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INTRODUZIONE LIBRO
Oggi, nel territorio, ci sono servizi di ‘prima generazione, inventati negli anni 70 per accogliere le persone
che uscivano da quelle che allora furono chiamate istituzioni totali: manicomi, orfanotrofi per bambini
Aprire le istituzioni all’ambiente comportò la creazione di nuovi modelli organizzativi: comunità alloggio a
dimensione familiare, centri diurni, day hospital, laboratori protetti, comunità terapeutiche, tutti servizi che
identificano la condivisione del quotidiano come metodo per sviluppare legami di senso, educativi e
terapeutici.
Poi sono venuti i servizi domiciliari, che hanno spostato il luogo della cura a casa dell’assistito; dapprima
rivolti ad anziani e disabili, in seguito anche a bambini, nuclei fragili, famiglie affidatarie, mamme in
difficoltà che faticano a sostenere da soli i compiti genitoriali. Portare l’assistenza nell’abitazione privata ha
comportato un nuovo approccio organizzativo, questo approccio esige una lettura della vita quotidiana
come sede dei legami spontanei, dove sono i cittadini assistiti che creano l’ambiente, con le sue regole,
linguaggi, valori. L’organizzazione non può imporre le proprie logiche, pena la perdita totale di efficacia, ma
Questo mutamento di prospettiva ha dato vita ai servizi di seconda generazione, quelli che si reggono
sull’iniziativa dei cittadini, la capacità di auto-aiuto, gli scambi virtuosi; all’inizio degli anni 90 in alcune
regioni sono nati i centri per la famiglia, come evoluzione dei consultori e degli asilo nido, poi le banche del
tempo, i centri anziani e i centri autogestiti. Il territorio viene inteso come ambiente che sviluppa il senso di
appartenenza; compito di questi servizi è fornire strumenti e cultura organizzativi per l’esercizio della
cittadinanza attiva. Ma le novità maggiori sono venute alla fine degli anni 90 con il trasferimento a livello
locale di attività che prima erano gestite dallo stato centrale: servizi per l’impiego, assistenza alle piccole
imprese e all’autoimpresa, centri di servizio per il volontariato. Di questo filone fa parte l’istituto del reddito
minimo di inserimento, che si sta sperimentando in 39 comuni italiani. Il modo in cui è stato progettato
questo istituto impone agli enti locali di gestire in maniera contestuale il sussidio economico e l’offerta di
formazione e lavoro. Perciò nel territorio si vanno diffondendo servizi che devono adottare un modello
I servizi di terza generazione svolgono un ruolo connettivo tra soggetti e attori sociali che, pur operando
tutti a dimensione locale, non si conoscono o non vedono le potenzialità di metterisi in rete. La loro
efficacia sta nel saper accogliere le domande più varie che vengono dai cittadini e dotarsi di un ‘magazzino’
di conoscenze e risorse altrettanto articolate. Questi servizi non appartengono esclusivamente al comparto
sociale, sanitario,educativo ma agiscono appunto da collante tra tutti i servizi del territorio; richiedono e
costruiscono conoscenze, linguaggi, capacità trasversali. Il territorio, oltre ad essere terapeutico, oltre a
sviluppare idenitità e solidarietà, è il luogo dove va riorganizzato il sistema complessivo, al fine di ridurre la
complessità che sperimenta ogni cittadino nel vivere quotidiano, sia esso bambino o anziano, ricco o
povero, fragile o normale, straniero o italiano. Per tutto il 900, il modello burocratico e tayloristico è
sembrato perdurare incontrastato tanto nelle aziende private quanto nella pubblica amministrazione. Non
vi erano organizzazioni a rete, aperte, flessibili e interconnesse. Nonostante la situazione oggi sia diversa,
anche oggi possiamo dire che l’organizzazione qualunque organizzazione , anche quando è il frutto delle
scelte di coloro i quali ci lavorano, col tempo può allontanarsi da noi, diventarci estranea. Arriva un
momento in cui le regole che ci siamo dati non ci appartengono più, non le riconosciamo, e allora non
siamo piu in grado di usarle come risorsa. E’ come quindi se le organizzazioni avessero la tendenza a
imprigionare anche le risorse umane piu volenterose. L’antidoto sta nella cultura organizzativa perché
permette ad ogni operatore di cogliere il potere di cui dispone: potere di scegliere e di modificare, insieme
agli altri, l’organizzazione per cui lavora. Nei servizi territoriali questo potere è per tutti piuttosto ampio;
con delle differenze tra figure professionali, posizioni gerarchiche e contesti di lavoro, ma è pur sempre
significativo. Il problema è che gli operatori non conoscono o preferiscono ignorare la possibilità che hanno
a disposizione per agire sul funzionamento del loro servizio. Vi è quindi uno spreco di potenzialità suoi
metodi di intervento ma anche, sulle procedure, sui tempi, sulla distribuzione del lavoro, sui meccanismi di
Chiaramente, non tutte le regole sono decise dagli operatori, alcune sono dovute a decisioni prese fuori dai
servizi, sono contenute nelle leggi regionali, nazionali e nei contratti di lavoro. Ma gli operatori hanno il
compito e l’onere di interpretare le norme e adattarle alla situazione locale, alle esigenze interne proprie di
ogni gruppo di lavoro. Per questo i servizi territoriali sono innovativi. La maggior parte degli operatori è per
lo più profondamente insoddisfatta del funzionamento dei servizi, ma, si tratta di un sentimento solo
depressivo se si adotta una logica razionale e percettiva delle organizzazioni che ci fa vedere le stesse al di
sotto del modello astratto di riferimento. L’insoddisfazione invece, puo agire in modo positivo dentro una
logica diversa, ovvero, quella dell’organizzazione in progress. In questo modo gli operatori non guardano
piu al modello, ma si interrogano sulle potenzialità per trovare al proprio interno l’equilibrio ottimale,
sapendo già in partenza che cambierà, deve cambiare e sarà sempre perfettibile. Dunque, nelle
organizzazioni a potere molto distribuito, tutti i membri dovrebbero diventare esperti nella produzione
delle regole collettive. Il problema è che ancora non ci sono le competenze e la cultura diffusa che
altri l’organizzazione in cui si lavora); riconoscere (riconoscere l’organizzazione come elemento vivo e come
risorsa utilizzabile nel proprio lavoro); cambiare (valutarne l’adeguatezza e poterla modificare secondo
necessità). Le prime due fasi sono quelle piu semplici, piu euforiche, è la terza fase cioè il cambiamento
quella piu difficile. La possibilità di evoluzione in termini di apertura e flessibilità, adeguatezza, sta nella
cultura degli operatori in quanto questi ultimi devono essere consapevoli del proprio potere nel
cambiamento cosi da fare parte in maniera attiva nell’organizzazione e di non trasformare quest’ultima nel
(APPUNTI LEZIONE) “Servizio sociale” ≠ “servizi sociali”: Il servizio sociale è l’attività professionale
dell’assistente sociale ed è propria degli assistenti sociali
Servizi sociali al plurale è invece un’articolazione o della pubblica amministrazione o di ente privato che ha
la funzione di occuparsi degli interventi socio-assistenziali. All’interno dei servizi sociali, c’è anche il servizio
sociale, ma non solo.
Sinonimi di “servizi sociali”: servizi socio -assistenziali; servizi alle persone.
Ciò vuol dire che nei servizi sociali non lavorano solo assistenti sociali ma anche altri operatori.
Le funzioni dei servizi sociali:
- Funzioni di aiuto sociale (educatori professionali, operatori socio sanitari che svolgono assistenza a
domicilio
- Funzioni complementarità quelle di aiuto o assistenza (personale amministrativo o di segreteria)
- Funzioni dirigenziali e di coordinamento
Attività che svolgono gli operatori:
Gli operatori all’interno dei ss devono dare attuazione a ciò che viene stabilito all’interno delle politiche
sociali. Finalizzata a dare individualizzazione e realizzazione concreta alle indicazioni di politica sociale.
Le politiche sociali prevedono interventi particolari per determinati soggetti; i servizi alle persone utilizzano
le politiche sociali per fare questo. Invece quando paliamo di misure di politica sociale si fa la distinzione tra
misure rivolte a ….:
MISURE DI POLITICA SOCIALE sono:
- rivolte alla generalità di cittadini o categorie che non richiedono di essere realizzate in maniera
individualizzata
- Rivolte alla generalità di cittadini o categorie che richiedono la realizzazione di interventi specifici per ogni
singolo caso, che ogni volta andranno adattati alla situazione di quella persona, famiglia o gruppo in
difficoltà.
- Una misura di politica sociale è ad esempio la manovra economica del “reddito di cittadinanza”, che
costituisce una misura di politica sociale che mira a ridurre il numero di soggetti che si trovano in una
determinata condizione di bisogno.
Qst misure di politica sociale vengono varate o attraverso il governo, oppure vengono varate dal
parlamento attraverso un iter legislativo che porta alla definizione di una legge ordinaria.
I PRINCIPALI ENTI PUBBLICI CHIAMATI A DARE REALIZZAZIONE ALLE POLITICHE SOCIALI ORGANIZZANDO
DEI SERVIZI ALLE PERSONE SONO IL COMUNE, L’AZIENDA SANITARIA LOCALE E IL MINISTERO DELLA
GIUSTIZIA.
CAPITOLO 1: IL LAVORO SOCIALE.
Gli operatori dei servizi alle persone sono diversi dai semplici impiegati xk hanno un modus operandi
diverso. L’as si distingue sia per le conoscenze teoriche, le competenze, abilità sia perche deve utilizzare un
sapere acquisito prima di cominciare la prestazione e al tempo stesso autoalimentarlo durante il suo
svolgimento sia perchè valuta il proprio lavoro. Quando? progettazioneattuazione e
contemporaneamente valutazione. Contemporaneamente xk lavorando con le persone bisogna sempre
riflettere su se stessi, sul modo in cui si sta lavorando. Quindi il lavoro sociale è svolto bene se
contemporaneamente si lavora con la persona e si riflette sul proprio operato. Bisogna che diventi un
automatismo cosi da poter imparare da ciò che stiamo facendo, dalle difficoltà che si incontrano durante il
lavoro sociale. Cio presuppone k nel tempo l’as professionista lavori anche su se stesso e questo lavoro su
se stesso ci permette di approcciarci alle persone in maniera piu consapevole.
Nei servizi alla persona si espleta in un circuito di regolazione ovvero un percorso che collega e coordina il
momento della progettualità (quando si programma e si decide cosa fare) con quello dell’attuazione
(quando si interviene nella realtà) e infine con il momento della valutazione (quando si giudicano gli effetti
dell’azione e si decide se bisogna continuare cosi o è richiesto un nuovo programma). Nei servizi alla
persona questo percorso ha sede nella mente dell’operatore, nella sua capacità di comprendere la
relazione con l’altro e di rielaborarne il significato.
