno.
Qst misure di politica sociale vengono varate o attraverso il governo, oppure vengono varate dal
parlamento attraverso un iter legislativo che porta alla definizione di una legge ordinaria.

I PRINCIPALI ENTI PUBBLICI CHIAMATI A DARE REALIZZAZIONE ALLE POLITICHE SOCIALI ORGANIZZANDO
DEI SERVIZI ALLE PERSONE SONO IL COMUNE, L’AZIENDA SANITARIA LOCALE E IL MINISTERO DELLA
GIUSTIZIA.
CAPITOLO 1: IL LAVORO SOCIALE.
Gli operatori dei servizi alle persone sono diversi dai semplici impiegati xk hanno un modus operandi
diverso. L’as si distingue sia per le conoscenze teoriche, le competenze, abilità sia perche deve utilizzare un
sapere acquisito prima di cominciare la prestazione e al tempo stesso autoalimentarlo durante il suo
svolgimento sia perchè valuta il proprio lavoro. Quando?  progettazioneattuazione e
contemporaneamente valutazione. Contemporaneamente xk lavorando con le persone bisogna sempre
riflettere su se stessi, sul modo in cui si sta lavorando. Quindi il lavoro sociale è svolto bene se
contemporaneamente si lavora con la persona e si riflette sul proprio operato. Bisogna che diventi un
automatismo cosi da poter imparare da ciò che stiamo facendo, dalle difficoltà che si incontrano durante il
lavoro sociale. Cio presuppone k nel tempo l’as professionista lavori anche su se stesso e questo lavoro su
se stesso ci permette di approcciarci alle persone in maniera piu consapevole.
Nei servizi alla persona si espleta in un circuito di regolazione ovvero un percorso che collega e coordina il
momento della progettualità (quando si programma e si decide cosa fare) con quello dell’attuazione
(quando si interviene nella realtà) e infine con il momento della valutazione (quando si giudicano gli effetti
dell’azione e si decide se bisogna continuare cosi o è richiesto un nuovo programma). Nei servizi alla
persona questo percorso ha sede nella mente dell’operatore, nella sua capacità di comprendere la
relazione con l’altro e di rielaborarne il significato.
N.B.: se ne parlerà nell’ultimo cap meglio ma la valutazione oltre ad essere durante la prestazione è anche
dopo la prestazione, in sedi ad hoc chiamando in causa altri soggetti, prevedendo momenti laterali rispetto
all’attività diretta al cittadino.
1.1. Lavoro circolare e lavoro lineare
Il lavoro dell’a.s. è un lavoro circolare che va dall’operatore all’utente e dall’utente all’operatore. Di questo
lavoro ne fanno parte ascolto comprensione analisi valutazione del problema e infine progetto di
intervento (frutto del contratto\accordo tra utente e operatore dato che l’utente deve sempre partecipare
alle scelte dell’operatore altrimenti non si raggiungono obiettivi a lungo termini finita “l’autorità
dell’operatore). QUINDI essenziale per un a.s. professionista è che rifletta mentre lavora, si tratta di
un’abilità che si acquisisce. Quindi se di istinto possiamo trovare una soluzione cmq poi l’utilizzo di quella
soluzione deve essere usato in maniera professionale quindi tenendo conto del punto di vista dell’utente.
L’improvvisazione è quindi incompatibile con la professionalità.
Diametralmente opposto è il LAVORO LINEARE: è quello del burocrate, si svolge fase dopo fase. Si tratta di
fasi previste e strutturate e che portano ad una fine. All’impiegato non viene chiesto di interpretare le
diversità soggettive dei suoi clienti, bensì di adempiere con la massima imparzialità a tutti i passaggi
previsti.
LAVORO LINEARE: procedura amministrativa il cui percorso è indicato, sequenza dopo sequenza, da norme
che lo regolamentano in maniera preordinata. Pratica perfezionata alla fine del percorso senza influenza
degli esiti. Tipico del lavoro burocratico.

LAVORO ALLE PERSONE= CIRCOLARE: scarsa visibilità degli esiti perché affinche il lavoro sia efficace si
devono verificare dei cambiamenti sull’utente che non vediamo immediatamente quindi l’esito del lavoro
sociale nn è immediatamente visibile. Sapere questo è impo per non avere inutili frustrazioni. Solitamente
l’utente è in carico al servizio per lungo tempo ed è necessaria una buona memoria organizzativa.
Soprattutto nel caso in cui si tratti di problemi di dipendenza, non si puoi mai dire se il soggetto è mai
veramente svincolato da essa. Quindi i professionisti del sert ad es. sono molto frustati se non si rendono
conto che il tipo di problema e utenza fa vedere pochissimi esiti, spesso per 15\20 anni un soggetto è a
carico del SERT se non per tutta la vita. La memoria organizzativa si modella in archivi e database cosi
cambiando l’operatore resta una memoria del servizio, cosi da poter continuare il processo d’aiuto da parte
di un altro collega.
In alcuni settori d’intervento il rapporto si conclude con un breve sostegno, in altri servizi come quello
appena citato del SERT è continuativo e lungo. Altri servizi infine, lavorano per la crescita continua dei
propri utenti e non hanno alcun motivo per dimenticarli; anzi, la fedeltà del cittadino al servizio è un
indirizzo di qualità. Un esempio ne sono la biblioteca di quartiere, il centro per le famiglie, servizi che in un
certo senso si nutrono di risorse portate da coloro che li frequentano.

1.2. Lavoro di fronte e lavoro alle spalle


LAVORO DIRETTO vs LAVORO INDIRETTO: il lavoro diretto sta a metodi e tecniche cosi come quello
indiretto sta ad organizzazione. Quindi nel lavoro diretto vengono svolte tutte quelle attività che si
acquisiscono studiando metodi mentre nel lavoro indiretto vanno incidere tutte quelle attività che fanno
capo ad organizzazione. Il lavoro diretto è fatto da tutte quelle attività dirette frontali come ascolto,
progetto, intervento mentre, per lavoro indiretto si intendono quelle attività indirette ‘alle spalle’ come il
coordinamento, valutazione e memoria. Nei servizi alle persone spesso il lavoro indiretto non è facilmente
visibile xk spesso si fonde con quello diretto. Piu il lavoro è semplice, l’organizzazione è ben equilibrata piu
le attività indirette sono residuali. Nei servizi territoriali sono attività dirette: l’informazione e l’educazione
preventiva, il sostegno psicologico,l’animazione, le psicoterapie, le terapie farmacologiche o di
riabilitazione, il sostegno scolastico, l’inserimento lavorativo, le attività domestiche di cura della casa e della
persona, le pratiche burocratiche di accompagnamento, le attività ricreative e socializzanti. In tutte le
organizzazioni, oltre alle attività trasformative, dedicate direttamente a realizzare il prodotto o il servizio, vi
sono delle attività indirette , chiamate cosi perché servono a creare le condizioni per il lavoro diretto:
forniscono la materia prima, le conoscenze, le procedure operative, i premi, le sanzioni, la memoria.
Spesso però, gli operatori tendono a svalutare il lavoro indiretto, in realtà però è importante riconoscere
che:
- Una buona organizzazione potenzia le energie professionali
- Gran parte delle regole organizzative è prodotta da coloro che lavorano nel servizio (non un potere
accentrato, ma un’opportunità distribuita)
- La produzione non è data una volta per tutte ma è circolare come il lavoro con l’utente
Il motivo per cui gli operatori tendono a svalutare il lavoro indiretto è diciamo legato ad un problema di
economia e di produttività che riguarda proprio il lavoro organizzativo. Infatti, nella fase nascente dei servizi
territoriali si era diffuso un entusiasmo collettivo che rendeva gli operatori disponibili a passare un tempo
interminabile nelle riunioni, con l’andare del tempo si è accumulato un senso di stanchezza, alimentato
dalla mancanza di risultati. Le riunioni sono così diventate sinonimo di perdita di tempo ed è subentrata
una sfiducia generale nella possibilità di governare la complessità mediante accordi tra operatori. Buttando
via il metodo assembleare si è screditata qualunque forma di intesa, di negoziato e di coordinamento. Il
risultato è una disistima generale nei confronti del lavoro indiretto. I vecchi metodi non vengono sostituiti
con altri e il servizio rischia di andare verso una posizione di stallo. Infatti, il servizio non si dota cosi di
canali comunicativi per riaprire il discorso sull’organizzazione del lavoro.
1.5. L’organizzazione che impara da se stessa
Per uscirne, la strada piu corretta è riprogettare il lavoro indiretto. Il servizio deve abituarsi a riprodurre
riflessione su se stesso. I corsi e i manuali che insegnano a capire le organizzazioni possono fornire degli
schemi interpretativi, ma ogni servizio è diverso dall’altro: la storia, i condizionamenti interni ed esterni, le
proiezioni femminili e i conflitti, i nodi irrisolti e le soluzioni precarie, il detto e il non detto, tutto cio
concorre a rendere unico l’equilibrio raggiunto in un dato servizio e in una fase specifica della sua
evoluzione. Per sbloccare un servizio in burn-out , per mantenere il livello di efficienza raggiunto o per
creare nuove funzioni organizzative è necessario che partecipino tutti gli operatori coinvolti nella vicenda.
Poiché tutti, piu o meno consapevolmente, producono organizzazione, è utile che tutti aiutino a riflettere e
contribuiscono a cambiare.
Nel nostro paese il management nei servizi è all’inizio ma, sono già emersi alcuni criteri-guida:
- Non basta investire dalla responsabilità organizzativa formale un ruolo gestionale unico, il manager; la
cultura organizzativa deve essere condivisa da tutti e assimilata da quei ruoli intermedi che hanno, di fatto,
qualche responsabilità sulle scelte organizzative
- Non basta trasferire nel settore pubblico il sapere gestionale prodotto dal settore privato; ogni campo
d’intervento deve elaborare un sapere specifico adatto a interpretare le logiche organizzative che lo
caratterizzano
- Non basta introdurre, delle figure competenti; tutta l’organizzazione deve essere messa in grado di
imparare da sola.
Il servizio deve possedere al suo interno gli strumenti che gli consentano di decifrare l’esperienza, di vlutare
la funzionalità delle regole e di rivederle, se è necessario, fino a quando non trovi quelle modalità di
gestione che, senza sprechi di energie e di tempo,risultino produttive di soddisfazione per le persone che si
rivolgono al servizio e per quelle che ci lavorano.

CAPITOLO 2: RUOLO DELL’OPERATORE


Nelle organizzazioni il RUOLO dei componenti, riveste una grande rilevanza perché attraverso esso si vanno
ad identificare le professionalità e competenze di un soggetto, e anche il riconoscimento che l’ente da a
quel soggetto. Il ruolo però puo essere analizzato in 3 aspetti diversi, i quali sono aspetti che da un punto di
vista relazionale hanno una grande influenza nella vita delle organizzazioni.
Il ruolo possiamo analizzarlo sotto 3 punti di vista:
1. Ruolo previsto: il ruolo previsto è quello appunto previsto dall’ordinamento che regolamenta le sue
mansioni, comportamenti, tutte quella seria di norme previste, sia norme giuridiche che no, che fanno
riferimento a quel determinato ruolo. RUOLO CHE LE NORME PREVEDONO.
2. Ruolo agito: è il ruolo che la persona esercita durante le sue attività professionali; “ruolo agito” e previsto
dovrebbero essere coincidenti;
3. Le aspettative di ruolo: ognuno di noi ha delle aspettative, delle aspirazioni; il soggetto che svolge una
determinata mansione, ha delle aspettative su se stesso.
Se i 3 aspetti del ruolo, non stanno in un rapporto di coerenza tra di loro, sono grossi problemi non solo per
il soggetto ma anche per l’organizzazione perché se ho un ruolo, ma ne svolgo un altro e ho aspettative di
fare un altro ruolo ancora, io costituiscono un grosso problema per l’organizzazione. L’ordine collettivo che
governa un insieme di ruoli è il frutto della somma di logiche individuali, le quali agiscono anche senza
essere esplicitate. Talvolta non sono chiare neppure a chi agisce, si manifestano nei comportamenti, a
prescindere da una volontà preordinata, strutturando delle ricorrenze e dei modi di fare che diventano
norma per l’attore e aspettativa per l’interlocutore. Al tempo stesso però, bisogna tenere presente che le
strategie possibili (i gradi di libertà nell’interpretazione dei ruoli) non sono infinite. Vi è un limite al libero
gioco delle parti, che è inscritto nella struttura dei ruoli. La collocazione strutturale di ciascuno in qualche
misura definisce il suo potere, le informazioni e le risorse di cui dispone , il punto di vista con cui puo
guardare la realtà dalla posizione in cui si trova.
Un sistema di ruoli professionali è in equilibrio quando, da un lato ogni membro riesce a lavorare
rispettando se stesso, dall’altro quando le regole collettive, risultanti dal gioco di negoziazione interna
all’organizzazione, sono funzionali al raggiungimento degli obiettivi esterni.
2.1. Tendenze individualiste
I sistemi di lavoro che hanno molti gradi di libertà nel definire le regole al proprio interno hanno dei
vantaggi in più rispetto ai sistemi rigidi e predefiniti; favoriscono la soggettività e le strategie personali. Ma
corrono anche dei rischi. Nei servizi del territorio c’è la possibilità che gli operatori trovino un’intesa tra
loro, soddisfacente per il gruppo, ma non funzionale per rispondere ai bisogni del cittadino. L’equilibrio
all’interno di un’equipe o l’assenza di tensioni con i colleghi degli altri servizi, non è quindi un indicatore
sufficiente per valutare la qualità del sistema. Un sistema di ruoli deve essere valutato anche in base al
risultato produttivo. Inoltre, prima abbiamo detto che l’organizzazione è uno strumento che può accrescere
le qualità individuali dei singoli operatori. D’altra parte, però,se l’organizzazione è scadente la stessa
credibilità e soddisfazione dei professionisti vengono indebolite o fortemente ridimensionate. Il legame tra
successo professionale del singolo e quello di tutto il servizio è l’elemento che permette di affrontare, in
un’ottica organizzativa, la libertà di cui gode ogni operatore nell’interpretazione del proprio ruolo. Mentre il
richiamo all’etica professionale (affinchè il professionista si dia delle buone regole all’interno del proprio
margine di libertà) parte dall’idea che bisogna rimuovere l’egoismo dell’operatore, risvegliando sentimenti
di solidarietà verso le persone che si presentano al servizio, in un’ottica sistemica anche l’ambizione e
l’interesse particolare dell’operatore possono essere funzionali allo sviluppo complessivo del servizio,
purchè vengano collocati in una prospettiva strategica. Chiaramente però, nel momento in cui i
professionisti si danno delle regole sbagliate, ad es. che tendono ad una logica di libero-professionista,
questi professionisti saranno diffidenti nei confronti dei meccanismi di coordinamento quindi mineranno la
salute dell’organizzazione ma, vi saranno conseguenze negativi anche su se stessi (ad es. saranno tagliati
fuori dai necessari collegamenti con gli altri, ci si priva di molte attività che alimentano la crescita del
professionista). Un’altra idea forte, radicata nella cultura dei servizi, anche se continuamente negata
esplicitamente, attribuisce alla persona che chiede aiuto un’intrinseca debolezza, una incapacità di uscire
dallo stato di bisogno e un desiderio di dipendenza. L’operatore, in tal modo, nega le risorse di auto aiuto e
le capacità propositive dell’altro. L’autosufficienza dell’operatore nei confronti del cittadino si estende ai
suoi rapporti con i colleghi e con tutte le risorse interne ed esterne al sevizio che potrebbero potenziare la
sua iniziativa. Se l’operatore e l’utente non sono disposti allo scambio, è facile che anche il servizio
complessivamente inteso, non riesca ad aprirsi all’ambiente esterno. Se ogni sistema si comporta come un
elemento isolato è molto facile che il sistema complessivamente non riesca a raggiungere i suoi obiettivi e si
venga a determinare un blocco nel servizio.
2.2. Integrazione sistemica
L’operatore deve toccare con mano e rendersi conto nella pratica professionale che ha bisogno di interagire
con il ‘sistema servizio’, così come ha bisogno di instaurare un rapporto di reciprocità con il sotto-sistema
utente. Comprendendo questi vantaggi che comporta l’essere collaborativo, il professionista è piu
incentivato rispetto ad un semplice richiamo morale. Le regole collettive che governano un servizio
professionale devono tener conto della coerenza a 3 diversi livelli:
1) Persona e ruolo: da un lato c’è la personalità dell’operatore, il suo carattere, i valori e le aspettative che
ha interiorizzato, le competenze che possiede e quelle che vuole sviluppare in futuro, dall’altro c’è il ruolo
organizzativo che le viene affidato. Il posto di lavoro che gli viene assegnato dall’organizzazione impone dei
vincoli (produttività, fedeltà, collaborazione) ma si presenta anche come occasione per perseguire una
strategia personale. Ad es. è noto come ogni operatore tende a usare le qualità professionali che gli
riescono meglio, cerca di ottenere quelle ricompense che rispondono di piu ai suoi desideri e, seguendo
una certa linea preferenziale, riesce ad influenzare anche il lavoro degli altri. Di tutto ciò è necessario tener
conto quando si distribuiscono gli incarichi all’interno di un’equipe, per evitare delle forzature che
creerebbero disagi o espliciti rifiuti. Ad es. se si da il ruolo di interfaccia con l’esterno alla persona piu timida
del gruppo oppure, se si lascia che uno psicoanalista faccia il mestiere dell’a.s. e viceversa. In pratica, si
tratta di considerare sia le caratteristiche soggettive che l’appartenenza ad una data professione, come
risorse da tutelare e che possono crescere dentro e per il servizio quanto piu ne viene rispettata la
vocazione di fondo. Vi deve essere coerenza del sistema ovvero coerenza tra ogni singola persona e il suo
ruolo. Bisogna però tenere anche in considerazione che gli operatori, a volte, incontrano nei ruoli dei
vincoli alla loro espressività, trovandosi coinvolti in aspettative che non vogliono o non possono
confermare. Si pensi ad es. alle aspettative collegate al sesso per cui, ad es. l’anziano assistito da una donna
nei servizi domestici trova conferma nelle abitudini antiche, mentre, la donna che deve farsi lavare
dall’infermiere uomo può provare disagio. In tal caso, occorre che l’organizzazione non nasconda bensì
valorizzi le differenze di genere così da avere una massima collaborazione tra chi serve e chi è servito.
Inoltre , le equipe possono anche utilizzare positivamente l’immaginario materno e paterno che le persone
proiettano sulla figura dell’operatore. Nelle psicoterapie ad es., il sesso del terapeuta può essere scelto
anche in funzione del sesso del cliente, purchè la scelta avvenga in modo consapevole e non costringa
l’operatore entro schemi che non gli appartengono, distanti cioè, dalla percezione che lui o lei ha di se
stesso. Ogni persona, cercando la propria identità all’interno del ruolo organizzativo, compie un lavoro
originale di reinterpretazione che modifica e può far crescere anche i ruoli confinanti, a patto, però, che la
dinamica venga finalizzata al risultato per l’utente.
2) Ruolo dei singoli e servizio(sistema dei ruoli): il secondo livello di coerenza da ricercare continuamente
è tra il ruolo di ogni operatore e quello di tutti gli altri,fa quindi riferimento alla divisione del lavoro e la
strategia del servizio. Questo rapporto tra professionista e servizio è visto come minaccia da tutti coloro i
quali adottano una logica individuale, da tutti coloro che rimpiangono lo studio professionale privato e
lavorano nel servizio pubblico per scelta residuale. Costoro non vedono alcun vantaggio nella
collaborazione con i colleghi e di solito sviluppano un interesse esclusivo per un approccio clinico
specialistico. Nella realtà dei servizi è raro trovare questo modello organizzativo realizzato interamente. Più
frequentemente è perseguito solo da alcuni operatori mentre il resto del servizio si modella su una logica di
integrazione, convergendo così ad un obiettivo unitario. In un’organizzazione che adotta una logica
integrativa è necessario adattare i singoli ruoli alle propensioni personali e programmare le attività del
servizio tenendo conto delle competenze possedute dall’equipe nel suo insieme, ma, l’adattamento
dell’organizzazione agli operatori incontra un limite ovvero i bisogni dei cittadini e dell’ambiente esterno.
3)Servizio e ambiente: da un lato ci sono il sistema dei ruoli, le regole di funzionamento interne al servizio,
gli obiettivi e le ambizioni di successo; dall’altro lato c’è l’ambiente esterno, inteso sia come cittadino che
rivolge delle domande esplicite o implicite al servizio, sia come espressione di un mandato della collettività,
indispensabile a legittimare la stessa esistenza del servizio. Se un’azienda non coglie le esigenze del
mercato, il riscontro è tangibile dato dal calo delle vendite. Nel caso dei servizi pubblici, invece, gli errori di
strategia non sono puniti da perdite di denaro e perfino la disaffezione dei clienti non è subito penalizzante.
Gli effetti negati quindi si avvertono nel medio periodo. Tuttavia, anche nel campo dei servizi territoriali
esistono dei sensori che possono rivelare l’eventuale incongruenza tra offerta e domanda come il calo di
nuovi utenti, le migrazioni di utenti verso servizi in altre zone del Paese, la cattiva fama attribuita al servizio.
Quindi, anche i servizi gratuiti, che non misurano in denaro ne l’efficacia ne l’efficienza sono sensibili al
‘risultato’, per molti motivi, tra cui anche il fatto di subire una certa concorrenza da parte dei servizi
migliori. In conclusione, poiché si è visto che il sistema dei ruoli professionali si regge su tre livelli di
coerenza piuttosto precari, bisogna individuare gli elementi interni al sistema che vanno sollecitati per
bilanciare le spinte involutive. Nella dialettica tra persona e ruolo è compito dell’organizzazione incentivare
quel tipo di crescita professionale che è coerente con le richieste del ruolo. Non una crescita in qualunque
direzione, ma finalizzata alle competenze e alle responsabilità specifiche richieste in quel dato contesto.
Nella dialettica tra il ruolo affidato ad ogni operatore e la divisione complessiva dellavoro, bisogna premiare
l’autonomia e la crescita individuale, facendole convergere però, attorno ad un principio ordinatore ovvero
la strategia del servizio. Infine, l’equilibrio tra la strategia del servizio e le richieste dei clienti, che è il piu
fragile dei tre, puo essere tutelato mediante il rafforzamento dei clienti stessi. Infatti, il confronto dialettico
tra il servizio e le varie organizzazioni che rappresentano cittadini e utenti è indispensabile agli stessi
operatori, proprio ai fini di non smarrire l’orientamento del loro lavoro.

