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La selva di Saron

Sebbene la Gerusalemme liberata sia composta da venti libri e


quindi si possa pensare che il fulcro della vicenda sia collocato
proprio nel mezzo di questi,  Tasso ha spostato il baricentro
dell'opera collocandolo per l'appunto nel tredicesimo canto,
proprio quello di cui andremo a parlare oggi, conferendogli una
particolare rilevanza.
La questione è facilmente confermabile. In breve: la selva di
Saron, dove i cristiani si approvvigionano di legna, è stata fatta
oggetto di un maleficio da parte di Ismeno, mago della corte di
Aladino, che la popola di demoni. Dato che Clorinda e Argante
avevano dato l’assalto alle mura ed il mago Ismeno voleva
impedire che i  nemici ne costruissero  un’altra, pose la selva di
Saron sotto incantesimo per far si che da essa non possa più
essere ricavato legname.
Tancredi si reca nella selva e resiste alle prime apparizioni che gli
si parano innanzi, con coraggio percuote una pianta con la spada.
Da quest'ultima sente la voce di Clorinda, ed ecco che alla fine
alzandosi un vento impetuoso, anche Tancredi desiste. La forza
dell’incanto della selva sta proprio nell’interpretazione personale
del luogo, inconscio oggettivizzato, totalmente differente del
brano “palazzo di Atlante”. Infatti chi andrà dopo di lui vedrà
altro. Tancredi infatti vede Clorinda, essendo ancor a legato
all’amore che è una delle principali forze contrarie all’eroismo 
guerriero,   perché si sente totalmente responsabile per la sua
morte, che non aveva né saputo affrontare e né superare e
vedendola è come se si sentisse responsabile di un doppio
fallimento poiché non solo era morta ma per colpa sua non era
neanche andata in paradiso se riusciva ancora a vederla.  
Tancredi però era consapevole, a differenza d’altri,
dell’incantesimo e credeva di sapere anche come vincerlo, ma
improvvisamente arrivò la voce che gli smosse l’interiorità che si
oggettivizza davanti ai nostri occhi, ciò che è impossibile da
controllare.  “Qual l’inferno talor ch’in sogno scorge drago o cinta
di fiamme alta Chimera, se ben sospetta o in parte anco s’accorge
che’l simulacro sia non forma vera, pur desia di fuggir, tanto gli
porge spavento la sembianza orrida e fera, tal il timido amante a
pien non rede a i falsi inganni, e pur ne teme e cede”  ( ott. 44)  è
proprio l’ottava in cui è presente la similitudine che ci fa
comprendere come Tancredi si sia fatto vincere alla fine dalla
paura e di conseguenza fuggì , dimostrandosi così un cavaliere
fragile, oserei dire inadatto  e tutto a causa della sua forza
interiore irrazionale che ha distrutto la sua capacità di pensare .
In questo canto più che mai si sente l'influenza del contrasto fra il
codice centrifugo (rappresentato dal male) e quello centripeto
( proprio dei cristiani e del bene). Il clima generale di tutta
l'opera, in quanto mosso da intenti cristiani, è preferibilmente
centripeto ( tanto è vero che l'azione non si sposta mai
eccessivamente da Gerusalemme) in questo canto si sente
l'opposizione tra questi due codici perché a causa del maleficio di
Ismeno alcuni cristiani abbandonano il campo.  E’ chiaro come
questo episodio è caratterizzato da una costruzione di tipo
fiabesco attraverso la ripetizione indefinita delle varie azioni. La
tecnica narrativa utilizzata da Tasso conferisce un clima di
suspense, tensione tutto grazie la focalizzazione interna ai
personaggi poichè la voce narrante non anticipa nulla di ciò che
sta per avvenire ed il lettore scopre le cose assieme ai personaggi.
Inoltre la costruzione unitaria e centripeta è messa in pericolo da
tendenze centrifughe, ovvero dalle avventure di eroi come
Tancredi e Rinaldo , i quali abbandonano il luogo della guerra per
seguire i loro impulsi individuali legati all’amore e alla gloria.  
Tutto il contrario avviene invece nel canto XVIII in cui Rinaldo non
è più un guerriero ribelle e schiavo d’amore ma è un eroe sacro
che rispecchia gli ideali cavallereschi. Rinaldo torna
all’accampamento cristiano e pietro l’eremita lo sprona ad
intraprendere un percorso che lo allontani dai peccati amorosi.
Chiese perdono a dio e a goffredo, salì sul monte Oliveto per
espiare le proprie colpe per poi poter tornare a combattere con i
crociati e poter affrontare gli incantesimi della Selva. Dovette
rientrare nella selva per prendere del legname che gli occorreva
per ricostruire la torre distrutta da Clorinda e Argante .La selva gli
ricorda il giardino , il paradiso di Armida poichè la scena è
appositamente studiata per riprodurre le delizie del giardino di
Armida in cui  Rinaldo è stato schiavo d’amore ma questa volta ne
esce vincitore riuscendo anche a spezzare l’incantesimo del mago
Ismeno . Anche se all’inizio la selva gli sembrava un luogo orribile,
oscuro m apoi la sua paura svanì e il bosco si trasformò in un
luogo meraviglioso che alludeva al paradiso di Armida, al suo
giardino in cui tutto fiorisce, rinasce . La selva sta a simboleggiare
il rimorso di Rinaldo verso Armida. Rinaldo si immagina di vivere
in quel palazzo ed è come se rivivesse il canto degli uccelli.Vi è in
particolare una frase che , oltre ad avere una funzione
pedagogica,  è un esplicito richiamo ad Ariosto ed infatti afferma
che  chi sta dietro a sembianze vane finisce per perdere il senno 
Tasso è un poeta che vive in pieno in un’epoca in cui è presente
una profonda crisi tra Rinascimento e Barocco e da un lato
porterà il poeta ad avere un atteggiamento particolare  che sarà
definito poi “bifrontismo culturale” dall’altro invece non riuscirà a
risolvera questa crisi e finirà infatti in manicomio . Aveva un
evidente bisogno di stare sulla strada giusta ma allo stesso tempo
è molto insofferente e vorrebbe fare tutt’altro. E’ il classico
esempio di uomo libero che è imprigionato dal potere ed è
proprio colui che esprime la corrente letteraria del manierismo. 

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