N.B.: se ne parlerà nell’ultimo cap meglio ma la valutazione oltre ad essere durante la prestazione è anche
dopo la prestazione, in sedi ad hoc chiamando in causa altri soggetti, prevedendo momenti laterali rispetto
all’attività diretta al cittadino.
1.1. Lavoro circolare e lavoro lineare
Il lavoro dell’a.s. è un lavoro circolare che va dall’operatore all’utente e dall’utente all’operatore. Di questo
lavoro ne fanno parte ascolto comprensione analisi valutazione del problema e infine progetto di
intervento (frutto del contratto\accordo tra utente e operatore dato che l’utente deve sempre partecipare
alle scelte dell’operatore altrimenti non si raggiungono obiettivi a lungo termini finita “l’autorità
dell’operatore). QUINDI essenziale per un a.s. professionista è che rifletta mentre lavora, si tratta di
un’abilità che si acquisisce. Quindi se di istinto possiamo trovare una soluzione cmq poi l’utilizzo di quella
soluzione deve essere usato in maniera professionale quindi tenendo conto del punto di vista dell’utente.
L’improvvisazione è quindi incompatibile con la professionalità.
Diametralmente opposto è il LAVORO LINEARE: è quello del burocrate, si svolge fase dopo fase. Si tratta di
fasi previste e strutturate e che portano ad una fine. All’impiegato non viene chiesto di interpretare le
diversità soggettive dei suoi clienti, bensì di adempiere con la massima imparzialità a tutti i passaggi
previsti.
LAVORO LINEARE: procedura amministrativa il cui percorso è indicato, sequenza dopo sequenza, da norme
che lo regolamentano in maniera preordinata. Pratica perfezionata alla fine del percorso senza influenza
degli esiti. Tipico del lavoro burocratico.
LAVORO ALLE PERSONE= CIRCOLARE: scarsa visibilità degli esiti perché affinche il lavoro sia efficace si
devono verificare dei cambiamenti sull’utente che non vediamo immediatamente quindi l’esito del lavoro
sociale nn è immediatamente visibile. Sapere questo è impo per non avere inutili frustrazioni. Solitamente
l’utente è in carico al servizio per lungo tempo ed è necessaria una buona memoria organizzativa.
Soprattutto nel caso in cui si tratti di problemi di dipendenza, non si puoi mai dire se il soggetto è mai
veramente svincolato da essa. Quindi i professionisti del sert ad es. sono molto frustati se non si rendono
conto che il tipo di problema e utenza fa vedere pochissimi esiti, spesso per 15\20 anni un soggetto è a
carico del SERT se non per tutta la vita. La memoria organizzativa si modella in archivi e database cosi
cambiando l’operatore resta una memoria del servizio, cosi da poter continuare il processo d’aiuto da parte
di un altro collega.
In alcuni settori d’intervento il rapporto si conclude con un breve sostegno, in altri servizi come quello
appena citato del SERT è continuativo e lungo. Altri servizi infine, lavorano per la crescita continua dei
propri utenti e non hanno alcun motivo per dimenticarli; anzi, la fedeltà del cittadino al servizio è un
indirizzo di qualità. Un esempio ne sono la biblioteca di quartiere, il centro per le famiglie, servizi che in un
certo senso si nutrono di risorse portate da coloro che li frequentano.
Se si stabilisce una buona divisione del lavoro, anche il problema del coordinamento diventa più facile da
risolvere; o almeno piu economico, perché si evita di affidare alle riunioni il compito di prendere delle
decisioni che, invece, possono e devono prendersi i singoli. Le riunioni diventano piu interessanti se sono
dedicate a scoprire o a costruire qualcosa che ciascuno, da solo, non puo darsi e richiede una effettiva
collaborazione.
CAPITOLO 5 : GESTIONE DELLE INCERTEZZE (vedremo quanti sono i punti di collegamento all’interno di un
servizio che offrono spunti stimolanti al dialogo tra operatori)
Per quanto riguarda il processo di lavoro, esso presenta diversi ELEMENTI CRITICI (ovvero gli
elementi di incertezza che il singolo operatore non può controllare interamente da solo e che
invece può governare se è l’intero servizio che se ne fa carico), in quanto essendo un processo che
avviene per fasi, durante queste possono insorgere cambiamenti, problemi e modificazioni. Quindi
il modo e lo strumento per risolvere questi ‘punti critici’ è l’organizzazione collettiva del lavoro. Gli
ELEMENTI DI INCERTEZZA, possono essere gestiti anche dal solo operatore PERO’, in tal caso
sarebbe qualcosa di traballante perché non abbiamo Un processo di lavoro governabile.
L’operatore cosi, inoltre, correrebbe tanti rischi, da solo.
Inoltre, molto importante è la valutazione di quello che facciamo durante il processo di lavoro,
cosi da poter rilevare i processi critici.
( nell’esempio del caso raccontato dalla prof, I punti critici del processo di lavoro sono stati lasciati
alla gestione della prof . E quindi si tratta in quel caso di un processo di lavoro instabile, perché è il
risultato di un’azione della professoressa; e quindi, assieme alla difficoltà insita al caso, deve anche
gestire la frustrazione che tutto il processo di lavoro è alle sue spalle. Se invece tutto ciò fosse
stato governato dal SERVIZIO ( e non dall’operatore) tutto sarebbe stato piu stabile). Il caso della
prof è una Esemplificazione di come si lavora adesso nelle organizzazioni: si lavora quasi da libero
professionista, slegati gli uni dagli altri ( fa riferimento al rapporto quasi “informale” con la
psicologa, in quanto non sono relazioni di sistema.)
Come si fa a presidiare i punti critici:
* Specificare le attività dirette
* Eliminare le duplicazioni e le sovrastrutture burocratiche
*Cogliere le funzioni indispensabili
Nei servizi terriotirali ciò che entra nell’organizzazione come materia prima, vitale e indispensabile,
ciò che chiede controllo e ricambio è riconducibile a 3 elementi di base:
1. Utenti/clienti
2. Il sapere professionale degli operatori
3. Risposte/risorse presenti all’interno dell’ente per soddisfare le domande
Come queste materie prime vanno ad incidere all’interno delle organizzazioni?
Dal punto di vista organizzativo, questi 3 elementi entrano nel sistema come input e permettono
al processo di lavoro di dar luogo ad una trasformazione e di produrre un risultato (output).
Senza i clienti, un servizio si riduce ad un ente inutile, funzionale solo alla propria conservazione.
Se manca il sapere professionale, l’incontro tra bisogni e risposte è affidato al caso e il servizio
rischia di essere inefficace. Se, come avviene più spesso,ci sono i clienti e gli operatori competenti,
ma mancano le risposte sociali adeguate ai bisogni, il servizio è ugualmente inefficace e, per
giunta, produce grande sfiducia nella gente e depressione negli operatori. Quindi dalla
combinazione di tutte e tre queste variabili dipendono la qualità del servizio e il benessere degli
operatori dato che assicura un buon livello di qualità al servizio.
Ciascuna di queste funzioni può essere organizzata in grande, con strumenti, sedi, operatori a ciò
preposti, o in piccolo,come un’attività prevista all’interno del lavoro d’èquipe. La scelta dipende
dalla dimensione del servizio e dalla dimensione del problema (marginale o cruciale).
5.2 SAPERE PROFESSIONALE :
Il servizio ha bisogno di operatori che abbiano una professionalità coerente con l’approccio
metodologico adottato e che siano preparati. Se il servizio non è chiuso e statico, ma si adegua alle
nuove domande, deve sviluppare, di conseguenza, nuove competenze. E’ il caso, ad es., di un
centro per immigrati che dopo un certo periodo di rodaggio si accorge di quanto sia importante
fornire consulenza legale ai propri clienti per avviare un rapporto di aiuto più impegnativo: se
prima, per questo servizio, li inviava ai patronati sindacali, ora dovrà predisporre tutte le
competenze necessarie per offrirlo al proprio interno. Quindi potrà: chiedere ad un operatore di
allargare le sue competenze verso un nuovo campo; oppure sceglierà di stipulare un contratto di
consulenza con un professionista già formato. In entrambi i casi dovrà essere modificata la
composizione professionale dell’èquipe. Il problema delle conoscenze , tuttavia, non si limita a
questo, infatti, oltre ad aggiungere dei contenuti imprevisti, bisogna tener presente che tutto il
patrimonio conoscitivo degli operatori è sottoposto ad una revisione costante di qualità e
adeguatezza. L’INCERTEZZA che si manifesta rispetto al sapere professionale è METODOLOGICA.
Essa si presenta nella mente degli operatori con domande di questo tipo: Le metodologie usate
sono quelle adatte alla tipologia di utenti? La stiamo adoperando in maniera corretta? E’
opportuno allargare il repertorio delle metodologie? Come integrare i diversi approcci utilizzati per
ottenere risultati migliori ?
Vi sono servizi che svolgono attività abbastanza semplici e ben collaudate dalla tradizione e altri
che, all’opposto, stanno cercando il loro metodo d’intervento in modo sperimentale, lavorando
cioè sul campo. Tra questi due estremi vi sono molte situazioni intermedie, ma, in linea di
tendenza,nessun servizio puo fare a meno di interrogarsi sul metodo. Questi problemi sono insiti
nell’impostazione di fondo dell’intervento territoriale, che non si accontenta di prescrivere una
ricetta o applicare una tecnica posseduta dallo specialisti, bensì cerca di attivare tutte quelle
facoltà sane insite nella persona e nel suo ambiente vitale che smuovano una situazione bloccata e
riattivino un processo positivo. Il metodo è anche il collante che mette insieme professioni diverse
infatti, l’ipotesi è che ogni professione sappia agire su un aspetto dell’utente e del suo ambiente di
vita e che ciascuna sappia rimandare all’altra delle indicazioni per accrescere le sue competenze di
base. I servizi territoriali quindi oltre ad essere un luogo in cui si manifestano le incertezze
metodologiche sono anche una sede dove si produce sapere professionale. Il patrimonio
conoscitivo degli operatori non è dato una volta per tutte, questo input va incrementato, valutato,
trasformato e memorizzato senza sosta. Se i meccanismi di riproduzione del sapere si bloccano,
anche il servizio ben presto si impoverisce. E’ quindi necessaria una costante revisione della
qualità ed adeguatezza della preparazione degli operatori.