CAPITOLO 3: IL PROCESSO DI LAVORO


Affichè l’operatore posso instaurare un rapporto professionale con l’utente, deve mettere in campo: da un
lato il bisogno, il problema, la richiesta di aiuto che ha di fronte a sé, dall’altro le conoscenze , le
metodologie, le risposte di cui dispone sia personalmente sia collettivamente come membro di
un’organizzazione. Per riuscire a comprendere quanto l’organizzazione sia una risorsa nel lavoro degli
operatori e non solo un vincolo dell’autonomia professionale, bisogna fare riferimento al processo di lavoro
che il servizio svolge con gli utenti così da evidenziare i collegamenti richiesti agli operatori variamente
impegnati in quel servizio.
IL PROCESSO DI LAVORO a cui deve SEMPRE fare riferimento un a.s.: è una sequenza logico-temporale, è
una visione in senso organizzativo del processo di aiuto. Esso è un esempio di circuito di regolazione. La
sequenza può rappresentare non solo il lavoro del singolo operatore , ma quello collettivo di un’equipe o di
un servizio. Essendo una visione in senso organizzativo del processo di aiuto, il processo di lavoro avviene
nel tempo in maniera consequenziale cioè seguendo delle fasi.
LE VARIE FASI DEL PROCESSO DI LAVORO:
1. fase di ingresso: L’utente fa il suo ingresso nel servizio. Qui bisogna fare la distinzione a seconda che si
tratti di un nuovo utente o di uno già conosciuto dal servizio in tal caso il processo di lavoro è da
‘riprendere’ mentre nel caso sia nuovo ogni fase deve essere seguita. Riflettere su questa fase è utile per
capire in che misura il servizio è aperto al territorio, conosciuto e stimato (lo capiamo in base a come
l’utente è arrivato al servizio: ad es. glielo ha detto qualcuno, lo ha saputo da solo, per caso..etc..).
2. fase del contatto: come si struttura l’ascolto? C’è un accesso diretto? O un filtro come la prenotazione?
Come avviene il contatto? Questa fase è utile per misurare il grado di accessibilità del servizio quindi
dobbiamo vedere se i filtri che ci sono siano solo utili a decodificare la domanda e non a contrastare
l’accesso al servizio. Bisogna rendere facilmente accessibile il servizio, anche se non cadendo nell’eccesso
ovviamente.
3. fase di valutazione del caso: da un punto di vista organizzativo non stiamo facendo una valutazione dal
punto di vista di metodi ma solo stiamo valutando se il caso è di nostra competenza o meno. Quindi se
vogliamo che si crei il rapporto di fiducia con l’utente (che è alla base del processo d’aiuto) è ovvio che
come prima regola noi dobbiamo accogliere colui che fa una domanda pertinente al servizio in cui siamo
inseriti, in caso contrario possiamo fare un rinvio al servizio competente. Prima di passare alla fase
seguente, certi tipi di interventi dedicano molto tempo alla decodifica della domanda e alla definizione del
problema. Ci vuole tempo per osservare le reazioni dell’utente e quelle del suo ambiente, altro tempo per
consultare ulteriori esperti, altro tempo ancora per riflettere e reagire correttamente agli stimoli raccolti.
Quanto più è incerta e complessa l’interpretazione, tanto piu conviene investire attenzione e risorse
umane.
4. fase del programma: anche se concettualmente questa fase è distinta e successiva alla valutazione del
caso, spesso nella realtà procvede in sintonia con essa e quasi in parallelo. Il programma richiede
un’elaborazione per progressive approssimazioni, via via che si consolida una base di fiducia tra la persona
e il servizio o un operatore del servizio. In questa fase notiamo come viene gestito e registrato il
programma? Con quali figure professionali? Questa fase fa vedere la capacità dell’as di tener conto degli
altri professionisti. In questa fase quindi, si puo cogliere lo stile del servizio nell’uso del lavoro
interdisciplinare
5. l’intervento: qui vi sono le attività di cui si compone il programma, possono essere poche o molte,
viaggiare in parallelo o essere a loro volta vincolate a sequenze temporali; essere tutte interne al servizio o
richiedere interventi di altri operatori, agenzie o istituzioni. Si misura il grado di indipendenza del servizio
cioe se tutto quello che c’è da fare puo farlo l’organizzazione sola senza collaborazioni. Quindi si definisce il
grado di auto efficienza e di specializzazione funzionale del servizio.
6. fase di valutazione: del programma possono farla anche dei valutatori che possono essere sia esterni ad
es. mettendo il servizio in supervisione che puo essere uno psicologo che dal punto di vista organizzativo fa
del programma, che interni al servizio ad es. il dirigente. L’attività del supervisore esterno al servizio è utile
per mettere da parte frustrazioni di coloro che lavorano nel servizio e migliora anche la gestione da un
punto di vista organizzativo. La fase mette in rapporto ciò che gli operatori hanno pensato prima e cio che
pensano ora alla luce dei fatti intervenuti durante lo svolgimento delle attività programmate. Il confronto
può produrre due tipi di decisioni, quelle ordinarie e quelle straordinarie: le prime servono a mettere in
sintonia operatori diversi che cooperano allo stesso programma; le seconde, invece, servono a decidere se
il programma è congruente con i bisogni o va cambiato.
7. fase conclusione: la fine concordata dell’intervento, la dimissione della persona dal servizio, in alcuni casi
è una dimissione temporanea, in altri definitiva dal servizio. Inoltre, puo accadere che non vi sia una
soluzione definitiva, infatti, l’utente esce dal servizio per entrare in un altro. Chiaramente piu le dimissioni
sono definitive piu è efficace il servizio.
Cos’è la pec? Cercare su internet. E-mail formale che è collegata all’attività che fa. E’ indispensabile per la
trasmissione delle informazioni. Inoltre la firma digitale è indispensabile.
3.1. CABINA DI REGIA: nonostante nel processo di lavoro è l’operatore a gestire tutte le fasi, in
un’organizzazione la cabina di regia è gestita dall’utente che si presenta al servizio. Essa ce l’ha l’utente
perché è l’utente che con il suo mondo puo decidere in un senso o nell’altro. Anche se si rivolge ad un
servizio per avere un aiuto, una risoluzione, la cabina di regia sia da un punto di vista metodologico che
organizzativo ce l’ha l’utente xk quando entra in un servizio l’utente, puo anche mettere fuori strada
l’operatore, fornire la metà delle info che occorrono(in linguaggio organizzativo si dice che ha un’agenda
nascosta), portare delle info false. Quindi dato che è lui il detentore di tutte le info, se non ha fiducia
nell’operatore tutto resta in aria. Anche quando l’as è competente anche a saper leggere la domanda
inespressa, comunque le sorti di tutto sono in mano all’utente. Quindi la cabina di regia è SEMPRE in mano
all’utente. Quindi non possiamo aiutare una persona che non si aiuta. Non tutti gli utenti che chiedono
aiuto si fanno poi aiutare, puo darsi che neghino i problemi o non riescano proprio a comprenderli.
Chiaramente questo è frustante per l’operatore che sa di avere la soluzione in mano ma non riesce a
condividerla con l’utente. Inoltre, bisogna notare che nella stramaggioranza dei casi il servizio a cui si
riferisce l’utente è solo uno dei tanti elementi che chiama in causa per risolvere il suo bisogno. Ricordiamo
infatti che l’utente si rivolge anche a familiari,amici, assume colf per anziani e disabili, sceglie ciò che gli
serve e si costruisce un piano di aiuti, facendo un mix tra tutte le risorse accessibili. Quindi il servizio entra
in questo raggio di azione solo come una delle componenti. Inoltre,il servizio che voglia trasformare i
vincoli sociali in risorse per le persone deve partire dal fatto che le persone sono soggetti attivi, non oggetti
passivi di intervento. Quando il servizio si struttura per un ‘paziente’ la cui virtù è abbandonarsi totalmente
alle cure del tecnico, vuol dire che l’organizzazione sta rinunciando ad utilizzare le risorse che potrebbero
essere portate dal cittadino stesso. Quando invece, il servizio lascia aperta, anzi incoraggia la dinamica tra
operatori e assistiti, allora e solo allora le persone entrano portando richieste, problemi ma anche qualità
positive. La formazione deve addestrare gli operatori a riconoscere queste qualità. Le persone che
accedono ai servizi non presentano mai una faccia sola e le doti positive si intrecciano con aspetti
problematici, ad es. il ragazzino che non tollera la scuola, puo essere un leader acclamato dagli amici di
strada; il detenuto violento può avere un’acuta sensibilità artistica; la persona down è spesso capace di
grandi slanci affettivi. Tutte queste valenze positive devono entrare nel servizio come input preziosi per il
processo di lavoro. Le risorse di aiuto si moltiplicano se gli operatori non ragionano solo in base alla
disponibilità del servizio. Questo orientamento deve permeare tutte le fasi del processo di lavoro. Ad es. il
contatto con il servizio deve consentire alla persona di rappresentarsi e portare con sé anche la parte
positiva; la valutazione deve mettere a fuoco le doti individuali e i legami sociali e non solo malattia,
povertà, solitudine; in questo modo il programma diventa un modo per far convergere le risorse
professionali del servizio sulle risorse naturali dell’utente.

3.3. Nuovi utenti e interventi d’urgenza


Spesso nei servizi un’a.s. sbrigativamente da una serie di risposte anche in maniera autoritaria, decidendo
cosa e come si fa e imponendolo all’utente xk a volte dare una risposta immediata(burocratica) all’utente è
un modo per ‘toglierselo’ davanti. In tal modo oltre a fare danno all’utente facciamo danno anche all’ente
che deve fare i conti con l’economicità della prestazione che offriamo (nn ha senso dare una risp e mandare
via l’utente perchè tanto questo ritornerà alla carica nei giorni dopo). Tutto è circolare all’interno
dell’organizzazione quindi tutto cio che facciamo ci ‘ritorna’.
Nel processo di lavoro quando fa ingresso:
- nuovo utente, le prime fasi si dilatano xk abbiamo bisogno di parlare, capire (richiesta propria o impropria
rispetto al nostro servizio), riflettere strategie da intraprendere e trattamento
- un utente già conosciuto, gli operatori possono contrarre le prime due fasi (anche se non possono saltarle
del tutto) e le fasi 3 e 4 consistono nell’aggiornamento di una valutazione e di un programma già formulati.
Il cambiamento di rotta è dovuto ad eventi eccezionali non di routin.
Un’ulteriore precisazione va fatta per gli interventi di urgenza. Se un nuovo utente pone un problema che
deve essere affrontate urgentemente, come si codificano le nuove fasi del lavoro? Si saltano? Non c’è una
risposta sicura e sempre utile. Si potrebbe ad es., sempre in base al caso e all’urgenza, passare dall’ingresso
(nell’es. portato dalla prof per interposta persona dato che era stata la psicologa a presentarle il caso)
direttamente alla valutazione del caso, dando una prima risposta immediata al problema urgente
abbreviando dunque al massimo le fasi preliminari. E dopo di che si riprende da capo tutto il processo di
lavoro cosi da dar luogo ad una programmazione piu mediata dell’intervento successivo.
(Bisogna sempre fare la distinzione tra l’urgenza di chi pone il probblema e lo affronta ad es. Urgenza
emotiva di chi ha sentito il caso e non riesce a tenersi per se’ il carico e quindi chiede al collega ponendo il
problema con urgenza vs urgenza strutturale del problema. E’ quest’ultima che dobbiamo tenere in
considerazione).
3.3. Una lettura più approfondita
Per un impiego equilibrato delle forze annesse nel sistema bisogna disporre di un’analisi economica del
processo di lavoro. In sede formativa, la descrizione del processo puo essere utilizzata in 4 modi:
1. In primo luogo, permette di stabilire un confronto di merito sugli stili di lavoro tra servizi diversi, purchè
appartengano alla stessa area di intervento
2. in secondo luogo, permette un dialogo tra professionisti che operano nello stesso servizio sul modo in cui
è diviso il lavoro e sull’idea che ciascuno ha maturato dentro di sé relativamente a come dovrebbe essere
organizzato
3. consente di evidenziare i circuiti di regolazione necessari per rendere fluido il processo, per favorire la
cooperazione e per disegnare un sistema di valutazione
4. infine, lo schema permetti di individuare i ‘centri di responsabilità’ che agiscono sui costi del servizio,
sull’impiego delle risorse e, dunque, sulla sua efficienza.
Questa pratica descrittiva (il seguire le diverse fasi) tende a ridurre la complessità del lavoro sociale.
Nonostante ciò presenta anche dei limiti, gli operatori non sempre accolgono con entusiasmo l’idea stessa
di descrivere quello che fanno nel servizio. Si tratta pertanto, di capire, volta per volta, in che misura gli
intoppi sorgono dalla difficoltà oggettiva di descrivere tutto, con il conseguente timore di appiattire la
realtà, oppure da resistenze ben diverse, che hanno a che fare con l’indisponibilità degli operatori a
mettersi in discussione.
Vediamo adesso due situazioni formative diverse:
CONFRONTO TRA SERVIZI: immaginiamo un gruppo di operatori provenienti da servizi diversi che lavorano
nello stesso campo d’intervento, ad es., operatori di comunità educative di diversa provenienza territoriale.
Proponiamo loro di mettere a confronto metodologie, l’impostazione e gli stili professionali adottati nelle
rispettive comunità, utilizzando lo schema del processo di lavoro. Essi dovranno indicare non solo quali
attività vengono svolte nelle varie comunità, ma quali operatori le fanno, quanto tempo viene dedicato a
ciascuna, con che criteri si procede nella formulazione dei programmi, quando e come viene valutato lo
sviluppo dei bambini, con che criteri accedono alla comunità e tornano in famiglia. Tutti gli elementi messi
assieme daranno la possibilità agli operatori coinvolti nell’esperienza di conoscersi sulla base di
un’immagine più concreta e dettagliata, rispetto a quella che si usa di solito e che tende a comunicare
piuttosto gli obiettivi che ogni comunità si prefigge, il suo orientamento ideale e il progetto.
CONFRONTO TRA OPERATORI: si incontrano maggiori difficoltà quando l’attività descrittiva che mette in
luce il processo di lavoro viene proposta agli operatori che fanno parte di un’unica èquipe. In tal caso si
tocca un argomento molto delicato ovvero la divisione del lavoro soprattutto nel caso in cui si tratti di
professionisti che si ritengono autonomi nel proprio ambito e talvolta perfino sovrani nel territorio di
pertinenza. Tutto ciò si manifesta in varie forme di resistenza nei confronti della riflessione collettiva e di un
apprendimento basato sullo scambio tra soggetti alla pari. Nella divisione del lavoro gli equilibri non sono
mai del tutto stabili e basta riaprire il confronto perche si rimettano in gioco assetti acquisiti, infatti,
ciascuno pensa di lavorare di piu o di assumere maggiori responsabilità degli altri, di lavorare in una
posizione più a rischio. Scopriamo, così, un bisogno di riconoscimento del proprio posto nella
organizzazione che, prima ancora di essere tradotto in valore monetario e contrattuale, ha una forte
valenza emotiva e si esprime in un dialogo personalizzato con i colleghi e con il responsabile del servizio.
Ciò è dovuto al fatto che ogni operatore elabora, insieme all’idea del proprio ruolo, altrettante idee sul
ruolo degli altri e su quello che dovrebbero fare o non fare. La divisione del lavoro pensata e interiorizzata
da ognuno prende la forma di una sceneggiatura ipotetica, da cui il comportamento reale degli attori in
campo spesso si discosta in modo consistente. Quando questo argomento viene trattato in sede formativa,
gli operatori si accorgono che ciascuno ‘sta vedendo un film diverso’. E’ un passaggio disorientante e
deludente, soprattutto se ciascuno, nel confronto con i colleghi, si accorge di svolgere compiti che gli altri
non vedono o non apprezzano nella giusta misura.

3.6 Diagnosi del servizio


Dunque, la fatica di un dialogo ‘spinoso’ trova ricompensa in vantaggi apprezzabili, infatti, quando si fa
l’elenco delle attività svolte da ogni operatore e dal servizio nel suo insieme, si possono fare delle scoperte
che di solito vanno a vantaggio delle professioni meno pregiate. Se l’elenco è accurato,si scopre che ci osno
molte attività apparentemente minori senza le quali però, il servizio non potrebbe funzionare. In tal modo
operatori che si sentono dequalificati, si sentiranno rimotivati ad investire sulla organizzazione collettiva.
Inoltre, si tratta di un dialogo ‘faticoso’ perche oltre alle possibili resistenze dovute alla paura di rimettere in
gioco il sistema dei ruoli, puo accadere che alcuni operatori siano ‘gelosi dei propri segreti del mestiere’
come i metodi di lavoro, gli strumenti che si sono costruiti da soli. Si tratta di gelosia professionale che fa
vivere come invasione pericolosa la richiesta di esplicitare i metodi utilizzati nel lavoro. E’dall’insieme di
queste reazioni che viene minata l’efficacia dell’organizzazione, si manifesta cosi il problema di mantenere
un buon livello di coordinamento su alcune attività che esigono un lavoro interprofessionale e il problema
della valutazione. Nonostante però i rischi e le resistenze che incontra, l’esperienza sta mostrando come
l’analisi del processo di lavoro offra dei benefici in quanto permette agli operatori di abbandonare le loro
difese in cambio di maggiore efficacia e benessere all’interno del servizio. E’ stato osservato come il lavoro
privato, e quindi non in sinergia con gli altri operatori della medesima organizzazione, può funzionare in
organizzazioni molto semplice che selezionano la clientela in base alla metodologia posseduta dal singolo
professionista. Nel resto delle altre organizzazioni che sono complesse, quindi i bisogni sono piu ampi e
richiedono l’accesso ad una pluralità di risorse, è necessario l’intreccio tra molti soggetti. Per affrontare
problemi complessi ci vuole un’organizzazione articolata, che differenzia i saperi, le funzioni e i ruoli. La
divisione del lavoro nasce, dunque, da un’esigenza tecnica, che l’analisi del processo di lavoro permette di
riconoscere chiaramente, nella misura in cui riassume tutte le attività svoltaper le persone e richieste dalla
complessità delle loro esigenze.
3.7 Metodologie e processi diversi
Il risultato del processo di lavoro sarà tanto più soddisfacente quanto piu il processo si modella rispettando
ed adeguandosi alle tecnologie e alle risorse umane e materiali specifiche presenti in quel dato servizio.
I settori d’intervento sono diversi, alcuni hanno metodologie consolidate altre hanno un elevato grado di
incertezza. Il processo di lavoro dovrà tenere conto di queste differenze, infatti, ogni settore di intervento
presenta delle variazioni specifiche rispetto allo schema che indica le fasi del processo di lavoro. Ad es. in
alcuni settori un momento particolarmente critico è quando bisogna far emergere i bisogni profondi, e a
volte, contraddittori della persona e dei suoi familiari. E’ il caso della salute mentale in cui, prima di
prendere delle decisioni e di impostare un programma a lungo termine , è necessario dedicare un certo
tempo alla conoscenza reciproca. L’èquipe deve poter reagire alla carica emotiva e distruttiva che proviene
dalla richiesta di aiuto di uno schizofrenico e , al tempo stesso, chi manifesta questo bisogno deve potere
cogliere nei messaggi espressi dall’èquipe gli elementi di sintonia che gli permettono di affidarsi. Questo
tipo di servizio, se non vuole rischiare di lavorare a vuoto, dovrà strutturare il processo di lavoro dedicando
competenze, tempo e riflessione alla fase 3 ovvero quella della valutazione del caso. Invece, un centro di
accoglienza per bamnini e in generale un servizio ‘a bassa soglia’non devono investire molto nella fase
interpretativa, quanto piuttosto allargare il ventaglio delle opzioni da offrire (c’è chi vuole solo dormire, chi
solo lavarsi e tornare in strada, chi mangiare, chi parlare).
Queste differenze tra i vari settori di intervento mostrano come la tecnologia di ciascun settore ( per
tecnologia si intendono i metodi e gli approcci professionali) impone dei vincoli al processo di lavoro e al
modo in cui vengono articolare le varie fasi. Altri vincoli sono dati dal numero delle risorse: ad es., un
servizio che in organico solo 3 operatori dovrà pensarci bene prima di riservarne uno a specializzarsi in
un’attività accessoria. Anche questo è un vincolo di cui non si puo non tener conto nella divisione del lavoro
tra operatori. Così anche la qualità professionale, le competenze, la specializzazione realmente posseduta
dagli operatori sono altrettanti principi di realtà a cui bisogna ragionevolmente adeguarsi.
In sintesi, l’organizzazione del lavoro dei servizi territoriali si regge su una struttura di base, che abbiamo
individuato in un processo di lavoro simile per tutti. Tale struttura presenta, però, variazioni nei contenuti
delle attività e nelle fasi critiche che richiedono piu risorse, piu tempo e piu competenze. Descrivere
l’organizzazione di un servizio partendo dal processo di lavoro permette, agli operatori di quel servizio, di
riconoscere i punti deboli e i punti di forza del sistema in cui operano e di migliorarlo. Questo esame, se da
un lato può sollevare conflitti e fantasie di controllo, dall’altro impegna il conflitto tra operatori su una base
tecnica, che fa realisticamente i conti con i vincoli, oggettivi del settore d’intervento in cui operano (le
metodologie)e con i vincoli specifici del servizio a cui appartengono (le risorse date).
CAPITOLO 4: LA DIVISIONE DEL LAVORO
Vale per tutti il principio di un’equa distribuzione dei carichi di lavoro,se si vuole garantire un buon clima di
collaborazione all’interno di un’èquipe.
DIVISIONE DEL LAVOORO IN AMBITO ORGANIZZATIVO ha una grande impo perche sopratt nei servizi alle
persone la divisione e l’equità nei carichi di lavoro influenza l’efficacia della risposta che si da all’utente. Di
regola questa divisione in maniera equa avviene. Vi sono delle discrepanze quando volontaristicamente un
professionista si carica di lavoro piu degli altri, xk è disponibile o xk vuole fare bella impressione con il capo
o x tanti altri motivi. Tutto questo pero deve avere un razionale e deve essere riportato ad un giusto
equilibrio xk il carico di lavoro nei servizi alle persone oltre ad essere pesante a livello temporale (X lavora
piu tempo di Y) ha un grande peso anche dal punto di vista emotivo.
Assertività si trova al centro di un segmento in cui si ha da un lato l’aggressività e dall’altro la passività.
Quindi essere assertivi significa avere un equilibrio. L’a.s. deve riuscire ad acquisire questa capacità. Come?
Attraverso lo studio perché una persona che non ha basi teoriche utili al suo operato oscilla tra aggressività
e passività. Un professionista che ha delle basi solide riesce col tempo ad essere assertivo, equilibrato senza
necessità di essere aggressivo o passivo.
4.2. Potere sociale delle professioni
Oltre a mantenere un’equa divisione del lavoro invitando i professionisti ‘al buon senso’, il professionista
del sociale,nel concreto, tende a scegliersi una porzione del lavoro seguendo una logica personale ben
precisa:
- Utilizza le competenze già acquisite che ritiene di poter spendere nel suo lavoro
- Potenzia queste competenze
- Svolge quelle attività che aumentano il prestigio presso l’ambiento esterno e la comunità professionale di
riferimento
- Assolve i compiti che rispondono ad una immagine di sé e ad una deontologia professionale interiorizzata
- Infine, ma solo come elemento difensivo, si attiene al mansionario e alle norme previste dal proprio
contratto di lavoro
La strategia di sviluppo professionale che ogni operatore persegue dipende da un mix di fattori tra cui
anche la propria personalità. Infatti, ogni professionista detiene un certo potere di decisione sul proprio
lavoro, dunque, si sviluppa all’’interno delle èquipe un gioco dei ruoli, in cui ognuno contratta con tutti gli
altri la divisione del lavoro collettivo. (negoziato che avviene in maniera informale per cui si lavora e si
investe di piu sulle attività desiderate mentre si trascurano quelle indesiderate). La divisione del lavoro non
avviene in base allo status, tipo di laurea dei professionisti ma, ‘chi ha più potere lo fa valere sugli altri nel
decidere chi fa che cosa’. Dunque l’autovalorizzazione rischia di premiare i più forti.
4.3. Le abilità
Oltre alle differenze relative alle strategie di sviluppo professionale adottate dai diversi operatori, vi sono
altre differenze tra gli stessi, legate ad es. alle capacità, credibilità , esperienza. Si tratta di fattori che
vengono presi in considerazione nella divisione del lavoro infatti, sovraccaricare di responsabilità ad es.
all’interno di un’èquipe un operatore inesperto avrebbe esiti totalmente negativi perché oltre a mettere in
crisi l’operatore inesperto, non sarebbe riconosciute le qualità, d’altro canto, dei piu bravi. E’ necessaria
dunque una sorta di meritocrazia. Per riconoscere le diverse capacità degi operatori cosi da realizzare
un’equa divisione del lavoro tra gli operatori è semplice nel caso in cui si tratti di un’organizzazione in cui
tutti gli operatori si conoscono. Nel caso, invece, in cui il servizio è molto ampio e non tutti si conoscono per
esperienza professionale diretta, il riconoscimento delle qualità è affidato alle figure di coordinamento.
Esse decidono come redistribuire carichi e responsabilità seguendo dei criteri generali di valutazione della
professionalità, criteri che siano riconosciuti e condivisi da tutti. La comprensione e la condivisione di tali
criteri è di fondamentale importanza così da evitare invidie e competizioni tra gli operatori. Il
coordinamento è auspicabile che avvenga da un gestore, una persona al di sopra delle parti che si incarica
dell’equilibrio complessivo.
4.4. Specializzazione
L’operatore sociale ha almeno due aspirazioni contrapposte: da un lato vorrebbe seguire dall’inizio alla fine
un progetto, cioè cominciare e concludere con lo stesso utente tutto il ciclo degli interventi a lui diretti e,
conoscerne gli esiti anche dopo la conclusione; oppure dedicarsi interamente ad un unico tema
(specializzazione) per tutta la vita , anche se riguarda un aspetto limitato dell’intervento sociale. Si tratta di
2 aspirazioni opposte che devono però tendere ad un equilibrio. Nel caso in cui, all’interno
dell’organizzazione, vi sia una suddivisione del lavoro troppo spinta, uno stesso cittadino sarà seguito da
diversi professionisti in base alle tipologie di intervento (ad es. assistenza al domicilio svolta ogni giorno da
un operatore diverse oppure se ad es. vi è una divisione dei compiti molto spinta per cui uno si occupa della
cura della casa, un altro ancora della pulizia della persona e un terzo delle attività motorie)  tutto ciò
provocherebbe un disagio per l’assistito ma anche per gli operatori che non potrebbero,in tal modo, dare
un senso pieno alle varie attività svolte. Oltre ai veri e propri disagi che si creerebbero, si produrrebbe
anche noia nell’operatore che dovrebbe svolgere solo un determinato compito, quasi come se fosse un
burocrate deresponsabilizzato. Alla nascita dei servizi territoriali, per distaccarsi il più possibile dal modello
ospedaliero, si incentivò l’idea del ruolo unico dell’operatore, allargando cosi i margini delle varie
specializzazioni. Tuttavia, questa aspirazione risultò ben presto insostenibile, infatti, un’eccessiva
sovrapposizione dei ruoli produceva un effetto confusivo in quanto i tempi di apprendimento si allungavano
di moltissimo e di fronte all’assunzione di responsabilità spesso il collettivo non era capace di agire in modo
risoluto e tempestivo. Ci si sarebbe avviati verso un blocco funzionale se non fosse intervenuta una
controtendenza tesa a rivalutare i vantaggi di una equilibrata divisione del lavoro e di una chiara
attribuzione delle responsabilità, compresa quella di gestire e di decidere. DUNQUE, nessun organismo puo
aprirsi all’ambiente esterno e reggere la varietà delle sue richieste, senza contemporaneamente crescere in
differenziazione interna e dotarsi di una adeguata specializzazione dei ruoli. Che a sua volta provocherà un
intenso bisogno di coordinamento. Questa funzione, tuttavia, puo essere, in parte distribuita su tutti gli
operatori, in parte affidate a figure specializzate nella gestione.
4.5. Ruoli di gestione
Esistono diverse soluzioni del problema della specializzazione e del coordinamento, agli estremi abbiamo:
da una parte il modello che prevede dei ruoli che abbiano alcune attività in comune e durante le quali
avviene la comunicazione tra gli operatori, altre attività che i singoli svolgono senza la presenza degli altri 
lavorando insieme nelle stesse attività gli operatori sviluppano un certo grado di integrazione spontanea e il
coordinamento è portato avanti da tutti; dall’altra parte abbiamo un modello in cui i ruoli non hanno
attività in comune, ciascuno ha un ambito operativo ben delimitato e a se stante e, la comunicazione
avviene mediante una figura di collegamento essendo che non c’è alcuna attività in comune, quindi ‘ogni
operatore è chiuso nella sua stanza a svolgere il proprio ruolo’ vi è la figura del gestore che ha il compito
unico e specifico di mettere in relazione ciò che viene fatto dagli altri. Potremmo dire, in generale che: il
primo modello (integrazione) è piu consono a un servizio che deve continuamente adattarsi all’esterno
(sistema aperto all’ambiente) e produrre nuove conoscenze mediante l’apporto sperimentale di varie
professionalità,mentre, il secondo modello è adatto ad attività semplici, che non richiedono ricerca e
confronto con altre posizioni professionali.
Si tratta ovviamente di due configurazioni estreme, ma, partendo da esse gli operatori possono analizzare la
realtà in cui lavorano, che in genere presenta situazioni intermedie e miste. Per gli operatori è utile avere
dei momenti in cui lavorano da soli senza sovrapposizioni con altri, per mettere in gioco le proprie
competenze specifiche; e sono altrettanto utili momenti di lavoro in comune se, interagendo con l’utente,
riescono a sviluppare delle intuizioni nuove e a far nascere approcci integrati. Ma la compresenza di piu
operatori puo anche rappresentare uno spreco, se non aggiunge valore all’intervento.
Dunque, è vero che non c’è una regola astratta buona per tutte le situazioni, ma bisogna ricavarla
dall’esame della realtà. Nonostante ciò è chiaro che non si può fare a meno del ruolo del gestore che in un
servizio semplice e con poco personale, dedicherà una parte del lavoro, come gli altri, all’utenza e una parte
al coordinamento. Mentre, in un servizio complesso e con tante unità di lavoro differenziate, non basterà
un solo gestore, infatti, si dovrà prendere un responsabile generale e tanti coordinatori intermedi per
ripartire anche i compiti di gestione. Nel distribuire il lavoro, il gestore avrà il compito di tutelare le regole
condivise e impedire che le insopprimibili diseguaglianze tra operatori diano luogo ad ingiustizie, sprechi e
inefficienze:
- Nel carico di lavoro e di responsabilità: si tratta di evitare che alcuni abbiano un sovraccarico di fatica e
responsabilità sproporzionato rispetto agli altri, anche se lo scelgono e si propongono volontariamente
- Rispetto alle differenze di status sociale: si tratta di facilitare il compito delle figure professionali piu deboli
- Nella differenziazione dei ruoli, vanno evitate sia le genericità che la specializzazione spinta, includendo in
ogni ruolo tutte le attività necessarie per cogliere il significato del rapporto con l’utente
- Le differenze di capacità e i meriti vanno esplicitati e assunti come criterio nella attribuzioni dei compiti piu
difficili
- Quanto all’interscambiabilità degli operatori, bisogna evitare che, da un lato la sovrapposizione continua,
dall’altro l’assenza di comunicazione, impediscano la crescita personale

