disagio
Scritto interamente da Lorenzo De Luca, a dispetto di quanto possano farvi credere Alfonso
derl
Strianese e Pasquale Simeoli dicendo che la seguente dispensa è solo una copia del Gonorra.
Premessa:
Microbiologia è la violenza psicologica per eccellenza. L’esame si basa essenzialmente su quello
che viene detto a lezione, quindi mai come per nessun altro corso c’è un estremo bisogno di
seguire.
Di fatto se si seguono le lezioni si può tranquillamente utilizzare lo Sherris (ottimo libro per capire
la materia, ma insufficiente ai fini dell’esame) e integrare con i propri appunti.
Poi ci sono i macrofalli come me che hanno appeso i corsi. Le sbobinature sono stranamente
1
incomplete. Panico. Dopo numerosi squilibri emotivi ho infine deciso di unificare in questa dispensa
tutte le fonti disponibili (sbobinature, slides delle lezioni, Murray, Sherris e un pizzico di internet) e
creare così una trattazione completa dei circa 30 patogeni da dover studiare ai fini dell’esame.
A questo punto è bene fare dei chiarimenti:
-Tutta la parte iniziale (caratteristiche dei batteri e dei virus, antibiotici, tecniche di ricerca
eccetera) manca e si può tranquillamente fare dal libro o dalle sbobinature.
-Se questa dispensa si trova in formato word, oltre che per la mancanza di voglia di elaborarci una
grafica gradevole alla vista, è soprattutto per poter dare la possibilità di modificarla a proprio
piacimento. Ogni anno possono essere dette cose nuove o addirittura vengono tolti alcuni patogeni
dal programma e ne vengono aggiunti altri. Fate di questo file tutti gli scempi che volete.
-Sì, i patogeni possono essere studiati solo da qui. Sì, il contenuto è più che sufficiente. Se avete
snobbato i corsi potete affidarvi completamente. Tuttavia se avete la possibilità di seguire, come
dicevo prima, andate a seguire. Lavativi.
-Studiare micro senza sapere niente di immuno è blasfemia.
-Se vedo girare questo materiale sotto forma di un lurido libricino plastificato venduto da una
cartolibreria abusiva ucciderò il responsabile o in alternativa non gli farò gli auguri al prossimo
compleanno.
-Gerardo Del Vecchio è il fuoco nel mare.
BATTERI
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STAFILOCOCCHI
Generalità
-Cocchi gram-positivi disposti a grappolo. Diametro di 0,5 1 um
-anaerobi facoltativi, alofili (resistono in soluzioni con alte concentrazioni di NaCl), crescono a
temperature da 18 a 40 °C (ideale 30-37) , pH ideale 7-7,5
-Alcuni generi sono catalasi-positivi. In paticolare Aureus è coagulasi-positivo e fermenta il
mannitolo.
AUREUS
Epidemiologia
S. aureus è un batterio che si trova normalmente sulla cute e soprattutto a livello del naso-faringe
(il 20-40% degli adulti è portatore) e da qui può invadere i tessuti più profondi a seguito di lesioni.
Si trasmette mediante contatto diretto uomo-uomo oppure mediante contatto indiretto attraverso
sostanze contaminate. Generalmente malattie da S. aureus sono a diffusione mondiale e appaiono
durante tutto l’anno, ad eccezione di alcune infezioni come le intossicazioni alimentari. Vi sono dei
fattori che predispongono a infezioni da S. aureus, come deficit a livello del sistema immunitario.
Fattori di Virulenza
Rappresentati da molecole di adesione, tossine ed enzimi. L’espressione dei fattori di virulenza
dipende dal regolatore genetico accessorio (ARG). Questo determina la produzione di molecole di
adesione quando la carica batterica è bassa e di tossine ed enzimi quando è alta.
»Capsula : polisaccaridica (acido D-Glucosaminuronico) , permette la distinzione di 11 sierotipi di
cui 5 e 7 sono 3 i più associati a infezioni umane . Protegge dalla fagocitosi e dalla chemiotassi.
»Peptidoglicano : presenta ponti di pentaglicina che estendono i legami crociati. Fornisce stabilità
osmotica e impedisce la fagocitosi. Inoltre genera l’infiammazione stimolando la produzione di
pirogeni endogeni e di IL-1 (responsabile della vasodilatazione e dei fenomeni di migrazione dei
leucociti). Il tutto porta alla genesi di ascessi (essudati purulenti). La parete è costruita da enzimi
detti PBP (proteine leganti le penicilline), bersagli delle penicilline . La resistenza alle penicilline è
dovuta all’acquisizione del gene mecA che codifica una PBP2’ che non lega le penicilline.
»Acido teocoico : Favorisce l'adesione sulle mucose (lega la fibronectina)
»Proteina A : presente sulla parete batterica. Permette l’escape dal sistema immunitario legando le
porzioni Fc di IgG1, IgG2 e IgG4 e impedendo l'attivazione del complemento. La sua identificazione
permette di discriminare aureus da altri stafilococchi .
»Tossine:
-citotossine (Emolisine) attaccano diversi tipi cellulari
-alfa: distrugge molte cellule del sangue e la muscolatura liscia dei vasi formando pori di 1-2 nm
sulle membrane cellulari. Ciò determina un efflusso di K+ e un aflusso di Na+ e Ca+ che provoca
uno squilibrio osmotico e conseguente lisi cellulare
-beta (sfingomielinasi C): idrolizza i lipidi di membrana in molti tipi cellulari . La sensibilità dipende
dai livelli di sfingomielina nelle membrane.
-delta: aspecifica, crea pori con un’azione simil-detergente. E’ posseduta anche da ceppi di S.
epidermidis
-gamma e leucocidina di Panton Valentine Formano pori di membrana generando instabilità
osmotica , dirette a neutrofili e macrofagi.
NB: La leucocidina di Panton Valentine è ristretta solo ad un tipo di Aureus penicillina resistente e
non ha attività emolitica.
-tossine esfoliative: prodotte da circa il 5% dei ceppi di Aureus. Sono serin proteasi che degradano
la desmogleina-1, componenti dei desmosomi responsabili dell’adesione intercellulare nello strato
granuloso dell’epidermide. Causano la SSSS e nelle zone infette non si riscontrano né stafilococchi
né leucociti (indizio diagnositco). Si distinguonono due tossine esfoliative: ETA (termostabile e
cromosomica) e ETB (termolabile e plasmidica)
-enterotossine: associate ad intossicazioni alimentari, se ne conoscono 18 tipi (da A, il più comune,
a R) presenti nel 50% dei ceppi di Aureus. Sono superantigeni, quindi provocano danno causando
una massiva risposta infiammatoria. Il ceppo B è inoltre associato a enterocolite
pseudomembranosa
-tossina-1 della sindrome da shock tossico (TSST-1): esotossina termo resistente e proteolisi
resistente, codificata da un gene cromosomico. Presente nel 90% dei ceppi di aureus che causano
sindrome da shock tossico (TSS) associata a mestruazioni (colonizzazione vaginale dovuta
all’utilizzo di assorbenti interni contaminati) e nel 50% dei ceppi che causano altre forme di TSS. La
malattia ha una bassa incidenza dal momento che l’esotossina necessita un ambiente neutro e un
atmosfera aerobia, condizioni non presenti nel microambiente rappresentato da un ascesso
»Enzimi:
- Clumping Factor : coagulasi legata alla parete batterica che converte il fibrinogeno in fibrina per
formare un rivestimento capace di impedire l’opsonizzazione.
-Ialuronidasi, fibrinolisina e nucleasi: degradano rispettivamente l’acido ialuronico della ECM, i
coaguli di fibrina e il DNA viscoso presenti nel tessuto infetto creando un percorso per la
migrazione
-lipasi: prodotta anche dal 30% degli stafilococchi coagulasi negativi. Idrolizzano i lipidi garantendo
la sopravvivenza in ambiente sebaceo
Patologie
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Causate dall’azione litica del batterio sulle cellule, dalla risposta infiammatoria e dalla produzione
di tossine.
»Infezioni cutanee: possono manifestarsi in diverse forme e non sempre dipendono da Aureus.
L’impetigine è un’infezione superficiale localizzata caratterizzata da vescicole di pus su base
eritematosa (rossore dovuto alla dilatazione dei vasi sanguigni). La follicolite è un’infezione
piogena (che causa pus) alla base dei follicoli piliferi che prende il nome di orzaiolo se presente
sulle palpebre. Se l’infezione del follicolo si estende ai tessuti in profondità si formano foruncoli
dolenti che possono estendersi al tessuto sottocutaneo più profondo prendendo il nome di favi.
»Sindrome della cute scottata o malattia di Ritter (SSSS): causata nella maggior parte dei casi
dall’azione patogena delle tossine esfoliative. La malattia inizialmente si manifesta come un
eritema periorale che rapidamente copre l’intero corpo in 2 giorni. Compaiono numerose vescicole
limpide (contengono liquido senza microorganismi o leucociti) che successivamente si rompono.
L’epitelio si desquama se soggetto a una leggera pressione (segno positivo di Nikolsky). La malattia
scompare dopo 7-10 giorni con la produzione di anticorpi contro la tossina e non rimangono
cicatrici essendo coinvolti solo gli strati superficiali della pelle.
»Sindrome da shock tossico (TSS): causata dalla TSST-1, prodotta e rilasciata nel sangue da ceppi di
Aureus che in un primo momento colonizzano la vagina o una ferita. La tossina causa diversi
disordini sistemici a carico di tutti gli apparati e generalmente la malattia si manifesta con febbre
alta, ipotensione, eruzione cutanea diffusa (cambiamento di colore della pelle) e desquamazione
dell’epitelio. La mortalità, inizialmente alta, è diminuita al 5% con l’impego di antibiotici efficaci
»Intossicazioni alimentari causate dalle enterotossine, caratterizzate da vomito, diarrea acquosa e
nausea. I sintomi compaiono rapidamente e scompaiono in 24 ore. La tossina spesso viene assunta
tramite cibi contaminati (carni conservate in alte concentrazioni di sale e a temperatura ambiente
favoriscono la produzione di enterotossina dai ceppi di Aureus) ed essendo termostabile non viene
distrutta dalla cottura.
»Batteriemia e altre infezioni: spesso Aureus può entrare in circolo da un focolaio di infezione
causando diverse altre patologie. Tra queste le più comuni sono endocardite, polmonite e artrite
settica (coinvolge più articolazioni ed è causata dalla replicazione del batterio nell’articolazione).
Aureus rappresenta la causa più comune di artite nei bambini e nei verginelli, mentre negli adulti
sessualmente attivi il primato spetta a Neisseria Gonorrhoeae.
Diagnosi e trattamento
I campioni vengono prelevati, in pazienti con infezioni cutanee, dalla base delle vescicole.
In coltura i cocchi si dispongono a grappolo, anche se un campione clinico analizzato direttamente
al microscopio presenta cocchi isolati.
Le colonie di Aureus possono essere distinte in base al colore giallastro dovuto alla produzione di
un pigmento carotenoide, dalla formazione di un alone bianco in agar sangue (la citotossina alfa è
una potente emolisina), dal test della coagulasi (formazione di un precipitato), della catalasi
(formazione di bolle di ossigeno se al terreno viene aggiunto perossido di idrogeno) e della DNAasi
(strisciando il batterio su piastre contenente DNA di chimo di vitello si formerà un alone chiaro).
Aureus si può isolare in agar sale-mannitolo in quanto è alofilo ed è l’unico stafilococco che può
utilizzare il mannitolo per il proprio metabolismo.
Per confermare la diagnosi si possono effettuare test di amplificazione degli acidi nucleici.
Il trattamento viene scelto in base al ceppo in questione, in quanto esistono ceppi meticillina
resistenti e vancomicina resistenti. La vancomicina in particolare rappresenta il farmaco d’elezione
(glicoproteina
5 che si lega al dipeptide terminale D-ala D-ala dei pentameri del peptidoglicano
impedendo la formazione dei legami crociati). La meticillina è una penicillina semisintetica.
Contro i ceppi meticillina e vancomicina resistenti si usano le streptogramine o gli ossazolidinoni.
EPIDERMIDIS E COAGULASI NEGATVI
I coagulasi negativi formano colonie di colore bianco pallido non producendo pigmenti.
S. epidermidis colonizza normalmente l’epidermide. Infetta i tessuti sottostanti a seguito di ferite
chirurgiche o a causa di inclusioni di impianti intravascolari, protesi o valvole artificiali ai quali è
capace di aderire legando i polimeri sintetici idrofobici grazie ad una adesina polisaccaridica PS/A.
Successivamente l’adesione alle membrane cellulari è mediata da un’adesina PIA. È capace di
produrre un biofilm che lo protegge dagli antibiotici (i batteri all’interno metabolicamente inattivi
non vengono attaccati).
S. saprophyticus colonizza come commensale la mucosa gastrointestinale. Soprattutto nelle
donne, attraversando la regione perineale, può colonizzare l’uretra e, aderendo fortemente
all’urotelio grazie all’emoagglutinina che viene riconosciuta da specifici recettori delle cellule
uroteliali, provocare infezioni del tratto urinario.
STREPTOCOCCHI
Generalità
-Cocchi gram-positivi disposti a coppie o a catenelle
-Sono anaerobi facolitativi, alcune specie richiedono un’atmosfera capnofilica (con elevate
concentrazioni di CO2)
-Fermentano i carboidrati e, a differenza degli stafilococchi, sono catalasi–negativi.
Si distinguono in tre gruppi principali in base alle caratteristiche emolitiche:
-Beta emolitici: sul terreno agar sangue provocano emolisi completa con formazione di un alone
trasparente. I gruppi appartenenti a questa categoria possono essere ulteriormente classificati
sulla base di antigeni della parete cellulare gruppo-specifici (classificazione secondo Lancefield).
-alfa emolisi: emolisi parziale che determina il rilasciamento di un pigmento verde che genera sul
terreno un alone di colore analogo. Per questo motivo i ceppi appartenenti a questa categoria
vengono detti viridanti.
-gamma emolisi: assenza di emolisi (streptococchi anaemolitici).
Nella pratica è utile suddividere ulteriormente i membri dei gamma e alfa emolitici in base alle
caratteristiche biochimiche.
PYOGENES
Fisiologia
È un beta emolitico di classe A secondo Lancefield. La sua crescita è inibita dalla presenza di
elevata concentrazione di glucosio.
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La parete è costituita da uno strato di peptidoglicano tipico dei gram positivi e presenta diversi
antigeni:
-Antigene A di Lancefield: dimero di N-acetilglucosamina e ramnosio
-Proteina M: associata ai ceppi virulenti, è costituita da due catene polipeptidiche unite a formare
un’alfa elica. La C-term è costante in ogni sierotipo (sottospecie) ed ancora la proteina alla
membrana citoplasmatica attraversando tutta la parete; la N-term che sporge fuori la superficie
cellulare è variabile ed è alla base della diversità antigenica dei diversi sierotipi.
-Acido lipotecoico e proteina F
Inoltre alcuni ceppi possiedono una capsula di acido ialuronico indistinguibile, sotto il profilo
antigenico, da quello presente nei tessuti connnettivi.
Patogenesi
Comincia con l’adesione del batterio alle cellule epiteliali grazie a una prima interazione debole
mediata dall’acido lipotecoico con la fibronectina presente sulla superficie cellulare.
Successivamente il legame viene rinforzato dalle proteine M ed F che interagiscono con specifici
recettori, oltre che con la fibronectina stessa. Queste ultime sono inoltre responsabili del processo
di invasione delle cellule epiteliali. Nel connettivo sottoepiteliale diversi meccanismi agiscono per
l’elusione del sistema immunitario: le proteine M impediscono il legame di C3b del complemento
e, inoltre, degradano quest’ultimo legando il fattore H; specifiche C5a proteasi rilasciate dal
batterio eliminano questa componente del sistema del complemento che richiama i neutrofili; le
proteine M-simili legano la porzione Fc degli anticorpi (impedendo l’opsonizzazione da parte di
questi ultimi) o la fibronectina (capace di bloccare l’attivazione della via alternativa del
complemento); la capsula impedisce contatti diretti delle cellule dell’immunità innata con la parete
batterica e i suoi antigeni, interferendo quindi con la fagocitosi.
Altro fattore patogeno è rappresentato dalla produzione di tossine, oltre che di numerosi altri
enzimi. Fra le tossine ricordiamo:
-esotossine pirogene streptococciche: labili al calore, agiscono come superantigeni. Se ne
distinguono 4 tipi (SpeA, SpeB, SpeC, SpeD) e sono responsabili della sindrome streptococcica da
shock tossico, della fascite necrotizzante e dell’eritema tipico della scarlattina. Le Spe sono
presenti anche in ceppi dei gruppi C e G secondo Lancefield.
-Streptolisina S: emolisina ossigeno stabile che attacca tutti i tipi cellulari del sangue (eritrociti,
leucociti e piastrine) che spiega la caratteristica beta emolitica di pyogenes. Può lisare i lisosomi
nel processo di fagocitosi determinando la morte dei macrofagi. È scarsamente immunogenica.
-Streptolisina O: agisce con meccanismi analoghi alla S ed è altamente immunogenica. Ciò
determina la rapida formazione di anticorpi anti-O (ASO) utili alla diagnosi, eccezion fatta per le
infezioni cutanee ove il colesterolo rilasciato dal sebo impedisce la produzione di questa tossina.
Non esistono ceppi resistenti alle penicilline, che rappresentano quindi i farmaci di elezione. In
determinate situazioni, come l’intolleranza alle penicilline, infezione intracellulare, o produzione di
beta lattamasi da parte di altri patogeni (avviene spesso nell’orofaringe quando colonizzata sia da
streptococchi che stafilococchi), si utilizzano i macrolidi (inibitori della sintesi proteica). È
importante seguire la terapia antibiotica per prevenire le sequele.
AGALACTIAE
Fisiologia
È un beta emolitico e rappresenta l’unica specie appartenente al gruppo B. Oltre che alla
9 secondo Lancefield, i vari ceppi possono essere suddivisi in base a 9 polisaccaridi
classificazione
capsulari tipo-specifico (Ia, Ib, da II a VIII- in particolare i ceppi I, III e V sono i più associati a
malattie neonatali) e in base a specifiche proteine di superficie (la più comune è l’antigene c)
Patogenesi
Lega la fibronectina grazie a diverse adesine.
Il fattore di virulenza più importante è rappresentato dalla capsula, che previene la fagocitosi e
interferisce con la via alternativa del complemento legando il fattore H (accelera la degradazione
di C3b) grazie a specfici residui di acido sialico. Per risolvere l’infezione è quindi necessaria una
risposta anticorpale che nel neonato può essere insufficiente e deve essere fornita dalla madre.
Produce l’enzima superossido dismutasi (SOD) per proteggersi dallo stress ossidativo, una beta
emolisina che danneggia cellule epiteliali e macrofagi e il CAMP factor, capace di potenziare
l’azione delle beta emolisine comprese quelle prodotte da Aureus
Epidemiologia
Agalactiae colonizza il tratto inferiore dell’apparato digerente e la vagina del 30% delle donne. Il
60% dei neonati nati da madri colonizzate è a sua volta colonizzato. Questi essendo tuttavia
protetti dagli anticorpi materni sviluppano malattia solo nel 2% dei casi. Se il batterio viene
trasmesso durante la gestazione nell’utero (trasmissione trasplacentare) o durante la nascita, per
contatto con secrezioni vaginali o feci, il bambino può sviluppare una malattia ad esordio precoce,
distinta da quella a esordio tardivo che si sviluppa acquisendo il batterio nei primi mesi di vita
(spesso si tratta di infezioni nosocomiali). Gli immunodepressi sono più a rischio (HIV e bambini
prematuri che mancano di un sistema del complemento funzionante)
Sindromi cliniche
-infezioni nei neonati: le malattie ad esordio precoce (sviluppata nella prima settimana di vita) e
tardivo (tra la prima settimana e il terzo mese) presentano un quadro clinico di batteriemia,
polmonite e meningite. Mentre il tasso di mortalità è pressoché identico (circa 5%), le complicanze
neurologiche dovute a meningite sono più frequenti nella forma tardiva (25-50%) che in quella
precoce (15-30%) e inoltre nella forma precoce è più difficile lo sviluppo stesso della meningite.
Tra i danni neurologici ricordiamo cecità, sordità e grave ritardo mentale.
Nota personale: forse la diversa gravità della malattia è dovuta alla mancanza di anticorpi materni
verso ceppi ospedalieri. Del resto l’immunizzazione passiva protegge solo dai ceppi batterici
presenti nella vagina della mamma. Verifica, Lollo, verifica.
-infezione negli adulti: negli adulti immunodepressi le infezioni causano malattie dei tessuti molli,
polmoniti, malattie del tratto urinario. Trattandosi di immunodepressi il tasso di mortalità è
maggiore.
Diagnosi e trattamento
Il tampone viene prelevato dalla sede presentante i sintomi: espettorato in caso di polmonite e
liquor in caso di meningite. Anche il sangue è un campione utile in quanto spesso si ha
batteriemia. Infine si possono utilizzare tamponi vaginali e rettali.
L’esame colturale si fa su agar sangue e come sempre si effettua il test della catalasi e, in questo
caso, il test di agglutinazione con Ig anti-B.
Disponendo agalactiae perpendicolarmente a una striscia di aureus si può osservare una zona più
ampia di beta 10 ossidazione corrispondete all’incrocio delle due colonie (CAMP test)
PNEUMONIE
Fisiologia
Alfa emolitico in aerobiosi, può comportarsi come un beta emolitico in anaerobiosi. Alcuni ceppi,
quelli virulenti, sono capsulati. Le colonie di questi ultimi sono più grandi e, con l’invecchiamento,
presentano una porzione centrale dissolta causata dal fenomeno di autolisi cui vanno incontro gli
S.pneumonie.
L’alfa emolisi è dovuta alla produzione di pneumolisina, un enzima che degrada l’emoglobina
formando una sostanza verde (infatti si parla di streptococco viridante).
Al microscopio i cocchi si dispongono a coppia (diplococchi).
La capsula è costituita da polisaccaridi complessi che permettono la distinzione di 90 sierotipi
diversi.
Lo strato di peptidoglicano possiede ponti di pentaglicina che estendono i legami crociati. L’acido
tecoico, che si estende attraverso la capsula esterna, prende il nome di polisaccaride C (legandosi
alla proteina C reattiva del sistema del complemento). L’acido lipotecoico prende il nome di
antigene F perché può dare reazioni crociate con gli antigeni di Forssman sulle cellule di
mammifero. Gli acidi tecoici e lipotecoici sono associati a residui di fosforilcolina, costituente
specifico della parete di pneumonie necessario per l’attività autolitica dell’enzima amidasi durante
la divisione cellulare (grazie alla rottura della parete cellulare è possibile aggiungere nuove unità di
peptidoglicano).