PER RIDURRE L’INCERTEZZA METODOLOGICA IMPORTANTI SONO:
- la memoria: La memoria è fondamentale xk consente di non personalizzare il lavoro, nn siamo liberi
professionisti all’interno di un ente quindi attraverso la memoria depositiamo la cultura in una forma
accessibile anche a chi non ha contribuito a produrla. Le info che abbiamo sono pertinenti al servizio quindi
se oggi nn sono andata in ufficio, se ho documentato le mie attività con un diario cronologico o una buona
relazione, nonostante la mia assenza chiunque dei miei colleghi potrà dare una risposta all’utente. Cosi il
sevizio ha una MEMORIA COLLETTIVA. (chiaramente nn si deve mai giudicare sull’operato del collega
assente, 1 xk non siamo nessuno per dare un giudizio sull’operato altrui 2 perché cosi non tuteleremmo
prima di tutto l’ente poi il collega).
la valutazione e ricerca: non si può valutare il nostro operato in base al feedback che ci da l’utente perché
feedback significa gradimento è l’utente potrebbe gradire il nostro aiuto xk si sente confortato ma
realmente noi non stiamo facendo nulla. N.B. : Il bisogno dell’utente puo essere ben diverso da cio che è
realmente opportuno fare per l’utente. Per verificare se nella relazione ci sono contenuti personali dell’a.s.
si potrebbe ad es. chiedere ad un nostro collega di leggere la relazione da noi scritta. Questo è un metodo
che può aiutarci a fare una valutazione. La valutazione dovrebbe spingere a stimolare la ricerca perché si
apprende da ciò che abbiamo scoperto.
- formazione e supervisione: la formazione dovrebbe essere un’attitudine a 360 gradi. Formazione non
significa solo farsi tutti i convegni organizzati dall’ordine o da altri organismi. Formazione significa anche
cultura generale. La supervisione è efficace se prima di richiederla abbiamo ben chiaro a quali obiettivi
vogliamo arrivare. La supervisione è auspicabile che venga fatta da uno psicologo o anche un a.s. in ogni
caso per farlo è necessario che il soggetto abbia delle competenze specifiche quindi non è un ruolo che si
puo rivestire così… il supervisore deve leggere il contesto, le relazioni all’interno del contesto.
5.3 Risorse
Nei servizi territoriali alcune risposte alle domande dei clienti sono fornite dal rapporto con gli operatori:
ascolto, comprensione, consulenza, terapie d’appoggio, psicoterapie, animazione, educazione. Gli operatori
quindi, possono rispondere ai bisogni utilizzando uno strumento semplice ma essenziale: il rapporto
personale. Esso però, non copre tutte le esigenze. I cittadini spesso hanno bisogno di trovare una casa, un
lavoro, un sussidio temporaneo o definitivo; hanno bisogno di essere ammessi in una scuola o in un corso
professionale, di essere adottati da una famiglia o accolti in comunità, di entrare in un’associazione.
L’evoluzione dell’intervento territoriale ha accresciuto enormemente la quantità e la qualità di risorse di cui
deve disporre un servizio per svolgere bene il suo lavoro. Queste risorse solo in parte possono trovarsi
all’interno del servizio, tutto il resto occorre trovarle nell’ambiente e non le si trova ‘già belle fatte e pronte’
ma bisogna prima cercarle. La soluzione dei problemi del cliente richiede la mobilitazione di numerose
risorse, istituzionali presenti nel territorio o da creare; risorse che, in ogni caso, non si mettono a
disposizione spontaneamente , ma richiedono un lavoro incessante di mediazione con le istituzioni e di
collegamento con il tessuto sociale. L’a.s. ha due compiti: da un lato le attività che riguardano la soluzione
del singolo caso, dall’altro, bisogna prevedere anche le attività che servono a procurarsi risorse (materiali e
informative) per persone che verranno in futuro. Ad esempio, un a.s. che si occupa delle adozioni, da un
lato deve svolgere tutte le pratiche connesse al caso, cercando la famiglia adatta al bimbo, dall’altro ha
bisogno di stabilire dei buoni rapporti con i giudici del tribunale dei minori per tutte le future collaborazioni
e di rifornirsi di una lista di famiglie interessate all’adozione o disposte all’affidamento.
Le Domande che esprimono incertezza sulle risorse sociali sono: dove posso trovare altre opportunità per
chi mi chiede aiuto? In quali ambiti trovare risposte oltre quelle previste per il SERVIZIO? Nel momento in
cui un servizio si propone di attivare le risposte del territorio, non sempre, come abbiamo detto, dispone di
una visione completa delle potenzialità insite:
- nelle istituzioni pubbliche ( altri servizi, scuole)
- nelle agenzie di terzo settore ( cooperative, associazioni)
- nelle reti sociali informali (amici, familiari)
Le domande che si presentano agli operatori riguardano, dunque, anche i canali di comunicazione
che riusciranno a stabilire con i potenziali alleati: Come possiamo ottenere la collaborazione delle
istituzioni indispensabili per risolvere i problemi dei nostri utenti? Come possiamo attivare la
solidarietà dei gruppi primari e della comunità in cui vivono?
Tutti questi problemi incidono sull’operatività quotidiana dei servizi, soprattutto nelle fasi in cui
cresce un certo tipo di richieste per le quali non sono ancora pronte le risposte. In questi casi,
prima che l’emergenza si traduca in politiche di intervento, gli operatori sono sommersi da un
eccesso strutturale di domande rispetto all’offferta che in qualche modo bisogna fronteggiare ( cio
comporta senso di inadeguatezza da parte dell’operatore e rischio di burn out). Inoltre, bisogna
sottolineare che questo squilibrio non si verifica solo in alcuni momenti eccezionali ma appartiene
all’intervento ordinario del sociale, perché viviamo in una società fortemente sperequata dove le
aspirazioni individuali al benessere e alla qualità della vita sono piu alte delle capacità collettive di
risposta. I professionisti sono al centro di questa contraddizione.
Tutti questi punti critici che abbiamo esaminato, se costituiscono elemento lasciato alla risoluzione
dell’operatore, creano solo fragilità al sistema; risolvono solo quel singolo caso e processo di
lavoro, ma non siamo cosi mai in un ottica di sistema. Per risolvere invece le cose in maniera
stabile e duratura, per eliminare i nodi critici, bisogna agire in un’ottica di sistema, è indispensabile
che un aiuto venga dall’organizzazione collettiva che assume il compito specifico di contenimento
delle incertezze,guardando alle materie prime delle organizzazioni ecc… bisogna sempre
collaborare con qualcuno, farsi aiutare da qualcuno.Bisogna però anche notare che Il grosso
problema dell RISORSE, è un problema drammatico ed attuale perché non c’è una strutturazione di
risorse fatte in maniera precisa all’interno delle organizzazioni.
Come si vede, alcune di queste attività sono incluse nella funzione del marketing: informano e
orientano il potenziale utente perché possa avere un ruolo più propositivo e contrattuale
nell’intervento che lo riguarda (si pensi ad es. al caso delle adozioni in cui l’a.s. dovrà attivare
contatti con le associazioni che si impegnano in questo campo, diffondere opuscoli informativi etc
oltre che a cercare la famiglia migliore per il soggetto protagonista dell’intervento).
Altre attività sono nuove; in particolare, l’attivazione delle risorse nel territorio prevede tre
funzioni specifiche:
* Mediazione istituzionale per il singolo caso
* Approvvigionamento di risorse istituzionali per molti casi
* Attivazione delle risorse comunitarie
QUALI SONO GLI STRUMENTI (o funzioni organizzative)PER RISOLVERE
L’INCERTEZZA RISPETTO ALLE RISORSE SOCIALI?
LE INCERTEZZE SULLE RISORSE: degli strumenti per combatterle sono:
- Marketing: come abbiamo detto si tratta di strategie atte a equilibrare il rapporto tra risorse e territorio.
Un esempio di questo tipo di strategie sono: denuncia sociale, sensibilizzazione attraverso pubblicità es.
dona 1 euro per…, attività piu in generale di promozione e divulgazione.
- Mediazione istituzionale: un es. di mediazione istituzionale è quello svolto dai mediatori interculturali.
Questa figura che in Italia si sta diffondendo in molti servizi, è stata inventata circa 20 anni fa dal s.s.
inglese. Qui la funzione di advocacy è affidata a una figura specializzata nella difesa degli interessi del
cittadino e nella mediazione tra il suo punto di vista e quello delle istituzioni a cui si rivolge. Il mediatore ha
un rapporto di lavoro DI CONSULENZA e mantiene una dipendenza funzionale dall’autorità centrale e non
dai singoli servizi. Evidentemente, questa soluzione nasce dalla costatazione che l’accesso ai servizi sociali e
sanitari è molto complicato per alcune categorie di cittadini piu fragili, impreparati o semplicemente
cresciuti in paesi distanti dal nostro e ci vuole un tutor vicino alla loro cultura
- Approvvigionamento: si trattadi quell’insieme di attività che creano un magazzino o una banca di risorse
istituzionali disponibili all’occorrenza. Come nelle organizzazioni economiche è strategico il rapporto con il
mercato finanziario e con quello delle materie prime, tanto piu quanto queste risorse sono scarse, cosi nei
servizi alla persona svolgono un ruolo strategico gli operatori che si interfacciano con gli amministratori
della ASL, del Comune, della Regione e, in generale con chi puo influenzare la distribuzione dei
finanziamenti. Inoltre, il coordinamento tra istituzioni si regge, in primo luogo, sui buoni rapporti personali
tra alcuni operatori che hanno avuto la pazienza e l’accortezza di creare dei legami di fiducia e
collaborazione cosi da ottenere una moltiplicazione delle risorse istituzionali. Infine vi sono le risoprse
informali che creano disponibilità nei confronti dei bisogni delle persone in difficoltà. In questi anni è
cresciuta tra gli operatori la consapevolezza che molto lavoro va fatto in tale direzione. Si tratta del modo
forse piu razionale di moltiplicare le risorse ì, infatti, l’espansione dell’intervento sociale non puo basarsi
sulla lievitazione all’infinito della spesa pubblica e deve necessariamente agire sulla redistribuzione delle
opportunità e sull’attivazione della solidarietà sociale.
5.7. Meta-servizio
Considerando l’ampiezza del lavoro indiretto che un servizio, anche di modeste dimensioni, deve attivare
per rendere produttive le attività dirette all’ente, si può anche parlare di un meta servizio , per indicare un
luogo figurato dove tutto il lavoro indiretto si svolge. Materialmente queste attività possono svolgersi in
una stanza qualunque del servizio; ma, dal punto di vista concettuale, esse si collocano ion un piano piu
alto, in una sorta di ufficio ricerca e sviluppo dove si progettano i mezzi con cui lavorare e si organizzano le
idee. Il meta-servizio puo non avere un luogo fisico, ma sicuramente necessita di professionalità specifiche
(gestionali e di staff), di una propria cultura, di saperi e di strumenti ad hoc. Il ruolo del gestore consiste nel
coordinare le attività assicurandosi che siano svolte nella sequenza corretta ; stabilire accordi tra le diverse
figure professionali assicurandosi che siano rispettatiù; promuovere delle intese di programma con gli altri
servizi confinanti; negoziare le risorse con amministratori e poilitici; rappresentare il servizio all’esterno;
promuovere la formazione e lo sviluppo delle risorse umane all’interno e assumersi la responsabilità di
decidere nelle situazioni conflittuali. Questi compiti il gestore puo delegarli ma sono il nucleo centrale del
ruolo quindi ne risponde anche quando sono temporaneamente delegati ad altri.
