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E
IL RICORDO NELL'ARTE
EDVARD MUNCH E IL RICORDO:
L’ESPERIENZA INFANTILE DELLA PERDITA
A margine di una delle copie del Grido, Munch scrisse:
"Solo un folle poteva dipingerlo".
La sorpresa, quindi il sorriso di lei, gli occhi di lui che inizialmente non si lasciano catturare chiudendosi
ripetutamente in un turbinio impacciato.
La forza della performance attraverso di loro cresce esponenzialmente, fino a che il ricordo si impossessa
dell'artista, rompendo le regole ferree da lei stessa imposte.
Si lascia andare, si sporge verso di lui, l’emozione che ormai è quasi realtà palpabile prende dunque forma
e diventa contatto. Marina non è più arte, è umana!
Chiharu Shiota: Trama e Ordito della Memoria
Artista giapponese, classe 1972.Le sue installazioni affrontano i
grandi temi esistenziali dell’uomo come la memoria e l’oblio,
l’appartenenza e l’identità, la paura e la solitudine, la nascita e la
morte. L'impatto con le sue opere è strabiliante. Shiota utilizza fili di
lana nera che intreccia in un lungo processo, fino a condensarli in
una fitta tessitura, rendendo lo spazio impenetrabile. L’installazione
racchiude un tavolo e una sedia, magari un pianoforte, un soprabito,
un interno di una casa. Si creano così immagini tridimensionali,
scenografie in cui oggetti di uso quotidiano perdono la loro
funzionalità a favore di un valore emotivo e simbolico. Lo spazio
tridimensionale diventa per l’artista la tela sulla quale dipingere
un’immagine che nasce da un immaginario intimo e privato ma che
nella trasposizione acquisisce una dimensione universale, una
simbolicità poetica che si rivela al visitatore in tutta la sua forza
espressiva. I ricordi sono così intrappolati nella fitta trama del filo
nero un po' come nella nostra mente.
Le architetture, gli spazi, i vestiti che indossiamo, le cose a cui siamo legati emotivamente e con cui solitamente tendiamo a
identificarci, col tempo si impregnano invisibilmente di significati inconsci di cui tuttavia non abbiamo sentore.
Abbandoniamo oggetti in disuso perché ormai logori, lasciamo un luogo per trasferirci in un altro, ma una parte di noi resta in
tutte le cose che ci sono appartenute e negli spazi che abbiamo abitato. Attraverso la materialità delle cose costruiamo i nostri
ricordi, alcuni dei quali restano a lungo con noi, in una sorta di simbiosi nostalgica e reciproca.
Gabriel Orozco e l’Effimero
Yelding Stone,1992
Christian Boltanski: i Mille volti del Tempo
Christian Boltanski si focalizza sul concetto
di memoria, non intima ma collettiva, e lo
fa avvalendosi di oggetti, ritagli, frammenti
come ultime testimonianze tangibili della
presenza storica umana. La sua ricerca
artistica è confluita nel movimento della
Narrative Art, sorto sul finire degli anni
Sessanta che pone al centro l’immagine –
video, fotografica, ecc – come unica
essenza del messaggio, un muto rapporto
tra l’opera e lo spettatore. Ma è altrettanto
interessante un certo richiamo al
movimento poverista e questo si denota
nelle installazioni al neon unite ai materiali
metallici e stoffe, oltre che alla sfera
concettuale che chiaramente gli
appartiene.
Fin dai suoi primi lavori l’artista si rivolge al recupero
mnemonico della propria infanzia, ma senza riferirsi
direttamente ad essa. Quei volti di bambini che egli ha
recuperato all’interno delle sue opere, tutti sono Christian
Boltanski. Tutti quegli occhi insieme vanno ad incanalarsi
all’interno di una comune esperienza di cui sono stati attivi
testimoni. Boltanski difatti nasce a Parigi quando il secondo
conflitto non era ancora giunto al termine, nel 1944, in una
città assediata dai tedeschi e che ha sofferto delle tragedie e
degli stravolgimenti tra i più difficili della storia. Infatti, egli
traspone la sua esperienza in quella di un normale bambino
della sua età, cresciuto all’interno di una famiglia normale. In
questo modo l’artista pone l’accento sui concetti di normalità
e perfezione, che si scontrano con un fattore di forte
relatività in un contesto tragico come quello vissuto nella
propria infanzia. È di fondamentale importanza per Boltanski
fare riferimento ad un comune senso di appartenenza.
Attraverso la sua attività artistica, egli ha da sempre portato
un importante messaggio diretto agli uomini, quello di
aggrapparsi alla propria memoria unica e personale, poiché
al di là della Storia siamo noi stessi i custodi del nostro
passato. Quegli occhi fissi e indagatori posti lungo le strade
della città hanno appunto lo scopo di concentrare
l’attenzione su di sé, sono immagini che conservano il potere
di svelare memorie passate, comuni ma archiviate.
L'oblio dell'Anima: Il Recupero della Memoria
Christian Boltanski ha realizzato “Monumenta” in
ricordo per le vittime della Shoha : quello più
impressionante fu forse il Grand Palais di Parigi: nel
2010 Boltanski lo svuotò, fece spegnere il
riscaldamento, raggelandolo, e costruì una sorta di
muro formato da innumerevoli scatoloni di latta
numerati, e sovrapposti. Al di là del muro, ventitré
rettangoli costituiti da vestiti sovrapposti, ordinati
su tre file. Intorno, pali di ferro e luci al neon: come
in un campo di sterminio. Avanzando ancora,
mentre gli altoparlanti diffondevano il ritmo
ossessivo di un corale battito cardiaco, ci si trovava
al cospetto di una visione sconvolgente: una
montagna di vestiti alta venti metri, dalla cui cima
un braccio meccanico attingeva continuamente,
prelevando alcuni capi che poi faceva ricadere. La
mano della morte, o del caso. E il destino di ogni
singolo uomo. Il titolo dell’opera era la parola
francese Personnes: che letto significa ‘persone’,
ma che, pronunciato, suona come ‘nessuno’.
LA MEMORIA E LA SUA PERDITA
Forse per questa forza inaudita che l’oblio sta segretamente
conquistando, il tema della perdita della memoria è così
centrale nella ricerca artistica contemporanea. Prendiamo un
ambito che negli ultimi anni è letteralmente “esploso”, fino a
configurarsi come un vero e proprio genere: quello dei lavori
relativi a luoghi abbandonati (e dimenticati). Lavori spesso di
grande fascino, benché la sovraesposizione mediatica di
ospedali psichiatrici in rovina e stabilimenti termali ormai
deserti rischi di stancare lo spettatore: di luoghi abbandonati
abbondano i musei e gli spazi espositivi, i siti Internet, le gallerie
fotografiche dei quotidiani online. Tra i lavori di artisti italiani,
merita ricordare l’Atlas Italiae di Silvia Camporesi, mentre molte
opere interessanti giungono dall’ex blocco sovietico, dove la
sostituzione di una civiltà a un’altra verificatasi una trentina
d’anni fa ha condotto a una fioritura di straordinari luoghi inutili:
si può menzionare il “documentario poetico-sperimentale”
Monument (2015) di Igor Grubić, composto da nove ritratti di
imponenti memoriali di cemento sparsi per la ex Jugoslavia, e
dimenticati tra le selve e i pascoli; o le bellissime istantanee che
il giovane fotografo russo Danila Tkachenko ha dedicato alle
monumentali infrastrutture sovietiche che giacciono
abbandonate in aree remote, in un paesaggio ghiacciato dove
tutto è bianco.