Patogenesi
Il patogeno colonizza l’orofaringe legandosi alla superficie delle cellule epiteliali grazie a adesine
proteiche di superficie. La successiva migrazione verso altri tessuti (polmoni, seni paranasali,
orecchio medio e circolo sanguigno - tramite quest’ultimo raggiunge siti distali) necessita l’attività
di proteasi di IgA secretorie e di pneumolisina. Le proteasi eliminano le IgA , residenti sulle
mucose, che intrappolano i batteri nel muco legandosi alla mucina con la regione Fc. La
pneumolisina, analogamente alla streptolisina O, forma pori sulle membrane cellulari
distruggendo le cellule ciliate e i fagociti. In questo modo l’attività immunitaria dell’epitelio
respiratorio viene contrastata, anche se l’effettiva migrazione con sviluppo della patologia avviene
solo in soggetti immunocompromessi (anziani ad esempio) o con alterazioni dell’epitelio
respiratorio (infezioni virali o consumo di tabacco che danneggiano le cellule ciliate).
Giunto al focolaio d’infezione il batterio si protegge dalla fagocitosi grazie alla capsula, per questo i
ceppi acapsulati sono considerati avirulenti. Oltre che dall’immunità innata la capsula fornisce una
discreta protezione anche da quella adattativa in quanto i polisaccaridi capsulari, contro i quali
vengono prodotte le Ig, possono solubilizzare e sequestrare gli anticorpi opsonizzanti evitando,
quindi, il riconoscimento del batterio.
La patologia è causata dall’eccessiva risposta immunitaria dovuta al massivo richiamo di cellule
infiammatorie. Questo è il risultato dell’azione di diverse componenti:
-L’acido tecoico e i frammenti di peptidoglicano, entrambi rilasciati dalla parete grazie all’attività
11
autolitica dell’amidasi, attivano la via alternativa del complemento che richiama le cellule
infiammatorie producendo C5a
-La pneumolisina attiva la via classica del complemento dando luogo alla produzione di C5a e C3a
La diffusione attraverso il circolo ematico è garantita dalla fosforilcolina che viene riconosciuta dai
recettori per il fattore attivante le piastrine espresso dalle cellule endoteliali.
A causa delle sempre più comuni resistenze alla penicilline (dovuto allo sviluppo di PBP con minore
affinità) si è 12
soliti utilizzare cefalosporine di terza generazione (β-lattamici ad ampio spettro)
combinate a vancomicina.
È stato sviluppato un vaccino 23 valente costituito da 23 tipi di polisaccaridi capsulari
corrispondenti ai ceppi più virulenti. Il vaccino è somministrato ai pazienti sopra i due anni di età e
stimola i linfociti B maturi. Nei bambini piccoli un vaccino di antigeni T-indipendenti risulta poco
efficace (le cellule B non sono ben funzionanti) e per questo al di sotto dei 2 anni di età viene
somministrato un vaccino 13 valente costituito dai polisaccaridi dei 13 ceppi più virulenti nei
bambini coniugati a proteine che stimolano i linfociti T helper (solitamente anatossine).
NEISSERIE
Il genere Neisseria comprende 28 specie, 10 riscontrate nell’uomo di cui 2 altamente patogene:
gonorrhoeae e meningitidis. Il primo è sempre associato a patologia, mentre il secondo può
risiedere come commensale nel rinofaringe di persone sane.
Fisiologia
-Gram-negativi, diplococchi con diametro che varia da 0,6 a 1 µm
-Aerobi, richiedono un’atmosfera con CO2 al 5%, mesofili (temperatura di crescita sui 35 °C)
-Tutte le specie sono ossidasi +, la maggior parte anche catalsi +; l’ossidasi agisce sul glucosio
formando acido, in meningitidis viene ossidato anche il maltosio.
Fattori di Virulenza
-Capsula: posseduta solo da meningitidis, permette la distinzione di 13 sierogruppi diversi sulla
base di differenze antigeniche. I ceppi più associati alla patologia appartengono ai sierogruppi
A,B,C e W135.
Nonostante gonorrhoeae manchi di capsula, possiede una superficie esterna carica negativamente
che allo stesso modo ostacola la fagocitosi.
-Pli di tipo IV: si estendono dalla membrana citoplasmatica fino alla superficie attraversando la
membrana esterna. Sono costituiti da proteine piliniche ancorate alla membrana da una regione
costante N-term. La regione esposta C-term presenta una notevole variabilità e può essere
fosforilata e associata a una seconda proteina PilC, tutti fattori che aumentano la diversità
antigenica. Oltre a questo uno stesso batterio possiede più geni per le proteine piliniche, di cui
13
solo uno è espresso. Grazie al fenomeno della variazione di fase è possibile, quindi, eludere
l’immunità adattativa. Funzione dei pili è quella di mediare l’adesione alle mucose.
-Proteine Opa: altre adesine che mediano lo stretto legame del patogeno alle cellule epiteliali e
fagociti. Sono possedute da alcuni ceppi che formano colonie opache (da qui il nome della
proteina). Questi ceppi sono più spesso associati ad infezioni localizzate, mentre ceppi privi di Opa
più comunemente danno infezioni disseminate. Inoltre le proteine Opa sono rare in Meningitidis.
-Proteine poriniche: formano pori sulla membrana necessari all’ingresso dei nutrienti e alla
fuoriuscita di prodotti di scarto. Esistono due forme: PorA e PorB, entrambe possedute da
meningitidis mentre gonorrhoeae possiede solo la B.
Hanno un importante ruolo nella virulenza in quanto promuovono l’internalizzazione sulle cellule
epiteliali, prevengono la fusione del fagosoma con il lisosoma nei macrofagi, interferiscono con la
degranulazione dei neutrofili e rendono il batterio resistente all’attacco del complemento.
Anche le proteine poriniche possiedono una vasta variabilità antigenica che rende inutile lo
sviluppo di un vaccino basato su questi antigeni.
-Proteine Rmp: proteine della membrana esterna che contribuiscono all’elusione del sistema
immunitario mascherando gli antigeni superficiali (o una cosa del genere, chi cazzo l’ha capito).
-Recettori per transferrina e lattoferrina: captano queste proteine di trasporto del ferro. Il ferro è
indispensabile per il metabolismo del batterio e quest’ultimo, sequestrandolo dal circolo ematico,
danneggia l’ospite.
-LOS: lipopolisaccaride senza porizone O. La sua attività endotossinica è propietà del lipide A e
viene potenziata dall’over produzione di membrana da parte del batterio che, in questo modo,
rilascia continuamente vescicole contenenti LOS (tenere a mente per lo scritto).
-Enzimi: le neisserie producono IgA proteasi e beta lattamasi.
GONORRHOEAE
Patogenesi ed epidemiologia
N. gonorrhoeae colonizza il distretto urogenitale e, pertanto, si trasmette per via sessuale. Il
batterio aderisce all’epitelio colonnare non ciliato dell’uretra o della cervice uterina (endocervice)
tramite pili e Opa che vengono riconosciuti dai recettori cellulari CD46 e CD66. Successivamente si
fa internalizzare grazie all’azione di PorB (stimola una via di segnalazione che promuove
l’endocitosi). Dalla cellula epiteliale il batterio passa alla tonaca sottomucosa per transcitosi. In
questa sede lega acido sialico che attrae il fattore H, evitando così la deposizione del
complemento. L’endotossina stimola il rilascio della citochina pro-infiammaroeia TNF alfa
contribuendo in modo predominante allo sviluppo della patologia. L’infiammazione danneggia
l’epitelio e il batterio torna nel lume formando un essudato.
L’incidenza della patologia è nel gruppo fra i 15 e i 24 anni e rappresenta la seconda malattia
sessuale batterica più comune, preceduta da Chlamydia. A seguito di contatto sessuale con un
infetto, il 50% delle donne rischia l’acquisizione dell’infezione mentre gli uomini hanno un rischio
del 20%. Il serbatoio
14 maggiore è rappresentato dagli individui asintomatici: infatti il 90% circa delle
infezioni gonococciche sono sintomatiche nell’uomo, ma nella donna solo il 50% sviluppa sintomi
clinici evidenti.
Sindromi cliniche
La gonorrea è caratterizzata da uretiti nell’uomo e cerviciti nelle donne. Caratteristica della
malattia è la presenza di secrezioni purulente. Un altro sintomo comune è la disuria (difficoltà a
urinare). Il batterio può diffondere e dare infezione in altre sedi, nell’1-3% delle donne attacca le
articolazioni dello scheletro assiale causando artrite settica. La percentuale è più bassa negli
uomini in quanto i casi asintomatici sono pochi e il batterio viene subito identificato.
Al momento del passaggio attraverso il canale del parto un neonato può infettarsi e sviluppare una
congiuntivite da gonococco chiamata ophthalmia neonatorum.
Diagnosi e trattamento
I campioni vengono prelevati dall’uretra o dalla cervice, talvolta possono essere effettuati tamponi
articolari o analisi del sangue in caso di artrite settica.
Il batterio cresce bene su agar sangue cioccolato e la colorazione di Gram, insieme ai test della
catalasi e dell’ossidasi risultano altamente sensibili e specifici.
Test di sensibilità agli acidi nucleici sono altrettanto raccomandati.
A causa del progressivo aumento dei ceppi penicillina resistenti, il trattamento prevede l’uso di
ceftriaxone (cefalosporina di terza generazione) combinato ad una tetraciclina (inibitore sintesi
proteica)
MENINGITIDIS
Patogenesi ed epidemiologia
Meningitidis colonizza il rinofaringe aderendo, tramite i pili che interagiscono con CD46, alle
cellule epiteliali non ciliate. Nei pazienti provvisti di un buon sistema del complemento e di una
carica anticorpale adeguata l’infezione può circoscriversi e rimanere asintomatica. In caso
contrario il batterio invade la mucosa e penetra nella sottomucosa. Qui la capsula previene la
fagocitosi impedendo il deposito del complemento e l’endotossina, insieme al sequestro delle
proteine per il ferro , scatena la patologia. Il batterio può entrare nel circolo sanguigno e spostarsi
in altre sedi.
Meningitidis, come gonorrhoeae, infetta solo l’uomo. Si trasmette tramite gocce di Flugge ed è
diffusa in tutto il mondo. L’incidenza è maggiore in un’area dell’Africa sub-Sahariana (Guinea –
Nigeria – Ethiopia) che prende il nome di cintura della meningite.
Sindromi cliniche
Il quadro clilico può presentarsi in diversi modi:
-faringite
-polmonite dovuta all’infezione delle vie respiratorie inferiori, spesso è associato alla faringite
-meningococcemia lieve quando il batterio entra nel circolo ematico. Caratterizzata da stato
febbrile, malessere e deposizione del batterio nelle articolazioni o a livello delle valvole cardiache.
-Sindrome di Waterhouse-Friderichsen. Particolare setticemia che segue la diffusione ematica del
15
batterio. Caratterizzata da uno stato di shock e da lesioni petecchiali della cute su tronco e arti
inferiori che possono confluire formando ampie lesioni emorragiche. Vi è inoltre necrosi delle
ghiandole surrenali. La malattia può essere o meno associata a meningite
-meningite quando il batterio supera la barriera ematoencefalica e si localizza nello spazio
subaracnoideo. Una forma pericolosa è spesso letale è la meningite fulminante.
Diagnosi e trattamento
I campioni possono essere prelevati dalla faringe, dal sangue, dal liquor o da biopsie delle
petecchie a seconda del quadro clinico in atto.
Si usano terreni selettivi come il Thayer Martin per la maggioranza dei campioni. Questi terreni
contengono antifungini e antibiotici verso cui le neisserie non sono sensibili. Nel liquor si può
utilizzare un terreno non selettivo come agar sangue in quanto è fisiologicamente sterile.
Tipici della meningite sono i segni di Brudzinski I(segno della nuca) e II (riflesso controlaterale)
- segno della nuca: stendendo il paziente in posizione supina si flette con una mano la nuca
tenendo fermo il tronco. Ne consegue uno stiramento delle meningi al quale il paziente, se
positivo, reagirà flettendo le gambe
-riflesso controlaterale: si flette uno degli arti inferiori al paziente in posizione supina. Viene
considerato positivo se a questa flessione il paziente reagisce flettendo l’arto controlaterale
Comprende circa 50 generi che possiedono come habitat naturale principalmente l’intestino
dell’uomo o di altri animali, anche se sono generalmente ubiquitari. Provocano una varietà di
patologie: un terzo di tutte le batteriemie, più del 70% delle infezioni del tratto urinario e molte
infezioni intestinali. Possono essere patogeni naturali o opportunisti.
Caratteristiche morfologiche: sono bacilli gram negativi, quasi sempre capsulati, asporigeni,
provvisti di pili e possono essere mobili o immobili. Tutti gli enterobatteri presentano un antigene
comune enterobatterico
Caratteristiche metaboliche: sono aerobi o anaerobi facoltativi. In anaerobiosi possono
fermentare il glucosio producendo gas. I Coli e Klebsiella fermentano anche il lattato. Non
possiedono il citocromo C quindi sono ossidasi negativi. In ultima analisi sono catalasi positivi
Caratteristiche colturali: poco esigenti.
Classificazione
Possono essere distinti in base a due principali classificazioni:
Classificazione biochimica: si distinguono in base a substrati utilizzati come fonte di carbonio;
presenza di specifici enzimi; produzione di specifici prodotti metabolici; capacità di fermentare
particolari zuccheri
Classificazione antigenica: basata su 3 antigeni ceppo-specifici
-Antigene O (porzione polisaccaridica dell’LPS), termostabile, può essere identificato mediante
16
agglutinazione con anticorpi specifici.
-Antigene K, rappresentato da polisaccaridi di superficie che compongono la capsula. Non vengono
utilizzati per la tipizzazione ma interferiscono con il riconoscimento dell’antigene O che ricoprono.
Il problema può essere risolto riscaldando il terreno in quanto questo antigene è termolabile.
-Antigene H rappresentato dalle proteine flagellari, termolabile, presente solo sulle specie mobili
Fattori di Virulenza
-Polisaccaride capsulare o dello strato mucoso (antigene K): grazie alla presenza di cariche
respingono i fagociti idrofobi, impediscono la deposizione del complemento e inteferiscono con il
legame degli anticorpi
-Endotossina (con antigene O) ad azione pirogena
-Variazione di fase che promuove o inibisce l’espressione dei geni per gli antigeni O, K e H
-Produzione di composti ferro chelanti (siderofori) che competono con le proteine del sangue nel
sequestro del ferro
-Produzione di tossine da parte di alcune specie (spesso enterotossine)
-Sistema di secrezione di tipo III attraverso il quale i batteri iniettano nelle cellule i fattori di
virulenza tipici delle diverse specie.
-Resistenza agli antibiotici: gli enterobatteri sviluppano rapidamente resistenza, che può essere
veicolata da plasmidi trasferibili e scambiata tra specie, generi, e famiglie differenti.
SALMONELLA
I batteri del genere Salmonella sono anaerobi facoltativi e dotati di flagelli peritrichi (quindi
possiedono l’antigene H). L’antigene capsulare prende il nome di “antigene Vi”.
Possono essere distinte due specie: enterica, con circa 2500 sierotipi diversi, e bongori, con 20
sierotipi. Alla specie enterica appartiene il 95% dei sierotipi patologici nell’uomo e di seguito
saranno trattate salmonelle appartenenti esclusivamente a questa specie. Fra i sierovar
ricordiamo:
-Typhi e Paratyphi: le cosidette “salmonelle maggiori” in quanto provocano salmonellosi
caratterizzata da febbre tifoide o paratifoide (più lieve).
-Typhimurium, enteritidis, choleraesuis o “salmonelle minori” in quanto provocano infezioni
localizzate nell’apparato digerente.
Patogenesi
Una volta ingerite le salmonelle prendono contatto con le cellule M e gli enterociti che rivestono la
mucosa intestinale. Inocula tramite sistema di secrezione di tipo III delle proteine di invasione
(Ssps) che promuovono modificazioni al citoscheletro che permettono l’internalizzazione del
batterio. Sia le Ssps che le proteine per la secrezione sono codificate dall’isola di patogenicità I,
distinta dall’isola di patogenicità II che codifica un altro sistema di secrezione di tipo III e proteine
che permettono l’elusione del sistema immunitario.
All’interno della cellula il batterio migra verso il polo basale e, quindi, attraverso la transicitosi
viene esocitato nella lamina basale. Qui viene captato dai macrofagi, ma grazie alla seconda isola
di patogenicità
17 il batterio riesce a prevenire la fusione dell’endosoma con il lisosoma. Tuttavia
l’attivazione dell’immunità innata determina la produzione di IL-8 che richiama i neutrofili e IL-12
che promuove la produzione di interferone gamma da parte delle cellule NK. Quest’ultimo
potenzia l’attività dei macrofagi e stimola il differenziamento dei linfociti T CD4 in Th1 (che
produce ulteriore INF gamma). L’attivazione dell’immunità cellulo-mediata risolve l’infezione
impedendo la distribuzione sistemica e limitando la patologia a semplici gastroenteriti.
Le salmonelle maggiori riescono a interferire con il rilascio di IL-8 e quindi, impedendo il
reclutamento dei neutrofili, si moltiplicano ed entrano nel circolo ematico sia direttamente sia
indirettamente tramite il circolo linfatico. Si depositano quindi nel sistema reticolo endoteliale di
fegato, milza e midollo osseo e qui continuano a riprodursi fino a generare una seconda
batteriemia associata alla febbre tifoide. Il batterio viene infine concentrato nella cistifellea e
riversato nuovamente nell’intestino, ove sarà escreto con le feci. In altri casi (1-5%) può
permanere nella cistifellea determinando lo stato di portatore asintomatico.
Epidemiologia
Il batterio presenta diversi serbatoi animali, anche se le salmonelle maggiori sono adattate
fortemente all’uomo. Per queste ultime infatti la carica infettante è estremamente bassa, contro
quella più alta delle samonelle minori (10^5-10^6). La trasmissione avviene principalmente per via
oro-fecale e i vettori più comuni sono i cibi contaminati come carni e verdure crude (la cottura
dovrebbe uccidere il batterio e prevenire l’infezione), acqua non potabile, pesci e molluschi di
acque contaminate.
Sindromi cliniche
-gastroenterite: unica evidenza clinica delle salmonelle minori, insorge nell’arco di 12-48 ore
dall’ingestione del batterio. È caratterizzata da diarrea, nausea e vomito. I sintomi si risolvono
spontaneamente in 2-7 giorni.
-febbre tifoide/paratifoide: causata dalle salmonelle maggiori. I sintomi compaiono dopo circa
due settimane dall’ingestione e sono rappresentati da febbre, cefalea, mialgia, malessere e
anoressia. I sintomi persistono per 1 settimana e saranno seguiti da altri sintomi gastroenterici
causati dal riversamento del batterio nell’intestino con la bile.
Diagnosi e trattamento
Il campione è di tipo fecale o analisi del sangue se si considera la febbre tifoide. Considerando il
campione fecale in coltura si utilizza inizialmente un terreno ricco di ossigeno per eliminare la flora
anaerobia. Rimangono così diverse specie anaerobe facoltative gram negative e gli enterococchi
gram positivi. Questi ultimi vengono eliminati utilizzando un terreno per i gram negativi. A questo
punto si aggiungono sali biliari che inibiscono la crescita dei coli e nel terreno rimangono solo le
specie Shigella e Salmonella. Per evidenziare quest’ultima si utilizzano composti che consentono
l’individuazione di idrogeno solforato, non prodotto da Shigella. Le colonie nere, ove l’idrogeno
solforato precipita, sono quindi di Salmonelle, quelle trasparenti di Shigella.
SHIGELLA
Shigella è in realtà un biotipo di E.coli. Si distinguono 4 specie in base all’antigene O comprendenti
50 sierotipi: dysenteriae (A), flexneri (B), boydii (C), sonnei (D). I batteri sono immobili e anaerobi
facoltativi. Il meccanismo patogenico di Dysenteriae è simile a quello del coli enteroemorragici,
mentre per le altre tre specie ricorda quello dei coli enteroinvasivi.
Patogenesi
Aderisce alle cellule M sulla mucosa del colon e secerne quattro proteine Ipa (da A a D) tramite
sistema di secrezione di tipo III. Queste proteine promuovono l’increspamento della membrana
facilitando l’internalizzazione. Successivamente shigella attraversa la membrana basolaterale e
viene captata e internalizzata nei macrofagi. Qui riesce a prevenire la fagocitosi probabilmente
inducendo l’apoptosi della cellula. A questo punto, con meccanismi analoghi a quelli utilizzati per
le cellule M, si può far internalizzare dagli enterociti attraversando il polo basolaterale. Negli
enterociti si moltiplica e produce invasine che arrangiano i filamenti di actina, tramite i quali il
batterio riesce a migrare da una cellula a quella adiacente senza uscire nella ECM.
La patologia è causata dall’infiammazione innescata dall’apoptosi dei macrofagi con rilascio di
citochine e dalla produzione di due enterotossine ShEt. In dysenteriae vi è inoltre la produzione
della tossina di Shiga, formata da una subunità A e cinque subunità B. Queste ultime si legano a un
glicolipide (Gb3) della cellula ospite e rilasciano la subunità A nel citosol che va a tagliare l’rRNA
28S della subunità ribosomiale 60S, impedendo l’attacco del tRNA e bloccando, quindi, la sintesi
proteica.
Epidemiologia
L’uomo è l’unico serbatoio delle shigelle. La trasmissione avviene per via oro-fecale attraverso
diversi vettori, ma anche per contagio diretto (ad esempio mani sporche) in quanto la carica
infettante è bassissima (talvolta meno di 100 batteri). La malattia è maggiormente diffusa in
ambito pediatrico (60% dei casi) e si manifesta soprattutto nei periodi caldi.
Sindromi cliniche
Dissenteria bacillare: con il termine dissenteria si intende una diarrea (in questo caso acquosa)
accompagnata da infiammazione della mucosa enterica che determina microascessi e ulcerazioni
superficiali.
La tossina di Shiga può generare complicanze quali colite emorragica e sindrome uremico-
emolitca (HUS). Quest’ultima è causata dalla presenza del recettore Gb3 (globotriaosilceramide)
anche sulle cellule endoteliali del rene, alle quali la tossina può giungere tramite circolo ematico.
La lisi dell’endotelio induce la formazione di un tappo piastrinico che riduce di molto il calibro del
capillare glomerulare. Passandovi attraverso gli eritrociti subiscono, quindi, lisi meccanica.