Il ruolo dello staff consiste nell’assistere il gestore e l’èquipe fornendo strumenti tecnici di supporto come
progettazione, conduzione di attività formative, attività di ricerca, organizzazione di archivi etc. anche il
ruolo di staff puo essere distribuito su piu operatori che lo svolgono senza rinunciare ad una parte di lavoro
diretto. Mentre è necessario almeno un gestore in ogni servizio, anche il piu piccolo, non è cosi per i ruoli di
staff per cui esiste un problema di dimensione: sono utili quando sono dotati di una struttura tecnica
adeguata e pèerciò vanno collocati in un meta servizio abbastanza ampio da funzionare per organizzazioni
consistenti o per una rete organizzata.
META-SERVIZIO: luogo dove si svolge tutto il lavoro indiretto.
COORDINAMENTI: strumenti e sapere che viene usato nel meta-servizio MA il coordinamento non è uno
segue delle logiche.
WIDOWS ATTIVITA’ CRIMINALE\ester viola : gli spaiati-single ma non troppo\ vento scomposto di
simonetta agnello
CAPITOLO 6: COORDINAMENTO
In passato , intorno agli anni 80 abbiamo il boom del lavoro d’èquipe, c’erano lunghe riunioni che
producevano scelte\decisioni condivise dalla maggior parte. Ciascuno imparava molto dagli altri, si
costruiva una cultura e pian piano emergeva un’idea condivisa sugli obiettivi, sui metodi e si forgiava uno
stile di lavoro comune.
Dopo di che entrerà in crisi il lavoro d’èquipe, il tempo si faceva sempre piu ristretto quindi le riunioni
duravano meno. Anche per questi motivi oggi è entrato in crisi il lavoro dell’a.s. adesso è piu complicato
lavorare in èquipe, si usa meno. Lavorare con gli altri professionisti è invece molto importante quindi non
farlo è uno spreco di risorse molto importante. E’ vero anche che tutte le info non possono essere veicolate
tramite strumenti rigidi e predefiniti come le riunioni, si tratta di quelle informazioni che tra colleghi ci si
scambia in maniera informale, prendendo un caffe ad es. d’altra parte però, anche se l’informalità è
preziosa, ha dei limiti. Tende infatti a strutturare dei percorsi preferenziali e discriminanti, che mettono in
relazione le persone piu vicine mentre tagliano fuori quelle percepite come piu lontane. QUINDI imessaggi
informali vanno utilizzati per i loro pregi (frequenza, rapidità, flessibilità, calore) ma non possono sostituire
la comunicazione organizzata all’interno di circuiti di regolazione predisposti ad hoc. Quando si vuole
progettare un sistema di coordinamento tra operatori, bisogna, pertanto, partire dai flussi di
comunicazione che si sono formati spontaneamente, per valorizzarli ma anche per integrarli.
Il coordinamento è utile sopratt in organizzazioni complesse ma anche semplici che producono al loro
interno servizi alle persona. Il coordinamento spontaneo non da sempre un buon risultato, ma, nonostante
ciò, gli operatori spesso sperimentano oscillazioni tra un periodo permissivo a cui succede una richiesta di
autorità e un clima più rigoroso. Di solito il passaggio da un metodo all’altro avviene per caso o per
logoramento del metodo precedente. Mancano quindi dei criteri per scegliere in quale momento e per
quali situazioni sia conveniente adottare il sistema di coordinamento piu appropriato. Si tratta di un grosso
problema perché non possono essere improvvisate ma DEVONO SEGUIRE DETERMINATE LOGICHE.
Henry Mintzberg dice che il coordinamento si puo manifestare attraverso 5 stili diversi ognuno dei quali
puo avere dei lati positivi o negativi in base al contesto in cui lo si adotta.
I 5 stili di coordinamento sono:
- Adattamento reciproco: si ha un coordinamento di attività x adattamento reciproco quando i diversi
professionisti condividono un obiettivo, avere un ruolo e rispettare la mansione corrispondente senza
andare oltre. Tutti si adattano a tutti e alla necessità che man mano si strutturano quindi vi è elevata
flessibilità. Qst forma di coordinamento va bene sia nelle organizzazioni piu semplice che in quelle
complesse. Il modello organizzativo che si costruisce è ad hoc. Si tratta di una forma poco costosa, per
questo le organizzazione che ne fanno un uso spiccato sono chiamate ‘adhocratiche’.
I limiti sono: il sistema salta quando si creano discordie\problemi xk viene meno quella naturale concordia
che lo teneva all’impiedi. Quindi è un sistema fragile xk anche un piccolo cambiamento di contesto fa
saltare tutto e ci troviamo difronte al caos, non appena il gruppo non procede all’unisono , bisogna passare
ad altre modalità di coordinamento. Quindi è un modello usabile solo x determinate situazioni e periodi e
solo se l’obiettivo è fortemente condiviso dai soggetti. Quindi per certi versi è residuale.
1) Supervisione diretta: consiste nell’esistenza di un soggetto che conduce e che controlla gli ambiti di
attività sopratt nei casi in cui bisogna decidere in fretta, non sono possibili consultazioni in itinere, pur non
escludendo a latere di attivare altri meccanismi supplementari. Però al di fuori di qst ambito la supervisione
diretta ha molti limiti xk essa viene usata oltre k nei momenti in cui bisogna raggiungere rapidamente un
obiettivo ma viene chiesta da chi nn si sente una competenza o una responsabilità per poter prendere una
decisione quindi chiede al diretto supervisore di essere supervisionato durante la sua attività così da avere
delle indicazioni passo passo. Questo pero limita sia l’assunzione della responsabilità sia la crescita
professionale xk nn permette al professionista di osare un poco alla volta che lo farebbe crescere. Quindi
quello che è soggetto a supervisione diretta è limitante,ferma l’organizzazione xk senza il supervisore
l’attività si ferma. Bisogna utilizzare la supervisione diretta per capire come funziona il meccanismo e poi,
però, acquisire spazi di autonomia che ci permettono di prendere decisioni e scelte. La supervisione diretta
differisce da quella normale xk si adotta in situazioni di emergenza in cui magari il professionista deve fare
qualcosa che non gli compete quindi necessita della supervisione del proprio superiore che gli dia delle
indicazioni. Spesso però viene utilizzata in maniera impropria per deresponsabilizzarsi o perché non si
hanno le competenze emotive per affrontare la situazione. A volte ci sono coordinatori che impongono la
loro supervisione xk non sono in grado di istruire i professionisti a muoversi autonomamente. Quindi, come
la precedente forma di coordinamento, anche questa puo essere attivata in situazione di emergenza si ma
come stile di coordinamento fuori dall’emergenza no.
2)Standardizzazione delle competenze: questa forma di coordinamento è tipica delle organizzazioni
professionali. Essa comporta che si interiorizzi uno stesso quadro concettuale di riferimento quindi delle
competenze uguali per tutti e che quindi consente di usare gli stessi metodi di lavoro, un unico stile
professionale. Ciò permette loro di coordinarsi nel lavoro perché, raggiunto un certo livello di maturità, è
facile intendersi sul modo di procedere. Tutto dipende da una formazione di base standard ed in corso
d’opera, lavorando. Questo stile è quindi una via di mezzo. Quando un’èquipe gestisce la stessa attività da
molti anni e senza un turnover significativo, a un certo punto raggiunge, al proprio interno, un
coordinamento quasi automatico e apparentemente spontaneo. Se torniamo indietro vediamo però, che
molto è stato investito nelle riunioni sui casi, in cui tutta l’èquipe discuteva a lungo sui metodi, sui criteri e
sui nomi stessi con cui chiamare le cose e distinguere un problema dall’altro. Ad un certo punto queste
riunioni sono diventate scontate ed inutili dato che ognuno si esprimeva come l’altro. I limiti sono:
c’è sempre bisogna di altre competenze che esulano dalle competenze standard; l’uso delle stesse
metodiche operative possono non essere efficaci per determinati casi. Vi puo essere stagnazione, mancato
adeguamento alle novità. E’un’organizzazione ferma che si congela nel tempo e che non cresce. E’ una
nicchia di salvezza da un lato xk non ci sono conflitti, ‘io nn ho invidia della collega che ne sa piu di me’, 0
competività ma, è una linea piatta. Infine, anche se tra gli operatori si espande un senso di facilità e
naturalità si espande anche la noia.
Bisogna quindi pensare che ci sono molti stimoli all’interno di un servizio, utili per affinare le
conosce,investendo in nuovi campo. La professionalità sociale si è differenziata in questi anni seguendo 8
piste: l’età dell’utente, il problema, il metodo (approccio comunitario, sistemico), il luogo o il setting, la
durata, l’intensità (terapie a distanza o terapie intensive), il rapporto con le leggi, il processo di lavoro (le
diverse fasi).
4) Standardizzazione del processo: accordo su una sequenza procedurale, adozione di una sequenza
procedurale, e protocolli di lavoro. E’ un lavoro in un’organizzazione fortemente istituzionalizzata dove il
processo di lavoro è fortemente formalizzato. Tutto è codificato, preordinato e previsto. Un esempio ne
sono gli organismi del ministero della giustizia. Questa forma è utile quando vari operatori ruotano
all’interno della stessa funzione e si vuole garantire il rispetto di un percorso standard. I limiti sono
l’urgenza che fa saltare tutto,ripetività degli atti che non portano ad una crescita professionale, i tempi si
allungano, un errore procedurale fa saltare tutto.
5) Standardizzazione dei risultati: è una modalità di coordinamento che la prof non ama xk si tratta di
condividere determinati risultati da raggiungere e trovare, ciascuno autonomamente, la modalità per
raggiungerli. Questo stile di coordinamento ha il grosso limite di non prevedere che ci possa essere
discordanza. Nelle politiche sociale questa idea del coordinamento è rappresentata in numerosi programmi
e interventi legislativi che si concentrano sulla definizione minuziosa dei risultati auspicati (gli obiettivi
affidati all’intervento), mentre danno pochissime indicazioni sul modo per raggiungerli (modalità
organizzativa, ripartizione delle risorse, metodi operativi). Un tipico es. è la recente riforma per l’handicap
(L. del 92 n. 104): il dettato legislativo prescrive 47 diritti o servizi che devono essere garantiti al disabile,
demandando alle Regioni il compito di fare il resto. In questo modo lo Stato si limita a esercitare un ruolo di
indirizzo. Solitamente questa forma di coordinamento funziona quando i soggetti a cui è richiesto il compito
hanno tutte le conoscenze e le risorse per svolgerlo. è questo il presupposto che sta alla base della
convenzione fra un ente pubblico e un fornitore di servizi. L’associazione, la cooperativa , la società di
servizio vengono valutate per le competenze e capacità organizzative di cui dispongono. L’ente pubblico
cosi ottiene un risparmio organizzativo, infatti, valuta solo la qualità dei servizi resi, sfruttando le capacità
gestionali del fornitore nell’ottimizzare le risorse al proprio interno.