Se si stabilisce una buona divisione del lavoro, anche il problema del coordinamento diventa più facile da
risolvere; o almeno piu economico, perché si evita di affidare alle riunioni il compito di prendere delle
decisioni che, invece, possono e devono prendersi i singoli. Le riunioni diventano piu interessanti se sono
dedicate a scoprire o a costruire qualcosa che ciascuno, da solo, non puo darsi e richiede una effettiva
collaborazione.

CAPITOLO 5 : GESTIONE DELLE INCERTEZZE (vedremo quanti sono i punti di collegamento all’interno di un
servizio che offrono spunti stimolanti al dialogo tra operatori)

Per quanto riguarda il processo di lavoro, esso presenta diversi ELEMENTI CRITICI (ovvero gli
elementi di incertezza che il singolo operatore non può controllare interamente da solo e che
invece può governare se è l’intero servizio che se ne fa carico), in quanto essendo un processo che
avviene per fasi, durante queste possono insorgere cambiamenti, problemi e modificazioni. Quindi
il modo e lo strumento per risolvere questi ‘punti critici’ è l’organizzazione collettiva del lavoro. Gli
ELEMENTI DI INCERTEZZA, possono essere gestiti anche dal solo operatore PERO’, in tal caso
sarebbe qualcosa di traballante perché non abbiamo Un processo di lavoro governabile.
L’operatore cosi, inoltre, correrebbe tanti rischi, da solo.

Inoltre, molto importante è la valutazione di quello che facciamo durante il processo di lavoro,
cosi da poter rilevare i processi critici.
( nell’esempio del caso raccontato dalla prof, I punti critici del processo di lavoro sono stati lasciati
alla gestione della prof . E quindi si tratta in quel caso di un processo di lavoro instabile, perché è il
risultato di un’azione della professoressa; e quindi, assieme alla difficoltà insita al caso, deve anche
gestire la frustrazione che tutto il processo di lavoro è alle sue spalle. Se invece tutto ciò fosse
stato governato dal SERVIZIO ( e non dall’operatore) tutto sarebbe stato piu stabile). Il caso della
prof è una Esemplificazione di come si lavora adesso nelle organizzazioni: si lavora quasi da libero
professionista, slegati gli uni dagli altri ( fa riferimento al rapporto quasi “informale” con la
psicologa, in quanto non sono relazioni di sistema.)
Come si fa a presidiare i punti critici:
* Specificare le attività dirette
* Eliminare le duplicazioni e le sovrastrutture burocratiche
*Cogliere le funzioni indispensabili
Nei servizi terriotirali ciò che entra nell’organizzazione come materia prima, vitale e indispensabile,
ciò che chiede controllo e ricambio è riconducibile a 3 elementi di base:
1. Utenti/clienti
2. Il sapere professionale degli operatori
3. Risposte/risorse presenti all’interno dell’ente per soddisfare le domande
Come queste materie prime vanno ad incidere all’interno delle organizzazioni?
Dal punto di vista organizzativo, questi 3 elementi entrano nel sistema come input e permettono
al processo di lavoro di dar luogo ad una trasformazione e di produrre un risultato (output).
Senza i clienti, un servizio si riduce ad un ente inutile, funzionale solo alla propria conservazione.
Se manca il sapere professionale, l’incontro tra bisogni e risposte è affidato al caso e il servizio
rischia di essere inefficace. Se, come avviene più spesso,ci sono i clienti e gli operatori competenti,
ma mancano le risposte sociali adeguate ai bisogni, il servizio è ugualmente inefficace e, per
giunta, produce grande sfiducia nella gente e depressione negli operatori. Quindi dalla
combinazione di tutte e tre queste variabili dipendono la qualità del servizio e il benessere degli
operatori dato che assicura un buon livello di qualità al servizio.

COME SI MANIFESTANO LE INCERTEZZE ATTORNO AI TRE ELEMENTI BASE (MATERIA PRIMA


DELLE ORGANIZZAZIONI)?

5.1. (RISPETTO AGLI UTENTI)


Qualunque servizio ha bisogno di un certo numero di clienti. Il numero non puo essere fissato
seguendo un modello teorico e neppure in base a una media nazionale perché dipende dalla
natura del servizio, dalle risorse di cui dispone e dall’equilibrio che ha raggiunto nel territorio. (ci
sono servizi che hanno troppi clienti es. prima accoglienza per immigrati vs altri che hanno troppi
pochi utenti es. donne e bambini vittime di violenza in famiglia che nn denunciano). Inoltre, il
problema dei clienti non è solo nel numero. Per il servizio è altrettanto importante ricevere le
persone ‘giuste’, i clienti che corrispondono al suo progetto di lavoro ed evitare quelli impropri,
che il servizio non è abilitato ad accogliere e seguire. Per certi versi tutti i servizi territoriali sono
continuamente alla ricerca della propria vocazione: pertanto, devono ridefinire i confini rispetto
agli altri servizi e presidiare l’accesso al proprio interno. Quindi , le incertezze rispetto al primo
elemento base delle organizzazioni ovvero gli utenti sono le INCERTEZZE STRATEGICHE.
L’incertezza strategica si esprime nella mente degli operatori, con alcune domande molto semplici
che investono la missione stessa del servizi: se gli utenti che accedono al nostro servizio sono gli
utenti che noi dobbiamo servire; se gli utenti che stiamo trattando sono rappresentativi del
territorio e degli interventi che noi facciamo; se abbiamo nella nostra fascia di intervento bisogni
che ci sfuggono; o se stiamo accogliendo degli utenti che sono impropri; se altri servizi si dedicano
in modo improprio ad utenti di nostra competenza?
Si tratta di domande di primaria importanza per consentire quello che in gergo organizzativo viene
definito  POSIZIONAMENTO STRATEGICO
Le incertezze costituiscono il fondamento di alcuni nodi critici del processo di lavoro, perché
questo è il risultato anche del numero di utenti che si rivolgono a noi, del numero di risorse che
noi possiamo destinare ai nostri utenti.
QUALI SONO GLI ELEMENTI CHE RIDUCONO LE INCERTEZZE STRATEGICHE? Cosi da aver un equilibrato
rapporto tra utente e territorio.
- segretariato sociale è utile x ridurle. Esso costituisce anche un filtro x accogliere xk discrimina tutte le
richieste cosi da accogliere, le domande che hanno carattere proprio ed elimina quelle di carattere
improprio che vengono riinviate al servizio competente. Si ha quindi una prima valutazione di massima sullo
stato di bisogno e sul tipo di richiesta esplicitata dal soggetto. Nei servizi territoriali questa funzione
dovrebbe essere attivata dal medico di base, dal servizio sociale di base, dal distretto socio-sanitario. Molte
ricerche, tuttavia, mostrano che raramente queste sedi hanno una conoscenza completa e aggiornata dei
servizi esistenti nel territorio, anche perché, la rete dei servizi si modifica continuamente. Per questo, se il
segretariato scoiale viene svolto fuori dal servizio, c’è il rischio che sia debole, disinformato. Bisogna
sottolineare che il segreto sociale non è un banale e generico front office ma ha carattere professionale xk
le risposte che vengono date hanno contenuti precisi e non puo dare la stessa professione un non
professionista, è necessario un professionista che abbia info e competenze da offrire. Il segretariato puo
essere con invio o senza invio in base a che interceda l’a.s. per il soggetto o no. Chiaramente il secondo è
meno efficace (es. si danno i documenti al barbone e gli si chiede di presentarsi alla Caritas l’indomani. E’
più difficile chelo farò. Sarebbe meglio chiamare noi la caritas).
I tempi\le scadenze che l’a.s. da all’utente sono molto importanti xk incentivano l’utente a non venir meno
ai propri impegni.
- Marketing del servizio: Il marketing è rispetto all’incertezza strategica quell’insieme di strategie volte a
risolvere l’incertezza strategica. L’attività di segretariato sociale per alcuni servizi è risultata insufficiente
perché è onerosa dal punto di vista del tempo e del lavoro quando al servizio si presentano troppi clienti
impropri: bisogna dunque orientarli prima che arrivino al servizio. Di qui la necessità di attivare una
funzione di marketing all’esterno del servizio per far conoscere alla popolazione, ai centri d’informazione e
agli operatori degli altri servizi qual è il contenuto reale dell’offerta del proprio servizio.  un es. di ciò lo
ritroviamo in alcuni servizi di salute mentale che cercano di evitare pazienti privi di una sindrome
psichiatrica perché non vogliono estendere il proprio intervento quando il problema puo essere trattato da
altre agenzie sociali, o molto piu semplicemente, dal medico di base. A tal fine sono stati organizzati dei
servizi che offrono una formazione e un’informazione diffusa presso i medici di base, gli insegnanti , gli
educatori, gli ospedali ed altri operatori perché siano in grado di riconoscere e fronteggiare
autonomamente alcuni problemi che non richiedono intervento psichiatrico. Contemporaneamente,
possiamo includere nel marketing anche le attività che servono a incoraggiare l’uso del servizio da parte di
persone che rimarrebbero altrimenti nell’ombra. Un esempio ne sono i clienti del Sert. Per rispondere a
questo problema sono nati gli operatori di strada, specializzati nell’incontro con ragazzi marginali che al
servizio non ci andrebbero mai.
QUINDI il controllo delle incertezze che riguardano i clienti puo essere svolto in 4 modi:
- Con un servizio di filtro esterno al servizio stesso (rete di sportelli)
- Con un filtro interno (attività di accoglienza e orientamento)
- Con il marketing rivolto agli informatori (screening precoce) e quello rivolto ai cittadini (operatori di strada)

Ciascuna di queste funzioni può essere organizzata in grande, con strumenti, sedi, operatori a ciò
preposti, o in piccolo,come un’attività prevista all’interno del lavoro d’èquipe. La scelta dipende
dalla dimensione del servizio e dalla dimensione del problema (marginale o cruciale).
5.2 SAPERE PROFESSIONALE :
Il servizio ha bisogno di operatori che abbiano una professionalità coerente con l’approccio
metodologico adottato e che siano preparati. Se il servizio non è chiuso e statico, ma si adegua alle
nuove domande, deve sviluppare, di conseguenza, nuove competenze. E’ il caso, ad es., di un
centro per immigrati che dopo un certo periodo di rodaggio si accorge di quanto sia importante
fornire consulenza legale ai propri clienti per avviare un rapporto di aiuto più impegnativo: se
prima, per questo servizio, li inviava ai patronati sindacali, ora dovrà predisporre tutte le
competenze necessarie per offrirlo al proprio interno. Quindi potrà: chiedere ad un operatore di
allargare le sue competenze verso un nuovo campo; oppure sceglierà di stipulare un contratto di
consulenza con un professionista già formato. In entrambi i casi dovrà essere modificata la
composizione professionale dell’èquipe. Il problema delle conoscenze , tuttavia, non si limita a
questo, infatti, oltre ad aggiungere dei contenuti imprevisti, bisogna tener presente che tutto il
patrimonio conoscitivo degli operatori è sottoposto ad una revisione costante di qualità e
adeguatezza. L’INCERTEZZA che si manifesta rispetto al sapere professionale è METODOLOGICA.
Essa si presenta nella mente degli operatori con domande di questo tipo: Le metodologie usate
sono quelle adatte alla tipologia di utenti? La stiamo adoperando in maniera corretta? E’
opportuno allargare il repertorio delle metodologie? Come integrare i diversi approcci utilizzati per
ottenere risultati migliori ?
Vi sono servizi che svolgono attività abbastanza semplici e ben collaudate dalla tradizione e altri
che, all’opposto, stanno cercando il loro metodo d’intervento in modo sperimentale, lavorando
cioè sul campo. Tra questi due estremi vi sono molte situazioni intermedie, ma, in linea di
tendenza,nessun servizio puo fare a meno di interrogarsi sul metodo. Questi problemi sono insiti
nell’impostazione di fondo dell’intervento territoriale, che non si accontenta di prescrivere una
ricetta o applicare una tecnica posseduta dallo specialisti, bensì cerca di attivare tutte quelle
facoltà sane insite nella persona e nel suo ambiente vitale che smuovano una situazione bloccata e
riattivino un processo positivo. Il metodo è anche il collante che mette insieme professioni diverse
infatti, l’ipotesi è che ogni professione sappia agire su un aspetto dell’utente e del suo ambiente di
vita e che ciascuna sappia rimandare all’altra delle indicazioni per accrescere le sue competenze di
base. I servizi territoriali quindi oltre ad essere un luogo in cui si manifestano le incertezze
metodologiche sono anche una sede dove si produce sapere professionale. Il patrimonio
conoscitivo degli operatori non è dato una volta per tutte, questo input va incrementato, valutato,
trasformato e memorizzato senza sosta. Se i meccanismi di riproduzione del sapere si bloccano,
anche il servizio ben presto si impoverisce. E’ quindi necessaria una costante revisione della
qualità ed adeguatezza della preparazione degli operatori.
PER RIDURRE L’INCERTEZZA METODOLOGICA IMPORTANTI SONO:
- la memoria: La memoria è fondamentale xk consente di non personalizzare il lavoro, nn siamo liberi
professionisti all’interno di un ente quindi attraverso la memoria depositiamo la cultura in una forma
accessibile anche a chi non ha contribuito a produrla. Le info che abbiamo sono pertinenti al servizio quindi
se oggi nn sono andata in ufficio, se ho documentato le mie attività con un diario cronologico o una buona
relazione, nonostante la mia assenza chiunque dei miei colleghi potrà dare una risposta all’utente. Cosi il
sevizio ha una MEMORIA COLLETTIVA. (chiaramente nn si deve mai giudicare sull’operato del collega
assente, 1 xk non siamo nessuno per dare un giudizio sull’operato altrui 2 perché cosi non tuteleremmo
prima di tutto l’ente poi il collega).
la valutazione e ricerca: non si può valutare il nostro operato in base al feedback che ci da l’utente perché
feedback significa gradimento è l’utente potrebbe gradire il nostro aiuto xk si sente confortato ma
realmente noi non stiamo facendo nulla. N.B. : Il bisogno dell’utente puo essere ben diverso da cio che è
realmente opportuno fare per l’utente. Per verificare se nella relazione ci sono contenuti personali dell’a.s.
si potrebbe ad es. chiedere ad un nostro collega di leggere la relazione da noi scritta. Questo è un metodo
che può aiutarci a fare una valutazione. La valutazione dovrebbe spingere a stimolare la ricerca perché si
apprende da ciò che abbiamo scoperto.
- formazione e supervisione: la formazione dovrebbe essere un’attitudine a 360 gradi. Formazione non
significa solo farsi tutti i convegni organizzati dall’ordine o da altri organismi. Formazione significa anche
cultura generale. La supervisione è efficace se prima di richiederla abbiamo ben chiaro a quali obiettivi
vogliamo arrivare. La supervisione è auspicabile che venga fatta da uno psicologo o anche un a.s. in ogni
caso per farlo è necessario che il soggetto abbia delle competenze specifiche quindi non è un ruolo che si
puo rivestire così… il supervisore deve leggere il contesto, le relazioni all’interno del contesto.
5.3 Risorse
Nei servizi territoriali alcune risposte alle domande dei clienti sono fornite dal rapporto con gli operatori:
ascolto, comprensione, consulenza, terapie d’appoggio, psicoterapie, animazione, educazione. Gli operatori
quindi, possono rispondere ai bisogni utilizzando uno strumento semplice ma essenziale: il rapporto
personale. Esso però, non copre tutte le esigenze. I cittadini spesso hanno bisogno di trovare una casa, un
lavoro, un sussidio temporaneo o definitivo; hanno bisogno di essere ammessi in una scuola o in un corso
professionale, di essere adottati da una famiglia o accolti in comunità, di entrare in un’associazione.
L’evoluzione dell’intervento territoriale ha accresciuto enormemente la quantità e la qualità di risorse di cui
deve disporre un servizio per svolgere bene il suo lavoro. Queste risorse solo in parte possono trovarsi
all’interno del servizio, tutto il resto occorre trovarle nell’ambiente e non le si trova ‘già belle fatte e pronte’
ma bisogna prima cercarle. La soluzione dei problemi del cliente richiede la mobilitazione di numerose
risorse, istituzionali presenti nel territorio o da creare; risorse che, in ogni caso, non si mettono a
disposizione spontaneamente , ma richiedono un lavoro incessante di mediazione con le istituzioni e di
collegamento con il tessuto sociale. L’a.s. ha due compiti: da un lato le attività che riguardano la soluzione
del singolo caso, dall’altro, bisogna prevedere anche le attività che servono a procurarsi risorse (materiali e
informative) per persone che verranno in futuro. Ad esempio, un a.s. che si occupa delle adozioni, da un
lato deve svolgere tutte le pratiche connesse al caso, cercando la famiglia adatta al bimbo, dall’altro ha
bisogno di stabilire dei buoni rapporti con i giudici del tribunale dei minori per tutte le future collaborazioni
e di rifornirsi di una lista di famiglie interessate all’adozione o disposte all’affidamento.
Le Domande che esprimono incertezza sulle risorse sociali sono: dove posso trovare altre opportunità per
chi mi chiede aiuto? In quali ambiti trovare risposte oltre quelle previste per il SERVIZIO? Nel momento in
cui un servizio si propone di attivare le risposte del territorio, non sempre, come abbiamo detto, dispone di
una visione completa delle potenzialità insite:
- nelle istituzioni pubbliche ( altri servizi, scuole)
- nelle agenzie di terzo settore ( cooperative, associazioni)
- nelle reti sociali informali (amici, familiari)
Le domande che si presentano agli operatori riguardano, dunque, anche i canali di comunicazione
che riusciranno a stabilire con i potenziali alleati: Come possiamo ottenere la collaborazione delle
istituzioni indispensabili per risolvere i problemi dei nostri utenti? Come possiamo attivare la
solidarietà dei gruppi primari e della comunità in cui vivono?
Tutti questi problemi incidono sull’operatività quotidiana dei servizi, soprattutto nelle fasi in cui
cresce un certo tipo di richieste per le quali non sono ancora pronte le risposte. In questi casi,
prima che l’emergenza si traduca in politiche di intervento, gli operatori sono sommersi da un
eccesso strutturale di domande rispetto all’offferta che in qualche modo bisogna fronteggiare ( cio
comporta senso di inadeguatezza da parte dell’operatore e rischio di burn out). Inoltre, bisogna
sottolineare che questo squilibrio non si verifica solo in alcuni momenti eccezionali ma appartiene
all’intervento ordinario del sociale, perché viviamo in una società fortemente sperequata dove le
aspirazioni individuali al benessere e alla qualità della vita sono piu alte delle capacità collettive di
risposta. I professionisti sono al centro di questa contraddizione.
Tutti questi punti critici che abbiamo esaminato, se costituiscono elemento lasciato alla risoluzione
dell’operatore, creano solo fragilità al sistema; risolvono solo quel singolo caso e processo di
lavoro, ma non siamo cosi mai in un ottica di sistema. Per risolvere invece le cose in maniera
stabile e duratura, per eliminare i nodi critici, bisogna agire in un’ottica di sistema, è indispensabile
che un aiuto venga dall’organizzazione collettiva che assume il compito specifico di contenimento
delle incertezze,guardando alle materie prime delle organizzazioni ecc… bisogna sempre
collaborare con qualcuno, farsi aiutare da qualcuno.Bisogna però anche notare che Il grosso
problema dell RISORSE, è un problema drammatico ed attuale perché non c’è una strutturazione di
risorse fatte in maniera precisa all’interno delle organizzazioni.
Come si vede, alcune di queste attività sono incluse nella funzione del marketing: informano e
orientano il potenziale utente perché possa avere un ruolo più propositivo e contrattuale
nell’intervento che lo riguarda (si pensi ad es. al caso delle adozioni in cui l’a.s. dovrà attivare
contatti con le associazioni che si impegnano in questo campo, diffondere opuscoli informativi etc
oltre che a cercare la famiglia migliore per il soggetto protagonista dell’intervento).
Altre attività sono nuove; in particolare, l’attivazione delle risorse nel territorio prevede tre
funzioni specifiche:
* Mediazione istituzionale per il singolo caso
* Approvvigionamento di risorse istituzionali per molti casi
* Attivazione delle risorse comunitarie
QUALI SONO GLI STRUMENTI (o funzioni organizzative)PER RISOLVERE
L’INCERTEZZA RISPETTO ALLE RISORSE SOCIALI?
LE INCERTEZZE SULLE RISORSE: degli strumenti per combatterle sono:
- Marketing: come abbiamo detto si tratta di strategie atte a equilibrare il rapporto tra risorse e territorio.
Un esempio di questo tipo di strategie sono: denuncia sociale, sensibilizzazione attraverso pubblicità es.
dona 1 euro per…, attività piu in generale di promozione e divulgazione.
- Mediazione istituzionale: un es. di mediazione istituzionale è quello svolto dai mediatori interculturali.
Questa figura che in Italia si sta diffondendo in molti servizi, è stata inventata circa 20 anni fa dal s.s.
inglese. Qui la funzione di advocacy è affidata a una figura specializzata nella difesa degli interessi del
cittadino e nella mediazione tra il suo punto di vista e quello delle istituzioni a cui si rivolge. Il mediatore ha
un rapporto di lavoro DI CONSULENZA e mantiene una dipendenza funzionale dall’autorità centrale e non
dai singoli servizi. Evidentemente, questa soluzione nasce dalla costatazione che l’accesso ai servizi sociali e
sanitari è molto complicato per alcune categorie di cittadini piu fragili, impreparati o semplicemente
cresciuti in paesi distanti dal nostro e ci vuole un tutor vicino alla loro cultura
- Approvvigionamento: si trattadi quell’insieme di attività che creano un magazzino o una banca di risorse
istituzionali disponibili all’occorrenza. Come nelle organizzazioni economiche è strategico il rapporto con il
mercato finanziario e con quello delle materie prime, tanto piu quanto queste risorse sono scarse, cosi nei
servizi alla persona svolgono un ruolo strategico gli operatori che si interfacciano con gli amministratori
della ASL, del Comune, della Regione e, in generale con chi puo influenzare la distribuzione dei
finanziamenti. Inoltre, il coordinamento tra istituzioni si regge, in primo luogo, sui buoni rapporti personali
tra alcuni operatori che hanno avuto la pazienza e l’accortezza di creare dei legami di fiducia e
collaborazione cosi da ottenere una moltiplicazione delle risorse istituzionali. Infine vi sono le risoprse
informali che creano disponibilità nei confronti dei bisogni delle persone in difficoltà. In questi anni è
cresciuta tra gli operatori la consapevolezza che molto lavoro va fatto in tale direzione. Si tratta del modo
forse piu razionale di moltiplicare le risorse ì, infatti, l’espansione dell’intervento sociale non puo basarsi
sulla lievitazione all’infinito della spesa pubblica e deve necessariamente agire sulla redistribuzione delle
opportunità e sull’attivazione della solidarietà sociale.