Diagnosi e trattamento
Per la diagnosi vedi Salmonella, con la quale condivide anche il trattamento.
Nota personale: ouuuuuuu shaka laka!
KLEBSIELLA
19 E PROTEUS
Klebsiella è un enterobatterio gram negativo immobile e capsulato. La capsula permette
l’identificazione di 70 sierotipi ed è così abbondante che conferisce alle colonie un aspetto
traslucido.
La patologia più frequente è la polmonite causata da K.pneumoniae, anche se altri sierotipi
possono causare meningite nel neonato. Oltre alla capsula, il principale fattore di virulenza è
l’antibiotico resistenza. Alcuni ceppi di K.pneumoniae sono resistenti persino ai carbapenemici
(appartenenti alla famiglia dei beta lattamici) che rappresentano l’ultima spiaggia della terapia
efficace. Il rilevamento di un infezione da parte di questi ceppi deve essere denunciato alla
direzione sanitaria che, a sua volta, emetterà un comunicato alla regione. È quindi fondamentale
monitorare la diffusione di questo batterio.
Proteus è un gram negativo mobile, normale residente della flora batterica intestinale. Crea
patologie nel tratto urinario (patogeno opportunista). Le specie più frequentemente isolate sono
Mirabilis e Vulgaris in questo ordine.
Il fattore di virulenza principale è rappresentato dalla produzione di ureasi che scinde l’urea
producendo ioni ammonio (utili in diagnostica per l’odore caratteristico che conferiscono alle
urine). La produzione di ammonio innalza il pH delle urine facendo così precipitare sali di magnesio
e calcio che formano calcoli renali. L’innalzamento del pH è dannoso anche per l’urotelio stesso.
In coltura sono i principali rappresentanti del fenomeno dello sciamaggio (migrazione dei batteri a
causa di elevata motilità) che destabilizza le colonie. Per una corretta diagnosi è indispensabile
impedire questo fenomeno
ESCHERICHIA COLI
Fisiologia
-Batteri gram negativi capsulati e mobili
-Aerobi facoltativi, fermentano il lattosio
-Fa parte della normale flora intestinale umana, ove rappresenta la specie aerobia facoltativa
predominante.
-Il pangenoma conta circa 13000 geni, di cui 2200 che formano il core in un tipico genoma di 5000
geni posseduto da un ceppo patogeno. I vari ceppi vengono distinti sulla base degli antigeni O, K e
H accanto ai quali viene assegnato un numero di riconoscimento (esempio: O 111, K76, H 7)
Sotto questi aspetti viene naturale considerare E.coli come un normale commensale/patogeno
opportunista. Le infezioni che provoca vengono divise in endogene, causate da condizioni che
trasformano il commensale in opportunista (UTI e setticemie), o esogene, generalmente acquisite
alla nascita durante il parto (meningite neonatale) o causate da ceppi che hanno inglobato tramite
plasmidi o batteriofagi fattori di virulenza come adesine o enterotossine (gastroenteriti).
Sulla base della patologia possiamo quindi distinguere due patotipi:
-enteritogeni: associati alla gastroenterite
-extraintestinali: associati a infezioni del tratto urinario e a meningite neonatale.
Epidemiologia
E’ responsabile di oltre l’80% delle UTI in comunità oltre che di molte infezioni ospedaliere. È
inoltre il bacillo gram negativo maggiormente associato a setticemia, spesso una complicazione
delle infezioni
20 del tratto urinario che vedono il batterio entrare in circolo attraverso il rene; altra
causa di setticemia deriva dalla peritonite da perforazione intestinale, associata quindi a
gastroenteriti.
Infine, insieme agli streptococchi di gruppo B causa la maggior parte delle meningiti nel primo
mese di vita.
Patologie
E.COLI EXTRAINTESTINALI
-Uropatogeni (UPEC)
La malattia spesso è di origine endogena, causata dalla migrazione del batterio dal colon fino
all’uretra ascendendo attraverso la regione perineale. La maggior parte dei sierotipi può causare
UTI, anche se ne esistono alcuni maggiormente associati a questa patologia disponendo di specifici
fattori di virulenza:
-Adesine: ovvero pili P, S e di tipo 1 che permettono la stretta aderenza all’urotelio (impedendo
l’eliminazione del batterio tramite minzione)
-siderofori: enterobactina e aerobactina
-tossine: emolisina formante pori (HlyA- lisa emazie e cellule ed innesca in questo modo la risposta
infiammatoria) e tossina autotrasporter secreta (Sat- ulteriore citotossina che lisa le cellule
epiteliali)
Dall’uretra il batterio risale fino alla vescica ove stabilisce una stretta adesione mediata dai pili di
tipo 1 e i glicani ricchi di mannosio associati alle uroplachine (proteine di membrana delle cellule
uroteliali). È importante notare come il batterio alterna fasi di adesione e migrazione alterando
periodicamente l’espressione genica. La colonizzazione delle vie urinarie superiori (ureteri e pelvi
renale) dipende maggiormente dai pili P che aderiscono a specifici recettori che abbondano in
queste sedi. Se l’infezione si protrae a livello renale si può avere batteriemia e in casi gravi
setticemia. Il danno è causato dal meccanismo di internalizzazione attraverso il quale il batterio
invade le cellule e ivi si moltiplica, esfoliando l’epitelio con la produzione delle tossine e causando
una massiva risposta infiammatoria.
-Associati a meningite neonatale (NMEC)
La malattia si acquisisce durante il parto per emissione di materiale fecale. Il 75% dei ceppi
associati a questa malattia possiede l’antigene capsulare K1 con attività antifagocitaria.
E.COLI ENTERITOGENI
-Enteropatogeni (EPEC)
Rappresentano la causa più frequente di diarrea infantile nei paesi in via di sviluppo. Il contagio
avviene da persona a persona in modo diretto in quanto la carica infettante è estremamente
bassa. Il batterio colonizza l’intestino tenue e provoca diarrea acquosa (da malassorbimento)
talvolta associata a febbre e vomito.
Privi di potere tossinogeno, gli EPEC sono dotati di un particolare carattere di adesività localizzata
mediata da fattori di virulenza codificati dall’isola di distruzione degli enterociti, contentente 40
geni. Inizialmente il batterio aderisce alla mucosa intestinale tramite pili formanti fasci (Bfp),
formando un piedistallo di adesione. Successivamente il batterio inocula tramite un sistema di
secrezione di tipo III il recettore per l’intimina (Tir). L’interazione intimina (presente sul batterio)
con Tir provoca un riarrangiamento del citoscheletro di actina con accumulo di proteine e
21
distruzione della membrana cellulare.
-Enterotossinogeni (ETEC)
Anche questi associati a diarrea infantile nei paesi in via di sviluppo, oltre che alla diarrea del
viaggiatore. La trasmissione avviene tramite alimenti contaminati e non in modo diretto, quindi la
carica infettante è più elevata. La diarrea è acquosa ed è accompagnata da nausea, crampi
addominali e febbre di modesta entità. Si manifesta dopo un periodo di incubazione di 1-2 giorni.
Il batterio aderisce a specifiche regioni del tenue tramite antigeni del fattore di colonizzazione (1
e 2) e qui produce tossine termolabili (LT 1-2) che, analogalmente alla tossina colerica, si lega al
recettore GM1 (tramite subunità B) e stimola l’adenilato ciclasi (tramite subunità A) innalzando i
livelli di cAMP e tossine termostabili (ST a-b) che provocano un aumento del cGMP. L’aumento dei
nucleotidi ciclici altera l’attività dei canali ionici con conseguente aumento dell’escrezione di cloro
e diminuzione del riassorbimento di sodio. Ciò determina un richiamo d’acqua nel lume intestinale
che provoca la diarrea acquosa.
-Enteroemoragici (EMEC)
Principalmente appartenenti al sierotipo O:157 H:7. Sono primariamente diffusi nei paesi
industrializzati e il maggior vettore di trasmissione è rappresentato dalla carne contaminata poco
cotta (per questo la malattia associata viene definita “dell’hamburger”). La carica infettante è
bassissima (meno di 100 patogeni).
I batteri aderiscono alla mucosa dell’intestino crasso e qui producono due tossine: le shiga like
toxin 1 e 2, che agiscono in maniera analoga alla tossina di Shiga di S.dysenteriae (in particolare il
tipo 1 è identico alla tossina di shiga, mentre il tipo 2 presenta 60% di omologia). La tossina blocca
la sintesi delle proteine causando morte cellulare.
Gli enteroemorragici possono causare una semplice diarrea che si manifesta dopo 3-4 giorni di
incubazione. Entro 2 giorni dall’insorgenza dei sintomi il 30-60% dei pazienti manifesta diarrea
emorragica con gravi dolori addominali, sintomi che definiscono la colite emorragica. Le tossine
attaccano anche le cellule endoteliali del rene e possono causare sindrome uremico emolitica
(vedi shigella) nel 5-10% dei pazienti affetti di età inferiore ai 10 anni. Nei pazienti non trattati HUS
guarisce spontaneamente in circa una settimana, ma nel 5% dei casi risulta letale e nel 30%
provoca gravi sequele (insufficienza renale, ipertensione, danni a carico del SNC)
-Enteroinvasivi (EIEC)
I ceppi enteroinvasivi sono rari e sono associati principalmente ai sierotipi O:124, O:143 e O:146.
La patogenesi è simile a quella di shigella: il batterio aderisce all’epitelio del colon e si fa
internalizzare - lisa il vacuolo endocitico e si moltiplica all’interno della cellula causandone la morte
- passa nelle cellule adiacenti manipolando il citoscheletro di actina. Tutte le proteine necessarie a
questi passaggi sono codificate da un isola di invasività presente in un plasmide.
Provoca una diarrea acquosa che può evolvere in dissenteria in una minoranza dei casi. In
situazioni più gravi la distruzione delle cellule epiteliali e l’infiltrazione infiammatoria possono
provocare ulcerazione del colon.
-Enteroaggreganti (EAEC)
I ceppi appartenenti a questa specie sono diffusi soprattutto nei paesi in via di sviluppo, ma si
pensa che le diarree infantili causate dagli enteroaggreganti siano sottostimate nei paesi
22
industrializzati.
Aderiscono all’epitelio dell’intestino tenue tramite fimbrie di adesione aggreganti di tipo I, II e III
(AAF/I-II-III) e stimolano le cellule della mucosa a secernere muco, grazie al quale le colonie
batteriche si rivestono formando un biofilm che genera veri e propri “aggregati”. Produce due
tossine: la tossina termostabile enteroaggregante, strutturalmente e funzionalmente analoga alle
LT degli ETEC, e la tossina plasmidica, anch’essa promotrice della secrezione di fluidi.
Provoca una diarrea acquosa che può diventare cronica nei bambini. In questi stessi soggetti,
inoltre, può causare ritardo della crescita.
Diagnosi e trattamento
UPEC: si prelevano le urine (escluso il primo getto) e si fa crescere il batterio su agar McConkey,
ove produce colonie rosa fermentando il lattosio. Talvolta è necessario piastrare le urine su un
terreno per i funghi in quanto una grande maggioranza di infezioni delle vie urinarie è causata da
funghi.
NMEC: si preleva il liquido cefalorachidiano e si utilizza un terreno per gram negativi escludendo
così i gram positivi. Si può procedere al microscopio in quanto il liquor è fisiologicamente sterile e
il batterio può essere individuato facilmente
Enteritogeni: si prelevano le feci, ricche di batteri. Si utilizza l’agar McConkey addizionato a
sorbitolo. Quest’ultimo non viene fermentato dagli EHEC che quindi produrranno colonie
trasparenti. Si procede inoltre con la tipizzazione sierologica utilizzando anticorpi specifici, talvolta
diretti contro le tossine
Il trattamento si basa sull’antibiogramma. I farmaci di elezione sono i carbapenemici.
HELICOBACTER PYLORI
Gli helicobacter in generale sono bacilli gram-negativi a forma di spirale suddivisi in due categorie:
i gastrici che colonizzano principalmente lo stomaco e gli enterici che colonizzano l’intestino.
Le diverse specie vengono classificate in base alla sequenza genica degli rRNA 16S, al tipo di acidi
grassi cellulari e alla presenza di flagelli polari. Sono state così identificate 32 specie.
Fisiologia
H. pylori appare come un bacillo a forma spiraliforme o un coccoide. Appartiene agli helicobacter
gastrici. Presenta 4-6 flagelli unipolari che gli conferiscono il caratteristico “movimento a
cavaturaccioli” che gli permette di penetrare lo strato di muco.
Le caratteristiche biochimiche e metaboliche:
-Microaerofilo e mesofilo
-Ossidasi e catalasi positivo. Presenta un’intensa attività ureasica
Epidemiologia
H. pylori ha come serbatoio primario l’uomo. Si ritiene che il 70-100% delle gastriti sia associato a
questo batterio.
È endemico in tutto il pianeta, in particolare nei paesi in via di sviluppo con basse condizioni
igieniche e malnutrizione fino al 90% degli individui è colonizzato, colonizzazione che, se non
trattata, dura tutta la vita (anche se non sempre è sintomatica). Nei paesi industrializzati invece la
percentuale scende a meno del 40%.
Le principali vie di trasmissione sono la oro-fecale, attraverso alimenti contaminati, e oro-orale,
basata sugli 23
scambi di saliva.
Fattori di virulenza e patogenesi
Il batterio, una volta ingerito, penetra nello strato di muco grazie alla motilità conferitagli dai
flagelli. Una forte azione è inoltre esplicata dall’attività degli enzimi proteasi e mucinasi presenti
sulla membrana esterna che scindono lo strato di muco generando un percorso per il batterio. Per
garantire la sopravvivenza nell’ambiete acido, H. pylori overproduce l’enzima ureasi che scinde
l’urea liberando ione ammonio capace di tamponare il pH. A questo punto si lega alle cellule
mucosecernenti dell’antro gastrico (in questa sede l’acidità è minore in quanto mancano le cellule
parietali) grazie all’azione di 2 adesine: BAB-A, che lega la porzione glucidica dell’antigene di Lewis
B (presente sulla superficie cellulare del 55-70% dei soggetti – ciò determina la predisposizione
genica alla malattia) e SAB-A, legante residui di acido sialico di antigeni di Lewis x/a. Queste
adesioni certe volte possono indurre modificazioni del citoscheletro con formazione di piedistalli di
adesione.
Legatosi saldamente alla mucosa il batterio produce due tossine:
-VacA: citotossina codificata da un gene omonimo. Viene catturata da specifici recettori presenti
sulla superficie cellulare e, quindi, endocitata. Nella cellula stimola la produzione di vacuoli (per
questo chiamata tossina vacuolizzante) e attiva una cascata enzimatica che porta all’apoptosi. Può
inoltre infiltrarsi tra le cellule fino ad arrivare nella lamina propria, ove altera l’attività dei linfociti T
durante la risposta immunitaria.
-CagA: viene iniettata nelle cellula tramite un sistema di secrezione di tipo IV. Qui induce
alterazioni citoscheletriche. Ha inoltre azione pro-proliferativa (possibile ruolo nell’insorgenza del
cancro) e pro-infiammatoria (stimola il rilascio di IL-8)
Ulteriore danno diretto da parte del batterio è causato dalla produzione di fosfolipasi A2 e C che
danneggiano il plasmalemma.
Il danno indiretto deriva dalla risposta immunitaria: l’epitelio gastrico danneggiato infatti produce
IL-1β, TNFα e IL-8 che richiamano i granulociti neutrofili. Questi ultimi producono ROS che
danneggiano ulteriormente l’epitelio ma senza provocare effetti evidenti sulla colonia batterica in
quanto H. pylori è provvisto di catalasi e superossido dismutasi (il curioso caso di un microaerofilo
che resiste ai ROS, bah).
Ulteriore elusione del sistema immunitario è attuata dalle tossine che danneggiano i macrofagi e
dall’endotossina LPS: quest’ultima presenta scarsa attività endotossica e contiene sequenze di
zuccheri simili agli antigeni di lewis che conferiscono al batterio mimetismo antigenico.
Isola di patogenicità
H.pylori possiede un’isola di patogenicità di 40kb costituita da 30 geni chiamata Cag-PAI.
Quest’isola codifica per:
-BabA
-VacA
-CagA
-Sistema di secrezione di tipo IV
-Prodotti che intervengono nel rilascio di IL-8
24
Tuttavia i geni CagA e VacA non sono sempre espressi e questo determina la distinzione di due
profili di patogenicità: H. pylori di tipo 1 associati alla patologia esprimendo entrambi i geni e H.
pylori di tipo 2 relativamente asintomatici ove questi sono assenti.
Ricapitolando: la gravità della patologia può quindi dipendere sia dalla predisposizione genica
(mancata esposizione degli antigeni di Lewis B) sia dal profilo di patogenicità contratto.
Sindromi cliniche
Causa gastrite acuta che può evolversi in gastrite cronica. La cronicizzazione della malattia può
danneggiare massivamente la parete gastrica portando a ulcera peptica (generalmente avviene
alla giunzione fra corpo e antro). In alternativa la gastrite cronica porta alla sostituzione della
normale mucosa gastrica con tessuto fibrotico o di tipo intestinale (metaplasia intestinale) che
aumenta la possibilità dello sviluppo di un cancro gastrico.
Interessante è ciò che avviene a livello duodenale. Nell’antro gastrico vengono demolite le cellule
enteroendocrine comprese le cellule D secernenti somatostatina (inibitore della secrezione acida).
Inoltre il microambiente basico attorno il batterio attiva le cellule G secernenti gastrina ( stimola le
cellule parietali a secernere acido). Il tutto causa un iperproduzione di acido che danneggia il
duodeno. Le cellule staminali presenti nel duodeno, ritrovandosi in un ambiente acido, si
differenziano in cellule gastriche (metaplasia gastrica). In questo modo il batterio può colonizzare
il duodeno e causare ulcera duodenale.
Nota personale: eccetto il merdaviglioso Murray non hai trovato nessuna fonte che parli della
metaplasia intestinale, quindi rimane ignoto il meccanismo di sostituzione della mucosa gastrica
con quella intestinale.
Nota personale parte due: dopo un’attenta riflessione hai supposto che dipenda dall’ambiente
basico generato dall’ureasi batterica. Potresti non essere d’accordo in futuro, mentre ripeterai ciò
che hai scritto. Quindi lascio un messaggio a te, Lollo del futuro: non perdere tempo, non hai
trovato la risposta in passato e non la troverai di certo oggi.
Diagnosi e trattamento
Si possono effettuare indagini invasive e non invasive.
Fra le invasive prendono posto le esofagogastroduodenoscopie e le biopsie. Tramite queste
ultime si può effettuare un esame istologico al microscopio o far crescere il batterio su un terreno
specifico (quest’ultima procedura si attua solo per l’antibiogramma). Ancora, è possibile
sottoporre il campione bioptico al test dell’ureasi (il campione viene inserito in una soluzione
contenente urea e un indicatore di pH) o saggi di amplificazione genica.
N.B. il batterio non può essere isolato da campioni fecali.
I metodi non invasivi sono i seguenti:
-Ricerca dell’antigene specifico o amplificazione del materiale genetico attraverso campioni
fecali o saliva
-Titolazione degli anticorpi IgG (ELISA)
-breath test: consiste nella somministrazione di urea marcata con C13 o C14. Se il batterio è
presente nello stomaco l’ureasi produrrà CO2 marcata riscontrabile nell’aria espirata. Se la
25
quantità di CO2 marcata è esigua si tratta dell’attività di semplici commensali, diversamente una
quantità elevata indica la presenza di H. pylori
Attualmente si utilizza una tripla terapia associata che vede la somministrazione di 2 antibiotici
con un inibitore della pompa protonica per neutralizzare l’acidità gastrica. I due antibiotici
combinati sono solitamente un macrolide (inibitore della sintesi proteica) e un beta lattamico
(inibitore della sintesi della parete cellulare).
Vi sono dei vaccini in fase di sperimentazione basati sul batterio attenuato (alterata espressione di
VacA) o sulle stesse proteine del batterio (VacA e CagA)
CAMPYLOBACTER
Fisiologia
-bacilli gram-negativi a forma di virgola – hanno dimensioni ridotte (0,2-0,5 µm)
-Mobili grazie a un flagello polare
-Microaerofili e capnofili (richiedono atmosfera con poca O2 e molta CO2)
-Alcune specie, come jejuni, sono termofile (crescono a circa 42°)
Il genere campylobacter comprende 32 specie e 13 sottospecie, delle quali 4 sono clinicamente
rilevanti nell’uomo: jejuni, coli, upsaliensis e fetus.
Epidemiologia
La malattia viene trasmessa dagli animali all’uomo (zoonosi) tramite diversi vettori fra i quali
primeggia il cibo contaminato. In particolare la metà delle infezioni da jejuni e coli, negli Stati Uniti,
è causata dal consumo di pollame contaminato. Uspaliensis viene trasmesso soprattutto dagli
animali domestici mentre le infezioni da fetus sono relativamente rare. La maggior incidenza delle
infezioni si riscontra in ambito pediatrico e negli adulti fra i 20 e i 40 anni, escluso fetus che infetta
soprattutto soggetti anziani o immunodepressi. Inoltre gli acidi gastrici uccidono i batteri, quindi
qualsiasi condizione che alza o neutralizza il pH dello stomaco favorisce l’insorgenza della malattia.
I campilobatteri costituiscono una delle cause principali di gastroenteriti nei paesi industrializzati,
in particolare jejuni, seguito da upsaliensis (10% dei casi) e coli (2-5%). Fetus, invece, è
maggiormente associato, nell’ambito dei campylobatteri, a infezioni sistemiche.
Fattori di virulenza e patogenesi
26 sono poco studiati mancando un vero e proprio modello animale. I principali
I campylobacter
fattori di virulenza sono rappresentati dalle adesine e dalle invasine, tramite le quali invadono le
cellule della mucosa intestinale facendosi internalizzare in vacuoli endocitici. All’interno del citosol
il batterio si sposta utilizzando il citoscheletro di miosina piuttosto che quello di actina utilizzato da
molti patogeni invasivi. L’invasione innesca una risposta infiammatoria associata alla patologia.
Alcuni ceppi producono enetrotossine.
Sindromi cliniche
-Gastroenteriti: con diarrea (fino a 10 scariche al giorno – può essere emorragica), febbre e dolori
addominali. Generalmente autolimitante, nei pazienti immunodepressi può cronicizzare
-Sindrome di Guillain-Barré: associata soprattutto ad infezioni da jejuni e upsaliensis. E’ una
polinevrite autoimmune caratterizzata dalla progressiva paralisi simmetrica degli arti. La
patogenesi della malattia è legata alla reattività antigenica crociata fra i lipopolisaccaridi di
membrana del batteri con i gangliosidi del sistema nervoso periferico.