Secondo questa ripartizione, gli stili di coordinamento cosi suddivisi, non potrebbero mai essere utilizzati
uno esclusivamente rispetto ad altri. Dipende dalla situaizone. Sono tutti validi a patto che non vengano
usati in modo esaustivo.
Il medico, ad es., vorrà studiare l’efficacia di certi protocolli farmacologici, confrontandosi con gli operatori
che fanno il suo stesso lavoro. Se non trova un partner all’interno del suo servizio, vorrà eventualmente
dialogare con altri professionisti che adottano le stesse metodiche in altri servizi. La stessa esigenza sarà
avvertita dall’educatore e dallo psicologo.
Questi 2 livelli di coordinamento puntano alla standardizzazione delle conoscenze, ma in modo diverso:
- Il primo tende a stabilire una base di riferimento comune, a livello linguistico, concettuale e operativo, tra
professioni diverse. Presenta, dunque, delle difficoltà particolari, perché non sempre i saperi possono
confrontarsi alla pari e, perciò non funziona bene in autogestione; spesso richiede una conduzione
autorevole e competente
- Il secondo mette in comune risultati professionali tra operatori che utilizzano lo stesso apparato
concettuale: è più semplice da condurre e può svilupparsi nella forma di un gruppo di studio autogestito,
finalizzato, ad es., per fare una ricerca o per scrivere un articolo insieme.
Per questo tipo di riunioni, spesso, le èquipe si affidano alla guida del responsabile o di un consulente
supervisore. Quest’ultimo, soprattutto se alla guida di riunioni che hanno per oggetto le competenze
professionali, dovrà evitare di far leva sull’autorità gerarchica e utilizzare, piuttosto, l’autorevolezza che gli
viene dall’anzianità e dall’esperienza. Il responsabile o il consulente esterno non devono schierarsi a favore
di un approccio metodologico ma,devono regolare il dialogo tra approcci diversi. In realtà però, questo non
avviene quasi mai, infatti, spesso le èquipe chiamano un supervisore molto schierato, specializzato in una
metodologia e con lui cercano di attivare una supervisione dei casi e un dialogo interprofessionale.
Concludendo: Vi sono molti metodi per coordinare il lavoro nei servizi e, come abbiamo detto, ciascuno è
utile in situazioni diverse. Tuttavia, la standardizzazione delle competenze è la via principale per favorire il
coordinamento tra professionisti che devono interiorizzare le regole e il fine organizzativo, dunque, cresce
in autonomia e responsabilità.
Il coordinamento su un metodo , un approccio e un’area di intervento, se presenta una specificità culturale
condivisa da coloro che partecipano alla riunione, può essere affidato alla persona piu esperta, che può
essere individuata all’interno del gruppo o presa dall’esterno, come consulente, tra gli specialisti
dell’argomento.
Il coordinamento sui programmi d’intervento che mettono insieme discipline e approcci diversi, invece,
richiede una guida al di sopra delle parti, la cui autorevolezza sia riconosciuta da tutti, che sappia dirimere
eventuali conflitti di competenza, a vantaggio di un approccio realmente interdisciplinare e del risultato
migliore per l’utente.
DUNQUE è necessario che in ogni servizio vi siano dei ruoli decisionali, che devono possedere una
competenza di merito e tecnica sugli interventi sociali e, contestualmente, sviluppare competenze di
gestione e coordinamento.
CAPITOLO 7
LAVORO DI RETE
Abbiamo detto che i nuovi bisogni sociali e sanitari raramente trovano risposta in un’unica figura
professionale.Il lavoro sociale è un’attività complessa k nn da esiti di raggiungimento di obiettivi con
l’intervernto di un ente\operaotre\organizzazione xk i bisogni sociali sn complessi ai quali nn si puo dare
una sola e unica risposta che deriva da una sola organizzazione, spesso deriva invece dalla combinaizone di
diverse risposte di diverse organizzazioni. Quindi BISOGNO—CONFIGURAZIONE COMPLESSA
MULTIPROBLEMATICA NECESSITA –> l’ ATTIVAZIONE DI RETE DI RISORSE.
Il bisogno non si presenta mai in maniera pura e semplice, un biusogno sociale è x definizione un bisogno
complesso. Spesso se andiamo a fondo in un processo d’aiuto vegnono fuori cose che nn ci aspettiamo
quindi anche se inizialmente si presenta come un bisogno semplice, non lo è mai.
QUINDI il Lavoro di rete, si rende necessario xk i bisogni sociali o socio sanitari nn sn semp0lici nel senso
che possono essere risolti con l apporto professionale di un singolo operatore, sn piuttosto bisogni
complessi che invece necessitano di un azione multi professionale , piu operatori che possono o no
appartenere allo stesso servizio.
Il fatto che spesso l’utente presenta una situazione multiproblematica non deve essere considerato un
handicap perché, se da un lato rende molto faticoso l’approccio iniziale al problema, dall’altro puo offrire
agli operatori l’opportunità per risolverlo in modo globale. I professionista cercando di ‘sbrogliare l’intera
matassa’ possono scoprire intrecci tra un problema all’altro, stimoli che consentono di innescare un circuito
virtuoso in modo da ricondurre, il sistema di vita compromesso verso un equilibrio accettabile.
Le recenti riforme in campo socio-sanitario hannno inventato una grande varietà di servizi che si
differenziano tra loro oltre che per la tipologie delle persone a cui si rivolgono, anche per la strutturazione
del setting. Si tratta quindi di una specializzazione funzionale dei servizi, che si aggiunge a q uella
professionale degli operatori.
Parliamo di setting o struttura del servizio per indicare il modo in cui la persona usa il servizio cioe in
maniera saltuaria o continuativa, casuale o per appuntamento, ma, usiamo il termine setting anche per
sottolineare l’importanza del luogo e del contesto in cui si svolge l’incontro con gli peratori che va dagli
ambienti piu rigidi e artificiali a quelli di vita quotidiana. Si tratta di ambienti diversi tra loro e, l’operatore di
conseguenze, deve misurarsi con leregole dettate dagli ambienti stessi.
Come si fa a capire quando il suo apporto professionale nn basta a risolvere il bisogno prospettato
dall’utente? Bisogna accogliere l utente ma evitare di andare in tilt, farsi allagare dal biasogno dell’utente,
bisogna individuare delle priorità da seguire ed è da qui che vengono fuori gli elementi strategici. Se il
nostro servizio nn puo aiutare l’assistito possiamop fare segnalazione, restituiamo il problema all’unità
operativa cioe al medico che ci aveva chiamato per dirci che stavano per dimettere il paziente spiegandogli
che non possiamo fare altrimenti che una segnalazione. Quindi l primo elemento che dovbiamo osservare è
la nostra capacità di poter affrontare il problema altrimenti nn possiamo mettere in atto un lavoro di rete e
pensare a dove mandarlo. Dobbiamo conoscere il probvema nella sua intrinseca consistenza. Dobbiamo
sapere con chi abbiamo a che fare quindi se ho uno schizofrenico o paranoico o tossicodipendente o
marhinale dobbiamo sapere quali sono gli elementi caratteristici che riguardano queste persone. Quindi la
proima cosa impo x avere un buon lavoro di rete, dobbiamo avere cognizione del problema, quali sn gli enti
utili e come possono esserlo.
7.2. Organizzazione a rete
Da queste osservazioni è evidente come il modello organizzativo di riferimento per il settore socio-santiraio
(x ogni cliente progetto personalizzato) sia distante da quello delle burocrazie tradizionali (produzione in
serie). Quindi la razionalità organizzativa non puo essere cercata nei vantaggi offerti dall’economia di scala
e dalla specializzazione spinta dei compiti. Ci vule un altro modello di riferimento, basato sulle capacità del
sistema produttivo di convogliare le diverse risorse disponibili attorno al progetto del cliente. Possiamo
chiamare ‘organizzazione a rete’ un modello tendenziale, in cui i diversi soggetti produttivi o nodi del
sistema, convergono su obiettivi comuni, avendo interiorizzato una cultura progettuale e le regole che
governano lo scambio di propdotti tr a l’uno e l’altro. Il coordinanemnto tra servizi che sono chiamati a
collavorare su progetit comuni pèresenta molte difficoltà che possono essere affrontate usando, in forma
analogica, lo stesso procedimento che è stato seguito per riflettere sul cooridnamento tra operatori diversi.
L’analogia è possibile xk ogni professionista puo comportarsi, in qualche misura, come un’organizzazione a
se stante, con spinte autonomiste simili a quelle che ogni servizio tende a esprimente nei confronti degli
altri servizi confinanti. Anche un equipe puo essere letta come una rete di cui ogni professionista è un nodo.
La collaborazione, sia tra professionisti che tra servizi, si sviluppa sulla base di necessità convivenza
riscontrate nelle pratiche professionali. Per stabilire un collegamento funzionale tra strutture diverse è
impo che gli operatori possano riconoscere facilmente le ragioni tecniche e organizzative che configurano
un certo assetto piuttosto che un altro. Solo allora la collaborazione acquista peso e significato.
7.3 setting: divisione funzionale del lavoro tra servizi
Bisogna rendersi conto del fatto che non basta prendere le distanze da un modello totalizzante, che si
incarnava nelle cosiddette istituzioni totali, bisogna anche consentire la libera creazione di tante strutture
diverse, diurne, semiresidenziali, ambulatoriali, comunitarie e familiari. Inoltre, occorre ripensare al
modello organizzativo stesso di ognuna così da realizzare una specifità funzionale ben chiara.
Un esempio di quanto sopra detto è quello che è stato realizzato con l’ospedalizzazione a domicilio. Infatti,
è stato creato un nuovo setting che mette insieme l’assistenza sanitaria intensiva (propria dell’ospedale) e il
luogo domestico (proprio degli interventi tipicamente assistenziali). con lo stesso criterio si potranno, in
futuro, inventare altre forme di intervento, cercando di rileggere le specificità funzionali dei servizi, alla luce
delle impellenti e prioritarie necessità delle persone. La presa in carico si sposta dal contenitore fisico
(ospedale, istituto) al progetto, aumentando di molto la complessità del lavoro degli operatori, ma offrendo
possibilità di recupero prima impensabili.
7.4 Costruzione della rete
Da un punto di visto logica, la pianificazione di una rete e la sua integrazione funzionale devono venire
prima della divisione del lavoro tra professionisti. Nella realtà però le cose vanno diversamente. In
linguaggio organizzativo si dice cheprima dovrebbe essere definita la macrostruttura, cioè la divisione di
compiti tra centri produttivi, poi si dovrebbe progettare la microstruttura, ossia la divisione del lavoro
all’interno di ogni singolo centro. Questa sequenza non è rispettata perché gli assetti dei servizi socio-
sanitari territoriali non nascono da un’unica mente programmatrice, né possono essere riorganizzati a
tavolino, senza tener conto del percorso compiuto dagli stessi operatori per mettersi d’accordo tra loro.