5.7. Meta-servizio
Considerando l’ampiezza del lavoro indiretto che un servizio, anche di modeste dimensioni, deve attivare
per rendere produttive le attività dirette all’ente, si può anche parlare di un meta servizio , per indicare un
luogo figurato dove tutto il lavoro indiretto si svolge. Materialmente queste attività possono svolgersi in
una stanza qualunque del servizio; ma, dal punto di vista concettuale, esse si collocano ion un piano piu
alto, in una sorta di ufficio ricerca e sviluppo dove si progettano i mezzi con cui lavorare e si organizzano le
idee. Il meta-servizio puo non avere un luogo fisico, ma sicuramente necessita di professionalità specifiche
(gestionali e di staff), di una propria cultura, di saperi e di strumenti ad hoc. Il ruolo del gestore consiste nel
coordinare le attività assicurandosi che siano svolte nella sequenza corretta ; stabilire accordi tra le diverse
figure professionali assicurandosi che siano rispettatiù; promuovere delle intese di programma con gli altri
servizi confinanti; negoziare le risorse con amministratori e poilitici; rappresentare il servizio all’esterno;
promuovere la formazione e lo sviluppo delle risorse umane all’interno e assumersi la responsabilità di
decidere nelle situazioni conflittuali. Questi compiti il gestore puo delegarli ma sono il nucleo centrale del
ruolo quindi ne risponde anche quando sono temporaneamente delegati ad altri.
Il ruolo dello staff consiste nell’assistere il gestore e l’èquipe fornendo strumenti tecnici di supporto come
progettazione, conduzione di attività formative, attività di ricerca, organizzazione di archivi etc. anche il
ruolo di staff puo essere distribuito su piu operatori che lo svolgono senza rinunciare ad una parte di lavoro
diretto. Mentre è necessario almeno un gestore in ogni servizio, anche il piu piccolo, non è cosi per i ruoli di
staff per cui esiste un problema di dimensione: sono utili quando sono dotati di una struttura tecnica
adeguata e pèerciò vanno collocati in un meta servizio abbastanza ampio da funzionare per organizzazioni
consistenti o per una rete organizzata.
META-SERVIZIO: luogo dove si svolge tutto il lavoro indiretto.
COORDINAMENTI: strumenti e sapere che viene usato nel meta-servizio MA il coordinamento non è uno
segue delle logiche.

WIDOWS ATTIVITA’ CRIMINALE\ester viola : gli spaiati-single ma non troppo\ vento scomposto di
simonetta agnello
CAPITOLO 6: COORDINAMENTO
In passato , intorno agli anni 80 abbiamo il boom del lavoro d’èquipe, c’erano lunghe riunioni che
producevano scelte\decisioni condivise dalla maggior parte. Ciascuno imparava molto dagli altri, si
costruiva una cultura e pian piano emergeva un’idea condivisa sugli obiettivi, sui metodi e si forgiava uno
stile di lavoro comune.
Dopo di che entrerà in crisi il lavoro d’èquipe, il tempo si faceva sempre piu ristretto quindi le riunioni
duravano meno. Anche per questi motivi oggi è entrato in crisi il lavoro dell’a.s. adesso è piu complicato
lavorare in èquipe, si usa meno. Lavorare con gli altri professionisti è invece molto importante quindi non
farlo è uno spreco di risorse molto importante. E’ vero anche che tutte le info non possono essere veicolate
tramite strumenti rigidi e predefiniti come le riunioni, si tratta di quelle informazioni che tra colleghi ci si
scambia in maniera informale, prendendo un caffe ad es. d’altra parte però, anche se l’informalità è
preziosa, ha dei limiti. Tende infatti a strutturare dei percorsi preferenziali e discriminanti, che mettono in
relazione le persone piu vicine mentre tagliano fuori quelle percepite come piu lontane. QUINDI imessaggi
informali vanno utilizzati per i loro pregi (frequenza, rapidità, flessibilità, calore) ma non possono sostituire
la comunicazione organizzata all’interno di circuiti di regolazione predisposti ad hoc. Quando si vuole
progettare un sistema di coordinamento tra operatori, bisogna, pertanto, partire dai flussi di
comunicazione che si sono formati spontaneamente, per valorizzarli ma anche per integrarli.
Il coordinamento è utile sopratt in organizzazioni complesse ma anche semplici che producono al loro
interno servizi alle persona. Il coordinamento spontaneo non da sempre un buon risultato, ma, nonostante
ciò, gli operatori spesso sperimentano oscillazioni tra un periodo permissivo a cui succede una richiesta di
autorità e un clima più rigoroso. Di solito il passaggio da un metodo all’altro avviene per caso o per
logoramento del metodo precedente. Mancano quindi dei criteri per scegliere in quale momento e per
quali situazioni sia conveniente adottare il sistema di coordinamento piu appropriato. Si tratta di un grosso
problema perché non possono essere improvvisate ma DEVONO SEGUIRE DETERMINATE LOGICHE.
Henry Mintzberg dice che il coordinamento si puo manifestare attraverso 5 stili diversi ognuno dei quali
puo avere dei lati positivi o negativi in base al contesto in cui lo si adotta.
I 5 stili di coordinamento sono:
- Adattamento reciproco: si ha un coordinamento di attività x adattamento reciproco quando i diversi
professionisti condividono un obiettivo, avere un ruolo e rispettare la mansione corrispondente senza
andare oltre. Tutti si adattano a tutti e alla necessità che man mano si strutturano quindi vi è elevata
flessibilità. Qst forma di coordinamento va bene sia nelle organizzazioni piu semplice che in quelle
complesse. Il modello organizzativo che si costruisce è ad hoc. Si tratta di una forma poco costosa, per
questo le organizzazione che ne fanno un uso spiccato sono chiamate ‘adhocratiche’.
I limiti sono: il sistema salta quando si creano discordie\problemi xk viene meno quella naturale concordia
che lo teneva all’impiedi. Quindi è un sistema fragile xk anche un piccolo cambiamento di contesto fa
saltare tutto e ci troviamo difronte al caos, non appena il gruppo non procede all’unisono , bisogna passare
ad altre modalità di coordinamento. Quindi è un modello usabile solo x determinate situazioni e periodi e
solo se l’obiettivo è fortemente condiviso dai soggetti. Quindi per certi versi è residuale.
1) Supervisione diretta: consiste nell’esistenza di un soggetto che conduce e che controlla gli ambiti di
attività sopratt nei casi in cui bisogna decidere in fretta, non sono possibili consultazioni in itinere, pur non
escludendo a latere di attivare altri meccanismi supplementari. Però al di fuori di qst ambito la supervisione
diretta ha molti limiti xk essa viene usata oltre k nei momenti in cui bisogna raggiungere rapidamente un
obiettivo ma viene chiesta da chi nn si sente una competenza o una responsabilità per poter prendere una
decisione quindi chiede al diretto supervisore di essere supervisionato durante la sua attività così da avere
delle indicazioni passo passo. Questo pero limita sia l’assunzione della responsabilità sia la crescita
professionale xk nn permette al professionista di osare un poco alla volta che lo farebbe crescere. Quindi
quello che è soggetto a supervisione diretta è limitante,ferma l’organizzazione xk senza il supervisore
l’attività si ferma. Bisogna utilizzare la supervisione diretta per capire come funziona il meccanismo e poi,
però, acquisire spazi di autonomia che ci permettono di prendere decisioni e scelte. La supervisione diretta
differisce da quella normale xk si adotta in situazioni di emergenza in cui magari il professionista deve fare
qualcosa che non gli compete quindi necessita della supervisione del proprio superiore che gli dia delle
indicazioni. Spesso però viene utilizzata in maniera impropria per deresponsabilizzarsi o perché non si
hanno le competenze emotive per affrontare la situazione. A volte ci sono coordinatori che impongono la
loro supervisione xk non sono in grado di istruire i professionisti a muoversi autonomamente. Quindi, come
la precedente forma di coordinamento, anche questa puo essere attivata in situazione di emergenza si ma
come stile di coordinamento fuori dall’emergenza no.
2)Standardizzazione delle competenze: questa forma di coordinamento è tipica delle organizzazioni
professionali. Essa comporta che si interiorizzi uno stesso quadro concettuale di riferimento quindi delle
competenze uguali per tutti e che quindi consente di usare gli stessi metodi di lavoro, un unico stile
professionale. Ciò permette loro di coordinarsi nel lavoro perché, raggiunto un certo livello di maturità, è
facile intendersi sul modo di procedere. Tutto dipende da una formazione di base standard ed in corso
d’opera, lavorando. Questo stile è quindi una via di mezzo. Quando un’èquipe gestisce la stessa attività da
molti anni e senza un turnover significativo, a un certo punto raggiunge, al proprio interno, un
coordinamento quasi automatico e apparentemente spontaneo. Se torniamo indietro vediamo però, che
molto è stato investito nelle riunioni sui casi, in cui tutta l’èquipe discuteva a lungo sui metodi, sui criteri e
sui nomi stessi con cui chiamare le cose e distinguere un problema dall’altro. Ad un certo punto queste
riunioni sono diventate scontate ed inutili dato che ognuno si esprimeva come l’altro. I limiti sono:
c’è sempre bisogna di altre competenze che esulano dalle competenze standard; l’uso delle stesse
metodiche operative possono non essere efficaci per determinati casi. Vi puo essere stagnazione, mancato
adeguamento alle novità. E’un’organizzazione ferma che si congela nel tempo e che non cresce. E’ una
nicchia di salvezza da un lato xk non ci sono conflitti, ‘io nn ho invidia della collega che ne sa piu di me’, 0
competività ma, è una linea piatta. Infine, anche se tra gli operatori si espande un senso di facilità e
naturalità si espande anche la noia.
Bisogna quindi pensare che ci sono molti stimoli all’interno di un servizio, utili per affinare le
conosce,investendo in nuovi campo. La professionalità sociale si è differenziata in questi anni seguendo 8
piste: l’età dell’utente, il problema, il metodo (approccio comunitario, sistemico), il luogo o il setting, la
durata, l’intensità (terapie a distanza o terapie intensive), il rapporto con le leggi, il processo di lavoro (le
diverse fasi).
4) Standardizzazione del processo: accordo su una sequenza procedurale, adozione di una sequenza
procedurale, e protocolli di lavoro. E’ un lavoro in un’organizzazione fortemente istituzionalizzata dove il
processo di lavoro è fortemente formalizzato. Tutto è codificato, preordinato e previsto. Un esempio ne
sono gli organismi del ministero della giustizia. Questa forma è utile quando vari operatori ruotano
all’interno della stessa funzione e si vuole garantire il rispetto di un percorso standard. I limiti sono
l’urgenza che fa saltare tutto,ripetività degli atti che non portano ad una crescita professionale, i tempi si
allungano, un errore procedurale fa saltare tutto.
5) Standardizzazione dei risultati: è una modalità di coordinamento che la prof non ama xk si tratta di
condividere determinati risultati da raggiungere e trovare, ciascuno autonomamente, la modalità per
raggiungerli. Questo stile di coordinamento ha il grosso limite di non prevedere che ci possa essere
discordanza. Nelle politiche sociale questa idea del coordinamento è rappresentata in numerosi programmi
e interventi legislativi che si concentrano sulla definizione minuziosa dei risultati auspicati (gli obiettivi
affidati all’intervento), mentre danno pochissime indicazioni sul modo per raggiungerli (modalità
organizzativa, ripartizione delle risorse, metodi operativi). Un tipico es. è la recente riforma per l’handicap
(L. del 92 n. 104): il dettato legislativo prescrive 47 diritti o servizi che devono essere garantiti al disabile,
demandando alle Regioni il compito di fare il resto. In questo modo lo Stato si limita a esercitare un ruolo di
indirizzo. Solitamente questa forma di coordinamento funziona quando i soggetti a cui è richiesto il compito
hanno tutte le conoscenze e le risorse per svolgerlo. è questo il presupposto che sta alla base della
convenzione fra un ente pubblico e un fornitore di servizi. L’associazione, la cooperativa , la società di
servizio vengono valutate per le competenze e capacità organizzative di cui dispongono. L’ente pubblico
cosi ottiene un risparmio organizzativo, infatti, valuta solo la qualità dei servizi resi, sfruttando le capacità
gestionali del fornitore nell’ottimizzare le risorse al proprio interno.
Secondo questa ripartizione, gli stili di coordinamento cosi suddivisi, non potrebbero mai essere utilizzati
uno esclusivamente rispetto ad altri. Dipende dalla situaizone. Sono tutti validi a patto che non vengano
usati in modo esaustivo.

6.6. Un paradigma organizzativo


Abbiamo detto che ogni metodo di coordinamento si adatta a situazioni diverse. Il compito di una buona
organizzazione è mettere a disposzione degli operatori, il metodo di coordinamento piu adatto al problema
che devono trattare.
alla questione ‘quale stile di coordinamento scegliere per le diverse funzioni organizzative?’ si puo
rispondere solo enunciando alcuni criteri indicativi che l’intuito e l’esperienza adotteranno, di volta in volta,
alle situazioni reali. Tuttavia, si puo enunciare un principio guida, che trova fondamento nell’interesse del
professionista a svolgere bene il proprio lavoro, ottenere risultati soddisfacenti, migliorare costantemente il
know how professionale, godere della fiducia dei colleghi e degli utenti.
Per coordinare gli operatori sociali è importante, da un lato, rinforzare quell’autonomia professionale che
dei singoli che attribuisce responsabilità sui risultati e sulle modalità per raggiungerli; dall’ìaltro, sottoporre
il contenutop professionale a una continua verifica incrociata tra tutti gli operatori in campo, per dare il
massimo di coerenza interna al sistema. Cio significa che la forma prevalente di coordinamento deve agire
sulle competenze , per farle crescere e portarle ad un livello il piu possibile omogeneo. Gli operatori sociali
saranno in grado di coordinarsi tra loro quanto maggiore sarà il sapere che condivideranno. Se si adotta
questo paradigma organizzativo,è evidente che esiste una gerarchia nei metodi di coordinamento, poiché
bisogna dare priorità agli strumenti che fanno crescere le competenze.
Pertanto, il cuore del coordinamento, in un servizio territoriale, va individuato nelle attività che permettono
il controllo delle incertezze metodologiche ovvero memoria, formazione, valutazione , ricerca. Da qui si
innestano le altre attività volte a stabilire un rapporto con le risorse nel territorio e a coordinare il lavoro
con gli operatori presenti in altre istituzioni, agenzie e servizi confinanti (segretariato sociale, marketing,
filtro in accesso, mediazione istituzionale, approvvigionamento delle risorse).

6.7 Dalla competenza professionale a quella sul programma


Il sapere professionale degli operatori è basato su un corpus di teorie, metodologie e strumenti operativi
specialistici. Con questo bagaglio culturale gli operatori possono lavorare bene in un’organizzazione del
lavoro che scompone le attività in base agli specialisti. Un es. ne è l’ospedale in cui vi è un reparto per ogni
specializzazione medica.  l’efficacia terapeutica di questo modello, però, si ha solo quando vengono
trattate patologie che si prestano ad essere scomposte in segmenti e trattate separatamente. In realtà però
la maggior parte delle patologie emergenti stanno mettendo in crisi il modello ospedaliero , infatti, le
patologie si presentano intrecciate tra loro, non scomponibili e quindi necessitano un programma globale.
Da qui nasce il motivo per cui negli ultimi 20 anni l’intervento socio sanitario è uscito dalla logica
ospedaliera e ha iniziato a costruire i servizi territoriali. Si ha avuto quindi il passaggio da un sistema di
lavoro governato dagli specialismi a uno governato dal programma personalizzato. Nel primo caso, il
problema del cliente deve piegarsi per rientrare nelle tipologie previste dalle diverse competenze dei
professionisti; mentre, nel secondo, è il problema del cliente che induce le specializzazioni a ‘ridefinirsi’ per
intervenire in modo globale e personalizzato. Nel primo modello (quello ospedaliero) il lavoro
interdisciplinare è periferico e sporadico (consulti occasionali); mentre nel secondo modello (quello dei
servizi territoriali) l’incontro tra culture professionali diverse si colloca al centro del processo di lavoro. 
questo contatto tra professionisti è dimostrabile nel processo di lavoro nelle fasi di valutazione globale del
problema; definizione di un programma di intervento personalizzato; coordinamento delle attività di cui si
compone il programma e che possono essere svolte da operatori diversi.
Questo cambiamento ha comportato dei cambiamenti anche nella formazione professionale degli
operatori, infatti, se prima la professionalità si sviluppava solo nel senso della specializzazione , ora deve
crescere lungo due assi ovvero quello della metodologia specifica e quello del contributo alla realizzazione
di un programma pluridisciplinare. La fedeltà al programma e la capacità di dialogo con altre professioni
sono impo almeno quanto la competenza nella propria area specifica. Come conseguenza di tutto cio, il
coordinamento tra operatori sulle metodologie d’intervento deve, a sua volta , procedere lungo i due assi
del programma interdisciplinare e della specializzazione.
Ad ESEMPIO: prendiamo un caso di intervento multiplo per un tossicodipendente. La conoscenza del
problema e l’impostazione del programma richiedono l’incontro di 2 approcci: quello psicologico, medico,
sociale, educativo . il programma distribuisce il lavoro tra operatori rispettando queste specializzazioni,
infatti, il medico segue le terapie farmacologiche, lo psicologo interviene con una terapia familiare,
l’animatore interagisce con il ragazzo in un centro diurno, l’as cerca le risorse per l’inserimento sociale.
gia da questo es. emerge il bisogno di almeno due livelli di coordinamento:
- 4 figure professionali devono mettersi d’accordo sul programma e periodicamente coordinare le diverse
attività che svolgono con e per lo stesso utente; passarsi info su quanto ciascuno osserva nel proprio spazio
di intervento e ,c on le metodologie specifiche, seguire lo sviluppo del caso e, se necessario, modificare il
programma;
- Ogni professionista avverte il bisogno di apprfondire le metodiche specifiche che impiega per fasce di
utenti, per valutare la congruenza dei metodi stessi rispetto ai problemi che tratta

Il medico, ad es., vorrà studiare l’efficacia di certi protocolli farmacologici, confrontandosi con gli operatori
che fanno il suo stesso lavoro. Se non trova un partner all’interno del suo servizio, vorrà eventualmente
dialogare con altri professionisti che adottano le stesse metodiche in altri servizi. La stessa esigenza sarà
avvertita dall’educatore e dallo psicologo.
Questi 2 livelli di coordinamento puntano alla standardizzazione delle conoscenze, ma in modo diverso:
- Il primo tende a stabilire una base di riferimento comune, a livello linguistico, concettuale e operativo, tra
professioni diverse. Presenta, dunque, delle difficoltà particolari, perché non sempre i saperi possono
confrontarsi alla pari e, perciò non funziona bene in autogestione; spesso richiede una conduzione
autorevole e competente
- Il secondo mette in comune risultati professionali tra operatori che utilizzano lo stesso apparato
concettuale: è più semplice da condurre e può svilupparsi nella forma di un gruppo di studio autogestito,
finalizzato, ad es., per fare una ricerca o per scrivere un articolo insieme.
Per questo tipo di riunioni, spesso, le èquipe si affidano alla guida del responsabile o di un consulente
supervisore. Quest’ultimo, soprattutto se alla guida di riunioni che hanno per oggetto le competenze
professionali, dovrà evitare di far leva sull’autorità gerarchica e utilizzare, piuttosto, l’autorevolezza che gli
viene dall’anzianità e dall’esperienza. Il responsabile o il consulente esterno non devono schierarsi a favore
di un approccio metodologico ma,devono regolare il dialogo tra approcci diversi. In realtà però, questo non
avviene quasi mai, infatti, spesso le èquipe chiamano un supervisore molto schierato, specializzato in una
metodologia e con lui cercano di attivare una supervisione dei casi e un dialogo interprofessionale.
Concludendo: Vi sono molti metodi per coordinare il lavoro nei servizi e, come abbiamo detto, ciascuno è
utile in situazioni diverse. Tuttavia, la standardizzazione delle competenze è la via principale per favorire il
coordinamento tra professionisti che devono interiorizzare le regole e il fine organizzativo, dunque, cresce
in autonomia e responsabilità.
Il coordinamento su un metodo , un approccio e un’area di intervento, se presenta una specificità culturale
condivisa da coloro che partecipano alla riunione, può essere affidato alla persona piu esperta, che può
essere individuata all’interno del gruppo o presa dall’esterno, come consulente, tra gli specialisti
dell’argomento.
Il coordinamento sui programmi d’intervento che mettono insieme discipline e approcci diversi, invece,
richiede una guida al di sopra delle parti, la cui autorevolezza sia riconosciuta da tutti, che sappia dirimere
eventuali conflitti di competenza, a vantaggio di un approccio realmente interdisciplinare e del risultato
migliore per l’utente.
DUNQUE è necessario che in ogni servizio vi siano dei ruoli decisionali, che devono possedere una
competenza di merito e tecnica sugli interventi sociali e, contestualmente, sviluppare competenze di
gestione e coordinamento.

