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L’IDEA DI ITALIA NEL CORSO DEI SECOLI

Il problema dell’identità nazionale nacque ben prima degli anni che porteranno all’unificazione
italiana nel 1861, durante i quali il senso di appartenenza a una lingua e una cultura condivisa è
stato tanto importante quanto la strategia politica. L’Italia infatti non nasce affatto con il
Risorgimento, che ne è solo la tarda realizzazione politico-militare. Quell’ambizione all’unificazione
della penisola e alla liberazione da potenze straniere, non rappresenta un’idea nuova ma anzi
costituisce un antico progetto che affiora le sue radici, se non nell’Impero romano, almeno nel XII
secolo. Il primo progetto precursore di una Patria italiana risale al 89 a.C., anno in cui la Lex Plauta
Papiria estese la cittadinanza romana a tutti i popoli italici, unificando sotto l’Impero Romano quel
grande mosaico di popoli e culture differenti. Facendo un salto temporale di alcuni decenni, è
importante prendere in considerazione l’opera di Virgilio “le Georgiche”, in cui l’autore latino
sembra anticipare, vaticinare l’idea di Italia. Nelle “Georgiche”, in modo specifico nelle Laus Italiae
(l’encomio all’Italia), Virgilio enuncia le qualità comuni ai territori della penisola. L’Italia è terra dal
clima mite, dalla terra fertile, dalla vegetazione rigogliosa; tutto ciò favorisce la convivenza di
popoli forti, guidati da eroi tenaci, pregni della sapienza dei propri avi, guerrieri e uomini di
cultura. L’Eneide poi, in una esemplare narrazione a metà strada tra storia, leggenda e mito, è la
storia della nascita di una nazione che dopo Virgilio attenderà secoli e secoli per essere
riconosciuta tale, e il suo testimone passerà a Dante, Manzoni, Foscolo. Qualche secolo più tardi
saranno Dante e Petrarca ad insistere sulle guerre che lacerano il territorio nazionale,
denunciando le ambizioni straniere e l'assenza di un potere centrale, che nella loro visione
universalistica doveva essere garantito dall'Impero: è l'imperatore che dovrebbe regnare a Roma e
assicurare pace e giustizia agli Italiani, invece il paese è ridotto a una bestia selvaggia che nessuno
governa (“Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di
province, ma bordello!”, Commedia, Canto VI,Purgatorio). L’invettiva di Dante contro l’Italia nel VI
canto del Purgatorio da voce non solo al comune malcontento nei confronti delle potenze
nemiche, eternamente in lotta per la divisione del territorio italiano, ma è anche un duro atto di
accusa contro il disordine politico e morale dell'Italia del Trecento, divisa in più entità politiche
spesso in lotta fra loro. Simili i temi della lunga riflessione politica contenuta nel Canzoniere di
Petrarca, incentrato su un’esortazione ai Signori d’Italia affinché ricompongano le loro discordie,
facendo prevalere sui motivi di conflitto la coscienza di un comune paese d’origine, non
escludendo però un’invocazione a Dio perché intervenga direttamente a toccare gli animi umani
resi cechi dall’odio. Seppur concepito in un diverso contesto storico, anche l’ideale politico
machiavellico sottende l’esistenza di un’unità politica verso cui i singoli comuni e le numerose
signorie avrebbero dovuto convergere. Machiavelli scrive in un momento storico in cui l’Italia è
frazionata in micro-stati, signorie e principati, gli uni nemici degli altri, e nel quale spesso a
detenere il potere sono le grandi nazioni straniere, prime fra tutte la Francia di Carlo VIII, l’Impero
tedesco di Carlo V e la Spagna di Ferdinando II. Nel Principe così come nei Discorsi, Machiavelli
lancia un appello ai Medici affinché riuniscano il popolo italiano e caccino gli invasori, fondando
così un governo repubblicano secondo i modelli della Roma repubblicana. Tuttavia, ciò che il
poliedrico intellettuale immagina non corrisponde ancora all’idea risorgimentale di unità
nazionale, piuttosto ad un principato fiorentino con un’egemonia politica e militare sul territorio
italiano così salda “ad capessendam Italiam in libertatemque a barbaris vindicandam”, “da
prendere l’Italia e liberarla dalle mani dei barbari”. (Principe, Capitolo XXVI). Da evidenziare come
la necessità di un riscatto dalle dominazioni straniere sia un ideale costante nel lungo percorso di
unificazione nazionale, tant’è che sia Foscolo che Manzoni ne fanno tema delle loro opere. Nelle
Ultime lettere di Jacopo Ortis, Foscolo affida parte della riflessione politica al poeta Parini il quale,
riprendendo gli argomenti proposti dal Machiavelli, sostiene che la libertà va conquistata con la
propria forza e non va atteso un aiuto dall’esterno: è una chiara critica ai seguaci di Napoleone,
che avevano sperato invano una liberazione dalle potenze nemiche e erano rimasti amareggiati dal
Trattato di Campoformio che poneva fine alla secolare indipendenza della Repubblica di Venezia
cedendola agli austriaci. «Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita,
seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure, e la nostra infamia. Il
mio nome è nella lista di proscrizione, lo so: ma vuoi tu ch'io per salvarmi da chi m'opprime mi
commetta a chi mi ha tradito?». Questa è la lettera con cui si apre il romanzo, datata pochi giorni
prima del Trattato di Campoformio, nella quale il giovane patriota esaspera ogni sentimento,
portandolo al suo grado estremo. La stessa atmosfera disillusa aleggia nella Lettera da Ventimiglia,
punto d’approdo del pessimismo foscoliano. Foscolo torna su quanto già era emerso nel colloquio
tra Jacopo e Parini, parlando dell'Italia oppressa dallo straniero e ricordando l'Italia del tempo
passato. Purtroppo, secondo l'autore, la memoria non è sufficiente a risvegliare le coscienze dei
cittadini i quali, rifugiandosi in un passato glorioso, non trovano la forza di reagire ad un presente
di decadenza morale e politica. Ma è con l’ode civile manzoniana Marzo 1821 che la letteratura
diventa specchio dei cambiamenti della società italiana, infatti, così come si evince dal nome del
componimento, Manzoni scrive l’ode nell’acme dei moti rivoluzionari del biennio 1820-1821,
quando il Regno di Sardegna dei Savoia ha dichiarato guerra agli usurpatori austriaci. Chiaro è il
messaggio sotteso nel componimento: il popolo italiano insorge e non vuole tornare a essere
sottomesso alle potenze straniere, ha come unico obiettivo l’unità e la libertà nazionale, dalle Alpi
alla Sicilia. L’ode dimostra come il popolo italiano tutto abbia finalmente preso coscienza della
propria situazione, per troppo tempo inutilmente si è aspettato che fosse uno straniero a restituire
l’Italia agli Italiani, ora è lui stesso a determinare il proprio destino. Seguono i moti rivoluzionari del
1848 che, seppur conclusi con la sconfitta politico-militare degli insorti, lasceranno un’eredità
importante rappresentata dalla partecipazione politica diffusa e dal consolidamento delle istanze
liberali, nazionali e costituzionali quali obiettivi della lotta politica. L’unificazione geografica e
politica della penisola arriverà solo 13 anni più tardi, quando finalmente si coronerà il sogno dei
patrioti italiani: il 17 Marzo 1861 verrà proclamato il Regno d’Italia, non più sottomesso al dominio
delle potenze nemiche. Monarchici, conservatori, repubblicani, liberali, democratici prenderanno
parte alle guerre di Indipendenza, dimostrando come la redenzione nazionale non poteva essere
prerogativa di una sola classe sociale ma del popolo nella sua totalità, come tenacemente
sostenuto da Mazzini fin dagli anni della Giovine Italia. Molti però saranno i problemi - economici,
sociali, culturali- che il neonato Regno dovrà affrontare. Celebre in questo senso divenne la frase di
Massimo d’Azeglio, patriota e politico italiano<<” Fatta l’Italia bisogna fare gli Italiani”>>, che
racchiude le differenze insite fra le regioni e la popolazione, che continuava ad essere
sostanzialmente un’accozzaglia di popoli diversi non solo per tradizioni e lingue (dialetti) diversi tra
loro, ma anche per uno scarso senso di vera unità. Indubbiamente l’apporto di personalità
carismatiche come quelle del già citato Mazzini o del Garibaldi incentivarono la partecipazione di
un più vasto range sociale riequilibrando il divario della partecipazione, ma anche la letteratura
venne in soccorso alla nuova classe dirigente nell’imprimere nel popolo il senso di appartenenza
alla nuova nazione. Ci volle Cuore di De Amicis per cercare di mettere a fuoco le grandi differenze
fra le classi sociali, il divario, ma anche la profonda diversità economica e sociale fra Nord e Sud
(questione meridionale) culminata in quella sorta di colonizzazione che finì con essere la lotta al
brigantaggio. Il problema unitario finì con l’attenuarsi a seguito sia della Grande Guerra che del
Ventennio fascista e poi con la Seconda Guerra Mondiale; quest’ultima però lasciò in eredità
conflitti di matrice politico-ideologica che esploderanno nell’immediato dopoguerra. È nella
canzone di De Gregori “Viva l’Italia” che si cantano i lati positivi e negativi di quel particolare
periodo storico facendo riferimenti continui all'attualità, sia in generale ("L'Italia assassinata dai
giornali e dal cemento") che riferimenti storici molto più precisi, in particolare l'Italia del 12
dicembre 1969 giorno in cui avvenne la strage di Piazza Fontana, decretando l'inizio del periodo
passato alla storia come anni di piombo. Purtroppo tristemente attuale ancora oggi, in fondo,
nonostante anni di politica corrotta, di trasformismo, di terrorismo, di stragi di Stato, a quest'Italia
bisogna volerle bene; lo si deve fare per quelli che l'hanno liberata, quelli che le hanno dato una
delle Costituzioni più moderne che siano mai state scritte, quelli che hanno cercato giustizia e per
essa sono morti, quelli che combattono contro le mafie, quelli che fanno onestamente il loro
lavoro.

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