DUNQUE, le decisioni sugli assetti organizzativi, nei servizi territoriali, nella realtà procedono:
- Dall’alto verso il basso, ossia dagli organi di governo ai servizi, mediante atti amministrativi (decisioni
formalizzate) che fissano obiettivi, standard, risorse, incentivi e modelli di riferimento. In tal modo si
produce l’organizzazione formale
- Dal basso verso l’alto, ossia dall’operatività agli organi di governo, mediante micro decisioni di fatto e
negoziati locali che cercano di costruire l’organizzazione in base alle esigenze decentrate. In tal modo si
produce l’organizzazione reale.
Se questto schema a doppia via non è ben coordinato si produce un divario molto forte tra la norma (il
modello amministrativo) e la configurazione reale dei servizi nelle diverse realtà del territorio. Nel
progettare una rete organizzativa, dunque, è importante, prima di coordinare un modello in atti
amministrativi, raccogliere tutte le indicazioni che provengono dalle esperienze e stimolare la progettazione
di modelli organizzativi in loco.
Si tratta di due fenomeni opposti e speculari, che nei fatti negano l’utilità di progettare una rete integrata e,
al tempo stesso, misurano e spiegano le difficoltà insite nell’organizzazione a rete.
7.6 Governo della rete
Come un’equipe di operatori trova l’equilibrio ottimale grazie ad un gestore che ha il compito specifico
della sua regolazione, cosi anche i servizi di una rete possono raggiungere un buon livello di integrazione
grazie ad un centro di governo. Anche la rete, come il servizio, deve essere dotata di un meta servizio ,
inteso come luogo sovraordinato ai singoli centri di erogazione, con il compito specifico di alimentare la
progettualità e sostenere la coerenza della rete complessiva dei servizi: tutto ciò sarà possibile ottenendo
la collaborazione anche da parte dei soggetti che tendono spontaneamente a ignorarsi, dirimere conflitti di
autorità e problemi frequenti di competenza; costruire una cultura comune per l’interpretazione dei casi;
produrre delle regole condivise sulle metodologie d’intervento. Un luogo che rappresenti un’estensione
tecnica del lavoro e valorizzi le intese già raggiunte all’interno della rete.
QUANTE E QUALI ATTIVITA’ DEVONO ESSERE PREVISTE PER LA GESTIONE INTEGRATA DI UNA RETE?
Anche in questo caso non c’è un modello organizzativo ottimale da applicare a tutte le realtà. La soluzione
adatta al contesto specifico va cercata usando le potenzialità già espresse nella storia locale e rispondendo
alle esigenze di scambio segnalate dai legami informali. Anche una rete, deve produrre interventi integrati,
riuscire a governare tutti quei fattori di incertezza che rendono confusivo e precario il lavoro sociale:
1. Per monitorare il territorio e le esigenze della popolazione, la rete ha bisogno di strumenti di ricerca
(sulla domanda, sull’offerta e sul grado di soddisfazione dei bisogni)
2. per orientare l’utenza nei vari servizi rispettando il target di ognuno, la rete deve darsi dei centri
d’informazione ai cittadini, di segretariato sociale e di marketing dei servizi
3. per coordinare le metodologie e i programmi d’intervento dei diversi servizi, la rete deve prevedere delle
unità di valutazione integrate che non solo concordino i programmi per i singoli utenti, ma decidano a chi
affidare la presa in carico e il compito di seguire il percorso dell’utente da un servizio all’altro (case
management)
4. per reperire risorse spontanee nel territorio e negoziare le risoprse istituzionali, la rete ha bisogno di
promuovere iniziative poilitiche coordinate, evitando la concorrenza impropria e cercando di puntare,
invece, a un’equa redistribuzione.
Queste sono le attività che teoricamente, dovrebbero essere previste, coordinate e gestite insieme dai
servizi in rete; nella realtà invece, si presentano le soluzioni piu diverse, come ad es. le sovrapposizioni.
In questi anni sono in corso esperimenti istituzionali per risolvere un dilemma organizzativo:
- Da un lato, dotare il territorio sovra comunale di un ente gestore con personale, bilancio e spesso
organizzativo adeguato alle necessità dei servizi alla persona;
- Dall’altro lato, valorizzare la funzione del Comune anche piccolo, come prima istanza a cui il cittadino si
rivolge per ogni necessità e istituzione elettiva che risponde direttamente ai cittadini dell’uso delle risorse.
Questo dilemma è stato affrontato cercando IL GIUSTO EQUILIBRIO tra responsabilità politica del singolo
Comune e responsabilità gestionale dell’ente sovra comunale tramite ad es. consorzi di Comuni, zona
sociale, azienda speciale. Queste ed altre formule giuridiche che si potranno inventare in futuro cercano di
tenere distinte le decisioni che riguardano le strategie sociali (programmazione di lungo periodo) e le
decisioni che attengono alla gestione ordinaria. Le prime vengono affidate ad organismi politici (assemblea
dei sindaci) le secondo a organismi tecnici.
Quanto coordinamento è richiesto, sul piano tecnico, per far funzionare la rete: se ci deve essere, cioè,
un’intensa e frequente attività in comune, o è sufficiente un coordinamento lasco e a distanza. Il grado di
integrazione dipende dalle problematiche trattate dai servizi in rete e le metodologie d’intervento che
determinano quanto gli operatori devono coordinarsi tra loro. Un es. di ciò p dimostrato da due diverse
situazioni:
RETE FORTEMENTE GOVERNATA presente nel Dipartimento di salute mentale:
l’insieme dei servizi di salute mentale che operano nello stesso territorio (distretto) offre un ottimo
esempio di una rete che deve raggiungere una forte integrazione: infatti, in tutte le Regioni italinae il
dipartimento è ormai previsto dalle normative del settore. L’organizzazione dipartimentale prevede un
unico responsabile a capo di tutti i servizi della rete e l’appartenenza di tutti gli operatori a un unico
organico, anche se dislocati in servizi diversi. Il dipartimento di salute mentale si compone di servizi diurni e
residenziali.
- Il servizio di diagnosi e cura interviene su patologie gravi e in fase acuta ed accoglie quei trattamenti sanitari
obbligatori che si impongono quando l’utente non è in grado di volere o di contrattare la propria salute.
- L’ambulatorio è il luogo aperto e destrutturato dove si puo accedere in alcuni casi anche senza
appuntamento e per qualunque tipo di consulenza comprese alcune psicoterapie
- Il centro diurno è più strutturato e accoglie un numero stabile di utenti per delle attività programmate che
occupano una parte rilevante della giornata
- La visita domiciliare: è un’attività integrativa (talvolta preventiva) che, di norma, serve a rafforzare
l’efficacia delle attività svolte negli altri servizi
- La casa famiglia è il luogo di vita per chi ha perso la famiglia naturale ed essendo sufficientemente
autonomo puo essere aiutato a ricostruirla con altre persone nella sua condizione
- La comunità terapeutica è un setting deputato alla cura di pochi pazienti , con problemi relativamente
simili, che richiedono una dedizione affettiva e terapeutica incessante, giorno e notte.
- La comunità alloggio, infine, serve a persone con poca autonomia e per le quali il programma di
riabilitazione ha tempo lunghi, talvolta indefiniti. Vi è dunque una specificità funzionale che distingue ogni
struttura organizzativa.
Il programma di intervento personalizzato in alcuni casi utilizza, un unico servizio, ma piu spesso richiede un
mix di servizi, con il passaggio frequente dall’uno all’altro. Gli operatori devono essere tutti al corrente di
cosa succede in ciascun servizio, se vogliono coordinare le attività svolte per la stessa persona. Prima
ancora, devono rifarsi a una cultura comune per valutare i nuovi casi che accedono al servizio, per
formulare un programma e per valutarlo nel tempo. La presa in carico è un’esigenza molto forte quando si
lavora con malati di mente, perché solo la progettualità e la comunità nel lungo periodo possono alleviare
alcune sofferenze distruttive della psiche. L’abbandono della persona e della sua famiglia alle dinamiche
spontanee non è terapeutico, ma è cosi doloroso che le associazioni dei familiari, in situazioni estreme,
sono arrivate a rimpiangere la custodia istituzionale. Il modello territoriale è, dunque, vincente rispetto al
manicomio, a condizione, però, che raggiunga lo stesso livello di presa in carico, finalizzato non al semplice
contenimento, mma all’evoluzione dello stato di sofferenza.
Tutto cio ha portato i servizi della salute mentale ad elaborare una cultura di settore: un linguaggio comune
e dei criteri molto elaborati per decidere l’accesso, la valutazione, la diagnosi (x la quale esistono da
decenni delle classificazioni internazionali), la progettazione e la presa in carico. Lo sforzo di integrazione
non impedisce che vi siano dei conflitti di competenza tra un servizio e l’altro , gelosie e incomprensioni tra
professioni e che il meta-servizio rappresenti piu un’esigenza che una realtà compiuta. Ma, quando c’è e
funziona, molti sono i compiti che assolve il dipartimento, inteso come servizio ai servizi, luogo deputato
alla progettualità e alla integrazione del lavoro. Esso deve occuparsi di almeno 5 problemi:
1) intese con i servizi confinanti con la salute mentale, per definire i criteri di invio al dipartimento, per
sviluppare attività preventive e per seguire i casi multiproblematici
2) formazione interna dei professionisti, per uniformare i criteri diagnostici e operativi
3) divisione dei compiti tra servizi e operatori, per garantire una chiara identità a ciascuno, condizione
indispensabile per una collaborazione efficace.
4) attribuzione di responsabilità sui singoli casi , per assegnare utenti e operatori secondo priorità
concordate (carichi di lavoro, competenze)
5) contrattazione delle risorse in sede politica e amministrativa, secondo esigenze che scaturiscono dai
programmi di lavoro complessivi (cioe di dipartimento e non dei singoli servizi).
Tutte queste attività rientrano nei compiti di molti e non sono di nessun servizio specifico: sono appunto del
dipartimento. Quanto piu queste attività sono note e visibili, tanto maggiore sarà tra gli operatori il senso di
appartenenza ad una rete forte e coesa.
A chi devono essere affidati tutti questi meta-servizi? Bisognerebbe privilegiare le spinte autogestioni are
evitando di inserire degli operatori esterni e sovrapporre logiche burocratiche, quando non è richiesto. E’
stato osservato che le reti a legami deboli come questa abbiano dei vantaggi che mancano a quelle piu
compatte e strutturate come i dipartimenti. In particolare, ogni nodo della rete deve verificare da solo
l’utilità della sua esistenza: pertanto, si adatta e si modifica, secondo l’evolvere della realtà sociale. Inoltre,
l’insuccesso o la disfunzione di un nodo non incide direttamente sugli altril. Infine, la plurtalitràa culturale,
la varietà di storie, linguaggio e di orientamenti nn sono una risorsa a doppio taglio e ambigua, come nei
sistemi in cerca di coerenza interna, ma sono una risorsa e basta.