-Artrite reattiva (sindrome di Reiter): è una complicanza dovuta al trasporto del batterio nelle
articolazioni a seguito di batteriemia. In queste sedi il batterio non si replica ma innesca una
risposta immunitaria alterata che provoca tumefazioni dolorose
-Malattie sistemiche: causate da fetus. Comprendono infezioni come setticemia, endocardite,
tromboflebite settica (infiammazione delle pareti del sistema venoso associata a formazione di
coaguli), meningoencefalite e ascessi.
Le malattie sistemiche sono associate alla presenza di un rivestimento di proteina termostabile S
che forma una struttura simil-capsulare grazie alla quale il batterio riesce a impedire il legame di
C3b. In questo modo resiste al killing sierico e riesce a disseminarsi in altri tessuti attraversando il
circolo sanguigno.
Diagnosi e trattamento
Si possono effettuare analisi al microscopio su un campione fecale e discriminare il batterio dalla
peculiare forma a virgola o a S. A differenza di altri batteri possono passare attraverso filtri
molecolari di 0,45 µm e questo facilita l’isolamento.
In coltura il batterio cresce su terreni microaerofili e capnofili con temperature elevate (42°)
escluso il terreno di crescita per fetus, che è mesofilo e necessita di temperature moderate.
Bisogna aggiungere sangue o carbone attivo per eliminare i radicali liberi dell’ossigeno.
Si può effettuare un test immunoenzimatico per la ricerca degli antigeni.
27
PSEUDOMONAS
Il nome indica la disposizione a coppia dei batteri che possono sembrare una singola cellula. Il
genere comprende circa 200 specie, di cui la più importante è P. aeruginosa. Dati i loro requisiti
minimi di crescita e la loro versatilità nutrizionale gli pseudomonas sono presenti ovunque, sia in
ambito comunitario che ospedaliero, sia sulla materia organica che su quella inorganica (lavandini,
attrezzature mediche ecc...). Fortunatamente tutte le specie sono costituite da ceppi patogeni
opportunisti e la malattia, quindi, può svilupparsi solo in condizioni di immunodeficienza.
Fisiologia
-Bacilli gram-negativi disposti a coppie, generalmente mobili. Alcuni ceppi sono mucoidi per la
presenza di caspula. Asporigeni.
-Sono aerobi e utilizzano la respirazione per produrre energia, con l’ossigeno come accettore finale
di elettroni. Può essere verificata la presenza di citocromo ossidasi per distinguere questo genere
dalle Enterobacteriaceae
-Alcune specie, come aeruginosa, producono pigmenti diffusibili che conferiscono alla colonia un
colore caratteristico (in aeruginosa la colonia appare verde per la pruduzione di piocianina blu e di
pioverdina giallo-verde)
AERUGINOSA
Fattori di virulenza e patogenesi
COMPONENTI STRUTTURALI
Quattro componenti di superficie permettono l’adesione del batterio alle cellule epiteliali: flagelli,
pili, LPS e alginato (flagelli e pili conferiscono anche motilità).
L’alginato è 28
il componente strutturale della capsula. I geni che codificano questo esopolisaccaride
vengono attivati in pazienti affetti da malattie respiratorie croniche, come la fibrosi cistica
polmonare. La colonia acquisisce quindi un aspetto mucoide arrivando a produrre un biofilm. I
nutrienti attraversano il biofilm attraverso canalicoli, ciononostante i batteri più interni sono
metabolicamente quasi inattivi e per questo riescono a resistere agli antibiotici (che agiscono solo
sui batteri metabolicamente attivi).
TOSSINE ED ENZIMI
-Esotossina A: rilasciata dal batterio e catturata da specifici recettori, all’interno della cellula
interrompe la sintesi proteica bloccando l’elongazione della catena (azione simile alla tossina
difterica)
-Esotossine S e T: sono enzimi ADP-ribosil trasferasi inoculati tramite sistema di secrezione di tipo
III (T3SS). All’interno della cellula ospite depolimerizzano il citoscheletro di actina
-Esotossina Y: secreta tramite T3SS, agisce come adenilato ciclasi aumentando la concentrazione
di cAMP e quindi, la permeabilità cellulare.
-Esotossina U: secreta tramite T3SS, agisce come fosfolipasi.
Piocianina e pioverdina: questi pigmenti possiedono un’azione tossica. La piocianina catalizza la
produzione di superossido e perossido di idrogeno (azione necessaria, tra l’altro, per distruggere
altri batteri che competono sugli epiteli come stafilococchi e coli). Inoltre stimola la produzione di
Il-8 (richiama i neutrofili) e possiede, quindi, azione pro-infiammatoria. La pioverdina è un
sideroforo che sequestra il ferro e in aggiunta regola la produzione di ETA
-Elastasi (LasA e LasB) e proteasi alcalina: danneggiano i tessuti e interferiscono con la risposta
immunitaria. LasA (serina proteasi) e LasB (zinco metallo-proteasi) agiscono sinergicamente e
attaccano soprattutto i tessuti ricchi di elastina come il parenchima polmonare. Degradano inoltre
elementi del complemento impedendo così l’opsonizzazione e la chemiotassi. La proteasi alcalina
contribuisce alla distruzione tissutale.
-Fosfolipasi C: emolisina termolabile che scinde lipidi e lecitina.
RESISTENZA AGLI ANTIBIOTICI
Tutti gli pseudomonas sono intrinsecamente resistenti a molti farmaci presentando mutazioni
nelle porine. In questo modo escludono l’accesso a tutte le penicilline e ad altre classi di
antibiotici. Producono inoltre una serie di beta lattamasi e possono iper-esprimere una serie di
pompe di eflusso, due caratteristiche della resistenza acquisita (scatenata da una precedente
esposizione all’antibiotico).
Sindromi cliniche
-Infezioni polmonari: generalmente il batterio nelle vie respiratorie da una colonizzazione
asintomatica. In pazienti immunodepressi o afflitti da malattie croniche può scatenarsi una
tracheobronchite o una più grave broncopolmonite necrotizzante. Queste malattie sono spesso
associate a ceppi mucoidi.
-Infezioni cutanee: molto spesso la colonizzazione avviene nei pressi di una ferita da ustione, ove
l’umidita e l’incapacità dei neutrofili di accedere al tessuto ustionato favoriscono l’invasione del
batterio. A queste infezioni si associa spesso batteriemia. È anche associato a follicolite (contratta
da chi si immerge in acqua contaminate) e di osteocondrite del piede (infiammazione di ossa e
cartilagine infettate dal batterio a causa di una ferita profonda - ad esempio calpestare un chiodo)
-infezioni del tratto urinario: riscontrate soprattutto nei pazienti portatori di cateteri
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-infezioni dell’orecchio: ovvero otite esterna ove il nuoto è un importante fattore di rischio
(abrasioni e umidificazioni della pelle rendono il canale uditivo un ambiente favorevole alla
crescita del batterio). L’otite esterna può diventare maligna nei soggetti immunocompromessi,
soprattutto anziani e diabetici. La forma maligna coinvolge i tessuti sottostanti e può danneggiare i
nervi cranici e le ossa con esito talvolta letale. Aeruginosa è anche associato a otite media cronica.
-Infezioni oculari: si verificano in seguito ad abrasione della cornea e ad esposizione di
quest’ultima in acque contaminate. Può compromettere la funzione oculare se non trattata
tempestivamente.
Diagnosi e trattamento
Pseudomonsas viene di solito prelevato da campioni di espettorato.
Si può distinguere in base al colore delle colonie in terreni che permettono la pigmentazione e
all’emolisi su agar sangue. Può essere distinta dagli enterobatteri tramite test per l’ossidasi
positivo e dalla mancanza di attività fermentante. Presenta inoltre un caratteristico odore d’uva.
È sensibili a pochi antibiotici. Generalmente si usano beta lattamici anti-pseudomonas, come
cefalosporine di terza generazione ad ampio spettro (ceftazidima), combinati ad aminoglicosidi
(inibitori sintesi proteica) e chinoloni (inibitori sintesi acidi nucleici). In caso di estrema resistenza
si utilizza la colistina che tuttavia è altamente nefrotossica.
HAEMOPHILUS
Fisiologia e generalità
-bastoncelli gram-negativi, talvolta pleomorfi, immobili, asporigeni
-I ceppi possono essere capsulati o acapsulati
-Anaerobi facoltativi. Presentano una crescita molto esigente: il terreno deve essere addizionato
con il fattore X (gruppo eme) che agisce da trasportatore di elettroni e il fattore V (NAD o NADP)
che accetta elettroni nelle reazioni di ossidoriduzione.
Si distinguono quattro principali specie associate alla malattia nell’uomo:
-influenzae: associato a diverse infiammazioni
-parainfluenzae: di cui non c’è un cazzo da dire ma va citata all’ipotetica domanda “quali sono le
specie di haemophilus patogene per l’uomo???”
-aegyptus: associato alla congiuntivite purulenta acuta
-ducrey: diffuso in Africa e in Asia, causa l’ulcera molle o cancroide, una malattia a trasmissione
sessuale (spesso asintomatica nelle donne) caratterizzata dalla formazione di una papula
eritematosa sui genitali esterni o la regione perianale. Può associarsi a linfoadenopatia
(rigonfiamento dei linfonodi).
La superficie degli H. influenzae può presentare o meno la capsula polisaccaridica. I ceppi capsulari
sono tipizzabili in sei sierotipi antigenici (da A ad F).
INFLUENZAE
Epidemiologia
Haemophilus colonizza la mucosa respiratoria della maggior parte della popolazione (ceppi
acaspulati) senza dare sintomi, la malattia interessa soprattutto bambini e anziani nei quali il
sistema immunitario
30 è compromesso e il patogeno agisce da opportunista.
Prima della comparsa del vaccino la maggior parte delle patologie legate a H. influenzae era
associata a ceppi capsulati di tipo B (che restano ancora i patogeni predominanti nei paesi in via di
sviluppo ove le persone non vengono vaccinate). Attualmente nei paesi industrializzati le infezioni
sono spesso causate da ceppi acapsulati.
A causa degli scarsi programmi di vaccinazione nei paesi poveri, Haemophilus continua ad essere
l’agente patogeno pediatrico più significativo, con 3 milioni di casi di malattia grave e fino a 700
mila decessi.
Fattori di virulenza , patogenesi e sindromi cliniche.
I ceppi acapsulati possono dare infezioni opportunistiche spostandosi dalla mucosa delle vie
respiratorie superiori. Generalmente sono associati a otite, sinusite e bronchite/polmonite
(malattie del tratto respiratorio inferiore). I maggiori fattori di virulenza di questi ceppi sono
rappresentati dai pili e dalle adesine che mediano la colonizzazione e dalle proteasi delle IgA che
eliminano la risposta umorale sulle mucose. Altra azione corrosiva deriva dal lipopolisaccaride che
danneggia l’epitelio respiratorio favorendo la colonizzazione.
I ceppi capsulati di tipo B possiedono una capsula costituita dal polisaccarde poliribitolo fosfato
(PRP – ribosio + ribitolo + fosfato). Se non sono presenti anticorpi diretti contro la capsula il
batterio penetra nella mucosa tramite transcitosi e spesso, dato che la capsula interferisce con la
fagocitosi, entra in circolo e si sposta in altre sedi dove da infezione:
-Meningite: si sviluppa 1-3 giorni dopo la comparsa di sintomi a livello del tratto respiratorio
superiore. La patologia nasce dalla diffusione batteriemica del patogeno ed è favorita dal lipide A
del LPS che aumenta la permeabilità della barriera ematoencefalica. Il picco di incidenza è nei
neonati fra i 3 e i 18 mesi. Mortale in meno del 10% dei casi se la cura è tempestiva.
-Epiglottite: caratterizzata da cellulite e rigonfiamento dei tessuti sopraglottici che possono così
ostruire le vie aeree, generando così difficoltà respiratorie talvolta fatali. L’incidenza è maggiore
nei bambini fra i 2 e i 4 anni di età
-Artrite: generalmente limitata ad una singola e grossa articolazione. I ceppi di tipo B, prima del
vaccino, rappresentavano la principale causa di artrite nei bambini di età inferiore ai 2 anni.
Adesso la patologia sembra svilupparsi solo negli immunocompromessi.
Diagnosi e trattamento
I campioni vengono raccolti in base ai sintomi clinici, per cui:
-Sinusite e otite / agoaspirato
-Meningite / liquido cefalorachidiano
-Epiglottite, artrite / prelievo di sangue
-Bronchiti e polmoniti / espettorato
L’esame microscopico è utile solo per le analisi del liquor, fisiologicamente sterile.
I fattori V e X necessari alla crescita sono entrambi presenti su agar sangue, che tuttavia presenta
inibitori per il fattore V. Questi sono molto termolabili, quindi si usa riscaldare il terreno per la
crescita selettiva di haemophilus. Il terreno riscaldato prende il nome di agar cioccolato. Su agar
sangue, tuttavia, gli haemophilus creano piccole colonie satellite attorno strisci di stafilococchi
(grazie alla loro azione emolitica liberano alte quantità dei fattori necessari alla crescita).
Altra tecnica consiste nella ricerca di anticorpi anti-PRP se si sospetta un’infezione da ceppo
31
capsulato di tipo b.
Per il trattamento si usa amoxicillina (penicillina ad ampio spettro) per le infezioni lievi. Per quelle
più gravi e sistemiche si utilizzano cefalosporine ad ampio spettro.
È disponibile un vaccino inattivato contro i ceppi di tipo b costituito dall’antigene PRP coniugato ad
una proteina che ne aumenta l’efficacia (stimola i linfociti T). Si usa somministrare tre dosi entro il
primo anno di vita. Non è obbligatorio.
Ricorda, i vaccini obbligatori sono solo 4 sui 13 disponibili: antidifterico, antipoliomelitico (di Salk),
antitetanico e antiepatitevirale B (quest’ultimo reso obbligatorio molto recentemente, nel 1991).
CHLAMYDIACEAE
La famiglia delle Chlamydiaceae comprende due generi:
-Chlamydia la cui specie patogena è rappresentata da trachomatis
-Chlamydophila: ove si collocano le due specie patogene psittaci e pneumoniae
Fisiologia e ciclo replicativo
Sono parassiti intracellulari obbligati e presentano dimensioni così ridotte da passare attraverso
filtri di 0,45µm. Questi due motivi accomunano le Chlamydiaceae ai virus, tuttavia sono batteri per
i seguenti motivi: presentano una membrana esterna ed una interna, sebbene manchino dello
strato di peptidoglicano (sostituito da proteine ricche di cisteina sulla membrana esterna che
mantengono la struttura rigida); possiedono ribosomi procariotici; possiedono
contemporaneamente sia il DNA che l’RNA; sono in grado di sintetizzare proteine e lipidi; sono
sensibili ad antibiotici.
Oltre al lipopolisaccaride, la membrana esterna presenta delle porine dette MOMPs che fungono
da antigeni e permettono la distinzione dei 18 diversi sierotipi di C. trachomatis.
Il ciclo replicativo vede l’alternarsi del batterio in due forme distinte. Fuori dalla cellula il batterio si
trova come corpo elementare (CE) di grandezza compresa fra 300 e 400 nm. In questo stato si
comporta come una spora: non può replicarsi e la parete risulta estremamente rigida e resistente
grazie alla creazione di estesi legami disolfurici che si estendono fra proteine strutturali OMP 2. I
corpi elementari vengono percepiti dai recettori cellulari e internalizzati. Dentro il fagosoma (la cui
fusione col lisosoma è impedita da proteine della membrana esterna) il batterio si trasforma in
corpo reticolato (800-1000 nm), una forma più labile (non esprime OMP 2 ) ma metabolicamente
attiva e capace di replicarsi. Tutte le reazioni metaboliche vedono l’utilizzo dell’ATP della cellula
ospite, dato che il batterio non è capace di produrre energia. Circa 24 ore dopo i CR iniziano a
32
ritrasformarsi in CE che dopo 48-72 ore saranno espulsi dalla cellula per esocitosi (tipico di
trachomatis e pneumoniae) o a causa della lisi del plasmalemma (tipico di psittaci).
CHLAMYDIA TRACHOMATIS
Causa solo infezioni umane. Si distinguono 18 sierotipi sulla base di MOMPs raggruppati in due
biotipi (o biovar) riferendosi alla malattia che sviluppano: tracoma (A, B, Ba, C) e lifogranuloma
venereo (L1, L2, L2a, L2b, L3). I sierotipi da D a K sono associati a infezioni genitali e congiuntivite
da inclusi e appartengono al biovar tracoma.
Patogenesi
I recettori per i CE sono espressi sulle cellule epiteliali colonnari, cubiche e di transizione che
rivestono le mucose di uretra, endocervice, endometrio, salpingi, ano, epitelio respiratorio e
congiuntive. I ceppi che causano LGV si replicano nei macrofagi e per questo sono più invasivi. Il
danno è causato sia dalla distruzione diretta delle cellule a causa dei meccanismi replicativi sia
dalla induzione di uno stato di infiammazione. Una seconda esposizione al patogeno può
determinare una infiammazione vigorosa e, quindi, provocare lo stesso malattia nonostante lo
sviluppo di anticorpi specifici.
Epidemiologia e sindromi cliniche
Il batterio è ubiquitario e le modalità di trasmissione e la distribuzione a livello mondiale
dipendono dal biotipo considerato.
-Tracoma endemico: è causata dai sierotipi A, B, Ba e C. Endemico in Africa settentrionale e
subsahariana, Medio Oriente, Asia Meridionale e Sud America. Il contagio avviene in modo diretto
da occhio a occhio (goccioline di Flugge, mani ecc..) o indiretto (utilizzo di strumenti contaminati o
vettori animali come le mosche). Il batterio colonizza l’epitelio colonnare della congiuntiva e
scatena una risposta infiammatoria nociva (probabilmente causata dal LPS) che determina il
quadro clinico della congiuntive follicolare: edema palpebrale, iperemia e secrezioni oculari. La
cicatrizzazione dei tessuti infiammati causa retrazione delle palpebre e, quindi, ribaltamento delle
ciglia che abradono la cornea. Se il danno va più in profondità il paziente può perdere la vista.
Circa 6 milioni di persone al mondo soffrono di cecità a causa del tracoma, nonostante questa
possa essere prevenuta con un buon trattamento antibiotico. Per questo motivo il tracoma è
classificato come la prima causa di cecità che si può prevenire.
-Infezioni genitali: causate dai sierotipi D-K. Nei paesi industrializzati la malattia causata da C.
trachomatis rappresenta la più frequente malattia batterica a trasmissione sessuale. I quadri clinici
sono diversi fra uomo e donna.
Nella donna il 75% dei casi risulta asintomatico. Viceversa una colonizzazione sintomatica delinea il
quadro clinico della cervicite: perdite vaginali, bruciori alla minzione, sanguinamento dopo
rapporti sessuali e dolori al basso ventre. I casi asintomatici non trattati vedono il batterio migrare
nell’endometrio e nelle salpingi, ove può innescare infiammazione (endometrite e salpingite). Nel
10-40% delle infezioni non trattate può svilupparsi la malattia infiammatoria pelvica (PID) in cui i
siti di infiammazione sono tube, ovaio, endometrio e peritoneo e i sintomi sono leucorrea
(secrezioni vaginali), dolori addominali diffusi e febbre. Nel 20% dei casi PID può determinare
infertilità e, in caso di fecondazione, può favorire la genesi di una gravidanza ectopica (circa il 50%
delle volte) a causa del restringimento delle tube che ostruiscono il passaggio della cellula uovo.
Nell’uomo la33malattia è asintomatica nel 25% dei casi e i quadri clinici sono svariati: uretrite non
gonococcica, uretrite post gonococcica (spesso gonorrea e clamidia colonizzano insieme il tratto
urogenitale, tuttavia l’infezione da gonorrea “nasconde” quella provocata da clamidia che resiste
al trattamento contro il gonococco – 2-3 settimane dopo la risoluzione della gonorrea, quindi,
ricompaiono i sintomi a causa della persistenza di clamidia), epididimite, prostatite (raramente) e
proctite nei maschi omosessuali. Passivi.
-Congiuntivite da inclusioni nell’adulto e nel neonato: le infezioni urogenitali possono causare
congiuntivite da inclusioni per auto-inoculazione (nell’adulto) o a causa del passaggio del nascituro
attraverso il canale del parto infetto. Il neonato può anche sviluppare, in questo modo, una
polmonite interstiziale.
-Linfogranuloma venereo (LGV): causata dai sierotipi L di trachomatis. È sporadico nei paesi
industrializzati e endemico in Africa, Asia e Sud America. La malattia si presenta in diversi stadi.
Dopo il contagio per via sessuale e un periodo di incubazione di 1-4 settimane, si forma una
lesione primaria (papula o ulcerazione) non dolente (stadio I). Successivamente i linfonodi che
drenano il sito di infiammazione (ove il batterio giunge e si replica all’interno dei macrofagi) vanno
in tumefazione e possono rompersi formando fistoli verso la cute sovrastante (stadio II –
accompagnato da febbre). Nell’ultimo stadio (III) il batterio diffonde in tutta la regione perineale
causando elefantiasi dei genitali esterni e compromettendo la funzione di retto e uretra.
CHLAMYDOPHILA PNEUMONIAE
Presenta un unico sierotipo.
Si trasmette per via aerea. Una volta colonizzato l’ospite l’infezione spesso è asintomatica o lieve,
provocando tosse e malessere. In altri casi pneumoniae causa una polmonite interstiziale che
coinvolge un solo lobo dei polmoni. Questa polmonite può cronicizzare a causa della capacità del
batterio di entrare in una fase di criptobiosi. I CR che vanno in criptobiosi all’interno della cellula
arrestano le proprie attività metaboliche. In questo modo gli antibiotici, che agiscono solo su
cellule metabolicamente attive, risultano inefficaci e in un secondo momento il microrganismo può
riattivarsi cronicizzando così la malattia.
Sembra che le infezioni da pneumoniae siano in qualche modo fattori di rischio per l’aterosclerosi
in quanto, danneggiando le cellule endoteliali e le cellule muscolari lisce, favoriscono la
deposizione di placche aterosclerotiche nei vasi sanguigni.
CHLAMYDOPHILA PSITTACI
È una specie che vede gli uccelli come serbatoio naturale. Può infettare l’uomo tramite inalazione
delle secrezioni dei volatili.
Dal tratto respiratorio il batterio diffonde alle cellule reticoloendoteliali di milza e fegato. Qui si
moltiplica e può diffondere in altri tessuti, soprattutto il polmone per via ematogena. Il periodo di
incubazione è di 1-3 settimane.