CAPITOLO 7

LAVORO DI RETE
Abbiamo detto che i nuovi bisogni sociali e sanitari raramente trovano risposta in un’unica figura
professionale.Il lavoro sociale è un’attività complessa k nn da esiti di raggiungimento di obiettivi con
l’intervernto di un ente\operaotre\organizzazione xk i bisogni sociali sn complessi ai quali nn si puo dare
una sola e unica risposta che deriva da una sola organizzazione, spesso deriva invece dalla combinaizone di
diverse risposte di diverse organizzazioni. Quindi  BISOGNO—CONFIGURAZIONE COMPLESSA
MULTIPROBLEMATICA NECESSITA –> l’ ATTIVAZIONE DI RETE DI RISORSE.
Il bisogno non si presenta mai in maniera pura e semplice, un biusogno sociale è x definizione un bisogno
complesso. Spesso se andiamo a fondo in un processo d’aiuto vegnono fuori cose che nn ci aspettiamo
quindi anche se inizialmente si presenta come un bisogno semplice, non lo è mai.
QUINDI il Lavoro di rete, si rende necessario xk i bisogni sociali o socio sanitari nn sn semp0lici nel senso
che possono essere risolti con l apporto professionale di un singolo operatore, sn piuttosto bisogni
complessi che invece necessitano di un azione multi professionale , piu operatori che possono o no
appartenere allo stesso servizio.
Il fatto che spesso l’utente presenta una situazione multiproblematica non deve essere considerato un
handicap perché, se da un lato rende molto faticoso l’approccio iniziale al problema, dall’altro puo offrire
agli operatori l’opportunità per risolverlo in modo globale. I professionista cercando di ‘sbrogliare l’intera
matassa’ possono scoprire intrecci tra un problema all’altro, stimoli che consentono di innescare un circuito
virtuoso in modo da ricondurre, il sistema di vita compromesso verso un equilibrio accettabile.
Le recenti riforme in campo socio-sanitario hannno inventato una grande varietà di servizi che si
differenziano tra loro oltre che per la tipologie delle persone a cui si rivolgono, anche per la strutturazione
del setting. Si tratta quindi di una specializzazione funzionale dei servizi, che si aggiunge a q uella
professionale degli operatori.
Parliamo di setting o struttura del servizio per indicare il modo in cui la persona usa il servizio cioe in
maniera saltuaria o continuativa, casuale o per appuntamento, ma, usiamo il termine setting anche per
sottolineare l’importanza del luogo e del contesto in cui si svolge l’incontro con gli peratori che va dagli
ambienti piu rigidi e artificiali a quelli di vita quotidiana. Si tratta di ambienti diversi tra loro e, l’operatore di
conseguenze, deve misurarsi con leregole dettate dagli ambienti stessi.

7.1 Lavorare per progetti


I programmi d’intervento personalizzati fanno sempre piuspesso un impiego misto di strutture e setting
diversi, usati ciascunno per una funzione specifica. Si pensi ad es. al complicato programma previsto per un
disabile fisico che, richiede oltre a molteplici interventi sanitari, anche l’inserirmento nella scuola e in
seguito, l’addestramento professionale e l’inserimento nel lavoro; il tutto mentre, parallelamente, è
garantito un sostegno psicologico ed economico alla famiglia, modificando alcuni ambienti di casa e
risolvendo i problemi di accesso ai servizi con pedane, accessori etc.
Qaunto piu complesso è un programma di intervento, tanto piu importante è l’intesa tra professioni e
servizi che sono chiamati a collaborare. L’integrazione è dunque un elemento strategico per l’efficacia del
lavoro.
Il successo professionale orientato al cliente dipende da 3 elementi:
- Esistenza di un progetto personalizzato che prenda in considerazione la complessità del caso e preveda la
mobilitazione di piu risorse o servizi
- Qualità professionale dei singoli punti di erogazione e intervento
- Disponibilità delle risorse a collaborare al porogetto
Infine da queste 3 condizioni, c’è un quarto elemento senza il quale il sistema gira a vuoto. Bisogna
individuare un centro di responsabilità (una persona o un gruppo) che si assuma il compito specifico di
garantire cheil progetto venga mantenuto dall’inizio alla fine, aggiornato di fronte ai cambiamenti in itinere
e , possibilmente, anche dopo la sua conclusione.
Il fattore responsabilità e continuitàò nel tempo è chiamato dagli operatori ‘presa in carico’, cioè la capacità
del servizio o di un soggetto, di prendere l’impegno di far proprio il progetto del cliente. Il concetto opposto
è quello dell’abbandono, che si verifica quando, alla conclusione di ogni singola attività, il cittadino si ritrova
solo o ricomincia da capo un percorso nei sevizi, senza l’accompagnamento di chi l’ha incontrato prima.
In sintesi dunque:
Per avere efficacia nel lavoro di rete occorre che si predisp0onga un progetot personalizzato. Il fatt che noi
sappiamo procedere in maniera organizzata deriva dal fatto che ci sia u organizzazione a monrrte quindi
nonostante i progetti personalizzati cmq il lavoro nel servizio avviene in maniera fluida. E’ molto impo il
progetto personalizzato quando richiede x la sua soluzione l interv di piu figure professionali ognuna delle
quali xo deve offrire una qualità professionale elevata xk se chiamo il sert rispetto al caso del signore e mi
rendo conto che dall altra parte la cosa viene presa con superficialità, tutto crolla. Come faccio a garantire
la qualità professionale del alvoro di rete agli altri professionisti? Devo rappresentare bene il problema con
gli elementi responsabili, cercando di fare presa sull altro(non in maniera emotiva)cioe di rappresentargli
bene il caso. Cosi mafgari il collega si sentirà stimolato a collaborare bene. Bisogna valutare inoltre tutte le
risorse sia personali chje dei servizi disponibili a collaborare al progetto.una volta individuate delle risorse ,
avendo tutte e tre le risorse, (prog perosnalizz qualita profess e risorse disp)il modo x far funzionare la regte
è trovare il centor di responsabilità cio chi si prende la responsbilita di fare cosa altrimenti il lavoro di rete
gira a vuoto. Centro di responsabilità: chi è il gestore? Chi fa cosa? A scendere a scendere nella scala della
responsabilità.
Fondamentale cjhe ogni centro di erogazione di servizi nn si consideri come autosufficiente ma come snodi
di un sistema che regola la redi scambi. Quindi il problema complesso è un sistema dove l apporto di tutti i
servizi nn va mai considerato in maniera disgiunta altrimenti nn è lavoro di rete ma solo confusione.

Come si fa a capire quando il suo apporto professionale nn basta a risolvere il bisogno prospettato
dall’utente? Bisogna accogliere l utente ma evitare di andare in tilt, farsi allagare dal biasogno dell’utente,
bisogna individuare delle priorità da seguire ed è da qui che vengono fuori gli elementi strategici. Se il
nostro servizio nn puo aiutare l’assistito possiamop fare segnalazione, restituiamo il problema all’unità
operativa cioe al medico che ci aveva chiamato per dirci che stavano per dimettere il paziente spiegandogli
che non possiamo fare altrimenti che una segnalazione. Quindi l primo elemento che dovbiamo osservare è
la nostra capacità di poter affrontare il problema altrimenti nn possiamo mettere in atto un lavoro di rete e
pensare a dove mandarlo. Dobbiamo conoscere il probvema nella sua intrinseca consistenza. Dobbiamo
sapere con chi abbiamo a che fare quindi se ho uno schizofrenico o paranoico o tossicodipendente o
marhinale dobbiamo sapere quali sono gli elementi caratteristici che riguardano queste persone. Quindi la
proima cosa impo x avere un buon lavoro di rete, dobbiamo avere cognizione del problema, quali sn gli enti
utili e come possono esserlo.
7.2. Organizzazione a rete
Da queste osservazioni è evidente come il modello organizzativo di riferimento per il settore socio-santiraio
(x ogni cliente progetto personalizzato) sia distante da quello delle burocrazie tradizionali (produzione in
serie). Quindi la razionalità organizzativa non puo essere cercata nei vantaggi offerti dall’economia di scala
e dalla specializzazione spinta dei compiti. Ci vule un altro modello di riferimento, basato sulle capacità del
sistema produttivo di convogliare le diverse risorse disponibili attorno al progetto del cliente. Possiamo
chiamare ‘organizzazione a rete’ un modello tendenziale, in cui i diversi soggetti produttivi o nodi del
sistema, convergono su obiettivi comuni, avendo interiorizzato una cultura progettuale e le regole che
governano lo scambio di propdotti tr a l’uno e l’altro. Il coordinanemnto tra servizi che sono chiamati a
collavorare su progetit comuni pèresenta molte difficoltà che possono essere affrontate usando, in forma
analogica, lo stesso procedimento che è stato seguito per riflettere sul cooridnamento tra operatori diversi.
L’analogia è possibile xk ogni professionista puo comportarsi, in qualche misura, come un’organizzazione a
se stante, con spinte autonomiste simili a quelle che ogni servizio tende a esprimente nei confronti degli
altri servizi confinanti. Anche un equipe puo essere letta come una rete di cui ogni professionista è un nodo.
La collaborazione, sia tra professionisti che tra servizi, si sviluppa sulla base di necessità convivenza
riscontrate nelle pratiche professionali. Per stabilire un collegamento funzionale tra strutture diverse è
impo che gli operatori possano riconoscere facilmente le ragioni tecniche e organizzative che configurano
un certo assetto piuttosto che un altro. Solo allora la collaborazione acquista peso e significato.
7.3 setting: divisione funzionale del lavoro tra servizi
Bisogna rendersi conto del fatto che non basta prendere le distanze da un modello totalizzante, che si
incarnava nelle cosiddette istituzioni totali, bisogna anche consentire la libera creazione di tante strutture
diverse, diurne, semiresidenziali, ambulatoriali, comunitarie e familiari. Inoltre, occorre ripensare al
modello organizzativo stesso di ognuna così da realizzare una specifità funzionale ben chiara.
Un esempio di quanto sopra detto è quello che è stato realizzato con l’ospedalizzazione a domicilio. Infatti,
è stato creato un nuovo setting che mette insieme l’assistenza sanitaria intensiva (propria dell’ospedale) e il
luogo domestico (proprio degli interventi tipicamente assistenziali).  con lo stesso criterio si potranno, in
futuro, inventare altre forme di intervento, cercando di rileggere le specificità funzionali dei servizi, alla luce
delle impellenti e prioritarie necessità delle persone. La presa in carico si sposta dal contenitore fisico
(ospedale, istituto) al progetto, aumentando di molto la complessità del lavoro degli operatori, ma offrendo
possibilità di recupero prima impensabili.
7.4 Costruzione della rete
Da un punto di visto logica, la pianificazione di una rete e la sua integrazione funzionale devono venire
prima della divisione del lavoro tra professionisti. Nella realtà però le cose vanno diversamente. In
linguaggio organizzativo si dice cheprima dovrebbe essere definita la macrostruttura, cioè la divisione di
compiti tra centri produttivi, poi si dovrebbe progettare la microstruttura, ossia la divisione del lavoro
all’interno di ogni singolo centro. Questa sequenza non è rispettata perché gli assetti dei servizi socio-
sanitari territoriali non nascono da un’unica mente programmatrice, né possono essere riorganizzati a
tavolino, senza tener conto del percorso compiuto dagli stessi operatori per mettersi d’accordo tra loro.
DUNQUE, le decisioni sugli assetti organizzativi, nei servizi territoriali, nella realtà procedono:
- Dall’alto verso il basso, ossia dagli organi di governo ai servizi, mediante atti amministrativi (decisioni
formalizzate) che fissano obiettivi, standard, risorse, incentivi e modelli di riferimento. In tal modo si
produce l’organizzazione formale
- Dal basso verso l’alto, ossia dall’operatività agli organi di governo, mediante micro decisioni di fatto e
negoziati locali che cercano di costruire l’organizzazione in base alle esigenze decentrate. In tal modo si
produce l’organizzazione reale.
Se questto schema a doppia via non è ben coordinato si produce un divario molto forte tra la norma (il
modello amministrativo) e la configurazione reale dei servizi nelle diverse realtà del territorio. Nel
progettare una rete organizzativa, dunque, è importante, prima di coordinare un modello in atti
amministrativi, raccogliere tutte le indicazioni che provengono dalle esperienze e stimolare la progettazione
di modelli organizzativi in loco.

7.5 Mappa della rete naturale


Il legislatore, pertanto, da un lato e il formatore dall’altro, per ottenere l’integrazione di una rete di servizi,
devono, in primo luogo, rilevare una mappa della rete dei rapporti attivati tra i servizi presenti nello stesso
territorio, registrare da chi e come sono tenuti i rapporti, su quali contenuti e in merito a quali problemi.
L’analisi porta a scoprire che , in ogni realtà locale, da tempo gli operatori si sono creati dei ‘legami
reticolari, ben prima che questa espressione venisse usata con tanta insistenza dagli esperti organizzativi.
Dunque, gli operatori praticano il lavoro di rete in modo empirico: una rete naturale, non programmata e
non governata da un’entità superiore, che collega tra loro operatori e servizi in base al fatto che ciascuno
chiama in aiuto solo quelli di cui si fida e di cui conosce, per esperienza, la validità professionale. Gli
operatori stabiliscono cosi delle intese (piu informali che formalizzate) con i loro colleghi, sviluppano
collaborazioni e, se incontrano stabili si rassegnano a fare da soli. Questo perché gli operatori sanno che è
meglio un intervento operato da soli povero e limitato piuttosto che un intervento scoordinato che puo
mandare messaggi contraddittori che possono annullare gli sforzi tutti gli operatori. Infine bisogna
considerare anche che le persone stesse, molto spesso considerano molto piu importante trovare nel
servizio un orizzonte chiaro e delimitato, piuttosto che una varietà di stimoli confusi.
QUINDI mediante la creazione naturale di reti, si configura un certo assetto organizzativo ed è questo che
bisogna conoscere prima di promuovere un nuovo assetto o intervento programmatico, perché la
collaborazione non si ottiene per decreto, e non si impone con un piano. D’altra parte, bisogna anche
sapere che non è sufficiente conoscere il livello di collaborazione raggiunto spontaneamente, infatti, non è
detto che l’equilibrio a cui tende spontaneamente un sistema cosi complesso sia quello ottimale per
l’utente.
Vi sono due principali strategie che rappresentano delle risposte alla mancanza di coordinamento tra
servizi:
- La strategia dell’espansione solitaria (è quella più nota): il servizio procede all’allargamento dei servizi che
offre sviluppando attività accessorie, senza preoccuparsi degli eventuali doppiani con altri servizi, anzi
suggerendo ai cittadini che i propri sono migliori cosi da diventare l’unico servizio accreditato e a inglobare
tutta l’offerta.
- Strategia imperialista: il servizio piu forte impone a tutti gli altri il suo approccio ai problemi, a scapito di
altri approcci possibili e impedisce una elaborazione veramente interdisciplinare dei problemi e degli
interventi.

Si tratta di due fenomeni opposti e speculari, che nei fatti negano l’utilità di progettare una rete integrata e,
al tempo stesso, misurano e spiegano le difficoltà insite nell’organizzazione a rete.
7.6 Governo della rete
Come un’equipe di operatori trova l’equilibrio ottimale grazie ad un gestore che ha il compito specifico
della sua regolazione, cosi anche i servizi di una rete possono raggiungere un buon livello di integrazione
grazie ad un centro di governo. Anche la rete, come il servizio, deve essere dotata di un meta servizio ,
inteso come luogo sovraordinato ai singoli centri di erogazione, con il compito specifico di alimentare la
progettualità e sostenere la coerenza della rete complessiva dei servizi: tutto ciò sarà possibile ottenendo
la collaborazione anche da parte dei soggetti che tendono spontaneamente a ignorarsi, dirimere conflitti di
autorità e problemi frequenti di competenza; costruire una cultura comune per l’interpretazione dei casi;
produrre delle regole condivise sulle metodologie d’intervento. Un luogo che rappresenti un’estensione
tecnica del lavoro e valorizzi le intese già raggiunte all’interno della rete.
QUANTE E QUALI ATTIVITA’ DEVONO ESSERE PREVISTE PER LA GESTIONE INTEGRATA DI UNA RETE?
Anche in questo caso non c’è un modello organizzativo ottimale da applicare a tutte le realtà. La soluzione
adatta al contesto specifico va cercata usando le potenzialità già espresse nella storia locale e rispondendo
alle esigenze di scambio segnalate dai legami informali. Anche una rete, deve produrre interventi integrati,
riuscire a governare tutti quei fattori di incertezza che rendono confusivo e precario il lavoro sociale:
1. Per monitorare il territorio e le esigenze della popolazione, la rete ha bisogno di strumenti di ricerca
(sulla domanda, sull’offerta e sul grado di soddisfazione dei bisogni)
2. per orientare l’utenza nei vari servizi rispettando il target di ognuno, la rete deve darsi dei centri
d’informazione ai cittadini, di segretariato sociale e di marketing dei servizi
3. per coordinare le metodologie e i programmi d’intervento dei diversi servizi, la rete deve prevedere delle
unità di valutazione integrate che non solo concordino i programmi per i singoli utenti, ma decidano a chi
affidare la presa in carico e il compito di seguire il percorso dell’utente da un servizio all’altro (case
management)
4. per reperire risorse spontanee nel territorio e negoziare le risoprse istituzionali, la rete ha bisogno di
promuovere iniziative poilitiche coordinate, evitando la concorrenza impropria e cercando di puntare,
invece, a un’equa redistribuzione.
Queste sono le attività che teoricamente, dovrebbero essere previste, coordinate e gestite insieme dai
servizi in rete; nella realtà invece, si presentano le soluzioni piu diverse, come ad es. le sovrapposizioni.
In questi anni sono in corso esperimenti istituzionali per risolvere un dilemma organizzativo:
- Da un lato, dotare il territorio sovra comunale di un ente gestore con personale, bilancio e spesso
organizzativo adeguato alle necessità dei servizi alla persona;
- Dall’altro lato, valorizzare la funzione del Comune anche piccolo, come prima istanza a cui il cittadino si
rivolge per ogni necessità e istituzione elettiva che risponde direttamente ai cittadini dell’uso delle risorse.
Questo dilemma è stato affrontato cercando IL GIUSTO EQUILIBRIO tra responsabilità politica del singolo
Comune e responsabilità gestionale dell’ente sovra comunale tramite ad es. consorzi di Comuni, zona
sociale, azienda speciale. Queste ed altre formule giuridiche che si potranno inventare in futuro cercano di
tenere distinte le decisioni che riguardano le strategie sociali (programmazione di lungo periodo) e le
decisioni che attengono alla gestione ordinaria. Le prime vengono affidate ad organismi politici (assemblea
dei sindaci) le secondo a organismi tecnici.
Quanto coordinamento è richiesto, sul piano tecnico, per far funzionare la rete: se ci deve essere, cioè,
un’intensa e frequente attività in comune, o è sufficiente un coordinamento lasco e a distanza. Il grado di
integrazione dipende dalle problematiche trattate dai servizi in rete e le metodologie d’intervento che
determinano quanto gli operatori devono coordinarsi tra loro. Un es. di ciò p dimostrato da due diverse
situazioni:
RETE FORTEMENTE GOVERNATA presente nel Dipartimento di salute mentale:
l’insieme dei servizi di salute mentale che operano nello stesso territorio (distretto) offre un ottimo
esempio di una rete che deve raggiungere una forte integrazione: infatti, in tutte le Regioni italinae il
dipartimento è ormai previsto dalle normative del settore. L’organizzazione dipartimentale prevede un
unico responsabile a capo di tutti i servizi della rete e l’appartenenza di tutti gli operatori a un unico
organico, anche se dislocati in servizi diversi. Il dipartimento di salute mentale si compone di servizi diurni e
residenziali.
- Il servizio di diagnosi e cura interviene su patologie gravi e in fase acuta ed accoglie quei trattamenti sanitari
obbligatori che si impongono quando l’utente non è in grado di volere o di contrattare la propria salute.
- L’ambulatorio è il luogo aperto e destrutturato dove si puo accedere in alcuni casi anche senza
appuntamento e per qualunque tipo di consulenza comprese alcune psicoterapie
- Il centro diurno è più strutturato e accoglie un numero stabile di utenti per delle attività programmate che
occupano una parte rilevante della giornata
- La visita domiciliare: è un’attività integrativa (talvolta preventiva) che, di norma, serve a rafforzare
l’efficacia delle attività svolte negli altri servizi
- La casa famiglia è il luogo di vita per chi ha perso la famiglia naturale ed essendo sufficientemente
autonomo puo essere aiutato a ricostruirla con altre persone nella sua condizione
- La comunità terapeutica è un setting deputato alla cura di pochi pazienti , con problemi relativamente
simili, che richiedono una dedizione affettiva e terapeutica incessante, giorno e notte.
- La comunità alloggio, infine, serve a persone con poca autonomia e per le quali il programma di
riabilitazione ha tempo lunghi, talvolta indefiniti. Vi è dunque una specificità funzionale che distingue ogni
struttura organizzativa.
Il programma di intervento personalizzato in alcuni casi utilizza, un unico servizio, ma piu spesso richiede un
mix di servizi, con il passaggio frequente dall’uno all’altro. Gli operatori devono essere tutti al corrente di
cosa succede in ciascun servizio, se vogliono coordinare le attività svolte per la stessa persona. Prima
ancora, devono rifarsi a una cultura comune per valutare i nuovi casi che accedono al servizio, per
formulare un programma e per valutarlo nel tempo. La presa in carico è un’esigenza molto forte quando si
lavora con malati di mente, perché solo la progettualità e la comunità nel lungo periodo possono alleviare
alcune sofferenze distruttive della psiche. L’abbandono della persona e della sua famiglia alle dinamiche
spontanee non è terapeutico, ma è cosi doloroso che le associazioni dei familiari, in situazioni estreme,
sono arrivate a rimpiangere la custodia istituzionale. Il modello territoriale è, dunque, vincente rispetto al
manicomio, a condizione, però, che raggiunga lo stesso livello di presa in carico, finalizzato non al semplice
contenimento, mma all’evoluzione dello stato di sofferenza.
Tutto cio ha portato i servizi della salute mentale ad elaborare una cultura di settore: un linguaggio comune
e dei criteri molto elaborati per decidere l’accesso, la valutazione, la diagnosi (x la quale esistono da
decenni delle classificazioni internazionali), la progettazione e la presa in carico. Lo sforzo di integrazione
non impedisce che vi siano dei conflitti di competenza tra un servizio e l’altro , gelosie e incomprensioni tra
professioni e che il meta-servizio rappresenti piu un’esigenza che una realtà compiuta. Ma, quando c’è e
funziona, molti sono i compiti che assolve il dipartimento, inteso come servizio ai servizi, luogo deputato
alla progettualità e alla integrazione del lavoro. Esso deve occuparsi di almeno 5 problemi:
1) intese con i servizi confinanti con la salute mentale, per definire i criteri di invio al dipartimento, per
sviluppare attività preventive e per seguire i casi multiproblematici
2) formazione interna dei professionisti, per uniformare i criteri diagnostici e operativi
3) divisione dei compiti tra servizi e operatori, per garantire una chiara identità a ciascuno, condizione
indispensabile per una collaborazione efficace.
4) attribuzione di responsabilità sui singoli casi , per assegnare utenti e operatori secondo priorità
concordate (carichi di lavoro, competenze)
5) contrattazione delle risorse in sede politica e amministrativa, secondo esigenze che scaturiscono dai
programmi di lavoro complessivi (cioe di dipartimento e non dei singoli servizi).

Tutte queste attività rientrano nei compiti di molti e non sono di nessun servizio specifico: sono appunto del
dipartimento. Quanto piu queste attività sono note e visibili, tanto maggiore sarà tra gli operatori il senso di
appartenenza ad una rete forte e coesa.

