Sei sulla pagina 1di 2

THE BIG SHORT

Edoardo Chergia mat.734661


Con il suo best seller intitolato ‘The Big Short’ Michael Lewis ha voluto raccontare la storia di una manciata
di investitori, che negli anni precedenti alla grande crisi dei mutui subprime (grazie alla quale si innescò una
reazione a catena che andò a colpire, in maniera più o meno significativa, tutte le banche d’investimento e in
generale tutti gli intermediari coinvolti nel mercato dei crediti ipotecari) cercarono e, a posteriori, riuscirono
ad individuare e prevedere una delle bolle speculative più grandi della storia. Nel dettaglio viene raccontata
la storia di Michael ‘Mike’ Burry, personalità peculiare, difficilmente in grado di intrattenere un discorso
senza sembrare rude nei modi, vuoi per il problema all’occhio causato dalla Sindrome di Asperger, che l’ha
accompagnato dalla giovane età e condizionato le sue interazioni sociali. Michael Burry intraprese
inizialmente un percorso al di fuori del mondo di Wall Street: nel ’98 era specializzando in Neurologia a
Stanford, ma nel frattempo condivideva le proprie decisioni d’investimento su un blog; ben presto si accorse
che molti visitatori del suo ‘diario degli investimenti’ erano personalità di spicco all’interno del mondo della
finanza, individui che ricoprivano cariche di rilievo nelle banche d’investimento più note degli Stati Uniti,
che, accortisi delle scelte sempre più azzeccate di Burry, avevano iniziato a seguirlo. Da qui la decisione di
fondare la Scion Capital, hedge fund del quale egli stesso era gestore, finanziato dai risparmi dei propri
familiari, inizialmente, nonché da White Mountains e Gotham Capital. La strategia d’investimento di Burry
era chiara e basata sul value investing: lo stesso Warren Buffet riconosce l’efficacia del value investing, del
quale Ben Graham ne è stato il precursore, che basa la validità di una società sugli assets tangibili e ricavi
attuali, piuttosto che sulle stime di utili e ricavi futuri.
Fin da subito Burry ottenne un successo notevole: i rendimenti di Scion Capital erano nettamente superiori
alla media degli altri fondi. Egli stesso mette in luce come, inizialmente, gli investitori bussassero alla porta
di Scion dopo aver dato un’occhiata ai rendiconti trimestrali, accompagnati dalle lettere che Burry inviava a
coloro che avevano già deciso di affidargli i propri risparmi, nelle quali venivano costantemente evidenziati
dei rendimenti straordinari; da lì a poco, tutti smisero di leggerle, quelle lettere, consapevoli di non dover
neanche controllare l’andamento della loro partecipazione dal momento in cui erano entrati a far parte di
Scion Capital.
E’ a partire dal maggio 2005 che Michael Burry iniziò a scommettere contro il mercato immobiliare
statunitense, da sempre ritenuto stabile e in crescita: i prezzi delle case erano in costante aumento, i tassi di
concessione di mutui non erano mai stati così elevati, gli istituti di credito immobiliare guadagnavano senza
neanche sopportare un effettivo rischio: attraverso il processo di cartolarizzazione nell’istante
immediatamente successivo alla concessione del mutuo potevano cedere il loro prestito ad una società
veicolo che creava degli appositi MBS (mortgage backed securities), notes che avevano come sottostante dei
mutui ipotecarii, garantito dagli immobili stessi. Questa opportunità di guadagno priva di senso per gli istituti
di credito portò gli stessi a concedere mutui ai cosiddetti subprime borrower: soggetti caratterizzati da un
merito creditizio molto basso e di conseguenza con una probabilità di default molto elevata. Burry analizzò
l’andamento di questi prestiti e si rese conto che la maggior parte seguivano un andamento analogo: nel
periodo iniziale, vuoi per le quote interessi e capitale inferiori, i mutuatari riuscivano a far fronte ai loro
impegni, ma nel lungo termine non sarebbero mai stati in grado di ripagare il loro debito. Di conseguenza,
soltanto nel momento in cui questi soggetti fossero stati dichiarati in default, le obbligazioni garantite
sarebbero crollate. Come poteva essere sfruttata questa situazione? Burry si fece creare appositamente dei
Credit Default Swap su queste obbligazioni garantite: nient’altro che delle ‘assicurazioni’ che pagavano al
verificarsi di un credit event: in questo caso quest’ultimo era proprio il default delle obbligazioni garantite.
CDS su MBS non erano mai stati emessi, in quanto appunto tutti confidavano pienamente nella stabilità del
settore immobiliare americano.
Burry dovette affrontare un problema: dal momento in cui sottoscrisse CDS al momento in cui si verificò il
crollo del mercato immobiliare la Scion Capital, che aveva un’esposizione pari a 750 mln $, avrebbe dovuto
pagare i premi alle banche d’investimento presso le quali aveva sottoscritto i CDS, tra cui Deutsche Bank,
Goldman Sachs. Molti investitori minacciavano di ritirare i loro risparmi dal fondo, in quanto avevano
investito in un fondo azionario ma da qualche tempo quello stesso fondo si era specializzato in credito
ipotecario. Ben presto, quando iniziavano a verificarsi i primi default (i rimborsi delle carte di credito, che
insieme ai mutui e ad altre varie tipolgie di credito come, ad esempio, tasse scolastiche, facevano parte delle
ABS, raggiunsero una percentuale di default elevatissima), le stesse banche che avevano concesso a Scion
quei CDS volevano ricomprarli, come Bank of America, alla quale Burry ne cedette una parte. Con il passare
dei mesi i premi dei nuovi CDS sottoscritti erano sempre maggiori, a conferma del fatto che il mercato
immobiliare si stesse pian piano sgretolando. Il 18 settembre 2008 fallì Lehman Brothers: altri istituti erano
sull’orlo del collasso, e dovette intervenire la Fed, prestando denaro al colosso assicurativo AIG , nonché
acquisendo Merryll Linch, che entrò a far parte di Bank of America. Michael Burry registrò un guadagno da
commissioni di 100 mln $ a fronte dei 700 mln $ che portò nelle tasche dei suoi investitori. Meglio di lui
fece Steve Eisman, che insieme al suo team in Frontpoint, società controllata da Morgan Stanley,
registrarono un profitto di circa 1 mld $. Nonostante il lieto fine che ha caratterizzato l’esperienza di questi
pochi soggetti, la crisi dei mutui subprime mise in ginocchio i risparmiatori, fece perdere il lavoro a milioni
di cittadini americani e aprì la strada ad un ciclo economico negativo, ad una recessione che colpì l’Europa
(molte banche europee avevano posizioni aperte in CDO) e la accompagnò progressivamente verso un’altra
crisi: quella dei debiti sovrani.

Potrebbero piacerti anche