In queste reti, dunque, i costi del coordinamento sono ridotti e lo sforzo maggiore consiste nel fornire
appoggi indiretti, utili ma non soffocanti, alle spinte organizzative spontanee.
Nella salute mentale, invece, i costi del coordinamento sono molto alti xk analoghe spinte autonome (forti
e diverse) devono essere ricondotte ad una sintesi organica. Tuttavia,si è anche visto come, in questo caso,
venga in aiuto un contenitore organizzativo che è dato dalla struttura dipartimentale. Nel caso in cui essa
non vi è (situazione frequente nei servizi territoriali) bisogna esercitarsi per mettere a fuoco i probkemi
specifici di un coordinamento di rete, senza rete.
8.3. La matrice
Il Sistema di rete comporta che su un obiettivo complesso convergano diversi operatori che afferiscono a
diversi enti, ognuno dei quali da solo non andrebbe da nessuna parte. Una modalità di lavorare per progetti
è usare la matrice. Essa consiste nel fari si che si schematizzi rispetto ad un progetto da realizzare,
l’intervento e l’azione di operatori competenti in quel progetto. Ne fa parte anche il tirocinante che è impo
ed ha una parte nel servizio. I diversi progetti possono essere avviati contemporaneamente rispetto a
determinati obiettivi che si prefiggono di raggiungere. (si legge a colonne, in orizzontale). Si tratta di uno
schema semplice tramite cui si comprende chi sono i soggetti che partecipano a quel progetto cosi da
vedere in un’ottica organizzativa cosa l’ente si propone di raggiungere e con quali professionisti . Da essa si
desumono quindi i centri di responsabilità. In realtà la usano solo alcuni operatori xk: il lavoro sociale logora
quindi porta coloro i quali lavorano a dimenticarsi di riflettere su di se (dato che la matrice serve anche a
questo mostrando il carico del lavoro) dato che il lavoro sociale riempie molto spazio quindi talvolta è
difficile crearsi uno spazio mentale utile alla riflessione su di sé, sul proprio lavoro, sul lavoro svolto nel
servizio. Un’organizzazione a matrice permette una distribuzione degli operatori in piu gruppi di lavoro,
ciascuno dei quali puo essere composto anche da persone che dipendono gerarchicamente da aree o
strutture diverse. Una matrice semoplice prevede che un operatore partecipi ad un solo progetto alla volta,
ma i casi piu frequenti sono dati da matrici multiple perché, in genere, questo tipo di organizzazione viene
adottato proprio per consentire ai professionisti di seguire più progetti contemporaneamente. L’uso della
matrice da parte di tutti i servizi territoriali determina il passaggio da un piccolo sistema (il servizio) ad un
sistema molto piu grande che appunto puo includere tutti i servizi del territorio. Chiaramente sarà
necessario allargare la matrice: in verticale, l’elenco degli operatori si allunga enormemente per
rappresentare tutti gli operatori della rete che collaborano a qualche progetto comune; allo stessso modo,
in orizzontale, anche l’elenco dei progetti deve comprendere tutti quelli che, di fatto , vengono svolti nel
territorio. Una buona descrizione della rete dovrebbe includere non solo gli operatori pubblici, ma anc ei
volontari, le cooperative, le associazioni e quanti, di fatto, contribnuicsono con una certa continuità (nn solo
occasionalmente) alla riuscita di un intervento. Per delimitare in senso organizzativo il disegno della matrice
si individuano solo i progetti che appartengono alla stessa area di intervento (salute mentale, giovani,
anziani). Il senso della rete è, infatti, nel beneficio che possono trovare i servizi e le attività sociali nel
coordinarsi a un livello piu alto rispetto a quello del servizio. E’ evidente che cercheranno di mettere in
comune le risorse quei servizi che hanno un contenuto di lavoro affine.
UTILITA’DELLA MATRICE
Essa è molto utile sotto diversi punti di vista:
- Permette di completare l’immagine che un operatore si fa del proprio lavoro, vedendo quali sono i confini
rispetto al servizio e alla rete,ma,l’operatore può anche fare il confronto tra il proprio ruolo e quello degli
altri. Inoltre spesso alcune figure professionali che dentro il servizio sembrano le meno importanti, viste in
una prospettiva di rete, appaiono piu significative xk molte attività le svolgono fuori, con operatori di altri
ambienti o istituizioni. Si scopre cosi che il loro ruolo di collegamento nel territorio è strategico per la
riuscita delle attività interne al servizio.
- L’operatore grazie alla matrice puo identificarsi con un numero limitato di progetti, pur mantenendo un
senso di appartenenza al servizio e alla rete. Facilita la programmazione del lavoro quotidiano, orientandolo
verso il risultato a cui tendono i progetti.
- La rete emerge come organizzazione virtuale, dotata di risorse che si tratta di distribuire meglio,
formalizzando dei gruppi di lavoro interservizi che, in qualche misura gia esistono. Quindi sia la matrice del
servizio che la rete sono degli strumenti che rendono possibile il progetto.
- Il responsabile del servizio puo rendersi conto se i carichi di lavoro sono ben distribuiti e se c’è un equilibrio.
Può, inoltre, esercitare meglio il suo compito che è quello di attribuire, di volta in volta, le risorse umane piu
adatte ai nuovi progetti e di designare i coordinatori di progetto
- Ogni operatore puo riconoscere quali sono le sue responsabilità e a chi deve rispondere dell’andamento del
lavoro per ogni progetto.
Questi ultimi due punti relativi ai carichi di lavoro e responsabilità, perché essi presentano degli aspetti
nuovi, quando si passa da un’organizzazione semplice a un’organizzazione a matrice. I problemi possono
essere cosi enunciati:
- A chi attribuire un ruolo di responsabilità nel gruppo misto, dal momento che i membri del gruppo
mantengono la loro dipendenza gerarchica da strutture diverse
- Come permettere ai partecipanti del gruppo di maturare un senso di appartenenza al servizio e di fedeltà al
progetto, se il loro lavoro è distribuito su tanti progetti,
Nelle organizzazioni a matrice si vengono a determinare degli incontri multipli nelle linee di autorità e di
appartenenza, che richiedono nuove regole basate sulla priorità degli obiettivi da conseguire. In primo
luogo, nel momento in cui un operatore viene attribuito ad un gruppo di progetto, si trova sottoposto a una
linea di autorità nuova. Per cio che riguarda il suo lavoro finalizzato al progetto ( e solo per quello), egli non
risponde piu al suo superiore gerarchico (il responsabile di area), bensì al responsabile del gruppo. Inoltre, il
principio che legittima il ruolo di responsabile nel gruppo non va cercato nel livello gerarchico, bensì nelle
competenze tecniche di cui disponde rispetto al contenuto del progetto.
Cambiano cosi le logiche organizzative tradizionali e i comportamenti dei singoli devono adeguarsi di
conseguenza: i ritmi, l’agenda, la fedeltà professionale dovranno essere fortemente orientati al risultato
collettivo. Per questo il gruppo intersettoriale deve individuare uno scopo ben comprensibile e condiviso
dai partecipanti. Se l’operatore partecipa a piu gruppi, non deve perdere di vista l’equilibrio tra progetti,
evitando di affezionarsi solo a quelli dove si lavora meglio e dove c’è un buon clima. Deve tener presenti
anche i progetti fastidiosi ma indispensabili, o difficili ma strategici. Ecco, allora, che non basta la fedeltà al
singolo progetto; serve, invece, una comprensione strategica delle finalità e degli interventi complessivi sia
del servizio che della rete. Rispetto a queste regole nuove, i servizi territoriali presentano dei punti di forza
e di debolezza. Un punto di forza è costituito dal carattere professionale del lavoro e dall’orientamento al
cliente proprio degli operatori socio-sanitari; mentre un punto di debolezza è dato dalla cultura burocratica
prevalente nelle organizzazioni pubbliche da cui essi dipendono (concezione della gerarchia, rigidità
contrattuale etc).
Spesso nei servizi territoriali, la designazione di un coordinatore che offra tali qualità è un problema
destinato a rimanere irrisolto. Infatti, l’autorevolezza formale è un requisito che, in genere, possiede il
medico primario il quale, però, assume un’ottica sanitaria ben precisa, mentre operatori meno legittimati a
livello gerarchico possono avere le qualità tecniche richieste a un coordinatore super partes.
Il problema non potrà essere adeguamente risolto fino a quando non crescerà una cultura interdisciplinale
tale da imporsi anche nei contratti di lavoro. Solo quando le professioni sociali avranno pari dignità, anche
formale e gerarchica, rispetto a quelle sanitarie, saranno risolvibili alcuni problemi di autorità nelle matrici
organizzative socio-sanitarie.
Allo stato presente è cmq opportuno definire, all’interno della matrice organizzativa, un’equilibrata
distribuzione dell’autorità che permetta agli operatori di riconoscersi in uno o più gruppi, di rispondere a
uno o più responsabili, in un quadro certo e facilmente individuabile. Quando agli operatori è data la
possibilità di appartenere a un’organizzazione dai confini chiari, si creano le condizioni per un investimento
professionale e per la costruzione di quella nuova cultura interdisciplinare che non puo che nascere
dall’operatività.
CAPITOLO 9: LA VALUTAZIONE
Nel lavoro sociale l’operatività da origine ad un’attività riflessiva che avviene spontaneamente, perché
intrinseca al lavoro relazionale. Nonostante ciò l’organizzazione può incentivare questa
riflessione\valutazione. Si tratta di sostenere con strumenti appropriati, favorire all’interno dell’orario di
lavoro e incentivare con adeguate ricompense quella riflessione critica e valutativa che gli operatori sono
spinti a fare per valorizzare il proprio lavoro. E’ importante organizzare la valutazione:
- Aiuta il singolo operatore a reggere le incertezze che affronta quotidianamente, a condividere la
responsabilità di scelte complesse e opinabili in un luogo deputato alla riflessione, allo studio e alla raccolta
sistematica di conoscenze
- Evita che si formino dei meccanismi difensivi nei confronti dello stress e della routine che portano a
impoverire le prestazioni professionali e a disamorarsi del lavor (contrasta il burn out)
- Mette il servizio a riparo dalle disfunzioni che si producono quando la rotazione del personale comporta
una perdita delle esperienze e delle conoscenze possedute dagli operatori che se ne vanno. Infatti,
l’accumulo di un patrimonio culturale collettivo è anche un modo con cui il servizio si crea una storia che
può trasmettere ai nuovi arrivati e che può confrontare con altri servizi
- Infine, pemette un dialogo con l’opinione pubblica, con gli amministratori, con una realtà sociale che è
ancora molto poco informata di ciò che si fa e si realizza nei servizi territoriali.