7.8 RETE DEBOLMENTE GOVERNATA nel caso di interventi rivolti ai giovani


Da alcuni anni si vanno moltiplicando interventi rivolti ai giovani, adolescenti e preadolescenti, con intenti
diversi. Prevenzione del disagio è l’espressione che spesso viene impiegata per indicare un obiettivo molto
generale, che solo in senso lato accomuna la creazione di centri educativi, la nascita di associazioni culturali,
il finanziamento di progetti a sostegno delle libere iniziative che i giovani stessi inventano nel campo della
musica e dello sport, oppure a sostegno di piccole imprese finalizzate a dare un’occupazione utile e
formativa.
Che cosa hanno in comune quest’insieme di risorse, pubbliche o private, sostenute da finanziamenti ad hoc
e autofinanziate, progettate dall’alto e autogestite? E qual è il tipo di coordinamento di cui hanno bisogno?
Tali interventi hanno in comune la clientela: i giovani. Qualche volta gli stessi giovani frequentano e
utilizzano piu risorse oppure possono essere attratti da una sola esperienza e a quella dedicarsi anima e
corpo. Maggiore è la differenziazione dell’offerta, la capacità di ogni centro di andare incontro a un bisogno
particolare, piu ampia sarà la possibilità di scegliere per i singoli. La differenza fondamentale rispetto alla
salute mentale è che qui non si ipotizzaq una vera e propria presa in carico, forte e di lungo periodo. Il
progetto che guida l’ingresso in un centro, piuttosto che in un altro, appartiene al giovane stesso e non è
elaborato da professionisti. Compito degli educatori (quando ci sono,perhcè non tutte le attività citate sono
gestite da operatori) è di aiutare il giovane a scoprire da solo le proprie inclinazioni e di metterle al servizio
di un progetto evolutivo. E’ escluso, tuttavia, un intento propriamente terapeutico. Nonostante la presenza
di soggetti critici non dovrebbe caratterizzare i centri(infatti il loro prestigio dipende principalmente
nell’apertura ai giovani di tutti i tipi e con esigenze comuni), in alcuni casi, l’accesso ad esperienze
associative fa parte di un programma di riabilitazione. Si tratta allora, di un ragazzo non genericamente
critico ma, con problemi rilevanti, trascorsi penali, insufficienze gravi che, per questi motivi, è seguito da un
operatare sociale. In questo caso, l’inserimento del ragazzo nei gruppi giocanili è previsto e monitorato da
qualcuno che ha già preso in carico il soggetto difficile, qualcuno,cioè , che cercherà di entrare in contatto
con i leader o con gli operatori dei centri, per segnalare il suo problema ed, eventualmente costruire
insieme una strategia educativa.
In questo settore di intervento ogni nodo della rete ha bisogno di un’ampia autonomia operativa e il
sostegno pubblico deve evitare di sostituirsi all’iniziativa dei gruppi e alle libere attività che i giovani stessi
sono in grado di promuovere. Anche un eccesso di protezione finanziaria puo creare dipendenza dall’ente
pubblico e produrre legami clientelari, la dove, invece, i giovani dovrebbero sperimentare la capacità di
autogestirsi. Cio non toglie che vi sia un ‘esigenza di coordinamento anche all’interno di una simile rete,
esigenza che intreressa xo, aspetti in parte diversi da quelli che devono essere affrontati nel dipartimento di
salute mentale. La questione centrale è capire se i vari centri che operano nello stesso territorio debbano
differenziarsi in base a una divisione funzionale dei compiti oppure no. La scelta piu appropriata in questo
campo è la seconda, infatti, è essenziale l’autonomia propositiva dei giovani, evitando cosi di sovrapporgli
una logica di piano che riguardi la specificità funzionale di ogni centro. Inoltre bisogna individuare le
funzioni di governo della rete che agevolino lo sviluppo dei singoli nodi, anche senza costruire un piano
preordinato. Il meta servizio di cui hanno bisogno questi centri, dovrà occuparsi di:
1. svolgere ricerche sui bisogni dei giovani nel territorio specifico in cui operano i centri, affinchè ciascuno
possa adeguare l’offerta alla luce di dati aggiornati (ricerche sul mercato di riferimento che, perà, sono
importanti solo se il territorio è vasto e disomogeneo; nelle realtà minori, i bisogni dei giovani e le loro
condizioni sociali sono note e, semmai, puo servire uno stimolo per interpretarle)
2. Offrire un centro di informazione imparziale ai giovani che cercano punti di aggregazione e diffondere le
notizie riguardanti le attività dei centri, sia nei luoghi frequentati dai giovani, che nei servizi pubblici (anche
questa funzione però, interessa soprattutto i grandi centri, mentre nelle piccole realtà le notizie circolano
spontaneamente)
3. organizzare momenti formativi per i promotori, operatori e leader locali, includendo momenti di
confronto con altre realtà nazionali (spesso, le associazioni sono affiliate o si confrontano con circuiti
nazionali; tuttavia, non bisogna sottovalutare il fatto che l’isolamento pesa in questo campo e puo
costruire un freno al suo sviluppo)
4. consentire a tutte le inziative di partecipare in modo paritetico alla contrattazione delle risorse
pubbliche, creando un tavolo negoziale, o consulta, ampiamente rappresentativo, per il dialogo tra queste
realtà sociali e le istituzioni

A chi devono essere affidati tutti questi meta-servizi? Bisognerebbe privilegiare le spinte autogestioni are
evitando di inserire degli operatori esterni e sovrapporre logiche burocratiche, quando non è richiesto. E’
stato osservato che le reti a legami deboli come questa abbiano dei vantaggi che mancano a quelle piu
compatte e strutturate come i dipartimenti. In particolare, ogni nodo della rete deve verificare da solo
l’utilità della sua esistenza: pertanto, si adatta e si modifica, secondo l’evolvere della realtà sociale. Inoltre,
l’insuccesso o la disfunzione di un nodo non incide direttamente sugli altril. Infine, la plurtalitràa culturale,
la varietà di storie, linguaggio e di orientamenti nn sono una risorsa a doppio taglio e ambigua, come nei
sistemi in cerca di coerenza interna, ma sono una risorsa e basta.
In queste reti, dunque, i costi del coordinamento sono ridotti e lo sforzo maggiore consiste nel fornire
appoggi indiretti, utili ma non soffocanti, alle spinte organizzative spontanee.
Nella salute mentale, invece, i costi del coordinamento sono molto alti xk analoghe spinte autonome (forti
e diverse) devono essere ricondotte ad una sintesi organica. Tuttavia,si è anche visto come, in questo caso,
venga in aiuto un contenitore organizzativo che è dato dalla struttura dipartimentale. Nel caso in cui essa
non vi è (situazione frequente nei servizi territoriali) bisogna esercitarsi per mettere a fuoco i probkemi
specifici di un coordinamento di rete, senza rete.

7.9 un es. crititco


Consideriamo i servizi per i disabili. L’integgrazione della rete è necessaria xk la perosna disabile e i suoi
familiari, sin dal primo insorgere del problema, chiedopno di avere info precise e non discordanti, di sapere
qual è il futuro che si dispiega davanti a loro, di cogliere un orizzonte e soprattutto di ptoer segguire un
progetto di lungo periodo, che non si interrompa a ogni passaggio da un servizio all’altro e che non dipenda
dalle scadenze temporali delle burocrazie. Ma queste esigenze sono tutto il contrario di cio che avviene
nella realtà. Alla nascita del bambino essi possono incotrare in ospedale, un medico che propone loro una
diagnosi e che in seguito verrà sconfessata o piu volte riformulata da professionisti diversi. Nessuno si
prendera in carico il prblema , con loro, in modo globale; perciò , cercheranno da soli di darsi un
programma e di adattarlo, per tentativi ed errori, all’evolvere della situazione, con la crescita del ragazzo,
verso i 18 anni, si accorgeranno che gli aiuti al loro figlio, proprio nel momento in cui loro stanno
invecchiando ed p iumpo creare le condizioni per un’autonomia esistenziale, diminuiranno sensibilmente e
tenderanno a scomparire. E’ un sintomo del disordine che regna nella rete dei serviiz nel settore
dell’handicap. In particolare, confrontando la storia di questo settore con quella della salute mentale, si
osserva che:
- La cultura di settore non ha raggiunto una maturità tale da consentire un approccio comune al problema,
mancano concetti e linguaggio sui cui possano convergere la maggior parte degli operatori; non è stata
concordata una classificazione diagnostica e non c’è una metodologia unificata per elaborare una prognosi
e un prgramma di intervento
- I servizi che devono essere coinvolti nel programma e, dunque, gli operatori che appertangono a istituzioni
diverse
- Le norme in materia segmentano i disabili in base a diverse categorie, certificate da commissioni
burocratiche poco permeabili al dibattito scientifico in corso; i servizi per i disabili da 0 a 18 anni sono
organizzati nelle asl in comparti diversi dai servizi per disabili adulti.
Questi 3 elementi rendono evidente come sia difficile adottare un modello organizzativo dipartimentale.
Allo stato attuale dei servizi, la scelta tra istituzione e inserimento nella vita normale pesa quasi
interamente sulle spalle dei genitori e del soggetto disabile ed è tanto piu coraggiosa ed umanamente
costosa, quanto meno appoggi trova nei servizi . si comprende allora, come, nel settore dell’hjandicap,
siano nate nel tempo molte associazioni di familiari e disabi8lim chge si sono date non solo il compito di
sollecitare l’intervento pubblico ma anche quello di erogarlo in proprio offrendo una presa in carico per
tutta la vita del soggetto handicappato. In tal modo le associazioni dei familiari hanno costruito una
struttura dell’offerta di tipo dipartimentale, cercando di risolvere in proprio tutta la gamma dei bisogni,
evitando ove possibile, l’intreccio con il settore pubblico. Questa strategia purtroppo pero incontra un
limite evidente rispetto a quei bisogni di integrazione che implicano il coinvolgimento delle realtà sociali e
delle istituzioni previste per i cittadini normali: la scuola, i centri sportivi, i luoghi di lavoro etc. Una scelta
autarchica troppo spinta da parte delle associazioni porterebbe inevitabilmente a ricreare un ghetto per il
disabile, anche se fosse un ghetto di qualità. Le tendenze piu recenti del nuovo associazionismo hanno
avvertito questo pericolo e stanno correggendo la vecchia strategia: oggi sono in prima fila nel promuovere
la collaborazione con tutte le realtà sociali e dare impulso a progetti che coivolgano istituizioni diverse.

CAPITOLO 8: MATRICE ORGANIZZATIVA


Esiste una difficoltà di fondo che appesantisce il lavoro dell’operatore sociale che deriva dal rapporto con
l’organizzazione. Questa difficoltà sta nel fatto che l’organizzazione determina un lavoro definito in base ad
un posto preciso di lavoro attribuito dall’organizzazione a un lavoro per progetti, auto programmato e dai
confini indefiniti. Il posto di lavoro presenta vincoli più costrittivi ma, facilita una visione materiale
dell’organizzazione, mentre, il lavoro per progetti offre gradi di libertà maggiori ma, rende piu astratta e
invisibile l’organizzazione che c’è dietro.
Non tutto il lavoro sociale presenta questo problema nella stessa misura. Nei servizi territoriali ci sono dei
posti di tipo tradizionale dove non si lavora per progetti e dove le attività sono rutinarie: l’amministrativo,
l’infermiere che fa solo prelievi e così via. Tuttavia, essi non sono molti. Nella maggioranza dei casi, il ruolo
di un operatore si compone di una pluralità di progetti che egli svolge in parte dentro il servizio e in parte
con altre persone, istituzioni o servizi esterni. Per rappresentare a se stesso il proprio ruolo, l’operatore
deve, allora, ricostruire mentalmente 3 processi di lavoro:
- Quello del progetto o dei progetti per l’utente, se l’operatore ha impegni multipli;
- Quello del servizio a cui appartiene;
- Quello di tutti i servizi con cui è collegato per attività o progetti in comune.
8.1.Organizzazione sfuggente
L’organizzazione del lavoro è difficile da capire perché si articola su tutti e tre i piani; essa è anche
immateriale perché manca di un contenitore fisico, dove il lavoro comincia e finisce. Si allarga ben oltre le
mura del servizio e le funzioni svolte non sono ben delimitate da stanze con la targa e il nome in vista. Nelle
organizzazioni tradizionali tutto è piu chiaro, ogni stanzone ha una targa che identifica il lavoro che si
svolge al suo interno. Nei servizi territoriali la rappresentazione del lavoro non dispone di una scena
altrettanto esplicita: è frequente che funzioni distinte si svolgano nello stesso tempo, a opera degli stessi
protagonisti, accavallandosi negli stessi luoghi. Ad es. un operatore, mentre sta seguendo un caso
multiproblematico, puo contemporaneamente produrre delle innovazioni metodologiche, accumulare
informazioni per il servizio e attivare dei rapporti di rete. In questo modo anche se la sua attenzione è
concentrata sui singoli progetti, sta costruendo, di fatto, 3 elementi organizzativi che si pongono su
altrettanti livelli: il ruolo, il servizio, la rete. Il ruolo è l’elemento piu facile da riconoscere perché basta
elencare tutte le attività o i progetti che in un dato momento sono affidati e svolti dalla stessa persona. Ma
quali siano i confini del servizio è già piu difficile da capire, perché non tutte le attività promosse all’interno
del servizio cominciano e finiscono lì dentro. C’è una coincidenza solo approssimativa tra struttura e
funzioni: alcune funzioni, infatti, si prolungano fuori dal servizio e all’interno della rete. Per questo motivo
la percezione del ruolo, del servizio e della rete presentano delle difficoltà comuni: il ruolo agito daun
professionista del sociale puo essere assai diverso da quello previsto dal contratto e dal mansionario e puo
discostarsi anche dal modo in cui lo intende e lo agisce un collega accanto a lui. Le funzioni svolte dal
servizio, inoltre, coincidono solo in parte con la struttura formale. La rete, infine, è quasi sempre piu
virtuale che realmente operante e formalizzata. I servizi territoriali dunque, sono organizzazioni instabili
perché poco codificate, sono ambivalenti per l’intreccio continuo tra l’organizzazione pensata e quella agita
e sono articolate su diversi piani: il progetto, il ruolo, il servizio e la rete. Tutto ciò rende difficile conosceree
riconoscersi in un disegno organizzativo.

8.2. Senso di appartenenza


Non basta essere collocati in e ricevere lo stipendio da una determinata organizzazione per riconoscersi
pienamente in essa. Aderire a un’organizzazione non discende da un atto burocratico (che tuttavia non
manca di significato); richiede anche la maturazione di una cultura: l’esperienza quotidiana, i riti collettivi, il
linguaggio condiviso sono indispensabili per entrare a farne parte. Questa iniziazione puo avvenire in modo
piu o meno facile e rapido quanto piu semplici e chiari sono i confini e i contenuti dell’organizzazione
stessa. Fino a quando gli operatori occupano la maggior parte del tempo all’interno di un unico servizio e gli
scambi con l’esterno sono ridotti, tutto ci puo essere garantito dal servizio stesso. quando invece, l’attività
dell’operatore lo porta a uscire spesso, anche fisicamente, dal servizio e a transitare all’interno di una vasta
rete di servizi dove l’operatore intreccia relazioni multiple, il servizio in cui è formalmente incardinato
finisce per rappresentare un riferimento piuttosto debole. Il luogo simbolico e organizzativo in cui
confluisce il suo lavoro è il gruppo con cui sta lavorando,al gruppo di progetto chiede aiuto nei momenti
critici. Alla luce di tutto cio è chiaro che siamo difronte a un passaggio cruciale per la maturazione dei servizi
territoriali che a sua volta richiede agli operatori una notevole maturità professionale. Infatti, è chiaro che è
piu facile agire in un servizio ben individuato che delimita spazi e tempi el lavoro, con muri e porte di
accesso, orari e appuntamenti predefiniti. Piu difficle, invece, seguire piu progetti alla volta, in cui lavorano
persone e confluiscono istituzioni diverse, ciascuna con ritmi di crescita e intoppi variabili e dover
ricostruire ogni settimana un’agenda che renda compatibile tutto cio, senza perdere di vista le priorità. Ma ,
per quanto difficile,è l’evoluzione a cui tende un sistema centrato sul lavoro per progetti.
Il disegno organizzativo aiuta gli operatori a vedere e a governare tale complessità, infatti, quando il
coordinamento funzionale non è aiutato dal contenitore dipartimento, bisogna costruire un disegno
organizzativo che preveda altri contenitori che aiutino gli operatori ariconoscersi in un progetto comune.

8.3. La matrice
Il Sistema di rete comporta che su un obiettivo complesso convergano diversi operatori che afferiscono a
diversi enti, ognuno dei quali da solo non andrebbe da nessuna parte. Una modalità di lavorare per progetti
è usare la matrice. Essa consiste nel fari si che si schematizzi rispetto ad un progetto da realizzare,
l’intervento e l’azione di operatori competenti in quel progetto. Ne fa parte anche il tirocinante che è impo
ed ha una parte nel servizio. I diversi progetti possono essere avviati contemporaneamente rispetto a
determinati obiettivi che si prefiggono di raggiungere. (si legge a colonne, in orizzontale). Si tratta di uno
schema semplice tramite cui si comprende chi sono i soggetti che partecipano a quel progetto cosi da
vedere in un’ottica organizzativa cosa l’ente si propone di raggiungere e con quali professionisti . Da essa si
desumono quindi i centri di responsabilità. In realtà la usano solo alcuni operatori xk: il lavoro sociale logora
quindi porta coloro i quali lavorano a dimenticarsi di riflettere su di se (dato che la matrice serve anche a
questo mostrando il carico del lavoro) dato che il lavoro sociale riempie molto spazio quindi talvolta è
difficile crearsi uno spazio mentale utile alla riflessione su di sé, sul proprio lavoro, sul lavoro svolto nel
servizio. Un’organizzazione a matrice permette una distribuzione degli operatori in piu gruppi di lavoro,
ciascuno dei quali puo essere composto anche da persone che dipendono gerarchicamente da aree o
strutture diverse. Una matrice semoplice prevede che un operatore partecipi ad un solo progetto alla volta,
ma i casi piu frequenti sono dati da matrici multiple perché, in genere, questo tipo di organizzazione viene
adottato proprio per consentire ai professionisti di seguire più progetti contemporaneamente. L’uso della
matrice da parte di tutti i servizi territoriali determina il passaggio da un piccolo sistema (il servizio) ad un
sistema molto piu grande che appunto puo includere tutti i servizi del territorio. Chiaramente sarà
necessario allargare la matrice: in verticale, l’elenco degli operatori si allunga enormemente per
rappresentare tutti gli operatori della rete che collaborano a qualche progetto comune; allo stessso modo,
in orizzontale, anche l’elenco dei progetti deve comprendere tutti quelli che, di fatto , vengono svolti nel
territorio. Una buona descrizione della rete dovrebbe includere non solo gli operatori pubblici, ma anc ei
volontari, le cooperative, le associazioni e quanti, di fatto, contribnuicsono con una certa continuità (nn solo
occasionalmente) alla riuscita di un intervento. Per delimitare in senso organizzativo il disegno della matrice
si individuano solo i progetti che appartengono alla stessa area di intervento (salute mentale, giovani,
anziani). Il senso della rete è, infatti, nel beneficio che possono trovare i servizi e le attività sociali nel
coordinarsi a un livello piu alto rispetto a quello del servizio. E’ evidente che cercheranno di mettere in
comune le risorse quei servizi che hanno un contenuto di lavoro affine.
UTILITA’DELLA MATRICE
Essa è molto utile sotto diversi punti di vista:
- Permette di completare l’immagine che un operatore si fa del proprio lavoro, vedendo quali sono i confini
rispetto al servizio e alla rete,ma,l’operatore può anche fare il confronto tra il proprio ruolo e quello degli
altri. Inoltre spesso alcune figure professionali che dentro il servizio sembrano le meno importanti, viste in
una prospettiva di rete, appaiono piu significative xk molte attività le svolgono fuori, con operatori di altri
ambienti o istituizioni. Si scopre cosi che il loro ruolo di collegamento nel territorio è strategico per la
riuscita delle attività interne al servizio.
- L’operatore grazie alla matrice puo identificarsi con un numero limitato di progetti, pur mantenendo un
senso di appartenenza al servizio e alla rete. Facilita la programmazione del lavoro quotidiano, orientandolo
verso il risultato a cui tendono i progetti.
- La rete emerge come organizzazione virtuale, dotata di risorse che si tratta di distribuire meglio,
formalizzando dei gruppi di lavoro interservizi che, in qualche misura gia esistono. Quindi sia la matrice del
servizio che la rete sono degli strumenti che rendono possibile il progetto.
- Il responsabile del servizio puo rendersi conto se i carichi di lavoro sono ben distribuiti e se c’è un equilibrio.
Può, inoltre, esercitare meglio il suo compito che è quello di attribuire, di volta in volta, le risorse umane piu
adatte ai nuovi progetti e di designare i coordinatori di progetto
- Ogni operatore puo riconoscere quali sono le sue responsabilità e a chi deve rispondere dell’andamento del
lavoro per ogni progetto.

Questi ultimi due punti relativi ai carichi di lavoro e responsabilità, perché essi presentano degli aspetti
nuovi, quando si passa da un’organizzazione semplice a un’organizzazione a matrice. I problemi possono
essere cosi enunciati:
- A chi attribuire un ruolo di responsabilità nel gruppo misto, dal momento che i membri del gruppo
mantengono la loro dipendenza gerarchica da strutture diverse
- Come permettere ai partecipanti del gruppo di maturare un senso di appartenenza al servizio e di fedeltà al
progetto, se il loro lavoro è distribuito su tanti progetti,

Nelle organizzazioni a matrice si vengono a determinare degli incontri multipli nelle linee di autorità e di
appartenenza, che richiedono nuove regole basate sulla priorità degli obiettivi da conseguire. In primo
luogo, nel momento in cui un operatore viene attribuito ad un gruppo di progetto, si trova sottoposto a una
linea di autorità nuova. Per cio che riguarda il suo lavoro finalizzato al progetto ( e solo per quello), egli non
risponde piu al suo superiore gerarchico (il responsabile di area), bensì al responsabile del gruppo. Inoltre, il
principio che legittima il ruolo di responsabile nel gruppo non va cercato nel livello gerarchico, bensì nelle
competenze tecniche di cui disponde rispetto al contenuto del progetto.
Cambiano cosi le logiche organizzative tradizionali e i comportamenti dei singoli devono adeguarsi di
conseguenza: i ritmi, l’agenda, la fedeltà professionale dovranno essere fortemente orientati al risultato
collettivo. Per questo il gruppo intersettoriale deve individuare uno scopo ben comprensibile e condiviso
dai partecipanti. Se l’operatore partecipa a piu gruppi, non deve perdere di vista l’equilibrio tra progetti,
evitando di affezionarsi solo a quelli dove si lavora meglio e dove c’è un buon clima. Deve tener presenti
anche i progetti fastidiosi ma indispensabili, o difficili ma strategici. Ecco, allora, che non basta la fedeltà al
singolo progetto; serve, invece, una comprensione strategica delle finalità e degli interventi complessivi sia
del servizio che della rete. Rispetto a queste regole nuove, i servizi territoriali presentano dei punti di forza
e di debolezza. Un punto di forza è costituito dal carattere professionale del lavoro e dall’orientamento al
cliente proprio degli operatori socio-sanitari; mentre un punto di debolezza è dato dalla cultura burocratica
prevalente nelle organizzazioni pubbliche da cui essi dipendono (concezione della gerarchia, rigidità
contrattuale etc).

8.5 Asl e distretti


Il disegno organizzativo delle Asl potrebbe somigliare ad una matrice infatti, da un lato vi è un’articolazione
per servizi di Asl (medicina di base, materno- infanitle, servizi extraospedalieri), dall’altro le attività di tutti
questi servizi sono articolate per aree territoriali nei distretti. Gli operatori quindi lavorano su due
dimensioni con una responsabilità e una dipendenza funzionale incrociata. Nonostante ciò, il disegno ‘a
matrice’ è stato fatto secondo logiche burocratiche quindi il risultato è che è stato realizzato un servizio che
include al suo interno attività e settori troppo ampi e che quindi non possono collaborare verso un progetto
finalizzato. Esempio emblematico ne è il servizio materno-infantile che contiene un insieme variegato di
sotto progetti e sotto servizi: il consultorio, i centri di riabilitazione per i disabili, le equipe per l’inserimento
scolastico, professionale e lavorativo, le attività di prevenzione e altro ancora. Quindi si chiama servizio ma
di fatto è un settore molto ampio, che dal punto di vista dei risultati per l’utente ne contiene almeno due: il
settore disabili e il settore coppia e procreazione.
Dovendo sviluppare una buona integrazione tra cultura per l’intervento ai disabili e quello per la creazione,
bisogna pensare un intreccio a matrice tra questi due aspetti e costruire dei programmi di lavoro comuni,
cioe dei gruppi per progetti. Ma, se questo insieme di servizi si articola, a sua volta, in 3 o 4 dipartimenti, la
matrice diventa a 3 dimensioni. Bisogna prevedere gruppi di progetto zonali che si ricompongono a livello di
Asl. Tutto ciò comporta, indubbiamente, un sovraccarico di complessità nella direzione e nel
coordinamento (numero di riunioni), mentre diminuisce in proporzione la possibilità per gli operato ridi
cogliere con chiarezza il disegno organizzativo e di identificarsi con esso.
Inoltre, la linea dell’autorità che coordina il gruppo, deve a fatica legittimarsi per riconquistare terreno
rispetto alla dipendenza burocratica dalla struttura. Le carriere si fanno conquistando avanzamenti di grado
dentro la struttura, anch’essi attribuiti con criteri formali. I meriti conquistati nel gruppo di lavoro, le
capacità dimostrate con i risultati raggiunti collettivamente non hanno peso nello sviluppo professionale. 
e’ evidente come tutto ciò è incoerente con la cultura delle organizzazioni a matrice, dove è necessario far
prevalere regole nuove e opposte a quelle delle burocrazie pubbliche. La cultura professionale degli
operatori sociali non puo entrare in tensione con questi elementi contraddittori e sono gli esperimenti
innovativi che ne soffrono maggiormente.