Il più delle volte l’infezione è asintomatica. In altri casi genera sintomi simil-influenzali e in altri
ancora causa polmonite. Quest’ultima può aggravarsi e diffondere il batterio al sistema nervoso
centrale.
34
Diagnosi e trattamento
Si possono effettuare esami diretti o indiretti.
Gli esami diretti vendono il campionamento su uretra, cervice, congiuntive ecc.. a seconda del
quadro clinico.
-al microscopio con la colorazione di Giemsa si possono trovare nelle cellule caratteristiche
inclusioni di Trachomatis
-ricerca colturale: resta il metodo più specifico, si utilizzano linee cellulari eucariotiche
-ricerca antigeni specifici (MOMPs e LPS) tramite ELISA (saggio immuno-assorbente legato ad un
enzima) o immunofluorescenza diretta
-ricerca di acidi nucleici: tramite PCR o sonde di acido nucleico per evidenziare specifici RNA
ribosomiali 16S (metodo d’elezione per Trachomatis)
Gli esami indiretti:
-titolazione anticorpi sierici: rappresentano i metodi di elezione per Pneumoniae e Psittaci
La terapia prevede l’uso di inibitori della sintesi proteica quali macrolidi (blocco dell’elongazione
del peptide legandosi all’rRNA 23S della subunità 50S) e tetracicline (bloccano il legame del tRNA
legando la subunità ribosomiale 30S).
TOSSINE BATTERICHE
TOSSINA TETANICA
Il Clostridium tetani è un batterio gram-positivo (anche se si colora debolmente) mobile che risiede
normalmente nel tratto digerente degli animali erbivori. È un batterio sporigeno.
Il batterio viene eliminato nell’ambiente tramite le feci, ove l’atmosfera aerobica (tossica per la
forma vegetativa) ne determina la trasformazione in spora. Le spore possono accedere ai tessuti
umani tramite ferite (tetano traumatico), operazioni chirurgiche (tetano chirurgico) o tramite
lesioni uterine durante il parto/pratiche abortive (tetano puerperale). Nell’ambiente anaerobio la
spora germina e il batterio torna nella sua forma vegetativa che si va a localizzare a livello delle
giunzioni neuro-muscolari ove si replica. Il periodo di incubazione va dai 3 ai 21 giorni.
A questo punto produce due tipi di tossine:
-Tetanolisina (emolisina) che danneggia direttamente i tessuti. È una tossina ossigeno-labile.
-Tetanospasmina (neurotossina): tossina termo-labile codificata da un plasmide (non trasferibile
tramite coniugazione). La tossina è formata da una catena leggera (catena A) e una catena pesante
(catena B) tenute insieme da ponti disolfuro. Attraverso la catena pesante la tossina reagisce con
recettori presenti sulle terminazioni dei nervi motori. L’interazione promuove l’endocitosi della
catena leggera che raggiunge il senso retrogrado i pirenofori presenti sulle corna anteriori del
midollo spinale (motoneuroni). A questo livello, tramite transcitosi, raggiunge le terminazioni
nervose degli interneuroni inibitori GABAergici e glicinergici ove agisce come proteasi nei confronti
delle proteine SNARE (necessarie per il rilascio sinaptico delle vescicole piene di
neurotrasmettitore). L’effetto finale è l’inibizione degli interneuroni inibitori che determina
un’incontrollata scarica dei motoneuroni. I muscoli risultano perennemente contratti, condizione
chiamata paralisi spastica. In casi più rari risultano inibiti i motoneuroni colinergici con
conseguente35paralisi flaccida.
Esiste il vaccino antitetanico (obbligatorio in Italia) costituito dalla tossina inattivata dopo
trattamento in formalina e che, quindi, prende il nome di anatossina. Essenzialmente viene
somministrato insieme al vaccino antidifterico (anche esso un’anatossina, obbligatorio in Italia) e
al vaccino antipertosse che contiene componenti batterici che agiscono da adiuvanti stimolando i
processi infiammatori (necessari per presentare gli antigeni ai linfociti e, quindi, per formare gli
anticorpi specifici). Il vaccino trivalente è chiamato DTP ed è somministrato in 3 dosi.
L’antitetanica ed antidifterica conferiscono un immunizzazione attiva non duratura, pertanto
necessitano di richiami ogni 10 anni.
In caso di esposizione al tetano si può procedere in forma preventiva ad immunizzazione passiva
assumendo anticorpi preformati specifici. A malattia conclamata si provvede alla rimozione
chirurgica del tessuto necrotico e alla somministrazione di penicillina e metronidazolo (inibitore
sintesi degli acidi nucleici).
TOSSINA BOTULINICA
La tossina botulinica viene prodotta da Clostridium botulinum che nella maggior parte dei casi
viene assunto sotto forma di spora dall’ingestione di conserve casalinghe contaminate. Le spore
germinano nell’apparato digerente ove producono la tossina. Questa è costituita da due subunità
(analogamente alla tossina tetanica) e attacca le proteine SNARE a livello della giunzione
neuromuscolare, causando paralisi flaccida che può provocare costipazione (paralisi dei muscoli
intestinali), scarsa mimica facciale (paralisi dei muscoli facciali e del collo) e letargia.
TOSSINA DIFTERICA
Viene prodotta da Corynebacterium diphtheriae, un batterio gram-positivo a forma di spirillo
diffuso in tutto il mondo. Ha come unico serbatoio animale l’uomo, nel quale risiede nel cavo orale
e sulla cute il più delle volte senza sviluppare sintomi.
Non tutti i ceppi sono patogeni, ma solo quelli che ricevono il gene tox che codifica per la tossina
da parte di un fago lisogeno.
La tossina difterica è anch’essa costituita da due subunità A e B. Nella A è presente la regione
catalitica mentre nella B prendono posto la regione di traslocazione e la regione legante il
recettore. Il recettore in questione è il fattore di crescita epidermico che lega l’eparina. L’attività
catalitica della catena A consiste nel bloccare la sintesi proteica inattivando il fattore 2 di
elongazione (EF-2).
Le manifestazioni cliniche dei ceppi patogeni dipendono dallo stato immunitario del soggetto.
L’infezione è asintomatica negli immunocompetenti mentre negli immunodepressi il primo
sintomo della difterite è una faringite essudativa causata sia dalla replicazione del batterio che
dalla tossicità della tossina. L’essudato produce una pseudomembrana di batteri e linfociti che può
ostruire le vie respiratorie. Con l’entrata in circolo della tossina si possono avere altre
complicazioni36a livello neurologico (paralisi dei nervi sia motori che sensitivi), cardiaco (miocardite
e aritmie cardiache potenzialmente fatali) e renali (nefrite interstiziale acuta).
Per prevenire la malattia si somministra il vaccino DPT. A malattia conclamata si utilizza una
terapia antibiotica di penicillina e eritromicina (macrolide- inibitore sintesi proteica).
TOSSINA PERTOSSE
Generata dal coccobacillo asporigeno gram-negativo Bordetella pertussis. Ha come serbatoio
esclusivo l’uomo ove invade la mucosa respiratoria. Si trasmette per via aerea
La tossina pertosse è costituita da una subunità tossica (S1) e da cinque subunità di legame (da S2
a S5, S4 ripetuta due volte). La subunità catalitica altera il contenuto di cAMP avendo attività ADP-
ribosilante sulle proteine G inibitorie che vengono così represse, con conseguente aumento
dell’attività dell’adenilato ciclasi. La cellula risponde all’aumento di cAMP secernendo più muco.
Dall’inalazione del batterio la pertosse inizia con una fase catarrale che assomiglia a un comune
raffreddore. Successivamente, dopo 1-2 settimane, il danneggiamento delle cellule epiteliali causa
il ristagno del muco. Con questo inizia la fase parossistica caratterizzata da violente scariche di
tosse. Dopo 2-4 settimane si entra nella fase di convalescenza ove i parossismi si riducono. Nei
pazienti immunocompromessi si può sviluppare una tosse cronica.
Nonostante esista un vaccino la pertosse continua ad essere una malattia endemica (circa 20-40
milioni di infetti) a causa della differenza fra i ceppi isolati in clinica e quelli utilizzati per il vaccino.
TOSSINA COLERICA
Viene prodotta da vibrio cholerae, una delle 100 specie del genere Vibrio. I batteri di questo
genere sono bacilli ricurvi gram-negativi, aerobi-anaerobi facoltativi, positivi all’ossidasi e con
flagelli polari. Tutte le specie, eccetto cholerae, necessitano l’aggiunta di cloruro di sodio per la
crescita.
V. cholerae viene diviso in 200 sierogruppi sulla base dell’antigene O del lipopolisaccaride. In base
a differenze fenotipiche e morfologiche si distinguono inoltre due biotipi: classico e El Tor. La
malattia è causata solo dai ceppi O1 e O139, capaci di produrre la tossina colerica. Quest’ultima è
stata acquisita dal batteriofago lisogeno CTX insieme al pilo co-regolato con la tossina (TCP).
In generale i complessi genici del batteriofago che codificano per fattori di virulenza sono:
-tcp: tossina colerica e TCP
-ace: enterotossina colerica acessoria
-zot: tossina della zonula occludens
-cep: proteine chemiotattiche
Il batterio aderisce all’epitelio della mucosa intestinale tramite il TCP e le proteine chemiotattiche.
La tossina colerica, similmente alle tossine termolabili di ETEC, è costituita da cinque subunità B
ad anello che legano il recettore GM1 degli enterociti e da una subunità A che viene internalizzata
e aumenta la quantità di cAMP. L’apertura dei canali comporta una espulsione di liquidi che causa
una violenta diarrea.
In alternativa, se la tossina colerica non viene prodotta, la perdita dei liquidi è causata dalla
enterotossina accessoria e dalla tossina della zonula occludens che danneggiano le giunzioni
strette rendendo più lassa la mucosa.
Le specie di 37
Vibrio si ritrovano in acque contaminate e negli ambienti umidi. La carica infettante è
troppo alta per consentire il contagio diretto.
Dal 1816 a oggi si sono diffuse 7 pandemie, la più recente (nonché attuale) è emersa in Asia nel
1961 e si è rapidamente diffusa in Europa e Oceania, arrivando ai paesi dell’America centrale nel
1991. A Napoli ci sono state due epidemie nel 1866 e 1973.
Per me si va nella città dolente, per me si va nell’eterno dolore….
VIR
US
38
PAPILLOMAVIRUS (HPV)
Struttura e replicazione
In base all’omologia di sequenza del DNA sono divisi in 100 tipi racchiusi in 16 gruppi (da A a P).
HPV è un virus nudo con un capside icosaedrico (50-55nm) costituito da 72 capsomeri assemblati
da protomeri di 2 subunità proteiche.
Il genoma è rappresentato da una molecola di DNA circolare a doppio filamento di 8kb. Codifica
per 7 o 8 geni precoci e per 2 geni tardivi. In generale le funzioni delle proteine codificate da
ciascun gene sono:
-E1: proteina ad attività elicasica necessaria per l’inizio della replicazione del genoma virale.
-E2: regola l’espressione di diversi geni, in particolare sopprime E6 ed E7.
-E4: codificata quasi in fase tardiva, degrada le proteine citoscheletriche della cellula ospite
favorendo il rilascio del virus alla fine del ciclo litico.
-E5: lega il recettore dell’EGF per favorire la crescita della cellula ospite.
-E6: si lega a p53 della cellula ospite e promuove la sua degradazione. L’oncosoppressore p53
regola il ciclo cellulare e lo arresta in caso di errori nella replicazione del DNA, talvolta
promuovendo l’apoptosi.
-E7: lega e inibisce pRB, altro regolatore del ciclo cellulare.
-L1 e L2: proteine costituenti il capside. In particolare L1 è responsabile dell’attacco virale alla
cellula ospite.
Epidemiologia,
39 patogenesi e sindromi cliniche
Le infezioni da HPV sono principalmente trasmesse per via sessuale (sintomatica soprattutto nelle
donne), ma possono essere trasmesse anche tramite contatto diretto attraverso piccole lacerazioni
cutanee o delle mucose. Il virus è particolarmente resistente, quindi anche oggetti contaminati
fungono da vettore. In particolare l’HPV è l’infezione a trasmissione sessuale più diffusa al mondo.
I tipi di HPV sono strettamente tessuto specifici e causano diverse presentazioni cliniche.
Gli HPV che infettano la cute (soprattutto 1-4) attecchiscono, tramite L1, alle cellule dello strato
basale. Rilasciano quindi il DNA virale nel citosol. L’espressione dei geni viene regolata dallo stadio
differenziativo del cheratinocita. Nello strato basale vengono espressi i geni che favoriscono la
proliferazione cellulare come E6 ed E7. Ciò crea un’ambiente ottimale per la replicazione del virus.
Nel successivo strato spinoso il virus esprime il gene E1 che codifica l’elicasi che, insieme alla
polimerasi della cellula ospite, replicano il genoma virale. Allo stesso modo viene espresso E2 che
inibisce i geni per la proliferazione dei cheratinociti. A questo punto i virioni maturano e portano
allo sviluppo di una verruca, in genere localizzata. Durante tutto il periodo di maturazione (che va
dai 3 ai 4 mesi) il virus, che può essere eliminato solo tramite una risposta T dipendente, risulta
protetto dalla sua bassa espressione antigenica. La rottura della verruca causa la diffusione del
virus nell’ambiente circostante. Spesso la malattia è autolimitante e recidive si riscontrano solo
negli immunocompromessi. Le verruche del tratto anogenitale prendono il nome di condilomi
acuminati e nel 90% dei casi sono causati da HPV 6 o 11. Questi stessi tipi sono associati a
papillomi laringei (probabilmente raggiungono questa regione tramite sesso orale).
Nella mucosa esocervicale (epitelio squamoso pluristratificato) il virus causa un ciclo litico simile
portando allo sviluppo di papilloma cervicale (tumore benigno analogo alla verruca) ma in alcuni
casi l’episoma può integrarsi in un sito aspecifico del DNA della cellula ospite. L’integrazione
avviene successivamente alla rottura della regione compresa fra E1 ed E2. Questa rottura
impedisce l’espressione di E2 e quindi i geni pro-proliferativi (E5, E6, E7) restano attivi e
incontrollati. Nei virus a basso rischio (quelli che infettano la cute), ove l’affinità delle proteine E6
ed E7 verso p53 e pRB è bassa, ciò non determina conseguenze rilevanti. I virus ad alto rischio che
infettano le mucose (16, 18, 31, 45), invece, immortalizzano le cellule a seguito della integrazione
del genoma generando una proliferazione incontrollata che porta allo sviluppo di neoplasia
cervicale. Il 99,7% di tutti i tumori della cervice è causata da HPV che ha integrato il proprio
genoma. Fra questi, il 70% è associato ai tipi 16 e 18.
Diagnosi e trattamento
Una verruca viene confermata al microscopio evidenziando iperplasia delle cellule spinone e
ipercheratosi, ovvero eccesso di produzione della cheratina.
Per le infezioni della cervice si ricorre al PAP-test: si preleva un campione della mucosa grazie a un
tampone cervicale e si colora tramite colorazione di Papanicolaou. In questo modo possono essere
evidenziati i coilociti, cellule ingrossate dal citoplasma vacuolizzato che indicano la presenza di
HPV.
POLIOMAVIRUS
Struttura e replicazione
Il genere poliomavirus è suddiviso in diverse specie, le più importanti nell’ambito della patologia
umana sono BK, JC e SV40.
I poliomavirus sono virus nudi di diametro pari a 45nm, con un genoma di DNA a doppio
filamento di 5kb suddiviso, nelle 3 specie sopra riportate, in una regione precoce, una tardiva e
una non codificante (UTR).
-UTR contiene sequenze regolatrici e di inizio di replicazione
-La regione precoce codifica proteine T di trasformazione, compresi antigene T grande, antigene
T’ e antigene t piccolo.
-La regione tardiva è localizzata sul filamento opposto e codifica per le proteine strutturali VP1 2
e 3 che costituiscono il capside.
Legatosi a recettori specifici, il poliomavirus viene endocitato dalla cellula ospite. All’interno della
cellula il DNA virale viene scapsidato e traslocato nel nucleo. Qui inizia la trascrizione dei geni
precoci e gli antigeni T e t formatisi promuovono la proliferazione cellulare, inattivando p53 e pRB.
L’attivazione dell’apparato replicativo della cellula ospite permette la replicazione del DNA virale.
L’antigene T di SV40, in particolare, regola sia trascrizione che replicazione del genoma virale.
Nelle cellule permissive viene espressa anche la regione tardiva che codifica un singolo mRNA
successivamente tagliato in tre. Da ciascuno di questi frammenti viene tradotto un tipo di VP che
costituirà il capside virale, ultimando la replicazione del virus e il ciclo litico.
Nelle cellule non permissive la regione tardiva resta silente e il virus immortalizza la cellula
comportandosi da oncogeno. Unico carcinoma umano associato a poliomavirus, attualmente, è
quello delle cellule di Merkel.
41
Patogenesi e sindromi cliniche
I virus JC e BK vengono inoculati probabilmente nel tratto respiratorio per via aerea ove
cominciano a moltiplicarsi. Riescono a raggiungere il rene tramite il circolo sanguigno (viremia
primaria) ove infettano le cellule renali. Negli immunocompetenti il virus rimane nel rene in uno
stato di latenza. In caso di immunosopressione invece:
-BK si moltiplica nel tratto urinario provocando stenosi uretrali e talvolta cistiti emorragiche
(infiammazione della vescica)
-JC si replica e rientra nel circolo sanguigno (seconda viremia) attraverso il quale oltrepassa la
barriera ematoencefalica e attacca gli oligodendrociti del SNC. L’infezione litica causa
demielinizzazione e danneggiamento della trasmissione nervosa, quadro clinico che prende il
nome di leucoencefalopatia multifocale progressiva (PML).
Epidemiologia
I poliomavirus sono ubiquitari e infettano la maggior parte della popolazione entro i primi 15 anni
di età. Le sindromi cliniche si manifestano solo negli immunosoppressi. Infatti il 10% degli affetti di
AIDS sviluppa PML, fatale nel 90% dei casi.
Diagnosi e trattamento
Per PML si effettua una PCR su LCS o una TAC per evidenziare demielinizzazione. Il virus BK si può
ritrovare nelle urine. SI utilizza il cidofovir.
ADENOVIRUS
Struttura e replicazione
L’adenovirus è un virus a DNA a doppio filamento lineare di 36kb con 30-40 geni e una proteina
terminale legata all’estremità 5’. Il capside di 60-90 nm di diametro è formato da 252 capsomeri
con 240 esoni e 12 pentoni posti ai vertici. Ciascun pentone presenta una fibra che agisce da
emoagglutinina (HA).
In base alla diversità antigenica delle proteine costituenti il capside si distinguono 100 sierotipi (51
patogeni per l’uomo) raggruppati in 7 sottogruppi: A, B1, B2, C, D, E, F.
I geni, presenti su entrambi i filamenti e trascritti in ambedue le direzioni, sono distinti in precoci e
tardivi.
Fra i geni precoci di particolare rilevanza sono il gene E1 ed E2. E1 trascrive un mRNA che viene
scisso in due. Ciascun frammento codifica due differenti proteine E1 distinte in A, che inattiva pRB,
e B, che inattiva p53. Entrambe le E1 agiscono inoltre da trans-attivatori per la trascrizione delle
proteine precoci (per questo dette anche “proteine precocissime”). E2 trascrive per una polimerasi
virale.
I geni tardivi codificano le proteine costituenti il capside. Fra queste il polipeptide II forma gli
esoni, il polipeptide III forma i pentoni e il polipeptide IV forma le HA. Il capside presenta anche
due proteine del core che legano il DNA.
La replicazione inizia con l’internalizzazione del virus nella cellula ospite. Questa vede l’interazione
di HA con il recettore coxsackie-adenovirus (CAR) un membro della famiglia delle Ig (alcuni
adenovirus, invece, legano MHC I). Successivamente il legame viene rafforzato dall’interazione
della base del pentone con l’alfa-integrina, interazione che promuove l’endocitosi in vescicole di
clatrina. Successivamente il virus lisa la vescicola endosomiale e attraverso il citoscheletro di
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miosina migra verso il nucleo, ove il caspide rilascia di DNA virale al suo interno.
Nel nucleo viene trascritto il gene E1 con conseguente formazione delle proteine trans-attivatrici
necessarie per la trascrizione del gene E2 e, quindi, la produzione della polimerasi virale. A
replicazione ultimata vengono trascritti i geni tardivi. Gli mRNA di questi ultimi vengono tradotti
nel citosol e le proteine del capside vengono riportate ed assemblate nel nucleo generando capsidi
vuoti, entro i quali si inserisce il DNA virale. Termina così il ciclo litico (dura 32-36 ore) e la cellula
lisata rilascia circa 10.000 virioni.
Il ciclo litico avviene sono nelle cellule permissive, ovvero le cellule mucoepiteliali che rivestono le
mucose (congiuntive incluse). Nelle cellule non permissive quali le cellule linfoidi (costituenti
adenoidi, tonsille e placche di Peyer) il virus instaura un’infezione latente.
Patogenesi e immunità
I ceppi patogeni solitamente entrano a contatto con le congiuntive o la mucosa del tratto
respiratorio. Il danno è causato dal ciclo litico e dall’attività tossica delle proteine costituenti il
pentone. Queste ultime inibiscono il trasporto degli mRNA e la sintesi proteica delle cellule
bersaglio. La degradazione dell’epitelio favorisce la diffusione del virus nel tratto repiratorio
inferiore e nel tratto gastrointestinale (ove non viene inattivato da acidi o secrezioni grazie
all’elevata resistenza del capside), negli immunodepressi può diffondere tramite circolo sanguigno
in altri organi. Con l’attivazione del sistema immunitario il virus viene drenato nei linfonodi e qui
entra in latenza nelle cellule della linea linfoide. Negli immunodepressi il virus può riattivarsi in
questa sede e dare viremia e infezione sistemica.
L’immunità cellulo-mediata è importante nel contenere lo sviluppo del virus, ma per una totale
risoluzione c’è bisogno dell’attivazione dell’attività umorale. La produzione di anticorpi, inoltre,
aiuta a proteggersi da una seconda infezione da parte dello stesso ceppo.
Il virus possiede diversi meccanismi per evadere le difese immunitarie sia innate che adattative:
-Codifica alcuni RNA associati al virus (RNA VA) che inattivano la proteina chinasi R indotta
dal’interferone. La PKR di norma impedisce la sintesi delle proteine virali.
-La proteina codificata dal gene E3 inibisce l’apotosi indotta dalla risposta cellulare al virus o dai
linfociti T
-Alcuni ceppi particolarmente virulenti impediscono l’espressione di MHC I e, quindi, la
presentazione dell’antigene.