9.1. Legittimità del modello territoriale
Nonostante il modello territoriale (alternativo a quello ospedaliero e alle grandi istituzioni di ricovero) sta
raccogliendo consenso tra la popolazione e intuitivamente viene percepito come trainante per il futuro dei
servizi, si deve ancora legittimare.
Del retto tutte le organizzazioni, in qualche misura, hanno un problema di credibilità verso i clienti e, piu in
generale nei confronti di coloro che possono influenzare il successo. I servizi alle persone sono sensibili
all’opinione dei cittadini e a quella dei politici; hanno bisogno del sostegno di entrambi. Bisogna quindi
effetturare un lavoro di facciata e linguistico che riguarda sia le metodologie che i problemi su cui
interviene: tipico è cambiare il nome in volgare dell’utente con uno ritenuto più nobile ( da cieco a non
vedente) e arricchire le metodologie con una varietà di espressioni, spesso equivalenti. Il metodo proposto
in questo capitolo per aumentare la credibilità è un altro; esso punta sulla capacità di rendere verificabile
all’osservatore esterno il contenuto e i risultata del lavoro. Dunque, se fino a pochi anni fa i servizi sociali
investivano sull’auto-valutazione a parte di ogni operatore che lavorava all’interno del servizio, oggi, si
avverte l’importanza di un sistema qualità per superare l’autarchia e indurre i servizi sociali a rispondere dei
risultati in modo tangibile, visibile anche ai non addetti ai lavori. Il passaggio dalla valutazione al sistema
qualità mette in moto un processo di democratizzazione, di apertura dei servizi. Inoltre, la verifica della
qualità sta diventando un ingrediente indispensabile per regolare la concorrenza tra i diversi soggetti che
gestiscono servizi. Possiamo dire dunque che occorre che, l’interesse dei professionisti, la loro spinta alla
conoscenza e al controllo dell’operatività vanno sfruttati in senso organizzativo, per costruire il dialogo con
gli altri soggetti che non sono addetti ai lavori in senso stretto, ma hanno un motivo legittimo per giudicare
il servizio.
9.2 Soggetti della valutazione
Si tratta di soggetti potenziali, non sempre presenti e consapevoli del loro ruolo di valutatori. Essi, tuttavia,
detengono un potere che devono imparare a esercitare. La qualità dei servizi migliora quanto più la
valutazione mette in moto un dialogo sostanziale tra : cittadini, amministratori e operatori.
CRITERI SOGGETTI OGGETTO DATI
Incert. Strategica: Operatori, utenti, L’esito dell’intervento La condizione prima e
valutazione di cittadini, politici rispetto ai bisogni e ai dopo l’intervento
efficacia esterna programmi
Incert. Metodologica: operatori Uso adeguato delle La condizione prima e
valutazione di metodologie rispetto dopo l’intervento; le
efficacia interna ai problemi trattati attività programmate
e quelle svolte
Incertezza sulle Amministratori, Uso appropriato delle La condizione prima e
risorse: valutazione di cittadini, operatori risorse rispetto agli dopo l’intervento; le
efficacia-efficienza esiti conseguiti risorse impiegate e il
loro costo economico
Siamo di fronte ad un nuovo protagonismo, i cittadini, che può rompere il discorso autoreferenziale che si
svolge nel chiuso delle riunioni d’èquipe. I cittadini, infatti, poiché sono i destinatari di tutto l’intervento,
vanno messi al vertice della valutazione, nel senso che il loro punto di vista deve rappresentare il criterio
orientativo prioritario al quale occorre subordinare quello dei professionisti e degli amministratori. Nella
realtà, il cittadino si presenta con interessi contraddittori e sfaccettati, si esprime in modo diretto, il suo
giudizio richiede un’opera di interpretazione. Basti pensare al modo diverso di valutare la qualità
dell’inserimento a scuola di un disabile, ad es., da parte degli insegnanti, dei compagni di classe, dei suoi
genitori e degli altri genitori. Spetta quindi all’operatore far evolvere la domanda e rielaborarla mediante
una relazione costruttiva con l’interessato. In questo senso la valutazione va vista come un processo che
attiva gli interlocutori, li educa al dialogo e li fa crescere nel confronto. Ciò vale anche per gli amministratori
che operano le scelte strategiche e distribuiscono le risorse ai servizi. Complessivamente oggi il modo in
cuigli amministratori esercitano il loro ruolo nella distribuzione delle risorse non riesce a tutelare gli
interessi generali, a rappresentare i bisogni del territorio e a ridurre l’autoreferenzialità del sistema dei
servizi. Si tratta, di creare le premesse culturali perché anche il dialogo con gli amministratori gestisca in
modo appropriato dati ‘oggettivi’ sul funzionamento dei servizi, sui risultati raggiunti e sulle risorse
consumate. Ciò richiede un’educazione degli amministratori ma anche degli operatori. Infatti, è tipico del
professionista lavorare al massimo delle risorse disponibili, senza calcolare quante e come ne sta
impiegando (a partire dalla risorsa del suo tempo), qual è la congruenza tra costi e ricavi e se non vi sono
opzioni alternative che rendano possibili gli stessi risultati a costi inferiori. C’è un paradosso organizzativo
ovvero uno sdoppiamento delle decisioni tecniche (prese dagli operatori) e quelle economiche (prese dagli
amministratori) che dovrebbe essere ricondotto a sintesi in una sede dove la valutazione dei servizi tenga
conto di entrambi i criteri.
I 3 soggetti titotlari alla valutazione dell’intervento, in realtà,sono molti di piu; essi giudicano la qualità dei
servizi da angolature diverse. Si pensi al punto di vista del cittadino-cliente, cittadino- elettore,il legislatore,
l’amminsitratore e infine l’operatore.
E’ molto difficile quantificare i risultati e, in secondo luogo, distinguere il contributo dovuto da singole
attività o da singoli operatori. Tuttavia, per quanto sia arduo, è proprio questa misura del risultato che
bisogna studiare. Può essere utile, cominciare da ciò che gli operatori in qualche modo già fanno.
Riprendendo il processo di lavoro, si nota, infatti, che la valutazione di esito per una singola persona è data
dal confronto tra la condizione in cui si trovava, quando è stata accolta dal servizio, e le condizioni
successive, via via che l’intervento procede. Il punto di partenza, dunque, è dato dalla valutazione del caso
che nel processo di lavoro viene in seguito ripetuta più volte.
Come esprimono gli operatori questa valutazione? Come la registrano e la riconducono a un sistema di
misurazione comune? Questo varia dai diversi settori di intervento. In alcuni campi è stata adottata una
classificazione diagnostica, un punteggio per il grado di autonomia funzionale, in altri campi gli operatori
non hanno ‘osato’ ridurre a categoria i problemi trattati. Vi sono molte e giustificate resistenze culturali a
ridurre il problema sociale a scale numeriche; là dove, però, la comunità scientifica si è impegnata ad
elaborare degli strumenti analitici, c’è stato un certo impulso alla ricerca, consentendo di misurare il
problema prima e dopo l’intervento, di confrontare successi e regressi che si verificano in determinate
condizioni e di stabilire qualche parametro di esito. Questo è un dato indispensabile per tutti e tre i tipi di
valutazione, infatti, tutti i soggetto interessati a validare gli interventi hanno bisogno di una misura dello
stato di benessere (personale e collettivo) prima e dopo l’intervento.
Non si puo dire tuttavia che i sistemi informativi abbiano assunto un ruolo trainante nella costruzione di
una cultura della valutazione: per certi versi,si sono qualificati come inutili oggetti di lusso. In altri termini, il
costo della valutazione non sembra ripagato da ricavi apprezzabili.
Per rendere piu produttivi i sistemi informativi, in Italia sono state seguite due strade che rispondono ad
esigenze e filosofie diverse:
- Progettare al centro e sperimentare a pioggia in tutti i servizi periferici viene privilegiato l’uso
programmatorio dei dati, il sistema informativo viene elaborato da un ente sovraordinato ai servizi, ad es.
la Regione. Ciò consnete un economia delle risorse inizialmente investite, infatti, vi sarà un unico ufficio
studi che progetta lo strumento per tutti i servizi e lo distribuisce preconfezionato. Per adattarlo alle singole
realtà, di solito, vengono formati dei referenti locali che curano la gestione del sistema e l’invio delle
informazioni a una banca dati, anch’essa centralizzata. Questo modo di procedere, anche se
apparentemente economico comporta un evidente scollamento tra la valutazione dei dati qualitativi e
quelli quantitativi. Ciò comporta che gli operatori ‘non si affezionano’ allo strumento perché non possono
utilizzare i dati nelle riunioni d’èquip, né riflettere sulla gestione individuale dei casi. Le scelte
metodologiche e la programmazione dal basso dei servizi non si ricongiungono né con le scelte strategiche,
né con la programmazione dall’alto.
- Progettare e sperimentare in un unico servizio: questo percorso parte dal servizio per iniziativa
degli operatori, di solito con il sostegno di un consulente che li aiuta a progettare il proprio sistema
informativo. Non ci si pone problemi di compatibilità dei dati con altri strumenti di rilevazione, né
di stabilire confronti con altri servizi. L’attenzione è concentrata piuttosto, sul modo più
appropriato per descrivere il processo di lavoro nel proprio servizio.
Una via alternativa, è quella di attivare prima i sistemi informativi nei servizi, facendoli nascere e
progettare dagli operatori, poi costruire la banca dei dati centrale come un risultato successivo,
un luogo di sintesi della produzione informativa locale. questa strategia è piu costosa all’inizio,
soprattutto in termini di tempo e gestione. L’ente sovraordinato avrà il compito di mettere a
disposizione dei vari servizi territoriali alcune persone competenti che, in loco, aiutino la
produzione dal basso dei sistemi di registrazione. Contemporaneamente, questi esperti dovranno
incontrarsi periodicamente per imprimere alcuni vincoli uniformi ai sistemi locali; vincoli che
permettano la comparazione dei dati e il loro trasferimento in un unico contenitorem quando sarà
attivata la banca centrale. All’inizio vi sarà un apparente dispersione di energie, ma l’investimento
in competenze e culture diffuse darà, nel medio periodo, risultati più duraturi. sarà cosi
possibile coniugare i vantaggi dei due percorsi. Infatti, da un lato vengono salvaguardati gli
obiettivi che sono propri delle istanze di governo (dati accorpati e standardizzati) dall’altro quelli
degli operatori (registrazione conforme alle modalità di lavoro specifiche di ogni servizio). Tutto ciò
sarà possibile se vengono privilegiate le esigenze scaturite dal basso,se, invece, si parte dall’alto, ci
si può fermare a metà strada, senza mai realizzare una cultura diffusa e interiorizzata della
valutazione.