8.6. Struttura e cultura


Da quanto detto prima emerge quindi una grande differenza tra disegno organizzativo e comportamenti
reali. In un primo momento, l’accorpamento in unico gestore (l’Asl) dei servizi sanitari e di quelli sociali
tradizionalmente gestiti dai Comuni sembrava essere risolutivo del problema del coordinamento tra servizi
territoriali. In realtà però nonostante l’appartenenza ad un’unica struttura è un fattore facilitante, è
risultato perà insufficiente, da solo, a risolvere i problemi di funzionalità e integrazione. Non è stato
investito abbastanza sulla cultura organizzativa ovvero su un sistema di appartenenza e di elaborazione
culturale che permettesse agli operatori di comportarsi e di agire in modo integrato. Non basta disegnare
una struttura integrata perché essa funzioni come un insieme coerente, soprattutto quando si tratta di
grandi strutture. Al fine di ottenere un’efficiente coordinamento tra gli operatori sarebbe stato utile
predisporre delle unità minori che dessero senso e continuità al lavoro dei singoli (i progetti, le aziende) e,
al tempo stesso avrebbero reso gestibili quelle tecniche di integrazione funzionale che, trattandosi di
professionisti, si basano, prevalentemente, su rapporti faccia a faccia e in piccoli gruppi. Bisogna trovare
delle soluzioni semplici, comprensibili e gestibili. Le Regioni e le Asl hanno tentato varie soluzioni, la loro
dimensione territoriale è stata più volte ridefinita e, gli stessi distretti sono stati costruiti e poi smontanti
diverse volte. Tutto ciò senza tenere conto del fatto che ogni trasloco organizzativo implica un notevole
spostamento per gli abitanti. Inoltre per gli stessi operatori ha determinato uno ‘stress da adattamento’,
dovuto all’impossibilità di seguire il ritmo delle istituzioni e di aderire internamente ad una struttura che
cambiava, prima ancora di essere vissuta. Si è prodotta una generica sfiducia verso tutto ciò che riguarda
l’organizzazione. Si è prodotta cosi una controtendenza antisistema, i servizi tendono a rinchiudersi in se
stessi per salvare la quota di operatività che riescono a garantire in proprio. Lo stesso vale anche per il
singolo professionista, se per qualunque motivo non riesce a ritrovare i legami reticolari che si era costruito
tra i servizi, preferisce fare da solo quel poco che è nelle sue facoltà, piuttosto che restare preda di un
intreccio ingestibile. Nel caso delle organizzazioni, si perde il senso del proprio lavoro, la funzione che il
proprio lavoro svolge per gli altri servizi e per il territorio.
In conclusione, la vicenda delle ASL suggerisce due criteri guida che bisogna tener presente quando si
disegna o ridisegna la struttura di appartenenza dei servizi: l’economicità e la durata. Il principio economico
riassume in sé tutti quei criteri che tendono a semplificare gli incroci a matrice, per evitare una certa
sovrabbondanza di coordinamenti funzionali che impongono agli operatori troppe riunioni per privilegiare i
gruppi intersettoriali che danno luogo a un progetto chiaro, realistico e gestibile dai membri del gruppol. Il
secondo criterio tiene conto del tempo richiesto per rodare una struttura, avviare le intese tra i membri che
l’abitano, trovare il linguaggio con cui intendersi e progettare il lavoro, imparare a intendersi e darsi una
cultura integrata. Nei cambiamenti organizzativi questa dimensione temporale è talmente importante che
non puo essere contrattata per motivi politici o amministrativi esterni alle logiche che si vanno dispiegando
nell’operatività.

8.7 Organici dei gruppi di lavoro


Il coinvolgimento nell’organizzazione da parte dell’operatore dipende da quanto essa risulta funzionale alla
sua crescita. Il gruppo di base a cui un professionista è portato ad affezionarsi, pertanto, in cui puo investire
ed identificarsi, è quello che gli permette di raffinare le proprie metodologie, seguendo:
- Un’area di intervento specifica, lungo tutto il processo di lavoro, dalla presa in carico alla conclusione
dell’intervento (ad esempio, il programma globale di un anziano, di un minore ecc)
- Oppure, un insieme di attività sufficientemente ampio che produca un risultato riconoscibile e valutabile. In
questo caso, l’operatore segue un ‘pezzo’ del programma globale, ad esempio l’assistenza domiciliare
dell’anziano; ma si tratta di un pezzo rilevante, composto di tante attività , che richiede progettazione e
feed-back e da senso all’operatività, nella misura in cui tende a un risultato completo, cioe all’autonomia
dell’anziano nel suo contesto di vita.
Bisogna tener presente che ogni operatore dovrà dividere con gli altri membri dell’èquipe anche una quota
di attività di routine,meno interessanti ma necessarie. Questo per evitare che qualcuno, nell’èquipe, debba
dedicarsi interamente ad esse ed essere, così,confinato in una posizione marginale, in un ruolo bloccato e
privo di sviluppo.
8.8 il problema dell’autorità
Il responsabile del gruppo ha il compito di coordinare il gruppo, dirimere eventuali contrasti, prendere
decisioni impegnative per tutti, rappresentare il gruppo all’esterno e rispondere alle autorità sovraordinate.
Nei servizi territoriali prevale una cultura molto democratica che tende alla massima distribuzione
dell’autorità: il processo decisionale è consensuale; la rappresentatività è molto diffusa; ogni operatore è
autorizzato ad agire in nome del gruppo. Nonostante ciò, è sempre necessaria la figura di un responsabile
che abbia l’autorità, il ruolo e il consenso per decidere e, se necessario, imporsi nel gruppo. Quando il
gruppo è composto da operatori dello stesso servizio, il coordinatore è designato dal responsabile, di solito
tenendo conto dell’anzianità e dell’esperienza; quando si ratta, invece, di un gruppo interrorganizzativo, la
scelta è piu complicata. Serve infatti, non solo una persona competente che gli operatori di un servizio
diverso dal suo siano disposti a rispettare, ma che sia anche collocata all’interno del processo di lavoro, in
posizione tale da poter rispondere dell’esito complessivo del lavoro di gruppo. In posizione centrale,
dunque, e non periferica, con il tempo e la motivazione sufficienti a impegnarlo come garante del successo
collettivo. Purtroppo queste condizioni si danno raramente nella realtà dei servizi.
8.9 Ripensando un caso difficile
Al fine di considerare in modo più analitico le linee di autorità che si possono determinare all’interno di una
matrice complessa, prenderemo l’esempio dei servizi per i disabili.
Nella maggior parte delle realtà locali i servizi per l’handica sono collocati nella struttura più ampia del
Servizio matrerno-infantile (SMI). Essi devono svolgere, contemporaneamente, molte attività: riabilitazione
funzionale, assistenza domiciliare, sostegno psicologico ai familiari, attività ricreative e socializzanti e altro
ancora. Gli operatori di questi servizi collaborano, inoltre, con gli insegnati di sostegno e altri operatori della
scuola (bidelli, presidi, insegnanti), per l’inserimento scolastico. Se si occupano di inserimento lavorativo,
devono coordinarsi con operatori economici di vario tipo:imprenditori pubblici e privati, sindacalisti,
artigiani, operatori del collocamento e cooperative integrate. Infine, spesso si avvalgono del contributo di
cooperative di servizio (per l’assistenza domiciliare, per i soggiorni estivi, per attività di animazione) e di
gruppi di volontariato (per il sostegno ai familiari e per tante altre iniziative).

SERVIZIO GRUPP CENTR GRUPPO GRUPPO GRUPPO SERVIZI


ACCOGLIEN O O INS. INS. SOSTEGN O ASS.
ZA E SEGR. VALUT RIABILI SCOLASTI LAVORATI O DOMIC
SOCIALE AZ T CO VO PSICOL.
ALLA
FAMIGLI
A
ASS. SOCIALE X
ASL
ASS. SOCIALE X X X
COMUNE
NEUROPSICHIAT X X X
RIA INFANTILE
ASL
MEDICO X
SCOLASTICO
PSICOLOGO ASL X X X X
AMMINISTRATIV X
O
INS. DI SOSTEG X X X X
INS. F.P. X
SINDACALISTA X X
ARTIGIANO X
COORD. COOP X X
ASS.DOMICILIAR
E
ASSISTENTE X X
DOMICILIARE
ANIMATORE X X
VOLONTARIO
EDUCATORE X X X
CENTRO DIURNO
TERAPISTA DEL X X X
CENTRO DI
RIABILITAZIONE
Immaginiamo che il resposanbile del SMI o (più verosimilmente) gli stessi operatori dei servizi abbiano
adottato un’organizzazione per gruppi di lavoro che preveda varie unità operative. Se, per alcune, è
possibile ipotizzare una conduzione autogestita, per altre si pone un difficile problema di autorità. Bisogna
adesso vedere, per ogni gruppo, qual è il contenuto del lavoro e quale la sua composizione professionale,
infatti, solo cosi è possibile cogliere se ci sono e come sono risolvibili problemi di autorità.
1. servizio di accoglienza: offre indicazioni agli utenti sui loro diritti, sulle opportunità e sull’orientamento
nella rete dei servizi. Nel servizio lavorano a turno un amministrativo e un a.s. , con contributi a richiesta di
insegnanti per le informazioni sulla scuola, di un sindacalista per quelle sul lavoro e di volontari che
vogliono collaborare. Il gruppo, può coordinarsi anche senza un responsabile formale mediante semplici
passaggi di consegna al cambio di turno.
2. Gruppo di valutazione: è articolato in 2 sottogruppi, uno per i disabili psichici e sensoriali, l’altro per i
disabili fisici. Il compito consiste nel fare una valutazione globale su ogni caso, attivando le consulenze
richieste per quelli piu complessi e nell’elaborare, d’intesa con i genitori, un programma d’intervento
personalizzato da rinnovare ad ogni evento o scelta significativa che richiede un cambiamento di percorso.
Il gruppo sarà composto da professioni diverse, per consentire un’ottica interdisciplinare nella valutazione e
dovrà,al tempo stesso, coinvolgere almeno un rappresentante per ogni gruppo di lavoro che ha
l’opportunità di conoscere il disabile nelle sue manifestazioni quotidiane. Questo per garantire la
completezza dell’informazione e la coerenza metodologica tra i vari aspetti in cui si articola il programma. Il
gruppo sarà, pertanto, composta da un terapista del programma di riabilitazione,da un educatore del
centro diurno, dall’insegnante di sostegno, se il ragazzino va a scuola, da uno psicologo che segue i genitori
o da un assistente domiciliare, da un medico.
Un gruppo così differenziato non può coordinarsi senza un responsabile. Se il gruppo, si troverà di fronte a
decisioni complesse e arrischiate, avrà bisogno di un mediatore tra punti di vista discordanti e anche di un
decisiore, capace di far prevalere gli interessi complessivi del disabile sulle opinioni parziali dei diversi
professionisti. La asl propende sempre per attribuire la responsabilità finale a un medico perché, spesso, ha
il livello di inquadramento piu alto, maggiore esperienza e istruzione. E’ evidente però che non si tratti di
una scelta neutra. Il medico è portatore di una cultura sanitaria, parziale quanto le altre;d’altra parte, in un
gruppo misto cosi composto, gli altri operatori raramente dispongono dell’autorevolezza necessaria per
assumersi una responsabilità globale nei confronti dei genitori, della scuola e di tutte le altre autorità con
cui il gruppo di valutazione ha a che fare. Questo elemento,ma solo questo, sembra giustificare la scelta del
coordinatore medico perché, se ci fosse un educatore o un assistente sociale con notevole esperienza e
riconoscimento nel contesto locale, uno di loro potrebbe essere altrettanto adeguato come coordinatore.
3. centro di riabilitazione: è composto da un medico e da tutti i terapisti della riabilitazione, suddivisi per
gruppi di specializzazione. Il coordinamento potrebbe essere affidato a un terapista, dal momento che le
decisioni complesse riguardanti il programma di intervento sono prese nel gruppo di valutazione, mentre
nel centro si attuano le variazioni di programma ordinarie. Nel centro, inoltre, possono essere attivati dei
momenti di riflessione, di studio e di confronto sulle diverse metodologie della riabilitazione, autogestiti
dagli stessi operatori
4. Gruppo di inserimento scolastico: è composto dal medico scolastico, da insegnanti di sostegno, da
psicologi o educatori e dall’a. domiciliare, che è a contatto tutti i giorni con il ragazzo e con il suo ambiente
familiare. Il coordinamento potrebbe essere affidato ad un operatore qualunque del gruppo poiché non si
tratta di assumere decisioni cruciali per il programma individuale del disabile, quanto, piuttosto, di seguire
la sua evoluzione nel tempo, di registrare i progressi, di confrontare i metodi adottati nell’applicazione del
programma di inserimento per portarli a progressiva maturità. Il gruppo, ad es,potrebbe dotarsi di
strumenti di osservazione del comportamento del ragazzo e\o della classe per cogliere, in un’ottica
interdisciplinare i problemi di integrazione.
5. Gruppo di inserimento lavorativo: è composto da alcuni operatori che seguono i disabili nelle fasi
precedenti (nel centro di riabilitazione e a scuola), da operatori clinici (medici, psicologi) esperti di
valutazione funzionale del disabile e delle sue potenzialità lavorative, da operatori della formazione
professionale,da operatori dei servizi per l’impiego delle cooperative di inserimento ed, eventualmente, da
volontari disponibili all’accompagnamento. In questo caso il coordinamento è doppio; ci vuole un
responsabile dal lato della Asl e un responsabile dal lato del servizio per l’impiego ( il riformato servizio di
collocamento); solo così il gruppo potrà fare da ponte tra il soggetto disabile che cerca il posto adatto alle
sue peculiarità e il soggetto economico (impresa, artigiano, cooperativa, ente pubblico) che cerca il
lavoratore adatto ai suoi piani produttivi
6. Gruppo di sostegno psicologico alla famiglia: è composto, in prevalenza, da psicologi ed educatori che
lavorano anche in altri gruppi. Questo, come il gruppo n. 4, si confronta sui metodi adottati nel corso del
lavoro ed elabora strumenti di osservazione e di verifica. Non si ravvisa un motivo forte che suggerisca di
affidare il coordinamento a un membro particolare del gruppo.
7. servizio di assistenza domiciliare: è dato in gestione ad una cooperativa di servizio. Il coordinamento è
assunto dalla figura che nella cooperativa ha il compito di seguire il lavoro dal punto di vista tecnico
(responsabile o coordinatore di area, se la cooperativa è numerosa e opera in vari settori di intervento.) cio
che va tenuto presente, nel caso di un servizio dato in convenzione, è che necessitano due livelli di
coordinamento; uno interno alla cooperativa per la gestione delle decisioni ordinarie e uno esterno, con il
servizio pubblico, per le decisioni piu rilevanti che portano a un cambiamento di programma (ridurre o
aumentare il numero di ore a domicilio, variare le attività ecc). il responsabile della cooperativa,
partecipando al gruppo n.2 (gruppo di valutazione) potrà riferire e discutere con gli altri operatori le scelte
in proposito.
Complessivamente, dunque, usando un esempio schematico ma complesso, è possibile applicare i criteri
enunciati per la distribuzione del lavoro e delle responsabilità tra operatori e servizi che intendono
coordinarsi in rete e convergere verso un progetto comune. I criteri da tener presente sono:
- Non attribuire a un ruolo solo attività limitate e di cui è difficile controllare l’efficacia (il risultato). Per
questo, nell’esempio, le attività di segretariato sociale sono a part time consentono agli operatori che se ne
occupano di assumere anche altri incarichi piu rilevanti nel lavoro diretto con l’utente
- Gli operatori ce lavorano nei ‘programmi parziali’, qquelli, cioè , per lo sviluppo di una parte del programma
globale, devono essere collegati tra loro partecipando a un gruppo di lavoro che possiamo chiamare ‘unità
di valutazione’ dove hanno la possibilità di ricostruire il senso del proprio intervento rispetto a un quadro
piu generale, nell’es., questo è previsto con il gruppo 2. Se i programmi parziali sono tanti e coinvolgono
molti operatori, come nell’esempio dell’handicap, il problema si complica e i vari gruppi inevitabilmente
tenderanno ad agire in autonomia: ognuno comincerà a vedere solo il proprio programma, ignorando il
lavoro svolto dagli altri, e sarà piu difficile garantire l’unitarietà dell’intervento. Una soluzione
approssimativa si puo trovare facendo in modo che tutti i gruppi partecipino all’unità di valutazione
mediante dei rappresentanti (i coordinatori) i quali porteranno, ciascuno all’interno del proprio gruppo, la
cultura e le decisioni elaborate in quella sede;
- Il coordinamento nel gruppo puo essere affidato a chiunque (l’operatore piu disponibile e volenteroso)
quando si tratta di mettere a confronto metodologie condivise e non si prevedono rilevanti conflitti di
competenze (gruppi di studio, gruppo concorde ecc)
- Ciò non è opportuno quando, invece, il gruppo deve assumere delle decisioni sul programma d’intervento
globale per l’utente e le culture professionali degli operatori interessati possono portare a indicazioni
divergenti (operare o no, mettere una protesi costrittiva o assecondare il rifiuto del siabile, sostenerlo nel
suo ambiente familiare o ricoverarlo in istituto ecc). in questi casi, la scelta del coordinatore richiede 2
qualità: autorevolezza nei confronti delle diverswe agenzie coinvolte e capacità di mantenersi al di sopra
delle parti (disponibilità a svolgere la funzione del semaforo e non quella dell’automobilista).

Spesso nei servizi territoriali, la designazione di un coordinatore che offra tali qualità è un problema
destinato a rimanere irrisolto. Infatti, l’autorevolezza formale è un requisito che, in genere, possiede il
medico primario il quale, però, assume un’ottica sanitaria ben precisa, mentre operatori meno legittimati a
livello gerarchico possono avere le qualità tecniche richieste a un coordinatore super partes.
Il problema non potrà essere adeguamente risolto fino a quando non crescerà una cultura interdisciplinale
tale da imporsi anche nei contratti di lavoro. Solo quando le professioni sociali avranno pari dignità, anche
formale e gerarchica, rispetto a quelle sanitarie, saranno risolvibili alcuni problemi di autorità nelle matrici
organizzative socio-sanitarie.
Allo stato presente è cmq opportuno definire, all’interno della matrice organizzativa, un’equilibrata
distribuzione dell’autorità che permetta agli operatori di riconoscersi in uno o più gruppi, di rispondere a
uno o più responsabili, in un quadro certo e facilmente individuabile. Quando agli operatori è data la
possibilità di appartenere a un’organizzazione dai confini chiari, si creano le condizioni per un investimento
professionale e per la costruzione di quella nuova cultura interdisciplinare che non puo che nascere
dall’operatività.

8.10 Dal fluido al solido


Nonostante l’utilità della matrice, anche se i gruppi progetto sono composti da ottimi professionisti tutti
protesi al risultato comune e affidati alla conduzione di un bravo gestore, i progetti sono sottoposti a
continue incertezze , a intoppi e a interferenze esterne che possono scombinare i migliori propositi. Inoltre,
l’autorità riconosciuta all’interno del gruppo puo trovare resistenze in centri di potere esterni che
disconoscono le finalità del programma. Per tutti questi motivi, un disegno organizzativo che si basa sui
gruppi di lavoro non puo affidare l’implementazione dei progetti solo all’impegno personale degli operatori
che hanno scelto di farne parte. E’ necessario che le linee portanti di questa complessa costruzione
organizzativa si solidifichino e assumano una forma più visibile e impegnativa. Si tratta, cioè, di passare
dalle intese informali, basate sulla adesione culturale, sulla fiducia sull’impegno soggettivo, a intese
formalizzate e scrittem che impegnino ufficialmente l’ente o l’istituzione a cui appartengono gli operatori
per dipendenza gerarchica. In questi anni sono stati inventati vari nomi per indicare il contenitore formale
di tali intese:
- Le intese di programma sono, in genere quelle che stabiliscono enti diversi nel momento in cui danno il via
a un programma di lavoro comune e contengono le linee generali, le finalità e il percorso di massima
- I protocolli di lavoro sono le intese che possono essere stipulate anche da singoli operatori per formalizzare
un accordo su procedure professionali, su modi di lavorare e su regole che ci si è dati per garantire un
centro funzionamento del gruppo
- Le convenzioni sono le intese tra due o più enti che, oltre alle finalità del programma comune e al modo di
operare, includono anche la definizione dei rispettivi diritti e doveri, sia economici che amministrativi.
In tutti e tre i casi, lo scopo sarà quello di garantire che siano inglobati nel testo scritto tutti quei contenuti
che rispondo più da vicino al modo in cui gli attori intendono le finalità, applicano le metodologie e
producono intervento.
Più in generale, si puo sostenere che tutti gli atti amministrativi e legislativi che contengono le regole di
lavoro professionali dovrebbero essere definiti dopo un ampio coinvolgimento dei professionisti interessati
alla loro esecuzione.
Un’organizzazione a matrice richiede molti atti amministrativi di questo tipo per rappresentare un valido e
solido contenitore nei confronti di quel lavoro immateriale, sfuggente e dalle finalità e dai confini incerti
che è il lavoro sociale nella rete dei servizi territoriali.