Epidemiologia
Il virus si trasmette per via aerea (gocce di Flugge), tramite circuito oro-fecale e in maniera diretta
tramite dita o oggetti contaminati. Le infezioni sono in gran parte asintomatiche e ciò ne facilita la
diffusione. Colpiscono soprattutto bambini e immunodepressi.
-I sierotipi di adenovirus più diffusi sono l’1 e il 7.
-In ambito pediatrico i sierotipi 1,2,5,6 rappresentano il 5-10% delle malattie del tratto respiratorio
-I sierotipi 4 e 7 sono diffusi nei campi militari a causa dello stile di vita delle reclute.
Sindromi cliniche
Le manifestazioni cliniche dipendono dalle caratteristiche del sierotipo. In ordine di frequenza:
-Faringiti: la sola faringite si manifesta soprattutto nei bambini di età inferiore ai 3 anni. Nei
bambini di 7-843 anni è accompagnata da congiuntivite e febbre faringocongiuntivale. I sintomi sono
simil-influenzali e durano dai 3 ai 5 giorni
-Malattia respiratoria acuta (ARD): con massima incidenza in inverno nei campi militari, quindi
associata ai ceppi 4 e 7. È caratterizzata da febbre, rinorrea e tosse. Talvolta si accompagna a
congiuntivite.
-Altre malattie respiratorie come bronchiolite, polmonite e laringite diffuse soprattutto in ambito
pediatrico.
-Congiuntivite e cheratocongiutnivite: le congiuntiviti si manifestano in modo sporadico o
epidemico a causa della contaminazione di una fonte comune (ad esempio le piscine). La
cheratocongiuntivite (infiammazione sia di cornea che di congiuntiva) viene favorita dall’irritazione
della cornea per polveri o corpi estranei, per questo può essere epidemica in ambito industriale
(un esempio è l’epidemia che coinvolse 10.000 operai tra il 41 e il 42 nel cantiere navale di Pearl
Harbor).
-Gastroenterite: l’adenovirus è la principale causa virale di gastroenterite (sierotipi 40, 41 e 42),
specialmente nei bambini.
Nei pazienti immunocompromessi l’adenovirus causa infezioni sistemiche a carico di svariati
organi, riuscendo a invadere il circolo ematico.
Diagnosi e trattamento
I campioni prelevati solitamente sono secrezioni respiratorie e feci.
Si può fare un’identificazione rapida e diretta del virus tramite saggi immunologici come reazioni
immunoenzimatiche o l’impiego di Ig fluorescenti. In alternativa si effettua la PCR.
Infine il virus può essere isolato in linee cellulari epiteliali. Qui è possibile trovare al microscopio i
caratteristici densi corpi inclusi in posizione centrale non accompagnati da citomegalia.
Non è disponibile una terapia, per cui si utilizzano solo farmaci per alleviare i sintomi. Esistono
vaccini a virus vivo attenuato contro i ceppi 4 e 7, raccomandati alle reclute militari.
Adenovirus a scopo terapeutico
Gli adenovirus vengono ampiamente utilizzati nelle terapie geniche. Queste consistono
nell’inserzione di geni sani in cellule col gene difettante attraverso vettori specifici (in questo caso
il virus), un processo chiamato trasfezione.
L’adenovirus viene mutato sul gene E1 e altri geni virali in modo da non essere più patogeno. I geni
deleti vengono sostituiti con geni correttivi destinati alle cellule difettose. Il virus viene fatto
moltiplicare in cellule renali embrionali modificate che esprimono i geni mancanti del virus
necessari per la replicazione di quest’ultimo. Raggiunta una carica virale elevata (più di 1000 virus
per ml) si somministra la soluzione al paziente.
I bersagli del vettore virale, oltre che cellule difettose, possono essere cellule tumorali che
mancano di p53. La replicazione selettiva in queste cellule può essere ottenuta rimuovendo il gene
E1B. In questo modo il virus esplica il suo ciclo litico esclusivamente nelle cellule tumorali e funge
da farmaco oncolitico.
In ultima analisi gli adenovirus possono fungere da vettori virali per antigeni di altri virus più letali
(come ebola e HIV) e agire perciò come vaccino a virus attenuato.
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HERPESVIRUS
Struttura e replicazione
-Virus dotati di pericapside, dalle dimensioni di 150nm di diametro
-Solitamente ill genoma è costutito da DNA a doppio filamento lineare di 150kb ( con circa 80
geni) racchiuso nel nucleocapside icosadeltaedrico costituito da 162 capsomeri. Lo spazio
compreso fra capside e pericapside prende il nome di tegumento e presenta enzimi virali che
favoriscono l’inizio della replicazione.
-Causano infezioni latenti in neuroni o linfociti che durano tutta la vita.
La famiglia herpesviriadae viene suddivisa, in base a caratteristiche biochimiche e patologie
associate, in 3 importanti sottofamiglie:
-α herpesvirus: che comprende i due tipi di virus herpes simplex e il virus della varicella-zoster.
-β herpesvirus: a cui si associano il genere citomegalovirux e le specie herpesvirus umano 6 e 7
-γ herpesvirus: con la specie Epstein-Barr e l’herpesvirus umano 8
La replicazione inizia con l’interazione dell’herpesvirus con specifiche glicoproteine presenti sulla
membrana della cellula bersaglio. Il virus fonde il suo pericapside sul plasmalemma e rilascia il
nucleocapside nel citosol. Quest’ultimo raggiunge il nucleo e rilascia il genoma virale al suo
interno.
Il DNA virale comprende geni precocissimi che codificano per 5 proteine alfa, geni precoci per 25
proteine beta e geni tardivi per 45 proteine gamma. Nel nucleo il genoma parentale viene
trascritto a livello dei geni precocissimi da una RNA polimerasi DNA-dipendente della cellula
ospite. Le proteine alfa sono fattori regolatrici di trascrizione che attivano la trascrizione dei geni
precoci. Questi codificano per proteine essenziali alla replicazione come la DNA polimerasi virale e
la timidina chinasi (quest’ultimo solo negli α herpesvirus) . A questo punto il DNA assume una
45
forma concatamerica testa-coda e comincia a replicarsi con un meccanismo a rolling circle analogo
a quello visto nei plasmidi. Il DNA della progenie trascrive i geni tardivi che codificano le proteine
gamma strutturali. I nucleocapsidi contenenti il DNA acquisiscono il pericapside nell’apparato del
Golgi o sul plasmalemma. I virioni così formati vengono rilasciati tramite esocitosi o lisi della
cellula. Nelle cellule che promuovono l’infezione latente vengono soppressi i geni necessari alla
replicazione.
HERPES SIMPLEX (HSV)
Patogenesi e immunità
Vengono distinti due tipi in base alla regione che infettano e alla sede ove entrano in latenza. Le
proteine strutturali comprendono 11 glicoproteine necessarie all’attacco (GB/C/D/H), alla fusione
(gB) e all’elusione dal sistema immunitario (gC/E/I).
Di solito HSV-1 infetta la parte superiore del copro, mentre HSV-2 infetta quella inferiore. L’attacco
iniziale avviene sulle cellule epiteliali e sui fibroblasti ove istaura un’infezione litica. L’interazione è
mediata dalle glicoproteine di attacco che si legano alla nectina 1 (un membro della famiglia delle
Ig chiamato anche “ mediatore C di ingresso degli HSV” - HevC) o anche alla HevA della famiglia dei
recettori di TNF che viene espressa sui neuroni e sui linfociti (ove da latenza). Con l’inizio del ciclo
litico il virus si replica e il sistema immunitario si attiva a causa della lisi cellulare. Diversi
meccanismi contribuiscono all’elusione dal sistema immunitario. In primis il virus è capace di
bloccare l’inibizione della sintesi proteica indotta dall’interferone. Inoltre blocca il trasportatore
TAP che trasloca i peptidi nell’ER. In questo modo viene impedita la presentazione degli antigeni ai
linfociti T CD8 da parte di MHC I. Infine può sfuggire alla neutralizzazione o osponizzazione
anticorpale diffondendo da cellula a cellula senza entrare nella ECM.
Durante l’infezione il virus invade le terminazioni assoniche dell’area infetta e risale fino al
pirenoforo, solitamente situato nel ganglio trigeminale se si tratta di HSV-1 o nei gangli dei nervi
sacrali se si tratta di HSV-2. Qui entra in una fase di latenza, associata alla trascrizione di una
regione del genoma virale detta LAT che codifica per microRNA che inibiscono la trascrizione dei
geni precocissimi e, di conseguenza, la replicazione.
La risoluzione dell’infezione richiede l’attivazione dell’immunità cellulo-mediata. Quella umorale
può solo impedire la diffusione distruggendo i virus extracellulari.
A infezione risolta il virus, quindi, permane nei neuroni e può ritornare all’area di origine e
scatenare nuovamente un’infezione litica. Questo avviene a seguito di alcuni fattori scatenanti
quali radiazioni ultraviolette (ad esempio l’abbronzatura a mare), febbri e immunosoppresioni
dovute allo stress (transitorie) o al contagio da HIV. La riattivazione avviene in un lasso di tempo
che va dalle 6 settimane ai 3 anni. Le ricadute sono meno serie delle esposizioni primarie grazie
alla risposta della memoria immunitaria.
Epidemiologia
L’HSV è trasmesso attraverso i liquidi delle vescicole, la saliva e le secrezioni vaginali durante
l’infezione litica. Generalmente HSV-1 si trasmette attraverso contatti diretti (bacio) o indiretti
(utilizzo di strumenti contaminati come spazzolini) e può anche infettare gli occhi per
autoinoculazione. L’HSV-2 si trasmette per via sessuale e può essere trasferito al nascituro durante
il passaggio attraverso il canale del parto. Nei neonati, tuttavia, causa gravi malattie neurologiche e
46
sistemiche.
Sindromi cliniche
-herpes orale causato da entrambi i tipi e caratterizzato dalla comparsa di vescicole chiare che
ulcerano su bocca, mucosa orale e lingua.
-faringite erpetica caratterizzata da ulcerazioni a livello della gola
-cheratite erpetica contratta per autoinoculazione, può causare cicatrici permanenti e talvolta
portare a cecità
-patereccio erpetico o herpes del gladiatore quando le infezioni riguardano rispettivamente le
dita e il corpo. Spesso diffuse fra i lottatori che si provocano lesioni sulle mani e sul torace, nonché
nei neonati che si succhiano il dito.
-eczema erpetico (dermatite non contagiosa)
-herpes genitale causato nel 90% dei casi da HSV-2
-Encefalite, meningite e malattie sistemiche (spesso a carico di fegato e polmoni) nelle infezioni
contratte durante la nascita.
Diagnosi e trattamento
Si può fare un’analisi diretta su campioni bioptici, strisci di Tzank (raschiamenti alla base della
vescicola), o strisci di Papanicolau. Si evidenziano così sincizi e caratteristici corpi inclusi di Cowdry
di tipo A.
Si possono inoltre effettuare test sierologici come ELISA o saggiare il DNA tramite PCR.
Per il trattamento si utilizza l’aciclovir, un analogo nucleotidico che viene fosforilato dalla timidina
chinasi virale e blocca l’elongazione del DNA mancando del 3’-OH.
VARICELLA-ZOSTER (VZV)
Patogenesi e immunità
Il ciclo replicativo di Zoster è più lento di quello di HSV.
Il virus si acquisisce tramite inalazione aerea e provoca infezione litica nelle cellule epiteliali, nei
fibroblasti e nei linfociti T attivati. Anche in questo caso l’infezione latente si istaura nei neuroni
che innervano il sito infetto.
L’infezione primaria avviene a livello della mucosa del tratto respiratorio ove i virioni vengono
drenati dai linfonodi regionali (spesso le tonsille). In queste sedi il virus si replica e da una prima
viremia dopo 4-6 giorni grazie alla quale si diffonde al sistema reticolo-endoteliale del fegato. Qui
continua la sua replicazione e all’11°-13° giorno dal contagio determina una viremia secondaria
associata ai sintomi, quali febbre e varicella (per diffusione a livello cutaneo). Attraverso la rottura
delle vescicole cutanee il virus può contagiare altri individui per mezzo delle gocce di Flugge.
La risoluzione dell’infezione necessita l’attivazione dell’immunità cellulo-mediata.
A risoluzione47avvenuta il virus resta latente nei neuroni dei gangli paravertebrali, attaccati dal virus
in modo analogo a HSV.
La riattivazione segue uno stato di immunosoppressione e avviene spesso negli anziani ove cala il
numero di linfociti T e di cellule NK. Si manifesta con il quadro clinico chiamato herpes zoster o
fuoco di Sant’Antonio, caratterizzato da un esantema (rash) a livello del dermatomero innervato
dal ganglio ove è avvenuta la riattivazione.
Epidemiologia
La trasmissione avviene per via aerea. Si stima che il 90% della popolazione occidentale presenti Ig
anti VZV (ha contratto la malattia). L’herpes zoster ha maggiore incidenza nella popolazione
anziana e si manifesta nel 10-20% delle persone che hanno contratto la varicella. Anche le
vescicole da zoster sono infettive.
Sindromi cliniche
-Varicella: è la manifestazione dell’infezione primaria che compare dopo circa 2 settimane dal
contagio (associata alla seconda viremia). La diffusione cutanea del virus determina la formazione
di vesicole a base eritematosa su tutto il corpo, il tutto accompagnato da febbre. La varicella è uno
dei 5 classici esantemi dell’infanzia insieme a morbillo, rosolia, 5° e 6° malattia.
-Herpes zoster (fucarone e Sant’Antuono, focacelle e provolon affumicat): eritema limitato al
dermatomero ove si è riattivato il virus. Nel 30% delle persone anziane che sviluppano questa
malattia si ha una nevralgia post-erpetica.
Diagnosi e trattamento
Analizzando al microscopio un campione prelevato alla base delle vescicole si possono osservare i
caratteristici sincizi e corpi di Cowdry di tipo A similmente ad HSV.
Per una diagnosi accurata si effettuano test ELISA e PCR su campioni di biopsie.
La terapia prevede l’utilizzo dell’aciclovir (ACV). Talvolta, data la lenta replicazione del virus e l’alta
dose di farmaco richiesta, si utilizzano valaciclovir (derivato dell’ACV) e famciclovir (derivato del
penciclovir, altro analogo della guanosina che agisce in modo simile ad ACV) che presentano una
migliore farmacodinamica.
È disponibile un vaccino con virus attenutato detto ceppo Oka
EPSTEIN-BARR (EBV)
Patogenesi e immunità
Il virus EBV è l’agente eziologico della mononucleosi. Si lega, tramite gp350/220, al recettore per
la componente C3d del complemento (detto anche CR2 o CD21) espresso sulle cellule epiteliali e
sui linfociti B. Il sito di contagio è l’orofaringe, insieme alle tonsille. Qui il virus da un’infezione litica
nelle cellule epiteliali e talvolta anche nei linfociti B, ove più comunemente determina
l’immortalizzazione della cellula.
L’INFEZIONE LITICA nelle cellule permissive è caratterizzata dall’espressione del gene che codifica
per la proteina ZEBRA, che attiva la trascrizione di geni precocissimi e precoci nonché dei geni per
le proteine strutturali come gp350/220 e gli antigeni MA (di membrana) e VCA (del capside). Con
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la lisi della cellula il virus viene rilasciato nella saliva, attraverso la quale può contagiare altri
individui. In alternativa può contagiare altre cellule dell’ospite. Attraverso il circolo sanguigno può
raggiungere cellule B presenti su altri tessuti linfatici.
NELLE CELLULE B il virus innesca la proliferazione e immortalizza l’ospite esprimendo un ristretto
gruppo di proteine precocissime:
-Antigeni nucleari di Epstein-Barr (EBNA) di 6 tipi diversi. In particolare EBNA 1 mantiene il DNA
virale associato alle cellule (fa in modo che si trasmetta anche alle cellule figlie) e EBNA 2
promuove la trascrizione di geni cellulari che stimolano la proliferazione e del gene virale LMP.
-Tre proteine di membrana LMP che stimolano la proliferazione e l’immortalizzazione della cellula
bersaglio (attività simil-oncogena). In particolare LMP-1 blocca l’apoptosi attivando l’oncogene
blc2.
-EBER 1 e 2: due piccole molecole di RNA con funzione ignota (probabilmente anch’essi
presentano un’azione simil-oncogena).
Le cellule B infette vengono perciò stimolate a proliferare nei centri germinativi. La proliferazione
è inoltre indotta dalla produzione di una proteina virale che mima l’interleuchina 10, stimolando il
differenziamento e sopprimendo la risposta antivirale T CD4 TH-1.
Le cellule B infette vengono inoltre indotte a produrre degli anticorpi eterofili di classe M contro
l’antigene di Paul-Bunnell (un antigene utilizzato in diagnostica).
La risoluzione dell’infezione è anche la causa della malattia. La risposta T viene stimolata dalla
presentazione degli antigeni EBV su entrambi gli MHC. L’attivazione dei linfociti T porta questi
ultimi a differenziarsi in linfociti T atipici (chiamati cellule di Downey) che possono arrivare a
rappresentare l’80% del numero totale dei leucociti. Questa guerra fra linfociti B infetti e linfociti T
consuma notevolmente le riserve energetiche, causando la tipica stanchezza associata alla
malattia. I bambini possiedono una risposta immunitaria meno attiva, per questo sviluppano una
malattia molto più moderata.
A malattia risolta il VIRUS RESTA LATENTE NELLE CELLULE B DELLA MEMORIA (ove esprime solo
EBNA1) e può riattivarsi in caso di immunosoppressione.
Durante l’infezione vengono prodotti diversi anticorpi utilizzabili in diagnostica:
-anti VCA e MA: sono i primi anticorpi a formarsi. Appaiono transitoriamente in forma IgM per poi
persistere in forma IgG a risoluzione avvenuta. VCA è un antigene del capside virale mentre MA è
una glicoproteina dell’involucro. Entrambe vengono rilevate durante il ciclo litico iniziale che
colpisce le cellule epiteliali.
-anti EBNA: vengono prodotti a infezione risolta, dopo che le cellule infette sono state distrutte
(con conseguente esposizione degli antigeni nucleari).
Epidemiologia
Il virus si trasmette tramite la saliva (per questo la mononucleosi è anche detta “malattia del
bacio”). Circa il 20% della popolazione è infetta.
Sindromi cliniche
-Mononucleosi infettiva: il termine deriva dalla prevalenza di un solo tipo cellulare leucocitario. La
malattia classicamente presenta tre sintomi: linfoadenopatia, splenomegalia e faringite. Può
essere accompagnata da febbre e spesso crea una forte sensazione di affaticamento. I sintomi
compaiono fino
49 a due mesi dopo il contagio (in genere il periodo di incubazione è di 30-40 giorni).
Spesso, soprattutto nei bambini, la malattia è asintomatica. In altri casi può determinare
complicazioni neurologiche come meningoencefalite e sindrome di Guillan-Barré (polinevrite
associata a paraisi).
-Associazione al linfoma endemico di Burkitt (AfBL): Il linfoma si sviluppa a seguito di una
condizione di immunosoppressione che impedisce il controllo della proliferazione delle cellule B da
parte delle cellule T.
-Associazione a carcinoma nasofaringeo: nelle cellule tumorali di origine epiteliale si trovano
sequenze di DNA di EBV.
Diagnosi e trattamento
Si possono ricercare i linfociti atipici e gli anticorpi eterofili (agglutinano eritrociti di altre specie
come il bovino - test di Paul Bennel) caratteristici dell’infezione da HBV.
Tramite test ELISA diretto possono essere ricercati gli antigeni virali, tramite il test indiretto si
ricercano gli anticorpi. La presenza di IgM anti VCA e l’assenza di anticorpi contro EBNA indicano
infezione in corso.
Non codificando per una timidina chinasi virale, l’aciclovir non può essere utilizzato per il
trattamento. Di fatto è possibile solo eseguire una profilassi esponendo il bambino al virus, dato
che nell'infanzia la malattia è asintomatica o lieve.
CITOMEGALOVIRUS (CMV)
Patogenesi e epidemiologia
È un patogeno opportunista che colonizza il 60-90% della popolazione. Presenta il genoma più
grande di tutti gli herpesvirus e, oltre alla molecola di DNA, contiene anche mRNA preformati che
facilitano l’infezione della cellula.
Tende a dare un’infezione latente in diversi tipi cellulari (soprattutto della linea linfocitaria),
limitando quelle produttive ai macrofagi e fibroblasti.
Il citomegalovirus presenta degli efficientissimi meccanismi di elusione del sistema immunitario:
-interferisce con l’espressione di entrambi le classi di MHC impedendo la risposta T CD8 e CD4
-la mancata espressione di MHC, di norma, attiva le cellule NK. Questa attivazione viene impedita
dalla produzione di proteine virali che interferiscono con i recettori attivatori delle NK.
-Produce un analogo della IL-10 con funzioni simili a quelle viste con EBV.
Infettando molti tipi cellulari, il virus durante un infezione latente può ritrovarsi in quasi tutte le
secrezioni (saliva, urine, latte, feci, sperma ecc..) e presenta quindi diverse vie di trasmissione.
Generalmente nei neonati si ha una trasmissione transplacentare, perinatale e postnatale, mentre
negli adulti le principali vie di trasmissione sono quella sessuale e il trapianto d’organi, nonché la
trasfusione di sangue.
Sindromi cliniche
-Infezione congenita: avviene quando la madre viene esposta per la prima volta al
citomegalovirus, infettando così il feto per via transplacentare o anche durante il passaggio
attraverso il canale del parto. Le sindromi cliniche sono basso peso alla nascita, problemi di
sviluppo del50 SNC, epatosplenomegalia e rash. La malattia nel suo complesso prende il nome di
malattia da inclusione citomegalica. Il citomegalovirus è presente nel 15% dei bambini nati morti.
Se il neonato viene infetto a causa di una infezione secondaria, ad esempio la riattivazione del
virus a livello della cervice, non dovrebbe presentare sindromi cliniche rilevanti essendo protetto
dalle IgG della madre (dopo la nascita intervengono le IgA assunte attraverso il latte materno).
-Infezione in adulti sani: può causare una sindrome mononucleosica negativa ad anticorpi
eterofili con sintomi più lievi di quelli della mononucleosi causata da EBV.
-Infezione negli immunocompromessi: genera sintomi sistemici a carico di vari organi come
polmonite interstiziale, encefalite, colite, epatite. Molti trapianti di rene, inoltre, falliscono a causa
della riattivazione di CMV dopo l’operazione.