CAPITOLO 9: LA VALUTAZIONE
Nel lavoro sociale l’operatività da origine ad un’attività riflessiva che avviene spontaneamente, perché
intrinseca al lavoro relazionale. Nonostante ciò l’organizzazione può incentivare questa
riflessione\valutazione. Si tratta di sostenere con strumenti appropriati, favorire all’interno dell’orario di
lavoro e incentivare con adeguate ricompense quella riflessione critica e valutativa che gli operatori sono
spinti a fare per valorizzare il proprio lavoro. E’ importante organizzare la valutazione:
- Aiuta il singolo operatore a reggere le incertezze che affronta quotidianamente, a condividere la
responsabilità di scelte complesse e opinabili in un luogo deputato alla riflessione, allo studio e alla raccolta
sistematica di conoscenze
- Evita che si formino dei meccanismi difensivi nei confronti dello stress e della routine che portano a
impoverire le prestazioni professionali e a disamorarsi del lavor (contrasta il burn out)
- Mette il servizio a riparo dalle disfunzioni che si producono quando la rotazione del personale comporta
una perdita delle esperienze e delle conoscenze possedute dagli operatori che se ne vanno. Infatti,
l’accumulo di un patrimonio culturale collettivo è anche un modo con cui il servizio si crea una storia che
può trasmettere ai nuovi arrivati e che può confrontare con altri servizi
- Infine, pemette un dialogo con l’opinione pubblica, con gli amministratori, con una realtà sociale che è
ancora molto poco informata di ciò che si fa e si realizza nei servizi territoriali.
9.1. Legittimità del modello territoriale
Nonostante il modello territoriale (alternativo a quello ospedaliero e alle grandi istituzioni di ricovero) sta
raccogliendo consenso tra la popolazione e intuitivamente viene percepito come trainante per il futuro dei
servizi, si deve ancora legittimare.
Del retto tutte le organizzazioni, in qualche misura, hanno un problema di credibilità verso i clienti e, piu in
generale nei confronti di coloro che possono influenzare il successo. I servizi alle persone sono sensibili
all’opinione dei cittadini e a quella dei politici; hanno bisogno del sostegno di entrambi. Bisogna quindi
effetturare un lavoro di facciata e linguistico che riguarda sia le metodologie che i problemi su cui
interviene: tipico è cambiare il nome in volgare dell’utente con uno ritenuto più nobile ( da cieco a non
vedente) e arricchire le metodologie con una varietà di espressioni, spesso equivalenti. Il metodo proposto
in questo capitolo per aumentare la credibilità è un altro; esso punta sulla capacità di rendere verificabile
all’osservatore esterno il contenuto e i risultata del lavoro. Dunque, se fino a pochi anni fa i servizi sociali
investivano sull’auto-valutazione a parte di ogni operatore che lavorava all’interno del servizio, oggi, si
avverte l’importanza di un sistema qualità per superare l’autarchia e indurre i servizi sociali a rispondere dei
risultati in modo tangibile, visibile anche ai non addetti ai lavori. Il passaggio dalla valutazione al sistema
qualità mette in moto un processo di democratizzazione, di apertura dei servizi. Inoltre, la verifica della
qualità sta diventando un ingrediente indispensabile per regolare la concorrenza tra i diversi soggetti che
gestiscono servizi. Possiamo dire dunque che occorre che, l’interesse dei professionisti, la loro spinta alla
conoscenza e al controllo dell’operatività vanno sfruttati in senso organizzativo, per costruire il dialogo con
gli altri soggetti che non sono addetti ai lavori in senso stretto, ma hanno un motivo legittimo per giudicare
il servizio.
9.2 Soggetti della valutazione
Si tratta di soggetti potenziali, non sempre presenti e consapevoli del loro ruolo di valutatori. Essi, tuttavia,
detengono un potere che devono imparare a esercitare. La qualità dei servizi migliora quanto più la
valutazione mette in moto un dialogo sostanziale tra : cittadini, amministratori e operatori.
CRITERI SOGGETTI OGGETTO DATI
Incert. Strategica: Operatori, utenti, L’esito dell’intervento La condizione prima e
valutazione di cittadini, politici rispetto ai bisogni e ai dopo l’intervento
efficacia esterna programmi
Incert. Metodologica: operatori Uso adeguato delle La condizione prima e
valutazione di metodologie rispetto dopo l’intervento; le
efficacia interna ai problemi trattati attività programmate
e quelle svolte
Incertezza sulle Amministratori, Uso appropriato delle La condizione prima e
risorse: valutazione di cittadini, operatori risorse rispetto agli dopo l’intervento; le
efficacia-efficienza esiti conseguiti risorse impiegate e il
loro costo economico

Siamo di fronte ad un nuovo protagonismo, i cittadini, che può rompere il discorso autoreferenziale che si
svolge nel chiuso delle riunioni d’èquipe. I cittadini, infatti, poiché sono i destinatari di tutto l’intervento,
vanno messi al vertice della valutazione, nel senso che il loro punto di vista deve rappresentare il criterio
orientativo prioritario al quale occorre subordinare quello dei professionisti e degli amministratori. Nella
realtà, il cittadino si presenta con interessi contraddittori e sfaccettati, si esprime in modo diretto, il suo
giudizio richiede un’opera di interpretazione. Basti pensare al modo diverso di valutare la qualità
dell’inserimento a scuola di un disabile, ad es., da parte degli insegnanti, dei compagni di classe, dei suoi
genitori e degli altri genitori. Spetta quindi all’operatore far evolvere la domanda e rielaborarla mediante
una relazione costruttiva con l’interessato. In questo senso la valutazione va vista come un processo che
attiva gli interlocutori, li educa al dialogo e li fa crescere nel confronto. Ciò vale anche per gli amministratori
che operano le scelte strategiche e distribuiscono le risorse ai servizi. Complessivamente oggi il modo in
cuigli amministratori esercitano il loro ruolo nella distribuzione delle risorse non riesce a tutelare gli
interessi generali, a rappresentare i bisogni del territorio e a ridurre l’autoreferenzialità del sistema dei
servizi. Si tratta, di creare le premesse culturali perché anche il dialogo con gli amministratori gestisca in
modo appropriato dati ‘oggettivi’ sul funzionamento dei servizi, sui risultati raggiunti e sulle risorse
consumate. Ciò richiede un’educazione degli amministratori ma anche degli operatori. Infatti, è tipico del
professionista lavorare al massimo delle risorse disponibili, senza calcolare quante e come ne sta
impiegando (a partire dalla risorsa del suo tempo), qual è la congruenza tra costi e ricavi e se non vi sono
opzioni alternative che rendano possibili gli stessi risultati a costi inferiori. C’è un paradosso organizzativo
ovvero uno sdoppiamento delle decisioni tecniche (prese dagli operatori) e quelle economiche (prese dagli
amministratori) che dovrebbe essere ricondotto a sintesi in una sede dove la valutazione dei servizi tenga
conto di entrambi i criteri.
I 3 soggetti titotlari alla valutazione dell’intervento, in realtà,sono molti di piu; essi giudicano la qualità dei
servizi da angolature diverse. Si pensi al punto di vista del cittadino-cliente, cittadino- elettore,il legislatore,
l’amminsitratore e infine l’operatore.

9.3. A ciascuno il suo compito


Cosa succede nella realtà? Qual è il gioco dei ruoli che i diversi attori in campo stanno conducendo? Quali
parametri e criteri adottano nel confronto reciproco? A questo proposito, possiamo fare riferimento alla
terminologia della valutazione azienda che, distingue 3 tipi di efficacia che bisogna valutare:
- Efficacia interna permette un giudizio di qualità sull’operato di un servizio (o di un singolo operatore)
partendo dalle metodologie e dal sapere professionale impiegato. Le domande che ci si pongono sono di
questo tipo: allo stato attuale delle conoscenze nel campo d’intervento specifico, sono state scelte le
metodologie appropriate, o bisognava fare qualcos’altro? Le metodologie impiegate sono state applicate in
modo corretto, o l’operatore e il servizio hanno sbagliato qualcosa? I soggetti abilitati a emettere un
giudizio di efficacia interna sono soprattutto gli operatori. Tuttavia, entro un certo limite (il limite della loro
competenza), i cittadini non possono essere esclusi da questo tipo di discussione. Al fine di poter
controllare queste ‘incertezze metodologiche’ gli operatori hanno attivato diversi strumenti di
autoformazione e autovalutazione come la supervisione individuale e quella di gruppo. Per trasformare
questa esperienza in qualcosa di comunicabile all’esterno gli operatori hanno la necessità di riassumere il
contenuto metodologico dell’intervento svolto. Si tratta di un particolare riassunto(che chiaramente puo
essere realizzato solo quando gli operatori definiscono un programma individuale e quando attivano degli
interventi finalizzati a quel programma) che trasforma i dati qualitativi in quantitativi. Infatti, l’operatore
traduce le intenzioni programmatiche in termini non generici, bensì come insieme di atti concreti e fattuali.
Inoltre in tal modo, gli operatori potranno ripercorrere a ritroso, dopo un certo tempo, il passaggio dal dire
al fare, dall’agito al programmato. Se la registrazione delle attività effettivamente svolte (registrazione che
non tiene conto della relazione con l’utente e delle qualità umane messe in campo dall’operatore) è
attendibile, tutti possono farsi un’idea di massima, schematica ma oggettiva del servizio offerto. Per far ciò
sarà necessario che gli operatori inventino una classificazione delle attività dettagliata, circoscritta e adatta
al tipo di intervento specifico, nonché di creare un consenso tra gli operatori che li impegni a registrarle in
modo omogeneo e costante, per un arco di tempo adeguato. QUINDI anche se la trasformazione dei dati
qualitativi in quantitativi determina la perdita di alcune info preziose, permette però che gli operatori
possano riflettere sul servizio offerto, comparare diversi interventi cosi da capire ad es. quali sono le
persone che reagiscono meglio di altre a certe offerte del servizio; capire quando e in che misura il mix di
un’attività associata a un’altra puo potenziare il risultato (ad es. se l’assistenza domiciliare, associata al
centro diurno, riduce le crisi acute del malato di mente). Bisogna però sottolineare che, ogni valutazione
anche è carica di valenze soggettive, è soggetta a interpretazione, ma, l’utilizzo di un sistema informativo
ricco di dati quantitativi, permette però, di avere molte info riferibili a molti casi; non ad un arco breve di
tempo ma a una serie storica piu lunga; non ad un contesto contingente, ma a situazioni generalizzabili.
Infine, vi è anche un ulteriore vantaggio indiretto ovvero il fatto che quando gli operatori si abituano a
registrare con cura la valutazione del caso, il programma che vogliono attivare, le attività effettivamente
avviate e tutte le successive valutazioni, si formano ad uno stile rigoroso di costante confronto tra il
progetto auspicato e l’impegno preso con il cittaino e le attività effettivamente erogate. Questa operazione
mentale educa il professionista a misurare le proprie aspirazioni, a prendere decisioni coerenti con la
progettualità, a mantenere gli impegni e\o a motivare il cambiamento di programma. Solo cosi il cittadino si
misura attivamente con le scelte dei professionisti; egli deve poter chiedere, vedere, capire e cio è possibile
nella misura in cui diventano a lui trasparenti il programma e le attività, l’intervento progettato e quello
realizzato.
- Efficacia-efficienza: è un giudizio sull’operato del servizio (o di un singolo operatore) in base al modo in
cui sono state impiegate le risorse. E’ importante notare che non si puo parlare di efficienza, senza fare
riferimento anche al risultato raggiunto (efficacia). Le domande che ci si pone a questo proposito per
valutare un servizio (o un intervento individuale o un programma sperimentale) sono: ‘Con le risorse date si
potrebbero ottenere risultati migliori utilizzandole in un altro modo? Sono appropriate le risorse disponibili
rispetto agli obiettivi prefissati? O ci vorrebbero cose diverse, ad esempio, piu operatori di un tipo e meno
di un altro, più strutture diurne e meno sussidi? Come trasformare queste risorse in moltiplicatori di
energie per il territorio? Questo tipo di domande interessano gli amministratori, ma non solo loro. Anche i
cittadini sono interessati a intervenire in merito perché potrebbero ottenere risultati piu ampi e servizi piu
estesi. Infine, gli operatori sono tutt’altro che estranei a un dialogo sulle risorse; essi stessi sono una voce di
bilancio dell’intervento pubblico e, con le scelte sui programmi, sono agenti di spesa. Per capire in che
misura le risorse sono state usate in modo ottimale, bisogna dare un valore (possibilmente monetario) alle
risorse spese nell’intervento sociale. La domanda che a questo punto ci si pone è ‘quali risorse bisogna
quantificare, solo quelle impiegate dal bilancio pubblico o anche quelle del volontariato? E all’interno della
spesa pubblica, solo le spese dirette per gli utenti o anche quelle indirette per il funzionamento delle
strutture?’  la risposta è che solitamente quanto viene speso negli interventi pubblici non viene
disgregato in centri di costo.
Recentemente si sta utilizzando una suddivisione in base alla contabilità analitica, per improntare il
bilancio:
- Da un lato al progetto, alle finalità
- Dall’altro alle responsabilità di chi prende le decisioni in merito
Si scelgono nuove unità di analisi non più sulla base di un approccio contabile, bensì organizzativo.
i vantaggi di questa operazione sono di tipo culturale, formativo e politico. Le scelte economiche avvengono
in due momenti:
- Dapprima viene deciso l’ammontare della spesa dedicata ai diversi comparti o settori di intervento: ad es.il
Comune decide quanto spenderà per i diversi capitoli di spesa; il bilancio regionale decide quanto viene
dato alle ASL e per quali obiettivi; ogni ASL decide, a sua volta, quanto dare agli ospedali, ai servizi
territoriali;
- Parallelamente, entro il tetto di risorse prefissate, gli operatori decidono a quali utenti dedicarsi di più, quali
servizi privilegiare, come spingere per lo sviluppo di un approccio (ad es., se utilizzare gli infermire nel
centro diurno piuttosto che nelle visite domiciliari; se impegnare gli educatori nelle comunità protette o nei
gruppi di insegnanti e genitori a scuola ecc.). Il valore economico di queste scelte rimane invisibile perché
non viene quantificato; tuttavia, ha una rilevanza sul sistema complessivo dei servizi e sui suoi esiti.
Altrove, a proposito della rete dei servizi, è stato notatato come la programmazione dall’alto (fatta da
legislatori e amministratori con atti formali e puntuali (la delibera) sia bilanciata da una programmazione
dal basso, grazie ai professionisti che fanno delle scelte e attuano dei comportamenti organizzativi
quotidiani e informali. Questi due meccanismi si confrontano quindi con strumenti diversi ma entrambi
influenti nel cambiamento dei servizi. I servizi, inoltre, influenzano le decisioni sulle risorse anche
utilizzando meccanismi di pressione esplicita. I servizi, inoltre, influenzano le decisioni sulle risorse anche
utilizzando meccanismi di pressione esplicita. I responsabili contrattano direttamente con gli amministratori
per ottenere piu personale e più strutture. Si attiva, in questo modo, una concorrenza esplicita dove,
spesso, prevalgono i rapporti di forza e non criteri di razionalità.  dunque , complessivamente possiamo
dire che nel campo dei servizi territoriali, manca una cultura della regolazione collettiva. Innanzitutto
sarebbe necessario possedere delle conoscenze e delle informazioni sui servizi, altrimenti mancano i dati
emirici su cui concordare. Questo è molto grave, infatti ad esempio, se oggi un gruppo di operatori
territoriali o un amministratore o le associazioni dei familiari si propongono di organizzare una conferenza
dei servizi per stabilire un tavolo congiunto dove programmare, selezionare le priorità, decidere la
destinazione delle risorse, in mancanza di conoscenze sul costo dei singoli servizi e sul rapporto tra costi e
risultati, la conferenza rischierà di registrare soltanto la conflittualità tra diversi interessi in gioco. Per
guidare la discussione manca quindi quel principio regolatore che si trova nel rapporto tra efficacia ed
efficienza. Si parla di rapporto tra efficacia ed efficienza perche il costo dei servizi, da solo, non basta per
decidere se essi devono essere sviluppati o meno. Esso però confrontato con il risultato ottenibile rispetto
al soddisfacimento di un bisogno preciso, può rappresentare un punto di riferimento valido e accettabile,
sui cui tutti possono cominciare a discutere. In assenza di un elemento regolatore di questo tipo, la
concorrenza nell’accaparramento delle risorse è giocata sui puri rapporti di forza: la forza delle corporazioni
professionali e quella delle corporazioni dei cittadini. Un negoziato tutto politico, nel quale si fa strada
l’intermediazione dei partiti come rappresentanti di segmenti della popolazione, anziché interpreti di una
strategia complessiva.
Si tratta, dunque, di costruire degli strumenti per conoscere e misurare le incertezze sulle risorse: serve un
metodo di contabilità che attribuisca i costi alle diverse risorse impiegate. Inoltre è necessario un sistema di
registrazione, all’interno dei servizi, che quantifichi le risorse utilizzate per ogni tipo di intervento. Ed infine
un sistema per la quantificazione dei risultati.
Sarebbe oltretutto utile se vi fossero degli incentivi per la produttività previsti nei contratti del pubblico
impiego che potrebbero far crescere negli operatori pubblici un orientamento alla valutazione di efficacia-
efficienza. A condizione che l’incentivo non sia collegato solo all’aumento delle prestazioni ma anche ai
risultati conseguiti con le prestazioni in più.
- Efficacia esterna: è quel giudizio di qualità sull’intervento che valuta la congruenza tra domanda e offerta.
Le domande che si pongono in questo ambito sono: ‘l’intervento svolto ha raggiunto i bisogni a cui era
rivolto? Ha centrato il suo target? Ha contributo a una crescita di benessere? Il miglioramento è sufficiente
o molto al di sotto delle esigenze del territorio?’. Com’è facile comprendere a questo giudizio sono
legittimati tutti i soggetti interessati all’intervento: operatori, cittadini, amministratori e legislatori. Si tratta
in tal caso di affrontare quella che è stata definita come incertezza strategica . Anche in questo caso le info
non hanno un significato univoco, esse richiedono un lavoro di comprensione, approfondimento e
confronto con il vissuto degli operatori. Inoltre, per conoscere meglio i bisogni della popolazione, non è
sufficiente l’analisi della domanda emersa: partire dalle schede-utenti è un metodo interessante se
integrato con sondaggi diretti, esterni al servizio e sul territorio di riferimento. Serve, dunque , un
osservatorio dei bisogni che deve realizzarsi però, con il prezioso apporto da parte degli operatori. Nella
realtà purtoppo spesso, in questi anni, sono state commissionate indagini sui bisogni della popolazione ad
agenzie di ricerca che non hanno utilizzato a sufficienza quell enorme patrimonio conoscitivo che è
depositato negli agenti sociali(operatori dei servizi pubblici, del privato sociale, osservazioni di volontari e di
utenti, amministratori ecc. L’istituzione di un osservatorio permanente dei bisogni, dunque, puo
rappresentare un fattore di crescita straordinario per i servizi, purchè sia concepito come uno strumento di
supporto tecnico e culturale a disposizione di rtutti gli interlocutori delle politiche sociali. Dal punto di vista
organizzativo, esso dovrà prevedere uno staff di ricercatori qualificati che forniscano quelle metodologie
specifiche proprie della ricerca sociale (e di cui non sono necessariamente dotati tutti gli operatori) e,
contemporaneamente, dovrà attivare delle sedi di confronti collettivo e allargato, dove i dati di ricerca
possano essere oggetto di discussione e interpretazione da piu punti di vista. Infatti, è proprio il momento
della discussione quello che permette lo sviuluppo di una cultura della valutazione, non il sempolice di
ricerche e dati empirici.

9.4 Valutazione di esito


La valutazione sarà ancora più complessa nel caso in cui l’oggetto d’analisi sia:
- Un singolo intervento sociale, ad es., un programma terapeutico, un programma educativo o riabilitativo
per una persona
- Un programma territoriale, ad esempio, la somma di interventi individuali per un certo tipo di persone
- Il funzionamento di un servizio o di una rete complessa di servizi

E’ molto difficile quantificare i risultati e, in secondo luogo, distinguere il contributo dovuto da singole
attività o da singoli operatori. Tuttavia, per quanto sia arduo, è proprio questa misura del risultato che
bisogna studiare. Può essere utile, cominciare da ciò che gli operatori in qualche modo già fanno.
Riprendendo il processo di lavoro, si nota, infatti, che la valutazione di esito per una singola persona è data
dal confronto tra la condizione in cui si trovava, quando è stata accolta dal servizio, e le condizioni
successive, via via che l’intervento procede. Il punto di partenza, dunque, è dato dalla valutazione del caso
che nel processo di lavoro viene in seguito ripetuta più volte.
Come esprimono gli operatori questa valutazione? Come la registrano e la riconducono a un sistema di
misurazione comune? Questo varia dai diversi settori di intervento. In alcuni campi è stata adottata una
classificazione diagnostica, un punteggio per il grado di autonomia funzionale, in altri campi gli operatori
non hanno ‘osato’ ridurre a categoria i problemi trattati. Vi sono molte e giustificate resistenze culturali a
ridurre il problema sociale a scale numeriche; là dove, però, la comunità scientifica si è impegnata ad
elaborare degli strumenti analitici, c’è stato un certo impulso alla ricerca, consentendo di misurare il
problema prima e dopo l’intervento, di confrontare successi e regressi che si verificano in determinate
condizioni e di stabilire qualche parametro di esito. Questo è un dato indispensabile per tutti e tre i tipi di
valutazione, infatti, tutti i soggetto interessati a validare gli interventi hanno bisogno di una misura dello
stato di benessere (personale e collettivo) prima e dopo l’intervento.

9.8 Economia della valutazione


La valutazione permette di tenere sotto controllo alcune incertezze che affrontano gli operatori nei servizi:
- Le incertezze metodologiche,con la valutazione di efficacia interna
- Le incertezze strategiche, con la valutazione di efficacia esterna
- Le incertezze sulle risorse, con la valutazione di efficacia-efficienza
Per attivare dei circuiti di regolazione gli operatori hanno bisogno da un lato, di strumenti di registrazione
puntali ed adeguati all’oggetto che si vuole misurare; dall’altro, di interlocutori realmente aperti al dialogo
e disposti a dividere le responsabilità, nel rispetto dei ruoli diversi ma sulla base di una lettura comune dei
dati.  queste condizioni non sono date in partenza ma richiedono investimento. Pr questo la valutazione
appare come una attività onerosa: assorbe energie in termini di tempo, di strumentazione, di disponibilità
mentale ed emotiva. Chiunque si incammini in questo percorso deve fare uno sforzo di separazione tra se
el’oggetto che intende valutare, cioè il servizio. Quanto più alto è l’investimento personale degli operatori
nella professione, tanto maggiore sarà l’impegno richiesto per guardare con oggettività il lavoro, per
distinguere l’intenzione, il progetto e le volontà messe in campo dalle azioni concrete. C’è inoltre un costo
organizzativo iniziale che assorbe molte energie: bisogna adottare un linguaggio comune e dei sistemi di
classificazione, accordarsi su alcune procedure di registrazione e creare degli strumenti adatti e
comprensibili per tutte le figure professionali. Si tratta di passare da un’organizzazione in gran parte
informale a una più formalizzata. L’esperienza ha dimostrato che i risultati più soddisfacenti si ottengono
quando il sistema informativo viene progettato dagli stessi operatori che intendono utilizzarlo e questo per
2 ragioni:
- Perché il sistema di registrazione deve rispecchiare le procedure di lavoro e l’attività con cui vengono
codificate le informazioni deve accompagnare (e non ostacolare o contraddire) quelle svolte in campo
professionale
- Perché , se il sistema è riconoscibile dagli operatori come un prodotto interno, utilizzabile nell’operatività,
c’è una maggiore probabilità che l’esperienza vada a buon fine.

Non si puo dire tuttavia che i sistemi informativi abbiano assunto un ruolo trainante nella costruzione di
una cultura della valutazione: per certi versi,si sono qualificati come inutili oggetti di lusso. In altri termini, il
costo della valutazione non sembra ripagato da ricavi apprezzabili.
Per rendere piu produttivi i sistemi informativi, in Italia sono state seguite due strade che rispondono ad
esigenze e filosofie diverse:
- Progettare al centro e sperimentare a pioggia in tutti i servizi periferici  viene privilegiato l’uso
programmatorio dei dati, il sistema informativo viene elaborato da un ente sovraordinato ai servizi, ad es.
la Regione. Ciò consnete un economia delle risorse inizialmente investite, infatti, vi sarà un unico ufficio
studi che progetta lo strumento per tutti i servizi e lo distribuisce preconfezionato. Per adattarlo alle singole
realtà, di solito, vengono formati dei referenti locali che curano la gestione del sistema e l’invio delle
informazioni a una banca dati, anch’essa centralizzata. Questo modo di procedere, anche se
apparentemente economico comporta un evidente scollamento tra la valutazione dei dati qualitativi e
quelli quantitativi. Ciò comporta che gli operatori ‘non si affezionano’ allo strumento perché non possono
utilizzare i dati nelle riunioni d’èquip, né riflettere sulla gestione individuale dei casi. Le scelte
metodologiche e la programmazione dal basso dei servizi non si ricongiungono né con le scelte strategiche,
né con la programmazione dall’alto.
- Progettare e sperimentare in un unico servizio: questo percorso parte dal servizio per iniziativa
degli operatori, di solito con il sostegno di un consulente che li aiuta a progettare il proprio sistema
informativo. Non ci si pone problemi di compatibilità dei dati con altri strumenti di rilevazione, né
di stabilire confronti con altri servizi. L’attenzione è concentrata piuttosto, sul modo più
appropriato per descrivere il processo di lavoro nel proprio servizio.

Una via alternativa, è quella di attivare prima i sistemi informativi nei servizi, facendoli nascere e
progettare dagli operatori, poi costruire la banca dei dati centrale come un risultato successivo,
un luogo di sintesi della produzione informativa locale.  questa strategia è piu costosa all’inizio,
soprattutto in termini di tempo e gestione. L’ente sovraordinato avrà il compito di mettere a
disposizione dei vari servizi territoriali alcune persone competenti che, in loco, aiutino la
produzione dal basso dei sistemi di registrazione. Contemporaneamente, questi esperti dovranno
incontrarsi periodicamente per imprimere alcuni vincoli uniformi ai sistemi locali; vincoli che
permettano la comparazione dei dati e il loro trasferimento in un unico contenitorem quando sarà
attivata la banca centrale. All’inizio vi sarà un apparente dispersione di energie, ma l’investimento
in competenze e culture diffuse darà, nel medio periodo, risultati più duraturi.  sarà cosi
possibile coniugare i vantaggi dei due percorsi. Infatti, da un lato vengono salvaguardati gli
obiettivi che sono propri delle istanze di governo (dati accorpati e standardizzati) dall’altro quelli
degli operatori (registrazione conforme alle modalità di lavoro specifiche di ogni servizio). Tutto ciò
sarà possibile se vengono privilegiate le esigenze scaturite dal basso,se, invece, si parte dall’alto, ci
si può fermare a metà strada, senza mai realizzare una cultura diffusa e interiorizzata della
valutazione.

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