Diagnosi e trattamento
L’effetto citopatico caratteristico (CPE) è la presenza di cellule citomegaliche con un corpo incluso
basofilo ad occhio di civetta. Il virus si isola in linee cellulari di fibroblasti.
Si possono effettuare test di immunofluorescenza, ELISA o PCR.
Per il trattamento si utilizzano:
-ganciclovir: analogo della guanosina, sostituisce l’ACV in quanto il CMV non codifica per una
timidina chinasi, ma per una protein-chinasi che fosforila GCV
-Valganciclovir: valil estere del GCV con migliori proprieta farmacocinetiche
-Cidofovir: analogo della citidina con lo zucchero già fosforilato e pronto ad essere utilizzato.
-Foscarnet: inibisce la polimerasi virale mimando il gruppo pirofosfato
PICORNAVIRUS - ENTEROVIRUS
La famiglia dei picornaviridae è costituita da virus con capside nudo, piccoli (25-30 nm) e a RNA a
singolo filamento positivo. La famiglia comprende 9 generi, fra i quali gli enterovirus e gli
hepatovirus.
Si distinguono diverse specie di enterovirus patogeni per l’uomo. Fra questi ricordiamo i
poliovirus, divisi in tre sierotipi (1-3). Altri sono i virus coxsackie A e B (già citati negli adenovirus in
quanto attaccano lo stesso recettore CAR), gli echovirus e i rhinovirus, gli agenti eziologici del
comune raffreddore nonché gli unici ad avere un capside labile al pH acido e al calore, il che rende
le infezioni da parte di questi virus limitate alle vie respiratorie superiori.
Struttura e replicazione
Il capside che circonda l’RNA a filamento positivo è formato da 12 vertici pentamerici, ognuno
composto da 5 protomeri assemblati a partire da 4 subunità proteiche (da VP1 a VP4).
Il genoma RNA che varia fra 7 e 8kb presenta una sequenza poli A al 3’ (aumenta l’infettività
dell’RNA) e una proteina VPg al 5’ (permette la sintesi del genoma). L’acido nucleico codifica per
una poliproteina che viene poi tagliata per generare le proteine strutturali ed enzimi come
proteasi e RNA polimerasi RNA-dipendente.
La replicazione ha inizio con l’attacco virale sulla cellula bersaglio. I picorna virus di norma
possiedono un recettore a canyon sulla proteina VP1 posta al vertice del pentone che riconoscono
svariati ligandi sulla cellula bersaglio. In particolare poliovirus si lega alla molecola PVR/CD155 che
è simile alla nectina 1 che lega HSV. Il recettore del poliovirus è espresso su molte cellule, non
tutte permissive.
Con il legame al recettore viene rilasciata la proteina VP4 e il genoma viene immesso nel citosol
51
della cellula bersaglio. Nonostante la mancanza di una struttura “cap” sul 5’ (necessaria al
riconoscimento da parte dei ribosomi) l’RNA viene tradotto grazie a una sequenza IRES ripiegata a
forcina che lega i ribosomi. Entro 15 minuti viene codificata una poliproteina contenente tutte le
strutture proteiche del virus più una proteasi. Sarà quest’ultima a separare ciascuna proteina dalla
struttura di partenza. Viene prodotta così l’RNA polimerasi virale che produce uno stampo ad RNA
negativo dal quale può essere sintetizzato il nuovo genoma a polarità positiva.
Le prime proteine strutturali comprendono VP1, VP3 e VP0 che iniziano a formare procaspidi
vuoti. Con l’acquisizione del genoma VPO viene scisso in VP2 e VP4 e il capside si completa.
ENTEROVIRUS
Patogenesi e epidemiologia
A dispetto del nome gli enterovirus non danno malattie enteriche, ma utilizzano l’apparato
digerente per replicarsi. Per questo motivo si trasmettono per via oro-fecale.
Entrato nell’orofaringe, il virus attacca le tonsille. Scendendo nell’intestino (grazie alla resistenza al
pH acido dello stomaco e ai sali biliari rilasciati nel duodeno) si replica anche negli enterociti e nei
linfociti delle placche di Peyer. Alla prima replicazione segue una viremia che trasporta i virioni
verso i tessuti bersaglio, ove si avrà un secondo ciclo replicativo. A questo segue una seconda
viremia associata ai sintomi sistemici.
La replicazione della maggior parte degli enterovirus è citolitica e causa danni diretti ai tessuti
bersaglio.
Il poliovirus infetta il muscolo scheletrico e raggiunge il SNC viaggiando attraverso i nervi afferenti.
Si replica nei motoneuroni delle corna anteriori e del tronco encefalico, determinando paralisi
delle rispettive aree innervate.
Di primaria importanza per la risoluzione della malattia è l’immunità umorale: le IgA possono
impedire la replicazione nella mucosa dell’orofaringe e dell’intestino, mentre le Ig sieriche
impediscono la diffusione del virus distruggendo i virioni presenti nel sangue.
Gli enterovirus sono patogeni esclusivamente per l’uomo. Si trasmettono per via oro-fecale e
l’eliminazione del virus può avvenire per più di un mese anche con la scomparsa dei sintomi. Il
poliovirus è endemico in Afghanistan, Pakistan e Nigeria (qui c’è stata un’epidemia nel 2007
causata dal vaccino), mentre dal mondo occidentale è stato completamente eradicato con la
comparsa del vaccino. In questi paesi alcuni casi di polio sono stati segnalati solo per
retromutazione di quest’ultimo.
Sindromi cliniche del poliovirus
Nelle persone non vaccinate può dare quattro esiti:
-Malattia asintomatica: avviene nel 90% dei casi e vede l’infezione virale limitata all’orofaringe o
all’intestino
-poliomielite abortiva: detta malattia minore, si verifica nel 5% degli infetti ed è caratterizzata da
febbre, mal di gola e vomito. I sintomi compaioni 3-4 giorni dopo l’esposizione
-poliomielite non paralitica o meningite asettica: si verifica nell’1-2% dei pazienti ed è
caratterizzata dal coinvolgimento del SNC con comparsa di dolori alla schiena (infezione alle
meningi) e dolori muscolari, oltre che ai sintomi della malattia minore
52
-poliomielite paralitica: detta malattia maggiore, si verifica nello 0,1-0,2% dei casi. Compare dopo
3-4 giorni dalla scomparsa della malattia minore. È caratterizzata da paralisi asimmetrica causata
dalla distruzione dei motoneuroni. La mortalità è del 75% e dipende dalla degenerazione dei
neuroni inspiratori nel tronco encefalico.
Diagnosi , trattamento e vaccino
Il poliovirus si può prelevare dai tamponi faringei o dalle feci e si può far crescere in linee cellulari
di rene di scimmia. Più in generale si effettuano test sierologici diretti contro antigeni e anticorpi
per poter discriminare i vari enterovirus.
Il trattamento prevede la somministrazione di pleconaril che lega il canyon di VP1 impedendo così
l’attacco del virus.
Contro il poliovirus esistono due tipi di vaccino:
-A virus inattivato (IPV) di Salk: costituito dal virus ucciso dopo trattamento chimico e termico. I
vari antigeni possono essere iniettati per via intramuscolo e attraverso la stimolazione della
risposta infiammatoria si svilupperanno le Ig necessarie alla protezione. Necessita diversi richiami.
-A virus attenuato (OPV) di Sabin: realizzato con 3 ceppi (uno per ciascun sierotipo) mutati. Le
mutazioni si ottengono facendo crescere il virus in diverse linee cellulari di scimmia, in modo che si
adatti a questo primato e non sviluppi più patologia nell’uomo. L’OPV induce un’immunizzazione
attiva a vita simulando una vera e propria infezione virale, tuttavia retromutazioni del ceppo 3
possono rendere il virus nuovamente patogeno.
Con l’eradicazione della polio, in Italia dal 2003 è obbligatorio solo il più sicuro vaccino di Salk.
ORTHOMYXOVIRUS
Famiglia che comprende i virus dell’influenza A, B e C. Solo i tipi A e B sono patogeni per l’uomo.
Struttura e replicazione
-I virioni sono pleomorfi, sferici o tubulari di diametro fra 80 e 120nm.
-Sono dotati di pericapside. Questo contiene due glicoproteine: l’emoagglutinina (HA) e la
neuraminidasi (NA). Esistono 15-16 varianti di HA e 9 varianti di NA. Dalle combinazioni possibili si
distinguono così diversi sottotipi del virus dell’influenza. Nel pericapside sono inoltre presenti la
proteina di membrana M2 e la proteina della matrice M1, specifiche per ciascun tipo di virus
dell’influenza (permettono la distinzione fra virus A,B e C).
-Il genoma è costituito da 8 molecole di RNA a polarità negativa di 900-2500 basi ciascuno. Ogni
molecola è strutturata insieme ad un nucleocapside elicoidale costituito dalla nucleoproteina NP
e dalle componenti PB1, PB2 e PA della RNA polimerasi.
La replicazione ha inizio con il legame del trimero HA su glicoproteine leganti acido sialico presenti
sul plasmalemma delle cellule epiteliali (soprattutto della mucosa respiratoria). Le diverse HA si
legano a strutture specifiche di acido sialico. Con l’attacco sul plasmalemma viene promossa
l’endocitosi del virus. All’interno dell’endosoma l’acidificazione cambia la conformazione di HA
che, a questo livello, esprime una regione idrofobica. Questa regione è responsabile della fusione
del pericapside sulla membrana dell’endosoma.
Durante il processo il canale di membrana M2 consente l’acidificazione del tegumento. In questo
modo viene53 meno l’interazione fra la proteina M1 e la nucleoproteina NP. Di conseguenza, a
fusione avvenuta il materiale genomico viene rilasciato nel citosol.
Diversamente da molti altri virus a RNA, il genoma del virus dell’influenza viene trascritto nel
nucleo. Qui la trascrittasi virale utilizza come primer l’mRNA della cellula ospite, in modo da
sottrarre a quest’ultimo il cap sul 5’. Tutti i trascritti a filamento positivo sono dotati di cap al 5’ e
poli-A al 3’. Vengono trasportati nel citosol ove vengono tradotti in una proteina ciascuno, a
eccezione delle proteine M1, M2 e NP che provengono da un unico trascritto sottoposto a splicing
differenziale.
Le glicoproteina HA e NA prodotte vengono processate nel Golgi e trasportate al plasmalemma
apicale. Vengono prodotti altri mRNA che fungono da stampo per la replicazione del genoma, che
avviene nel nucleo. I segmenti genomici si associano alla polimerasi e a NP formando il
nucleocapside. Una proteina virale non strutturale (NS2) facilita il trasporto dei nucleocapsidi nel
citosol. Qui si associano con i tratti della membrana citoplasmatica rivestiti dalle glicoproteine e
dalle proteine M. Il virus viene così rilasciato per gemmazione.
Patogenesi e immunità
Il virus in un primo momento infetta le vie respiratorie superiori. La sua diffusione è facilitata
dall’attività enzimatica di NA che taglia i residui di acido sialico del muco. Il virus si replica nella
mucosa respiratoria, danneggiandola, e questo può favorire l’adesione di diverse specie
batteriche. La desquamazione delle cellule ciliate e delle cellule secernenti muco, insieme
all’attivazione del sistema immunitario, determinano il quadro clinico dell’influenza.
Più raramente il virus infetta le vie aeree inferiori causando polmoniti. Da questa sede può
provocare una viremia e diffondersi in altre sedi come muscolo e SNC.
La risposta anticorpale protegge nei confronti di una seconda infezione, grazie all’azione degli
anticorpi anti-HA e anti-NA, ma risulta specifica per il singolo ceppo. La risposta T è più generica,
attaccando tutti i sottotipi di uno stesso tipo (A o B).
Epidemiologia
La diffusione avviene per via aerea.
Il virus dell’influenza A causa periodicamente epidemie e pandemie a causa di due fenomeni di
deriva antigenica:
-Drift antigenico: i sottotipi HA e NA di un ceppo virale subiscono mutazioni, un processo che si
verifica ogni 2-3 anni provocando epidemie locali. La perdita di alcuni epitopi degli antigeni dei
ceppi originali fa sì che la risposta immunitaria secondaria sia addirittura meno efficiente di quella
primaria (peccato originale antigenico) in quanto impedisce l’attivazione di linfociti vergini (quindi
non si sviluppa una sensibilizzazione pienamente specifica ai nuovi epitopi) e allo stesso tempo
non contrasta con piena efficacia l’infezione.
-Shift antigenico: è spesso responsabile della comparsa di pandemie. Deriva dal riassortimento
casuale dei geni durante una coinfezione di due ceppi virali diversi. Questo determina lo sviluppo
di un nuovo sottotipo virale con un riassortimento diverso di HA e NA. Lo shift antigenico è
favorito dalla possibilità del virus dell’influenza A di infettare diverse specie animali.
Sulla base di queste proprietà i ceppi del virus dell’influenza si classificano in base al tipo (A o B), al
luogo dell’isolamento, all’anno dell’isolamento e all’antigene (HA e NA). Quest’ultima
54
classificazione riguarda solo il tipo A, dato che il tipo B non subisce shift antigenico infettando solo
l’uomo.
Casi storici di pandemie di influenza A:
-Influenza spagnola (H1N1): esplose nel 1918 e terminò nel 1919. L’influenza fu portata dalle
truppe statunitensi verso la fine della prima guerra mondiale. Prende il nome di “spagnola” poiché
solo la Spagna riportava pubblicamente i casi clinici, mentre gli altri paesi europei censuravano la
notizia. Causò decine di milioni di morti (si stima fra 20 e 60 milioni) e infettò un miliardo di
persone. La maggior parte delle morti venivano causate da infezioni batteriche secondarie e
riguardavano soprattutto i giovani, provocando in questi ultimi una risposta immunitaria eccessiva
(tempesta citochinica- causata da superantigeni?).
-Influenza aviaria (H5, N1): una prima pandemia ha avuto origine nel sud-est asiatico nel 1997.
Una seconda, cominciata nel 2003, è tutt’ora in atto e coinvolge molti volatili. L’influenza
difficilmente si trasmette all’uomo in quanto i ceppi influenzali contro i volatili attaccano recettori
diversi da quelli umani. Questa regola può essere sovvertita dalla mutazione di HA e persone a
stretto contatto con i volatili possono essere direttamente contagiati.
-Influenza suina (H1N1): il virus è un triplo-triplo riassortante di diversi virus dell’influenza umana,
aviaria e suina. La pandemia ha avuto origine in Messico e il ceppo è stato isolato per la prima
volta in California nel 2009. Ha causato 25000 morti nel mondo, soprattutto in immunodepressi.
Gli anziani insolitamente erano meno a rischio presentando anticorpi cross-reattivi acquisiti da
altre influenze di tipo H1N1. La pandemia si è dichiarata conclusa nell’Agosto del 2010.
Sindromi cliniche
L’influenza può essere asintomatica. In alternativa genera un’infezione acuta (dopo un periodo di
incubazione di 4 giorni massimo) caratterizzata da febbre, malessere, mialgia, mal di testa e mal di
gola. Nei bambini la febbre di solito è più alta e si possono avere disturbi gastrointestinali.
Diagnosi e trattamento
Il virus può essere ottenuto dalle secrezioni respiratorie e può essere isolato in colture cellulari
primarie di rene di scimmia o di cane. Aggiungendo al preparato eritrociti cavia si possono mettere
in evidenza l’emoadsorbimento (adesione dei globuli rosse alle cellule infettate che esprimono
HA) e l’emoagglutinazione. Saggi immunologici e test sugli acidi nucleici possono essere utilizzati
per la distinzione dei diversi tipi e sottotipi e il riconoscimento dei diversi antigeni.
La replicazione in HIV ha inizio con il legame di gp120 con il recettore CD4 assieme a un co-
recettore per le chemochine a 7TM associato alla proteina G. Il co-recettore iniziale è CCR5
espresso su macrofagi, cellule dendritiche e linfociti T helper. I virioni che utilizzano questi
recettori sono detti M-tropici e rappresentano la forma infettante del virus, capace di diffondersi
fra i vari ospiti. Durante l’infezione acuta HIV cambia tropismo esprimendo gp120 che lega il co-
recettore CXCR4 espresso esclusivamente sui linfociti T CD4 (T-tropici).
A seguito del legame gp41 media la fusione delle due membrane e il genoma viene rilasciato nel
citoplasma. Qui la RT codificata dal gene pol utilizza i tRNA come primer per produrre un cDNA a
doppio filamento a polarità negativa. Il cDNA (che prende il nome di provirus) migra nel nucleo e
si integra a un cromosoma della cellula attraverso l’attività enzimatica dell’integrasi virale.
A questo punto l’RNA polimerasi della cellula ospite trascrive il virus producendo mRNA a piena
lunghezza. Alcuni di questi vengono processati per produrre le proteine virali mentre altri
costituiscono l’RNA genomico.
La trascrizione virale è regolata da due proteine (Rev e Tat) ed è favorita dai prodotti di 4 geni
accessori (gli altri elencati di seguito):
-Tat: è un transattivatore della trascrizione che aumenta l’affinità della polimerasi verso il genoma
virale. Si lega a una specifica regione secondaria presente su LTR definita TAR. A seguito del
legame viene reclutata la ciclina T che a sua volta lega CdkS. Quest’ultima fosforila la RNA
polimerasi (che si lega alla regione TATA adiacente) e ne potenzia l’attività. In assenza di tat, come
nelle prime fasi dell’invasione virale, la polimerasi crea degli RNA abortivi. Tuttavia il gene tat
essendo presente nelle prime basi trascritte riesce a codificare per questa proteina anche dagli
mRNA abortivi e innescare perciò una replicazione efficace.
-Rev: promuove il trasporto dell’mRNA nel citoplasma e blocca lo splicing di alcuni di questi che
costituiranno il genoma dei nuovi virioni.
-Vpr: trasporta il cDNA nel nucleo e arresta il ciclo cellulare del bersaglio in fase G2, il più
favorevole alla replicazione del virus.
-Vif: promuove l’assemblaggio dei virioni e lega una proteina antivirale APOBEC-3G inibendo la sua
funzione (citidina deaminasi che ipermuta il cDNA)
-Vpu: aumenta la sopravvivenza dei virioni inibendo Teterin (un’ubiquitina ligasi che li distrugge)
-Nef: protegge il virus dalla risposta immunitaria diminuendo l’espressione di MHC di classe I e
alterando i segnali intracellulari dei linfociti T.
Gli RNA migrano verso una porzione del plasmalemma ove vengono inserite le poliproteine
codificate da gag. Non appena queste ultime interagiscono con due segmenti genomici associati ai
tRNA promoter, il virus gemma. Il virione completa la sua maturazione una volta gemmato
tagliando le 57
poliproteine e formando, così, le proteine strutturali del capside. Finché non avviene
la maturazione il virus non è infettante.
Meccanismo della retrotrascrizione (figura pagina 79 MIMMUNO)
-Sul 5’ la LTR presenta in ordine una regione R, una U5 e un sito legante il tRNA primer (PBS). La
retrotrascrittasi comincia da questo primer e codifica in direzione 3’ (quindi verso il 5’ dell’RNA di
partenza), trascrivendo come DNA le regioni R e U5. Le rispettive regioni sull’RNA vengono
degradate dall’attività ribonucleasica intrinseca della RT.
-Il frammento cDNA si appaia con la regione R dell’estremità 3’ dell’RNA. Si allunga così in
direzione 3’ retro-trascrivendo U3, la regione codificante e PBS. Viene prodotto così un singolo
filamento di DNA
-L’attività ribonucleasica degrada l’RNA lasciando solo un piccolo tratto nella regione codificante
che fungerà da primer per il filamento complementare. Il tratto è immediatamente adiacente alla
UTR sul 5’ del cDNA (costituito in ordine verso 3’ da U5, R e U3).
-La RT codifica il filamento complementare in direzione 3’, replicando così l’UTR 5’ più una regione
PBS corrispondente al tRNA primer. Il tratto di RNA e il tRNA utilizzati come primer vengono
rimossi.
-La regione PBS si appaia con quella sul 3’ del filamento di DNA di partenza. Entrambi i filamenti
vengono allungati in direzione 3’: su quello di partenza si aggiungono U5, R e U3; su quello
complementare si aggiunge tutta la regione codificante e una nuova UTR sul 3’.
Il risultato finale è la formazione di un cDNA a doppio filamento più lungo del genoma a RNA.
Patogenesi e immunità
L’infezione è divisa in 4 fasi:
-Nella fase iniziale attraverso diverse vie di accesso (sangue, retto, vagina ecc..) il virus attacca le
mucose e accede alle cellule della linea mieloide (M-tropico o R5) provocando, non sempre,
sintomi simili all’influenza. Dopo circa due settimane una parte dei virus cambia fenotipo e attacca
le cellule TCD4 (T-tropico o X4).
Il numero di T helper diminuisce sia a causa della replicazione del virus (il virus può uccidere la
cellula attivando programmi apoptotici o aumentando la permeabilità della membrana) che
dell’attivazione del sistema immunitario. L’attivazione di quest’ultimo, tuttavia, determina una
proliferazione dei linfociti T (che aumentano nuovamente di numero) e la produzione di Ig
specifiche contro gp120 (sieroconversione).
-Alla sieroconversione segue una fase di latenza clinica che dura in media 10 anni. In questa fase il
numero dei linfociti T CD4 diminuisce molto lievemente, restando pressoché costante. Questo
perché da una parte si assiste all’eliminazione delle cellule infette e dall’altra allo sviluppo di nuovi
linfociti. La viremia, costituita da una commistione di virus X4 e R5, risulta molto bassa e la precisa
quantità di virus dipende dalla risposta immunitaria del soggetto. Nei long term nonprogressors la
viremia è mantenuta a livelli infinitesimi e questi soggetti mantengono un sistema immunitario
efficiente senza mai sviluppare AIDS.
-Nella fase acuta tutti i virus cambiano tropismo verso i linfociti T. Il numero di CD4 scende al di
sotto di quello richiesto per un corretto funzionamento del sistema immunitario. Alla caduta dei
CD4 segue una caduta dei CD8 (che vengono attivati dai primi) e questo facilita la diffusione del
virus e l’infezione di altre cellule. Si assiste, infatti, all’aumento della viremia. Compaiono sintomi
58
simil-mononucleosici e linfoadenopatia.
-Con la progressiva diminuzione dei linfociti si sviluppa L’AIDS conclamato. La pesante
immunosopressione spesso determina la riattivazione di altre infezioni latenti, come quelle degli
herpesvirus, oltre che una elevata sensibilità verso ogni tipo di patogeno. Nessun individuo che
sviluppa AIDS sopravvive a lungo. La viremia non aumenta a causa della perdita di cellule ospiti.
Per il controllo della progressione della malattia ruolo primario è assunto dai linfociti T CD8
citotossici. Questi ultimi eliminano le cellule infette e sopprimono la replicazione virale
producendo determinate chemochine che, inoltre, bloccano il legame del virus al suo recettore. Il
virus nel sangue viene opsonizzato o eliminato dalle Ig dopo sieroconversione. Tuttavia il virus
effettua drift antigenico sulla proteina gp120 e non viene mai completamente eliminato.
Individui con determinati allotipi di MHC resistono alla progressione verso l’AIDS presentando
ottimamente gli antigeni virali ai T CD8. Esistono inoltre ceppi privi di Nef incapaci di mascherarsi
dal sistema immunitario (la viremia, quindi, si mantiene bassa).
Altri individui, nonostante vengono esposti continuamente all’HIV, non vengono contagiati. In
questi manca il co-recettore CCR5 e quindi i virus M-tropici (responsabili del contagio) non
riescono ad invadere le cellule bersaglio. Individui intrinsecamente resistenti sono presenti
soprattutto nelle regioni endemiche per l’AIDS, dove la mancanza di CCR5, che causa una lieve
immunodeficienza, rappresenta un vantaggio conferendo resistenza alla malattia. Ciò è accaduto
nei caucasici. In Africa (che attualmente presenta l’incidenza maggiore) non c’è stata ancora
pressione selettiva dato che la comparsa dell’HIV in questo territorio è recente.
Epidemiologia
L’HIV si pensa derivi da un virus dello scimpanzé.
Negli infetti è presente nel liquido seminale e nelle secrezioni vaginali. La trasmissione avviene
prevalentemente per via sessuale. Altre modalita di trasmissione derivano dall’esposizione a
sangue ed emoderivati (ad esempio utilizzando un ago non sterilizzato precedentemente inserito
nella vena di un sieropositivo).
Si distinguono due tipi di HIV. L’HIV-1 è diffuso in occidente, mentre in Africa prevale HIV-2. Nei
paesi occidentali la diffusione avviene soprattutto fra maschi omosessuali, mentre nel continente
nero (paraponziponzipo) soprattutto tramite rapporti eterosessuali e maschi e femmine sono
contagiati in egual numero.
Si contano circa 33 milioni di infetti da HIV, con un aumento di circa 2,5 milioni all’anno. Fra questi,
22,5 milioni soltanto in Africa.
Secondo Di Nocera: in Europa ci sono 300.000 infetti, 20.000 nuovi casi e 12.000 morti all’anno.
Secondo il resto del mondo: in Europa gli infetti sono 800.000
Sindromi cliniche
L’AIDS si sviluppa quando il numero di linfociti T CD4 scende al di sotto di 200 unità per µl.
Sembra inoltre che l’HIV abbia un ruolo oncogeno in quanto presenta un gene V-onc. Questo è un
esempio di virus oncogene a trasformazione lenta: il gene V-onc si integra vicino un gene cellulare
protoncogene causandone la sovraespressione. Nei virus a trasformazione acuta, invece, il gene
può agire da solo come oncogene codificando una proteina trasformante.
Diagnosi e59trattamento
Possono effettuarsi analisi come ELISA o W-blot per identificare anticorpi contro p24, p31
(proteine del capside) e gp 120. In clinica si è soliti effettuare il combo-test: identificazione di p24
e conta dei leucociti (si osserva un rapporto alterato fra TCD4 e TCD8).
Si utilizzano cocktail di farmaci in quanto il virus, avendo un elevato tasso di mutazione, acquisisce
facilmente resistenza. I farmaci sono inibitori dell’attacco e della fusione virale alla cellula
bersaglio, delle proteasi e delle integrasi virali e dei recettori CCR5. In questo modo la carica virale
resta bassa e non si sviluppa l’AIDS. Ciononostante il virus non potrà mai essere completamente
eliminato.
VIRUS DELL’EPATITE
EPATITE A (HAV - INFETTIVA)
È un picornavirus (enterovirus 72) con capside nudo di 27 nm. Possiede un genoma a RNA a
singolo filamento a polarità positiva (presenta Vpg al 5’ e poli-A al 3’).
Esiste un unico sierotipo.
Dopo la replicazione viene rilasciato dalla cellula bersaglio mediante esocitosi.
Patogenesi e immunità
Dopo l’ingestione il virus interagisce con il recettore cellulare glicoproteico 1 dell’HAV (HAVCR-1
noto anche come TIM-1) presente sulle cellule epatiche e sui linfociti T.
Il ciclo replicativo avviene negli epatociti e gran parte dei virioni vengono rilasciati nella bile. Di
fatto il virus compare nelle feci fino a 10 giorni prima dalla comparsa dei sintomi e può contagiare
altri individui.
La replicazione è lenta ed è ostacolata dall’interferone. Le Ig possono contribuire a limitare la
diffusione del virus, che può risolversi solo con l’intervento dei linfociti T citotossici. Il danno alle
cellule epatiche causato da questi ultimi è il fattore determinante la comparsa di ittero (elevati
livelli di bilirubina nel sangue). Il periodo di incubazione complessivo prima della comparsa dei
sintomi è solitamente di 15 giorni.
L’HAV non è in grado di cronicizzare.
Epidemiologia
La trasmissione avviene per via oro-fecale. Può resistere per mesi in acqua sia dolce che salata,
60
contaminando le specie marine. Di fatto i molluschi rappresentano i vettori principali per la
trasmissione della malattia.
HAV è responsabile del 40% dei casi di epatite acuta. Inoltre il 90% dei bambini e il 25-50% degli
adulti presenta una infezione asintomatica che facilita la diffusione del virus.
Sindromi cliniche
I sintomi compaiono improvvisamente e costituiscono il quadro clinico dell’epatite acuta: febbre,
astenia, nausea, anoressia, dolore addominale e ittero (80% negli adulti, 10% nei bambini).
Diagnosi e trattamento
Si dosano le Ig-anti HAV presenti nel siero tramite ELISA. Il dosaggio delle IgG è inutile dal
momento che la malattia non cronicizza. Si possono inoltre rilevare alti livelli di transaminasi nel
siero, un enzima degli epatociti.
Il trattamento è costituito da una profilassi di Ig durante il periodo di incubazione. È disponibile un
vaccino costituito dall’HAV inattivato.
EPATITE B (HBV – DA SIERO)
Struttura e replicazione
L’HBV è un membro degli hepadnavirus. Tali virus hanno un tropismo tissutale verso il fegato e in
minor misura reni e pancreas. Presentano uno spettro d’ospite molto limitato, infettando solo
uomo e scimpanzé.
-Provvisto di pericapside
-Il genoma è a DNA circolare parzialmente a doppio filamento di 3.200 basi. Codifica una
trascrittasi inversa e si replica mediante un intermedio a RNA
-Il virione viene detto particella di Dane ed è estremamente stabile pur dotato di pericapside.
Resiste a etere, sostanza con basso pH e al congelamento.
N.B. qualora allo scritto uscisse “qual è la percentuale di infetti da toxoplasma?” sembra che la
risposta sia 20%
TRYPANOSOMA
E’ un protozoo emoflagellato distinto generalmente nelle specie Brucei (gambiense e
rhodesiense)
67 e Cruzi che differiscono per la modalità di trasmissione, l’epidemiologia e i
sintomi clinici.
BRUCEI
Ciclo riproduttivo
Il Try. Brucei viene veicolato dalla mosca tse-tse, nella quale risiede sottoforma di epimastigote
(proliferativo e flagellato) nelle ghiandole salivarie. Quando la mosca punge un essere umano,
rilascia nel sangue una forma proliferativa di tripomastigote detta slender. Gli slender
proliferano e talvolta si differenziano in una forma non replicativa e quiescente detta stumpy.
Quest’ultima viene ingerita dalla mosca durante il pasto ematico differenziandosi in una forma
prociclica che prolifera nell’intestino. Viene successivamente assorbita e portata alle ghiandole
salivarie dove risiede come epimastigote terminando il ciclo.
Glicoproteina Vsg
Sulla membrana del parassita è presente un rivestimento di glicoproteine Vsg che interferisce
con l’attacco del sistema immunitario proteggendo il plasmalemma del parassita. Inolre VSG
presenta un’enorme variazione antigenica.
Nel genoma di Brucei sono presenti circa 1000 geni e pseudogeni Vsg che codificano per
diverse glicoproteine Vsg (450 aa- fra le diverse glicoproteine varia la regione N-term mentre la
C-term è costante).
I geni Vsg vengono espressi solo se posizionati in siti chiamati ES (expression sites), localizzati
su diversi cromosomi in prossimità dei telomeri. Ciascun protozoo presenta circa 20 di questi
loci di cui solo 1 è attivo e codifica la propria Vsg.
La variazione antigenica di Vsg è generalmente il risultato di due diversi meccanismi. Il primo è
basato sullo scambio trascrizionale, ovvero sullo spegnimento dell’ES attivo e l’attivazione di un
diverso ES precedentemente silente. Il secondo dipende da un meccanismo di ricombinazione
omologa attraverso il quale si ha lo switching del gene Vsg fra due ES differenti, di cui uno è
attivo o semplicemente viene trasferito un nuovo gene Vsg dal pool di geni inattivi nell’ES
attivo.
Le regioni ES già utilizzate vengono marcate con una base modificata chiamata J (beta-glucosil-
idrossimetiluracile).
N.B: le glicoproteine Vsg sono espresse solo dai tripomastigoti presenti nel sangue dell’uomo.
Nello stadio prociclico della mosca le glicoproteine Vsg vengono sostituite dalle glicoproteine
PARP (domanda dello scritto).
Epidemiologia
-Gambiense: infetta solo gli esseri umani ed è diffuso in prossimità dei fiumi dell’Africa
occidentale e centrale, ove la mosca tsetse normalmente risiede.
-Rhodesiense: ha come serbatoio anche diverse specie animali, per cui è maggiormente diffuso
nelle aree rurali dell’Africa orientale
Sindromi cliniche
Entrambi i tipi provocano la malattia del sonno africana caratterizzata da diversi sintomi a
seconda della fase di sviluppo:
-Stadio primario: l’infezione è localizzata nella puntura, ove provoca arrossamento e
ulcerazioni
68
-Stadio sanguigno: il parassita infetta i linfonodi (che si ingrossano) ed entra nel circolo
ematico. Compaiono febbre, mialgia (dolore muscolare) e artralgia (dolore articolare).
Caratteristico di questo stadio è la tumefazione dei linfonodi cervicali (segno di Winterbottom)
-Stadio terminale: viene coinvolto il SNC provocando tremori, ritardo mentale e letargia.
La mortalità è del 10%. La differenza fra le due specie di Brucei sta nel periodo di incubazione,
molto più breve per rhodesiense che, quindi, può sviluppare una malattia fulminante ad esito
fatale
Diagnosi
Nei campioni di sangue e di liquor sono presenti pochi parassiti e questo può rendere
difficoltosa la ricerca al microscopio. A tale scopo si utilizzano tecniche di centrifugazione e
cromatografia a scambio ionico.
Trattamento
Si utilizza la suramina (inibisce alcuni enzimi del parassita necessari alla sintesi dell’ATP) per il
trattamento dell’infezione acuta. Dal momento che questo farmaco non può oltrepassare la
barriera ematoencefalica, per le infezioni terminali si utilizza il melarsoprolo (ossida i gruppi
sulfidrilici degli enzimi parassitari inattivandoli; in particolare disattiva la piruvato chinasi
causando una riduzione della produzione di ATP).
CRUZI
Ciclo riproduttivo
Il cruzi viene veicolato dalla cicimce baciante, così chiamata perché è solita pungere sulla
bocca. La cimice punge l’essere umano ed elimina tramite le feci il parassita in forma di
tripomastigote. All’interno dell’ospite il parassita migra in altri tessuti e si differenzia in una
forma intracellulare aflagellata chiamata amastigote. Il parassita all’interno della cellula si
replica mediante fissione binaria fino a provocarne la lisi. A questo punto il parassita viene
rilasciato nuovamente come tripomastigote e l’infezione si diffonde. Durante il pasto ematico
della cimice vengono assorbiti tripomastigoti che replicheranno nell’intestino come
epimastigoti, per poi risiedere nel proctodeo come tripomastigoti metaciclici terminando il
ciclo.
Epidemiologia e sindromi cliniche
E’ diffuso in America sia del nord che del sud e nelle zone epidemiche si riscontra
sieropositività nel 60% delle persone.
Provoca la malattia di Chagas che può essere asintomatica, acuta o cronica.
La forma acuta è caratterizzata da un precoce segno di sviluppo: lo chagoma, una zona
eritematosa e indurita nel sito di puntura. Spesso viene seguito da rash e un edema attorno al
volto (segno di Romaña). Altri sintomi sono febbre, brividi, mialgia e affaticmaento. La malattia
è più severa nei bambini ove può coinvolgere il SNC.
La forma cronica è caratterizza da epatosplenomegalia, miocardite (con alterazioni dell’attività
elettrica cardiaca) e dilatazione dell’esofago e del colon come conseguenza della distruzione
del plesso mienterico di Auerbach. Viene coinvolto anche il SNC causando meningocefalite e
provocando granulomi con formazione di cisti. La morte è spesso dovuta ai danni cerebrali o
all’arresto cardiaco.
Diagnosi
69 e trattamento
Nella fase acuta Cruzi può essere messo in evidenza con strisci di sangue sottile o a goccia
spessa (in quest’ultimo caso il parassita risulta più concentrato). Con l’avanzamento della
malattia il parassita tende a scomparire dal sangue e può essere ritrovato come amastigote
tramite biopsie di fegato, milza, midollo osseo e linfonodi.
Mancano terapie capaci di eradicare completamente l’infezione parassitaria, vengono quindi
utilizzati medicinali palliativi.
PLASMODIUM
Tutti i plasmodi sono sporozoi dixeni (obbligati a parassitare in due ospiti per completare il
ciclo vitale) che infettano due ospiti: la zanzara Anopheles, dove compiono riproduzione
sessuata, e l’uomo, dove compiono riproduzione asessuata.
Il ciclo biologico comincia nella zanzara che, al momento della puntura, inocula nel sangue
dell’uomo gli sporozoiti. Attraverso il sistema circolatorio questi ultimi raggiungono il fegato e
si replicano negli epatociti per schizogonia (tipo di riproduzione asessuata caratterizzata dal
rapido succedersi di divisioni nucleari seguite da frammentazione del citoplasma). Questa
riproduzione prende il nome di ciclo esoeritrocitario e dura dai 7 ai 25 giorni.
Alcune specie di plasmodium (ovale e vivax) possono differenziarsi, negli epatociti, in ipnozoiti,
una forma cellulare che non si replica e rimane quiescente, determinando uno stato di latenza
(la riattivazione può avvenire a distanza di anni).
Più comunemente la replicazione lisa gli epatociti. Vengono rilasciate, quindi, forme di
plasmodi chiamate merozoiti che si legano agli eritrociti e ivi si riproducono (ciclo
endoeritrocitario). In ciascun eritrocita si formano 24 merozoiti che saranno poi rilasciati con
la lisi della cellula. In alcuni casi i merozoiti possono sviluppare gametociti maschili e femminili
(micro e macrogametocita) che, quando ingeriti dalla zanzara, innescano un ciclo riproduttivo
sessuato che forma gli sporozoiti (fine del ciclo biologico).
P. FALCIPARUM
Fisiologia
Falciparum infetta gli eritrociti a tutti gli stadi della loro esistenza e fino a quattro merozoiti
possono infettare lo stesso eritrocita. In queste cellule falciparum si colloca in periferia a
ridosso della membrana cellulare.
Epidemiologia
È endemico in Asia, Sud est asiatico e sud America (in generale nelle regioni tropicali). Spesso
coinfetta con HIV.
Sindromi cliniche
Ha il periodo di incubazione (periodo che va dalla puntura della zanzara alla comparasa dei
merozoiti negli eritrociti – comparsa dei sintomi) più breve di tutti i plasmodi: varia da 7 a 10
giorni. Falciparum causa inizialmente sintomi giornalieri che comprendono febbre, nausea,
vomito e diarrea. Successivamente gli attacchi febbrili si alternano ciclicamente dando origine
alla terzana. La terzana è caratterizzata da parossismi ogni 36-48 ore, periodo di tempo
corrispondente alla replicazione dei merozoiti negli eritrociti e alla conseguente lisi, seguita
dalla diffusione del parassita nel sangue che determina lo stato febbrile. La terzana di
falciparum viene definita malaria terzana maligna. Questa è la forma di malaria più letale in
70
quanto Falciparum, infettando tutti i tipi di eritrociti, provoca la più severa forma di anemia. Il
parassita non sempre si replica e lisa l’eritrocita, ma talvolta conferisce a quest’ultimo la
capacità di aderire agli endoteli. Questa caratteristica dipende dall’espressione di un gene
knobs del protozoo che determina la formazione di protuberanze sul plasmalemma
dell’eritrocita. Le protuberanze agiscono come punti di aderenza. Sul plasmalemma inoltre
viene espressa una proteina del protozoo chiamata PFEMP1 che pure favorisce l’adesione sulle
cellule endoteliai. Nei piccoli vasi cerebrali l’adesione degli eritrociti porta alla formazione di
aggregati che compromettono il normale flusso sanguigno determinando ischemia
Un'altra complicazione del falciparum è la febbre dell’acqua nera caratterizzata da danno
renale dovuto a fenomeni di emolisi nei glomeruli.
Diagnosi e trattamento
Viene individuato al microscopio con strisci di sangue (si possono trovare trofozoiti giovani o
gametociti) o tramite un test diagnositco rapido (RDT) per gli antigeni.
Il farmaco d’elezione è la clorochina, ma è necessaria l’anamnesi del paziente perché in alcune
aree geografiche sono presenti ceppi resistenti al farmaco. Per questi ceppi si procede con
un'altra terapia.
P. KNOWLESI
Fisiologia
Presenta un’ampio spettro d’ospite, permissivo nei primati, e infetta gli eritrociti in modo
aspecifico. Inoltre, diversamente da falciparum, non sembra segregarsi nel microcircolo e
quindi non comporta complicanze neurologiche.
Epidemiologia
È endemico in Malesia, anche se le infezioni sono presenti in quasi la totalità del sud est
asiatico ove i parassiti risiedono nei macachi. La malattia ha una bassa incidenza in quanto
viene solitamente trasmessa dalla zanzara anopheles leucosphyrus che normalmente vive nelle
foreste, lontana dal contatto con gli esseri umani.
Sindromi cliniche
Classici sintomi della malaria, tuttavia il ciclo vitale negli eritrociti è breve (24h) quindi i sintomi
persistono quotidianamente senza picchi ciclici
Diagnosi e trattamento
Non sono disponibili RDT per questa specie e al microscopio non è difficile discriminarlo da p.
malariae e altre forme di plasmodio. Per questo motivo l’unico test diagnostico utile è quello
della PCR.
Si utilizza la clorochina per il trattamento.
P.VIVAX
Fisiologia
Infetta solo gli eritrociti giovani ed immaturi. Il recettore primario degli eritrociti per p.vivax è
l’antigene di gruppo sanguigno Duffy, anche se sono stati riscontrati ceppi in Madagascar
infettanti individui Duffy-negativi.
Gli eritrociti
71 infetti appaiono ipertrofici e presentano nel loro citoplasma granulazioni rosa
dette granulazioni di Schüffner. Spesso gli schizonti all’interno dell’eritrocita contengono
granulazioni bruno-dorate di emozoina (pigmento malarico).
Epidemiologia
È il plasmodio umano più diffuso, distribuito soprattutto nelle regioni tropicali e sub-tropicali.
L’80% dei casi clinici riguarda il Sud America e il Sud-Est asiatico.
Sindromi cliniche
Presenta un periodo di incubazione di 10-17 giorni, dopo i quali compaiono sintomi
pseuoinfluenzali. Con il progredire dell’infezione e la rottura degli eritrociti si sviluppa la
malaria terzana benigna, nome che indica sia il carattere ciclico dei sintomi malarici
(parossismi ogni 48 ore) sia la possibilità di riuscire a tollerarli e di sopravvivere per anni senza
trattamento.
Tuttavia possono generarsi anche sintomi più severi (epatosplenomegalia, epilessia,
insufficienza renale, shock, delirio) ad esito potenzialmente letale.
Diagnosi e trattamento
Si utilizza lo striscio di sangue sottile (permette l’identificazione della specie) o della goccia
spessa (necessario a rivelare il parassita in caso di bassa parassitemia).
Il trattamento sopressivo vede l’utilizzo della clorochina, seguito dalla somministrazione di
primachina per l’eradicazione completa. La primachina ha un’azione distruttiva specifica per le
forme tardive e latenti (ipnozoiti) del p.vivax.
P.OVALE
Fisiologia
Ha le stesse caratteristiche del vivax. Differisce per la colorazione più scura del pigmento
malarico e per il numero più ridotto di merozoiti negli eritrociti
Epidemiologia
Diffuso, anche più del vivax, in Africa tropicale. Presente anche in Asia e Sud America
Sindromi cliniche
Determina la malaria terzana ovale, con caratteristiche identiche a quella benigna. Tuttavia in
questo caso le infezioni non trattate non durano più di 1 anno.
Diagnosi e trattamento
Esame su strisco di sangue sottile o spesso. Il regime terapeutico è lo stesso di vivax, in
particolare si utilizza la primachina per evitare recidive da forme latenti nel fegato.
P.MALARIE
Fisiologia
Infetta solo eritrociti maturi con una membrana cellulare rigida, per questo motivo non causa
modificazioni della forma dell’eritrocita. In quest’ultimo possono apparire granuli rossicci
definiti granuli di Ziemann.
Lo sporozoita ha un aspetto brunastro a bande e a barre, mentre lo schizonte (stadio evolutivo
in cui il parassita, dopo replicazioni multiple, presenta tanti piccoli nuclei pronti a separarsi per
schizogonia) è composto da 8 merozoiti disposti attorno un granulo pigmentato centrale
bruno.
Epidemiologia
Si distribuisce
72 nelle stesse regioni degli altri plasmodi, ma risulta meno diffuso.
Sindromi cliniche
Presenta il periodo di incubazione più lungo fra tutti i plasmodi (dai 18 ai 60 giorni). Provoca la
malaria quartana con parossismi ogni 72 ore. I sintomi possono essere moderati o severi e la
malattia, se non trattata, persiste per anche 20 anni.
Diagnosi e trattamento
Sugli strisci ematici sottili e spessi possono essere identificati i caratteristici schizonti o
trofozoiti.
Si utilizza il solito trattamento basato sulla clorochina, mentre mancando le forme di latenza
non si utilizzano farmaci per prevenire le recidive.